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A Milano la povertà è ancora oggi molto diffusa. Pane Quotidiano, nelle sue sedi di Viale Toscana e Viale Monza, distribuisce ogni anno pane e generi alimentari a circa 820.000 persone che non hanno di che mangiare. Devolvi il 5x1000 a Pane Quotidiano, con la tua firma e il nostro codice fiscale: 80144330158. Pane Quotidiano A fianco di chi ha bisogno Associazione senza scopo di lucro PERIODICO QUADRIMESTRALE - PUBBLICAZIONE OMAGGIO - ANNO XXIV N. 82 MAGGIO 2015 - SPEDIZIONE IN A.P. 70% - FILIALE DI MILANO VUOI PARLARE CON NOI? CHIAMA IL NUMERO 02 58310493 - [email protected] PANE QUOTIDIANO «Fratello... nessuno qui ti domanderà chi sei, né perché hai bisogno, né quali sono le tue opinioni»

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A Milano la povertà è ancora oggi molto diffusa. PaneQuotidiano, nelle sue sedi di Viale Toscana e Viale Monza,distribuisce ogni anno pane e generi alimentari a circa 820.000persone che non hanno di che mangiare. Devolvi il 5x1000a Pane Quotidiano, con la tua firma e il nostro codice fiscale:

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Ogni chicco è prezioso per un campo di grano.

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PERIODICO QUADRIMESTRALE DELLA SOCIETÀ PANE QUOTIDIANO (1898)

ANNO XXIV N. 82 Maggio 2015

Reg. del Trib. di Milano n. 592 del 01/10/90Spedizione in abbonamento postale 70% - Filiale di MilanoPubblicazione Omaggio

Direzione, Redazione, Pubblicità e Relazioni StampaViale Toscana, 28 • 20136 MilanoTelefono 02-58310493 • Fax [email protected]

Direttore ResponsabilePier Maria Ferrario

Segretario di RedazioneUmberto Accomanno

RedazioneGigliola Soldi Rondinini

Hanno collaborato:Umberto Accomanno, Renzo Bracco, Gian Luigi Buffo,Carla Cesi, Vittoria Colpi, Tommaso De Chirico, Fair Play, Pier Maria Ferrario, Isabella Groppali,Francesco Licchiello, Ercole Pollini, Luigi Rossi, Anna Savoini, Rodolfo Signifredi, Gigliola Soldi Rondinini

Grafica e stampa:Giuliana Lazzari ComunicazioneVia G. Di Vittorio, 9 - Ovada (AL)Tel. 0143 86319 - www.giulianalazzari.com

Questo numero della rivista “Che vi do!” (maggio 2015)è stato stampato in 12.500 copie.

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Gli autori si assumono la piena responsabilità degli articoli firmati. La rivista, salvo diversi accordifirmati tra le parti, diventa proprietaria delle foto, dei disegni e degli scritti pubblicati che non verrannorestituiti; questi non possono essere pubblicati senza autorizzazione. La riproduzione, anche parziale,se autorizzata deve comunque citare la fonte. Eventuali collaborazioni danno diritto, salvo accordiparticolari, solo a tre copie giustificative dei lavori pubblicati.

Intervista a Giorgio Fontana 2a cura di Pier Maria Ferrario

Medardo Rosso: la luce e la materia 4Carla Cesi

Il Conte di Cagliostro 5Tommaso De Chirico

La profumeria italiana nella prima metà del Novecento 10Isabella Groppali

Quante sono le statue del Duomo? 13Anna Savoini

La storia del vino – il vino nella storia 14Renzo Bracco

L’androginia 18Francesco Licchiello

Con le mani nel “Sacro” 20Rodolfo Signifredi

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è...” 23Umberto Accomanno

Stupidità e intelligenza 26Francesco Licchiello

Problemi di supponenza? 27Gian Luigi Buffo

Arte ed anarchia: una rivisitazione 28Vittoria Colpi

Storia delle Esposizioni Universali 31Il libro di Renzo Bracco

City of Cairo: 100 tonnellate di monete d’argento 32Fair Play

indice

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Il Campiello ha portato dei cambiamenti nella tuavita e nella tua scrittura?

Direi di no. Tuttavia, l’apprezzamento del mio libro“Morte di un uomo felice” (Campiello 2014) ha senz’al-tro movimentato parecchio la quotidianità: negli ultimimesi ho girato per l’Italia come una trottola e non èstato facile contemperare diversi interessi: lavoro,impegni extraordinari, collaborazioni giornalistiche equel minimo di vita sociale che devo tenere salda pernon impazzire. Ma, in sostanza, la mia routine non ècambiata granché. E di sicuro non è cambiato di unavirgola il modo in cui penso alla scrittura.

In che senso?Nel senso che si tratta di qualcosa di molto intimo, di

molto faticoso, basato sul semplice amore per una sto-ria e dei personaggi. E che si rivolge solo e soltanto ailettori. L’idea che qualcosa di esterno interferisca conil modo in cui lavoro alle parole è quanto di più lonta-no dal mio modo di essere. Che si tratti di cose bellis-sime come il Campiello, o meno belle.

Quindi non fai solo lo scrittore?C’è pochissima gente in Italia oggi che fa “solo” lo

scrittore.

Il personaggio di Giacomo Colnaghi, protagonista di“Morte di un uomo felice”, emerge dalle ceneri di“Per legge superiore”, il romanzo precedente (paro-le tue).

Com’è accaduto? E non avevi paura quando ti seideciso a raccontare una storia ambientata nella faseterminale dei “c.d. anni di piombo”?

E’ accaduto esattamente così: chiuso quel romanzo,Giacomo Colnaghi, che già vi compariva, non riusciva auscirmi dalla testa. Era troppo promettente per esserelasciato andare; e così ho provato a raccontarlo. Perquanto riguarda la seconda domanda: avevo, senz’al-tro, una grandissima paura nell’entrare in quel territo-rio storico e politico.

Solo un pazzo non l’avrebbe avuta. E quindi ho stu-diato moltissimo, per cercare di ricostruire gli “anni dipiombo” nella loro complessità e senza pretese di com-pletezza interpretativa. Del resto, la mia è solo unadelle tante storie possibili di quel periodo. Spesso i tuoilavori hanno come oggetto temi di rilevanza sociale:penso al tuo reportage sugli immigrati a Milano – “Babe-le ‘56” – o i vari articoli che hai pubblicato sul “Manife-sto”, “Lo straniero” ed altre pubblicazioni.

Come mai questi interessi?Cerco di analizzare e raccontare i modi che svelano

la profonda ineguaglianza della nostra società, il diffu-so razzismo, la scarsa propensione ai bisogni comunita-ri. Il che non significa condannarla per intero dall’alto,l’esatto contrario: significa andare a caccia di quellefratture dal basso, per provare a ricomporle.

Tengo però a precisare che quando si tratta di nar-rativa pura (i miei romanzi) non voglio contaminazionidi alcun tipo, che siano ideologiche o politiche o quan-t’altro: l’idea di scrivere un romanzo a tesi (così comedi scrivere un romanzo per qualsiasi altro scopo che nonsia la storia stessa) mi fa rabbrividire.

Una storia inventata deve essere libera da qualsiasisecondo fine, libera da ogni condizionamento o pregiu-dizio di sorta.

Nei tuoi scritti torna spesso Milano, come protago-nista e non come semplice sfondo.

Sì, è un po’ una costante. Mi piace raccontare Mila-no, mi piace descriverla al di là dei luoghi comuni chel’hanno stritolata negli ultimi trent’anni – la Milano “dabere”, la capitale morale, Tangentopoli et cetera, etcetera -.

a cura di Pier Maria Ferrario

Intervista a Giorgio FontanaVincitore del Premio Campiello 2014 con il romanzo “Morte di un uomo felice”

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Ritengo che sia una città narrativamente molto inte-ressante, a patto di avere la pazienza necessaria perscoprirne le contraddizioni e la bellezza, così intima espesso burbera, o elusiva.

Milano non illumina con splendore; le manca proprio,a differenza di Roma o Firenze o Parigi. Ma non ho maiamato raccontare lo splendore. Mi interessano molto dipiù i dettagli e la l’anima malinconica che la mia cittàpossiede.

Ho letto che il tuo scrittore preferito è Kafka. E’ unpo’ inusuale, non trovi?

Dici? Non saprei. Ma è così da quando lessi “Il Proces-so” a diciotto anni, senza capirci granché ma restando-ne fulminato. Kafka incarna tutto ciò che per medovrebbe essere uno scrittore. L’onestà assoluta, ilsenso profondo di necessità, il rispetto per il silenzio,persino un grande timore nei confronti delle parole.Naturalmente ho molti altri amori letterari: Dagerman,

Joseph Roth, Malamud, Proust, DeLillo, Powers, Bian-ciardi, Buzzati, Tondelli e molti altri ancora.

E i fumetti?Sono un vorace lettore di fumetti. Ho imparato a leg-

gere su “Topolino”, e lo leggo ancora insieme a moltialtri “albi da edicola”, o anche storie più lunghe. Quel-le che ora va di moda chiamare graphic novel, ma cheio preferisco sempre chiamare fumetti. Non c’è nulla didispregiativo: è una grande forma d’arte.

A cosa stai lavorando ora?E’ un po’ presto per scoprire le carte. Ho in mente un

paio di storie che mi piacerebbe sviluppare, e due ideeper due saggi brevi molto diversi fra loro.

Ma ripeto, è ancora troppo presto e sono stato dav-vero molto impegnato di recente, tra presentazioni eincontri. In questo momento desidero solo tranquillità esilenzio.

Giorgio Fontana, nato a Saronno nel 1981, è uno scrittore italiano. Laureato in Filosofia presso l’Università Statale di Milanopubblica il romanzo d’esordio “Buoni propositi per l’anno nuovo” nel 2007 (Mondadori), segue “Novalis” (Marsilio 2008).

Autore, tra l’altro, di “Babele 56. Otto fermate nella città che cambia” (Terre di Mezzo 2008) e “Per legge superiore”(Selle-rio 2011) è il vincitore del premio Campiello 2014 con il libro “Morte di un uomo felice” (Sellerio 2014).

Collaboratore di “TuttoLibri” e de “La Lettura”, supplemento culturale e domenicale del “Corriere della Sera”, ha scritto per“Il Manifesto” e numerose altre pubblicazioni.

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Carla Cesi

Medardo Rosso: la luce e la materia

Con una interessante mostra al GAM, Milano torna arivalutare uno dei suoi protagonisti d’arte più preziosi:Medardo Rosso, un genio che aveva saputo confrontarsicon le avanguardie storiche e con le più avanzate espe-rienze europee, mantenendo però la propria autonomiadi visione, del tutto irriducibile alle categoria di scuola.Nato a Torino nel 1858, soldato a Pavia, milanese di for-mazione e parigino di adozione, Medardo Rosso ha segna-to il passaggio dall’ottocento al novecento.

Durante il suo soggiorno pavese fu affascinato dai rilie-vi delle facciate delle chiese romaniche, dove le testedelle figure di santi ed animali si sfaldavano fin quasi adissolversi per l’usura del tempo: proprio questi effetti didissolvenza e di non finito caratterizzeranno infatti quasitutte le sue opere.

A Milano nel 1882 si iscrisse all’Accademia di Brera,dove però venne giudicato non idoneo. Infatti, a Milano lascultura ufficiale era rappresentata da Pietro Magni(autore della statua di Leonardo da Vinci in Piazza Scala),impeccabile dal punto di vista tecnico, e di una perfezio-ne formale quasi congelata. Iniziavano però i movimentidei cosìddetti “scapigliati”, equivalenti ai bohemiensparigini, ossia gruppi di artisti ribelli, scontenti del neo-nato regno sabaudo, che si opponevano al conformismoartistico allora vigente.

Così Tranquillo Cremona e Daniele Ronzoni in pittura,Trubezkoi e Grandi in scultura, tentano nuove vie, men-tre Medardo Rosso pensava ad una scultura che avesse larapidità di tocco di un bozzetto, ove la luce rappresentas-se una componente essenziale per la definizione dellaforma stessa. I suoi primi capolavori sono colti dal mondodegli emarginati, dal proletariato urbano, rendendo nellascultura l’impressione fuggevole dell’istante: così “il biri-chino” col suo sorriso da furbetto, così “la portinaia” chesembra addormentata mentre rivela nel volto l’impres-sione di conoscere i segreti di tutti, così il sagrestano conla smorfia dell’ubriaco e “la ruffiana”, sul cui volto sonosegnati i solchi del tempo che non perdona. Ovunque idettagli sono eliminati, i tratti dei volti sono smussati, ela scultura diviene superficiale pittorica vibrante. Spessooltre al bronzo crea versioni in gesso o cera, immortalatepoi da lui stesso in fotografie.

A Parigi il Rosso ebbe in un primo tempo vita difficile egrandi contrasti con Rodin, considerato il più grande scul-tore del momento, ma trovò poi un ammiratore in HenriRouart che non solo gli comprò alcune opere, ma che lointrodusse anche nel gruppo di artisti che frequentavanoil suo salotto tra cui Renoir e Mallarmé.

Di Rouart Medardo Rosso fece una serie di busti, inbronzo, in cera e in gesso, dove il personaggio è fuso inun’unica atmosfera, senza distinzione di braccia, di corpoo di spazio. L’opera più immateriale di Medardo Rosso chechiude l’esposizione GAM è “madame x” del 1896; priva-ta di qualsiasi riferimento contingente, ridotta alla solamaschera di un volto in cui appena si rilevano il naso,l’incavo degli occhi e l’ombra di una bocca, è un’opera diperfetta astrazione, il cui dato reale è ormai completa-mente accantonato. Non penso di sbagliare se affermoche Medardo Rosso anticipa l’arte del ‘900 influenzandospecialmente Modigliani e Brancusi.Foto fonte: www.scultura-italiana.com

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Tommaso De Chirico

Il Conte di CagliostroIl fascino della novità nella tradizione storica

Acquisizioni inedite sulla sua figura e sul ruolo da luiavuto nella Massoneria e nella società europea del XVIIIsecolo.

Presentazione e sinossi dei libri di Raffaele e di Tom-maso De Chirico.

La pubblicazione del libro di mio padre, il professorRaffaele De Chirico, dal titolo: Cagliostro, un Nobile Viag-giatore del XVIII secolo1, è il risultato di una lunga e fati-cosa ricerca, da lui iniziata negli anni ’50 del XX secolo,durata quasi quarant’anni, e da me proseguita nel corsodell’ultimo decennio.

Per completare questo progetto, dopo aver deciso diapprofondire la conoscenza sul tema sia rileggendo i vec-chi manoscritti, tra cui alcuni mai presi finora nella dovu-ta considerazione, sia documentandomi sulle nuove operedepositate in letteratura, ho voluto analizzare scrupolo-samente tutti i testi esaminati per verificare l’attendibi-lità delle fonti.

Alla fine, il libro consegna un’immagine nuova, com-plessa e del tutto inedita del conte di Cagliostro.

Con la stesura originale di mio padre, ormai datata neltempo, e con gli aggiornamenti e le conclusioni cui sonogiunto di recente, in pratica l’opera appare scritta aquattro mani come risultato di un’ideale staffetta tra duegenerazioni iniziata più di cinquant’anni fa allo scopo direalizzare, senza fretta ma con determinazione, un pre-ciso obiettivo: la rivalutazione storica della figura mora-le di Alessandro conte di Cagliostro, demolendo gli ste-reotipi e smentendo le falsità pronunciate per più di duesecoli sul suo conto.

Così, se mio padre fu la mente di un progetto ardito,io rappresento il braccio che l’ha portato a compimento.

Dalla lettura del numeroso materiale a disposizione, misono reso conto che l’aspetto di Giuseppe Balsamo, aliasAlessandro conte di Cagliostro, così come descritto e con-segnato alla Storia dal Compendio della vita e delle gestadi Giuseppe Balsamo di Mons. Giovanni Barberi pubblica-to con il benestare della Reverenda Camera Apostolicanel mese di aprile del 1791 all’indomani della Sentenza dicondanna emessa dal Tribunale della S. Inquisizione diRoma, ha talmente condizionato l’opinione sul protagoni-sta, che questo ancor’oggi viene descritto, e tacciato,come un truffatore, un impostore funesto, un gabbamon-do, ateo ed eretico, un blasfemo e un miscredente, oltreche, sempre in modo dispregiativo, come un mago, unempirico della Medicina e un massone; infatti, questolibro ha caratterizzato la figura del conte in modo cosìdeterminante che tutti i pareri su di lui si basano essen-zialmente ed esclusivamente sui contenuti del testo esulle affermazioni espresse dal suo autore, Mons. Giovan-ni Barberi.

Molti biografi hanno commesso, e continuano a com-mettere, l'errore di considerare il Compendio, se nonl'unica vera fonte storica degna di fede, almeno la piùaccreditata sul personaggio.

Effettivamente, anche se consegna alla Storia una ver-sione dei fatti tutt’altro che imparziale, e anche se, conconvinzione non suffragata da prove e contro ogni princi-pio di obiettività richiesto per chi esercita il diritto-dove-re di cronaca, l’identità tra Cagliostro e Giuseppe Balsa-mo non viene mai messa in discussione2, quest’opera haun unico pregio: grazie all’intensa attività propagandisti-ca iniziata dalla Curia romana dopo la Sentenza e prose-guita nel tempo con una campagna pubblicitaria a queltempo inusuale, tra tutte le biografie del conte, oggi, èla più nota.

Si ritiene, altresì, che il Compendio sia la fedele tra-scrizione, sintetica e commentata, degli Atti del Proces-so di Roma; tuttavia, anche quest’affermazione non è

Mappamondo con simboli alchemici e con il volto di Cagliostroscolpito da Jean-Antoine Houdon a Parigi nel 1785; elaborazio-ne grafica di Isotta Dell’Orto

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corretta poiché, in effetti, non solo il libro ne è una brut-ta copia, per giunta incompleta (infatti, vuoi per inten-zione, vuoi per insufficienza nelle indagini, mancanoparecchie testimonianze) e infedele (non v’è tracciaalcuna del dibattimento processuale e delle arringhedegli Avvocati; in particolare, non si fa cenno alla conte-stazione delle prove presentate dall’Accusa, fatte daldifensore, Mons. Luigi Costantini) ma soprattutto si pro-pone come un’opera di parte opportunamente manipola-ta dall’autore Mons. Barberi, Procuratore Fiscale Genera-le del Governo annesso già d’ordine al giuramento delsegreto del Sant’Uffizio sin dal dì 11 gennaio 1790, Assi-stente e Segretario in qualità di Notaro dell’abate Giu-seppe Lelli, uno dei sostituti della Cancelleria del Tribu-nale del Sant’Uffizio.

Gli Atti ufficiali del Processo sono ben altra cosa; almomento attuale sono disponibili alla consultazione solodue versioni di cui l’una, che si trova depositata nellaBiblioteca Nazionale Centrale di Roma con la sigla Mano-scritto 245 Fondo Vittorio Emanuele, è conosciuta come:Raccolta di scritture legali riguardanti il processo di Giu-seppe Balsamo detto Alessandro conte di Cagliostro e diP. Francesco Giuseppe da S. Maurizio Cappuccino, innan-zi al Tribunale del S. Uffizio di Roma, mentre l’altra,quella ufficiale, che è custodita nella Stanza Storica del-l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede,ex Sant’Uffizio in Vaticano, con la sigla Raccolta S-3-g,Tomo XLVI, 1791, ha per titolo: Ristretto del ProcessoInformativo e Costitutivo di Cagliostro.

Entrambe le copie, nella forma e nella sostanza, sonopressoché identiche poiché redatte dalla stessa fonte, laCancelleria del Tribunale del Sant’Uffizio.

L’esistenza di questa doppia versione è probabilmentespiegabile solo con la diversa provenienza: la prima (ilMs. 245), quella laica per nostra definizione, è dovutaalla solerzia dell’avvocato difensore di Cagliostro, Mons.Carlo Luigi Costantini, il quale dopo il Processo raccolsetutti i fascicoli in suo possesso, e nel periodo della Repub-blica Romana del 1798, di cui fu Console, li sottrasse alla

custodia papalina per evitare l’occultamento o la sop-pressione, impedendone altresì il trasferimento in Fran-cia, insieme a molti documenti e opere d’arte, attuatoallora dalle truppe francesi repubblicane. L’altra (la Rac-colta S-3-g, Tomo XLVI, 1791), invece, è la stesura ufficia-le a uso della Curia di Roma che, all’indomani della con-clusione del Processo, archiviò i documenti direttamentenella Biblioteca del Tribunale del Sant’Uffizio dove, dopoessere stati traslocati in più riprese a Parigi dal 1798 al1809 e in seguito rientrati definitivamente dal 1816,rimasero a lungo custoditi in segretezza e ignorati dagliStorici. Questi Atti sono disponibili alla consultazione,per gli studiosi accreditati, solo dal 1998.

Insomma, la Storia ufficiale del conte deve essere deltutto riscritta, e proprio questo è stato il proposito di miopadre, anche se, in ogni caso, siamo convinti che la paro-la “fine” su di lui non potrà mai essere posta.

Tutta la letteratura biografica sul Cagliostro è concor-de sul fatto che esistono prove sicure della sua presenza,con il titolo ufficiale di Alessandro conte di Cagliostro,esclusivamente dall’anno 1777, e precisamente dal 12aprile, data in cui, insieme al musico Ricciarelli, di annisessanta, al cameriere Pierre Boileau e alla moglie Sera-fina, viene ammesso alla Massoneria Ordinaria a Londrapresso la Loggia L’Esperance n. 369; questo è un datoindiscutibile.

Fino a quel momento si documentano solo tracce occa-sionali e fugaci del suo passaggio, come la descrizioneresa dall’avventuriero Casanova nel 1769 o come quantoriferisce Mons. Giovanni Barberi nel Compendio; in real-tà, costoro si limitano solo a riportare alcuni degli episo-di della vita riguardanti sicuramente Giuseppe Balsamo,mistificandolo però nella figura del conte.

Solo in seguito, all’apice del successo, biografi e croni-sti del XVIII secolo, incuriositi e affascinati dal personag-gio, tentarono di ricostruire i momenti della sua vita, siaprima sia dopo il 1777.

Tuttavia, dopo aver analizzato con spirito critico ognideposizione, ci si accorge che molte testimonianze pro-vengono da persone non obiettive, mosse solo da pregiu-dizi oppure intenzionate a diffamarlo, mentre altre sibasano su fonti scarsamente attendibili e facilmente con-testabili, per cui assai forte è il dubbio che vi sia stataconfusione, oppure deliberata presunzione d’identità,nell’attribuire al conte di Cagliostro le azioni del Balsa-mo. Per quanto riguarda Giacomo Casanova, ad esempio,si trattò di un caso di misunderstanding.

Cagliostro stesso, che mai prima di allora volle spiega-re i misteri che accompagnavano la sua fama di mago e diguaritore, parlò compiutamente di sé soltanto nel 1786 inoccasione del Processo a Parigi per l’Affare della Collanadella Regina in cui fu implicato, imprigionato per diecimesi alla Bastiglia con la moglie Serafina, processato epoi assolto con formula piena; in quella circostanza,finalmente, rese noto a tutti i presenti i suoi natali e lasua giovinezza; narrò anche dei viaggi compiuti in Euro-pa, delle amicizie con Nobili e Potenti e del suo matrimo-nio avvenuto nel 1770 con l’adolescente Serafina Felicia-ni; inoltre, descrisse in dettaglio le sue esperienze e lesue opere, e manifestò a tutti la profondità del suo pen-siero. Se fino a quel momento, nonostante le molte per-plessità e le dicerie su di lui, nessuno mai aveva messoapertamente in discussione le sue parole, tuttavia pocotempo dopo, a seguito delle ricerche fatte a Palermonella primavera del 1787 da un certo Avvocato, il barone

La Rocca di San Leo in tutta la sua maestosità

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Antonio di Bivona o di Vivona, su richiesta della Poliziafrancese, si diffuse la notizia della sua identificazionecon un tale Giuseppe Balsamo di cui erano noti i natali3 ele nozze con Lorenza Feliciani4; fu così che ebbe iniziol’equivoco che perdura fino a tutt’oggi.

Equivoco che si basa soprattutto sulle notizie forniteinizialmente da una lettera anonima, conosciuta comeLettre Bernard, inviata il 2 novembre 1786 da Palermo alCommissario dello Châtelet di Parigi, l’Ispettore di PoliziaBernard Louis Philippe Fontaine, e poi confermate qual-che mese dopo con documenti e prove legali dall’Avvoca-to Bivona, cui fu commissionato di indagare di persona sulposto5. A conclusione della vicenda, poiché tutti i datiforniti erano imprecisi, non solo non fu emesso dal Gover-no francese alcun comunicato ufficiale che ratificasse laveridicità di quanto riferito sia dall’autore della letteraanonima sia dall’Avvocato ma, decisione quanto maiinopportuna, inusuale e scorretta, il contenuto della Let-tre fu subito consegnato dalle Autorità francesi al libelli-sta Charles Thévenau de Morand, giornalista di dubbiafama e redattore del periodico franco-inglese Le Courierd’Europe, il quale raccoglieva e diffondeva, sempre benrimunerato, solo notizie scandalistiche a scopo diffama-torio (spesso anche ricattatorio!) sulla Corte e sullamonarchia francese.

A questo punto, l’informazione, data ormai come defi-nitivamente (anche se a torto) sicura, passò da maniautorevoli a mani disoneste, e quella che prima era soloun’ipotesi divenne infine una realtà nella penna del gaz-zettiere, così che tutta l’attenzione dei lettori fu inten-zionalmente monopolizzata sulla figura e sulle azioni diGiuseppe Balsamo identificato, a questo punto senzaalcuna ombra di dubbio, come Alessandro conte di Caglio-stro. Volutamente dettagliato a questo proposito è pro-prio il già citato Compendio di Mons. Giovanni Barberi.

Per quanto lo stesso Cagliostro più volte avesse esplici-tamente affermato: Io NON sono Balsamo! non fu mai cre-duto, e da allora l’equivoco continua; questa dichiarazio-ne6, cui aggiunse in dettaglio la notifica delle sue genera-lità, dei suoi presunti natali, e la descrizione delle vicen-de vissute e dei viaggi compiuti in gioventù, fu espressaanche davanti ai Giudici del Tribunale di Parigi nel 1786durante il Processo per l’Affare della Collana della Regi-na7, in un’occasione, cioè, in cui, al di sopra e prima diogni altra cosa, aveva l’obbligo giuridico-legale, per giu-ramento alla Corte, di dire la verità, dando testimonian-za fedele alla realtà dei fatti!

L’idea di come presentare l’opera di mio padre, basa-ta su testimonianze storicamente documentate e consul-tabili, su supposizioni dedotte da dichiarazioni di perso-naggi a lui contemporanei, spesso non seriamente presein considerazione, e su opinioni personali elaborate attin-gendo a fonti diverse, mi è stata suggerita dalla lettura diun libro del 2006, Le lacrime di Nietzsche di Irvin D. Yal-hom; la struttura di questo testo evidenzia una profondaconoscenza, che presuppone una notevole cultura inmateria, dei personaggi ivi descritti, e tutta la vicenda èimpostata su fonti storiche accertate e inoppugnabili.

I dialoghi sono veri, credibili; l’evolversi degli eventi,nei tempi, nei modi e nei luoghi descritti, è assolutamen-te realistica.

Unico particolare: si tratta di un'opera di fantasia, poi-ché quanto raccontato, non è mai effettivamente avve-nuto; tuttavia sarebbe potuto accadere benissimo, cosìcome rappresentato!

Ecco, in questo modo dialettico, mio padre ha volutoesporre il suo pensiero, e questo io propongo come meto-do per commentare l’insieme del contenuto: una biogra-fia del personaggio elaborata su riflessioni personali ebasata su notizie inedite desunte da fonti attendibili, o,più concretamente, una nuova ipotesi interpretativa fina-lizzata a chiarire la sua identità come vero mago, veggen-te, massone, alchimista e guaritore.

Ipotesi in cui mio padre credeva profondamente mossoda amore e da fede nel protagonista, il conte di Caglio-stro; ipotesi che ho cercato di avvalorare dopo aver ana-lizzato, in modo riflessivo e con spirito critico, i docu-menti che ho avuto l’opportunità di consultare.

In definitiva, dopo aver portato a termine un’analisicritica su tutta la letteratura riguardante il conte diCagliostro, ne esce un libro complesso e accattivante,che potrebbe essere quasi definito un romanzo storico,oppure una storia romanzata della sua vita, in cui, però,mentre la parte storica propriamente detta, basata sudocumenti inoppugnabili e selezionata dopo rigoroso con-trollo delle fonti, appare dominante, la parte fantastica,

La cella di Cagliostro, “detta il Pozzetto”, in San Leo, con lafinestrella a triplice grata che volge verso il paese

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riferita a pochi argomenti, serve solo per suggerire unaversione diversa degli aspetti controversi e per dare unaspiegazione plausibile agli episodi ancora oscuri del suopercorso terreno.

Nel testo, l’attenzione del lettore viene convogliataora su alcuni eventi socio-politico-culturali poco noti delXVIII secolo (il ruolo della Compagnia di Gesù, i rapportitra Massoneria, Stati laici e Chiesa di Roma), ora sullecaratteristiche peculiari delle sue capacità spirituali (ledivinazioni e le guarigioni compiute in più di venti anni),quasi in una fusione alchemica di due realtà opposte eantitetiche: il rapido scorrere del tempo (con tutti i futu-ri risvolti politici che gli eventi storici determineranno,Rivoluzione francese compresa), e le nobili doti del per-sonaggio (con tutte le conseguenze logiche del suo pote-re magico sulle opere: guarigioni e divinazioni, e sul pen-siero: la Rigenerazione fisica e morale espressa nel Ritodi Massoneria Egizia8).

Questi particolari, essendo confermati da una riccadocumentazione, sono indiscutibili.

Come dice lo psicanalista svizzero Gustav Jung nellasua Opera Psicologia e Alchimia: […] i contenuti dell’In-conscio personale sono collegati in modo indistinguibilecon i contenuti archetipici dell’Inconscio collettivo, equando l’Ombra diventa cosciente, essi in un certo modoportano a galla anche questi, a testimonianza che ilMondo Occulto può influenzare la vita quotidiana; di que-sto Mondo Occulto, il conte di Cagliostro (massone, alchi-mista, Rosa-Croce, esoterista, mago, filosofo, veggente eterapeuta) fu un Grande Maestro.

L’enigmatica figura del conte di Saint Germain, suoamico e mentore, e i vari personaggi mistico-spirituali delsuo tempo, confermano questa tendenza all’Occultismopresente nel XVIII secolo, in netto, ma solo apparente,contrasto con le innovative idee scientifico-enciclopedi-che dell’Illuminismo; è come se tendenze contrariemirassero a equilibrarsi.

Questa doppia immagine è una caratteristica peculia-

re, e inedita nella sua formulazione, dei movimenti cul-turali, politici e spirituali del XVIII secolo.

Non era forse lui l’evocatore dei defunti, il veggente eil divinatore, il mago, il profondo conoscitore dell’intimodella coscienza, il trasmutatore del vile metallo in oro,l’empirico guaritore delle malattie, capace anche disimulare e controllare la morte?

E non rappresentava, forse, Giuseppe Balsamo la suaparte oscura, l’Ombra di Cagliostro, quasi l’icona viventea testimonianza, e a ricordo, di un peccato originale frut-to di un contratto stipulato, dopo la nascita del futuroconte, tra Pietro Balsamo, padre di Giuseppe, e Althotas,tutore di Acharat, nome giovanile del futuro conte diCagliostro? Quest’accordo che ha intrecciato il destino didue vite, fu un patto difficile da accettare e pesante dasopportare e integrare nella quotidianità; sebbene fontee causa prima degli equivoci che accompagneranno levicende dei due protagonisti, simboleggiò la parte essen-ziale del compito terreno9 assegnato alla meravigliosafigura che fu Alessandro conte di Cagliostro.

Pertanto, questa non è solo una biografia storica tradi-zionale, nella quale i molti riferimenti bibliografici sui piùimportanti avvenimenti del settecento rappresentanouna fonte utile ai futuri ricercatori e agli studiosi, e dovesono descritti fedelmente, e in dettaglio, citazioni daMémories o brani di testi dell’epoca depositati in archivio biblioteche.

E non è neanche un romanzo di avventure; la fantasiadi Alessandro Dumas, l’estrosità di Luigi Natoli, o la crea-tività di scrittori contemporanei come Sergio Campailla eVittorio Giacopini, rappresentano un traguardo difficil-mente raggiungibile.

In realtà, il libro è solo la testimonianza di chi, creden-do sinceramente nel Nobile Viaggiatore dello Spirito,Alessandro conte di Cagliostro, e provando un profondorispetto verso la sua persona, cerca con documenti stori-ci (spesso inediti) e con prove certe (assai frequenti inletteratura) di contraddire tutte le falsità divulgate adarte e di smontare gli stereotipi finora costruiti su di lui.

E’ un libro che invita a tante riflessioni; non sempreconsegna risposte certe, anzi, spesso pone dubbi e quesi-ti ai quali, oltre a quelli proposti da mio padre, ho aggiun-to i miei.

E’ un libro che conduce in un’altra dimensione, quelladello Spirito che influenza le coscienze e gli eventi, cosìcome i Rosa-Croce hanno tramandato.

E’ un libro coraggioso, anticonformista, attuale intempo di rivisitazione critica di fatti del passato da sem-pre considerati indiscutibili.

E’ un libro che si pone fuori da ogni credo finora accet-tato sull’immagine del personaggio.

E’ un libro che vorrebbe trasmette agli animi un mes-saggio universale di luce e di pace, insieme a quel pizzi-co di merveilleux che tanto affascina il mondo interiore.

E’ un libro che pretende onestà e chiarezza di senti-menti nell’umanità di ogni tempo, e chiede giustizia allaStoria, e alla Chiesa, in nome dei suoi illustri figli iniqua-mente perseguitati a causa della verità innovatrice delleloro idee. E’ un libro che non va solo letto, ma anche pen-sato con il cuore, così come si conviene con un testo dipoesie, poiché quando esoterismo, magia e religiositàconvivono con storia, realtà e scienza, è lo spirito fanta-stico che prende il sopravvento e, una volta alimentatoda sana curiosità, sfugge oltre i confini della realtà.

Diceva Antoine de Saint-Exupéry: la verità non si sco-

Seraphine Felichiani. Contessa di Cagliostro, in un’incisionedell’epoca

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pre, si crea. Infatti, il suo Piccolo Personaggio è sempreattuale, vivo e reale nelle nostre coscienze.

Il fascino di Cagliostro, ancor’oggi, non smette di stu-pirci, proprio a causa dei numerosi dubbi e delle irrisolteperplessità che hanno accompagnato il suo percorso ter-reno. Nessuno possiede la Verità, e nessuno dà certezze;solo il romanziere può permettersi di lavorare di fantasia,e sicuramente avrebbe successo.

Ma tutto questo non basta. Neanche lo scrittore più illu-minato saprebbe descrivere la profondità della sua Essen-za. Tuttavia, una chiara sintesi sulla sua persona, e sulsignificato della sua grande opera, nella breve esistenzache gli fu concessa, è stata espressa dallo stesso conte diCagliostro nel Memoriale di Parigi del 31 maggio 1786:

[…] Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo; aldi fuori del tempo e dello spazio il mio essere spiritualevive la sua eterna esistenza, e se m’immergo nel miopensiero rifacendo il corso degli anni, se proietto il miospirito verso un modo di vivere lontano da colui che voipercepite, io divento colui che desidero. […] Sono unnobile viandante. […] Come il vento del Sud, come lasplendente luce del mezzogiorno che caratterizza lapiena coscienza delle cose e la comunione attiva con Dio, così vado verso il Nord, verso la nebbia e il fred-do, abbandonando dappertutto al passaggio qualcheparte di me stesso, splendendomi, diminuendomi a ognifermata, ma lasciandovi un po’ di luce, un po’ di calore,fino a quando io non sia infine arrivato e stabilito al ter-mine della mia carriera: allora la Rosa fiorirà sullaCroce. Io sono Cagliostro.

Chi, sia esso un Balsamo, un Cagliostro o altri, puòesprimersi con tali sublimi parole se non uno Spirito Elet-to ed Eccelso?

Un fatto è certo: sulla sua “vita meravigliosa” tanto siè detto, e tanto ancora si può dire.

La sua “luminosa vita segreta”, invece, rappresenta unmondo del tutto nuovo e sconosciuto. Difficile sciogliereil mistero che lo avvolse.

Come suggerisce l’insigne scrittore cinese Lin Yutang,profondo conoscitore dell’animo umano, ci sono due modiper diffondere la Luce: essere la fonte della stessa o lospecchio che la riflette.

Mio padre è stato lo specchio.Il mio compito? Sostenere lo specchio.

Note1. Il libro è acquistabile sia nel formato ebook sia nel formatocartaceo in due volumi indivisibili con i rispettivi titoli: Caglio-stro, un Nobile Viaggiatore del XVIII secolo, di Raffaele De Chiri-co con le note del curatore Tommaso De Chirico, e Il conte diCagliostro nel suo tempo, di Tommaso De Chirico, nel sito ama-zon.it. Per informazioni su tutte le pubblicazioni di Raffaele e diTommaso De Chirico, editi da Mnamon, Milano,vedi anche nel sitoMnamon.it.2. Tuttavia, alcuni scrittori contemporanei, tra cui, nel 1791,Gaetano Tschink e Giovanni Compagnoni di Lugo, iniziano a espri-mere il proprio dissenso a tale convinzione subito dopo la primaedizione del Compendio. 3. La data di nascita è il 2 giugno 1743; l’Atto di battesimo,datato 8 giugno 1743, è presente negli Archivi della Cattedraledi Palermo con il numero 695. Non è disponibile il suo Atto dinascita.4. La data delle nozze è il 20 aprile 1768; l’Atto di matrimonio,già conservato negli Archivi della Chiesa di Santa Maria in Monti-celli a Roma, è oggi reperibile presso l’Archivio Storico del Vica-riato di Roma, Registro dei Matrimoni dell’anno 1768. Una copia è presente anche nell’Archivio di Stato di Napoli.5. L’Avvocato invierà il 12 marzo 1787 al Viceconsole di Francia in

Napoli una Memoria Giustificativa compilata su fedi di battesi-mo, contratti nuziali e altri istrumenti legali. Tuttavia, la suaMemoria confermerà solo che gli eventi descritti nella Lettre Ber-nard sono attribuibili a Giuseppe Balsamo, ma non apporteràprove convincenti a favore della sua identità con il conte diCagliostro, tanto che le Autorità francesi alla fine ritennero tuttala faccenda dubbia, e i dati forniti insufficienti e comunque nonprobanti ai fini dell’indagine. Peraltro, l’Avvocato contesta nellasua Memoria la ricostruzione cronologica di alcuni episodidescritti nella Lettre, ritenendola, lui stesso, nell’insieme pocoattendibile e mal compilata.6. L’originale del testo, che sarà reso noto il 20 settembre 1786,prende il nome di Lettera al Popolo Inglese.7. Il 30 gennaio 1786, all’atto del suo primo interrogatorio allaBastiglia davanti al Consigliere del Re, Pierre Titon, il conte for-nisce i suoi dati identificativi, che si evidenziano ben diversi daquelli di Giuseppe Balsamo; il 20 febbraio 1786 fa stampare, pres-so l’Ed. Lottin di Parigi, il Memoriale che inizia con queste paro-le: Sono perseguitato, accusato, calunniato, in cui precisa neiparticolari i fatti esposti 20 giorni prima nell’Ufficio del Governa-tore della Bastiglia. Infine, il 31 maggio 1786, poco prima dellaSentenza, nell’autodifesa, in cui così si esprime: Non sono dialcuna epoca né di alcun luogo […] sono nobile e viaggiatore,chiarisce la profondità della sua natura spirituale; questa, evi-dentemente, non ha nulla a che vedere con le doti truffaldine diGiuseppe Balsamo.8. Questo testo, che condensa la sintesi del suo pensiero e portauna nuova ventata di spiritualità nella Massoneria europea delXVIII secolo, secondo gli autori fu il vero imputato nel Processo diRoma del 1790 presso il Tribunale della Santa Inquisizione poichéconteneva informazioni sovversive per la società civile del tempoe principi destabilizzanti per la comunità cattolica tradizionale. 9. Secondo alcune ideologie esoteriche orientali, si parla didebito karmico.

Cagliostro, incisione di Francesco Bartolozzi

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L’arte della profumeria, nel nostro paese, ha storiaantica. Già gli etruschi la praticavano e che nella Romaimperiale avesse una sua importante tradizione ci vienetestimoniato dalle opere di autori come Orazio, Ovidio,Marziale, che non esitano a celebrare i nomi di vari mae-stri profumieri. Sconfitto l’Impero Romano, a seguitodelle invasioni barbariche, anche la pratica di creare pro-fumi precipita nel generale oscurantismo e viene relega-ta principalmente nell’ambito dei riti religiosi, al fine direndere balsamici l’olio delle lampade e i ceri da arderenelle chiese.

Nei secoli XV e XVI, grazie alle numerose fragranze cheil clima e la favorevole posizione geografica caricano diintensità, l’Italia primeggia nell’arte della profumeria,che ha in Firenze il suo centro principale e gli aromi deifiori dei dolci colli toscani vengono elaborati a crearepreparazioni delicate, ad opera dei Monaci Domenicanidell’Officina di Santa Maria Novella; a Roma si elabora laricetta del distillato dei fiori dell’arancio amaro, cono-sciuto con il nome di “neroli”; nel sud della Penisola siestrae un’essenza dagli inebrianti fiori degli agrumi eVenezia, pur non avendo una manifattura locale, grazie aifiorenti, intensi commerci importa dall’Arabia e dal-l’Oriente le calde e speziate fragranze che diventano pre-ziosa merce sul suolo europeo e fra il XVI e il XVII secolosono elemento indispensabile per ingentilire i rapporti fragli aristocratici, profumando guanti e parrucche di damee cavalieri.

Alla fine del secolo XVI, il primato italiano inizia avacillare, allorquando Caterina de’ Medici, sposando il reEnrico II, porta con sé alla corte di Francia i più rinomatimaestri profumieri di Firenze, che favorendo sulla costameridionale del paese la coltivazione delle più pregiatepiante da profumo, si ingegnano a creare procedimenti didistillazione continuamente perfezionati, per sfruttare almassimo l’eccellenza delle materie prime naturali.

L’Italia quindi perde via via il suo primato, nonostantela geniale creatività dei suoi profumieri non cessi di scri-vere dei fondamentali capitoli, sorprendentemente tuttiitaliani, nella storia della profumeria. Alla fine del XVIIsecolo, infatti, il novarese Paolo Feminis emigra a Colo-nia e si dedica ad elaborare la creazione di un’acqua datoeletta, secondo la ricetta dei monaci fiorentini, profu-mata con essenze di agrumi. La chiama “Acqua di Colo-nia” e presto raccoglie enormi consensi. Alla sua morte laricetta passa ad un nipote, Giovanni Antonio Farina, chea sua volta la tramanda perfezionata al figlio GiovanniMaria. Questi, stabilitosi a Parigi agli inizi dell’Ottocento,continua a dedicarsi alla produzione della sua Acqua diColonia, la cui ricetta cederà infine ad un profumiere dinome Colas che a sua volta la lascerà in eredità ai nipotiRoger e Gallet, i quali continueranno la produzione con

l’etichetta “Ancienne Maison Jean Marie Farina, Parfume-rie Roger et Gallet”.

Per tutto l’Ottocento comunque la Francia continua asvolgere un ruolo predominante nel panorama profumie-ro europeo, grazie all’azione congiunta e complementaredella ricchezza delle materie prime naturali elaboratenegli stabilimenti di Grasse, e di Parigi, capitale modernae accentratrice di tutto ciò che è moda e tendenza. Mafra la fine del secolo e gli inizi del Novecento i profumie-ri scoprono che nuove note originali possono essere crea-te utilizzando prodotti di sintesi, senza ricorrere cioèall’estrazione di essenze da prodotti naturali, come erastato fatto fino ad allora e si possono creare fragranzesuggestive e di inedito fascino, che raccolgono un enormesuccesso e danno impulso alla nascita della profumeriamoderna.

Nel nostro paese l’intuizione che il profumo potevarompere con la tradizione naturale e trovare aromi nuoviavventurandosi lungo le strade della chimica, la si deve aGiuseppe Visconti di Modrone, aristocratico eclettico egenialmente proiettato verso l’innovazione intuitiva.Aveva sposato Carla Erba, figlia dell’industriale farma-ceutico Carlo, e nei laboratori del suocero, sperimentan-do in modo audace delle inedite fragranze, crea dei pro-fumi rivoluzionari il cui successo è tale che il conte,padre del regista cinematografico e teatrale Luchino, siconvince ad aprire uno stabilimento per la produzioneprofumiera ponendo le basi della grande Casa di Profumoche battezza Gi-Vi-Emme, dalle iniziali del suo nome.Uno dei primi straordinari successi fu il profumo “Contes-sa Azzurra”, inedito nella sua composizione e genialeanche nel nome, che sembrava elevasse di un gradinosulla scala sociale colei che lo indossava.

Isabella Groppali

La profumeria italiana nella primametà del Novecento

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L’intuizione fu capire quanta impor-tanza avesse il nome con cui un profu-mo veniva presentato, in quanto dove-va stuzzicare la vanità femminile ocogliere l’eco degli eventi contempo-ranei. A questo proposito infatti nel1918, sull’onda emozionale suscitatadalla disfatta di Caporetto, Visconticrea “Assalto! Il profumo del momen-to”, il ricavato delle cui vendite sareb-be stato devoluto alle famiglie deicombattenti e la cui silhouette diforma conica, disegnata da lui stesso,ricorda la sagoma di un soldato inta-barrato nel suo cappottone, sovrastatada un tappo che richiama la forma diun elmetto.

Fondamentale inoltre fu l’amicizia ela collaborazione con il poeta GabrieleD’Annunzio. A lui Visconti di Modrone dedicò “Acqua diFiume”, che divenne la fragranza prediletta dal Vate equesti in cambio, interpellato sul nome da dare ad unanuova creazione, dopo averne aspirato l’effluvio senten-ziò “Giacinto Innamorato”, un nome che ben si armoniz-zava con gli altri attribuiti ai profumi Gi-Vi-Emme, in bili-co fra l’aulico e il romantico. Contemporaneamenteacquistano importanza le immagini pubblicitarie, che perla prima volta sdrammatizzano le raffigurazioni prece-denti. In questo caso giocano ironicamente sul doppiosignificato di “giacinto” che al tempo, oltre che indicareun fiore era anche un comune nome maschile. Ecco quin-di un fiore ammiccante, o un languido giovane che spasi-ma ai piedi di una delicata fanciulla. Anche la confezionediventa oggetto di un’attenzione nuova: i flaconi si ade-guano allo stile del tempo, l’imperante Art Déco, e le eti-chette riproducono il nuovo gusto, con riccioli, volute,linee geometriche o intrecciate e colori compatti, fra cuie sopra tutti rifulge l’oro.

Ma la crisi economica del ’29 causata dal crollo dellaBorsa di New York arriva a portare, fino al decennio suc-cessivo, ripercussioni in tutta Europa, e nel nostro Paesecausa di conseguenza una forte riduzione nella produzio-ne industriale e un generale impoverimento dovuto allaperdita di lavoro. Il Governo sceglie di favorire drastichemisure di contenimento dei prezzi e dei costi di produzio-ne riducendo i salari, ragion per cui le condizioni di vitasi fanno sempre più precarie. Come sempre accadedurante ogni crisi economica, i generi voluttuari sono iprimi a risentire della mancanza di liquidità, con veri epropri crolli nelle vendite e i profumi non si sottraggonoa questa legge. Le varie case profumiere del Paese cerca-no perciò di far fronte al calo della domanda immetten-do sul mercato flaconi di dimensione ridotta e quindimeno costosi. Nasce così il “flacone prima misura”, 5centilitri, a fronte degli abituali 70/80, al costo di pochelire, piccolo lusso da usare centellinato, solo nelle occa-sioni speciali.

Passato un primo momento di sconforto vengono avvia-te riforme a dar fiato all’economia e le iniziative atte afavorire la profumeria si moltiplicano, dal momento chela si riconosce fra le produzioni trainanti nel panoramaindustriale. Alla Fiera di Milano del ’31 le case di profu-mo più importanti - per citarne alcune, fra le più rinoma-te: Bertelli, Borsari, Cella, Fontanella, La Ducale, Migo-ne, Satinine, Valli… - possono esporre addirittura in un

Palazzo dei Profumi. Vengono coinvoltiproduttori di vetri, industrie chimiche emeccaniche di confezionamento.

Nel clima di ritrovata fiducia, una infi-nità di nuove case profumiere si propon-gono al mercato, trovando spazio e ap -prezzamento adeguati.

E nonostante i profumi francesi riman-gano comunque privilegio delle classi piùabbienti, fra le due guerre, non solo perprivilegiare i costi più accessibili, maanche per un prepotente spirito di italia-nità, si tende a indirizzare i consumiverso prodotti nazionali. Durante il perio-do fascista la donna veniva educata adessere sposa e madre esemplare ed eraaspramente condannata qualora decides-se di condurre una vita indipendente,soprattutto sessualmente, per i dettami

di una educazione cattolico-maschilista e le leggi di unasocietà conformista. La donna di buona moralità cheavesse indossato essenze sensuali “alla francese”, e cheavesse voluto apparire seducente, avrebbe corso il rischiodi venire etichettata come leggera o di facili costumi.

Come non farsi venire in mente, a tal proposito, unacanzonetta in voga negli anni ’30, intitolata “Profumi eBalocchi”, che racconta di una madre “snaturata” e diuna figlia petulante, che chiede balocchi per giocare,mentre la madre si dedica unicamente ai piaceri dellusso, non per niente profumandosi con il peccaminosoCoty… La donna di facili costumi non poteva che indossa-re un profumo d’Oltralpe, quella morigerata invece, labrava ragazza, la “madre italica” non doveva essere“profumata”, ma “sentire di buono”. La sua fragranzadoveva ricordare passeggiate nei prati, giornate all’ariaaperta, biancheria pulita. Hanno quindi diffusione profu-mi come “Violetta di Parma” della Casa Borsari e grandesuccesso riscuote la “Lavanda Coldinava”, della ligureCasa Niggi, il cui marchio di fabbrica è una contadinella,con sulle spalle una gerla ricolma di fiori di lavanda.

Che si rivolgesse ai ceti più popolari viene testimonia-to anche dal fatto che la sua distribuzione avveniva nonsolo nelle profumerie, ma anche dalle farmacie alle dro-gherie di paese e veniva indossata da uomini e donne, chespesso vi rimanevano fedeli per tutta la vita.

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Per i produttori di profumi del periodo, quindi, non sitratta più di rivolgersi a una élite, ma di interessare unapiù vasta moltitudine di consumatori. A tal fine si fa stra-da una geniale intuizione a proposito di un nuovo modo divendere i flaconi. Le fragranze vengono racchiuse all’in-terno di composizioni che per la loro originalità stimola-no la curiosità e il gradimento di chi le acquista. Fra tuttela Casa Rudy rende vincente la doppia funzione che lenuove confezioni possono assolvere: contenitore di profu-mo e oggetto da esporre o riutilizzare. Queste confezio-ni, che oggi non esiteremmo a definire del gusto piùkitsch – ma che sono di culto fra i collezionisti - riscuoto-no un enorme successo fino a tutti gli anni ’50 e ’60, e neè tale il gradimento, che ad un certo momento la fragran-za arriva ad avere un ruolo secondario rispetto alla con-fezione, che viene ricercata in quanto, anche vuota delsuo contenuto, può venire esposta “nel salotto buono”delle case. Una volta esaurito il profumo, la confezionequindi non perde la sua utilità, ma funge da portacenere,porta pipa, porta sigarette, orologio, bussola, cofanettoo semplicemente soprammobile.

Sulla scia di questo gradimento molte case profumieresi dedicano a coniugare, in insolito connubio, i flaconicon l’oggettistica, da proporre come “confezione rega-lo”, e si rivolgono alle varie manifatture per ottenerecomposizioni in legno, metallo, vetro o ceramica in cuiinserire il proprio prodotto. Il risultato diventa anche sou-venir, che il turista acquista per portare con sé un alitoodoroso dei luoghi che visita. E lo capiscono bene le caseprofumiere veneziane, che possono sfruttare l’immensoflusso di visitatori che la città lagunare costantementeattira. Fra queste la Linetti, che si sbizzarrisce in leziosegondole che trasportano il suo apprezzato “Notte diVenezia” e la Vidal, già produttrice del notissimo “PinoSilvestre”, racchiuso nell’altrettanto nota bottigliettaverde a forma di pigna creata dalle vetrerie Bormioli edel profumo veneziano per eccellenza, “Cà d’Oro”, conl’immagine del palazzo stampigliato in rosso o in oro sulfronte del flacone rettangolare. Ed è appunto Cà d’Oro,che la Vidal arriva a proporre inserito in due oggetti inceramica che riproducono due dei più celebri monumen-ti veneziani: il campanile di San Marco e la colonna conil Leone di San Marco, nel cui fusto in vetro viene ospita-to il profumo.

La fortuna di questi oggettie di conseguenza la loro pro-duzione cessa alla fine deglianni ’60, quando “il miracoloeconomico” inizia a perderecolpi e la società inizia a tra-sformarsi in modo radicale.

La nuova crisi economicache si profila all’orizzontescoraggia l’acquisto di questioggetti frivoli, fra gli altrivoluttuari. E’ il periodo in cuimolte case di profumo cessa-no di esistere o vendono “lagriffe” ad altre. E’ in definiti-va la fine di un’epoca per laprofumeria italiana, che mai come nella prima metà del‘900 e in particolare fra le due guerre aveva avuto quel-la sua così prepotente caratterizzazione che a tutt’ogginon ha ancora ritrovato.

Immagini dalle collezioni private di Isabella Groppali(Lavanda Coldinava; pigne Vidal), di Marinella Mazzoni(Contessa Azzurra) e di Pino Cigliano per “Il Borgo delCollezionista” (Assalto!, figurali Rudy, Gondola Linetti efigurali Vidal).

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Anna Savoini

Quante sono le statue del Duomo?

Quante sono le statue del Duomo? Un numero c’è: 3159. Tante sarebbero le statue del Duomo di Milano tra

l’esterno e l’interno. Il conto è tuttavia approssimativo edifficilmente si raggiungerà un numero finito. Si tratta diun censimento non ancora ufficiale se si includono le granteste e i mezzobusti, gli altorilievi e i doccioni. Un bestia-rio infinito che sembra scaturire dal gusto per le meravi-glie naturali e divine di un maestro ispirato da fervidaimmaginazione.

La superficie esterna della “chiesa ambrosiana” offreun ricchissimo repertorio. Finestre e finestroni sonoimpreziositi da statue e busti, i contrafforti sono decoraticon sculture contenenti i baldacchini di marmo e i cosid-detti “giganti” sono sovrastati da doccioni rappresentaticome una sorta di esseri mostruosi. Altre statue svettanodalle guglie e sono contenute nelle nicchie dei pinnacolidi marmo.

L’innumerevole campionario delle sculture ad opera dimaestri lombardi, tedeschi, boemi, francesi, toscani eveneti forma una straordinaria galleria di stili compresitemporalmente tra il XIV secolo e il Rinascimento.

La prima guglia, chiamata “del Caretti”, mecenatemedioevale benefattore della Fabbrica, risale al XIV seco-lo. L’ultima è stata posata negli anni ’30 del Novecento.Una parabola di sei secoli che ha messo in fila una schie-ra enorme di decoratori, scultori e scalpellini : un indeter-minato esercito di artisti.

I primi libri contabili della Fabbrica riportano nomi dimaestri Comacini e Campionesi che furono ingaggiati perle opere di muratura artistica: Simone da Orsenigo, Guar-niero de Sirtori, Marco e Zeno da Campione ed altri anco-ra. Si tratta dei Fratelli e Mastri, corporazione riconosciu-ta fin dal VII secolo con l’editto di Rotari e radunati sottosigilli misteriosi, detentori di tecniche segrete che sono glistrumenti utili per costruire la cattedrale: capitello sucolonna, fregio su timpano, scultura su guglia, intarsio sucornice, fino a comporre uno dei più vasti organismi lapi-dei che la storia dell’arte possa vantare.

Il numero delle sculture è certo (ma sempre in fase dicensimento) ed ha un significato noto solo ai maestri arte-fici del Duomo. Una sfida lanciata ai posteri se è vero cheun misterioso ordine architettonico sovraintende al simbo-lo di Milano.

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Un’avvertenza per il lettore: l’argomento richiedereb-be non già un volume, ma un’enciclopedia, per cui que-sto articolo vuole essere soltanto una breve rivisitazionesemiseria di alcune vicende della vite, del vino e di ciòche ne è seguito. Narra la Genesi che quando il Patriar-ca Noé, scampato al diluvio, vide l’arcobaleno comesegno divino che era tutto finito, capì che poteva scende-re a terra. Poichè insieme alla moglie e agli animali avevasalvato una pianta di vite, la piantò e creò la prima vigna.Ma qualche buontempone, amante del buon vino, sostie-ne che Adamo ed Eva, nell’Eden, avrebbero preferito isucculenti acini, trovandoli più gustosi della mela.Comunque sia, la Genesi prosegue con questo brano:“Noè, avendo bevuto il vino, si ubriacò, e giacque scoper-to nell’interno della sua tenda”. L’ episodio è illustrato inun mosaico veneziano del XII secolo (figura in alto).

Per venire a tempi più recenti, molti studiosi afferma-no che la vite sia originaria dell’India, si sarebbe diffusain Mesopotamia, tra il Tigri e l’Eufrate, e quindi nel baci-no mediterraneo, attorno al secondo millennio a.C. (figu-ra in basso). Questo fatto è provato dai geroglifici dellatomba di Tutankamon, dove furono trovate anfore cheriportavano la zona di provenienza, l’annata e persino ilproduttore: era stato inventato il marchio DOC!

Dall’Egitto il vino si diffuse in Arabia, in Grecia – dovegli fu dedicata una divinità, Dioniso – e quindi a Roma,passando per la Magna Grecia, dove gli fu dedicato unaltro dio: Bacco. Tuttavia, per formare il famoso trioBacco, tabacco e Venere…, con quel che segue, si dovet-te aspettare parecchi secoli, dato che il tabacco fu sco-perto da Cristoforo Colombo molto tempo dopo, assiemeall’America. Aristofane, come si legge nei molti scrittigiunti fino a noi, nel famoso Coro della Pace esaltava lacentralità del banchetto come evento sociale: la suaprima commedia, del 427 a.C. si intitolava per l’appunto”I Banchettanti”.

Renzo Bracco

La storia del vino – il vino nella storia

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Euripide scrisse nelle Baccanti: “il vino rappresentalo scorrere stesso della vita”.

Comunque sia, il vino fu un protagonista del modo divivere, e di cibarsi, dei romani, anche se allora era unabevanda tutta diversa da ciò che beviamo oggi: era piut-tosto densa, e acidula, cosicchè doveva essere diluita conacqua al momento del consumo. Nei famosi banchetti,descritti da Lucullo e Trimalcione, si beveva vino in enor-mi quantità. I simposi duravano dal pomeriggio a serainoltrata. Le portate si susseguivano a decine.

A servire erano gli schiavi, mentre le donne non eranoammesse, se non come danzatrici, per allietare i com-mensali stesi sui triclini. Era l’epoca del “Carpe diem”come Orazio sintetizzò il modus vivendi dei romani.

Su questo tema Seneca scrisse: “questi patrizi sonoesecrabili: mangiano per vomitare, e vomitano perpoter mangiare e bere ancora”.

Nella Roma dei Cesari c’era un altro proverbio sultema: “Venere sine libero et Cerere frigere”, ovvero:“senza Bacco e Cerere, la dea del cibo, anche Venere siraffredda”.

Forse per giustificare gli eccessi del bere, i romaniattribuivano al vino anche proprietà battericide e toni-ficanti: per questa ragione era la bevanda che venivafornita ai legionari.

Dopo aver fatto tappa a Roma, la vite proseguì il suacammino verso il nord: la coltivarono i sabini, gli etru-schi ed i padani. Col passare dei secoli valicò le Alpi:ma si sa che non ebbe molta fortuna, visto che i primipaesi produttori di vino restano l’Italia, che pare abbiasuperato la Francia dopo un lungo testa a testa, e cometerza la Spagna.

Con l’avvento del Cristianesimo il consumo di vino siridusse in quanto, pur essendo simboleggiato nell’Ulti-ma Cena, era talvolta considerato la fonte di un piace-re pagano, capace solo di stimolare ebbrezza e lussuria.

Rimase comunque parte dell’Offertorio, da consumarsidopo il pane eucaristico, che fu sostituito dalle ostiealla fine del secolo XII. In quel periodo si passò defini-tivamente al vino bianco, perché il vino rosso, spessoofferto col cucchiaio, produceva macchie sulle tovagliedifficili da eliminare.

Nel Nord Europa, per difficoltà a reperire il vino, siutilizzò anche succo di uva o vino diluito, anche se lachiesa prescriveva che il vino fosse purissimo. Anche ildiffondersi dell’Islamismo creò non poche difficoltà allaproduzione di vino, e in alcune zone le vigne furonomesse al bando.

Il Rinascimento restituì al vino la sua dignità e impor-tanza: gli enologi dell’epoca studiavano nuove tecnicheper produrre vini sempre migliori; il suo consumo eraormai diventato di uso quotidiano.

Le tecniche di produzione e di conservazione ebberocontinue evoluzioni fino al XVII secolo, quando si iniziòa metterlo in bottiglie di vetro, e nacquero i primi tappidi sughero, seguiti a breve, dall’invenzione del cava-tappi.

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La città di Beaune, importante centro vinicolo dellaBorgogna, ospita oggi il Museo del Cavatappo, dove nesono esposti alcune centinaia di modelli di ogni epoca edi ogni tipo.

Nel 1866 anche Pasteur disse la sua a proposito delvino, e sentenziò: “Il vino è la più salutare e la più igie-nica di tutte le bevande”. Aveva previsto ciò che cidicono i medici di oggi, ovvero che un modesto consu-mo di vino ha effefti benefici sul sistema cardio-vasco-lare. Tuttavia Pasteur non avrebbe mai immaginato cheun giorno anche il vino sarebbe stato ”pastorizzato”.

Chiudiamo con una breve rassegna di ciò che disseroin merito al vino personaggi scrittori, pensatori e poeti.

Omero, nell’Odissea. “Vino pazzo, che anche all’uo-mo saggio fa intonare una canzone e ridere di gusto, loinduce a danzare e si lascia sfuggire parole che erameglio trattenere”. Il concetto fu ripreso da alcuniscrittori latini nella sintesi “In vino veritas”. Aristofane, IV sec. a.C.: “Benvenuto vino, ci migliora lavita, si fanno buoni affari, si vincono le cause, mi rendefelice e sostengo gli amici”.Anacreonte, 570 a.C.: “Cenai con un pezzo di focaccia,e bevvi avidamente un’anfora di vino: ora l’amata cetratocco con dolcezza e canto amore alla mia tenera fan-ciulla.Tibullo, 57 a.C.: “Nel vino voglio soffocare i dolori, alvino chiedo che faccia scendere, nei miei occhi stanchi,il sonno ristoratore”. Ovidio, 43 a.C.: “Il vino prepara i nostri cuori e li rendepronti alla passione”.Petronio, I sec d.C.: “Il vino ha una vita più lunga dellanostra? E allora noi, fragili creature umane, ci vendi-chiamo bevendocelo tutto”.Galiei: “Il vino è un composto di amore e di luce”.

Pascal: “Con troppo poco vino l’uomo non trova la via,se gliene date troppo, neppure”.Molière: “Grande è la fortuna di chi possiede una buonabottiglia, un buon libro ed un buon amico”.Baudelaire, il poeta maledetto, compose questi versi:“L’anima del vino cantava nella bottiglia:o uomo, caro diseredato, io ti lancio dalla mia prigione di vetro, e dalla mia bottiglia chiusaun canto pieno di luce fraterna”.Verlaine: “Chi beve solo acqua ha un gran segreto danascondere”.Goethe: “La vita è troppo breve per bere vini mediocri”.Lord Byron: “Si può bere il vino per cinque motivi: farefesta, placare la sete, evitare di aver sete in seguito,far onore al vino buono, e infine per ogni altro motivo”.Leopardi: “Il vino è il più certo e il più efficace conso-latore, senza paragone alcuno”.De Amicis: “Il vino aggiunge un sorriso all’amicizia, edun scintilla all’amore”. Anonimo veneziano: “L’acqua divide gli uomini, il vinoli unisce”.Ci piace chiudere questa breve rassegna con ciò checantavano i goliardi medievali: “Ave, color vini chiari,ave sapor sine pari, ave al vino limpido e gustoso, chedona ebbrezza e distrae dalla fuga del tempo: tempusfugit è cancellato dai nostri pensieri”.

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L’androginia, cioè la fusione della mascolinità con lafemminilità, è a fondamento di una parte dell’esoterismoe del misticismo che è il desiderio di fondersi con il tutto,di completarsi, di tornare all’unità delle origini ed è unfenomeno prevalentemente psichico, mentre l’ermafro-ditismo è un fenomeno fisico per cui si ritrovano gli attri-buti fisici maschili e femminili nello stesso individuo.

L’androginismo - dice Elémire Zolla - rappresental’umana nostalgia dell’interezza, e «alla brama e all'inse-guimento dell'interezza, ebbene, tocca il nome diamore».

Il mito dell’androgino nasce dalla più antica cultura epuò essere ravvisato nello sciamanesimo, il cui culto èesercitato da un individuo che riunisce il duplice aspettodel maschile e del femminile e proprio per questa suaqualità diventa capace di entrare nel mondo parallelodegli spiriti.

Nel culto di Dioniso, rappresentato spesso in formaandrogina, il dio si rivolge particolarmente alle donne, leménadi, che costituiscono il suo seguito.

Anche nel libro Genesi della Bibbia ritroviamo unimportante riferimento all’androginia. Infatti la creazio-ne dell’uomo è riportata in due differenti versioni.

La prima versione (1,27) recita: “Iddio creò l’uomo asua immagine, a immagine di Dio lo creò; lo creò maschioe femmina.”

Mentre la seconda versione (2,21) recita: Iddio fececadere un sonno profondo su Adamo… prese una delle suecostole … e formò la donna.” In riferimento alla immagi-

ne maschio-femmina di Dio e all’antichissimo culto dellaGrande Madre (Iside per gli egizi, Shakti per gli indù) icabalisti fecero riferimenti all’aspetto femminile di Dio:la Shekinah.

Platone nel “Simposio” riprende il mito dell’androgi-nia. Aristofane, discutendo di Eros, parla di un terzogenere umano, non figlio del Sole come gli uomini, nonfiglio della Terra come le donne, ma figlio della Luna,figlia della terra e del sole. La completezza autosufficien-te rese gli androgini così arroganti da immaginare di darela scalata all'Olimpo, e Zeus allora li separò in due metà,riducendoli a solo maschio e solo femmina che si ricerca-no per ricomporre l’interezza originale.

Non possiamo riportare tout court l’androginiaall’omosessualità che può essere anche la conseguenza disituazioni ambientali e culturali.

Ad esempio, nel mondo greco l’omosessualità, in alcu-ni ambienti culturali, fu ritenuta persino motivo di ele-vazione.

Secondo alcuni analisti molti casicasi di androginia o diomosessualità sono stati prodotti da sensazioni e traumilegati alla nascita.

E’ evidente che non è possibile riunire tutti i casi par-ticolari di condotte erotiche non comuni in poche e defi-nite categorie.

Daniel P. Schreber, dopo aver trascorso dieci anni in unmanicomio, scrisse il libro “Memorie di un malato di nervi– 1903” in cui dice che era ossessionato dal desiderio diprovare ciò che provano le donne nel rapporto con l’uo-mo, fino a immaginare un suo rapporto da donna con Dio.

Un ruolo importante nell’androginia potrebbe essereattribuito alla presenza di ormoni estrogeni nel maschioe di ormoni androgeni nella femmina che, anche se inquantità non alterata rispetto agli individui normali,potrebbero avere effetti metabolici diversi in concomi-tanza con particolari fenomeni cerebrali (ad es. in rela-zione all’eccitazione del setto pellucido).

Tra le diverse connotazioni e interpretazioni dell’alchi-mia vi è quella della produzione della pietra filosofalecome risultato della congiunzione del maschile e del fem-minile – jeros gamos - le nozze sacre tra il re e la regina.

La filosofia alchemica e neoplatonica furono a fonda-mento delle opere di alcuni grandi pittori “androgini” delRinascimento italiano, come Leonardo.

H. Melville, l’autore di “Moby Dick” scrive: “Quelleimmagini italiane ‘morbide, ricurve, ermafroditiche’,così prive di ogni muscolosità, non suggeriscono alcunpotere, se non quello puramente negativo, femminile.”

Anche nell’Inghilterra di Shakespeare si sviluppò ilculto dell’omosessualità e dell’androginìa e forse ciò fudovuto in parte al fatto che sui palcoscenici il ruolo delledonne, per legge, doveva essere sostenuto da uomini.

Francesco Licchiello

L’androginia

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In questo contesto erotico-mistico si inquadra il sacra-mento della “Camera nuziale” che, secondo un vangelognostico attribuito all’apostolo Filippo e ritrovato a NagHammadi (Egitto) nel 1945, sarebbe stato istituito daGesù.

Leggiamo: “64 - ... Grande è il mistero del matrimonio!… Comprendete la comunione immacolata, poiché essa èdotata di grande forza.

“In Gerusalemme vi sono alcuni che pregano aspettan-do il Regno dei Cieli. Costoro sono detti “il santo deisanti”, poiché prima che il velo fosse strappato, noi nonavevamo altra camera nuziale, ma solo un'immagine dellacamera nuziale che è lassù. E' per questo che il velo fustrappato dall'alto al basso, perché era opportuno chequalcuno andasse dal basso in alto…

“Se la donna non si fosse separata dall'uomo, nonsarebbe morta con l'uomo: all'origine della morte ci fu lasua separazione. Perciò il Cristo è venuto a porre riparoalla separazione che ebbe inizio fin dal principio, e aunire nuovamente i due, a vivificare coloro che eranomorti a motivo della separazione.

“76 - Mentre in questo mondo, l'unione (sessuale) è diun maschio e di una femmina, come di forza e di debo-lezza; nell'eone l'immagine dell'unione (spirituale) èdiversa...”.

Alcuni hanno interpretato questo sacramento, chenasceva dalla comunione di Gesù con la Maddalena, comeun rinvio all'androgino primitivo (supra - Genesi, 1,27).

La descrizione del rito è alquanto misteriosa, ma pos-siamo pensare che si tratti di una sublimazione in sensoerotico-spirituale dell’atto sessuale. Qualcosa di simile aparticolari culti tantrici, al simbolismo dei misteri Eleusi-ni ed all’Orfismo.

Nel vangelo gnostico di Tommaso apostolo si legge.“51 (114) - Simon Pietro disse “Maria deve andare via

da noi! Perché le femmine non sono degne della vita”. Gesù disse: “Invece io la terrò con me in modo da com-

pletarla in maschilità, affinché ella diventi uno spiritovivo uguale a voi maschi: poiché ogni femmina che si faràmaschio entrerà nel Regno dei cieli”.

I seguaci del filosofo gnostico Valentino studiavano i

metodi per liberare il proprio pneuma (spirito). Ciò pote-va avvenire sia attraverso lo studio dei testi sacri cheattraverso varie cerimonie, quali la camera nuziale o laredenzione.

Nel vangelo di Tommaso vi sono chiari riferimenti allognosticismo

- 50 (103) Gesù ha detto: “Se vi dicono: di dove veni-te? Rispondete loro: Noi siamo usciti dalla luce, di là dovela luce si forma uscendo dall’Uno stesso. “

Le dottrine gnostiche sostengono che come dal soleemana la luce che perde il suo vigore man mano chepenetra nella materia, così dall’Uno procedono per ema-nazione, in un processo discensionale, vari Eoni, esseriintermedi tra l’uomo e l’Uno-Dio, che formano insieme ilPléroma, risalendo il quale lo gnostico, in un movimentoascensionale, dalla conoscenza all’ascesi, può elevarsiall’Uno.

Secondo la Gnosi cristiana, Dio invia l’Eone Gesù, cheillumina gli uomini con la luce della conoscenza permet-tendo a essi di salvarsi risalendo dopo la morte, attraver-so il Pleroma, a Dio stesso.

Questo processo ascensionale, secondo Tommaso, chenel Cenacolo di Leonardo indica con il dito l’Alto, il Cielo,ha un importante momento realizzativo quando il Duediventa Uno, cioè l’uomo e la donna formano l’unità nel-l’androgino. E ciò è possibile perché, secondo Jung, nel-l’uomo è presente la femminilità – l’anima – mentre nelladonna è presente la mascolinità – l’animus, come avvienenel simbolo Yin-Yang.

Naturalmente, in ambito antropologico, possiamoavanzare l’ipotesi che in ogni persona esista, a livelloinconscio, un archetipo, un modello androginico che pre-cede, come fondamento psicosomatico, la differenziazio-ne nell’uno o nell’altro sesso.

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Rodolfo Signifredi

Con le mani nel “Sacro”Breve storia dell’Osteopatia, dall’aggiustaossa al chiropratico olistico

Terapia cranio-sacrale, Chiropratica olistica, Masso-Fisio-Kinesiologia… Derivate dall’Osteopatia, questeforme di massaggio terapeutico occidentale sonodiventate la medicina alternativa “numero uno” inAmerica, dando vita a molte specializzazioni o innova-zioni come la Kinesiologia. E hanno trovato lo Spiritotra una vertebra e l’altra.

Non occorre imbarcarsi per gli Usa alla ricerca di unbuon chiroprata, anche se la patria di questa metodica dicura è indubbiamente l’America. Le migliori Scuole diChiropratica sono laggiù ed anche i loro diplomi sono quo-tati internazionalmente. Ma da vari anni anche da noi cisono degli ottimi chiropratici, molti dei quali sono “madein Usa” perché hanno seguito i regolamentari studi alivello universitario che abilitano alla professione.

Partiamo dalla Chiropratica per esaminare alcune dellemetodiche finalizzate ad una terapia olistica che apreallo Spirito, ma coinvolgendo lo scheletro. Vediamo, quin-di, cosa si intende per Chiropratica: una scienza medicanaturale che studia e tratta la meccanica, la statica e ladinamica del corpo umano. Si basa sul concetto che unbuon allineamento e funzionamento dei segmenti verte-brali sia di fondamentale importanza per la salute. Il trat-tamento chiropratico consiste generalmente nel correg-gere quei segmenti del sistema muscolare e scheletricoche non funzionano in modo corretto, soprattutto lungola colonna vertebrale e nella regione pelvica.

Scopo primario del trattamento chiropratico, pertanto,è quello di eliminare i sintomi agendo direttamente sullecause che ne sono responsabili, il che consente di ottene-re risultati più duraturi e di evitare o ridurre l’assunzionedi farmaci antinfiammatori o antibiotici i cui effetti col-laterali sono notoriamente dannosi per il nostro organi-smo.

Ma tra gli “effetti collaterali” c’è anche la scopertadella spiritualità nel corpo. Il corpo come tempio delloSpirito, il “soffio della vita” che per molti è lo SpiritoSanto. La scienza spiega molto bene il funzionamentodegli organi e dei sensi ma non sa il perché di tutto ciò.Invece molti Osteopati e Chiropati meditano e pregano,migliorando così l’efficacia dei loro trattamenti. E questapresenza dello Spirito Santo, adombrata dagli stessi pro-fessionisti di fronte a casi sorprendenti di guarigioni pro-digiose, non si sa bene se provenga dalle mani del tera-peuta oppure emerga dalle profondità delle fibre musco-lari, come una forza che si libera.

IL TRIANGOLO DELLA SALUTELa teoria che sta alla base della Chiropratica parla di

un triangolo della salute, i cui lati si riferiscono ai tre fat-tori fondamentali del benessere: la struttura, la biochimi-

ca e la mente. Lo stato ideale di benessere è quello deltriangolo equilatero; perché se si accorcia uno dei latil’altro si allunga, mentre se si accorciano entrambi iltriangolo si appiattisce sulla base restringendo l’area. Èuna immagine molto efficace per dare una idea delle con-seguenze posturali e tensionali sullo stato di efficienzapsicofisica. Ed anche una malattia che colpisce uno diquesti lati o livelli si ripercuote inevitabilmente suglialtri. Di conseguenza, quando si corregge un disturbomuscolare o scheletrico, anche gli aspetti psicologici ometabolici ne traggono beneficio, come vedremo megliopiù avanti.

Ma prima della Chiropratica, chi si occupava di questotriangolo? C’erano tre specialisti, uno per lato: l’Osteopa-ta tradizionale si occupava della struttura, il Medicointerveniva con i suoi rimedi chimici e lo Psicologo mani-polava la mente. Tre compartimenti stagni, tre diversemansioni per agire sui tre lati del triangolo, ma con l’ef-fetto di tirarlo ognuno dalla propria parte, rendendolospesso più sghembo che equilatero.

La Chiropratica o Chiroterapia nasce in America ma èpresumibilmente sempre esistita: antichi testi religiosiindiani, cinesi, egizi, romani e greci (chiropratica derivadal greco keir = mano e praxis = azione) parlano di guari-gioni ottenute mediante manipolazioni. Lo stesso Ippo-crate la praticava anche se in modo primitivo. È però nel1895 che la Chiroterapia viene alla luce su basi medico-scientifiche: luogo di nascita, Devenport, nello Statodello Iowa, padrino il dottor D.D. Palmer, cavia una per-sona di colore sofferente di schiena e per di più sordodalla giovinezza. Sottoposto ad un trattamento manualelungo la colonna scopriva di non sentire più i dolori ma di“sentire” nuovamente le voci e i suoni. Quella che pote-va essere una coincidenza venne ripetuta su un migliaiodi casi analoghi con un risultato positivo del 30% sulla fun-zionalità dell’udito.

La posizione della Chiropratica non è di antagonistadella medicina ufficiale ma di complementarietà e labase diagnostica è il corpo stesso, ma il suo interesse èmolto più rivolto alla salute che alla malattia. Cioè, men-tre cura un disturbo ne previene altri. E in cosa consisteil trattamento del Chiropratico? In azioni manipolatorie dispinta, di leva, di trazione che rendono possibile la nor-malizzazione di tutte le vertebre, delle articolazioni, deilegamenti. Ma particolarmente il suo campo d’azionesono le sublussazioni vertebrali, cioè il loro disallinea-mento rispetto all’asse.

Le sublussazioni sono le più frequenti anomalie causa-te dalle cattive posizioni che assumiamo nel corso dellagiornata; schiene curve degli scolari e di chi lavora ottoore a tavolino, storture di automobilisti e scoliosi di tele-dipendenti. Ma sono anche le scosse reiterate che si rice-

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vono viaggiando sui tram, sugli aerei, sui treni mentre siè “rilassati” e di cui non ci accorgiamo. Sono tutte insi-diose e lente deformazioni che la nostra colonna prendeperché è senza difese. Per non parlare poi dei traumidovuti a incidenti o cadute: il colpo di frusta è uno tra itanti. O dei danni imputabili ai reumatismi o all’età: chiinvecchia tende a piegarsi in avanti.

In questo ripiegarsi su se stessi o distorcersi sembra diintravedere lo Spirito vitale che se ne va, si disperde o sirintana sempre più all’interno di muscoli e ossa. Un corpoche si trascura non può diventare tempio dello Spirito. Masotto le abili mani dell’Osteopata, nelle sue varie specia-lizzazioni, è possibile realizzare il triangolo equilaterodella salute, dove anche lo Spirito torna ad insediarsi. Èil mitico potere nascosto alla base della colonna verte-brale, che gli Indù hanno chiamato Kundalini e che risve-gliandosi, e salendo lungo la colonna, conferisce all’esse-re umano poteri sovrannaturali. Ebbene, attraverso ilgrafico delle onde cerebrali si può constatare questorisveglio.

In altre parole, durante questo stato di profonda medi-tazione, per cui in totale connessione con il Divino, o conl'Energia cosmica se preferiamo questa definizione, il gra-fico evidenzia immediatamente che il livello maggior-mente attivo è il primo, quello del fisico,  mentre siassottiglia man mano che sale verso gli altri livelli (emo-zionale e mentale).

Questo ha permesso di appurare qualcosa di insolitoper la nostra normale concezione, ovvero che lo Spirito èveramente nella materia! Solitamente si tende, infatti, apensare che i livelli del mentale rappresentino una inten-sa vita spirituale. Invece non è così. Come non lo è nem-meno quando c'è un emozionale esasperato.

UNA CENTRALINA TELEFONICANumerosi fattori vengono, quindi, ad incidere negati-

vamente sulla colonna vertebrale che possiamo paragona-re ad una centralina telefonica i cui fili sono i nervi spi-nali. Così ce la descrivono gli specialisti che abbiamoincontrato nei loro studi per conoscere da vicino un Chi-ropratico olistico al lavoro.

Spesso sono anche specialisti in metalli tossici, medici-na vibrazionale e nutrizionale. E ci dicono che quando unnervo è schiacciato o irritato dalle vertebre bloccate,

gran parte degli ordini non possono più essere trasmessicorrettamente. Nella centralina spinale c’è un black outparziale o totale che viene evidenziato dal dolore o daidisturbi organici.

Il disallineamento delle vertebre, cioé la sublussazio-ne, può generare diversi disturbi come le vertigini, leemicranie, alterazioni visive o uditive, dolori intercosta-li, malattie intestinali, disfunzioni cardiache. Perfinol’apparato urinario può essere compromesso da una irre-golare disposizione delle vertebre. Lombaggini, sciatiche,cefalee suboccipitali sono i disturbi più frequentementeeliminati da un pronto trattamento chiropratico.

E questo è molto comprensibile visto il collegamentodiretto che c’è tra i nervi infiammati e le vertebre. Ciòche, invece, lascia sorpresi sono gli interventi che hannouna efficacia indiretta. Basti pensare all’asma, cioé ad unproblema polmonare e respiratorio. Eppure sono numero-sissimi gli interventi chiropratici che danno sollievo agliasmatici manipolando la seconda vertebra dorsale.

Ma il Chiropratico olistico non cura solo l’aspetto ver-tebrale o articolare perché si occupa della globalità delpaziente; anche l’aspetto biochimico viene preso inesame. La colonna vertebrale è sensibile a tutto ciò checompromette l’equilibrio generale della persona. Troppicaffé, per esempio, non fanno male soltanto al cuore maportano impercettibilmente a lente, sicure sublussazioni.Si comincia, quindi, con lo studio della postura, si proce-de con la manipolazione e si conclude con i suggerimentinutrizionali, le terapie vibrazionali di sostegno, l’elimina-zione dei metalli tossici.

Quello dei metalli tossici è un capitolo fondamentaledella Chiropratica a tutto campo. Perché serve a pocoriassestare la colonna o ribilanciare la muscolatura se silascia circolare un plasma carico di tossine, che poi rista-gnano negli organi o nei tessuti, imprigionate da retimolecolari o cellulari dove la vita non scorre più perchél’ossigeno non arriva e i rifiuti o i parassiti non vengonoespulsi.

La Chiropratica pura e semplice è una questione bio-meccanica mentre quella Olistica raggiunge il livello bio-chimico e quello biopsichico. Non basta, quindi, impedi-re che le 33 paia di nervi che escono da altrettante ver-tebre vengano schiacciati o irritati. Per recuperare inte-ramente la salute occorre un intervento dietetico.

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LO SPIRITO SOFFIA TRA LE VERTEBREQuando si parla di Osteopatia olistica entra i gioco

anche il soffio vitale, introducendo un concetto spiritualenell’osteopatia. Non si tratta quindi di una tecnica pura-mente fisica?

È anche una tecnica fisica. Ma in qualche modo ci deveessere un contatto con la psiche del paziente, un contattoche è fondamentale, pur nel rispetto della libertà di cia-scuno. Ci sono pazienti che non vogliono affrontare undiscorso sulla loro evoluzione personale e questo va accet-tato.

Ma ci può essere una guarigione senza un’evoluzione spi-rituale?

Può avvenire anche il contrario. Un miglioramento fisicoeclatante porta a volte a uno sviluppo interiore. L’essere èun tutto per cui il processo può avvenire in un senso o nel-l’altro. L’importante è trovare la giusta chiave d’accesso eper questo l’osteopata si deve far guidare dall’intuito, o dauna guida spirituale se si preferisce. Perciò il rapporto traosteopata e paziente è qualcosa di molto affascinante.

Come si manifesta il cambiamento profondo duranteuna cura con l’osteopatia?

Ho notato spesso che i pazienti piangono. C’è un piantoliberatorio, che fa quasi paura a certe persone. Tra l’altroil pianto è spesso un segno di cambiamento spirituale. Nonvoglio dire che le cose avvengano sempre in questi termi-ni, ossia che tutti i pazienti vivano il cambiamento comeun contatto con la sacralità. Ma comunque c’è sempre unsenso di liberazione e questo è di per sé spirituale. Infattitutto ciò che è trattenuto, compresso, tutto ciò che ci fapaura in realtà non è legato allo spirito. Lo spirito è forza,coraggio, gioia. In altri casi il paziente, mentre viene trat-tato in una zona del corpo, ha dei ricordi. Infatti si diceche i tessuti hanno memoria. Recentemente ho letto cheuna equipe di ricercatori ha fatto una scoperta secondo cuiil tessuto miocardico conserva la memoria di aritmie edisturbi gravi.

Quindi ci sono questi ricordi che a volte sono anche sgra-devoli, ma che comunque costituiscono una liberazione.Oppure improvvisamente si parla di Dio e anche questo èper me un segno che sta avvenendo qualcosa.

L’AUTOMASSAGGIO DIVENTA PREGHIERADal massaggio classico o «Masso-fisio-kinesi-terapia» che

è una specialità preventiva, curativa, estetica e sportiva altempo stesso si giunge all’Automassaggio olistico passan-do attraverso tutta la gamma delle varie Osteopatied’oriente e d’occidente. In tutto questo percorso si puòincontrare lo Spirito che soffia dove vuole, ma è anche unaforza con cui interagire.

La cura e il culto del proprio corpo sono vecchi quantolo è l’uomo. Dagli antichi Egizi agli Indiani, dalle espressio-ni di danza nelle tribù africane ai giochi olimpici inventatidai Greci. Sono gli antenati storici della massofisiokinesite-rapia, così come vengono esibiti con orgoglio dagli specia-listi che se ne occupano nel nostro tempo e che qui cer-chiamo di conoscere meglio. Il massofisiokinesiterapista,può essere anche un massaggiatore sportivo o estetico, madeve avere un bel curriculum nel settore. Spesso comeconsulente ospedaliero in collaborazione con i medici perl’ortopedia, oppure come massaggiatore del Coni. Neabbiamo conosciuto uno che aveva ideato uno studio mobi-le di fisiokinesiterapia al seguito del Giro d’Italia ma anchecome titolare di un centro ortopedico, riabilitativo tera-peutico.

Prima di tutto cerchiamo di sapere cosa significa “mas-sofisiokinesi terapia”. È una sinergia di massaggio, fisiote-rapia e movimento riabilitativo; tre attività paramedicheconvergenti in un solo operatore che sa dosarle opportuna-mente caso per caso. E chi si rivolge a questo specialistanel restauro del vigore del corpo? Tutte le persone deditead attività fisiche con i muscoli o gli arti stanchi ed affati-cati. Ma in particolare chi ha bisogno di una corretta pre-parazione del fisico in vista di una gara.

Di quali strumenti si serve? Si ottengono interventi con-creti usando le classiche apparecchiature e tecniche elet-tromedicali ma anche applicazioni d’avanguardia elettro-niche e computerizzate. E prima di questa legge come sipreparavano questi professionisti della salute? C’era la piùtotale anarchia. Accanto ai massaggiatori cechi, preparatida una apposita scuola nel dopoguerra, c’erano i cosiddet-ti massaggiatori della domenica, gli improvvisatori, e lagente si affidava al caso o alla buona sorte. Dopo la legge,la scuola si è aperta a tutti coloro che volevano seriamen-te impegnarsi, regolamentata da una selezione tecnica eattitudinale, offrendo anche ai “vecchi” massaggiatoriautodidatti la possibilità di mettersi in regola. Poi le diret-tive hanno via via privilegiato la formazione professionaledei giovani massaggiatori.

Una cosa molto seria, quindi. E per diventare massaggia-tori sportivi? Bisogna prima avere ottenuto il diploma diMassofisiokinesiterapeuti e poi accedere all’apposito Corsoorganizzato dalla Regione e dal Coni.

L’AUTOMASSAGGIOGià migliaia di anni fa, Ippocrate, il padre della medici-

na occidentale, faceva affidamento sul massaggio qualestrumento chiave per l’autoguarigione. Nelle culture asia-tiche i maestri si specializzano per prima cose nelle tecni-che del massaggio o dell’automassaggio. L’aspetto piùinteressante dell’automassaggio è che lo si può praticare inogni momento, senza appuntamenti e senza soldi.

Quando non si sta bene, alcuni punti dolenti sono pre-senti nella zona ed altri ad una certa distanza, detti puntiriflessi. Un riflesso descrive due aree del corpo separatema in relazione attraverso il sistema nervoso. Lo sfrega-mento sugli organi dolenti e la pressione sui punti riflessicontribuiscono al processo di guarigione. Punti riflessi litroviamo sulle mani, sui piedi e sulle orecchie.

Due sono le nozioni fondamentali per l’automassaggio.La prima consiste nella pressione e frizione sui punti delleorecchie, delle mani e dei piedi che sono riflessi di altreparte del corpo. La seconda nell’impastamento, sfiora-mento, percussione, leggera compressione su zone specifi-che di dolore o disfunzione per ottenere un trattamentolocale. Entrambi i sistemi tendono ad avere effetto sialocalmente sia di riflesso; perciò non si rischia di fare con-fusione. Si ottiene il massimo beneficio dal massaggiounendo il trattamento locale a quello riflesso.

L’automassaggio locale stimola la circolazione, distendei muscoli contratti e riduce il dolore (infatti istintivamen-te si tende a massaggiare le zone dolorose o tese per sti-molarne la circolazione).

La pratica regolare favorisce il benessere perché per-mette di ritonificare i tessuti connettivi e ripristina l’armo-nia del sistema nervoso. Un movimento veloce rivitalizzal’organismo, cancellando la fatica, mentre un massaggiolento distende i tessuti, ne favorisce il drenaggio, mette incomunione con lo Spirito che è in noi.

E diventa preghiera.

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“Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa(Palermo 1896 – Roma 1957) può essere considerato unromanzo esistenziale, storico e autobiografico. La vicen-da de “Il Gattopardo” è ambientata in Sicilia durante ladissoluzione del Regno borbonico di Francesco II2.

Don Fabrizio, principe di Salina e proprietario terrie-ro, è il classico rappresentante dell’aristocrazia cheassiste impassibile all’inesorabile declino.

L’arrivo delle truppe di Garibaldi che consegnerannoil potere ai Savoia segna la fine di un’epoca e la rapidaascesa di una borghesia rapace, cinica e spregiudicata.Il principe di Salina assiste con disincanto a questo pas-saggio storico cruciale3, mentre il nipote, Tancredi Fal-coneri, squattrinato e ambizioso, si arruola nell’eserci-to regolare e quando lo zio manifesta qualche perplessi-tà in merito, pronuncia la celeberrima frase : “se voglia-mo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.Don Fabrizio può solo rammaricarsi della scalata socialedei borghesi parvenu. Tancredi, invece, si innamoradella bella Angelica figlia di Calogero Sedara (magistral-mente interpretato da Paolo Stoppa nel Gattopardo diVisconti – 1963 -), un mezzadro rapidamente arricchito-si e diventato Sindaco di Donnafugata, residenza estivadei principi di Salina. La bruciante passione tra i duegiovani innamorati, magnificamente rappresentata daClaudia Cardinale e Alain Delon nel celebre e fortunatofilm diretto da Luchino Visconti, significa anche la con-

servazione del potere dei Salina (tramite i Falconeri)attraverso un matrimonio che unisce denaro (Sedara) eantica nobiltà priva di solide fortune (Salina). Tancredidiventerà un deputato del neonato Regno d’Italia4, ma laSicilia non cambierà. Lampedusa era dell’idea che ildestino dell’isola fosse stato determinato dalla combi-nazione di clima, natura, invasioni straniere e folliaindigena.

Come per molti siciliani, l’amore di Lampedusa per laSicilia era pari al suo odio e quest’ultimo era la direttaconseguenza e direttamente proporzionale all’estensio-ne della sua decadenza. Per Lampedusa era un luogo diestremi che si alimentavano l’un l’altro, lo splendoresempre eguagliato dallo squallore e dalla violenza.Inspiegabile come un’isola impareggiabile (tra l’altro, lapiù grande del Mediterraneo), la cui fecondità avevaattratto la cupidigia di molti, fosse diventata una terradi emigrazione. La Sicilia era stata perfetta (la MagnaGrecia, il granaio di Roma, Federico II stupor Mundi, lemeraviglie della Palermo islamica et cetera, et cetera),era in seguito “caduta” e ora, per usare un vocabolo diLampedusa era “irredimibile”. La concezione lampedu-sana della Sicilia come “irredimibile” infastidì molti iso-lani convinti che il progresso tecnologico e il governodemocratico potessero cancellare il retaggio negativo disecoli. La Sicilia è ovviamente stata trasformata dallacostruzione di autostrade* e raffinerie di petrolio e dal-

Umberto Accomanno

“Se vogliamo che tutto rimangacom’è, bisogna che tutto cambi”1

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l’industrializzazione del litorale orientale nonché daaltre e numerose pregevoli iniziative. Ma Lampedusaavrebbe trovato scarse testimonianze della sua reden-zione o del fatto che la tecnologia moderna avesseridotto alcuni usi non propriamente edificanti. Un auto-revolissimo critico (Leonardo Sciascia) dell’autore de “IlGattopardo”, dopo averlo attaccato perché colpevole diignorare la storia, con coraggio e lealtà ammise che“Lampedusa ha purtroppo avuto ragione e noi torto “circa la storia della Sicilia.

Lampedusa non è tuttavia un reazionario e nemmenoun sostenitore dei Borboni. Lo scrittore panormita eraun monarchico capace di criticare la monarchia quandoi suoi rappresentanti non si rivelavano all’altezza. Nelleparole di don Fabrizio (il principe di Salina) “i re cheincarnano un’idea non possono, non devono scendereper generazioni al di sotto di un certo livello; se no…anche l’idea patisce”. Il duca di Palma era un aristocra-tico che sapeva essere spietato verso le incongruenze

della sua classe. Il principe non venerava il Risorgimen-to come il sacro evento della storia d’Italia. In gioventùera stato critico nei confronti del sistema politico pro-dotto dall’unificazione e sino alla fine della sua vitarimase scettico circa le origini e i risultati raggiunti dal-l’Italia unita. Per lui il Risorgimento siciliano fu poco piùdi un cambiamento di dinastia (“dialetto torinese inve-ce che napoletano” sentenzia Don Fabrizio) e la sostitu-zione di una classe con un’altra (“Perché tutto resticom’è. Come è, nel fondo: soltanto una lenta sostituzio-ne di ceti”).

I Piemontesi non sono amati. Chevalley, il “proconso-le” sabaudo inviato sull’isola anche per sondare ladisponibilità del Principe a sedere nel Regio Senato aTorino, nel famoso romanzo così profetizzerà: “Questostato di cose non durerà; la nostra amministrazione,nuova, agile, moderna cambierà tutto”.

Ma Lampedusa sapeva che i “patrioti” siciliani nonavevano voluto un reale cambiamento e che in ogni casoi Piemontesi non sarebbero stati capaci di attuarlo. DonFabrizio indicherà a Chevalley il nome di Calogero Seda-ra quale migliore rappresentante degli interessi siculi aTorino.

Il Gattopardo è indulgente verso il ruolo dei Piemon-tesi in Sicilia, ne sottolinea l’ingenuità più che l’igno-ranza delle cose del sud o l’arroganza del comportamen-to. Non si sofferma molto sulla prepotenza dei politici,sull’imposizione delle leggi piemontesi o l’inosservanzadei costumi e delle tradizioni locali.

Il solo evento discusso a lungo è il plebiscito truccatocon cui i siciliani votarono se entrare o non a far partedell’Italia. In definitiva: una scarsa fiducia nei Savoianon adatti a cambiare le sorti dell’Isola.

D’altra parte, il comportamento dei conquistatori, daqualunque parte giungessero, e le reazioni dei conqui-stati, di qualunque epoca, sono stati molto spesso pre-

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vedibili. Se si eccettua il breve periodo di dominazionenormanna5, i governanti dell’isola cercarono sempre dinon soggiornare sul luogo – gli imperatori romani furonocolpevoli tanto quanto i re spagnoli e i primi ministri ita-liani del secolo scorso – e tra i signori feudali, che attin-gevano il loro potere da latifondi secolari – vi era unamillenaria tradizione di assenteismo6.

La risposta siciliana agli invasori stranieri, ha affer-mato Don Fabrizio, fu invariabilmente la stessa: erano“subito serviti, presto detestati e sempre incompresi”.Opinione non nuova: Voltaire si espresse più o meno allostesso modo scrivendo quanto segue: “odiavano quasisempre i loro padroni e si ribellavano contro di loro, manon facevano nessuno sforzo per guadagnarsi la libertà”.

Le opinioni di Lampedusa sono state aspramenteosteggiate e alternativamente definite: scandalose oinsolite. Riferisce David Gilmour, biografo del duca diPalma (uno dei titoli nobiliari del noto scrittore), che aiprimi dell’ ottocento un economista lombardo avevaosservato che i siciliani avevano un’opinione troppo altadelle proprie capacità per essere ansiosi di imparare ocambiare. Ma va detto che La Sicilia per il Principe con-servava ancora una certa grandezza corrotta che irecenti secoli di degrado non avevano estinto.

I detrattori di Tomasi di Lampedusa dimenticano unorgoglio ben nascosto, ignari che l’autore provasse mag-giore comprensione per il “voluttuoso torpore” degli iso-lani che per lo zelante Chevalley sabaudo.

La Sicilia, secondo Tomasi, poteva essere vana e cru-dele, ma almeno non mediocre. Per Lampedusa l’Italiasettentrionale era razionale, ma priva di colori vivaci.

Nel romanzo il conte milanese, militare e amico di Tan-credi, diventa un contino.

Un termine inadatto e inutilizzabile per definire unborbonico aristocratico (secondo la filosofia dello scrit-tore palermitano). In definitiva, malgrado la storia del-l’isola e i giudizi tranchant, questa conservava agliocchi di Lampedusa una sorta di grandezza deforme chenon poteva essere sminuita7.

Note1 – Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Milano 2003;2 - L’opinione dell’autore sui Borboni, filtrata attraverso leriflessioni del principe, è aspra e critica, anche se non oltrag-giosa o ingiusta quanto l’opinione di Gladstone e altri liberalibritannici. Francesco II di Borbone viene liquidato come “unseminarista vestito da generale”, mentre Ferdinando II vienedescritto nel corso di un’udienza con Salina: “si tratta di unpersonaggio rozzo e per nulla attraente”, anche se lontano daltiranno di Gladstone. 3 - Riferisce David Gilmour, L’ultimo Gattopardo – Vita di Giu-seppe Tomasi di Lampedusa, Milano 2003, pag. 194, nota a pièdi pagina: “Il conte di Cavour , il primo ministro italiano cheottenne l’unificazione nel 1859-1860, non era mai stato a suddi Firenze. Sapeva di più dei problemi dell’Irlanda che di quel-li dell’Italia meridionale e una volta, in parlamento, disse checredeva che i siciliani parlassero arabo.” 4 – Cfr. Francesco Barbagallo, La questione italiana – Il Nord eil Sud dal 1860 a oggi, Bari 2013; Emanuele Felice, Perché ilSud è rimasto indietro, Bologna 2013; Francesco Barbagallo, IlSud – Storia fotografica della società italiana, Roma 2001. Giovanni Valentini, Brutti, sporchi e cattivi. I meridionali sonoitaliani?, Milano 2012;Pino Aprile, Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gliitaliani del Sud diventassero meridionali, Milano 2010;Vito Tetti, Maledetto Sud, Torino 2013;Cfr. anche: Paolo Bricco, Disuguaglianza – Primo Rapporto Fon-dazione Hume – Sole 24 Ore – “Sud sempre più distante. Siamplia il gap con il Nord”, Il Sole 24 ore, Domenica, 26 aprile2015, pag.5. 5 – Hubert Houben, I normanni, Bologna 2013.6 – Sulla storia della Sicilia si vedano tra i numerosissimi testi:Pasquale Hamel, Breve storia della società siciliana (1790 –1990), Palermo 2012; Salvatore Tramontana, L’isola di Allah –Luoghi, uomini e cose di Sicilia nei secoli IX – XI, Torino 2014;Stephan R. Epstein, Potere e mercanti in Sicilia – Secoli XIII –XVI, Torino 1996; Alessandro Vanoli, La Sicilia musulmana,Bologna 2012; Ferdinando Maurici, Castelli medioevali in Sici-lia. Dai Bizantini ai normanni, Palermo, 1992; Stefano Piazza,I luoghi della Nobiltà – Le Ville di Palermo – Le dimore extraur-bane dei Baroni del Regno di Sicilia (1412 – 1812), Roma 2011;Federico II e la Sicilia a cura di Pierre Toubert e Agostino Para-vicini Bagliani, Palermo 1998. 7 – David Gilmour, L’ultimo Gattopardo - vita di GiuseppeTomasi di Lampedusa, Milano 2003 cfr. pag. 188 e seguenti.*Cfr. Tra gli innumerevoli articoli sul tema: Corriere dellaSera on – line del 14 aprile 2015: “La frana sull’autostradaCatania-Palermo. La Sicilia resta senza autostrada. Forse siabituerà anche a questo. Il crollo del ponte che ha pratica-mente tagliato in due l’isola.”

Il Gattopardo (il film)

Il Gattopardo è un film del 1963 diretto da Luchino Visconti che si ispira all’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lam-pedusa. L’opera di Visconti ha vinto la Palma d’oro come miglior film al 16° Festival di Cannes, Nastro d’Argento per lamigliore scenografia e per la fotografia a colori. Principali interpreti: Alain Delon (Tancredi Falconeri), Claudia Cardinale(Angelica Sedara ), Burt Lancaster (Il Principe di Salina, Don Fabrizio), Paolo Stoppa (Don Calogero Sedara), Romolo Valli(Padre Pirrone, il gesuita). Il film vanta, inoltre, un David di Donatello (1963) al miglior produttore (Goffredo Lombardo); unGolden Globe (1963) ad Alain Delon quale migliore attore debuttante; il premio Feltrinelli 1963 (premio per le arti – regiacinematografica) ed altri innumerevoli riconoscimenti.

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Francesco Licchiello

Stupidità e intelligenza

Stupido o stolto, secondo l’accezione comune, è chi hascarsa intelligenza, mente tarda, ottusa, oppure è inge-nuo, sprovveduto, credulone. In antropologia il significatoè diverso: stupido è chi pensa più con il cervello atavicoche con il cervello razionale.

Ad esempio, è stupido chi ragiona al modo medievaleanziché al modo illuministico moderno. Carlo M. Cipolla,storico dell’economia e filosofo, nel suo saggio “Allegro,ma non troppo”, servendosi di strumenti di analisi econo-mica, delinea le leggi fondamentali della stupidità umana,che qui riportiamo.

- Prima legge fondamentale sulla stupiditàSempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il

numero di individui stupidi in circolazione.Stultorum infinitus est numerus (Ecclesiaste-Qohelet)

1,15)- Seconda leggeLa probabilità che una certa persona sia stupida è indi-

pendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa per-sona.

In qualsiasi gruppo di persone, ricchi, poveri, operai,professionisti, bidelli, impiegati, studenti, professori, giu-dici, … il numero di stupidi e pressoché costante.

- Terza (ed aurea) legge Una persona stupida è una persona che causa un danno

ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contem-po realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendouna perdita.

Questo si nota, ad esempio, in Italia, nelle elezioni poli-tiche, quando una massa di stupidi vota senza alcuna capa-cità critica, danneggiando se stessi e gli altri che votanoconsapevolmente.

- Quarta leggeLe persone non stupide sottovalutano sempre il poten-

ziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stu-pidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momentoe luogo, e in qualunque circostanza trattare e/o associarsicon individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosis-simo errore.

La riprova è data dal fatto che i non stupidi difficilmen-te emergono nelle strutture di appartenenza nelle quali,quasi sempre, vi è una preponderanza di stupidi che osta-colano e danneggiano i non stupidi.

- Quinta leggeLa persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che

esista.Corollario: Lo stupido è più pericoloso del bandito.Da un bandito ci si può difendere, ma uno stupido è

imprevedibile ed è difficile neutralizzarlo. Fin qui è riassunta l’analisi di Carlo Cipolla.Sempre mi sono chiesto: come ha fatto il mondo a pro-

gredire nonostante il grande numero di stupidi al potere e

nelle masse? Com’è possibile, ancora oggi, il progresso,nonostante che nell’organizzazione dello Stato vi sia unnumero ragguardevole di stupidi?

Certamente la capacità, la volontà degli intelligentivolta a creare il nuovo e il meglio e a sopportare l’attaccodegli stupidi fino al martirio deve essere molto più forte eincisiva della capacità degli stupidi volta a odiare e adistruggere. Gli stupidi finiscono sempre con l’accettare ilprogresso tecnologico mentre resistono accanitamente alprogresso delle scienze umane - filosofia, antropologia,psicologia, sociologia… - che comportano un buon livello diintelligenza per essere apprezzate e capite.

E’ noto che, in genere, ottengono il potere e diventanocapi di stato o ministri persone che appartengono allamediocrità intellettiva, mai filosofi o scienziati o lettera-ti. Questo perché esiste un’onestà intellettuale nei nonstupidi che viene alimentata da un dannoso complesso disuperiorità e dall’orgoglio dell’Io consapevole, mentre esi-ste, negli stupidi, un’abilità mistificatoria e menzogneraistintiva, molto produttiva socialmente ed economicamen-te. Del resto lo stupido, specialmente in politica, riceveconsensi dalla grande massa degli stupidi perché questisono in gran parte creduloni, suggestionabili e inoltre sirispecchiano e si proiettano nell’uomo politico stupido.Parlando della stupidità siamo costretti a parlare dell’in-telligenza ed è giusto che sia così, poiché soltanto nelladicotomia si possono distinguere e raffrontare i due estre-mi di una relazione conoscitiva.

Gli psicologi parlano di vari tipi di intelligenza senzapoter darne una definizione esaustiva. Così è della stupidi-tà che si sfaccetta in varie tipologie e in vari gradi.

Per rendere comprensibile il problema che tale comples-sità ci pone utilizziamo delle osservazioni che potrannoilluminarci. L’intelligenza più elevata è quella speculativa,cioè la capacità di mettere insieme più fatti, più significa-ti, più osservazioni per giungere ad una scelta giusta o pertrascenderli inserendoli in una struttura che comporti

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l’emergenza di una novità (creativismo) che vada oltre lasommatoria degli elementi presi in considerazione. L’intel-ligenza, cioè, raccoglie i dettagli in una sintesi superiore.

Per Platone, filosofo è colui che vede l’intero, l’insieme.(Rep., libro VII, 537c).

Anche P. P. Pasolini dice che l’intellettuale è colui chemette insieme le cose e vede il mosaico significativo lad-dove altri (gli stupidi) vedono confusione.

Possiamo attribuire l’intelligenza a un uso lucido e pro-duttivo della razionalità collegata con la neocortecciacerebrale che controlla, dà significati e utilizza positiva-mente le emozioni collegate con il cervello limbico o emo-zionale). Quindi riconduciamo alla stupidità una minorecapacità razionale o una disarmonia o scollamento dellarazionalità con gli schemi emotivi che tendono a primeg-giare. Lo stupido sarebbe, quindi, più legato dell’intelli-gente a una primitività di pensiero e di azione, in cui pre-dominano le emozioni e gli istinti fissi comportamentali.Nonostante tutte le analisi antropologiche restiamo, tutta-

via, ben lontani dal poter dare una descrizione, una defi-nizione precisa sia della stupidità sia dell’intelligenza.L’una e l’altra hanno sfaccettature e caratteristiche diver-se. Non ci resta che definire la stupidità dalle azioni checommettono le persone che, come diceva Carlo Cipolla,danneggiano e contrastano l’azione della persona intelli-gente e libera. Purtroppo non si tiene nel dovuto conto lastupidità, specialmente nel campo politico. Prima o poi cisi renderà conto che la crisi attuale della democrazia nasceanche dal fatto che il voto di un idiota, o di uno stupido,vale quanto il voto di un filosofo.

Tendiamo ad attribuire alle ideologie i danni prodottidagli stupidi, ma, in verità non sono le religioni o le ideo-logie politiche che rendono stupidi gli uomini, ma sono gliuomini stupidi che rendono dannose le religioni e le ideo-logie. Se non ci fossero queste la stupidità troverebbe altrevie, altri modi, per manifestarsi.

La manifestazione più temibile prodotta dalla stupiditàè il fanatismo di massa.

Accade spesso di essere coinvolti in chiacchierate più omeno appassionate che riguardano, in modo più o menodiretto, il collegamento tra il mondo delle idee e quellodella quotidianità. Capita quando parliamo della nostravita lavorativa e di quella privata, del modo in cui proce-de il percorso di crescita e la vita dei nostri figli, delmodo in cui vediamo risolti – o non risolti – alcuni proble-mi con i quali dobbiamo relazionarci.

Tutti abbiamo avuto, e abbiamo, una “soluzione evi-dente”, spesso assai semplice, per problemi che sonorestati, o restano, a lungo irrisolti.

A dire il vero, in molti casi, la facilità con la quale pen-siamo di avere in tasca la soluzione pronta a tanti proble-mi, dipende in larga misura dalla difficoltà di percepirnela complessità. Viste da lontano, molte cose sembranopiù semplici di quanto non siano nella realtà. Tuttavia,questa prospettiva falsata è anche all’origine di moltedelle “soluzioni improbabili” per le quali accade di spa-zientirci e perdere fiducia.

La capacità di trovare soluzioni efficaci è un problematipico per chi si occupa delle organizzazioni, della lorogestione e del loro indirizzo. Molti di noi sono in questacondizione e, anche se non godono del prestigio ricono-sciuto ai manager di lignaggio, hanno una parte della loroquotidianità dedicata alla ricerca di soluzioni.

Ogni organizzazione – grande o piccola che sia – ha isuoi problemi di relazioni interne, di sviluppo, di motiva-zione, di assegnazione delle mansioni, e di budget.

Ogni Responsabile – blasonato e remunerato a piacere– ha la necessità di contribuire a definire un sistema chegarantisca stabilità, continuità, crescita e sostenibilità.

Molti si dedicano a questo compito con infinita pazien-za e amorevoli cure, promettendo e incoraggiando, pro-digandosi come emuli di Madre Teresa. Altri spronano esfidano, dirigono e ordinano come Sergenti Maggiori.Alcuni, infine, attendono – sempre un po’ scettici – che lecose possano mutare, pur mostrando evidente diffidenzasul fatto che le persone possano mai cambiare.

Gli approcci, lo comprendiamo bene, sono multiformicome i caratteri. Ciò che fa la differenza, sempre, è ilgrado di vicinanza, o lontananza, rispetto al fenomenosul quale si deve intervenire. Ciò che realmente conta è,insomma, il grado della nostra supponenza: quanto sup-poniamo di aver capito delle cose alle quali ci dedichia-mo. Affermazione scontata, ma meno banale di quantonon appaia a prima vista se, solo facendo mente locale,riflettiamo su quanto spesso consideriamo “semplici”attività, impegni e lavori che non conosciamo affatto, oquanto consideriamo scontato il comportamento o lapazienza di chi ci circonda.

Così è la nostra attenzione – o poca attenzione - ai det-tagli a fare la differenza. Nel proporre la soluzione a unproblema come nel scegliere l’atteggiamento da tenerein una certa circostanza, preferendo spesso quello checrediamo “ci si addica meglio” senza verificare se siaquello corretto.

Guido Luigi Buffo

Problemi di supponenza?

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Vittoria Colpi

Arte ed anarchia: una rivisitazione

Tra la fine dell’Ottocento ed i primi vent’anni delNovecento il Canton Ticino è stato un crocevia di avveni-menti e di personaggi, artisti e filosofi come MichailBakunin, Pëtr Kropotkin, Elisée Reclus, che hanno fatto lastoria dell’anarchia.

Con motivato orgoglio quindi il Museo d’arte di Mendri-sio ha inaugurato alla fine dello scorso marzo la mostra“Addio Lugano bella. Anarchia tra storia e arte”, che si èavvalsa delle competenze di diversi studiosi ed ha trova-to un sostegno anche sul versante italiano, nel Palazzodelle Paure della vicina Lecco. Qui l’evento “Disegno eDinamite. Le riviste illustrate tra satira e denuncia”, evi-denzia quanto la carta stampata e i nuovi, di allora, pro-cessi di fotomeccanica abbiano contribuito alla diffusionedelle idee anarchiche.

Se il progetto ha come matrice la storia, da subito siallarga a ventaglio sulle relazioni tra scritti anarchici deltempo ed esperienze artistiche, creando un tassello dimaggior comprensione dei movimenti artistici che si sonosucceduti e velocemente, in quegli anni: neo-illuminismoe divisionismo, dada e simbolismo.

Simone Soldini, Direttore del Museo d’arte di Mendri-sio, nel capitolo introduttivo del catalogo che accompa-gna entrambe le mostre, afferma che «non ci fu mai unmovimento artistico dichiaratamente anarchico», sog-giungendo: «fin dai tempi di Courbet, fu soprattutto

l’avanguardia artistica ad aderire agli ideali dell’anar-chismo».

La mostra si avvia con il rilievo dato alla breve formadi governo popolare della Comune di Parigi, dal 18 marzoal 28 maggio 1871, soffocata poi dai versagliesi con fuci-lazioni di massa nella cosiddetta “settimana di sangue”.Le iniziative dei Comunardi, separazione tra Stato e Chie-sa, istruzione laica ed obbligatoria, socializzazione delleimprese, risentivano fortemente dello spirito anarchico.Il ritratto di Pierre-Joseph Proudhon, eseguito da Cour-bet nel 1865, anno della morte del filosofo apre la rasse-gna, come doveroso omaggio.

A Courbet, pittore realista e teso a fare un’arte “viva”in sintonia con la vita sociale, Proudhon aveva dedicatouno scritto, uscito postumo, sul ruolo dell’artista in unasocietà ideale.

Altre due opere esposte si riallacciano all’esperienzadella Comune: di Maximilien Luce, la litografia “Une ruede Paris en mai, 1871”, dove la tecnica neo-impressioni-sta dell’autore fondata sulle teorie di percezione dellaluce fa rivivere sui corpi abbandonati per terra la trage-dia della repressione; di Théophile Alexander Steinlen,svizzero trapiantatosi a Parigi, “La Commune, LouiseMichel sur les barricades”, 1885, opera simbolista dovel’eroina, deportata poi in Nuova Caledonia, è avvolta inuna bandiera rossa e con i seni scoperti.

A. Morbelli, Per 80 centesimi!, 1895, Museo Francesco Borgogna, Vercelli

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La figura femminile appare spesso nei lavori in mostracome simbolo di fertilità delle idee. Altri simboli: il gattonero, sinonimo di indipendenza; il gesto del demolire eancora il Sole nascente, espressione di un mondo nuovo,libero dai “poteri” e più giusto nella distribuzione dellaricchezza.

Tra gli anni 1872 ed il 1894 si innesta in Europa una gran-de depressione di cui ne fanno le spese i contadini, i pro-letari delle grandi città e coloro che lavorano sfruttatinelle miniere e nelle industrie siderurgiche per l’aumenta-ta richiesta di materiali per l’edilizia. L’orizzonte dellamostra si apre quindi sulle condizioni di vita della gentecon numerose opere tra cui citiamo: “Per ottanta centesi-mi!”, 1895 di Angelo Morbelli, divisionista, che riprende illavoro stremante e mal pagato delle mondine, e “Le vitti-me del lavoro”, 1878, bozzetto in gesso di Vincenzo Vela ededicato ai morti durante il traforo del San Gottardo; men-tre ne “L’homme à sa toilette” Luce eleva un umile opera-io a protagonista del dipinto, contrapponendo, secondo ilpensiero anarchico, la dignità del lavoro allo sfruttamentodel capitale. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento diventa-no sempre più frequenti in Francia, Italia e Spagna atti iso-lati di violenza anarchica contro la società capitalista eborghese. In Svizzera il governo federale, su pressanterichiesta degli Stati confinanti, emana nel 1895 i decreti diespulsione, rinunciando a quel diritto di asilo dei rifugiatipolitici da sempre osservato nella Confederazione.

I dipinti di Emilio Longoni, “L’oratore dello sciopero”,1891 e “Bagno penale a Portoferraio”, 1894 di TelemacoSignorini, socialista mazziniano, raccontano questo sof-ferto periodo.

J. Ensor, Alimentation doctrinaire, 1889, Collezione Ensor Foundation, Belgio

M. Luce, L’homme à sa toilette, 1887, Association des Amis duPetit Palais, Ginevra

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La rappresentazione di fatti reali con tecniche scienti-fiche di luce e colore avvalora la tesi del progetto espo-sitivo di un avvicinamento tra arte ed anarchia, o megliodi una loro evoluzione verso un comune obbiettivo di“armonia”: armonia nella tela dipinta con piccoli punti diluce, armonia nella società idealizzata dagli anarchici.

E l’opera di Paul Signac “Au temps d’harmonie”, 1894-95, di cui in mostra uno schizzo sembra raccogliere ilmessaggio utopico. A questa idea si riallaccia l’esperien-za di vita sociale di un gruppo di intellettuali ed artistiriuniti al Monte Verità presso Ascona.

Sempre esplosive nella loro contenuti, parole e disegni,sono le vignette esposte a Lecco e tratte da riviste di sati-ra sociale e di costume sorte in Europa dalla seconda metàdell’Ottocento fino all’inizio della Grande Guerra. Antimi-litarista è la rivista “Le Libertaire”, diretta dall’anarchicoSébastien Faure; anticlericale “Les Corbeaux” nella qualeDidier Dubucq, che si firma Ashavérus, si sbizzarrisce aporre in ridicolo sacerdoti e suore, incorrendo in denuncevarie; anticapitalista “L’assiette au beurre”, con sferzatea fatti di costume ma anche al tragico eccidio degli Arme-ni in Turchia; fondata sulle istanze dissacranti del movi-mento dada la tedesca “Die Pleite”.

Il tema dell’anarchia è affascinante ma nel contempoimpervio. Ciò nonostante l’Ufficio attività giovanili dellaCittà di Mendrisio lo ha volutamente allargato alle scuolelocali con il workshop “A come Anarchia”, per approfon-dire il nesso tra arte ed anarchia, il tutto nell’accezionedi rottura degli schemi per una società più democratica.(per info: www.mendrisio.ch/museo) G. Courbet, Pierre-Joseph Proudhon, 1865, Musée d'Orsay, Parigi

Ashaverus, Achetez et lisez, Les Corbeaux, 1907, Collezione privata, Parigi

E. Longoni, L'oratore dello sciopero, 1891, Credito Cooperativodi Barlassina

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Milano e l’Italia si apprestano ad ospitare l’EXPO perla seconda volta, ad oltre un secolo da quella del 1906. Inquesto libro l’autore si propone di far conoscere la storiadelle Esposizioni universali, iniziando da quella di Londra1851, che segnò l’inizio di un nuovo modo di comunicareal mondo il progresso dell’Uomo, le invenzioni, le aspet-tative e le speranze per il futuro.

Da allora si sono susseguite molte Esposizioni, nelle piùgrandi città del mondo. Milano ospitò l’Esposizione inter-nazionale del 1906; quell’evento, che puresegnò una svolta importante per la città e losviluppo industriale, oggi è quasi completa-mente sconosciuto. L’occasione fu data dal-l’apertura del Traforo del Sempione, realiz-zato in soli sei anni, che per lungo temporimase la galleria ferroviaria più lunga delmondo; il tema principale fu “I trasportiterrestri, marittimi, fluviali e aeronautici”,ma vi si parlò anche di previdenza sociale,di agricoltura e di alimentazione.

I visitatori furono oltre 10 milioni.Viene ripercorsa la storia di altri grandi

eventi, come l’Expo di Parigi 1889, checelebrò il Centenario della RivoluzioneFrancese, e ci lasciò la Torre Eiffel, quelladi San Francisco 1918, in occasione del-l’apertura del Canale di Panama, o Bruxel-les 1958 che ebbe come simbolo l’Atomium.

Vi sono altri capitoli della storia dell’Ex-po Milano 2015, poco noti, o dimenticati,come il grande impegno del Sindaco Morat-ti, e del suo team, per conseguire questosuccesso, superando in finale la concorren-za di Smirne.

Nel libro si parla anche della presenzadelle grandi organizzazioni internazionali,in rappresentanza della Società civile, tracui i Lions, ed il loro ruolo nella manifesta-zione.

Infine uno sguardo al futuro: cosa è pre-visto nel sito di Rho-Pero dopo il 31 ottobre2015, con le dichiarazioni di un Sottosegre-tario alla Regione Lombardia. Infine, un’an-ticipazione della prossime Expo: Astana2017, Kazakistan, e Dubai 2020, EmiratiArabi.

Il testo è corredato da una ricca docu-mentazione fotografica che illustra il susse-guirsi delle scoperte dell’Uomo, l’evoluzio-ne della tecnologia e della qualità dellavita, i ritratti dei personaggi che fecero lastoria delle Expo.

Come è noto durante l’Expo Milano 2105 si parleràmolto di come “Nutrire il pianeta”, argomento che subi-to richiama alla mente l’opera del Pane Quotidiano; sullaseconda di copertina del libro è precisato che una partedel ricavato sarà devoluta al Pane Quotidiano.

Il volume è disponibile presso la sede di Viale Toscana,e presso l’Editore Lasergrafica Polver, Via Kramer 17,Milano – tel. 02-76.000.217

Storia delle Esposizioni Universali Il passato, il presente, il futuro: Milano Expo 1906-2015 - Il libro di Renzo Bracco

Renzo Bracco

1906 MILANO 2015

Storia delle Esposizioni Universali

passato

presentefuturo

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La Società “Deep Ocean Search” ha recuperato nel-l’aprile 2015 dal relitto della nave “City of Cairo”, adoltre 5000 metri di profondità (Oceano Atlantico), 100tonnellate di monete d’argento (monete coloniali delloscomparso “British Empire”).

Secondo stime della stampa anglo-francese il caricod’argento ha un valore di circa 34 milioni di sterlineinglesi (pari a 50 milioni di dollari U.S.A.). La “City ofCairo”, cargo e nave passeggeri, è stata affondata allargo della Namibia - ex Africa del Sud-Ovest - da un sot-tomarino tedesco nel 1942. Partita da Bombay dovevaraggiungere l’Inghilterra. Trasportava oltre 300 passegge-ri e diversi quantitativi di caffè, legna e ghisa. Le opera-zioni di recupero erano iniziate nel novembre del 2011.

Il tema dei ritrovamenti delle navi affondate è stermi-nato ed è disponibile ampia bibliografia.***

La casistica è varia e sorprendente. Il “Corriere dellaSera” del 20 marzo 1987 riportava un dispaccio ANSA(Londra) che titolava: “Trovato su una nave un tesoro di60 miliardi di lire” (vecchie lire italiane in circolazioneprima dell’avvento dell’euro). Il tesoro “ripescato” nonlontano dalla costa inglese del Devon comprendeva pietrepreziose, oro e avorio (tutti doni inviati alla famigliareale britannica da alcuni maharaja); la favolosa collezio-ne d’arte orientale di un governatore inglese in India euna certa quantità di lingotti d’argento inviati dalle colo-nie per finanziare lo sforzo bellico (Prima guerra mondia-le) della madrepatria.

Si trattava della nave “Medina”, partita dall’India ediretta a Londra, silurata da un sottomarino tedesco nel1917.

***A titolo meramente esemplificativo e non esaustivo: “Piecesof eight, recovering the riches of a lost spanish treasure fleet”by Kip Wagner, as told by L.B. Taylor, jr- Florida Classic Library, Port Salerno, Florida (1988); - La prima edizione è del 1966 – copyright “Real Eight Company,Inc.” and L.B. Taylor, jr. - U.S.A. (1966);- Carlo M. Cipolla, Conquistadores, pirati, mercatanti. La sagadell’argento spagnuolo, Bologna 2011; - Carlo De Risio, L’oro dei sette mari, con “i cacciatori di teso-ri”: ricerca, tecnica, avventura, storia, Roma 2015; - Cameron Platt – John Wright, Alla scoperta delle isole del teso-ro, Casale Monferrato (Alessandria), 1998.

Fair Play

City of Cairo: 100 tonnellate di monete d’argento

La copertina dell’ultimo libro di Carlo De Risio: “L’oro dei settemari”, Roma 2015

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