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Time: 04/06/17 00:33 IL_MATTINO - CIRC_NORD - 47 - 04/06/17 ---- 47 Cultura . Società Napoli Domenica 4 giugno 2017 Il Mattino Giuseppina De Rienzo D ue gallerie di figure femminili, le Matres Matutae, o Madri di Capua come pure le chiamano:piùdicen- tocinquanta statue di tufo datate dal VI al I secolo a.C. in esposizione permanente presso il Mu- seo Provinciale della storica cittadina campana; e duecento foto di donne, femmes fatales ritratte da Helmut New- ton, fotografo tedesco naturalizzato au- straliano (Berlino 1920-California 2004), in mostra al Pan di Napoli fino al prossimo18 giugno. Leduerassegne,oltrealconfrontotra oppostitopoidell’eternofemminino,of- fronounaffondonellacoscienzacolletti- va, da quella arcaica e primigenia, ai cambiamenti del vivere sociale, alle esplorazionideimeandridell’animo.Si- gnificativianche i luoghi dove risiedono le due raccolte, ognuna espressione del propriohumus:glispazidelPanaNapo- li e le sale di Palazzo Antignano (1450- 1454) di Capua. Cu- stodedelpiùimpor- tante campionario di Matres Matutae - donne raccontate nel loro destino-es- senza di madri - e di unvastolapidarium tra epigrafi, stele, re- sti di altari con iscri- zioniin osco e lapidi supietradiepocaso- prattutto romana, il Museo provinciale campano, già dal quattrocentescocor- tile segnala l’unicità di quella che fu defi- nita «altera Roma», Capua,fertile«terradilavoro»chehage- nerato, tra le straordinarie opere d’arte venute alla luce nel 1845 durante lavori privati nei pressi di Petrara (oggi Curti), anche le sue Madri. Scolpite in blocchi di ignimbrite in facies grigia, materiale tipico del territorio campano, lo stuolo dinutriciancoratraspiranounaidentità pernullalimitante.Gambepossenti,ac- conciatelarghesullasedia-trono,comu- nicano fierezza. Percepibile addirittura ilsorriso,ancheinchihasubìtoneltem- po la cancellazione del volto o dell’inte- ra testa, lasciando intatti l’orgoglio di avere in pugno il potere di determinare, controllare la vita, e il gesto ampio nel mostrare il prezioso dono: un’infiorata dipiccoli natiadagiatisullebraccia. Peccato che ad ammirare le Dee del Mattino e dell’Aurora, ovvero le genitri- ci di uomini e cose, ci siano pochi, se nonsparutivisitatorie,spesso,ildeserto neimesiinvernali,tantocheavoltelelu- cisiaccendonogiustoperl’arrivodiuna scolaresca. Chi capita alla biglietteria non troverà brochure ma solo qualche illeggibile fotocopia. Per il Museo pro- vincialediCapua,orfanodellatutelasta- tale, si profila l’ennesima chiusura. La Provincia di Caserta, preposta alla cura diqueibeni,senzaperòimezziperassol- vereagliobblighidiunanormalegestio- ne, non può che assistere impotente a unlentodeclino,nonostantel’offertada parte della Regione di accollarsi i costi delpersonale.Afineannoilmuseoreste- ràsenzadirettore,eprivodiprogramma- zione,perpetuandocosìlealternevicen- de già vissute negli anni, dalla prima schiusa dei portoni il 31 maggio 1874, ai danni della seconda guerra mondiale, airestauri, ai continui riordini, e succes- sivitentatividiriaprire:nel1933allapre- senzadi Umbertodi Savoia, nel 1956 con una risistema- zione delle stanze, fino all’inaugurazione del 2012 con l’allora presidente della Repubblica Napolitano. MaleMatresMatutaere- sistono. Imperterrite, conti- nuano a emanare un’aura diappagantefertilità,palpa- bile non appena ci si avvia lungo la strada per Capua. Tra erbe, fiori spontanei, sentierielacampagnaintor- no, anche la corona di montagne gri- gio-celesti, in apparenza glabre ma co- riacee, preparano alla caparbia solidità di Palazzo Antignano. Una serenità in gran parte negata alle donne-simbolo di Newton,seguite da un flussoregolare econtinuodivisitatori.Leduecentofoto inbiancoeneroeacolorimostranomo- delleofferteconesenzaindumenti,frut- to dei primi tre libri che Newton pubbli- cò tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80: «White Women», «Sleepless nights»,«Bignudes»,compongonolun- go le sale del Pan un variegato percorso che via via accompagna a una sorta di discesa agli inferi. Oltre il nudo, l’eroti- smo,accennidiomosessualitào voyeri- smo, e qua e là sprazzi di una (voluta) dozzinale lascivia, in alcune scene d’in- terniHelmutnontrascuraneppureilcri- mine, senza rinunziare, die- troilparaventodellaprovoca- zione, al vezzo della misogi- nia, anche quando prova a sparigliareunpo’lecarte.Co- me per alcune foto sistemate in penombra, quasi isolate tra le altre. Quei pezzi di ani- male squartato e appeso ai ganci di un macello, sembra- no raccontare la prigione di un ruolo non scelto, soltanto subìto. Eppure la trascrizione di queldestino segnato somi- glia a una adesione asettica, una vivise- zioneprogrammatasenzapathos.Con- dottaanziconmestizia.Comelavisione senza speranza del teschio che sovrasta un diadema di diamanti. Conferma il messaggio sulla caducità delle cose la frasedel Cimbelino di Shakespeare usa- ta come didascalia. «Golden lads and girls all must, as chimney-sweepers, co- metodust»(ragazzieragazzedorati,tut- ti devono, come spazzacamini, alla pol- veretornare). Certo, anche le Matres Matutae pos- sono essere intese dentro i legacci di un unicoruolo.Ma,all’esercitoopulentodi fattricicheaccolgonoilsolitariovisitato- re dal pianoterra del loro asilo, dà man forteun’altra scultura.Espostaalsecon- dopianodiPalazzoAntignano,unapic- cola terracotta a stampo del III secolo a. C., senza alcun riferimento a una desti- nata maternità,richiama solo bellezza e armonia. Il suo nome è «Genio alato femminile». Pare l’ultimo riconosci- mento alle Dee del Mattino e dell’Auro- ra. Una venerazione forse anacronisti- ca; desueto ormai il culto dedicato alla fertilità, alla protezione della Madre e della sua prole. Chi deciderà del futuro dellaMatresMatutaediCapua?L’augu- rio è che non trovino riparo in un sotto- scala. È già accaduto, a montagne di li- bripreziosie altritesori. © RIPRODUZIONE RISERVATA L a bellezza della classicità, del mondo antico, delle statue, e quella della natu- ra, rappresentata dalla campa- gna: ne vien fuori un quadro di grande suggestione, e di riman- do a tempi passati anche quan- do l’occhio del fotografo coglie paesaggi contemporanei. C’è molta Irpinia, e non pote- va essere diversamente, nella mostra fotografica «Georgi- che» (Suor Orsola Benincasa), il libro di Virgilio illustrato da Ortensio Zecchino, già mini- stro dell’Istruzione e dell’Uni- versità, storico del Diritto e do- cente di Storia delle Istituzioni medievali al Suor Orsola, attual- mente presidente di Biogem, l’Istituto di ricerche genetiche Gaetano Salvatore con sede ad Ariano Irpino: cento le immagi- ni in esposizione, realizzate in digitale, visibili nell’ala della cit- tadella del sapere di corso Vitto- rio Emanuele dedicata alle mo- stre, che documentano un foto- grafo di lungo corso che però pochi conoscevano come tale per la predominanza del suo status di esponente politico: na- sce negli anni ’70 la vocazione alla fotografia di Zecchino. Il suo lavoro, circa duecento im- magini (in mostra ce ne sono cento), serve a illustrare Le geor- giche, il volume che Virgilio de- dicò alla campagna italiana (dalla natìa Mantova al suo peregrina- re per la peni- sola, la Sila, la Puglia, infine Napoli), pub- blicatada Il Ci- gno con testi diSergio Paga- no, prefetto dell’Archivio segreto vatica- no e Lucio d’Alessandro, rettore del Suor Orsola, 380 pagine. «Le mie foto sono scattate sul crinale di due ere per fermare la storia e le storie dei paesaggi rurali del Belpaese», racconta Zecchino: «La ruralità, che ha costituito il primo stadio della civilizzazione umana, e che fi- no a qualche decennio fa ha permeato - con la sua poesia e le sue asprezze - l’intera vita di gran parte delle nostre comuni- tà, ha ormai completamente cambiato volto, per il mutato re- gime giuridico della terra, per la generalizzata diffusione del- le strutture di base, per l’avven- to delle tecnologie di supporto e per i nuovi equilibri socio-de- mografici realizzatisi negli ulti- mi decenni. La sua fisionomia antica si avvia ormai a vivere so- lo nella memoria di un sempre più ristretto numero di testimo- ni, prima di entrare definitiva- mente nell’archivio delle cose del passato. Le immagini rac- colte qui vogliono essere insie- me contributo di documenta- zione e omaggio alla civiltà con- tadina che, con le sue miserie materiali e la crudezza imposta dalle dure leggi della natura, è stata comunque madre d’ogni sviluppo e fonte di fondamenta- li codici di etica privata e pubbli- ca». pa.es. © RIPRODUZIONE RISERVATA Lucia Valenzi «Mio padre non ha mai smesso di seguire sia la politica che l’arte africana» La riflessione Matres e Nudes, i destini dell’arte Deserto il museo di Capua con le antiche statue di tufo, folla per gli scatti di Newton al Pan L’allarme Il disinteresse di istituzioni e pubblico causa un declino che sembra inarrestabile Al Suor Orsola Zecchino fotografo inedito per Virgilio Pasquale Esposito L ’arte come forma di dialogo per favorire lo sviluppo della convivenza civile, della condi- zione sociale, della politica, che pure deve tendere allo stesso obiettivo: c’è la storia, oltre che la vita, di Valenzi, la sua etica, la sua visione filosofica e ci- vile nella mostra «L’Africa di Mauri- zio-Oggetti africani della Collezione Valenzi» in corso al Rettorato (via Chiatamone, ingresso gratuito, fino al 30 luglio) de L’Orientale, nella se- zione museale di Palazzo Dumesnil, promossa dalla Fondazione Valenzi con il patrocinio dell’assessorato co- munale alla Cultura. In mostra ci sono 13 maschere, 7 sculture e un poggiatesta, mai esposti finora, e altri documenti, provenienti dall’Africa centrale e occidentale, di proprietà di quello che resta uno dei più apprezzati (anche da parte di chi ideologicamente era posizionato su altri versanti) sindaci della città, oltre che artista e intellettuale di grande spessore. Le opere sono databili tra fine Ottocento e primi del Novecen- to, per la prima volta hanno lasciato l’abitazione di Valenzi in via Manzo- ni dopo essere state inventariate e stu- diate. Il sindaco-artista le acquisì in parte durante alcuni dei suoi viaggi in Africa, altre gli furono donate. Sono opere che documentano il gusto e la curiosità di Valenzi, ma non coinvolgono lo stile o l’attività artisti- ca del pittore Valenzi, che non trasferì nei suoi quadri segni evidenti di arte africana. C’è un suo dipinto, «Estate tunisina», ma non risente di ispirazio- ni all’«arte nigra», piuttosto c’è un chiaro rimando alle avanguardie fran- cesi e tedesche. Un omaggio, insom- ma, alle atmosfere della città in cui Va- lenzi era nato, ma un marchio, uno stile, decisamente europeo. Diversa, quindi, l’attenzione che Valenzi ha riversato con lo sguardo dell’uomo e dell’intellettuale che se- gue i fenomeni sociali, civili e politici, come risulta da questa esposizione su quest’arte africana collezionata nel corso degli anni, sulle maschere sia zoomorfe che antropomorfe, che provengono dall’Africa centrale (Ma- li, Burkina Faso, Coosta d’Avorio). Lucia Valenzi, che presiede la Fon- dazione intitolata a suo padre, spiega che la sua vita, i suoi interessi e la sua attività politica «come si evince an- che in questa mostra, sono una testi- monianza della possibilità di un con- creto e profondo dialogo tra le civiltà. Compagno di cella di indipendentisti arabi, segretario della commissione Esteri del Senato o sindaco, non ha mai smesso di seguire sia l’arte che la politica africana e questi oggetti co- me i documenti esposti lo dimostra- no. Sono infinitamente grata a tutti i docenti e non dell’Orientale che si so- no impegnati per la realizzazione di questa mostra che era un mio vec- chio sogno». A sua volta Elda Morlicchio, retto- re de L’Orientale - e curatrice del pro- getto con la collaborazione dei docen- ti Maria De Vivo (Storia dell’arte con- temporanea), Cristina Ercolessi (Sto- ria dell’arte africana) e Andrea Man- zo, responsabile della sezione africa- na del museo dell’ateneo - tiene a sot- tolineare il valore di «una mostra che sancisce l’attenzione del nostro ate- neo verso ogni forma di sapere, ma anche di arte, in grado di mettere in comunicazione mondi e sensibilità in apparenza lontani e distanti. Sia- mo grati a Lucia Valenzi che ha scelto un luogo simbolo di incontro tra le culture per esporre per la prima volta questo prezioso patrimonio di ma- schere, sculture, poggiatesta». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il maestro Lo sguardo del voyeur in 200 foto di donne in bianco e nero Suggestioni Una foto di Zecchino La mostra L’ex ministro illustra le «Georgiche» con immagini dell’Italia contadina che resiste La collezione Maschere, sculture e documenti mai esposti A Palazzo Dumesnil L’Africa di Valenzi, in mostra il dialogo di civiltà Visioni Al centro una delle Matres Matutae del museo di Capua tra una foto di Helmut Newton esposta al Pan e una visitatrice che si sofferma davanti a un altro dei nudi dell’autore esposti a Napoli sino al 18 giugno

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Time: 04/06/17 00:33 IL_MATTINO - CIRC_NORD - 47 - 04/06/17 ----

47Cultura.SocietàNapoliDomenica 4 giugno 2017IlMattino

GiuseppinaDeRienzo

Due gallerie di figurefemminili, le MatresMatutae, o Madri diCapua come pure lechiamano:piùdicen-tocinquanta statue

di tufo datate dal VI al I secolo a.C. inesposizione permanente presso il Mu-seo Provinciale della storica cittadinacampana; e duecento foto di donne,femmesfatalesritrattedaHelmutNew-ton, fotografotedesconaturalizzato au-straliano (Berlino 1920-California2004), in mostra al Pan di Napoli fino alprossimo18giugno.

Leduerassegne,oltrealconfrontotraoppostitopoidell’eternofemminino,of-fronounaffondonellacoscienzacolletti-va, da quella arcaica e primigenia, aicambiamenti del vivere sociale, alleesplorazionideimeandridell’animo.Si-gnificativiancheiluoghidoverisiedonoledueraccolte,ognunaespressionedelpropriohumus:glispazidelPanaNapo-li e le sale di Palazzo Antignano (1450-

1454) di Capua. Cu-stodedelpiùimpor-tante campionariodi Matres Matutae -donne raccontatenel loro destino-es-senzadimadri-ediunvastolapidariumtraepigrafi,stele,re-sti di altari con iscri-zioniin oscoelapidisupietradiepocaso-prattutto romana, ilMuseo provincialecampano, già dalquattrocentescocor-tile segnala l’unicitàdiquellachefudefi-nita «altera Roma»,

Capua,fertile«terradilavoro»chehage-nerato, tra le straordinarie opere d’artevenute alla luce nel 1845 durante lavoriprivati nei pressi di Petrara (oggi Curti),anche le sue Madri. Scolpite in blocchidi ignimbrite in facies grigia, materialetipico del territorio campano, lo stuolodinutriciancoratraspiranounaidentitàpernullalimitante.Gambepossenti,ac-conciatelarghesullasedia-trono,comu-nicano fierezza. Percepibile addiritturailsorriso,ancheinchihasubìtoneltem-polacancellazionedelvoltoodell’inte-ra testa, lasciando intatti l’orgoglio diavereinpugnoilpoteredideterminare,controllare la vita, e il gesto ampio nelmostrare il prezioso dono: un’infioratadipiccolinatiadagiatisullebraccia.

Peccato che ad ammirare le Dee delMattinoedell’Aurora,ovverolegenitri-ci di uomini e cose, ci siano pochi, senonsparutivisitatorie,spesso,ildesertoneimesiinvernali,tantocheavoltelelu-

cisiaccendonogiustoperl’arrivodiunascolaresca. Chi capita alla biglietterianon troverà brochure ma solo qualcheilleggibile fotocopia. Per il Museo pro-vincialediCapua,orfanodellatutelasta-tale, si profila l’ennesima chiusura. LaProvincia di Caserta, preposta alla curadiqueibeni,senzaperòimezziperassol-vereagliobblighidiunanormalegestio-ne, non può che assistere impotente aunlentodeclino,nonostantel’offertadaparte della Regione di accollarsi i costidelpersonale.Afineannoilmuseoreste-ràsenzadirettore,eprivodiprogramma-zione,perpetuandocosìlealternevicen-de già vissute negli anni, dalla primaschiusadeiportoniil31maggio1874,aidanni della seconda guerra mondiale,airestauri,aicontinuiriordini,esucces-sivitentatividiriaprire:nel1933allapre-senzadiUmbertodiSavoia,nel1956 conunarisistema-zione delle stanze, finoall’inaugurazione del 2012conl’allorapresidentedellaRepubblica Napolitano.

MaleMatresMatutaere-sistono.Imperterrite,conti-nuano a emanare un’auradiappagantefertilità,palpa-bile non appena ci si avvialungo la strada per Capua.Tra erbe, fiori spontanei,sentierielacampagnaintor-

no, anche la corona di montagne gri-gio-celesti, in apparenza glabre ma co-riacee, preparano alla caparbia soliditàdi Palazzo Antignano. Una serenità ingran parte negata alle donne-simbolodiNewton,seguitedaunflussoregolareecontinuodivisitatori.Leduecentofotoinbiancoeneroeacolorimostranomo-delleofferteconesenzaindumenti,frut-todeiprimitrelibricheNewtonpubbli-còtralafinedeglianni‘70el’iniziodeglianni ‘80: «White Women», «Sleeplessnights»,«Bignudes»,compongonolun-gole saledel Panun variegatopercorsoche via via accompagna a una sorta didiscesa agli inferi. Oltre il nudo, l’eroti-smo,accennidiomosessualitàovoyeri-smo, e qua e là sprazzi di una (voluta)dozzinalelascivia, inalcunescened’in-terniHelmutnontrascuraneppureilcri-

mine, senza rinunziare, die-troilparaventodellaprovoca-zione, al vezzo della misogi-nia, anche quando prova asparigliareunpo’lecarte.Co-me per alcune foto sistematein penombra, quasi isolatetra le altre. Quei pezzi di ani-male squartato e appeso aigancidiunmacello,sembra-no raccontare la prigione diun ruolo non scelto, soltantosubìto.Eppurelatrascrizionediqueldestinosegnatosomi-

glia a una adesione asettica, una vivise-zioneprogrammatasenzapathos.Con-dottaanziconmestizia.Comelavisionesenzasperanzadelteschiochesovrastaun diadema di diamanti. Conferma ilmessaggio sulla caducità delle cose lafrasedelCimbelinodiShakespeareusa-ta come didascalia. «Golden lads andgirlsallmust,aschimney-sweepers,co-metodust»(ragazzieragazzedorati,tut-tidevono,comespazzacamini,allapol-veretornare).

Certo,anchele MatresMatutaepos-sonoessereintesedentroi legaccidiununicoruolo.Ma,all’esercitoopulentodifattricicheaccolgonoilsolitariovisitato-re dal pianoterra del loro asilo, dà manforteun’altrascultura.Espostaalsecon-dopianodiPalazzoAntignano,unapic-colaterracottaastampodelIII secoloa.C., senza alcun riferimento a una desti-natamaternità,richiamasolobellezzaearmonia. Il suo nome è «Genio alatofemminile». Pare l’ultimo riconosci-mentoalleDeedelMattinoedell’Auro-ra. Una venerazione forse anacronisti-ca; desueto ormai il culto dedicato allafertilità, alla protezione della Madre edella sua prole. Chi deciderà del futurodellaMatresMatutaediCapua?L’augu-rioè chenontrovinoriparo inunsotto-scala. È già accaduto, a montagne di li-bripreziosiealtritesori.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L a bellezza della classicità,del mondo antico, dellestatue,equelladellanatu-

ra, rappresentata dalla campa-gna: ne vien fuori un quadro digrandesuggestione,ediriman-doa tempi passati anchequan-do l’occhio del fotografo cogliepaesaggi contemporanei.

C’èmoltaIrpinia,enonpote-va essere diversamente, nellamostra fotografica «Georgi-che» (Suor Orsola Benincasa),il libro di Virgilio illustrato daOrtensio Zecchino, già mini-stro dell’Istruzione e dell’Uni-versità, storico del Diritto e do-cente di Storia delle IstituzionimedievalialSuorOrsola,attual-mente presidente di Biogem,l’Istituto di ricerche geneticheGaetano Salvatore con sede adArianoIrpino:centoleimmagi-ni in esposizione, realizzate indigitale,visibilinell’aladellacit-tadelladelsaperedicorsoVitto-rioEmanuelededicataallemo-stre,chedocumentanounfoto-grafo di lungo corso che peròpochi conoscevano come taleper la predominanza del suostatusdiesponentepolitico:na-sce negli anni ’70 la vocazionealla fotografia di Zecchino. Ilsuo lavoro, circa duecento im-magini (in mostra ce ne sonocento),serveaillustrareLegeor-giche, il volume che Virgilio de-dicò alla campagna italiana

(dalla natìaMantova alsuoperegrina-re per la peni-sola, la Sila, laPuglia, infineNapoli), pub-blicatadaIlCi-gno con testidiSergioPaga-no, prefettodell’Archiviosegretovatica-no e Lucio

d’Alessandro, rettore del SuorOrsola, 380 pagine.

«Lemiefotosonoscattatesulcrinale di due ere per fermarela storia e le storie dei paesaggirurali del Belpaese», raccontaZecchino: «La ruralità, che hacostituito il primo stadio dellacivilizzazione umana, e che fi-no a qualche decennio fa hapermeato - con la sua poesia ele sue asprezze - l’intera vita digranpartedellenostrecomuni-tà, ha ormai completamentecambiatovolto,perilmutatore-gime giuridico della terra, perla generalizzata diffusione del-lestrutturedibase,perl’avven-to delle tecnologie di supportoeperinuovi equilibrisocio-de-mografici realizzatisi negli ulti-mi decenni. La sua fisionomiaanticasiavviaormaiavivereso-lo nella memoria di un semprepiùristrettonumeroditestimo-ni, prima di entrare definitiva-mente nell’archivio delle cosedel passato. Le immagini rac-colte qui vogliono essere insie-me contributo di documenta-zioneeomaggioallaciviltàcon-tadina che, con le sue miseriemateriali e la crudezza impostadalle dure leggi della natura, èstata comunque madre d’ognisviluppoefontedifondamenta-licodicidieticaprivataepubbli-ca».

pa.es.© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Lucia Valenzi«Mio padre non ha maismesso di seguiresia la politica che l’arteafricana»

La riflessione

Matres e Nudes, i destini dell’arteDeserto il museo di Capua con le antiche statue di tufo, folla per gli scatti di Newton al Pan

L’allarmeIl disinteressedi istituzionie pubblicocausaun declinoche sembrainarrestabile

Al Suor Orsola

Zecchinofotografoineditoper Virgilio

PasqualeEsposito

L ’arte come forma di dialogoper favorire lo sviluppo dellaconvivenza civile, della condi-

zione sociale, della politica, che puredeve tendere allo stesso obiettivo: c’èlastoria,oltrechelavita, diValenzi, lasua etica, la sua visione filosofica e ci-vile nella mostra «L’Africa di Mauri-zio-Oggetti africani della CollezioneValenzi» in corso al Rettorato (viaChiatamone, ingresso gratuito, finoal 30 luglio) de L’Orientale, nella se-zione museale di Palazzo Dumesnil,promossa dalla Fondazione Valenzicon il patrocinio dell’assessorato co-munale alla Cultura.

In mostra ci sono 13 maschere, 7scultureeun poggiatesta,maiespostifinora, e altri documenti, provenientidall’Africa centrale e occidentale, diproprietà di quello che resta uno deipiù apprezzati (anche da parte di chiideologicamente era posizionato sualtri versanti) sindaci della città, oltreche artista e intellettuale di grandespessore. Le opere sono databili trafine Ottocento e primi del Novecen-to, per la prima volta hanno lasciatol’abitazione di Valenzi in via Manzo-nidopoesserestateinventariateestu-

diate. Il sindaco-artista le acquisì inpartedurantealcunideisuoiviaggiinAfrica, altre gli furono donate.

Sono opere che documentano ilgustoelacuriositàdiValenzi,manoncoinvolgono lo stile o l’attività artisti-cadelpittoreValenzi,chenontrasferìnei suoi quadri segni evidenti di arteafricana. C’è un suo dipinto, «Estatetunisina»,manonrisentediispirazio-ni all’«arte nigra», piuttosto c’è unchiarorimandoalleavanguardiefran-cesi e tedesche. Un omaggio, insom-ma,alleatmosferedellacittàincuiVa-lenzi era nato, ma un marchio, unostile, decisamente europeo.

Diversa, quindi, l’attenzione cheValenzi ha riversato con lo sguardodell’uomo e dell’intellettuale che se-gue i fenomeni sociali, civili e politici,come risulta da questa esposizionesu quest’arte africana collezionatanel corso degli anni, sulle mascheresia zoomorfe che antropomorfe, cheprovengonodall’Africacentrale(Ma-li, Burkina Faso, Coosta d’Avorio).

LuciaValenzi,chepresiedelaFon-dazione intitolata a suo padre, spiegache la sua vita, i suoi interessi e la suaattività politica «come si evince an-che in questa mostra, sono una testi-monianza della possibilità di un con-

creto e profondo dialogo tra le civiltà.Compagnodi cella diindipendentistiarabi, segretario della commissioneEsteri del Senato o sindaco, non hamai smesso di seguire sia l’arte che lapolitica africana e questi oggetti co-me i documenti esposti lo dimostra-no. Sono infinitamente grata a tutti idocentienondell’Orientalechesiso-no impegnati per la realizzazione diquesta mostra che era un mio vec-chio sogno».

A sua volta Elda Morlicchio, retto-rede L’Orientale-e curatricedelpro-gettoconlacollaborazionedeidocen-ti Maria De Vivo (Storia dell’arte con-temporanea), Cristina Ercolessi (Sto-ria dell’arte africana) e Andrea Man-zo, responsabile della sezione africa-nadelmuseodell’ateneo-tieneasot-tolineare il valore di «una mostra chesancisce l’attenzione del nostro ate-neo verso ogni forma di sapere, maanche di arte, in grado di mettere incomunicazione mondi e sensibilitàin apparenza lontani e distanti. Sia-mo grati a Lucia Valenzi che ha sceltoun luogo simbolo di incontro tra leculture per esporre per la prima voltaquesto prezioso patrimonio di ma-schere, sculture, poggiatesta».

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Il maestroLo sguardo delvoyeur in 200foto di donne inbianco e nero

Suggestioni Una foto di Zecchino

La mostraL’ex ministroillustra le«Georgiche»con immaginidell’Italiacontadinache resiste

LacollezioneMaschere,sculture edocumentimai esposti

A Palazzo Dumesnil

L’Africa di Valenzi, in mostra il dialogo di civiltà

VisioniAl centro una delleMatres Matutaedel museo di Capuatra una foto di HelmutNewton esposta alPan e una visitatriceche si soffermadavanti a un altro deinudi dell’autoreesposti a Napoli sinoal 18 giugno