L’occhio affettuoso del severo ingegnere

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1 L’occhio affettuoso del severo ingegnere Nel catalogo della mostra “L’occhio dell’ingegnere. Fotografie del Moesano dal 1918 al 1940” sono state pubblicate le novanta fotografie scattate da Oskar Good in valle Calanca tra le due guerre mondiali. Ricordando che già a partire dagli inizi del Novecento erano in uso i film in celluloide da arrotolare in comode macchine fotografiche, una prima particolarità di queste novanta fotografie è il fatto che sono tutte impresse su lastre di vetro. Dunque scattate con un pesante apparecchio fotografico sostenuto da un altrettanto ingombrante treppiede che Good - o il suo eventuale aiutante – avranno trasportato su buona parte degli ottocento alpi grigionesi visitati dall’ingegnere rurale. Inoltre, di queste novanta fotografie solo una ventina illustrano l’attività professionale del Good in qualità di ingegnere rurale cantonale. Sono le fotografie di ponti, di strade e di fabbricati degli alpi: stalle e casère (72 e 12) Per contro, ben settanta fotografie - quasi tutte della Calanca – hanno carattere privato. Sino ad oggi non sappiamo se nelle altre regioni dei Grigioni il Good abbia scattato fotografie di questo genere dato che le settecento lastre scansionate e pubblicate su internet dall’Archivio di Coira documentano quasi esclusivamente la sua attività professionale. Non avendo trovato documentazione in merito, le ragioni di questo sguardo privilegiato di Good sul Moesano rimangono per ora senza spiegazione, come pure la scelta dei soggetti. Infatti, esse illustrano paesaggi e personaggi, singoli o in gruppo. Nei paesaggi troviamo ritratti alpi, panoramiche e interni di villaggi, gruppi di case, chiese e cappelle dalla cui eterogeneità non emergono interessi o temi particolari. Per meglio comprendere il patrimonio fotografico di Good ritengo utile mettere in evidenza due aspetti delle vicissitudini culturali, sociali e economiche della Svizzera tra le due guerre. Ricordiamo anzitutto le crisi alimentari che durante e dopo la prima guerra mondiale inducono la Confederazione a varare una politica di sostegno dell’agricoltura, in particolare quella alpina. Per capire l’ampiezza assunta da questa politica dopo pochi anni basti ricordare che nel 1913 le sovvenzioni all’agricoltura ammontavano a soli 500.mila franchi mentre vent’anni dopo, nel 1935, Berna verserà ai cantoni ben 90 milioni di franchi di sussidi pari a 2/5 di tutte le sovvenzioni erogate dall’amministrazione federale. Le settecento fotografie dell’Archivio di Coira sono il riflesso grigionese di questo sforzo finanziario nazionale che si materializza nel raggruppamento dei terreni, nella costruzione di strade, di acquedotti, di ponti e di moderni edifici per la produzione di carne e – in particolare - di latticini. Nella Mesolcina, l’ingegnere rurale Oskar Good e l’amico e ingegnere forestale Edoardo Schmid saranno i principali artefici di questa politica nazionale di modernizzazione della produzione agricola alpina. Nei medesimi anni tra le due guerre si sviluppa quella che gli storici definiscono una “cultura patriottica” dove il mondo rurale assume il ruolo di primo attore dell’identità nazionale. “Il carattere svizzero è carattere contadino” afferma per esempio il direttore della Lega dei contadini Ernst Laur. Nel solco di questa visione nascono numerose federazioni nazionali di difesa delle tradizioni come - per esempio – la Federazione svizzera dei costumi (fondata nel 1926, in Ticino nel 1937) o l’Heimatwerk, ossia l’Opera nazionale pro montagna fondata nel 1930. A questo proposito rimando alla lettura del capitolo “Filare e tingere la lana” nel bel libro di Paolo Mantovani: “Le donne di Soazza raccontano”, Soazza 2003. Sempre in questo periodo si inizia il rilevamento sistematico in ogni cantone degli edifici borghesi (pubblicati in Ticino da Francesco Chiesa nel 1934 e nel 1935) e di quelli rurali ritenuti rappresentativi (non

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L’occhio affettuoso del severo ingegnere Nel catalogo della mostra “L’occhio dell’ingegnere. Fotografie del Moesano dal 1918 al 1940” sono state pubblicate le novanta fotografie scattate da Oskar Good in valle Calanca tra le due guerre mondiali. Ricordando che già a partire dagli inizi del Novecento erano in uso i film in celluloide da arrotolare in comode macchine fotografiche, una prima particolarità di queste novanta fotografie è il fatto che sono tutte impresse su lastre di vetro. Dunque scattate con un pesante apparecchio fotografico sostenuto da un altrettanto ingombrante treppiede che Good - o il suo eventuale aiutante – avranno trasportato su buona parte degli ottocento alpi grigionesi visitati dall’ingegnere rurale. Inoltre, di queste novanta fotografie solo una ventina illustrano l’attività professionale del Good in qualità di ingegnere rurale cantonale. Sono le fotografie di ponti, di strade e di fabbricati degli alpi: stalle e casère (72 e 12) Per contro, ben settanta fotografie - quasi tutte della Calanca – hanno carattere privato. Sino ad oggi non sappiamo se nelle altre regioni dei Grigioni il Good abbia scattato fotografie di questo genere dato che le settecento lastre scansionate e pubblicate su internet dall’Archivio di Coira documentano quasi esclusivamente la sua attività professionale. Non avendo trovato documentazione in merito, le ragioni di questo sguardo privilegiato di Good sul Moesano rimangono per ora senza spiegazione, come pure la scelta dei soggetti. Infatti, esse illustrano paesaggi e personaggi, singoli o in gruppo. Nei paesaggi troviamo ritratti alpi, panoramiche e interni di villaggi, gruppi di case, chiese e cappelle dalla cui eterogeneità non emergono interessi o temi particolari. Per meglio comprendere il patrimonio fotografico di Good ritengo utile mettere in evidenza due aspetti delle vicissitudini culturali, sociali e economiche della Svizzera tra le due guerre. Ricordiamo anzitutto le crisi alimentari che durante e dopo la prima guerra mondiale inducono la Confederazione a varare una politica di sostegno dell’agricoltura, in particolare quella alpina. Per capire l’ampiezza assunta da questa politica dopo pochi anni basti ricordare che nel 1913 le sovvenzioni all’agricoltura ammontavano a soli 500.mila franchi mentre vent’anni dopo, nel 1935, Berna verserà ai cantoni ben 90 milioni di franchi di sussidi pari a 2/5 di tutte le sovvenzioni erogate dall’amministrazione federale. Le settecento fotografie dell’Archivio di Coira sono il riflesso grigionese di questo sforzo finanziario nazionale che si materializza nel raggruppamento dei terreni, nella costruzione di strade, di acquedotti, di ponti e di moderni edifici per la produzione di carne e – in particolare - di latticini. Nella Mesolcina, l’ingegnere rurale Oskar Good e l’amico e ingegnere forestale Edoardo Schmid saranno i principali artefici di questa politica nazionale di modernizzazione della produzione agricola alpina. Nei medesimi anni tra le due guerre si sviluppa quella che gli storici definiscono una “cultura patriottica” dove il mondo rurale assume il ruolo di primo attore dell’identità nazionale. “Il carattere svizzero è carattere contadino” afferma per esempio il direttore della Lega dei contadini Ernst Laur. Nel solco di questa visione nascono numerose federazioni nazionali di difesa delle tradizioni come - per esempio – la Federazione svizzera dei costumi (fondata nel 1926, in Ticino nel 1937) o l’Heimatwerk, ossia l’Opera nazionale pro montagna fondata nel 1930. A questo proposito rimando alla lettura del capitolo “Filare e tingere la lana” nel bel libro di Paolo Mantovani: “Le donne di Soazza raccontano”, Soazza 2003. Sempre in questo periodo si inizia il rilevamento sistematico in ogni cantone degli edifici borghesi (pubblicati in Ticino da Francesco Chiesa nel 1934 e nel 1935) e di quelli rurali ritenuti rappresentativi (non

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pubblicati e utilizzati solo nel dopoguerra nella collana della Società svizzera per le tradizioni popolari “La casa rurale in Svizzera” iniziata nel 1965). Sempre a quegli anni risale la vastissima inchiesta di Paul Scheuermeier sul lavoro dei contadini pubblicata in Svizzera nel 1943 e in Italia nel 1980. Nel campo delle produzione architettonica si sviluppa lo “stile regionale”, come, ad esempio, le numerose stazioni della ferrovia Bellinzona-Mesocco (1905-1907) o la cappella di San Domenico sui Monti di Laura a Roveredo. E si potrebbero elencare altri esempi di questa “cultura patriottica” che, dopo gli anni Quaranta del Novecento, sfocia nella cosiddetta “difesa spirituale” che saprà coinvolgere tutte le altre classi sociali, anche quella classe operaia sino allora ritenuta antipatriottica in quanto “internazionalista”! Le settanta fotografie “private” scattate da Oskar Good nel Moesano sono il riflesso di questa atmosfera culturale di ricerca di un’identità nazionale inconfondibile e, nel contempo, variegata. Oltre al loro importante significato documentale, alcune di queste settanta fotografie sono particolarmente rappresentative del contesto culturale e politico del primo Novecento. Anzitutto, le due fotografie dell’Alpe di Stabiorell sopra Rossa. Davanti alla nuova stalla costruita in “stile regionale” nel 1922 (muri di pietra intonacati a rasa pietra e tetto in piode) posano orgogliosi gli ingegneri artefici della modernizzazione dell’agricoltura alpina (76). L’interno della spaziosa stalla appena terminata è coperto da una carpenteria lignea di moderna fattura sotto la quale si possono ricoverare ben 72 capi di bestiame grosso (77). Un quarto dei 18.mila franchi di costi di costruzione sono stati coperti dai sussidi cantonali e federali. La consapevolezza di questa emergente classe di ingegneri funzionari di stato portatori di progresso economico e sociale è ben illustrata dalla fotografia che mostra il forestale Edoardo Schmid - con cappello, marsina, camicia bianca, gambali di stoffa, scarpe di montagna chiodate e l’ombrello che fa da bastone - mentre, impettito, si intrattiene con il contadino scamiciato che appoggia la falce fienaia sulla spalla (55). Nel loro colloquiare garbato sembra di intravvedere quell’atteggiamento paternalistico consueto nei rapporti tra gli ingegneri di formazione politecnica e i contadini. La fotografia di Santa Domenica ci mostra l’interno della chiesa curiosamente addobbato di ghirlande da cui pendono gli stemmi dei cantoni confederati (56). Il Novecento è iniziato all’insegna della riconciliazione tra la Svizzera laica e quella cattolica, tra i cantoni liberali dell’Altopiano e quelli conservatori della Svizzera centrale. Dopo quasi mezzo secolo di egemonia liberale radicale, nel 1891 viene infatti eletto consigliere federale il primo politico cattolico conservatore: il lucernese Josef Zemp, mentre il secondo conservatore, il friburghese Jean-Marie Musy, entrerà a far parte dell’esecutivo federale nel 1919. Cessato il “Kulturkampf”, la chiesa accoglie e festeggia in nome di una ritrovata unità patriottica il nuovo stato confederale nato nel 1848 dopo lo scontro che aveva visto soccombere il Sonderbund dei cantoni cattolici. Le fotografie dei carpentieri (70), dei carbonai (28), della filatrice di canapa (42) e della contadina che batte la lama sull’incudine (39) ricordano la meraviglia dei cittadini dell’altopiano industrializzato verso quelle attività tradizionali che i nuovi modi di produzione stanno relegando nel folclore. Alcune immagini sono poi dedicate a tante belle contadine fotografate in posa quasi dovessero rappresentare il Moesano a un’esposizione nazionale: Le allegre bambine con la gerla e il bambino scalzo (84) non sono certamente l’immagine di quella ’“economia della scarsità”

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descritta dallo storico Jon Mathieu ma sembrano piuttosto un’illustrazione di Alois Carigiet o un fotogramma estratto da uno dei tanti film dedicati a Heidi. Le due giovani falciatrici - una che falcia e l’altra che affila (41) - potrebbero trovare facilmente posto su qualche carro allegorico di uno dei tanti cortei in costume. Infine, guardando la fotografia della bella e sorridente alpigiana con la “cadola” sulle spalle che posa appoggiata a un tronco sullo sfondo del lago di Val Cama (7) viene in mente il linguista Jakob Hunziker – uno dei primi ricercatori dell’edilizia rurale – che, attraversando a fine Ottocento il villaggio bleniese di Dangio, così racconta nel suo diario pubblicato postumo nel 1902: “Nel bel mezzo di questo intreccio di case e di vicoli ebbi modo di incontrare una meravigliosa ragazza che, nei suoi occhi innocenti e azzurri, e nei suoi capelli luminosi, portava con se tutto il calore del sole meridionale. Rimpiansi i miei sessant’anni”. Negli occhi dell’ingegnere fotografo che fotografano la giovane alpigiana sembra di leggere lo stesso spirito di esotica ammirazione. Rimessosi a tavolino, quando questo stesso ingegnere descrive le regioni italofone dei Grigioni rileva che “le valli sono pittoresche ma dura la vita (…), poca la preparazione professionale (di una popolazione, ndr.) la cui mentalità non ha ancora la giusta comprensione per l’agricoltura (…), dove l’emigrante ha sempre guardato il contadino dall’alto in basso (…) e dove i genitori legano alla zolla solo i figli meno intelligenti, mentre gli altri sognano il paradiso degli impieghi a stipendio fisso”. (Dal rapporto sull’economia alpina redatto nel 1938 dalla commissione di studio istituita dal governo grigionese e presieduta da Oskar Good. Traduzione di Siffredo Spadini). La fotografia che mostra in posa un giovane imberrettato rivolto verso valle e voltando le spalle alla contadina ferma a contemplare l’immagine sacra dentro la cappella(65) potrebbe essere l’iconografia della relazione di Good: il giovane pensa a far fortuna emigrando mentre le donne rimangono in valle a lavorare e pregare. La lucida analisi dello stato dell’agricoltura nelle valli del Grigioni italiano redatta dall’ingegnere funzionario contrasta decisamente con l’occhio benevolo del borghese cittadino amante del “sole meridionale”, delle alpi e del loro mondo contadino. Ma proprio questa sua competente e impegnata attività professionale sarà una delle tante cause ad indurre la fine di quei modi di vita tradizionali delle alpi fotografati con tanta curiosa simpatia. Di questa ambivalenza il Good e i suoi contemporanei non erano certamente coscienti. Le fotografie scattate da Oskar Good nel Moesano (quelle “professionali” e quelle “private”) illustrano proprio questa ambivalenza tra l’occhio dell’ingegnere - homo faber - e quello del borghese colto e umanista. Giovanni Buzzi 02.11.2015

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