CHIMICA L'ATOMO

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Il modello quanto-meccanico di atomo La teoria di Bohr (detta anche di Bohr-Sommerfeld) lasciava insoluti numerosi problemi. Nel 1924, il fisico francese L. De Broglie ipotizzò che, analogamente a quanto si era postulato per i quanti di luce o fotoni (Einstein, 1905), anche agli elettroni si può attribuire una duplice natura ondulatoria e corpuscolare. Questa ipotesi, confermata in seguito sperimentalmente, indica che a una particella di massa m (espressione della natura corpuscolare) è associabile una lunghezza d'onda λ (espressione della natura ondulatoria) secondo la relazione: dove v è la velocità della particella e h è la costante di Planck. Il fisico tedesco W. Heisenberg (1927) enunciò ilprincipio di indeterminazione, secondo cui non è possibile conoscere contemporaneamente velocità e posizione dell'elettrone. Ciò escludeva la possibilità di attribuire all'elettrone orbite definite come quelle del modello di Bohr, ammettendo invece la possibilità di delimitare una regione di spazio intorno al nucleo dove è massima la probabilità di trovare l'elettrone. In quegli anni il fisico austriaco E. Schrödinger, approfondendo l'ipotesi di De Broglie, formulò un'espressione matematica, detta equazione d'onda di Schrödinger la cui soluzione permette di rappresentare l'elettrone come una nube di carica negativa la cui densità varia in funzione della distanza dal nucleo e della direzione presa in esame. Viene denominato orbitale atomico la regione di spazio intorno al nucleo dove è massima la probabilità di trovare l'elettrone. Gli orbitali nella teoria quanto- meccanica sono descritti per mezzo di numeri quantici n, l, m, ms di significato analogo a quelli utilizzati nella teoria di Bohr-Sommerfeld. Nella seconda metà del 1800 alcuni scienziati, indagando la natura dei fenomeni elettrici, cominciarono a mettere in dubbio la validità dell'ipotesi di Dalton secondo cui l'atomo era indivisibile. Gli interrogativi sorgevano, in particolare, dall'osservazione che: 1. certe sostanze si scioglievano in acqua formando soluzioni in grado di trasportare la corrente elettrica per la presenza di particelle cariche di elettricità positiva (+) e negativa (−) dette ioni; 2. gas rarefatti all'interno di un tubo contenente due elettrodi (anodo e catodo) collegati a un generatore elettrico producevano, in seguito al passaggio di corrente elettrica, radiazioni dirette dal catodo all'anodo (raggi catodici). Fu proprio studiando gli effetti delle scariche elettriche attraverso gas rarefatti in un tubo catodico che il fisico inglese J. J. Thomson (1856-1940) giunse a stabilire (1897) che i raggi catodici sono formati da particelle dotate di carica negativa presenti negli atomi di tutti gli elementi. Tali particelle subatomiche, di massa molto più piccola di qualsiasi atomo conosciuto, furono

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Chimica. Il modello atomico

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Il modello quanto-meccanico di atomo

La teoria di Bohr (detta anche di Bohr-Sommerfeld) lasciava insoluti numerosi problemi. Nel

1924, il fisico francese L. De Broglie ipotizzò che, analogamente a quanto si era postulato per i

quanti di luce o fotoni (Einstein, 1905), anche agli elettroni si può attribuire una duplice

natura ondulatoria e corpuscolare. Questa ipotesi, confermata in seguito

sperimentalmente, indica che a una particella di massa m (espressione della natura

corpuscolare) è associabile una lunghezza d'onda λ (espressione della natura ondulatoria)

secondo la relazione:

dove v è la velocità della particella e h è la costante di Planck. Il fisico tedesco W. Heisenberg

(1927) enunciò ilprincipio di indeterminazione, secondo cui non è possibile conoscere

contemporaneamente velocità e posizione dell'elettrone. Ciò escludeva la possibilità di

attribuire all'elettrone orbite definite come quelle del modello di Bohr, ammettendo invece la

possibilità di delimitare una regione di spazio intorno al nucleo dove è massima la probabilità di

trovare l'elettrone.

In quegli anni il fisico austriaco E. Schrödinger, approfondendo l'ipotesi di De Broglie, formulò

un'espressione matematica, detta equazione d'onda di Schrödinger la cui

soluzione permette di rappresentare l'elettrone come una nube di carica negativa la

cui densità varia in funzione della distanza dal nucleo e della direzione presa in esame.

Viene denominato orbitale atomico la regione di spazio intorno al nucleo dove è

massima la probabilità di trovare l'elettrone. Gli orbitali nella teoria quanto-meccanica

sono descritti per mezzo di numeri quantici n, l, m, ms di significato analogo a quelli utilizzati

nella teoria di Bohr-Sommerfeld.

Nella seconda metà del 1800 alcuni scienziati, indagando la natura dei fenomeni elettrici,

cominciarono a mettere in dubbio la validità dell'ipotesi di Dalton secondo cui l'atomo era

indivisibile. Gli interrogativi sorgevano, in particolare, dall'osservazione che:

1. certe sostanze si scioglievano in acqua formando soluzioni in grado di trasportare la corrente elettrica per la presenza di particelle cariche di elettricità positiva (+) e negativa (−) dette ioni;

2. gas rarefatti all'interno di un tubo contenente due elettrodi (anodo e catodo) collegati a un generatore elettrico producevano, in seguito al passaggio di corrente elettrica, radiazioni dirette dal catodo all'anodo (raggi catodici).

Fu proprio studiando gli effetti delle scariche elettriche attraverso gas rarefatti in un tubo

catodico che il fisico inglese J. J. Thomson (1856-1940) giunse a stabilire (1897) che i raggi

catodici sono formati da particelle dotate di carica negativa presenti negli atomi di tutti

gli elementi. Tali particelle subatomiche, di massa molto più piccola di qualsiasi atomo

conosciuto, furono chiamate elettroni (e−). La carica dell'elettrone è considerata la carica

elementare negativa e per convenzione le viene attribuito valore unitario −1.

Effettuando altre esperienze con un tubo a raggi catodici modificato (1886), erano stati

scoperti raggi aventi direzione opposta a quella dei raggi catodici, in quanto associati a

particelle dotate di carica positiva (raggi positivi, meglio noti come raggi anodici o raggi

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canale). La massa di queste particelle risultava variabile in rapporto al gas presente nel tubo e

molto più grande della massa dell'elettrone (si trattava di ioni, cioè di atomi privi di cariche

negative). Lo stesso Thomson studiò in seguito questo fenomeno e, insieme ad altri, osservò

che la massa delle particelle positive costituenti i raggi anodici assumeva un valore minimo

quando il gas utilizzato era l'idrogeno. In questo caso si formavano ioni idrogeno (H+) che, in

anni seguenti, furono definitivamente identificati come particelle subatomiche, chiamate

protoni, presenti negli atomi di tutti gli elementi. Il protone (p) è una particella dotata di

carica elettrica unitaria positiva (+1), e con una massa pari a 1836 volte quella

dell'elettrone, corrispondente, con buona approssimazione, a 1 unità di massa atomica (u).

Il modello atomico di Thomson

Nel 1904, Thomson, in base ai dati di cui disponeva avanzò l'ipotesi, detto modello atomico

di Thomson,secondo cui l'atomo era rappresentabile come una massa sferica con

cariche elettriche positive uniformemente distribuite e contenente immersi nel suo

interno un ugual numero di elettroni, in modo che il tutto risultasse elettricamente neutro.

Il modello di Thomson si rivelò ben presto inadeguato a spiegare una serie di fenomeni fisici.

Il modello atomico di Rutherford

Un importante passo successivo nella comprensione della struttura dell'atomo fu compiuto dal

fisico neozelandese E. Rutherford (1911), attraverso l'impiego di particelle alfa (α) emesse da

un materiale radioattivo, per bombardare un bersaglio costituito da una sottilissima lamina

d'oro. La maggior parte delle particelle α attraversava la lamina metallica in linea retta, mentre

una loro piccolissima frazione veniva deviata o addirittura respinta dalla lamina. Rutherford ne

dedusse che le particelle α potevano essere deviate o respinte solo ammettendo che gli atomi

siano formati da una piccolissima zona centrale, detta nucleo, di carica positiva e nella

quale è concentrata tutta la massa dell'atomo e da un grande spazio circostante dove

sono presenti elettroni che ruotano intorno al nucleo secondo orbite circolari (modello di

Rutherford o modello atomico planetario, 1911).

Rutherford valutò in seguito che la carica positiva del nucleo corrisponde al numero di protoni.

Tale numero è detto numero atomico (simbolo Z) e in un atomo neutro corrisponde al

numero degli elettroni.

Rutherford rilevò inoltre che la massa del nucleo calcolata sulla base del numero di protoni,

risultava sempre inferiore alla massa reale dell'atomo. Era quindi ipotizzabile la presenza nel

nucleo di un altro tipo di particelle.

Queste particelle, chiamate neutroni (n), furono poi individuate nel 1932 dal fisico inglese J.

Chadwick: esse risultarono prive di carica e dotate di una massa circa uguale a quella del

protone.

Riassumendo, un atomo è formato da un nucleo, costituito

da protoni e neutroni (detti nucleoni), intorno al quale sono disposti elettroni (v. tab. 3.1).

In un atomo elettricamente neutro, il numero dei protoni, detto numero atomico

(Z) è uguale al numero degli elettroni. Il numero atomico è caratteristico di ogni elemento. La

somma del numero dei protoni e del numero dei neutroni (N) è detto numero di

massa (A):

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Un atomo di un elemento di cui sono noti il numero atomico (Z) e il numero di massa (A) è

detto nuclide. Per un generico elemento di simbolo X il rispettivo nuclide viene così

rappresentato:

Esempio: 818O (o anche ossigeno −18) indica il nuclide dell'ossigeno con numero atomico 8 e

numero di massa