CIVILTÀ TAVOLA ISSN 1974-2681...CIVILTÀ DELLA TAVOLA N. 282 MAGGIO 2016 N. 282, MAGGIO 2016 /...

73
N. 282, MAGGIO 2016/ MENSILE, POSTE ITALIANE SPA SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70% ROMA AUT MP-AT/C/RM/ ISSN 1974-2681 ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA ISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI www.accademia1953.it C IVILTÀ DELLA T AVOLA ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

Transcript of CIVILTÀ TAVOLA ISSN 1974-2681...CIVILTÀ DELLA TAVOLA N. 282 MAGGIO 2016 N. 282, MAGGIO 2016 /...

  • CIV

    ILTÀ

    DEL

    LA T

    AV

    OLA

    N.

    282

    �M

    AG

    GIO

    2016

    N. 28

    2, M

    AG

    GIO

    201

    6/ M

    ENSI

    LE, P

    OST

    E ITA

    LIAN

    E SP

    A S

    PED

    IZIO

    NE

    IN A

    BBO

    NA

    MEN

    TO P

    OST

    ALE

    70%

    RO

    MA

    AU

    T M

    P-AT

    /C/R

    M/

    ISSN

    197

    4-26

    81

    ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINAISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

    FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI

    www.accademia1953.it

    CIVILTÀDELLATAVOLAACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

  • FOCUS

    3 Carbonara: il falso è servito! (Paolo Petroni)

    CULTURA & RICERCA

    4 a pranzo da Voltaire (Giuseppe Benelli)

    6 ritorno al futuro remoto (Giovanni Picuti)

    8 il pesce è muto, ma comunica molto

    (Alfredo Pelle)

    12 Verdi amante della cucina (Graziano Tonelli)

    14 una garanzia alimentare (Gianni Di Giacomo)

    18 indispensabile e preziosa (Nicola Barbera)

    20 il lungo viaggio delle spezie (Giorgio Morini Mazzoli)

    22 il terzo Patrono di roma e il minestrone ribollito

    (Hilde Catalano Gonzaga Ponti)

    24 ritualità e benessere del convivio

    (Brenno Dal Pont)

    26 l’ultimo canto delle fave (Claudio Novelli)

    27 tu chiamale, se vuoi, emozioni (Roberto Dottarelli)

    I NOSTRI CONVEGNI

    16 il cibo: buono e sacro (Francesco Trimarchi)

    PARLANO DI NOI

    10 la mission dell’accademia

    SICUREZZA & QUALITÀ

    29 le brillanti bucce degli agrumi(Gabriele Gasparro)

    LE RUBRICHE

    7 Calendario accademico30 in libreria31 dalle delegazioni44 Vita dell’accademia67 Carnet degli accademici70 international summary

    L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINAè stata fondata nel 1953 da orio Verganie da luigi Bertett, dino Buzzati traVerso,

    Cesare Chiodi, giannino Citterio, ernesto donàdalle rose, MiChele guido franCi, gianni MazzoCChi

    Bastoni, arnoldo Mondadori, attilio naVa, arturo orVieto, seVerino Pagani, aldo Passante,

    gian luigi Ponti, giò Ponti, dino Villani, edoardo VisConti di Modrone,

    Con MassiMo alBerini e VinCenzo Buonassisi.

    In copertina: Elaborazione grafica di unparticolare dell’opera “Cipolle” (1881) di AugusteRenoir, Clark Art Institute, Stati Uniti.

    In copertina appare un Codice QR o QR Code, cioè uno di quei codici a barre con la forma quadrata che possono essere letti tramite le fotocamere dei cellulari edegli smartphone Android e iPhone. Quando trovate un QR Code potrete usare un’applicazione del vostro iPhone o smartphone con la fotocamera per deco-dificarlo e vedere cosa nasconde. Per leggere i codici QR è necessaria anche un’applicazione per la scansione, da installare sullo smartphone Android o suiPhone, che permette, puntando la fotocamera sul codice, di estrarre e decodificare le informazioni. Su Android potrete utilizzare, per esempio, la app BarCo-de Scanner, mentre su iPhone e iPad potrete scegliere I-Nigma oppure QR Reader. Basta far leggere a tablet o smartphone il codice QR in copertina, e imme-diatamente il dispositivo si collega al sito dell’Accademia. Dai prossimi numeri della rivista poi, con i QR Code che verranno pubblicati, potrete accedere a nuovie interessanti contenuti interattivi del sito dell’Accademia.

    S O M M A R I O

    PAGINA 1

    S O M M A R I O

  • PAGINA 2

    I DELEGATI IN ITALIA(CENTRO E SUD - ISOLE)

    TOSCANA gianfederico frosini (apuana) � giovanna Moretti (arezzo) � Maria gloria nannini (Costa degli etruschi) �rossana galletti (elba) � Marta ghezzi (empoli) � roberto ariani (firenze) �Massimo lucchesi (firenze Pitti) � giovanni Battista santini (garfagnana-Val di serchio) �sergio gristina (livorno) � alessandro Caturegli (lucca) � ezio tomellini (lunigiana) �Mauro rustici (Maremma-grosseto) � italia Baldi la Banca (Maremma-Presidi) �alessandro giovannini (Montecatini terme-Valdinievole) � adriano Borgioli (Mugello) � franco Milli (Pisa) �giampaolo ladu (Pisa Valdera) � alessio luigi gargini (Pistoia) � giampiero nigro (Prato) �alberto scarampi di Pruney di levice (siena) � alessandro tamagnini (siena Valdelsa) �roberto Vasarri (Valdarno aretino) � ruggero larco (Valdarno fiorentino) �alessandro signorini (Valdelsa fiorentina) � giorgio Ciacci (Valdichiana-Valdorcia sud) �anna ricci Pinucci (Versilia storica) � Paola Casucci (Viareggio Versilia) � Maurizio luperi (Volterra)

    MARCHE Pietro aresta (ancona) � sandro Marani (ancona-riviera del Conero) � Vittorio ricci (ascoli Piceno) �Carla Chiaramoni (fermo) � ugo Bellesi (Macerata) � floro Bisello (Pesaro-urbino)

    UMBRIA luisa Vincenti Mattonelli (foligno) � Paola Biraschi (gubbio) � Pier luigi leoni (orvieto) �Massimo alberti (Perugia) � giuseppe Benedetti del rio (spoleto) �guido schiaroli (terni) � Vittorio landi (Valli dell’alto tevere)

    LAZIO Carlo Marsella (Ciociaria-frosinone) � Massimo Borghetti (Civitavecchia) � giuseppe orlandi (formia-gaeta) �gianluigi Chizzoni (latina) � francesco Maria Palomba (rieti) � giuseppe gabriele gasparro (roma) �Publio Viola (roma appia) � salvatore di giulio (roma aurelia) � tullio nicola sorrentino (roma Castelli) �Claudio nacca (roma eur) � alessandro di giovanni (roma nomentana) �raffaello ragaglini (roma olgiata sabazia-Cassia) � antonio Bertani (roma Valle del tevere-flaminia) �fabio ludovisi (Viterbo)

    ABRUZZO antonio Moscianese santori (atri) � franco santellocco gargano (avezzano) � Mimmo d’alessio (Chieti) �demetrio Moretti (l’aquila) � giuseppe fioritoni (Pescara) � domenico russi (Pescara aternum) �giovanni Maria d’amario (sulmona) � roberto ripani (teramo) � rocco Pasetti (Vasto)

    MOLISE anna Maria lombardi (Campobasso) � giovanna Maria Maj (isernia) � italo sciarretta (termoli)

    CAMPANIA Mario de simone (avellino) � emilia Pati Chica (Benevento) � Vincenzo del genio (napoli) �elio Palombi (napoli-Capri) � giuseppe de Martino (nola) �giuseppe de simone (Penisola sorrentina) � giuseppe anastasio (salerno)

    PUGLIA immacolata Portoghese stigliano (altamura) � Vincenzo rizzi (Bari) � Clara suma (Brindisi) �antonio giorgino (Castel del Monte) � Ciriaco danza (foggia) � luigi altobella (foggia-lucera) �giuseppe trincucci (gargano) � susanna Mariani sangiovanni (lecce) �arcangelo gabriele liguori (Manduria) � francesco Pastore (taranto) � enza Buonfrate (Valle d’itria)

    BASILICATA Marilena tralli (Matera) � antonio Masella (Pollino-Policastro) �anna Paola Vergari (Potenza) � giustino donofrio (Vulture)

    CALABRIA antonino Monorchio (area grecanica-terra del Bergamotto) � rosanna Muscolo nicotera (Catanzaro) �francesco Menichini (Cosenza) � adriana liguori Proto (Crotone) �Concetta Maria Princi lupini (reggio Calabria) � ernestina Pasquale (Vibo Valentia)

    SICILIA Claudio Barba (agrigento) � liborio Cruciata (alcamo-Castellammare del golfo) �gaetana Bartoli gravina (Caltagirone) � Cinzia Militello di Castagna (Caltanissetta) �rosa Cartella (Canicattì) � gianclaudio tribulato (Catania) � francesca ferreri dell’anguilla (Catania est) �nicola nocilla (Cefalù) � rosario Pellegrino (enna) � antonino Cancelliere (etnea) �Concetta Battaglia (gela) � antonella Bonventre Cassata (Marsala) � antonio Barresi (Messina) �Carlo ottaviano (Modica) � daniela nifosì Caracappa (Palermo) � giuseppe Barresi (Palermo Mondello) �Vittorio sartorio (ragusa) � angelo tamburini (siracusa) � ignazio aversa (trapani) �agatina trigona frigintini di Cannicarao (Val di noto)

    SARDEGNA francesco flumene (alghero) � Mariangela Pinna Coiana (Cagliari) � francesco Panu (Cagliari Castello) �luigi Collu (gallura) � Maria gabriella guiso (nuoro) � raffaele sestu (ogliastra) �riccardo fantacci (oristano) � Pasquale Porcu (sassari) � Proto Pippia (sassari silki)

  • PAGINA 3

    C ertamente l’evento del mese, cheha fatto scorrere fiumi di indignateparole, è la ricetta della cosiddetta“carbonara alla francese”. l’orrenda ricetta,presentata sul sito Demotivateur, mostra, inuna pentola, cipolla tritata, pancetta a cu-betti e farfalle, il tutto viene coperto d’acquae bollito, poi panna, formaggio a scaglie,prezzemolo e, infine, un tuorlo d’uovo crudoappoggiato sopra. al termine del filmato ap-pare il logo Barilla. inutile sottolineare che laricetta non merita nemmeno di essere com-mentata tanto è il disgusto che provoca,come è inutile precisare che Barilla, apparente sponsor, si èdissociata da tanto obbrobrio. Prontamente, la nota industriadi Parma ha messo sul proprio sito un video con la correttapreparazione della carbonara. sui social network il caso èesploso e ne hanno parlato tutti i giornali e molte trasmissionitelevisive. Ciò ha consentito di sviscerare i problemi legati alnostro piatto simbolo più diffuso nel mondo (dopo la pizza).tutti ne parlano e i ristoranti romani, giustamente, si ergonoa maestri, tuttavia occorre ammettere che anche loro qualcheerroruccio lo commettono. la carbonara ha una storia breve.appare dopo la seconda guerra mondiale, nessun libro di cu-cina ne parla prima. i piatti tipici erano la gricia, l’amatriciana,cacio e pepe, cacio e ova. la carbonara, che in fondo è una gri-cia con l’aggiunta dell’uovo, o un cacio e ova con l’aggiunta diguanciale o pancetta, non ha, quindi, una bibliografia di rife-rimento. libertà di procedere come meglio si crede, nell’am-bito del buon gusto. lasciamo perdere le fantasiose teorie sullasua origine (i carbonai, i pastori, gli americani con bacon euova in polvere, ecc.), tanto non lo sapremo mai. Vediamo, in-vece, le accese dispute che ancora la riguardano. Pancetta oguanciale? oggigiorno gli esperti sono tutti per il guanciale,ma in realtà la maggior parte dei ristoranti usa la pancettastesa e anche molti appassionati la preferiscono, perché menograssa e invadente. Pancetta normale o affumicata? normale,ma è ottima anche l’affumicata e le vaschette di pancetta a cu-betti, che si trovano in vendita nei supermercati, parlano dipancetta affumicata “ideale per la carbonara”. deve essere ro-solata con olio o senza olio? la tendenza attuale è per una ro-solatura senza olio, mentre in passato tutti mettevano pocoolio o, addirittura, poco strutto. le uova intere o solo i tuorli?

    ancora gli esperti dicono soltanto i tuorli, in realtà molti usanoanche le chiare o fanno un misto di uova intere e tuorli. il for-maggio dovrebbe essere pecorino romano, ma moltissimiusano metà pecorino e metà parmigiano. uno spicchio d’agliocon la buccia, schiacciato, ci vuole? oggi sembrerebbe di no,ma un tempo si usava, anche la ricetta dell’accademia lo pre-vede. della panna nemmeno a parlarne. obbligatorio, invece,il pepe nero macinato al momento. Quale tipo di pasta? Cer-tamente non le farfalle, gli spaghetti grossettini, anche se aroma furoreggiano i rigatoni e le mezze maniche. la prepa-razione: c’è chi mette prima la pasta nel guanciale rosolato epoi aggiunge le uova sbattute col pecorino e chi prima la mettenelle uova sbattute e poi aggiunge il guanciale rosolato. si ar-riva alla strana ricetta di gualtiero Marchesi che alla fine, dopoaver mescolato le uova con la pasta, aggiunge un po’ d’oliod’oliva a crudo e in ultimo unisce il guanciale rosolato. Pur la-vorando con tre soli ingredienti, si nota che le preparazionisono variate dai primi tempi a oggi (basta leggere la versionedi anna gosetti della salda nelle Ricette Regionali Italiane). èquella che si chiama “innovazione strisciante”: piccole varia-zioni che, alla fine, cambiano il piatto rendendolo più adattoai gusti di oggi e alle mode (si tende di più verso la “cremosità”,come accade anche per il cacio e pepe). un piatto rustico, sem-plice, veloce, da trattoria, diventa oggetto di dotte disserta-zioni, un piatto “cult” come si dice oggi. Poi, in pratica, èrarissimo trovare nei ristoranti una carbonara realizzata vera-mente bene. Ma un accademico accorto deve fare tutte leprove che desidera e alla fine troverà la soluzione che più losoddisfa. Quella è la ricetta giusta.

    See English text page 70

    Carbonara: il falso è servito!Una raccapricciante ricetta francese rilancia il nostro piatto simbolo nel mondo.

    S O M M A R I OF C U S

    DI PAOLO PETRONIPresidente dell’Accademia

  • V isitare il borgo di ferney, apochi chilometri dalla riva oc-cidentale del lago di ginevra,nella parte più remota della franciasud orientale, per poter incontrareVoltaire, era il desiderio più grandedegli spiriti illuminati. il patriarca diferney appariva come il simbolo stessodei lumi e ne incarnava la ragione cri-tica, lo spirito di tolleranza, la fede nelprogresso e nella scienza, la difesa deidiritti umani. dal 1755 Voltaire si erastabilito a ginevra, di cui apprezzaval’atmosfera tollerante, finché non eradiventato inviso al “protestantesimo gi-nevrino”, costringendolo, spesso, a sfug-gire alle guardie svizzere. risolveva laquestione acquistando nel 1758, a fer-ney e tourney, in francia, una grossa

    proprietà: un blocco di 25 poderi con-finanti con la svizzera, dove faceva co-struire un elegante castello proprio sulconfine, con l’abitazione in francia e ilgiardino in svizzera. la via della fuga,così, era assicurata: gli bastava spostarsiin giardino, uscendo dal retro, o rima-nere in villa, per sfuggire agli sbirri, se-condo le necessità del momento e l’ariache tirava. un’aria che, spesso, era unvento tempestoso che lui alimentavacon la sua lotta contro “l’infâme”.scriveva James Boswel, che aveva fattovisita a Voltaire nel dicembre del 1774:“nel suo castello tiene circa cinquantapersone; i suoi servi si sposano e hannobambini, ed egli si occupa molto anchedel villaggio che sorge intorno al ca-stello”. a sue spese, trasformava il pic-

    PAGINA 4

    DI GIUSEPPE BENELLIAccademico della Lunigiana

    Centro Studi “Franco Marenghi”

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    Il filosofo dei Lumi si definiva “il grande locandiere d’Europa”.

    A pranzo da Voltaire

  • PAGINA 5

    colo borgo che circondava il castelloun centro artigianale, ricco di opifici eorologiai che facevano concorrenza aginevra. da paese di circa quarantafuochi (dalle 150 alle 200 persone),alla morte di Voltaire, nel 1778, ferneycontava più di 800 abitanti. sconosciutie potenti, letterati e aristocratici arri-vavano in pellegrinaggio nel piccoloborgo per incontrare il patriarca del-l’illuminismo. l’incessante afflusso divisitatori faceva di lui, come egli stessosi definiva, “il locandiere d’europa”.grande conversatore, curioso e attento,a volte teatrale, Voltaire realizzava neisuoi banchetti quello che nel Siècle deLouis XIV indicava come “lo spirito disocietà” della cultura francese del tempo,ove la conversazione costituiva “unodei grandi piaceri della vita”. Voltairesi compiaceva di mettere a tavola i varipersonaggi descrivendo, puntualmente,la successione dei servizi, le portate, ivini, esaltando sempre il fasto e il lusso,tuttavia, raramente, l’incontro convivialeera fine a se stesso: esso costituiva unluogo di serena discussione, di liberacircolazione d’idee, di tolleranza. ormai ricco e famoso, teneva costan-temente la tavola imbandita. d’alem-bert, in una lettera del 18 ottobre 1760,scriveva: “la vostra casa sta diventandocome la Borsa di londra: il gesuita e ilgiansenista, il cattolico e il sociniano,il convulsionario e l’enciclopedista prestosi abbracceranno con affetto, allegripiù di tutti gli altri”. la nipote, Madamedenis, di 18 anni più giovane di Voltaire,si occupava di organizzare la vita delcastello e intrattenere i visitatori e lozio, a 56 anni, ne diveniva il tutore el’amante. Con lei Voltaire iniziava unacorrispondenza molto intima, dai tonispesso deliziosamente indecenti, a volteestremamente sentimentali, piena dilamentele e di ricerca di “consolazione”.egli la riteneva una donna arguta espiritosa, un’attrice di gran talento,mentre gli amici la trovavano insipidae chiacchierona, brutta e mediocre.Madame denis era grassa e contrastavacon l’aspetto fisico dello zio, che erapelle e ossa.il libro dei conti del castello, tenuto

    dal segretario di Voltaire, eraparticolarmente rivelatoredell’abbondanza dei cibi edella qualità della tavola delPatriarca. il cuoco “Bonne sau-ce” (Buona salsa), aiutato da“una pasticciera e una cuoca”,era uno dei domestici più pa-gati. tra i cibi più frequente-mente citati, le carni occupanoil primo posto, in particolareè molto apprezzata la selvag-gina. Voltaire amava mangiarebuona carne e ne faceva ap-profittare soprattutto i suoiospiti: “ah caro amico, quantosono buoni i grossi gallinacei,ma quanto è faticoso digerirli!il mio cuoco e il mio farmaci-sta mi uccidono”. il pesce ap-pare poco nel resoconto, per-ché il castello è provvisto didue “carpières”, ma le trotedel lago, i coregoni bianchi sono benpresenti; qualche volta è annotato ilpesce di mare, nonostante le difficoltàdi trasporto. Pochi acquisti di frutta,tranne quella fornita dagli orti e fruttetidel parco nelle varie stagioni: ciliegie,fragole, lamponi, castagne, fichi e aran-ce. i limoni vengono utilizzati, in grandequantità, per realizzare le salse. i for-maggi occupano un posto importantedelle dispense: groviera, “tomme” pro-dotto nella savoia e nel delfinato, “ro-quefort”, parmigiano. gli acquisti dipasticceria e confetteria sono egual-mente importanti. lo zucchero occupail dodicesimo posto nel bilancio ali-mentare, testimoniato dalla confezionedi dolci e dessert, dalle confetture ealtre leccornie. negli ultimi anni della vita di Voltaire,molti visitatori lo descrivono “scarno,livido, cadaverico”, con gli occhi pun-genti e acuti. il problema della perditadei denti lo angustiava, sia per l’im-possibilità di masticare, sia per la diffi-coltà a declamare le sue commedie.Voltaire mangiava pochissimo, soprat-tutto uova, verdure e lenticchie, e be-veva ancora meno, giusto un bicchieredi Borgogna a cena. alla nipote denisscriveva, in italiano (la lingua dell’amo-

    re), che non digeriva più niente e chesi sentiva “vicino alla morte”. “sonostato ammalato, ma spero di ricuperarela mia salute con voi. hoggi vi vederò,hoggi troverò la sola consolazione chepossa addolcire l’acerbita mia vita. lanatura gratificandomi del più tenerocuore s’è scordata di darmi uno stomaco.non posso digerire ma posso amare”.Per sostenere i ritmi forsennati di lavoroche si imponeva anche in vecchiaia,ingollava litri di caffè e di cioccolata esi lasciava tentare da qualche dolciume.sembra che Voltaire consumasse, nel-l’arco di mezza giornata, una dozzinadi tazze di cioccolata che riteneva nonsolo delizia per il palato, ma anchecorroborante stimolo per la mente esostanzioso alimento. Con arguzia e ironia, con la passioneper la conoscenza e il sentimento dipietà per le debolezze umane, il cibo,per Voltaire, diventava un grimaldellocon il quale scardinare vecchi pregiudizio nuove resistenze, ma anche per saldarenuovi legami. in questo modo trovavail passepartout per arrivare al cuore deisuoi ospiti: il cibo come piacere delcorpo, medicina dell’anima, taumaturgiasensuale per curare la stupidità.

    See International Summary page 70

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

  • L a Valnerina isolata e depressa diieri - quella in bianco e nerodelle teche rai, quella raggiun-gibile a fatica attraverso una ferrovia ascarto ridotto - è oggi una risorsa irri-nunciabile per l’umbria. lo è per i tesorinaturali, per le opere d’arte, per i prodottialimentari. il brand è salvo grazie aisuoi abitanti, che hanno messo in attoun’eroica resistenza, trasformando lepatriarcali comunità agricole in mi-croimprese, facendo dimenticare i tempiin cui la mezzadria garantiva ancoraun’equilibrata povertà. separata dalresto di una regione madre e matrigna,la Valnerina è una Cenerentola cheguarda al futuro per affrancarsi dallacasa avita, senza rinnegare gli antichi ecollaudati marcatori culturali che hannoattraversato, indenni, i secoli passati.sono fiorite qua e là molte attività ri-cettive e norcia, senza concedere nulla

    alle mode alimentari, si segnala per unristorante stellato ai piedi dei sibillini.Per rendersi competitivi sui mercati, èimportante una ritrovata qualità delprodotto e un’incisiva comunicazionedell’offerta. anche da queste parti, comealtrove, gli insaccati non sono più scuri,di sapore fondo e complicato comequelli di una volta. e, infatti, nel settoredell’alimentazione, i miracoli su largascala non li fa più nessuno, specialmenteda quando le politiche agricole europeehanno decretato la definitiva mortedelle filiere. Quello che conta è mante-nere intatta l’identità, il richiamo deiluoghi e del prodotto. Perché la veraarte è saper trattare il maiale da morto,oltre a saperlo allevare. i mercati sisono fatti più poveri, ma paradossal-mente più esigenti. Per le popolazionilocali, dedite alle tradizionali lavorazioni,non è stato facile arginare il precipizio

    PAGINA 6

    DI GIOVANNI PICUTIAccademico di Foligno

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    Ciò che conta è mantenere intatta l’identità, il richiamo dei luoghi e dei prodotti.Il ritorno auspicato è quello ai “modi”, non alla “moda”.

    Ritorno al futuro remoto

  • PAGINA 7

    rovinoso del passaggio dalla culturacontadina alle recenti tecnologie. il ra-pido processo di trasformazione si è,comunque, rivelato in grado, dove ge-stito con oculatezza, di apportare redditoalle popolazioni. Questo ha permessodi mantenere vivo l’interesse per il seg-mento del settore agroalimentare e dicontrastare, perlomeno in parte, il calodemografico. le insidie legate al com-parto zootecnico non hanno toccatosolamente la Valnerina, bensì tutti i di-stretti tradizionali dediti alle produzionidi qualità. alla perdita di manualità ealla riduzione dell’attenzione nei con-fronti della genuinità dei prodotti è,tuttavia, subentrato un nuovo modo diconcepire le lavorazioni, di garantirnela conservazione e la commercializza-zione. oggi, norcia può contare su unbrand forte e conosciuto in tutto il mon-do. tuttavia le filiere, così come le sta-gioni, non sono più quelle di una volta:in Valnerina come a Badajoz in spagna,a Parma, a san daniele del friuli. nonsarà facile, in futuro, adeguarsi a unanuova concezione della tavola che, pur-

    troppo, non coincide più con la favola,con il desco, con l’innesco di miti checonsideravamo - a torto - duri a morire.eppure a Cascia e a norcia, così comea Visso e a Cerreto di spoleto, i produt-tori si stanno costruendo - passatemil’iperbole - un avvenire rettificato davenature di passato, aspirando a un ri-torno: quello del futuro remoto. a buonintenditor poche parole. è il momentodi puntare sulle filiere zootecniche,reintroducendo le razze suine autoctonenegli ambienti naturali in cui si sonosviluppate. sono queste le istanze dafar valere in europa. non basta cambiareil nome al Ministero delle Politicheagricole di Maurizio Martina, se nonsi cambiano gli orientamenti. il premiergiura che “in italia l’agricoltura e l’agroa-limentare non sono il passato del Paese,ma la pagina più bella che scriveremo”;promette che farà “tornare di modatutto ciò che è agricoltura e agroali-mentare”. tuttavia il ritorno che au-spichiamo è quello ai “modi”, non quelloalla “moda”. a norcia, la gente sa dinon poter fare affidamento su promesse

    e contributi piovuti dal cielo. sa chedovrà fare i conti con la qualità dell’of-ferta, perché la domanda è sempre piùesigente. sa anche che la qualità è co-stretta a confrontarsi con i paradossidei suoi opposti: con il cibo seriale,con il pasto destrutturato, con le esi-genze delle nuove generazioni di con-sumatori, cui non appartiene più lamassaia rurale che spiana la sfoglia enutre la famiglia affamata, bensì la ca-salinga incollata alla tivvù, infarcita diquiz, inebriata di risotti precotti, invasatadi quattro salti in padella, confusa daglisterili sguardi ammalianti dei cuochidi MasterChef. il norcino non si scom-pone neppure davanti ai proclami del-l’oMs. sta ad aspettare sulle limpidesponde del Corno e della nera, chepassino i cadaveri di quanti hanno or-ganizzato la sceneggiata culinaria delnostro secolo. Perché quello che contanon sono le cavallette e i coleotteri cheforse sfameranno il Pianeta, ma la sod-disfazione del palato e la salute ali-mentare del consumatore.

    See International Summary page 70

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    MAGGIO

    14 maggio - RavennaConvegno “Stecchetti, gli avanzi in tavola”

    21 maggio - Venezia MestreTrentennale della DelegazioneConvegno “La cucina dellaterraferma veneziana: ieri, oggi,domani”

    25 maggio - CremonaConvegno “Orio Vergani, attualitàdi un sogno”

    GIUGNO

    4 giugno - GelaConvegno “L’attualità di Federico IIdi Svevia... anche in cucina”

    11-26 giugno - Versilia StoricaMostra “Immaginar di tavoleimbandite”

    18-19 giugno - Principato diMonacoTrentacinquennale dellaDelegazioneConvegno “Il Principato di Monaconel costume e nella moda dellatavola e della società”

    SETTEMBRE

    9 settembre - PescaraSessantennale della DelegazioneConvegno “Alimentazione e salute”

    OTTOBRE

    20 ottobre - Cena Ecumenica“La cucina del riuso. Contro lospreco, la tradizione familiarepropone gli avanzi con gusto efantasia”

    20 ottobre - LunigianaII edizione “Premio Delegazionedella Lunigiana” per I.I.S. “A. Pacinotti” di Bagnone

    CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI ACCADEMICHE 2016

  • U na delle più grandi sfide delnostro tempo è quella di pro-gettare e mantenere comu-nità sostenibili, in modo che i loro stilidi vita, le economie e le tecnologienon interferiscano con la natura e conla sua capacità di sostenere la vita. Bi-sogna, in primis, divenire conoscitoridel “piano ecologico” da sostenere,onde programmare le tecnologie. ilche ci obbliga a guardare come fa lanatura a sostenere la vita, come fun-zionano gli ecosistemi, quali siano letappe per supportare quel processoche i tecnici chiamano “metabolismo”.fondamentale, per tale percorso, è laconoscenza del cibo: apprendendonei fondamenti si arriva a comprenderequelli della vita.indubbiamente l’acqua è fondamentalenel metabolismo. gli antichi filosofi escienziati effettuavano un collegamentostretto fra acqua e vita. talete dichiarava

    che, considerando l’intero universo comevivo, l’acqua è la sostanza originale dallaquale tutto si è fatto. e leonardo daVinci ha chiamato l’acqua “l’estensionee il nutrimento di tutti i corpi viventi”.il pesce è muto, ma comunica moltis-simo. guardiamo perché. gli abitantidell’acqua sono nominati per colore:esiste il pesce “bianco”, quello di razzepregiate che viene servito a casa o alristorante come se fosse un grandedono, e quello “azzurro” che, nono-stante ogni sforzo per farlo divenireimportante, se ne resta fra le qualitàmeno apprezzate. è vero, ci sono gliamanti di una bella griglia di sarde odi sgombri o di un fritto di acciugheda far sognare, e io sono fra quelli,ma, in linea di principio, questo tipodi pesce viene definito “povero”, comese si potesse definire una specie didifferenza sociale anche nel pesce!e se è vero che il pesce, sin dalla più

    remota antichità, ha fornito, speciealle popolazioni che si affacciavanosul mare, uno degli alimenti più ricchiper nutrimento, è inoltre da dire che,dopo le grandi fortune che ebbe pressoi greci e i romani, il suo consumorestò elevatissimo anche nel Medioevo.Motivi religiosi ne esaltarono l’utilizzonei giorni di magro, nelle quaresimee nelle vigilie. dobbiamo anche ricor-dare che, dai primi cristiani, il pescefu assunto come simbolo del Cristograzie al fatto che il suo nome in greco(ἰχθύς), icthús, rispondeva alle inizialidell’espressione Gesù Cristo Figlio diDio Salvatore, ed ebbe una parte diprimo piano nell’iconografia del primoCristianesimo, compreso il suo legamecon il miracolo della moltiplicazionedel pane e dei pesci. in particolareera, ai quei tempi, grandissimo l’usodei pesci d’acqua dolce, la cui pescarichiedeva minori investimenti e più

    DI ALFREDO PELLEAccademico di Vicenza

    Presidente del Centro Studi “Franco Marenghi”

    PAGINA 8

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    Se l’acqua, secondo Talete, è la sostanza originale dalla quale tutto è nato, le creature che ci vivono vanno rispettate, perché le riserve ittiche non sono rinnovabili.

    Il pesce è muto, ma comunica molto

  • PAGINA 9

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    elementari tecnologie. di-versi secoli dopo, le re-pubbliche marinare, e spe-cialmente Venezia, ne te-nevano in gran conto ilvalore nutritivo. il governodella serenissima eserci-tava una vera sorveglianzasul mercato del pesce, arialto, colpendo con gravisanzioni chi cercasse divendere pesce non fresco.Poi il consumo andò manmano calando, lasciandosempre più spazio alle car-ni, ritenute alimento no-bile e degno delle mensedi ricchi e potenti. un ruolo importantelo aveva anche la difficoltà di ridurre iltempo che andava dalla pesca alla cu-cina, per non deteriorare il cibo.Quel problema non esiste più, e la ca-pillare distribuzione di prodotti itticifreschi e refrigerati assicura una possi-bilità di scegliere che, un tempo, nonera data.Quale rapporto abbiamo col pesce?indubbiamente la situazione sta mi-gliorando: ogni italiano ne mangia,l’anno, circa 23 chilogrammi, ancorapochi se rapportati alle migliaia di chi-lometri di coste a nostra disposizione,ma in aumento. e quale preferiamomangiare, in definitiva? il pesce checonsumiamo, di provenienza dal Me-diterraneo, come pescato, non è supe-riore al 10% del totale. il resto è d’al-levamento o proviene dall’atlantico odal Pacifico. infatti, il mare nostrum èscarso di pesce, e avaro: Braudel scrisse,ancora vent’anni or sono, che “le acquedel Mediterraneo sono povere e il totaledel pescato che se ne trae rappresentaun terzo di quello della sola norvegia”.definì il Mediterraneo una “parca fontealimentare”! in realtà, esistono moltissime speciedi pesce commestibile, oltre venticin-quemila, tuttavia quelle utilizzate, alivello culinario, sono poche centinaia.nel mondo della pesca si lavora su di-versi fronti: l’aumento del pesce allevatoin acque di mare (le orate, in primis)al fine di poter diminuire il pescato

    con reti a strascico, causa di vere eproprie razzie e della distruzione deifondali. si arriva a pescare fino a 600metri di profondità…si stanno ottenendo successi, in italia,anche nell’allevamento del rombo, so-prattutto quello chiodato. Poiché questaspecie non tollera temperature superioriai 16 gradi, era pressoché impossibileallevarlo in Mediterraneo. si è così ri-corsi alla preparazione di vasche aoltre 50 metri di profondità, nelle qualile acque sono sempre sotto la tempe-ratura limite. in definitiva, mentre ilpescato resta su valori ormai pressochéstazionari (anche se il commercio mon-diale complessivo del pesce e dei pro-dotti della pesca è aumentato drasti-camente, raggiungendo ora cifre astro-nomiche, vicine a 90 miliardi di dollaril’anno nel mondo), il consumo tendea crescere. l’aumentato uso del pesce in cucina èanche dovuto a una maggiore attenzionedelle nostre cuoche di casa al nutrimentoe non solo all’alimentazione, con unamiglior suddivisione del cibo a secondadelle caratteristiche nutrizionali. e, si-curamente, lo sviluppo dell’offerta inogni dove (dai supermarket ai negozi,ai venditori “ambulanti” con i loro ca-mioncini che vengono da località marine,praticamente spariti per altre merci, al-l’indubbia comodità del prodotto sur-gelato e già preparato) ha reso il pesceun prodotto che si affaccia, con sempremaggior regolarità, sulle nostre tavole.

    la ristorazione a base dipesce, una volta limitatanell’offerta ai locali a pocadistanza dal mare (ancoraoggi abbiamo l’errata con-vinzione che il pesce frescosi trovi vicino alle coste), loha scoperto come un pro-dotto indispensabile nelmenu e la richiesta tende acrescere. Per contro, salvo che perquello d’allevamento, esclu-sivamente limitato alla trota,il pesce d’acqua dolce è pra-ticamente sparito dalla no-stra tavola. Carpe, cavedani,

    barbi o lucci sono, ormai, pressoché in-trovabili. Qualcosa resta nella cucinadel lago, in alcuni ristoranti, ma non inquantità significative. e il futuro?dagli oceani e dai fiumi arriva un gridod’allarme: molti pesci rischiano l’estin-zione. le riserve ittiche non sono rin-novabili, non si ricostituiscono all’infinito.e la pesca industriale non è esente dacolpe, con il suo “razziare” in modo in-differenziato.Parlare delle acque, di ogni tipo, salateo dolci, significa parlare degli uominie del loro comportamento in terraferma. tutti i problemi relativi allasalute dei pesci e alla loro sopravvivenzanon si originano internamente alle ac-que, bensì sono la conseguenza di quan-to succede a terra e del modo secondoil quale gli uomini si comportano. C’èda sperare che l’uomo diventi semprepiù responsabile del suo “ben essere”nel futuro, rispettando anche il mondodi questi silenziosi portatori del buonoe di innumerevoli qualità salutari: unmondo che occupa circa il 70% dellanostra terra. l’uomo deve capire chela “rigenerazione delle risorse” vale an-che per la popolazione delle acque ene deve diventare un responsabile at-tore. Bisogna tornare alla “sostenibilità”creando riserve marine, stabilire e ri-spettare le quote di cattura, non con-sentire colpevoli tolleranze… e bisognafarlo subito perché “chi dorme nonpiglia pesci”!

    See International Summary page 70

  • PAGINA 10

    S O M M A R I OP A R L A N O D I N O I

    Promuovere il Made in Italy nel mondo Paolo Petroni: «La nostra missione!»L’Accademia Italiana della Cucina è pronta a dare il proprio contributo per la riqualificazione della nostra enogastronomia nel mondo, e si fa interlocutrice di punta per la valorizzazione dei prodotti tipici a Firenze.

    la valorizzazione dell’agroalimentare Made in italy e dell’alta cucina italiana nel mondo ha trovato unasua reale - e istituzionale - concretizzazione nel protocollo d’intesa tra i Ministeri delle Politiche agricole,degli esteri e dell’istruzione, insieme a una larga componente del mondo della ristorazione. ad essersiespressi a riguardo tanti nomi della nostra enogastronomia tra i fornelli: Carlo Cracco in nome degli chefitaliani, davide oldani in quanto egli stesso si occuperà della ristorazione a Casa italia dei giochi di rio,enrico derflingher e rocco Pozzulo, rispettivamente in qualità di Presidente degli chef europei di euro-

    toques italia e international e Presidente della fede-razione italiana cuochi. Ma cosa pensa di questo si-nergico passo avanti volto alla promozione, Paolo Pe-troni (nella foto), Presidente dell’accademia italianadella Cucina? glielo abbiamo domandato.

    La promozione della cucina italiana nel mondo èfinalmente a un momento di svolta. Qual è, in que-sta prospettiva, il contributo dell’Accademia Ita-liana della Cucina? si tratta di un contributo determinante, in quanto igrandi cuochi stellati, se pur valenti e celeberrimi,non possono stare stabilmente nei Paesi esteri. Pos-sono fare delle dimostrazioni, tenere corsi e relazio-ni, ma, diversamente, gli accademici, vivendo sulterritorio, possono sia collaborare alla realizzazione

    Il mensile “Italia a Tavola” ha intervistato il Presidente Petroni sulla valorizzazione dell’alta cucina italiana nel mondo.

    La mission dell’Accademia

    PROFESSIONI 31 Marzo 2016

  • PAGINA 11

    S O M M A R I OP A R L A N O D I N O I

    delle settimane della cucina italiana sia, soprattutto, veicolare, in modo continuativo, i valori dei pro-dotti veramente italiani dop e igp. a questo proposito i nostri contatti con il Ministero delle Politicheagricole e il Ministero degli esteri sono molto avanzati.

    Come definirebbe la presenza dell’Accademia all’estero? Quante sono le sue Delegazioni e in chemodo agisce o vorrebbe agire in futuro?l’accademia italiana della Cucina, oltre ad avere 215 delegazioni in italia, ne ha 72 all’estero ed è pre-sente in 40 Paesi, con oltre 1.800 accademici che vivono stabilmente sul territorio. si tratta, quindi, diuna presenza importante che ha contatti con le ambasciate, i consolati, gli istituti italiani di cultura e lecamere di commercio estere. Compito delle nostre delegazioni è quello di monitorare la qualità dellacucina dei ristoranti italiani e di redigere una guida online. attualmente, la nostra guida, che è l’unicache riporta i ristoranti italiani all’estero, conta oltre 100mila utenti nel mondo. Compito dell’accade-mia è anche quello di diffondere la cultura della gastronomia tra i residenti: infatti le nostre delegazio-ni sono aperte anche alla partecipazione di non italiani che amano la nostra cucina e la nostra cultura.

    A proposito di promozione della cucina italiana, cosa pensa della strada intrapresa dal Comune diFirenze per riqualificare l’offerta enogastronomica del centro storico?il fine di riqualificare il centro storico è meritorio, il mezzo inizialmente scelto era, però, senz’altro sba-gliato. se ne sono accorti anche il sindaco dario nardella e il suo assessore allo sviluppo economicogiovanni Bettarini. la percentuale è cervellotica, ma è del tutto errato il concetto stesso. Poi si è sco-perto che la trippa che si vende a firenze non è prodotta a firenze e così via per altri, tanti, prodotti “ti-pici”. l’accademia, per statuto, deve tutelare e valorizzare le tradizioni gastronomiche del territorio,ma lo deve fare in base al gusto e alla qualità, non con norme che appaiono illegittime, discriminatoriee, soprattutto, non controllabili. infine, cucina toscana non vuol dire buona cucina, può essere pessi-ma, come le altre cucine che hanno diritto di cittadinanza.

    Stando agli ultimi aggiornamenti su Firenze, si parla dell’obbligo di mettere in vendita o nel menu30-40 prodotti certificati; pensa che questa strada possa essere considerata più funzionale?Parrebbe che il Comune si sia accorto (dopo che quasi tutte le categorie interessate si sono dichiaratecontrarie al criterio della percentuale) che forse è meglio seguire strade diverse e allora si cerca di im-boccare la strada dell’uso di prodotti agroalimentari tipici (Pat). esiste una lista di 490 prodotti certifi-cati la cui lettura ingenera stupore e ilarità. troviamo in elenco i carciofini sott’olio e addirittura unamisteriosa fava lunga delle Cascine; poi molti prodotti sono ormai inesistenti o introvabili o reperibilipresso un unico produttore. Ci immaginiamo i poveri ristoratori che, quando acquistano al mercato odai grossisti, debbono scartabellare l’elenco dei Pat, e anche qui i controlli sarebbero impossibili. Primadi fare proclami, sarebbe meglio verificare di cosa si stia parlando.

    In linea generale trova più corretto privilegiare il chilometro zero o piuttosto la tipicità e la trac-ciabilità di un prodotto?in linea di principio, parlando di ristorazione, non siamo favorevoli al cosiddetto chilometro zero. Cipossono essere dei validi prodotti che vengono dai campi o da allevamenti vicini, ma spesso non è così.si deve poter acquistare dove il prodotto è migliore e anche a un prezzo corretto. Quindi, siamo sen-z’altro per la tracciabilità del prodotto e la chiarezza delle informazioni, non solo sulle etichette, maanche nei ristoranti.

  • PAGINA 12

    DI GRAZIANO TONELLIDirettore Archivio di Stato di Parma

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    Si preoccupava, in prima persona, di scegliere anche il personalee di selezionare le materie prime.

    Verdi amante della cucina

    “S appimi dire - scriveva dagenova “il Cigno di Busse-to”, nell’aprile del 1878 agiulio Cesare ferrarini, direttore d’or-chestra, violinista e compositore par-migiano - se a reggio si potesse trovareun buon cuoco. Bada - aggiungeva tas-sativamente - che io non voglio unoche sappia fare o bene o male tre oquattro piatti casalinghi; ma voglio as-solutamente un cuoco che sia vero cuo-co. Pagalo quello che vuole, ma ripeto,che sia cuoco…”. Questa lettera, ritro-vata poco tempo fa nelle prestigiosecollezioni della sezione Musicale dellaBiblioteca Palatina di Parma, è solouna delle numerose testimonianze dellaparticolare attenzione che il “Maestro”aveva per il cibo e la buona cucina.giuseppe Verdi amava, infatti, mangiarebene (anche se moderatamente e megliose in compagnia), preoccupandosi inprima persona, come dimostra anche

    la richiesta inviata a ferrarini, di sce-gliere il personale addetto alla cucinae di selezionare le materie prime. l’attenzione, per non dire la meticolo-sità, che il grande compositore italianodedicava alla preparazione dei piatti,è confermata anche dal librettista ecommediografo giuseppe giacosa, chein uno dei suoi carteggi annotava: “ilVerdi non è goloso, ma raffinato; lasua tavola è veramente amichevole,cioè magnifica e sapiente: la cucina disant’agata meriterebbe l’onore dellescene, tanto è pittoresca nella sua gran-dezza e varia nel suo aspetto di officinad’alta alchimia pantagruelica”.in definitiva, il pasto rappresentava pergiuseppe Verdi una sorta di rito, daconsumarsi preferibilmente nell’intimitàdelle mura domestiche, nella sua tenutadi sant’agata. Perfino numerose dellesue immortali opere sono disseminatedi riferimenti al cibo e al vino, a ulterioretestimonianza della massima attenzioneche egli riservava anche all’abbinamentodei vini con le pietanze.al primo posto di una immaginariagraduatoria dei cibi preferiti dal buon-gustaio Verdi troveremo sicuramentela zuppa, considerato che frequente-mente invitava gli amici più stretti amangiarla. a tal proposito si faceva in-viare grandi quantitativi di pasta danapoli, “che - scriveva all’amico Cesarinode sanctis - deve essere selezionatissi-ma”. de sanctis si preoccupava di spe-dire regolarmente a sant’agata: “ver-micelli”, “lunghe fettucce”, “maccheronigrossi” e “mezzani o armelline”, maanche “stelline” e “cannellini”, vistoche a Parma e dintorni non si trovavaancora una produzione industriale di

    pasta. infatti, sebbene il primo fornoBarilla risalisse al 1877, solo nel 1910la stessa inizierà a produrre pasta sularga scala. Ci sono giunte, come scrive CorradoMingardi, anche significative testimo-nianze di menu più tradizionali prepa-rati per Verdi, quali i classici cappelletticon ripieno di uova e formaggio allapiacentina (che chiamava anche conla voce cremonese “maroben”), il pol-lame e la selvaggina, gli gnocchi “allabuona come i contadini delle roncole”,per non dimenticare gli immancabili eineguagliabili insaccati della “Bassa” ela mostarda di Cremona.una citazione a parte merita la spallettadi san secondo, che secondo Verdi do-veva essere cotta con un vero e proprio“rito propiziatorio”, come egli racco-manda in più di un’occasione a giulioricordi, ma anche alla stoltz e all’amicoarrivabene che, pare, ne andasseroghiotti: “…metterla nell’acqua tiepidaper circa 12 ore onde levargli il sale,trasferirla in acqua fredda e poi farlabollire a fuoco lento, onde non scoppi,per circa tre ore e mezza. Per sapere sela cottura è al punto giusto, si fora laspalletta con un curedents [stuzzica-denti]”. Per chi non fosse un “addettoai lavori”, ricordo che la spalla è un in-saccato tipico di una ristretta area dellaBassa Parmense (se ne ritrova tracciagià nel 1170, quale compenso dovutodai contadini al padrone per la coltiva-zione delle terre). si ricava da unagrossa scapola di maiale, tagliata inmodo che vi rimanga attaccata anchela coppa, e lasciata stagionare in am-biente freddo. dopo la sua preparazione,diventa un salume dalla carne morbida,

  • PAGINA 13

    profumata e gustosa, che vieneservita tagliata a fette sottili, siafredda sia tiepida. Perfino giuseppina strepponi ve-niva coinvolta nei cerimoniali “ver-diani” di stampo gastronomico.successe anche alla vigilia del loroviaggio in russia per la rappre-sentazione de La Forza del Destino,prevista per il novembre del 1862.Prima di partire per la lunga tra-sferta, la cantante lirica, proba-bilmente preoccupata di accon-tentare il Maestro, raccomandava:“Ci vorranno i tagliatelli e i mac-cheroni ben perfetti per rendereVerdi di buon umore in mezzo acotanto ghiaccio”. a Pietroburgosi svolgerà anche una sfida culi-naria tra le tagliatelle della grandeattrice di prosa adelaide ristori egiuseppe Verdi, “…che conta eclis-sarla col risotto, che per verità - a dettadella strepponi - sa far divinamente”.sempre in tema del famoso risotto,Verdi ne invia (e ancora una volta fada tramite la strepponi) l’ormai cele-berrima ricetta anche a Camille du lo-cle, impresario dell’opéra di Parigi. laripropongo, nel caso voleste sperimen-tarla personalmente…“Mettete in una casseruola due once diburro fresco; due once di midollo dibue, o vitello, con un poco di cipollatagliata. Quando questa abbia preso ilrosso mettete nella casseruola sedicionce di riso di Piemonte: fate passarea fuoco ardente mischiando spesso conun cucchiaio di legno finché il riso siaabbrustolito ed abbia preso un bel colord’oro. Prendete del brodo bollente, fattocon buona carne e mettetene due o tremescoli nel riso. Quando il fuoco l’avràa poco a poco asciugato, rimettete pocobrodo e sempre fino a perfetta cotturadel riso. avvertite però, che a metàdella cottura del riso bisognerà metterviun mezzo bicchiere di vino bianco, na-turale e dolce: mettete anche, una dopol’altra, tre buone manate di formaggioparmigiano grattato rapè. Quando ilriso sia quasi completamente cotto,prendete una presa di zafferano chefarete sciogliere in un cucchiaio di

    brodo, gettatelo nel risotto, mischiatelo,e ritiratelo dal fuoco, versatelo nellazuppiera. avendo dei tartufi, tagliateliben fini e spargeteli sul risotto a guisadi formaggio. altrimenti mettetevi for-maggio solo. Coprite e servite subito”.in tema di dessert, sappiamo che Verdigradiva molto i baicoli, i tipici biscottiniveneziani. glieli mandava da Veneziafrancesco Maria Piave, uno dei piùprolifici e apprezzati librettisti delleopere verdiane. amava anche gli ama-retti (“che sono veramente l’ottava me-raviglia del mondo”) e il torrone chegli spediva il conte piemontese op-prandino arrivabene (“le mandorle nonvanno pelate - scienza torronesca”).sappiamo anche che apprezzava il su-golo, il budino di mosto e farina. Celebre il panettone che la famiglia ri-cordi gli inviava puntualmente per lefeste natalizie. nei primi anni ottantadell’ottocento, il tradizionale dolce mi-lanese era sormontato da un negrettodi cioccolato (Moro di Venezia), messoappositamente per cercare di convincereil Maestro a terminare la musica diOtello. ho lasciato, volutamente, perultimi i vini, tanto per far capire cheVerdi non era in materia uno sprovve-duto. infatti, seppure producesse eglistesso, nella tenuta di sant’agata, sia

    bianco sia rosso, seguendone inprima persona, con maniacale at-tenzione, le fasi di preparazione(ne mandava sovente in regalodelle damigiane anche all’ospedaledi Villanova, fatto da lui costruiree inaugurato nel 1888), al lam-brusco e alla Malvasia nostranapreferiva il Bordeaux, che bevevaanche pasteggiando. e non disde-gnava neppure lo Champagne…si faceva arrivare anche a genova,dove trascorreva quasi per interola stagione invernale, casse di Bor-deaux e di “Moët & Chandon”, chegli giungevano direttamente dalsuo fornitore cremonese. una voltagli mandarono del vino dolce spu-mante da asti, che apprezzò, manon la qualità cosiddetta “sacco”.gli piaceva anche il vino toscano,che riceveva da un fornitore di

    Montecatini. sappiamo che ordinò piùvolte Marsala, Porto, rhum, Curaçao.Verdi beveva moltissimi caffè, pare an-che tre, quattro, o cinque al giorno. siè in possesso di un’ordinazione di ben25 kg di caffè di Portorico fatta diret-tamente da Verdi, a genova, dai ro-manengo. il Maestro asseriva che ingioventù tutti questi caffè gli avevanopermesso di lavorare e creare le operedegli anni Quaranta. addirittura nel1897, quando ebbe un malore (pareuna prima avvisaglia di ischemia), ilcaffè lo aiutò a riprendersi.in conclusione di questo contributo,voglio ricordare il celebre menu con-sumato da giuseppe Verdi all’hotel deMilan (dove ormai risiedeva stabilmenteda anni), il 20 gennaio 1901, quindiuna settimana prima di morire: “…ju-lienne au croûte, truite grillée à lamaître d’hotel, aloyau de bouef à lajardinière, asperges en branche, glacéaux framboises, patisserie, dessert”. iltutto, quasi sicuramente, annaffiatocon l’amato Bordeaux. Probabile cheun menu del genere abbia avuto unruolo non secondario nel decesso delgrande Maestro: ingegno estroso percreatività, non solo nella musica maanche nella difficile arte culinaria.

    See International Summary page 70

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

  • I n passato, le patate, con caratteri-stiche organolettiche variabili a se-conda delle condizioni del terrenoe del clima, sono state un elementofondamentale dell’alimentazione deicontadini abruzzesi e hanno rappre-sentato, per le popolazioni montane lo-cali, una vera e propria “garanzia ali-mentare” come dimostra un detto po-polare: “la patane è mezze pane”. spessoaggiunte anche nella preparazione delpane e della polenta, tutt’oggi sono allabase di tantissimi piatti tipici. oltrecome delicato contorno di pietanze abase carne, pesce e formaggio, essesono impiegate nella preparazione diprimi sostanziosi, focacce, minestre,zuppe e torte salate o dolci. Bollite,pelate e schiacciate per gli gnocchi e ilpurè, cotte al forno, saltate in padella,cotte al vapore, fritte, al cartoccio, inumido, comunque si impieghino sonoottime e deliziose! Quello abruzzese èun territorio che presenta una naturalevocazione per la pataticoltura, per lecaratteristiche pedoclimatiche, i terrenifreschi, sciolti e ricchi di sostanza orga-nica, dotati di elevata capacità idrica in

    virtù della risalita capillare della sotto-stante falda freatica e con possibilità diirrigazione grazie ai canali di bonifica.nel territorio regionale la coltivazionedella patata interessa circa 4.500 ettari,con una produzione media di oltre1.500.000 quintali e pone l’abruzzo alquinto posto in italia, con circa il 10%della produzione. la presenza di questa coltura è testi-moniata da due documenti del 1700.nel primo, Nel regno di Napoli: viaggioattraverso varie province nel 1789, Carloulisse de salis Marschlins, indica chein prossimità del lago di Celano “sicoltiva non solo ogni sorta di grano,ma, con mia grande sorpresa, parecchiacri di terreno coltivati a patate”. il se-condo è di gianfrancesco nardi, chenei Saggi su l’agricoltura, arti e commerciodella provincia di Teramo, dà notizia diquesta coltivazione nelle falde orientalidel gran sasso. l’importanza della pa-taticoltura, in provincia dell’aquila, edegli sforzi profusi dalle autorità perpromuovere la coltivazione della patata,è testimoniata da l. Benedetti, il qualeafferma che: “ferdinando iV nulla omise

    PAGINA 14

    DI GIANNI DI GIACOMOAccademico di Chieti

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    In terra abruzzese, le patate erano considerate indispensabili quasi come il pane.

    Una garanzia alimentare

  • PAGINA 15

    e tutti ricercò i mezzi,perché questa pianta stra-niera tanto utile, si ren-desse tra noi familiare”.è significativo, inoltre,quanto si legge nell’epi-logo alle Istruzioni per lacoltivazione delle patate,pubblicate dalla reale so-cietà economica dell’aqui-la nel 1817: “questa pian-ta adunque dà un salubree vigoroso alimento agli uomini ed aglianimali; è la più feconda di tutte; esigedi poco apparecchio per rendersi adattataal cibo; esige di poche cure e faticheagrarie sia prima della semina sia nellacarriera della sua vegetazione, sia questagià terminata. Cresce egualmente benesotto climi freddi, temperati e caldi; eperciò sembra fedele, invisibile compa-gna dell’uomo, ed uno dei doni più be-nefici della Provvidenza a lui reso abi-tante, e disperso per tutto il globo”.tuttavia è senz’altro dopo il 1873, annodel completo prosciugamento del lagodel fucino (iniziato nel 1852) per operadei principi torlonia, e soprattutto dopola riforma fondiaria degli anni Cinquanta,realizzata dall’ente fucino, che si svi-luppò in tutta l’area una fiorente agri-coltura incentrata sulla patata comecoltivazione di eccellenza.la “patata del fucino” igp è prodottanelle aree interne della provincia del-l’aquila, e in particolare sull’altopianodel fucino; ha una forma regolare ton-do-ovale, la buccia prevalentementechiara, che per alcune varietà tende alrosso. il colore della pasta può andaredal giallo chiaro al giallo intenso; è,senz’altro, molto conosciuta e apprezzataper le sue caratteristiche organolettiche,per la sapidità e per la lunga conserva-bilità, caratteristiche, queste, conferitedal particolare ambiente di coltivazionee dalla sinergia tra terreno, microclimae acqua.nei territori prospicienti la vallata delfiume sangro, in provincia di Chieti, aun’altitudine compresa tra gli 800 e i1.400 metri, nei comuni di Pizzoferrato,gamberale e Civitaluparella, viene col-tivata la “patata del Medio sangro”

    (Montagnola). désirée e kennebec sonole varietà più frequenti, a buccia rossae polpa gialla la prima, a buccia gialla epasta bianca la seconda. entrambe pre-valentemente di forma tondo-ovale re-golare, sono varietà con un alto conte-nuto di sostanza secca, una lunga ca-pacità di conservazione invernale e dimantenimento delle caratteristiche or-ganolettiche. la “patata turchesa” ha una storia dicinquecento anni, ed è una specie antica,coltivata in montagna. nel tempo, però,ossia da quando sono arrivate le patatedel fucino, meno gibbose e con una buc-cia più fine, la coltivazione della patataturchesa, più difficile da pelare, è statavia via abbandonata fin quasi a scompa-rire. rinvenuta ai primi del 2000, nellefrazioni di san Pietro di isola del gransasso e san giorgio di Crognaleto, sol-tanto nel 2005 ne è stata avviata la pro-duzione vera e propria e gli obiettivi

    sono la stesura del disci-plinare e la promozione nelmondo della ristorazione.il tubero si caratterizza,principalmente, per la buc-cia di colore viola intenso,contenente una notevolequantità di sostanze an-tiossidanti, paragonabili aquelle del cavolo, e per lapasta bianca. Presenta unelevato contenuto di so-

    stanza secca e di amido, consistenza egranulosità media, che la rendono adattaa diversi usi e cotture, anche se risultaparticolarmente squisita cotta sotto lacenere o utilizzata per la preparazionedegli gnocchi. i contadini raccontanoche la patata turchesa veniva cucinatatradizionalmente sotto le braci e poimangiata con tutta la buccia. è chiamataturchesa per il suo colore caratteristico,ma probabilmente anche perché definitaanticamente “turchesca”, per indicarladi origine straniera, come è avvenutoper il mais: “grano turco”. tipica varietà dei terreni delle zonemontane e pedemontane d’abruzzo,infine, è la “patata fiocco di neve”, chesi è diffusa intorno al XX secolo. si pro-duce nei comuni dell’area aquilana delParco ed è un tubero di dimensioni me-die, buccia con colorazione giallo-oro epasta bianca, molto saporita.

    See International Summary page 70

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    MINESTRA DI PATATE ALLO ZAFFERANOIngredienti: 600 g di patate, 300 g di cannarozzetti o spaghetti spezzetta-ti, ½ cipolla, 1 carota, 1 costa di sedano, 0,20 g di zafferano dell’Aquila infili, 100 ml di olio extravergine d’oliva, sale.

    Preparazione: Fare un leggerissimo soffritto con olio, cipolla e sedano. Ap-pena si raffredda un poco, aggiungere lo zafferano in fili, mescolando benee, quindi, lasciare riposare. Lessare e pelare le patate e tagliarle a tocchetti,aggiungerle al soffritto, coprire con acqua e regolare di sale. Portare a ebol-lizione e aggiungere la pasta. Quando la pasta sarà cotta, anche la mine-stra sarà pronta per essere servita, possibilmente dopo averla fatta riposareper un poco. La minestra è ottima anche senza la pasta, ma in questo casooccorre usare meno acqua.

  • Prendendo spunto dall’ultimo librodi enzo Bianchi, fondatore e prio-re della comunità monastica diBose, Spezzare il Pane-Gesù a Tavola e laSapienza del vivere, la delegazione diMessina ha organizzato una riflessionesul tema “il cibo: buono e sacro”. il con-vegno, tenuto nell’elegante e prestigiosaaula della plurisecolare accademia Pe-loritana dei Pericolanti, concessa dalrettore dell’università di Messina Pietronavarra, è stato moderato dal delegatoantonio Barresi il quale ne ha volutofortemente l’organizzazione, curata incollaborazione con il Vice delegato fran-cesco trimarchi, allo scopo di realizzarea pieno le finalità culturali ed etichedell’accademia. le relazioni program-mate sono state precedute da un artico-lato intervento di Cettina Pipitone Voza,direttrice del Centro studi della siciliaorientale, che ha introdotto il tema con-gressuale con appropriati riferimentialla civiltà della tavola nella storia del-l’arte cristiana e della tradizione religiosa,focalizzandosi, in modo particolare, suirisultati del dibattito aperto da expo2015, la cui mission, “nutrire il Pianeta”,è ancora lontana dall’essere conclusa.la moralità del consumo e della produ-zione sono aspetti imprescindibili del

    cibo, dal boccone di pane al piatto piùraffinato: un universo, dunque, pienodi significati storico-sociali, antropologici,politici e religiosi. ed è solo scavandola memoria storica che si riconosce lasacralità del quotidiano che ci proiettaall’inizio e alla fine del tempo. nellaCreazione, il Verbo pone accanto al-l’uomo e alla donna il cibo (ne mange-rai), mentre, nell’ultima cena, il Cristo,con l’eucarestia, ci proietta nel tempoconcluso alla fine dei tempi. sarà l’artea tradurre in immagini questo momentonodale della vita, dalla prima fractiopanis degli affreschi catacombali, allasintesi perfetta del Cenacolo di leonardoda Vinci. Con acuta sensibilità artisti-co-culturale, l’accademica Pipitone Vozaha concluso la sua introduzione facendoriferimento a quella icona immortaledella tavola condivisa. don gianni russo, direttore della scuoladi Bioetica e sessuologia dell’istitutoteologico san tommaso di Messina, haripercorso, con un approccio teologico,la storia, l’etica e il senso religioso dellacondivisione della tavola, da parte dellaspecie umana, nel nome di gesù (“gesùa tavola con noi” il titolo della sua rela-zione), con riferimento a numerosi passidei Vangeli e dell’antico testamento e

    di testi della civiltà ebraico-cristiana,che, nel pane e nel vino, riconoscono lefonti di nutrimento per la sopravvivenzabiologica e per la gioia del vivere. la se-conda parte della relazione è stata de-dicata a una personale lettura dei “nove”comandamenti eucaristici proposti daBianchi, i quali, “prescrivendo” consa-pevolezza, responsabilità, rispetto, gra-titudine, gusto, condivisione, legittimanoil godimento della gioia della tavola dacondividere con tutti coloro che, abi-tualmente, non hanno la possibilità difruirne. Cita icasticamente, in proposito,la parabola evangelica del ricco epulone,i cui avanzi della tavola, quotidianamentee sontuosamente imbandita, vengonoraccattati dal povero e piagato lazzaro,escluso dalla condivisione e comunionedel cibo. l’esclusione dal cibo di quasi l’ottantaper cento degli abitanti del Pianeta èstato uno degli spunti della lucida rela-zione, “il pane quotidiano e il cibo dellafesta”, di Mario Bolognari, antropologoculturale e direttore del dipartimentodi Civiltà antiche e moderne dell’ateneo,che ha voluto discutere il messaggio dellibro, ribaltandone la prospettiva in ter-mini antropocentrici e facendo riferi-mento alle tradizioni sacrali dell’assun-

    PAGINA 16

    DI FRANCESCO TRIMARCHIAccademico di Messina

    S O M M A R I OI N O S T R I C O N V E G N I

    Storia, etica e senso religioso della condivisione della tavola.

    Il cibo: buono e sacro

  • PAGINA 17

    zione di cibo, presenti in tutte le tradizioniculturali e religiose, anche quelle piùdistanti fra loro, e che hanno incluso,nella storia dell’uomo, pure il canniba-lismo rituale. ha ricordato il banchettoconsumato sulle pietre delle sepolture,il “consolo” del lutto, presente in molteculture. l’universale presenza del ciboe del banchetto, nei riti funerari, rinviaalla credenza nell’esistenza dell’anima,che oltrepassa i limiti temporali e mate-riali del corpo, proprio attraverso la suaalimentazione. si mangia in onore deimorti, si mangia con i morti, si mangianoi morti, in contesti rituali e simbolici didiversissime forme, ma tutti accomunatidal senso che il cibo assume nella con-cezione della vita eterna. Bolognari haintrodotto un parallelismo impensabilefra la cultura della condivisione dellamensa con un’altra altrettanto importantecondivisione, fondata e praticata dai

    nativi d’america che, fumando insiemedalla stessa pipa, nutrono e condividonoil loro spirito così come, alimentandosiinsieme, nutrono, in comunione, il corpo.l’accademico attilio Borda Bossana,giornalista e scrittore, componente delCentro studi territoriale, ha discusso,in modo molto accattivante, e grazieanche a selezionate e appropriate im-magini, il tema “abitare la tavola”, ri-percorrendone i mutamenti nella storiadell’arte e nel vissuto sociale, fino al-l’avvento del “totem” televisore, convitatodi pietra, ma loquace e totalizzante osta-colo, a tavola, all’interazione della fa-miglia, degli amici e sodali. la condivi-sione della tavola nelle famiglie e neilocali pubblici, già in crisi con l’avventodel loquace elettrodomestico, lascia ilposto alla solitudine della tavola, resadisabitata dall’intrusione di altri convitatidi pietra, i tablet, gli smartphone, inter-

    locutori muti nella vita quotidiana, speciedei giovani. Borda Bossana ha ribadito,quindi, che, a tavola, più che in ognialtro contesto, nello scambio culinario,nella complicità del confronto affettivoe intellettuale, anche l’allestimento di-venta strumento di socializzazione. l’ap-parecchiatura si trasforma in vera e pro-pria composizione architettonica, in cuil’area geometrica della tavola diventala superficie per interfacciare spazi privatie condivisi, ma anche forme, colori, ma-teriali, calibrando i pieni e i vuoti, i chia-roscuri, i ritmi e le proporzioni. la tavolaassume, così, un ruolo di spazio “abita-tivo” vivo e dinamico. un puntuale intervento dell’accademicoMelchiorre Macrì Pellizzeri ha chiuso ildibattito, concluso, con piena condivi-sione e apprezzamento, dal Vice Presi-dente dell’accademia, Mario ursino.

    See International Summary page 70

    S O M M A R I OI N O S T R I C O N V E G N I

    La collaborazione degli Accademici alla loro rivista, ol-tre che gradita, è indispensabile. Ma occorre che gli Ac-cademici tengano presenti alcune norme essenziali, af-finché i loro scritti, frutto di passione e impegno, trovinorapida ed esauriente pubblicazione.

    � Testi degli articoli: è necessario che i testi venganoinviati per via elettronica, in formato word (no pdf)utilizzando questo indirizzo e-mail: [email protected]

    � Lunghezza dei testi: importante che i testi abbianouna lunghezza compresa tra i 3.500 e i 7.000 caratteri(spazi inclusi): in questo modo si eviteranno tagli fasti-diosi per chi li deve effettuare quanto per chi li subisce.Qualsiasi computer prevede il conteggio delle battute.

    � Ogni numero della rivista viene impaginato il meseprecedente a quello riportato in copertina, in modoche arrivi agli Accademici nella data prevista. Ne tenga-no conto coloro che desiderano inviare un articolo conun preciso riferimento temporale.

    � La pubblicazione degli articoli avviene per insinda-cabile giudizio della redazione, che si riserva, ovvia-mente, i necessari controlli, l’eventuale revisione dei testi ela possibilità di pubblicarli secondo gli spazi disponibili.

    � Rubrica “Dalle Delegazioni”: al fine di agevolarnela lettura, contenere gli articoli nella lunghezza massi-ma di 2.500 caratteri spazi inclusi.Non saranno pubblicate relazioni di riunioni tenutefuori del territorio della propria Delegazione, o diquelle effettuate in casa degli Accademici, a meno chenon si siano svolte in occasione di un evento importante.Non inserire, inoltre, l’elenco delle vivande e dei vini,per i quali va utilizzata la scheda apposita, relativa alleriunioni conviviali.

    � Schede delle riunioni conviviali: vanno inviate inSegreteria ([email protected]). È altret-tanto importante che nella compilazione delle schede, perle “Note e commenti”, venga rispettato il limite di 800caratteri (massimo 1.000) spazi inclusi, onde evitareanche in questo caso dolorosi tagli. Le schede giunte inSegreteria oltre il limite di 30 giorni verranno cestinate.Anche per questa Rubrica, si prega di non inviare rela-zioni di riunioni conviviali tenute al di fuori del ter-ritorio della propria Delegazione, o di quelle effettuatein casa degli Accademici, o che comunque non si sonosvolte nei ristoranti o negli esercizi pubblici, in quantonon verranno pubblicate.

    ISTRUZIONI PER LA COLLABORAZIONE ALLA RIVISTA

  • acqua, come disse san fran-cesco nei suoi Fioretti, è “moltoutile et pretiosa et umile”. è

    singolare che uno dei principali costi-tuenti della vita animale e vegetale, in-dispensabile per tutte le forme di vitasul nostro Pianeta, venga definita, aparte la trasparenza, per caratteristicheche non possiede: incolore, inodore, in-sapore, anche se, come vedremo, non èsempre proprio così.si ritiene che l’origine della vita sulnostro orbe-terracqueo derivi da una“pozza” di acqua calda: il così detto“brodo primordiale” e, nel 1954, duepremi nobel statunitensi hanno cercatodi riprodurre questa situazione ponendoin un contenitore sferico acqua e gassemplici, come metano (il più semplicedegli idrocarburi) e ammoniaca (solubilein acqua e composta da azoto e idroge-no), e sottoponendoli a scariche elet-triche (per simulare i fulmini); il risultato

    è stato di ottenere dei composti organici(amminoacidi) che possono essere con-siderati i “mattoni” delle proteine, i co-stituenti fondamentali delle cellule e,quindi, delle prime forme di vita. nella filosofia greca, talete di Mileto(624-545 a.C.), fondatore della scuolaionica e considerato uno dei sette sa-pienti dell’antichità, riteneva l’acqua,insieme all’aria, alla terra e al fuoco,uno dei quattro elementi costitutivi del-l’universo. solo nella seconda metà del1700, lavoisier, uno dei fondatori dellachimica moderna, riuscì ad individuarel’acqua come un composto chimico (mo-lecola) formato da due volumi (atomi)di idrogeno e uno di ossigeno (h2o =ossido di idrogeno), che riuscì a separaretramite il processo di idrolisi.l’acqua è anche un simbolo sacro: nelbattesimo cristiano, libera dal peccatooriginale; nei bagni rituali dell’ebraismoe dell’islamismo ha il potere di dare

    PAGINA 18

    DI NICOLA BARBERAAccademico di Milano Duomo

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    L’acqua sembrava un bene quasi inesauribile, oggi siamo consapevoli che non è così.

    Indispensabile e preziosa

    L’

  • PAGINA 19

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    purezza, come pure nel Buddismo, achi s’immerge nel fiume gange (sacroperché nato dalle chiome di shiva); pergli aztechi, era feconda perché ritenutail seme di tlaloc, dio della tempesta.del resto, anche lo sviluppo della civiltàindo-europea è avvenuto nelle vicinanzedi grandi fiumi: nilo, tigri, eufrate,gange. l’acqua è presente in natura in grandequantità e ricopre oltre il 70% della su-perficie del globo terrestre (per cui le“terre emerse” sono meno del 30%),con un volume di quasi due miliardi dichilometri cubici. nel corpo umano,l’acqua costituisce circa il 65%, in peso,di un adulto, con notevoli differenzetra i vari organi, e oltre l’80% nei neonati.Purtroppo, però, l’acqua dolce è soltantoil 2,5% del totale e, per di più, i dueterzi sono concentrati nei ghiacciai dellecalotte polari dell’antartide e della gro-enlandia, che, quindi, sono la principaleriserva naturale di acqua dolce, ma nonfacilmente disponibile. l’acqua di mare,la più importante e completa “acquaminerale” esistente, non è bevibile perl’elevatissimo contenuto di cloruro disodio, con una concentrazione mediadi circa 35 grammi per litro (rispetto ai25-30 mg/l di un’acqua bevibile) ed èutilizzabile solo dopo un complicato ecostoso processo di “dissalazione”. Prima dell’industrializzazione, l’acqua,dove presente, era un bene quasi ine-sauribile, poi il progresso, oltre a inne-gabili benefici sul tenore di vita, hacomportato anche un progressivo in-quinamento di corsi d’acqua e di faldesotterranee, acuito dalla contemporaneaesplosione demografica. oggi, final-mente, una crescente sensibilità e at-tenzione ambientale, sostenute da op-portune leggi, e diversi controlli stannocercando di arginare il depauperamentodi questo cosiddetto “oro blu” (in elevatispessori, l’acqua trattiene le radiazionirosse per cui appare blu). l’italia è ricca di acque destinate allapotabilizzazione: di falda (85%) e su-perficiali (15%). Complessivamente ab-biamo a disposizione più di 400 metricubi per abitante, dieci volte quella deiPaesi del sud del Mediterraneo, tuttavia

    ne sprechiamo troppa. unparticolare spreco invisibileè quello sottolineato dai ve-getariani: per produrre 1 kgdi carne di manzo occorronooltre 15.000 litri d’acqua, eper quella di pollo 4.000;per 1 kg di mele ne servono700 litri e per uno di arance500. Per aumentare la sensibilitàa non dissipare questo beneprezioso, dal 1993, il 22 mar-zo si celebra la giornata mondiale del-l’acqua. ricordiamo che una persona su sei nonha un regolare e sufficiente accesso al-l’acqua e quella potabile è preclusaall’11% della popolazione mondiale. è strano che l’acqua dei rubinetti dellenostre case sia definita potabile, secondole norme, ma non proprio “da bere”,vista la diffusione delle acque mineraliin bottiglia ritenute più sicure che, però,costano enormemente di più e com-portano problemi ecologici legati allaproduzione, al trasporto e allo smalti-mento dei contenitori. fortunatamente,dopo la vertiginosa crescita degli ultimidecenni, che ha portato l’italia a essereil primo consumatore di acque in botti-glia in europa e il terzo al mondo, conoltre 190 litri/anno a testa, dal 2008 siassiste a una leggera inversione di ten-denza (-0,5%), dovuta anche al diffon-dersi dell’acqua “trattata in casa”. un accenno alle acque minerali sorgivedi cui l’italia è molto ricca, sia in qualitàsia in varietà: tutte le acque mineraliitaliane in bottiglia devono rispondereai requisiti qualitativi e quantitativi im-posti dal Ministero della salute, chevanno riportati in etichetta, in particolareil residuo fisso (la quantità di mineraliinorganici che resta dopo aver fatto bol-lire un litro di acqua a 180 °C fino acompleta evaporazione). secondo questoparametro, le acque minerali sono clas-sificate in: minimamente mineralizzate(r.f. inferiore a 50 mg/l), di gusto leg-gero; oligominerali (r.f. tra 51 e 500mg/l) di gusto delicato, in pratica adattea tutti; medio minerali (r.f. tra 501 e1.500 mg/l) di gusto pieno; ricche di

    sali minerali (r.f. oltre 1.500 mg/l) congusti e proprietà particolari.l’acqua, la bevanda più sana in assoluto,alleata del nostro benessere, è fonda-mentale anche in cucina, perché conessa si cominciano a modificare gli ali-menti, ed è uno degli ingredienti prin-cipali, direttamente o indirettamentepresente in ogni ricetta.anche se le sfumature sensoriali nonsono paragonabili a quelle del vino, sista affermando una nuova figura diesperto assaggiatore, un intenditore chesa distinguere tra un tipo di acqua e unaltro; sa individuare le rocce da cui haavuto origine (calcaree, argillose ecc.) esuggerire gli abbinamenti più appropriatiai vari piatti: è l’idro-sommelier, o som-melier delle acque, un nuovo mestiere,per ora più diffuso all’estero (dove sitrovano anche water bar) che in italia.esiste comunque l’associazione degu-statori di acque minerali (adaM), i cuimembri sono in grado di valutare le ca-ratteristiche peculiari di decine di eti-chette/marche e trovare quella che megliosi abbina a un certo cibo. di fatto, inmolti ristoranti è già una realtà la “cartadelle acque minerali”, come per i vini,e con l’esperto che suggerisce il tipo dibicchiere, i più corretti abbinamenticon le pietanze scelte e la temperaturadi servizio (per le acque “piatte” circa10 °C, per quelle frizzanti circa 7 °C).a parte gli astemi, che possono ora sbiz-zarrirsi a scegliere l’acqua e la marcapiù adatta ai vari piatti, ritengo che atutti faccia bene, anche per la digestione,bere a tavola un mezzo litro di acqua,meglio tra una portata e l’altra.

    See International Summary page 70

  • Nel Cantico dei cantici, attribuitoal re salomone, celebre perla sua saggezza, il narratoreuguaglia la sua amata a diversi tipi dispezie. Ciò fa presumere che fosse unaragazza molto “piccante”, e se questoera un complimento, è indicativo dellagrande importanza assunta da tali pro-dotti sin dai tempi più antichi. si pensavache le spezie crescessero nel Paradisoterrestre, secondo la Genesi un giardinoposto a oriente, fra quattro fiumi, forsefra l’india e la Cina. si sa, comunque, che l’uso delle spezierisale a migliaia di anni fa ed era am-piamente diffuso tra gli egizi. l’archeo-logia gastronomica, assieme alla chimica,rivela che fra i resti dei cibi rimasti in-corporati nel pentolame di coccio usatoall’epoca, si trovano anche le spezie che

    venivano inserite nei pasti degli operaiimpiegati nella costruzione della pira-mide di Cheope, in quanto si ritenevache servissero a proteggerli dalle epi-demie e mantenessero le maestranzein forze.fino al XV secolo, le spezie viaggiavanovia terra dall’oriente, attraverso la Persia,la turchia, l’arabia, l’egitto e la spagna,tutte terre musulmane. i commerciantiimponevano i loro balzelli, che facevanolievitare alle stelle il prezzo, già caro inpartenza. i Paesi produttori, consci delloro tesoro, erano ben attenti che nullauscisse dalle loro frontiere che potessepermettere ai Paesi consumatori di pro-durle in proprio.nel XV secolo, lo stimolo a trovare so-luzioni meno costose spinse, tuttavia,uomini coraggiosi a cercare “una rottadelle spezie” diversa, via mare, circum-navigando il Capo di Buona speranza,per evitare tutti quei passaggi che gra-vavano non poco sul prezzo. uno deipiù straordinari, fu niccolò da Ponte,navigatore veneziano, nato nel 1395.andò a Bagdad e in Persia a studiarel’arabo e il persiano e poi, forte di questeconoscenze che lo facevano sembrareun musulmano, girò l’oriente scopren-done con meraviglia la cultura, la civiltàe i tesori. soggiornò un anno a sumatrae ne descrisse la ricchezza della qualefacevano parte oro e spezie. i suoi viaggifurono molto importanti perché con-fermarono che era possibile andare oltreil Capo di Buona speranza nell’oceanoatlantico e quindi si poteva circumna-vigare l’africa.Vasco da gama, circa cento anni dopo,nel 1497, effettuerà per la prima voltaquel viaggio da ovest verso le indie, ri-

    PAGINA 20

    DI GIORGIO MORINI MAZZOLIAccademico di Reggio Emilia

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    Un argomento ricco di notizie storiche, geografiche, di cultura, di uomini coraggiosioltre che di gastronomia, medicina, cosmesi, religione.

    Il lungo viaggio delle spezie

  • PAGINA 21

    disegnando le mappe del mondo me-dievale. il capo di Buona speranza è semprestato un luogo dal forte significato sim-bolico, finis terrae, reso ancora più sug-gestivo dalla violenza dei due oceaniche si incontravano, l’atlantico e l’in-diano, tanto che, dieci anni prima, erastato chiamato “capo delle tempeste”.sarà re giovanni ii del Portogallo a ri-battezzarlo Capo di Buona speranza,perché, con la sua circumnavigazione,nascevano speranze di interessanti pro-spettive commerciali. anche Cristoforo Colombo si mossealla ricerca di una nuova rotta perl’india e molti aiuti finanziari affluironoall’iniziativa, attratti dalla possibilitàdi avere nuove spezie da commerciare.in effetti, la scoperta di nuovi prodotticome il caffè, il cacao e la successivacoltivazione di canna da zucchero in-fluiranno anche sul consumo delle spe-zie tradizionali facendone, però, dimi-nuire l’interesse. il fatto che durante lanavigazione Colombo sia “inciampato”nelle americhe, lo dobbiamo indiret-tamente alle spezie e, dunque, potrem-mo affermare che queste furono invo-lontaria causa della fine del Medioevoe dell’inizio dell’era moderna.se, fortunatamente, la treccani spiegache, lessicalmente, spezie, droghe e co-loniali sono sinonimi, anche se i dueultimi termini sono caduti in disuso,per cogliere in modo completo la diffe-renza fra essi, può essere d’aiuto il lin-guaggio popolare, nel quale le erbecome il prezzemolo, il basilico, la menta,sono chiamate “odori” mentre il pepe,lo zafferano ecc. continuano a mantenerela loro denominazione di droga. i primierano più vicini alla cultura contadinaperché coltivati nell’orto dietro casa,mentre le seconde si acquistavano indrogheria in occasione di usi specialicome, per esempio, il pepe impiegatonella preparazione dei salumi. le erbearomatiche, inoltre, sono utilizzate permodificare il profumo di un cibo o diuna pietanza, e generalmente se ne uti-lizzano le foglie fresche. le spezie,invece, hanno la caratteristica di con-ferire gusto, rafforzare il sapore di un

    piatto e di renderlo più gradevole esono ottenute da diverse parti dellepiante, come bacche, semi, radici, chenecessitano di trattamenti e lavorazioniper estrarre il loro particolare gusto. lacannella, per esempio, si ottiene essic-cando gli arbusti; i chiodi di garofanosono i boccioli floreali essiccati e hannoun potere antiossidante 80 volte piùpotente della mela; il pepe nero vieneprodotto dal frutto. la maggior parte delle spezie arrivaancora dai Paesi orientali, mentre lozafferano è prodotto anche in italia,ed è la spezia più costosa in assoluto:rientra, infatti, nell’elenco dei dieci cibipiù cari del mondo. la sua coltura èuna storia che passa dall’antico egittoa omero, che ne indica la presenza,assieme al loto e al giacinto, fra i fioriche formavano il letto di zeus. Portatodagli arabi in spagna, si diffuse nelMedioevo, forte anche della sua famadi possedere virtù farmacologiche, ap-prodando sulla nostra terra verso lafine del Xiii secolo. in italia, le coltiva-zioni tradizionali raggiungono l’eccel-lenza, concentrandosi soprattutto inumbria, abruzzo, Marche, toscana esardegna, regioni che vantano produ-zione e certificazioni di qualità ricono-sciute in tutto il mondo, come quellocoltivato nelle terre attorno a Cittàdella Pieve, dove la coltivazione è te-stimoniata fino dal Xiii secolo dallostatuto di Perugia del 1279. in quellacittà, una tradizionale manifestazioneautunnale festeggia il culmine dellastagione di questa magica pianta dalbel fiore violetto, dagli stimmi di unrosso infuocato e da un colorante dalgiallo splendente.il motivo per cui le spezie erano chiamatedroghe è dovuto al fatto che il loro uso

    non era destinato solo al condimento,alla conservazione del cibo o per na-scondere il deterioramento degli ali-menti, in particolare della carne, bensìanche ai rituali magici e alle cerimoniereligiose, grazie agli effetti dopantidovuti alla presenza di alcaloidi. in ogniepoca il costo è stato talmente alto chela loro presenza sulle tavole dei signorine sottolineava l’importanza e la ric-chezza, ma incrementava anche i gua-dagni dei Veneziani, che per molto tem-po mantennero il monopolio delle rottecon l’asia da dove importavano questipreziosi vegetali che, oltre agli impieghidescritti, costituivano anche una sortadi moneta di scambio.la varietà degli usi delle spezie facevaparte della loro preziosità. Per esempio,la curcuma, tra le sue 90 specie, ne hauna, di colore giallo vivace, che vienechiamata “zafferano delle indie” e unasua radice, appesa al collo della ragazza,fa parte del rito della promessa matri-moniale. Pochi sanno che l’olio essenzialedi cannella, unito all’acqua, è ottimoper il lavaggio dei piatti e delle pentole(argomento seriamente legato al postconvivio) ed è utile per combattere viruse batteri. da un articolo apparso sulgiornale “la stampa”, inoltre, risulte-rebbe che i ricercatori israeliani del-l’università di tel aviv hanno scopertoche quell’estratto di cannella, preparatoin soluzione acquosa e miscelato all’ac-qua bevuta da alcune cavie, sulle qualiera stata iniettata una forma aggressivadi alzheimer, aveva di molto rallentatolo sviluppo della malattia e anche lalongevità degli animali era del tutto si-mile a quella dei topi sani. la sostanzasembra sia in grado di inibire la forma-zione ma anche di spezzare gli aggregatidella proteina beta-amiloide e dei gro-vigli neuro-fibrillari che si trovano nelcervello dei malati e questo significache l’estratto potrebbe prevenire, maanche intervenire, a malattia già in es-sere. se molte spezie di provenienzaesotica sono usate in medicina, possiamopensare, gustandole nelle più modernericette, che anche a tavola stiamo “cu-rando” un po’ la nostra salute.

    See International Summary page 70

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

  • L’ esistenza di filippo neri, lasua opera come uomo di dioin quel tempo, le istituzioniche ha fondato - e che ancora perman-gono - esprimono attualità. la compas-sione, che oggi è spesso trascurata, è ilcardine di quella sua tardiva vocazione- venne ordinato sacerdote a trentaseianni - e sarà tenacemente esercitata nelsuo magistero, in quella Confraternitadella ss. trinità, cui aveva dato inizioda laico. successivamente, nella chiesadi san girolamo della Carità, svolgeràapostolato per l’accoglienza dei pellegrini- nell’anno santo 1550 ne vennero as-

    sistiti, ogni giorno, fino a cinquecento.impegno gravoso, affiancato, sempre ecomunque, dall’esercizio del suo ora-torio, coadiuvato da una cerchia di di-scepoli dedita all’educazione giovanile,e a redimere coscienze. Molti avvenimenti miracolistici lo ri-guardano: levitazioni mentre celebravamessa, guarigioni, conversioni, predi-zioni avverate; nel 1583 ottenne, conla forza della preghiera, una breve ri-surrezione del giovane principe PaoloMassimo, ricorrenza ogni anno ancorasolennizzata. Ciononostante, Padre filippo, pur es-

    sendo di carattere riservato, è sem-pre stato uomo di spirito, gioche-rellone, tanto che spesso si scher-niva anche di quei prodigi per cuiveniva venerato. Capitò appuntocosì - se ne trova traccia in minutenegli archivi Vaticani - allorchében due Papi - gregorio XiV e Cle-mente Viii - ebbero a insistere nel-l’offrirgli la porpora cardinalizia,mentre lui gioviale, buttando inaria la sua berretta, segnò il suorifuggire, affermando: “Paradiso,paradiso!”. il suo operato ecclesiastico, nonchél’alto profilo ascetico-carismatico,è stato ribadito anche da Papafrancesco - nel 2015 - in occasionedel V centenario della nascita, de-signando san filippo neri, terzoPatrono di roma, dopo i santiPietro e Paolo. dove traeva origine quella forzaesemplare? Chi era filippo neri?a tavola aveva alcune preferenzeparticolari? nato a firenze, teatro, in quel tem-

    PAGINA 22

    DI HILDE CATALANO GONZAGA PONTIAccademica della Valle del Tevere-Flaminia

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    La dieta quasi vegetariana di San Filippo Neri che amava una minestra gustosa e profumata.

    Il terzo Patrono di Roma e il minestrone ribollito

  • PAGINA 23

    po, di lotte per il ducato mediceo, a se-guito di vicissitudini familiari (i nerierano antimedicei), a diciannove anniriparò a roma, vivendo da pellegrino.ravvisò libertà, agognando autenticità,conseguì impegno e donazione in attivitàcaritatevoli, cura dei malati negli ospe-dali, oltre a praticare forme di devozionepopolare, come la visita delle settechiese - ancora oggi in auge in ognianno santo - cui aveva abbinato l’umanointeresse per l’archeologia. scoprì le ca-tacombe abbandonate di s. sebastiano,dove per rifuggire la calura estiva - es-sendo la Pentecoste del 1544 - invocò alungo lo spirito santo. ebbe l’apparizionedi giovanni Battista, poi un empito ar-dente lo trafisse al fianco destro, unasorta di stigmatizzazione, confermataanche dall’esame autoptico dopo lamorte che rilevò due costole a destra,staccate dalla cartilagine. la tradizionefilippina pone l’episodio in simultaneacon la sua vocazione.

    filippo neri sacerdote fu instancabile.all’alba, dopo la messa, si consumòsempre nel ministero della confessionefino mezzogiorno. ebbe abnegazioneper il suo oratorio pomeridiano e quelloserale. le pratiche quotidiane si tenevanoin un locale dedicato, da ognissanti aPasqua, mentre quelle festive, da Pasquaa ognissanti, si svolgevano - tempo per-mettendo - all’aperto. dopo il giubileodel 1575, Papa gregorio Xiii, con unaBolla, erigeva la Congregazione del-l’oratorio nella chiesa di santa Mariain Vallicella, dove si costruirà la Chiesanuova, odierna sede della Congrega-zione. in quelle domeniche, Padre filipposi radunava, di buon mattino, con i suoigiovani, per ragionare su dio in modo“facile e famigliare”, per poi intrapren-dere la visita alle sette chiese; al pelle-grinaggio penitenziale - è presto spiegato- aderivano in massa il giovedì grasso.la lunga camminata finiva con una re-fezione: pane, formaggio, uova. a Car-nevale, invece, lo spuntino era arricchitoda fichi secchi al miele, una leccorniache i benestanti dell’oratorio pomeri-diano offrivano con una certa generosità. le furberie di quei ragazzi ravvisavanoa Padre filippo la sua gioventù, quandosi arrangiava facendo il precettore e ve-niva compensato - proprio per sua scelta- oltre a dove dormire, da un rubbio di

    farina (200 chili all’anno). Campò alungo facendosi cuocere il pane dal for-naio, consumando, presso il pozzo del-l’acqua, in caso di sete: pane e olive,olive e pane… Poi la sua vita mutò, mantenne unadieta quasi vegetariana, pochissimacarne, verdura in abbondanza, un uovoogni tanto. a sera inoltrata, appenagli oratoriani lasciavano la sua stan-zuccia-ripostiglio, sopra la chiesa dellaCarità, successivamente alla Vallicella,filippo si apprestava a far ribollirepiano piano, in un tegame di terraglia,il minestrone di verdure riposato: bie-tole, spinaci, lattughe, foglie di cavoloprivate della costola, porri e cipolle inquantità, uno spicchio d’aglio, il tuttoaromatizzato con menta, prezzemoloe maggiorana. sobbollendo al copertoa fuoco dolce, i profumi si effondevano,empiendogli le narici e l’animo. intantonel tegame, fette di pane a mo’ di lettostavano assimilando bene, tanto daformare una crosticina dorata sopra.spegnendo “fratello foco”, Padre fi-lippo sgranava un rosario, giusto iltempo di far riposare la cena, primadi benedire anche quel ritocchino diolio “bono” che versava sopra, a filo,e infine: sia fatta la tua volontà, Deogratias.

    See International Summary page 70

    S O M M A R I OC U L T U R A & R I C E R C A

    CENA ECUMENICA 2016La riunione conviviale ecumenica, che vede alla stessa mensa virtuale tutti gli Accademici in Italiae nel mondo, si svolgerà il 20 ottobre alle 20,30, e avrà come tema “La cucina del riuso. Contro lo

    spreco, la tradizione familiare propone gli avanzi con gusto e fantasia”.Un tema, quello scelto dal Centro Studi “Franco Marenghi” e approvato dal Consi-

    glio di Presidenza, volto a recuperare, nella cucina delle tradizioni, le prepara-zioni che, partendo da alimenti già parzialmente sfruttati, diano origine a

    nuove ricette e a