Chi siamo 2 8 4 6 1 5 3 7 9 Livorno brucia contro l’appezzamento di terra lungo la variante...

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www.senzasoste.it Periodico livornese indipendente, n. 19 OFFERTA LIBERA ALL'INTERNO TITO SOMMARTINO Il 27 ottobre 2006 segna l'inizio di una lunga serie di attentati incendiari sottovalutati, ridimensionati o addirit- tura ignorati. Quasi sempre, ad essere colpiti, i più deboli, persone senza fissa dimora che dormono in baracche di lamiera, letti di cartone oppure sotto un cavalcavia, come nel caso dei 4 bambini rumeni morti a Pian di Rota. Non è nostra intenzione indicare pos- sibili colpevoli o strade da percorrere (dovrebbero esserci autorità preposte a questo), vogliamo semplicemente denunciare quella fragile ma collau- data regia con cui, in rigoroso ordine gerarchico, polizie, istituzioni e media locali hanno finora minimizzato gli eventi in questione distribuendo una verità preconfezionata, scartando a priori, laddove è stato possibile, le ipotesi del dolo, oppure ignorando i fatti come se niente fosse accaduto, scegliendo di governare i conflitti con il silenzio. Del resto i possibili obiettivi dei roghi, essendo invisibili ed estre- mamente deboli, non possono e non devono rappresentare un problema. Di seguito riportiamo i principali roghi divampati in città nell’ultimo anno, indicativamente una ventina. Per que- stioni di spazio omettiamo molti degli atti vandalici (circa la metà) che hanno interessato scooter, auto e cassonetti. 27 ottobre 2006 [Rif. 1]. Ignoti ap- piccano il fuoco alla palazzina degli uffici della ex Coca Cola, rifugio di senza casa. La notizia passa sotto com- pleto silenzio. 25 dicembre 2006 [Rif. 2]. Qualcuno appicca il fuoco in via Firenze la sera di Natale, dando fuoco alla baracca di un senza fissa dimora di origine slava. Il rogo divora il riparo di fortuna, costruito in legno e altri materiali infiammabili, poi si propaga al vicino Floramarket Ghiomelli, che si incendia a sua volta. L’uomo si salva per mira- colo, ma la copertura giornalistica è quasi tutta per gli ingenti danni ripor- tati dalla struttura. Qualcuno, dopo aver versato del liquido infiammabile sulla costruzione di fortuna, avrebbe dato fuoco alla baracca costruita lungo uno stradello privato. 28 dicembre 2006 [Rif. 3]. Ignoti compiono un raid incendiario contro alcuni senza fissa dimora che dormono sotto le logge del Palazzo Grande. Fortunatamente una delle persone si accorge di quanto stava accadendo e insieme ad un altro amico riesce a mettere in fuga gli incendiari prima che riuscissero a completare l’attacco. Unica vittima, alla fine, un labrador che rimedia una leggera bruciatura e un calcio in bocca. Così vengono de- scritti gli aggressori: «Erano diversi, circa otto, tutti giovani, sui 19-20 anni, vestiti con bomber verdi e con capelli molto corti. Avevano in mano una bottiglia, che poi dall’odore sembrava piena di benzina, e degli accendini». 13 marzo 2007 [Rif. 4]. Notte brava tra la Stazione , il quartiere Sorgenti e la Variante Aurelia. L’episodio più grave è il lancio di materiale incendiario (quale non sarà dato saperlo perché nessuno ha provveduto a fare i rileva- menti) contro l’appezzamento di terra lungo la variante Aurelia, sotto il ca- valcavia di La Cigna , nel quale vive un livornese di 45 anni. È la cagnolina che dormiva con lui in una roulotte a svegliare l’uomo e permettergli di trarsi in salvo. Il suo rifugio viene completa- mente distrutto e muoiono bruciati i moltissimi animali che erano nella pic- cola stalla attigua al caravan. Già dal giorno successivo nessuno si interessa più della vicenda. L’indomani i media locali dano ampio risalto all’episodio, salvo ignorare totalmente la vicenda già dal giorno successivo. La stessa notte ignoti incendiano un motocarro Ape lasciato in sosta in via del Vigna da un pensionato che abita nella strada e due scooter nel quartiere Sorgenti. 15 marzo 2007 [Rif. 5]. Ci vogliono quattro squadre dei vigili del fuoco e un lavoro di circa 7 ore per spegnere il grosso incendio divampato nel depo- sito di autodemolizioni dei fratelli Giu- sti, in via del Limone. La versione ufficiale riporterà l’origine accidentale. Le fiamme distruggono 80 carcasse di auto pressate e due container contenenti pneumatici e altri materiale di scarto in attesa di essere smaltito. 26 marzo 2007 [Rif. 6]. Vanno a fuoco le ex Terme del Corallo. Vengono rin- venute due cisterne di permenaganato di potassio, un liquido tossico ed in- fiammabile. 1 luglio 2007 [Rif. 7]. Notte di vanda- lismi e danni in tutta la città. Il fatto più grave avviene in via Masi: la rou- lotte in cui vivono alcuni rumeni viene fatta oggetto di un fitto lancio di botti- glie e seriamente danneggiata. Ignoti gli aggressori così come le motivazioni del gesto, eppure Il Tirreno, probabil- mente su “velina” della questura, pre- cisa che «sembra da escludere che ci siano motivazioni politiche o legate a contrasti di qualche tipo». 10 agosto 2007 [Rif. 8]. Il giorno più triste, la tragedia di Pian di Rota. Muoiono tra le fiamme 4 bambini rumeni. Di questo episodio ne parlia- mo specificamente a pagina 3. 22 agosto 2007 [Rif. 9]. Intorno alle 23 va a fuoco un vecchio camper in via dei Condotti Vecchi, nella zona periferica nord della città, di proprietà di un livornese che spesso ci trascor- reva la notte e che si era visto nella zona nel pomeriggio. il responso del- l’esame tecnico compiuto dagli stessi vigili è ai confini della realtà. Viene esclusa l’ipotesi dell’incendio doloso perché, secondo la ricostruzione for- male, il fuoco sarebbe scaturito da un mozzicone di sigaretta (il terreno era anche umido a causa dalla pioggia caduta) e dalla zona vicina al camper e si sarebbe propagato in direzione del mezzo. LAVORO - CAPITALE Ipercoop, lavoro senza prospettive; Governo, dov'è la riforma welfare? PIAN di ROTA Intervista con l'avvocato dei genitori dei bimbi rom morti nel rogo; Il mo- nopolio della verità LA MIA CITTÀ 6ª parte dell'inchiesta sulle specula- zioni in città; L'autorecupero per ri- spondere a esigenze abitative PER NON DIMENTICARE 11/09/73, golpe in Cile; La strategia Usa dopo l'11/09/01 PAGINA 8 Livorno, misera campagna acquisti; La lenta agonia del mondo ultrà; Appello: via La Gazzetta dal Picchi Poste italiane S.p.A. Spedizione in Abb. Post. 70% Regime libero aut. cns/cbpa/centro1 Validità dal 05/04/2007 Livorno brucia Chi siamo IVANO SCACCIARLI Da molte parti e molto diverse tra loro - e questo è indice del successo di Senza Soste giornale e web - ci viene chiesto quale rapporto ci sia tra il nostro progetto editoriale e il movimento. Ci sembra quindi do- veroso precisare che Senza Soste non è l’organo di alcun movimento. Risponde del proprio senso critico, delle proprie inchieste, delle proprie analisi ai lettori e all’opinione pub- blica locale “dal basso”, non quella creata in qualche frettolosa campa- gna di stampa securitaria. E risponde in maniera collettiva: non ci sono responsabili ai quali chiedere di “mettere ordine” nella redazione. Chi necessita del diritto di replica, come è già successo, scriva al sito o al giornale e questo verrà regolar- mente garantito. A noi non interessa chiudere i dibattiti, ma al contrario vogliamo svilupparli in una città che della negazione della partecipa- zione collettiva ha fatto strategia di governo. Senza Soste non ha firme in cerca di collocazione sul mercato edito- riale perché opera col solo fine di riaprire i nessi della comunicazione sul territorio. Sono rigorosamente sotto pseudonimo sia per smitizzare la figura dell’autore, anticamera della privatizzazione dei contenuti, sia perché la libertà di espressione in questo paese esiste solo sulla carta. Più volte, in vari articoli di informazione o analisi, nomi e co- gnomi reali dei nostri redattori avrebbero potuto comportare pro- blemi reali nel loro ambito lavorati- vo. Senza Soste si immette quindi in due momenti storici. Il primo, tutto tecnologico, che permette di costru- ire media leggeri che lavorino alla disgregazione dei media ufficiali ormai esclusivamente collettori di pubblicità e di esigenze di potere. Il secondo, nel tentativo di ricom- porre il legame sociale dal basso dopo la definitiva scomposizione della città tradizionalmente costruita dal dopoguerra fino alla fine degli anni ’70. Ci sembra un modo semplice di dimostrare l’amore verso la nostra città e al tempo stesso costruttivo per ripensarne il futuro. A differenza di chi, tra speculazioni e rendite di potere, ha preparato le condizioni per la più grave e strutturale crisi del territorio dall’epoca dell’aboli- zione del porto franco. 5 3 2 4 6 7 8 1 9 Il tragico rogo di Pian di Rota è solo l'ultimo di una lunga serie di gravi attentati incendiari rimasti senza colpevoli che hanno scosso Livorno negli ultimi dieci mesi. La strategia adottata dagli organi competenti è quella del silenzio e del basso profilo. Per facilitare le indagini?

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www.senzasoste.itPeriodico livornese indipendente, n. 19 OFFERTA LIBERA

ALL'INTERNO

TITO SOMMARTINO

Il 27 ottobre 2006 segna l'inizio diuna lunga serie di attentati incendiarisottovalutati, ridimensionati o addirit­tura ignorati. Quasi sempre, ad esserecolpiti, i più deboli, persone senzafissa dimora che dormono in baracchedi lamiera, letti di cartone oppure sottoun cavalcavia, come nel caso dei 4bambini rumeni morti a Pian di Rota.Non è nostra intenzione indicare pos­sibili colpevoli o strade da percorrere(dovrebbero esserci autorità prepostea questo), vogliamo semplicementedenunciare quella fragile ma collau­data regia con cui, in rigoroso ordinegerarchico, polizie, istituzioni e medialocali hanno finora minimizzato glieventi in questione distribuendo unaverità preconfezionata, scartando apriori, laddove è stato possibile, leipotesi del dolo, oppure ignorando ifatti come se niente fosse accaduto,scegliendo di governare i conflitti conil silenzio. Del resto i possibili obiettividei roghi, essendo invisibili ed estre­

mamente deboli, non possono e nondevono rappresentare un problema.Di seguito riportiamo i principali roghidivampati in città nell’ultimo anno,indicativamente una ventina. Per que­stioni di spazio omettiamo molti degliatti vandalici (circa la metà) che hannointeressato scooter, auto e cassonetti.27 ottobre 2006 [Rif. 1]. Ignoti ap­piccano il fuoco alla palazzina degliuffici della ex Coca Cola, rifugio disenza casa. La notizia passa sotto com­pleto silenzio.25 dicembre 2006 [Rif. 2]. Qualcunoappicca il fuoco in via Firenze la seradi Natale, dando fuoco alla baracca diun senza fissa dimora di origine slava.Il rogo divora il riparo di fortuna,costruito in legno e altri materialiinfiammabili, poi si propaga al vicinoFloramarket Ghiomelli, che si incendiaa sua volta. L’uomo si salva per mira­colo, ma la copertura giornalistica èquasi tutta per gli ingenti danni ripor­tati dalla struttura. Qualcuno, dopoaver versato del liquido infiammabilesulla costruzione di fortuna, avrebbedato fuoco alla baracca costruita lungouno stradello privato.28 dicembre 2006 [Rif. 3]. Ignoticompiono un raid incendiario controalcuni senza fissa dimora che dormonosotto le logge del Palazzo Grande.Fortunatamente una delle persone siaccorge di quanto stava accadendo einsieme ad un altro amico riesce amettere in fuga gli incendiari primache riuscissero a completare l’attacco.Unica vittima, alla fine, un labradorche rimedia una leggera bruciatura eun calcio in bocca. Così vengono de­scritti gli aggressori: «Erano diversi,circa otto, tutti giovani, sui 19-20 anni,vestiti con bomber verdi e con capellimolto corti. Avevano in mano unabottiglia, che poi dall’odore sembravapiena di benzina, e degli accendini».13 marzo 2007 [Rif. 4]. Notte brava

tra la Stazione , il quartiere Sorgenti ela Variante Aurelia. L’episodio piùgrave è il lancio di materiale incendiario(quale non sarà dato saperlo perchénessuno ha provveduto a fare i rileva­menti) contro l’appezzamento di terralungo la variante Aurelia, sotto il ca­valcavia di La Cigna , nel quale viveun livornese di 45 anni. È la cagnolinache dormiva con lui in una roulotte asvegliare l’uomo e permettergli di trarsiin salvo. Il suo rifugio viene completa­mente distrutto e muoiono bruciati imoltissimi animali che erano nella pic­cola stalla attigua al caravan. Già dalgiorno successivo nessuno si interessapiù della vicenda. L’indomani i medialocali dano ampio risalto all’episodio,salvo ignorare totalmente la vicendagià dal giorno successivo.La stessa notte ignoti incendiano unmotocarro Ape lasciato in sosta in viadel Vigna da un pensionato che abitanella strada e due scooter nel quartiereSorgenti.15 marzo 2007 [Rif. 5]. Ci voglionoquattro squadre dei vigili del fuoco eun lavoro di circa 7 ore per spegnereil grosso incendio divampato nel depo­sito di autodemolizioni dei fratelli Giu­sti, in via del Limone. La versioneufficiale riporterà l’origine accidentale.Le fiamme distruggono 80 carcasse diauto pressate e due container contenentipneumatici e altri materiale di scartoin attesa di essere smaltito.26 marzo 2007 [Rif. 6]. Vanno a fuocole ex Terme del Corallo. Vengono rin­venute due cisterne di permenaganatodi potassio, un liquido tossico ed in­fiammabile.1 luglio 2007 [Rif. 7]. Notte di vanda­lismi e danni in tutta la città. Il fattopiù grave avviene in via Masi: la rou­lotte in cui vivono alcuni rumeni vienefatta oggetto di un fitto lancio di botti­glie e seriamente danneggiata. Ignotigli aggressori così come le motivazioni

del gesto, eppure Il Tirreno, probabil­mente su “velina” della questura, pre­cisa che «sembra da escludere che cisiano motivazioni politiche o legatea contrasti di qualche tipo».10 agosto 2007 [Rif. 8]. Il giorno piùtriste, la tragedia di Pian di Rota.Muoiono tra le fiamme 4 bambinirumeni. Di questo episodio ne parlia­mo specificamente a pagina 3.22 agosto 2007 [Rif. 9]. Intorno alle23 va a fuoco un vecchio camper invia dei Condotti Vecchi, nella zonaperiferica nord della città, di proprietàdi un livornese che spesso ci trascor­reva la notte e che si era visto nellazona nel pomeriggio. il responso del­l’esame tecnico compiuto dagli stessivigili è ai confini della realtà. Vieneesclusa l’ipotesi dell’incendio dolosoperché, secondo la ricostruzione for­male, il fuoco sarebbe scaturito da unmozzicone di sigaretta (il terreno eraanche umido a causa dalla pioggiacaduta) e dalla zona vicina al campere si sarebbe propagato in direzionedel mezzo.

LAVORO - CAPITALEIpercoop, lavoro senza prospettive;Governo, dov'è la riforma welfare?PIAN di ROTAIntervista con l'avvocato dei genitoridei bimbi rom morti nel rogo; Il mo­nopolio della veritàLA MIA CITTÀ6ª parte dell'inchiesta sulle specula­zioni in città; L'autorecupero per ri­spondere a esigenze abitativePER NON DIMENTICARE11/09/73, golpe in Cile; La strategiaUsa dopo l'11/09/01PAGINA 8Livorno, misera campagna acquisti;La lenta agonia del mondo ultrà;Appello: via La Gazzetta dal Picchi

Poste italiane S.p.A. Spedizione in Abb. Post. 70% Regimelibero aut. cns/cbpa/centro1 Validità dal 05/04/2007

Livorno brucia

Chi siamoIVANO SCACCIARLI

Da molte parti e molto diverse traloro - e questo è indice del successodi Senza Soste giornale e web - civiene chiesto quale rapporto ci siatra il nostro progetto editoriale e ilmovimento. Ci sembra quindi do­veroso precisare che Senza Sostenon è l’organo di alcun movimento.Risponde del proprio senso critico,delle proprie inchieste, delle proprieanalisi ai lettori e all’opinione pub­blica locale “dal basso”, non quellacreata in qualche frettolosa campa­gna di stampa securitaria. E rispondein maniera collettiva: non ci sonoresponsabili ai quali chiedere di“mettere ordine” nella redazione.Chi necessita del diritto di replica,come è già successo, scriva al sitoo al giornale e questo verrà regolar­mente garantito. A noi non interessachiudere i dibattiti, ma al contrariovogliamo svilupparli in una cittàche della negazione della partecipa­zione collettiva ha fatto strategia digoverno.Senza Soste non ha firme in cercadi collocazione sul mercato edito­riale perché opera col solo fine diriaprire i nessi della comunicazionesul territorio. Sono rigorosamentesotto pseudonimo sia per smitizzarela figura dell’autore, anticameradella privatizzazione dei contenuti,sia perché la libertà di espressionein questo paese esiste solo sullacarta. Più volte, in vari articoli diinformazione o analisi, nomi e co­gnomi reali dei nostri redattoriavrebbero potuto comportare pro­blemi reali nel loro ambito lavorati­vo.Senza Soste si immette quindi indue momenti storici. Il primo, tuttotecnologico, che permette di costru­ire media leggeri che lavorino alladisgregazione dei media ufficialiormai esclusivamente collettori dipubblicità e di esigenze di potere.Il secondo, nel tentativo di ricom­porre il legame sociale dal bassodopo la definitiva scomposizionedella città tradizionalmente costruitadal dopoguerra fino alla fine deglianni ’70.Ci sembra un modo semplice didimostrare l’amore verso la nostracittà e al tempo stesso costruttivoper ripensarne il futuro. A differenzadi chi, tra speculazioni e rendite dipotere, ha preparato le condizioniper la più grave e strutturale crisidel territorio dall’epoca dell’aboli­zione del porto franco.

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Il tragico rogo di Pian di Rota è solo l'ultimo di una lunga serie di gravi attentati incendiaririmasti senza colpevoli che hanno scosso Livorno negli ultimi dieci mesi. La strategia adottatadagli organi competenti è quella del silenzio e del basso profilo. Per facilitare le indagini?

Senza SosteMensile. Sede: via dei Mulini, 29

Direttore responsabile: David BiancoTipografia: Marengo, via G.Ferraris, 4/fRegistrazione del Tribunale di Livorno

n° 5/06 del 02/03/2006

FRANCO MARINO

Scalone sì, scalone no. Un tormentonepre-estivo che ha già dato un segnalechiaro: ci si rivolge agli over 50 esclu­dendo i più giovani, categoria giàcolpita dalla riforma Dini del 1995,il cui passaggio al sistema contribu­tivo ha sancito la fine di una pensionepubblica dignitosa. D’altra parte inquesto paese invecchiato sono gliover 60 che portano voti e lasensibilità di un ceto politico che nelleposizioni strategiche di potere puòcontare su virgulti over70 non puòche essere rivolta a loro.La disfatta sulla riforma del welfareUna disfatta della sinistra “radicale”per certi versi inaspettata perchè tuttipensavano che le concessioni sul si­stema pensionistico avrebbero avutouna rivalsa sulla riforma di welfare emercato del lavoro. Invece niente:Confindustria, Cgil, Prodi e PadoaSchioppa hanno fatto catenaccio conil sostegno politico dell’Unione daiRadicali fino a Gavino Angius, unodei finti non aderenti al Partito Demo­cratico. Ma si sa, ogni grossa catenadi supermercati ha il proprio discountdi riferimento per poter acquisireclienti anche fra i meno abbienti.Una non riformaNessun superamento della Legge 30(impropriamente definita legge Bia­gi), anzi, non sono riusciti nemmenoa rispettare le ridicole intenzioni di

Damiano che di quella legge volevaabolire “Lavoro a chiamata” e “StaffLeasing”, tipologie contrattuali pocousate anche dai padroni. Ma non fini­sce qui: il contratto a progetto restaanche se addolcito dalle raccomanda­zioni di Damiano verso gli ispettori,i contratti a tempo determinato po­

tranno continuare all’infinito anchese dopo 36 mesi andranno stipulatipresso l’ufficio del lavoro.Ma l’elemento più sconcertante chepoco ha a che fare con il concetto diwelfare è la detassazione degli straor­dinari, una misura che incentiva ladisoccupazione giovanile e rappresen­ta l’ennesimo regalo alle imprese.Insomma, del famigerato “programmadell’Unione” è stata fatta carta straccia.Cosa ci si poteva aspettare da un cetopolitico che dalla legge Treu del 1997ha lasciato per 10 anni i Co.co.co e iCo.co.pro. senza un accesso ai requisitiminimi di disoccupazione in caso dinon rinnovo dei contratti? Caruso hadetto bene, questi sono assassini.Il dibattito sulla riforma del welfareavrebbe bisogno di ben altre visioni.Come non si fa a vedere che ormaila precarietà e lo sfruttamento sonoelementi strutturali di questo modelloeconomico? Come non si fa a vedereche senza forme di reddito sociale eintegrazioni al reddito intere genera­zioni non hanno futuro?Livorno, patria della precarietàA Livorno la chiusura del Cantierenavale e della Delphi è stata ideal­mente sostituita nei numeri fra Porta

a Terra (in particolare Ipercoop) ecall center Telegate. Oltre mille con­tratti metalmeccanici a 40 ore chemandavano avanti (seppur condifficoltà legate alla perdita di potered’acquisto dei salari) altrettante fa­miglie sono stati sostituiti da oltremille contratti part time, una partedei quali a tempo determinato. Il 90%di questi posti di lavoro non puòmandare avanti una famiglia perchèchi guadagna 800 euro a 24 ore atempo indeterminato (all’Ipercoop)è in cima alla piramide e non ci sonoprospettive di andare oltre. Ancheladdove i contratti sono stati stabiliz­zati (a Telegate) l’alta flessibilità dellavoro non permette di organizzarsila vita, in particolare il secondo lavoroormai necessità per almeno il 50%di questi lavoratori.È o no questo un dato strutturale?Quando ce ne accorgeremo che que­sto modello economico può produrresolo condizioni di vita precarie e altrosfruttamento? Forse fra 10 anni quan­do a Telegate e a Porta e Terra chisperava che fosse solo un lavoro ditransizione si ritroverà sempre lì con10 anni in più, con le stesse condi­zioni di lavoro e di non-futuro.

Lavoro CapitaleLa mia cittalavoro - capitaleAnno II, n. 19, pagina 2Senza Soste, periodico livornese

Ipercoop: un lavoro senza prospettivesistemi di valutazione basati su quizmatematici. Nella realtà, invece, l’a­zienda toglie il livello a molti capi-reparto facendo autocritica e ammet­tendo errori enormi nella scelta delnumero dei quadri in organico, purcontinuando a far credere che c’èbisogno di personale ai “piani alti”.La cosa curiosa è invece che il per­sonale manca ai “piani bassi”: fateun giro all’iper e vi accorgerete dellemancanze sui banchi (ai posteririmarrà la “storica” domenica 3 giu­gno 2007 con code alle casse da filmdi Spielberg e scaffali vuoti da tempidi guerra), del poco personale a di­sposizione per informazioni, dei prez­zi mal esposti o addirittura inesistenti.Il problema dei reparti sotto organicoè all’ordine del giorno, ma rivendi­care aumenti di ore o stabilizzazionidei tempi determinati, a sentire iciggiellini, sembra cosa fuori dalmondo. Si preferisce optare per leestensioni orarie temporanee e col­mare così “ad incastro” una necessitàaziendale senza nessun vantaggio peril lavoratore dato che alla fine delperiodo si torna al proprio consuetoorario settimanale dando vita peròad una sorta di guerra fra poveri dovesi rincorre l’estensione o lo straordi­nario per tirare a campare.Ma la Cgil (le altre due organizzazio­ni confederali sono praticamente ine­sistenti) cosa pensa di tutto ciò? Pensache la Coop vada lasciata lavorarein pace perché incarna ideali impor­tanti, che se si alza la voce ci si ri­mette e basta, che in fin dei conti nonci possiamo lamentare perché ci sonosituazioni peggiori, che gli incassistanno calando e bisogna rimboccarsitutti le maniche per combattere lemultinazionali, anche se in realtàl’azienda continua a proclamare in­vestimenti in lungo e in largo. Incompenso però la Cgil sta promuo­vendo da mesi (ma non ditegli chesono promotori finanziari a tutti glieffetti altrimenti si offendono) il fon­do pensione di riferimento della co­operativa, spingendo i lavoratori adestinare il proprio Tfr a questa formapensionistica complementare e pale­sando uno spiacevole quanto evidenteconflitto d’interessi visto che l’orga­nizzazione confederale fa parte delconsiglio d’amministrazione del fon­do e ha partecipato in maniera attivaalla sua creazione. Per stessa ammis­sione di alcuni delegati interni Cgil(o dovremmo dire ex-delegati vistoche il loro mandato è scaduto datempo ed oltre a continuare a svolgereil loro ruolo come se nulla fosse, nonsi sognano nemmeno di indire nuoveelezioni), le decisioni sulle linee sin­dacali da seguire vengono prese apriori dai vertici territoriali e nelconcreto non esiste una dialetticainterna, con la conseguenza che l’a­zienda ha il via libera per qualsiasipropria iniziativa.Novità degli ultimi mesi che sta aconfermare un certo malumore tra ilavoratori è l’entrata in azienda di unsindacato di base (SdL intercatego­riale) che si propone proprio di spez­zare questa situazione, dando vita adun contraddittorio vero con l’azienda,cioè ciò che un sindacato vero devefare. Di fronte ci sono due colossichiamati Coop e Cgil, ma qualcosasi sta muovendo.

Riforma del Welfare, la Caporetto del governo

Sempre più lavoratori si ren­dono conto che il part-timea 24 ore a tempo indetermi­nato è l’apice della carriera.Intanto è nato un nuovo sin­dacato di base che cerca dirompere lo strapotere CgilFRANCO LUCENTI*

Nell’immaginario collettivo livornese,l’Ipercoop rappresenta un’oasi felicema la realtà è ben diversa in quantoil colosso di Porta a Terra è piuttostol’emblema del precariato alla livor­nese. La percentuale dei dipendenti

che possono infatti dire che vivonocon il solo stipendio dell’Iper è bas­sissima; tutti part-time a 20 o 24 oresettimanali, per non parlare di tutti idipendenti che, pur lavorando dal2003 (anche per 11 mesi su 12), nonhanno ancora un contratto a tempoindeterminato.

L’azienda ovviamente fa il propriogioco e punta al massimo profitto(non dimentichiamoci che di coope­rativo non ha proprio niente visto cheè una Spa che deve produrre utili),consapevole del fatto che chi cura lerelazioni sindacali si preoccupa piùdel buon andamento aziendale piut­

tosto che della tutela dei lavoratori enon si vergogna nemmeno di sban­dierare ai quattro venti questa linea.Il disegno è studiato è ben preciso:far credere ai lavoratori part-time checi sono spiragli di carriera e continueverifiche e valutazioni circa lecapacità del lavoratore attraverso

Fino ad oggi la delusione verso il governo si alternava alla speranza di ottenere una seriariforma su welfare e mercato del lavoro.Così non è. A cosa serve dunque questo governo?

Il Programma pre-elettorale«Proponiamo la reintroduzione del creditodi imposta a favore delle imprese cheassumono a tempo indeterminato. Siamocontrari ai contenuti della legge 30 e deidecreti legislativi 276 e 368 che moltipli­cano le tipologie precarizzanti. La formanormale di occupazione è il lavoro atempo indeterminato, perché tutte lepersone devono potersi costruirsi unaprospettiva di vita e di lavoro serena. Intal senso, crediamo che il lavoro flessibilenon possa costare meno di quello stabilee che tutte le tipologie contrattuali atermine debbano essere motivate sullabase di un oggettivo carattere temporaneodelle prestazioni e non debbano superareuna soglia dell'occupazione complessivadell'impresa. Le tipologie di lavoroflessibile siano numericamente contenutee cancellate quelle più precarizzanti: iljob on call, lo staff leasing e il contrattodi inserimento. Per quanto riguarda illavoro a progetto, che vogliamo sottopo­sto alle regole dei diritti della contratta­

zione collettiva, puntiamo ad eliminarnel'utilizzo distorto, tenendo conto deilivelli contrattuali di riferimento e conuna graduale armonizzazione dei contri­buti sociali .L’accordo di luglio sul welfareLavoro a progetto: «Si proseguirà nelleazioni rivolte a contrastare l'elusionedella normativa di tutela del lavorosubordinato, ponendo particolare atten­zione alle collaborazioni svolte dalavoratori, anche titolari di partita IVA,che esercitino la propria attività per unsolo committente e con un orario dilavoro predeterminato». Solo dichiara­zione di intenti non accompagnata danessuna norma specifica.Lavoro a chiamata e Staff leasing:«L'orientamento del Governo è quello diprocedere all'abrogazione delle normepreviste dal D. Lgs. 276/03 concernentiil lavoro a chiamata [...] Per le disposi­zioni relative al contratto commercialedi somministrazione a tempo indetermi­nato [...] si costituirà un tavolo di

confronto con le parti sociali» Quindinei fatti queste norme non verrannoabrogate.Il contratto a termine «Qualora aseguito di successione di contratti per losvolgimento di mansioni equivalenti ilrapporto di lavoro fra lo stesso datore dilavoro e lo stesso lavoratore abbiacomplessivamente superato i 36 mesicomprensivi di proroghe e rinnovi, ognieventuale successivo contratto a terminefra gli stessi soggetti dovrà esserestipulato presso la Direzione provincialedel lavoro competente per territorio, conl'assistenza di un rappresentantedell'organizzazione sindacale cui illavoratore sia iscritto o conferiscamandato. In caso di mancato rispettodella procedura indicata, il nuovo con­tratto si considera a tempo indetermina­to». Nasce quindi il contratto a tempodeterminato e a tempo indeterminatosotto tutela istituzionale. I contratti“precari” continueranno a costare menodi quelli a tempo indeterminato. Amen.

Il ministro del Lavoro Damiano a L'Unità: «Il governo sta attuandoil programma, chi dice il contrario afferma il falso». Giudicate voi

Lavoro CapitaleLa mia cittaAnno II, n. 19, pagina 3Senza Soste, periodico livornese

Pian di Rota

Cosa hanno scelto di raccontare Il monopoliodella verità

IVANO SCACCIARLI

La vicenda di Pian di Rota ci mostracome frasi del tipo «lasciamo allamagistratura il compito di indagare»siano sempre di più dei luoghi co­muni che non “tengono” né sul pia­no della realtà dei fatti, né su quellodelle esigenze dell’opinione pubbli­ca specie se questa si forma dalbasso. Questo non tanto per la spet­tacolare mancanza di credibilità chespesso la magistratura italiana riescead assumere (si pensi alla vicendaesemplare dei turisti in visita a Bo­logna che furono arrestati con lacomica accusa di preparare attentatinelle chiese in nome di Bin Laden),ma proprio per la forma di potereassegnata al magistrato dal codicedi procedura penale nell’inchiesta,elemento che gli fa assumere nonsolo un ruolo giuridico ma anche ilmonopolio della verità.Questo monopolio, già storicamenteformatosi con il segreto istruttorio(che non è solo a fini di indaginema anche di gestione dell’informa­zione nei confronti dell’opinionepubblica), rafforza la propria pre­senza con la continua assunzione distrumenti tecnologici atti a determi­nare ciò che la nostra società defi­nisce come vero. Nel caso di fattidi cronaca che assumano rilievopolitico o di fatti politicamente con­troversi, questo monopolio da partedella magistratura, nella determina­zione di ciò che è vero e di ciò chenon è vero, assume quindi un ruolostrategico proprio nell’assegnazionedi responsabilità politiche e nelladeterminazione dei problemi socialirispetto ai quali ci troviamo davanti.La spesso completa subordinazionedella stampa alla magistratura, fruttoanche di un continuo conflitto nor­mativo e interpretativo sulla legisla­zione in materia di pubblicazionedi atti giuridici, comporta il raffor­zamento di questo monopolio e per­mette a pochi di formare una veritàsu questioni che riguardano tutti.Un esempio: la stampa locale pub­blica un articolo sulla perizia deiVigili del Fuoco depositata pressoil procuratore della repubblica sul­l’incendio di Pian di Rota. Non c’èuna citazione che provenga dallaperizia, dalla quale si potrebbe capirein che modo si è orientata l’indagine,anche se in questo caso non sussistealcun problema d’indagine nellapubblicazione di notizie anche peril futuro dibattimento. Ci sono solofrasi la cui fonte di verità è il magi­strato che, discrezionalmente, hadeciso di far riportare sulla stampa.Questa non è cronaca giuridica, ben­sì orientamento discrezionale del­l’informazione che assume un pesodi rilievo nel momento in cui suPian di Rota la determinazione dellaverità è ancora in sospeso tra la pistadell’incidente e quella della strage.Si comprende quindi come in alcunipaesi i magistrati vengano elettidirettamente dal popolo. Non è lasoluzione di tutti i mali perché laformazione di una verità a discre­zione di pochi rimane grazie allalegislazione e ai rapporti tra media,magistratura e potere politico. Masi intuisce che questa è una rispostaalla questione della formazione diuna verità comprensibile e spendi­bile dall’opinione pubblica che nonrimanga intrappolata nel rito del«lasciamo ai magistrati il compitodi stabilire la verità».Nella società della conoscenza, laverità è un bene troppo prezioso perlasciarla ad una professione che siriproduce per concorso anche sepubblico.

LEILA CHINAPOLITITO SOMMARTINO

Le analisi e le interpretazioni fatte sullatragedia di Pian di Rota lasciano moltidubbi sulla dinamica, ancora non scioltiper l’enorme difficoltà di comunicazioneche si sta riscontrando sia con i genitoridei quattro bimbi morti, al momento incarcere, sia col resto del clan. Ma tra laconfusione spazio temporale, e forseanche le omissioni di racconto da partedei rom, pare si sia intersecata la volontàdi non indagare a tutto tondo. Una cosai rom l’hanno detta, sin dal primo mo­mento: è stata un’aggressione, versionea cui sembra credere solo il Gip. LaProcura e le istituzioni continuano aparlare di incidente.Quale che sia la verità, abbiamo incon­trato chi questa sta cercando di rico­struirla partendo dalle vittime: l’avvo­cato difensore Andrea Callaioli e alcunioperatori di Africa Insieme, l’associa­zione pisana che da subito si è attivataper seguire la vicenda. In una lungaintervista di oltre tre ore, abbiamo lettogli atti depositati, i primissimi verbaliscritti del post-tragedia, ricostruito laversione dei genitori e i passaggi diquesta famiglia sul territorio livornese.La presenza a Livorno della famigliarumenaParte della famiglia di Pian di Rotaviveva in un cascinale diroccato in viadel Levante, a due passi dallo svincoloLivorno sud della Variante Aurelia.Dopo il primo sgombero la famiglia siè spostata in un altro casolare, ancorapiù fatiscente, situato vicino alla zonadel Cisternino. Nuovo sgombero e nuo­vo trasferimento, a Pian di Rota appunto.Lì i rom raccontano di aver ricevutouna visita dei Carabinieri, che hannoproceduto ad identificarli. «La prassi -interviene l’avvocato - vuole che laProcura comunichi agli uffici dell’am­ministrazione comunale situazioni comequeste». Ipotesi negata sia dall’assesso­rato al sociale del Comune di Livorno,sia dal servizio di primo orientamentoper stranieri Oltrefrontiera, che data unincontro con una delle due famigliecoinvolte nel rogo per i primi di agosto,registrata come residente nelcascinale. In realtà nonabitavano nel cascinale giàda tempo. Lo rivela indi­rettamente la proprietariadell’orto che si trova propriodi fronte alle baracche sottoil cavalcavia di Pian di Rota,che ha affermato di essereriuscita a stabilire un ottimorapporto coi bambini por­tando loro dolci o vestiti ein queste situazioni gua­dagnarsi la fiducia comune richiede piùdi qualche giorno. Senza dimenticarepoi che gli stessi proprietari degli ortiavevano segnalato la presenza alla Po­lizia Municipale, ottenendo come rispo­sta quella di denunciare i rom qualora avessero subito dei furti.Quello che emerge dalla raccolta ditestimonianze dei proprietari degli orticircostanti è che le due famiglie fosseroestremamente povere, senza mezzi dilocomozione e che vivessero esclusiva­mente di elemosine chieste di fronteall’ipermercato Pam di Corea. A con­ferma della loro tranquillità, contro isoliti luoghi comuni, nessuno nella zonaha lamentato furti o effrazioni.Premessa d’obbligoL’avvocato Callaioli precisa da subitoche si deve fare uno sforzo interpretativoenorme per provare a capire quello chei rom a malapena spiegano: «Oltre alloshock per la perdita di quattro figli inquel modo, c’è un approccio consequen­

ziale logico com­pletamente diffe­rente dal nostro:differenti priorità.Non sono abituatiad approcciarsi allalegge dello Stato equindi non capi­scono la differenzatra l’avvocato cheli difende e il Pmche li accusa: perloro avvocati, ma­gistrati e poliziottisono tutti la stessacosa». Oltre a noncapire e parlarel’italiano sonopersone completa­mente analfabete.«Non capiscononeanche perchésono in carcere –prosegue Callaioli- sono addiritturaconvinti di essereaccusati di averappiccato il fuoco. Gli arresti domici­liari forse gli garantirebbero quel mi­nimo di serenità per fare chiarezzasull’intera vicenda».La composizione della famiglia e lapaternità negata«Sostenere che i genitori neghino lapaternità della bimba per salvarsi –afferma l’avvocato – mi sembra un’o­perazione ardua. Essendo analfabetihanno un rapporto con lo scritto, equindi con la burocrazia, di assolutaindifferenza». Magari, è solo un’ipo­tesi, questa bimba è stata cresciuta daloro, ma nei documenti risulta di qual­cun altro, perché qualcun altro si èoccupato di registrarla a un’anagrafee in questo momento non capisconose devono attribuirsi la paternità (ematernità) di sangue o quella burocra­tica. L’esame del dna ci chiarirà anchequesto aspetto così morbosamente esuperficialmente trattato dai media.Il ritrovamento dei rom alla stazio­neQuando la Polizia li ha raggiunti allastazione non sono stati fatti neanche

parlare. La stessaquestura, come sievince dal primo attotrasmesso alla Procuraalle 10.45 (appena 11ore dopo la tragedia),aveva già la verità inmano e anziché con­centrarsi sulle causeche avevano dato ori­gine all’incendio, siconcentra sui genitori:«[…] Sulla scorta delle

testimonianze raccolte (quella di unadonna presente quella notte alla sta­zione e quelle dei 4 rumeni che nonparlano l’italiano, nda) e degli ele­menti acquisiti («Quali?», si chiedel’avvocato) si ritiene che, al di là diogni ragionevole dubbio, i genitori sisiano allontanati dall’accampamentoper motivi non ancora valutabili e chein quel frangente si sia sviluppatol’incendio».«I genitori assieme agli altri rom –racconta il legale – sostengono diessere andati alla stazione perché prividi credito nei cellulari e ignari dell’e­sistenza, per di più gratuita, del 112e del 113. I telefoni pubblici che siricordavano di aver visto e utilizzatopiù vicini a Pian di Rota sono quellidella stazione. Normale quindi che sisiano precipitati lì per avvertire i loroparenti che abitano in un campo no­madi di Pisa. Ed è con loro che sonostati trovati dalla polizia di fronte

all’ingresso della stazione. Oltretutto,durante le operazioni di spegnimento,sono stati gli stessi Vigili del Fuocoad allontanarli, come del resto si leggenel verbale dei VdF: «Entrambi i ge­nitori erano disperati (particolareomesso dalle cronache, nda) e urlava­no: “Bruciato tutto: documenti, pas­saporti. Andare da bambini alla fonte(il luogo vicino all’accampamentodove i bambini erano soliti giocare».Questa è la dichiarazione che Il Tirre­no ha trasformato, con tanto di titolonevirgolettato, in «I rom fuggivano dalrogo, ma non ci dissero dei figli».Cosa è successo quella notte?«L’unico rom del gruppo che masticaqualche parola in lingua italiana –racconta Callaioli – sostiene che tuttosia successo intorno alle 23. Genitorie bambini erano in due baracche,quando hanno udito delle grida initaliano con tono molto aggressivo.Hanno compreso solo qualche parola:fuoco, ammazzare, cazzo, rumeni,soldi. Gli adulti sarebbero usciti tutti,presumibilmente per fronteggiare gliaggressori, e nel buio più completodella zona sarebbero comunque riu­sciti a notare le sagome di alcuni in­dividui sopra il cavalcavia. I rom, nonè ancora chiaro se tutti o solo qualcu­no, hanno provato a raggiungerli senzariuscirci. Quando sono tornati indietro(lo stradello che dalle baracche portaalla strada principale sarà lungo uncentinaio di metri) il fuoco era giàall’altezza del cavalcavia, troppo altoper poter fare qualcosa. Una delle duemadri, secondo il racconto stava perbuttarsi nelle fiamme, ma è stata trat­tenuta dal marito».Una verità pre-confezionata?Da quanto emerso fino ad oggi, sem­bra che in Procura si lavori soltantoalla ricerca di conferme per l’unicaipotesi che si vuol portare avanti (l’in­cidente e l’omessa custodia dei mino­ri) piuttosto che lavorare ad una rico­struzione dei fatti a 360°. Pregiudizie superficialità sono sotto gli occhi ditutti e un Gip onesto e caparbio dasolo non può bastare.Tra i reperti trovati nel luogo dellatragedia ci sono alcuni cocci di botti­glia fusi, indicativi di una presenza digrande calore. A rigor di logica, leipotesi più plausibili sono due: il fuocopotrebbe essersi sviluppato all’internodella bottiglia stessa oppure il fuocopotrebbe essere stato innescato da unagente in grado di sviluppare unafiamma violenta e improvvisa.Tra il primo sopralluogo e il secondo

oltre una settimana.Il luogo della tragedia non è mai statochiuso né piantonato ed è sempre rima­sto accessibile a chiunque. Tra il primosopralluogo, avvenuto il giorno succes­sivo all’incendio, e il secondo sonopassati 7 giorni. Un’infinità di tempoche ha portato la zona ad essere visitatae quindi “inquinata” da curiosi, gior­nalisti e naturali agenti atmosferici eche difficilmente avrà potuto fornire(e fornirà), nuovi elementi utili alleindagini.Dal secondo sopralluogo effettuato èarrivata la relazione compilata dai Vigilidel Fuoco, definita dalla stessa Procura«quantomai cauta». La stessa che IlTirreno, nel titolo dell’articolo di rife­r imento , ha t ras formato in«L’aggressione esclusa dai Vigili delFuoco». I pompieri, in questo sopral­luogo avrebbero escluso la presenzadi idrocarburi. Ma oltre agli idrocarburi,sono state cercate anche altre sostanzeinfiammabili? Allo stesso tempo cichiediamo quali tracce possono restaredopo 8 giorni su un terreno sul qualesono state rovesciate tonnellated’acqua per spegnere l’incendio.Malgrado ciò, l’avvocato Callaioli con­tinua a ribadire la sua completa fiducianell’operato della magistratura nellaricerca della verità, così come nell’o­perato dei tecnici e medici legali.Per la Procura «nessun precedentea sfondo razziale» in città.Per Procura e Questura, a Livorno nonesistono episodi di violenza a sfondorazziale. La nota rissa della stazione,quella in cui ad aver avuto la peggio èstato un giovane 17enne livornese, pergli inquirenti non ha niente a che vederecon Pian di Rota ed è stato più voltedefinito dalle autorità competenti «unaragazzata, i cui fatti sono già stati in­quadrati e niente hanno a che vederecon odio razziale».Restano diversi punti interrogativi. Ilprimo è relativo al probabile coinvol­gimento di un componente della fami­glia di Pian di Rota nella rissa dellastazione. Il secondo, come ci doman­diamo in prima pagina, ad un'eventualeconnessione tra il rogo di Pian di Rotae gli altri. Infine una domanda: se gliaggressori non sono mossi da odiorazziale, si può ipotizzare forse cheanche nella nostra città esista un racketche, oltre a controllare i soliti traffici,adesso gestisce anche rifugi di fortunadei senza fissa dimora? Se così fosse,in una città ben controllata come Li­vorno, l'impasse degli inquirenti sareb­be difficilmente comprensibile.

Pregiudizi, e superficialità sembrano caratterizzare le indagini sul rogo di Pian di Rota.L'avvocato difensore:«Vorrei che nessuno operasse pensando di avere la verità già in tasca»

L'avv. Andrea Callaioli

Pian di Rota il giorno dopo l'incendio (11 agosto 2007)

Lavoro CapitaleLa mia cittaINCHIESTA

La mia citta'

Anno II, n. 19, pagina 4Senza Soste, periodico livornese

Sesta parte de "L'inconfondibile odore dei soldi",l'inchiesta dedicata alla gestione del patrimoniopubblico da parte degli amministratori locali

Effetto Venezia, la festa è finita

Autorecupero ed ex-casermeEcco due modi per creare spazi e inventare politiche abitative

Salviano 2,i fatti oltre il processo

FRANCO REVELLI

«Ora bisognerà fare chiarezza perchènon si può più prendere per il culo lagente, la gente come noi che rispondequando ci sono le richieste. Perchénoi, quando hanno fatto le richieste,ci siamo messi le mani in tasca». Conqueste recriminazioni i costruttori“associati” Tumiatti&Baldanzi, recen­temente prosciolti in primo gradodall'imputazione di “corruzione dipubblico ufficiale”, istrui­scono a loro modo il 31marzo 2003 le pratiche Peepe Salviano 2 di cui si sarebbedovuto occupare Guzzini(anch’egli prosciolto conCecio dalla medesima im­putaz ione) , assessoreall'Edilizia privata e presi­dente pro tempore dellaCommissione Edilizia. UnGuzzini double face (istitu­zionale e politico) catalizzadunque la marcatura a zonadel duo Tumiatti-Baldanzi:cerca di prendere tempo maè consapevole che i co­struttori associati hanno giàgarantito molto al “partito”per ottenere qualcosa incambio. Edilporto ha operatodi fino e insisterà fino ai li­miti del possibile; nel grande“albero di Natale” del mo­dulo massonico-portualeoccorre allocare un numerodi “prenotazioni” ampiamente supe­riore ai 350 appartamenti messi adisposizione dal regolamento urbani­stico. Confcooperative e affini, daparte loro, restano con un palmo dimano e facendo leva su Guzzini cer­cano di inserirsi nell'affaire, che in­tanto sta assumendo dimensioni ma­croscopiche. Tra marzo ed aprile2003, come visto, Baldanzi e Tumiattipromuovono la campagna di prima­vera rivendicando nelle conversazionitelefoniche quei “crediti" maturativerso i vertici del partito di riferimen­to; si parla di 10mila euro (versati nelgennaio dello stesso anno) e dellemoltissime cene «che se non cambieràqualcosa, quando le vogliono se lepagano».Ma la svolta si ha il 10 aprile del2003: quel giorno gli “accordi” piùvolte evocati (e recriminati) da Tu­miatti e Baldanzi prima della campa­gna di primavera, assumono una certaconsistenza. Guzzini (e forse ancheCecio) potrebbero/dovrebbero averestrappato alla morsa Ds Sdi e affiniqualche “pavimento” fra le decine dimigliaia di metri quadri assunti dallavariante politica governata dal gruppodi comando. Dice Baldanzi: «300milioni sul (inteso “in cambio del”,n.d.a.) pacchetto che ci hanno propo­sto. Ci hanno detto: 10 (appartamenti,

n.d.a.) li fate su via degli Etruschi(aree Peep), 50 li fate su Salviano2, 20 li fate su altre aree Peep».Tumiatti di rinforzo: «Dé, 300 mi­lioni, diamogliene 320, anche».Resta da capire, fatto salvo il ruolodi arbitro e segnalatore di Guzziniin Commissione Edilizia (dove ledue pratiche erano ormai in vista diottenere il parere definitivo), chipotrebbe avere mediato sul fronteopposto a favore di Baldanzi e Tu­miatti determinando quelle quantità,ma soprattutto quella cifra in rela­zione al “pacchetto” da accreditarein quota Confocooperative. Chi sonoinsomma quei "ci" di cui parlano idue? Guzzini, da parte sua, su Sal­viano 2 non mostra sicurezza («nonc'è nulla da dividere», affermerà altelefono), consapevole che la tratta­tiva Saja /Uccelli e fronte Edilporto

è troppo avviata per salirci sopra.Ma sulle aree Peep si impegna, ini­ziando a riscuotere, dopo le recrimi­nazioni, la fiducia progressiva diBaldanzi e Tumiatti. Tant'è che que­sti ultimi il 18 aprile (come riportatonella quarta puntata della nostrainchiesta) inoltrano al gruppo dicomando un’inaspettata domandadi assegnazione; assai prima cheGuzzini (siamo nel giugno 2003) sisenta rispondere da Pacciardi chenuove aree Peep in località la Sco­paia sarebbero state disponibili aseguito del sopravvenuto interra­mento dell'elettrodotto.Arriviamo al 3 luglio, vigilia delcongresso della Margherita. Al ter­mine di una burrascosa riunione diCommissione Edilizia su Salviano2 (vedi caso Ciaponi), Guzzini riceveuna telefonata di Tumiatti che glipreannuncia una lettera (datata 4luglio) di Promocasa al Sindaco nellaquale si chiede conto dei criteri diassegnazione delle Aree Peep. Intan­to Guzzini, punto sul vivo e ormaiin pieno clima precongressuale, ri­sponde a Tumiatti, e lo fa in modoinequivocabile: «Domani mattinac'è Giunta e io prima dovrei averequesti 20 Peep. Se non li ho gli boc­cio la Porta a Mare, guarda, a costodi fare un casino bestiale».

Nonostante le recenti asso­luzioni, proponiamo unaricostruzione cronologicadegli avvenimenti perchériteniamo importante chei fatti non scompaiano dal­la memoria collettiva

FRANCO MARINO

Il patrimonio immobiliarepubblico esiste ancora nono­stante le svendite di questi ul­timi anni. Ne fanno parte im­mobili abbandonati, fatiscenti,inutilizzati o inutilizzabili. Icosti delle case sono ormaiinaccessibili perché lasciati inbalia del mercato alla streguadi un paio di scarpe o di unaspirapolvere, con l’aggravanteche, essendo un bene primarioe insostituibile, sono oggettodi speculazione. Le politicheabitative latitano, anzi, per farecassa si svende.In questo contesto drammatico,dal nord Europa è arrivata unaformula innovativa, l’autore­cupero: giovani, immigrati eprecari creano o recuperanoappartamenti lavorando neigiorni liberi e abbattendo i costidel 40%. Il Lazio ha regola­mentato l’autorecupero con lalegge regionale n°55/1998 chepermette di recuperare patrimonioimmobiliare abbandonato attraversola collaborazione finanziaria e proget­tuale tra l’istituzione pubblica e lecooperative formate dagli stessi abi­tanti. Questo dispositivo legislativo,per cui ha lottato il Coordinamentodi Lotta per la Casa di Roma, puòrisolvere situazioni di emergenza abi­tativa (strutture in fase di degrado oin stato di occupazione) senza produr­re nuova cementificazione e costruen­do edilizia residenziale pubblica pulitaed ecocompatibile.Naturalmente questa formula al mo­mento non può certo sopperire allacolpevole assenza delle istituzioni

nelle politiche per la casa e non puòcerto combattere con il mercato dellaspeculazione edilizia e delle casetenute sfitte per tenere alti i prezzi.In Irlanda, tuttavia, l’autorealizzazio­ne arriva a coprire il 25% dell’ediliziapopolare.Le amministrazioni, però, snobbanoquesta pratica perchè sono più inte­ressate ai grandi progetti privati piut­tosto che a garantire il diritto allacasa. I tentativi per ora sono timidi.Provincia di Napoli e Comune diPadova stanno provando a proporloai rom. Altre comunità ci stanno la­vorando: i sinti veneti stanno co­struendo un intero villaggio. In Lom­

bardia la Regione ha messo adisposizione un fondo per fi­nanziare fino al 20% del costodel progetto, da restituire dopo10 anni dal termine lavori.L’autorecupero può essereun’alternativa alla svendita delpatrimonio pubblico immobi­liare, alla cementificazioneselvaggia e alla speculazioneprivata non solo per quantoriguarda le abitazioni ma ancheper tutto ciò che ha rilevanzasociale e pubblica: biblioteche,palestre, ludoteche… L’auto­recupero può essere una ri­sposta seria all’alibi delle am­ministrazioni pubbliche per cui«non abbiamo soldi per co­struire o ristrutturare, megliovendere a un privato che la­sciare il patrimonio pubblicoabbandonato» e grazie al qualepochi grandi costruttori sonodiventati i veri padroni dellecittà.Inoltre si è già aperta la que­stione del passaggio dalla Di­

fesa al Demanio di ex-caserme e strut­ture militari per un valore di 4 miliardidi euro destinato a ridisegnare moltecittà con il coinvolgimento direttodegli enti locali. L’Unione Inquiliniha già lanciato l’appello, inascoltato,al governo affinché si impegni con­cretamente per la riqualificazione el'utilizzo pubblico di queste ex servitùmilitari con progetti finalizzati allaricomposizione sociale, urbanisticaed ambientale dei territori e quindiincludendo anche progetti abitativi.Anche Livorno è coinvolta, con ilpassaggio al demanio dell’ospedalemilitare di viale Carducci e della excaserma in zona via Palestro.

BERNARDO BUONTALENTI

Essendo di fatto l’evento spettacolarepubblico più rappresentativo dellacittà, ogni anno Effetto Venezia èinvestito di attese, critiche, commentie polemiche. Una festa che nel corsodelle edizioni, a detta di molti, èandata progressivamente a scadere.C’è chi da la colpa alla direzioneartistica e chi dice che è l’imposta­zione generale a dover essere rive­

duta e corretta.Nato come momento per riscopriree rilanciare, favorendone la riqualifi­cazione, uno dei quartieri più sugge­stivi di Livorno, Effetto Venezia hada sempre vivacchiato, non riuscendomai a fare il salto di qualità, nel ten­tativo di trovare un compromesso,un equilibrio tra due componenti:l’anima culturale, artistica, di festapopolare di strada e l’anima commer­ciale, di fiera per turisti e visitatori

spendaccioni. Equilibrio che daqualche anno sembra si sia rotto. Lacomponente commerciale, dalla rist-razione ai banchetti artigiani, all’an­tiquariato, è sembrato a molti im­porsi sulla componente artistica.Componente che, al di là dellaqualità sporadica ed episodica del­l’offerta, sembra essere stata margi­nalizzata, anche in termini di inve­stimenti, costretta all’angolo. Di quila scarsità della cultura, di qui gliappellativi Effetto miseria, Effettobottega. Di qui forse anche il ner­vosismo di alcuni operatori culturalidi fronte alle giuste critiche che viavia gli sono piovute sulla testa. Diqui anche le considerazioni sullemodalità di gestione modello Festadell’Unità di un quartiere che è unavera e propria quinta teatrale natu­rale.Quest’anno, complice la grave vi­cenda di Pian di Rota, il vero voltodi Effetto Venezia è venuto fuori:né la morte, né un’ordinanza delsindaco, né la sospensione deglispettacoli ha impedito che si com­pisse la transumanza tra corallinicolorati e cartocci unti.C’è chi continuerà a tenere la testasotto la sabbia. Noi non lo faremo.

La kermesse livornese quest'anno ha rivelato la sua vera natura:una fiera commerciale più che una festa popolare di strada Uno scorcio del tribunale di Livorno

Vista dall'alto in notturna delle bancarelle sugli scali (foto Pyondi)

Lavoro - CapitaleLa mia citta'

Anno II, n. 19, pagina 5Senza Soste, periodico livornese

Il nome di Piombino viene fatto datale Montomoli, ex segretariodell’Autorità Portuale, consulente dizona per “Sviluppo Italia”, l’Agenzianazionale che decide a chi assegnarela logistica, la ricerca e l’esecuzionedelle grandi opere. Montomoli con­tatta Mascazzini, direttore generaledel Ministero dell’Ambiente oggicome ai tempi di Matteoli, e vienesubito appoggiato dall’Autorità Por­tuale, cioè Guerrieri.Durante il consiglio comunale del 24agosto, il sindaco di Piombino rimandala questione a fine ottobre, deve avercapito che non sarà una passeggiata,e, parole sue, prende tempo per ricer­care un più ampio consenso politico.Il primo consenso gli arriva pronta­mente da Luca Sani, ex sindaco diMassa Marittima, segretario regionaleDS, responsabile degli enti locali, ap­pena rinviato a giudizio per aver, comescrive il Pubblico Ministero che ce loha rinviato (a giudizio), «usato soldipubblici per sostenere spese relativeal monitoraggio dei siti da bonificare»,spese che sarebbero spettate all’ENI.Un appoggio di tutto rispetto. (red.)

Non infanghiamo Piombino

AURO CIUMINAZZI

Domanda: La battaglia contro il pro­getto di rigassificatore va avanti dadiverso tempo. Quali sono le ultimenotizie?Risposta: Dell’autorizzazione gover­nativa di Olt scaduta lo scorso 26febbraio, credo la sappiate già. Ulti­mamente, invece, il Comitato ha ri­velato il documento dell’Ufficio le­gislativo del Ministero dell’Ambientesui vizi dell’iter amministrativo delprocedimento di VIA (valutazioned’impatto ambientale, nda), docu­mento ufficiale fornitoci da una “ma­no amica”. D’altra parte il Comitatoha realizzato una mole enorme dimateriale documentario per dimostra­re il carattere ridicolo della VIA (vediwww.offshorenograzie.it). Occorreribadire che i tecnici della RegioneToscana e dei ministeri competentihanno costruito una farsa di procedi­mento autorizzativo che ha sistema­ticamente evitato di affrontare i nodicentrali del progetto. Ricorderò, tantoper citare solo alcune questioni, ilrischio di rottura dei contenitori diGNL, il rischio di collisioni con naviin transito, il rischio sismico, l’impat­to con il santuario dei cetacei, lasituazione metoclimatica dell’area,gli scarichi di metano che normal­mente avvengono durante le opera­zioni di travaso fra la gasiera e ilterminale: tutti problemi che i “tec­nici” si sono dimenticati di approfon­

disi l’autorizzazione dovrebbe essereimmediatamente ritirata e l’iter do­vrebbe essere completamente rifat­to.Cito solo uno dei setti vizi indivi­duati dal documento ministeriale: èstato utilizzato un iter autorizzativosupersemplificato che però la leggeprevede solo in caso di riutilizzazio­ne di siti industriali. Come si puòconsiderare lo specchio di mare si­tuato di fronte a Marina di Pisa un“sito industriale riutilizzato” lo sannosolo il Governatore della RegioneToscana Martini, l’ex-ministro del­l’Ambiente Matteoli, l’ex-ministrodelle Attività Produttive Scaloja emagari anche l’ex-sindaco di Livor­no Lamberti e i suoi amici livornesi(Cinuzzi, Rotelli, Bussotti, Cosimi,Ruggeri, ecc.), veri sponsor politicia livello locale del progetto.D.: Vuoi dire che c’è un blocco dipotere che unisce destra e sinistra?R: Esatto. È bene ricordare che lacostruzione dei rigassificatori è statainserita dal governo Prodi fra i 12punti qualificanti che furono “blin­dati” dopo la crisi seguita al votosulla presenza italiana in Afghani­stan. Anche Verdi e Rifondazione,che pure dicono di essere contrarialla costruzione dell’impianto diLivorno, vivono questa ambiguitàdi fondo. Da una parte la consape­volezza che il progetto è solo e sol­tanto frutto di una volontà specula­tiva, dall’altra la fedeltà al governoProdi (e forse, più concretamente,la paura di perdere qualche poltronafaticosamente conquistata). I giochidel potere politico sulla pelle deicittadini, insomma.D.: Cosa dovrebbe fare un governodi centro-sinistra?R.: Innanzitutto evitare di fare lestesse cose del governo Berlusconi.Nel nostro caso, per esempio, do­vrebbe prima di tutto dire quantogas ci serve e perché ci serve. Poitrovare il modo di costruire un pianopluriennale capace di diminuire gra­dualmente questa necessità attraver­so il risparmio energetico, l’efficien­za e l’uso di fonti rinnovabili adimpatto ambientale scarso o nullo(sole, vento, biomasse, maree, geo­termia). Invece gente come i ministriBersani e Letta spara cifre che poinel giro di pochi mesi dimenticanoe contraddicono solo per piegarleagli interessi speculativi delle mul­tinazionali dell’energia. Il discorsosarebbe lungo però gli esperti delsettore sanno benissimo che l’Italianon ha bisogno di tutto il gas che ilgoverno Prodi oggi (come quelloBerlusconi ieri) dicono essere indi­spensabile. L’obiettivo dei gruppiche stanno dietro alle manovre go­vernative è quello di importare, an­che tramite i rigassificatori, il gasquando costa meno, stoccarlo neisiti sotterranei per poi rivenderlo aipaesi centro europei quando costadi più.D.: Tornando al Comitato: quali sonole prossime mosse?R.: Finora abbiamo cercato di sma­scherare le tante porcherie del pro­getto sensibilizzando l’opinione pub­blica e costringendo anche i mediaa prendere in considerazione le no­stre ragioni. Il muro di gomma chepolitici e uomini d’affari livornesiavevano cercato di costruire attornoalla questione rigassificatore è fra­nato miseramente e ormai a Livornoe a Pisa esiste una consapevolezzadiffusa che da questo impianto lapopolazione ha tutto da perdere enulla da guadagnare. Nel futuro con­tinueremo a fare quello che abbiamofatto fino ad ora: informazio­

dire limitandosi ad accettare le docu­mentazioni e le osservazioni presen­tate dalla OLT. E’ sconcertante con­statare come coloro che dovrebberotutelare l’interesse pubblico svolgano

un compito tanto delicato in modocosì penosamente appiattito agli inte­ressi dei politici e dei loro mandanti.D.: Decisione squisitamente politicaquindi?

R.: Naturalmente, poiché come hadimostrato l’Ufficio legale del Mini­stero dell’Ambiente l’iter autorizza­tivo è vistosamente illegittimo e nonper questioni di cavilli. Come a Brin­

Rigassificatore, un affare per pochi

Venerdì 24 agosto, Gianni Anselmi,sindaco di Piombino avrebbe volutochiedere al Consiglio comunale ilmandato per firmare un accordo diprogramma col Ministero dell’Am­biente, la Regione Campania, la Pro­vincia e il Comune di Napoli e leAutorità portuali di Campania e To­scana per riempire le nuove banchinedel porto toscano con 2 milioni dimetri cubi di materiale provenienteda Bagnoli: 1,3 milioni di fanghi dicolmata e 700 mila di sedimenti.Sul piatto dell’accordo 274 milionidi euro per Piombino, per completare64 ettari di nuove banchine, costruireuna nuova strada per il porto (SS398), realizzare un impianto per iltrattamento dei rifiuti industriali ebonificare un’area di 35 ettari, disca­rica del gruppo Lucchini.Secondo Anselmi, «a Piombino nonarriveranno sedimenti pericolosi. Nonarriverà nulla che il ministero certificacome pericoloso». Un accordo diprogramma benedetto dal ministrodell’Ambiente Pecoraro Scanio. Fa­vorevole la CGIL Toscana.Tutto bello, insomma, a leggere quel­lo che scrive Repubblica lo scorso12 agosto 2007. Non è così, però, peril “Comitato no fanghi”, prontamenteistituito dai cittadini di Piombinocontrari all’accordo. Il primo allarmelo ha creato la fretta delle istituzioni,le quali pensavano di firmare un ac­cordo simile in periodo di ferie inmodo che passasse del tutto inosser­vato. Poi, a ben guardare, si scopreche gli interventi ipotizzati richiedono688 milioni di euro e che i finanzia­menti dell’accordo ne coprono sol­tanto il 22%: presumibilmente siprovvederà all’ampliamento dellevasche, alla realizzazione degli im­pianti di stoccaggio e di trattamentodei rifiuti e niente dunque a favoredei cittadini. Anche per la strada di

accesso al porto (SS 398) ci sonoforti dubbi e perplessità.Arriveranno, forse, 60 milioni di euro,peraltro già stanziati in precedentiaccordi, che risultano del tutto insuf­ficienti ed è quindi alto il rischio dinon completare l’opera.Infine 900.000 m³ di fanghi del1.300.000 previsti dovranno esseresottoposti a trattamento di selezionee lavaggio in un impianto che dovràessere appositamente realizzato, manon si capisce ancora bene dove, sein mare o no, da cui verranno fuori100.000 m³ di rifiuti pericolosi, con­tenenti idrocarburi policiclici aroma­tici (i famigerati Ipa, classificati dallaIARC già nel 1987 come probabilicancerogeni per l'uomo) che dovran­no essere detossizzati ed il cui smal­timento non è ancora chiaro.Questo è quello che si può dire esarebbe di per sé sufficiente per bloc­care l’accordo. Quello che non si diceè che l’accordo viene da lontano,ideato dall’allora Ministro dell’Am­biente Altero Matteoli con l’idea me­ravigliosa di importare i fanghi daBagnoli. Sembra che l’ex ministro,

già prima della necessaria gara d’ap­palto, avesse già individuato l’agenziaa cui far riciclare i rifiuti industriali.Un progetto ben accolto anche dalnuovo ministro Pecoraro Scanio, cheper l’appunto è a conoscenza di unasocietà marittima le cui navi potreb­bero trasportare i materiali. OltretuttoPecoraio Scanio punta a diventare ilnuovo sindaco di Napoli: quale mi­glior campagna elettorale di Bagnoli?In realtà la prima scelta non è stataPiombino ma Formia, che però harifiutato l’accordo. Guardandosi at­torno, Matteoli vede che l’allora sin­daco di Piombino, Guerrieri, che du­rante la sua carica ha sempre cercatodi non inemicarsi il potere, potevaessere il soggetto giusto per i suoiprogrammi. Stanzia quindi i soldi attiper la bonifica industriale di Piombi­no, la cosiddetta “palanconatura”, ladelimitazione delle zone da bonifica­re. Guerrieri diventa quindi presidentedell’Autorità Portuale e su consigliodi Matteoli nomina segretaria PaolaMancuso dell’UDC, l’allora vicesin­daco di Rio Marina e braccio destrodell’allora sottosegretario Bosi.

Il Comitato durante l'ultima azione dimostrativa nel cantiere: incatenamento alle ruspe in Suese lo scorso 18 agosto

Un manipolo di politicimossi da interessipersonali vorrebbeimporre alla popolazionedi Piombino di accoglierei fanghi di Bagnoli.Un'operazione ispirata dauna logica di scambio chenon tiene conto deicittadini e dei problemi chela città già presenta nelcampo dei rifiuti industriali

Piombino, la grande partecipazione ad un'assemblea del Comitato No Fanghi

Intervista ad un aderente al Comitatocontro il rigassificatore offshore di Livorno

Per non dimenticarePer non dimenticare

Anno II, n. 19, pagina 6Senza Soste, periodico livornese

verno, si dimise cedendo alle pressionidelle lobby fasciste indicando comesuo successore proprio Pinochet. Difronte alle difficoltà provocate dallastrategia golpista (attentati, serrate,provocazioni) si cominciò a fermareil processo di trasformazione, causandola demoralizzazione dei militanti e ladiminuzione del consenso popolare.A rafforzare questa interpretazionepuò essere paragonato l’esito del golpein Cile con quello del golpe in Ve­nezuela dell’aprile 2002. Fatti i debitodistinguo (certamente la situazioneinternazionale non è la stessa) si vedeche in Venezuela, di fronte a una stra­tegia golpista del tutto simile, le forzepopolari hanno reagito e l’esercito nonha seguito i generali promotori dellaribellione.Come scrive Gennaro Carotenuto, “imotivi del rovesciamento della fortunagolpista vanno ricercati dunque nelcampo popolare e nell'evoluzione delleforme di militanza, nel modello di statoinclusivo alla base della Costituzionebolivariana, nei meccanismi partecipa­tivi che innescano il senso di cittadi­nanza, nel diverso ruolo dei partiti”.

Cile, 11 settembre 1973: la lezione del golpe

NELLO GRADIRÁ

La ragione dell’enorme impatto emo­tivo conseguente al colpo di statodell’11 settembre 1973 in Cile risiedenon solo nella feroce repressione chene seguì, ma soprattutto nel fatto cheil golpe interruppe tragicamente un’e­sperienza a cui molti guardavano coninteresse e simpatia. Ne scaturì unvivace dibattito politico che dura tut­tora. Il golpe spazzò via le speranzeche anche nel “cortile di casa” degliStati Uniti la sinistra potesse raggiun­gere il potere per via pacifica, tramiteelezioni.I drammatici fatti cileni costituironoil presupposto per l’elaborazione, daparte del vertice del PCI, della strate­gia del compromesso storico: Berlin­guer ne trasse infatti la conclusioneche alla sinistra, per governare, fossenecessario un accordo con le forzecattoliche e moderate.Più di recente la sinistra neoliberistaha fatto ricadere le responsabilità po­litiche del colpo di stato cileno sul­l’”estremismo massimalista” di coloroche avrebbero spinto per una radica­lizzazione dell’esperienza di governodi Unidad Popular, provocando inquesto modo l’ostilità delle classimedie e delle masse cattoliche, lareazione degli Stati Uniti e del capitaleinternazionale. La morale sarebbe chenon è possibile alcuna vera alternativae che una sinistra di governo non puòalienarsi il consenso dei “poteri forti”.In realtà, per quanto Allende sia statoun politico di grande statura morale,

vi furono errori politici clamorosi delgruppo dirigente di Unidad Popularche si rilevarono decisivi. A propositodelle nazionalizzazioni va ricordatoinnanzitutto che quelle più importanti(delle miniere di rame, carbone eferro) furono votate all’unanimità dalParlamento cileno l’11 luglio 1971 equindi è difficile descriverle comeuna trovata bizzarra di settori estre­misti. Va anche detto che poco prima,il 4 aprile, il 36% delle elezioni del­l’anno precedente era già diventato

che ai suoi avversari in­teressava ben altro che lalegalità del governo cileno.Fu quindi trascurata oaddirittura osteggiata lacreazione di organismi dicontropotere e di contro­informazione (eppure perle elezioni del 1970 eranonati ben 15mila comitatidi UP, diffusi in modocapillare in tutto il paese)e fu votata una legge per“il controllo delle armi”che fu usata dalle forze dipolizia a senso unicocontro le organizzazionidi sinistra, mentre i ter­roristi fascisti di “Patria eLibertà” avevano pienalibertà di movimento. Nonsi mise in atto alcunastrategia efficace per as­sumere il controllo delleForze Armate, o perlo­meno per dividerle. Ap­pena 20 giorni prima del

golpe, il generale Pratts, uno deipochi ufficiali di vertice leali al go­

il 51%, a dimostrazione del fatto chele misure a difesa delle classi menoabbienti riscuotevano grande consen­so. Che successe dopo?Era chiaro fin dalla investitura diAllende che i fascisti cileni, gli USAe i loro servizi segreti, le multinazio­nali puntassero al golpe. Ma Allendecredette che un assoluto legalitarismopotesse costituire una strategia difen­siva efficace contro i golpisti: pensavache, non dando adito a pretesti, ilgolpe non ci sarebbe stato. Non capì

Salvador Allende (26/07/1908 - 11/09/1973), fu Presidente del Cile dal novembre '70

8 Settembre '43, una nazione allo sbando

I fatti cileni costituirono una delle basi per l’elaborazione, da parte del vertice del PCI, della strategia delcompromesso storico. Berlinguer si convinze che fosse necessario un accordo con le forze cattoliche e moderate

C'è una strategia americanadopo l'11 settembre 2001?

IVANO SCACCIARLI

Sei anni dall’attentato alle torri gemel­le di New York, e all’edificio delPentagono a Washington, sono unperiodo di tempo sufficiente per valu­tare quale siano state l’efficacia e ladirezione della strategia americanasul piano della politica globale dopol’11 settembre 2001.Dopo due guerre, tutt’ora in corso, inIraq e in Afghanistan e continue ten­sioni con paesi dell’area mediorientale(Siria, Iraq) che rischiano di allargarei conflitti della zona è bene prima ditutto chiarire quali strategie abbianofunzionato. Naturalmente quelle menovisibili o meno discusse. Prima ditutto la torsione autoritaria che hasubito la vita americana dopo l’11settembre: misure come il Patriot Act,un corpo di provvedimenti approvatoa ridosso dell’attentato alle torri ge­melle, hanno fornito poteri specialialla presidenza e particolari alle agen­zie di sicurezza che permettono ilcontrollo e il potere praticamente as­soluti su qualsiasi essere umano chesi trovi ad essere sorvegliato per qual­siasi esigenza del governo degli StatiUniti. Se una delle strategie per ilnuovo millennio, da parte americana,era l’irrigidimento del controllo inter­no e la formazione di un illimitatopotere verso i cittadini non statunitensiper esigenze di controllo globale que­sto scopo è stato raggiunto. Un altroscopo, ancora meno dibattuto sul pia­no politico è stato quello di alimentarele politiche di credito pubblico, daparte della Federal Reserve americana,nei confronti delle banche e di bassitassi di interesse per permettere lacrescita del mercato azionario e finan­ziario. Sono esattamente queste lemisure prese dalle autorità monetarieamericane subito dopo l’11 settembreper il “rilancio dei mercati” che sonole più appetibili per l’accumulazionee la speculazione finanziaria tanto daessere richieste anche in queste setti­mane di crisi delle borse mondiali.Anche in questo senso, le strategie

americane successive alle torri gemellehanno colto nel segno trasferendoquantità immani di ricchezze dall’eco­nomia reale, per quanto capitalistica, aquella virtuale.Sul piano militare sicuramente la poli­tica di riarmo ha rilanciato profitti equotazioni delle aziende americane delsettore. Resta quindi un piccolo, ultimodettaglio: la guerra sul campo va malesia in Iraq che in Afghanistan. Le guer­riglie e l’instabilità sociale di quei paesi,che genera guerre civili all’interno dellaresistenza contro le occupazioni, hannoreso impraticabile l’ipotesi di un con­trollo di quei territori anche a mediotermine. L’idea di trasformare l’Iraq el’Afghanistan in stati modello del con­trollo americano se faceva parte dellareale strategia americana di sei anni faè completamente fallita. Anche lasostenibilità dell’ipotesi di profitti ge­nerati dalla guerra permanente, di frontea decine di migliaia di morti e allepressioni antiamericane di ogni partedel globo (che vengono dalle potenzeemergenti come la Cina o riemergenticome la Russia) si sta esaurendo. Adun certo punto, in qualche modo,emergerà una svolta. L’importante èche vada nel senso della fine di un ciclodi espansionismo militare americanocome accadde per la guerra in Vietnam.Il resto appartiene al novero delle chiac­chiere da bar della camera dei deputati.

Breve storia e alcune considerazioni su una disfatta tutta italiana

FABIO TROTTERRO

L’8 settembre 1943 rappresentauno spartiacque molto importantedella storia contemporanea so­prattutto per i cambiamenti epocaliche ha portato nella società ita­liana. Per molti invece, rappresental’ora della riscossa e della ribel­lione contro la tirannia e l’invasorenazista. Sicuramente fu un’evi­dente prova di inettitudine da partedella classe dirigente monarchica,borghese e post fascista, che conle loro scellerate azioni feceroperire centinaia di migliaia di citta­dini italiani.All’indomani della Serrata del GranConsiglio, la situazione era disperata:gli angloamericani erano sbarcati inSicilia, le armate tedesche invadeva­no l’Italia dal nord poco convintecirca la fedeltà dell’alleato minore ecentinaia di migliaia di soldati italianierano stati abbandonati nei Balcanisenza ordini precisi sul da farsi. Lostesso valeva per le truppe stanziatesul territorio nazionale che in baseall’ordine 111CT dovevano reagirecontro qualsiasi attacco, controllaregli spostamenti delle truppe stranierein Italia e mantenere i capisaldi piùimportanti. Ma come al solito l’eser­cito venne impiegato dai propri co­mandanti per reprimere le primeespressione di resistenza popolare.Intanto i tedeschi occupavano tutti ivalichi di frontiera, respingendo lerichieste italiane di far rientrare le

truppe di stanza nei Balcani.Contemporaneamente, i vertici delgoverno, delle forze armate e la Co­rona, sondavano il terreno per trovareuna via d’uscita a una situazione di­sperata. Scartata a priori la possibilitàdi proclamare l’uscita del paese dallaguerra e di appellarsi alla popolazioneper fronteggiare l’inevitabile reazionetedesca, fu privilegiata l’opzione diresa agli alleati e di cambio di allean­ze. Il generale Castellano fu la personaprescelta a portare avanti la trattativa:il 18 agosto a Lisbona incontrò ilgenerale Bedell Smith, capo di statomaggiore delle forze alleate nel Me­diterraneo, e il generale ingleseStrong. Castellano provò a negoziareil cambio di alleanza e il passaggionel fronte anti tedesco; ma i plenipo­tenziari alleati risposero seccamenteche si trattava di un armistizio militaree che doveva essere accettato incon­dizionatamente. Dopo ciò, il testo

venne esaminato da Badoglio edal Re Vittorio Emanuele III chediedero a Castellano il via liberaper chiudere le trattative. Il 3settembre, a Cassibile, vicinoSiracusa, veniva firmato l’armi­stizio.Corona e del governo Badoglio,fece sì che i corpi d’armatastanziati all’estero fossero subitoimprigionati dai tedeschi. In as­senza di direttive precise controle truppe tedesche, l’esercitoitaliano si sfaldò e non opposenessuna resistenza, tranne casi

isolati, all’aggressione nazista, Ro­ma venne abbandonata al propriodestino da un vigliacco re in fuga,il popolo italiano subì la vendettadei tedeschi per il tradimento deiloro governanti.L’8 settembre rimarrà un grandeesempio di vigliaccheria dei gover­nanti post fascisti, i cui risultatifurono pagati solamente dalle massepopolari che seppero resistere eroi­camente. Ma è anche la data chesegna il cambio di guardia tra ladittatura nazista e quella capitalistaamericana, con le molte basi militariche continuano tuttora ad occupareil suolo italiano.

RIFERIMENTI AL TEMA

Per una ricostruzione puntuale tradocumenti ufficiali e fatti: ElenaAga Rossi, Una nazione allo sbando,Il Mulino pp. 162, 10 €

Anno II, n. 19, pagina 7Senza Soste, periodico livornese

Pagina Otton.19

Una campagna acquisti approssimativaCessioni eccellenti, mancanza di strategia e doppioni in un mercato estivo "alla Spinelli"

FRANCO MARINO

Al di là dei risultati che ci saranno inquesto difficile inizio di campionato,il dato che è emerso immediatamentefin dalla trasferta di Torino è che lasquadra dà la sensazione di essere in­completa e tatticamente fragile.Incompleta perché sui calci piazzatiprendiamo gol con frequenza ormaida tre anni, perché manca un uomoche salti l’avversario e crei superioritànumerica, un altro che dia profonditàalla manovra (aspettando Dhorasoo,ma per quanto?), e un altro ancora chesappia rendersi pericoloso sui calcipiazzati (due punizioni dal limite cal­ciate da Loviso sono state un’offesaa Buffon).Fragilità tattica perché una squadra

che gioca con il 4-4-2 non può permet­tersi di avere sulle fasce a centrocampodue interdittori (i gemelli Filippini),un giocatore che si propone col con­tagocce (Pasquale) e un centrale difen­sivo prestato alla fascia destra (Gran­doni).Mancanza di strategia. A prescinderedalla composizione della rosa finale,anche quest’anno nonostante la discretaliquidità a disposizione di Spinelli dopole cessioni di Pfertzel, Morrone, Passonie Lucarelli, il mercato amaranto haavuto la stessa impostazione degli annipassati: l’attesa, gli svincoli e lacasualità. L’anno scorso ci si ritrovòcon 8-9 difensori centrali per puro caso,infatti prestiti, svincoli e disoccupatiavevano riguardato per lo più difensorie il presidente chiuse il mercato con il

doppio colpo gratuito Kuffour, Rezaei.Quest’anno idem. Si fa il 4-4-2 ma nonsi compra sulle fasce, si cerca unaprima punta (perché Tristán non lo è),ma non si scarta l’ipotesi che arriviun’altra seconda punta, servono dueesterni (a destra e la riserva a sinistra)ma si cerca un regista (ne abbiamo duema forse è la società la prima ad averedubbi). Insomma in questi mesi se nesono sentite di tutti i colori, special­mente dal presidente, con la chiaraimpressione che al di là di quella chesarà la rosa finale anche quest’anno ilmercato non ha avuto strategia ma hainseguito la casualità.Una squadra di scommesse. Al di làdel valore dei giocatori, molti fra l’altrogiovani (nota positiva del mercato) èun dato di fatto che alla prima giornata

siamo scesi in campo con Diamanti,proveniente dal Prato (C2); Volpe, pro­veniente dal neopromosso in B Raven­na; Pulzetti, proveniente dal Verona(retrocesso in C1); Loviso, provenientedalla Sambenedettese (C1); E. Filippini,proveniente dalla panchina del Bologna(B) a cui va aggiunto che i migliorigiocatori della rosa (Giannichedda,Tavano, Dhorasoo e Tristán) l’annoscorso non hanno giocato o lo hannofatto col contagocce. Parliamoci chiaro,la permanenza in serie A del Livornoè legata al rendimento di questi gioca­tori-scommessa. Come si suol dire, obene bene o male male.Nella bagarre della salvezza. È ilcampionato più difficile dei 4 finoradisputati in serie A e al momento cisono 3 o 4 squadre sulla carta peggiodi noi (Reggina, Catania, Cagliari,Siena) e altrettante al nostro livello(Atalanta, Empoli, Parma. E Genoa eNapoli non sono certo corazzate). Lanostra appartenenza ad una delle duefasce tuttavia dipende tantissimo dalrendimento dei “nomi” in rosa. SeTavano, Dhorasoo e Tristán non siricorderanno chi sono ci saranno tempibui, altrimenti ce la giochiamo fino infondo. Il rischio resta, ma il presidenteha dichiarato già a giugno che si prendela completa responsabilità del mercatoe della stagione, ed è interesse suo edi tutti restare in serie A anche l’annoprossimo quando ci sarà la sostanziosaripartizione dei diritti televisivi collet­tivi.La curva e l’entusiasmo. La curvagià dalla prima trasferta di Torino harisposto bene, la voglia e l’entusiasmonon sono certo finiti, tuttavia se il pre­sidente pensa di non essere mai lealecon il suo pubblico e dichiara alla primaoccasione di voler uscire dalla CoppaItalia, tutto questo entusiasmo fa prestoanche a finire. Con che spirito è partitochi è andato a Napoli in Coppa Italialeggendo le dichiarazioni di Spinelli?Non si venga poi a brontolare per i5mila abbonati.

Da Spagna a Raciti, la lenta agonia del mondo ultràTITO SOMMARTINO

Le immagini di quel 29 gennaio 1995sono le stesse un po’ per tutti: i gioca­tori di Genoa e Milan fermi al centrodel campo, Torrente, capitanorossoblù, che si avvicina alla Gradi­nata Nord e parla con i tifosi, e loroche con ampi cenni dicono “stop”,“fuori”. Si è appena saputo che Vin­cenzo Spagnolo, accoltellato fuoridallo stadio prima dell'inizio dellapartita, è morto. Dalla Nord, la gradi­nata dei tifosi rossoblù, si alza l'idranteche spara acqua e si crea il vuoto. Poiparte il coro «Assassini», quindi ildoppio assedio: prima al settore deimilanisti, col tentativo di abbattere larecinzione di plexiglas a sprangate,poi all’esterno dello stadio, da cui itifosi del Milan usciranno dallo stadiodi notte, dopo ore e ore di scontri sottoil settore ospiti tra genoani e forzedell'ordine che impedivano l'imboccofatale in curva. Simone Barbaglia,personaggio di ultimo piano del grup­puscolo Brigate 2, verrà arrestato co­me autore del delitto.Erano ancora tempi in cui il mondoultrà sapeva reagire, o almeno ci pro­vava: su iniziativa di genoani e doria­ni, a Genova si incontrarono quasitutti i rappresentanti dei gruppi italiani.

La vicenda di Barbaglia viene inqua­drata nella perdita di legittimità deigruppi ultrà storici a fronte di gruppettisenza storia e senza regole («Bastalame basta infami», è il motto chescaturisce dall'incontro), proiettata

sulla volontà di stabi­lire nuovi assetti edequilibri e riscoprireun' etica all'aggrega-zione che sembravaperduta. Tutto questonon si tradusse inniente di concreto. Iltempo è scorso senzagrandi colpi di coda ea fare da padroni sonostate le leggi chehanno inasprito lepene e sdoganato l’a­dozione di misure re­strittive da dittaturacilena.Dal 1995 al 2007 sonostati varati pessimidecreti legge antiviolenza, spesi moltisoldi e parole inutili,ogni volta uguali. Da«Spagna» all'ispettoreRaciti, il tempo haanche sancito la defi­

nitiva sconfitta del mondoultras e la vittoria del calcio moderno.Come tra due guerre, gli equilibri sonocambiati, la socialità si è involuta, il«territorio stadio» è stato “ordinato”e disciplinato. Non è cambiato niente,è cambiato tutto.

I milanisti non sono stati fatti andarea Genova. Atmosfera troppo calda,troppa voglia di vendetta e di visibilità.Razionalmente e tatticamente, oltre­tutto dopo una nuova legge speciale,non fa una grinza. Ci chiediamo sol­tanto chi saranno i prossimi milanisti,a quali altri milanisti verrà proibitodi andare in trasferta, che precedentepuò essere per il futuro. Oggi tocca ate per una cosa, domani tocca a meper un’altraIl futuro non è poi così lontano: prestogli stadi saranno riservati a tifosi ric­chi, composti e benpensanti che po­tranno sedersi su comode poltroncine,chiacchierando amabilmente dellapistola del grosso steward, usata solosporadicamente per mandare via qual­che tifoso che si è permesso di alzarela voce contro il proprio centravantiche si è mangiato un gol, cosa sgraditae vietata. Tutti gli altri tifosi se nestaranno a casa a vedere la partita allapay tv, complici magari prezzi semprepiù alla portata di tutti. Insomma, lostadio diventerà come un cinema,questo è quel che vogliono i signoridel calcio e i nostri governanti. (alcunibrani sono stati tratti dall’articolo«Da Spagna a Raciti verso l'ultimostadio», di Simone Pieranni, Il Mani­festo del 25 agosto 2007)

NELLO GRADIRÁ

La Gazzetta dello Sport: un gior­nale che di sportivo non ha piùniente, ma solo tanto gossip e tantefanfaronate di calciomercato, sem­pre riferite alle solite tre o quattrosquadre, sempre attento a non di­sturbare i potenti del calcio, hapensato bene di migliorare il pro­prio livello culturale inserendouna rubrica “seria”: si chiama “Ilfatto del giorno”. Un giornalista,tale Giorgio Dell’Arti, commentafatti di cronaca e risponde alledomande dei lettori.Il 14 agosto scorso Giorgio Del­l’Arti commenta la tragedia dei 4piccoli rom morti a Livorno: “Soche a scrivere brutalmente che glizingari sono sporchi, ignoranti eladri si rischia di essere accusatidi razzismo. (...) Sono civilmentedei sottosviluppati che arrivanocon difficoltà a superare i 50 anni”.Prendiamo atto che La Gazzetta,sempre pronta a gridare allo scan­dalo e a chiedere punizioni esem­plari per ogni comportamento deitifosi delle curve, parla dunque illinguaggio degli ultrà fascisti dellaLazio o del Verona.Il Manifesto della domenica suc­cessiva dedica un editoriale all’”o­dio d’estate” e cita anche l’articolo

della Gazzetta come esempio delcontinuo sproloquio razzista deimedia e dei politici italiani, chefanno a gara a spararla più grossachi contro i gay, chi contro glizingari, chi contro qualche altracategoria di “serie B”, beandosidella propria intolleranza.Inutile chiedersi come mai nessunmagistrato abbia ravvisato nellosproloquio di questo mentecattogli estremi del reato di istigazioneall’odio razziale, così come nes­suno ha ritenuto di dover interve­nire per le parole del prosindacodi Treviso Gentilini contro i gay.Non c’interessa: sappiamo che labattaglia contro il razzismo nonsi fa a colpi di codice penale maaffermando la cultura dellasolidarietà e dell’antifascismo neiquartieri, nelle curve, nelle scuole.Per questo proponiamo che il Co­mune di Livorno e la società Li­vorno Calcio diano un segnaleforte in questo senso dichiarandopersona non gradita in occasionedelle partite casalinghe allo stadioPicchi il collaboratore della Gaz­zetta e consegnando al direttoredel giornale una lettera di forteriprovazione per quanto pubblicatodal fogliaccio rosa.

Giorgio Dell'Arti,editorialista della Gazzetta

Fuori la Gazzettadall'Armando Picchi

Vincenzo Spagnolo, per i compagni Claudio Spagna