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Chiediamo Collaborazione. Nelle innumerevoli azioni che si possono intraprendere per tutelare e promuovere il territorio, abbiamo
cercato di creare un semplice ed efficace metodo di consultazione.
S tratta di un catalogo con foto e mappe, di tutti i siti visitabili e importanti, situati sull’Appennino
Bolognese.
In esso ve stato inserito anche un breve censimento di servizi utili e disponibili al turista.
Per garantire successo a questo progetto ”nell’intento di promuovere e tutelare il nostro territorio ” vi
chiediamo di darci una mano. Con l’aiuto di parrocchie, pro-loco, associazioni, aziende, ricercatori e
privati presenti sul territorio, si pensa di completare le lacune presenti in esso, aggiornandolo di volta in
volta, con quello che voi andrete a suggerirci di introdurre.
Per fare ciò, abbiamo bisogno di conoscere associazioni e/o ricercatori “ telefono e/o Email ” che
possano aiutarci a implementare in modo sempre più preciso la ricerca.
Questa guida, sarà disponibile”gratuitamente”in formato digitale, sul sito della nostra associazione, a
tutti quelli che riterranno opportuno e utile scaricarla.
Si chiede, alle parrocchie, pro-loco e associazioni che sono sull’Appennino Bolognese:
Di coinvolgere nello sviluppo del nostro territorio, esercizi commerciali, servizi, e quant’altro possa
tornare utile.
Questi sono i più adatti allo scopo, essendo quelli che hanno investito nel territorio e lavorano tutti i
giorni per esso, il profitto che deriva dal curare i visitatori e il territorio stesso, non si pone limiti.
Ci prefiggiamo: Di fare gruppo e corpo unico, legati soltanto dal fine di curare il territorio, promuovere
e tutelare le cose importanti presenti nel nostro ambiente, condividere idee e strategie utili, e ad
aiutarci reciprocamente nei progetti futuri. Dateci la vostra disponibilità inviandoci un’E-mail.
Alle aziende e servizi presenti sul territorio:
Chiediamo: Vuoi contribuire allo sviluppo del vademecum? E vuoi contribuire per la cura del tuo
territorio?
“Per la cura, la promozione e la tutela del territorio, le piccole associazioni riescono a svolgere lavori
importanti e utili, nel fattore costo/benefici, queste associazioni sono molto efficienti ed efficaci
abituate a lavorare con pochi aiuti”. Vuoi prestargli assistenza? Donare materiali di utilità? Partecipare
con piccoli contributi economici completamente detraibili dalle tasse?
Contattaci tramite una E-Mail ne possiamo parlare assieme.
Divulgate gratuitamente ai vostri clienti la ricerca, in modo da dare un’immagine dell’azienda che oltre al
suo lavoro si occupa e preoccupa dello sviluppo del suo territorio e del paese, cosi da incrementare e
migliorare lo sviluppo turistico del nostro Appennino, che come vedete è un museo a cielo aperto.
Aiutaci a dare più efficacia a questo strumento.
Per ulteriori notizie o informazioni: E –Mail: fabio.righi.lagaro@gmail,com
L’Appennino Bolognese (Catalogazione e mappatura dei siti e Censimento dei servizi nel territorio dell’Appennino Bolognese.)
Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem.
Prima uscita del 29 Aprile 2017
Aggiornamento del 31 Dicembre 2017 Gli sport nell’ Appennino Bolognese e Le Rocce , i minerali ed i fossili dell’Appennino Bolognese
Aggiornamento. al 30 Giugno 2018 I Confini di Imperi e di stati nell’Appennino Bolognese e le Antiche stade di Valico dell’ appennino Bolognese
Santa Caterina da Siena
Patrona D’ Italia
Patrona D’ Europa
Dottore della Chiesa
Catalogazione e mappatura dei siti interessanti per la promozione Culturale,
Sportiva, turistica, e Censimento dei servizi nel territorio dell’Appennino
Bolognese.
L'Appennino bolognese è un territorio dalle doti straordinarie. Chi pensa sia una zona geografica povera di bellezza e
attrattive, si sbaglia davvero di grosso.
Quando all'alba, transitando sui sentieri di crinale godiamo di maestosi panorami, quando si scorre lungo un torrente al
tramonto, quando si possono visitare rocche secolari e osservare alberi monumentali, ci si può immaginariamente perdere
in questa immensa bellezza, quasi magica e impalpabile dell’Appennino.
Noi dell'Associazione ABC (Appennino bene culturale) abbiamo passato al setaccio il territorio giorno dopo giorno è
sempre ci siamo stupiti di tanta magnificenza, nelle sfaccettature della storia e della natura che man' mano si andavano
presentando ai nostri occhi.
Visitatori forestieri e frettolosi “quando accompagnati da esperti della zona” si dichiarano sempre sorpresi e alquanto
stupiti di questo parco della qualità della vita a cielo aperto, inquanto questo territorio ancora selvaggio e incontaminato,
non ha nulla da invidiare a mostri sacri del turismo come le vicine Bologna e Firenze.
Al tempo stesso quando si racconta o si spiegano le connotazioni storiche o l’importanza naturalistica e sociale del
territorio a persone residenti, ci si rende conto, che non comprendendo a fondo l'immenso patrimonio in cui hanno la
fortuna di vivere. Vivono in Appennino Bolognese ma non lo “guardano bene” né con la mente e neppure col cuore.
L’Appennino bolognese merita invece di essere guardato, scrutato, e ancor più raccontato a residenti e forestieri.
L’associazione ABC (Appennino bene culturale) non intende ossessionarli con nomi e date, aridi di cenni, ma vuole
coinvolgerli, accompagnandoli per mano nei misteri e negli umori del nostro magico passato e del nostro meraviglioso e
incontaminato presente: la natura.
In definitiva la nostra Associazione si prefigge di mostrare le foto più care di famiglia a un amico, accennandogli di fatti
importanti o semplicemente curiosi che non siano accademici e altisonanti, ma che possano rappresentare un piccolo ma
sincero presente lasciato a quest’amico che ci viene a trovare, con l’intento di farlo ritornare.
Benvenuto nell'Appennino bolognese.
Per Info, richieste o segnalazioni
Oppure venuteci a trovare nella nostra sede di Lagaro Fraz. Castiglione dei Pepoli (BO)
Area di Servizio Aquila SAS Via Nazionale Nord, 2 7 km dal casello autostradale di Rioveggio “A1 BO-FI” direzione Castiglione dei Pepoli
Fabio 334 88 03 135 Otello 338 22 50 000
Questa summa dell’Appennino bolognese, la prima mai svolta, è nata grazie all’aiuto di aziende, associazioni e privati, senza alcun contributo pubblico e da enti
preposti evitando così di gravare sui contribuenti. Tutta la ricerca sarà donata alle proloco, associazioni e aziende che lavorano con il turismo per promuovere il territorio. Ci siamo avvalsi di fotografie e documentazione prelevata da internet, qualora non fosse segnalata la fonte, si prega di farlo presente scrivendo agli indirizzi
e-mail di sopra riportati.
Un ringraziamento speciale và agli Alpini dell’ Appennino Bolognese ed al loro Presidente, Vittoria Costa “Sez. Bolognese Romagnola” che
grazie il loro auito e alla loro conoscenza del territorio è stata completata questa ricerca.
Associazione ABC Appennino Bene Culturale Pres. Righi Claudio
Origini del corpo alpino Durante la riorganizzazione dell'esercito italiano iniziata a seguito del successo prussiano nella guerra contro la Francia, venne varata la "riforma
Ricotti" voluta dal generale e ministro della Guerra Cesare Francesco Ricotti-Magnani, che prevedeva una ristrutturazione delle forze armate
condotta sul modello prussiano, basata sull'obbligo generale ad un servizio militare di breve durata, in modo tale da sottoporre all'addestramento
militare tutti gli iscritti alle liste di leva fisicamente idonei, abolire la surrogazione e trasformare l'esercito italiano in un esercito-numerico,
espressione delle potenzialità umane della nazione.
« Applichiamo quindi il sistema prussiano poiché questo comandano le necessità dei tempi [...] il nostro paese ha bisogno di militarizzarsi e
disciplinarsi come il nostro esercito di coltivarsi, e il servizio militare obbligatorio [...] recherà bene all'uno e all'altro »
(Nicola Marselli in "Avvenimenti del 1870-1871")
Giuseppe Perrucchetti, il "padre" degli Alpini
Nel fervore innovativo in seno alla gestione Ricotti venne affrontato anche il problema della difesa dei
valichi alpini. Fino ad allora si era ritenuto che una reale difesa dei valichi fosse impossibile e che un
eventuale invasore dovesse essere ostacolato dagli sbarramenti fortificati delle vallate, ma definitivamente
fermato solo nella pianura Padana. Questa tattica avrebbe lasciato completamente sguarniti tutti i passi alpini
dal Sempione allo Stelvio e tutto il Friuli, cioè la più diretta e potente linea d'invasione disponibile all'Impero
austro-ungarico.
Nell'autunno 1871 il capitano di stato maggiore, ex insegnante di geografia, Giuseppe Perrucchetti, preparò
uno studio dal titolo Considerazioni su la difesa di alcuni valichi alpini e proposta di un ordinamento
militare territoriale nella zona alpina nel quale sosteneva il principio che la difesa delle Alpi dovesse essere
affidata alla gente di montagna. Nato nel 1839 a Cassano d'Adda, dunque in pianura e non in montagna,
Perrucchetti che non era un alpino e non lo diventò mai, fu un appassionato studioso attento alle operazioni
militari condotte nei secoli precedenti nei territori alpini, e fin dall'inizio colse le contraddizioni che il
sistema di reclutamento italiano comportava.
A causa del complesso sistema di reclutamento concentrato nella pianura, all'atto della mobilitazione gli
uomini avrebbero dovuto affluire dalle vallate alpine ai centri abitati per essere equipaggiati e inquadrati,
quindi ritornare nelle vallate per sostenere l'urto di un nemico che nel frattempo avrebbe potuto organizzare e
disporre al meglio le proprie forze. In questo modo si sarebbe venuta a creare una concentrazione caotica di
uomini presso i distretti militari atti a rifornire il personale sceso a valle insieme a quello di stanza in pianura, il che avrebbe portato conseguenti e
inevitabili ritardi. A ciò si sarebbe aggiunto - sempre secondo Perrucchetti - un altro grave limite: le esigenze di mobilitazione avrebbero portato alla
creazione di battaglioni eterogenei composti da provinciali della pianura poco atti alla guerra di montagna e non pratici dei luoghi.
Nel 1872 Perrucchetti firmò un articolo per Rivista militare, nel quale trattava il problema della difesa dei valichi alpini e suggeriva alcune
innovazioni per l'ordinamento militare nelle zone di frontiera. Nelle zone di confine sarebbero stati arruolati i montanari locali, similmente
all'ordinamento territoriale alla prussiana, per il quale la zona alpina sarebbe stata divisa per vallate in tante unità difensive, costituenti ciascuna un
piccolo distretto militare. In ciascuna unità difensiva le forze reclutate sarebbero state formate su un determinato numero di compagnie raggruppate
attorno a un centro di amministrazione e di comando, in modo tale da avere tante unità difensive quanti erano i valichi alpini da proteggere[6].
Secondo Perrucchetti i soldati destinati a queste unità dovevano essere abituati al clima rigido, alla fatica dello spostamento in montagna, alle insidie
di un terreno accidentato e pericoloso e ai disagi delle intemperie; dal canto loro gli ufficiali dovevano essere conoscitori diretti e profondi del
territorio, alpinisti ancor prima che militari. Infine, i rapporti con la popolazione civile dovevano essere stretti e spontanei, in modo tale da giovarsi
della funzione di informatori e di guide che i montanari potevano svolgere a beneficio delle truppe. Il reclutamento locale, oltre a fornire uomini già
abituati alla dura vita in montagna, era un forte elemento di coesione tra le truppe: riunendo nelle compagnie i giovani provenienti dalla stessa
vallata, e stanziandoli nella loro terra d'origine si ottenevano sensibili vantaggi senza esporsi a rischi.
Per i problemi di bilancio che affliggevano il ministero della Guerra, e quindi per paura che il voto del Parlamento fosse sfavorevole, Ricotti non
presentò un progetto organico per la creazione di un nuovo corpo, ma lo inserì in una generale ristrutturazione dei distretti militari che da
cinquantaquattro dovevano diventare sessantadue, unitamente alla creazione di un certo numero di compagnie alpine limitato a quindici. Il progetto
fu appoggiato dal ministro della Guerra del governo di Quintino Sella, Ricotti-Magnani, che condivideva le necessità della difesa dei valichi alpini e
preparò il decreto nel quale si istituiva praticamente di nascosto il nuovo corpo mascherato con compiti di fureria. Il decreto venne quindi firmato dal
re Vittorio Emanuele II il 15 ottobre 1872 a Napoli. Nella relazione ministeriale che accompagnava il Regio Decreto n. 1056, si parlava
dell'istituzione delle prime compagnie alpine. Subito dopo, in occasione della chiamata alle armi della classe 1852, iniziò la formazione delle prime
quindici compagnie alpini, che si sarebbero costituite nel giro di un anno.
La rapidità con la quale il Ministero decise la costituzione ebbe come contropartita riflessi negativi nel numero e soprattutto nell'equipaggiamento.
La divisa era la stessa della fanteria, con evidenti inconvenienti in rapporto alle esigenze di montagna; chepì di feltro, cappotto di panno indossato
direttamente sulla camicia, ghette di tela e scarpe basse. L'armamento era costituito da un fucile di modello recente, il "Vetterli 1870"[13], in linea con
i fucili impiegati dagli eserciti europei, ma dal peso e dalla lunghezza eccessivi per gli spostamenti su terreni impervi, mentre gli ufficiali erano
invece dotati dell'obsoleta pistola a rotazione "Lefaucheaux". Per il trasporto dei materiali ogni compagnia aveva a disposizione un solo mulo e una
carretta da bagaglio, in modo tale da riempire gli zaini dei soldati non solo degli effetti personali, ma di tutto quello utile alla compagnia, dai generi
alimentari, alle munizioni, alla stessa legna da ardere.
Le insufficienze organizzative comunque non pregiudicarono l'affermazione del corpo, che crebbe a tal punto che nel 1873 le compagnie furono
portate a ventiquattro e ripartite in sette battaglioni. Nel 1875, constatato che la zona assegnata a ciascuna compagnia era troppo vasta, i battaglioni
furono aumentati a dieci per un totale di trentasei compagnie con un capitano, quattro ufficiali subalterni e 250 uomini di truppa. Nel 1882 il ministro
della Guerra Emilio Ferrero decise una ristrutturazione dei reparti, e con il Regio Decreto del 5 ottobre i dieci battaglioni e le trentasei compagnie
furono sdoppiati e raggruppati nei primi sei reggimenti composti da tre battaglioni, che divennero sette nel 1887 e otto nel 1910.
L'armamento e le uniformi
All'evoluzione organica si accompagnò un progressivo adeguamento delle uniformi e dell'armamento. Nell'ottobre 1874 il cappotto a falde venne
sostituito con una giubba grigio-azzurra, sulla quale veniva indossata una mantella alla bersagliera color turchino e le scarpe basse vennero sostituite
con scarponi alti. Nell'estate 1883 l'uniforme venne caratterizzata dal colore distintivo rispetto agli altri corpi, il verde, colore che due anni più tardi
venne esteso a tutte le mostreggiature e le rifiniture della divisa. L'elemento caratterizzante del corpo era però sin dal 1873 il cappello alla
"calabrese" con la penna nera, ornato con fregio rappresentante un'aquila ad ali spiegate sormontata da una corona reale.
Per quanto riguarda l'armamento, il fucile Wetterli 1870 fu trasformato nel 1887 in un'arma a ripetizione ordinaria grazie al progetto del capitano
d'artiglieria Giuseppe Vitali, il quale diede anche il nome alla nuova arma, vale a dire il fucile "Vetterli-Vitali Mod. 1870/87"[18]. Nonostante
l'impegno del Vitali, la necessità di un munizionamento più leggero portò la Commissione delle armi portatili ad adottare il calibro 6,5 mm e nel
settembre 1890 ad affidare alle fabbriche d'armi del Regno lo studio di un nuovo fucile. Tra i vari modelli presentati fu scelto quello della fabbrica
d'armi di Torino, il "Carcano Mod. 91", più corto e maneggevole. Parallelamente al Mod. 91 per la truppa, venne anche rinnovato l'armamento degli
ufficiali alpini con la pistola Bodeo Mod. 1889 a ripetizione ordinaria con tamburo girevole.
Il battesimo del fuoco
Il tenente colonnello Davide Menini, comandante del 1º Battaglione alpini d'Africa, gravemente ferito incita i
suoi uomini alla carica (stampa del 1897)
Verso la fine del XIX secolo anche l'Italia venne colta dal "mal d'Africa", sospinta dalla brama di cercare alla
pari di altre potenze europee nuovi "spazi vitali". Il "battesimo del fuoco" delle truppe Alpine avvenne durante
la guerra di Abissinia. Per cancellare la cocente sconfitta dell'agguato di Dogali dove nel 1887 caddero 413
soldati italiani su 500, il presidente del consiglio Francesco Crispi spedì un secondo contingente di Alpini
in Etiopia nell'inverno 1895/'96, dopo che gli insuccessi dell'Amba Alagi e di Macallé indussero Crispi a
mandare i rinforzi richiesti al generale Oreste Baratieri, governatore della colonia
« Lo facciamo tanto per prova »
Queste furono le parole con cui Crispi giustificò quell'impegno un po' improprio degli Alpini. Nato per la
difesa dell'arco alpino, questo corpo di fanteria da montagna ebbe il suo battesimo nella battaglia di Adua in
Etiopia, durante la quale patirono indicibili sofferenze nonostante l'iniziale fiducia nell'impresa, e dove all'alba
del 1º marzo 1896 i 15.000 soldati del generale Baratieri, di cui facevano parte anche 954 alpini, vennero
travolti dagli oltre 100.000 guerrieri di Menelik II. Dei 954 alpini partiti dall'Italia sotto il comando del tenente
colonnello Davide Menini, ne rimasero vivi solo 92 e lo stesso Menini fu decorato con la medaglia d'argento
alla memoria. Il primo Alpino a cui venne assegnata la medaglia d'oro al valor militare fu il capitano Pietro
Cella, nato a Bardi, anch'egli morto in quella mattina ad Adua. Un epilogo onorevole nonostante la sconfitta fosse l'inevitabile conclusione di una
missione organizzata male e frettolosamente
Alla vigilia della prima guerra mondiale
Nei quindici anni che intercorsero tra l'inizio del secolo e lo scoppio della prima guerra mondiale, le truppe alpine non subirono trasformazioni
determinanti. Dai sei reggimenti costituiti nel 1882 e dal settimo formato nel 1887, le unità vennero aumentate di qualche migliaio tra il 1908 e il
1909 con la costituzione dell'ottavo reggimento dopo che l'apertura della ferrovia del Sempione aveva imposto maggiori esigenze difensive in val
d'Ossola. Nei primi anni del secolo venne aperto un dibattito sull'opportunità di unire i reparti Alpini con i Bersaglieri creando un unico corpo, ma le
speciali esigenze della guerra in montagna mal si accostavano a maggiori raggruppamenti di truppe che avrebbe portato questa unione.
Per iniziativa di Luigi Brioschi, presidente della sezione milanese del Club Alpino Italiano, nel 1908 dopo quasi due anni di sperimentazione, venne
adottata una divisa grigioverde e due anni dopo anche il cappello venne adeguato ai nuovi colori[25]. Per quanto riguarda l'armamento, la novità dei
primi anni del secolo fu la mitragliatrice, affermatasi dopo il conflitto russo-giapponese del 1905[25]. Le prime mitragliatrici utilizzate dagli Alpini
furono le Maxim Mod. 1906 (utilizzate nella campagna di Libia) e le Maxim-Vickers Mod. 1911 distribuite a partire dal 1913.
L'artiglieria da montagna venne istituita nel 1873, e quattro anni più tardi nacque il primo reggimento di artiglieria da montagna, specialità in grado
di operare in alta montagna per fornire l'adeguato supporto di fuoco agli alpini, capace di operare in zone inaccessibili alle artiglierie trainate[26].
Batterie da montagna e reparti alpini si abituarono presto a vivere e manovrare insieme, e dal 1888 anche l'artiglieria da montagna venne reclutata in
base alla provenienza. La sanzione formale di tale simbiosi si ebbe nel 1910, con l'adozione per gli artiglieri da montagna del cappello alpino di
feltro grigio con la penna. Alla vigilia del primo conflitto mondiale, erano operativi tre reggimenti d'artiglieria da montagna per un totale di
trentasei batterie, dotate di cannoni da 65/17.
Mentre negli eserciti dell'Europa settentrionale già da inizio Ottocento l'impiego delle truppe dotate di sci era cosa nota, in Italia l'introduzione di tale
strumento avvenne tardivamente. Gli Alpini li sperimentarono solo nell'inverno 1896/'97, per iniziativa del tenente d'artiglieria Luciano Roiti.
Durante quell'inverno il 3º Reggimento fece diverse esercitazioni sperimentali, con risultati incoraggianti che portarono all'organizzazione di campi
di istruzione specifici a livello di compagnia con l'assunzione di istruttori svizzeri e norvegesi[28]. In pochissimi anni gli sci acquistarono posto in
modo stabile nell'equipaggiamento degli alpini e con decreto del 25 novembre 1902, il ministro della Guerra Giuseppe Ottolenghi ne ordinò
l'impiego nei reggimenti.
La guerra italo-turca
Lo scoppio del conflitto italo-turco per il possesso della Libia, nell'autunno 1911, significò un nuovo impiego operativo per le truppe alpine in terra
d'Africa. Il 29 settembre 1911, dopo il rifiuto dell'ultimatum, l'Italia dichiarò guerra all'Impero ottomano e appena una settimana dopo, il 4 ottobre,
sbarcarono a Tobruch i primi uomini del Corpo di spedizione comandato dal tenente generale Carlo Caneva.
Quella che doveva essere una facile e trionfale occupazione, scontava in realtà fin dall'inizio delle operazioni i limiti di una campagna improvvisata
in pochi giorni e condotta con la piena sottovalutazione delle forze nemiche. Le truppe turche calcolate in circa 5.000 uomini in Tripolitania e 3.000
in Cirenaica si ritirarono verso l'interno dando il via ad una consistente resistenza nel deserto, anche grazie all'appoggio della popolazione indigena.
Dopo i primi scontri si capì subito la portata del conflitto; fu una guerra difficile per cui il contingente dovette essere aumentato dagli iniziali 35.000
uomini a oltre 100.000, in cui l'ambiente e l'ostilità della popolazione rese impossibile mantenere il controllo delle terre occupate. Alla fine il
bilancio fu di 3.500 morti (di cui 2.500 italiani e circa 1.000 tra Àscari eritrei, libici o somali), 1.500 prigionieri; 37 cannoni e 9.000 fucili furono
invece le perdite di materiali.
Le truppe alpine parteciparono alla campagna libica con un numeroso contingente: tredici batterie da montagna più i battaglioni "Saluzzo", "Edolo",
"Mondovì", "Feltre", "Vestone", "Ivrea", "Fenestrelle", "Verona", "Susa" e "Tolmezzo". Questi non furono impiegati come unità autonome, ma
aggregati a reparti di fanteria, prendendo parte a tutti i combattimenti significativi, da Ain Zara (4 dicembre), a Sidi Said (26-28 giugno),
a Zuara (luglio 1912). Dopo la firma del trattato di Ouchy, rimasero in Libia i battaglioni "Feltre", "Vestone", "Susa" e "Tolmezzo" con tre batterie
da montagna riuniti nell'8º Reggimento alpini "speciale" al comando del colonnello Antonio Cantore[32].
Dopo un periodo di allenamento alla marcia, il reggimento dovette adattarsi a combattere tra le dune contro le tribù berbere o contro i musulmani
della Cirenaica o nell'entroterra tripolino in una guerra più lunga del previsto, tanto che i primi contingenti che sbarcarono a Tobruch nell'ottobre
1911 (come l'8º Reggimento alpini "speciale") nel maggio 1915, quando l'Italia entrò in guerra contro l'Impero austro-ungarico, si trovavano ancora
impegnati a difendere Tripoli e Homs dalle azioni di guerriglia della popolazione indigena.
La prima guerra mondiale
Alpini in posizione di tiro sull'Adamello
Il 24 maggio 1915, con l'entrata nella prima guerra mondiale dell'Italia, gli Alpini occuparono i più
importanti ed impervi punti, dal passo dello Stelvio alle Alpi Giulie, passando per il passo del
Tonale e il monte Pasubio. Quello stesso giorno il primo soldato a perdere la vita tra le truppe
italiane fu proprio un alpino della 16ª Compagnia del battaglione Cividale, 8º Reggimento, di
nome Riccardo Giusto, che alla mezzanotte del 24 maggio mentre varcava la frontiera sul monte
Natpriciar fu freddato da un tiratore scelto austriaco[34].
Parteciparono alle più cruente battaglie, come quella dell'Ortigara con la conquista dell'omonimo
monte, la disfatta di Caporetto, fino alla resistenza sul monte Grappa e la controffensiva finale del
generale Armando Diaz, che portò alla vittoria dell'ottobre 1918. Gli Alpini furono i protagonisti di
un conflitto che si combatté quasi interamente sulle Alpi, e su tutti i fronti, dai ghiacciai
dell'Adamello alle crode dolomitiche, dal Carso al monte Grappa, dagli altopiani al Piave, dimostrando il loro valore, come testimoniano gli oltre
35.000 morti e dispersi e i circa 80.000 feriti.
Stabilire la cifra esatta degli Alpini mobilitati durante la Grande Guerra è difficile. Durante il conflitto le truppe alpine raggiunsero il loro massimo
sviluppo, arrivando a contare ottantotto battaglioni per trecentoundici compagnie per un totale poco inferiore a 80.000 uomini, cifra puramente
indicativa perché gli effettivi variarono e i vuoti lasciati dai caduti e dai feriti vennero colmati, almeno in parte, dalle nuove leve. Inoltre alla somma
vanno aggiunti sessantasette gruppi di artiglieria da montagna per un totale di 175 batterie. In questo periodo infatti le zone di reclutamento alpino
vennero estese a quasi tutti i distretti montani della penisola.
Tra i tanti fatti d'armi della guerra che coinvolsero gli alpini è possibile individuarne alcuni significativi per la loro drammaticità, come la conquista
di monte Nero, la guerra sui ghiacciai dell'Adamello e monte Cavento e la battaglia dell'Ortigara che causarono migliaia di vittime soprattutto tra le
unità Alpine. Questi combattimenti e tutti quelli a cui gli alpini presero parte, fecero diventare queste truppe da montagna un vero e proprio simbolo
dello sforzo nazionale.
Dal primo dopoguerra al fascismo
Alpini caduti durante la battaglia del monte Ortigara
Dei sessantuno battaglioni Alpini esistenti nel novembre 1918, ne furono sciolti più della metà e alla fine del
1919 gli otto reggimenti avevano ripreso quasi per intero la fisionomia del 1914. Già l'anno successivo alla
fine del conflitto gli alpini reduci costituirono l'8 luglio 1919 l'Associazione Nazionale Alpini (ANA) a
Milano, presso la sede dell'Associazione geometri, che ebbe come primo presidente l'alpino Daniele Crespi.
Nel settembre del 1920 l'ANA organizzò la prima adunata nazionale sul monte Ortigara, che tre anni prima
fu teatro di violentissimi scontri che videro cadere circa 24.000 uomini di cui molti alpini, e da quel primo
appuntamento ne seguirono altri venti fino al giugno 1940, a Torino, quando lo scoppio del secondo
conflitto mondiale sospese per sette anni la manifestazione.
Intanto il paese nell'immediato dopoguerra fu caratterizzato da un periodo di forti tensioni sociali alimentate
dalle condizioni di quella parte del popolo che per decenni era stata ai margini della vita nazionale ed ora
rivendicava un ruolo primario, forte dei sacrifici patiti in guerra. Le esigenze di ordine pubblico, legate alle
oggettive difficoltà strutturali e logistiche di un paese devastato nell'economia, resero
la smobilitazione un'operazione lunga e complicata e fecero sì che fosse mantenuta in armi una forza di circa
300.000 uomini, abbastanza da tenere in vita reparti teoricamente soppressi sulla carta.
Con l'avvento del fascismo ci furono dei primi ordinamenti atti alla riorganizzazione dell'esercito e delle unità alpine. Negli anni trenta la difesa dei
confini alpini fu affidata alla Regia Guardia di finanza, ai carabinieri reali, alla Milizia confinaria e a reparti alpini ai quali fu dato anche il compito
di presidiare le nuove opere difensive della fortificazione permanente, allora in corso di progettazione e costruzione lungo il confine montano
italiano, da Ventimiglia all'Istria.
Questo impiego per le truppe alpine era in contrasto con le dottrine di quel tempo che prevedevano l'utilizzo delle grandi unità Alpine ovunque la
necessità lo richiedesse, essendo le stesse truppe idonee a svolgere azioni di carattere dinamico e non milizie destinate alla difesa di punti fissi. Con il
regio decreto legge n. 833 del 28 aprile 1937 fu ufficialmente istituito un Corpo speciale che aveva il compito di vigilare in permanenza sulla linea
fortificata di tutto il confine italiano, denominato Guardia alla frontiera (GaF), comprendente reparti di fanteria, artiglieria, genio e servizi. La
Guardia alla frontiera venne quindi impiegata per la difesa dei confini nazionali mentre per gli Alpini fu previsto l'impiego in ogni luogo richiesto
dalle esigenze militari, anche in azioni offensive e al di fuori del teatro alpino[43]: a tale scopo nel 1934 furono costituite le divisioni Alpine
"Taurinense", "Tridentina", "Julia" e "Cuneense", cui si aggiunse la "Pusteria" nel 1935. A queste unità si aggiungevano cinque battaglioni misti del
genio (che allora comprendeva anche le trasmissioni), il battaglione "Duca degli Abruzzi" (aggregato alla Scuola centrale militare di alpinismo) e il
battaglione "Uork Amba": in totale 31 battaglioni, 93 compagnie, 10 gruppi d'artiglieria alpina e 30 batterie, articolati su cinque comandi divisionali.
Ogni divisione aveva in organico anche unità del genio militare e dei servizi logistici: nacquero così i supporti delle truppe alpine, che si
affiancarono agli alpini e all'artiglieria da montagna.
Foto che ritrae in posa gli Alpini di Gennaro Sora scelti per la spedizione al Polo Nord a soccorso
del dirigibile Italia
Ma gli Alpini in tempo di pace si distinsero anche in ruoli diversi da quelli del soldato. Nel 1928, il
dirigibile Italia sorvolò il Polo Nord e al ritorno, il 25 maggio entrò in una tremenda tempesta che
gli fece perdere quota fino a schiantarsi sul pack artico, dove la gondola di comando rimase distrutta
nell'impatto e dieci uomini furono sbalzati sui ghiacci, mentre i restanti sei membri dell'equipaggio
rimasero a bordo dell'involucro; di loro e del dirigibile non si seppe più nulla, tra i dieci ci fu anche
il generale Nobile, che riuscì ad inviare un primo messaggio di SOS.
I primi soccorritori furono gli Alpini della spedizione con a capo l'alpino ufficiale Gennaro Sora che comandava una squadra formata oltre che dal
Sora, al centro della foto, dagli alpini, a partire da sinistra, caporali Giulio Bich, Silvio Pedrotti, Beniamino Pelissier, sergenti maggiori Giovanni
Gualdi, Giuseppe Sandrini, Angelo Casari, Giulio Deriad e Giulio Guédoz, che il 18 giugno 1928 partì verso il Polo alla ricerca di Umberto Nobile e
del suo equipaggio. La spedizione di Sora però non ebbe successo e i soccorritori diventarono naufraghi. Sora e gli altri furono individuati da tre
velivoli svedesi il 12 luglio, e nonostante alla fine Nobile fu tratto in salvo dalla rompighiaccio sovietica Krassin, Sora passò alla storia per le sue
gesta eroiche compiute per oltre un mese alla ricerca di Nobile in condizioni estreme.
Fu nel 1931 che iniziarono le prime competizioni sciistiche per le truppe alpine, oggi conosciute come Ca.STA (Campionati Sciistici delle Truppe
Alpine) Nel 1934 venne costituita ad Aosta la Scuola militare centrale di alpinismo, per provvedere all'addestramento sci-alpinistico dei quadri delle
truppe alpine. La scuola diverrà ben presto un polo di eccellenza in campo sportivo e sci-alpinistico, tanto da essere considerata "università della
montagna"[48].
Lo sviluppo dell'armamento degli alpini nel corso del ventennio 1919-'39 fu limitato essenzialmente alle sole mitragliatrici e alle armi a tiro curvo.
Nel primo caso si trattava di realizzare un'arma automatica per il tiro collettivo che fosse più leggera e mobile della mitragliatrice pesante Fiat Mod.
14 che era più adatta come arma di posizione. Dopo varie sperimentazioni fu sviluppata la leggera Breda Mod. 30 che divenne l'arma delle squadre
fucilieri Alpine. In linea con le necessità della guerra in montagna furono sviluppati due nuovi mortai, il Brixia Mod. 35 da 45 mm e quello da 81
mm. La scarsa attenzione che le forze armate diedero allo sviluppo di nuove armi, soprattutto al carro armato e alle armi controcarro, fece sì che il
solo cannone atto a fermare le truppe corazzate, il 47/32 Mod. 1935, fu assegnato solo a tre divisioni alpine (Cuneense, Tridentina e Julia) con
conseguenti gravi carenze di fronte al massiccio impiego di mezzi corazzati negli altri eserciti[49].
La guerra d'Etiopia e la campagna d'Albania
« Il maresciallo Badoglio ha scritto a Mussolini, per prender l'Abissinia ci vogliono gli Alpini... »
(Motto alpino nato in concomitanza della campagna d'Abissinia)
Gli anni 1935-'36 videro gli alpini ancora impegnati in Africa e precisamente in Etiopia, dove sbarcarono a Massaua da dove gli alpini della 5ª
Divisione alpina "Pusteria" parteciparono alle operazioni di guerra, con le battaglie di Amba Aradam e dell'Amba Alagi. Il 31 marzo ci fu la battaglia
finale di Mai Ceu, dove le truppe di Hailé Selassié furono costrette a ripiegare e per l'imperatore di Etiopia fu la sconfitta. Per la colonna italiana
formata da mille automezzi la strada verso Addis Abeba era spianata, e la "Pusteria", con sole 220 perdite, rientrò nell'aprile del 1937.
Dopo le operazioni in Albania durante la Grande Guerra, meno di vent'anni dopo gli alpini sbarcarono di nuovo sulle coste di Durazzo e Valona il 7
aprile 1939 per volere del Duce, che volle riequilibrare la mossa dell'alleato tedesco in Austria di pochi mesi prima. Fu una spedizione all'insegna
della disorganizzazione, tanto che gli stessi muli imbarcati senza basto, finimenti e cavezza al momento dello sbarco cominciarono a scappare dal
porto invadendo le strade di Durazzo. Nella città gli alpini rimasero un paio di settimane, poi si sparpagliarono nel paese attraverso le montagne che
sono raggiungibili grazie alle strade costruite in quell'occasione dal genio militare.
L'estate fu particolarmente calda e l'inverno particolarmente rigido, le perdite per malaria raggiunsero il 30% degli effettivi, e gli alpini dovettero
anche subire l'umiliazione delle leggi razziali fasciste che nel giugno 1940 imposero ai reparti l'allontanamento degli ufficiali e dei soldati di origine
slava e non solo quelli provenienti dalle zone annesse nella guerra del '15/'18, ma anche dalle terre incorporate settant'anni prima. Solo le forti
proteste del generale Sebastiano Visconti Prasca impedirono alla Divisione Julia di essere seriamente indebolita da tale provvedimento.
La seconda guerra mondiale
La seconda guerra mondiale vide gli alpini impegnati inizialmente sul confine francese durante la battaglia delle Alpi Occidentali del giugno 1940,
dove quattro divisioni Alpine erano schierate in zona di guerra: la Taurinense schierata sul confine alla testa della Dora Baltea, la Tridentina in
seconda linea nella stessa vallata, con alcuni battaglioni Alpini costituiti all'atto della mobilitazione; in riserva erano la Cuneense e la Pusteria,
rispettivamente in valle Gesso e val Tanaro. Questi reparti furono inquadrati nel Gruppo Armate Ovest forte di 315.000 uomini lungo tutto il confine.
Nonostante le forze preponderanti, le unità italiane furono chiamate ad operare in condizioni precarie e pregiudizievoli in quanto, soprattutto per gli
alpini di origine piemontese, il disagio fu acuito dalla constatazione delle ripercussioni sociali ed economiche sulle popolazioni civili. Inoltre
migliaia di truppe male addestrate e mal equipaggiate di mezzi e armamenti si trovarono a combattere in un terreno impervio e contro un sistema
difensivo di prim'ordine attrezzato con un complesso di oltre quattrocento opere servite da un'ottima rete ferroviaria e stradale. Il 21 giugno arrivò
l'ordine di attacco, e le divisioni Tridentina, Cuneense e Pusteria furono spostate nei rispettivi teatri di scontro; la Tridentina fu posta in prima linea
assieme alla Taurinense con il compito di penetrare verso Bourg-Saint-Maurice dal colle del Piccolo San Bernardo, mentre le altre due divisioni
ebbero il compito di penetrare nel settore Maira-Po-Stura. Nella notte tra il 24 e 25 giugno, appena tre giorni dopo l'inizio delle operazioni per le
divisioni alpine, fu firmato l'Armistizio di Villa Incisa che pose fine alle ostilità con la Francia. Nell'ottobre dello stesso anno le divisioni Cuneense,
Tridentina, Pusteria e la Alpi Graie furono spostate sul fronte greco-albanese dove era già presente la Julia, che fu anche la prima a compiere azioni
di guerra nel settore. L'invio degli alpini avvenne a causa dello sfondamento del fronte difensivo italiano sulla Vojussa: l'avanzata greca minacciava
di raggiungere l'Adriatico e ricacciare oltremare le truppe italiane. Solo grazie all'afflusso di reparti di rinforzo, tra cui le tre divisioni alpine, fu
possibile stabilire una posizione di resistenza in grado di reggere fino alla primavera successiva. La Julia venne impiegata nei primi attacchi, ma la
disorganizzazione dei comandi fece sì che in appena un mese di difficoltose avanzate fu costretta a ritirarsi e a difendersi dalle incursioni greche. A
fine dicembre da 9.000 uomini la Julia rimase con sole 800 unità[67]. La campagna di Grecia fu un fallimento per l'Italia, e solo l'intervento
dell'alleato tedesco nella primavera 1941 diede una svolta alle operazioni. Per assicurarsi il controllo dei Balcani in previsione dell'invasione
dell'Unione Sovietica, Adolf Hitler e il suo Stato Maggiore misero a punto l'operazione Marita. L'attacco italo-tedesco partì il 6 aprile e il 23 la
Grecia chiese l'armistizio, armistizio che giunse dopo un enorme tributo di sangue per gli alpini, con 14.000 morti, 25.000 dispersi, 50.000 feriti e
12.000 congelati.
La campagna di Russia
Prigionieri italiani dell'8ª Armata catturati sul fronte orientale durante il tragico inverno del 1942-
1943.
Nel 1942 per decisione di Mussolini e dell'alto comando venne potenziato il corpo di spedizione
inviato sul fronte orientale costituendo l'8ª Armata italiana o ARMIR, forte di oltre 200.000 uomini;
tra questi, 57.000 costituivano il Corpo d'Armata alpino, composto dalle Divisioni Cuneense,
Tridentina e Julia, per un totale di diciotto battaglioni alpini, nove gruppi d'artiglieria alpina e tre
battaglioni misto genio. Invece di essere schierato sul Caucaso, come inizialmente previsto dai piani
dei comandi italo-tedeschi, il Corpo d'armata alpino venne invece impiegato nella difesa
del Don dove gli alpini giunsero nella prima settimana del settembre 1942 passando alle dipendenze
dell'8ª Armata italiana.
L'ambiente operativo del Don presentava caratteristiche assolutamente diverse da quelle in cui gli alpini erano addestrati a muoversi; una vasta
pianura uniforme e priva di rilievi montuosi, dove un esercito invasore avrebbe dovuto disporre di forze corazzate e motorizzate per trarre beneficio
da una fondamentale mobilità sul piano tattico. Il Corpo d'Armata alpino invece disponeva di 4.800 muli e 1.600 automezzi che sarebbero stati
largamente insufficienti anche in spazi operativi molto più ristretti; mancava inoltre tutto l'armamento anticarro, l'artiglieria contraerea e i mezzi di
trasmissione, costruiti per l'impiego in alta montagna, avevano una potenza limitata e non riuscivano a stabilire i corretti collegamenti sulle grandi
distanze. In generale tutto l'armamento in dotazione agli alpini fu gravemente insufficiente, non furono forniti spazzaneve, né mezzi cingolati, né
slitte, né lubrificanti antigelo né vestiario adeguato né armi automatiche in grado di resistere alle gelide temperature sovietiche. La destinazione del
Corpo d'Armata alpino sul Don non era nato da un piano strategico e organico, ma dall'emergenza determinatasi su tutto il fronte sovietico
nell'estate-autunno 1942 e accentuatasi nell'inverno successivo sino alla rotta dei reparti invasori nel dicembre-gennaio. Gli alpini dirottati sul Don
arrivarono appena in tempo per essere schierati in prima linea, venire accerchiati dall'avanzata dell'Armata Rossa ed essere costretti a una ritirata
tragica nella quale caddero oltre i due terzi degli uomini. Nell'insieme, agli alpini spettava un settore di 70 km, per cui non fu possibile tenere una
divisione di riserva.
Il primo periodo di permanenza in linea degli alpini fu soprattutto di "stasi operativa", senza azioni di rilievo né da una né dall'altra parte, e gli alpini
si preoccuparono di garantirsi condizioni di sopravvivenza in vista dell'inverno con la costruzione di ricoveri, postazioni coperte,
approvvigionamento di ogni tipo di materiale, scavati fossati anticarro, minate vaste aree e posizionamento di reticolati e postazioni di tiro.
Dopo aver sconfitto l'esercito rumeno, accerchiato la 6ª Armata tedesca a Stalingrado nel novembre 1942 e distrutto gran parte dell'ARMIR nel
dicembre, il 14 gennaio 1943 l'Armata Rossa sferrò la poderosa offensiva Ostrogorzk-Rossoš e sbaragliò le truppe ungheresi e tedesche schierate sui
fianchi del corpo alpino che quindi venne rapidamente circondato dalle colonne corazzate nemiche; le tre divisioni Alpine furono costrette a
ripiegare con una lunghissima marcia tra le gelide pianure sovietiche, subendo perdite altissime. Due delle divisioni (la Julia e la Cuneense) vennero
infine intrappolate a Valujki e costrette alla resa, mentre i superstiti della divisione Tridentina riuscirono ad aprirsi la strada dopo una serie di
disperati combattimenti, tra cui il più noto è la battaglia di Nikolaevka, riuscendo a conquistare il paese e uscire dalla "sacca.
Le perdite complessive del Corpo d'armata alpino (divisioni alpine Julia, Cuneense e Tridentina e Divisione fanteria Vicenza) nella tragica battaglia
superarono l'80% degli effettivi schierati sul fronte del Don: su una forza iniziale di circa 63.000 uomini si contarono 1.290 ufficiali e 39.720 soldati
caduti o dispersi, 420 ufficiali e 9.910 soldati feriti, per un totale di 51.340 perdite. Anche i generali Umberto Ricagno (comandante della Julia),
Emilio Battisti (comandante della Cuneense) ed Etvoldo Pascolini (comandante della Vicenza) caddero prigionieri.
Assai più efficace della storiografia, la letteratura ha consegnato i fatti accaduti in Unione Sovietica alla memoria futura con libri come Centomila
gavette di ghiaccio e Nikolajewka: c'ero anch'io di Giulio Bedeschi (ufficiale medico), Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, Mai tardi, La
guerra dei poveri e La strada del Davai di Nuto Revelli e I più non ritornano di Eugenio Corti.
1- I Castelli e i palazzi curata da Filippo Nozzi Monzuno. (13 Castelli, 10 rovine e 8 palazzi)
2- Le borgate e le case torri curata da Filippo nozzi Monzuno (65 Borgate)
3- I siti naturalistici e paesaggistici Curata da Vanessa biachessi Creda
(Parchi e siti 17, Le Vette ed I Passi 10, Alberi Monumentali 9, Fiumi e le cascate 5)
4- I siti della 2 guerra mondiale Curata Da Palmieri Vergato
(Musei, parchi, cimiteri, monumenti, collezionisti, battaglie, rifugi)
5- I siti archeologici curata dal Prof. Mingarelli Dario Tavernola (Musei e siti 22)
6- I santuari, le pievi, le chiese, e gli oratori Curata Da Pierluigi Benassi Monteacuto V. (Santuari 27, Chiese 4, Oratori 8, Pievi 2)
1- I Castelli, le rovine ed i palazzi I CASTELLI:
1 La Rocchetta Mattei. Riola di Vergato
2 Castello dei Manservigi, Castelluccio Porretta T.
3 Castello di Medelana, Marzabotto
4 Castello di Zena, Pianoro
5 Castello di Montecavalloro, Vergato
6 Castello di Monteacuto Ragazza, Grizzana M.
7 Castello di Montorio, Monzuno
8 Castello di Ripoli San Benedetto V. S.
9 Castello di Elle, Grizzana M.
10 Rocca di Roffeno, Vergato
11 Casa Forte di Le Mogne Castiglione dei P.
12 Rocca Corneta Lizzano in Belvedere
13 Castelli Alidosi, Castel del Rio
ROVINE:
1 Castello di Civitella, Castiglione dei P.
2 Castello di Baragazza, Castiglione dei P.
3 Rocca di Bruscoli, Firenzuola
4 Castello del Brasimone, Castiglione d. P.
5 Castello di Mogone, Camugnano
6 Rocca di Monte Battaglia, C. Valsegno
7 Castello di Casio, Castel di Casio
8 Castello del Belvedere, Lizzano in B.
9 Castelvecchio di Veggio Grizzana M.
10 Castellaccio Castel del Rio
PALAZZI:
1 Palazzo Pepoli, Castiglione dei Pepoli
2 Palazzo Loop, Loiano
4 Palazzo di Prada, Grizzana Morandi
5 Palazzo Comelli, Camugnano
6 Castello de Rossi, Sasso Marconi
7 Palazzo dei Capitani, Vergato
8 Villa Grifone, Sasso Marconi
2 Le Borgate e le case torri
Lassù I legionari dovevano stare sempre con le armi in pugno” Tito Livio
Fonte: Tiziano Costa
1 (Riola, L’ Archetta, La Fornace, Savignano),
Vegato
2 (Rocca di Roffeno, Monzone, Cà Masina,
3 Poggiolo, Torre Jussi, Casa Landi,La 4Valle,
Palazzo, Civetta, Torretta e Monterocca) ,
Castel D’aiano
6 (Vimignano, La Scola, Rio, Cà 7 Montione,
Capanne Vigaia, Casino), Grizzana Morandi
8 Affrico, Gaggio Montano
9 Anconella e Scascoli Pianoro
10 Badolo, Sasso Marconi
11 Baragazza, Castiglione dei P.
12 Bardarolo, Loiano
13 Cà de Fanti, Camugnano
14 Cà di Landino, Castiglione dei Pepoli
15 Campolo, Grizzana Morandi
16 Capugnano Porretta Terme
17 Castel dei Britti Ozzano
18 Castel del Rio
19 Castel dell’ Alpi, San benedetto V.di Sambro
20 Castel di Casio
21 Castiglioncello, Castel del Rio
22 Cavalloro, Vergato
23 Chiapporato, Castiglione dei Pepoli
24 Colle Ameno Sasso Marconi
25 Confienti, Castiglione dei Papoli
26 Dozza
27 Gaggio
28 Grecchia e Gabba, Gaggio Montano
29 I Fienili, Grizzana Morandi
30 Cà de Fanti Baigno, Camugnano
31 Le Mogne, Castiglione dei Pepoli
32 Le Serruccie di Ripoli, San Ben. V. di S.
33 Livergnano Pianoro
34 Loiano
35 Madonna dell’ Acero, Lizzan in Belvedere
36 Medelana, Marzabotto
37 Monghidoro
38 Monteacuto delle Alpi, Lzzano in Belvedere
39 Monteacuto Ragazza, Grizzana Morandi
40 Monterumici, Monzuno
41 Montorio, Monzuno
42 Monzuno
43 Murazze, Marzabotto
44 Panico Marzabotto
45 Pian del Voglio, San Benedetto V. di Sambro
46 Pietracolora Monte del Castello, Gaggio M.
47 Pontecchio Sasso Marconi
48 Porchia Lizzano in Belvedere
49 Prunarolo, Vergato
50 Qualto, San Benedetto V. di Sambro
51 Quercia, Marzabotto
52 Rocca Corneta Lizzano in Belvedere
53 Rocca Pittigliana, Gaggio Montano.
54 S. Andrea di Savena, Monghidoro
55 S. Pietro di Ozzano, Ozzano dell’ Emilia
56 Sasso Sasso Marconi
57 Sasso di Lizzano Lizzano in Belvedere
58 Settefonti, Ozzano dell’ Emilia
59 Stagno, Camugnano
60 Stanco di Sotto, Grizzana Morandi
61 Sterpi e Predolo, Grizzana Morandi
62 Tavernola, Grizzana Morandi
63 Varignana, Castel San Pietro Terme
64 Veggio, Grizzana Morandi
65 Vigo, Grizzana Morandi
3 I siti naturalistici e paesaggistici. I Parchi e siti
1 Parco dei Gessi, San Lazzaro
2 Parco di Monte Sole e Caprara, Marzabotto
3 Parco dei 2 Laghi, Castiglione/Camugnano
- Chiapporato, Castiglione dei Pepoli
- Vetta di Stagno, castigliane dei Pepoli
4 Parco del Corno alle Scale, Lizzano in Belvedere
- Vetta della Croce, Lizzano in Belvedere
- Cascate del Dardegna, Lizzano in B.
5 Parco di Montovolo, Grizzana Morandi
- Castagni, Grizzana Morandi
- Vetta Vigese, Grizzana Morandi
6 Parco di Monte Paderno, Sasso Marconi
7 Parco del Pliocenico, Sasso Marconi
- Vetta Adone, Monzuno
- Grotte delle Fate, Monzuno
8 Parco regionale dell’ abbazia di Monteveglio
9 Marmo Bolognese di Lagaro Castiglione dei P.
- Cava e Affioramenti, Castiglione/Grizzana
10 Lago di Castel delle Alpi, San Ben. V. di S.
11 Ponte medioevale di Castrola, Castel di Casio
12 Ponte medioevale di Castel del Rio
13 Porranceto, Castiglione dei Pepoli
14 Mulino degli Elfi, Castiglione dei Pepoli
15 Monte Venere, Monzuno
16 Orto Botanico di Tavernola, Grizzana Morandi
17 Orto Botanico di Sparvo, Castiglione dei Pepoli
18 le Sassane di Pietracolora, Gaggio Montano
19 Le grotte di Labante Castel d’Aiano
Le Vette ed I Passi
1 Monte di Stagno, Castiglione dei Pepoli
2 Monte Cataralto, Castiglione dei Pepoli
3 Monte di Vigo, Camugnano
4 Passo della Futa, Firenzuola
5 Passo delle Crocette, Castiglione dei Pepoli
6 Passo della Raticosa, Firenzuola
7 Le Pietre della Raticosa, Firenzuola
8 Sasso Rosso, Grizzana Morandi
9 Vetta cataralto, Castiglione dei Pepoli
10 Sasso della Mantesca, Firenzuola
Alberi Monumentali
1 Osteria del Burgon di Badi, Castel d’ Aiano
2 Castagni millenari di Montovolo, Camugnano
3 Cipresso della Scola, Grizzana Morandi
4 Pino Silvestre di Montesole, Marzabotto
5 Quercia di Capossena Grizzana Morandi
6 L’acero della Beata Vergine Madonna dell’
Acero, Lizzano in Belvedere
7 Castagno La Martina Campeggio, Monghidoro
8 Castagno di Tolè, Castel d’ aiano
9 Roverella di Baragazza, Castiglione dei Pepoli
I Fiumi
1 La Cascatona di Lagaro, Castiglione dei P.
2 La Cascate del Mulino di Tarello, Cast. dei P.
3 Le cascate del Dardagna, Lizzano In B.
4 Cascate del Moraduccio, Castel del Rio
5 Cascate di Bruscoli, Firenzuola
Gli Osservatori Astronomici
1 Medelana, Marzabotto
2 Loiano
4 I siti della 2 guerra mondiale Curata Da Palmieri Vergato e Polegato Vergato
(Musei, parchi, cimiteri, monumenti, collezionisti, battaglie, rifugi)
I MUSEI ED I COLEZZIONISTI:
Museo di Castel del Rio
Museo di Liverniano, Pianoro
Museo di Bruscoli, Firenzuola
Museo di Castiglione dei Pepoli
Colezione Palmieri, Vergato
Colezione Polegato, Vergato
I PARCHI I CIMITERI ed i CIPPI
Monte sole, Marzabotto
Passo della Futa, Firenzuola
ZONE DI GRANDI BATTAGLIE:
Monte di stanco, Grizzana Morandi
Monte Cataralto, Castiglione dei Pepoli
Monte vigese I torlai, Camugnano
Stazione di San Benedetto Val di Sambro
POSTAZIONI, FORTIFICAZIONI E LINEE
FORTIFICATE:
Monte del Frate, Sasso Marconi
Montovolo, Grizzana Morandi
I RIFUGI:
Badolo, Ssasso Marconi
Rioveggio, Monzuno
Puzzola, Grizzana Morandi
Rioveggio,
5 siti archeologici 1 Museo Etrusco di Marzabotto, Marzabotto
2 Museo Etrusco di Monte Bibele, Monterenzio
3 Area Archeologica di Monteacuto Ragazza, Grizzana Morandi
4 Colonbaia Romana di Badolo, Sasso Marconi
5 Rocca di Tavernola, Grizzana Morandi
6 La via Laminia Minor e le cave romane,Grizzana Morandi
7 Cava Romana di Marmo Bolognase, Lagaro Castiglione dei Pepoli.
8 Acquedotto Romano, Sorgente fiume Setta, Sasso Marconi
9 Lentula, Sambuca Pistoiese
10 I visi di Lizzano, Lizzano in Belvedere
11 Catacombe di Montovolo, Grizzana Morandi
12 Zona Archeologica della Sterlina, Castiglione dei Pepoli
13 Tombe Romane di Lagaro, Castiglione dei Pepoli
14 La Prada, Grizzana Morandi
15 Confienti “La Chiesa” Lagaro Castiglione dei Pepoli
16 Burzanella, Camugnano
17 Camugnano
18 Carpineta Camugnano
19 La Quercia Marzabotto
20 Castiglione dei Pepoli
21 Poggio di Gaggiola, Castel di Casio
22 Rasora Castiglione dei Pepoli
6 I santuari, le pievi, le chiese, e gli oratori. I SANTUARI:
FONTE: www.viaggispirituali.it/santuari-in-italia/santuari-dellemilia-romagna
1 Santuario di San Luca Bologna.
2 Santuario delle glorie della Madonna Serra di Ripoli. San benedetto Val di Sambro (Bologna)
3 Santuario della Beata vergine di Montovolo. Grizzana Morandi (Bologna)
4 Santuario della Beata Vergine di Bocca di Rio. Castiglione dei Pepoli (Bologna)
5 Santuari della Madonna delle Formiche Monterenzio (Bolognia)
6 Santuario della Madonna dell’ Acero Lizzano in Belvedere (Bologna)
7 Santuario Madonna del Carmine in Cigno – Camugnano (Bologna)
8 Santuario Madonna della Brasa – Castel d’Aiano (Bologna)
9 Santuario Beata Vergine del Sudore – Castel del Rio (Bologna)
10 Santuario Madonna degli Emigranti – Gaggio Montano (Bologna)
11 Santuario Madonna di Calvigi – Granaglione (Bologna)
12 Santuario Madonna dell’Acero – Lizzano in Belvedere (Bologna)
13 Santuario Madonna di S.Luca della Querciola – Lizzano in Belvedere (Bologna)
14 Santuario Madonna di Lourdes di Campeggio – Monghidoro (Bologna)
15 Santuario Madonna dei Boschi – Monghidoro (Bologna)
16 Santuario Madonna di Pompei di Piamaggio – Monghidoro (Bologna)
17 Santuario Madonna delle Grazie – Mordano (Bologna)
18 Santuario Madonna delle Formiche – Pianoro (Bologna)
19 Santuario Madonna del Ponte – Porretta Terme – (Bologna)
20 Santuario Madonna del Faggio – Porretta Terme (Bologna)
21 Santuario Madonna della Torre di Capugnano – Porretta Terme (Bologna)
22 Santuario Madonna dei Fornelli – S.Benedetto Val di Sambro (Bologna)
23 Santuario Beata Vergine di Croce Martina – Savigno (Bologna)
24 Santuario Madonna del Pruno o Madonna della Villa – Savigno (Bologna)
25 Santuario Madonna del Sasso – Sasso Marconi (Bologna)
26 Santuario Madonna del Bosco – Vergato (Bologna)
27 Santuario S.Maria della Consolazione – Vergato (Bologna)
CHIESE:
1 Chiesa di Bargi, Camugnano
2 Chiesa di Montorio, Monzuno
3 Chiesa di Verzuno,Camugnano
4 Chiesa di Vigo, Camugnano
PIEVI:
1 Pieve di San Lorenzo di Panico - Marzabotto (Bologna)
2 Pieve di Roffeno – Castel D’Aiano (Bologna)
ORATORI:
1 Oratorio di Stanco di Sotto Grizzana Morandi (Bologna)
2 Oratorio dei Frascari Camugnano (Bologna)
3 Oratorio di San Rocco di Creda Castiglione dei Pepoli (Bologna)
4 Oratorio Santa Caterina d’Alessandria Montovolo di Grizzana Morandi (Bologna)
5 Oratorio del castello di Riola (Bologna)
6 Oratorio di Confienti Castiglione dei Pepoli (Bologna)
7 Oratorio di Tudiano Grizzana Mirandi (Bologna)
8 Oratori di San Vincenzo Ferreri Grizzana Morandi (Bologna)
Quadrante1 | Quadrante 2
______ ______
Quadrante 3 | Quadrante 4
COME ARRIVARE IN APPENNINO Autostrade: Uscite
A1 Camionabile , Sasso Marconi, Rioveggio, Badia A1 Panoramica Rioveggio, Pian del Voglio, Roncobileccio
Ferrovia:
Ferrovia Direttissima: Bologna - Firenze Ferrovia Porrettana: Bologna - Pistoia
Le guide certificate:
Gaetano dell’ ernia Guida Subacquea [email protected]
Tommaso Boselli Guida Trekking 349 52 59 405 [email protected]
I più sentiti ringraziamenti a chi à reso possibile, collaborando a questo progetto, la creazione di questo censimento, che crediamo sia molto
utile ed importante per lo sviluppo turistico, sportivo, culturale dell’ Appennino Bolognese.
Tutti i clienti dell’area di servizio di Lagaro Aquila sas, che grazie a loro è stato finanziato questo progetto ed i collaboratori attivi nella creazione del
censimento, inoltre:
Curia di Bologna, Università di Bologna, ANA Alpini, ABC Appenino Bene Culturale, Proloco di Lagaro, TOTO spa, CMB Carpi, Tovoli
Printer, Pub Ristorante Ein Prosit di Alessandro furlò ed Emanuela Furlò, Pub Number Ten di Andrea Musolesi Bologna, . Michele Molini
Bologna, Palmieri Giovanni Vergato, Gianfranco Polegato Vergato, Ristorante Tony Orelia di Campolo, Regista Claudio Spottl Medicina, Filippo
Nozzi Monzuno, Mario Vagelli Ripoli, Pierluigi Benassi Monteacuto Vallese, Bologna, scrittore Tiziano Costa, Gaetano dell’ Ernia Pian del Voglio,
Claudio Sandoni Rioveggio,Marcello Corazza, Nunzio Bombara creda, Stefano Caramiello San Benedetto V. di S., Michelangelo Abbattantuono
Castiglione dei P. Franco Busi San Damiano, Manuela Baratta Monteacuto Ragazza, Alberto Perretta Caserta, Fattoria Cà di Fatino, Riccardo Tori
Castiglione dei Pepoli