Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a...

56
CINEMA, TELEVISIONE E LINGUAGGI MULTIMEDIALI NELLA SCUOLA 111 MAGGIO-GIUGNO 2015 Poste italiane SpA. Sped. in a.p. 70% - DCRB-Roma - Anno XXXI - nuova serie - Periodico bimestrale - Supplemento al n. 111 della rivista Il Ragazzo Selvaggio Cine ma e Grand e Guerra Speciale Centenario

Transcript of Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a...

Page 1: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

CINEMA, TELEVISIONE E LINGUAGGI MULTIMEDIALI NELLA SCUOLA

111MAGGIO-GIUGNO 2015

Post

e ita

liane

SpA

. Spe

d. in

a.p

. 70

% -

DC

RB-

Rom

a -

Ann

o X

XX

I - n

uova

ser

ie -

Per

iodi

co b

imes

tral

e -

Supp

lem

ento

al n

. 111

del

la r

ivis

ta Il

Rag

azzo

Sel

vagg

io

Cinema eGrande GuerraSpeciale Centenario

Page 2: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

In copertina:

torneranno i pratidi Ermanno Olmi,

Italia 2014

La grande paratadi King Vidor,

Usa 1925

SOMMARIOE D I T O R I A L E

01 Cinema e Storia, il Cinema è StoriaCarlo Tagliabue

P R I M O P I A N O

02 1915-2015. Il fantasy va in guerraElio Girlanda

S C H E D E

06 I quattro cavalieri dell’ApocalisseGiulio Fedeli

43 War HorseGiancarlo Zappoli

45 torneranno i pratiMaria Grazia Roccato

R U B R I C H E /S C H E D A R I

47 I recuperantiSilvio Grasselli

48 Westfront 1918Alberto Pesce

49 Il barone rossoGiulio Fedeli

50 La vita e niente altroLuisa Ceretto

51 Una lunga domenica di passioniElio Girlanda

52 Fango e gloria - La grande guerraFranco Brega, Tullia Castagnidoli

Cinema e Grande Guerra S

PE

CIA

LES

PE

CIA

LE

SP

EC

IALE

08 La grande parataFlavio Vergerio

12 All’Ovest niente di nuovoAlberto Pesce

16 La grande illusioneGiulio Fedeli

20 La grande illusioneStefano Sguinzi

24 Orizzonti di gloriaStefano Sguinzi

28 La grande guerraStefano Sguinzi

32 Uomini controErmanno Comuzio

34 E Johnny prese il fucileFlavio Vergerio

37 Gli anni spezzatiGiulio Fedeli

41 Joyeux Noël - Una verità dimenticata dalla StoriaAlessandra Montesanto

In alto da sinistra a destrapagina 03 Il Signore degli Anelli

La Compagnia dell’Anellopagina 41 Joyeux Noël

Una verità dimenticata dalla Storiapagina 32 Uomini contro

Al centropagina 12 All’Ovest niente di nuovo

In basso da sinistra a destrapagina 43 War Horsepagina 37 Gli anni spezzatipagina 51 Una lunga domenica di passioni

Page 3: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

GGli anniversari sono sempre fonte di rivisitazione e stimolo verso più meditatigiudizi su quanto è avvenuto attorno a fatti e avvenimenti ormai consacrati nellaStoria. Nel caso, poi, del primo centenario di quella che è stata chiamata la GrandeGuerra, i motivi per noi sono molti, visto che tale evento è stato da alcuni definitoanche come la quarta guerra di indipendenza. Con questo Speciale abbiamo volutoproporre un saggio e una significativa raccolta di schede (alcune delle quali giàpubblicate o in corso di pubblicazione) che fanno riferimento alla prima guerramondiale. Il panorama è ampio, ma pur nella loro diversità tutti gli articoli riportatipossiedono un fil rouge che in qualche modo li unisce e che passa attraverso duechiavi interpretative diverse. La prima è il rapporto tra Cinema e Storia: larappresentazione cioè di quanto è realmente avvenuto, i fatti, le circostanzeoggettive presenti nell’evento; la seconda è quella che pone il Cinema comeelemento che contribuisce esso stesso a creare la Storia.

Su questo secondo punto crediamo che i film chea vario titolo, hanno avuto come oggetto il primoconflitto mondiale abbiano realmentecontribuito a riscrivere pagine di Storia e ariportare fatti, avvenimenti, situazioni in uncontesto di maggiore oggettività e diapertura per un dibattito lontano dallaretorica e da enfasi celebrative. Tutte leschede dei film che abbiamo pubblicatoaffrontano il tema Grande Guerra inmaniera problematica, mettendo in lucesilenzi, omissioni, catastrofi umane epolitiche che la Storia, quella ufficiale, insegnata nelle scuole e raccontata in moltilibri, ha spesso coperto in nome di un facile patriottismo, della gloria militare, dibiechi interessi mascherati da ideali. In questo modo il Cinema ha contribuito alla riscrittura di una Storia, che oggipossiamo guardare con occhi e parametri di giudizio diversi. Il risultato che tutti icineasti hanno raggiunto con i loro film, in questo modo, è molto lontano dalleradiose giornate di maggio dannunziane che hanno accompagnato l’entrata inguerra dell’Italia e si avvicina molto di più al concetto di inutile strage contenutonella lettera inviata a tutti i popoli belligeranti da Benedetto XV nel 1917. Basterebbe pensare in proposito alla battaglia di Verdun durata dal febbraio al

dicembre 1916 che ha prodotto 700.000 morti fra soldati francesi etedeschi, oppure alla deriva totalitaristica che ha seguito questoconflitto, funestando sinistramente il XX secolo con la presenza diregimi come il comunismo, il nazismo e il fascismo. Se non ci fosse stataquesta guerra, forse la storia del mondo sarebbe stata diversa…“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” diceva il protagonista deldramma Vita di Galileo di Bertolt Brecht. Ebbene, la quasi totalità degliinterpreti dei film che proponiamo è il segno di un’umanità sofferente,vittima sacrificale di interessi e di giochi di potere; interpreti con i qualinon possiamo non identificarci. Ricordiamo per tutti il colonnelloDax/Kirk Douglas (anche lui, quest’anno, centenario) di Orizzonti digloria (proibito in Francia fino al 1975) di Stanley Kubrick e IacovacciOreste/Alberto Sordi e Busacca Giovanni/Vittorio Gassman, i dueantieroi di La grande guerra di Mario Monicelli.

Carlo Tagliabue

A destra La grande guerra di MarioMonicelli, Italia 1959.Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick, Usa 1957.

E D ITOR IALE

C i n e m a e S t o r i a ,i l C i n e m a è S t o r i a

Page 4: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

2 speciale · numero 111 · maggio-giugno 20152

tannici che non davano la possibilità di tra-smettere notizie del tipo ‘ho perduto la gam-ba sinistra’, è l’espressione di una societàche va appunto massificandosi, divenendospersonalizzata e seriale, nel lavoro e nellosvago, nella vita e nella morte, nella salutecome nella malattia, e nella quale il control-lo del linguaggio, dell’immaginario e delleemozioni collettive diverrà essenziale sot-to ogni latitudine” (A. Gibelli, “Introduzio-ne all’edizione italiana”, in Paul Fussell, LaGrande Guerra e la memoria moderna, IlMulino 2005, pp. XVII, XIX).

In tal senso, sottolinea Fussell, si pensi aquei racconti di ieri e di oggi che raccolgo-no testimonianze povere e frammentariedella gente comune, ‘dal basso’, poiché perla prima volta il soldato semplice della Gran-de Guerra non è più quasi sempre un anal-fabeta, come in tutti i secoli precedenti, e chespesso a combattere (e a scriverne in lette-re e diari) sono persone istruite come i vo-lontari borghesi liceali o i maestri elemen-tari. A dimostrare la novità di una Storia fi-nalmente testimoniata ‘dal basso’ o ‘dall’in-terno’ sono due film italiani recenti: torne-ranno i prati (2014) di Ermanno Olmi (vedischeda a p. 43) e Soldato semplice (Italia2015) di Paolo Cevoli. Ci sono poi film trat-ti da romanzi con il punto di vista di sogget-ti nuovi come i ‘non combattenti’ ovvero ledonne (vedi schedario Una lunga domencadi passioni a p. 51) e i prigionieri (Prigionie-

La “prima guerra industriale del secolo”,al di là del tragico valore storico e militare,ha provocato un mutamento epocale, dalmomento che ha suscitato un immagina-rio nel XX secolo (comunicazione, arti figu-rative e storia letteraria comprese), ancorasenza pari. In un libro del 1975, ripubblica-to in Italia in tempi recenti, lo storico PaulFussel sottolinea che quella guerra “ha rap-presentato per larga parte delle popolazio-ni europee la frattura e il trauma a partire dalquale si costituì una moderna memoria col-lettiva, un senso nuovo del rapporto tra vi-ta individuale e grande storia, dell’ingressoin un mondo nel quale erano in gran parterecisi i legami col passato e in cui tale pas-sato si inabissava in maniera irreversibile”.Per la modernità della guerra, Fussell nonsi riferisce solo alla novità di tecnologie e ar-mamenti, ma alla standardizzazione delmondo, che marcò profondamente la co-municazione: “la comunicazione serialedelle cartoline prestampate per i soldati bri-

Immaginario e GrandeGuerra

”Ai miei tempi si poteva entrare al cine-ma a ogni momento, voglio dire anche ametà dello spettacolo, si arrivava mentrestavano succedendo alcune cose e si cerca-va di capire che cosa era accaduto prima(poi, quando il film ricominciava dall’inizio,si vedeva se si era capito tutto bene - a par-te il fatto che se il film ci era piaciuto si po-teva restare e rivedere anche quello che siera già visto). Ecco, la vita è come un film deitempi miei. Noi entriamo nella vita quan-do molte cose sono già successe, da centi-naia di migliaia di anni, ed è importante ap-prendere quello che è accaduto prima chenoi nascessimo; serve per capire meglioperché oggi succedono molte cose nuove”.

Così, un anno fa Umberto Eco dava con-sigli al nipotino su tecnologia e futuro, in-vitando i più giovani a valorizzare ed eser-citare la memoria (Caro nipote, studia amemoria, “L’Espresso”, 3 gennaio 2014).Quel ‘consiglio’ ben introduce lo Specialesui film della Grande Guerra. Il centenario(che quest’anno riguarda l’entrata in guer-ra dell’Italia) se, da una parte, dà vita aeventi commemorativi in Europa (mostre,film, libri, siti web, itinerari didattici ecc.),dall’altra, si presta a riflessioni utili anchenegli anni a venire e relative ad altri dram-mi della Storia.

P R I M O P I A N O

L’opera epico-fiabesca delloscrittore J.R.R. Tolkien è ungrande contenitorecrossmediale per re-immaginare tutto l’orroredella Grande Guerra macon pensieri di pace.

S P E C I A L E

1915-2015 Il fantasy va in guerradi ELIO GIRLANDA

Page 5: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

ri della guerra. 1914-1918, Italia 1995, YervantGianikian e Angela Ricci Lucchi), oppureispirati a scritture “testimoniali’ (diari, me-morie), da cui opere come La grande illusio-ne di Renoir (vedi schede alle pp. 16 e 20) oquelle sull’epopea del “barone rosso”.

Ancor oggi, al di là dell’anniversario, glistudiosi s’interrogano sulle ragioni del ‘fa-scino’ che quella guerra continua a eserci-tare ovvero sulla sua contemporaneità, da-to che essa mantiene ancora “un grado dipresenza nella memoria collettiva”. La ragio-ne potrebbe risiedere nella ‘perdita dell’in-nocenza’ che subirono l’Europa e il mondo,“misurando per la prima volta in tutta la suaestensione e in tutta la sua profonditàl’oscura minaccia che covavano nel pro-prio seno dopo essere entrati nell’era dellagrande trasformazione. Tale minaccia eraappunto quella di una smisurata potenzaproduttiva che poteva convertirsi in un’im-mane potenza distruttiva. La dimensionedella distruzione creativa, che qualcuno haindividuato come l’essenza stessa del mo-derno, sospeso tra infinite pro-

messe di

crescita e terribili minacce di annientamen-to, raggiunse allora una sorta di abbaglian-te evidenza, tanto agli occhi degli intellet-tuali quanto a quelli degli uomini e delledonne comuni. […] Come dice a sua voltaFussell: ‘Così il fluire della storia modernarende familiare il fantastico e normale l’or-rore. E la catastrofe che diede inizio a tuttociò fu la Grande Guerra’. La Guerra stavacreando un mondo nuovo. […] Oggi partidi questo passato sembrano riaffiorare –precisamente nel cuore dell’Europa che nefu la culla – comprese le pulizie etniche, lefalse notizie pilotate da potenti sistemi dicontrollo dell’informazione e di erogazio-ne coatta di emozioni preconfezionate. For-se anche per questo il nostro sguardo con-tinua a essere calamitato verso quell’even-to. C’è il dubbio che i conti con quel primomassacro etnico e tecnico, biologico e indu-striale non siano ancora stati fatti fino infondo, e mai come oggi la Grande Guerrasembra situarsi al centro della ‘memoriacollettiva’” (ivi, pp. XXXI-XXXII).

La Grande Guerra da Tolkien a Jackson

Per un intero secolo il cinema ha sapu-to trarre dall’enorme mole di testimonian-ze, diaristiche e memorialistiche, numero-se opere d’autore o commerciali e di gene-re su vincitori e vinti, segnate da storie sul-l’evento con discorsi pacifisti, più o menoespliciti. C’è però un’altra parte di cinema,recente ma letterariamente datata, che haavuto uno sguardo inusuale rispetto ai ge-neri classici del bellico e dello storico: ilfantasy. È uno sguardo inedito, particolar-mente profondo e pedagogico, pari forsesolo a quello comico di Chaplin (Charlotsoldato, Usa 1918). Ci riferiamo alle sagheletterarie di J.R.R.Tolkien, da cui Peter Jack-son ha ricavato due trilogie: Il Signore de-gli Anelli (2002-2004) e Lo Hobbit (2012-2014), ormai terminate e visibili in modocompleto e cronologico (prima Lo Hobbit,poi Il Signore degli Anelli). Si sa che pro-prio in forza dell’orrore e dell’eroismo chelo scrittore britannico (1892-1973) visse re-almente come ufficiale nella terribile e lun-ga battaglia (1° luglio-18 novembre 1916) sulfiume della Somme, nella Francia setten-trionale, la Prima guerra mondiale è la chia-ve per comprendere la novità e il fascino pe-renni delle storie della Terra di Mezzo. È daricordare anche l’intervento del TCBS, ilclub scolastico di amici intimi, che in que-gli anni spinse Tolkien a scrivere Il Signoredegli Anelli. Quest’opera rivive fin dagli an-ni Sessanta, soprattutto nella controcultu-

1915-2015. IL FANTASY VA IN GUERRA

ra americana che vide nei personaggi diFrodo e di suo zio Bilbo degli outsider rispet-to alle aspettative della società, con unaqualità crossmediale tra letteratura, musi-ca rock, fumetto, videogame, cinema dal ve-ro e d’animazione come ne Il Signore degliAnelli (Usa, 1978) di Ralph Bakshi.

Nel 2003 John Garth, il biografo che haricostruito con molti documenti l’espe-

rienza vissuta daTolkien durante la Grande Guerra tra com-battimenti e infermità, nota: “Entro il set-tembre 1916 la battaglia della Somme eradiventata, come l’assedio di Verdun, unorrendo e quasi inutile esercizio di logora-mento. Un grande sfondamento della fan-teria contro le mitragliatrici trinceratesembrava ormai inconcepibile, e l’obiet-tivo principale era diventato uccidere ilmaggior numero di tedeschi possibile. Unsimile spreco di giovani vite lasciò un se-gno indelebile sulla generazione di Tol-kien, che nella guerra successiva si rifiutòdi impegnare i propri figli in simili bagnidi sangue. Più spesso preferirono affidar-si alle macchine - fortezze volanti, le V1, leportaerei, la bomba atomica - mandando-le una contro l’altra o contro civili. Ma lamarea della Storia cambiò sulla Somme,con l’avvento del carro armato” (Tolkien ela Grande Guerra, Marietti 1820, Genova-Milano, 2007, p. 255).

A pagina 2torneranno i prati di Ermanno Olmi, Italia 2014.Lo Hobbit - La battaglia delle Cinque Armatedi Peter Jackson, Usa/Nuova Zelanda 2014.In questa pagina dall’alto al bassoCharlot soldato di Charlie Chaplin, Usa 1918.Un manifesto de Il Signore degli Anelli diRalph Bakshi, Usa 1978.La grande illusione di Jean Renoir, Francia 1937.

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015 3

Page 6: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

SPECIALE PRIMO PIANO

Sulla genesi dei Racconti perduti, da cuila mitologia del Silmarillion, Garth preci-sa: “I lunghi periodi di marcia, di veglia e diattesa nelle trincee, e poi la convalescen-za a letto, avevano fatto fermentare le ideedi Tolkien; finalmente libero di tornare ascrivere, egli lo fece con straordinaria sciol-tezza. Gli argomenti già stabiliti, I miti ce-lesti, Valinor e l’Isola Solitaria, furono peril momento messi da parte, mentre La ca-duta di Gondolin nacque nella sua mente‘quasi completamente formata’. Questaesplosione di forza creativa stabilì i para-metri morali del mondo di Tolkien, rin-chiudendo gli aspetti del bene e del malenelle razze fatate e in esseri demiurgicibloccati in un eterno conflitto. […] Se la pri-ma metà della Caduta di Gondolin sembraecheggiare lo sviluppo creativo di Tolkiene la sua lenta accettazione del dovere du-rante il primo anno di Guerra, la secondaparte rispecchia sicuramente il suo impat-to con la Guerra stessa. I vividi estremi pro-vati sulla Somme, il terrore e il dolore, l’eroi-smo e la speranza, l’abominio e la rovina,sembrano aver dato un enorme risalto al-

la sua vi-sione

del mondo. Una luce brillante illuminavail mondo e lanciava ombre spaventose. Inquesto racconto la mitologia di Tolkien di-viene per la prima volta ciò che rimarràanche in seguito: una mitologia del conflit-to tra bene e male. L’idea che tale conflit-to debba essere perpetuo nasce diretta-mente da uno scetticismo a lungo covatoriguardo i pronostici blandamente ottimi-sti assai diffusi durante la Grande Guerra,come Tolkien ricordò in un’intervista cir-ca cinquant’anni dopo: ‘Quella, credo, fu ineffetti una reazione consapevole alla Guer-ra, alla roba con cui ero cresciuto nella‘Guerra per porre fine a tutte le guerre’,quel tipo di cose in cui all’epoca non cre-devo, e in cui adesso credo ancora meno’”(Ivi, pp. 283-284, 287-288).

I fan di Tolkien, autori di molte “rilettu-re” dei libri come di fan movies amatoria-li, e in particolare il collettivo italiano dinarratori Wu Ming 4, nato lo stesso annodella morte dello scrittore, a proposito del-l’influenza delle due guerre mondiali e delvoler indagare il problema del Male (“cheTolkien aveva visto manifestarsi in tutta lasua portata nella storia di cui era testimo-ne, senza alcun intento di fornire una ri-sposta risolutiva”), sottolineano: “Tolkiensi mise a scrivere dopo aver partecipatoall’offensiva della Somme e aver visto unterzo della propria generazione scolasticae due su tre dei suoi migliori amici uccisiin un conflitto mondiale; in seguito vide ilproprio paese a rischio di essere invaso esottomesso mentre il resto del mondo re-stava a guardare; ebbe due figli arruolati inuna guerra che si concluse con lo sganciodella bomba atomica; ma fu anche testi-mone del trionfo di un modello di svilup-po che in seguito sarebbe stato definito‘insostenibile’. Inoltre coltivò una fede au-

tentica. […] Per tutti questi motivi,prendeva sul serio ciò che

scriveva. Non raccontavasolo per intrattenersi e

intrattenere o per ri-spondere a un impulso

personale. Scrivevaanche perché

credevanella

grande potenzialità dei miti e delle storiedi dirci qualcosa su noi stessi, di fornirci al-meno un barlume di luce con cui illumina-re parzialmente la sostanza di cui siamofatti” (Difendere la Terra di Mezzo, Odoya,Bologna, 2013, pp. 76-77).

Mentre rivediamo in 3D la battaglia fi-nale ‘tecnologica’ tra uomini, elfi, nani, or-chi e mannari nel terzo film (vedi Il Ra-gazzo Selvaggio n. 109, pp. 6-7) dal roman-zo-fiaba Lo Hobbit, possiamo rileggere unalettera di Tolkien al figlio Christopher: “Sì,penso che gli orchi siano una creazionetanto vera quanto altre cose del romanzo‘realistico’, […] solo che nella vita reale stan-no da entrambi i lati, naturalmente. Perchéil ‘romanzo’ nasce dalla ‘allegoria’, e le sueguerre derivano tuttora dalla ‘guerra inte-riore’ dell’allegoria, in cui il bene è tutto dauna parte e varie forme di male tutte dal-

l’altra. Nella vita vera (esteriore) gli uomi-ni sono sia buoni che cattivi: il che signifi-ca un’alleanza eterogenea fra orchi, bestie,demoni, uomini onesti e del tutto norma-li e angeli” (Ivi, p. 290). Quindi la GrandeGuerra non è romanzata dallo scrittore inmaniera tragica ma interiorizzata comeun’amarissima esperienza personale. A di-spetto della fama di ‘letteratura d’evasione’la sua opera riflette l’impatto della guerra,sottolinea Garth. Inoltre la sua voce dissi-dente esprime aspetti dell’esperienza diguerra che i suoi contemporanei tralascia-rono o censurarono. È Tolkien stesso a dar-ci la chiave per rileggere non solo le pagi-ne, ricche di invenzioni linguistiche, maanche il cinema ricavato da Jackson condue co-sceneggiatrici, dovizia di mezzi tec-nologici e, soprattutto, un concept digita-le ovvero ‘ultrafantastico’, nonché tipicodei fan. Ciò è avvenuto perché “nella mag-gior parte dei casi i prodotti di fan fictiontolkieniani sviluppano direttamente il ma-teriale e gli spunti messi a disposizionedall’autore” (Wu Ming 4, op. cit., p. 82).

Dal romanzo epico Il Signore degli Anel-li che, pur considerato come metafora del-

4

Page 7: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

1915-2015. IL FANTASY VA IN GUERRA

la Seconda guerra mondiale, sviluppa in-tuizioni già elaborate dall’autore in segui-to alla sua prima esperienza bellica, Jack-son accentua il tema centrale ovvero il pro-blema insolubile della morte e della tenta-zione di sfuggirle, oltre a quelli del male, delpotere e della funzione del narrare. Così,nel finale del terzo episodio de Lo Hobbitil regista esalta con il 3D tutto l’orrore diuna ‘grande guerra’, fratricida e ‘industria-le’, con quella battaglia che nel libro occu-pa poche pagine. “Peter Jackson e le dueco-sceneggiatrici Fran Walsh e PhilippaBoyens hanno scelto di raccontare la sto-ria in maniera diversa dall’originale, ope-rando tagli e modifiche per adattare la tra-ma al mezzo cinematografico. E non si ètrattato di modifiche da poco: eliminareuna parte del finale del Signore degli Anel-li è una scelta pesante, o introdurre una vo-

ce narrante femminile, o ancora importa-re dalle appendici una sottotrama amoro-sa che nel corpo del romanzo non compa-re. Tutto questo cercando di non snatura-re l’opera e realizzandola agli antipodi, lon-tano dagli studios hollywoodiani pur spen-dendone i soldi. Un lavoro che non avreb-be potuto fare un qualsiasi mestierante.Ci voleva un fan, per l’appunto” (Ibidem).

Memoria e fantasy

I primi commentatori dell’opera tolkie-niana, ricorda Wu Ming 4, contribuendo al-la percezione del romanzo (ma si potreb-be dirlo anche dei film) come “un prodot-to narrativo fuori tempo massimo, ingenuoe fideistico”, pretesero di ignorare che quel-l’epica “nasceva precisamente dall’orroresprigionato nella prima metà del XX seco-lo ed era un tentativo non già di tematiz-zare o descrivere quell’orrore, bensì di rea-gire e di resistergli” (Ivi, p. 41). Garth spie-ga: “La distillazione dell’esperienza nel mi-to può rivelare gli elementi prevalenti in unpantano morale come la Grande Guerra e

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015 5

mostrare il disegno complessivo, mentrescrittori come RobertGraves tendevano aconcentrarsi sui

dettagli. Tolkien non è il primo mitografoche abbia prodotto un’epica grave e perti-nente in un tempo di guerre e rivoluzioni.[…] Quando il mondo cambia e la realtà as-sume un aspetto sconosciuto, allora l’epi-ca e l’immaginazione fantastica hanno lapossibilità di prosperare” (Garth, op. cit., p.385). Dunque Tolkien ha scritto una mito-logia, non un libro di memorie di guerra,andando però oltre la quantità di scrittiprodotti dai soldati: “Ciò che si ricorda è unamalgama di amare proteste e di coraggio-si primi piani, inflessibilmente diretti alladescrizione della vita e della morte in trin-cea, che filtravano la guerra attraverso unostile ereditato dai conflitti precedenti”(Garth, cit., p. 374), sfruttato peraltro dal-la propaganda militare. In ciò sta la novi-tà, storica, estetica e pedagogica, dell’ope-ra tolkieniana, il cui fascino da grande let-teratura fantastica, capace di re-immagi-nare il mondo e di sviluppare la nostra me-moria, trapassa epoche e generazioni. Og-gi il fantasy è sempre più al centro dell’in-teresse non solo di lettori e spettatori, pic-coli e grandi, ma di studiosi ed esperti chene sottolineano, tra gli altri, gli effetti psi-cologici positivi su mente e apprendimen-to dei più giovani. Tematiche come il con-cetto di “portale”, di come si passi da unmondo all’altro e di come tutto ciò com-porti cambiamenti nei personaggi, di co-me il genere si esprima attraverso illustra-zioni suggestive, con lo sviluppo enorme intutto il mondo sia di libri che di film, pos-sono diventare piste feconde di studio e ri-cerca, con un valore didattico originale perstudenti multimediali e crossmediali. Let-teratura, cinema e didattica possono tra-sferirsi poi su altri testi che, pur partendoda fatti storici o memorie della GrandeGuerra o di altri eventi, si sono trasforma-ti in racconti epici e fantastici. È il caso diuna figura realmente esistita, poi diventa-ta leggendaria grazie anche al cinema: il“barone rosso”. Manfred Albrecht Freiherrvon Richthofen (1892-1918), eroico pilotadi combattimento dell’aviazione tedesca,

l’‘Asso degli assi della Grande Guerra’, èl’oggetto di numerosi romanzi e film: da Ilbarone rosso (Von Richthofen and Brown,Usa 1971) di Roger Corman (vedi scheda-rio a p. 49) alla pellicola con lo stesso tito-lo di Nikolai Müllerschon (Der rote Baron,Germania/Gran Bretagna 2008), passandomagari attraverso la trasformazione im-maginaria del suo celebre triplano nel-l’idrovolante monoplano del protagonistadi Porco rosso (Kurenai no buta, Giappone1992) di Miyazaki (vedi Schedario nel n.84 p. 19), in continuità a-temporale quan-to radicale e universale, in modo da raffor-zare la nostra memoria. Ricordiamoci, in-fatti, che se la Grande Guerra nel realismoè come una malattia, nel fantastico di Tol-kien e dei suoi epigoni essa è solamente unsintomo. <

A pagna 4 dall’alto al bassoLo Hobbit - La battaglia delle Cinque Armatedi Peter Jackson, Usa/Nuova Zelanda 2014.Il Signore degli Anelli - Il ritorno del Re diPeter Jackson, Usa/Nuova Zelanda 2003.Il barone rosso di Roger Corman, Usa 1971.

In questa pagina dall’alto al bassoDer rote Baron di Nikolai Müllerschön,Germania/Gran Bretagna 2008.Il Signore degli Anelli - Le due torri di PeterJackson, Usa/Nuova Zelanda 2002.Porco rosso di Hayao Miyazaki, Giappone 1992.

Page 8: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

Suoi paradigmi Obiettivo Burma e Il giornopiù lungo; un gradino più su le pellicole diSamuel Fuller. La Prima Guerra Mondialemal si adatta ad alimentare il war film che- genere fra i generi - deve essere visto ‘intranquillità’, senza trasmettere l’angosciadi interrogativi morali. Mal si adatta all’iden-tificazione spettatore-protagonista, alla re-torica circa l’eroismo e l’amor di patria,quando non al mito della “bella guerra”.

“Inutile strage” quale è stata, richiede alcinema che a essa si riconduce la scomo-dissima necessità di “guardare dentrol’abisso” con occhi ben aperti, nonché lamobilitazione di conoscenze di ordine po-litico, storico, economico. Di qui la spro-porzione numerica tra pellicole dedicatealla Seconda Guerra Mondiale e quelle de-dicate alla Prima.

La considerazione più importante è tut-tavia di natura linguistica. Nel senso chel’insieme dei testi filmici sulla Grande Guer-ra, più che far riferimento all’architesto warfilm, costituisce un architesto “autonomo”:sono drammi, o melodrammi, o film poli-tici ambientati negli anni 1914-1918 oppu-re - è il caso dello splendido I recuperanti -aventi attinenza diretta con quell’epoca.

L’esempio de I quattro cavalieri dell’Apo-calisse, film muto del 1921, starring Ru-dolph Valentino, è molto interessante, me-ritevole e curioso in sé, quantunque desti-nato più agli specialisti e agli appassiona-ti del cinema delle origini che non agli stu-diosi di cinema della Grande Guerra, al-l’interno del quale occupa un posto non diprimissima fila. Per esempio, è meno im-portante e incisivo de La grande parata,All’Ovest niente di nuovo, Westfront 1918.

Lungo 150 minuti, è un mélange di gene-ri dove il melodramma si prende il primoposto, ma è presente anche il cinema fan-tastico. I quattro cavalieri dell’Apocalisse eb-

Primo film di questo Speciale, prima ana-lisi. Quindi subito lo sappiano i suoi

utilizzatori: I quattro cavalieri dell’Apoca-lisse “non è” un film di guerra. Come del re-sto gli altri titoli proposti: “non sono” filmdi guerra tradizionalmente intesi (= warfilm) secondo la definizione da tutti accet-tata di quel genere cinematografico chemostra realisticamente soldati impegnati inoperazioni militari rischiose e fatti d’armedescritti in toni epicizzanti, con i buoniche rifulgono di virtù virili e i cattivi (vale adire i nemici di turno) quintessenza simbo-lica della perfidia, più che uomini reali.

Il war film è roba hollywoodiana e ‘copre’non più di due guerre: Seconda e Corea.

be all’epoca un vivo successo (fu pratica-mente la pellicola che lanciò il mito di Ru-dolph Valentino), ciò nonostante la figura delsuo regista Rex Ingram (1893-1950), consi-derato un ‘pari grado’ di David Wark Griffithe Thomas Harper Ince, praticamente scom-parve con l’avvento del sonoro. Un libro de-dicato al nostro, ha come sottotitolo A Visio-nary Director of the Silent Screen. Cineastadunque visionario e al contempo popolare,

abituato al kolossal e ai grossi budget, fuoscurato da Cecil B. DeMille. Tutto questoper suggerire allo spettatore di misurarequanto la figura di Ingram si sovrappongaa quella dei registi “impegnati” che si sonospesi in opere sulla Grande Guerra.

I film di Ingram sono da vedere comeconsiderevoli, valenti e ricchi esercizi di stile.

I quattro cavalieri dell’Apocalisse co-mincia nei primissimi anni del Novecen-to con un don Julio Madariaga, origini spa-gnole, che ha fatto fortuna in Argentina.

S P E C I A L E S C H E D E

REX INGRAM

I quattro cavalieri ddeellll’’AAppooccaalliisssseedi GIULIO FEDELI

Regia: Rex IngramSoggetto: dal romanzo omonimo diVincente Blasco IbáñezSceneggiatura: June MathisFotografia: John F. SeitzMontaggio: Grant WhytockScenografia: Joseph Calder, Amos MyersMusica: Luis F. Gottschalk, Carl DavisInterpreti: R. Valentino (J. Desnoyers), A. Terry (M. Laurier), P. Cannon(Madariaga), J. Swickard (M. Desnoyers),A. Hale (K. von Hartrott), B. Clark (D. Luisa), M. Van Buren (Elena), N. DeBrulier (Tchernoff), ...Origine: Usa 1921Distribuzione dvd: Enjoy Movies Durata: 150’Dai 14 anni

speciale · numero 111 · maggio-giugno 20156

Page 9: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

Ecco che l’introduzione della guerra,avviene a metà film. La trama (e questa re-censione) è disordinata, ma la valorizzazio-ne degli attori ci fa apprezzare lo stile di In-gram, che dà il meglio di sé nelle scene dimassa, fra le migliori dell’intero cinemamuto: la folla per le strade di Parigi, l’insie-me dei chiamati alle armi. Appare Tcher-noff, ‘lo straniero’, un personaggio barbu-to, ‘dostoevskiano’, vicino di casa di Julioche serve al regista per costruire, primaancora della valenza tematica del film, im-magini di grande suggestione figurativa,senza dubbio il meglio dell’insieme. Lospiritato Tchernoff è ossessionato dall’Apo-calisse e crede che la guerra sia giunta inEuropa con il galoppo dei quattro cavalie-ri: Pestilenza, Distruzione, Carestia, Mor-te. Virate, nelle copie su pellicola, in blu erosso, queste apparizioni sono cinemato-graficamente molto potenti.

Il conflitto avanza lasciando un mar-chio indelebile di dolore su uomini e cose:il castello Desnoyers viene occupato daitedeschi e saccheggiato; Laurier perde la vi-sta in battaglia; sua moglie Marguerite,pentita, si fa crocerossina e lo assiste in si-lenzio; Julio, finalmente, proprio vedendoMarguerite, si dà del codardo e pur essen-do cittadino straniero si arruola nell’eser-cito francese alleggerendo un poco i ri-morsi del padre Marcelo. I cugini Otto vonHartrott e Julio Desnoyers si ritrovano con-temporaneamente sul campo di battagliae un’esplosione li uccide simultaneamen-te prima che abbiano il tempo di reagire.Alla fine, mentre Karl von Hartrott piangela morte di tutti e tre i figli, il vecchio Mar-celo soffre sulla tomba di Julio fra le millecroci di un cimitero su una collina, allasommità della quale appare Tchernoff chemormora: “Io li conoscevo tutti”.

I quattro cavalieri dell’Apocalisse è para-dossalmente da vedere in quanto difetti e

7

Nella sua immensa hacienda, regna conla frusta da sovrano assoluto. Diversi dei‘mocciosi’ che si vedono in giro gli somi-gliano stranamente, e vengono perciò gra-tificati di qualche moneta anche se lascia-no a desiderare nel lavoro. Ingram sapevadunque in pochissimi tocchi sbalzare uncarattere. Belle le inquadrature che vedo-no Madariaga a cavallo, solo, a centroschermo, mentre contempla i ‘suoi’ pa-scoli: se ne ricorderanno anni dopo i variregisti del ranchero John Wayne per dare latemperatura ‘ideologica’ di vari film (Chi-sum…). Anche Jacques Tourneur ha rita-gliato immagini e atmosfere de Il grandegaucho su questo inizio.

Il vedovo Madariaga, ha due figlie (le-gittime, queste): Elena, sposata col tedescoKarl von Hartrott, tre figli maschi; Luisa,maritata al francese Marcelo Desnoyers,madre della graziosa Chichí e di Julio, il pre-ferito del vecchio - portano anche lo stes-so nome - che ne vuol fare l’unico erede.

Ma Julio (Rudolph Valentino), viziato dalnonno e dalla madre, è uno scioperato, etrascorre le giornate ballando il tango e cor-teggiando señoritas a Boca, quartiere mal-famato di Buenos Aires. Il regista non sivieta affatto piccole digressioni comiche, eci mostra una dispettosa scimmietta chetornerà a più riprese nel film, ed è davverodivertente quando presenta i tre figli di vonHartrott che giocano… ai soldati, marcian-do al passo con le loro spade di legno!

Madariaga muore prima di aver messomano al testamento, così che la sua fortu-na verrà equamente divisa tra le figlie. Ilpatriota Karl von Hartrott parte subito conla famiglia per la Germania, i Desnoyersinvece hanno qualche difficoltà: Marcelonon ha mai confessato che, studente socia-lista, fuggì dalla Francia dopo il 1870 pro-prio per evitare la chiamata alla leva mili-tare. Ma decide di rischiare, e i Desnoyerssi ritrovano a Parigi.

La sceneggiatura, proceden-do un po’ alla garibaldina, con-centra ora tutta la narrazione suiDesnoyers. Marcelo inizia acomprare gioielli, quadri, e addi-rittura un castello dove riporretutti quei tesori; Julio Desnoyersnon cambia dandosi alla bohè-me. Seduce Marguerite Laurier,moglie dell’amico di famigliaÉtienne Laurier. Il duello che nenasce non avrà luogo, perché iduelli fra le nazioni hanno la pre-cedenza: in Francia scatta la mo-bilitazione generale e Laurier de-ve partire per il fronte.

pregi se lo disputano imparzialmente. Latortuosità della trama scende direttamen-te dal romanzo dello spagnolo Vicente Bla-sco Ibáñez (1867-1928), abbondante scrit-tore di feuilleton a torto ritenuto un gran-de. L’incongruenza più evidente riguardaproprio l’introduzione nel tessuto realistadel racconto filmico degli inserti fantasti-ci dei cavalieri: il loro posto ‘naturale’ sareb-be stato un’opera dreyeriana (Pagine dal li-bro di Satana) o del Bergman ‘medievale’.Tuttavia da tale “fuori contesto” orrorificonascono la carica antibellicista del film e lacelebrazione del talento plastico e figura-tivo dell’autore che lo avvicina a Griffith,mentre l’’apparizione’ di Julio a Margueri-te è puro melodramma borzaghiano.

L’illuminazione drammatica di JohnSeitz alterna toni realisti ad altri più netta-mente espressionisti, anche per i campi dibattaglia. Ingram infatti dà più importan-za alla fotografia che al montaggio.

Le scene collettive e di massa sono mi-rabili. Il villaggio distrutto dove sorge ilcastello Desnoyers può rivaleggiare conl’episodio babilonese di Intolerance. La

scena dell’occupazione tede-sca del medesimo castello, nel-la sua perfezione pittorica eplastica, anticipa di decenniVisconti e la notte dei lunghicoltelli a Bad Wiessee ne La ca-duta degli dei. Ma ciò che ri-mane a monito perenne control’insensatezza della guerra, èlo splendido totale della colli-na-cimitero alla fine.<

REX INGRAM · I QUATTRO CAVALIERI DELL’APOCALISSE

7speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

REX INGRAM

I quattro cavalieri ddeellll’’AAppooccaalliisssseedi GIULIO FEDELI

Qui a lato I soldati tedeschi nelCastello Desnoyers: padronanzaperfetta dello spazio filmico eindicazioni circa le componentidel militarismo germanico.

Page 10: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

de major MGM. Le storie del cinema stima-no che i costi di produzione furono di382.000 dollari, mentre gli incassi assom-marono a ben 3.485.000 dollari.

La storia è semplice, lineare e volta apromuovere apparentemente soprattuttocommozione nello spettatore. Jim, figlio diricchi industriali, è uno sfaticato giovin si-gnore che nella primavera del 1917, presoda giovanile entusiasmo, si arruola nel-l’esercito Usa inviato in Europa verso la fi-ne della Prima Guerra Mondiale. Ma benpresto conosce sulla sua pelle gli orrori del-la guerra e la carneficina delle battaglie ditrincea. Amputato di una gamba, ritornabrevemente in famiglia, ove nel frattempola fidanzata si è legata al fratello, ma alla fi-ne riabbraccia in Francia Mélisande, unadolce contadina che l’aveva confortato inattesa di essere gettato in prima linea.

Il film ebbe una fortuna critica contra-stata. Alcuni giornalisti accusarono Vidoraddirittura di ambiguo militarismo. Il cri-tico americano Braver-Mann, in un sag-gio del 1931, ad esempio, distrugge impie-tosamente così il film: “Vidor (…) ha foca-lizzato il suo commento sulla guerra inun’assurda storia d’amore tra una ragazzadi campagna francese e un giovane ame-ricano arruolato nella fanteria, mentre tut-t’intorno i soldati venivano fatti a pezzi.Ha omesso ogni riferimento ai finanzieri eagli esperti militari del governo che in que-gli stessi anni stavano ammassando fortu-ne colossali. The Big Parade ha seguito il rit-mo dei tamburi e ha avvolto in un alone losventolio delle bandiere e la ricerca di unadonna anziché alimentare un odio pro-fondo nei confronti della guerra e unacompassione intensa per i suoi milioni divittime. Nessuna meraviglia che Ejzenštejn

Tra melodramma e antimilitarismo

La grande parata è stato uno dei mag-giori successi popolari del cinema muto,con teniture di lunghi mesi nelle sale del-le grandi città, origine fondativa della gran-

abbia definito The Big Parade propagandamilitarista”. Peccato che 50 minuti del film(circa metà della sua durata totale) sianodedicati alla follia angosciante della guer-ra di trincea, descritta con crudele realismo.Il “ritmo dei tamburi” e lo “sventolio dellebandiere” si riduce a una iniziale breve sfi-lata strapaesana, con banda e majorettes,nella pura tradizione popolare america-na, che coinvolge nella sua ingenua gioio-sità il vagheggino Jim.

In effetti il film è pieno di allusioni e disignificati nascosti.

Lo stesso titolo non si riferisce tanto al-la sfilata “patriottica” iniziale, quanto allalunga linea, prima ascendente, poi discen-dente, degli automezzi militari che porta-no le truppe al macello e poi delle ambu-lanze della Croce Rossa che riportano nel-le retrovie morti e feriti dopo la battaglia. Sitratta di una linea diritta che taglia dram-maticamente lo schermo dal basso all’al-to e viceversa, in contrapposizione alla rap-presentazione “orizzontale” della realtà,impiegata normalmente a fini narrativi.

L’invenzione linguistica viene suggeri-ta a Vidor da una delle sue prime espe-

S P E C I A L E

Titolo originale: The Big ParadeRegia: King VidorFotografia: John ArnoldSoggetto: Laurence StallingsSceneggiatura: Harry BehnMontaggio: Hugh WynnScenografia: C. Gibbons, J. BaseviMusica: Carl Davis (per l’edizionerestaurata del 2004)Produzione: Metro Goldwin Mayer(Irving Thalberg)Interpreti: J. Gilbert (James “Jim”Apperson), R. Adorée (Mélisande), H. Bosworth (Mr. Apperson), C. McDowell (Mrs. Apperson), C. Adams (J. Reed), R. Ober (H. Apperson), T. O’Brien (B. O’Hara), K. Dane (S. Jensen),R. Marstini (madre di Mélisande)Origine: Usa 1925Distribuzione video: Amazon, disponibilesul WebDurata: 141’Dai 14 anni

S C H E D E

KING VIDOR

La granddeeppaarraattaa

di FLAVIO VERGERIO

speciale · numero 111 · maggio-giugno 20158

Page 11: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

re nero). La didascalie originali recitano:“Primavera 1917. L’America era una na-zione impegnata nel progresso pacifico.Gli stabilimenti cantavano di attività, lecostruzioni svettavano verso il cielo, mo-numenti al commercio e alle professioni”.L’incipit del film sembra essere un tipicoinno all’individualismo e al collettivismoamericani, che nasconde le profonde dif-ferenze di classe (ma che invece Vidorevidenzia). Ma questo apparente ottimi-smo dei testi viene negato dalla scenasuccessiva in cui il padre industriale lo-da l’attivismo e l’impegno nell’impresa difamiglia del figlio primogenito Harry e,criticando invece la vita perdigiorno diJim, lo incita ad arruolarsi e a esprimerecosì il suo spirito patriottico. L’attivismo

volto all’arricchimento della famiglia rap-presenta la giustificazione per la parteci-pazione alla guerra.

Quanto all’accusa di melensaggine perla patetica storia d’amore fra Jim e la gra-ziosa contadina francese, anche in questocaso le cose non sono così semplici. In-nanzitutto dietro l’innamoramento del ric-co americano per la povera Mélisande sipuò intravvedere il rifiuto di Jim per unprogrammato e prevedibile matrimoniocon una donna insipida (che si rivela poitraditrice) rappresentante della propriaclasse sociale, una sorta di ribellione alleleggi di una struttura economica che esclu-de il diverso e l’inferiore.

Inoltre il rapporto fra l’americano e lafrancese presuppone la fondazione simbo-lica di un rapporto solidale fra popoli econtinenti diversi. Ne è segnale sottile eironico l’apprendimento da parte di Méli-sande della ruminazione del chewing-gum(che inizialmente inghiotte) cui l’addestraJim in una lunga scena di corteggiamentoamoroso. Il simbolico scambio culturale èconfermato dal fatto che nell’ultima se-quenza del film, prima dell’abbraccio libe-

9

rienze giovanili come operatore, chiama-to casualmente a filmare una grande mar-cia militare di 11.000 soldati da Galvestona Houston nel Texas, come ricorda nellasua autobiografia del 1953: “Un ricordoche non mi ha più abbandonato. L’imma-gine dell’esercito americano, che passavae ripassava davanti ai miei occhi, forman-do una lunga linea diritta rispunterà al mo-mento della realizzazione di The Big Para-de (…). Ma questa prima “grande parata”doveva assumere per me un valore simbo-lico. Per tutta la mia vita ho sentito la ne-cessità di ritornare a quell’immagine comea un punto di riferimento”.

Quanto alla critica che il film non ab-bia esplicitato la natura capitalistica e gliinteressi finanziari sottesi alla gestione

della guerra, si può obbiettare che un filmdi finzione non può diventare un tratta-to di economia. Eppure King Vidor allu-de, per gli spettatori più attenti, anche aquesto aspetto. Il film si apre con i trebrevi ritratti “interclassisti” di quelli chediventeranno il trio degli inseparabili sol-dati solidali sui campi di battaglia in Fran-cia, Slim (operaio edile impegnato nellacostruzione di un grattacielo), Bull (bari-sta al lavoro dietro al bancone) e il prota-gonista Jim (figlio di industriali coltomentre si fa la barba servito da un barbie-

ratorio finale, ritroviamo Mélisande men-tre ara la terra masticando pensosamenteun…chewing-gum.

Ma c’è di più. Secondo il critico anglo-americano Raymond Durgnat, Jim in unascena precedente aveva imparato a ma-sticare tabacco dal segaligno e rude Slim e“il passaggio dal tabacco alla gomma damasticare implica anche un salto dall’uo-mo maschio e rude, sempre all’erta, stileamericano, a qualcosa di più blando, mor-bido e raffinato. Apperson (Jim) fa uso del-la lezione del chewing-gum come preludioal riuscito corteggiamento di Mélisande eal bacio finale; in questo modo la donna‘pioniera’ viene ingannata e spinta a unaperdita di integrità che è anche compi-mento della sua femminilità”.

Vidor, all American Man?

Per analizzare il film dal verso giusto bi-sogna collocarlo all’interno della corposafilmografia di Vidor (composta di oltre 80film), uno dei giganti di Hollywood. King Vi-dor (1894-1982) nasce in una città texana,Galveston, e in assenza di scuole di cinemasi forma nella dura gavetta della città del ci-nema, imparando sul set tutti i trucchi delmestiere. Pur professando da accanito ar-tigiano un iniziale credo “realistico” e do-cumentaristico, la sua arte si affina (e sicomplica) affrontando i generi e i soggettipiù disparati, confrontandosi con molti te-sti teatrali moderni e alcuni classici dellaletteratura da Cronin (La cittadella) a Tol-stoj (Guerra e pace). Vidor nel suo periodomuto può essere considerato assieme aGriffith uno dei maggiori creatori di formee codici filmici. Egli è innanzitutto parteci-pe della fondazione dell’inquadratura “tra-sparente”, tale cioè da far sembrare reale l’il-lusione schermica, le concatenazioni dimontaggio alternato fra inquadrature fis-se, la contrapposizione dinamica di cam-pi e controcampi, l’impiego di movimenti

KING VIDOR · LA GRANDE PARATA

9speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 12: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

di macchina funzionali alla dinamica del-la storia. Quanto a questi ultimi se ne notil’impiego nella sequenza dell’avanzare nel-la foresta infestata di cecchini tedeschi deitre commilitoni. La macchina da presa ri-prende con diverse angolazioni, di lato, difronte o dall’alto, con movimenti di accom-pagnamento, il cauto cammino dei tre sol-dati mentre intorno a loro vengono colpi-ti i loro compagni. Il movimento della mdpproduce un’intensa partecipazione emo-tiva al terrore vissuto dai soldati.

Vidor, vero “autore” all’interno del siste-ma di produzione hollywoodiano, ha sem-pre sperimentato forme semplici ed emo-zionanti di “realismo”. Il suo cinema espri-me un insospettabile spirito anarchico,con un’innata simpatia per i vinti e una vi-

va attenzione a un realistico panorama so-ciale. In fin dei conti anche il Jim di La gran-de parata è un vinto. Il John Gilbert, reducedal set luciferino de La vedova allegra di VonStroheim (1925) e destinato a una grandecarriera di amatore accanto a Greta Garbo,qui viene ridotto a un uomo comune redu-ce dalla guerra amputato di una gamba…

Il film maggiormente esemplificativodell’estetica vidoriana è il lancinante, riccodi straordinarie invenzioni linguistiche, Lafolla (The Crowd, 1928) pessimistica vicen-da di un uomo comune che vede fallire lesue speranze tipiche del sogno americano.Straordinario il successivo Alleluja! (Hallel-lujah!, 1929), suo primo film sonoro, dedi-cato alla cultura e alla musica nere. Di for-te impatto sociale anche Nostro pane quo-tidiano (Our Daily Bread, 1934), dramma-tica vicenda della lotta di un uomo comu-ne contro la disoccupazione e le strutturedella vita collettiva. Nel dopoguerra la pro-duzione di Vidor si dedica al noir permean-dosi di un’esasperata distruttività, a fortitinte erotiche. Esemplificativi l’epocaleDuello al sole (Duel in the Sun, 1946), conla coppia Gregory Peck-Jennifer Jones chemette in scena il mitico rapporto fra amo-re e morte e il cupo Peccato (Beyond theForest, 1949), con Bette Davis, ritratto tra-gico di una donna ribelle e sensuale.

Ermanno Comuzio nella sua monogra-fia (Il Castoro cinema, 1986) sintetizza ef-ficacemente così l’animo vidoriano (nonparlerei di “ideologia”, territorio che forse gliera estraneo): “Il suo attaccamento alla ban-diera a stelle e strisce è tanto che qualcunodefinisce il suo rapporto con la patria un lo-

ve affair with America, ed effettiva-mente egli giura nel pionierismo, nel-lo spirito di frontiera, nel liberalismo,nell’insofferenza verso ogni limitazio-ne della libertà individuale, posto che

SPECIALE SCHEDE

10 speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

questi siano i segnali dello spirito america-no. Ma non esita a esaltare personaggi osti-li alle gerarchie sociali del suo Paese, e poipassa da proposizioni idealistiche a schiet-te rappresentazioni di libertà sessuale, daatteggiamenti di solido conservatorismotexano a uno spirito di totale tolleranza”.

A conferma di tutto ciò, in una prospet-tiva anarco-individualista, La grande para-ta può essere letto in filigrana come la sto-ria di una ribellione e di un fallimento. Jimsi ribella inizialmente alla Legge del Padree del Profitto rifiutando di arruolarsi, in ra-gione di una visione della vita libertaria. Ca-drà poi nella trappola della retorica propa-gandistica patriottarda solo per un impe-to di entusiasmo giovanilistico. Il suo inna-moramento per la contadina francese puòessere letto come la manifestazione del ri-fiuto della propria classe sociale e delle sueleggi, scegliendo un altro luogo e un’altrapatria, ma pagando il fio di questa sceltacon l’isolamento e la condizione di storpia-to nel corpo.

Dualismi e contraddizioni

L’articolazione del racconto in Vidor sifonda sulla rappresentazione di molteplicidualismi e di una dialettica irrisolta nellacondizione umana. I suoi personaggi spes-so manifestano il loro individualismo inconflitto con le strutture sociali, sono com-battuti fra la condizione di vita in campagnae quella in città, fra Bene e Male, altruismoed egoismo, acqua e fuoco. Anche in que-sto film si possono rintracciare puntuali ri-scontri di questa dialettica tematico-espres-siva. Jim abbandona la città del padre e del-l’industria per rifugiarsi in campagna alla ri-cerca di un rapporto più genuino con lanatura e di un rapporto amoroso più vero.La coppia altruismo-egoismo viene mirabil-mente illustrata, lungi da una facile retori-ca solidaristica, nella scena in cui Jim con-divide lo spazio di un cratere creato dallebombe con un soldato tedesco morente.

Page 13: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

ne archetipaper moltispettatori,

oltreche es-

sere diventata modello per film successivi.Ad esempio Lewis Milestone la riprendepochi anni dopo nell’altrettanto dramma-tico All’Ovest niente di nuovo (1930), ove pe-rò il protagonista tedesco uccide con uncolpo di baionetta il nemico francese. Laquasi insostenibile lunghezza della scenapermette a Vidor, ancora una volta con unsincero taglio realistico, di misurare la sof-ferta evoluzione psicologica di Jim di fron-te al nemico morente. Dall’odio, dall’inizia-le ripulsa e dal desiderio di infliggere un de-finitivo colpo di baionetta al tedesco, difronte allo sguardo implorante del soldato(poco più che un ragazzo) Jim esprime conl’offerta di una sigaretta uno spontaneogesto di solidarietà e la manifestazione diuna sofferta partecipazione umana quan-do il tedesco si abbandona alla morte.

Questione di piedi e di scarpe

Vidor utilizza spesso il materiale profil-mico non solo in funzione plastica edespressiva, ma anche in quella simbolica.Sintomatica l’attenzione dedicata alle scar-pe di Jim, almeno in due sequenze-chiave.Nella prima vediamo Jim osservare comespettatore divertito la parata strapaesanaordita dai suoi concittadini per propagan-dare l’arruolamento nell’esercito in par-tenza per l’Europa. Una banda suona mar-cette militari, l’atmosfera è gioiosa, appa-rentemente una festa di popolo. Jim segueil ritmo della musica, due successive in-quadrature in dettaglio mostrano i suoi pie-di. Inizialmente batte il tempo con un pie-de, poi con tutti e due. Ormai è fatta, Jim siè fatto accalappiare lasciandosi coinvolge-re emotivamente dalla manifestazione…

Ma i piedi e le scarpe del protagonista so-no destinati a ritornare sulla scena conuna decisiva funzione simbolica. Vedia-mo in particolare la sequenza in cui im-provvisamente viene dato l’ordine allacompagnia di Jim di lasciare il villaggioagricolo di Champillon per il fronte. Men-tre i soldati si allineano per iniziare lamarcia nella confusione di autocarri emotociclette Jim cerca disperatamenteMélisande per darle l’ultimo addio.Quando finalmente la rintraccia, riesce a

baciarla prima di salire su un camion inpartenza. Poi Vidor drammatizza la scenacon un ritmo crescente delle immagini. Leinquadrature di uomini di corsa, cavalli,automezzi ripresi da diverse angolazioni,fisse e in movimento, si alternano in unmontaggio sempre più veloce e coinvol-gente. Quando il mezzo si avvia, la donnasi attacca a una corda che pende dal ca-mion, cercando di fermarne la corsa, maviene trascinata via. Jim nell’abbraccio fina-le ha lasciato cadere una scarpa militare,che Mélisande tiene stretta al petto. La don-na rimane sola, una figuretta bianca a ter-ra nella piazza ora deserta, mentre la colon-na si è allontanata sollevando nuvole dipolvere. La scarpa di Jim assolve alla dupli-ce funzione di oggetto sostitutivo della suapresenza per Mélisande e di anticipazionedell’amputazione della gamba.

La frenesia delle immagini si placa pro-gressivamente sino all’apparizione dellalunga colonna di automezzi militari cheattraversa verticalmente l’inquadratura,seguita dalla minacciosa didascalia “It hadbegun” (ciò è iniziato).

Questi esempi di lettura di alcune se-quenze del film vogliono fare giustiziadelle accuse di superficialità e di pateti-smo attribuite a Vidor, che rivela a unosguardo attento una capacità di produr-re senso attraverso straordinarie inven-zioni linguistiche. <

KING VIDOR · LA GRANDE PARATA

11speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Inizialmente mosso dall’odio per il nemicocerca di allontanarlo da sé, poi finisce perassisterlo donandogli un’ultima sigaretta(che si riprende quando il tedesco muore).

Quanto al rapporto acqua-fuoco si no-tino le lunghe sequenze al villaggio bagna-to da un fiume sulle cui rive si lavano i sol-dati alla ricerca di un rapporto affettivo con

le ragazze del luogo.Se l’acqua rap-

presenta sim-bolicamente

un rapporto pacificato con la natura, ilblocco narrativo successivo, dedicato allabattaglia, colmo di esplosioni e di traietto-rie infuocate, rappresenta un implacabilecapovolgimento della condizione umanaverso la follia auto-distruttiva della guerra.

Anche a livello narrativo Vidor alternadiverse tonalità, dal mélo e dalla finzione(dichiarata), al realismo di taglio documen-taristico, dal dramma all’umorismo e allacommedia. Dalla storia d’amore (ripetia-molo, solo apparentemente convenziona-le) fra Jim e Mélisande, si passa di colpo al-la tragica rappresentazione della battaglia.

Vidor lavora sulla durata per attestareverità e pregnanza alle situazioni rappre-sentate. La scena del chewing-gum e delprimo bacio, con i due attori lasciati a im-provvisare in libertà, dura molto più a lun-go del tempo concesso dalle convenzionidi genere. Il gioco si sviluppa con teneroumorismo con Jim che spiega con diffi-coltà l’impiego della gomma da masticaree Mélisande che inizialmente la inghiotteinvece di trattenerla in bocca. Significati-vo poi il fatto che il chewing-gum divente-rà un oggetto transizionale per la ragazza.In ricordo dell’innamorato perduto, pri-ma della scena finale.

La durata diventa elemento espressivofondamentale anche nella scena nel crate-re creato da un colpo d’obice, cui ho già ac-cennato. La scena è diventata un’immagi-

Page 14: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

bri di scuola, gonfiata di pompositá e fal-so misticismo, ma la vera guerra vissutanelle trincee, presso i morti e i morituri, trail fango e sotto la pioggia, con lo spasmodella fame nello stomaco e il morso dellosgomento nell’anima.

Proprio per questo, in Italia al tempodel fascismo libro e romanzo furono forte-mente osteggiati, tanto che il libro, dopouna prima edizione del 1931 nella collanamondadoriana “Romanzi Guerra”, poté es-sere ristampato solo nel dopoguerra a co-minciare dal 1950, e il film, non senza pe-santi interventi della censura, comparvesui nostri schermi solo nel 1956.

Ma romanzo e film hanno una ben di-versa radicalitá ideologica, al punto chein Germania il film, perché d’oltre Atlan-tico e “diffamatorio”, venne proibito “perragioni di ordine pubblico”, mentre in-vece il romanzo, secondo l’autore sempli-ce “relazione su una generazione che fudistrutta dalla guerra”, aveva avuto enor-me successo editoriale, mezzo milionedi copie in tre mesi, tre milioni e mezzoin diciotto mesi.

II romanzo “teutonico” di Erich M. Remarque

II romanzo di Remarque è decisamen-te “teutonico”, non solo per quegli strug-genti e stridenti contrasti tra realismo e in-timismo, esasperazioni veristiche e illan-guidimenti sentimentali, anche e soprat-tutto per quella interpretazione “prussia-na” della “Kameradschaft”, del camerati-smo militare fede e speranza dell’animagermanica invasata, malgrado la sconfittae la crisi, da echi e risonanze del “siegfrie-dismo” germanico. Ideologicamente, Re-marque non è molto distante dallo spiritodel suo contemporaneo Rudolf Georg Bin-ding che nell’esperienza della guerra e del-la sconfitta riesce orgogliosamente a co-gliere “das Neue Mass”, la nuova misura

All’Ovest niente di nuovo (All Quiet onthe Western Front, 1930) di Lewis Mile-

stone, due premi Oscar per il miglior film eil miglior regista dopo le quattro nomina-tion tra cui anche per sceneggiatura e foto-grafia, si riferisce al romanzo di Erich Ma-ria Remarque Niente di nuovo sul fronte oc-cidentale (Im Westen Nichts Neues, 1928).

Come il libro tedesco, anche il film ame-ricano tende a togliere il velo alla guerra permostrarla nelle sue brutture e abiezioni,disincantarla dalle apologie retoriche, si-gnificare agli uomini, tesi a scontrarsi induelli immani, quanto disumana e grotte-sca sia la guerra, non quella studiata sui li-

delle cose. Solo che Remarque non ne con-divide l’ebbrezza vitale e prenazistica, maneppure, per i suoi diciannovenni, allegra-mente usciti freschi dalla scuola e fatal-mente scaraventati nel turbine degli ulti-mi anni di guerra, riesce a superare l’am-bivalenza drammatica tra impegno civilee servizio militare, nostalgia di famiglia e ri-chiamo “cameratesco”.

Per questo, come in quegli anni ancheArnold Zweig con Der Streit um den Sergen-ten Gischa (l927) e Ludwig Renn con Krieg(1928), sa terribilmente rappresentare edescrivere la realistica plebeitá della vitamilitare al fronte con dilagamento degliistinti e smarrimento delle fedi, ma si limi-ta a osservare la “sua” generazione fallita,senza capacitá di opzioni, compromessi,scelte, aprioristicamente già vittima di quelgioco che è il nazifascismo nascente. E co-sì l’anatema di Remarque vibra di un sen-timento appassionato e risentito, cristalliz-zandosi però in una condanna genericache non risale alle cause storiche ed eco-nomiche del conflitto, e insistendo su unasterile “recherche du temps perdu”, quasia giustificare la propria impotenza storicaa reinnestarsi nella società e nella vita perindirizzarle verso destini di pace e libertà.A suo modo, per dirla con BonaventuraTecchi, il romanzo si incanala nell’ambitodi quella letteratura tedesca del dopoguer-

S P E C I A L E

Titolo orig.: All Quiet on the Western FrontRegia: Lewis MilestoneSoggetto: dal romanzo di E.M. RemarqueSceneggiatura: Dell Andrews, MaxwellAnderson, George AbbottFotografia: Arthur EdesonScenografia: Charles D. Hall, W.R. SchmittMusica: David BroeckmanMontaggio: E. Adams, M. CarruthInterpreti: L. Avres (P. Baumer), L. Wolheim(Katczinsky), G.S. Summerville (Tjaden), W. Backewell (A. Kropp), J. Wray(Himmelstoss), A. Lucy (Kantorek), B. Alexander (Kemmerich), S. Kolk (Leer), ...Origine: Usa1930 Durata: 107’ (140’)Dai 14 anni - Reperibile in DVD

S C H E D E

LEWIS MILESTONE

All’Ovest niente ddii nnuuoovvoo di ALBERTO PESCE

speciale · numero 111 · maggio-giugno 201512

Page 15: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

un soldato americano e una giovane con-tadina francese e di vellicare quello spiritoantibellicistico e neutrale che allignava nel-l’inconscio della nazione americana.

Ma quando, tra il 1929 e il 1930, invanoprevenuto, invano scongiurato, avviene ilpanico crollo della “Coolidge Prosperity”lasciando sfumare nel giro di poche gior-nate tredici miliardi di dollari, somma per-sino superiore al debito nazionale ameri-

13

ra “specchio fedele di un popolo che sen-te la disfatta e cerca, allo sbocco di vie di-verse, la propria salvezza”.

Usa: tradizione pacifista eGreat Depression

Con il suo film, invece, Lewis Milestonesi riallaccia alla tradizione dell’isolazioni-smo americano di coloritura pacifista chedurante la Prima Guerra Mondiale Woo-drow Wilson aveva cercato di aggirare sot-to il fascinoso incanto di una crociata indet-ta “per assicurare il mondo alla democra-zia”, forzando quelle dinamiche del riformi-smo pragmatistico visceralmente ostile aconvulsioni di una rivoluzione o a distru-zioni di una guerra con quella inesorabile“strage degli innocenti” che ogni guerrabestialmente comporta. È un pacifismo dicui il cinema americano, quasi a stornareprobabili interventi americani nella guer-ra europea, si era fatto eco nel 1916 sia conCivilisation dove Thomas H. Ince facevareincarnare lo spirito di Cristo in un solda-to che malgrado schemi e avversità riusci-va a ristabilire la pace, sia con Intolerancedove David W.Griffith raccoglieva in mon-taggio parallelo attorno al dramma dellaMadre e della Legge tre grandi metaforestoriche (Passione di Cristo, Notte di S.Bar-tolomeo, caduta di Babilonia).

È vero che dopo il 1918, per un decen-nio almeno, il cinema americano non siera piú interessato di pace e di guerra, an-che per assecondare lo spirito ottimistica-mente conservatore e libertino del Presi-dente Warren G. Harding, soprattutto, co-me avverte lo storico Lewis Jacobs, per fa-re “da battistrada ad una nazione in cui ci-nismo e scanzonatura segnano la gradua-le decadenza del vecchio ed il sorgere delnuovo ordine”. Lo stesso King Vidor, spet-tacolarizzando la guerra con La grande pa-rata (The Big Parade, 1925) non aveva man-cato di articolare l’immaginario con il risvol-to sentimentale dell’amore nato al fronte tra

cano, e la “Great Depression” si accompa-gna al fallimento, alla disoccupazione, al-la miseria, il cinema resiste appena per unpaio d’anni con le tradizionali offerte didislocante, sfrenata evasività, fedele ser-vitore dell’ottimismo liberistico del Presi-dente Herbert C. Hoover e degli ambientifinanziari di Wall Street. Ma poi, finisce percedere, riportandosi, come proprio in queigiorni scaltramente auspicava Cecil B. De

NEL 1916, in unpiccolo villaggio tedesco,

mentre per le strade la follaeccitata plaude alle notizie di vittorie e

alla sfilata di prigionieri francesi, ilprofessore liceale Kantorek infiamma glianimi dei giovani allievi e li convince adarruolarsi come volontari. In caserma essiritrovano ad addestrarli con ferocebrutalità il sergente Himmelstoss che erail loro portalettere. MANDATI al fronte, dal veterano Katezinsky e dal simpatico Tjaden vengono subitocatechizzati sulla cruda realtà del fronte di guerra, tra cui la scarsità di cibo. Unanotte, sotto i bombardamenti, vengono comandati a mettere reticolati: tra loromuore Behm, si ferisce Kemmerich.All’arrivo del rancio, i superstiti del plotone sono giá dimezzati e ne approfittano.Quando all’ospedale muore Kemmerich, amputato di una gamba, i suoi stivalipassano a Muller. RIPRENDONO le marce e i combattimenti: Paolo si trova faccia a faccia con unsoldato francese e lo uccide, ma per tutta una notte è costretto a stargli appressoin una buca; entra in crisi, gli chiede perdono e promette di scrivere alla moglie. RIPRENDONO le marce, ma a Paolo e ai pochi amici superstiti capita anche digodere la pausa di un bagno, il conforto di una notte felice con tre ragazzefrancesi affamate.DURANTE un attacco, Paolo è ferito, finisce in ospedale e quando guarisce ottieneuna licenza per tornare qualche giorno con mamma e sorella. Alla finestra dellascuola ascolta Kantorek sempre pieno d’enfasi guerriera, e ne è nauseato. TORNA al fronte, si ritrova con Kat, lo prende in spalla perché ferito, lo vedemorire. Anche Paolo sarà vittima di un cecchino che approfitta del suo bracciofuori trincea in lento movimento verso una farfalla.

LEWIS MILESTONE · ALL’OVEST NIENTE DI NUOVO

13speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

SINOSSI

Page 16: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

Mille, ai semplici e chiari principi della de-mocrazia americana.

Così la guerra torna alla ribalta nei di-scorsi come nelle preoccupazioni, non so-lo perché la attualizzano le reazioni di piaz-za della “Bonus Army” (quindicimila re-duci che marciano su Washington per farvalere le loro rivendicazioni economiche)ma anche perché l’interesse, che ora si ri-volge di nuovo alle questioni internaziona-li e ai problemi politici e sociali, mostra alcittadino americano un’Europa con il ca-os tedesco della repubblica di Weimar e

un’Asia con l’invasione nipponica dellaManciuria, ambedue sinistramente gravi-de di contrasti e di guerre.

È appunto allora, in un clima socialedove la “Great Depression” e la guerra so-no accomunate sotto un’unica accusa dimiseria e di colpe, che si impone al succes-so pubblico un film pacifista come All’ovestniente di nuovo, cui nello stesso anno fan-no corona tra gli altri, a piangere l’inutilemassacro di uomini condannati a uccider-si senza pietà, il film di Howard HawksDawn Patrol (Oscar 1931 per il miglior sog-getto) e Journey’s End di James Whale.

II film pacifista di Milestone

Milestone prende in prestito dal ro-manzo di Remarque i suoi baldi dician-novenni goliardicamente spinti alla

guerra con un progressivo annientamen-to di corpo e di spirito, emotivamentene intensifica a montaggio parallelo diinquadrature ferme o con inquieti an-dirivieni di carrellate laterali le stigmatedell’assalto, i mitragliamenti ossessivi,gli assalti e le ritirate a rimpallo, l’acre se-te della vendetta. Ma quelle che a Mile-stone sembrano importare sono le ra-gioni, nella psiche sociale prima che in-dividuale, di un furore bellico che puó af-ferrare anche un popolo pacifista e neu-tralista come l’americano (era accaduto

nel 1917) e trascinarlo nel gorgo di unconflitto totale.

Nel film è Alberto Kropp che se ne fa in-consapevole portavoce. Quando, dopo ilbattesimo del fuoco e il ferimento di Kem-merich e la morte di Behm, i superstiti - ilvecchio segaligno Tjaden e lo scafato Kat,e i giovanissimi da Baumer a Muller eKropp, reciprocamente posti in tangentespezzata l’uno con l’altro nella caoticascomposizione del riposo provvisorio - condiscorsi frammentati e stanchi trovano unattimo per domandarsi il perché della guer-ra, via via incolpando i francesi o il Kaisero i fabbricanti di cannoni, proprio Alber-to coglie nel segno “lo credo sia una spe-cie di febbre...Nessuno la vuole personal-mente. E poi all’improvviso: ecco qua. Noinon la volevamo, i francesi nemmeno. Edeccoci qua a combattere”.

Ma a condurre al passo triste e al sorri-so malinconico di tutti i caduti, Baumer,Leer, Kropp, Muller, Kemmerich e gli altri,che nell’immagine finale del film, in so-vrimpressione al cimitero dei morti s’al-lontanano, invano volgendosi, in una mar-cia senza ritorni, non sono tanto i sergen-ti-aguzzini come Himmelstoss, portalet-tere nella vita civile, dalla cui ottusa espe-rienza di militare prussiano è iniziata perle reclute la disciplina disumana del corpo,quanto quell’ufficiale dell’idea che è il pro-fessor Kantorek.

Non bastano mille Himmelstoss, mapuó bastare un solo Kantorek, come nellaprima sequenza del film, agghiacciante,quando l’urlo di una folla eccitata dallenotizie di cruenti vittorie e dalla sfilata diprigionieri francesi si accentua e si con-centra nell’enfasi patriottarda dell’inse-gnante, stupendamente annotata dalla vo-ce fuori campo che si insinua sinistra tra ibanchi della scuola. Per questo, a differen-za di Himmelstoss, piú violento ma menopenetrante, e non a caso definitivamentefuori scena dopo l’addestramento inizialein caserma, Kantorek resta sempre inquie-tamente presente, quasi in sovrimpressio-ne ideale. Lo si avverte nella prima notte alfronte, quando i ragazzi lasciano senza ri-sposta la scettica meraviglia del vecchioKat (“Ho sempre avuto una voglia matta didomandare a qualcuno perché avete la-sciato la scuola e vi siete arruolati”), più inlà, sia quando Kemmerich lamentosamen-te ricorda la morte di Behm che tutti insie-me hanno forzato sradicandolo dai banchidella scuola, sia quando, dopo il tremendobattesimo dei bombardamenti e la mortedi Kemmerich, sentono risalire dal fondodelle loro nuove esperienze la scolasticavacuità di un lontano passato.

“Ma chi l’ingozza ormai quelle frottoleche ti insegnano sul serio?...Dopo tre anni ditrincea e di bombardamento!”, grida scora-to Leer dal fondo di una buia trincea da cuiè proibito guardare il cielo, le stelle, la vita,

SPECIALE SCHEDE

14 speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Può sorprendere che un’opera cosi prepotente e forte comeAll’Ovest niente di nuovo porti la firma di Lewis Milestone,regista americano di origine bessarabica (Chisinau, 1895 - Los

Angeles, 1980).Emigrato diciottenne negli Stati Uniti e trasferitosi a Hollywood dopoun’esperienza militare di guerra in Europa, era uscito da quel gruppo di giovaniregisti sensibili alla maniera e al “touch” ammaliziato di Ernst Lubitsch.Sennonché, ingaggiato nel 1925 come “direttore” da Howard Hughes, dopo leprime esperienze di commedie, dal picaresco Una notte d’Arabia (Two ArabianKnights, 1927) al raffinato Eden Palace (The Garden of Eden, 1928), Milestone fusempre considerato un bravo tecnico, capace di muoversi indifferentemente tradrammi e commedie.Per tutta la carriera gli si è riconosciuta la capacità di sfruttare al meglio lalezione eisensteiniana del “montaggio delle attrazioni” (ne sono splendidoesempio alcune sequenze di All’ovest niente di nuovo), di saper generalizzarel’uso del campo-controcampo con l’adattamento del testo teatrale di Hecht eMacArthur in Front Page (1931), di tenere anche alla qualità degli interpreti,magari Gary Cooper e Madeleine Carroll per Il generale morì all’alba (TheGeneral Died at Dawn, 1936), Charles Boyer e Ingrid Bergman per Arco di trionfo(Arch of Triumph, 1948, ancora una volta da un romanzo di Erich M. Remarque), ilclan Sinatra per Colpo grosso (Ocean’s Eleven, 1960), Marlon Brando per Gliammutinati del Bounty (Mutiny of Bounty, 1962).Porta la firma di Milestone anche quella sorta di replica “italiana” di All’ovestniente di nuovo che è sedici anni dopo Salerno. Ora X (A Walk in the Sun, 1945).

Il regista

Page 17: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

ca. Quando gli aveva fatto guardare il ne-mico ucciso riconoscendolo come un fra-tello al di là dell’elmetto e della divisa, in-travedendo dietro il volto immoto in un fe-rino sorriso storpiato l’accoramento di

una sorella, l’ansia di una sposa, la dispe-razione di una madre, Milestone aveva al-lungato la durata sequenziale, disperden-dola ripetitivamente nelle immagini, stem-perandola con parole di gravido alone let-terario. E nel ritorno al paese dopo la con-valescenza di Paolo ferito in combatti-mento, la pienezza sentimentale da unaparte rischia di depauperare la sobria es-senzialità degli interni domestici che han-no la loro poeticità nel grigiore stanco e dif-fuso, nella successione smozzicata di sce-ne ormai lontane dalla stordita sensibili-tà di Paul, dall’altra retoricamente riverbe-ra in quell’ampolloso “pistolotto” disfatti-stico di Paolo che vorrebbe essere il di-scorso di “contrappasso” all’appello ini-ziale di Kantorek.

Ma quando Paolo se ne accora (“Perchénon posso mettere la testa sul tuo grem-bo, mamma, e piangere?”), per cui nella vi-ta civile non riesce più a riagganciare, a ri-vivere, e torna al fronte, come un organi-smo ormai disavvezzo alla vita civile, Mi-lestone ne stigmatizza il destino siglandola penultima sequenza, il colloquio di Pao-lo e Kat in una landa deserta, sotto un cie-lo di piombo, tra sterpi rinsecchiti e sassidivelti, con il distorto mito della “Kamerad-schaft”, per Milestone deserto dei senti-menti, annientamento dello spirito, co-munanza ferina di morituri sottratti al gio-co dei vivi e all’educazione della civiltà.Sicchè, quando giunge la morte, come perPaolo in un sereno e tranquillo meriggiod’autunno, magari per l’attrazione di unapolicroma farfalla, essa non è che l’impie-tramento fisiologico di un transito spiri-tuale già consumato, finalmente in pace,da cui sullo sfondo cupo delle bianchecroci dei cimiteri, la distesa dei morti tor-

na silenziosamente a sorriderci,quasi abbia riacquistato l’anima.

Con questa malinconica im-magine di adolescenti che sonostati costretti a “cadere” per ritor-nare vivi e riacquistare l’anima

smarrita nell’inebetimento di una guerrabestiale, si conclude la lezione umana e mo-rale di Milestone che tematicamente si rial-laccia alla tradizione americana dell’isola-zionismo pacifista, ma va anche preparan-do quello spirito roosveltiano del New De-al che vuole fare paura alla guerra e indur-re gli americani del 1930-31, storditi dallaGreat Depression, al sereno ottimismo di unpacifico riformismo, senza convulsioni rivo-luzionarie, senza mitologie di guerra.<

Suggerimenti bibliografici

Erich M. Remarque, Niente di nuovo sulFronte Occidentale, Mondadori, 1950.

Lewis Jacobs, L’avventurosa storia delcinema americano, Einaudi, 1952, pp.536-537.

Guido Aristarco, in “Cinema Nuovo”, n.80, 10 aprile 1956, pp. 215-216 e“Cinema Nuovo”, n. 81, 25 aprile 1956,pp. 245-246 (con dialoghi del film).

Nino Ghelli, in “Bianco e Nero”, n. 4, apri-le 1956, pp. 73-78.

Anonimo, in “Cinema”, n. 165, 1 maggio1956, p. 194-195.

Gian Luigi Rondi, in “Rivista delCinematografo”, n. 5, maggio 1956, p. 25.

Alberto Pesce, in “Humanitas”, n. 5, giu-gno 1956, pp. 470-484, ripreso poi in“Ciak! Si legge”, Ente dello Spettacolo,1987, pp. 55-68.

Francesco Savio, Visione privata, Bulzoni,1972, pp. 137-138.

Fernaldo Di Giammatteo, DizionarioUniversale del Cinema, Editori Riuniti,1984, p. 24, con scheda ripetuta inFernaldo Di Giammatteo,

Dizionario del Cinema Americano, EditoriRiuniti, 1996, pp. 12-13.

Paolo Mereghetti, Dizionario dei film,Baldini & Castoldi, 1998, p. 62.

LEWIS MILESTONE · ALL’OVEST NIENTE DI NUOVO

15speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

e su cui la fotografia di Arthur Edeson di-stende un colore grigio e riarso. Né Kroppallenta il tono esagitato dell’invettiva(“Non ci hanno mai insegnato niente diveramente utile”) se non quando essa siscontra con l’interrogativo scorato di Bau-mer “allora come andremo a finire noi?”.

Paolo Baumer è l’unico a porsi una si-mile domanda e che a differenza di Leer edi Kropp vorrebbe pensare all’avvenire.Per questo Milestone, che sino a metá delfilm si muove panoramico tra le reclute,ora restringe l’azione su Paolo e ne fa qua-si il paradigma dell’uomo che non vuol ce-dere alla tragica evidenza delle cose e tro-va ancora la forza istintiva di chiedere amo-re e gioia. Cosi, come la morte di Kemme-rich gli aveva lasciato uno strano desideriodi vita, una brama accorata di prati fioritie fanciulle graziose, dopo lo spietramentodell’odio, tra un balbettio di preghiera euna domanda di perdono là nella fossascoperta del cimitero accanto al franceseda lui ucciso, Paolo di contrappasso, peruna notte di tenere carezze amorose conuna contadina francese, si illude di dimen-ticare volgarità e brutture della guerra.

Ma non a caso l’immagine inquadra unastanza deserta e ombrata, cui le voci fuoricampo danno sensazione di una presenzavanificata nel sogno, per giunta siglata dal-la funebre visione di un gruppo di bare.

Ritorna quel sapore di morte che in-fierisce su tutti con pervicacia estrema.Solo Paolo sembra restarne sottratto, macon un’insistenza di immaginario che fi-

nisce per alterarne la forza drammati-

Page 18: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

sione. Per conoscere un’altra forma di cine-ma e di regia; altri attori; un’altra idea del-la Francia; un’altra concezione di pacifi-smo; un’altra più articolata, ricca e acutaapertura e messa in mostra della culturafrancese. Un passo ‘obbligatorio’ insomma,e non solo per le classi che hanno comeprima lingua straniera l’idioma di Stendhal.

Jean Renoir (1894-1979) scrisse molto:di sé, della sua opera, del padre pittore,della famiglia, della vita privata. La criticacinematografica ha prodotto moltissimointorno alla sua figura e al corpus dei film(quaranta titoli). È altrettanto inevitabiledunque lasciare al lettore qualche segna-le di orientamento, tanto più che basteràla digitazione dei nomi alla tastiera delcomputer per avere le informazioni prati-che complete. Via dunque le vecchie note,e avanti senza timori ad affrontare unamole di materiale la cui conoscenza è re-sa necessaria dall’eccellente qualità. Con-verrà ricordare che i libri - a cominciareda quelli di Renoir - sono tutti disponibilisul mercato, e altrettanto si può dire per lecopie dvd dei film. Insomma, c’è largo spa-zio per il compimento di apprezzabili re-lazioni e ‘tesine’ anche in prospettiva esa-me di maturità.

Il corifeo dei renoiriani è André Bazin(1918-1958). Lucidissime - come sempre -le sue intuizioni, rimaste allo stato di ap-punti. Ci pensarono poi François Truffaute altri copains della Nouvelle Vague a darloro forma e spessore di volume, oggi di-sponibile anche in italiano. Ammiratoreattento dell’opera del nostro è stato Clau-de Beylie (1932-2001). Il suo libro - scrittoa quattro mani con quello storico infor-matissimo che fu Maurice Bessy (1910-1993) - è anche una gioia per gli occhi (con-fezione editoriale, fotografie…). Impre-scindibile lo studio dell’anglo-americanoRaymond Durgnat (1932-2002): un tomo di429 pagine di ‘scienza renoiriana’.

Ètornato sugli schermi (non in televisio-ne: nelle sale cinematografiche, in ver-

sione originale sottotitolata e dopo accura-to restauro laboratoriale della benemeritaCineteca di Bologna) il celeberrimo film diJean Renoir. Inevitabile che la rivista la qua-le con quattro dense pagine curate da Mas-simo Causo e Luisa Ceretto - nel numero103, proprio in apertura - ha segnalato dapar suo il prezioso avvenimento, inviti oratutti al cinema (medie inferiori e superiori,docenti, amatori) a rivedere La grande illu-

Ma una volta tanto è da registrare consoddisfazione che negli ultimi anni sonostati gli italiani a presentare i contributipiù densi, agevolmente rintracciabili inRete. Esemplare il libro di Giorgio De Vin-centi - uscito presso Marsilio - il quale hapreso forma autonoma nell’ambito del-l’articolata ricerca sul concetto di “moder-nità” nel cinema che il professore va con-ducendo da tempo dalla sua cattedra a Ro-ma Tre. Da additare la voce firmata da GianPiero Brunetta nel Dizionario dei registidel cinema mondiale di Einaudi; nonché leanalisi, serie e didatticamente molto utili,elaborate in varie occasioni da Flavio Ver-gerio, ottimo conoscitore del cinema fran-cese un po’ di tutte le epoche.

Un film corale

Allora, torna a noi un film che conta labellezza di 77 anni, e il riflesso è stato sen-za esitazioni. Quale può essere la ragionedi quell’imperativo “corriamo a vederlo”?Si tratta forse di un classico stabilito, diun’opera che - tenute nel debito conto leleggi espressive peculiari del cinema - haampliato senza ambiguità il tesoro dellospirito umano? La prima reazione che Lagrande illusione dovrebbe indurre nellospettatore odierno, soprattutto se di giova-

S P E C I A L E

Titolo originale: La grande illusionRegia: Jean RenoirSoggetto: Jean RenoirSceneggiatura: J. Renoir, C. SpaakFotografia: Christian MatrasMontaggio: Marthe Huguet, MargueriteRenoir, Renée LichtigCostumi: René DecraisMusica: Joseph KosmaInterpreti: J. Gabin (T. Maréchal), D. Parlo (Elsa, la contadina tedesca), P. Fresnay (Capitano de Boëldieu), E. von Stroheim (Comandante vonRauffenstein), J. Carette (Cartier,l’attore), G. Péclet (Fabbro), W. Florian(Sergente Arthur), J. Dasté (L’insegnante),S. Itkine (Tenente Demolder), G. Modot(L’ingegnere), M. Dalio (TenenteRosenthal) Origine: Francia 1937Distribuzione: Cineteca di BolognaDurata: 131’Dai 12 anni

S C H E D E

speciale · numero 111 · maggio-giugno 201516

JEAN RENOIR

La grandeiilllluussiioonnee

di GIULIO FEDELI

Page 19: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

ne età e in stato di formazione scolastica,è proprio questa: possiamo etichettare ilfilm come “opera classica”? Quali elemen-ti di novità, per esempio, reca in sé la tra-ma? Oppure sarà nello stile, nella qualitànarrativa (e nel ‘tono’ particolare da que-sti eventualmente conferito ai contenutidella vicenda globalmente intesa) che sidovrà ricercare la “classicità” del film?

La grande illusione è un film corale, i cuiaccadimenti sono largamente noti agli ap-passionati. La guerra del 1914-18 ha stesoil suo luttuoso mantello sull’intera Europa,e un aereo da ricognizione francese vieneabbattuto sul fronte tedesco. A bordo visono un capitano di stirpe aristocratica eun tenente di origini popolari. L’ufficiale te-desco responsabile dell’abbattimento, èuno junker prussiano - magnificamenteinterpretato da Eric von Stroheim - cheprima di avviarli al campo di prigionia litrattiene a cena, occasione creata apposi-tamente per ‘fraternizzare’ con un nobilecome lui, l’elegante de Boëldieu, un altret-tanto magnifico Pierre Fresnay, impaga-bile con il monocolo, il képi immacolato ei gemelli ai polsini della camicia.

Giunti al campo di Hallback, Boëldieue Maréchal - così si chiama il tenente im-personato da Jean Gabin - vi trovano di-versi altri ufficiali francesi (e non) di ogniestrazione e professione. Tutti, senza de-fezioni, vecchi e nuovi animati dal me-desimo spirito interclassista e patriotti-co, collaborano alla messa in atto del pia-no di fuga. Vengono però trasferiti pro-prio alla vigilia della sua realizzazione. Al-la fine, approdano in un castello-fortezzada cui ogni evasione dovrebbe risultareimpossibile. Il comandante è il maggiorevon Rauffenstein, proprio il pilota cheaveva abbattuto Boëldieu e Maréchal. Orauna grave lesione alla colonna vertebra-le lo immobilizza in un busto metallico,tuttavia - pur di continuare a servire il suoPaese - ha accettato questo incarico per luiavvilente. I francesi non demordono, egrazie all’azione di Boëldieu, il quale as-

sume su di sé l’incarico di distrarre leguardie tedesche (per questo von Rauffen-stein, con la morte nel cuore, dovrà spa-rargli), Maréchal e un altro prigioniero,l’ebreo Rosenthal, riescono a fuggire. Rag-giungono la fattoria di una donna tedesca,Elsa, cui la guerra ha tolto marito e fratel-li. Giorni dopo, recuperate le forze, Ro-senthal e Maréchal arrivano finalmentealla frontiera svizzera. Le guardie di con-fine tedesche li vedono, una punta il fu-cile ma l’altra, abbassando l’arma delcompagno mormora: “Non sparare. Sonogià in Svizzera.”

L’humanisme di Jean Renoir

Attenzione: se una delle connotazionisemantiche (la principale?) del sostanti-vo “classico” risiede nel concetto di uni-versalità (che qui vuol dire comprensionee perfetta leggibilità delle vicende; iden-tificazione nei personaggi; adesione istin-tiva a un messaggio che affiora con natu-ralezza e senza sforzo viene percepito daogni spettatore), ebbene, nessun dubbioche La grande illusione sia un film classi-co. L’aura di ciò che ci piace definire l’hu-manisme del film detta immediatamen-te le parole da porre in esergo a esso: l’uo-mo è la sola realtà al di sopra dell’insiemedei valori morali, poiché con l’ottimismodella volontà è capace di uguaglianza efraternità, tanto che anche in tempo diguerra egli può rimanere tale, pur se lecircostanze gli addossano la qualifica di“soldato” o di “combattente”. Certo, è unafilosofia ‘datata’, forse ‘ingenua’, ma è la fi-losofia propria di una generazione - quel-

la, appunto di Jean Renoir e del suo sce-neggiatore Charles Spaak (1903-1975) -che aveva conosciuto la quotidianità del-la prima guerra mondiale. Perché biso-gnerà pure che qualcuno faccia sapere al-le giovani generazioni che se il Vietnamebbe i bombardamenti al napalm, la“Grande Guerra” ebbe le mazze ferrate,l’iprite, i lanciafiamme … .

Se accettiamo che il portato principa-le della pellicola sia questa idea di huma-nisme (il termine francese è preferibile aquello italiano, umanesimo, il quale fa-rebbe scattare subito il riflesso condizio-

nato dei rimandi alla storia letteraria…),diviene importante chiedersi come maiessa sia veicolata quale valore fondativodel vivere insieme, proprio attraverso unfilm di guerra.

Il fatto è che La grande illusione sotten-de una certa idea della guerra.

L’espressione “una certa idea della guer-ra” è ricalcata su quella della pubblicisticastorica, la quale parla di “una certa ideadella Francia” a proposito della visione delPaese che personaggi e correnti di pensie-ro hanno avuto o hanno. È locuzione asso-ciata spesso a Charles De Gaulle e alla suaconcezione ‘haute-en-couleurs’, ‘cocori-co’, ‘napoléonienne’.

“Una certa idea della guerra” e della suarappresentazione (ne La grande illusione,per esempio, manca volutamente uno deicodici visivi fondamentali del film di guer-ra: le scene di battaglia…) ha manifestatoJean Renoir. Per il quale la guerra è una re-altà umana esistente. Ma per quanto abiet-ta e spregevole essa sia, non autorizza la

JEAN RENOIR · LA GRANDE ILLUSIONE

17speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 20: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

SPECIALE SCHEDE

18

persona a trasformarsi in una belva fero-ce e sanguinaria. Nemmeno in guerra, so-prattutto in guerra - dove c’è licenza di uc-cidere - l’essere umano può spogliarsi del-la propria umanità. Quand’anche quest’ul-tima fosse frutto in gran parte di cultura,educazione, controllo sociale (e non di na-tura…), no, non è possibile mettere da par-te la ragione (che deve dominare l’istin-to…) e la capacità - il dovere! - di com-prendere e condividere i sentimenti deipropri simili, chiunque essi siano: non èpossibile dimenticare la pietà.

Ecco, questo è l’humanisme che JeanRenoir propone ne La grande illusione. Fe-de nei diritti della persona; rivendicazionedell’esigenza di libertà individuale; esal-tazione della dignità naturale come - que-sta sì … - vera nobiltà.

Una costruzionedrammaturgica efficace

Che forma visiva assume questa para-bola umanista dell’eclettico Renoir?

Non si dimentichi infatti che nel 1937,egli ha quarantatre anni, e non solo è uo-mo maturo, ma regista compiuto e affer-mato. Ha alle spalle dodici anni di lavoro -sette dei quali nel muto - e la critica si è tro-vata spesso spiazzata dalla diversità, chia-miamola “di genere”, dei suoi film, dovedrammi cupi si alternano a commedie eimpegnative trascrizioni da opere lettera-rie: Zola (autore che è e gli sarà semprecongeniale), la Fouchardière, Simenon,Flaubert (sì, proprio Madame Bovary, af-frontato nel 1933!).

Ma è giusto nel periodo immediata-mente precedente e seguente La grandeillusione che la sua creatività sembra espri-mersi al più alto livello. Sono gli anni delFronte Popolare di Léon Blum, anni in cuile speranze dei progressisti francesi pren-

dono qualche consistenza. Renoir è ovvia-mente schierato con esso, convinto che laFrancia sia capofila di “una certa cultura”,sia legittimamente depositaria di una del-le grandi anime di interpretazione e visio-ne del mondo. La bussola del regista èl’onesto e sincero entusiasmo dell’uomo dipensiero, preoccupato (e disgustato…) daifolli atteggiamenti di Germania e Italia de-gli anni 1936-1938. Collabora attivamente- così come molti intellettuali francesi - al-la politica culturale del Fronte: accetta la-vori su commissione e si espone in primapersona. Peccato non afferri l’oggettivo,leggero (spesso leggerissimo) peso speci-fico degli uomini-guida del Fronte, il qua-le sarà un elemento decisivo nel costringe-re entro confini temporali molto ristretti(1935-’36/1938) una così bella e interes-sante opportunità, e oggi lo è nel limitaredi molto eventuali lodi postume.

Sia come sia, l’efficace costruzionedrammaturgica del film si impone subitoalla prima visione. Così che esso risultanarrativamente come suddiviso in tre ca-pitoli, caratterizzati dal progressivo dira-darsi in scena del numero di personaggicoinvolti.

Dopo una sorta di prologo dove la bat-taglia aerea che ha portato alla cattura diMaréchal e Boëldieu è segnata dall’usodell’ellissi, la prima parte - ambientatanel campo di prigionia - esalta la capaci-tà di “pittura”, di “descrizione”, del regista.Una capacità posta globalmente sotto lacifra del realismo, e che riesce a soddisfa-re nel contempo due esigenze: la rappre-sentazione d’insieme e l’abilità nello ‘sbal-zo’ del personaggio singolo nei confron-ti dello sfondo collettivo. Tutto ciò fa di Je-an Renoir un grande ritrattista, che - siparva licet… - ci piace qui paragonare inpittura a nomi del calibro di Rembrandto di Frans Hals.

Ne La grande illusione è raffigurata l’in-tera società francese. Rosenthal viene dauna ricca famiglia ebrea di finanzieri; il te-nente Demolder, filologo classico detto‘Pindaro’, vive ai tempi della guerra di Tro-ia (come il professor Malek de Il principiosuperiore…); Carette è un attore; Modotun ingegnere del catasto; Péclet fabbro fer-raio; Dasté è maestro. C’è perfino un sene-galese nero disegnatore di allegorie… . Na-turalmente affinità e differenze, umane esociali, rimangono, ma - parafrasandoClaudio G. Fava - un valore del film consi-ste nel recuperare il profondo, totale sen-so del dovere che al di là di ogni retorica so-stiene questi uomini e sostenne milioni dicombattenti, francesi (e non), per esempiospingendoli – se prigionieri - a tentare sem-pre di fuggire per tornare a combattere. Perdovere, appunto, non per odio. E l’alter-narsi - nei confronti dei personaggi nomi-nati - di piani d’insieme e primi piani, ac-quista una valenza ideologica, proprio co-me succede nei citati Rembrandt e FransHals, che superano il ritratto singolo pergiungere a una nuova definizione del “ri-tratto di gruppo”. Si veda, del primo, la Ron-da di notte, del secondo lo splendido Uffi-ciali e sottufficiali della milizia di S. Adria-no (1633, Haarlem, Frans Hals Museum). Laprotezione delle città olandesi di allora - va-le a dire della comunità - era affidata a mi-lizie civiche di polizia e difesa. Il singoloarmigero - pur identificabile per identità estatus sociale (abbigliamento, armamento,collocazione nel dipinto…) - era la ruota diun ingranaggio collettivo cui unicamentespettavano gli onori tributati dalle tele.

È la posizione di Renoir.Gustosa, da autentico regista che an-

novera il comico tra le frecce del suo arcostilistico, la modalità per ricordare le diffe-renze di classe sociale dei singoli, risoltacon una chiacchierata sui ristoranti di Pa-rigi: de Boëldieu preferisce Chez Maxim;Maréchal i bistrot dove si beve del buon pi-nard (vino rosso poco costoso); Dasté ama

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 21: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

pranzare dal cognato, perché è moinscher… . E ciascuno ha il suo primo piano.

L’arrivo invece dei costumi da donnaper la rappresentazione teatrale, è raccon-tato con un piano-sequenza lungo e com-plesso. Si intende subito la valenza parti-colare che questo momento comporta. Èun omaggio di Renoir al teatro - compo-nente primaria del suo cinema - e richia-mo per la fondamentale scena che segue.

Mentre gli uomini en travesti danzanoe cantano (ma il sorriso degli astanti se neva presto dalle labbra…), Maréchal - in-quadrato a notevole profondità di campo- sale sul palco e annuncia la caduta di Do-uaumont: tutti si alzano e intonano la Mar-sigliese, mentre una mdp fluida e mobilis-sima conferisce il tono giusto (leggi: pianiravvicinati e campi medi) a questa bellis-sima scena di gruppo.

Singoli e gruppo, gruppo e singoli. Il filmintreccia, in modo insieme scorrevole e ar-ticolato, questo tema, arricchendolo di sfu-mature ai vari passaggi. La solidarietà fraclassi sociali, per esempio, ci viene sugge-rita dai pacchi ben forniti che Rosenthal ri-ceve dalla famiglia e dei quali fruisconotutti, per non parlare dello scavo del tun-nel, opera collettiva quant’altre mai.

Se finora il film si è snodato fra peripe-zie drammatiche e vicende variegate affi-date ai deuteragonisti, particolarmentecomplesso - e più, come dire?, “intimo”,“personale” - è il rapporto fra i tre personag-gi protagonisti, che nella seconda parte sicarica di riflessioni sempre più ‘cunicola-ri’. Bisogna farsi ‘speleologi dell’animo’ eanalisti storico-sociali per cogliere il movi-mento complessivo del film, assimilabile auna carrellata avanti che ‘stringe’ dal regi-stro drammatico verso un tono più lirico.

L’aristocratico de Boëldieu è un ufficia-le di carriera (arma: cavalleria; incarichi:Stato Maggiore). Jean lo ha letteralmente‘strappato’ ai dipinti di Pierre-Auguste: Ilpalco, 1874, Londra Courtauld Institute Gal-lery; Ballo in città, 1883, Parigi, Musée d’Or-

say. È il più ‘sollecitato’, in quanto sensibi-le ai richiami di casta di von Rauffenstein;segnato indelebilmente dall’educazione ri-cevuta e insieme da un giuramento di fedel-tà alla patria che ci rassicura. Mai sarà asuo agio con Maréchal, mai lo tradirà. È undon Fabrizio Corbera principe di Salinaavanti lettera. Ha già parlato con il suo Che-valley, e - pur nostalgico - non coltiva uto-pie. Sa che davanti a sé ha una sola scelta:potrà solo caratterizzarla nel senso di unaraffinatissima nobiltà, che Venegoni - nel“Castoro” - coglie insuperabilmente (“unsacrificio previsto in partenza, al quale sen-te di potersi votare proprio perché in que-sto modo riafferma la sua superiorità conun fatto e non con un atteggiamento”).

Maréchal è un bravo tecnico, e in quan-to tale porta i gradi di ufficiale di comple-mento. Rude, sbrigativo, patriota sincero,è il Malnate del Giardino dei Finzi-Conti-ni, ma anch’egli ‘scende’ dai quadri pater-ni: canotier del bellissimo olio (1881) oggialla Phillips Collection di Washington; pe-tit bourgeois del Ballo in campagna (1883)del Musée d’Orsay. Alla fine imparerà a sti-mare e rispettare Boëldieu, e la stretta dimano che i due si scambiano in pre-fina-le è, contenutisticamente, uno dei mo-menti forti di La grande illusione.

Per valutare von Rauffenstein è suffi-ciente descrivere la sua camera del castel-lo-fortezza di Wintersborn, ripresa in car-rellata superlativa: crocifisso, ritratto diHindenburg, un fiore - un geranio - sul da-vanzale, le Memorie di Casanova, una bot-tiglia di champagne, gli effetti personali,l’attendente che gli gonfia i guanti. Minu-ti di cinema puro per un sopravvissuto al-la Rivoluzione Francese.

Il finale, terza e ultima parte, compor-ta tre soli personaggi, con Maréchal e Ro-senthal piccole silhouettes sotto la neve,succedaneo dell’acqua negli altri film diRenoir. Ha detto bene chi ha contrasse-gnato questo momento come “idillio”. Enon solo per il legame che ha modo dinascere tra Elsa e Maréchal, ma perché El-

sa è personaggio fortemente renoiriano,regista ‘femminilista’ all’ennesima poten-za se mai altri ve ne furono. Interpretatadalla Dita Parlo de L’Atalante di Jean Vigo,parente stretta della Henriette di Une par-tie de campagne, è lei il simbolo più for-te, puro e profondo dell’humanisme diJean Renoir. Sorride nonostante i bleus àl’âme che porta in sé, è generosa, e - co-me il pescatore della canzone di FabrizioDe André - dischiude gli occhi al giorno,non si guarda neppure intorno ma versail vino e spezza il pane per chi le dice “hosete e ho fame”.<

JEAN RENOIR · LA GRANDE ILLUSIONE

19speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 22: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

Una scelta ideologica ed espressiva

La convinzione che dalla tragedia del-la Grande Guerra potesse nascere una so-cietà migliore, priva delle sovrastrutture edei privilegi che la rendono diseguale, co-stituisce La grande illusione di Jean Re-noir. Il suo non è un film di guerra. Non ri-guarda battaglie campali, ma campi diconcentramento e reiterati tentativi di fu-ga. Rappresenta il vissuto degli uomini chel’hanno subita. La guerra, quella fatta dicombattimenti, non esiste in questo film.Il duello aereo, che avrebbe potuto costi-tuire la sua spettacolare introduzione, vie-ne descritto nel momento della prepara-zione e dopo la drammatica conclusione.Il durante non fa parte del racconto.

L’azione, intesa in senso cinematogra-fico, è strettamente correlata ai personag-gi e al loro modo di vivere le diverse situa-zioni del racconto. I campi di concentra-mento sono presentati come un crogiolo incui una diversa umanità è costretta a me-scolarsi, a perdere la propria identità, a di-ventare un universo unico, indivisibile.

Manca nel film l’aggressività capace dimettere umanamente in contrasto nemi-ci che si combattono e alleati che non si ca-piscono. Anche se i prigionieri dei varicampi parlano lingue diverse, apparten-gono a razze differenti, rappresentano ca-ste e gruppi sociali diversi, non si manife-stano fra loro reali motivi di conflitto. Lasensazione è che, in quello stato di costri-zione, poco alla volta, venga a mancaretutto ciò che distingue una classe cultura-le, economica e sociale dall’altra.

I militari di carriera, quelli che si ispira-no a un codice di guerra ancora fondatosull’onore e su comportamenti cavallere-schi, escono di scena moralmente e fisica-mente sconfitti da questa vicenda. Il pre-sente non appartiene a loro. Il mondo, la vi-ta sta andando in una direzione diversa da

Di questo film abbiamopubblicato la scheda(riproposta nelle pagineprecedenti) nel n. 104,marzo-aprile 2014. StefanoSguinzi, collaboratore delCentro StudiCinematografici e dellanostra Rivista da molti anni,rivedendo l’opera di Renoirci ha mandato questaseconda scheda. La offriamo ai lettori cometestimonianza del fatto chesu un film ricco e sfaccettatocome La grande illusionenon si finisce mai diriflettere e di scrivere.

quella che hanno sempre pensato di per-correre. Il futuro appartiene a un’umanitàdifferente, più autentica.

Una salda ideologia e una grande poesia

La grande illusione dispone di una sal-da base ideologica che, fortunatamente,diventa esplicita solo in rari momenti. Il piùsignificativo è costituito dal dialogo fra ilComandante tedesco von Rauffenstein e ilCapitano de Boëldieu. Pur essendo consa-pevoli di appartenere a un mondo prossi-mo alla fine i due ufficiali di carriera sonodiversamente orientati nel tentativo di op-porvisi. Il primo è determinato a combat-tere il cambiamento, il secondo ad asse-condarne lo sviluppo.

La definizione dei vari protagonisti cor-risponde al disegno ideologico che sta al-la base del racconto. In questo film l’iden-tificazione fra attore e personaggio è taleche, scrivendone, si è portati a citare il no-me degli attori piuttosto che quello deipersonaggi che interpretano. La natura,anche fisica, definisce i caratteri e lo spiri-to dei vari protagonisti ma connota anchela condizione sociale di ciascuno di loro.

Oltre agli esponenti della casta militarein questo film ci sono i tenenti, i proletari,gli ebrei. L’attore, l’ingegnere, l’insegnan-

S P E C I A L E

Titolo originale: La grande illusionRegia: Jean Renoir Origine: Francia 1937Distribuzione: Cineteca di BolognaDurata: 131’Dai 12 anni

S C H E D E

JEAN RENOIR

La grande iilllluussiioonnee

di STEFANO SGUINZI

speciale · numero 111 · maggio-giugno 201520

Page 23: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

le i soldati tedeschi e francesi sembranoagire all’unisono. Solo Maréchal, che di-versamente dagli altri non è militare di car-riera, manifesta un profondo disagio.

L’apparizione della corona, che onora ilnemico sconfitto, turba per un momentol’atmosfera festosa. Intorno a quella tavo-la la guerra è vissuta come una successio-ne di sfide cavalleresche che si vincono operdono senza drammi. Nessuno dei pilo-ti presenti sembra avere una Maria che loattende con un abbraccio. L’annuncio chetrasforma i vinti in deportati viene accol-to quasi con indifferenza. Le regole dellaguerra sono inesorabili e vanno rispettate.

Da un campo diconcentramento violabile...

Fra i luoghi della guerra, il campo di avia-zione e quello di concentramento, la di-stanza, ma anche la differenza ambientaleè incommensurabile. Un treno percorrecentinaia, migliaia di chilometri per colle-garli e la campagna, vista dal finestrino, si ri-vela come un muro grigio e impenetrabile.

Nel campo di concentramento de Boël-dieu e Maréchal, dopo una fase di inizialediffidenza, vengono acquisiti dal gruppo diprigionieri francesi e associati al loro ten-tativo di evasione dal campo. Tutti parte-cipano alla realizzazione del progetto. An-che il Capitano de Boëldieu, pur essendoconsapevole dei rischi che il tentativo com-porta, accetta di partecipare.

Oltre a de Boëldieu e a Maréchal, unmilitare in carriera e uno di leva, parteci-pano al progetto di fuga un ingegnere e unattore, un ricco ebreo e un insegnante nul-latenente. Assieme a loro ce ne sono altrima, a parte la figura di un “finto tonto” cheviene mandato in ricognizione per scopri-re che cosa stia accadendo nella notte, nes-suno arriva ad assumere un ruolo signifi-cativo. Ogni personaggio è definito nel suomodo di essere e di partecipare allo spiri-to che anima il gruppo.

21

te. Ciascuno ha un’immagine propria e ca-ratteri autonomi. È un mondo multifor-me dotato di un proprio spirito e di una ra-gione di essere.

Il film, parlato in francese e tedesco, sipuò considerare bilingue ed è impossibileseguirlo senza i sottotitoli. La storia d’amo-re che lo conclude è la sola che consenta ilsuperamento dei limiti di comprensionecostituiti dai differenti linguaggi verbali.

Fatte queste premesse, indispensabiliper una corretta interpretazione, è possi-bile entrare in un racconto dove una stra-ordinaria intuizione poetica conferisce al-le immagini il potere di evocare una con-dizione umana fatta di passioni, di senti-menti e di contraddizioni. Questo film puòessere banalizzato solo da chi non riesce aviverlo nella sua semplicità.

Una corona per i vinti e un brindisi per i vincitori

La sequenza iniziale introduce i temistrutturali del racconto partendo dalla de-finizione della natura dei suoi protagonisti.

C’è la guerra. In un campo di aviazionefrancese Maréchal, un tenente pilota, as-sapora il piacere di raggiungere in licenzala sua amata ma l’arrivo del Capitano DeBoëldieu gli impedisce di realizzare i suoiamorosi propositi. Obbedirà all’ordine diaccompagnarlo in un volo di ricognizioneche ha lo scopo di chiarire il contenuto diun rilevamento aereo mal riuscito.

Nella scena successiva i due personag-gi vengono introdotti nella sala da pranzodi un aeroporto tedesco in cui il Capitanovon Rauffenstein celebra la vittoria di unoscontro che ha prodotto un morto e l’ab-battimento del loro aereo. I due sconfitti,Maréchal è ferito a un braccio, vengonoinvitati al banchetto e sono trattati comeospiti di riguardo. Le regole della Cavalle-ria impongono di onorare i morti con unacorona e di celebrare il vincitore con unbrindisi. Nel compiere questo cerimonia-

Per ingannare il tempo dell’attesa e perdistogliere l’attenzione delle guardie dalle at-tività connesse alla realizzazione del tunnel,gli uomini del campo organizzano uno spet-tacolo di varietà. Lo scopo è quello di man-tenere alto il morale del gruppo ma anchedi contravvenire a un ordine preciso: “È se-veramente vietato ricevere abiti femminili!”

Allo spettacolo assistono guardie tede-sche e prigionieri alleati. Tutti si divertonoalle canzoni, alle battute, che non occorretradurre, e per l’apparizione di giovani uo-mini vestiti da donna che ballano danzesfrenate e “peccaminose”. Il sesso e l’amo-re. Il ricordo della propria donna, della fami-glia, muove indistintamente il pubblico asentimenti di commozione. Il dramma del-la guerra, per un momento, è dimenticato.

Improvvisamente, però, Maréchal fa ir-ruzione sul palcoscenico e interrompe lospettacolo per annunciare un’importantevittoria delle truppe alleate. I prigionieribalzano in piedi e intonano il canto dellaMarsigliese per esprimere il loro spirito dipatrioti e di combattenti. Quella vittoria èanche loro. La repressione delle guardiecontro quella manifestazione, che esprimeanche uno spirito di rivolta, è immediatae particolarmente brutale nei confronti diMaréchal che ha dato l’annuncio.

Passa poco tempo e la vittoria dei fran-cesi si trasforma in una nuova sconfitta.Maréchal, relegato in una cella di isolamen-to, arriva alle soglie della follia. Va in suosoccorso un vecchio carceriere, che non po-tendo comunicare con lui a parole, gli offrein dono un’armonica a bocca. La guardia eil prigioniero. Il vecchio e il giovane. Maré-chal impazzito e una vecchia guardia con inmano un fucile inutilizzabile. Il tedesco e ilfrancese sono facce di un’umanità costret-ta a vivere conflitti che non la riguardano madi cui paga un drammatico prezzo.

La scena della prigionia non si conclu-de con l’immagine di Maréchal che tornain libertà ma con quella del vecchio guar-diano che alza le spalle in risposta al rim-

JEAN RENOIR · LA GRANDE ILLUSIONE

21speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 24: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

provero del suo superiore. La fine della pri-gione di rigore di Maréchal avviene in pros-simità con il momento della fuga dal cam-po. Gli ultimi momenti dell’attesa vengonotrascorsi formulando progetti per un futu-ro prossimo ma ancora incerto. Ciascunodei fuggiaschi ha il suo. Il militare di carrie-ra ha quello di tornare a combattere, il pa-dre di famiglia di riabbracciare la moglie ei figli. Il ricco possidente di tornare ad assa-porare il proprio benessere, il povero la pro-pria miseria. Ogni personaggio è consape-vole di far parte di un coro ma anche di es-sere una voce unica e irripetibile della vita.

Poi la grande illusione della fuga si dis-solve per tutti. L’annuncio che nelle pros-sime ore gli ufficiali francesi saranno trasfe-riti in un altro campo di concentramentocrea sconforto ma non produce drammi.È la legge della guerra che bisogna combat-tere ma non subire. Il sogno di tornare li-beri e il lavoro svolto con tanta fatica fini-scono lì. Anche il tentativo di Maréchal diinformare un ufficiale inglese dell’esisten-za del tunnel fallisce miseramente perchéil destinatario non è interessato ad ascol-tare il messaggio ma è preoccupato di re-cuperare la sua roba, caduta per terra.

… a una fortezza violata

I chilometri di strada percorsi per rag-giungere gli spalti di una fortezza inviola-bile, abbarbicata sulle pareti scoscese diuna collina, costituiscono una barriera gri-gia, di spazio e tempo, da cui è impossibi-le fare ritorno.

A capo delle guardie della fortezza il ca-pitano de Boëldieu e Maréchal trovano ilcapitano von Rauffenstein che gli eventidella guerra hanno trasformato da assodell’aviazione in guardiano di un campo diconcentramento. L’ultimo duello aereo halasciato anche nel suo corpo la rigidità delmondo interiore a cui appartiene. VonRauffenstein ha la spina dorsale spezzatain più punti, può stare in piedi o cammina-re impettito solo grazie a un busto rigido.Il suo corpo, comprese le mani sulle qualicalza immancabilmente i guanti, è statopiagato dal fuoco. Anche fisicamente so-pravvive a se stesso. La sua natura di uomoche combatte una guerra sulla base di leg-gi che non esistono più, è più volte richia-mata nel corso del film. Von Rauffensteinè un aristocratico di nascita e un militare dicarriera, come il comandante de Boëldieu.Diversamente dall’ufficiale francese, però,quello tedesco non è disposto a dare spa-zio al futuro. Lo combatte sino al punto di

sacrificargli i sentimenti di umanità cheancora risiedono in lui. Dopo avere cedu-to la sua stanza al Capitano de Boëldieu, aMaréchal e a un intellettuale che vive fuo-ri del tempo, si fa promettere di non effet-tuare tentativi di evasione che, peraltro,giudica irrealizzabili. “Da questa fortezza -afferma - nessuno è mai riuscito a fuggire.”

Nel corso del racconto appaiono altrefortezze che manifestano di non essere in-violabili. Quando gli ufficiali russi scopronoche la loro adorata Zarina non ha inviatocibi per il loro corpo ma libri per il loro spi-rito nella fortezza scoppia una mezza rivol-ta. Le fiamme di quei libri bruciano i residuidi dignità di soldati che si sentono umiliatinel loro amor proprio e di fronte ai compa-gni di prigionia che avevano invitato al ban-chetto. Quella rivoluzione, prima della ri-voluzione, si rivela comunque utile perchéfornisce al capitano de Boëldieu l’idea perprogettare una fuga che non lo riguarda per-sonalmente ma che lo vede protagonista.

De Boëldieu, infatti, ha dato la sua pa-rola d’onore a von Rauffenstein di non fug-gire dalla fortezza e, per questo non fuggi-rà ma si impegna a far fuggire gli altri. Persenso dell’onore giura che nella stanza incui si trova con Maréchal non ci sono stru-menti predisposti per la fuga. Lo può faresolo perché sono stati nascosti fuori dallafinestra. La “parola”, per i veri uominid’onore, ha un valore assoluto e deve esse-re rispettata sino al sacrificio della vita.

Il progetto di fuga di de Boëldieu è arti-colato e vede impegnati tutti gli ufficialireclusi nella fortezza. A un orario prestabi-lito, senza muoversi dalle loro stanze, i pri-gionieri incominciano a suonare con insi-stenza un piffero. Ciascuno ha il suo e ilconcerto che ne deriva è invadente e sto-nato. Poi, quando tutti gli strumenti musi-cali sono stati sequestrati dalle guardie,iniziano a produrre un rumore assordan-te con tutti i mezzi disponibili.

All’adunata, indetta per mettere fine aquel terrificante frastuono, ci sono tutti.Tutti tranne il capitano de Boëldieu che,lontano, nascosto dall’ombra della sera, fapervenire dagli spalti la musica del suo pif-fero e, come un pifferaio, si fa seguire dal-le guardie che lo inseguono per ogni dovee, disordinatamente, sparano contro di lui.Mentre tutto questo avviene Maréchal eRosenthal si calano, inosservati, lungo lescoscese pareti della fortezza e conquista-no la libertà. Conclude questa sequenza labellissima scena della morte del Capitanode Boëldieu. Il Comandante von Rauffen-stein, nel tentativo di fermare la fuga del-l’amico/nemico, gli ha sparato e, anche se

involontariamente, lo ha colpito a morte. Leregole dell’onore sono inesorabili e con-dannano il vecchio ufficiale a uccidere, acontinuare a vivere, malgrado il suo deside-rio di morire. Immiserito da un senso d’im-potenza e di colpa. “Ho sbagliato” - arrivaa dire. Lui non voleva uccidere ma il Capi-tano de Boëldieu è morto per sua mano.

Dopo aver troncato la vita dell’amico/nemico, von Rauffenstein decide di recide-re il gambo dell’unico fiore che ancora cre-sceva nella fortezza. Con quel gesto, chia-ramente simbolico, von Rauffenstein ponefine a una significativa parte di se stesso.

La libertà è un manto bianco.Come la neve

La corsa verso la libertà di Maréchal eRosenthal è lunga e faticosa. I due fuggia-schi si muovono su un terreno ostile, fan-goso, pieno di pericoli. Si spostano di not-te e, giorno dopo giorno, arrivano a consu-mare le residue energie. Anche a causa del-lo sfinimento fisico e della progressiva dif-ficoltà che Rosenthal incontra nel cammi-nare la solidarietà fra i due entra in crisi earriva alla rottura. Uno va da una parte,l’altro si ferma dov’è. Poi il sentimento disolidarietà, che li ha legati sino a quel mo-mento, prevale sull’istinto di sopravvivereindividualmente e la coppia si ricomponeper affrontare un destino che sembra ne-gativamente segnato. Invece una giovanevedova di guerra, che vive in una baita iso-lata sulla montagna, accetta di prendersicura di loro e li accoglie nella propria vita.

La sequenza conclusiva del film raccon-ta una straordinaria storia d’amore. Certa-mente una delle più belle della storia del ci-nema. Essa esprime i sentimenti di rim-pianto di Elsa per un mondo amato e per-duto. Il senso di appartenenza alla famigliache si manifesta sulla base di reali esperien-ze di vita. Il bisogno di appartenersi che vaal di là della possibilità di comunicare at-traverso le parole. L’istinto sessuale che

SPECIALE SCHEDE

22 speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 25: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

similabile a un affresco le cui tavole hannoun contenuto figurativo funzionale a quellodrammatico dei personaggi rappresentati.

L’esempio più significativo di questo mo-do di procedere è costituito dalla scena incui Maréchal e Rosenthal, vinti dalla stan-chezza e dalla disperazione, si separano.

“C’era una volta un piccolo naviglio, c’erauna volta un piccolo naviglio che non vole-va, non voleva navigar!” - canta con rabbiaMaréchal. “C’era una volta un piccolo navi-glio …!” gli risponde con disperazione Ro-senthal osservando il compagno che si al-lontana. Non serve altro per raccontare ildramma della loro disperazione e basta il si-lenzio per descrivere la loro pacificazione.

Questo modo di raccontare, tanto sempli-ce e diretto, è reso possibile dalla naturalez-za ma anche precisione con cui Renoir noncostruisce ma rivela la natura dei suoi per-sonaggi. Nel film non sembra esserci finzio-ne e gli attori non recitano una parte, la vi-vono. Ogni “tavola” dell’affresco contiene un“protagonista” definito come persona maanche come simbolo. Questo modo di pro-cedere consente di dar vita a storie individua-li capaci di diventare drammi collettivi.

Il capitano von Rauffenstein (Erich vonStroheim), da questo punto di vista, è ilpersonaggio più significativo. Nelle primebattute del film è un asso dell’aviazione. Uneroe vincente che detta legge agli altri. Altermine della sua parabola narrativa edrammatica è il guardiano di una fortezzadi vinti, condannato a sopravvivere a sestesso e ad assistere alla totale disfatta deisuoi valori. Costretto a vivere in un corpoirrigidito, spara e uccide, senza volerlo,l’unica persona che ancora rispetti e reci-de il gambo del solo fiore capace di so-pravvivere in quella inutile fortezza.

Come lui sono tutti i personaggi cheemergono con una storia personale dallepagine del racconto. Nessuno di loro rap-presenta solo se stesso. L’episodio in cui ilcapitano de Boëldieu, a prezzo del sacrifi-cio della vita, si trasforma in pifferaio per

propiziare la fuga del proletario Maréchale dell’ebreo Rosenthal, è significativo al ri-guardo. Come “uomo d’onore” de Boël-dieu non può infrangere la parola data macome combattente può e deve aiutare isuoi compagni d’arme determinati a eva-dere. Lui, come uomo di potere, imparti-va degli ordini tassativi di uccidere. Comeprigioniero può solo indurre i suoi carce-rieri a realizzare la sua aspirazione di mo-rire indirizzando con un piffero i colpi mor-tali dei loro fucili. La sua morte costituisceun momento di cesura fra due mondi: ilsuo è prigioniero del passato, quello degliuomini in fuga è proiettato verso il futuro.

Nel film ogni episodio è suscettibile diuna doppia lettura ma non di una doppiainterpretazione. La semplicità della rappre-sentazione, infatti, è sempre tale da rende-re tutto immediatamente comprensibile.

“Portami un secchio d’acqua!” - questarichiesta, formulata da Elsa che sta lavandoil pavimento, non è una richiesta d’aiuto. Èla dichiarazione della sua disponibilità ses-suale nei confronti di Maréchal che la staguardando con ammirazione e desiderio.

In questa semplice battuta c’è una sto-ria d’amore e di pudore. Ci sono i turba-menti di una giovane donna rimasta sola(Dita Parlo). Un bisogno di dare e riceveretenerezza comune a tutti gli uomini e ledonne della terra. C’è un bisogno di crede-re in un mondo fatto di eguali, senza costri-zioni e barriere. Senza guerre.

Come Elsa non è una donna ma la don-na per antonomasia, così questo film nonè un film ma l’opera di un poeta autenticodi nome Jean Renoir.

A riprova dell’assunto che voleva dimo-strare quanto la poesia di La grande illusio-ne vada ben oltre le barriere delle classisociali e i confini delle nazioni.<

NotaI testi di romanzi, racconti, liriche e lavo-ri teatrali scritti da Sguinzi Stefano sonoscaricabili da www.neteditor.it.

JEAN RENOIR · LA GRANDE ILLUSIONE

23speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

porta il maschio e la femmina a cercarsi perappartenersi. Liberamente. Felicemente.

“Povero ragazzo!” - dirà Elsa nella te-nerezza di un abbraccio. Per chi lo vive conquesti sentimenti il sesso diventa una for-ma di riparazione dagli insulti della vita. El-sa, nel contesto del film, non è una donnama “la donna”, la sola forza capace di fareda ponte con la realtà della vita.

L’incontro d’amore fra Elsa, la giovanevedova tedesca, e Maréchal, il virile solda-to francese, è fra i più travolgenti e pudi-chi che siano stati realizzati dal cinema. Glisguardi furtivi e imbarazzati dei due inna-morati esprimono l’ardore dei sentimen-ti ma anche la consapevolezza della loroprecarietà. Per un breve momento il loroincontro ha dato vita a un mondo di valo-ri e di affetti. I due si lasciano senza dram-mi. Hanno dentro di loro la certezza diavere avuto un frammento di vita vero eforse irripetibile. “Se mi volto rimango qui!”- dirà Maréchal, determinato a proseguirela fuga. Perché, che cosa sta cercando? Inquel momento non lo sa. Obbedisce al do-vere di portare a compimento un sogno incui, oramai, non è più in grado di credere.Oltre la linea indefinita del confine c’è lasalvezza ma nessun progetto di vita. Leguardie di frontiera tedesche, dopo aversparato qualche colpo di fucile, rinuncia-no a inseguire i fuggiaschi. In loro non c’èl’aggressività necessaria per uccidere e unasola ragione per farlo. L’istinto della vitaprevale sulla morte in tutti gli uomini, aqualsiasi nazione e razza appartengono.Per tutti loro la libertà è un manto bianco,di neve, in cui l’uomo lascia tracce indefi-nibili del suo passaggio.

Un affresco di varia umanità

Un racconto per immagini. Questa defi-nizione è poco calzante per un film come Lagrande illusione. Pur essendo rigorosamen-te costruito in sequenze, dotate di un preci-so nucleo narrativo, il film di Renoir è più as-

Page 26: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

no stupende pagine di cinema anche se, inquelle occasioni, il dialogo finisce per ave-re il sopravvento su ogni altro mezzoespressivo.

Orizzonti di gloria esprime un giudiziomorale che non si limita a condannare laguerra ma mette in evidenza le cause chel’hanno determinata: prima fra tutte il mi-litarismo. Non è un caso che Kirk Douglas,straordinario interprete del personaggioprincipale, il Colonnello Dax, purché il filmfosse realizzato, abbia deciso di contribui-re al suo finanziamento.

Una spietata requisitoriacontro il militarismo

Nella storia del cinema Orizzonti di glo-ria costituisce la più implacabile e violen-ta requisitoria contro il militarismo.

Realizzato nel lontano 1957 da StanleyKubrick, il film è stato erroneamente attri-buito al genere di guerra. Il suo raccontonon è imperniato sulla descrizione di fat-ti che riguardano lo scontro fra eserciti ne-mici ma su quanto avviene dietro le lineedell’esercito francese nel corso della primaguerra mondiale.

L’impianto narrativo e drammatico, chein questo caso coincidono, hanno una con-notazione fortemente retorica. I loro ele-menti costitutivi sono finalizzati a rende-re irrevocabile la condanna del sistema dipotere militare e della sua degenerazione,senza però rendere meno credibili e reali-stici i fatti presentati.

Il film è dominato dal rigore e da un’in-telligenza creativa che si manifesta attra-verso ogni mezzo espressivo: dalla sceneg-giatura ai dialoghi, dalla scenografia allascelta fisica dei personaggi, dalla recita-zione degli attori al ritmo impresso al mon-taggio, e quindi al racconto, ai rumori, al-la musica.

La spietatezza della condanna si mani-festa oltre che nell’esplicita violenza deidialoghi anche attraverso il realismo del-l’ambientazione, la ricostruzione degli epi-sodi di guerra, le scene del processo, dellaprigionia e della fucilazione.

Se le immagini esprimono una condan-na derivante da fatti impietosamente rac-contati, i dialoghi la rendono esplicita at-traverso l’intensità dei conflitti verbali e laloro capacità di mettere a nudo la perver-sa natura degli uomini.

Gli scontri verbali fra il generale Mireaued il colonnello Dax, tra il generale Brou-lard e il colonnello Dax, e il colloquio fra itre ufficiali comodamente seduti intorno altavolo imbandito del Palazzo del Potere, so-

La perversione di una casta e la sua carne da macello

Il film di Kubrick trae origine da unromanzo di Humphrey Cobb (1935), im-perniato sul racconto di fatti storicamen-te accaduti a Sovain il 17 marzo 1915 sulfronte di guerra francese. Senza fare rife-rimento esplicito all’episodio storico dacui trae origine, il film chiama in causal’esercito francese e la sua aberrante ge-stione del potere. Nell’episodio realmen-te accaduto il generale Réveilhac, esaspe-rato per il disastroso andamento della bat-taglia, aveva dato ordine di prendere a can-nonate le proprie truppe per costringerlea uscire dalle trincee e andare all’attaccodel nemico. Non soddisfatto del massacroche ne era derivato, aveva chiesto e ottenu-to di fucilare quattro soldati, scelti a caso,per dare un esempio alle truppe che si era-no rifiutate di andare incontro a una mor-te certa quanto inutile.

La violenta requisitoria contro il mili-tarismo, che sta alla base del film, è certa-mente la ragione che ha impedito la suapresentazione nelle sale cinematografichefrancesi fino al 1976. Negli anni sessanta delsecolo scorso in quel Paese il militarismoera ancora un’ideologia profondamenteradicata. Tuttora esistono ambienti cheguardano con sospetto a questo film e, inqualche modo, tentano di boicottarlo.

S P E C I A L E

Titolo originale: Paths of Glory Regia: Stanley Kubrick Sceneggiatura: S. Kubrick, J. Thompson,C. Willingham Fotografia: George Krause Scenografia: Ludwig ReiberMusica: Gerald Fried Effetti speciali: Erwin Langer Montaggio: Eva Kroll Interpreti: K. Douglas (colonnello Dax), A.Menjou (generale Broulard), G. Macready(generale Mireau), R. Meeker (caporaleParis), W. Morris (tenente Roget), R.Anderson (maggiore Saint-Auben), J.Turkel (soldato Arnaud), T. Carey (soldatoFerol), P. Capell (colonnello Judge), S.Christian (ragazza tedesca), ...Distribuzione: United Artists (per maliaDear Film) Distribuzione Dvd: M.G.M. Origine: Usa 1957 Durata: 86’Dai 16 anni - V.M. 16 anni

SCHEDE

speciale · numero 111 · maggio-giugno 201524

STANLEY KUBRICK

Orizzontidi gglloorriiaadi STEFANO SGUINZI

Page 27: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

so dall’incarico o di venire promosso sulcampo il generale Mireau abbandona ogniindugio e, appellandosi all’indomito spiri-to guerriero delle sue truppe, accetta l’in-carico di comandare l’attacco anche se to-talmente privo di copertura da parte del-le altre armi.

Il generale Broulard, che si dice condi-zionato nelle sue decisioni dal potere po-litico e dalla stampa, comanda l’attaccosenza che nessuno possa opporvisi. Nelletrincee i soldati, stremati dalla guerra, so-no costretti a obbedire anche se non con-dividono i valori per i quali vanno incon-tro alla morte.

Il solo colonnello Dax ha l’ardire di op-porsi alle argomentazioni del suo superio-re. Nel corso della discussione arriva persi-no ad affermare di condividere il giudiziocon il quale Ben Johnson definiva il patriot-tismo come L’ultimo rifugio delle canaglie.

Di fronte alla minaccia di essere rimos-so per disfattismo dalla sua posizione di co-mando, però, decide di condividere sino al-la fine il destino dei suoi uomini e di esse-re con loro nel momento in cui sono chia-mati a compiere quello che consideral’estremo sacrificio.

La descrizione del contrasto tra il mon-do degli uomini di comando e quello ditrincea costituisce il contenuto di una indi-menticabile pagina di cinema. Il generaleMireau viene ripreso con una interminabi-le carrellata mentre passa in rassegna i suoiuomini sfiniti dalla stanchezza e dalla pau-ra. Il comportamento del generale, anzi-ché sollevare il loro morale, li getta nellosconforto più totale. “Quanti tedeschi ucci-derai, soldato?” domanda a un soldato, manon ottiene risposta. Per completare l’ope-ra accusa uno di loro, sotto choc da bom-bardamento, di codardia e, davanti a tutti,lo allontana con ignominia dal fronte.

Anche per questo, quando il Colonnel-lo Dax dà l’ordine di andare all’attacco,ciascuno dei soldati sa di essere conside-rato carne da macello.

Il Palazzo e la trincea

A questo punto della storia tutti i ter-mini del problema sono stati posti sultappeto.Da una parte ci sono i vertici di unpotere assoluto che si auto-alimenta pro-muovendo verso l’alto gli uomini che ob-bediscono incondizionatamente agli or-dini. Vivono in palazzi principeschi spe-culando sulla vita e la morte dei loro subor-dinati. Fanno carriera adulando i superio-ri, prestandosi a ogni forma di complicità,convinti di essere premiati per la loro in-condizionata devozione. Si tratta di milita-ri di carriera, gente disposta a speculareincondizionatamente sulla pelle degli altripur di ottenere quello che vuole. Pronta atradire i propri sottoposti se vengono me-no alle aspettative e a mettere sotto inchie-sta un soldato che, come il Generale Mire-au, ha perso la testa nel tentativo di com-piere un’impresa impossibile.

Dall’altra parte ci sono i soldati di leva,gente sottratta alla normalità della vita e co-stretta a combattere una guerra in nome divalori che non condivide ma che, comun-que, accetta. Comandati da ufficiali che ven-gono dalla truppa e non fanno carriera mi-litare, come il Colonnello Dax. Militari chenon sono soggetti alle regole della casta eche fanno sino in fondo il loro dovere.

Gli uomini, che combattono in trincea,sono considerati come carne da macelloda un sistema che, in proprio, non rischianiente. A loro è consentita la sola possibi-lità di obbedire agli ordini impartiti, giu-sti o sbagliati che siano. Di uscire, volentio nolenti, dalle trincee per andare incon-tro alla morte. Di affrontare processi percodardia, finire senza un reale processodi fronte a un plotone di esecuzione e pa-gare con la vita per colpe che non hannocommesso. Per loro non è possibile fare ri-corsi, ottenere giustizia. I tentativi del Co-lonnello Dax, che si è assunto l’incarico didifenderli, nel loro caso non servono aniente. La logica dei tribunali di guerra è

STANLEY KUBRICK · ORIZZONTI DI GLORIA

25speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

La follia sistematizzata

Kubrick non si preoccupa di racconta-re una storia di enorme follia ma si impe-gna a descrivere nel comportamento degliuomini il modo con cui ha potuto realizzar-si e gli effetti che ha prodotto.

Naturalmente contestualizza i terminidel suo discorso riferendoli a una nazioneche combatte da troppo tempo una guer-ra sanguinosa. Siamo nella Francia del 1916e la situazione è disperata come solo unaguerra di posizione riesce a esserlo.

All’inizio del film, mentre una voce fuo-ri campo dà le coordinate spazio/tempo-rali della situazione, il generale Broulard(Adolph Menjou) sta portando al Genera-le Paul Mireau (George Macready), l’ordi-ne di realizzare un’azione di guerra cheentrambi giudicano disperata: conquista-re una fortezza inespugnabile, denomina-ta il formicaio, tenuta saldamente dalletruppe tedesche.

L’incontro avviene nella ricca dimoradi Mireau e sembra essere una vera e pro-pria conversazione da salotto. Inizial-mente il padrone di casa oppone alle ri-chieste del suo superiore una serie di ra-gioni tecniche, peraltro condivise, cherendono sconsigliabile la realizzazionedel progetto: mezzi e uomini insufficien-ti, truppe prive di morale e sfinite dallastanchezza.

Quando, però, si trova difronte all’alternativa

di essere rimos-

Page 28: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

SPECIALE SCHEDE

26

quella di uccidere per sollevare ilmorale di soldati destinati a mori-re. Possono fare ricorso a Dio, que-sto sì. Anche in questo caso han-no scarse probabilità di avere ri-sposte plausibili. Il loro destino è segnatoda una logica perversa, che non consen-te eccezione: “ Quale parola credi cheascolteranno? - dirà il tenente Roget alcaporale Paris che potrebbe denunciarlodi avere ucciso per vigliaccheria un pro-prio subordinato - Quella di un soldato odi un ufficiale?”

Per analogia il generale Mireau dirà alcolonnello Dax: “A chi crederanno? Allaparola di un colonnello di complemento oa quella di un generale di carriera?”

Umanità e disumanità di un sistema

La casta dei militari viene presentata daKubrick nella sua configurazione forma-le e tecnica. La forma del potere è sempreperfetta, impeccabile. I palazzi sono son-tuosi e ricolmi di preziosi quadri e suppel-lettili. Le divise sono cucite su misura e in-dossate come guanti. Dal modo con cuiun ufficiale le porta si può persino dedur-re la dimestichezza che ha con il potere.Gli incontri fra il generale Broulard e ilgenerale Mireau, nella loro perfezione for-male, sono significativi a questo riguardo.Il loro linguaggio è tutto tranne che mili-taresco. Kubrick non si fa scrupolo di ren-derlo intrigante, allusivo, ricattatorio. Incerti passaggi è talmente lucido da sem-brare shakespeariano. Dissimula la real-tà e il ricatto che contiene. Esprime la na-tura morale dei personaggi. È sempre ecomunque uno strumento retorico, nondidascalico.

Lo scontro conclusivo tra il Colonnel-lo Dax e il Generale Broulard, che ha equi-vocato sulle reali intenzioni del suo sot-toposto, è drammaticamente significati-vo. Da una parte si manifesta una forma

La debolezza umana e la miseria morale

Anche fra le truppe che combattono intrincea esiste una miseria morale che con-diziona la vita degli altri. Com-

portamenti iniqui, come quello di uccide-re per vigliaccheria un proprio commilito-ne, sono resi possibili da una gerarchia cheattribuisce al superiore il potere di dispor-re della vita di chi gli è sottoposto.

Basta un ufficiale alcolizzato, che ucci-de per vigliaccheria, per arrivare a condan-narne un altro che è stato testimone di quelfatto. Ed è sufficiente che il Colonnello Daxvenga a conoscenza di quanto è avvenutoperché decida di punire l’ufficiale vigliac-co dandogli l’ordine irrevocabile di coman-dare la pattuglia che eseguirà la sentenza.

La legge militare, nel suo formalismo,consente a un ufficiale che ha ucciso duevolte di sopravvivere alle proprie colpementre condanna a una morte infamantechi non è colpevole di niente.

Per Kubrick è il sistema che non funzio-na perché mette la vita di troppi nelle ma-ni dei pochi che, spesso, non sono in gra-do di gestire in modo responsabile il pote-re che viene loro conferito.

La vita di nessuno, d’altra parte, può es-sere esaurita in una logica formale. Gli uo-mini non sono riducibili a numeri. Se lo di-ventano nelle strategie dei generali non losono nella vita. Ogni persona è talmente di-

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

di incondizionata autotutela e la difesadel principio su cui si basa l’intero siste-ma di potere. Dall’altra c’è la testimo-nianza di un profondo rispetto dei valo-ri condivisi chegli avveni-

menti della guerra sembrano avere to-talmente cancellato.

La visione del comportamento bestialedei soldati che, nella taverna, inveisconocontro la ragazza tedesca e le impedisconodi cantare, mettono in crisi la fiducia di Daxnei confronti della loro umanità. Poi, rapi-damente, la situazione cambia. Attraversoil canto riemergono sentimenti di solitudi-ne, di pena, di nostalgia. Su quei volti, in-duriti dalla sofferenza, appaiono lacrimedi commozione. Forse di tenerezza.

Per esprimere questi sentimenti Ku-brick realizza una serie di ritratti che, inuna sola inquadratura, raccontano la sto-ria di ogni personaggio e un sentimento dicomune sofferenza.

Alla fine della ricreazione quegli uomi-ni saranno rispediti al fronte per tornare acombattere. Per vincere o morire. Torne-ranno a essere soldati, numeri, carne damacello. Sacrificati agli interessi di un po-tere perverso.

L’essere umano, anche nelle terrifican-ti condizioni di una guerra, preso singolar-mente, rivela di non essere malvagio. Lo di-venta quando la cupidigia del potere scon-volge l’ordine naturale delle cose.

Al di sopra dei destini, che l’uomo pen-sa di poter determinare, anche per Kubrickesiste una giustizia che si manifesta a pre-scindere da tutto e da tutti.

Al momento del bilancio finale, quan-do apprende di essere stato sottoposto auna inchiesta che dovrà accertare le re-sponsabilità su quanto è avvenuto nelcorso dell’attacco al formicaio, il Gene-rale Mireau arriva a dire al Generale Brou-lard: “Tu hai pugnalato un soldato allespalle”, rivendicando a questo modo i va-lori traditi e congedandosi, presumibil-mente, dalla vita.

Page 29: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

versa dalle altre che è follia pensare di po-ter fare giustizia anche quando si è in buo-na fede, figurarsi quando, come nel casodei due generali, non lo si è.

Le vittime di quelle fucilazioni non so-no di esempio a nessuno e non sono sacri-ficali. Il loro sangue non redime i colpevo-li, semmai produce nuove colpe e, quindi,nuove violenze.

Il generale Mireau, quando fa le previ-sioni degli uomini che cadranno nel corsodel combattimento, parla di morti in ter-mini di valori percentuali: tanti cadrannoall’uscita delle trincee, tanti nell’attraver-samento dei campi battuti dall’artiglieriae altro ancora. Pur essendo consapevoleche, anche se le sue truppe dovessero con-quistare il formicaio non sarebbero in gra-do di tenerlo, comanda l’attacco.

Gli uomini che muoiono inutilmentenon hanno alcuna rilevanza, sono carne damacello. Per lui conta solo la propria am-bizione personale e una deformata conce-zione dell’onore. Non a caso giudica undisvalore l’idealismo del colonnello Dax ela sua pietà per gli uomini che vengonomandati a morire.

Morire senza ragione

Le ragioni che hanno determinato lascelta delle vittime sono diverse per ciascu-na di loro.

Il Generale Mireau per nascondere ilproprio fallimento e sedare la propria se-te di vendetta ha voluto mettere a mortecento dei suoi uomini. Per ragioni di op-portunità accetta di sacrificarne tre soli,estratti a sorte: uno per ogni compagnia.

Di fronte al plotone di esecuzione, inve-ce, non vengono portate tre vite scelte a ca-so ma tre significative storie individuali.Kubrick non le racconta nei dettagli an-che se, facendolo, avrebbe potuto conferi-re risvolti drammatici e spettacolari al rac-conto. La sua attenzione, invece, è impe-gnata a evidenziare i motivi che hanno de-terminato quelle scelte e quanto di ottusoe di insensato esiste nel modo di procede-re della giustizia militare.

Anche se la sentenza di condanna è sta-ta emessa a prescindere dall’accertamen-to dei fatti e dal modo inconcepibile concui sono stati scelti gli imputati, il proces-so viene celebrato in modo formalmenteineccepibile. Tutto questo viene fatto perrendere credibile un’incredibile finzione. Inquesto caso la perfezione della forma fapremio sulla cattiva sostanza.

Con l’approssimarsi della morte il com-portamento di ciascuno dei condannatidiventa scomposto, diversamente violen-to. Nell’inconsapevole tentativo di sottrar-si a una sentenza, che non accettano, fini-scono per aggredirsi fra di loro. Arrivanopersino a farsi male.

Uno solo di loro, il soldato Arnaud, è sta-to estratto a sorte e, pur essendo un eroe diguerra, viene portato agonizzante, su una

STANLEY KUBRICK · ORIZZONTI DI GLORIA

27speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

barella, di fronte al plotone di esecuzioneper essere ucciso. Gli altri, invece, sono sta-ti scelti in base a ragioni specifiche. Il solda-to Ferol è stato selezionato dai membri del-la sua compagnia perché giudicato social-mente indesiderabile e, quindi, il più meri-tevole di essere ucciso. Morirà piangendo,gridando. Sopraffatto dalla disperazione. Ilsoldato Paris viene mandato al patibolo dalsuo superiore diretto che, in questo modo,si libera dal rischio incombente di un peri-coloso testimone. Paris muore “da soldato”ma il suo cuore è pieno di disperazione.

Il sistema di potere militare, malgradol’abominio della violenza e delle morti in-giustamente prodotte, invece, continua adagire indisturbato, tutelato da regole for-malmente ineccepibili ma sostanzialmen-te perverse.

Ci vogliono ordini scritti per spararecannonate contro i propri compagni d’ar-me (non si contesta il comando per il suocontenuto ma per la sua forma). L’uccisio-ne di vittime innocenti viene eseguita sul-la base di un verdetto emesso da un tribu-nale militare che non giudica ma obbedi-sce a degli ordini. La fucilazione viene ese-guita nel rispetto di un cerimoniale che, at-traverso la rigida solennità della forma,conferisce giustificazione e autorevolezzaa un’azione che, proprio per questo, di-venta ancora più criminale.

Bisogna non avere pietà e essere privi dicoscienza morale per solennizzare con lapropria presenza la condanna a morte del-le proprie vittime (vedi il caso dei Genera-li Mireau e Broulard ).

Se è vero che lo spirito del film è intol-lerante nei confronti del militarismo, è cer-to che il suo realismo costituisce l’espres-sione formale più profonda della pietà cheKubrick nutre nei confronti delle vittime.Realizzato in bianco e nero Orizzonti digloria appartiene più alla nostra coscien-za morale che alla nostra cultura.<

Nota

I testi di romanzi, racconti, liriche e lavo-ri teatrali scrittida Sguinzi Ste-fano sono sca-ricabili dawww.netedi-tor.it.

Page 30: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

ciò che contiene avendo la preoccupa-zione di evitare le generalizzazioni e diconservare, invece, quanto di specificola riguarda.

L’altro filone del nostro cinema è co-stituito dalla Commedia costruita su sto-rie paradossali, infarcite di corna e di ses-so, e sviluppate sulla deformazione dipersonaggi che risultano risibili, bistrat-tati ma mai oltraggiati. Nel loro tratta-mento non c’è un filo d’ironia ma moltacomprensione e benevolenza.

Da qualche mese sonoiniziate le celebrazioni per il centenario della PrimaGuerra Mondiale,combattuta tra il 1914 e il1918. Anche la nostra rivistaha deciso di ricordare queldoloroso appuntamento conla Storia dando spazio aschede su film che neparlano. Nel numero 104 abbiamopubblicato una scheda su Lagrande illusione di Renoir. Nelle pagine che seguono neproponiamo altre due [...]. Nei prossimi numeri nepubblicheremo ancora.

Il neorealismo e la commedia

C’è un modo tutto italiano di fare ilcinema, di fare la guerra e anche di mo-rire. La grande guerra, un film realizzatoda Mario Monicelli nel lontano 1959, Leo-ne d’Oro ex aequo con Il generale DellaRovere di Roberto Rossellini alla XX Mo-stra del Cinema di Venezia, costituisceun monumento consacrato alla celebra-zione di questa specificità.

Diversamente dagli altri il nostro ci-nema è profondamente pervaso dallospirito del movimento neorealista cheha messo i suoi personaggi e l’ambien-te sociale, a cui appartengono, al centrodella propria attenzione sia espressivache morale. L’intento di questo cinemanon è stato quello d’inventare un’im-magine della realtà ma di scoprire tutto

Questi filoni coesistono, s’intreccia-no, diventano “sintesi creativa” nel film diMonicelli. Costituiscono la sua natura.Anche se La grande guerra non arriva aessere un’opera “neorealista” , non scadeneppure nel bozzettismo.

L’ispirazione che sta alla base del filmoltre che drammatica è epica. Si tratta diun’epopea di tipo speciale perché nonparla in astratto di eroi ma di concretiantieroi che scrivono le pagine della sto-ria con il sacrificio delle loro vite.

Un film corale

Il disegno costruttivo è complesso mamaturo al punto da diventare parte inte-grante, per non dire impalpabile, dellamateria del racconto.

La seconda componente del film de-riva dal particolare modo con cui gli ita-liani, secondo i suoi autori, vivono la tra-gedia in cui sono immersi.

In questo film non si trova traccia dimilitarismo ma neppure di antimilitari-smo. Il dramma della guerra, per comeviene presentata, sembra non avere a chefare con le trame del potere. Anche perquesto non ci sono parate militari ma so-lo processioni di soldati male in arnese odi feriti. Non ci sono eserciti vittoriosi matruppe in fuga, sconfitte.

S P E C I A L E

Regia: Mario MonicelliSoggetto e Sceneggiatura: Age, F. Scarpelli, L. Vincenzoni, M. MonicelliFotografia: Giuseppe Rotunno, RobertoGerardi (sequenze finali), LeonidaBarboni (sequenze finali)Montaggio: Adriana NovelliScenografia: Mario GarbugliaCostumi: Danilo DonatiMusica: Nino RotaInterpreti: A. Sordi (O. Jacovacci), V. Gassman (G. Busacca), S. Mangano(Costantina, la prostituta), F. Lulli(Bordin), B. Blier (Cap. Castelli), R. Valli(Ten. Gallina), L. Lorenzon (Serg.Battiferri), N. Arigliano (Giardino), M. Valdemarin (Sottotenente Loquenzi),T. Murgia (R. Nicotra), T. Mitri (Mandich)Distribuzione dvd: FilmauroDurata: 129’Origine: Italia 1959Dai 14 anni

SCHEDE

speciale · numero 111 · maggio-giugno 201528

MARIO MONICELLI

La grandegguueerrrraa

di STEFANO SGUINZI

Page 31: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

La struttura del potere, intesa nei suoitermini coercitivi, è totalmente assente.Non esiste una corte marziale che proces-sa e punisce chi trasgredisce le regole. In-frangere gli ordini non comporta alcunaconseguente punizione e gli ufficiali nonterrorizzano i loro soldati né li trasforma-no in carne da macello. Può capitare, inve-ce, che “ i superiori” vengano sbeffeggiatiper il loro nome dagli uomini della truppa.Vedi il caso del tenente Gallina.

Anche se molti si sono arruolati per fug-gire alla miseria delle loro vite o, come nelcaso del soldato Giovanni Busacca, peruscire di galera, nessuno di loro arriva a fa-re corpo con un esercito di cui nessuno ri-conosce l’autorità. Lo accettano come unanecessità, tenuto conto che c’è una guer-ra in corso, ma niente di più

Tutti, in un modo o nell’altro, sono im-pegnati a cavarsela. Nella lotta per la so-pravvivenza ogni personaggio dispone diuna propria strategia da seguire e non ac-cetta di essere subordinato alla volontà de-gli altri. Per questo manifesta comporta-menti strafottenti, canzonatori e persinoviolenti.

Nella realtà della vita, però, sono perso-ne che hanno un estremo pudore dei lorosentimenti anche perché hanno difficoltàa esprimerli. Non a caso parlano dialetti di-versi e fanno parte di culture con valoritalmente differenti da determinare il ri-

schio che i loro comportamenti non risul-tino comprensibili.

In generale non hanno il senso della di-sciplina e dell’onore ma quello del dovere.Al di là di tutte le differenze culturali vivo-no un senso di solidarietà che li lega fra diloro e li induce a far corpo solo di fronte al-la morte.

L’eroe spavaldo e quello vigliacco

I due protagonisti del racconto, lo spa-valdo Giovanni Busacca (interpretato daVittorio Gassman) ed il vigliacco Oreste Ja-covacci (Alberto Sordi), esprimono allospasimo queste contraddizioni e, a modoloro, finiscono per morire eroicamente.

Giovanni Busacca crede esclusivamen-te in se stesso e nella sua capacità di cavar-sela. Il suo bisogno di vivere, mimetizzan-dosi nella pelle degli altri, lo porta a farsipassare per un intellettuale perseguitatodalla malasorte. Nella sua breve storiad’amore finisce per innamorarsi e farsiamare solo nel momento in cui esce dallafinzione e accetta di essere se stesso.

Nella sequenza in cui viene catturatodai tedeschi, insieme al suo inseparabilecommilitone, Oreste Jacovacci, indossa ladivisa del nemico. Questo fatto, che lo fapassare per una spia, lo condanna a mor-te. Quando decide di comperare la pro-pria salvezza rivelando al nemico le infor-mazioni di cui dispone, non riesce a farlo.

Nel momento in cui torna a vivere nel-la propria pelle e smette di fuggire di fron-te al proprio destino, da lavativo, antieroeiper-individualista, quasi per puntiglio, de-cide di farsi fucilare e di morire con digni-tà, senza rivelare il proprio segreto.

Jacovacci non è niente di tutto questo.Il suo rapporto con la vita è talmente pa-rassitario che sembra non averne una pro-pria. Agisce quasi sempre per opportuni-smo e sempre per vigliaccheria. Di fronteall’ufficiale tedesco che lo minaccia di mor-

te appare determinato a tradire i suoi com-pagni pur di salvare la pelle. Persino difronte alla morte di Giovanni Busacca, chedecide di morire con dignità e di difende-re il proprio segreto, Oreste Jacovacci mo-stra di essere disposto a tutto, a dire quel-lo che sa e rivendica la propria natura di vi-gliacco per togliere credibilità a quello chepotrebbe dire. E muore dicendosi vigliac-co. Muore sopraffatto dalla paura, senzamostrare di avere alcuna forma di dignità.Anche lui, però, non parla. Tiene duro for-se perché si rende conto che il suo destinoè comunque segnato oppure, più sempli-cemente, perché lo ha fatto il suo amico elui non può essergli da meno. Non riescea tradirlo in punto di morte.

In questa occasione i valori superioridella Patria e dell’Onore non esistono. Incampo ci sono solo i più poveri e meschi-ni sentimenti della vita.

“Ancora una volta quei lavativi se la so-no cavata” dirà di loro un ufficiale non sa-pendo che i loro corpi giacciono morti, perterra, ignorati da tutti. Il loro sacrificio, piùo meno volontario, che ha dato un deter-minante contributo alla vittoria finale, èdestinato a rimanere ignoto a tutti. Il desti-no di “lavativi” come loro è quello di ri-manere “eroi sconosciuti”, a cui non è pos-sibile dire Grazie! e tributare onore.

Un esercito di individualisti

In contrasto con la coralità del drammadella guerra, poco alla volta, Monicelli ar-riva a creare l’immagine di un esercito di in-dividualisti. Senza l’insegnamento dellacommedia all’italiana e le folli caratteriz-zazioni dei suoi personaggi sarebbe statoimpossibile mettere in riga un esercito disoldati dotati di tanta diversa umanità.

Per mettere in piedi un esercito di sbra-cati come quello de La grande guerra, in-vece, Monicelli non ha avuto difficoltà. Frai tanti personaggi che gli sono andati incon-

MARIO MONICELLI · LA GRANDE GUERRA

29speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 32: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

SPECIALE SCHEDE

30

tro ha scelto quelli che disponevano di vol-ti significativi. Volti di gente che nella ma-schera scolpita dalla vita, nella gestualità enell’infinita serie delle inflessioni dialetta-li esprime il vissuto di un’umanità chia-mata a far ridere per come appare e a far ri-flettere e commuovere per come è.

In questo film il realismo e la comicitàsi fondono per rendere credibile la realtà diun mondo in cui gli uomini muoiono daeroi dichiarandosi vigliacchi.

Si parla spesso di commedia della vita.In questo film i modi della commedia so-no stati utilizzati per dare forza di verità adei personaggi che vivono sulla propriapelle la violenza di una guerra che va con-tro la loro natura e trasforma in dramma leloro vite.

Le tante tavole di un affresco

La grande guerra ha l’ispirazione pro-fonda di un film corale. Monicelli raccon-ta una storia di distruzione e morte co-struendo un affresco le cui grandi tavole so-no dedicate a illustrare i vari momenti del-la guerra e il dramma di chi la combatte.

Si parte dall’episodio dell’arruolamen-to con la presentazione della lunga fila dicoscritti che fanno la coda e si spingono fradi loro nel timore di arrivare troppo tardial momento della firma, per arrivare im-mediatamente dopo all’episodio in cuiOreste Jacovacci, il romano imboscato, ti-ra il bidone al milanese, Giovanni Busac-ca, che gli offre dei soldi per riuscire a im-boscarsi come lui. “Italiani in fanteria - di-rà a se stesso - romani in fureria.”

I due si ritrovano casualmente sulla tra-dotta che li porta al fronte e, dopo un pre-vedibile scambio di botte, contumelie einsulti, prima di cominciare a fare la guer-ra agli altri, decidono di fare la pace fra diloro e diventano inseparabili amici.

Spesso una scena viene legata a quellasuccessiva attraverso risvolti comico/grot-

teschi di questo genere. I contrasti, i litigi,infatti, avvengono senza che fra i vari per-sonaggi si manifesti reale aggressività odesiderio di vendetta. Il sentimento co-mune, pur nella marcata diversità dei ca-ratteri, è costituito dalla solidarietà di chisi sente coinvolto in un unico destino.

Alcune di queste scene vengono orga-nizzate in gruppi e sono introdotte da can-ti i cui testi diventano didascalie introdut-tive a singole sequenze. In ognuno di que-sti casi “i cori” esprimono i sentimenti de-gli uomini che vivono nelle trincee. Dan-no voce alle speranze, ai rimpianti, al de-siderio di vita, sentimenti che costituisco-no la base morale su cui si sviluppa l’inte-ro racconto.

Da questo coro emergono personaggiche hanno storie individuali da racconta-re. Fra questi si staccano le figure dei dueprotagonisti: Oreste Jacovacci, romano, eGiovanni Busacca, milanese. Il loro ruoloè quello dei solisti in un coro. Cantano inmodo esemplare degli “a solo!” che costi-tuiscono un’esemplificazione della condi-zione morale e dello spirito di tutti.

Se il soldato innamorato di FrancescaBertini, la diva del cinema muto per anto-nomasia, di fronte alla tragedia che lo cir-conda getta nel fango la foto con la dedi-ca tanto desiderata, i nostri “eroi”, falsi e bu-giardi, fanno generosamente a meno deisoldi destinati ad andare a mimose quan-do si trovano di fronte alla signora Bordinche non incontrerà il marito alla stazione.A lei, vigliaccamente, daranno tutto il de-naro di cui dispongono ma non la notiziadella morte del marito.

Mario Monicelli riesce a imprimere allasequenza di quell’incontro un profondo sen-timento di pietà e l’angoscia. Lungo i bina-ri di quella ferrovia, che trasporta migliaia divite destinate alla morte, si percepisce la pre-senza di un Bordin che non c’è più ma checontinuerà a esistere per ciascuno di loro.

Come molti altri personaggi del filmBordin ha una storia personale da raccon-

tare. Il suo rapporto bonario con la vita, lasua generosità. Il suo senso del dovere e delsacrificio possono scandalizzare persinoil tenente Gallina, che disapprova il suomodo di mettere a rischio la vita per pochisoldi, ma non lui che vive di poche ma as-solute certezze.

Bordin sa come stare nella propria vitae conosce sino in fondo il valore che ha. Unuomo così non morirà mai e la signoraBordin continuerà ad attenderne il ritorno.

Una grande umanità

Questo profondo sentimento di umani-tà non consente ai due “eroi” del film dipremere il grilletto per uccidere un nemi-co inerme. Loro sono talmente sprovve-duti da non capire che, comportandosi aquel modo, si espongono al rischio di fini-re sotto processo diventando vittime di lo-ro stessi. Questo però a loro non importa.

La storia d’amore fra Giovanni Busac-ca, ex detenuto, e Costantina, la prostitu-ta che, pur operando a ridosso del fronte,rifiuta di concedersi indiscriminatamen-te, fa parte della dimensione sentimenta-le del racconto.

C’è una folla di soldati in libera uscitache occupa il cortile della casa in cui Co-stantina (Silvana Mangano) svolge la suaprofessione ma Giovanni, facendo ricorsoa una personalissima strategia di approc-cio, riesce a sorpassare i rivali e arriva perprimo alla meta. Per conquistarla manife-sta modi cavallereschi che non ha. Si fapassare per un intellettuale sopraffatto dal-le contrarietà della vita. Si sente talmentecerto della sua conquista da pensare di ave-re ottenuto per amore quello che gli altri ri-cevono a pagamento. Ritornato in trincea,però, scopre di essere stato alleggerito nonsolo dei soldi ma anche di tutto quello chec’era nel suo disastrato portafoglio.

La storia di questo amore si sviluppaattraverso una serie di episodi separati fra

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 33: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

loro dagli eventi della guerra. Se tali mo-menti non fossero distribuiti nel tempo illoro incontro non sarebbe raccontabile e,forse, nemmeno credibile. Da una situazio-ne iniziale in cui ciascuno di loro gioca anascondere all’altro le proprie reali condi-zioni di vita, si arriva a un’altra in cui rive-lano la loro reale identità e manifestanouna natura fragile ed indifesa. In quanto fi-gli di “NN” arrivano a considerarsi festosa-mente come parenti. E anche il bambinodi Costantina, figlio di NN come loro, cioèdi tutti e di nessuno, entra a far parte diquesta particolarissima comunità.

Oreste Busacca, il romano “dalla facciadi pesce e dall’espressione di patata”, inve-ce, sembra incapace di questi slanci mora-li o anche solo sentimentali. Lui tocca tut-to il toccabile, spudoratamente. Consumatutto senza riuscire ad avere niente.

Il sentimento di pietà degli autori per-mea ogni pagina del racconto e rivela lapropria presenza anche negli episodi mi-nori. Primo fra tutti quello che vede comeprotagonista il messaggero che muore perconsegnare un ordine inutile agli uominidella trincea o quando gli occhi della Signo-ra Bordin si bagnano di lacrime nel consta-tare che il suo uomo non è venuto all’ap-puntamento. Quell’incontro mancato co-stituisce per lei l’inizio di un lutto.

Il film, nel suo insieme, è pervaso da uncostante presagio di morte. Si manifestasin dalle prime battute, quando la vocian-te tradotta che porta una truppa spavaldaa combattere al fronte, incrocia i bianchivagoni di un treno della Croce Rossa che ri-portano a casa residui di corpi e di vite. Ilsilenzio che cala sulla stazione non mani-festa solo un rispetto nei confronti di quel-la sofferenza ma è anche espressione diun presentimento collettivo nei confrontidella morte che verrà.

Questo stato d’animo è presente anchenel momento in cui Giovanni Busacca sa-luta la sua Costantina. Si manifesta nelmodo con cui lo fa. Entrambi i personag-

gi sono consapevoli che il loro non è un ar-rivederci ma un addio. La tristezza deglisguardi che si incrociano conclude la sto-ria di un breve incontro fatto di felicità manon di speranza.

“Di qua, di là del Piave ci stava un’osteria…”

Dopo che è successo di tutto. Dopo chel’esercito austro-ungarico ha cacciato oltreil Piave le truppe italiane. Dopo che uneroe strafottente e uno vigliacco hanno di-feso un segreto, il Ponte di Chiatte, che haconsentito alle truppe italiane di riconqui-stare il terreno perduto e propiziato la vit-toria finale, la Storia, quella che si scrivecon la S maiuscola, sembra avere final-mente voltato pagina.

La pace scende su quelle vite recise, suiterreni sconvolti, su condizioni di vita che,per chi ha combattuto la guerra stando nel-le trincee, si rivelano ancora più difficili.

Questa “Grande Guerra” non si conclu-de con le parate militari di chi ha vinto. Lavittoria, per come viene presentata, è frut-to di un grande spirito di sacrificio, di unsentimento di dedizione che chi ha com-battuto non sa definire ma che chi pensadi avere vinto, chiama Patria.

Alla fine del film, quando la furia di-struttiva dei combattenti si è esaurita, ne-gli uomini che sono sopravvissuti affiora-no solo sentimenti di pace. Sui campi in-trisi di sangue, disseminati di morte, nes-suno canta “Vittoria!”.

Quell’esercito di straccioni, che ha sapu-to combattere e vincere una guerra chenon ha vissuto come propria, non chiedecelebrazioni ma rispetto.

La straordinaria qualità de La grandeguerra risiede nell’avere raccontato, in mo-do corale, una storia di anti-eroi partendodalla natura di ciascuno di loro. Nell’esse-re riuscita a mettere in evidenza lo spiritodi chi ha combattuto, ha vinto o è morto.Il vissuto che emerge dal comportamento

MARIO MONICELLI · LA GRANDE GUERRA

31speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

dei vari personaggi non ha niente a chefare con un animo guerresco e i valoriastratti del patriottismo e dell’onore. Ri-guarda solo ed esclusivamente i valori con-creti della vita.

Monicelli si è guardato bene dal rap-presentare l’esercito italiano come una di-struttiva macchina da guerra. Lo ha fatto vi-vere come una grande famiglia, compo-sta da persone con storie e destini diversi.Un insieme di individui votati al sacrificio,legati fra di loro da profondi sentimenti disolidarietà, accomunati da un destino dimorte e da un desiderio di pace.

Per questa gente la fine della guerra si-gnifica il ritorno a una speranza di vita. Èun evento che si può festeggiare ma noncelebrare perché è stato conquistato a prez-zo di enormi sofferenze.

Per esprimere tutto questo Monicelli hacostruito un racconto denso di avveni-menti e di personaggi. Ha coinvolto lo spet-tatore nello spirito del film al punto da ren-derlo parte del coro.

Per chi si è lasciato coinvolgere nellasua forza drammatica La grande guerra èdiventato un capolavoro assoluto della sto-ria del nostro cinema. Per gli altri, quelli chestanno a guardare e hanno la puzza sottoil naso, il film rimane l’occasione per farsiquattro risate senza rendersi conto che,così facendo, dissacrano il sacrificio deimolti che sono morti e si prendono giocodella parte migliore di noi stessi.

“Io dico che se vinciamo questa guerracon i mezzi che abbiamo siamo un gran-de esercito!” dice il Tenente Gallina quasia conclusione del film.

Quella guerra, la Grande Guerra, è co-stata al nostro popolo un’enorme soffe-renza. Bene o male l’abbiamo combattu-ta e, senza essere un grande esercito, l’ab-biamo anche vinta. Attraverso questo filmpossiamo solo ricordare la tragedia che hacoinvolto il nostro popolo e realizzare ilproposito morale di non dimenticare.<

Nota

I testi di romanzi, racconti, li-riche e lavori teatrali scritti daSguinzi Stefano sono scaricabili dawww.neteditor.it.

Page 34: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

estreme, per cui disertarono o si ribellaro-no ai comandanti. La durissima reazionefu la decimazione, cioè la fucilazione di unsoldato ogni dieci, scelto dal caso.

Lussu, poi uomo politico e fondatoredel Partito d’Azione (quale antifascista ven-ne sottoposto alle persecuzioni del regi-me), nel suo libro racconta come in unmemoriale le sue esperienze personali. Ilracconto di tali esperienze è ripreso daglisceneggiatori Guerra e La Capria e dal re-gista Francesco Rosi, il quale dopo espe-rienze di teatrante e di assistente di cinea-sti come Visconti e Antonioni era diventa-to il regista della realtà, impegnandosi nel-la denuncia sociale e nella ricerca della ve-rità dei fatti in situazioni presentate dalleistituzioni in maniera non veritiera.

Nel film il protagonista non si chiamaLussu ma Sassu. Tra gli altri cambiamentiil più rilevante è il finale, con l’esecuzionecapitale del protagonista, che nella realtànon c’è stata. Pur introducendo qua e làelementi di fantasia, Uomini contro restasostanzialmente fedele al libro nel mostra-re la metamorfosi di un giovane che, cre-dendo nel suo dovere di soldato tanto dapartire volontario, vede con i suoi occhi latragica realtà del fronte e diventa pacifista.

Rosi impiegò tre anni per far accettareil progetto del film, e poi per poterlo rea-lizzare rinunciò al suo compenso. Alla suauscita, violente furono le proteste di mol-ti per una presunta negazione del patriot-tismo e per una presunta esaltazione del-la viltà, con attacchi in Parlamento.

Le ragioni di una ribellione

In realtà Rosi non è contro il patriotti-smo ma contro la retorica patriottarda,

32

Dalla pagina allo schermo

Alla base di questo film c’è un libro au-tobiografico (Un anno sull’Altipiano) diEmilio Lussu, volontario nella prima guer-ra mondiale 1915-18. Nel maggio 1915 l’Ita-lia era entrata in guerra contro Germaniae Austria al fianco degli eserciti alleati Fran-cia-Inghilterra-Russia, e alla fine del lungoe sanguinoso conflitto (novembre 1918)era risultata vincitrice, sia pure a prezzo dienormi perdite. La guerra venne vissutadai soldati italiani con grande coraggio econ autentico eroismo personale, ma tal-volta la pressione era talmente grande chealcuni non tollerarono le disumane condi-zioni di vita e i pericoli di certe situazioni

espressa da certi ufficiali superiori (comeil generale Leone), tanto imbevuti di prin-cipi astratti quanto incapaci di gestiredavvero le imprese militari. Con loro il re-gista è durissimo, mentre tratta con ri-spetto e comprensione i soldati e gli uffi-ciali che compirono il loro dovere, anchea prezzo di enormi sacrifici. Anche quan-do, esasperati da certe assurde situazioni,si ribellarono all’autorità e giunsero a ge-sti estremi. I personaggi del film, che sem-brano confondersi con il paesaggio roc-cioso in cui si nascondono per scampareal fuoco nemico, emergono invece con leloro personalità specifiche, la loro figura-zione umana. A dir la verità i personaggisono fin troppo eloquenti, senza sfuma-ture: eppure persino il generale Leone,dominato da un assurdo senso del dove-re militare e dal culto ossessivo dell’ono-re (dunque un tragico burattino), ha mo-menti in cui non appare così monolitico.Accade per esempio in una sequenza incui il generale, tutto impettito nell’ordina-re l’attacco alla collina imprendibile, vie-ne sbalzato da cavallo: qui la musica (diPiero Piccioni, sempre fedele a Rosi) acqui-sta toni da giostra, come a sottolineare

l’intrinseca

S P E C I A L E

Regia: Francesco RosiSoggetto: dal libro “Un annosull’altipiano” di Emilio LussuSceneggiatura: Tonino Guerra, RaffaeleLa Capria, Francesco RosiFotografia: Pasqualino De SantisScenografia: Andrea FrisantiMontaggio: Ruggero MastroianniMusica: Piero PiccioniInterpreti: M. Frechette (tenente Sassu),G.M. Volonté (tenente Ottolenghi), A. Cuny (generale Leone), F. Graziosi(maggiore Malchiodi), G. Albertini(capitano Abbati)...Origine: Italia 1970Distribuzione: Euro InternationalDurata: 101’Dai 12 anni

S C H E D E

FRANCESCO ROSI

Uomini ccoonnttrroo

di ERMANNO COMUZIO

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 35: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

del racconto è documentaristico. L’am-bientazione è magistrale: grazie ai tonifotografici (siamo in autunno, poi verrà laneve) i colori delle trincee, del terreno ri-coperto di foglie secche e delle pietraiesono lividi e si ripercuotono anche sullepersone, che in questa luce e nella nebbiasembrano fantasmi. Anche quando c’è ilsole, non è mai splendente. Le azioni diguerra sono di un realismo spietato, ri-prese con un abile gioco della cinepresa(che cambia spesso angolazione, muo-vendosi anche raso terra) e del montaggio.Superbo è il momento dell’attacco allacollina: il generale fa venire una fanfara ditrombe che ha il compito di suonare aperdifiato durante l’azione per incitare le

truppe, e il suono insistito, ripetitivo, in-calzante delle trombe luccicanti si me-scola al fragore implacabile della mitra-glia, alle urla e ai rumori.

Il successivo attacco ai reticolati nemi-ci con le pinze e con le baionette è risoltocon ottimi movimenti di macchina, chemettono in rilievo sia l’azione che le rea-zioni suscitate nei personaggi, con primipiani che denunciano lo sgomento sui lo-ro visi. Il che non contrasta con gli aspet-ti grotteschi che assumono alcuni episo-di, come quello delle corazze fatte indos-sare ai soldati che - dovendo nelle inten-

33

debolezza di un personaggio che a primavista appare scolpito nella pietra. Deci-samente ridicolizzato per mezzo dellamusica è poi in altri momenti come quel-lo in cui, per insegnare ai soldati cometenere il pugnale fra i denti, mette in boc-ca il suo frustino, apparendo più grottescoche eroico.

Non manca qualche forzatura ideolo-gica. Il tenente Ottolenghi diventa portato-re di istanze che poi verranno chiamatesessantottine (il film ne risente, essendostato realizzato negli anni 1969 e 1970), co-me quando dice: “Fuoco sul comandante,poi più avanti, fino a Roma. Il socialismo algoverno… Sparare, poi si vedrà”, il che sem-plifica un dibattito molto complesso... Uo-mini contro, ha precisato lo stesso Rosi,rappresenta “gente che un giorno dopo l’al-tro accumula con amarezza e con rabbia ra-gioni sacrosante per opporsi al sistema”.

Immagini e suoni

Lo stile cinematografico adottato dalregista è duro, diretto, denso, senza sen-timentalismi. In certi momenti il taglio

zioni proteggerli dal fuoco nemico - li fan-no apparire dei fantocci, caricature diguerrieri medioevali. Corazze che poi nonservono a nulla, dato che si lasciano per-forare dai proiettili come fossero di carta.

Dove il film si discosta maggiormentedal libro è nella fucilazione finale del te-nente Sassu, anche per il suo tono figu-rativo, suggestivo per quanto riguardal’immagine (l’alta cava di terra, la ripre-sa da lontano) ma un po’ compiaciuto,lontano dal realismo asciutto del resto.

Il tema della guerra, al giorno d’oggi,in un mondo insanguinato da tanti conflit-ti palesi o nascosti, è più che mai d’attua-lità. I bersagli da abbattere, ci dice il film,non sono tanto i “nemici” (spesso non si

sa chi siano, spesso sono più vittime checarnefici) quanto i “signori della guerra”che hanno interesse a che il conflitto du-ri, i dittatori, i generali, i tribunali militari,i ministri, i fabbricanti e i trafficanti di ar-mi. La gente comune non la vuole la guer-ra, la subisce. Uomini contro può essereuno strumento utile per capire e per giu-dicare non soltanto un momento storicoe una situazione particolare appartenen-te al passato, ma anche tutte quelle situa-zioni d’oggigiorno dominate dalla violen-za, aiutandoci ad appoggiare sempre co-loro che si oppongono a tutte le guerre.<

ECCO COME il giovanetenente Sassu, un sardo,

vede la guerra 1915-18 a cuipartecipa come volontario. La vita di

trincea; la conoscenza col generaleLeone, ufficiale tutto d’un pezzo,militarista e fanatico; le azioni deinemici, gli assalti inutili e sanguinosi,gli episodi di fucilazione dei disertori,l’amicizia con i colleghi eccetera.IL GENERALE ORDINA la conquista diuna collina tenuta dagli austriaci. I soldati partono all’attacco, che si risolveperò in una carneficina perché il posto si dimostra imprendibile. I soldati, a uncerto punto, si ribellano, appoggiati da un ufficiale, il tenente Ottolenghi, ilquale si schiera addirittura contro il generale, definito “il vero nemico”. Iltenente Ottolenghi viene poi ucciso dal fuoco nemico durante l’azione.IL TRIBUNALE MILITARE compie processi sommari per stroncare i focolai diribellione agli ordini, e si eseguono delle decimazioni. Durante un’altra azione isoldati sono rinchiusi dentro un rifugio e, per non morire soffocati, esconoall’aperto nonostante gli ordini. Un maggiore decide di non poter tollerarequesti comportamenti e ordina la decimazione, ma viene ucciso dai soldati. Diquesto omicidio viene ritenuto istigatore il tenente Sassu, che viene processatoe condannato a morte. Verrà fucilato di lì a poco, in una cava abbandonata.

FRANCESCO ROSI · UOMINI CONTRO

33speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

SINOSSI

Page 36: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

né braccia, cieco e sordo, che oltre chemanifesto antimilitarista radicale diventaoccasione per analizzare il rapporto del-l’uomo con se stesso e gli altri, i proprisentimenti e la propria Fede.

Dalton Trumbo, qui al suo esordio co-me regista a 66 anni (il film era destinato arimanere la sua unica realizzazione) pochianni prima di morire, si era imposto comescrittore e sceneggiatore già alla fine deglianni 40, collaborando con registi quali Gar-son Kanin, Victor Fleming, Sam Wood,Merwyn Le Roy, Stuart Heisler. Impegna-to in diverse associazioni sociali e politicheprogressiste, Trumbo viene accusato di fi-lo-comunismo e coinvolto nella “caccia al-le streghe” maccartista. Convocato nel 47

Un giovane soldatoamericano torna dal frontedella Prima GuerraMondiale ridotto a troncoumano, senza braccia négambe, cieco e sordo. Imedici militari ne studianole reazioni a scopi scientifici,ma l’uomo mantiene lacapacità di sognare, dipensare e di porsi inrelazione con gli altri. Unradicale e terribile attod’accusa contro la guerra egli interessi che ladeterminano.

All’interno della vasta categoria dei“film di guerra” si può individuare un

filone di opere dedicate al ritorno dei re-duci dal fronte, amputati nel corpo e pia-gati nell’anima. Fra questi film sono me-morabili La grande parata (1925) di KingVidor, capostipite del genere, Uomini(1950) di Fred Zinnemann, con un esor-diente Marlon Brando paraplegico ridot-to a muoversi su una sedia a rotelle, Natoil 4 luglio (1989) di Oliver Stone, con TomCruise alla sua prima impegnativa partedrammatica e soprattutto l’impietoso Oh!Uomo (2004) di Yervant Gianikian - Ange-la Ricci Lucchi, documentario di montag-gio dedicato a operazioni chirurgiche e ri-costruzioni meccaniche di corpi marto-riati. In questo filone occupa una posizio-ne particolare E Johnny prese il fucile (1971)dell’americano Dalton Trumbo, dedicatoal caso estremo di un soldato tornato dalfronte ridotto a un tronco senza gambe

dalla Commissione per le attività anti-ame-ricane, si rifiuta di rispondere alla doman-da se sia comunista, appellandosi al PrimoEmendamento della Costituzione ameri-cana, che assicura a ogni cittadino la li-bertà d’espressione. Accusato di “disprez-zo alla Corte” viene condannato a un an-no di prigione e all’interdizione dalla suaattività di scrittore per il cinema. Dopo ilperiodo di detenzione si rifugia in Messi-co dove riprende con successo la sua atti-vità di sceneggiatore per Hollywood sottofalso nome, riuscendo così a farsi beffe del-la censura maccartista. Nel 58, superandoil veto della Commissione, che nel frat-tempo si era sciolta per la caduta in di-sgrazia politica del Senatore Mc Carthy,Kirk Douglas lo “sdogana” invitandolo ascrivere la sceneggiatura di Spartacus diStanley Kubrick, cui fanno seguito le colla-borazioni “in chiaro” a Exodus di Otto Pre-minger e a film diretti da Robert Aldrich,Edgard G. Ulmer, Vincente Minnelli, Geor-ge Roy Hill, John Frankenheimer e altri.

La genesi di E Johnny prese il fucile è al-trettanto complessa, coerentemente con latormentata biografia di Trumbo. Il soggettodel film si fonda su un fatto reale, letto su unquotidiano dal regista nel 32, in cui si narra-va di un soldato inglese sopravvissuto come“tronco umano” per ben quindici anni. Le

S P E C I A L E S C H E D E

DALTON TRUMBO

E Johnnyprese iill ffuucciilleedi FLAVIO VERGERIO

34

Titolo originale: Johnny Got His GunRegia: Dalton TrumboSoggetto e sceneggiatura: D. TrumboFotografia (b/n e colore): Jules Brenner Scenografia: Harold MichelsonMusica: Jerry Fielding Montaggio: Millie MooreInterpreti: Timothy Bottoms (JoeBonham), Jason Robards jr. (il padre),Marsha Hunt (la madre), Kathy Fields(Kareen), Donald Sutherland (Gesù), DianeVarsi (infermiera), Edmund Fame (gen.Tillery)Produzione: World Entertainment Ltd. Distribuzione dvd: Amazon e sul web Origine: Usa 1971Durata: 111’Dai 16 anni

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 37: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

dici e infermieri gli tolgono le bende permedicarlo o applicargli la cannula per l’ali-mentazione. Ma proprio perché Trumboevita la via di un facile coinvolgimentoemotivo, risulta particolarmente coinvol-gente ed efficace la scelta di dar corpo al-lo straziante monologo fuori campo diJohn ny che grida in un silenzioso flusso dicoscienza (e quindi inascoltato) la sua an-goscia e la propria solitudine rievocando,sotto forma di sogni e di incubi, episodi del-la propria vita passata. In questo senso ap-

pare simbolicamente altrettanto efficace lascelta di alternare la fredda implacabilitàdel bianco e nero (talvolta virato all’azzur-ro o al seppia) delle scene girate sul tem-po “presente” al colore sensuale della vitatrascorsa (con immagini talvolta sfuocatee flou per suggerire la loro rievocazionefantasmatizzata da parte della memoriasoggettiva di Johnny).

Un sintetico inquadramento storico del-la vicenda è affidato ai titoli di testa inizia-li, a una sequela, tratta da cinegiornalid’epoca, di sfilate militari, di regnanti e dicapi di stato accompagnata da un inces-sante rullo di tamburi, sino all’immaginedel Presidente Woodrow Wilson che nel1917 decide per intuibili ragioni di geopo-litica l’entrata in guerra degli Usa. Unascritta a caratteri cubitali su un quotidia-no invita all’arruolamento volontario, poii soldati americani vengono imbarcati sul-le navi destinate a trasportarli in Europa.Un lungo sibilo si conclude con lo scoppiodi una bomba su un cratere in cui si è rifu-giato Johnny con alcuni compagni manda-ti nella “terra di nessuno” a rimuovere ilcadavere di un nemico.

La prima scena al presente mostra i vol-ti di tre chirurghi militari che incombono sulcorpo di Johnny. Uno di essi osserva fred-damente che il ferito si è protetto dall’esplo-sione assumendo una posizione fetale “persalvare i genitali”. Il colonnello Tillery, pre-posto al caso, giudica che Johnny rimarrà vi-

35

cronache riferiscono anche di un altro casodi un ufficiale occultato in un ospedale ca-nadese. Trumbo si basa su questi casi perscrivere un romanzo che viene pubblicatoproprio pochi giorni prima dello scoppiodella Seconda Guerra Mondiale. Interessan-te il fatto che la storia venga narrata in mo-do cronologico sino alla tragedia finale, men-tre il film è costruito sull’alternanza fra iltempo presente e la rievocazione mentaledel passato del protagonista. Il regista pen-sa di trarre dal suo romanzo un film e duran-

te il suo esilio in Messico sottopone il proget-to a Luis Buñuel e al suo produttore Alatri-ste. Il progetto si arena, anche per il ritornoin Europa del regista spagnolo, ma è facileipotizzare che il surrealismo di Buñuel ab-bia ispirato alcuni degli incubi e dei sogni delprotagonista. Il progetto si realizzerà solonel 1971, sarà in gran parte rifiutato dal cir-cuito commerciale malgrado un premio alFestival di Cannes e la presentazione fuoriconcorso al Festival di Venezia, ma diventanel tempo un ammirato film di culto peruomini liberi, cinefili, storici e studenti.

Malgrado la terribile crudeltà dell’og-getto centrale della rappresentazione, ilregista evita immagini scioccanti del cor-po del soldato ferito, occultato pietosa-mente da una sorta di tenda e da una ma-schera posta sul volto, anche quando me-

vo ma non avrà memoria, sogni, pensieri,come i morti, ordinandone il trasporto inuna stanza appartata nelle retrovie ove ver-rà alimentato forzatamente e studiato co-me eccezionale caso clinico, escludendoquindi la via pietosa dell’eutanasia. Il primoricordo di Johnny, a colori, dimostra inve-ce che il giovane ha memoria e può riflet-tere: egli rievoca la prima e unica notted’amore con la fidanzata Kareen, vissutacon il bonario permesso del padre di lei, de-scritta con pudore e leggerezza.

Le immagini mentali di Johnny si di-stinguono fra ricordi e sogni. Fra i ricordiprevalgono, oltre a quelli della fidanzatache lo rimprovera di averla abbandonatacon un bimbo in grembo, quelli del padrecon cui ha un rapporto ambivalente diamore-odio. Il padre si lamenta di averavuto una vita grama di piccolo agricolto-re e di non aver accumulato alcuna ric-chezza, ma rivela un forte senso della pro-prietà personale, cedendo a malincuore lapropria canna da pesca, che Johnny poiperderà nel fiume. Addirittura, senza al-cuna consapevolezza storica e morale, rie-voca con soddisfazione un episodio di ec-cidio di indiani, i cui corpi sarebbero statiancorati con pietre al fondo del fiume in cuipesca abitualmente e la cui carne avrebbeattirato i pesci. In uno degli ultimi incubidominati dal timore della morte Johnnyimmagina di vedere le carcasse degli india-ni sul fondo del fiume.

Le immagini memoriali o oniriche diJohnny si manifestano in due fasi, una pri-ma quale anticipazione misteriosa e am-bigua, una seconda dialettica, ma chiarifi-catrice. Il padre è un patriottardo conser-vatore con una criticabile concezione del-la democrazia che definisce così: “La de-mocrazia riguarda i giovani che si uccido-no fra di loro, mentre i vecchi tengono ac-ceso il focolare… Per la democrazia ogniuomo deve dare anche l’unico figlio cheha”. A proposito di democrazia, significa-

DALTON TRUMBO · E JOHNNY PRESE IL FUCILE

35speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 38: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

tiva è la sequenza della festa di Natale nel-la panetteria ove Joe lavora, il datore di la-voro ripete più volte di essere il “padrone”offrendo ai suoi dipendenti champagne,mentre il capo contabile fa propaganda“patriottica” e perora la causa dell’arruola-mento volontario.

Ma è proprio il padre che suggerisce aJohnny, in un ultimo sogno in cui apparecome fantasma in una buia foresta, lo stru-mento dell’alfabeto Morse per comunica-re con il mondo esterno.

Dopo un sogno erotico Johnny haun’inattesa reazione erettile, e la giovane in-fermiera che si è presa cura di lui lo mastur-ba con pudore, pena e pietà. L’episodionon va considerato nella sua pura dimen-sione sessuale, ma quale sintomo di unprofondo bisogno di relazioni con il mon-do esterno e gli altri esseri umani. L’infer-miera è infatti la stessa che intuisce daimovimenti del capo di Johnny il suo sfor-zo di utilizzare il Morse per comunicare eche coinvolge gli ufficiali medici nel dispe-rato tentativo di Johnny di farsi aiutare.

Sogno e ricordo si mescolano in modomisterioso e inestricabile nella mente diJohnny. Ad esempio rammenta una se-rata trascorsa al Luna Park con la famigliain cui è il padre che lo presenta in una te-ca come fenomeno da baraccone, unicoessere vivente senza braccia, né gambe,

né volto. Johnny osserva la scena dal-l’esterno… La stessa situazione viene evo-cata (e spiegata) alla fine del film quandoJohnny implora di essere ucciso o in alter-nativa di essere esposto al pubblico comemonito contro gli orrori della guerra. Egliimmagina di essere trasportato attraver-so il deserto in un catafalco precedutodalla bandiera americana e da una sgan-gherata processione di ispirazione felli-niana. La voce dolente fuori campo diJohnny esprime la sua ultima volontà:“Portatemi fuori nei baracconi, non comescherzo di natura, ma come opera dellastupidità degli uomini… Sono l’unicopezzo di carne che può parlare con l’ul-tima parte posteriore del cranio e comel’ultimo uomo entrato nell’esercito per-ché l’esercito fa diventare uomini… Suragazzi, tutti attorno alla vostra bandiera!Portatemi fuori così la gente potrà vede-re come sono”. Ma gli ufficiali cui viene ri-volta la supplica la rifiutano e condan-nano Johnny a una lunga e disumana ago-nia al buio, nella solitudine e nel silenziodi un luogo segreto, privato anche delconforto dell’infermiera pietosa.

Ma l’aspetto più inquietante e proble-matico del film è rappresentato dal rap-porto di Johnny con la fede e con la religio-ne. Forse su ispirazione buñueliana, me-more dell’ingannevole Cristo ghignanteche compare al prete di Nazarin (1958),Trumbo fa apparire tre volte negli incubi diJohnny la figura di Gesù. Ma la rappresen-tazione che egli ne dà è stereotipata e con-venzionale. Il Cristo ha barba e fluenti ca-pelli biondi, vestito di una lunga tunica.Appare una prima volta come compagnodi viaggio sul treno che porta i soldati alfronte e gioca con loro a carte, facendotrucchi. In una folgorante inquadraturache chiude la sequenza il Cristo si rivela co-me il capotreno (avvolto in una lunga sciar-pa rossa, urla contro il vento e la tempestasporgendosi dalla locomotiva) che guida ilconvoglio verso la morte.

La polemica irreligiosa si complica inuna seconda sequenza in cui Johnny rin-contra un Cristo nelle vesti di falegnameintento a fabbricare croci, in attesa di esse-re arrestato e crocifisso. Gesù si lamentache “nessuno gli crede” e di essere solo “unsogno che non diventa realtà”. Alla fine delfilm, condannato alla solitudine e alla dispe-razione, Johnny afferma l’assenza di Dio.

A mio avviso tuttavia Trumbo non attac-ca i fondamenti della fede, se la prendecon quella Chiesa ufficiale, vicina al pote-re economico e politico, che benediceva igagliardetti dei soldati in marcia verso ilmassacro. Trumbo ipotizza nella figura delcappellano militare un’altra Chiesa, più vi-cina all’uomo e ai suoi bisogni. Nella penul-tima sequenza del film, prima dell’ango-scioso carrello all’indietro che condanna albuio e al vuoto il protagonista, il cappella-no si contrappone alla funzione falsamen-te consolatoria della religione, che i suoi su-periori vorrebbero espletata da lui. Al ge-nerale che gli chiede di invitare Johnny adaver fede in Dio, rifiuta di comunicare conil poveretto e promette che pregherà per luiper il resto della sua vita. “Non rischio dimettere a repentaglio la sua fede con lesue stupidaggini”. E si dissocia dalla visio-ne militarista del generale affermando“Questo è il risultato della sua professione,non della mia”.<

SPECIALE SCHEDE

36 speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 39: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

37

sford (n. 1940), Peter Weir (n. 1944), GillArmstrong (n. 1950).

Il New Australian Cinema era nato. La‘spinta propulsiva’ del periodo d’oro vennemeno intorno a metà anni 80, ma intanto siera potuta strutturare una ‘industria’ cine-matografica e plasmare una sensibilità cul-turale che ancora oggi fanno da base alla sal-da, multiforme cinematografia degli antipo-di così come la conosciamo. La quale, lun-gi dall’impoverirsi, ha poi tratto giovamen-to dalla “naturale” (soprattutto per ragionilinguistiche) diaspora di autori e attori ne-gli Usa o in Gran Bretagna: sia perché le‘contaminazioni’ di intelligenze e di tecni-che hanno prodotto risultati spesso di altis-

Benché le sue origini, anno più annomeno, corrispondano a quelle del ci-

nema tout court, è solo a metà anni 70del Novecento che l’espressione “cinemaaustraliano” prende - per l’Italia, ma an-che per il resto del mondo - consistenzaconcreta. Accade con l’arrivo del fulgidoPicnic a Hanging Rock, secondo lungo-metraggio dell’ancora sconosciuto PeterWeir. Da noi viene presentato al Festivaldi Taormina, e ‘fulmina’ letteralmente ilsensibile e colto Carlo Laurenzi, il qualegiunge a citare Giovanni Pascoli e la suaDigitale purpurea nell’intento di trasmet-tere al lettore-spettatore il turbamento el’estatico entusiasmo che le insolite at-mosfere del film possono procurare.

Allora, praticamente nulla si sapeva delcinema australiano.

Tant’è che nel 1969-70 prese piede nel-l’intero Paese un esemplare, approfonditodibattito fra tutti i soggetti interessati cir-ca la creazione di una cinematografia na-zionale di alto livello culturale rivolta sia alpubblico interno che a quello straniero. Sigiunse alla fondazione dell’Australian FilmDevelopment Corporation (1970) e dell’Au-stralian Film, Television and Radio School(1973); al formarsi di una generazione di at-trici e attori di raffinato mestiere; alla par-tecipazione ai grandi festival europei invirtù dell’affermarsi di registi quali TimBurstall (1927-2004), Ken Hannam (1929-2004), Fred Schepisi (n. 1939), Bruce Bere-

simo livello (proprio il nostro Peter Weir neè l’esempio più significativo), sia perché itrasferimenti non sono mai stati definitivi.

L’accenno all’ampiezza della riflessio-ne fondativa che portò alla nascita delN.A.C., deriva dal fatto che essa è la “pa-tente di nobiltà” de Gli anni spezzati, pro-dotto culturale simbolo non solo del cine-ma, ma della ormai sedimentata culturaaustraliana. Stimolati anche dall’assegna-zione del Premio Nobel per la Letteratu-ra 1973 a Patrick White, intellettuali e rap-presentanti degli organismi governativisi resero conto che una cultura può nasce-re, svilupparsi, essere riconosciuta a li-vello internazionale, soltanto se compiu-tamente consapevole della propria iden-tità nazionale.

Dal 1 gennaio 1901 l’Australia non erapiù un pezzo d’Inghilterra, bensì uno Sta-to Federale Indipendente nell’ambito delCommonwealth britannico. Ma quanti an-ni ancora dovevano passare perché questacomunità, questo popolo diventasse Na-zione? Oggi la risposta è facile: quindicianni, cioè l’intervallo di tempo che li sepa-rava dagli avvenimenti di Gallipoli, vale adire gli avvenimenti celebrati proprio ne Glianni spezzati, il quale diviene così il sigil-lo rosso apposto sull’atto di nascita dellaNazione Australiana.

La premessa trova giustificazione nellagrande importanza di un film come Glianni spezzati: il quale cominciò a venire

S P E C I A L E SCHEDE

PETER WEIR

Glianni ssppeezzzzaatt ii

di GIULIO FEDELI

Titolo originale: GallipoliSoggetto e Regia: Peter WeirSceneggiatura: David WilliamsonFotografia (Eastmancolor, Panavision):Russell BoydMontaggio: William AndersonScenografia: Herbert PinterMusica: Brian May; Jean-Michel Jarre,Judge & Williams, Skipper Francis; branidi Albinoni, Bizet, Strauss, PaganiniInterpreti: Mark Lee (Archy Hamilton),Mel Gibson (Frank Dunne), Bill Hunter(magg. Barton), Bill Kerr (Jack), RonGraham (Wallace Hamilton), HaroldHopkins (Les McCann), CharlesYunupingu (Zac), ...Origine: Australia 1981Distribuzione DVD: Paramount Durata: 107’Dai 12 anni

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 40: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

SPECIALE SCHEDE

38 speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

stralian and NewZealand ArmyCorps (l’Australiacontava allora cir-ca 5 milioni di abi-tanti). Si compor-tarono onorevol-mente, ma furonoalla lettera sciocca-

ti dal sen-so di su-

pe-

rioritàinglese;dagliinutili ecruentiattacchifrontalicontro le imprendibili posizioni trincera-te nemiche; dalle spaventevoli condizionidella vita di trincea; dalle malattie. Secon-do il sito ufficiale dell’Australian Army,26.111 soldati aussie (senza dunque con-tare i neozelandesi) non tornarono, o tor-narono in condizioni pietose e morirono inpatria. Tutti, inoltre, furono segnati persempre dalla terribile esperienza dellaguerra.

‘Terribilità’ che è anche la cornice entrola quale Weir chiude il suo pamphlet anti-militarista, inserendovi al contempo unatela di motivi personali molto ricca.

Gli anni spezzati

Australia, Territorio dell’Ovest, maggio1915. Il giovane Archy Hamilton lavora du-ramente come mandriano nella fattoriapaterna, ai confini dell’outback. Dotato perla corsa, si allena con passione sotto la gui-da dello zio Jack, un uomo che gli instilla ilculto per Harry Lasalles, il campione au-straliano delle 100 iarde piane. Viso pulitoda bravo ragazzo pervaso da nobili aspira-zioni, ha il pensiero generosamente rivol-to verso i giovani del suo Paese che stannocombattendo nella lontana Turchia.

Frank Dunne invece - più desideroso diavventure che gli portino anche guadagno- sta lavorando per le ferrovie in compagniadei tre amici Billy, Barney e Snowy. Questiultimi desiderano parimenti arruolarsi, co-sì che all’improvviso fuggono dal campo,balzando su un treno in corsa. Pur perse-guendo altri obiettivi, lo scettico Frank li se-gue, e capita proprio alla kermesse doveanche Archy è presente: la corsa lo vede

favorito. Frank, buon corridore, decide digareggiare per rimediare qualcosa. Archyvince, ed è così che i due fanno conoscen-za. Archy si presenta al reclutamento, maavendo 18 anni viene respinto. È giustoFrank a suggerirgli una via d’uscita: arruo-larsi a Perth, dove non è conosciuto; la suaabilità di cavallerizzo farà il resto. Dettofatto: i due saltano su un altro treno, che asorpresa… si arresta in pieno deserto!

Archy, trascinandosi dietro il riluttan-te Frank, sceglie di affrontare a

piedi gli 80 kilometri di nulla cherimangono da percorrere. For-

tunatamentetrovano uncarovaniere

con dromedario che li rimette un po’ in se-sto e li indirizza a una fattoria (relativa-mente) poco lontana. La sosta presso lafattoria è importante poiché segna il ce-mentarsi della loro amicizia, tanto cheFrank decide pure di arruolarsi. Raggiun-gono finalmente Perth e la casa di Frank. Alreclutamento la risposta è positiva per ilcavalleggero Lasalles - il nome falso esibi-to da Archy - deludente per Frank, che nonè nemmeno riuscito a far partire il cavallo.

In un clima di fervore patriottico, la na-ve che reca a bordo Archy, salpa per il Me-diterraneo. Nel frattempo, Frank ha ritro-vato i vecchi amici della ferrovia, anch’es-si decisi ad andare in guerra. Tutti e quat-tro finiscono in fanteria.

Al fronte

Luglio 1915. Gli Anzac sono stati sbar-cati in Egitto, dove vicino al Cairo e alle Pi-ramidi, si trova il loro campo di addestra-mento. Qui Archy, ancora una volta, incro-cia Frank, in compagnia di Billy, Barney e

proiettato sistematicamente nelle scuole,proprio come agli scolari della generazio-ne di Peter Weir si parlava sistematicamen-te di Gallipoli.

Che cosa c’è dietro questa parola?

Gallipoli, città strategica

Gallipoli è una città turca (Gelibolu) ubi-cata sulla riva occidentale dello stretto deiDardanelli. Nel marzo 1915, durante la pri-ma guerra mondiale, una squadra navaleanglo-francese ebbe l’incarico di forzare

lo stretto - presidiato massicciamente datruppe della Turchia, alleata degli ImperiCentrali - al fine di raggiungere Istanbul ecostringere l’Impero Ottomano a ritirarsidalla guerra. Decine e decine di migliaia diuomini furono fatti sbarcare, dal lato delMar Egeo, nell’angusta penisola. Mai ope-razione militare radunò più errori strategi-ci, tattici e logistici: i turchi, comandati dalgenerale tedesco Otto Liman von Sanderse da Mustafa Kemal (il futuro Atatürk), op-posero una strenua resistenza, e gli anglo-francesi in pratica vennero ‘inchiodati’ sul-la spiaggia e nelle trincee. Ogni tentativo diattacco si risolveva, ovviamente, in un mas-sacro. Dopo nove mesi e 250.000 uomini inmeno tra morti e feriti, i capi (ricordiamo-ne due: Horatio Kitchener e Winston Chur-chill…) decisero l’evacuazione. Avevanoperso, e perso malissimo.

Accanto agli inglesi combatterono i78.000 australiani e neozelandesi dell’Au-

Page 41: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

PETER WEIR · GLI ANNI SPEZZATI

39speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Snowy. Atmo-sfera “da caser-ma”, con sipa-rietti gustosi relativi alle libere usci-te in una città asservita alla loropresenza. Tutto ciò ha bruscamen-te termine quando arriva l’ordine- insieme desiderato e temuto - dipartire per i Dardanelli.

Il film, si direbbe, cambia volto: lenote struggenti dell’Adagio in Sol minoredi Albinoni sottolineano la gravità del mo-mento dello sbarco notturno a Gallipoli,accompagnato dalle luci dell’acquartiera-mento Anzac e dai bagliori degli scoppi,spari, esplosioni della “guerra vera”. Il vol-to spaurito di Frank ci fa subito capire checosa aspetta ora i soldati e noi spettatori:l’inferno di un combattimento dove le trin-cee si trovano a poche decine di metri l’unadall’altra; la necessità di lanciarsi pratica-mente inermi contro postazioni difese suicostoni da ‘nidi’ di mitragliatrici che ‘falcia-no’ gli Anzac all’istante; i corpi straziati deiferiti. Il farsi largo, soprattutto, della con-vinzione che quella situazione non potràavere che un solo, tragico sbocco.

Nel corso di un primo attacco, Barneymuore e Snowy ferito senza speranze.Quando tocca al reparto di Archy e Frank,comandato dal maggiore Barton, questi,appena poco prima di dare l’ordine fataleviene a sapere che l’operazione sarà solo undiversivo per consentire agli inglesi di sbar-care in un altro punto del fronte.

La sequenza in montaggio alternato trala trincea di Barton e il comando del suo di-retto superiore, un odioso e inetto colonnel-

lo Robinson, è di esemplare con-citazione. Tuttavia, orologi non

sincronizzati e i volti deisoldati in attesa, tol-

gono

Vede il lettore che nessuno può chia-marsi fuori: francesi, inglesi, italiani… . Lostorico francese Pierre Miquel (1930-2007),specialista della prima guerra mondiale, èautore di un libro la cui conoscenza do-vrebbe essere resa obbligatoria per tutti gliinsegnanti europei: Le gâchis des généraux:les erreurs de commandement pendant laguerre de 14-18. Attenzione a quella paro-la - gâchis - che, più tagliente di una lamaaffilata, riassume quasi essa sola la dram-maticità del discorso. Gâchis vuol dire sciu-pìo, sperpero, spreco! Si può chiedere mol-to a un soldato; è l’unica persona cui sipuò chiedere di morire. Non gli si può chie-dere però di “morire per niente”. E invecein quante occasioni è stato così?

Ma a questo di per sé rilevante argo-mento, Gli anni spezzati porta indubbia-mente un “valore aggiunto”, conseguentealla sua nazionalità. Già l’anno preceden-te, nel 1980, Breaker Morant, di Bruce Be-resford, non la mandava a dire agli ingle-si. I quali, nel corso della (sporchissima)guerra anglo-boera, fucilarono tre subal-terni aussie dei Bushveld Carabineers sa-crificandoli alla ragion di stato. Anche Weirsi toglie qui un paio di spine dalle scarpe.Durante la traversata del deserto, lo scet-tico Frank ribatte ad Archy: “Perché dovreiarruolarmi? Non è una guerra nostra. Èuna guerra inglese”. Ancora. Il colonnelloRobinson, con le sue intimazioni insensa-te, vuole compiacere - non importa a qua-le prezzo - il comando britannico.

Si tratta di un portato del N.A.C. di con-siderevole entità: siamo stati parte del-l’Impero, siamo alleati, ma siamo due Pae-si distinti!

Attenzione. Queste ‘polemiche’ non sot-tintendono nessun tipo di nazionalismo.Tutt’altro. Perché accanto a esse, c’è l’inte-ro blocco d’ambientazione egiziana, laddo-ve Weir - assimilando il clima da suburradel Cairo a quello di Saigon - esprime pie-na contrarietà all’intervento in armi del-l’esercito australiano nella guerra del Viet-

ogni illusione: Robinson, no-nostante le prime due on-date si siano risolte in unastrage senza sopravvissuti,non sente ragioni. Frank, il

maratoneta

Frank, su incarico dell’infuriato Barton, fala spola da ultimo con il posto del genera-le Gardner per informarlo di quanto avvie-ne. Il generale fortunatamente ferma l’in-sensata azione bellica, e Frank corre, corre,corre disperatamente verso la trincea diBarton e Archy. Manca tuttavia per pocol’appuntamento, perché il maggiore - conun fischietto simile a quello usato per lecorse - ha appena dato l’ordine di attacco.

Archy corre, corre, corre disperatamen-te verso la trincea nemica, e il film si chiu-de sul frame-stop dell’attimo in cui unapallottola ferma la sua corsa.

Morire per niente

In ossequio al centesimo anniversariodella battaglia di Gallipoli, cominciamoproprio dal finale de Gli anni spezzati,quello che - con tutta evidenza - lo poneaccanto ai classici dell’antimilitarismo am-bientati durante la Grande Guerra. Sonotutti titoli - come dire? - ‘disturbanti’, nelsenso che è difficile sostenere la visione diopere il cui nucleo tematico è dato da sol-dati di eserciti europei che, costituiti inplotoni di esecuzione, sparano contro iloro commilitoni i quali, in qualche modo,si sono rifiutati di andare a un macello vo-luto da ufficiali superiori incapaci e ambi-ziosi. Confessiamolo pure: sappiamo chequeste vergogne corrispondono a realtà, ela vergogna è un sentimento duro, ango-scioso da affrontare e sostenere. Quandoil colonnello australiano Robinson de Glianni spezzati - sordo a ogni ragione, indif-ferente al buon senso - impone la prose-cuzione dell’attacco, vergogna e rabbia ciscuotono nel profondo, come davanti aOrizzonti di gloria, Per il re e per la patria,Uomini contro.

Page 42: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

ro cultura - lascia maggior spazio al verooggettivo, non elimina affatto l’elementoprivilegiato di paesaggio e natura che rila-sciano intera la loro carica di enigmatici-tà irrazionale ed emozionale. Soprattuttonella prima parte, il bush, l’outback, il de-serto, la vegetazione della “terra australis”,ripresi in campi lunghissimi e insistiti, ri-

spettosissime carrellate, ci dicono

che lì l’uomo non è il padrone. Che il vin-citore del conflitto natura-cultura, non è lostesso della ‘civiltà’ europeo-occidentale.Il nostro occhio, non è abituato al senza li-mite, allo sconfinato: all’inizio, dopo quan-ti secondi di zoom riusciamo a scorgere Ar-chy durante la sfida che ha lanciato all’an-tipatico Les (tornare alla fattoria di corsa,lui a piedi, Les a cavallo)?

E il cielo stellato egiziano?Anche le ‘emergenze’ verticali tipiche

del cinema di Peter Weir (la Hanging Rockdi Picnic, la macchina per produrre il ghiac-cio di Mosquito Coast, il palazzo presiden-ziale di Un anno vissuto pericolosamente,il silos e la casa in costruzione di Wit-ness…), sono qui ‘nobilmente’ rappresen-tate dalle Piramidi e dalla Sfinge. “Sono ilprimo tentativo dell’uomo di sconfiggerela morte”, afferma uno degli amici. È unainterpretazione. Ma in un cinema dove iltempo non si cura minimamente degli oro-logi (ricordate anche in Picnic?...), almenocon i più giovani è più facile cercar di ca-pire perché una disfatta militare venne tra-sformata da un popolo in vittoria morale,e riflettere su quanto sia pericoloso affi-dare la propria limpidezza a istituzioni epersone che non si fanno scrupolo di di-storcerne il senso.<

SPECIALE SCHEDE

40

mo le modulazioni avventurose, le di-mensioni spettacolari, le descrizioni epi-cizzanti tipiche del film bellico. Al contra-rio, esso si configura come un termine ul-timo, un traguardo definitivo, obbligatoe fatale. Gli anni spezzati è parente stret-to di Taps, squilli di rivolta: un itinerario

di crescita, un lungo “rito dipassaggio” dal-

l’adolescenza traboccante di ideali, allamaturità spietata della guerra di trincea.Qualche segno. La lettura del Libro dellagiungla che zio Jack dispensa ai fratelli e al-le sorelle minori di Archy (e il passo è quel-lo di Mowgli che scopre il pianto, con Ba-gheera che gli spiega la sua natura di “cuc-

ciolo d’uomo” e non di lupo). Le frequen-ti, giocose sfide a chi arriva primo nellacorsa, quando i volti innocenti sono an-cora improntati al sorriso. Il continuo per-dersi e ritrovarsi, il persistente spostamen-to come sorte non solo dei quattro amici,ma anche degli stessi Archy e Frank primadell’appuntamento ‘necessitato’ di Galli-poli. Poi la mobilità narrativa del film dimi-nuisce gradatamente, fino a ‘fermarsi’ - di-remmo - sull’attonita immobilità vaga-mente simbolica e onirica di Gallipoli: dal-l’innocenza alla morte.

La dimensione di “magia”, stupefazio-ne, il senso di paura e minaccia di fronteall’indecifrabile, all’oscuro, all’inesplica-bile, che il razionale uomo occidentaleprova di fronte alla realtà del continentenuovissimo (v. L’ultima onda...), è larga-mente conservata. Se il tipo di film - checostringe Weir ad accantonare anche il te-ma del rapporto con gli aborigeni e la lo-

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

nam. Sì, l’Australia fu l’unico Pae-se, durante dieci anni

(1962-1972), ad affiancare gli USA sul ter-reno in quel teatro di guerra. Weir e i col-leghi del N.A.C., erano tutti contrari a quel-la politica.

Dall’innocenza alla morte

Gli anni spezzati sembra segnare unarottura rispetto alle opere precedenti diWeir. In effetti il tono è più “realistico”, me-no fantastico e ‘onirico’. Lo stile si contrad-distingue, tolte le sequenze finali, per mon-taggio invisibile; uso ‘hollywoodiano’ delcasting (protagonisti, deuteragonisti - 3:zio Jack, Barton, Robinson - e caratteristi);musica più convenzionale rispetto a Picnica Hanging Rock ma efficacissima nell’adat-tarsi al carattere delle scene (e non si diaascolto a chi ha parlato di troppa ‘facilità’nella scelta di Albinoni: è un accompagna-mento esemplare); fotografia del fido Rus-sell Boyd a innervare la linea di forza sullaquale costruire scene o sequenze, parti-colarmente i caldi interni brunati e i sug-gestivi notturni.

Il fatto è che Gli anni spezzati, conser-vando quel che c’è da conservare, e inno-vando quel che c’è da innovare, si mostraper ciò che è: non uno war film di generema un film d’autore. La struttura narrati-va è suddivisa chiaramente in tre blocchispazio-temporali: Australia / Egitto /Galli-poli, e solo in quest’ultimo è ‘mostrata’ laguerra. Nondimeno, invano vi cercherem-

Page 43: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

41speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

l’Ave Maria e che davvero hanno anchegiocato una partita di calcio, non per sfida,ma per il puro e semplice bisogno di recu-perare un po’ di allegria. Tutto questo è te-stimoniato da verbali, documenti e foto-grafie dell’epoca; è perfino confermato unepisodio in cui un gatto viene arrestato egiustiziato da un gruppo di belligeranticon l’accusa di spionaggio!

La pellicola di Carion è stata candida-ta agli Oscar 2006 come Miglior Film stra-niero e presentata, riduttivamente, fuoriconcorso alla 58ma edizione del Festival diCannes. Descrive microstorie della quoti-dianità in trincea con intelligenza e parte-cipazione, ma senza retorica: i nomi datidai commilitoni alle vie dei cunicoli persentirsi a casa; una sveglia caricata tutti igiorni per non dimenticare le vecchie abi-tudini; il suono della fisarmonica. Piccoligesti per ritualizzare le giornate e per ri-confermare l’esistenza; per farsi coraggioe per continuare a credere che ci sia unperché, anche dopo aver sepolto un com-pagno che, nella condivisione del caos edell’orrore di un conflitto, diventa un ami-co o un fratello, una parte di te. Dietro aogni sguardo c’è una vita, c’è una storiache potrà continuare se non verrà stron-cata da una mano nemica. Ma esiste dav-vero un nemico?

La narrazione inizia con la visione del-lo spettatore che coincide, in soggettiva,con quella di un soldato: si vede il profilodella trincea e, da una parte e dall’altra, siavverte lo sguardo attento e pronto deicecchini. Ma, in seguito, il punto di vista delregista e del pubblico cambia per dimostra-re - come in Orizzonti di gloria o in un al-tro bel racconto cinematografico che par-la della guerra (El Alamein) - che in fondoil nemico vero e in carne e ossa non c’è. Sitratta di un’ossessione, di un’eterna paurao forse di un bisogno insito nella natura

Può sembrare incredibile, ma la vicen-da raccontata in Joyeux Noël - Una ve-

rità dimenticata dalla Storia è accadutarealmente. Il regista Christian Carion - cheaveva già dato prova di saper tratteggiareracconti cinematografici con riflessioni in-timistiche in Una rondine non fa primave-ra - nasce in Francia, proprio in uno dei di-partimenti occupati dai tedeschi e giocacon i bossoli delle armi trovati nei campi.Quei bossoli destano la sua curiosità tan-to che, da grande, approfondisce lo studiosulla Prima Guerra Mondiale per scoprireche la “piccola pace” è avvenuta davvero,che i soldati hanno davvero cantato insie-me e pianto sulla struggente musica del-

umana: il bisogno di rivalsa per conferma-re le proprie capacità, il bisogno di eserci-tare la forza su chi è considerato più debo-le per affermare la propria superiorità.

Ma - in quel lontano 1914 - è bastato uncanto, è bastata l’armonia, universalmen-te riconosciuta, di una Ave Maria per li-vellare gli odi incosapevoli e i soprusi sen-za senso e per far emergere la sofferenza,la nostalgia e la fragilità che appartengonoa tutte le persone. Non è un caso che, inquesto mondo tutto al maschile, vi sia so-lo un personaggio femminile: una donnache sa cantare, una moglie che sa amare,forse una futura madre che saprà insegna-re ai propri figli il valore della pace e dellasolidarietà. Forse gli sceneggiatori si sonorifatti proprio al messaggio di Cristo che siè fatto uomo e alla Madonna che accetta dicondividere con lui, e con tutti, un destinodi dolore e di resurrezione, un insegna-mento di amore e di responsabilità.

Un film antimilitarista che alcuni han-no definito un “po’ antico”; ben venga ta-le definizione se “antico” significa giratocon cura e in maniera classica. Carion pre-senta e descrive i personaggi delineando-ne i caratteri e le pieghe dell’anima, cu-cendo - con un montaggio fluido ed ele-gante - le piccole vicende particolari e cre-ando così un mosaico universale, valido

S P E C I A L E

Titolo originale: Joyeux NoëlRegia, soggetto e sceneggiatura: C. CarionFotografia: Walther van den EndeMontaggio: Andrea SedláckováEffetti speciali: J.C. Burgeois, A.V. WinkelMusiche: Philippe RombiScenografia: Jean-Michel SimonetInterpreti: Lucas Belvaux, Dany Boon,Daniel Brühl, Guillaume Canet, AlexFerns, Suzanne Flon, Benno Fürmann,Diane Kruger, Bernard Le Coq, GaryLewis, Michel Serrault, Suzanne FlonOrigine: Francia/Germania/Gran Bretagna2005Distribuzione dvd: Sony Pictures ClassicsDurata: 116’Dai 12 anni

S C H E D E

CHRISTIAN CARION

Joyeux NNooëëllUna verità dimenticata dalla Storiadi ALESSANDRA MONTESANTO

Page 44: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

SPECIALE SCHEDE

42

Una piccola pace, allora, è unevento eccezionale all’internodi un conflitto che do-vrebbe essere altrettantostraordinario. E forse so-lo una preghiera - reci-tata o cantata in qual-siasi lingua (anche seil doppiaggio italia-no appiattisce le di-versità!) e di qualun-que confessionereligiosa - può ridareun senso a uno sguar-do d’intesa e a un ab-braccio sentito. <

anche nel nostro presente, tanto caratteriz-zato da altre battaglie, lotte e atrocità. Ac-compagna lo spettatore fin dentro le trin-cee per inserirlo nei meccanismi comples-si e assurdi della guerra, di qualsiasi guer-ra; entra con sensibilità nelle storie dei suoisoldati e giudica con severità la grande Sto-ria che macina giovani vite e alimenta illu-sioni di potere. Il pensiero dell’autore èespresso chiaramente nella sequenza incui, mentre il tenore avanza tenendo inmano uno dei piccoli abeti di Natale dona-ti dal Kaiser, la cinepresa mostra, dall’alto,

il campo di battaglia: unaterra di nessuno,

punteggiata daicolpi delle grana-te e dai corpi

esangui.

Abbiamo citato in precedenza il capo-lavoro di Stanley Kubrick: chi, infatti, puòdimenticare il canto finale mescolato allelacrime in Orizzonti di gloria? In JoyeuxNoël la musica è essa stessa protagonista:anche qui consola gli animi feriti e la psi-che debilitata dei soldati; riempie i vuoti af-fettivi e gli smarrimenti emotivi; narra lepassioni e i dolori; ricorda agli uomini leproprie derive morali.

Una riflessione, quella proposta dal filmdi Carion che, come accennato in prece-denza, può essere utile anche e soprattut-to alla luce di ciò che sta accadendo oggi,tra mondo occidentale e mondo medio-rientale, tra confessioni cristiane e confes-sioni islamiche, tra autoctoni e stranieri: lasete di potere, di rivalsa culturale, religio-sa o politica, acceca e fa dimenticare che gliuomini sono tutti uguali perché ognuno hacuore e testa, affetti e pensieri, istinti e ra-gione, ma in particolare, tutti prima o poi,siamo destinati alla stessa fine. Questa fi-nitezza della nostra condizione dovrebbefar riflettere sulla bellezza della vita e sul ri-spetto per ogni singola esistenza.

Ecco perché consigliamo questo filmagli adulti e ai giovani che sono la speran-za per il futuro: la gioventù di molti è tu-telata dalle certezze economiche e dalla si-curezza familiare e sociale, ma per altrinon è così. Chi vive, ogni giorno, in unostato di guerra sa cosa vuol dire vivere nel-la paura, nella miseria, nell’orrore.

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

1914. La Grande Guerraè iniziata da qualche

mese: francesi e tedeschi sicombattono con assalti, colpi di

baionetta e bombardamenti. Si lotta adArtois dove le trincee sono scavatetalmente in fretta che si trovano unaaccanto all’altra e i soldati di entrambe lefazioni potrebbero quasi arrivare aparlarsi. In quei corridoi e cunicoli tutticercano di sopravvivere, di salvarsi la pelle e di tenere alto lo spirito. I FRANCESI sono supportati da una squadra di scozzesi, con a capo un parroco - ilreverendo Palmer - che tenta di scaldare gli animi, nel gelido inverno che avvolgestanchezza e paure, con il suono delle cornamuse e dei canti popolari. Il tenenteAudebert si scontra con suo padre - uno dei generali convinti che il conflitto sirisolverà in breve tempo - e pensa con nostalgia alla famiglia lontana, alla moglieche porta in grembo il loro bambino. Francesi, tedeschi e scozzesi indossano divisediverse, ma combattono una guerra che non sentono loro e che, probabilmente,nemmeno capiscono. SI AVVICINA, intanto, la notte di Natale: il Principe ereditario Guglielmo II farecapitare - in quello squallore che sa di solitudine, di ferite e di morte - alcuni piccoliabeti perché dice: “ Natale è pur sempre Natale”. Ed è il preludio di un miracolo:Nikolaus - un tenore tedesco, accompagnato dalla moglie soprano, la danese AnnaSorensen - incomincia a intonare un canto: è come se ogni singola nota del celebrebrano Stille Nacht facesse accendere una piccola luce sugli alberelli natalizi, una luceche si fa simbolo di tregua e di speranza, anche solo per un attimo. Al canto deitedeschi, infatti risponde - prima in maniera sommessa poi sempre più decisa - lamelodia dell’Adeste Fideles da parte dei francesi e un applauso finale scioglie i cuoricommossi. Il parroco scozzese si prepara a celebrare la Messa che sarà seguita da tuttii soldati; questi si scambiano lettere, confidenze e strette di mano, superando i confinidelle rispettive trincee e l’odio imposto dall’alto. Si riconoscono tutti in un unicodestino, come esseri umani, coinvolti loro malgrado in una situazione - la Guerra -inconcepibile e crudele. E quella guerra - come purtroppo molte altre a seguire –riprenderà il suo corso al primo bagliore dell’alba e non si esaurirà in poco tempo econ poche vittime. Ma almeno per una notte la nascita di Gesù sospende la violenzae dà all’umanità, alla compassione e alla fratellanza la sua benedizione, benedizioneche si rinnova di anno in anno e di cui ancora oggi si sente tanto la necessità.

SINOSSI

Page 45: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

43speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

ria contribuiscono in maniera determi-nante all’esplicito omaggio che Spielbergoffre a quello che è stato il cinema dellasua infanzia. Ci sono reminiscenze de Ilcucciolo nei problemi che la presenza delpuledro crea alla vita del nucleo familia-re e che ha il suo culmine nella scena incui il padre di Albert decide di sparareall’animale. Così come il finale, con quelcielo rosso fuoco, non può non far pen-sare a Via col vento. Tra questi due poli (ivicompresa la ricostruzione di un microco-smo alla Cronin sostenuto dalle contrap-poste figure del contadino e del latifon-dista interpretate da Peter Mullan e Da-vid Thewlis) si sviluppa una vicenda chenon dimentica la lezione del Kubrick diOrizzonti di gloria o quella del Milestonedi All’Ovest niente di nuovo. Il tutto peròrivisitato da Spielberg che, grazie alle pe-ripezie del cavallo, può tornare ad affron-tare uno dei temi che più gli stanno acuore: quello dell’essere umano e del suo‘sentire’ in una condizione di conflittoarmato. Ci inserisce, come supponiamo

berg non si è mai dedicato con particola-re passione al mondo animale. Lo fa oraapprofittando di un romanzo per ragazzidi Michael Morpurgo pubblicato nel 1982da Kaye & Ward. Morpurgo è un ex inse-gnante inglese divenuto in seguito, insie-me alla moglie Claire, il promotore del-l’iniziativa “Farms for the City Children” fi-nalizzata ad avvicinare i bambini che vi-vono in città alla vita in campagna. DopoLe avventure di Tintin. Il segreto dell’uni-corno e, se possibile, con ancora maggio-re convinzione, Spielberg si rivolge almondo dei ragazzi realizzando un filmtotalmente (e in modo quasi spudorata-mente dichiarato) old fashion, non rinun-ciando però ai temi e ai ‘luoghi’ cinema-tografici che da sempre costituiscono iltessuto connettivo del suo fare cinema.

Ma procediamo con ordine. Chi co-nosce il cinema per ragazzi che ha al cen-tro un animale sa che lo schema è pres-soché ripetitivo. Se si tratta di un appar-tenente alla razza equina di solito è unpuledro tanto prestante quanto indoma-bile che, una volta affidato alle cure diun ragazzino o di una ragazzina (vedi, atitolo di esempio, Flicka-Uno spirito libe-ro del 2006) darà il via a un legame cheniente e nessuno potrà arrestare. WarHorse non sfugge a questa tipologia néper quanto riguarda la prima parte che sisvolge nelle campagne britanniche né inquella finale. La variante è costituita dal-le peregrinazioni del quadrupede con ilcontinuo cambio di ‘padrone’ che perònon mina l’imprinting di legame con ilgiovane Albert.

Lo stile di ripresa, le musiche di JohnWilliams e l’ambientazione nella fatto-

Regia: Steven SpielbergSoggetto: dal romanzo omonimo diMichael MorpurgoSceneggiatura: Lee Hall, Richard CurtisFotografia: Janusz KaminskiMontaggio: Michaler KahnMusica: John WilliamsInterpreti: Jeremy Irvine (AlbertNarracott), Peter Mullan (Ted Narracott),Emily Watson (Rose Narracott), NielsArestrup (Nonno), David Thewlis (Lyons),Tom Hiddleston (Capitano Nicholls),Benedict Cumberbatch (Maggiore JamieStewart), Celine Buckens (Emilie)Origine: Usa 2011Distribuzione: Walt DisneyDurata: 146’Dai 12 anni

Steven Spielberg torna adaffrontare il tema dellaguerra attraverso ilrapporto tra un giovane e ilsuo cavallo sullo sfondo diun romanzo per ragazzi.

Se si escludono il temibile (e simbolico)squalo, i dinosauri forzati a vivere in un

mondo che non era il loro e il coraggiosocane Snowy che appartiene a Tintin, Spiel-

S P E C I A L E S C H E D E

STEVEN SPIELBERG

War HHoorrsseedi GIANCARLO ZAPPOLI

Page 46: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

44

SPECIALE SCHEDE

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

cavallo, un essere vivente trascinato (co-me i due giovani soldati disertori) in unatragedia immane ma capace di conserva-re (così come gli uomini degni di questonome) la propria dignità.<

voglia il romanzo, la parentesi zucchero-sa di Emilie e del nonno (la ricomparsa diquest’ultimo contribuirà a incrementareil livello di commozione del finale) ma,complessivamente, riesce a rimanere fe-dele al proprio sguardo sulla guerra chequi affronta per la prima volta nella suainiziale manifestazione di conflitto mon-diale che segna il limine tra l’artigianali-tà e la tecnologia.

Joey attraversa trincee e terre di nessu-no ma è Spielberg che si serve di lui perraccontare una macchina di distruzioneche sta mutando il volto con cui la mortesi presenta agli uomini. Una volta entra-to a far parte dell’esercito Joey verrà adde-strato per far parte delle cariche della ca-valleria con tanto di spada sguainata.Quella che viene mostrata (e ripresa conla consueta maestria spielberghiana) èuna corsa verso il massacro e la falcidiadelle mitragliatrici che non può non farpensare alla disperata e ultima carica del-

la cavalleria polacca contro i car-ri armati del na-

zismo ag-gressore

di più didue

decenni dopo, all’inizio della secondaguerra mondiale.

È la fine di un’epoca quella che Spiel-berg ci racconta grazie alle peripezie diquesto ‘cavallo da guerra’. Porterà al pro-logo/massacro di Salvate il soldato Ryan(ulteriormente declinata nella miniserietv The Pacific). Ora si esplicita in quelleenormi bocche da fuoco (ricordate laGrande Berta ridicolizzata con amaraironia da Charlie Chaplin?) trainate daequini e nella comparsa (novello camiondi Duel o incombente T-Rex meccanico)del carro armato da cui Joey si salveràcon uno scatto ‘da film’. In questo infer-no in cui i corpi volano in aria per rica-dere nel fango delle trincee o vengono in-vasi dai gas resta però intatta, nell’imma-ginario spielberghiano, la dignità dei ve-ri uomini. Quelli che, anche se ormai de-gradati, conservano in un angolo del lo-ro cuore la memoria della dignità e delcoraggio così come di quelli che, nemi-

ci, si trovano ad aiutare insieme un caval-lo quasi cristologicamente avvolto daspine. Questa potrà apparire forse comela scena più retorica del film. Altre lo so-no (e ne appesantiscono in parte la nar-razione). Non questa anche perché è sta-to ancora il cinema a ricordarci (JoyeuxNoël-Una verità dimenticata dalla sto-ria di Christian Carion, 2005) come pro-prio agli inizi di quel conflitto, la notte diNatale del 1914, in alcuni punti del fron-te franco-tedesco si verificarono episodidi fraternizzazione tra i soldati delle op-poste trincee. Nulla di inventato dunquein proposito e con un merito particola-re: Spielberg questa volta vuole raccon-tare al pubblico più giovane, vuole farglipercepire, con misura, la crudeltà delleguerre viste da vicino. Lo fa grazie a un

1914. ALBERTNARRACOTT vive in Gran

Bretagna in una fattoria isolatainsieme alla madre Rose e al padre

Ted, forte bevitore. Un giorno Ted decidedi scontrarsi con Mr. Lyons che gli affitta laterra acquisendo all’asta del mercato dellebestie un puledro che l’altro volevaacquistare. La somma di trenta ghinee cheTed deve sborsare è del tutto superiore alvalore che il quadrupede potrebbe averecome cavallo da tiro (il lavoro a cui dovrebbe essere adibito con l’aratro nel campo).Lyons è pronto al ricatto: se il raccolto non sarà adeguato per pagare l’affitto siprenderà tutto. Albert però decide di addestrare il cavallo (a cui ha dato il nome diJoey) e riesce a raggiungere lo scopo. Il successo però è momentaneo perché scoppiala prima guerra mondiale e le difficili condizioni economiche della famiglia spingonoTed a vendere Joey all’esercito britannico. Il capitano Nicholls, che lo prende incarico, promette a uno sconsolato Albert di riportarglielo, se sopravviverà, a conflittoconcluso. Ora il cavallo viene addestrato per le cariche ma, nel corso di una diqueste, viene catturato dalle truppe austroungariche e affidato a due giovanissimisoldati che cercheranno di disertare ma, catturati, verranno immediatamente passatiper le armi. JOEY HA però trovato rifugio in una fattoria dove vivono la giovane Emilie e ilnonno che non vuole che lei monti a cavallo. Fino a quando deciderà di comprarleuna sella dopo aver tenuto nascosta la presenza del cavallo alle truppe tedesche.Che lo scopriranno comunque e lo metteranno, insieme a una cavalla requisita, atrainare pesantissimi cannoni. LA CAVALLA muore e Joey fugge dai militari finendo però incastrato nel filospinato delle trincee. Saranno un soldato inglese e uno tedesco insieme a liberarlo.Ferito, verrà portato in un ospedale da campo dove verrà sottratto alla morte daAlbert che, arruolatosi, è in cura per una temporanea cecità provocata dai gas. AL TERMINE del conflitto e grazie alla solidarietà di tutti i soldati, nonché delnonno di Emilie ricomparso, il cavallo e il suo giovane padrone faranno ritorno acasa insieme.

SINOSSI

Page 47: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

no impartiti ordini, comunicati con urgen-za i contrordini. Gli oggetti di scena sonoautentici cimeli storici: armi difensive eoffensive, gavette, pentole, mestoli, broc-che, portasapone, lanterne che oscillano alvento diaccio delle vette, pagliericci, bian-cheria stesa sulla corda ad asciugare sullestufette, coperte per difendersi dal freddopungente, foto di famigliari.

Il film registra, comunica le percezionifisiche. Percezioni visive, esaltate dalla

S P E C I A L E

Regia, Soggetto e Sceneggiatura:Ermanno OlmiFotografia: Fabio OlmiMontaggio: Paolo CottignolaScenografia: Giuseppe PirrottaCostumi: Andrea Cavalletto, MaurizioMichelotti (supervisore)Musica: Paolo FresuInterpreti: C. Santamaria, A. Sperduti, F. Formichetti, A. Di Maria, C. Grassi, N. Senni, D. Benetti, A. Benetti, C. Stefani, N. Tredese, F. Stefani, A. Frigo,I. Pistollato, F. NardelliOrigine: Italia 2014Distribuzione: 01 DistributionDurata: 80’Dai 14 anni

S C H E D E

ERMANNO OLMI

tornerannnnooii pprraattii

di MARIA GRAZIA ROCCATO

LA VICENDA si svolge tutta inun’unica notte di plenilunio,

dopo gli scontri del 1917, pocoprima di Caporetto. In un avamposto ad

alta quota sull’altipiano di Asiago, dovela truppa è decimata da un’influenzaproveniente dai Balcani, il Maggiorereca l’ordine di raggiungere unrudere, ignorato dalle carte italianema presente su quelle austriache,da occupare come osservatorio, sucui allestire un’altra linea telefonica, non intercettata dal nemico, com’è invecequella abitualmente usata. DATA L’ESTREMA luminosità della notte, l’ordine si rivela ben presto “criminale”come urla il capitano, che dopo un po’, pur di non mandare altri uomini allacarneficina, rinuncia al grado. IN ATTESA che venga nominato un altro ufficiale, il comando della postazioneviene affidato a un giovane tenente, che riceve ben presto ordine diripiegamento immediato. Ciò che prima era un obiettivo irrinunciabile, darealizzare a qualunque prezzo di vite umane, improvvisamente diventasecondario.LIBERAMENTE ispirato al racconto La paura di Federico De Roberto del 1921, airicordi del padre del regista, che a distanza di anni piangeva ancora a rievocarli,ai diari, alle lettere (vere) dei soldati, il film racconta la guerra dal punto divista di chi l’ha combattuta, ha creduto ed è morto.

SINOSSI

45

“Un monumento cinematografico almilite ignoto”. Così è stato defini-

to il film richiesto a Ermanno Olmi percommemorare la Grande Guerra. Tutti ipersonaggi infatti sono militi ignoti, deiquali vengono registrati gesti, presenti-menti, riflessioni, emozioni. È la storia vi-sta dal basso: una storia minima, segnala-ta dal titolo in tutte minuscole, fatta di ac-cadimenti minuti, nel freddo e nel fangodella trincea, in attesa di ordini.

Vengono mostrati l’arrivo del rancio,della posta (l’unica volta in cui il nome dialcuni soldati viene pronunciato), vengo-

Page 48: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

SPECIALE SCHEDE

46

Il nemico non compare mai anche se letrincee austriache sono a pochi passi, occu-pate da soldati al pari dei nostri poveri e stru-mentalizzati per scopi che non compren-dono. Solo, all’inizio, si ode qualche grido diplauso al canto del soldato napoletano.

Nel backstage, che la distribuzione forni-sce gratuitamente alla sala cinematograficache ne faccia richiesta, oltre a molte interes-santi notizie circa la lavorazione del film,girato nell’ambiente e nel freddo reali sull’al-tipiano di Asiago, nel gennaio e febbraio2014, a 1100 e a 1800 m. di altitudine, figu-ra una sequenza eliminata : ripiegati tutti inostri combattenti nelle retrovie in base alcontrordine testé giunto, il giovane Tenen-te, rimasto solo, esce dalla trincea e cerca inemici, chiedendo a gran voce dove siano.

I nemici non ci sono: anche le loro trinceesono vuote. Il nemico - quello vero - non èdi fronte ma dietro le truppe: si annida neinostri Comandi, che hanno concepito edemanato ordini assassini. Questo concettoviene esplicitamente ribadito dal regista nel-l’intervista che compare nello stesso back-stage. Dietro la retorica patriottarda, la no-bile guerra per il completamento dell’unitàd’Italia, la quarta guerra d’Indipendenza, sirivela guerra di una classe contro le classi piùbasse, cinicamente strumentalizzate.

Dopo alcune immagini d’archivio il filmsi chiude sul commento dell’attendente:“Quando tutto sarà finito e qua torneran-no i prati di tutto quello che qui è succes-so e del nostro patire non resterà traccia,come se qua non fosse successo niente.” Èquesto l’oltraggio estremo: com’è stato os-servato, dopo tanto strazio la pace non se-gnerà il ritorno della vita e della bellezza,ma la cancellazione dell’esperienza e per-fino del ricordo dell’immane tragedia. <

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

splendida fotografia di Fabio Olmi, figliodel regista: la volpe, la lepre, il larice osser-vati dalla feritoia compaiono in immaginibianche, grigie, nere. Il film è stato girato acolori, ridotti poi col digitale quasi al bian-co e nero, salvo qua e là il rosso del sangue,l’oro del larice e qualche vampata di colo-re nelle esplosioni. Sono poi presenti per-cezioni acustiche: il rombo dei cannoni,lo scoppio e lo sfrigolio dei razzi illumi-nanti, il ronzio del trapano sotterraneo, iltintinnare dei campanacci sul filo spinatoscosso dal vento.

La narrazione non si serve di musica, aparte l’armonica all’inizio e Il silenzio, com-posto e suonato da Paolo Fresu, che chiu-de il film. La vita aspra di questi combat-tenti, mostrata nella sua rudezza ed essen-zialità, si svolge nel più severo silenzio. In-fine riscontrabile e quasi percettibile è lasensazione tattile acutissima del freddo diquel terribile inverno a quella quota.

La vita in trincea è monotona e insiemetesa. Il padre del regista ricordava i momen-ti terribili in cui si attende l’ordine dell’as-salto. Il tempo si ferma. Nell’attesa attonitae febbrile emerge l’interiorità e sulle labbradei soldati affiorano sentimenti ed emozio-ni. Voci sommesse, lunghi silenzi, frasi dila-tate e sospese rivelano stati d’animo, rifles-sioni, considerazioni, il senso angosciantedell’incombere di un pericolo mortale, lapercezione di essere stati intenzionalmen-te votati al sacrificio della vita, al non ritor-no, l’incomprensibilità di ordini e contror-dini, il logoramento, lo spaesamento, l’espo-sizione fatale a una morte imminente e, in-sieme, il senso del dovere e la lunga praticadell’obbedienza. Tutta l’Italia povera, umi-le, spaventata, disinformata, per lo più con-tadina e analfabeta, qui presente, si rendeconto che il proprio sacrificio è stato calco-lato e programmato. Perciò i soldati interpel-lano Dio, anche con bestemmie, sperimen-tandone il silenzio; uno di loro si dà questa

ragione: “Se non ha ascoltato suo Figlio sul-la croce, vuoi che ascolti noi, pori cani?”

Il film comunica e fa provare l’esperien-za cruda della guerra nellasua nudità, rinunciando allaspettacolarità con cui oggi i film diguerra sono soliti sedurre lo spettatore.

Direttamente o indirettamente figura-no nel testo tutte le classi sociali: il popolo,rappresentato dai soldati con la loro cultu-ra primitiva, la piccola e media borghesia acui appartengono gli ufficiali che credononei valori patriottici, l’alta borghesia e lanobiltà accampate negli alti comandi a ela-borare nuove strategie per la comparsa dinuove armi micidiali, sconosciute in prece-denza, le quali hanno fatto sì che a questoconflitto sia stato dato il nome di “grandeguerra” da parte dei contemporanei, i qua-li ignoravano che le guerre seguenti sareb-bero state assai più “grandi”, cioè enorme-mente più micidiali. L’obbedienza a cui imilitari sono tenuti (e a cui i soldati sono abi-tuati per estrazione sociale e posizione ge-rarchica) è uno dei temi del film. Il Maggio-re, latore dell’ordine “criminale”, la rappre-senta. Gli ordini sono ordini e vanno esegui-ti. Il giovane tenente scrive alla madre (e, nel-l’intenso PPP, guardando in macchina, con-fessa a se stesso e allo spettatore) che il Ca-so o il Destino lo ha gettato in una guerra chenon conosceva: vedendo morire giovani co-me lui, in un’ora sente di essere di colpo in-vecchiato, di aver perso giovinezza e idea-li, precisando che chi ha avuto esperienzadella morte, anche se tornerà a casa, se laporterà addosso per sempre, avrà difficol-tà a reinserirsi nella società, tormentato dasensi di colpa per essere sopravvissuto e dalrimorso per aver ucciso. Il terzo ufficiale, ilCapitano, affronta la tragica alternativa dichi, costretto per obbedienza a impartireordini “criminali”, può recuperare umanitàe dignità solo a prezzo del marchio infa-mante di traditore e della sua stessa vita.

Page 49: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

47speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

La storia che lega Ermanno Olmi alledue guerre mondiali è lunga e articola-

ta. Inizia con i racconti del padre sulla Pri-ma Guerra Mondiale, ascoltati ancora bam-bino. Passa poi attraverso i bombardamen-ti su Milano della Seconda Guerra Mon-diale, caduti sulla città mentre Olmi co-mincia appena a conoscerla. E arriva, allafine degli anni Cinquanta, fino alle paginedi un libro, Il sergente nella neve, di MarioRigoni Stern, futuro amico e vicino di casadi Olmi. Quando nel 1961 esce il secondolungometraggio del regista lombardo, Ilposto, l’incontro con lo scrittore è già avve-nuto e il progetto di portare sul grandeschermo il suo libro sembra ormai alla por-tata. Quel progetto non vedrà mai la lucema questa storia - la relazione di Olmi conla guerra - ha un seguito. E non è solo quel-la che si diparte e allontana nei mille rivo-li nei quali si versa e scorre (più o meno cen-trale ed esplicita), a volte più a volte menoconcettualmente ed esteticamente scrittanelle forme del cinema, da Il mestiere del-le armi a Cantando dietro i paraventi.

Nel 1970 viene mandato in onda per laprima volta dalla Rai un film scritto a seimani da Tullio Kezich - amico e sodale diOlmi oltre che suo alleato in diverse impre-se cinematografiche - e Mario Rigoni Stern,oltre che dallo stesso Olmi: I recuperanti,ufficialmente tratto dalle storie e dai per-sonaggi che Olmi conosce incontrando lagente e i luoghi dell’Altopiano di Asia-go - eletto a sua dimora già nei pri-mi anni Sessanta. Sembra sia unmodo di mettere insieme in un so-lo progetto le due grandi guerre delNovecento attraverso la lente di unracconto a metà tra fiaba e docu-mentario. Uno dei due prota-gonisti è infatti AntonioLunardi, un vecchio pa-store proprio dei dintor-ni di Asiago: intorno aisuoi veri racconti, allesue memorie, alle sue di-vagazioni dialettali, allemelodie cantate a squar-ciagola e ai pezzi di sag-gezza popolare spes-

iniziano, nuovi ordini vengono a sostitui-re i vecchi, l’erba più verde cresce dove ilsangue umano è stato più abbondante-mente versato. Ed è proprio da qui cheprosegue la storia di questa relazione, diquesta piccola ossessione di Olmi per laguerra: dall’erba più verde indicata dal vec-chio Du, Antonio Lunardi, cresciuta in unavalle dove i cadaveri dei soldati caduti du-rante la Prima Guerra Mondiale si sonoaccumulati più numerosi.

Proprio da qui Ermanno Olmi, con ilsupporto tra l’altro della vecchia aziendache ne ha permesso l’apprendistato al cine-ma, la Edison, ha ripreso il suo camminopochi mesi fa, tentando di inseguire il pro-getto immaginato e pianificato con RigoniStern molti anni fa: compiendo un saltoindietro Olmi torna nel passato racconta-to e testimoniato dal Du, il passato dellebombe incendiarie e delle trincee scavatenella terra e nella roccia, in alta montagna,dei massacri commessi dal fuoco amico,delle lunghe attese e delle incerte alleanze.

È proprio dove il Du e Gianni scavanoin cerca di metallo, mettendo in contattoil passato recente con quello remoto, laguerra appena passata dietro l’angolo conquella ricordata dalle canzoni dei vecchi,scoprendo cadaveri invece che tesori na-scosti, è proprio lì che - dice Olmi - ungiorno, quando la bufera sarà passata tor-neranno i prati. Silvio Grasselli

so tirati fuori dall’improvvisazione più im-mediata si costruisce l’esile filo di un rac-conto che finge la messa in scena del pas-sato solo come pretesto di un corto circui-to iperrealista tra le due grandi guerre, la lo-ro insensatezza, i loro orrori e le macerie,le tracce lasciate nella carne e nella terraper i decenni a seguire.

Nonostante la natura del tutto origina-le del film, dentro I recuperanti si ritrova-no come fili nascosti in un fitto intreccio,alcuni dei temi più cari a Olmi e presentiin molti altri dei suoi film: il lavoro - comebenedizione ma anche come possibiledannazione -, le relazioni affettive - busso-la, motore e orizzonte di riferimento esi-stenziale -, l’imprescindibile ruolo dei vec-chi e della loro saggezza, la morte (che quicompare per la prima volta nella filmogra-fia di Olmi in modo esplicito e perfino cru-do), la presenza della Natura come perso-

naggio con il quale, in un modo o nell’al-tro, si è costretti a fare i conti.

La Guerra è la “bestia che gira gi-ra e non si ferma mai”, una minac-cia e una tragedia frutto degli istin-ti più insensati dell’essere umano;

un mostro famelico e spietato cheuccide anche molto tem-po dopo aver abbandona-to un luogo, con strasci-

chi e detriti che impregna-no gli animi e i luoghi.

Ma, come succede inaltri film di Olmi successi-vi a questo, è con la finedella guerra, con la finedella morte prodotta, chehanno inizio nuovi cicli,che nuove generazioni

S P E C I A L E

I recuperanti

R U B R I C H E I N R E T E

Regia: Ermanno Olmi Interpreti: Antonio Lunardi, Andreino Carli,Alessandra Micheletto, Pietro Tolin, MarilenaRossi Origine: Italia 1970 Durata: 95’

Page 50: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

mantici o patetici che siano, inserendo-vi quelle lunghe inquadrature della ra-dura davanti alle linee tedesche, pienadi reticolati divelti e alberi isteriliti, farneideo-refrain che torna e ritorna come unastrofa tra un episodio e l’altro, tra unascena di trincea e un interno di casa bor-ghese, ritmico stigma di una guerra chetutto trasforma, uomini e cose, restituen-do loro nuova dimensione, coibendo iprimi entro striate forme di casermescocameratismo; sottraendo le seconde alleloro funzioni esistenziali. Tutto vi sareb-be inquinato: amore, famiglia, pace, lavo-ro. Alla fine, solo la morte parrebbe ri-portare i protagonisti ai loro sentimenti,acquietarli nel sonno dei giusti.

Fino a quando? Verrebbe istintivo chie-dersi. Ma Pabst non sa come rispondere,dopo la parola “fine” nell’originale lasciaun punto interrogativo. Senza pretende-re di fare un’analisi retrospettiva dellaguerra 1914-18, si limita a urlare controla guerra, come se l’urlo fosse già un’ar-ma di difesa verso nuove e dissennateavventure belliche. Troppo poco, senzadubbio, ma il documento pacifista rie-sce ancora ad avere un’emotiva forzad’aggancio, specie nella seconda partedel film, con il disincantato ritorno diKarl in licenza, con la frastornata batta-glia tra camminamenti e trincee quandodietro nubi di nebbia e fumo compaionoi terribili “tanks”, e infine con il vagabon-daggio in carrellata lungo le navate diuna chiesa bombardata e trasformata inospedale da campo, dove esplosioni difollia, lamenti di feriti, delirio di agoniz-zanti e disperazione di sopravvissuti sifondono in un esasperato gesto di rabbio-sa impotenza e immedicabile dolore.

Alberto Pesce

L a guerra è un mostro, maledizionedell’uomo, carne da macello, orrore

e follia.Con Westfront 1918, alla sua prima

esperienza con il sonoro, George Wil-helm Pabst, forte di un realismo d’am-biente e di vita alla Neue Sachlichkeit(Nuova Oggettività) dell’epoca - appli-cato nelle tecniche di una fotografia se-midocumentaria, di riprese con macchi-na in assillo di movimento, di una co-lonna sonora scandita da brevi battute trairruzione di rumori, sibili, scoppi, deto-nazioni, esplosioni - avrebbe voluto far-ne un’implacabile accusa, impietosa ecrudele (smarginando pompose gonfiez-ze e falsi misticismi), mostrare incisivo efiero come era vissuta nelle trincee, ac-canto ai morti e ai morituri, in mezzo alfango e sotto la pioggia: con lo spasmodella fame nello stomaco e la morsa del-lo sgomento nell’anima. Ma, rifacendo-si ad aneddotiche spulciature di un ro-manzo di Ernst Johannsen Vier von derInfanterie tra scherzi, bevute e camerati-smi, pizzicato sul tragico destino di quat-tro militari del fronte tedesco, l’accusafinisce per essere troppo di genere, asto-rica, di fredda impaginazione, senzacoinvolgente inventività, svagata su epi-sodica pluralità di schizzi a se stanti, conun fondale di guerra come proposto daun pubblico ministero che voglia com-muovere contro la guerra più che per-suadere sulle sue specifiche ragioni (Le-wis Milestone, in quegli stessi anni, conAll Quiet on the Western Front - vedi sche-da a p. 12 -, sapeva giungere indubbia-mente più in là).

In ogni caso Pabst non si titilla con isimboli, non si compiace di crudezze,ama accarezzare dettagli comici o ro-

Westfront 1918

Fronte tedesco negli ultimi mesi diguerra. Tra bevute e scherzose battuteun gruppo di militari sta rilassandosinello spaccio gestito dalla giovaneYvette. Quando suona l’allarme si creascompiglio e caotica corsa di qua e di làtra rifugi e trincee.Finita la scaramuccia, uno studenteapprofitta di una missione al vicinocomando delle retrovie per passare unanotte d’amore con Yvette. Come premio del suo eroico impegno,Karl va in breve licenza nella sua cittànatale, dove vede lunghe code di donnee di vecchi davanti a un negozio dialimentari. Trova la moglie a letto colmacellaio (alla vigilia di partiremilitare); non ascolta le lacrimategiustificazioni di lei e all’indomaniriparte per il fronte. Riprendono gli attacchi: muore lostudente innamorato di Yvette. Duranteun’azione di perlustrazione Karl e unsuo amico bavarese ne intravedono ilcadavere in un fossato e lo coprono conun po’ di terra. Riprendono le cannonate: muore ilbavarese, è colpito a morte anche iltenente impazzito e urlante fuori dallatrincea, anche il giovane macellaioappena arrivato. Karl finisceagonizzante in una chiesa-ospedale dacampo: nel delirio crede di vedere lamoglie e la perdona. Sul cadavere diKarl allunga la mano un francese feritomormorandogli “Ennemis… noncamerades”.

Regia: George Wilhelm PabstSoggetto: dal romanzo “Vier von derInfanterie” di Ernst JohannsenSceneggiatura: L. Vajda e P.M. Lampel Fotografia: F.A. Wagner e C. MétainScenografia: Erno MetznerMontaggio: Hans OserInterpreti: Gustav Diessl, Hans JoachimMoebis, Fritz Kampers, Claus Clausen, JackieMonnier, Hanna Hoessrich, Else Heller,Gustav Puttjer, Carl Balhaus, Aribert Mog,André Saint-GermainProduzione: Nero-Film AG (BerlinoOrigine: Germania 1930Distribuzione: DVD disponibile sul WebDurata: 96’Dai 14 anni

48

S P E C I A L E S C H E D A R I O

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

S C H E D A R I O

Page 51: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

Il barone rossoVon Richthofen and BrownIl tenente Manfred von Richthofen, passatodalla cavalleria alla Luftstreitkräfte, èinviato sul fronte francese nel reparto diOswald Boelcke che gli fa da maestro.Presso la base britannica giunge anche ilpilota canadese Arthur Roy Brown,antipatico ai colleghi perché scostante eindifferente alla loro usanza di brindareanche al valore dei nemici.Quando Boelcke viene abbattuto, iltenente Goering se la prende conRichthofen, ritenendolo responsabile dellasua morte perché preferirebbe le evoluzionivirtuosistiche ai duelli. È comunqueRichthofen il successore di Boelcke, inquanto Goering “piace a Berlino ma nonai piloti che avrebbe sotto il suo comando”.Intanto Brown fa un’esperienza scioccante:girando in motocicletta nella campagnascorge una ragazza affacciata al primopiano di una casa. La invita a scendere evede che le manca una gamba.I superiori presentano a Richthofenl’industriale Anthony Fokker che glimostra il triplano da lui progettato. Ilpilota pare interessato.Le battaglie aeree si succedono eRichthofen viene ferito. Torna a casa inconvalescenza dove la madre, la natura, lacaccia gli fanno per poco dimenticare laguerra. Che però mostra il suo nuovo voltoin due incursioni in cui vengono distruttele basi, compresi gli ospedali da campo.Anche Manfred viene toccato nel profondo,e - disilluso - sente che l’appuntamentocon la morte è vicino. Così è. Brown siincarica di procurarglielo. Goering è ilnuovo comandante della squadriglia.

49

mezzo alla guerra “senza per ciò diventarebarbari”, come dice un ufficiale inglese. An-che presso il nemico infatti Richthofen è sti-mato: tutti questi uomini in uniforme sonouna sorta di ‘casta’, di confraternita.

Tutti questi uomini? Non esattamente.Quando alla base britannica arriva il tenen-te canadese Arthur Roy Brown, notiamo su-bito la sua ‘diversità’, e l’abbigliamento è so-lo il più facile dei segnali da interpretare. Al-lorché a mensa tutti si alzano per brindare aRichthofen, rimane seduto perché non con-divide affatto questi ‘riti’ e questa ammirazio-ne. Per lui il pilota tedesco è null’altri che unnemico da abbattere. Un “cattivo”, Brown,un “barbaro”? No, che ne può sapere un ca-nadese di origini borghesi delle usanze de-gli ufficiali aristocratici europei? Buon solda-to, preannuncia le nuove concezioni del nuo-vo warfare che, per quanto lo riguarda, trion-ferà venticinque anni più tardi col generalePatton: inflessibilità con se stessi, con i pro-pri uomini, soprattutto con il nemico. Laguerra è guerra, e l’ultima cosa che essa pre-vede è la cavalleria. Figuriamoci la pietà.

Ma la vera serpe in seno è il torvo tenen-te Hermann Goering (si ritiene danneggia-to nella carriera poiché non ha il “von” da-vanti al cognome), truce, ambizioso e pron-to a compiacere i tristi politici che si stan-no affermando nel suo Paese. Dopo la mor-te di Richthofen avrà il sospirato comandodella squadriglia. Saranno soddisfatti i suoisuperiori e gli industriali come Fokker, chevedono un’altra Germania, quella dove al-la Luftstreitkräfte dello sconfitto BaroneRosso si sostituirà la Luftwaffe di Goering.

Roger Corman, in molti film è stato unoscabro cronista della violenza. Nel 1971 ciconsegna una riflessione filosofica sul de-clino di un’era.

Giulio Fedeli

Regia: Roger CormanSoggetto e Sceneggiatura: John William,Joyce Hopper CorringtonFotografia: Michael ReedMontaggio: Alan CollinsScenografia: Jimmy T. MurakamiCostumi: Dymphna McKennaMusica: Hugo FriedhoferInterpreti: J.P. Law (Barone M. vonRichthofen), D. Stroud (R. Brown), B. Primus(H. Goering), C. Redgrave (Mag. L. Hawker), K. Ericson (Ilse), H. Hatfield (A. Fokker), B. Foley (L. von Richthofen), ...Origine: Usa 1971Distribuzione: DVD in ReteDurata: 98’Dai 14 anni

Il film è innervato su tre linee di forza:la descrizione di caratteri; la pittura

d’ambienti; le riprese aeree (particolar-mente pregevoli).

Già il titolo (originale) dovrebbe indiriz-zare l’attenzione sui personaggi: infatti ècomposto semplicemente dai cognomidei due protagonisti. E in effetti Richtho-fen e Brown, assi dell’aviazione tedesca einglese negli anni 1916-1918, dietro le di-verse concezioni del combattimento aereoe della guerra, raffigurano due mondi inopposizione.

Richthofen è parente del von Rauffen-stein de La grande illusione. Nato nel 1892a Breslavia (l’odierna Wrocław, in Polonia),è uno junker slesiano, di famiglia nobile etradizioni militari che riassume i propri va-lori nella fedeltà al Kaiser. Alto, distinto, ele-gante, è l’alfiere di una guerra “in guantibianchi”, vale a dire onorando un codice dicomportamento cavalleresco, dove il rispet-to per il nemico sconfitto non è certamen-te il punto meno importante. Due belle in-quadrature bastano a Corman per fissarne,appunto, il carattere. In apertura di film Ri-chthofen scorge nell’ampia radura verdeche sta sorvolando un magnifico cavallo li-bero al galoppo. È per lui affare immediatoscendere di quota, cambiare rotta e met-tersi a inseguire quel fiero simbolo di liber-tà nel quale si riconosce. Più avanti, è ripre-so nella tenuta familiare mentre - convale-scente - pratica la caccia col falco: l’istinto delcacciatore, in lui innato, è ciò che lo guidamentre combatte. Ecco chi è Richthofen:un “franco cacciatore”, il Freischütz, mito te-desco fra i più espressivi e suggestivi (e ama-ti, visto il “culto” che circonda il Barone Ros-so). I suoi colleghi ammirano in lui la bravu-ra ‘tecnica’ di pilota da caccia non meno delcarattere misurato e lo sforzo di stare in

S P E C I A L E S C H E D A R I O

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 52: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

La vita e niente altro La vie et rien d’autre

Ottobre 1920. A due anni dalla fine delconflitto il comandante Delaplane è acapo di una sezione preposta a dare unnome alle migliaia di militi morti sulcampo di battaglia. Nella zona dovelavora insieme ai suoi soldati giungonomolti famigliari nella speranza diritrovare i loro cari. Un giorno arrivaIrène, il cui suocero è un potenteindustriale, in cerca del marito dispersoormai da tempo; lì incontra una giovanedonna, Alice, che spera di ritrovare inveceil suo fidanzato.Irène fa la conoscenza del comandante, inun primo momento i rapporti tra lorosono tesi, soprattutto dopo che la donnaha insultato un suo sottoposto conl’accusa di inefficienza. Sarà Delaplane ascoprire che le due donne sono in realtàalla ricerca dello stesso uomo. Nel frattempo il comandante ha ricevutol’ordine da alte cariche militari didisseppellire alcune bare di soldati senzanome per celebrare la cerimonia del MiliteIgnoto. Una bara di un soldato franceseche deve provenire da Verdun, per poiessere trasportata e posta sotto l’arco diTrionfo a Parigi con tutti gli onori.Un’azione che il comandante reputariprovevole, visto il numero delle vittime edei dispersi. Trascorsi altri due anni Delaplane non èpiù nell’esercito, trova finalmente ilcoraggio per scrivere a Irène, nel frattempotrasferitasi negli Stati Uniti, e confessare ilsuo amore per lei, invitandola a tornare.

50

S P E C I A L E

mata e che ciascuno si porta addosso, laguerra e i suoi traumi.

Figure piegate dalla Storia si muovonoin un paesaggio maestoso, dove dominanoi verdi, i grigi e i marroni, che tuttavia è ir-reversibilmente contaminato dall’orrore,come il campo di terra dal quale il conta-dino estrae suo malgrado un ordigno ine-sploso o la galleria da cui riemergono cor-pi inermi e che ancora continua a uccide-re. Del resto la stessa scenografia contribui-sce a estremizzare la difficoltà di apparte-nenza dei suoi personaggi a quei luoghi, ac-centuandone la provvisorietà; la chiesa chediviene un locale da ballo di sera, una exfabbrica trasformata in albergo dove i pa-renti dei dispersi trovano rifugio per la not-te, e il campo di battaglia può divenire unluogo per un picnic improvvisato.

Per raccontare l’insensatezza della guer-ra senza mostrarla Tavernier adotta una re-gia classica di stampo fordiano, per sua stes-sa ammissione, privilegiando riprese incampo totale a scapito dei primi e primis-simi piani. La mdp ci mette infatti del tem-po prima di avvicinarsi ai volti dei suoi pro-tagonisti, del comandante-becchino Dela-plane, un talentuoso Philippe Noiret, chemostra il proprio sdegno verso la celebrazio-ne del Milite Ignoto, “Ne hanno fatto mori-re un milione e mezzo ma ora si penserà so-lo a quel soldato” e a Sabine Azéma in quel-li di Irène, una nobildonna che vaga nellacampagna francese in cerca del marito.

Titolo dal valore antimilitarista che evitaogni accentuazione retorica, La vita e nien-te altro può considerarsi a tutti gli effetti unclassico del genere, un film sulla speranza,sulla ricostruzione, sulla possibilità di torna-re a vivere. Un film necessario, giusto, per uti-lizzare un termine caro al suo autore.

Luisa Ceretto

Nel suo recente volume Le ceneri delpassato. Il cinema racconta la Gran-

de Guerra, Giuseppe Ghigi a proposito delcinema di Bertrand Tavernier ricordaquanto ha scritto Jacques Le Goff ovveroche “la storia non è per lui un pretesto diricostruzione, né una semplice decora-zione esterna, ma la materia stessa concui scolpisce i suoi film” per poi dichiara-re che La vita e niente altro rappresenta“un atto di accusa contro la logica della bu-rocratica contabilizzazione di cadaveri e alcontempo dell’ipocrita elevazione eroicadel corpo morto del soldato”.

La dodicesima pellicola firmata da Ta-vernier si snoda sulle colline di Verdun(simbolo nella memoria collettiva france-se della prima guerra mondiale, il più im-ponente bastione difensivo contro l’inva-sione tedesca) prendendo forma tra osta-coli produttivi e la diffidenza verso un sog-getto che traeva spunto dalla lettura di unarticolo in cui si denunciava la presenza ditrecentocinquanta mila dispersi ancoranel 1919, morti non ritrovati, feriti senzadocumenti, disertori, smemorati.

Nell’intrecciare i vissuti personali dialcuni famigliari alla ricerca dei propricari con un episodio poco noto storica-mente come la ricerca del corpo di unsoldato francese senza identità da glorifi-care, Tavernier sceglie come parti prisquello di una struttura narrativa erratica,che non cessa di far convergere piste mul-tiple, frutto di un accurato lavoro con losceneggiatore Jean Cosmos, teso a nonrendere troppo evidente o scontato ognieventuale snodo narrativo. E lo fa a par-tire dalla scelta linguistica di rendere pal-pabile quella sensazione di spaesamento,di smarrimento dei suoi protagonisti perl’immane tragedia che si è appena consu-

Regia: Bertrand TavernierSceneggiatura: Bertrand Tavernier, JeanCosmosMusica: Oswald d’AndréaMontaggio: Arman PsennyInterpreti: Philippe Noiret (comandanteDelaplane), Sabine Azéma (Irène de Courtil),Pascale Vignale (Alice), Maurice Barrier(Mercadot), François Perrot (CapitanoPerrin), Michel Duchaussoy (generaleVillerieux)Fotografia: Bruno de KeyzerOrigine: Francia 1989Distribuzione: TamasaDurata: 135’Dai 16 anni

S C H E D A R I O

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 53: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

(Rizzoli, 2005), Jeunet reagisce al ‘senso dimorte’ della grande vicenda storica, mol-tiplicando e intrecciando racconti e perso-naggi con la sua fantasia interartistica e lasua visionarietà intermediale. “Così comela guerra uccide le storie, e tutte le riducealla medesima irrilevanza, l’amore di Ma-thilde le suscita, le moltiplica, le intreccia.E in platea si fa bene a lasciarsene travol-gere, senza domandarsi come in uno stes-so film possano stare trincee colme di mor-ti, albatros in volo nel vento di Bretagna,prostitute ribelli e vendicatrici, paesi asso-lati e taciturni di Corsica, zii amorevoli e ap-prensivi, fruttivendole polacche delle Hal-les, poliziotti privati più furbi d’una faina,postini allampanati e orgogliosi della lorobicicletta, avvocati di buon cuore. Questamolteplicità ricca di immagini, di stili, diprospettive sembra non essere che un ‘ri-sarcimento’ che la regia deve a sé e a noi,un contrasto felice del triste vuoto di pas-sato e di futuro su cui il film si apre” (R.Escobar, “Il Sole 24 Ore”, 20 febbraio 2005).

Complice è la tecnologia digitale che,grazie al trattamento informatico delle im-magini e alla preparazione attraverso sto-ryboard e modellini minuziosi, consenteall’autore di mescolare, molto efficace-mente, realismo e visionarietà, passato epresente del cinema, eredità pittorica (Im-pressionismo) e imitazione fotografica. Intal modo la visione realistica e, insieme,tragica della guerra diventa ricerca assolu-ta della pace e della fine di ogni violenza.Il tempo della fantasia, nell’andirivieni in-cessante tra passato e presente o tra sognoe realtà, consente di accedere direttamen-te e interiormente attraverso la coscienzaal mondo dei ricordi e dei morti della Gran-de Guerra.

Elio Girlanda

La Prima Guerra Mondiale e un enig-ma intorno alla perdità di identità di-

ventano il contenitore di un grande temaantropologico e, insieme, letterario e arti-stico: la compresenza della vita e della mor-te. Il collage visivo, già presente ne Il favo-loso mondo di Amelie (2001) dello stessoautore, si fa straordinario repertorio di im-magini e luoghi del nostro mondo, cosid-detto necrocratico. Là dove, cioè, noi uma-ni conviviamo con “tombe, case, leggi, pa-role, immagini, sogni, rituali, monumentie gli archivi costituti dalla letteratura, lecui voci hanno sempre un qualche carat-tere postumo”, come ben spiega l’italiani-sta Robert Pogue Harrison nel libro Il do-minio dei morti (Fazi, 2004), esplorando iluoghi fisici, psicologici e culturali, in cui imorti coabitano il nostro mondo.

Così, nel film, in un flusso simultaneo ditempi differenti (flashback) e immagini dinatura diversa (pittura, fotografia, preci-nema, fumetto, cinegiornale, documenta-rio, cinema analogico e digitale), la ricer-ca di Mathilde conferma i “fondamentiumici” “dei mondi in cui viviamo, il cuicontenuto è stato sepolto in modo chepossa essere riproposto in futuro. L’umicoracchiude la storia non conclusa di ciò cheè trapassato”.

Mathilde crede ancora nell’esistenza diManech perché il suo amore si sforza es’ingegna di convivere con memoria, mor-ti, reduci, documenti nascosti, false testi-monianze, come una necessità vitale. La fi-ne della sua ricerca conferma la natura“necrofora” del mondo ma anche l’impor-tanza della memoria e della fantasia.

Analogamente, tra melodramma estruttura a scatole cinesi, dal romanzo bendocumentato dello scrittore-sceneggiato-re Sébastien Japrisot, ispirato a fatti veri

Una lungadomenica di passioniUn long dimanche de fiançailles

Francia, 1919. Mathilde, una ventenneorfana e claudicante che vive con gli ziiin un villaggio della Bretagna, è ancorain trepida attesa che l’uomo che ama,Manech, torni dalla guerra. Si sa peròche cinque soldati sono staticondannati a morte perchéautomutilatisi per non combattere e cheManech era tra loro. I disertori erano stati gettati oltre letrincee, in una terra di nessunochiamata Bingo Crepuscolo. Ma unalettera informa la ragazza che ilfidanzato è ancora vivo, sia pur ferito.Allora Mathilde, grazie a uninvestigatore privato, un amicoavvocato e qualche testimone oculare,inizia la sua lunga ricerca muovendosida un punto all’altro della Francia,Parigi compresa, e arrivando fino inCorsica. Dapprima, la giovane incontra unaprostituta, Tina Lombardi, che haucciso l’ufficiale responsabile dellamorte del suo fidanzato, uno deicondannati. Poi, grazie a un documento riservato, laragazza trova un’altra fidanzata enuove tracce del suo amore. Finalmente, nel 1924, una nuova letterale dà notizia che Manech vive in unavilletta, dove viene rieducato per averperso la memoria.

Regia: Jean-Pierre Jeunet Sceneggiatura: Guillaume Laurant, Jean-Pierre Jeunet Fotografia: Bruno Delbonnel Montaggio: Herve SchneidMusiche: Angelo Badalamenti Interpreti: Audrey Tautou, Dominique Pinon,Marion Cotillard, Gaspard UllielOrigine: Francia 2004 Distribuzione: Warner BrosDurata: 133’ Dai 16 anni

51

S P E C I A L E S C H E D A R I O

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

Page 54: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

sfera, si rifiutava di credere plausibile l’arri-vo di un conflitto di quelle proporzioni!

I protagonisti della fiction sono tre gio-vani romagnoli della media borghesia, im-pegnati a sognare il proprio futuro. Non èuna storia importante quella di Mario,Agnese ed Emilio. È forse banale, ma è giu-sto che sia così, perché quei tre giovanirappresentano la normalità. Sono stereo-tipi dei tanti ragazzi che da sempre abita-no l’Italia. Partono per la guerra per dove-re, non c’è traccia di eroismo in loro, pen-sano solo a salvare la pelle e a tornare a ca-sa. La voce fuori campo di Mario morto ciaccompagna con solerzia che diventa for-se un poco eccessiva quando a spiegaregli eventi è la voce di Agnese. D’altra par-te lo scopo principale di Fango e gloria è si-curamente didattico-divulgativo. È curio-so notare che Mario, morente nelle primescene, ci racconta da protagonista una vi-ta da milite ignoto. Quasi un ossimoro.

Sicuramente un lavoro lungo e pazien-te è stato dedicato ad attualizzare i filma-ti storici, a renderli fruibili come se fosse-ro stati girati oggi e non un secolo fa. Le pre-ziose pellicole sono state restaurate da graf-fi e macchie, quindi scansionate in alta de-finizione per togliere l’effetto di scorrimen-to a scatti tipico dei filmati d’epoca.

Il film verrà trasmesso su Rai 1 il 24 mag-gio 2015, in prima serata, per ricordarciche quel giorno, 100 anni fa, il nostro pae-se chiamava sei milioni di italiani in guer-ra: interventisti e pacifisti, borghesi e con-tadini, analfabeti e intellettuali che per trelunghi anni avrebbero vissuto nel fango,reale e metaforico, alla ricerca di una glo-ria che è costata la vita a oltre ottocentomi-la persone. Forse Tiberi ha voluto ricordar-cele colorando nel titolo la e rosso sangue.

Franco Brega, Tullia Castagnidoli

Per il Centenario della Prima GuerraMondiale Leonardo Tiberi, che ha di-

retto per anni l’Archivio Storico Luce, hacucito insieme numerosi documenti suquanto è avvenuto in Italia in quegli anni,alternandoli con scene girate apposita-mente in modo da costruirne una storia ve-rosimile. Ne esce un film ibrido (sessantaminuti di repertorio e trenta di fiction) chevanta più di un aspetto positivo.

Lo sgomento, le ferite, le fatiche, l’orro-re non sono affidati ad attori, ma si leggo-no sui volti e negli atteggiamenti di chi sta-va vivendo quegli eventi. Avvalendosi dimateriale di repertorio - non solo italiano,ma anche appartenente agli Archivi di al-tre nazioni quali Francia, Germania, Au-stria e Serbia - Tiberi permette inoltre allospettatore di avvicinarsi alla Prima Guer-ra Mondiale con uno sguardo complessi-vamente obiettivo, maturo. Ad esempiol’affondamento della corazzata Wien, ope-rato dagli uomini di Luigi Rizzo, appartie-ne a una troupe austriaca che quel giornoriprese la disfatta della propria marina.

La guerra in Fango e gloria è lontana daquella riportata sui testi scolastici, perché ve-ra, ricca di dettagli, quotidiana. Basti pen-sare ai soldati che affrontavano i monti por-tando sulle spalle la bicicletta (uno stranomodello richiudibile), alle armi trascinate afatica da catene umane, ai morti abbando-nati alle mosche e agli insetti, ai corpi che siribellavano al momento di uscire dalla trin-cea per andare a giocare con la morte. Inte-ressanti sono anche le prime immagini delfilm che mostrano l’atmosfera di ottimismoin cui versava il popolo italiano agli inizi delsecolo. Era arrivata da poco la corrente elet-trica e sempre da poco si era tenuta a Tori-no la prima Esposizione Universale in Ita-lia. Come dar torto a chi, in una simile atmo-

Fango e gloria La grande guerra

Mario, Agnese ed Emilio sono tregiovani romagnoli appartenenti allamedia borghesia, innamorati della vita,entusiasti del futuro. Quando scoppia ilconflitto si separano: Mario parte per ilfronte, Agnese raggiungerà una zia aMilano per lavorare in un’industriabellica ed Emilio finirà in Marina. I dueragazzi sono entrambi innamorati diAgnese, ma è Mario che si fidanzaufficialmente con lei. La guerra, raccontata attraverso leinedite e interessanti immaginirestaurate dell’Archivio Storico Luce,permette solo qualche rapido incontrotra i due giovani innamorati, giusto iltempo di farsi scattare una fotografiainsieme e di legare al polso di Mario unorologio Eberhard, regalo di Agnese, neldisperato tentativo di controllare loscorrere del tempo.Nel 1918, a pochi mesi dal termine delconflitto, Mario muore colpito da unagranata, e perde l’orologio perdendocosì anche la possibilità di esserericonosciuto. “Non si può morire avent’anni” ripete spesso il ragazzo e poiha promesso ai suoi genitori e adAgnese che da quella guerra sarebbetornato. In un certo senso mantiene lapromessa, perché, durante l’ultimoviaggio che compie da milite ignoto,passerà da casa e a salutarlo, allastazione, ci saranno la sua fidanzata edEmilio, l’amico di sempre, ai qualiaugura un sereno futuro insieme.

Regia: Leonardo TiberiSoggetto e Sceneggiatura: Leonardo Tiberi,Salvatore De MolaFotografia: Stefano ParadisoMontaggio: Luca OnoratiMusica: Baptiste AllardInterpreti: Eugenio Franceschini, ValentinaCorti, Domenico Fortunato, FrancescoMartino, Alberto Lo Porto, Michele Vigilante,Vincenzo Guaglione, Federico Tolardo, IsabellaCaserta, Roberto Vandelli, Maria CristinaBellelli, Ernesto Aliberti, Arnaldo PernigoProduzione: Baires ProduzioniOrigine: Italia 2014Distribuzione: Istituto Luce CinecittàDurata: 90’ Dai 12 anni

52

S P E C I A L E S C H E D A R I O

speciale · numero 111 · maggio-giugno 2015

S C H E D A R I O

Page 55: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

SPECIALE CENTENARIO

Cinema e Grande Guerra

Bimestrale di cinema, televisione e linguaggi multimediali nella scuolaAnno XXXI, nuova serie, supplemento al n. 111maggio-giugno 2015

Rivista del Centro Studi Cinematografici00165 Roma, Via Gregorio VII, 6Tel. e fax: 06 6382605www.cscinema.org · [email protected]

© Centro Studi Cinematografici

In collaborazione con Centro Studi perl’Educazione all’Immagine di Milano

ISSN 1126-067XUn numero euro 6,00

Aut. Trib. di Bergamo n. 13 del 30 aprile 1999

Alla rivista si collabora solo su invito dellaredazione

Testi e immagini vanno inviati a:[email protected]

Direttore responsabileCarlo TagliabueDirettoreMariolina GambaRedazioneMassimo Causo, Luisa Ceretto, Davide Di Giorgio, Anna Fellegara, Elio Girlanda, Flavio Vergerio, Giancarlo Zappoli Collaborazione alle ricerche iconograficheGiuseppe ForoniSegreteria di redazioneCesare FrioniProgetto grafico e impaginazionejessica benucci · www.gramma.itStampa e confezioneTipostampa per conto di Joelle srlCittà di Castello (PG)Finito di stampare: maggio 2015

Abbonamento annuale intestato al Centro Studi Cinematografici

euro 35,00conto corrente postale numero 26862003

Rivista riconosciuta con il criterio di scientificità dall'ANVUR

(Agenzia Nazionale di ValutazioneUniversitaria e della Ricerca) per quantoriguarda la classe 11 (Scienze Storiche,Filosofiche, Pedagogiche e Psicologiche).

Ricordiamo che, grazie alla DirettivaMinisteriale n. 70 del 17 giugno 2002,

è operativa l’azione di rimborso per le spese di autoaggiornamento

degli insegnanti. Tra le spese rimborsabili sono previste anche

quelle relative ad abbonamenti a riviste specializzate.

1915-2015 - Il fantasy va in guerra di Elio Girlanda

I quattro cavalieri dell’Apocalisse di Giulio Fedeli

La grande parata di Flavio Vergerio

All’Ovest niente di nuovo di Alberto Pesce

La grande illusione di Giulio Fedeli

La grande illusione di Stefano Sguinzi

Orizzonti di gloria di Stefano Sguinzi

La grande guerra di Stefano Sguinzi

Uomini contro di Ermanno Comuzio

E Johnny prese il fucile di Flavio Vergerio

Gli anni spezzati di Giulio Fedeli

Joyeux Noël - Una verità dimenticata dalla Storiadi Alessandra Montesanto

War Horse di Giancarlo Zappoli

torneranno i prati di Maria Grazia Roccato

I recuperanti di Silvio Grasselli

Westfront 1918 di Alberto Pesce

Il barone rosso di Giulio Fedeli

La vita e niente altro di Luisa Ceretto

Una lunga domenica di passioni di Elio Girlanda

Fango e gloria - La grande guerra di Franco Brega, Tullia Castagnidoli

dal n. 111

dal n. 051

dal n. 104

dal n. 106

dal n. 106

dal n. 067

dal n. 110

dal n. 091

dal n. 109

dal n. 110

Page 56: Cinema e Grande Guerra - cscinema.org · conflitto mondiale abbiano realmente contribuito a riscrivere pagine di Storia e a riportare fatti, avvenimenti, situazioni in un contesto

CINEMA, TELEVISIONE E LINGUAGGI MULTIMEDIALI NELLA SCUOLA

Cinema e Grande Guerra