CHICCHI DI MEMORIA / Salviamo il Paesaggio

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1 CHICCHI DI MEMORIA IRPINA I RESTI DI UN ANTICO PAESAGGIO Uve, impianti e produzioni in via di estinzione Invito alla realizzazione di un parco ambientale tra Taurasi, Mirabella Eclano e Bonito. Riprendere l’antico La trasformazione degli impianti tradizionali in nuovi sistemi di allevamento per la produzione di vini docg quali il Taurasi , il Greco di Tufo e il Fiano e le doc di ricaduta ha portato e sta portando all‟estinzione di vitigni che da quanto risulta dalla memoria orale dei contadini, sono sempre stati presenti nel territorio. Molti sono anche le piante secolari che in alcuni casi hanno attraversato indenni la filossera ma non la massificazione della produzione. I vitigni che possiamo chiamare minori erano utilizzati come uva da taglio o erano insieme agli altri giunti in auge non più di quarant‟anni fa parte di uvaggi, molto frequenti nelle aree di produzione vinicola tradizionali. Non bisogna commettere l‟errore di pensare che il monovitigno sia parte integrante della tradizione: la selezione di un unico vitigno da cui produrre vino è un‟abitudine diffusa con l‟affermazione dei disciplinari per i vini. Per tradizione ogni viticoltore invece era solito impiantare nella propria vigna l‟uva che riteneva più adatta al proprio gusto e alla propria idea di produzione . Sono in Irpinia numerosi i vitigni caduti nel dimenticatoio, basti ricordare a partire dai più noti il coda di volpe, solo da pochi anni vinificato in purezza, il grecomusc‟ o rovello bianco vinificato ad oggi da un‟unica cantina come la coda di volpe rossa, lo sciascinoso e il montonico ancora non adottati da nessuna azienda e dunque ancora di più a rischio estinzione. Vi sono nel paesaggio irpino dei veri e propri monumenti naturali delle piante sopra elencate e di alcune varietà di maggiore diffusione come il piedi rosso o di origine allogena ma ormai da secoli adottati in questo territorio come il barbera. Alcuni di quei vitigni, si vede in particolare per il coda di volpe prima e per quanto accade per il grecomusc‟ in questi ultimi tempi, si stanno d imostrando come adatti ad essere reimpiantati e reintrodotti nel commercio poiché non secondari anche se meno diffusi e famosi del tridente di forza di questo territorio. Non bisogna infatti commettere l‟errore di pensare che il dominio del fiano, del greco e dell‟aglianico, sia stato legato alla sola migliore qualità di queste uve. Nelle dinamiche storiche la selezione di un qualunque tipo di prodotto rispetto ad un altro è dato da un fenomeno apparentemente incontrollabile dato dalla trasformazione del gusto. Abbandonata ormai

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Un progetto della Condotta Slow Food Irpinia Colline dell'Ufita e Taurasi

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CHICCHI DI MEMORIA IRPINA

I RESTI DI UN ANTICO PAESAGGIO Uve, impianti e produzioni in via di estinzione

Invito alla realizzazione di un parco ambientale

tra Taurasi, Mirabella Eclano e Bonito.

Riprendere l’antico

La trasformazione degli impianti tradizionali in nuovi sistemi di allevamento per la produzione di

vini docg quali il Taurasi , il Greco di Tufo e il Fiano e le doc di ricaduta ha portato e sta portando

all‟estinzione di vitigni che da quanto risulta dalla memoria orale dei contadini, sono sempre stati

presenti nel territorio. Molti sono anche le piante secolari che in alcuni casi hanno attraversato

indenni la filossera ma non la massificazione della produzione. I vitigni che possiamo chiamare

minori erano utilizzati come uva da taglio o erano insieme agli altri giunti in auge non più di

quarant‟anni fa parte di uvaggi, molto frequenti nelle aree di produzione vinicola tradizionali. Non

bisogna commettere l‟errore di pensare che il monovitigno sia parte integrante della tradizione: la

selezione di un unico vitigno da cui produrre vino è un‟abitudine diffusa con l‟affermazione dei

disciplinari per i vini. Per tradizione ogni viticoltore invece era solito impiantare nella propria vigna

l‟uva che riteneva più adatta al proprio gusto e alla propria idea di produzione. Sono in Irpinia

numerosi i vitigni caduti nel dimenticatoio, basti ricordare a partire dai più noti il coda di volpe,

solo da pochi anni vinificato in purezza, il grecomusc‟ o rovello bianco vinificato ad oggi da

un‟unica cantina come la coda di volpe rossa, lo sciascinoso e il montonico ancora non adottati da

nessuna azienda e dunque ancora di più a rischio estinzione. Vi sono nel paesaggio irpino dei veri e

propri monumenti naturali delle piante sopra elencate e di alcune varietà di maggiore diffusione

come il piedi rosso o di origine allogena ma ormai da secoli adottati in questo territorio come il

barbera. Alcuni di quei vitigni, si vede in particolare per il coda di volpe prima e per quanto accade

per il grecomusc‟ in questi ultimi tempi, si stanno dimostrando come adatti ad essere reimpiantati e

reintrodotti nel commercio poiché non secondari anche se meno diffusi e famosi del tridente di

forza di questo territorio. Non bisogna infatti commettere l‟errore di pensare che il dominio del

fiano, del greco e dell‟aglianico, sia stato legato alla sola migliore qualità di queste uve. Nelle

dinamiche storiche la selezione di un qualunque tipo di prodotto rispetto ad un altro è dato da un

fenomeno apparentemente incontrollabile dato dalla trasformazione del gusto. Abbandonata ormai

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quasi totalmente dalla critica storica il modello interpretativo unilineare ed evoluzionistico, si è resi

conto che la storia della vicenda umana è caratterizzata da cambiamenti dovuti non da altro se non

da un fenomeno che potremmo definire come cambiamento del gusto, intendendo come “gusto” la

trasformazione di un sistema di comportamenti per motivi non spiegabili su piano razionale e

unilineare. Nel corso dei millenni, per un motivo forse dovuto ai cambiamenti climatici o ad una

rete di scelte assolutamente casuali, si è passati in occidente da indossare invece che lunghe vesti,

così come accade ancora per i religiosi cattolici, i pantaloni, tipico indumento orientale, diventati

poi simbolo dell‟occidente in contrasto con le lunghe vesti orientali, un tempo lontano tipico

abbigliamento occidentale. Allo stesso modo nel corso dei millenni sono cambiati i tipi di uve, i tipi

di lavorazioni e i tipi di impianti per un‟insieme di circostanze non necessariamente conducibili ad

un unico modello interpretativo. Riscoprire dei vitigni scomparsi, non è solo un‟operazione

esclusivamente legata all‟opportunismo e ad un fuorviante amore per il vecchio. Continuare a tenere

da parte ciò che in passato è stato scartato a causa di vicende storiche e di gusti, potrebbe oggi

essere un errore anche di tipo economico. Inoltre, potrebbe essere un’affascinante sfida da

intraprendere quella di produrre vino da vitigni storici, salvaguardando gli uvaggi

tradizionali per poter riproporre sapori che altrimenti possono andar perduti.

Non si può d‟altronde neanche escludere che salvaguardare queste aree possa essere un invito a

coloro che sono disponibili a reimpiantare con un sistema tradizionale a starseto, ad esempio anche

l‟aglianico, visto che quest‟ultimo spesso sembra per la forte crescita vegetativa soffrire negli

impianti a spalliera ormai globalizzati. In questo modo salveremo un paesaggio tradizionale, una

tipica produzione e un metodo di lavoro (la potatura e la vendemmia sugli impianti a starseto) che

potrebbe andare perso negli anni e non faremo dell‟Irpinia una pedissequa imitazione della

Borgogna.

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Il rischio di una perdita di identità.

Vitigni antichi e paesaggio attuale da conservare

L‟assunto, da cui prende le mosse il progetto, è che parte del territorio dell‟Irpinia e nello specifico

della media Valle del Calore sta resistendo alla cementificazione ed è caratterizzato dalla presenza

di poderi e di un paesaggio agricolo in cui spesso si conservano tracce di vigneti “secolari” per

produzioni di vino limitate all‟autoconsumo.

È questa una realtà preziosa che va tutelata, se si vuole evitare il depauperamento del patrimonio

vitivinicolo locale già fortemente rimaneggiato dall‟epidemia di fillossera, dall‟impianto negli anni

Ottanta-Novanta del Novecento di vigneti specializzati, che hanno sostituito i vitigni autoctoni

minori o tradizionali con le cultivar di pregio delle tre DOCG del territorio.

Per ora l‟indagine si è concentrata su tre Comuni (Taurasi, Bonito e Mirabella Eclano) tutti ricadenti

all‟interno dell‟areale della DOCG “Taurasi”, in cui negli ultimi anni si sta determinando una

standardizzazione dei sistemi di coltivazione e dei processi di vinificazione con conseguente

omologazione del gusto stesso, dall‟altra, alla seriazione delle produzioni, si è accompagnato un

appiattimento del paesaggio storico agricolo.

Il rischio di una perdita d‟identità, quindi, è ancora più allarmante perché riguarda non solo il

comparto vitivinicolo, ma coinvolge l‟intero paesaggio rurale irpino, il cui assetto paesistico -

territoriale appare oggi profondamente mutato rispetto a quello dominante fino agli anni Ottanta del

secolo scorso. Al bel paesaggio a mosaico delle colture promiscue, armonico e perfettamente

aderente alle peculiarità ambientali dei singoli territori, si è in parte sostituito il paesaggio seriale ed

uniforme delle monocolture specializzate, con conseguente modificazione delle trame campestri e

scomparsa delle componenti residuali ad esse annesse.

Il progetto “Chicchi di memoria Irpina”, vuole contrastare questo fenomeno di

semplificazione e impoverimento del paesaggio rurale attraverso il recupero di

quell’equilibrio tra fattori naturali e fattori di ordine culturale, che per secoli ha segnato la

qualità del paesaggio irpino.

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Lo starsete di Taurasi e della media Valle del Calore

Taurasi è un piccolo paese rurale sulla riva del Calore, nel cuore dell'Irpinia. E' diventato famoso

nel mondo per aver dato il nome all'unico vino DOCG rosso campano. Nei primi anni del XX

secolo era la stazione ferroviaria da cui partivano vini e uve per le grandi cantine del nord dell'Italia

e della Francia, dove la filossera ebbe effetti devastanti e si sentì la necessità di importare vini dal

Meridione d'Italia, che restò a lungo immune dal fenomeno prima degli anni „20 del '900. Il centro

antico del paese del vino è appoggiato su una piccola collina, a circa 350 metri sul livello del mare.

Per arrivarci superato il ponte sul fiume Calore si percorre una strada tortuosa che si arrampica sulla

collina. Al di là delle insegne o di pubblicità piuttosto rare a dimostrazione che l'industria

enoturistica non ha ancora invaso il territorio, se si guarda intorno si vedono numerosi nuovi

impianti di vigneti, noceti, e aree coltivate a grano. La frammentarietà della proprietà ha

salvaguardato la promiscuità delle culture ma la presenza dei filari di viti a cordone speronato

aumenta anno per anno.

“ (...) Quando per detta esportazione il vino diventò una merce grandemente ricercata e pagata a

prezzo altamente remunerativo, si distrussero i castagneti, si abbatterono le piantagioni di

nocciuoli e con rapidità fulminea, nei piani, sui colli e ovunque v'era palmo di terreno libero, si

piantarono viti senza più badare se ad esse confacessero terreno e clima”.

Queste parole sembrano descrivere quanto sta avvenendo oggi ma la storia è fatta di corsi e ricorsi e

A. Valente parla di ciò che avveniva un secolo fa. L'aglianico, per la sua alcolicità, il suo colore

rubino intenso e la complessità dei profumi, così come il primitivo pugliese o il nero d'avola

siciliano, era adatto per tagliare le grandi produzioni del nord. Allora gli impianti di vite anche

nuovi erano tutti col sistema tradizionale “a starsete” o “avellinese”. Questo tipo di impianto ha una

tradizione millenaria come è possibile dedurre dalla descrizione che ne da Plinio il Vecchio nel I

sec. d.C. (Naturalis Historia XVII.166) chiamandolo vigna a compluvium, poiché sembra formare

una stanza con uno spazio aperto al cielo. Nel compluvium o starsete le vigne sorrette da pali oppure

da alberi bassi sono disposte ai quattro lati di un quadrilatero, a circa 3/4 metri di distanza le une

dalle altre. Ai quattro pali sono legate le corde di salice in modo da unire i quattro lati e le diagonali

del quadrilatero, a circa 1.80/ 2.00 metri di altezza. Solitamente per facilitare questo tipo di

impianto dalla medesima radice partono dai due ai quattro fusti intrecciati.

Lo “starsete” si presenta anche in modi diversi a secondo dei territorio e dei vitigni. A ridosso di

Avellino, è talmente basso da sembrare una piccola pergola. Nell‟area di Taurasi mantiene una

quota standard di circa due metri. Seguendo invece l‟antica via Appia in direzione di Passo di

Mirabella, in un territorio compreso tra Mirabella Eclano e Bonito, gli starseti posso raggiungere

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anche altezze considerevoli, per un massimo di 4 mt e utilizzare per sostegno non pali ma alberi da

frutta o olmi, seguendo un altro metodo tramandato nei secoli che ricorda da vicino l‟alberata.

Al di là delle sue varietà questo tipo di impianti oltre a garantire una grande produttività consentiva

di lasciare liberi degli spazi per una promiscuità di colture su di un livello superiore con olivi o

alberi da frutta e inferiore con ortaggi, grano o mais. Il piccolo proprietario terriero in questo modo

aveva la possibilità di trarre più fondi di reddito dal suo podere. Quello starsete così frequentemente

utilizzato agli inizi del '900 è sopravvissuto in molte proprietà e non tutte le aziende, per lo più

piccole e a conduzione familiare, hanno adottato gli impianti viticoli più facili e più produttivi a

cordone speronato anche se quei lunghissimi filari con notevole densità di piante hanno vita facile

sulle dolci pendenze della collina di Taurasi.

Le tecniche dello “starsete” nel loro insieme costituiscono un vero e proprio patrimonio tradizionale

che insieme all‟antichità dei vitigni definiscono specifiche unità paesaggistiche - presidi

paesaggistici - sempre più a rischio di estinzione. Questo assetto, certamente da approfondire,

comporta inevitabili ricadute tanto su aspetti materiali quanto immateriali: da una parte la

standardizzazione dei modi di produzione ha effetti sull‟omologazione del paesaggio storico, con la

sostituzione delle colture promiscue. Se da una parte la standardizzazione dei processi di

vinificazione ha prodotto un‟omologazione del gusto, con vini certamente eleganti, eccellenti sotto

il profilo organolettico, dall‟altra assistiamo alla persistenza e talvolta al recupero di vini dal gusto

forse meno raffinato, ma più caratterizzati da un punto di vista territoriale, che definiremo

- archeologia dei sapori - . Si possono vedere i contadini che su scale a tre piedi ( o' trespolo)

potano oppure fanno la vendemmia con una lentezza e una meticolosità di altri tempi. Passeggiando

per i campi è bello ammirare queste piante “mostruose”, con basi dai diametri insoliti per chi è

abituato a vedere gli impianti nuovi a cordone speronato. Si ammirano rami simili a spire di serpenti

sospesi in alto in un equilibrio apparentemente precario ma che dura da secoli. I terreni sciolti a

base calcarea e limosa hanno impedito il proliferare della filossera salvando le vigne su piede franco

e questi meravigliosi impianti. Come anche lo stesso Plinio racconta il compluvium non è ottimale

per la qualità a causa della cattiva esposizione al sole, allora era usato perché consentiva una grande

produzione d'uva, oggi bisogna salvarli perché ultimi testimoni di una tradizione – utili e

indispensabili a riempire il granaio della memoria d’Irpinia.

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L’Idea di un Parco Ambientale

Da un punto di vista progettuale di salvaguardia (ambientale) e valorizzazione (del patrimonio

storico ed economico delle attività ad esse correlate) del territorio, lo studio tende a identificare un

percorso che si snoda fra i suoli vitati dei tre comuni e da altri attrattori, quali: aree archeologiche,

aree boschive, naturalistiche, gole fluviali, belvedere, ecc.; tutti spazi rurali, poco antropizzati e

caratterizzati dalla persistenza della natura e di un carattere del paesaggio irpino in prossimità di siti

produttivi, centri abitati e luoghi dell‟intrattenimento contemporaneo.

La conservazione del patrimonio ambientale e architettonico, culturale di un territorio e quindi, la

relativa riqualificazione storico-paesaggistica e ambientale di un territorio sta diventando una

componente sempre più importante nell‟epoca dell‟economia della conoscenza, perché esalta

l‟identità, la specificità, la peculiarità, evitando il rischio di omogeneizzazioni e standardizzazioni

conseguenti alla globalizzazione. In particolare, la valorizzazione del patrimonio culturale di un

territorio contribuisce a costruire un‟immagine da “vendere” nel villaggio globale, capace di attrarre

nuove attività, nuovi investimenti, nuova forza lavoro, nuovi turisti, nuovi abitanti. Lo studio

contemplerà come azione prioritaria la valorizzazione dei luoghi , visti come riflesso dello spirito

del territorio, come spazi aventi la capacità di esprimere una saggezza collettiva accumulata nel

corso dei secoli. Lo studio diventerà catalizzatore di più idee “processi” di trasformazione,

produttore di valore aggiunto, stimolo per nuove traiettorie di sviluppo del territorio, creatore di

nuove attività/imprese.

Ad esempio lo studio approfondirà le attività di:

.- vinificazione in purezza dei vitigni storici attraverso cantine che adotteranno le vigne;

.- riconoscimento di una comunità del cibo di Terra Madre di produttori dei vitigni storici;

.- costituzione di un Presidio Slow Food sulla produzione di vino dai vigneti secolari.

Lo studio, cercherà di conservare il capitale attuale di territorio, nelle sue differenti forme,

con lo scopo di tramandarlo alle future generazioni, esaltandone le diversità e le biodiversità

locali.

L‟esperienza d‟altre realtà italiane in cui hanno operato nella salvaguardia del proprio territorio e

delle proprie culture, insegna come tale intervento intervenga significativamente e direttamente sul

riequilibrio territoriale e che la loro tutela, oltre che fare aumentare la generale qualità della vita dei

cittadini, determina un sensibile miglioramento della realtà socio-economica locale.

Inoltre, a nostro parere lo studio e il successivo progetto di Piano Ambientale muove le fila

dell‟interesse in merito a:

suolo, garantendo la sicurezza del territorio;

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il patrimonio culturale, recuperandolo e prevedendo il suo giusto valore economico;

il lavoro e le risorse umane, favorendo la possibilità di nuove professionalità;

la ricerca e l'innovazione tecnologica, prevedendo attività di ricerca applicata (vinificazione) da

trasferire al settore vitivinicolo allo scopo di aumentarne le potenzialità produttive e di diminuirne i

rischi in termini di qualità finale del prodotto vino;

i sistemi locali di sviluppo, nella misura in cui gli interventi di salvaguardia e di recupero realizzati

tenderanno a rafforzare la struttura produttiva locale;

ruralità, migliorando la qualità della vita all‟interno degli spazi aperti rurali;

A nostro parere, nel momento in cui viene sollecitata una discussione intorno ad un Piano

Ambientale di recupero e salvaguardia del territorio rurale storico, significa consapevolmente dare

inizio ad un processo che individua in un sistema di criteri e di regole un insieme di scelte

trasparenti e di soluzioni puntuali, che in quel sistema dovranno trovare chiarezza e legittimità. La

Media Valle del Calore, diviene in questo senso un punto di riferimento, di scelte progettuali e

politiche, mappa che descrive un sistema di decisioni coerenti.

Un modo per affermare che il piano ha le capacità di proporre una “ piano, idea - possibile ”, dove

le soluzioni “strategiche” previste non debbano sempre e soltanto rincorrere, aggiustare, arrivare in

ritardo, dove bellezza ed equità tornino ad essere concetti inscindibili.

Il Piano, metterà in evidenza la struttura del territorio, il carattere delle differenti parti, i luoghi della

memoria; si aprirà alle tentazioni di altri immaginari “possibili” anche attraverso la costruzione di

“questioni nuove”, non risolverà (almeno cercherà di farlo) solo quelli ereditati; solleciterà le

reazioni dei diversi soggetti sociali, li indurrà ad elaborare strategie che si collochino dentro quella

struttura, destinata nel tempo a stabilire un rinnovato stato di diritto.

Per meglio comprendere come le singole azioni del progetto intenderanno perseguire gli obiettivi di

una conservazione sostenibile del territorio e sviluppo del patrimonio culturale in coerenza con i

principi di una azione “coerente”, il gruppo di lavoro ha messo a punto una matrice di sostenibilità,

in cui sono stati esplicitati gli obiettivi, tenendo conto non soltanto dei criteri di efficienza ed

efficacia, ma anche delle più generali ricadute sul sistema territoriale, sociale ed economico.

La matrice di sostenibilità, può essere intesa come un sistema elementare di supporto alle decisioni,

le cui componenti sono costituite da dati di tipo quantitativo e/o qualitativo. Si individuano i criteri

di valutazione disposti per riga a cui sono associati i relativi indicatori quanti-qualitativi, le cui

intensità esprimono la performance di ciascuna azione e/o opzione da valutare, disposte per colonne

rispetto a ciascun criterio. La matrice di sostenibilità sintetizza le informazioni emerse, ponendo in

relazione criteri, sotto-criteri ed indicatori, raggruppati in base ai tre obiettivi:

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.- sostenibilità culturale ed ambientale;

.- sostenibilità sociale;

.- sostenibilità economico-finanziaria.

Obiettivi Criteri Sotto-criteri Indicatori

Sostenibilità

culturale ed

ambientale

1. Tutelare e

valorizzare le risorse

agro-culturali e

migliorare la qualità

dell‟ambiente locale

1.1. Valorizzare la

qualità dei vigneti

storici e degli spazi

rurali

1.2 Valorizzare

l‟identità del

territorio

1.3 Migliorare la

gestione delle risorse

.- Stop al consumo di

territorio agricolo nei

singoli comuni con

relativa adozione di

un piano Ambientale

e approvazione di un

regolamento di

attuazione per la

tutela dei vigneti

storici e degli

elementi costitutivi

del paesaggio rurale

della Media Valle del

Calore

.- Recupero di mq. di

vigneti storici con le

tecniche di

coltivazione storiche

.- Promozione della

memoria storica dei

luoghi

.- Promozione di

tradizioni locali

.- Promozione delle

risorse naturali

.- Promozione della

rete agroculturale

enogastronomica

.- Realizzazione di

poli di attrazione

.- Promozione di

azioni e strumenti

eco-territoriali

Sostenibilità sociale 2. Migliorare

l‟integrazione

sistemica e la

coesione sociale

2.1. Promuovere una

rete della Comunità

del Cibo di Terra

Madre, rafforzando

la governance locale

.- Partecipazione agli

appuntamenti di

promozione e

valorizzazione del

territorio al di fuori

del contesto locale

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2.2 Migliorare

l‟integrazione tra il

Comune “livello

locale” e il territorio

(regionale/nazionale

/internazione)

.- Realizzazione di

un logo e marchio di

identificazione

.- Costruzione di

legami culturali forti

con i contesto e le

aree vicine

.- Attivazione di

servizi turistici

(percorsi, ecc.) e

culturali organizzati

.- Realizzazione di

strutture di

informazione e

diffusione anche da

remoto

Sostenibilità

economica e

finanziaria

3. Garantire la

fattibilità

4. Assicurare la

vitalità nel tempo

3.1 Ridurre i costi di

investimento

3.2 Promuovere

l‟autosostenibilità

dell‟intervento

4.1 Promuovere un

sistema di gestione

integrato

.- Minimizzazione

del costo degli

interventi

.- Massimizzazione

della quota di

finanziamento

privato (cantine per

l‟adozione del

vigneto e successiva

vinificazione)

.- Incremento della

redditività

.- Massimizzazione

del ricorso a regimi

di aiuto

.- Costituzione del

Presidio Slow Food

da vigne storiche

.-Gestione unitaria

delle funzioni

.- Partnerschip

pubblico-privato

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Applicazioni pratiche

Accanto ad una serie di obiettivi di taglio più prettamente culturale, scientifico come la adesione al

Forum Nazionale “Salviamo il Paesaggio-Difendiamo i Territori”, oppure di tipo tecnico per la

successiva caratterizzazione sul piano morfologico (ampelografico) e genetico (marcatori

molecolari) delle viti campionate o la realizzazione di articoli destinate ad un‟utenza diffusa, il

progetto presenta una serie di applicazioni pratiche e di iniziative dalle ricadute economiche per il

territorio.

Innanzitutto si potrà selezionare il vitigno (o i vitigni) simboli della Terra d‟Irpinia tra quelli

campionati sulla base della lunga persistenza nel territorio indagato; successivamente si

identificherà tra i produttori partecipanti al progetto (sette ad oggi 18.12.2011) la Comunità del

Cibo di Terra Madre in modo da mettere in rete “mondiale” la loro esperienza di custodi (resistenza

contadina” di un dato territorio e di un dato prodotto; il passo successivo potrà essere la produzione,

dopo le necessarie operazioni di microvinificazioni, del vino dei “chicchi della memoria”, ottenuto

dai vitigni selezionati e riconosciuti come tradizionali o autoctoni dalle analisi ampelografiche e

genetiche. Successivamente, una volta prodotta la prima vinificazione ottenuta dall‟uvaggio di tutte

le cultivar selezionate si ipotizza di identificare/condividere il percorso del vino prodotto da vigneti

storici “secolari” con il progetto dei Presidi Slow Food, riconoscendone il giusto valore culturale,

ambientale ed economico.

Altra possibile applicazione pratica del progetto, sarà quella di identificare itinerari guidati di

“enotrekking” (con soste di degustazione), che conducano il turista alla scoperta delle persistenze di

antichi vigneti e forme tradizionali di coltivazione della vite nel paesaggio della Media Valle del

Calore.

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Conclusioni

Bonito, Mirabella Eclano, Taurasi e successivamente gli altri 14 paesi dell‟areale del “Taurasi

DOCG” possono diventare per alcuni aspetti paesi guida, o meglio pilota di un nuovo fare, agire

verso la natura e la storia, diventare base informativa per un vivere che rispetti l‟agricoltura, la

storia, il paesaggio in genere.

Paesi che sappiano pensare che il turismo “enoculturale” e non solo, sia risorsa in cui sperimentare

come vivere bene e sano. In cui, lo sviluppo del territorio è inteso come incentivo economico per la

salvaguardia, la protezione e il recupero umano, ambientale e paesistico. Il Progetto, è finalizzato

nel suo complesso allo sviluppo di una cultura ambientale per uno sviluppo dell‟economia della

Media Valle del Calore in senso tradizionale ed ecocompatibile, ma anche di ri-scoperta di un

qualcosa che è andato pian piano scomparendo. A partire, dalla valorizzazione del patrimonio

ambientale e culturale è possibile puntare, ad un‟offerta diversificata rispetto a quella delle aree

metropolitane e di costiera, attraverso lo sviluppo di un turismo itinerante e diffuso che privilegi

forme di turismo rurale.

In conclusione, il progetto non da una risposta ai tempi di crisi, ma rappresenterà il risultato di una

normalità del lavoro quotidiano, “crisi o non crisi”, gestito con passione e con tenacia da tanti

contadini dell‟Irpinia.

GRUPPO DI LAVORO

Condotta Slow Food Irpinia Colline dell’Ufita e Taurasi

Franco Archidiacono, Alessandro Barletta, Peppino Beatrice, Flavio Castaldo, Antonio Oliviero, Miano Pasqualino

www.condottaufitataurasi.it

Azienda Agricola “Contrade di Taurasi” di Enza Lonardo – Taurasi

[email protected] – www.contradeditaurasi.it

Cantine “Tenuta Cavalier Pepe” di Milena Pepe – Luogosano

[email protected] - www.tenutacavalierpepe.it