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28 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 7 GIUGNO 2015 n. 155 Scienza e filosofia di Silvia Ronchey M ozart e Goethe, Mesmer e Lavater, Robespierre e De Maistre. Quasi nes- sun intellettuale nel se- colo della rivoluzione francese è riuscito a non essere massone. Il fatto è che illumini- smo e massoneria non solo avevano ideali comuni, ma condividevano un linguaggio. Libertà, fraternità, soprattutto uguaglian- za - tra classi e non solo tra pari grado - era- no parole d’ordine anzitutto massoniche, come si vede bene negli scritti di due filoso- fi tedeschi, maestro e discepolo, illumini- sti e massoni, ora raccolti e per la prima volta tradotti in italiano con testo a fronte nel volume della collana di Giovanni Rea- le, Il Pensiero occidentale, l’ultimo ad ave- re visto la luce prima della morte del suo ideatore e direttore. L’Ernst e Falk di Les- sing, suddiviso in cinque contraddittori, e i Massoni di Herder, due conversazioni che proseguono quelle del maestro, sono composti programmaticamente nella for- ma platonica - e teatrale - del dialogo e da molti considerati la vetta della filosofia massonica moderna. Possiamo davvero parlare di vetta, o di filosofia? In un celebre aforisma Nietz- sche scrisse che Herder «ebbe la sfortuna che i suoi scritti fossero sempre insieme troppo nuovi e già invecchiati», fossero «qualcosa di vecchio fin dal loro appari- re». Forse aveva intuito una verità, ma senza comprenderne le implicazioni. For- se quella attribuita da Nietzsche a Herder è in realtà l’essenza del pensiero massoni- co: un pensiero antifilosofico che ha il pre- ciso intento di essere al di sopra della por- tata degli incolti e al di sotto di quella degli intellettuali di professione. Da parte di entrambe le categorie finisce per essere sottovalutato, ma è a un altro gruppo, per così dire mediano, che si rivol- ge: a quegli «uomini saggi che nei vari Stati non soggiacciono ai pregiudizi della loro religione di nascita, che non si lasciano ab- bagliare dalle elevate distinzioni civili, cui non ripugna l’irrilevanza sociale, ma che sono superiori ai pregiudizi del popolo e sanno esattamente quando il patriottismo cessa di essere virtù» — quegli uomini che Lessing fa descrivere a Falk alla fine del se- condo dialogo con Ernst e che compongo- no il clero laico di una «chiesa invisibile». Questi uomini “saggi” univano al culto della ragione proprio dell’illuminismo quello dell’antica sophia dei greci. Saggez- za e ragione, Weisheit und Vernunft, canta Sarastro nel più celebre e diffuso manife- sto massonico del Settecento tedesco, il Flauto magico di Schikaneder e Mozart. Se- condo Lessing e Herder la massoneria è sempre esistita perché i suoi principi sono connaturati all’anima umana e perché il suo nucleo è innato, universale ed eterno come l’anima mundi e come lo spirito del mondo, il Weltgeist. Che l’ontologia massonica di Lessing af- fondi le sue radici non solo nella tradizione degli antichi culti misterici ma specifica- mente in quella del neoplatonismo e nella sua idea di anima del mondo è stato già da tempo argomentato dal curatore del volu- me Moreno Neri, che ce lo ricorda a più ri- prese, sommessamente, con tipico under- statement, nell’immenso lavoro di tradu- zione e di commento. È solo apparente il contrasto tra la matrice illuministica sette- centesca e quella neoplatonica antica e bi- zantina, anche questa permeata di eguali- tarismo e utopia sociale, anche questa in- sieme mistica e razionale, esoterica e prati- ca, “speculativa” e “operativa”, per usare una distinzione avversata da Guénon. È l’eredità delle scuole platoniche e neopla- toniche greche, perpetuate carsicamente lungo tutto il millennio di Bisanzio in un flusso ininterrotto dove la distinzione tra paganesimo e cristianesimo era irrilevan- te, a trasmettersi al rinascimento italiano e europeo per il concreto e personale tramite degli ultimi emigrés bizantini guidati da Giorgio Gemisto Pletone. È dalle fratrìai di quei greci, trapiantate a nordovest all’ini- zio dell’età moderna, che nascerà la frater- nitas massonica settecentesca, nuova e globale fratrìa di cui l’illuminismo tedesco sgombrerà gli argini e sonderà i confini. La complexio oppositorum illuminismo- neoplatonismo è l’elemento della cultura se non della filosofia massonica che i dia- loghi di Lessing e Herder, grazie anche al loro commento, mettono in luce. Se nel- l’unione sapienziale degli opposti si rea- lizza l’armonia universale, quella colossa- le arpa dalle molte corde che Herder vede in mano al Gran Maestro del mondo, come annoterà Heine in calce al suo secondo dialogo, è all’insegna di un’armonia di- scorde, dissonante e spesso dissacrante, che si rifonda la mass-masonry, la nuova massoneria massificata nel mondo della rivoluzione industriale. Lessing sostiene il diritto all’autoinizia- zione, fondata sul riscontro individuale, sull’intimo riconoscimento, sull’intuizio- ne privata dei princìpi massonici, contrap- posta al ritualismo narcististico dell’inizia- zione esteriore. In politica legalista, demo- cratico e libertario, in questi scritti esoterici Lessing fa balenare così un ideale anarchi- co e elitario, se non perfino reazionario, che culmina nel motto sibillino con cui si chiu- de il primo dei contraddittori tra Ernst e Falk: «Le vere azioni dei massoni hanno l’obiettivo di rendere superflua la maggior parte di quelle che si considerano comune- mente buone opere». Più leggibile e forse più attuale la for- mula con cui Herder definisce lo scopo della «ricostruzione massonica dell’uma- nità»: essere onesti, prendere con sempli- cità in mano la cazzuola e «realizzare il be- ne là dove la politica dei governi non arriva o fallisce, ovvero dare aiuto ai deboli, ai poveri e ai giovani». © RIPRODUZIONE RISERVATA G.E. Lessing – J.G. Herder, Dialoghi per massoni, a cura di Moreno Neri, Bompiani, pagg.542, Ä 30,00 ontologia massonica L’arpa del Gran Maestro I dialoghi di Lessing e Herder mettono in luce l’armonia scaturita dall’unione tra illuminismo e neoplatonismo scacchisti illuministi | Moritz D. Oppenheim, Lavater (a sinistra) e Lessing (in piedi) a casa del banchiere Moses Mendelssohn», 1856, Magnes Collection C

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28 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 7 GIUGNO 2015 n. 155

Scienza e filosofiadi Roberto Casati e Achille Varzi

Nel 1972 la sonda Pioneer 10 imbar-cò una placca disegnata da CarlSagan e Frank Drake con unmessaggio iconico che si suppone-

va potesse essere decifrato da qualsiasi civiltà extraterrestre. La placca rappresenta, tra le altre cose, due esseri umani in atteggiamento amichevole e due immagini del Pioneer, con una freccia indicante che la sonda proviene dal terzo pianeta del nostro sistema solare: la Terra. A sinistra, una rappresentazione schematica di quattordici numeri in codice binario, corrispondenti ai periodi di altrettante pulsar.

Da: Dipartimento di Extraplanetologia,pianeta Zohoks

A: Autorità CentraleSpettabile Autorità Centrale, Questo breve rapporto per confermare

che, dopo sette zeons di studio intenso, sia-mo riusciti a fornire una decifrazione affida-bile al 97% della placca reperto EZ421 ritrova-ta sul modulo extrazohokiano numeroEZ001. La placca risulta impregnata d’oro,quindi di infimo valore, il che di primo acchi-to fa pensare che si tratti di un oggetto al qua-le i costruttori non hanno dato molta impor-tanza, ipotesi suffragata dall’apparente caosdelle linee tracciate sulla sua superficie. Inrealtà questa prima impressione è inganne-vole, e abbiamo ragione di ritenere che laplacca contenga un vero e proprio messaggiointerplanetario che i suoi produttori avreb-bero voluto inviare a chi avesse catturato ointercettato l’aeronave EZ001. Certo, la suaforma piana e rettangolare sembra esclude-

re che la si volesse usare a fini di comunica-zione; tutti i sistemi di comunicazione pla-netari ed extraplanetari noti a questo Dipar-timento utilizzano come supporto esagonidi dimensioni assai più piccole (non si capi-sce come immagazzinare rettangoli, vienfatto notare dal Dipartimento di Geometria).

Abbiamo impiegato un certo tempo percapire quale fosse il verso giusto in cui di-sporre la placca prima di interpretarla. Allafine è risultato chiaro che la grande ciambel-la dovesse andare in alto a destra. Tutte le co-se importanti vanno in alto a destra, e laciambella è certamente l’elemento più im-portante della placca.

Superato anche questo ostacolo, i nostriesperti ermeneuti propongono che la placcarappresenti un essere vivente del pianeta dacui proviene l’aeronave. Si tratterebbe di unaforma di vita assai elegante, a forma di stella

con quattordici zampe, alcune delle quali si-gnificativamente più lunghe delle altre. Lastella parrebbe nutrirsi di ciambelle di variedimensioni, una delle quali ha una probosci-de che sembra essere usata per disegnare te-oremi geometrici.

Sulla sinistra della placca ci sono alcune li-nee morbide e sinuose mescolate a semplicifigure angolose che non siamo riusciti a in-terpretare. Si tratta forse di una carta geogra-fica, o di un sistema di comunicazione alfa-betica soffice. Forse è semplicemente un di-fetto di fabbricazione.

Responso: il Dipartimento ritiene senz’al-tro che sia opportuno investigare ulterior-mente sulla provenienza del modulo EZ001.L’essere vivente a forma di stella ci assomi-glia molto, nonostante il numero limitato dibraccia rispetto alle nostre centosette.

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semplicità insormontabili

Messaggio nella placcadel Pioneer

extraplanetologia | La placca in alluminio anodizzato oro inviata con la missione Pioneer del 1972 (e successivamente con quella del 1973). Il primo problema, per gli extraterrestri, sarà di decidere qual è l’orientamento giusto.

di Silvia Ronchey

Mozart e Goethe, Mesmere Lavater, Robespierree De Maistre. Quasi nes-sun intellettuale nel se-colo della rivoluzionefrancese è riuscito a

non essere massone. Il fatto è che illumini-smo e massoneria non solo avevano idealicomuni, ma condividevano un linguaggio.Libertà, fraternità, soprattutto uguaglian-za - tra classi e non solo tra pari grado - era-no parole d’ordine anzitutto massoniche, come si vede bene negli scritti di due filoso-fi tedeschi, maestro e discepolo, illumini-sti e massoni, ora raccolti e per la primavolta tradotti in italiano con testo a frontenel volume della collana di Giovanni Rea-le, Il Pensiero occidentale, l’ultimo ad ave-re visto la luce prima della morte del suoideatore e direttore. L’Ernst e Falk di Les-sing, suddiviso in cinque contraddittori, ei Massoni di Herder, due conversazioni cheproseguono quelle del maestro, sonocomposti programmaticamente nella for-ma platonica - e teatrale - del dialogo e damolti considerati la vetta della filosofiamassonica moderna.

Possiamo davvero parlare di vetta, o difilosofia? In un celebre aforisma Nietz-sche scrisse che Herder «ebbe la sfortunache i suoi scritti fossero sempre insiemetroppo nuovi e già invecchiati», fossero«qualcosa di vecchio fin dal loro appari-re». Forse aveva intuito una verità, masenza comprenderne le implicazioni. For-se quella attribuita da Nietzsche a Herderè in realtà l’essenza del pensiero massoni-co: un pensiero antifilosofico che ha il pre-ciso intento di essere al di sopra della por-tata degli incolti e al di sotto di quella degliintellettuali di professione.

Da parte di entrambe le categorie finisceper essere sottovalutato, ma è a un altrogruppo, per così dire mediano, che si rivol-ge: a quegli «uomini saggi che nei vari Statinon soggiacciono ai pregiudizi della lororeligione di nascita, che non si lasciano ab-bagliare dalle elevate distinzioni civili, cuinon ripugna l’irrilevanza sociale, ma che sono superiori ai pregiudizi del popolo esanno esattamente quando il patriottismocessa di essere virtù» — quegli uomini cheLessing fa descrivere a Falk alla fine del se-condo dialogo con Ernst e che compongo-no il clero laico di una «chiesa invisibile».

Questi uomini “saggi” univano al cultodella ragione proprio dell’illuminismoquello dell’antica sophia dei greci. Saggez-za e ragione, Weisheit und Vernunft, cantaSarastro nel più celebre e diffuso manife-sto massonico del Settecento tedesco, ilFlauto magico di Schikaneder e Mozart. Se-

condo Lessing e Herder la massoneria èsempre esistita perché i suoi principi sonoconnaturati all’anima umana e perché ilsuo nucleo è innato, universale ed eternocome l’anima mundi e come lo spirito delmondo, il Weltgeist.

Che l’ontologia massonica di Lessing af-fondi le sue radici non solo nella tradizionedegli antichi culti misterici ma specifica-mente in quella del neoplatonismo e nellasua idea di anima del mondo è stato già datempo argomentato dal curatore del volu-me Moreno Neri, che ce lo ricorda a più ri-prese, sommessamente, con tipico under-statement, nell’immenso lavoro di tradu-zione e di commento. È solo apparente ilcontrasto tra la matrice illuministica sette-centesca e quella neoplatonica antica e bi-zantina, anche questa permeata di eguali-tarismo e utopia sociale, anche questa in-sieme mistica e razionale, esoterica e prati-

ca, “speculativa” e “operativa”, per usareuna distinzione avversata da Guénon. Èl’eredità delle scuole platoniche e neopla-toniche greche, perpetuate carsicamentelungo tutto il millennio di Bisanzio in unflusso ininterrotto dove la distinzione tra paganesimo e cristianesimo era irrilevan-te, a trasmettersi al rinascimento italiano eeuropeo per il concreto e personale tramitedegli ultimi emigrés bizantini guidati daGiorgio Gemisto Pletone. È dalle fratrìai diquei greci, trapiantate a nordovest all’ini-zio dell’età moderna, che nascerà la frater-nitas massonica settecentesca, nuova e globale fratrìa di cui l’illuminismo tedescosgombrerà gli argini e sonderà i confini.

La complexio oppositorum illuminismo-neoplatonismo è l’elemento della culturase non della filosofia massonica che i dia-loghi di Lessing e Herder, grazie anche alloro commento, mettono in luce. Se nel-l’unione sapienziale degli opposti si rea-lizza l’armonia universale, quella colossa-le arpa dalle molte corde che Herder vedein mano al Gran Maestro del mondo, comeannoterà Heine in calce al suo secondodialogo, è all’insegna di un’armonia di-scorde, dissonante e spesso dissacrante,che si rifonda la mass-masonry, la nuovamassoneria massificata nel mondo dellarivoluzione industriale.

Lessing sostiene il diritto all’autoinizia-zione, fondata sul riscontro individuale,sull’intimo riconoscimento, sull’intuizio-ne privata dei princìpi massonici, contrap-posta al ritualismo narcististico dell’inizia-zione esteriore. In politica legalista, demo-cratico e libertario, in questi scritti esotericiLessing fa balenare così un ideale anarchi-co e elitario, se non perfino reazionario, checulmina nel motto sibillino con cui si chiu-de il primo dei contraddittori tra Ernst eFalk: «Le vere azioni dei massoni hannol’obiettivo di rendere superflua la maggiorparte di quelle che si considerano comune-mente buone opere».

Più leggibile e forse più attuale la for-mula con cui Herder definisce lo scopodella «ricostruzione massonica dell’uma-nità»: essere onesti, prendere con sempli-cità in mano la cazzuola e «realizzare il be-ne là dove la politica dei governi non arrivao fallisce, ovvero dare aiuto ai deboli, aipoveri e ai giovani».

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G.E. Lessing – J.G. Herder, Dialoghi per massoni, a cura di Moreno Neri, Bompiani, pagg.542, Ä 30,00

ontologia massonica

L’arpa del Gran MaestroI dialoghi di Lessing e Herder mettonoin luce l’armoniascaturita dall’unione tra illuminismo e neoplatonismo

scacchisti illuministi | Moritz D. Oppenheim, Lavater (a sinistra) e Lessing (in piedi) a casa del banchiere Moses Mendelssohn», 1856, Magnes Collection

semantica

Linguaggiotraditoredi Nicla Vassallo

Ci imbattiamo volontariamente, espesso involontariamente, in di-verse esperienze linguistiche, peresempio nel senso e riferimento,

nonché nella verità o falsità delle afferma-zioni del nostro linguaggio. Per di più, sequalcuno ci indica una direzione (intellet-tuale, d’amore, o altro), di norma conferia-mo al solo gesto un’importante rilevanza. Come se quel gesto linguistico dell’indicarepossedesse un significato dì per se stesso.Ma Jody Azzouni, in un bel corposo volume,ci avverte su tempi e modi in cui ci illudiamodi possedere un linguaggio comune, attra-verso cui la comprensione si renda possibile.Sì, a un gesto linguistico quale «Ti amo» con-feriamo significato – poiché esso viene ma-gari preceduto da una carezza, o si concretiz-za in un bacio. E ciò vuol dire poco.

Ci illudiamo di possedere una buona dosedi conoscenza semantica, mentre Azzouni cimostra che le cose stanno diversamente,sempre che il linguaggio abbia a che fare (co-me di fatto avviene) con la nostra percezio-ne, non con altro di bizzarro. Sì, possediamoun linguaggio, ma ciò singolarmente nonimplica, a differenza di quanto crediamo,che questo linguaggio sia condiviso e che sottostia a qualche intenzione comune a tut-ti noi. Anzi, Azzouni sostiene che la nostraesperienza del linguaggio altrui è simile al-l’esperienza che abbiamo di un artefatto, meglio di un trucco linguistico. Ovvero, no-nostante le nostre illusioni ricettive e comu-nicative, sperimentiamo effettivamente ilmessaggio linguistico quale un’applicazio-ne metaforica di un tipo di percezione, similea un’allucinazione percettiva.

Così è convinzione che non si possanosaggiare le intenzioni di chi ci parla, inten-zioni che causerebbero o influenzerebbero odeterminerebbero ciò che viene detto. Piut-tosto ci imbattiamo in espressioni linguisti-che con un significato o un altro. È controPaul Grice e gli attuali neo-griceani che qui cisi rivolge, contro la loro tesi circa la prepon-deranza delle intenzioni comunicative ai fi-ni dell’efficacia della trasmissione del mes-saggio linguistico.

In effetti, questo volume originale, ben ar-gomentato, di rara creatività filosofica ponein discussione tutta quella filosofia del lin-

guaggio arroccata su di sé, che non fa i conticon altri settori della filosofia (per esempio,la filosofia della percezione) e che addirittu-ra ritiene ancora (specie in Italia) che occorrapartire proprio dalla filosofia del linguaggioper comprendere e giustificare tutti gli altrisettori della filosofia. Ma che bizzarria!

Sorge tuttavia un problema rispetto alletesi di Azzouni: come dobbiamo considerareil linguaggio che egli stesso impiega per scri-vere il volume? Linguaggio illusorio, che tut-tavia risulta utile? Forse ci soccorre a propo-sito di ciò, un altro volume, Speech Matters, icui temi, a partire dal linguaggio, si estendo-no a questioni legali, filosofiche e politiche. Illinguaggio di Azzouni deve possedere un lu-me di sincerità, come ogni altro linguaggio.Si tratta di una questione etica. Dovremmoavvalerci di un linguaggio e di una comuni-cazione affidabili, a tal punto da proteggerela libertà d’espressione e da non ammetteremenzogne rilevanti. Non tanto le menzo-gne, che si notano subito, quanto quelle am-bigue, enigmatiche, celate sotto le vesti di ve-rità assolute o del senso comune, o ancora quelle che non si pronunciano per non ri-pensare ai propri passati misfatti.

Seana Valentina Shiffrin nutre poche per-plessità sul fatto che l’errore o addirittural’errore etico delle menzogne, probabilmen-te quelle che destituirebbero il linguaggiodella propria autenticità, mini il linguaggiostesso e la nostra libertà. Non si tratta solo dievitare menzogne, ma pure di mantenere promesse, confrontandosi con sincerità efedeltà. Si ammettono eccezioni alla “rego-la”, come si è sempre tentato di fare? No, stando a Shiffrin, altrimenti precipitiamo nel contraffatto. Sarebbe come quando tiviene detto «ti amo eppure sono egoista»: ilche può ben consistere in una sincerità si-mulata. O forse ha ragione Azzouni sull’illu-sione della comunicazione? Il «ti amo» hasempre avuto poco valore, se non supporta-to dalla complessità.

www.niclavassallo.nethttp://unige-it.academia.edu/NiclaVassallo

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Jody Azzouni, Semantic Perception, Oxford University Press, Oxford, pagg. 384, $ 69,00;

Seana Valentine Shiffrin, Speech Matters, Princeton University Press, Princeton, pagg. 248, $ 35,00

Terapie per la memoria alla Casa della CulturaLunedì 15 giugno (ore 21) alla Casa della Cultura di Milano, via Borgogna 3incontro con Cristina Alberini, ospite del Centro Milanese di Psicoanalisti.

La neuroscienziata italiana che guida un laboratorio alla New YorkUniversity, presenta i suoi studi sulle molecole che possono rafforzare la

memoria o rendere meno intenso un ricordo traumatico.

tomismo analitico

I diversi sensi dell’esseredi Mario De Caro

La filosofia non è solo sapere storico, maè anche sapere storico, nel senso che, adifferenza di quanto accade nellescienze, anche nelle discussioni filoso-

fiche più astratte i classici rimangono punti di riferimento importanti e talora ineludibili. Be-ne, ma allora come dobbiamo studiarli, questi benedetti classici? Secondo un'impostazione recente (soprattutto di matrice analitica), i classici vanno utilizzati come se fossero nostricontemporanei, traendone ciò che ancora hanno da dirci e discutendone senza ingiustifi-cati timori reverenziali. Secondo un’altra im-postazione (soprattutto di matrice continenta-le), i classici vanno invece indagati in una pro-spettiva puramente storica, incentrata sulla lo-ro genesi e sul significato che avevano ai loro tempi. E, così, mentre la prima prospettiva puòridare linfa vitale alla filosofia del passato, cor-rendo però il rischio dell’anacronismo, la se-conda, pur evitando questo rischio, può diven-tare una forma di sapere meramente antiqua-rio. C’è poi una terza corrente, ancora minori-taria, che nello studio dei classici cerca diconiugare l’impronta teoretica con il rigore storiografico. Si tratta, è ovvio, di una prospet-

tiva interessante, ma è anche la più difficile da attuare perché richiede agli interpreti compe-tenza sia riguardo alle vicende storiche sia aidibattiti contemporanei.

Gli studi su Tommaso d’Aquino sono, inquesto senso, un ottimo esempio. Tradizional-mente, a indagini filologiche accuratissime mascarsamente rilevanti per i dibattiti contempo-ranei si contrapponevano letture che forzava-no i testi dell’Aquinate – ma forse dovremmo dire del Roccaseccano – in direzioni teorica-mente interessanti ma storicamente implau-sibili. Nel mezzo, si collocavano una minoran-za di studi di autori storicamente ferratissimi ma interessati anche ai dibattiti teoretici, comeÉtienne Gilson (debitore dell’interpretazioneche Heidegger diede della teoria tommasiana dell’essere in termini di “esistenza”) o di Sofia Vanni Rovighi (che invece riandava a Husserl per interpretare la teoria tommasiana della co-noscenza in termini di “intenzionalità”).

Oggi, però, questa prospettiva conciliatoriasi trova di fronte a una notevole sfida: dare con-to dei vasti dibattiti metafisici, epistemologici ed etici che in ambito anglosassone utilizzano,direttamente o indirettamente, la filosofia to-mistica. E in questo senso basterà menzionaregli studi del cosiddetto “Tomismo analitico” o gli spunti che si trovano in alcuni dei protago-nisti del dibattito filosofico contemporaneo,

come Geach, Anscombe, Kenny, Miller, Halda-ne, Putnam o Hughes.

È in questa prospettiva che ora, nel suoTommaso d’Aquino , si pone Giovanni Ventimi-glia, storico e ontologo che si divide tra l’Italia ela Svizzera. Da una parte, Ventimiglia tienenella dovuta considerazione i fondamentalistudi storici di autori come Porro, Imbach, Courtine e de Libera. Dall’altra, sviluppa intui-zioni di autori come Frege, Wittgenstein e Put-nam per rileggere in modo nuovo e fecondopagine dell’opera di Tommaso che nel passatosono state in genere dimenticate dagli inter-preti. In particolare, vengono riscoperti e valo-rizzati alcuni testi riguardanti i diversi sensi dell’essere: tesi che ebbero gran rilievo nellediscussioni filosofiche coeve, ma che aprono prospettive interessanti anche per i dibattiti contemporanei su temi ontologici (special-mente nella prospettiva di un possibile supe-ramento della concezione proposta da Quine).

Inoltre Ventimiglia rilegge in maniera fe-conda anche alcune pagine tommasiane poconote sul rapporto fra l’anima e il corpo: un te-ma di grande interesse nel Medioevo, ovvia-mente, ma che oggi ha assunto nuovo rilievonei dibattiti sull’ilemorfismo, che ruotano in-torno alla recente svolta “ilemorfica” di Put-nam. Insomma, Tommaso, come molti altri classici, risuona ancora nelle discussioni con-temporanee. Perché la filosofia è sapere stori-co, ma non è solo sapere storico.

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Giovanni Ventimiglia, Tommaso d’Aquino, La Scuola, Brescia. pagg.256, Ä 13,50

filosofia politica

Rispetto laico dei valori di Sebastiano Maffettone

«I l costituzionalismo è laicooppure non è». Questa è latesi di fondo del libro di Da-niela Bifulco, professore di

diritto pubblico comparato presso la Se-conda Università di Napoli, libro intito-lato non a caso Il disincanto costituziona-le. Il disincanto in questione è quello fa-moso di Max Weber, nasce dall’Illumini-smo e pretende che per legittimare lostato non occorra più la religione. Comepuò notare il lettore, si tratta di una tesinon solo controversa ma anche difficileda fare propria in un periodo storico incui volenti o nolenti si assiste a un ritornovirulento delle religioni nella sfera pub-blica. E poi finanche sorprendente che Bifulco sostenga questa tesi non solo conle armi della teoria giuridica ma conun’indagine approfondita sui fonda-menti filosofico-politici del costituziona-lismo. La laicità del costituzionalismo co-niuga infatti lo statalismo assolutistico diHobbes con la visione moderata e liberaledi Locke e Spinoza, per culminare nell’Il-luminismo di Kant. È sostanzialmente un

frutto filosofico della modernità.Il primo capitolo del volume rintraccia

le basi della separazione tra stato e reli-gione partendo da Carl Schmitt e ErnstWolfgang Boeckenfoerde, riletti alla lucedi Michel Rosenberg. I presupposti dellalaicità costituzionale sono già tutti pre-senti nella grande costruzione del dirittoromano, vero archetipo giuridico delmoderno. Ma si affermano compiuta-

mente nell’Illuminismo e nell’età libera-le, in cui si comprende che lo stato non può accettare autorità concorrenti nellaprospettiva della legittimazione. L’epi-fania dell’Illuminismo si ha cosi con la ri-vendicazione kantiana dell’uso pubblicodella ragione e nella separazione struttu-rale tra stato e chiesa di fine Settecento.L’autrice però sembra ben consapevoleche non siamo al cospetto di un percorso

lineare, tanto è vero che il capitolo secon-do si chiama «Inciampi». La morale degliinciampi consiste nel fatto che la religio-ne cacciata dalla porta rientra dalla fine-stra, facendo capolinea nelle grandi co-stituzioni occidentali a partire da quellatedesca del secondo dopoguerra. In so-stanza, abbiamo a che fare con plausibili«commistioni», come recita il titolo del capitolo terzo. Quello che penetra nellalaicità costituzionale è il senso del divi-no che si traferisce dall’eskaton alla filo-sofia della storia, laddove la presenzaingombrante di Dio è sostituita da unasotterranea nozione di progresso mo-rale. Quest’ultimo punto apre il dibatti-to sulla religione secolare, così robusta-mente criticata da Kelsen cosi seria-mente difesa da Dworkin. Tutto som-mato, Bifulco preferisce Kelsen aDworkin, e in questo modo cerca di met-tere le cose a posto facendo tornare laicoil costituzionalismo. Su questo punto, amio avviso, è lecito nutrire più di undubbio, perlomeno se si pensa come ilsottoscritto che la questione della laicitànon consiste tanto nell’isolare la sferapubblica dalla religione quanto dal per-mettere a tutti di perseguire i propri va-lori, religiosi o meno che siano.

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Daniela Bifulco, Il disincanto costituzionale: profili teorici della laicità, Franco Angeli, Milano, pagg. 170, Ä 19,00

La laicità del costituzionalismo coniuga lo statalismodi Hobbes con la visione moderata e liberale di Locke e Spinoza e l’illuminismo di Kant