Città metropolitana una analisi critica 17 7-016

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Dott. Marco Grondacci giurista ambientale Telefono Mobile: 347 0935524 - e-mail: [email protected] - http://notedimarcogrondacci.blogspot.it/ 1 La Città Metropolitana: limiti e potenzialità della legge 56/2014 Dott. Marco Grondacci (giurista ambientale) Genova 14/7/2016

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Dott. Marco Grondacci giurista ambientale Telefono Mobile: 347 0935524 - e-mail: [email protected] - http://notedimarcogrondacci.blogspot.it/

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La Città Metropolitana: limiti e potenzialità

della legge 56/2014

Dott. Marco Grondacci (giurista ambientale)

Genova 14/7/2016

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Sommario LA LEGGE DEL RIO E LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE ............................................................. 4

CON QUALI PARAMETRI ISTITUZIONALI E QUINDI DI MODELLO DI GOVERNO DECENTRATO DOBBIAMO

VALUTARE LE NUOVE CITTÀ METROPOLITANE ............................................................................................. 4

XXV Stati Generali dei Comuni e delle Regioni d’Europa - Dichiarazione di Cadice 28 settembre 2012

“decentramento, sviluppo, democrazia, innovare per un’europa in tre dimensioni” .............................. 4

Carta Europea dell’Autonomia Locale ....................................................................................................... 5

libro UE sulla governance (2001) ............................................................................................................... 5

Processi di A21 ........................................................................................................................................... 5

Sussidiarietà: principio del Trattato UE ..................................................................................................... 5

Il coordinamento tra sussidiarietà orizzontale e verticale (l’integrazione tra articolo 5 e articolo 118 ... 6

LE NOVITÀ INTRODOTTE DALLA LEGGE DEL RIO SU STRUTTURA ISTIZIONALE E FUNZIONI DELLE CITTÀ

METROPOLITANE ........................................................................................................................................... 7

Città Metropolitane enti di area vasta ...................................................................................................... 7

Prevalenza temporale legge ordinaria su procedura costituzionale ......................................................... 7

L’ambito territoriale di competenza della Città Metropolitana: limiti e contraddizioni ........................... 7

CITTA’ METROPOLITANA ENTE DI GESTIONE PER LO SVILUPPO ECONOMICO NON RAPPRESENTATIVO IN

SENSO DEMOCRATICO E DI AUTONOMIA LOCALE DEI TERRITORI INSOMMA SE LEGHIAMO LE MODALITÀ

DI ISTITUZIONE DELLA CM EX LEGE DEL RIO ............................................................................................... 11

Città metropolitana e governance........................................................................................................... 11

MODELLO DI GOVERNO DELLA CITTÀ METROPOLITANA ............................................................................ 13

La forma di governo metropolitana: rapporti fra Sindaco metropolitano e Consiglio metropolitano 13

Il problema della eleggibilità diretta degli organi della Città Metropolitana .......................................... 13

FUNZIONI CITTÀ METROPOLITANE ............................................................................................................. 16

Le due funzioni di programmazione e pianificazione territoriale della Città Metropolitana .................. 16

Le altre funzioni della Città Metropolitana ex comma 44 articolo 1 legge 56/2014 ............................... 18

CITTA’ METROPOLITANA COME ISTITUZIONE DI ATTIVAZIONE DI STRUMENTI DI GESTIONE

AMMINISTRATIVA INTEGRATI ..................................................................................................................... 19

Nuovi strumenti di Pianificazione-Programmazione che realizzino il raccordo tra Pianificazione

Ambientale-Pianificazione Territoriale-Programmazione Regionale ...................................................... 19

Politiche integrate a livello territoriale e ambientale e di prevenzione della salute .............................. 20

RAPPORTO REGIONI CITTA’ METROPOLITANE ............................................................................................ 25

LA QUESTIONE DELLE RISORSE .................................................................................................................... 26

Lo stato delle spese entrate delle città metropolitane: uno studio Irpet del 2016 ................................ 26

No a prelievi forzosi senza riordinare le funzioni ma semplicemente spostandole – no al finanziamento

della copertura del deficit statal spostando risorse dal locale al centro ................................................. 26

Risorse comunitarie per città metropolitane .......................................................................................... 27

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Imposta diritti di imbarco (da introdurre ex novo) ................................................................................. 28

Altre possibilità di finanziamento delle Città Metropolitane (dallo studio Irpet: stralcio) ..................... 29

La sentenza della Corte Costituzionale sul rapporto tra funzioni della Città Metropolitana e risorse

ridotte ex lege nazionale ........................................................................................................................ 29

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LA LEGGE DEL RIO E LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Con legge n. 56/2014 (vedi QUI http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/2014_0056.htm ) sono state disciplinate e istituite le Città Metropolitane (previste peraltro anche da leggi precedenti ma mai attuate). In particolare in attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione, le città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria sono disciplinate da questa legge (comma 5 articolo 1). La Corte Costituzionale con sentenza n. 50 del 2015 ha respinto il ricorso di varie Regioni che contestavano vari profili di incostituzionalità della legge 56/2014. Nel corso della relazione analizzerò, anche criticamente, i motivi di questa sentenza in rapporto alle varie problematiche delle Città Metropolitane. Una cosa è certa per ora, anche alla luce della lettera della legge 56/2014, la nuova Città Metropolitana assomiglia molto alla vecchia Provincia con in più due difetti rilevanti: 1. non è sostanzialmente elettiva 2. le poche nuove funzioni (rispetto a quelle della Provincia) non sono ben definite nei contenuti, ben regolamentate nelle procedure di approvazione, ben finanziate.

CON QUALI PARAMETRI ISTITUZIONALI E QUINDI DI MODELLO DI GOVERNO DECENTRATO DOBBIAMO VALUTARE LE NUOVE CITTÀ METROPOLITANE

Come vedremo esaminando la disciplina nazionale e regionale nonché la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge Del Rio, la Città Metropolitana rischia di diventare una nuova forma di centralismo in una logica liberista e solo sviluppista che non valorizza ne la specificità dei territori ne la partecipazione delle comunità locali. Spazzando via un dibattito che dall’Europa, ma non solo, ha prodotto indirizzi, principi e buone pratiche che invece mettono al centro l’autonomia e la partecipazione dei territori. Vediamoli questi indirizzi e principi.

XXV Stati Generali dei Comuni e delle Regioni d’Europa - Dichiarazione di Cadice 28 settembre 2012 “decentramento, sviluppo, democrazia, innovare per un’europa in tre dimensioni”

1. Il progetto europeo richiede il pieno rispetto del principio di sussidiarietà, con un ruolo decisivo degli enti locali quali istituzioni orientate ad una politica di prossimità, il cui ruolo è importante per rispondere alle attese e alle preoccupazioni dei cittadini. 2. Gli enti locali e le Regioni costituiscono il più stretto anello di collegamento democratico tra le istituzioni e i cittadini 3. Gli enti locali devono essere liberi di organizzare e pianificare i loro servizi di interesse generale 4. Occorre opporsi alle politiche in atto in Europa che ricentralizzano le decisioni sulle politiche pubbliche lasciando gli enti locali senza mezzi efficaci per agire Per il testo completo della Dichiarazione di Cadice, vedi QUI http://www.ccre.org/docs/Dichiarazione_Cadice_IT.pdf

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Carta Europea dell’Autonomia Locale La Carta è stata recepita in Italia con Legge 30 dicembre 1989, n. 439 (1) . Ratifica ed esecuzione della convenzione europea relativa alla Carta europea dell'autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985. L’articolo 3 della Carta definisce il concetto di Autonomia Locale costituita dai seguenti elementi da leggere in modo integrato: 1.diritto delle comunità locali di amministrarsi nell’interesse dei cittadini che ne fanno parte 2. Tale diritto è esercitato: 2.1. da Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale 2.2. da Assemblee di cittadini, al referendum, o ad ogni altra forma di partecipazione diretta dei cittadini qualora questa sia consentita dalla legge. L’articolo 9 della Carta fa riferimento alle risorse finanziarie affinché le collettività locali. In particolare questo articolo afferma che: 1. Le collettività locali hanno diritto, nell'ambito della politica economica nazionale, a risorse proprie sufficienti, di cui possano disporre liberamente nell'esercizio delle loro competenze. 2. Le risorse finanziarie delle collettività locali devono essere proporzionate alle competenze previste dalla Costituzione o dalla legge Secondo la sentenza della Corte Costituzionale 50/2015, questa Carta non ha carattere precettivo ma di indirizzo e di principio. In realtà la stessa Carta rinvia alle Costituzioni nazionali e alle leggi degli Stati aderenti per la definizione della ripartizione delle competenze all’interno degli stessi tra centro e periferia, ma i due articoli sopra citati fanno riferimento a principi assoluti e non a semplice regole di ripartizione delle competenze. Per il testo completo della Carte Europa, vedi QUI http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU_228_Carta_eur_aut_locale_questioni.pdf

libro UE sulla governance (2001) Uno di principi fondanti di questo documento è che l’Europa deve arrivare ai cittadini tramite la democrazia regionale e locale Per il testo del Libro vedi QUI http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=URISERV:l10109&from=IT

Processi di A21

Si fa riferimento al modello A21 come modello istituzionale di governance partecipata dal basso, attraverso i Forum della Partecipazione, I Rapporti socio ambientali sullo stato dell’ambiente e del territorio che fissano criticità e obiettivi, I Piani di Azioni che rispondono a questi Rapporti e vengono approvati dai Forum e condivisi con le istituzioni locali, Piani Azione che contengono linee guida per definire prescrizioni da recepire negli strumenti di pianificazione urbanistica e programmazione economica degli enti locali e regionali .

Sussidiarietà: principio del Trattato UE

Il principio di sussidiarietà è affermato dall’articolo 5 del Trattato della Unione Europea: “1. La

delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. L'esercizio delle

competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.”

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La sussidiarietà è un principio per regolare la titolarità dei poteri legislativi tra UE e Stati membri , ma l’articolazione delle competenze può essere distribuita a livello locale come tendenza di fondo nei rapporti interni agli Stati membri. Soprattutto la ratio di fondo di questo principio parla anche alle riforme costituzionali interne : “ … il principio di sussidiarietà concerne il come proteggere

l’ambiente comunitario nel modo più efficace possibile, piuttosto che il chi è responsabile per tale

protezione “1 Questa affermazione che è insita nel principio di sussidiarietà aiuta a leggere questo principio con quello della “correzione, in via prioritari alla fonte, dei danni ambientali” (paragrafo 2 articolo 191 del Trattato di funzionamento della UE). In altri termini il decentramento deve essere finalizzato a tutelare interessi generali e concreti della comunità che sui territori vive e lavora (“alla fonte” appunto) e quindi ogni riforma istituzionale deve essere giudicata a partire da questo obiettivo e non da obiettivi mera razionalizzazione burocratica fuori dai contesti reali dei territori interessati. In questa direzione si veda Corte di Giustizia sentenza del 9/7/19912 secondo la quale la applicazione del principio della correzione alla fonte dei danni ambientali richiede di chiarire il livello istituzionale adeguato per garantire la tutela utile ad evitare danni all’ambiente. Per fare questo non è sufficiente solo una mera ripartizione di competenze burocratiche ma anche la applicazione di principio che garantiscano il legame tra tutela dell’ambiente e i territori concreti dove avvengono le scelte potenzialmente impattanti. Si vedano in questo senso i concetti normati dalla recente normativa comunitaria in materia ambientale: 1. specificità del sito nel misurare gli impatti ambientali e sociale delle scelte e dei progetti 2. norma di qualità ambientale per cui sono i modelli di gestione degli impianti che devono adeguarsi ai territori e non viceversa come avveniva in precedenza

Il coordinamento tra sussidiarietà orizzontale e verticale (l’integrazione tra articolo 5 e articolo 118

Senza sussidiarietà verticale (articolo 5 comma 3 Cost: autonomia funzionale enti locali con il contributo attivo dei cittadini) quella orizzontale (articolo 118 comma 42) diventa difficile perché senza avvicinamento dei livelli di decisioni anche strategici ai territori è difficile se non impossibile dare un ruolo attivo alla partecipazione decisionale. La riaffermazione del legame tra le due sussidiarietà è emersa nelle sentenze della Corte Costituzionale sulle fondazioni bancarie (n. 300 e 301 del 2003) : non ha ritenuto accettabile la sola presenza degli enti locali negli organi di indirizzo delle fondazioni ; secondo la Corte occorre ricomprendervi anche quelle diverse realtà locali, pubbliche e private , radicate sul territorio ed espressive , per tradizione storica , connessa all’origine delle singole fondazioni, di interessi meritevoli di essere rappresentati nell’organo di indirizzo . Viene quindi riconosciuta la possibilità di svolgimento di attività di interesse generale svolte da soggetti non pubblici in coerenza con l’ultima comma dell’articolo 118 della Costituzione.

1 L. Kramer (Manuale di diritto comunitario per l’ambiente ed. Giuffrè 2002 pag. 94

2 Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e

associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

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LE NOVITÀ INTRODOTTE DALLA LEGGE DEL RIO3 SU STRUTTURA ISTIZIONALE E FUNZIONI DELLE CITTÀ METROPOLITANE LE Città Metropolitane disegnate dalla legge 56/2014 assomigliano molto alle vecchi Province in realtà come è noto non abolite ma al massimo se passerà la riforma costituzionale declassificata da organi riconosciuti dalla costituzione ad organi previsti solo da legge ordinaria Di più: se si volesse passare all’elezione diretta del sindaco metropolitano occorrerebbe lo smembramento del comune capoluogo, una vecchia e sbagliata idea dei primi anni Novanta. Perché indebolire la città centrale per costruire una città metropolitana già debole?

Vediamo comunque la struttura istituzionale delle Città Metropolitane secondo la legge 56/2014

Città Metropolitane enti di area vasta

“2. Le città metropolitane sono enti territoriali di area vasta…. “ (articolo 1). Area vasta Intesa come Ambito territoriale all’interno del quale svolgere funzioni di programmazione e pianificazione su scala sovra comunale e comunque non puntuale Area vasta intesa come Formula di governo fondata su cooperazione e associazione: vedi aggregazione dei comuni e di una parte delle loro funzioni in capo alla CM

Prevalenza temporale legge ordinaria su procedura costituzionale

“5. In attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme

di attuazione, le città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari,

Napoli e Reggio Calabria sono disciplinate dalla presente legge”(articolo 1) Questo comma ribalta l’ordine logico e di gerarchia delle fonti del nostro ordinamento cioè prima la legge ordinaria e poi la sua legittimazione costituzionale

L’ambito territoriale di competenza della Città Metropolitana: limiti e contraddizioni

“6. Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia omonima,” (articolo 1) Si tratta di un criterio di perimetrazione della circoscrizione di competenza della Città Metropolitana di tipo burocratico amministrativo che contraddice: 1. persino IL DISCUTIBILE spirito della legge stessa che vede nella CM un nuovo ente che promuova lo sviluppo del territorio di competenza anche in rapporto con altri ambiti regionali o addirittura sovra regionali fino a quello europeo o comunque internazionale. 2. ma anche la stessa sentenza della Corte Costituzionale che pure ha dichiarato la legittimità costituzionale della legge 56/2014. Infatti la Corte Costituzionale con sentenza n. 50 del 2015 nel respingere il presunto difetto di competenza della legge statale circa l'istituzione delle Città metropolitane ha affermato che la materia in questione "non può verosimilmente considerarsi

di competenza esclusiva regionale" perché la Città metropolitana è un "ente a rilevanza

nazionale". Anzi, secondo la Corte, si tratterebbe di ente a rilevanza "sovranazionale"in quanto tale ente è ammesso all'accesso ai fondi di provenienza europei;

3 LEGGE 7 aprile 2014, n. 56 Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni

(G.U. n. 81 del 7 aprile 2014)

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Ma qui il difetto sta nella rimozione dell’obiettivo prioritario se davvero lo spirito della riforma era quello efficientista della semplificazione istituzionale, si semplifica creando un nuovo Ente? Invece di partire dal livello più basso: i Comuni unificando prima questi coinvolgendo le diverse comunità locali…. Difficile nell’Italia dei mille campanili? Può darsi ma il rischio è quello di creare l’ennesimo ente lontano dai cittadini che a seconda dei pesi politici nel consiglio e nella conferenza metropolitana (peraltro non elettivi) potrà emarginare intere comunità come peraltro è avvenuto fino ad oggi con le Province. Inoltre se c’era il bisogno di assegnare lo status di città metropolitana per conferire funzioni aggiuntive a polarità urbane di particolare rilievo strategico (una sorta di comuni “speciali”), il riconoscimento doveva e deve essere attribuito a un gruppo molto ristretto di città, con caratteristiche adeguate, ben al di sotto del numero attuale ulteriormente implementabile peraltro. Se invece si vogliono promuovere politiche per lo sviluppo delle aree urbane, allora questa possono riguardare anche centri di medie dimensioni, con funzioni e caratteristiche urbane di pregio anche alla luce del policentrismo urbano tipico dell’Italia. La questione dell’ambito territoriale della Città Metropolitana in rapporto alla tutela ambientale La visione formale e conservativa del perimetro territoriale della Città metropolitana rimuove, nel caso delle politiche di tutela ambientale e di gestione sostenibile del territorio, la questione che di integrazione delle politiche e non di perimetrazioni formali c’è bisogno. Come emerge da numerose indagini in materia di efficacia dei modelli di organizzazione della PA regionale e locale sul piano della gestione delle politiche, in generale, il principale limite sta nella forte prevalenza di modalità di gestione non integrate tra amministrazioni. L’esigenza di integrarsi e cooperare con altri soggetti pubblici e privati che sono corresponsabili per la risoluzione di un problema non viene vissuta come una necessità primaria da molti dirigenti e funzionari4. In effetti, la debolezza delle politiche, specie di natura regolativa, è spesso la scarsa capacità di empowerment che richiederebbe la collaborazione tra diverse istituzioni e diversi livelli di governo. L’attitudine alla co-progettazione tra amministrazioni, l’attenzione alla ricerca ed alla creazione del consenso sociale attorno alle decisioni di intervento, la cultura dei risultati e l’attenzione agli impatti prodotti sono competenze spesso distanti dall’operato di molte amministrazioni. Sul piano della valutazione, c’è una tendenza a focalizzare l’attenzione sulla costituzione delle strutture preposte a valutare le politiche pubbliche (ad es. unità di valutazione) piuttosto che sui principi e sulle pratiche di valutazione delle politiche stesse. In questo senso, si può affermare che non è ancora diffusa all’interno delle amministrazioni una cultura pragmatica della valutazione, orientata all’apprendimento organizzativo ed al miglioramento delle politiche. Il Testo Unico Enti Locali (TUEL) definisce con più chiarezza i parametri per circoscrizioni di enti di area vasta Secondo il comma 3 articolo 21 del Tuel: “Per la revisione delle circoscrizioni provinciali e

l'istituzione di nuove province i comuni esercitano l'iniziativa di cui all'articolo 133 della

Costituzione, tenendo conto dei seguenti criteri ed indirizzi.

a) ciascun territorio provinciale deve corrispondere alla zona entro la quale si svolge la maggior

parte dei rapporti sociali, economici e culturali della popolazione residente;

4 Tra le modalità innovative di sostegno, va segnalata la valorizzazione delle comunità di pratica, costituite da operatori delle pubbliche

amministrazioni che svolgono ruoli affini (ad es. responsabili del personale, responsabili del controllo di gestione, responsabili degli Urp ecc.).

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b) ciascun territorio provinciale deve avere dimensione tale, per ampiezza, entità demografica,

nonché per le attività produttive esistenti o possibili, da consentire una programmazione dello

sviluppo che possa favorire il riequilibrio economico, sociale e culturale del territorio provinciale e

regionale.” Si tratta di una visione ampia e non burocratica dell’ambito territoriale di competenza sia per le Province ma anche per le Città metropolitane sia pure indirettamente in riferimento alla norma sopra esaminata. I criteri di adesione dei Comuni alla Città Metropolitana secondo la Regione Lombardia D.g.r. 26 febbraio 2015 - n. X/3162 Linee-guida relative alle richieste di adesione alla città metropolitana di Milano da parte dei comuni appartenenti ad altre circoscrizioni provinciali http://www.pim.mi.it/normativa/DGR_X_3162_del_26_febbraio_2015_burl_10_03-03-2015.pdf Articolo 21, c. 3, Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali”: a) ciascun territorio provinciale deve corrispondere alla zona entro la quale si svolge la maggior parte dei rapporti sociali, economici e culturali della popolazione residente; b) ciascun territorio provinciale deve avere dimensione tale, per ampiezza, entità demografica, nonché per le attività produttive esistenti o possibili, da consentire una programmazione dello sviluppo che possa favorire il riequilibrio economico, sociale e culturale del territorio provinciale e regionale; Per quanto concerne gli aspetti di cui alla lettera a): o Grado di interdipendenza con il Comune capoluogo, con evidenza dell’asset che si propone di portare quale valore aggiunto al territorio della Città Metropolitana (poli fieristici commerciali e industriali, poli universitari, infrastrutture turistiche); o Continuità storico-culturale con il territorio della Città Metropolitana; o Fattori sociali; o Continuità urbanistico-territoriale; o Continuità infrastrutturale (con specifico riferimento alle infrastrutture ferroviarie e viabilistiche); o Movimenti sistematici e occasionali in entrata e uscita dal Comune e relativa provenienza/destinazione; o Ambiti ottimali per la gestione di funzioni o la erogazione di servizi (quali, a titolo di esempio, i Distretti socio-sanitari) regionali o sovraprovinciali. • Per quanto concerne gli aspetti di cui alla lettera b): o Motivazioni di prospettiva che favoriscono lo sviluppo e gli investimenti di maggior favore per il Comune che propone l’istanza; o Dinamiche territoriali e socio-economiche in corso (fattori occupazionali, presenza di distretti produttivi, clusters comuni al territorio metropolitano); o Prospettive economico-sociali; o Orientamenti delle forze produttive e delle rappresentanze socio-economiche o Maggiori risorse previste.

La procedura di modifica della circoscrizione della Città Metropolitana le contraddizioni tra la legge 56/2014 e l’articoo 133 della Costituzione

“6. Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia omonima ferma

restando l'iniziativa dei comuni, ivi compresi i comuni capoluogo delle province limitrofe, ai sensi

dell'articolo 133 , primo comma, della Costituzione, per la modifica delle circoscrizioni provinciali

limitrofe e per l'adesione alla città metropolitana. Qualora la regione interessata, entro trenta

giorni dalla richiesta nell'ambito della procedura di cui al predetto articolo 133, esprima parere

contrario, in tutto o in parte, con riguardo alle proposte formulate dai comuni, il Governo

promuove un'intesa tra la regione e i comuni interessati, da definire entro novanta giorni dalla

data di espressione del parere. In caso di mancato raggiungimento dell'intesa entro il predetto

termine, il Consiglio dei ministri, sentita la relazione del Ministro per gli affari regionali e del

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Ministro dell'interno, udito il parere del presidente della regione, decide in via definitiva in ordine

all'approvazione e alla presentazione al Parlamento del disegno di legge contenente modifiche

territoriali di province e di città metropolitane, ai sensi dell'articolo 133, primo comma, della

Costituzione.” (articolo 1) Si prevede quindi in questo comma la possibilità di Comuni di entrare e uscire dalla Città Metropolitana con procedura però estremamente complessa, in particolare con i seguenti passaggi: 1. la legge ha identificato territorio provincia e relativi comuni con la citta’ metropolitana salvo che il comune agisca diversamente 2. se la regione dice no governo promuove intesa e tra regione e comuni 3. senza intesa decide consiglio dei ministri Ma cosa afferma l’articolo 133 della Costituzione attuale? “Il mutamento delle circoscrizioni

provinciali e la istituzione di nuove Province nell'ambito di una Regione sono stabiliti con leggi della

Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione.” In sostanza l‘iniziativa deve partire dal Comune coinvolgendo la Regione mentre l’intervento della legge ordinaria statal dovrebbe intervenire alla fine del percorso praticamente per formalizzarlo. Invece con la legge 56/2014 il percorso viene rovesciato. Rispetto a questo quadro costituzionale la Corte Costituzionale con sentenza n. 50 del 2015 ha risposto che in realtà la nuova legge non abolisce un nuovo ente (le Province) ma semmai introduce un nuovo ente, la Città Metropolitana, perciò il criterio di automatica identificazione fra territorio provinciale e territorio metropolitano non violerebbe l’art.133 Cost. In realtà: le province sono sostituite dalla CM con trasferimento di risorse a questa ultima non solo ma l’articolo 117 della costituzione al comma 2 lettera p) prevede tra le competenze esclusive dello stato legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; non la istituzione di nuovi Enti. Peraltro questa interpretazione della Corte Costituzionale entra in contraddizioni con precedenti sentenze

di questa organo. Nella sentenza n. 220 del 2013, punto 12.2, si legge «Si deve ancora osservare

che la modificazione delle singole circoscrizioni provinciali richiede, a norma dell’art. 133, primo

comma, Cost., l’iniziativa dei Comuni interessati - che deve necessariamente precedere l’iniziativa

legislativa in senso stretto – ed il parere, non vincolante della Regione. Sin dal dibattito in

Assemblea costituente è emersa l’esigenza che l’iniziativa di modificare circoscrizioni provinciali –

con introduzione di nuovi enti, soppressione di quelli esistenti o semplice ridefinizione dei confini

dei rispettivi territori – fosse il frutto di iniziative nascenti dalle popolazioni interessate, tramite i

loro più immediati enti esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte

dall’alto».

Ma al di la di questa contraddizione c’è nella sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 2015 che ha dichiarato la legittimità costituzionale della legge 56/2014, una affermazione assolutamente discutibile e soprattutto che potrebbe costituire un precedente inquietante. La Corte ha affermato che la riforma della legge 56/2014 è giustificata in quanto complessivamente riforma l’ordinamento enti locali e per questo può derogare all’articolo 133 della Costituzione.

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Sarebbe come dire che più ampia è la riforma introdotta da una legge ordinaria e tanto maggiore potrà essere la possibilità di derogare alla vigente Costituzione.

CITTA’ METROPOLITANA ENTE DI GESTIONE PER LO SVILUPPO ECONOMICO NON RAPPRESENTATIVO IN SENSO DEMOCRATICO E DI AUTONOMIA LOCALE DEI TERRITORI INSOMMA SE LEGHIAMO LE MODALITÀ DI ISTITUZIONE DELLA CM EX LEGE DEL RIO Con le funzioni assegnate alla Città Metropolitana, su cui mi soffermerò successivamente nella presente relazione, ma soprattutto le finalità5 di questo nuovo ente assegnate dall’articolo della legge 56/2014, emerge una visione efficientistica (peraltro tutta da praticare e portata avanti in modo contraddittorio dalla legge stessa come abbiamo visto per la definizione dell’ambito e come vedremo sulla non chiara definizione delle nuove funzioni) e tutta sviluppista della nuova Città Metropolitana, l’esatto contrario della visione delle autonomie locali dei padri costituenti. “Il tratto tipico dell’autonomia locale risiede nel fatto che l’organo fondamentale degli enti locali territoriali è il

popolo in corpo elettorale, e che conseguentemente essi derivano l’indirizzo politico - amministrativo non dallo

Stato, ma dalla propria comunità; con la conseguenza che tale indirizzo può divergere da quello dello Stato, e

perfino con esso contrastare, ove non vi sia corrispondenza di maggioranze tra la comunità statale e quella

degli enti territoriali. Nell’autonomia locale «si vedeva soprattutto la possibilità di dare realtà ad una delle idee base

del mondo moderno, e cioè realizzare una formula di democrazia la più vicina possibile alla democrazia diretta.

Accanto allo strumento di partecipazione democratica, non si è mancato dal porre in rilievo altri aspetti:

l’educazione civica, la selezione dal basso, l’immediatezza dell’azione amministrativa, la maggior corrispondenza

alle esigenze locali, e simili” (M. S. GIANNINI, Autonomia pubblica (voce), in Enc. Dir , IV, Milano, 1959,)

Se noi andiamo a leggere le funzioni e l’impostazione dl Governo (relazione al disegno di legge) la Città Metropolitana è vista come ente con vocazione gestionale più che politico e, dunque, ente tecnico e non rappresentativo della comunità metropolitana. La Città metropolitana,quindi, non sarebbe espressione di democrazia locale6 e non sarebbe concepita per esserlo. Non a caso la riforma costituzionale abroga il comma 1 dell’articolo 133, cioè il comma che,al di la della interpretazione data dalla Corte Costituzionale con la più volte citata sentenza n. 50 del 2015, mantiene ancora al centro l’ente e la comunità locale nella riorganizzazione delle circoscrizioni degli enti non statali.

Città metropolitana e governance

La scelta andava fatta nel favorire le procedure negoziali rispetto a quelle strutturali (di enti costruite una volta per tutte con funzioni predefinite)

5 “2. Le città metropolitane sono enti territoriali di area vasta con le funzioni di cui ai commi da 44 a 46 e con le

seguenti finalità istituzionali generali: cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e

gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città metropolitana;

cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le città e le aree metropolitane

europee.” 6 l ricorso della regione Veneto proponeva l’esempio, al riguardo, delle recenti elezioni del consiglio metropolitano di

Milano. Su 134 comuni interessati e 2.056 aventi diritto al voto, i 24 eletti provengono da 14 comuni, la cui popolazione nel complesso è circa metà di quella dell’intera Provincia. Gli elettori insiti in circa metà della popolazione della provincia di Milano, così come i 120 comuni che non hanno ottenuto eletti, quindi, non avranno voce in capitolo nelle scelte che saranno assunte dagli organi di governo della città metropolitana, perché la conferenza metropolitana dispone solo di poteri propositivi e consultivi.

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Forse c’era bisogno più che un nuovo ente di agenzie ad hoc per politiche territoriali urbane di area vasta Penso ma è solo un esempio alla mai decollate Società di trasformazione urbana prevista dalla legge 127/1997 società per azioni miste, costituite tra Comuni/Città metropolitane e privati, cui possono partecipare regioni e province e sono finalizzate a realizzare interventi di trasformazione urbana in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti, attraverso un’attività di: a) acquisizione preventiva delle aree da trasformare, b) progettazione, c) realizzazione degli interventi, d) commercializzazione delle aree riqualificate, e) gestione anche degli eventuali servizi pubblici Attraverso scelte negoziale rispetto a quelle strutturali, si sarebbero potute trovare, con più flessibilità, le soluzioni comparto per comparto, caso per caso, dei problemi urbani - metropolitani Non è che il modello “strutturale” della legge Del Rio impedisca modalità pragmatiche e negoziali tra i diversi soggetti, istituzionali e non, che possono aver ruolo a “sbrogliare” le questioni e a far girare la macchina. Lo considero però un percorso più difficile perché incasellato dentro strutture e funzioni predefinite come abbiamo visto per le procedure Ma la partita non è chiusa se i due strumenti principali (piano strategico e piano territoriale su cui mi soffermerò a breve) nel governo della circoscrizione della Città Metropolitana verranno gestiti non burocraticamente e non in maniera solo economicista. Coinvolgendo imprese, profit e non profit, accanto alle associazioni, ai gruppi di interesse e ai comitati di cittadini espressivi di un tipo di partecipazione attiva ma responsabile; il che potrebbe segnare anche un innalzamento della qualità del nostro dibattito pubblico

Il caso francese di una governance dal basso del riordino delle autonomie locali

Loi n. 2014 - 58, du 27 janvier 2014 de «Modernisation de l’action publique territoriale et d’affirmation

des métropoles» reintegra la clause de compétence générale7 per dipartimenti e regioni (art. 1), ad esso è ora offerta una sede istituzionale, la Conférence territoriale de l’action publique (art. 4). Le negoziazioni, condotte dalle collettività c.d. capo - fila (art. 3) e recepite in apposite conventions territoriales (art. 4), coinvolgeranno non più soltanto i dipartimenti e le regioni, ma saranno estese anche ai comuni e allo stesso Stato. Hanno così sostituito la consueta idea di un intervento legislativo che procede dall’alto ed unilateralmente al riordino delle competenze, con meccanismi concertativi e negoziali, che rimettono all’“intelligenza dei territori” la determinazione del nuovo assetto amministrativo.

7 Per effetto della clause générale de compétence comuni, dipartimenti e regioni possono intervenire con

propria deliberazione su qualsiasi materia, ogni qualvolta emerga un interesse del rispettivo livello territoriale di rappresentanza, disponendo, in tal senso, di una competenza generale

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MODELLO DI GOVERNO DELLA CITTÀ METROPOLITANA “7. Sono organi della città metropolitana: a) il sindaco metropolitano; b) il consiglio metropolitano; c) la

conferenza metropolitana.” (articolo 1)

La forma di governo metropolitana: rapporti fra Sindaco metropolitano e Consiglio metropolitano Per comprendere se l’ente metropolitano è un ente rappresentativo delle collettività locali va chiarito preliminarmente a quale dei suoi organi è assegnato potere decisionale. Poi si tratterà di verificare se l’organo titolare del potere decisionale sia un organo rappresentativo. Sembra essersi chiarito il rapporto di forza fra sindaco metropolitano e consiglio metropolitano nella direzione di una accentuazione della centralità di quest’ultimo. Si vedano il comma 8 e seguenti dell’articolo 1 della legge: “8. Il sindaco metropolitano rappresenta l'ente, convoca e presiede il consiglio metropolitano e la

conferenza metropolitana, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti;

esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto. Il consiglio metropolitano è l'organo di indirizzo e controllo,

propone alla conferenza lo statuto e le sue modifiche, approva regolamenti, piani e programmi; approva o

adotta ogni altro atto ad esso sottoposto dal sindaco metropolitano; esercita le altre funzioni attribuite

dallo statuto. Su proposta del sindaco metropolitano, il consiglio adotta gli schemi di bilancio da sottoporre

al parere della conferenza metropolitana. A seguito del parere espresso dalla conferenza metropolitana con

i voti che rappresentino almeno un terzo dei comuni compresi nella città metropolitana e la maggioranza

della popolazione complessivamente residente, il consiglio approva in via definitiva i bilanci dell'ente. La

conferenza metropolitana ha poteri propositivi e consultivi, secondo quanto disposto dallo statuto, nonché i

poteri di cui al comma 9.”

9. La conferenza metropolitana adotta o respinge lo statuto e le sue modifiche proposti dal consiglio

metropolitano con i voti che rappresentino almeno un terzo dei comuni compresi nella città metropolitana e

la maggioranza della popolazione complessivamente residente.

10. Nel rispetto della presente legge lo statuto stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione

dell'ente, ivi comprese le attribuzioni degli organi nonché l'articolazione delle loro competenze, fermo

restando quanto disposto dai commi 8 e 9.

11. Oltre alle materie di cui al comma 10, lo statuto:

a) regola le modalità e gli strumenti di coordinamento dell'azione complessiva di governo del territorio

metropolitano;

15. Entro il 12 ottobre 2014 si svolgono le elezioni del consiglio metropolitano, indette dal sindaco del

comune capoluogo, e si insediano il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana. Entro il 31

dicembre 2014 la conferenza metropolitana approva lo statuto.”

Il problema della eleggibilità diretta degli organi della Città Metropolitana

Vediamo i commi da 19 e seguenti dell’articolo 1 della legge 56/2014 “19. Il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo.

20. Il consiglio metropolitano è composto dal sindaco metropolitano e da:

b) diciotto consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 800.000 e

inferiore o pari a 3 milioni di abitanti;

22. Lo statuto della città metropolitana può prevedere l'elezione diretta del sindaco e del consiglio

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metropolitano con il sistema elettorale che sarà determinato con legge statale E' inoltre

condizione necessaria, affinché si possa far luogo a elezione del sindaco e del consiglio

metropolitano a suffragio universale, che entro la data di indizione delle elezioni si sia proceduto

ad articolare il territorio del comune capoluogo in più comuni. A tal fine il comune capoluogo deve

proporre la predetta articolazione territoriale, con deliberazione del consiglio comunale, adottata

secondo la procedura prevista dall'articolo 6, comma 4, del testo unico8. La proposta del consiglio

comunale deve essere sottoposta a referendum tra tutti i cittadini della città metropolitana, da

effettuare sulla base delle rispettive leggi regionali, e deve essere approvata dalla maggioranza dei

partecipanti al voto. E' altresì necessario che la regione abbia provveduto con propria legge

all'istituzione dei nuovi comuni e alla loro denominazione ai sensi dell'articolo 133 della

Costituzione. In alternativa a quanto previsto dai periodi precedenti, per le sole città metropolitane

con popolazione superiore a tre milioni di abitanti, è condizione necessaria, affinché si possa far

luogo ad elezione del sindaco e del consiglio metropolitano a suffragio universale, che lo statuto

della città metropolitana preveda la costituzione di zone omogenee, ai sensi del comma 11, lettera

c), e che il comune capoluogo abbia realizzato la ripartizione del proprio territorio in zone dotate di

autonomia amministrativa, in coerenza con lo statuto della città metropolitana.

25. Il consiglio metropolitano è eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della città

metropolitana.

40. Il sindaco metropolitano può nominare un vicesindaco, scelto tra i consiglieri metropolitani,

stabilendo le eventuali funzioni a lui delegate e dandone immediata comunicazione al consiglio. Il

vicesindaco esercita le funzioni del sindaco in ogni caso in cui questi ne sia impedito. Qualora il

sindaco metropolitano cessi dalla carica per cessazione dalla titolarità dell'incarico di sindaco del

proprio comune, il vicesindaco rimane in carica fino all'insediamento del nuovo sindaco

metropolitano.

41. Il sindaco metropolitano può altresì assegnare deleghe a consiglieri metropolitani, nel rispetto

del principio di collegialità, secondo le modalità e nei limiti stabiliti dallo statuto.

42. La conferenza metropolitana è composta dal sindaco metropolitano, che la convoca e la

presiede, e dai sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana.”

La Corte costituzionale con sentenza 50/2015 ha legittimato il c.d sindaco di diritto ex comma 19 articolo 1 della legge 56/2014, con l’affermazione secondo cui quella del sindaco di diritto “rappresenta una semplice previsione di prima attuazione della riforma.” In realtà secondo i ricorsi regionali essa costituisce una scelta stabile derogabile per le città metropolitane sotto i 3 milioni di abitanti con una procedura molto complicata e praticamente inapplicabile Infatti ben cinque dei sette statuti sinora approvati mantenga no la soluzione del sindaco di diritto (Torino, Genova, Bologna, Firenze, Bari). Così un Sindaco con poteri non molto diversi dai Sindaci ordinari ex articolo 50 Tuel viene nominato di diritto Questo in un ente che svolge funzioni, come vedremo a breve, che hanno inevitabilmente carattere politico amministrativo per non parlare delle funzioni delle province acquisite ex lege Peraltro l’organo diciamo deputato a rappresentare le diverse articolazioni della comunità locale dei comuni aderenti è quello con meno poteri (si veda articolo 19 statuto CM Genova) e cioè la conferenza metropolitana: l’organo assembleare che riunisce tutti i sindaci del territorio,

8 “4. Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati.

Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta

giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri

assegnati. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle modifiche statutarie.”

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Soprattutto, non dispone del potere di sanzionare con un voto di sfiducia l’operato degli altri due organi. Ma neppure supplisce il consiglio metropolitano9. Peraltro come sottolineato da ampia e autorevole dottrina, nell’impianto della legge, non rimane nemmeno chiaro cosa possa succedere in caso di blocco del processo decisionale, dovuta all’insorgere di un insanabile contrasto tra sindaco e consiglio o tra questi e la Conferenza. La Corte Costituzionale (sentenza n. 50/2015) intende dimostrare che, da un lato, l'art. 114 Cost. non prevede la diretta elettività degli organi degli enti territoriali decentrati, e, dall'altro lato, lo stesso art. 114 Cost. non impone la medesima organizzazione per tutti gli enti costitutivi della Repubblica. È stato sottolineato che questo interpretazione della Corte Costituzionale, presa alla lettera, la sentenza n. 50 del 2015 può consentire al la legge dello Stato, disciplinando i principi fondamentali della legislazione elettorale delle Regioni ai sensi dell'art. 122 Cost., di stabilire che i consiglieri regionali siano eletti dai parlamentari; ma ciò sarebbe evidentemente considerata un'evidente lesione dell'autonomia delle Regione rispetto allo Stato. Parimenti, qualora una legge dello Stato stabilisse che i consiglieri comunali fossero eletti dai consiglieri regionali, si rispetterebbe alla lettera quanto indicato nella sentenza della Corte, ma si griderebbe allo scandalo.

9 l ricorso della regione Veneto proponeva l’esempio, al riguardo, delle recenti elezioni del consiglio metropolitano di Milano. Su 134 comuni interessati e 2.056 aventi diritto al voto, i 24 eletti provengono da 14 comuni, la cui popolazione nel complesso è circa metà di quella dell’intera Provincia. Gli elettori insiti in circa metà della popolazione della provincia di Milano, così come i 120 comuni che non hanno ottenuto eletti, quindi, non avranno voce in capitolo nelle scelte che saranno assunte dagli organi di governo della città metropolitana, perché la conferenza metropolitana dispone solo di poteri propositivi e consultivi.

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FUNZIONI CITTÀ METROPOLITANE Di nuovo troviamo sostanzialmente solo: – il piano strategico: uno strumento di coordinamento e di indirizzo, certamente utile, ma che è possibile attivare comunque, come ha dimostrato la recente esperienza realizzata dalla provincia e dal comune di Bologna; – la promozione dello sviluppo, ma totalmente senza risorse; – la pianificazione territoriale generale, non meglio definita, che duplica e rischia di appiattirsi sulla pura pianificazione di coordinamento. Entrando più nel merito ----- vi risparmio le questioni di legittimità costituzionale anche su questo punto peraltro per ora stoppate dalla corte costituzionale con la sentenza del 2015, la Corte Costituzionale, sempre la citata sentenza n. 50 dl 2015, ritiene sia venuto meno l'interesse delle Regioni e si sia così determinato la "cessazione della materia del contendere", soprattutto alla luce dell'Accordo intervenuto tra Stato e Regioni del settembre 2014, Accordo nel quale si sarebbe posto rimedio, secondo la Corte, alla presunta illegittimità costituzionale rilevata dalla Regioni

Le due funzioni di programmazione e pianificazione territoriale della Città Metropolitana

Afferma il comma 44 articolo della legge 56/2014: “44. A valere sulle risorse proprie e trasferite, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica

e comunque nel rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno, alla città metropolitana sono

attribuite le funzioni fondamentali delle province e quelle attribuite alla città metropolitana

nell'ambito del processo di riordino delle funzioni delle province ai sensi dei commi da 85 a 97 del

presente articolo, nonché, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione,

le seguenti funzioni fondamentali:

a) adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio metropolitano,

che costituisce atto di indirizzo per l'ente e per l'esercizio delle funzioni dei comuni e delle unioni di

comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione all'esercizio di funzioni delegate o

assegnate dalle regioni, nel rispetto delle leggi delle regioni nelle materie di loro competenza;

“b) pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e

delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità metropolitana, anche fissando

vincoli e obiettivi all'attività e all'esercizio delle funzioni dei comuni compresi nel territorio

metropolitano;” Queste due funzioni vanno messe in rapporto con la finalita’ generale della istituzione della cm ex comma 210 già esaminata. Si pensi al raccordo tra la finalità generale del comma 2 la funzione ex comma 44 sul piano strategico che è atto di indirizzo e presuppone una idea di sviluppo del territorio metropolitano (si veda anche la lettera e) del comma 44) che non può essere imposto ai comuni se non per scelta volontaria. Eppure la norma lega il piano strategico al territorio e non alla comunità e neppure i territori al plurale secondo una logica quantitativa e monotematica del territorio quindi potenzialmente conservatrice. Promuovo quello che c’è a portata di mano a prescindere da una valutazione del passato.

10 “cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e gestione integrata dei servizi, delle

infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città metropolitana; cura delle relazioni istituzionali

afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee.”

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Dunque, compito della città metropolitana è assicurare lo sviluppo del suo territorio anche al di là, e oltre, le esigenze della comunità che vi risiede. In questo modo L’accento va dunque messo non sulla parola territorio, ma sulla parola “sviluppo” senza se e senza ma e forse anche senza un come mai….. Allo stesso tempo, diventa del tutto coerente col quadro complessivo che alla città metropolitana sia affidata anche la promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione. Si tratta, infatti, di attività che sono di interesse della città metropolitana nella misura in cui sono essenziali al progetto di sviluppo che essa intende perseguire nell’ambito del suo territorio Per la presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica “il piano della Città Metropolitana, territoriale e

strategico, può superare le criticità che hanno reso inefficace la pianificazione provinciale, se si

abbandonerà un ruolo di mera mediazione e di controllo fra livelli, assumendo invece una connotazione

efficace in termini di azioni e politiche non separate, monitorabili e adeguate alle differenze di contesto:

interventi per il riequilibrio insediativo e la modernizzazione infrastrutturale e di rete, materiale e

immateriale, politiche abitative, per l’impresa e i servizi, azioni di difesa dei suoli e di protezione del

paesaggio e dei beni culturali, creazione di nuovi paesaggi per il domani”

Il piano strategico nella legge Del Rio ha natura di atto amministrativo generale ad amplissima discrezionalità e perciò motivato pubblicabile e giustiziabile Essendo triennale non ha durata inderteminata ed assomiglia più al piano triennale delle opere pubbliche, il piano territoriale hanno durata indeterminata in quanto contengono previsioni strategiche nell’uso del territorio. Il piano strategico può introdurre priorità locali per singoli o gruppi di comuni (PILS) Nella legge statale mancano priorità di sostenibilità nei contenuti del piano strategico ed anche la legge regionale non è per nulla chiara sul punto. La VAS? Lo statuto della Città Metropolitana di Genova all’articolo 9 si limita sostanzialmente a riprodurre

quanto stabilito dalla legge statale sulla pianificazione strategica non (articolo 911), qualche

riferimento di principio c’è nell’articolo 512 sulle finalità della Città Metropolitana. Le legge regionale ligure non chiarisce neppure il contenuto del Piano territoriale della Città Metropolitana. Il Piano territoriale nella legge statale ha valenza di piano generale che in dottrina significa che si occupa della generalità degli interessi pubblici conformativo del territorio non delle proprietà… quindi andrebbe meglio definito il rapporto tra questo Piano e i piani comunali.

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Articolo 93 Pianificazione strategica “1. Il Consiglio metropolitano adotta, su proposta del Sindaco metropolitano,

sentita la Conferenza metropolitana, il piano strategico metropolitano come atto di indirizzo per l’Ente. 2. Il piano

strategico del territorio e della comunità metropolitana costituisce, alla luce delle previsioni delle linee

programmatiche del Sindaco Metropolitano, l’atto fondamentale di indirizzo dell’azione della Città Metropolitana. 3.

La Città metropolitana assicura la partecipazione dei Comuni e delle Unioni di comuni, alla formazione e

all’aggiornamento del piano strategico mediante apposite conferenze di programmazione nonché mediante

l’acquisizione del parere della Conferenza metropolitana. 4. Nel piano strategico si definiscono gli obiettivi generali,

settoriali e trasversali di sviluppo nel medio e lungo termine per l'area metropolitana, individuando le priorità di

intervento, le risorse necessarie al loro perseguimento e il metodo di attuazione.” 12

“2. L’azione della Città metropolitana è finalizzata all’accrescimento dei valori identitari, socioeconomici, culturali,

paesaggistici e ambientali, al conseguimento di migliori condizioni di vita e di maggiore sicurezza delle comunità e dei

singoli rispetto ai rischi idrogeologici, anche con riguardo alle nuove esigenze di integrazione sociale e di adattamento

ai cambiamenti climatici, mirando quindi ad incrementare la resilienza dell’intera area metropolitana. 3. Valorizza la

dimensione marittimo-portuale, perseguendo al tempo stesso il superamento degli squilibri tra costa ed entroterra.”

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Le altre funzioni della Città Metropolitana ex comma 44 articolo 1 legge 56/2014

“c) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi

pubblici di interesse generale di ambito metropolitano. D'intesa con i comuni interessati la città

metropolitana può esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione

appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure

selettive;

d) mobilità e viabilità, anche assicurando la compatibilità e la coerenza della pianificazione

urbanistica comunale nell'ambito metropolitano;

e) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, anche assicurando sostegno e

supporto alle attività economiche e di ricerca innovative e coerenti con la vocazione della città

metropolitana come delineata nel piano strategico del territorio di cui alla lettera a);”

f) promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito

metropolitano.”

In termini amministrativi iniziative preordinate al sostegno alle imprese, all’attrazione degli investimenti, alle politiche del turismo, alle iniziative formative, agli incentivi alla produzione, al coordinamento ed all’integrazione delle politiche sociali dei comuni compresi nel territorio metropolitano.

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CITTA’ METROPOLITANA COME ISTITUZIONE DI ATTIVAZIONE DI STRUMENTI DI GESTIONE AMMINISTRATIVA INTEGRATI

Nuovi strumenti di Pianificazione-Programmazione che realizzino il raccordo tra Pianificazione Ambientale-Pianificazione Territoriale-Programmazione Regionale Trasformare il Piano Strategico al di la della denominazione in un Piano per lo sviluppo sostenibile dei territori della città metropolitana. Qui si tracciano solo le linee generali di un obiettivo ovviamente da approfondire si a livello di normativa regionale che recepisce la legge 56/2014 (vedi ad esempio per la Liguria la LR 15/2015 e smi). Intanto occorre prevedere la predisposizione di un Rapporto sullo Sviluppo Sostenibile che svolga un vero e proprio audit sullo stato della programmazione e pianificazione nel territorio della Provincia di Genova a tutti i livelli: regione, provincia, comune a cominciare dallo stato della pianificazione della ex Provincia. Il Piano per lo sviluppo sostenibile elaborato sulla base del suddetto Rapporto sullo Sviluppo Sostenibile dovrebbe comprendere i seguenti obiettivi: A) lettura territoriale, e non di pura ripartizione di spesa, delle esigenze ambientali della Città Metropolitana; B) lettura ambientale dei Piani di Sviluppo ex Fondi Strutturali e di tutti gli strumenti di finanziamento regionali con ricadute ambientali anche indirette sul territorio della città Metropolitana; C) predisposizione di direttive di coordinamento tra strumenti tradizionali di Pianificazione Territoriale e Programmazione subregionale da un lato con gli strumenti di Pianificazione a rilevanza ambientale di settore (Rifiuti, Energia, Bacino etc.) compresa la problematica delle industrie a rischio di incidente rilevante vedi controllo di urbanizzazione D) direttive sulla gestione integrata dei servizi pubblici (acqua, rifiuti, trasporti in primis) E) predisposizione di direttive per l’accesso e l’utilizzo di strumenti di finanziamento disciplinati dalla vigente legislazione comunitaria, regionale a favore delle imprese e dell’occupazione al fine di raggiungere gli obiettivi e le finalità definite nel Documento per lo sviluppo sostenible: E1) sviluppo sostenibile volto ad assicurare occasioni di lavoro a tempo indeterminato per tutti i cittadini e a salvaguardare i diritti delle generazioni presenti e future a fruire delle risorse del territorio; E2) del ruolo attivo del pubblico nel governo delle politiche attive del lavoro e dei servizi di avviamento al lavoro E3) di un mercato del lavoro trasparente e democratico contro la sua precarizzazzione e flessibilizzazione selvaggia E4) della promozione di politiche del lavoro atte a favorire la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario E5) del partenariato locale nella programmazione regionale E6) dell’integrazione tra funzioni di formazioni professionale e politiche del lavoro basate sulla qualità e la sostenibilità dello sviluppo- E7) della promozione della cooperazione sociale e del settore no-profit E8) una politica degli incentivi che favorisca la qualità del prodotto a tutela del consumatore Il Piano per lo sviluppo sostenibile della Città Metropolitana potrebbe essere attuato con Programmi integrati di sviluppo locale (PILS)coinvolgendo i Comuni per aree omogenee, costituite ai sensi della legge Del Rio (vedi articolo 31 Statuto Città Metropolitana di Genova) ma secondo le direttive del Piano stesso, attraverso Conferenze di Programmazione

I PISL sono selezionati secondo i seguenti criteri: a) esistenza di vocazioni ambientali e di risorse sul territorio; b) attivazione di iniziative locali coerenti con le risorse del territorio;

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c) esistenza di livelli elevati di disoccupazione; d) valenze locali e processi di deindustrializzazione; e) esistenza di problemi ambientali gravi con priorità per le zone ad alto rischio ambientale, a rischio di incidente industriale, nonchè per le aree con superamenti sistematici di soglie di attenzione e di allarme previste dalla normativa sull’inquinamento atmosferico; f) definizione di progetti di ricerca applicata innovativa ; g) esistenza di soggetti disponibili al partenariato; h) esistenza di finanziamenti dell’Unione Europea.

Politiche integrate a livello territoriale e ambientale e di prevenzione della salute

Come si evince anche dalla legge regionale ligure n. 15 del 2015 restano alla Città Metropolitana competenze ambientali rilevanti anche in relazione ai poteri autorizzatori (ex tu ambiente: DLgs 152/2006 1. Autorizzazioni integrate ambientali 2. autorizzazione impianti rifiuti 3. autorizzazione emissioni impianti industriali 4. autorizzazione unica ambientale

Il ruolo di integrazione della Città Metropolitane nasce proprio dalla natura di ente di area vasta intesa non nella logica efficientista e sviluppista vista in precedenza ma come occasione per ridefinire l’uso del territorio secondo parametri di sostenibilità attuati da strutture e procedure innovative. Si pensi alla creazione di Dipartimenti per la Pianificazione Ambientale coinvolgendo settori urbanistica e ambiente della Città Metropolitana ma anche enti di controllo e prevenzione come Arpal ed Asl (Dipartimenti provinciali) con appositi Accordi di Programma e Procedimentali e quindi con il coinvolgimento anche della Regione, che favoriscano l’integrazione dell’ambiente nelle istruttorie di pianificazione e programmazione oltre che l’applicazione di strumenti innovativi Ad esempio…..

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1. L’INTEGRAZIONE degli strumenti di controllo strategico dell’ente pubblico con strumenti di contabilità ambientale

La contabilità ambientale fisica si concretizza nella realizzazione di sistemi di informazioni basati su dati ambientali e fisici capaci di: Descrivere lo stato dell’ambiente Individuare le criticità ambientali Identificare gli elementi alla base delle criticità Quantificare gli impatti ambientali delle attività umane Sono strumenti di contabilità ambientale fisica del territorio: Gli indicatori ambientali L’impronta ecologica Il bilancio ambientale L’analisi dei flussi di materia L’analisi eMergetica

La contabilità ambientale monetaria riguarda un’area molto vasta di interventi che comprende sia l’elaborazione di bilanci territoriali corretti o corredati da dati/indicatori relativi alla sostenibilità dello sviluppo sia la valutazione economica dei beni ambientali. Rientrano nella prima area di intervento le diverse modalità di raccolta delle informazioni economiche sull’ambiente utili a monitorare la spesa pubblica e le politiche di intervento ambientali (es. conto satellite EPEA). La seconda area di intervento riguarda le metodologie utilizzate per attribuire un valore monetario ad un bene ambientale, tra cui: Metodi indiretti che comprendono il metodo del prezzo edonico e del costo del viaggio Metodi diretti o di valutazione contingente Per entrambe le categorie non è stato ancora trovato consenso metodologico, oltre al fatto che in molti criticano in partenza l’idea che alla natura venga attribuito un valore monetario.

Utilità della contabilità fisica La contabilità fisica serve a: Descrivere e quantificare le interazioni tra economia e ambiente in termini di flussi fisici di risorse naturali, prodotti e residui Descrivere e quantificare le interazioni tra economia e ambiente in termini di stock di risorse naturali presenti nell’ambiente Fornire ai decisori degli indici sintetici dell’impatto ambientale causato dalle attività economiche su un territorio o su una risorsa naturale Utilità della contabilità monetaria La contabilità monetaria serve a: Quantificare le transazioni economiche connesse all’ambiente e quindi riorganizzare i bilanci economici tradizionali in tal senso Valutare in termini monetari il danno ambientale che consegue dall’uso quantitativo e qualitativo delle risorse naturali

2. LA SISTEMATIZZAZIONE DELLE procedure autorizzatorie con sistemi di contabilità ambientale di area secondo le migliori indicazioni che emergono dall’attuazione: • della Convenzione di Aarhus, • della direttiva sull’accesso alle informazioni ambientali, • del Protocollo di Kiev sull’attività di reporting ambientale di impresa e di area e sui nuovi registri per le

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emissioni inquinanti e i loro trasferimenti (PRTR)

Ciò potrà servire per autorizzare non solo le attività e gli impianti compatibili con la normativa di settore o con gli strumenti di pianificazione territoriale e di programmazione SETTORIALI come è avvenuto con i risultati che sappiamo, ma anche tenendo conto degli impatti cumulativi e della specificità ambientale e sanitaria di un dato territorio come definite nel Piano Strategico e nel Piano Territoriale

3. In particolare: Il passaggio dalla informazione per l’accesso alla informazione strategica Come é noto grazie alla normativa sull’accesso alle informazioni ambientali sull’accesso civico l’informazione e la conoscenza: • non sono più solo propedeutiche al rispetto della legge e degli obblighi da essa derivanti • ma costituiscono strumenti affinché i cittadini partecipino alla formazione delle decisioni della p.a. e non ne vengano semplicemente messi a conoscenza ex post. in tal senso si parla di informazione strategica perché finalizzata alla promozione della

conoscenza complessiva dello stato ambientale e sanitario di un territorio e quindi alla partecipazione alle scelte strategiche sullo stesso.

Ciò trova conferma a livello normativo: 1. nella direttiva sulla accesso alle informazioni ambientali che prevede un impegno alla pubblicazione periodica di rapporti sullo stato dell’ambiente da parte delle diverse articolazioni istituzionali degli stati membri (articolo 7) nonché di una informazione preventiva al cittadino anche non richiedente (articolo 7 paragrafi 3 e 4) 2. Nella normativa IPPC (si pensi alla cosiddetta comunicazione per gli impianti soggetti ad autorizzazione unica ambientale) al fine della costituzione del registro europeo delle emissioni dagli impianti IPPC ex direttiva 96/61/CEE) utilizzabile per costituire banche dati a livello locale con due funzioni: • da un lato favorire la programmazione di controlli ambientali in chiave ecosistemica e non solo di singoli impianti • dall’altro favorire la conoscenza da parte del pubblico dello stato dell’ambiente e delle emissioni inquinanti complessivo di un territorio.

3. nel Protocollo di Kiev del 21/5/2003. E’ in attuazione di quanto previsto dalla Dichiarazione di Lucca

(Primo Incontro delle Parti della Convenzione di Aarhus (MOP1) a Lucca dal 21 al 23 ottobre 2002) secondo cui. “i Registri per le emissioni inquinanti e i loro trasferimenti (PRTR) forniscano un importante meccanismo per accrescere la responsabilità delle imprese, ridurre l'inquinamento e promuovere lo sviluppo sostenibile. Ci impegneremo pertanto a pervenire all'adozione di un protocollo efficace alla conferenza ministeriale di Kiev, a dargli attuazione, e, nella misura appropriata, al suo ulteriore sviluppo in vista della promozione di efficaci sistemi di PRTR “. Il protocollo è stato approvato il 21/5/2003 a Kiev nel corso della quinta Conferenza ministeriale “Ambiente per l’Europa”, nel cui ambito si è tenuta una Conferenza straordinaria delle Parti della Convenzione di Aarhus. Sulla base del nuovo protocollo ogni parte deve istituire un catasto delle emissioni accessibile al pubblico sulla base di un reporting obbligatorio (con 86 voci di sostanze pericolose per salute e ambiente (Allegato II al Protocollo) vedi normativa IPPC ne prevede 50 voci). L’Eper (ex direttiva IPPC) prevede una aggregazione dati per Paese, settore, complesso industriale, inquinante, bersaglio ambientale. Il registro introdotto dal Protocollo di Kiev invece per impianto, area geografica, attività, proprietario o gestore e impresa, inquinante o rifiuto, comparto ambientale in cui l’inquinante è rilasciato, fonti diffuse contemplate. Nello spirito sotteso alla Convenzione di Aarhus il Protocollo prevede, la partecipazione del pubblico alla realizzazione dei registri nazionali: ciascuna Parte (Stato aderente alla Convenzione) offre al pubblico la possibilità di presentare commenti informazioni, analisi o pareri pertinenti ai fini del processo decisionale, tenendo in debita considerazione il contributo anche in sede di modifica del registro.

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4. Nuovo sistema dei controlli pubblici AMBIENTALI In questo campo occorre riprendere, adeguandoli alle diverse realtà locali, gli indirizzi della Raccomandazione UE 2001/331/CE. Secondo questa Raccomandazione, la pianificazione dei controlli ambientali (a più livelli: nazionale, regionale e locale) dovrà svolgersi seguendo i seguenti criteri di riferimento: - prescrizioni della normativa comunitaria - registro degli impianti controllati nell’area del piano di controllo - valutazione stato ambiente dell’area del Piano - valutazione osservazioni prescrizioni da parte degli impianti controllati - pianificare i controlli per ecosistemi o sistemi ambientali integrati - pianificare i controlli partendo dalla registrazione degli impianti e attività presenti in un’area accompagnati dalla valutazione dei problemi ambientali dell’area interessata. - introdurre la prevenzione sanitaria sulle procedure di controllo anche tenuto conto di adeguate indagini epidemiologiche. - avviare procedure straordinarie di controllo per i casi limite come ad es. casi di siti di bonifica nazionale o comunque a inquinamento diffuso o da fonti diversificate e /osu area vasta. Non a caso la stessa. l ruolo fondamentale delle ARPA non doveva consistere soltanto nell’organizzare un efficace sistema di controlli ambientali ma anche di: - contribuire allo sviluppo di migliori strategie per integrare l’ambiente nelle altre politiche regionali - promozione dello sviluppo di azioni atte a promuovere la consapevolezza ed il mutamento dei comportamenti delle attività produttive e dei consumatori per realizzare livelli più sostenibili di produzione e consumo - integrare la propria azione con eventuali Agenzie locali di garanzia o di promozione dello sviluppo sostenibile 5. Autorizzazione Ambientali e Principio di Migliore Tecnologica Disponibile13 Occorre introdurre il criterio della MTD tra i parametri per valutare la selezione dei contenuti sia del Piano Strategico che dei Piani Locali di attuazione come in precedenza definiti, intanto valutando al momento della elaborazione del citato Rapporto sullo sviluppo sostenibile dell’area di competenza della Città Metropolitano se: - Esistono politiche di sostegno (sia in termini finanziari che di semplificazione dei procedimenti autorizzatori) alla imprese e/o attività che promuovendo l’innovazione tecnologica promuovano l’anticipazione di obiettivi di sostenibilità previste dalla normativa comunitaria e nazionale nonché dalle migliori esperienze gestionali

13 vedi ( anche con riferimento al criterio n. 5 ) articolo 8 dlgs 259/2005 sul rapporto tra specificità del sito – autorizzazione integrata e

norma di qualità ambientale per cui se, a seguito di una valutazione dell'autorità competente, che tenga conto di tutte le emissioni coinvolte, risultasse necessario applicare ad impianti, localizzati in una determinata area, misure più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualità ambientale, l'autorità competente può prescrivere nelle autorizzazioni integrate misure supplementari particolari più rigorose, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per rispettare le norme di qualità ambientale.Si ricorda che per norma di qualità ambientale si intende la serie di requisiti, inclusi gli obiettivi di qualità, che sussistono in un dato momento in un determinato ambiente o in una specifica parte di esso, come stabilito nella normativa vigente in materia ambientale.

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- Esistono normative e/o politiche che valorizzano l’integrazione tra il principio di MTD quello di specificità del sito e di norma di qualità ambientale come emerge dalla disciplina dell’AIA ex Dlgs 152/2006 e smi; - Esistono protocolli operativi tra gli uffici e settori titolari di funzioni di amministrazione attiva ed i centri nazionali ed europei che si occupano di trasferimenti delle tecnologie ambientali, di analisi/valutazione/promozione della evoluzione delle MTD. Protocolli finalizzati ad elaborare politiche strategiche di riorganizzazione e aggiornamento della normativa, delle procedure amministrative, dello svolgimento delle istruttorie tecniche al fine di adeguarle alla evoluzione delle MTD e delle procedure tecnico amministrative per applicarle nelle decisioni di tipo politico amministrativo

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RAPPORTO REGIONI CITTA’ METROPOLITANE L’esistenza della città metropolitana non ha diretta incidenza sulle competenze, funzioni e ruolo della regione, salvo che per quanto riguarda le funzioni fondamentali ad essa assegnate l. n. 56 in base all’art. 117, comma secondo, Cost., che costituiscono un ovvio limite al potere legislativo regionale Peraltro la Regione mantiene poteri legislativi che ovviamente la Città Metropolitana non ha.

Resta però anche alla luce delle interpretazioni della sentenza della Corte Costituzionale sulla Città Metropolitana come ente addirittura di natura “sovranazionale” esaminate in precedenza, la necessità di creare momenti di coordinamento anche istituzionali sia nella fase di avvio della nuova Città Metropolitana che a regime. Ciò assume un ulteriore necessità di coordinamento per l’attuazione degli indirizzi applicativi innovativi degli strumenti di programmazione pianificazione e autorizzatori come delineato in questa relazione nel capitolo precedente. Insomma come affermato da ampio e autorevole dottrina nei rapporti tra Regione e Città Metropolitana non ha però molto senso cercare di definire una sorta di gerarchia fra i vari livelli per quanto riguarda le scelte strategiche. Non si tratta di un problema di gerarchia, ma di un’evidente necessità di coordinamento in ordine a quella che, prima ancora di essere un insieme di funzioni, è una finalità essenziale e, per sua natura, comune tanto alla città metropolitana quanto alla regione e allo Stato, vale a dire: lo sviluppo del Paese. Non è dunque sufficiente che i rapporti tra città metropolitana e regione siano ispirati a quei principi di leale collaborazione che la Corte ha da tempo considerati essenziali fra tutti i livelli di governo che compongono la Repubblica. È necessario pensare anche a forme nuove di raccordo fra città metropolitana e regione attualmente inesistenti (VEDI OSSERVATORI REGIONALI) Si tratta di un’esigenza alla quale le leggi regionali possono,già oggi, dare risposta (si vedano Legge Toscana ma anche Legge Emilia Romagna14).

14 LA LEGGE EMILIA ROMAGNA LEGGE REGIONALE 30 luglio 2015, n. 13: Art. 5 Ruolo e funzioni per il governo dell'area vasta metropolitana di Bologna. Intesa generale quadro Regione - Città metropolitana di Bologna http://demetra.regione.emilia-romagna.it/al/monitor.php?vi=all&dl=e8700a0b-44c5-0339-7dbd-55bb5a386a09&dl_t=text/xml&dl_a=y&dl_id=10&pr=idx,0;artic,0;articparziale,1&anc=tit1

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LA QUESTIONE DELLE RISORSE

Lo stato delle spese entrate delle città metropolitane: uno studio Irpet del 2016

Sulla base delle informazioni oggi disponibili, tutte le città metropolitane si troverebbero nella condizione di non poter garantire con le proprie entrate neanche lo svolgimento delle funzioni fondamentali attribuite.

No a prelievi forzosi senza riordinare le funzioni ma semplicemente spostandole – no al finanziamento della copertura del deficit statal spostando risorse dal locale al centro

Nessuna disposizione della Costituzione vigente consente allo Stato di perseguire l'obiettivo del proprio equilibrio di bilancio ai sensi dell'art. 81, primo comma, Cost., mediante risorse tratte forzosamente dai bilanci delle autonomie territoriali, e dunque a danno di queste ultime alle quali è parimenti imposto il perseguimento dell'equilibrio dei rispettivi bilanci dall'art. 119, primo comma, Cost

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Gli enti territoriali, infatti, devono sì concorrere all'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea - come prescrive lo stesso art. 119, primo comma Cost. -, ma pur sempre nell'esercizio della rispettiva "autonomia finanziaria di entrata e di spesa" costituzionalmente garantita. Allo Stato, in altre parole, compete oggi la sola competenza sulla " armonizzazione dei bilanci" pubblici (art. 117, secondo comma, lett. e, Cost.), competenza che non può certo estendersi sino al punto da sottrarre a proprio favore risorse finanziarie dai bilanci delle autonomi e territoriali mediante disposizioni legislative statali che impongano un trasferimento diretto e forzoso.

Si veda la sentenza della Corte Costituzionale 24 luglio 2015 n. 188 che ha dichiarato illegittime alcune norme della Regione Piemonte le quali, in sede di bilancio di previsione, hanno previsto una notevole riduzione – del 50% rispetto all’anno precedente – degli stanziamenti destinati alle Province, pregiudicando lo svolgimento delle relative funzioni, che sono rimaste invariate, nell’assunto (non espresso) che le Province siano ormai quasi defunte. Ha osservato la Corte che dette norme della Regione Piemonte collidono con il principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. che, nel caso in questione, costituisce uno sviluppo del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Infatti, una dotazione finanziaria così radicalmente ridotta, non accompagnata da proposte di riorganizzazione dei servizi o da eventuale riallocazione delle funzioni a suo tempo trasferite, comporta una lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di

cui all'art. 97 Cost.

Risorse comunitarie per città metropolitane

Stralcio dallo studio Irpet dl 2016: “Programma operativo plurifondo nazionale, il PON “Città Metropolitane 2014-2020”, rivolto alle principali

aree urbane che conta su una dotazione finanziaria di 892 milioni di euro. Di questi, 588 provengono da

risorse comunitarie in particolare 466 dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e 142 dal Fondo

sociale europeo (Fse) a cui si aggiungono 304 milioni di euro di cofinanziamento nazionale. Il programma è

rivolto a quattordici città metropolitane, le dieci istituite dalla Delrio a cui si sommano le quattro della

regioni a statuto speciale ovvero Cagliari, Catania, Messina e Palermo. Tornando al PON Metro,

l’articolazione finanziaria di questo fondo dovrebbe essere così articolata: 40 milioni di euro per ciascuna

città del centro-nord e circa 90 milioni di euro per le città del mezzogiorno. In sostanza le sfide che il

programma individua come prioritarie per le aree urbane del Paese sono la sfida economica, con

riferimento alla necessità di sostenere le istanze di sviluppo; la sfida ambientale e climatica declinata in

termini di efficientamento energetico e mobilità sostenibile; il contrasto al disagio sociale e abitativo. In

altri termini i due pilastri che sostanziano le politiche a sostegno delle città sono da un lato i temi che fanno

riferimento alla smart city e dall’altro all’innovazione sociale. Le risorse del PON metro prevedono anche

una ulteriore articolazione in quattro assi: 1) Agenda digitale metropolitana; 2) Sostenibilità dei servizi e

della mobilità urbana; 3) Servizi per l’inclusione sociale; 4) Infrastrutture per l’inclusione sociale.

Le azioni che fanno riferimento all’asse 2 sono 4: il rinnovo di infrastrutture pubbliche sul piano

dell’efficienza energetica, progetti dimostrativi e misure di sostegno; infrastrutture e promozione di

trasporti urbani puliti; sistemi di trasporto intelligenti (compresi l’introduzione della gestione della

domanda, i sistemi di pedaggio, il monitoraggio informatico e i sistemi di informazione e controllo); piste

ciclabili e percorsi pedonali.

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Imposta diritti di imbarco (da introdurre ex novo)Dallo studio Irpet:

Dallo studio di VOCE.IT In definitiva, per far quadrare i conti le città metropolitane si troveranno nella condizione di contenere le spese e quindi, di fatto, nell’impossibilità di svolgere il ruolo lL’alternativa è potenziarne l’autonomia finanziaria attraverso l’istituzione di un tributo il cui gettito sia destinato, in parte o interamente, ai singoli enti. Sono state già avanzate diverse ipotesi: dalla rinegoziazione dei mutui, all’imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili, ma tra le più accreditate c’è sicuramente quella relativa all’addizionale sui diritti di imbarco portuali e aeroportuali, la cui applicazione potrebbe consegnare alle città metropolitane circa

Fonte: stime su dati Istat L’imposta di imbarco può certo rappresentare una fonte di gettito da destinare allo sviluppo delle città metropolitane, ma non mancano le criticità. In primo luogo, aumenterebbe il livello di pressione fiscale complessivo, anche se si potrebbero prevedere forme di esclusione per la popolazione residente nelle singole città. Così come il nuovo tributo non dovrebbe riflettersi negativamente sulla dimensione dei flussi turistici.In secondo luogo, l’imposta può aprire molte discussioni circa eventuali interventi compensativi a favore di comuni esterni alle città metropolitane, ma che hanno nel loro territorio aeroporti o porti importanti. Basta citare l’esempio di Pisa e Livorno che con l’introduzione della nuovaddizionale contribuirebbero al gettito complessivo della città di Firenze e potrebbero aver diritto a una quota di quella entrata.

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(da introdurre ex novo)

In definitiva, per far quadrare i conti le città metropolitane si troveranno nella condizione di contenere le spese e quindi, di fatto, nell’impossibilità di svolgere il ruolo loro assegnato dal legislatore.L’alternativa è potenziarne l’autonomia finanziaria attraverso l’istituzione di un tributo il cui gettito sia destinato, in parte o interamente, ai singoli enti. Sono state già avanzate diverse ipotesi: dalla

ei mutui, all’imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili, ma tra le più accreditate c’è sicuramente quella relativa all’addizionale sui diritti di imbarco portuali e aeroportuali, la cui applicazione potrebbe consegnare alle città metropolitane circa 154 milioni di euro.

L’imposta di imbarco può certo rappresentare una fonte di gettito da destinare allo sviluppo delle città metropolitane, ma non mancano le criticità. In primo luogo, aumenterebbe il livello di

ale complessivo, anche se si potrebbero prevedere forme di esclusione per la popolazione residente nelle singole città. Così come il nuovo tributo non dovrebbe riflettersi negativamente sulla dimensione dei flussi turistici.

aprire molte discussioni circa eventuali interventi compensativi a favore di comuni esterni alle città metropolitane, ma che hanno nel loro territorio aeroporti o porti importanti. Basta citare l’esempio di Pisa e Livorno che con l’introduzione della nuovaddizionale contribuirebbero al gettito complessivo della città di Firenze e potrebbero aver diritto

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In definitiva, per far quadrare i conti le città metropolitane si troveranno nella condizione di contenere le oro assegnato dal legislatore.

L’alternativa è potenziarne l’autonomia finanziaria attraverso l’istituzione di un tributo il cui gettito sia destinato, in parte o interamente, ai singoli enti. Sono state già avanzate diverse ipotesi: dalla

ei mutui, all’imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili, ma tra le più accreditate c’è sicuramente quella relativa all’addizionale sui diritti di imbarco portuali e aeroportuali, la cui applicazione

L’imposta di imbarco può certo rappresentare una fonte di gettito da destinare allo sviluppo delle città metropolitane, ma non mancano le criticità. In primo luogo, aumenterebbe il livello di

ale complessivo, anche se si potrebbero prevedere forme di esclusione per la popolazione residente nelle singole città. Così come il nuovo tributo non dovrebbe riflettersi

aprire molte discussioni circa eventuali interventi compensativi a favore di comuni esterni alle città metropolitane, ma che hanno nel loro territorio aeroporti o porti importanti. Basta citare l’esempio di Pisa e Livorno che con l’introduzione della nuova addizionale contribuirebbero al gettito complessivo della città di Firenze e potrebbero aver diritto

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Altre possibilità di finanziamento delle Città Metropolitane (dallo studio Irpet: stralcio)

La sentenza della Corte Costituzionale sul rapporto tra funzioni della Città Metropolitana e risorse ridotte ex lege nazionale

La sentenza n. 159 /2016 15 si è pronunciata sul ricorso da parte delle Regioni Campania, Lombardia, Puglia e Veneto contro la legge 23 dicembre 2014,n.190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2015) In particolare il ricorso verte sulla questione di legittimità costituzionale dei seguenti commi della suddetta legge che si presenta come attuativa della legge quadro n. 56/2014 analizzata in tutta la parte che precede della presente relazione:

Il comma 421 prevede che la dotazione organica delle Città metropolitane e delle Province delle Regioni a

statuto ordinario, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge medesima, e' ridotta in misura pari al 30 e al 50 per cento della spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge.

Il comma 422 prevede che, tenuto conto del riordino delle funzioni di cui alla legge n. 56 del 2014, venga

individuato - secondo modalità e criteri definiti nell'ambito delle procedure e degli osservatori previsti dall'accordo tra il Governo e le Regioni, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, ai sensi dell'art. 1, comma 91, della legge n. 56 del 2014, concernente l'individuazione delle funzioni di cui al comma 89 dello stesso articolo, oggetto del riordino e delle relative competenze - il personale che rimane assegnato agli enti locali di area vasta (Citta' metropolitane e nuove Province) e quello da destinare alle procedure di mobilita'.

Il comma 423 prevede che, nel contesto delle procedure e degli osservatori di cui all'accordo previsto dall'art.

1, comma 91, della legge n. 56 del 2014, sono determinati (con il supporto delle societa' in house delle amministrazioni centrali competenti) i piani di riassetto organizzativo, economico, finanziario e patrimoniale delle Citta' metropolitane e delle Province e sono, altresi', definite le procedure di mobilita' del personale interessato, i cui criteri sono fissati con il decreto di cui all'art. 30, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), disponendo altresì che il personale destinatario delle procedure di mobilita' e' prioritariamente ricollocato presso

15 http://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-07-13&atto.codiceRedazionale=T-160159

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le Regioni e gli enti locali e in via subordinata, con le modalita' di cui al comma 425, presso le amministrazioni dello Stato.

Il comma 427 prevede che, nelle more della conclusione delle procedure di mobilita' di cui ai commi da 421 a

428, il relativo personale rimane in servizio presso le Citta' metropolitane e le Province, con possibilita' di avvalimento da parte delle Regioni e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che tengano conto del riordino delle funzioni e con oneri a carico dell'ente utilizzatore e che, a conclusione del processo di ricollocazione di cui ai commi da 421 a 425, le Regioni e i Comuni, in caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di affidamento di funzioni alle Citta' metropolitane e alle Province o ad altri enti locali, dispongono contestualmente l'assegnazione del relativo personale con oneri a carico dell'ente delegante o affidante, previa convenzione con gli enti destinatari.

La sentenza al di la delle motivazioni in relazione alle singole questioni di legittimità costituzionali riafferma un principio già esaminato nella sentenza n. 50 del 2015 sulla legge 56/2014. Il principio è che il nodo di fondo della legittimità della nuova legge (attuativa delle 56/2014 in tema di rapporto tra risorse e funzioni assegnate alla nuove Città Metropolitane ma anche alle restanti Province) in quanto, siamo in presenza di una riforma globale delle Province e delle Città metropolitane, per cui gli obblighi che ne derivano non sono comparabili con quelli imposti in un quadro di stabilità dell'assetto istituzionale. Come dire in termini più crudi ma più efficaci: la riforma è troppo ampia e importante per non dover andare in deroga a quelli che sono stati i principi, anche di livello costituzionale, fino ad ora applicati settorialmente sulle relazioni Stato e autonomie locali e regionali. Quindi come vedremo dalle motivazioni della sentenza il ragionamento di fondo della Corte Costituzionale è che la riorganizzazione delle autonomie locali con la creazione delle Città Metropolitane rientrando nella competenza esclusiva dello stato può incidere anche sulle necessità degli equilibri di bilancio nazionali facendo prevalere questi ultimi sul coordinamento tra ricollocazione delle funzioni tra città metropolitane, nuove provincie, comuni e regioni e risorse effettivamente a disposizione per esercitarle con efficienza queste funzioni. Anzi si lascia, sarebbe meglio dire si scarica, sulle magre risorse locali e regionali ogni conseguenza finanziaria sulla riorganizzazione delle suddette funzioni. Come dire, e la Corte lo afferma ad un certo punto in questa sentenza, le Regioni potranno riorganizzare le funzioni locali riconosciute dalla legge 56/2014 e della Costituzione ma solo con proprie risorse perché quello che conta sotto il profilo costituzionale, sempre secondo la Corte è “assicurare l'uniformita' dei nuovi assetti istituzionali.” Che poi questi nuovi assetti siano sostenuti da un esercizio effettivo delle funzioni che li sostanziano è cosa che riguarda il livello regionale e locale! Il riassetto delle funzioni e le relative risorse è stato frutto di una analisi rigorosa e preventiva? Non è un problema per la Corte Costituzionale secondo la quale: “la legge n. 56 del 2014 aveva già direttamente effettuato l'individuazione delle funzioni fondamentali delle Province e di quelle delle Città metropolitane” quindi non c’è nessuna assegnazione aprioristica slegata da una valutazione delle funzioni stesse assegnate. Praticamente un giro di parole come dire le funzioni le ho assegnate come stato quindi se le ho assegnato vuol dire che l’ho fatto con rigore ma questo rigore, anche sotto il profilo della copertura finanziaria, nessuno lo dimostra ovviamente tanto come scrive la Corte in questa sentenza: “le stesse Regioni potranno affidare le funzioni non

fondamentali alle Città metropolitane, alle Province e agli altri enti locali tramite apposite deleghe

e convenzioni, disponendo contestualmente l'assegnazione del relativo personale. In tal modo

viene garantita la possibilità di assegnare le funzioni alla sede istituzionale che si ritiene più

opportuna, sia pure assumendosi l'onere finanziario del personale necessario al loro esercizio”.

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Infatti afferma sempre la Corte le dimensioni generali della riforma: “rendono evidente

l'impossibilità di tener conto di presunte specificità territoriali” Ma molte delle riforme assegnate sono strettamente legate alle specificità territoriali: pensiamo a quelle ambientali o allo stesso Piano Strategico della nuova Città Metropolitana!

Riporto di seguito una sintesi delle principali motivazioni del ricorso delle Regioni e delle motivazioni con le quali la Corte Costituzionale non ha accolto le tesi regionali.

MOTIVI RICORSO REGIONI DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Viene dedotto in primo luogo che la normativa censurata rientrerebbe nella materia «organizzazione amministrativa degli enti locali», affidata alla competenza legislativa residuale delle Regioni, esulando dall'alveo della lettera p) del secondo comma dell'art. 117 Cost., e…..

la legge n. 56 del 2014 all'art. 1 disegna il nuovo assetto degli enti territoriali di area vasta nei suoi aspetti funzionali e organizzativi. Si tratta dunque di una riforma che ha una sua organicità, come riconosciuto nella sentenza n. 50 del 2015 di questa Corte. Si e' quindi ritenuto che un intervento di tal genere non possa che essere riservato a livello normativo statale e che in particolare vada ricondotto alla competenza esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. e, con specifico riferimento alle Città metropolitane, a quella di cui all'art. 114 Cost. Ebbene, non c'e' dubbio che la disciplina del personale costituisca uno dei passaggi fondamentali della riforma, che se ne occupa espressamente nel comma 92 dell'art. 1 della legge n. 56 del 2014. E dunque anche la normativa contenuta nei censurati commi 421 e seguenti dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014, quale passaggio attuativo della riforma, deve farsi rientrare nella stessa competenza esclusiva dello Stato.

in subordine, che, anche a volerla ricondurre alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», travalicherebbe i limiti propri dei principi fondamentali, essendo priva del carattere della transitorietà e comprendendo precetti di dettaglio, con violazione del terzo comma dell'art. 117 Cost.

È vero - come rilevato dalle Regioni - che alla normativa in esame non é estranea anche la finalità del coordinamento della finanza pubblica… Ma da ciò non può desumersi che una riforma di questa portata possa essere ricondotta a tale materia e non - come si e' visto - a quella di gran lunga prevalente degli «organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.

Le Regioni sostengono anzitutto l'irragionevolezza della normativa che ha slegato la riduzione del personale dal riordino delle funzioni perfino in violazione degli indirizzi della legge 56/2014

Alla data di emanazione della normativa censurata, da una parte, il nuovo assetto funzionale era ben lungi dall'essere realizzato e, dall'altra, risultava evidente la molteplicità delle soluzioni previste. Il legislatore statale ha dunque ritenuto necessario intervenire, sia per imprimere una spinta acceleratoria, sia per assicurare l'uniformita' dei nuovi assetti istituzionali. Al riguardo, va anzitutto sottolineato che il legislatore ha scelto di non avvalersi del potere sostitutivo, pure previsto dal comma 95 dell'art. 1 della legge n. 56 del 2014, optando per una soluzione meno invasiva e

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limitandosi a porre dei "paletti" indiretti alla nuova aggregazione delle funzioni, attraverso la distribuzione del personale e della relativa spesa. Ciò indubbiamente ha comportato la riduzione della sfera decisionale delle Regioni rispetto alla disciplina contenuta nella legge n. 56 del 2014 e nel d.P.C.m. 26 settembre 2014, disciplina che peraltro non può certo considerarsi vincolante, come invece sostanzialmente ritengono le ricorrenti. Tuttavia il potere di intervento delle Regioni sulla individuazione delle funzioni non fondamentali e sulla loro allocazione è salvaguardato grazie al disposto del comma 427 dell'art. 1 della legge censurata, secondo il quale, a conclusione del processo di ridistribuzione del personale, le stesse Regioni potranno affidare le funzioni non fondamentali alle Città metropolitane, alle Province e agli altri enti locali tramite apposite deleghe e convenzioni, disponendo contestualmente l'assegnazione del relativo personale. In tal modo viene garantita la possibilità di assegnare le funzioni alla sede istituzionale che si ritiene più opportuna, sia pure assumendosi l'onere finanziario del personale necessario al loro esercizio.

Altro profilo di irragionevolezza viene dedotto dalle ricorrenti in relazione al rischio, che la nuova disciplina comporterebbe, di non corrispondenza tra funzioni e risorse.

la legge n. 56 del 2014 aveva già direttamente effettuato l'individuazione delle funzioni fondamentali delle Province e di quelle delle Città metropolitane. E' dunque, anche sulla base di tale operazione che si é proceduto a quantificare le risorse umane e materiali necessarie per il loro esercizio. Ciò porta ad escludere che vi sia stata, come lamentato dalle Regioni, una riduzione del personale aprioristica e quindi di per sé irragionevole in quanto del tutto slegata dalla valutazione delle funzioni.

assunto che il taglio del personale renderebbe impossibile lo svolgimento delle stesse funzioni

si tratta di una mera affermazione non supportata da alcun dato, a parte quello isolato della Regione Veneto, circa l'entità del personale addetto alle funzioni fondamentali. La Regione, peraltro, indica percentuali fino all'80 per cento, senza però, efficacemente argomentare sulla necessità, in concreto, di un tal numero di dipendenti - invero abnorme - per lo svolgimento delle funzioni fondamentali

censura di violazione dell'art. 118 Cost., secondo cui le Regioni sarebbero costrette a tradire i principi di sussidiarietà e adeguatezza nella riallocazione delle funzioni non fondamentali, perché condizionate dalla dotazione organica che la disciplina impugnata ha cristallizzato.

La tesi tocca implicitamente la ragione di fondo della controversia, poiché l'intervento dello Stato é proprio finalizzato ad evitare che l'utilizzo "ampio" di questi principi porti a conservare in capo agli enti intermedi gran parte - o comunque una porzione notevole - delle funzioni non fondamentali:ciò, infatti, sarebbe contraddittorio rispetto alla prospettiva in cui si muove il legislatore statale, che, come è noto, è quella della soppressione delle Province o quantomeno del loro ridimensionamento. Ma, come si è già avuto modo di rilevare, il legislatore si è anche preoccupato di prevedere un apposito meccanismo,nel citato comma 427, che permette l'allocazione in capo alle

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Province e alle Città metropolitane delle funzioni non fondamentali in attuazione del principio di sussidiarietà e adeguatezza di cui all'art. 118 Cost., sia pure imponendo l'assunzione da parte delle Regioni dei relativi oneri finanziari, a garanzia di un utilizzo del potere nei casi di stretta ed effettiva necessità..

ulteriore censura secondo cui sarebbe irragionevolmente discriminatoria la riduzione in modo indifferenziato della dotazione organica per tutti gli enti coinvolti, e quindi senza tener conto delle diverse realtà territoriali

Le considerazioni finora svolte circa la portata della riforma e la necessità di una disciplina uniforme rendono evidente l'impossibilità di tener conto di presunte specificità territoriali; e ciò vale in particolare per la pretesa della Regione Veneto di un trattamento diversificato per le Regioni "virtuose", per quelle cioè che hanno già "ottimizzato la loro struttura organizzativa", anche considerando che la disciplina in esame non risponde certo a logiche di premialità, legate invece a situazioni naturalmente contingenti.

violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., evocato sotto il profilo del rischio di assorbimento di personale non qualificato

non va dimenticato che l'art. 4 del d.P.C.M. 26 settembre 2014 prevede che le amministrazioni interessate al riordino individuino il personale attenendosi, tra l'altro, al criterio dello svolgimento, in via prevalente, di compiti correlati alle funzioni oggetto di trasferimento. Resta comunque la possibilita' che ad un cosiì rilevante riassetto organizzativo-funzionale segua un'adeguata riqualificazione del personale, ma cio' non puo' costituire ragione di impedimento e tantomeno vizio di legittimita' costituzionale.