Chi finanzia il nuovo Egitto

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CHI FINANZIA IL NUOVO EGITTO dossier aprile 2013

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A due anni dalla Rivoluzione del 25 gennaio 2011 che ha deposto Hosni Mubarak, la situazione economica egiziana è difficilissima. L’Egitto attraversa una fase di “stagflazione”, una combinazione di inflazione e mancanza di crescita e la disoccupazione ha toccato il 15%. Le riserve in valuta estera si stanno esaurendo e il turismo, fonte principale di introiti per l’Egitto, è in costante declino.

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CHI FINANZIA IL NUOVO EGITTOdossier aprile 2013

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Le petromonarchie e l’ambigua longa

manus sull’Egittodi Lorenzo Forlani

Il futuro economico dell’Egitto è legato

al prestito del Fmi di Mara Carro

INDICE

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Parchi industriali, dighe e smartphone: l’Egitto in mani cinesi

di Chiara Radini

L’Unione europea è “amica, vicina,

partner” dell’Egittodi Silvia Lofrese

L’Egitto senza alternativeEditorialeRedazione

Burro, armi e diritti umani. L’alleanza

senza illusioni tra Usa Egitto

di Niccolò De Scalzi

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illustrazione: Marianeve Leveque

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L’EGITTO SENZA ALTERNATIVERedazione

EDITORIALE

A due anni dalla Rivoluzione del 25 gennaio 2011 che ha deposto Hosni Mubarak, la situazione economica egiziana è difficilissima. L’Egitto attraversa una fase di “stagflazione”, una combinazione di

inflazione e mancanza di crescita e la disoccupazione ha toccato il 15%. Le riserve in valuta estera si stanno esaurendo e il turismo, fonte principale di introiti per l’Egitto, è in costante declino.

In soccorso alle casse egiziane sono arrivati i petroldollari delle monar-chie del Golfo: quelli del Qatar, determinato a consolidare la sua influen-za nella regione mediorientale, e dell’Arabia Saudita, che punta a diffon-dere il wahabismo finanziando il movimento salafita egiziano. Fin dal suoinsediamento, il presidente egiziano Morsi ha viaggiato da Pechino a New York e da Bruxelles a Nuova Delhi alla ricerca di nuovi investitori. La Cina, che guarda all’Africa come al continente «di speranza e promesse, come ha dichiarato il neo presidente Xi Jinping nel corso della visita in» Tanzania del 25 marzo, non esclude di fare dell’Egitto la sua testa di

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4ponte nel continente africano e nel mondo arabo.Dove però si gioca la vera partita per il futuro finanziario dell’Egitto è nelle trattative con il Fondo monetario internazionale (Fmi) per il prestito da 4,8 miliardi di dollari, sospese lo scorso dicembre a causa dei disordini scoppiati nel paese. La conclusione dell’accordo con il Fmi consentireb-be all’Egitto non solo di ridurre il deficit, ma anche di sbloccare ulteriori fondi – come quelli dell’Unione europea – vincolati alla decisione del Fmi, e di riabilitarsi agli occhi degli investitori esteri.L’Egitto ha già ripreso i contatti con il Fmi che impone però tre condizioni: aumento delle tasse, riforma dei sistemi dei sussidi per beni alimentari e carburanti, che incidono per oltre il 40% sulla spesa pubblica, e consen-so politico sulle riforme e sul prestito. I termini dell’accordo non potranno essere regolati prima delle elezioni parlamentari, rinviate a data da de-stinarsi. Le condizioni del Fmi rischiano di dividere ulteriormente la società egiziana: misure impopolari come l’aumento delle tasse e la riduzione dei sussidi potrebbero rivelarsi politicamente costose per la Fratellanza musul-mana e il presidente Morsi.Poi ci sono gli Stati Uniti. Dalla fine del regime di Mubarak, i rapporti tra Usa e Egitto sono in fase di ridefinizione. Mentre prima si potevano de-finire come una “relazione strategica”, la rivoluzione del 25 gennaio ha cambiato molte cose, tanto da spingere il presidente americano Barack Obama a definire l’Egitto «né un alleato né un nemico» degli Stati Uniti. La dichiarazione del presidente americano risale al 12 settembre 2012, all’indomani dell’assalto all’ambasciata americana al Cairo. Dalla firma del Trattato di pace israelo-egiziano del 1979, l’Egitto è stato uno dei maggiori destinatari mondiali di aiuti finanziari e militari americani. Gli inte-ressi degli Stati Uniti in Medio oriente sono molti: accesso navale al Ca-nale di Suez e utilizzo dello spazio aereo egiziano, rispetto del Trattato di pace tra Egitto e Israele, sicurezza nell’approvvigionamento petrolifero. Oggi il presidente Morsi vorrebbe tagliare i ponti con l’era Mubarak, ma potrebbe non poter fare a meno dei militari e dell’aiuto americano.

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BURRO, ARMI E DIRITTI UMANI. L’ALLEANZA SENZA ILLUSIONI TRA USA EGITTO

di Niccolò De Scalzi

“Gli Stati Uniti non ci comanderanno”

questo il contenuto di alcuni cartelli mostrati da manifestanti egiziani dopo l’arrivo al potere

dei Fratelli Musulmani. Foto di:

Gigi Ibrahim / Flickr CC

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L’intrigo delle Ong, i tank di piaz-za Tahrir e le mosse dei Fratelli in Egitto. Storia di una special relationship.

Nel 2009, prima che i ritratti di Mubarak venissero rimossi da tutti gli uffici pubblici egiziani, un cablo segreto, reso poi noto

da Wikileaks, confermava la natura privilegiata dei rapporti tra Stati Uniti e Egitto, dal valore an-nuale di 1,3 miliardi di dollari in aiuti. In cambio di tutti questi soldi, l’Egitto si impegnava al rispetto degli accordi di Camp David del 1978 che, in termini pratici, significava per gli Stati Uniti la pos-sibilità di utilizzare il canale di Suez e lo spazio aereo egiziano. Dopo la caduta di Mubarak – e dopo qualche tira e molla tra il nuovo governo egiziano e l’amministrazione Obama – gli aiuti sono stati riconfermati.Una delle qualità dell’Egitto più apprezzate dagli Stati Uniti è la capacità di “fare” la diplo-mazia. Sei dei sette segretari della storia della Lega Araba, iniziata con la sua fondazione nel 1945, sono stati egiziani, e il più nutrito e prepa-rato corpo diplomatico di tutto il Medio oriente è egiziano. Grazie alla sua fortunata collocazio-

ne geopolitica, a cavallo tra il Nord Africa e il Medio oriente, l’Egitto è un paese fondamenta-le per chiunque voglia esercitare la propria in-fluenza nella regione, Stati Uniti inclusi. Anche per questo la transizione alla fase post-Mubarak pre-occupava già la Cia e il dipartimento di Stato quando ancora il problema era solo la precaria salute dell’anziano leader. Sempre secondo un cablo segreto, nel 2010 a Doha l’attuale segre-tario di Stato John Kerry, all’epoca a capo della commissione esteri del Senato americano, avreb-be incontrato lo sceicco del Qatar Hamad Al Thani. Kerry avrebbe spiegato senza giri di pa-role che Mubarak non aveva alcuna soluzione per i problemi del Medio oriente: «L’Egitto non ha una via d’uscita». L’unico obiettivo di Mubarak, secondo Kerry, era quello di protrarre i problemi, come quello palestinese, per poi capitalizzare la propria insostituibilità nelle crisi regionali. Per questo, sempre secondo Kerry, ben prima che gli eventi di piazza Tahrir spazzassero via il rais, por-

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tando al potere la Fratellanza musulmana, Mu-barak premeva sugli americani affinché favorisse-ro una transizione di potere verso il figlio Gamal. I programmi di aiuto e sostegno all’Egitto da par-te americana sono divisi in tre grandi comparti: gli aiuti militari (Foreign Military Financing), il so-stegno economico (Economic Support Funds) e i programmi di addestramento dell’esercito (Inter-national Military Education and Training). Tutti gli aiuti sono autorizzati dal Congresso e vincolati al rispetto di clausole, tranne per i casi di straor-dinaria urgenza: vale a dire che quando l’ammi-nistrazione lo ritiene necessario può bypassare il Congresso e aprire i cordoni della borsa.Gli aiuti militari (Fmf) sono stati approvati per la prima volta nel 1979. Da allora Washington ha cercato di trovare un difficile equilibrio nei suoi rapporti con Egitto e Israele. La proporzione de-gli aiuti militari ai due paesi è quella del 3:2. Su 100 milioni erogati dagli Stati Uniti, 60 vanno a Israele e 40 all’Egitto, e ad ogni misura di soste-gno a un paese corrispondono precise garan-zie. Gli aiuti economici (Esf) sono stati usati negli anni ’80 e ’90 per costruire infrastrutture legate ai settori dell’educazione, della sanità e delle te-lecomunicazioni. Oggi gli aiuti economici hanno raggiunto quota 28 miliardi di dollari. Quando nel 1998 Israele chiese di diminuire gli aiuti eco-nomici a favore di quelli militari, anche l’Egitto subì un ri-bilanciamento degli aiuti vedendo diminuire la quota destinata al bilancio militare. Dal 1979 gli aiuti militari all’Egitto sono andati aumentando di circa 2 milioni di dollari ogni anno. Con 4,56

miliardi e mezzo di budget stanziato per il com-plesso militare nel solo 2010, quello egiziano è il terzo budget più ricco di tutto il Medio oriente, dietro solo a Israele e Arabia Saudita. Il 25% del-le spese del ministero della difesa egiziano è co-perto dagli aiuti americani (secondo Bloomberg si arriva addirittura all’85%). Il tornaconto ovvia-mente c’è anche per gli americani, che tramite le aziende degli armamenti vedono ritornare molti di quei soldi sotto forma di ordini e commissioni. Il tank M1A1 Abrams, il carrarmato divenuto famo-so per aver presidiato i palazzi del potere del Cairo mentre divampavano le proteste di piazza del 2011, è il simbolo di una cooperazione che ha nei militari il suo snodo chiave, ma che oggi ri-schia di essere messa in discussione dall’avvento al potere della Fratellanza musulmana. George Friedman, celebre analista di Stratfor, nel febbraio 2011 – ovvero nel pieno dell’infa-tuazione occidentale per le primavere arabe –, notava come il caso dell’Egitto fosse peculiare proprio per la centralità che continuavano ad avere i militari nell’equilibrio politico del paese. Organizzati nello SCAF (il Consiglio Supremo del-le Forze Armate) i militari presidiavano la piazza e i confini del paese a bordo di carri armati forniti dagli Stati Uniti. Secondo Jon Alterman, direttore del programma Medio oriente presso il Center for Strategic & International Studies, l’arrivo del-la Fratellanza musulmana segna una cesura sul piano della cooperazione tra Egitto e Stati Uniti. Non solo per il desiderio di tracciare un confi-ne tra vecchia e nuova era, ma anche perché

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SU 100 MILIONI EROGATI DAGLI

STATI UNITI, 60 VANNO

A ISRAELE E 40 ALL’EGITTO,

E AD OGNI MISURA DI SOSTEGNO

A UN PAESE CORRISPONDONO

PRECISE GARANZIE.

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Sottomarini nucleari classe HMS Triumph

pattugliano le trafficate acque del Canale di Suez.

Foto di: Defence Images / Flickr CC

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il quadro regionale ha spinto l’Egitto verso un si-stema di alleanze più ostile a Usa e Israele – e la recente visita storica del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad al Cairo ne è la dimostra-zione. Questo è avvenuto sia per ragioni interne, come la forte spinta dell’islam salafita che con-tende la leadership alla Fratellanza, sia per ra-gioni esterne, come il contenimento di altri attori regionali (soprattutto la Turchia).Qualche segnale si era già osservato durante l’era Mubarak, e aveva coinvolto direttamente gli aiuti per la promozione della democrazia, un tema che si intrecciava a due agende di aiu-ti diverse: l’agenda Bush, che a carte scoperte investiva sulla stabilità dell’Egitto come perno di governo di un’area mediorientale da rimodel-lare, e l’agenda Obama, che ha trattato con maggiore distacco gli eventi di piazza Tahrir. Sotto l’amministrazione Bush e con il favore del Congresso, i fondi dell’Esf erano indirizzati verso alcune Ong di orientamento trasversale, tra cui l’International Republican Institute, il National En-dowment for Democracy e il National Democra-tic Institute. Gli aiuti venivano erogati transitando dall’Usaid, l’agenzia del Congresso che si occu-pa di cooperazione allo sviluppo. Una risoluzio-ne unilaterale approvata nel 2005 dal Congres-so americano svincolava l’erogazione di questi aiuti dall’approvazione del governo egiziano, anche se Mubarak più volte aveva chiesto che i programmi di sostegno fossero concordati. Per in-tendersi, gli aiuti arrivavano comunque alle Ong senza che l’Egitto potesse mettere bocca sulla

loro approvazione. Poche settimane dopo la cacciata di Mubarak – siamo nel febbraio 2011 – dei 165 milioni di dollari erogati dal programma Esf, 100 milioni erano aiuti economici e ben 65 erano stanziati per la transizione democratica. A maggio 2011 ancora 2 miliardi di dollari erano stanziati dall’Overseas Investment Corporation, un’istituzione finanziaria governativa che muove capitali privati per favorire investimenti in zone difficili promuovendo gli interessi americani. Secondo la legge egiziana, tutte le Ong ope-ranti sul territorio devono avere il via libera del ministero degli affari sociali per svolgere le loro attività. Uno dei requisiti richiesti è la natura non politica di tali organismi. Tuttavia, sia l’Iri che l’Ndi sono guidati da politici (John McCain presiede il primo e l’ex segretario di Stato di Clinton Ma-deleine Albright il secondo) e farebbero in for-ma poetica quello che la Cia ha fatto in prosa per oltre 25 anni: promuovere la democrazia e gli interessi americani in giro per il mondo. Il quo-tidiano egiziano Al-Ahram ha testimoniato un malessere diffuso in Egitto scrivendo che dietro le Ong c’è addirittura l’anarchia fomentata da Washington. Nel dicembre 2011 circa 49 ope-ratori di 5 diverse Ong vennero arrestati. Tra loro c’erano 19 americani, tra cui Sam LaHood, figlio di Ray LaHood, ministro dei trasporti americano. Il caso rischiò di incrinare un’alleanza storica con la complicazione di un braccio di ferro tutto in-terno all’Egitto: da un lato c’era la casta dei mi-litari che ingrassava proprio sugli aiuti americani e dall’altro c’era il governo dei Fratelli musulmani

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ESF(Finanziamento militare)

FMF(Sostegno economico)

IMET(Addestramento militare)

Totale

2010 2011 2012 2013

250.0

1300.0

1900.0

3450.0 2950.0

1400.0

1300.0

250.0

3350.0

1800.0

1300.0

250.0

2946.9

1400.0

1297.4

249.5

Assistenza USA all’EgittoDal 2010 al 2013, in milioni di Dollari.

Fonte: Libreria del Congresso USA

che doveva bilanciare tra l’esercito (che conti-nuava a contare) e l’ala salafita, che premeva per interrompere i rapporti con gli Stati Uniti. Bill Burns, ex capo gabinetto di Hillary Clinton, e il generale Martin Dempsey, capo di Stato mag-giore congiunto delle forze armate Usa, hanno esercitato pressioni per sbloccare gli arresti in-contrando l’allora potentissimo capo dell’eser-cito, il feldmaresciallo Mohamed Tantawi (che ad agosto dello scorso anno è stato rimosso

dallo stesso Morsi) e alcuni esponenti del Partito libertà e giustizia (il braccio politico della Fra-tellanza). Ancora oggi il processo agli attivisti è in corso. Per i militari e l’intelligence americana il Cairo fa il lavoro sporco, con Hamas, garantisce (o dovrebbe garantire) la sicurezza del Sinai da dove transitano le armi verso Gaza dall’Iran e dal Sudan, e da anni si occupa degli interrogatori “senza guanti”, le cosiddette extraordinary renditions.

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Fonte:Libreria del

Congresso USA

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PARCHI INDUSTRIALI, DIGHE E SMARTPHONE: L’EGITTO IN MANI CINESI di Chiara Radini

11Veduta aerea del

porto di Suez, centro della pentrazione economica

cinese in Egitto. Foto di:

NASA’s Marshall Space Flight Center

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I rapporti sino-egiziani del post-Mubarak passano per le teleco-municazioni, i progetti infrastrut-turali e gli investimenti strategici intorno a Suez.

Sono passati cinque mesi dalla visita di Mo-hamed Morsi a Pechino, scelta come prima tappa all’estero del presidente egiziano

del post-Mubarak. La Cina cerca da oltre un de-cennio di consolidare una partnership economi-ca con l’Egitto, di pari passo con la “Go out stra-tegy” (la politica di incremento degli investimenti cinesi all’estero) inaugurata da Pechino all’inizio degli anni ‘90. L’interscambio commerciale fra la Cina e l’Egitto è passato dai 3 ai 6,3 miliardi di dollari tra il 2006 e il 2008, per poi subire un breve contrazione durante la fase iniziale del-la crisi finanziaria globale e riprendere a pieno ritmo dal 2010 fino a toccare gli 8,8 miliardi nel 2012. Anche la caduta di Mubarak nella prima-vera del 2011 ha causato un momento di stallo nelle relazioni economiche sino-egiziane. Allora i cinesi, così come molti altri partner economici dell’Egitto, adottarono una strategia attendista nell’auspicio che il nuovo Egitto ritrovasse la sta-

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bilità interna.La visita di Morsi a Pechino nel settembre del 2012 si inserisce in un quadro di continuità rispet-to all’epoca Mubarak. Ora più che mai l’Egitto ha bisogno di investimenti esteri diretti (Ide) per rimettere in moto la sua economia stagnante. Se-condo il ministero del commercio cinese, attual-mente 1.133 aziende cinesi hanno investimenti in Egitto nei settori più disparati: il turismo, il settore manifatturiero, immobiliare, agricolo, industriale e dei servizi. Il coinvolgimento economico cinese in Africa settentrionale si sta allontanando dall’ini-ziale strategia concentrata sul settore estrattivo (gas e petrolio) e delle grandi opere pubbliche verso nuove aree come l’elettronica, l’industria delle automobili e il tessile. L’Egitto di Mubarak è stato uno dei protagonisti di questo cambiamen-to di rotta sin dal 2002, quando i 50 miliardi di dollari di Ide cinesi iniziavano ad avere un impat-to sull’economia egiziana.Sulla scia di questa eredità continuano a pro-gredire i rapporti economici tra Cina e Egitto come dimostrato da una serie di progetti e ini-ziative congiunte. Prima tra tutti la Suez Economic & Trade Cooperation Zone (Sectz), una zona di cooperazione economica creata nel 2009 con un accordo tra governo cinese ed egizia-no, all’interno della quale è stato realizzato un grande parco industriale. Il progetto è stato in cantiere sin dalla fine degli anni ‘90, rallentato dagli alti costi delle transazioni e da una lunga serie di ostacoli burocratici. Alla fine, dopo quasi un decennio, è stato inaugurato nel 2009 dal

premier cinese Wen Jiabao e dalla sua contro-parte egiziana Ahmed Nazef. Il parco industriale, il primo di questo genere in Africa, al momento dell’inaugurazione ospitava un centro di servizi integrati e 18 aziende cinesi coinvolte nel set-tore petrolifero, tessile, dell’acciaio e manifattu-riero per un capitale complessivo di 180 milioni di dollari.Nella primavera del 2010 il governo di Muba-rak negoziò un accordo con il colosso a pro-prietà statale Tianjin Economic-Technological Development Area (Teda) che acquistò il 49% del progetto della Zona economica di Suez con un investimento di 1,5 miliardi di dollari. Questo

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LA COLLOCAZIONE STRATEGICA DEL SECTZ NEI

PRESSI DI SUEZ FUNZIONA POI PER LE COMPAGNIE

CINESI DA PORTA DI ACCESSO ALL’AFRICA, AL

MEDIO ORIENTE E PERSINO ALL’EUROPA.

Baidu, il colosso internet cinese che è

appena approdato sugli smartphone egiziani.

Foto di: simone.brunozzi / Flickr CC

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è uno dei successi della partnership economica sino-egiziana: l’enorme parco industriale gode non solo delle solite facilitazioni doganali che l’Egitto garantisce alle grandi zone industriali del paese (es. etichettare come “egiziani” beni di produzione estera), ma può anche beneficiare di una vasta gamma di incentivi che il governo cinese accorda alle imprese che vogliono inve-stirvi.Il marchio Teda, con alle spalle l’enorme succes-so del parco industriale di Tianjin, funziona per l’Egitto da garante e da magnete per grandi in-vestimenti esteri e grazie alla sua enorme liquidità crea occupazione. La collocazione strategica del Sectz nei pressi di Suez funziona poi per le compagnie cinesi da porta di accesso all’Afri-ca, al Medio oriente e persino all’Europa. E’ lo stesso Li Daixin, vice-presidente del gruppo Te-da-Egypt Investment, a confermarlo: l’Egitto e la Zona economica di Suez sono fondamentali per la Cina che vuole “ridisegnare la sua Via della Seta” (reticolo commerciale che nell’antichità le-gava l’impero cinese all’Occidente). Anche il ma-nager esecutivo dell’Egypt-TEDA Suez Industrial Park, Han Ruihua, ha dichiarato che «il cambia-

Lavoratore cinese di Shuitou (Xinjiang), capitale mondiale

dell’esportazione di pietre per l’architettura e primo

fornitore dell’Egitto. Foto di:

xiaming / Flickr CC

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mento politico ai vertici del governo egiziano è una questione interna che difficilmente avrà un impatto sugli investimenti cinesi» . Oggi il governo Morsi continua quindi a puntare sul modello del parco di Suez per attrarre investimenti che diano ossigeno all’economia egiziana in affanno e per consolidare il ruolo di Suez come crocevia tra l’Asia, l’Europa e l’Africa.Il Cairo si sta poi muovendo su altri fronti per ap-profondire i legami economici e commerciali con la Cina in aree di forte interesse strategico: l’ac-qua e le telecomunicazioni. E’ notizia del 13 gen-naio 2013 che Mohamed Bahaa-Eddin, ministro delle risorse idriche e dell’irrigazione egiziano, e Chen Lei, il suo omologo cinese, abbiamo firmato un accordo di cooperazione nel settore dell’irri-gazione e dello sfruttamento delle risorse idriche. Dopo un primo incontro esplorativo lo scorso novembre a Pechino, quando i due avevano si-glato un memorandum d’intesa, le due parti sono giunte a un vero e proprio accordo. La Cina sta ospitando un buon numero di ingegneri e tecnici egiziani per un training specializzato nello svilup-po e nella gestione delle risorse idriche e allo stesso tempo sta mandano in Egitto i suoi esperti per fornire consulenza tecnica. Questa coope-razione comprende poi l’applicazione di sistemi telemetrici di controllo dell’irrigazione importati dalla Cina, l’utilizzo di sistemi cinesi per colle-gare le stazioni di pompaggio, il monitoraggio e l’automazione delle dighe. Stando alle parole del ministro Mohamed Bahaa-Eddin la collabo-razione potrebbe estendersi all’asse del canale

di Suez, al lago Nasser e al canale di al-Salam. Anche perché la Cina ha garantito che nel con-testo della sua parallela cooperazione con gli altri paesi del bacino del Nilo si impegnerà a non intraprendere alcun progetto che potrebbe danneggiare gli interessi egiziani. Una rassicura-zione significativa per l’Egitto, perché è ancora in corso la disputa per la spartizione delle ac-que del Nilo tra i dieci paesi rivieraschi: Egitto, Sudan, Etiopia, Eritrea, Uganda, Kenia, Tanzania, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda e Burundi.L’altra notizia riguarda il gigante internet Baidu (corrispondente cinese di Google) che ha de-ciso di partire proprio dall’Egitto per inaugurare la sua strategia di penetrazione dei mercati del Nord Africa. Baidu ha infatti firmato uno storico accordo con la compagnia telefonica Orange (di proprietà della France-Telecom) per il lancio del browser web Baidu sui telefoni Android degli operatori Orange in Egitto e nell’Africa setten-trionale. In Egitto la domanda di Android è rad-doppiata nel giro dell’ultimo semestre del 2012. Significa che ci sono enormi margini di profitto nel settore, tanto che presto il motore di ricerca sarà disponibile anche in arabo. Il mercato delle telecomunicazioni, così come quello delle risorse idriche, sono settori chiave su cui il governo Morsi ha bisogno di puntare per risollevare l’economia egiziana. E allo stesso tempo sono di enorme ri-levanza strategica ed economica per una Cina che oggi più che mai scommette sui mercati me-diorientali.

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17 Graffiti a Il Cairo. Foto di:

Aschevogel / Flickr CC

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L’UNIONE EUROPEA È “AMICA, VICINA, PARTNER” DELL’EGITTOdi Silvia Lofrese

Unione europea ed Egitto hanno forme di cooperazione dal 1976, ma il sostegno dell’Europa al Cairo è cresciuto negli anni e il trend non si ferma.

“A friend, a neighbour, a partner”: queste le parole usate da Her-man Van Rompuy per descrivere il modo in cui l’Unione euro-pea che lui presiede si presenta all’Egitto. Il Cairo e Bruxelles

sono legate da un rapporto speciale. L’Unione europea è per l’Egitto il maggior partner commerciale, mentre l’Egitto ricopre lo stesso ruolo per l’Ue ma limitatamente alla regione del Mediterraneo meridionale. La stabilizzazione delle relazioni tra Egitto e Ue iniziò più di 35 anni fa. Nel 1976 ci fu la firma del primo Accordo di cooperazione, se-guito nel 2004 dall’entrata in vigore dell’Accordo di associazione che creò tra Ue ed Egitto un’area di libero scambio per i prodotti

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industriali e stabilì delle concessioni significative sui prodotti agricoli. In seguito agli eventi della primavera araba del 2011, l’Europa ha deciso di rafforzare le relazioni con i paesi della sponda sud del Mediterraneo. Bruxelles ha avviato dei negoziati bilaterali con Egitto, Tunisia e Libia che dovrebbero condurre a una progressiva integra-zione delle economie di questi paesi nel merca-to unico europeo. L’intervento dell’Ue prende la forma dell’erogazione di risorse finanziarie e della creazione di stabili relazioni politiche per fornire assistenza al processo di transizione democra-tica di questi paesi. L’obiettivo dell’Europa è quello di stabilizzare i governi nati in seguito alla primavera araba per creare delle basi solide per una cooperazione duratura.Bruxelles attua già da tempo la politica del “more for more”, in base alla quale la concessione di aiuti economici è legata all’impegno per il pro-gresso della democrazia e dei diritti civili. Nell’am-bito di questa politica si colloca la dichiarazio-ne fatta di recente dal presidente del Consiglio europeo: a metà gennaio Van Rompuy, in visita ufficiale al Cairo, ha ribadito la volontà di Bru-xelles di destinare 5 miliardi di euro all’Egitto sot-to forma di prestito nel biennio 2012-2013. Già nel settembre scorso, in occasione della visita di Mohamed Morsi a Bruxelles – la prima volta di un presidente egiziano democraticamente eletto – Van Rompuy aveva annunciato che l’Europa era pronta a impegnare dei fondi a sostegno della transizione democratica egiziana. A settembre però la cifra da destinare al Cairo era stata sti-

mata intorno ai 700 milioni di euro, 500 dei quali sarebbero stati vincolati ad un accordo tra l’E-gitto e il Fondo monetario internazionale (Fmi). La somma totale di 5 miliardi di euro annunciata a metà gennaio invece sarebbe così composta: 1 miliardo dall’Ue, 2 miliardi dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) e 2 miliardi dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Ai fini delle concessione del prestito resta invariata la condizione dell’esito positivo dei negoziati tra il Cairo e il Fondo monetario internazionale (Fmi) per la concessione di un prestito di 3,7 miliardi di euro proprio da parte del Fmi. L’andamento di questi negoziati dipende dalla volontà del Cairo di adottare alcune misure di austerità richieste dal Fmi, come la riforma del sistema fi-scale e la riduzione dei sussidi per il carburante. Altra condizione per l’erogazione dei 5 miliardi di euro da parte dell’Ue è l’adozione di riforme che dimostrino la concreta intenzione dell’Egitto di operare una svolta democratica. Van Rompuy ha specificato che le riforme devono riguardare pilastri importanti come le libertà di espressione e di religione e i diritti delle donne. Affermare lo sta-to di diritto non sarebbe solo un beneficio imme-diato per i cittadini egiziani, ma contribuirebbe anche a riavvicinare investitori stranieri e turisti, la cui presenza in Egitto è diminuita in seguito alla primavera araba.Il prestito di 5 miliardi si aggiungerebbe ai 449 milioni di euro già destinati dall’Ue all’Egitto per il periodo 2011-2013 tramite lo Strumento eu-ropeo di vicinato e partenariato (Enpi). L’Enpi

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Riforme nelle aree democrazia,diritti umani e giustizia

Competività e produttivitàdell’economia

Sviluppo sostenibile e gestionedelle risorse

Totale

2007 - 2010 2011 - 2013

40 50

220 199

298 200

558 449

Finanziamenti dell’ENPI in EgittoDal 2007 al 2010, in milioni di Euro.

Fonte: ENPI

è il braccio finanziario della Politica di vicinato dell’Unione europea (Enp), che realizza dei par-tenariati tra Bruxelles e i paesi terzi geografica-mente vicini all’Ue per rafforzare le relazioni politi-che, economiche e culturali e per contribuire alla realizzazione di riforme sulla base di valori con-divisi. Nel 2007 è stato adottato il Piano d’a-zione congiunto Ue-Egitto valido per i successivi sette anni. Per il periodo 2007-2013 gli obiettivi della cooperazione tra Egitto e Ue nell’ambito della Enp sono la modernizzazione della socie-tà egiziana, una maggiore integrazione econo-mica tra governo egiziano e istituzioni europee

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e un approfondimento del dialogo politico. Nel periodo 2011-2013, in particolare, Bruxelles ha deciso di erogare al Cairo delle risorse superiori del 5,4% rispetto a quelle erogate nel periodo 2007-2010 per il perseguimento di tre priorità: sostegno alle riforme in materia di democrazia, diritti umani, giustizia e governance; sviluppo del-la competitività e della produttività dell’econo-mia egiziana, miglioramento della gestione delle risorse naturali e sviluppo sostenibile.Oltre alle risorse finanziarie erogate dall’Unione

Finanziamenti dell’ENPI in Egitto,

dal 2007 al 2010.Fonte:ENPI

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Acqua ed ambiente: 306

Agricoltura: 51

Capitale di rischio: 102

PMI: 204

Trasporti: 405

Industria: 1.071Energia: 2.958

Investimenti del FEMIP in EgittoDal 1979 al 2011, in milioni di Euro.

Fonte: FEMIP

europea, il Cairo beneficia di altri fondi messi a disposizione dalla Banca europea per gli investi-menti (Bei). Dal 1979 al 2011 la Bei ha effettua-to solo in Egitto circa 70 prestiti e 50 operazioni in capitale di rischio per un investimento totale di circa 5,1 miliardi di euro. Nell’area mediter-ranea, la Bei agisce tramite lo Strumento per gli investimenti e il partenariato euro-mediterraneo (Femip), che opera seguendo due priorità: il so-stegno al settore privato e la creazione di un ambiente favorevole agli investimenti attraverso la realizzazione di infrastrutture e di un sistema bancario efficiente. Anche il Femip contribuisce al

rafforzamento del dialogo tra le due sponde del Mediterraneo, mettendo a confronto non solo le istituzioni, ma anche i rappresentanti del settore privato e della società civile. Fine ultimo del Fe-mip è dunque dare sostegno ai paesi mediter-ranei che devono affrontare i problemi relativi a occupazione, crescita sostenibile e sviluppo re-gionale. Nel novembre 2012 il Femip ha erogato una tranche di 200 milioni di euro (parte di un prestito totale pari a 600 milioni di euro appro-vato dalla Bei) per l’estensione della linea 3 del-la metropolitana del Cairo, che dovrebbe ridurre la congestione del traffico con effetti positivi sulla

VAN ROMPUY HA SPECIFICATO CHE LE RIFORME DEVONO RIGUARDARE PILASTRI IMPORTANTI COME LE LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E DI RELIGIONE E I DIRITTI DELLE DONNE.

21Investimenti del FEMIP

in Egitto,dal 1979 al 2011.

Fonte:FEMIP

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riduzione dell’inquinamento e con un contributo allo sviluppo sostenibile della citta.Anche la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) ha deciso di impegnarsi fi-nanziariamente in Egitto, ma lo ha fatto solo di recente. Il 30 ottobre scorso Suma Chakrabarti, presidente della Bers, si è recato al Cairo per proseguire i negoziati che dovrebbero conferi-re all’Egitto lo status di paese beneficiario degli aiuti della banca. In occasione dell’incontro con Morsi, Chakrabarti ha dichiarato che la Bers è pronta a investire nell’intera regione sud ed est del Mediterraneo fino a 2,5 miliardi di euro entro

il 2015. La quota maggiore di questa cifra an-drebbe all’Egitto per finanziare investimenti a fa-vore delle piccole e medie imprese, dell’occupa-zione e, secondariamente, del settore finanziario e dello sviluppo di servizi e infrastrutture munici-pali. Gli impegni presi dall’Europa nei confronti di paesi terzi non impediscono agli Stati membri di avere delle forme di cooperazione bilaterale o di prestare assistenza a prescindere da Bruxelles. L’Italia, ad esempio, ha stanziato 12,9 milioni di euro per concedere credito a piccoli imprendi-tori egiziani a condizioni più favorevoli rispetto a quelle di mercato.

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L’Unione europea investe nei paesi vicini per

rafforzarne democrazia ed economia.

Foto di: Images_of_Money /

Flickr CC

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LE PETROMONARCHIE E L’AMBIGUA LONGA MANUS SULL’EGITTO

di Lorenzo Forlani

Stabilizzazione economica o stabilizzazione socio-politica.

Con i capitali del Golfo di mezzo, il rischio per il Cairo è quello di dover scegliere tra le due.

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Il presidente egiziano Muhammad Mursi nella sua

prima visita in Europa, a Bru-xelles, il 13 settembre 2011.

Foto di: European External Action

Service / Flickr CC

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A fine gennaio, poco prima di recarsi a Da-vos per il meeting annuale del Forum eco-nomico mondiale, il primo ministro egiziano

Hisham Qandil confermò di aver da poco ap-provato l’emissione di certificati di investimento conformi alla legge islamica (in arabo sukuk). Il governo egiziano vorrebbe raccogliere circa 10 miliardi di dollari attraverso l’emissione di questi bond islamici: l’idea sarebbe quella di portare l’importo relativo a tali prodotti dal 5 al 55% delle emissioni totali egiziane. Si tratterebbe di un cambiamento considerevole della strategia finanziaria del Cairo, probabilmente influenza-to anche dall’impostazione di Arabia Saudita e Qatar rispetto ai temi finanziari: i due paesi arabi, infatti, hanno svolto storicamente il ruolo di promotori dei modelli di finanza islamica nella regione mediorientale, e sembra abbiano eser-citato una certa influenza anche sull’Egitto post-Mubarak. Nel settembre scorso, Hamad bin Jassim bin Jaber al Thani, primo ministro qatariota, aveva annun-ciato l’intenzione di investire complessivamente 18 miliardi di dollari in cinque anni in Egitto, in par-te da destinare all’industria del turismo e in parte alla costruzione di infrastrutture nel settore ener-getico. Era passato appena un mese dalla con-cessione del primo prestito di 2 miliardi di dollari da parte del Qatar e di lì ne sarebbero passati poco più di cinque prima che l’emiro Hamad bin Khalifa al Thani promettesse un ulteriore prestito di circa 2,5 miliardi. Il punto sui prestiti delle due petromonarchie lo ha fatto il 21 gennaio il mini-

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stro egiziano della pianificazione e della coo-perazione internazionale, Ashraf al-Arabi: Arabia Saudita e Qatar fino a quel momento avrebbero donato all’Egitto rispettivamente 5 e 4 miliardi di dollari. Inoltre, la riapertura a settembre all’emis-sione di titoli di Stato con scadenza a cinque e a sette anni era stata accolta in modo tiepido in Occidente, rendendo più urgente per il Cai-ro la necessità di capitali dal Golfo. L’economia egiziana, nel frattempo, era in grave difficoltà: riserve estere a rischio esaurimento, disoccupa-zione crescente, valuta in forte ribasso, crollo del turismo e degli investimenti esteri, povertà.

L’intervento dei sauditi all’interno dell’economia e della finanza egiziana sembra essere giustifi-cato da motivazioni non solo economiche. L’A-rabia Saudita potrebbe cercare di diffondere il wahabismo saudita attraverso il canale salafi-ta, utilizzando proprio lo strumento di intervento economico come canale di trasmissione. Questo processo potrebbe avere delle profonde conse-guenze nel lungo periodo non solo sulla politica, ma anche sulla cultura, sulla società e sul costu-me egiziano. Ad esempio, ipotesi di questo tipo sono emerse in riferimento al recente programma di prestiti indirizzato agli agricoltori a basso red-

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L’ARABIA SAUDITA POTREBBE CERCARE DI DIFFONDERE IL WAHABISMO SAUDITA ATTRAVERSO IL CANALE SALAFITA.

dito e promosso dalla Banca egiziana per lo sviluppo e il credito agricolo. Il programma, se-condo quanto ha dichiarato il presidente dell’i-stituto di credito Mohsen Batran, ha l’obiettivo di promuovere la poligamia, nel tentativo di fornire agli agricoltori i fondi necessari a sposare una seconda moglie. Nel paese, spiega il quotidiano Al-Ahram, ci sono 9 milioni di donne non sposate. La poligamia in Egitto è sempre stata poco dif-fusa, soprattutto rispetto agli standard osservati nei paesi della penisola arabica. Motivo per cui la mossa della Banca, secondo alcuni attivisti per i diritti umani, è “l’orribile dimostrazione” che

le monarchie del Golfo tentano di promuovere la loro idea di società anche in Egitto. «Non siamo in Arabia Saudita, non siamo un paese che so-stiene la poligamia», ha dichiarato a Bikyanews.com la studentessa universitaria Heba Aly.L’influenza dell’Arabia Saudita nell’economia egiziana è stata evidente anche in riferimento al progetto di costruzione di un ponte lungo una cinquantina di chilometri che colleghi Sharm-el-Sheikh in Egitto all’area costiera di Ras Hamid in Arabia Saudita. L’idea, che circola dal 1980 ma che venne bocciata da Mubarak nel 2008, è stata riproposta il 21 gennaio scorso durante la

Lo sheikh Hamad bin Jassim al Jaber al Thani, primo ministro del Qatar

durante il World economic Forum, il 30 gennaio 2009 a

Davos, Svizzera. Foto di :

World economic forum / Flickr CC

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visita di Morsi a Riyad. Secondo alcuni esperti, il progetto del ponte richiederebbe tre anni di lavori e permetterebbe ai fruitori di passare dal territorio saudita a quello egiziano in soli venti minuti. Per la sua costruzione si è fatto avanti il Saudi Bin Laden Group, di proprietà dei parenti del defunto terrorista. La realizzazione dell’opera potrebbe rafforzare i legami tra i sauditi e i salafiti egiziani. Inoltre, la realizzazione del progetto po-trebbe avere effetti negativi sul turismo di prove-nienza occidentale, anche a causa dell’impatto ambientale dell’opera in un’area ricca di biodi-versità come il mar Rosso, che potrebbe ridurre l’appetibilità del luogo agli occhi degli appas-sionati snorkeling – attività per la quale Sharm el Sheikh è celebre.I capitali del Golfo possono svolgere una funzione fondamentale nella ripresa econo-mica egiziana, ma allo stesso tempo potreb-bero determinare un crescente condizionamento del sistema socio-politico del paese nordafri-cano. In particolare, la stabilizzazione dell’Egit-to sembra dover passare soprattutto dal contenimento dei fondamentalisti islamici, che hanno la loro principale espressione nel partito Al-Nour e in altri raggruppamenti di matrice salafita - la maggior parte dei quali ricevono sostegno proprio dall’Arabia saudi-ta. Se l’Egitto dovesse superare la crisi, potreb-be averlo fatto al prezzo di un parziale cambiamento della propria natura socio-culturale, minacciata dalla “salafizzazione”.

IL PROGETTO DEL PONTE

RICHIEDEREBBE TRE ANNI

DI LAVORI E PERMETTEREBBE

AI FRUITORI DI PASSARE DAL

TERRITORIO SAUDITA A QUELLO

EGIZIANO IN SOLI VENTI MINUTI.

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Re Abdullah Bin Abdulaziz dell’Arabia

Saudita, durante il World economic Forum a Madrid, Spagna, il 16 luglio 2008.

Foto di: Ammar Abd Rabbo /

Flickr CC

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IL FUTURO ECONOMICO DELL’EGITTO È LEGATO AL PRESTITO DEL FMI di Mara Carro

L’Egitto è in piena crisi economica: la svalutazione della sterlina egiziana e il rapido calo delle riserve di valuta estera minacciano una situazione già molto fragile.

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Il governo del presidente egiziano Mohammed Morsi ha individuato nella negoziazione di un prestito di 4,8 miliardi di dollari con il Fondo

monetario internazionale (Fmi) l’unico modo per scongiurare i rischi di un default economico del paese, rilanciare l’economia nazionale e sbloc-care altre fonti di finanziamento. La sottoscrizione

di un accordo con il Fmi potrebbe convincere anche altri paesi che l’Egitto è un luogo sicuro per investire. Nell’aprile 2011, a poco più di due mesi dalla deposizione di Hosni Mubarak, una squadra del Fmi visitò l’Egitto su invito delle auto-rità del Cairo. La visita segnò l’inizio di una lunga trattativa per la negoziazione di un prestito tra i

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Christine Lagarde, Diret-tore operativo del Fondo monetario internazionale.

Foto di: International Monetary Fund /

Flickr CC

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313 e i 4 miliardi di dollari, a fronte di un bisogno di finanziamento stimato in almeno 14 miliardi. Nel giugno 2011 il Consiglio supremo delle for-ze armate (Scaf), su pressione della Fratellanza musulmana e dei rivoluzionari di piazza Tahrir, de-cise di rifiutare un prestito di 3 miliardi del Fmi per 12 mesi. I rivoluzionari e lo Scaf, dopo la presen-tazione di una nuova bozza di finanziaria per il 2011-2012 che rivedeva al ribasso le stime del disavanzo di bilancio, non volevano accettare

Intervento di Chistine Lagarde

all’International Monetary and Financial Committee, 13

ottobre 2012, Imperial Hotel Toyko.

Foto di:International Monetary

Fund / Flickr CC

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il pacchetto di austerità necessario per la fina-lizzazione dell’accordo. La Fratellanza, invece, rifiutava il prestito perché giudicato contrario alla sharia, la legge islamica, che proibisce di maturare interessi sui soldi prestati (li equipara all’usura). Tutte le forze in campo confidavano nei petroldollari delle monarchie del Golfo. Ara-bia Saudita e Qatar sono però solite finanziare i movimenti salafiti e non direttamente i governi e così nel gennaio 2012 l’esecutivo guidato da Kamal El Ganzouri decise di riprendere le trat-tative con il Fmi per 3,2 miliardi di dollari di aiuti. Anche questa volta l’accordo non si concluse. A opporsi, come nel 2011, c’erano i Fratelli musul-mani, che con le elezioni legislative di inizio 2012 diventarono la prima forza politica del paese. Il Partito libertà e giustizia, braccio politico della Fratellanza, premeva affinché questo tipo di assi-stenza finanziaria rispondesse agli interessi della popolazione egiziana e il governo fornisse i tutti i dettagli sulle condizioni del prestito e le modalità di restituzione. L’elezione di Morsi del 25 giugno 2012 coincise con un cambiamento nell’atteg-giamento della Fratellanza nei confronti dei pre-stiti concessi dalle istituzioni finanziarie interna-zionali. Il governo egiziano iniziò a ritenere che la stabilità delle istituzioni e la governabilità del paese dovevano passare inevitabilmente per la ripresa economica e la sottoscrizione di un ac-cordo con il Fmi, che sarebbero stati un’iniezione di credito per l’economia egiziana. Il 22 agosto 2012, durante la visita al Cairo del direttore operativo del Fmi, Christine Lagarde,

il governo egiziano formalizzò la richiesta di un prestito di 4,8 miliardi di dollari. Il 20 novembre, Andreas Bauer, capo del dipartimento del Fmi per il Medio oriente e l’Asia centrale, comunicò il raggiungimento di un accordo preliminare di stand-by con le autorità del Cairo pari a 4,8 mi-liardi, ad un tasso agevolato dell’1,06% e della durata di 22 mesi. L’Accordo di stand-by è uno degli strumenti standard del Fondo mediante il quale i paesi membri che sperimentano tempo-ranei squilibri della bilancia dei pagamenti sono autorizzati a prelevare un ammontare pari al 100% della propria quota su base annuale e al 300% della propria quota su base cumulativa dal Conto Generale delle Risorse. I tassi appli-cati sono spesso inferiori a quelli che i paesi si troverebbero a pagare per finanziarsi sui mercati privati. Il 18 dicembre il Fmi era pronto a ufficializzare l’invio della prima delle tre tranches del prestito. In cambio il governo egiziano si impegnava ad adottare una serie di misure per promuovere la ripresa economica, affrontare i disavanzi di bilan-cio e della bilancia dei pagamenti del paese e gettare le basi per la creazione di posti di lavoro e una crescita rapida ma socialmente equilibra-ta nel medio periodo. I cardini del programma economico erano la riforma del sistema fiscale – riduzione degli sprechi e dei sussidi alimentari e per mantenere bassi i prezzi dell’energia, au-mento progressivo delle imposte sui redditi –, la trasparenza nella gestione delle finanze pubbli-che, una nuova politica monetaria e di cambio e

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la privatizzazione delle imprese statali. Le riforme avrebbero consentito al paese di ridurre il deficit di bilancio dall’11% del Pil del 2011-12 all’8,5% del Pil nel 2013-14 e utilizzare le risorse generate per aumentare la spesa pubblica, gli investimenti nelle infrastrutture e la crescita del settore privato.Il 13 dicembre 2012 Gerry Rice, direttore delle relazioni esterne del Fmi, rese noto che il gover-no egiziano aveva chiesto di ritardare il prestito “in modo da avere più tempo per spiegare le condizioni alla popolazione”. L’11 dicembre il presidente Morsi aveva deciso di non applicare gli aumenti fiscali concordati con il Fmi. Il pac-chetto fiscale, che includeva un aumento delle tasse sulle bevande alcoliche, sulle sigarette e su una vasta gamma di beni e servizi, era stato criticato dalle opposizioni. La decisione di Morsi rispondeva in un calcolo esclusivamente politico. In cima all’agenda politica del presidente c’e-ra l’approvazione della nuova Costituzione di stampo islamista e non le riforme economiche o il prestito del Fmi. Per evitare di approfondire la frattura politica derivante dallo scontro tra presi-denza e magistratura e garantire lo svolgimento del referendum costituzionale, Morsi aveva deci-so di non dare seguito a un piano di austerità fin troppo impopolare per un governo già minac-ciato dalle proteste di piazza.Il contraccolpo economico dell’instabilità politi-ca, che aveva determinato la decisione del go-verno di congelare il prestito, fu immediato. Il 25 novembre la Borsa egiziana segnò il terzo record negativo assoluto della sua storia; nel mese di

dicembre, la sterlina egiziana raggiunse la svalu-tazione record di 6,51% nei confronti del dollaro; il 7 gennaio la Banca centrale egiziana ammise che il paese aveva riserve in valuta straniera suf-ficienti a coprire solo il corrispettivo di tre mesi del volume delle importazioni totali egiziane. Il 24 dicembre dell’agenzia Standard & Poor ’s tagliò il rating sovrano a lungo termine del paese da “B” a “B-” con outlook negativo. L’agenzia motivò la sua decisione citando “l’approfondirsi dell’in-stabilità politica che mina gli sforzi per sostenere l’economia e le finanze pubbliche” e spiegando che l’outlook negativo rifletteva la possibilità di

L’11 DICEMBRE IL PRESIDENTE

MORSI AVEVA DECISO

DI NON APPLICARE

GLI AUMENTI FISCALI

CONCORDATI CON IL FMI.

Page 35: Chi finanzia il nuovo Egitto

un ulteriore declassamento, nel caso in cui la situazione interna egiziana fosse peggiorata e comportava un forte deterioramento degli indi-catori economici.La drammaticità della situazione ha indotto le autorità egiziane a riprendere le trattative e gli emissari del Fmi sono già stati avvistati più volte al Cairo da inizio gennaio. Ci sono state anche le prime esclusioni dall’esecutivo, prima quella del ministro delle Finanze, Mumtaz el-Said, e poi quel-la del governatore della Banca Centrale egizia-na, Faruq el-Okda. Il 12 marzo il nuovo ministro delle Finanze, Al-Mor-

si Hegazy, ha comunicato la decisione dell’Egitto di rifiutare lo “Strumento di finanziamento rapido” offerto dal Fmi. Il fondo di emergenza avrebbe consentito all’Egitto di accedere a 750 milioni di dollari di finanziamento pari al 50% della propria quota su base annuale e al 100% della propria quota su base cumulativa. “Abbiamo fatto quel-lo che era necessario in termini di programma di riforma economica e sociale. È un nostro diritto come nazione, e come membro del Fmi, ricevere il prestito di 4,8 miliardi”, ha commentato il ministro. E le trattative procedono.

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Conferenza stampa di Cristine Lagarde e

del premier egiziano Hisham Qandil al Cairo, 22 agosto 2012.

Foto di: International Monetary

Fund / Flickr CC

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meridianionline.org

CREDITS:

Coordinamento | Martina SogniEditing | Elena Zacchetti

Illustrazione e copertina | Margherita GaffarelliDesign | Valeria Maggi

Grafici e tabelle | Alberto Imbrosciano

Autori: Chiara Radini

Mara CarroLorenzo Forlani

Niccolò De ScalziSilvia Lofrese