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CAPITOLO PRIMO – DALL’ “ETHOS” AL “NOMOS” STORICITÀ DELL’ORDINE SOCIALE IL DIRITTO è un’ istituzione umana di norme coattive o sanzionabili, finalizzate a imprimere un ordine determinato ai comportamenti individuali e collettivi. Il diritto presuppone come condizione indispensabile il darsi d’una concreta forma di vita sociale. LA SOCIETA’ è la convivenza di esseri umani nello spazio e nel tempo. → Ne consegue che qualunque fenomeno sociale risulta portatore di una dimensione “storica” FORMULA GUIDA l’ordine giuridico delle norme è indissociabile dal sistema simbolico dei significati sociali”, ovvero dall’insieme dei valori, delle motivazioni e delle rappresentazioni che costituisce l’orizzonte storico e il contesto culturale di ogni società e che ha una portata “simbolica” perché dà all’esistenza umana un “senso” . ETHOS Significa comportamento,condotta umana ( dal greco “ethos” = etica ). NOMOS È l’equivalente greco della parola latina lex, cioè legge istituita. IL DIRITTO COME REGOLA O COME DECISIONE O COME ORDINAMENTO Carl Schmitt distingueva tre “tipi di pensiero giuridico”, a seconda che si privilegi, nel concepire il “diritto”, la comprensione di quest’ultimo in termini di regola, decisione o ordinamento. Ne conseguono 3 orientamenti giuridici concorrenti, che vanno sotto il nome di normativismo, decisionismo e istituzionalismo . DECISIONISMO. CARL SCHMITT afferma che “anche l’ordinamento giuridico, come ogni altro ordine, riposa su una decisione e non su una norma”. Svolge un ruolo decisivo la sua presa di posizione politica a favore del regime hitleriano, considerato come l’unica risposta possibile ed efficace alla crisi dello Stato liberale classico. Schmitt concepisce il diritto come “decisione” sovrana e originaria.

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CAPITOLO PRIMO – DALL’ “ETHOS” AL “NOMOS”

STORICITÀ DELL’ORDINE SOCIALE

IL DIRITTO è un’ istituzione umana di norme coattive o sanzionabili, finalizzate a imprimere un ordine determinato ai comportamenti individuali e collettivi. Il diritto presuppone come condizione indispensabile il darsi d’una concreta forma di vita sociale. LA SOCIETA’ è la convivenza di esseri umani nello spazio e nel tempo. → Ne consegue che qualunque fenomeno sociale risulta portatore di una dimensione “storica”

FORMULA GUIDA l’ordine giuridico delle norme è indissociabile dal sistema simbolico dei significati sociali”, ovvero dall’insieme dei valori, delle motivazioni e delle rappresentazioni che costituisce l’orizzonte storico e il contesto culturale di ogni società e che ha una portata “simbolica” perché dà all’esistenza umana un “senso” .

ETHOS Significa comportamento,condotta umana ( dal greco “ethos” = etica ). NOMOS È l’equivalente greco della parola latina lex, cioè legge istituita.

IL DIRITTO COME REGOLA O COME DECISIONE O COME ORDINAMENTO

Carl Schmitt distingueva tre “tipi di pensiero giuridico”, a seconda che si privilegi, nel concepire il “diritto”, la comprensione di quest’ultimo in termini di regola, decisione o ordinamento. Ne conseguono 3 orientamenti giuridici concorrenti, che vanno sotto il nome di normativismo, decisionismo e istituzionalismo.

DECISIONISMO. CARL SCHMITT afferma che “anche l’ordinamento giuridico, come ogni altro ordine, riposa su una decisione e non su una norma”. Svolge un ruolo decisivo la sua presa di posizione politica a favore del regime hitleriano, considerato come l’unica risposta possibile ed efficace alla crisi dello Stato liberale classico. Schmitt concepisce il diritto come “decisione” sovrana e originaria.NORMATIVISMO. HANS KELSEN afferma che l’unica risposta alla crisi dello Stato liberale classico sia la democrazia. Il che significa rivendicare e salvaguardare la separazione del diritto e delle sue competenze dall’ambito delle decisioni politiche. ISTITUZIONALISMO. SANTI ROMANO nella sua analisi dell’esperienza giuridica, non parte dalla norma, ma invece individua la sorgente dell’esistenza, della validità e dell’efficacia della norme nell’ordinamento giuridico. La sorgente del diritto, dunque, non sono le norme ma è invece l’ordinamento giuridico. Però quest’ultimo costituisce a sua volta un’istituzione sociale – storica, quindi è fondamentale l’equivalenza tra ordinamento e istituzione. Nell’ordine delle norme non si rispecchia dunque un ordine naturale già dato e predeterminato, ma si esprime la creatività di volta in volta determinata di concreti gruppi umani. Si tratta ora di affrontare il normativismo giuridico attraverso l’esame della “dottrina pura del

diritto” elaborata da Hans Kelsen. In questo autore è lampante il passaggio dall’iniziale decisionismo al normativismo, ossia alla sempre più marcata formalizzazione della legge

Secondo Kelsen, infatti, ci si deve occupare dell’ordinamento giuridico come sistema di norme

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Il nucleo della “dottrina pura del diritto” è per l’appunto l’analisi del sistema giuridico come ordinamento di norme: e l’espressione “dottrina pura” dev’essere intesa nel senso di dottrina non ideologica, priva di presupposi morali e valoriali

il diritto è l’ordinamento giuridico, il quale a sua volta è un sistema di norme: che cosa fonda l’unità della molteplicità delle norme del sistema? Come vengono gerarchizzate? La risposta kelseniana è che l’unità è garantita dalla “norma fondamentale” (Grundnorm), ossia la validità è riconducibile a un’unica norma fondamentale che conferisce unità alla pluralità delle norme

L’attenzione di Kelsen si sofferma sul problema della validità e, in parte, dell’efficacia, trascurando però il problema della giustizia (che non a caso rimanda alla sfera dei valori e delle ideologie)

La differenza tra le norme morali e quelle giuridiche sta nel fatto che le prime sono valide in forza del loro contenuto, il quale ha qualità immediatamente evidente che dà loro validità, mentre le seconde sono valide non per via del loro contenuto, in quanto qualsiasi contenuto può essere oggetto di diritto.

Le norme giuridiche, allora, sono valide perché si sono presentate secondo un metodo specifico: in questa prospettiva, il diritto vale soltanto come diritto posto, nella sua assoluta indipendenza da norme morali. Esattamente in ciò risiede la positività del diritto, il quale è posto autonomamente rispetto alle norme morali, in antitesi col giusnaturalismo.

Dunque, la “norma fondamentale”, lungi dall’essere una norma morale, è essa stessa una norma giuridica: secondo la definizione di Kelsen, essa è “la regola fondamentale per la quale sono prodotte le norme dell’ordinamento giuridico”; essa è

DIRITTO NATURALE E POSITIVISMO GIURIDICO

Nella modernità, che costituisce l’epoca storica nella quale il diritto conquista la propria autonomia e la propria separazione dalle altre sfere sociali, l’insieme ordinato delle norme giuridiche si presenta come l’esito di procedure complesse di deliberazione collettiva; è evidente quindi che il diritto moderno non possa più configurarsi come un ordinamento fisso e predeterminato, capace di fissare una volta per tutte dall’esterno il comportamento umano in ogni suo aspetto.

Si distinguono però, ancora oggi, due pensieri filosofici differenti. DIRITTO NATURALE. Secondo questa visione esisterebbe e sarebbe accessibile una determinazione universale e razionale di ciò che è “giusto per natura” (in opposizione a ciò che è convenzionalmente posto dalle leggi umane). In quest’ottica, a partire dal postulato originario di un fondamento extra – positivo del diritto, sarebbe possibile formulare i principi universalmente giusti dell’ordine sociale, ai quali dovrebbero attenersi tutti gli ordinamenti giuridici concreti..DIRITTO POSITIVO (KANT) Kant presuppone che il diritto abbia un suo fondamento universale, accessibile direttamente, attraverso cui riconoscere ciò che è giusto e ingiusto. In Kant un tale fondamento originario è la “ragione pura”, cioè la capacità della razionalità umana di autodeterminarsi necessariamente e universalmente, senza esser modificata da nessuna esperienza sociale – storica concreta.

Secondo altri autori è la “natura delle cose” che racchiude in se stessa criteri universali e necessari che permetterebbero di distinguere il giusto dall’ingiusto e il bene dal male

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L’ISTITUZIONE GRECA DELLA FILOSOFIA

Socrate afferma che per potersi interrogare sulla giustizia delle leggi, bisogna riconoscere che lo spazio giuridico è un’istituzione sociale – storica e quindi che le sue determinazioni possono essere alterate, riformulate e rielaborate. L’istituzione delle leggi nasce dalla persuasione che è alla base del nomos.Solo se si ammette che non esiste una determinazione normativa a priori è possibile porsi la questione della giustizia, riconoscendo in quest’ultima la posta in gioco di azioni e deliberazioni politiche.Platone voleva affidare ai filosofi il compito di governare la polis, per ottenere la garanzia che le leggi avessero come proprio fondamento la verità divina e la giustizia eterna. Solo così, secondo Platone, sarebbe stato possibile evitare i pericoli e le minacce del regime democratico, in cui le leggi vengono istituite a conclusione di un dibattito pubblico, il quale però, non essendo fondato sulla verità oggettiva e assoluta, non da nessuna garanzia circa la loro giustizia. Platone mette radicalmente in dubbio il valore della persuasione, che costituisce la forma specificamente politica del discorso. Infatti la persuasione presuppone che tutti abbiano la possibilità di formarsi un’opinione corretta, mentre esclude che qualcuno possegga una conoscenza scientifica e incontrovertibile nelle materie su cui devono essere prese decisioni politiche.Aristotele sostiene esplicitamente che il nomos sia taxis (ordine istituito, costruito artificialmente) e non invece cosmos (ordine naturale o spontaneo). Ciò invita a pensare la legge come l’esito di un’attività politica che la precede e la fonda, e che trova nello spazio giuridico una provvisoria stabilizzazione e protezione.

ARENDT la varietà degli ordinamenti è molto ampia, sia nel tempo che nello spazio, ma tutti hanno due caratteristiche comuni: sono stati tutti concepiti allo scopo di assicurare la stabilità e la loro validità non è universale, ma è limitata sia sul piano territoriale, sia, come nel caso della legge giudaica, per il fatto di riferirsi ad un’etnia determinata.

CAPITOLO 2 IL PROBLEMA DELLA CONTINGENZA E L’ORDINE DEL MONDO

Diritto e società si determinano reciprocamente in modi di volta in volta diversi a seconda delle epoche storiche. Nelle società in cui manca una regolamentazione giuridica delle condotte individuali e collettive, la stabilizzazione di queste ultime viene effettuata dal costume.

Gli esseri umani non ricavano dalla natura i modelli che prescrivono regole ai loro comportamenti ma devono “istituire” un sistema di rappresentazioni sociali che dia ai propri comportamenti stabilità e regolarità ma al tempo stesso dà loro un senso.

TEORIA DEI SISTEMI E CONTINGENZA DELL’AGIRE

Castoriadis. Il “sociale – storico” è l’ambito dei valori, delle rappresentazioni ideali, delle motivazioni e delle regole attraverso cui ogni gruppo di individui rende umana la propria convivenza. In questo senso l’ordine sociale storico è sempre necessariamente simbolico e istituito.Simbolico perché le sue componenti non sono meri dati di fatto, ma dei significati che reggono, strutturano e motivano l’esperienza umana.

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Istituito perché tali significati costituiscono il prodotto o l’esito di un’elaborazione umana.

Luhmann afferma che la funzione fondamentale del diritto consiste nel regolare la contingenza delle azioni umane e trasforma radicalmente la nozione classica di “sistema” considerato come un insieme ordinato di concetti logici risultato di una operazione logica preliminare, il cui compito consisteva nell’enucleare l’essenza presente nella realtà e nel trasporla sul piano scientifico del sistema.Con Luhmann si passa da una concezione sostanziale a una concezione funzionale del sistema che riflette il funzionamento degli organismi viventi. Il sistema diventa la forma attraverso cui avviene lo scambio di informazioni con l’ambiente e la riduzione della complessità dello stesso, in funzione degli scopi di sopravvivenza e riproduzione.Ogni sistema produce al suo interno dei sottosistemi a cui vengono delegate funzioni specifiche.Ogni sistema è caratterizzato dall’autoreferenzialità, cioè dalla capacità di riferire a se stesso tutte le informazioni che provengono dall’esterno per autoinnovarsi e dall’autoriflessività, cioè dalla capacità di produrre osservazioni sul proprio funzionamento, per autocorreggersi

PRIMA DELLA MODERNITÁ Le società erano differenziate per strati gerarchicamente ordinati e l’appartenenza a un certo ceto sociale definiva uno status giuridico immodificabile dell’individuo.SOCIETÁ MODERNE Gli strati e gli status sono stati eliminati; l’unica forma di differenziazione vigente è ormai quella funzionale. Ciò vuol dire che gli individui moderni si distinguono in base alle diverse funzioni di ciascuno, che si strutturano come ruoli sociali.

Se si applica la concezione Luhmanniana alla sfera giuridica, questa produce la veduta del diritto come riduttore della complessità dell’ambiente sociale attraverso la selezione di comportamenti valutabili come leciti o illeciti.L’istituzione del sistema giuridico funge da stabilizzatore, ma benché ridotta o regolamentata, la contingenza dell’agire persiste.

IMPLICAZIONI FILOSOFICHE DELLA CONTINGENZA DELL’AGIRE

L’agire umano è strutturalmente contingente, sia perché i comportamenti risultano imprevedibili, sia perchè l’agire stesso MANCA DI UN MODELLO UNIVERSALE E UNITARIO AL QUALE DOVREBBE POTERSI SEMPRE E CMQ ISPIRARE. (Mancanza ontologica).

La tradizione speculativa della metafisica cerca di sottrarsi all’ammissione della contingenza e si adopera per accedere ad una Verità universale e necessaria, che contenga in sé, una volta per tutte, i criteri e i principi fondamentali delle esperienze umane. Secondo questa impostazione, la mente umana, presumendo di avere accesso all’unica verità universale e necessaria, inscritta nella natura o nell’essere o nella struttura a priori della ragione, riuscirebbe a neutralizzare la contingenza, confinandola nello spazio superficiale e marginale dell’apparenza.

FONDAMENTALISMO E NICHILISMO

Una volta scoperta l’irriducibilità della contingenza e la sua radicalità, che s’oppongono alla rivendicazione dell’assoluto, si fa strada un’opposta tentazione: la completa negazione di ogni stabilità e di ogni oggettività.

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NICHILISMO L’ indeterminatezza della contingenza renderebbe evanescente ogni figura di senso, togliendo alle cose qualunque tipo di oggettività. L’unica conseguenza è il fatto che nessuna realtà potrà aver mai un significato fornito di una qualche stabilità.

Fondamentalismo e Nichilismo sono due atteggiamenti speculari, ma entrambi presuppongono che possa accedersi direttamente e una volta per tutte alla struttura dell’originario, considerato il fondamento necessitante della nostra esperienza. Entrambe le prospettive sono accomunate da un accanito diniego della struttura concreta della nostra esperienza quotidiana nella sua effettività. In realtà nichilismo e fondamentalismo attribuiscono a un qualche intrinseco deficit dell’esperienza umana il fatto che la struttura originaria e fondamentale del reale le resti preclusa. Sennonché questa inaccessibilità non deriva dalla natura limitata e finita dell’esperienza soggettiva, bensì dalla struttura stessa dell’origine.

- Per il pensiero speculativo (fondamentalismo), l’originario è il luogo della coincidenza assoluta e permanente di essere e significato

- Per il relativismo nichilistico, l’originario è viceversa il luogo d’una radicale assenza di senso implicante la divaricazione assoluta di essere e significato.

Questa necessità di partire dalla natura contingente rivela la struttura stessa dell’originario, alla quale mancano i tratti di universalità e necessità che i “fondamentalisti” vi riconoscono e i nichilisti vi disconoscono. L’origine, in se stessa indeterminata e sprovvista di senso, potrà acquisire solo quello che le sarà conferito a posteriori. Solo la mediazione storico – sociale riesce di volta in volta a dare ordine al caos originario, attraverso l’istituzione di un sistema simbolico. Il fatto che l’elaborazione di significati, valori e norme non sia riconducibile alla struttura universale e razionale dell’originario non toglie ai significati che lo abitano quel tanto di oggettività e determinatezza, che riesce di volta in volta a stabilizzare e ordinare efficacemente l’esperienza quotidiana.

CAPITOLO TERZO – L’ISTITUZIONE DEL DIRITTO MODERNO

LA RIVOLUZIONE DEMOCRATICA E LA SEPARAZIONE TRA DIRITTO E POTERE

La modernità nasce dal passaggio dal sistema simbolico all’istituzione di norme giuridiche.Anche le norme giuridiche sono significati sociali ma si distinguono dagli altri per essere sanzionati, stabilizzati. Nella società moderna il significato fondamentale è dato dal DIVIETO DI INTERFERIRE NELLA SFERA ALTRUI SENZA IL CONSENSO DELL’INTERESSATO.

La principale caratteristica del diritto moderno consiste nel suo svincolarsi rispetto al potere e alla tradizione, differenziandosi e autonomizzandosi dalla politica, dalla morale e dalla religione. La legge è intesa come il risultato di un’attività collettiva, esplicitamente riconosciuta, e sottoposta a una rigorosa regolamentazione pubblica.

Gli eventi che hanno portato alla modernità sono:

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Dal punto di vista economico la rivoluzione industriale che, a partire dalla seconda metà del 700, diede inizio a una graduale e ininterrotta trasformazione dell’ Europa, fino ad allora agricola e feudale

Dal punto di vista sociale la “rivoluzione democratica”, cioè il passaggio dall’ancien regime, società di ceti e privilegi, all’eguaglianza delle condizioni degli individui.

Dal punto di vista politico sono 3 gli eventi decisivi: la rivoluzione inglese del 1688, che instaurò il regime parlamentare e vide in esso la “fondazione dell’impero della legge”; la rivoluzione americana che sostituì al “governo degli uomini” il governo delle leggi; la rivoluzione francese con la Dichiarazione dei diritto dell’uomo e del cittadino ( 1789 ).

L’esito di questo complesso processo di modernizzazione economica, sociale e politica è la reciproca limitazione di diritto e potere, i quali, al contrario, nelle società premoderne risultavano amalgamati, rendendo di fatto impossibile la distinzione di piani tra diritto, morale, religione e politica.

Mario Barcellona, il diritto prima che un sistema di regole, costituisce un “sistema di senso”, e non riuscirebbe ad essere la prima cosa senza la seconda. Il “senso” è l’insieme dei significati, dei valori, delle motivazioni da cui sono ispirate le norme giuridiche.

Le norme costituiscono l’espressione codificata di significati e valori, presenti nella sfera sociale, da dove però prelevati e sottoposti al passaggio attraverso un filtro istituzionale e procedurale.La produzione delle norme costituisce il momento culminante della ben più ampia e profonda creazione sociale – storica di modelli prescrittivi di comportamento, in cui confluiscono le condizioni socio – economiche, lo stato delle tecnologie, la temperie culturale e la visione del mondo di una determinata epoca storica.

LO SPAZIO SIMBOLICO DELLA DEMOCRAZIA E IL DIRITTO

Lo spazio della democrazia va inteso come uno spazio simbolico. Ciò vuol dire riconoscere che in esso è all’opera un riferimento decisivo a qualcosa che nel dato di fatto non è presente.Nessuna società può esistere senza istituzione e senza legge, ma l’ordine istituito delle leggi deve essere posto da ogni società nel suo insieme, “senza poter ricorrere a una fonte o a un fondamento extra – sociale”.

NOMOS È ciò che è proprio di ogni società, ciò che si oppone alla natura fisica ( physis ); al tempo stesso nomos è la legge, senza di cui gli esseri umani non possono esistere in quanto esseri umani, poiché non c’è cittadinanza senza leggi e non ci sono esseri umani al di fuori della cittadinanza. Secondo Aristotele l’uomo si umanizza soltanto nella polis e per mezzo di essa.Il nomos ha quindi 2 facce: è Istituzione di una particolare società e al contempo è il presupposto transtorico perché ci sia società, il che significa che, qualunque sia il contenuto del suo nomos particolare, nessuna società può vivere senza un nomos.

Democrazia significa il potere del popolo, in altre parole, il fatto che il popolo fa le sue leggi, e , per farle, deve essere effettivamente convinto che le leggi siano un prodotto umano.

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DAL DIRITTO ALLA LEGGE E DAL DIRITTO AI DIRITTI

La società moderna finisce col rappresentarsi come artefice della propria autodeterminazione. Ne sono dei segnali le solenni dichiarazioni dei diritti, l’importanza attribuita al momento procedurale della produzione legislativa e la considerazione moderna del diritto come leggi emanate dall’autorità competente e sostenute dalla volontà collettiva.

LA LEGALITÁ TRASCENDENTALE E LA RIMOZIONE DELL’ISTITUITO

La modernità s’istituisce attraverso la critica ovvero il rifiuto di dare la propria adesione a dei significati oggettivi tramandati dalla tradizione e trasmessi solo in forza dell’autorità di quest’ultima. Quindi i significati sociali e i valori culturali, invece di propagarsi in virtù d’una non interrotta trasmissione della loro forza vitale, vengono sottoposti a un esame critico radicale. Non valgono più in quanto tali, ma solo dopo aver superato la prova del dubbio. L’introduzione della riflessione critica costituisce indubbiamente l’evento fondatore della modernità, e interrompe la continuità di significati, valori e norme della società tradizionale.

La modernitàA ) Da un lato si pone all’origine delle norme perché fa del diritto una sfera sociale separata e autonomaB ) Dall’altro lato però tende a disconoscere l’origine storico – sociale e il carattere istituito di quelle stesse norme.

Col passaggio alla modernità l’accesso ad un’unica verità trascendente e sacra diventa problematico, e di conseguenza prende corpo l’interrogazione critica sui significati e sulla loro contingenza. Il progetto della modernità ha svariate e complesse implicazioni: ma innanzitutto dovrebbe presupporre l’esplicito riconoscimento della contingenza di tutti gli assetti del mondo storico. Una volta riconosciuta la contingenza in contrasto con la tradizione, LA MODERNITÁ CERCA SUBITO NUOVE FORME DI STABILITÁ E NECESSITÁ e le trova nella pretesa di fondare l’ordine sociale sull’universalità necessaria della Ragione o della Natura.

CAPITOLO QUARTO – LO STATUTO DELLA NORMA TRA “PHYSIS” E “NOMOS”

LA NORMATIVITÁ COME ISTITUZIONE SOCIALE

La normatività non è soltanto una componente del sistema simbolico, ma una sua istituzione, cioè l’effetto o l’esito del suo istituirsi. La dimensione normativa costituisce il primo prodotto della stessa creazione sociale dei significati. La normatività del sistema simbolico è dunque una normatività istituita.La normatività non ha luogo secondo un unico modello, ma in modi e forme storicamente diversi. Perciò fondare la normatività del sistema simbolico si di un unico modello prescrittivo appare di conseguenza irrealizzabile.

LA “NATURA UMANA” COME UNIVERSALE NORMATIVO

Il naturalismo afferma che “ i meccanismi del pensare e del sentire non sono mai stati diversi per nessuno. Se è vero che la specie umana è una sola, esiste anche un’unica

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costituzione comportamentale e cognitiva che la contraddistingue attraverso tutte le culture.Dall’unica natura e identità umana dovrebbe derivare anche, se non proprio un unico diritto, certamente un’unica figura della normatività e del suo senso. Ma l’unica natura umana, l’unica base NON FORNISCE NIENT’ALTRO CHE UNA PREMESSA o una condizione, necessaria, ma da sola non sufficiente, alla produzione di comportamenti umani concreti (che devono necessariamente essere di volta in volta effettivamente istituiti)

JERVIS → Parla di “predisposizione innate” a modi di apprendimento.Senza un qualche tipo di socializzazione del singolo essere umano, per quanto quest’ultimo risulti fornito di un corredo universale di informazioni genetiche, non si potrà osservare alcun comportamento individuale umano. Infatti né l’universalità delle capacità e dei processi cognitivi, né tanto meno un fondamento naturale innato dalla mente umana, riescono a produrre il suo funzionamento concreto. Quest’ultimo implica sempre la costituzione dell’individuo sociale.

LINGUAGGIO, LINGUA E ISTITUZIONE

n una prospettiva naturalistica L’ESPERIENZA GIURIDICA FINIREBBE COL PERDERE SPECIFICITÁ, POICHÉ TROVEREBBE FUORI DI SÉ I CRITERI NORMATIVI ai quali le prescrizioni umane dovrebbero attenersi.

Ciò che in questo modo risulta messo del tutto fuori gioco è il momento creativo dell’istituire, che presuppone la contingenza e che si svolge nello spazio indeterminato del sociale – storico. L’istituire si radica nel linguaggio

Il linguaggio parlato tra esseri umani non ha mai soltanto una dimensione “duale” ( non è mai soltanto il linguaggio privato che si parla tra due persone ), ma presuppone la mediazione dell’intera pluralità umana. Senza questa complicazione, lo stesso linguaggio “duale” non sarebbe neanche possibile. Infatti anche nell’intimità del colloqui più privato, bisogna inevitabilmente ricorrere alle parole,alle regole, alle strutture sintattiche d’una lingua determinata e comune. Proprio perché presuppone la complicazione originaria della pluralità umana, il linguaggio è connesso intrinsecamente alla creatività dell’istituire.

Ogni lingua, in quanto istituzione sociale – storica, ha una dimensione intrinsecamente collettiva, le iniziative individuali possono venir accolte dalla lingua e contribuire alla sua evoluzione solo se le loro inevitabili innovazioni si intrecciano ai significati sociali – storici che le precedono.

CASTORIADIS ” La istituzione prima della società è il fatto che la società crea se stessa in quanto società. L’istituzione prima si articola e si organizza in istituzioni seconde ( non secondarie ), che possiamo dividere in due categorie. TRANS – STORICHE È tale per es. il linguaggio: ogni lingua è diversa, ma non c’è società senza linguaggio; SPECIFICHE di determinate società e svolgono in esse un ruolo assolutamente fondamentale. Per citare qualche esempio: la polis greca è un’istituzione seconda specifica, senza la quale il mondo greco antico è impossibile e inconcepibile.

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L’ ISTITUENTE E L’ISTITUITO

Ogni società costituisce il suo simbolismo, ma non può farlo in totale libertà giacché esso s’aggancia a ciò che è naturale e a ciò che è storico. La storicità del diritto si rivela in tal modo connessa all’istituzione sociale del sistema simbolico.

La configurazione concreta di una società è resa possibile dalla dialettica di istituente e istituito . Come sostiene Castoriadis nella sua teoria dell’istituzione immaginaria della società, in ogni società data c’è sempre uno scarto, tra la stabilità delle istituzioni sociali e ciò che attivamente ne determina l’assetto. L’istituzione del sociale risulta dall’intersezione tra istituente e istituito.

Ciò che costituisce e determina ogni società, in nessun caso la trascende dall’esterno. Non c’è nessuna alterità che dall’esterno potrebbe fondare universalmente il sociale. La determinazione dell’assetto globale d’una qualunque società è sempre e soltanto l’opera di questa stessa società.

Il vero compito politico della società democratica consiste nel fare degli esseri umani, attraverso l’istituzione delle leggi, i soggetti attivi del proprio cambiamento. Proprio questo è il contenuto della loro libertà.

CAPITOLO QUINTO – IL DIRITTO ISTITUITO E LA SUA LEGITTIMAZIONE

L’AUTOFONDAZIONE DELL’ORDINE GIURIDICO

La normatività si radica nella socialità, le norme che strutturano la vita d’un gruppo umano e i principi cui esse si ispirano sono a loro volta istituzioni sociali. E lo sono anche quando il discorso sociale li riferisce ad una fonte trascendente. Perché la stessa trascendenza deve necessariamente assumere una figura concreta per poter diventare significativa all’interno di un determinato contesto storico – sociale.

L“AUTORE” DELLE NORME va individuato nell’attitudine collettiva alla produzione di senso, valori e motivazioni, attraverso cui s’instaura, si mantiene in vita e si rafforza il legame sociale. L’ordine giuridico delle norme si mostra radicato nel sistema simbolico dei significati sociali. La società potrebbe fare a meno dell’istituzione delle norme solo nell’orizzonte fittizio della singolarità assoluta, che però renderebbe impossibile la sopravvivenza della specie umana.

Nelle società tradizionali e premoderne, con la sola eccezione della classica greco – romana, il rapporto tra l’esperienza e le norme è analoga al rapporto tra la lingua parlata e regole grammaticali. Nella democrazia il parallelismo tra regole grammaticali e regole giuridiche s’interrompe, perché il processo di formazione delle regole giuridiche diventa esplicito e viene pubblicamente sottoposto a un controllo collettivo . NORME E METANORME

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La società moderna riconosce di essere la fonte delle proprie norme giuridiche. Il diritto tende a concepirsi come legge posta da un’autorità competente, in conformità a procedure a loro volta regolate da norme giuridiche.

Per regolamentare il modo con cui effettua la produzione di norme giuridiche , la società ricorre alle cosiddette “norme di seconda istanza” o “metanorme” la cui funzione è di regolare quei particolari atti umani che sono gli atti produttori di norme.

Configurando il diritto come una tecnica di produzione di comandi mediante procedimenti regolati dallo stesso diritto , la democrazia moderna si libera da ogni tutela trascendente.

La norma giuridica, in virtù della sua natura formale e puramente razionale, diventa il centro di un sistema normativo. Gli esseri umani diventano individui liberi e uguali davanti la legge che li costituisce in soggetti astratti di diritto.

NORMA GIURIDICA E LEGGE NATURALE

Né la norma né il soggetto possono preesistere all’ordinamento. Entrambi presuppongono il sistema giuridico . La norma sarebbe inconcepibile senza l’ordinamento, proprio perché essa va intesa come “la regola che trae la propria validità da un’altra norma gerarchicamente superiore e non già dalla volontà dell’agente”. Il soggetto giuridico discende dall’ordinamento, giacche costituisce soltanto il centro di riferimento dell’insieme di norme che si applicano alle azioni da esso compiute.

Secondo la metafisica dall’esistenza di cose buone per natura si dovrebbe passare alla determinazione giuridica di quel che è giusto e sbagliato; insomma il “giusto per natura” darebbe luogo a una legge universale, valida ovunque e sempre, indipendentemente dalle leggi concrete contenute negli ordinamenti giuridici.

I difensori del diritto naturale parlano di un “giusto per natura”.In questa prospettiva, la validità delle stesse norme giuridiche sarebbe subordinata alla loro conformità al diritto naturale (al “giusto per natura”) Il che tuttavia presuppone l’annullamento della contingenza.Le leggi naturali sono universalmente date; sono elaborate o scoperte dalle scienze naturali. Le norme giuridiche sono prodotte o istituite e perciò sono sempre particolari; sono poste dagli ordinamenti.

LA POSITIVIZZAZIONE DEL DIRITTO E IL SUO SIGINIFICATO FILOSOFICO

Ciò che rende umana la vita , non è il suo radicamento naturale, ma la mediazione istituzionale che, che attribuendole una regolarità artificiale, le conferisce la sua configurazione culturale e storica.

DIRITTO COME SISTEMA Il diritto si deve presentare come un sistema autosufficiente che fissa in modo esaustivo i parametri per la valutazione delle condotte e dei comportamenti secondo la logica binaria del lecito e dell’illecito. In quanto sistema autonomo, il diritto è anche normativamente chiuso, nel senso che nel programma sono tendenzialmente previsti tutti gli elementi necessari per il verificarsi delle conseguenze giuridiche .

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L’applicazione del diritto avviene come sussunzione del fatto nella norma che ipotizza la fattispecie. LA TECNICA DELLA FATTISPECIE consiste nella definizione degli elementi costitutivi di un tipo astratto di azioneL’ OPERAZIONE DI SUSSUNZIONE consente la qualificazione giuridica del caso concreto attraverso la riconducibilità dello stesso agli elementi del tipo generale e astratto di azione previsto dalla norma

Il contenuto della norma fondamentale riposa su quegli elementi di fatto che hanno prodotto l’ordinamento cui corrisponde. Non si tratta quindi d’una norma ulteriore o superiore, ma del presupposto sociale del sistema normativo.

VALIDITÁ E TRASFORMABILITÁ DELLE NORME

Le norme in quanto istituzioni sociali, non hanno nessuna eternità o immodificabilità: sono sempre modificabili dall’attività istituente da cui traggono origine, valore e legittimità. Questa è una conseguenza della positivizzazione del diritto che ha avuto luogo nella modernità.

CAPITOLO SESTO – SISTEMA SOCIALE E NORMATIVITÁ

ORDINE SOCIALE E NORMATIVITÁ

La dimensione simbolica dell’ordine normativo viene al tempo stesso riconosciuta e disattesa dalla modernità. Riconosciuta perché la società moderna “inventa” l’autonomia del diritto; disattesa perché l’effetto di questa invenzione viene subito sottratto alla storicità e presentato come universale. L’ordine delle norme effettua così il diniego del proprio carattere istituito.

L’ordine sociale nelle civiltà premoderne si concepisce come estensione di una verità trascendente, capace di reggere l’universo intero. Con la modernità, l’ordine non si pone più come un dato insindacabile, indiscusso e sovrano, ma diventa la posta in gioco di un’isituzione umana.

SISTEMA GIURIDICO E CONTINGENZA

L’ordine sociale moderno, nato dal riconoscimento della contingenza, una volta costituito, occulta la propria storicità. Si produce così la rimozione originaria della contingenza .

Al diritto viene attribuito il ruolo di regolamentare la vita sociale. Il suo ruolo è quello di stabilizzare i comportamenti e rassicurare le aspettative dei consociati.

LA TEORIA DEI SISTEMI E LA CONCEZIONE FUNZIONALISTICA DELL’ISTITUZIONE

JACQUES LACAN dice che “ la specie umana è caratterizzata da uno sviluppo singolare delle relazioni sociali e quindi viene permessa una infinita varietà di comportamenti adattivi. La loro conservazione e il loro progresso costituisce la cultura.

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La cultura quindi, costituisce una dimensione che non si trasmette per via genetica, è l’opera collettiva attraverso cui si istituisce la molteplicità di significati, motivazioni, valori e norme che rendono umana la vita.

Secondo un altro punto di vista l’istituzione è costituita da un apparato strumentale, volto a risolvere i problemi incontrati dall’uomo entro il suo ambiente vitale nel tentativo di soddisfare i propri bisogni elementari. In questo modello teorico, l’istituzione si riduce a momento strutturale dell’evoluzione biologica dell’individuo, e la funzione consiste nello stabilizzare l’ambiente esterno e nel garantire o nell’accrescere la sicurezza degli atti finalizzati al soddisfacimento dei bisogni.

AENOLD GEHLEN La concezione dell’essere umano elaborata da Gehlen è detta antropologia negativa o antropologia della mancanza, perché spiega il comportamento umano partendo dalla mancanza d’un istinto puramente biologico che regolamenti la i bisogni e le pulsioni di cui è fornito ogni individuo della specie umana. L’uomo appare come un animale “incompiuto”, perennemente esposto al rischio del futuro, e perciò ha bisogno di essere disciplinato. Insomma la negatività biologica dell’essere umano diventa la premessa necessaria per l’istituzione “culturale”.

In questa prospettiva la cultura si presenta come una “seconda natura” il cui compito consiste nell’allontanare l’individuo dall’immediata pressione delle pulsioni, per orientarlo verso attività non direttamente connesse ai bisogni primari, ma in realtà indispensabili perché questi ultimi possono essere soddisfatti. Gehlen chiama “ESONERO” questo spostamento delle energie individuali verso attività culturali e simboliche, che consentono il soddisfacimento indiretto dei bisogni primari.

Senza l’ “esonero” messo in atto dalla cultura, il singolo rimarrebbe prigioniero del mondo fluttuante delle pulsioni, e perciò non potrebbe selezionare le azioni compatibili con il soddisfacimento dei bisogni ed escludere le azioni incerte o pericolose. Lo strumento capace di ridurre al minimo il rischio dell’esito dell’azione individuale è quindi la stabilizzazione di determinati comportamenti attraverso l’istituzione di regole.

L’approccio di Gehlen è rigorosamente individualista. Secondo la sua antropologia, l’organismo umano non è in grado, senza l’apporto di dispositivi esterni, di soddisfare i bisogni individuali. Interviene allora la cultura che s’incarna in istituzioni, le quali hanno il compito di fissare in una gabbia normativa un autonomatismo che sostituisca il codice biologico. Nella concezione funzionalistica, ogni istituzione è finalizzata al soddisfacimento di un bisogno. Ma nel mondo umano, nessun bisogno porta in sé la definizione dell’oggetto atto a soddisfarlo. La creazione sociale – storica dei bisogni è il processo attraverso il quale l’umanità attribuisce di volta in volta un contenuto preciso ai propri bisogni.

IL DIRITTO COME SISTEMA IMMUNITARIO DELLA SOCIETÁ

Luhmann afferma che il diritto funge da SISTEMA IMMUNITARIO DELLA SOCIETÁ e produce certezze per aspettative di comportamento non ovvie.

La funzione del diritto non sta nell’evitare i conflitti, ma nell’istituzionalizzarli, prevenendo il loro precipitare nella violenza, e fornendo ad ogni eventuale conflitto forme di comunicazione appropriata. In questo senso dice Luhamnn, “ il diritto serve a continuare la comunicazione con altri mezzi”, evitando la violenza e garantendo la sicurezza del sistema

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sociale. In ciò consiste la sua funzione immunitaria, in quanto il diritto si rivela funzionale alla sopravvivenza sociale.

COGNITIVITÁ E NORMATIVITÁ

Il modello biologico dell’autoreferenza non può essere semplicemente trasferito o trasposto dagli organismi viventi alle società umane, come sembra fare la teoria dei sistemi; perché questa trasposizione possa aver luogo, è preliminarmente necessario che venga istituita una forma concreta di identità collettiva alla quale il sistema sociale potrà riferirsi. Insomma l’autoreferenza nel suo passaggio dal biologico al sociale deve essere istituita.

CAPITOLO SETTIMO – L’ORDINAMENTO GIURIDICO COME ISTITUZIONE

GIUSEPPE GUARINO “ l’uomo a-istituzione, fuori o senza istituzioni non esiste. Non esiste l’uomo di “natura”, esiste solo l’uomo quale si forma attraverso la mediazione delle istituzioni. Quindi, la presenza delle istituzioni nella vita umana è fondamentale e centrale.

IL CONCETTO SOCIOLOGICO DI ISTITUZIONE

Luciano Gallino. L’istituzione è un “complesso di valori, norme, consuetudini che definiscono e regolano durevolmente:

- I rapporti sociali e i comportamenti reciproci di un determinato gruppo di persone;- I rapporti che un insieme non determinabile di soggetti hanno ed avranno a vario

titolo con tale gruppo senza farne parte

MASSIMO LA TORRE L’istituzione è l’ “ambito di azioni reso possibile da norme”, le norme in questione non possono precedere l’istituzione , perché senza istituzione le stesse norme non sarebbero né valide né efficaci. SANTI ROMANO riconduce l’istituzione alla creatività dell’agire, ciò significa che bisogna riconoscere la contingenza dell’essere. HANNAH ARENDT distingue la produzione tecnica dall’azione etica e politica: la produzione tecnica ha un modello esterno che le preesiste, e che costituisce anche il fine da realizzare; l’azione etica e politica deve crearsi il proprio modello e non ha un fine esterno.

L’ISTITUZIONE DELL’ORDINAMENTO

SANTI ROMANO esclude chiaramente che lo Stato sia l’unica fonte del diritto. Quindi la “potestà di porre un nuovo diritto non precede il diritto “, ma “si muove nell’orbita di un diritto preesistente La legge, quindi, non è mai il cominciamento del diritto ma, un’aggiunta al diritto preesistente o una modificazione di esso.

L’ordinamento giuridico è un ‘entità che si muove in parte secondo le norme , ma soprattutto, muove, quasi come pedine in uno scacchiere, le norme medesime, che così rappresentano piuttosto l’oggetto e anche il mezzo della sua attività, che non un elemento della sua struttura. L’autore afferma che elemento del diritto è anche la sanzione.

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L’ordine sociale posto dal diritto non è un semplice effetto delle norme giuridiche, al contrario esso le precede. Senza un ordine storico – sociale concreto, la stessa produzione regolata di norme giuridiche non potrebbe avere luogo. Santi Romano conclude che il diritto è anzitutto “organizzazione, struttura, posizione della stessa società in cui si svolge e che esso costituisce come unità”.

Il concetto di istituzione di Hauriau è forgiato a immagine e somiglianza dello Stato moderno, mentre per Santi Romano la nozione di istituzione delinea una figura generalissima i cui caratteri contingenti variano all’infinito.

CAPITOLO OTTAVO – MEDIAZIONE ISTITUENTE E IMMAGINARIO SOCIALE

TEORIA DELL’ISTITUZIONE IMMAGINARIA DELLA SOCIETÁ – CASTORIADIS Afferma che bisogna distinguere l’istituzione globale della società dalle istituzioni seconde che al suo interno prendono corpo. “La società è autocreazione. Quello che crea la società è la storia e la società istituente. L’autoistituzione della società è creazione di un mondo umano: di “cose”, di “realtà”, di linguaggio, di norme, di valori, ma prima di tutto creazione dell’individuo umano. In questa creazione generale della società, ogni istituzione particolare della società rappresenta una creazione particolare. CREAZIONE → “posizione” di una nuova essenza.

MAURICE MERLEAU – PONTY L’istituzione è un insieme di eventi che dotano l’esperienza di dimensioni socialmente durevoli, e che la rendono capace di dare senso ad altre esperienze. L’esito di questo processo è tale che nell’istituito si conserva la traccia, l’efficacia e il movimento dell’istituente. L’istituzione in quanto fondazione, non è un prodotto stabile giacchè c’è la possibilità della sua perpetuazione attraverso la ripetizione, quanto la possibilità di riattivare l’originaria forza istituente.

L’IMMAGINARIO E IL MIMETISMO

L’immaginario è “luogo” della creazione dei significati sociali.

Castoriadis. È l’immaginario della società e dell’epoca considerata che fornisce ad ogni sistema istituzionale il proprio orientamento, il modo singolare di vivere.

Galimberti. Inventando senso e dandolo a ciò che non ne ha,l’immaginazione produce quelle false evidenze che poi diventano un modo legittimo di pensare e di agire, quindi un’abitudine, e perciò una seconda natura”. Quindi, l’immaginario è la “capacità di far sorgere come immagine un qualcosa che non è e non è mai esistito”. Si tratta cioè di una capacità originaria di creare significati.

IL DIRITTO COME TECNICA SOCIALE

Secondo i parametri del diritto moderno, questo sembra ridursi e mezzo finalizzato al conseguimento della pace sociale. Subordinandosi radicalmente alla tecnica, e divenendo esso stesso una mera tecnica sociale, il diritto finirebbe col perdere ogni sua autonomia e specificità.

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NICHILISMO GIURIDICO → il destino della modernità sarebbe la tendenziale scomparsa del diritto e della politica. La norma o la legge, infatti, nella tradizione metafisica Occidentale, hanno sempre coinciso con un unico Ordinamento stabile e vero dell’essere, al e ci sarebbe una potenza suprema, da tutti riconosciuta come tale.Nella modernità si mostra l’inesistenza d’una potenza suprema e l’impossibilità del sapere incontrovertibile. Venuti meno i fondamenti tradizionali l’unica potenza riconosciuta come suprema è la Tecnica.

TECNICA Severino: “tecnica non è semplicemente la coordinazione dei mezzi più idonei per raggiungere uno scopo che sia esterno alla tecnica. La tecnica ha un proprio scopo.”

NATALINO IRTI afferma che declinati i fondamenti, il diritto positivo si è ripiegato per intero nelle procedure. Irti si allontana da Severino sostenendo che ciò che vale per la tecnica non vale in tutto e per tutto per il diritto. Irti rivendica all’esperienza giuridica uno spazio autonomo, da sottrarre all’assolutizzazione della Tecnica. Nella sua astrattezza, quest’ultima infatti non è in grado di rispondere alle specifiche domande del diritto.Quest’ultimo potrà magari ridursi a pura struttura formale indipendente dai contenuti concreti che possono riempirla, ma deve cmq mantenere una sua specificità, pena la dissoluzione della stessa esperienza giuridica.

LA TECNICA COME CREAZIONE SOCIALE

La tecnica è una creazione umana, e quindi indissociabile dal suo contesto sociale – storico di volta in volta dato. Quindi presuppone la contingenza dell’essere e si definisce come un momento dell’istituire sociale – storico.

LA GLOBALIZZAZIONE E IL DIRITTO

Il diritto moderno nasce come procedura formale finalizzata a ordinare una molteplicità atomizzata di individui. Ma l’astrazione del soggetto moderno in quanto individuo “senza qualità”, pone il problema della sua mediazione con un’istanza di universalità generale. Solo quest’ultima, infatti, è ritenuta in grado di produrre ordine, e di limitare le conseguenze distruttive della conflittualità degli individui singolarizzati e contrapposti.

Ciò che rischia di scomparire è il privilegio che la società moderna aveva attribuito a sé stessa: quello di regolare la propria creazione.

IL CONTENUTO NORMATIVO DELLA MODERNITÁ E LA RIMOZIONE DELL’ISTITUZIONE

In questo processo, il protagonista indiscusso è la particolarità o la singolarità del soggetto individuale. Sembra ormai che le singolarità non abbiano più bisogno di universalizzarsi attraverso un processo di mediazione simbolica, in quanto si ritiene che ciascuna di esse sia già in rapporto diretto con l’universale.

HABERMAS Sostiene che lo specifico della modernità è dato dal suo attingere la propria normatività solo da se stessa. L’orientamento prodotto dalla modernità è normativo se e solo se si sottopone alla verifica della sua validità. La garanzia del contenuto razionale della modernità è solo la conformità a una tecnica procedurale che presume di essere garanzia di razionalità e criterio ultimo di senso.

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Se è vero, che la democrazia moderna rimette il contenuto normativo della società all’attività di deliberazione e di produzione di senso della società stessa, è altrettanto vero che si disconosce la propria collocazione storico – sociale determinata. La creatività dell’agire collettivo, allora, si confina nello spazio dell’ interpretazione. Ma il primato dell’interpretazione è al tempo stesso effetto e rimedio dell’odierna crisi della normatività.

CAPITOLO 9 CRISI DELLE ISTITUZIONI E PRIMATO DELL’ INTERPRETAZIONE

Le norme giuridiche sono anzitutto strumenti ad un fine di convivenza sociale;la trasposizione dei contenuti sociali in termini giuridici è un atto istituente.

Le norme non sono la mera registrazione dei dati di fatto, ma invece l’esito di una deliberazione sociale e sono istituite per dare alla vita sociale un ordine e un senso. Quest’ordine resta sempre suscettibile di cambiamenti e rielaborazioni, rimesse alla responsabilità delle deliberazioni collettive.

LA PROLIFERAZIONE DELLE LEGGI E LA GIURIDICIZZAZIONE DEL SOCIALE

L’inflazione normativa costituisce il segnale più appariscente dell’attuale difficoltà delle norme a ordinare una società complessa come la nostra. Quando viene meno la forza sociale che le tiene invita, le istituzioni entrano in crisi. Di conseguenza il diritto tende a permeare di sé tutti gli spazi della vita sociale, proponendo norme per ogni suo aspetto e risvolto.

Paradossalmente, proprio mentre si producono miriadi di leggi per far fronte sempre a nuove emergenze, si tende a negare il loro carattere creativo, cioè la loro dipendenza da deliberazioni e scelte sociali – storiche, e si tende a vedere in esse il riflesso di una legalità a priori.

Nasce da questa ipertrofia ( = aumento di volume ) del tessuto legislativo la tecnica di affidarsi in partenza a formulazioni letterali volutamente ambigue, per scaricare in altre sedi l’onere dello scioglimento forzoso dell’ambiguità. Ciò contribuisce ad accrescere il ruolo delle interpretazioni giudiziali.

LA CENTRALITÁ DELL’INTERPRETAZIONE

L’interpretazione acquisisce un ruolo determinante. Si tratta di una creatività individuale, all’opposto della creatività che s’esprime nella produzione legislativa, che è collettiva, modulata secondo regole determinate.

Bisogna tenere distinti i due momenti della legislazione e interpretazione. In realtà la loro distinzione implica una subordinazione: ed è proprio tale subordinazione che il primato

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dell’interpretazione tende a ribaltare, con la conseguenza, giuridicamente insostenibile, che l’intervento individuale dell’interprete, se lo si ritiene sciolto dall’obbedienza al vincolo statuito dalle legge positiva, potrebbe giungere a modificare o addirittura stravolgere il senso stesso che il sistema delle norme vigenti ha istituito. Il momento decisivo culmina nella produzione legislativa, ovvero la creazione collettiva istituente, sulla quale poi dovrà esercitarsi la creatività dell’interprete. Oggi però la centralità si sposta sul piano giudiziario.

L’ETÁ DELLA DECODIFICAZIONE

Il processo di decodificazione risale alla crisi dello Stato liberale classico basato sul principio di legalità, cioè sull’assoluto predominio di un’unica fonte legislativa. Con la crisi dell’idea di codice:1. Si attribuisce sempre più importanza alle leggi speciali,2. Si formano micro – sistemi normativi riguardanti una determinata materia, 3. Si moltiplicano discipline settoriali che proliferano accanto al Codice civile, ma finiscono

poi per invaderne il territorio.4. Entra in crisi la stessa unità dell’ordinamento giuridico.

Mentre cresce la giuridicizzazione della vita concreta, l’inettitudine normativa della società e delle sue istituzioni viene surrogata dalla creatività degli interpreti. L’onere della decisione pratica presa caso per caso assume in sé dignità legislativa. L’interprete diventa il legislatore chiamato di volta in volta a risolvere il caso concreto.

La conseguenza di questo processo è il cambiamento radicale del ruolo dei giudici, infatti la produzione legislativa sempre più abbondante e caotica, lascia aperti margini ampi di creatività da parte del giudice.

L’ampliarsi del flusso legislativo è tale che conduce all’adozione di nuove tecniche, e soprattutto alla delega di poteri normativi al Governo, o ad organi istituzionali nuovi.

La norma giuridica era originariamente una statuizione generale e astratta rivolta a tutti i soggetti di un ordinamento giuridico. La produzione di norme era scarsa, cambiava lentamente e derivava in gran parte da una sola fonte, quella legislativa. Ora la legge diventa statuizione programmatica; spesso, quando prevede una delega, non è suscettibile di applicazione immediata ma rimanda ad altri organi dello Stato, ne deriva una molteplicità di fonti normative, e un flusso legislativo continuo, spesso contraddittorio, con traslazione di poteri dal legislativo all’amministrazione dello stato.

LA CREATIVITÁ DELL’INTERPRETAZIONE

Il primato dell’interpretazione attenua dunque la separazione dei poteri. La sua conseguenza più evidente è la trasformazione del ruolo del giudice e in generale una nuova funzione del potere giudiziario. Tra le conseguenze negative del primato dell’interpretazione c’è il rischio che l’appello alla libera creatività dell’interprete conduca a decisioni ambigue. L’ interprete è , ovviamente , mosso da strategie, che però restano rimesse al suo arbitrio,e cmq si sottraggono a un’esplicitazione pubblica e controllabile, mentre nel caso della deliberazione collettiva, affidata ai rappresentanti della sovranità popolare, la loro strategia è oggetto d’un dibattito pubblico. L’ordine istituito una volta posto, ha una sua oggettività storico – sociale che

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limita la necessaria creatività dell’interprete. Il senso è l’oggettività dell’ordine istituito costituiscono quindi dei limiti all’interpretazione.

La filosofia ermeneutica La tesi di fondo dell’ermeneutica è che i significati storico – sociali non sono creazioni, ma sono in se stessi già interpretazioni. Alla base dei significati esiste un fondamento originario: le concezioni storico – sociali ne saranno soltanto un’interpretazione. I testi che diventeranno oggetto d’interpretazione, vanno considerati a loro volta, e originariamente, “interpretazione”. Critica questa tesi della filosofia ermeneutica è contestata in virtù dell’inaccessibilità immediata all’originario, che rende indispensabile la creazione collettiva di senso.

L’interpretazione è già all’opera nell’evento creativo della deliberazione collettiva del senso; e d’altra parte è evidente che nell’interpretazione dei significati storico – sociali entri in gioco una certa dimensione di creatività.

CAPITOLO DECIMO – LEGISLAZIONE E INTERPRETAZIONE

SVOLTA ERMENEUTICA E DIVISIONE DEI POTERI

La svolta ermeneutica ha delle ripercussioni dirette su uno dei capisaldi della tradizionale teoria dell’interpretazione giuridica, ovvero la distinzione tra il momento della produzione legislativa e quello della sua applicazione che rifletteva e garantiva non solo la distinzione tra politica e diritto, ma anche l’equilibrio tra il potere legislativo e quello giudiziario. La reciproca limitazione tra diritto e potere si traduceva nella separazione tra l’ambito della politica, nel quale si dispiega il processo collettivo di creazione delle leggi, e l’ambito giurisdizionale, nel quale le leggi vengono interpretate e applicate.

ASSOLUTISMO. “LEVIATANO” DI HOBBES Nel “Leviatano” di Hobbes, il sovrano, cioè il legislatore non è sottoposto alle leggi ma, ne è l’unico interprete e l’unico che può introdurre uno sbarramento alla confusione delle opinioni.

In realtà, l’ambigua tendenza a sovrapporre interpretazione e legislazione conduce a conseguenze improponibili. Non è in alcun modo possibile superare la spaccatura tra creazione e interpretazione, in quanto ognuna di esse allude a una dimensione specifica della norma: la creazione al suo naturale istituirsi, l’interpretazione a quella della comprensione del suo modo di essere di volta in volta costituito. In nessun caso il processo di interpretazione e creazione della norma possono confondersi.

L’ermeneutica propende per un indebolimento dell’astratta e generale validità della norma, in vista del caso concreto. Ma questa relativizzazione della norma in nome dell’equità è l’esatto contrario della pretesa giusnaturalistica a un fondamento universale di norme stabili e immodificabili.

PARADIGMA DELL’AUTOPOIESI MATERIALE E LA CREATIVITÁ DELL’ISTIUTENTE

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Nelle civiltà premoderne, il diritto non è mai creato ma può essere invece cercato, letto, interpretato, trovato; si intuisce che lo spazio per la scienza è enorme così come il suo ruolo. Ma soprattutto è enorme il ruolo dell’interpretazione.

In un contesto del genere il legame tra diritto e interpretazione è molto forte; eppure il diritto non equivale né coincide con l’interpretazione: quest’ultima ne è solo la manifestazione. PAOLO GROSSI → “non si può dire che il diritto è interpretatio, perché il diritto si manifesta come interpretazione, come presa d’atto di qualcosa che c’è, che non si crea ma si può solo dichiarare, integrare, correggere e rinnovare.”

Secondo la tesi del presupposto della dimensione ontologica del diritto, la realtà stessa contiene nelle sue determinazioni oggettive un ordine intrinseco e originario il cui fondamento non sono gli esseri umani che lo creano; essi possono solo interpretarlo.

Un tale presupposto è andato perduto nella civiltà moderna. Quando l’ermeneutica giuridica ripropone oggi la centralità dell’interpretazione, lontano dal ricondurla alla “dimensione ontica” , propone al contrario di estendere al momento interpretativo la creatività che il diritto moderno aveva riservato all’attività legislativa.

Non v’è dubbio che quando nell’interpretazione giudiziale si passa da un enunciato normativo a una proposizione interpretativa, s’introduce una regola nuova all’interno del sistema giuridico: ma questa regola non può essere inventata più o meno estemporaneamente di volta in volta dal singolo interprete, pena il disfacimento del sistema giuridico. Infatti “ogni regola incorpora un senso”, cioè una presa di posizione collettiva da cui emergono significati e valori pubblici. Proprio perché, il diritto non è solo un sistema di regole, ma anche un sistema di senso non è realistico né logicamente coerente supporre che il singolo interprete abbia accesso diretto alla manipolazione delle regole.

KELSEN →afferma che la norma giuridica positiva deve creare un quid novum. Senza dubbio, l’odierna difficoltà di “creare qualcosa di nuovo” tende a deresponsabilizzare il momento normativo che finisce con l’abdicare al suo ruolo istituente.L’autore afferma anche che “ un potere di creazione del diritto” viene attribuito al giudice “quando il legislatore lo autorizza a valutare, entro certi limiti, interessi tra loro contrastanti e a decidere il contrasto a favore dall’uno o dell’altro”.

Mario Barcellona parla di autopoiesi (auto creazione) materiale del sistema giuridico. Bisogna distinguere innanzitutto momento materiale e momento formale della stessa autopoiesi.

Il momento formale allude alla dimensione produttiva di norme; si tratta dunque, del rinnovamento o della modifica delle norme poste, che ha luogo secondo le regole stabilite dallo stesso sistema e che dunque compete al potere legislativo.Il momento materiale allude all’interpretazione la quale consiste nell’applicare le norme poste ai casi concreti, e attraverso di essa l’autopoiesi ( = capacità di un sistema di autoriprodursi ) del sistema giuridico s’arricchisce di nuovi contenuti offerti di volta in volta dalle circostanze date.

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Attraverso l’interpretazione del diritto l’interprete pone una norma che, non formalmente ma dal punto di vista del suo contenuto, prima di tale sua attività non faceva parte del tessuto normativo predisposto dal legislatore. Il problema dell’interpretazione, allora, sta tutto nel determinare da dove proviene questa regola che l’interprete introduce nel sistema e cosa lo autorizza ad introdurla in esso.

La soluzione al paradigma dell’autopoiesi consiste nel ricondurre tanto la nuova regola, quanto il suo fondamento all’autoistituzione dell’ordinamento. Sulla base della logica dell’interpretazione considerata come un caso di autoriflessione sistemica, si può allargare il raggio d’applicazione delle norme fino a ricomprendere in esse contenuti originariamente trascurati o imprevedibili, ma non si può modificare il senso fondamentale di cui le norme sono espressione. L’interpretazione opera, non introducendo nuovi principi regolativi, nuove norme, bensì semplicemente riassettando gli ambiti dei principi già presenti nel sistema.

IL SISTEMA SIMBOLICO TRA INTERPRETAZIONE E CREAZIONE DEI SIGNIFICATI

L’origine dei significati sociali va individuata nella creatività sociale istituente perché veicola una creazione immaginaria che non ha un precedente reale.

L’agire umano è la fonte dei significati, ma, nel suo momento istituente, è esso stesso privo di fondamento. È impossibile trovare un’origine trascendentale, un fondamento ultimo, da cui l’ordine dei significati, dei valori, delle motivazioni sociali e delle norme giuridiche potrebbe scaturire come conseguenza automatica.

Nel punto in cui l’interpretazione ha termine, il sapere acquisito ci lascia nonostante tutto sguarniti di certezze e rassicurazioni ultime. Il significato, pur interpretato e compreso, in ultima analisi, si mostra per quello che è: creazione immaginaria rimessa a se stessa, intesa a ricoprire l’abisso senza fondamento. L’ordine dei significati immaginari è dunque, in se stesso, radicalmente contingente, eppure, una volta istituito, ha l’oggettività e la stabilità dello storico – sociale.

La teoria del diritto affronta la questione evolutiva dell’autopoiesi del sistema, la filosofia del diritto si occupa giustificazione del suo fondamento.

LA DIMENSIONE ISTITUENTE DEI SIGNIFICATI GIURIDICI E LA FORZA SOCIALE

ERIC WEIL sostiene che il termine “democrazia” è di un uso difficile a causa dell’indeterminazione del termine “popolo” cui si riferisce → il popolo non esiste come unità e non può a maggior ragione decidere. “È il governo che riflette e agisce, e può farlo con l’aiuto e il concorso di una rappresentanza del popolo, non del popolo”. Se invece si chiama democratico ogni governo che gode dell’adesione dei cittadini anche il governo più autocratico ( = assoluto ) può essere considerato democratico.

Il paradosso della democrazia è che il popolo non abbia un’identità, che esso non esista come unità al di fuori delle istituzioni che lo strutturano, ma che tali istituzioni traggano non solo la propria legittimità ma il loro stesso essere dal popolo sovrano che le istituisce.

L’apertura dello spazio della politica all’interno della democrazia è possibilità di sollevare la questione della giustizia come interrogazione circa la legittimità della legge. Ciò implica il riconoscimento da parte della società di se stessa come fonte o origine.

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La giustizia è la messa in discussione non solo di una certa legge, ma del criterio stesso che presiede all’elaborazione della legge.