Chicchi di Melagrana

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ANNO XIX NUMERO 4 APRILE 2014 Chicchi di Melagrana Un numero speciale per la Pasqua. Storie di laici in Cristo, testimoni della Gioia nel nostro territorio a cura di M. Parisi e A. Lanzieri

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Mensile della Chiesa di Nola XXIX - 4 - Aprile 2014

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Chicchi di Melagrana

Un numero speciale per la Pasqua.Storie di laici in Cristo, testimoni della Gioia nel nostro territorio

a cura di M. Parisi e A. Lanzieri

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aprile 201402

mensile della Chiesa di Nola

in Dialogo mensile della Chiesa di NolaRedazione: via San Felice n.29 - 80035 Nola (Na)Autorizzazione del tribunale di Napoli n. 3393 del 7 marzo 1985Direttore responsabile: Marco IasevoliCondirettore: Luigi MucerinoIn redazione:Alfonso Lanzieri [333 20 42 148 [email protected]], Mariangela Parisi [333 38 57 085 [email protected]], Mariano Messinese, Antonio Averaimo, Vincenzo FormisanoCopertina: acquerello di don Carlo TarantiniStampa: Giannini Presservice via San Felice, 27 - 80035 Nola (Na)Chiuso in redazione il 24 aprile 2014

Vite spese al servizio dell’uomo, vite che raccontano la quotidianità della santità troppo spesso invece pensata come meta possibile solo per uomini e donne eccezionali. Sono quelle dei testimoni presentati in questo numero speciale di inDialogo, uomini e donne “normali”, uomini e donne che non hanno avuto timore di sporcarsi le mani, che non hanno avuto paura di spalancare le porte a Cristo, che non hanno avuto timore di spalancare le porte all’uomo, ad ogni uomo messo sulla loro strada.

Anna Vitiello, Filippo Massimo Lancellotti, Luigi Basile, Luigi Cortile, Angelica Martinelli, Domenico Beneventano, Sandra D’Alessandro: sette volti per dire che la morte è stata vinta, per dire che ancora oggi Cristo dice al cuore di ognuno “Lazzaro, alzati e cammina”, per dire che non c’è vita, non c’è sofferenza, non c’è infelicità che non interessi a Dio e che non interessi a chi, con cuore puro, abbia deciso di servirlo.

Ma sette vite che dicono anche la bellezza del Mistero che le ha caratterizzate. E nessuno può di un artista può rendere visibile l’invisibile: per questo le pagine che seguiranno saranno caratterizzate dalla scelta – a cura di d. Lino D’Onofrio – di sette opere pittoriche, ognuna delle quali diviene emblema della scelta di servizio fatta da ciascun testimone: amore materno, bellezza, fratellanza, giustizia, obbedienza, sacra scrittura, legalità; per questo, l’articolo di terza pagina - a cura della prof.ssa Anna Carotenuto - è dominato da una riflessione sulla figura del Servo di Dio attraverso un’opera di Sieger Köder.

Sette volti, sette scelte, sette chicci di melagrana simbolo della dimensione ecclesiale del martirio, cioè della testimonianza del Vangelo: in queste pagine non ci sono le vite di eroi isolati, ma quelle di uomini e donne ai quali, come a tanti prima e dopo di loro, si deve la vita della Chiesa, la sua sopravvivenza alle accidentalità della storia umana, la sua capacità di vincere il male - dato dal limite degli stessi uomini che la compongono - impotente davanti alla potenza dell’amore che sgorga da un cuore capace di servire pensando a Dio.

SeRVIRe PeNSANDo A DIodi Mariangela Parisi

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03aprile 2014

La Terza Pagina

IL SeRVo DeL SIGNoRedi Anna Carotenuto

Nella seconda parte del libro del profeta Isaia, chiamato co-munemente Deutero-Isaia, incon-triamo un personaggio enigmati-co, sulla cui identità gli studiosi stanno ancora lavorando: il Servo di YHWH. L’appellativo con cui viene definite, ebed ovvero ser-vo, definisce non una condizione servile, di inferiorità, ma piutto-sto un ruolo unico, con un rap-porto particolare con Dio: è il suo diletto. Egli lo sostiene e di lui si compiace.Gli autori neotestamentari non hanno avuto dubbi nell’identi-ficare in questo enigmatico per-sonaggio, descritto a vivi colori dall’anonimo autore del VI seco-lo, Gesù. La sua nascita, il suo mi-nistero, la sua sofferenza, il suo amore radicale per gli altri, la sua morte, tutta la vita del naza-reno sembra essere preannuncia-ta, quasi sette secoli prima, nei carmi del Servo di YHWH (Is 42,1-9; 49,1-7; 50,4-11; 52,13-53,12). Probabilmente lo stesso Gesù ha maturato la sua identità e la sua missione alla luce di quelle paro-le assumendole come progetto di vita.

L’artista ha strutturato la tela come un trittico, al centro c’è il corpo del cro-cifisso, immerso in uno sfondo nero: è il momento più buio e più difficile del Servo di YHWH, ma anche il momento del suo donarsi totalmente al Padre e a tutti gli uomini. Ai lati due tende, come sipario, sopra le quali sono dipinte quattro scene: tutte esprimono dei va-lori fondamentali. La ‘scenografia può essere interpretata in due modi diversi: c’è il palcoscenico dove va ‘in onda’ la storia dell’uomo ma, aprendo il sipario, scorgiamo chi sta all’origine di tutto; oppure il contrario: il sacrificio del Cri-sto che, chiudendo il sipario, mi riman-da alla vita dei suoi discepoli. La prima scena si ispira ad Es 15,19-21; raffigura la profetessa Miriam, sorella di Aronne, che danza gioiosa, dopo la liberazione dalla schiavitu’. Indossa un vestito con i colori dell’arcobaleno e si muove tra le enormi pareti di acque. La seconda scena è ispirata a Gen 6-9: un’enorme arca-cisterna galleggia nel bel mezzo di un diluvio, ma le acque sono formate da olio che ormai hanno catturato un cor-morano morente. Dall’arca si intravede non solo Noè, ma volti di più nazionali-tà. In primo piano la colomba: annunzia il rinnovo dell’Allenanza. La terza sce-na si ispira a Is 25,6-8: la promessa del banchetto. Al tavolo imbandito siede il mondo intero: il banchetto che Gesù ci ha preparato è infatti per tutti gli uomi-ni. Infine l’ultima scena, molte sono le citazioni a cui si riferisce, qui ricordia-mo Gio 15,1-8: rimanete in me e le mie parole rimangono in voi. E’ il giusto epi-logo del Servo del Signore: far compren-dere a tutti che ciascuno di noi deve diventare servo del suo prossimo.

Eri bello figlio dell’uomo,Tu, eletto dall’Eterno come suo ServoRicolmato del suo santo spirito,Hai portato il diritto su tutta la terra,Senza violenza alcuna.Grazie a Te possiamo cantare e donare la vitaCome Anna, la profetessaAl suono della libertà e della giustizia.Eri bello Figlio dell’uomoLe tue ferite, il tuo sangueChe sgorga dalla croce, ancoraDi più manifesta la Gloria del Padre.Ancora di più sei luce per tutteLe genti, colomba di paceChe porta la salvezzaFino all’estremità della terra.

Eri bello Figlio dell’uomoNonostante il nostro disprezzoNonostante i nostri sputi e i nostri insultiNon ti sei tirato indietro:Continui a donarti, nella nostra storia, ogni giornoAl sacro banchetto, per la vitaDi tutti gli uomini.

Sei bello Figlio dell’uomo,Servo dell’Eterno.Pur senza apparenza, nè bellez-za,Uomo del dolore!Fa che anche noi possiamoDiventare sempre piùServi e segni viventiDella misericordia del Padre.

MisereorSieger Köder

Sieger Köder è un prete e pittore tedeso. Nasce il 3 gennaio 1925 a Wasseral-fingen. Durante la secon-da guerra mondiale viene mandato in Francia come soldato di frontiera ed è fatto prigioniero di guer-ra. Tornato dalla prigionia, frequenta l’Accademia dell’arte di Stoccarda; suc-cessivamente studia filo-logia inglese all’università di Tubinga. Dopo 12 anni d’insegnamento di arte e di attività come artista, Köder intraprende gli studi teologici per il sacerdozio e, nel 1971, viene ordina-to prete cattolico. Dal 1975 al 1995, padre Köder eser-cita il suo ministero come parroco della parrocchia in Hohenberg e Rosenberg e oggi vive in pensione a Ellwangen.

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aprile 201404

mensile della Chiesa di Nola

“Con i giovani, protagonisti del futuro” è il tema della Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore (www.giornatauniversitacattolica.it), domenica 4 maggio, promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo, ente fondatore dell’Ateneo, quest’anno giunta alla novantesima edizione. Fondata a Milano nel 1921, l’Università Cattolica vanta una presenza capillare sul territorio nazionale con le sue quattro sedi: Milano, Brescia, Piacenza-Cremona e Roma, dove ha sede anche il Policlinico universitario “A. Gemelli”.

Furono proprio i fondatori, in primo luogo Padre Agostino Gemelli, a volere che l’Ateneo nascesse da un solido legame con il territorio e da una vasta adesione di popolo. Per questo motivo fondarono l’Associazione Amici, che oggi conta circa 15 mila iscritti, e lanciarono la Giornata nazionale per l’Università Cattolica. Un evento che, dal 1924, si ripete negli anni, ma che non smette di offrire la possibilità di riflettere su alcuni percorsi fondamentali del cattolicesimo in Italia, sulla natura dell’Università stessa, sull’essere, cioè, l’ espressione del valore culturale della fede. La Giornata universitaria pone l’attenzione sui giovani.

Per il suo rapporto con l’Università, l’Istituto Toniolo ha un interesse particolare per il mondo giovanile, sul quale oggi si riversano molte contraddizioni, alla ribalta più come segnale delle preoccupazioni del futuro che come oggetto di scelte politiche, sociali, imprenditoriali, professionali che diano loro effettivamente un futuro e che permettano alla società di acquisire le loro risorse di cultura, di preparazione, di sensibilità, che consentano di accogliere in loro le novità del tempo. E’ costante, invece, grazie anche ai fondi raccolti in occasione della Giornata universitaria, l’impegno dell’Istituto Toniolo a favore delle nuove generazioni. Nel 2013 ha sostenuto oltre 1300 studenti con borse di studio, scambi con università straniere, progetti di solidarietà internazionale, corsi di lingue e alta formazione. Fare qualcosa per i giovani significa offrire loro un contesto interessante, utile a comprendere il mondo in cui vivono. Spesso i giovani sono considerati sulla base di una conoscenza approssimativa e sfuocata. Da qui è nata l’idea di una ricerca rigorosa, il Rapporto Giovani (www.rapportogiovani.it), che, con la collaborazione dell’Università Cattolica e il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo, il Toniolo ha avviato nel 2012, della durata di cinque anni, aperta a continui aggiornamenti, per una lettura dinamica del mondo giovanile.

Lo scopo fondamentale del Rapporto è quello, dunque, di conoscere il mondo giovanile a partire dalla consapevolezza che i cambiamenti così rapidi che sono in corso bruciano velocemente la conoscenza delle nuove generazioni. Il Rapporto Giovani, che vede l’appassionato e paziente lavoro di un gruppo di docenti e ricercatori, è un’esperienza di ricerca condotta con lo spirito di chi sta in ascolto, per conoscere le loro attese sulla vita e sulla società e per contribuire insieme a loro a preparare il futuro. E’ uno strumento per tutti coloro – istituzioni, realtà sociali, economiche, ecclesiali - che sono interessati ai giovani, uno strumento per scelte più rispondenti a ciò che i giovani effettivamente oggi sono e alle risorse che essi hanno da offrire per il bene comune.

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05aprile 2014

ChiCChi di MeLagrana

Con lo sguardo sempre rivolto a Maria. Questo il tratto caratteristico della vita di Anna Vitiello, la donna natia di Torre del Greco, fondatrice, insieme a Padre Arturo D’Onofrio, delle Piccole apostole della Redenzione, congregazione riconosciuta da Paolo VI solo il 5 luglio 1978, sebbene già da molti anni operasse a sostegno e a difesa dei bimbi orfani della diocesi di Nola. Ma la vita di Anna Vitiello non sembrava dovesse svolgersi in dedicazione completa al Signore, almeno non lo sembrava alle piccole menti umane chiamate a giudicare lo svolgersi dei giorni su questa terra. Infatti, quando conosce Padre Arturo, Anna è già sposata con Angelo Maresca, «ragioniere di ottimi costumi e religioso praticante»1 e, pur non avendo figli, con lui vive in serenità e armonia.

L’incontro con il prete di Visciano avviene nel 1945, durante una visita di questi alla parrocchia di San Francesco da Paola a Torre Annunziata – città dove Anna Vitiello è nata il 19 marzo 1904 e dove vive - divenendo occasione per la nascita di un secondo orfanotrofio – l’altro era quello di Visciano - la cui responsabilità è affidata proprio ad Anna Vitiello, e ad Ida Gallo. Proprio allora Padre Arturo comincia a pensare ad una congregazione di suore che dia «stabilità e continuità al suo lavoro apostolico»2. Pensieri che si trasformano in azione quando la signora Vitiello diviene vedova. Angelo Maresca infatti, ferito per uno scambio di persona e muore, dopo due giorni di agonia, il 19 febbraio 1946. Prima di chiudere definitivamente gli occhi però, Angelo vuole parlare con Padre Arturo al quale, dopo aver perdonato l’uomo che gli ha sparato, disse «muoio sereno, non lascio mia moglie sola, ella resterà con voi e con i vostri orfanelli»3.

Con una lunga lettera, datata 21 febbraio 1947, Anna Vitiello si mette al servizio degli orfanelli e di Padre Arturo, avviandosi a divenire madre amata da tutti i bambini che, abbandonati, avrebbero trovato speranza di vita fra le sue braccia: nasceva la serva dell’amore materno.

Nel novembre del 1949, le Piccole apostole della Redenzione si trasferiscono nel nascente Villaggio del Fanciullo di Visciano.

Nell’agosto del 1962, nella Cattedrale di Nola viene letto il Decreto di riconoscimento di diritto diocesano della Congregazione delle Piccole Apostole della Redenzione: Anna Vitiello e il Consiglio Generalizio emettono i voti perpetui. Nel 1971, madre Anna, con tre suore, apre la prima missione in Colombia cui seguiranno quelle di Città del Guatemala, nel 1980, di El Salvador, nel 1986, dello Stato di Kèrala in India, nel 1989, in Messico, nel 19974.

Umile e forte, Anna Vitiello, muore il 23 luglio 2000, giorno in cui a Visciano si festeggia la Vergine Consolatrice del Carpiniello. La sua figura dimostra la possibilità di essere genitore pur senza generare, di essere moglie pur essendo sposata con Dio, di avere una famiglia pur non avendo legami di sangue con i proprio “parenti”.

Don Mario Fabbrocioni, nel necrologio di madre Anna scrive: «All’età di quattordici anni, orfano di madre, ho incontrato a Torre Annunziata una seconda mamma: Anna Vitielllo […] Una figura esile ma forte, dolce, con un cuore grande e una carica di vitalità fino all’ultimo, nel martirio della sofferenza, sempre con il viso sul volto. Si è spenta dopo aver ricevuto la benedizione del padre in mezzo alle sue suore che da lei hanno imparato ad amare i figli degli altri, abbandonati e poveri. Mi ha colpito sempre la sua devozione a padre Arturo con cui era sempre in sintonia, anche quando dissentiva in qualche cosa: la sua umiltà era vincente. Quando i primi ex alunni dell’Opera venivano a trovarla, era felicissima e ricordava perfettamente non solo i loro nomi ma anche fatti e vicende della loro permanenza nel Villaggio del Fanciullo e la sua ricorrente raccomandazione che faceva loro era l’invito a voler sempre bene a padre Arturo»5.

BRACCIA APeRTe PeR I PICCoLI INDIFeSIAnna Vitiello: serva dell’amore materno

Una cosa sola col figlio. Segno di quell’amore che unisce per la vita e per la morte, gli occhi negli oc-chi per scrutare il mistero dell’al-tro. Gesti di tenerezza: coprire col manto il corpo nudo e toccare con mano il volto della madre per im-parare a scoprire i volti degli uo-mini. Fatti quasi di pietra, in una cornice di intenso cielo per dire il patto eterno di Dio con l’uomo.

1. V.Terrin, Padre Arturo D’Onofrio, Edizioni Messaggero Padova, 2008, p.522. Ivi, p.503. Ibidem4. Per maggiori informazioni sull’opera Piccole apostole della Redenzione: http://www.c-mdr.org/5. V. Terrin, op.cit., p. 53

Madonna de la guirlande Pablo Picasso

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aprile 201406

mensile della Chiesa di Nola

CoSTRuIRe uN CANTo DI LoDeFilippo Massimo Lancellotti: servo della bellezza

«È morto un giusto». Con queste parole inizia il ricordo, nel Bollettino diocesano del 1916, n. 157, del principe di Lauro Filippo Massimo Lancellotti definito, subito dopo, «benefattore di centinaia, di migliaia di famiglie […] un uomo dalla tempra adamantina, cattolico papale nel più largo significato delle parole»1.

Nato nel 1844, figlio del principe Camillo Massimo, Filippo Massimo ha solo diciotto anni quando, in virtù del testamento della zia paterna Donna Regina Giuseppina Massimo, vedova ed erede beneficiaria del principe Ottavio Lancellotti, diviene proprietario delle terre dell’ex feudo di Lauro con il castello.

Proprio al castello e alla sua ricostruzione, il giovane erede dirige gran parte della sua attenzione e ed interesse. I lavori iniziano però solo nel 1870: prima, don Filippo, compie viaggi in Toscana e in Umbria per visitare castelli, torri, fortezze e cercare spunti per arricchire le proprie idee estetiche. Nè manca di volgere lo sguardo a Roma, dove in particolare prende a modello la chiesa paleocristiana di S.Clemente per la costruzione della cappella del castello. L’entusiasmo con cui Filippo porta avanti la sua opera non si lega solo alla responsabilità che sente nel rappresentare la discendenza dei Lancellotti, ma soprattutto all’amore incondizionato che egli ha per la sua terra e per i suoi abitanti: il principe ben sa che riportare in vita il castello darebbe possibilità di lavoro a donne e uomini di Lauro e dintorni.

Il 25 agosto del 1872, quando il più è stato fatto, c’è l’inaugurazione. Una lapide – scritta in latino -posta sull’architrave della porta della Sala d’Armi, ricorda l’incendio e la ricostruzione del castello: «Filippo Lancellotti Principe di Lauro restituì all’antica forma, questa rocca, saccheggiata e incendiata da soldatesche francesi dopo una strenua difesa dei laureatosi il 30 aprile 1799 e l’affidò alla tutela della Beata Vergine Maria – 25 agosto 1872»2.

Il richiamo alla Vergine lascia trasparire il profondo senso religioso di Filippo Lancellotti confermato anche dall’attenzione dedicata alla costruzione della cappella privata, intitolata oltre che alla Vergine, anche a San Filippo Neri del quale il principe era un fervente discepolo. Sull’emiciclo dell’arco di accesso all’abside della cappella si può leggere inoltre quest’iscrizione «Ho avuto cura o Signore della bellezza della tua casa affinché tu non perda l’anima mia con i cattivi»3 seguita da un’altra posta nel catino absidale che così recita «Il Principe di Lauro fondò questa chiesa per ottenere il perdono delle proprie colpe. Tu che metti piede in questo tempio prega spesso Dio affinché abbia misericordia di lui»4: l’intera costruzione si presenta come un canto di gloria a Dio, il canto di un servo della bellezza.

Di qui alcune scelte architettoniche e decorative: la facciata presenta un portale marmoreo sul cui architrave è posta una semiluna in marmo con scolpita la città di Nola, insieme ai Santi Felice e Paolino, per ricordare l’appartenenza di Lauro e del Vallo alla Diocesi di cui i due santi sono protettori; le pareti interne sono affrescate con episodi legati alla vita religiosa del principato narrati da Gian Stefano Remondini nel suo Della nolana ecclesiastica storia. La zona absidale è invece dominata dal Cristo pantocratore innanzi al quale, oranti, sono rappresentati il principe, la moglie e membri della famiglia alcuni dei quali sotto forma di angioletti in quanto defunti in età infantile. Nel coro, infine, la cattedra vescovile riporta all’origine del cristianesimo: sullo schienale è infatti inciso l’incipit del vangelo di Giovanni “In principio erat Verbum…”. «Religiosissimo, anzi anima ascetica»5, Filippo Lancellotti pensa addirittura a ricreare uno spazio claustrale facendo costruire un piccolo chiostro attraverso il quale sia possibile passare dalla cappella alla biblioteca e viceversa: uno spazio piccolissimo, illuminato solo da un piccolo pezzo di cielo, nel quale poter meditare per rafforzare l’animo impegnato alla ricerca della verità.

Ma il principe non si limita a curare la sua anima innalzando opere a Dio e pregando: Filippo Massimo Lancellotti vive mettendo a disposizione se stesso e i suoi averi per quello che oggi viene definito “bene comune”. Tale fu il suo impegno di cittadino che il sindaco di Lauro Ferdinando Ziccardi, convocato il decurionato del 20 dicembre 1883, dà atto, in pubblica tornata consiliare, della magnanimità del principe i cui meriti sono stati riportati anche nell’atto deliberativo6. Una lapide viene allora posta sulla facciata del palazzo municipale: è l’agosto del 1883. Filippo Lancellotti si prodiga ancora per la sua terra fino al 30 dicembre del 1915, quando la morte lo coglie a Roma, dove era nato 71 anni prima.

1. Cfr. «Bollettino Religioso per la Diocesi di Nola», XV, gennaio 1916, 157, pp.267-269.2. «FHILIPPUS LANCELLOTTUS LAURI PRINCEPS ARCEM HANC A GALLICS COPIIS STRENUAM POST LAURINENSIUM DE-FENSIONEM DIE XXX APRILIS. A. MDCCLXXXXIX FORMAM RESTITUIT EAMQUE BESTAE MARIAE VIRGINIS TUTELAE COM-MENDAVIT DIE XXV AUGUSTI A. MDCCCLXXII».3. «DILEXI DOMINE DECOREM DOMUS TUE NE PERDAS CUM INIQUIS ANIMAM MEA» .4. «HANC UT CULPARUM LAURI DINASTIA SUARUM OBTINEAT VENIAM CONDIDIT ECCLESIAM. HANC HIC CIRCO PEDEM SACRAM QUI PONIS IN EADEM UT MISERETUR EUM SAEPE PRAECARE DEUM» .5. P. Moschiano, Castello Lancellotti, 2001, p. 746. cfr. P. Moschiano, Castello Lancellotti, 2001, p. 74

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07aprile 2014

ChiCChi di MeLagrana

La danzaHenri É. B. Matisse

È in uno stringersi di mani o in una legge-rezza dei corpi, o forse in una diversità delle pose o in un’armonia delle forme…dove la bellezza? Forse nei co-lori accesi o nel senso di libertà eppure di le-game, o ancora nell’i-nattesa naturalezza di corpi senza veli…dove la bellezza? In quella musica che non senti ma che risuona nel tuo cuore, tanto da indur-ti a volerti unire alla danza per vivere in quella bellezza che è complessa esperienza di tanti frammenti di luce e di vita.

membri della famiglia Lancellotti (il principe don FIlippo a sinistra ed il principe don Massimiliano a destra, a fianco agli asinelli) con il reverendo don Romano Borrasi, seduto. Contenuta in P. Moschiano, Castello Lancellotti, 2001

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aprile 201408

mensile della Chiesa di Nola

LA FeDe DI uN BuoN CITTADINoLuigi Basile: servo della fratellanza

Terzogenito ed unico maschio di sei figli, Luigi Basile, nasce a Marigliano il 20 aprile 1897. Educato in famiglia al rispetto delle leggi civili e religiose, giovanissimo prende parte alle attività della Collegiata e Chiesa Parrocchiale, sua parrocchia. Si laurea in Lingue e Letteratura Francese nel 1918, vincendo poco dopo il concorso a cattedre per la scuola media al quale però rinuncia per «non allontanarsi dalla famiglia e per assolvere ai suoi impegni di apostolato»1.

Nel 1923 diventa Presidente diocesano della Gioventù Cattolica e, successivamente, durante la dittatura fascista, Presidente della Giunta diocesana, organo comprendente i quattro rami dell’AC dell’epoca. Su richiesta del Vescovo, nel 1946, si candida a Marigliano con la DC ed è chiamato a sostituire il sindaco eletto, il dott. Raffaele Tufano, restando in carica fino alle elezioni del 1952 ed assumendo un secondo mandato dal 1956 al 1961.

Durante i due mandati, riesce a «trasfondere nell’impegno civico gli ideali di fraternità, condivisione e reciprocità coltivati sin dalla giovinezza […] creando strutture capaci di soddisfare i diritti fondamentali dei cittadini»2, da quello dell’istruzione a quello alle cure mediche: il primo cittadino si pose come servo della fratellanza.

Tenacia particolare, il prof. Basile, impiega nella lotta alla povertà: attraverso l’elenco dei poveri, «aggiornato semestralmente, le persone in esso incluse che lo richiedono, vengono ammesse ad usufruire della somministrazione gratuita dei medicinali, del trasporto gratuito degli infermi in ospedale, del trasporto gratuito dei figli alla colonia estiva, del contributo per l’acquisto d’occhiali, panciere, cinti erniari, protesi e della fornitura gratuita della cassa funebre».

Ma Basile sapeva che il miglior modo per combattere la povertà è quello di mettere i cittadini in condizione di lavorare. Di qui la richiesta al Ministero del Lavoro dell’istituzione di due cantieri per la realizzazione dei progetti del Ricavamneto fogne Marigliano e del Ricavamento Alveo Campagna.

Gli incarichi a sindaco non lo sottraggono al servizio in AC ed alle altre attività pastorali caritative in cui si impegna con passione come dimostra la cura dei giovani del Convitto francescano del Convento di San Vito, che aiuta anche nello studio della lingua francese: «in lui è vivissimo il senso della consacrazione secolare, questo è il vero segreto della sua impostazione di vita, basata sugli assoluti del Vangelo, vissuto da laico sulla scia luminosa di S. Francesco»3.

Nel 1970, dopo quasi un cinquantennio di presidenza diocesana, il prof. Basile lascia la guida dell’Associazione in mani più giovani. Trasferitosi a Napoli, diventa Presidente dell’AC della sua nuova parrocchia di residenza. Il suo servizio all’associazione rimane fedele e costante fino alla fine: un malore avuto durante una riunione parrocchiale, mette fine ai sui giorni il 26 aprile 1977.

Così il prof. Alfonso Monsurrò ha ricordato la sua figura in occasione del ventesimo anniversario della morte: «Conobbi il prof. Basile sul finire dell’anno 1941, allorché fui chiamato a collaborare nel settore della Gioventù Studentesca. Del Presidente ammirai subito la profonda spiritualità e restai colpito da quel suo riserbo che poteva, forse, incutere un po’ di soggezione, ma che si stemperava in un’accoglienza semplice e cordiale, in un sorriso che accompagnava la compiacenza e l’incoraggiamento per chi, giovane ed inesperto, si trovava avviato nei non facili sentieri dell’apostolato, specificatamente in quella meravigliosa ed esigente scuola di vita che fu ed è l’Azione Cattolica.

Il professor Basile era maestro ed esempio in quel principio che caratterizzò dal suo nascere la Società della Gioventù Cattolica Italiana e che ancora oggi è il fulcro del primo articolo dello Statuto: la collaborazione con la Gerarchia per la realizzazione del fine generale apostolico della Chiesa[…] Lo ascoltai nei vari incontri a livello diocesano e parrocchiale: era l’eco fedele dell’insegnamento del Papa, che nei messaggi natalizi del 1941 e 1942 indicava con chiarezza e decisione le linee portanti di un ordine nuovo fondato sulla libertà civile e religiosa, sulla dignità della persona e della famiglia, sulla solidarietà tra le classi sociali. Il prof. Basile incarnò questo messaggio nella sua missione di Presidente dell’AC e nella testimonianza quotidiana alla quale ogni credente è chiamato[…] Nel secondo quinquennio degli anni 50 e nel primo degli anni 60 l’Azione Cattolica, dopo gli inquietanti segnali venuti dalla situazione politica ed amministrativa, chiese a molti suoi dirigenti e agli aderenti più qualificati, una partecipazione diretta alla vita pubblica, un coinvolgimento in prima persona nelle vicende amministrative e politiche. Così il Presidente della Giunta Diocesana fu anche Sindaco della sua città.

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09aprile 2014

ChiCChi di MeLagrana

Il prof. Basile, non più giovane, portò nella carica di Primo Cittadino un fervore giovanile, un alto senso di responsabilità e, soprattutto, la sua integrità morale. Conobbe anche le spine e i triboli insiti in quella responsabilità. Lui, mite ed alieno ad ogni intemperanza verbale o di comportamento, seppe fronteggiare con animo forte le circostanze avverse, la durezza delle opposizioni, lo scetticismo che contagia…

Senza sottrarre tempo ed energie alla Presidenza diocesana di Azione Cattolica[…] Oggi si fa più che mai vivo il ricordo di quest’ uomo esemplare, che nella famiglia di origine fu circondato dall’immenso affetto delle sorelle e dei familiari, ma che fece dell’Azione Cattolica la sua vera famiglia, nella quale visse ed operò con fedeltà ed amore che non esito a definire “sacerdotale”: una fedeltà ed un amore che conquistarono i cuori nei lunghi anni della operosa militanza e che rifulsero più vivi e preziosi nel tempo della solitudine orante, e dell’intimo dolore»4.

1. Ivi, p. 122. Ibidem3. Il ricordo nella testimonianza personale del prof. Alfonso Monsurrò, in Presidenza Diocesana di Azione Cattolica (a cura di), Luigi Basile, un laico di Azione Cattolica, atti del convegno (Marigliano, 26 aprile 1997), Istituto Anselmi, Marigliano, 1998, pag. 21.4. Il ricordo nella testimonianza personale del prof. Alfonso Monsurrò, in Presidenza Diocesana di Azione Cattolica (a cura di), op cit, pp. 25-41.

PentecosteEmil Nolde Volti ancora tesi fra pau-ra e sgomen-to, mani che si stringono e si poggiano sugli altri a rassicu-rare, per dire una presenza. Non è questo però che li farà uscire, corag-giosi, per dare testimonianza, le sole mani non bastano, i soli sguardi non inducono a nuovi oriz-zonti, ma due mani nel segno della preghie-ra, appena una fiammella ar-dente sul capo di ciascuno la presenza di uno spirito che inatteso squar-cia ogni timo-re e si fa servo della loro fra-ternità e della nostra famiglia.

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aprile 201410

mensile della Chiesa di Nola

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11aprile 2014

ChiCChi di MeLagrana

Luigi Cortile nasce a Nola (NA) l’8 aprile 1898 da Pasquale e da Stella Tuccillo. A 19 anni si arruola nella Regia Guardia di Finanza: è il 21 febbraio 1917, piena prima guerra mondiale. Luigi vi prende attivamente parte dal 1° ottobre, mobilitato con l’XI battaglione, operante nei Balcani. Al termine del conflitto è ammesso alla Scuola Sottufficiali di Caserta dalla quale esce con il grado di sottobrigadiere il 10 settembre 1919. Assegnato, per il servizio di prima nomina, presso la Legione di Genova Cortile è addetto ai servizi di volante fino al 1923, quando viene trasferito nella Polizia Tributaria Investigativa. Luigi continua con successo la sua carriera tanto che all’inizio del dicembre del 1930, promosso al grado di maresciallo capo, viene trasferito alla Legione di Milano ed assegnato al locale Nucleo di Polizia Tributaria. Addetto al Servizio Sedentario dal 1° giugno 1935, da maresciallo viene nominato Comandante della Brigata di frontiera e “Reggente” della Dogana di confine di Clivio. Dopo solo un anno giunge una nuove promozione: maresciallo maggiore.

«Allo scoppio della seconda guerra mondiale – ha raccontato il nipote del maresciallo, Antonio Romano – tutti i suoi familiari desideravano che lo zio abbandonasse il suo servizio e tornasse a Piazzolla, perché avevano timore dei pericoli della guerra»1. Ma Cortile non venne meno al suo dovere di soldato e di uomo. In seguito all’occupazione tedesca della Provincia di Varese, il maresciallo entra a far parte dell’organizzazione umanitaria, riconducibile a Don Gilberto Pozzi, parroco di Clivio, particolarmente attiva in favore dei profughi ebrei e dei perseguitati, così come emerge dal libro dello di Francesco Scamazzon, Maledetti figli di Giuda, vi prenderemo!2. Il giovane maresciallo è parte di un’eletta schiera di sottufficiali e finanzieri che, nel rendere grandi servigi al Movimento di Liberazione Nazionale, si prodiga con tutte le proprie forze, offrendo disinteressatamente aiuti umanitari nei riguardi di migliaia di «cittadini, ebrei e specialmente bambini, che amava tanto, per farli passare clandestinamente in Svizzera per sfuggire alla caccia dei nazifascisti»3. Per essersi reso responsabile di: «far passare dall’Italia alla Svizzera e viceversa della corrispondenza diretta ad internati e da questi alle loro famiglie», come emerge dal Verbale di Irreperibilità redatto in data 16 luglio 1947, il maresciallo Luigi è tratto in arresto dai tedeschi, nella stessa Clivio: è l’11 agosto 1944, inizia il calvario del maresciallo servo della giustizia.

«Dell’internamento e della causa del suo arresto, […] gli stessi suoi parenti, […] non sapevano. All’epoca essendo l’Italia in guerra, si pensava fosse capitato qualcosa a zio Luigi, ma non si sapeva nulla di preciso»4.

Inizialmente tradotto nel carcere di Varese, Cortile viene poi consegnato ad un soldato tedesco per essere condotto a San Vittore, a Milano. Il 17 ottobre dello stesso anno è quindi trasferito al campo di concentramento di Bolzano da dove poi parte per Mauthausen il successivo 20 novembre e da cui non farà più ritorno.

Alla memoria dell’eroico maresciallo è stata concessa, con D.P.R. in data 16 giugno 2006, la Medaglia d’Oro al Merito Civile con la seguente motivazione: «Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale si prodigava, con eccezionale coraggio ed encomiabile abnegazione, in favore dei profughi ebrei e dei perseguitati politici, aiutandoli ad espatriare clandestinamente nella vicina Svizzera. Arrestato dai nazifascisti veniva infine trasferito in Austria, perdendo la vita in un campo di concentramento. Mirabile esempio di altissima dignità morale e di generoso spirito di sacrificio ed umana solidarietà»5.

AL DI Là DI oGNI CoNFINeLuigi Cortile: servo della giustizia

Tra l’agitazione di destrieri e di corpi in tensione; tra dolore, disperazione, manifestazione di forza e ultimi spasmi di vita, lì, in secondo piano l’unica ferita da cui sgorga la salvezza. Traccia di sangue, pronta ad essere coperta dal bianco lino in un gesto che nasce come ca-rità ma rischia di diventare dimenticanza, oblio, uscita di scena di quella giustizia nuova che si chiama miseri-cordia e dono.

1. A.Romano, Zio Luigi: un punto di riferimento vivo da trasmettere ai nostri figli, in «l’Aia», VI, 1, nov. 2008, p.32. Francesco Scamazzon, Maledetti figli di Giuda, vi prenderemo! La caccia nazifascista agli ebrei in una terra di confine: Varese 1943-1945, Arterigere-Chiarotto Editore, 2005.3. A.Romano, Zio Luigi: un punto di riferimento vivo da trasmettere ai nostri figli, op. cit.4.Ivi, p. 35. Consultabile sul sito della Guardia di Finanza – www.gdf.

CrocifissioneRenato Guttuso

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aprile 201412

mensile della Chiesa di Nola

SoLo uN PRoGeTTo D’AMoReAngelica Martinelli: serva dell’obbedienza

La caritatevole opera di Angelica Martinelli è legata alla Casa e alla Chiesetta del Sacro Cuore da lei fondate a Valle di Pompei, quando questa località era un comune della diocesi di Nola.

Nata a Monopoli (BA) il 22 dicembre 1822 da una famiglia nobile e molto cattolica, piccolissima, a seguito della morte della madre, Benedetta Noia, viene affidata dal padre Clemente alle Suore Benedettine del Monastero di S. Martino, dove rimane fino all’età di 16 anni, quando, ammalatasi decide di lasciare il chiostro per andare ad abitare con il fratello maggiore – anche suo tutore per la sopraggiunta morte del padre – Francescopaolo.

Come era avvenuto in convento, anche in famiglia Angelica «si fa apprezzare per le sue virtù non comuni»1 che, all’età di 19 anni la portarono in sposa a Giuseppe La Manica, con il quale si trasferisce a Corato dove si mette in luce quale «vera donna forte [che] compie la sua missione santificando la sua anima, reggendo la famiglia con prudenza, edificando il giovane cognato, che guida come figlio, mostrando ai servi la via della virtù»2.

Il tutto sempre riponendo massima fiducia nel Signore. Anche quando la morte porta via i due suoi figli, rispettivamente di tre e nove mesi, ai quali, dopo poco, si aggiunge l’amato consorte al quale giura fedeltà eterna: ancora una volta, così come in seguito, Angelica china il capo al progetto di Dio, mostrando a tutti la bellezza di essere serva dell’obbedienza.

Da Corato si trasferisce così a Napoli dove vive per dodici anni con la Serva di Dio Caterina Volpicelli, accompagnandola nella fondazione delle Ancelle e del Santuario del sacro Cuore al Largo Petrone alla Salute per cui non esita ad impiegare parte delle sue sostanze.

«Iddio però le fè sentire pel suo confessore, cui prestava grande obbedienza, di lasciare la Volpicelli e portarsi a Valle di Pompei, ove ella per nulla era disposta ad andare, e pure vi andò per l’ubbidienza, che le disse: è questa la volontà di Dio, sì a Valle di Pompei Iddio vuole»3.

Qui si occupa nelle opere del Santuario Pontificio, che allora iniziava a sorgere, ma, il suo vero obiettivo era la fondazione di un orfanotrofio, per la quale va ad abitare, per circa due anni in alcuni, bassi pianterreni, «angusti e miserabili».

La nuova fondazione cresce nella struttura e nel numero di orfanelli e volontari tanto che, con il consiglio di vari uomini di fede, Angelica fonda la comunità delle Figlie del Sacro Cuore «per quelle giovani che vogliono consacrarsi al Signore ed educare le orfane che sostiene col suo patrimonio. [Successivamente] si adopera per accendere in tanti cuori la devozione al Cuore SS. di Gesù, quindi affilia la sua Chiesa dedicata al Cuore SS. di Gesù, all’Apostolato della preghiera in Roma per l’acquisto delle Indulgenze, stabilisce la giornata di riparazione e sacro ritiro nella prima domenica del mese, con solenne esposizione del Venerabile per tutto il giorno sino alla sera»4.

La vita di Angelica è una vita di obbedienza, speranza, sacrificio ma soprattutto preghiera. Avanti con gli anni e sofferente nel fisico, continua a restare per ore ed ore in chiesa. E quando, costretta a letto, non può più recarvisi, trasforma in chiesa la sua stanza, lì continua a pregare a lungo innanzi all’immagine di Maria SS. della Madia, patrona di Monopoli, quadro che aveva con sé dal’età di otto anni.

«La fama di virtù e rare prerogative della signora Angelica Martinelli giunge sino al Vaticano, e Pio X […] le concede altra facoltà circa la Comunione oltre lo stabilito […] in modo che non digiuna si comunica quasi ogni giorno. Tutti edifica anche quando è costretta a letto piena di dolori, non potendo muovere né il braccio destro né le gambe. Niuno lamento muove […] Il suo letto è spesso circondato da Sacerdoti e tra questi Mons. Renzullo, Vescovo di Nola»5.

Nei tre mesi trascorsi a letto chiede sempre la compagnia di almeno un’orfanella, e le bambine fanno a gara per trascorrere del tempo con lei che riconoscono come madre.

Il 26 maggio 1907 mentre tutte le suore e le orfanelle, intorno al suo letto sono a pregare, Angelica muore ripetendo «Dolce Cuore del mio Gesù, fa che io ti ami sempre più».

1. Cfr. «Bollettino Religioso per la Diocesi di Nola», VII, 30 marzo 1908, 77, pp. 117- 123.2. Ivi, p. 1193. Ibidem4. «Bollettino Religioso per la Diocesi di Nola», op. cit., p. 1205. Ivi, p. 123.

Un segno dove l’assenza di un cor-po crocifisso mi provoca un sussul-to: non c’è, è risorto! Ma perché il legno resta ancora lì, piantato nella storia, chi ancora dovrà sa-lirvi, … e quella mandorla di rosso mi dice quale sia stato il prezzo, chi ancora dovrà pagarlo? Chi sce-glierà di donarsi ancora? Tutti in attesa…sapendo che Dio non farà mancare la sua risposta e l’uomo ancora saprà scegliere quella stes-sa via nel suo nome.

CroceKasimir Severinovitch Malevitch

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13aprile 2014

ChiCChi di MeLagrana

Dal 21 al 26 agosto 2014, la Chiesa di Nola vivrà l’esperienza del pellegrinaggio diocesano a Santiago de Compostela e Fatima, presieduto dal vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma. Queste le tappe del viaggio21 agosto (giovedì): Napoli/Porto/Santiago 22 agosto (venerdì): Santiago de Compostela 23 agosto (sabato): Santago/Braga/Coimbra/Fatima 24 agosto (domenica): Fatima 25 agosto (lunedì): Fatima/Lisbona 26 agosto (martedì): Lisbona/Napoli

Info: www.diocesinola.it tel. 081 3114613 - Cell. 348 5184028 e-mail [email protected] apertura ufficio: lunedì, mercoledì e venerdì, dalle 9.00 alle 12.00

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aprile 201414

mensile della Chiesa di Nola

IL CoRAGGIo DI DIRe NoDomenico Beneventano: servo del bene comune

Domenico Beneventano nasce l’11 luglio del 1948 a Petina (Salerno), ai piedi dei monti Alburni. Il padre, guardia forestale, è di Sasso di Castalda (PZ), la mamma di Polla (Salerno).

Dal 1964, la famiglia Beneventano si trasferisce ad Ottaviano, in provincia di Napoli, dove Mimmo - così tutti lo chiamavano - dopo essersi laureato in medicina e specializzato in chirurgia, svolge la professione medica e l’attività di chirurgo presso l’ospedale S. Gennaro di Napoli.

Una specifica parola caratterizza la vita del giovane medico: generosità. Per le persone e il territorio, Mimmo non si risparmia. Da ragazzo frequenta la parrocchia, è membro di Azione Cattolica, e la sua è – come sempre sarà – una presenza significativa; sul lavoro è competente, umile, cortese: la sua casa, come il suo studio medico, sono sempre aperti, giorno e notte, chiunque lo chiami ha la sua disponibilità. É nel Belice dopo il terremoto e a Firenze dopo l’alluvione.

Diventato un riferimento importante per la sua gente, vuole spendersi ancora di più in maniera concreta per il bene comune.

Nel maggio del 1975 si candida, tra le file del Partito Comunista italiano, a consigliere comunale ad Ottaviano e viene eletto raccogliendo un grande consenso tra i cittadini; cosa che si ripeterà anche alle elezioni del 1980.

La serietà con la quale Mimmo prende i suoi doveri non gli sottrae la gioia di vivere: canta, suona, scrive poesie. Ma l’esistenza di Mimmo deve fare i conti col potere di morte del clan del Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata, che proprio ad Ottaviano vede il centro del suo potere.

Quel giovane consigliere disturba con la sua onestà, rompe le scatole con la sua integrità e la sua parola instancabile: è un vero e proprio servo del bene comune.

Mimmo denuncia soprattutto gli affari che il partito del cemento tenterà di portare a termine nell’area protetta del costituendo Parco del Vesuvio e parla dei rapporti tra camorra e politica.

Così si arriva alla mattina del 7 novembre 1980. Mimmo esce di casa prestissimo, come suo solito, va verso la sua auto, la madre muove la mano dalla finestra per salutarlo e poi rientra in casa.

Una 128 di colore blu elettrico in quel momento sopraggiunge e inizia a sparare, Mimmo si accascia a terra e muore. Ma quelle pallottole non spengono la fecondità della sua esistenza.

Nel 1989, sulla scorta delle sue battaglie ambientaliste in difesa del territorio vesuviano, nasce ad Ottaviano un circolo di Legambiente a lui intitolato. E poi una sezione di partito.

Nel 1998 il primo circolo didattico di Ottaviano cambia nome in Direzione didattica “Mimmo Beneventano”. Il comune di Giffoni Valle Piana nel 1992 gli intitolerà una strada cittadina, così come i comuni di Pomigliano D’Arco e Sant’Anastasia.

E così via. Insomma, dal sangue parso in quel 7 novembre, lentamente ma inesorabilmente, inizia a germogliare vita nuova: Mimmo diventa simbolo, esempio, ispirazione, coraggio per altri. Le sue idee camminano sulle nostre gambe.

In luoghi dove la vita è parcheggiata tra caseg-giati dove dormire e spazi vuoti perché si è sem-pre “altrove”, mentre neanche un segno di vita, un albero, un fiore porta un messaggio che vivere è bello, una luce improvvisa un bianco splendore di vesti ci dice che tutto questo sta per essere trasfigurato, se ci accorgiamo che lui cammina in mezzo a noi. Non esistono periferie del mondo se la giustizia porta il suo nome.

Cristo della periferiaGeorges Henri Rouault

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15aprile 2014

ChiCChi di MeLagrana

uNA LAICITà ToTALMeNTe CoNSACRATASandra D’Alessandro: serva della Sacra Scrittura

Amante dei segni perché rimandanti ad un significato altro, amante per questo della Sacra Scrittura perché, studiandola, aveva la possibilità di svelare come in quelle parole si celi l’amore di Dio per l’uomo, Sandra D’Alessandro nasce a Mariglianella, comune a pochi chilometri da Nola, il 9 settembre 1953.

Dopo aver frequentato la scuola dell’obbligo, decide di frequentare il liceo classico. Per questo si iscrive al Carducci di Nola dove conseguirà la maturità nel 1972. Anni importanti per lo studio ma anche per lo sviluppo della sua fede e della sua umanità.

Dopo aver infatti aderito al gruppo di Azione Cattolica della sua parrocchia come ‘aspirante’, diviene presto membro attivo ed intelligente dell’associazione tanto da entrare a far parte dell’equipe diocesana dell’Azione Cattolica Ragazzi - ACR, dove comincia a coltivare la sua passione per l’educazione dei giovani.

Anche per seguire questa sua vocazione si iscrive alla facoltà di lettere classiche dell’Università Federico II di Napoli che gli consentirà di partecipare al concorso a cattedra per l’insegnamento nella scuola media statale: superatolo inizia la sua missione proprio a Mariglianella. Come con i suoi ragazzi dell’AC anche con i suoi alunni Sandra ha un atteggiamento amorevole e fermo allo stesso tempo. Costante il suoi invito ai ragazzi a non fermarsi mai alla prima impressione sulla realtà, ma a distinguere di essa significante e significato, segno e senso. Deciso il suo invito a non spendersi senza un perché, a fare senza essere spinti da una domanda sul suo senso ultimo. La sua determinazione a trasmettere l’importanza di andare al cuore della realtà giungerà anche agli studenti degli istituti secondari. Nel 1987 infatti supera il concorso per le scuole superiori e viene chiamata ad insegnare italiano e latino, prima all’Istituto magistrale di Pomigliano d’Arco e poi al Liceo scientifico di Marigliano. Tutto senza mai abbandonare lo studio per la sacra scrittura per il quale, dopo la laurea, si era trasferita a Roma per iscriversi alla Pontificia Università Gregoriana. Dopo il normale corso accademico di studi teologici, ottiene la Licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico. In virtù di questa specializzazione insegnerà anche presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose della diocesi di Nola ed in seguito presso lo Studio francescano di S. Angelo in Palco. Impegni che affronta con competenza e dedizione, e con in più l’importante esperienza della direzione della sezione femminile per gli studi teologici dell’Istituto di Capranica a Roma, affidatole da Mons. Franco Gualdrini.

Nel frattempo diviene presidente parrocchiale della sua associazione di Mariglianella, divenendo punto di riferimento per i più giovani. Ma l’Azione Cattolica non è l’unico luogo che la accoglie e che Sandra sceglie per il suo cammino di fede: negli anni ’90 diventa infatti terziaria francescana completando il suo percorso di totale dedizione al Signore al quale il 21 novembre del 1986 si era consacrata.

La serva della Sacra Scrittura, l’insegnante che aveva sempre spinto i suoi allievi a cercare la verità delle cose, della realtà, la socia di Azione Cattolica che aveva sempre spinto l’associazione ad un agire non dimentico dell’essenziale, la francescana che spesso si recava presso il convento di San Vito a Marigliano per fermarsi a meditare sui suoi amati segni, si spegne il 17 novembre 2000 presso il II Policlinico di Napoli: nel giro di pochi giorni, una leucemia fulminante la porta via.

Lui che si narra mentre l’uomo costruisce le sue torri, lui che ci canta il suo amore, lui che ci comunica i suoi sen-timenti, che ci apre il cuore. Ora nelle vesti di un folle innamorato, ora di un eroico guerriero, ora con la dolcezza di una madre, ora con la cordialità di un fratello…sempre con l’amore di un Padre.

OrfeoMarc Chagall

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