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CFMTModelli di business in Italia

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    In Italia: come ri-posizionare i modelli di business delle imprese

    Enzo Rullani La transizione in corso mossa dalla forza propulsiva di alcuni drivers che le imprese

    devono necessariamente agganciare ai loro modelli di business: - La globalizzazione dei mercati, che valorizza le differenze (di costo e di capacit) e, al

    tempo stesso, d spazio a grandi moltiplicatori di ri-uso delle conoscenze; - il networking che consente di trasferire a costo zero le conoscenze codificate e grazie

    alla rete di mettere le persone in grado di interagire a distanza, in modo immediato, trattando problemi e idee non codificate;

    - lautomazione flessibile, che oggi consente alle macchine automatiche di nuova generazione (piccole, decentrabili in rete, capaci di adattarsi agli ambienti e di gestire un certo livello di complicazione), aumentando cos di molto lo spazio della potenziale meccanizzazione delle operazioni, sia nel lavoro di fabbrica che in quello di ufficio;

    - il worldmaking, che crea mondi ricchi di esperienze e di significati, appoggiandoli a comunit di senso, ad ambienti fisici (la citt, il paesaggio), alluso di prodotti e servizi che migliorano la qualit del vivere e del lavorare;

    - la ri-personalizzazione, che torna ad essere al centro della scena economica e sociale perch solo le persone sono in grado di gestire la complessit crescente del mondo di oggi, in cui abbiamo di fronte una grande variet di scelte, alla condizione che crediamo in una delle tante possibilit, ci investiamo su e assumiamo i rischi corrispondenti, visto che gli esiti sono comunque incerti. La ri-personalizzazione affiora in tutte le situazioni in cui ci sono problemi complessi di lavoro, di relazione o di consumo da affrontare, mentre i problemi semplici o ripetitivi sono delegati sempre di pi a codici, algoritmi, programmi, macchine o apps che forniscono soluzioni rapide e poco costose.

    Si tratta di cinque grandi onde che stanno attivamente cambiando il mondo in cui viviamo e lavoriamo. Tutti i paesi e tutti i tipi di imprese devono attrezzarsi, trasformando le loro modalit di azione e i loro modelli di business, per catturare lenergia di queste cinque onde, che muovono la transizione in corso.

    Ma, partendo da posizioni iniziali diverse collegate alle rispettive eredit storico-culturali e alle loro specializzazioni settoriali dovranno farlo in modo diverso. E probabile che le grandi imprese siano gi attrezzate per muoversi in modo efficace nello spazio globale, mentre le piccole immerse nei contesti di prossimit - si trovino di fronte ad una trasformazione assai impegnativa. Allo stesso modo, probabile che le imprese manifatturiere si trovino a loro agio nel seguire londa del networking e dellautomazione, che richiedono di codificare le conoscenze e di meccanizzare le operazioni, mentre le imprese di servizi salvo eccezioni avranno probabilmente bisogno di pi tempo e di maggiore apprendimento per riuscire a padroneggiare codici e dispositivi con cui hanno una limitata familiarit.

    Non c dunque un solo percorso di transizione, ma tanti e diversi. Anche quando si tratta di muoversi verso lo stesso porto di arrivo, le vele e le rotte richieste per il viaggio devono essere specifiche, a seconda del punto di partenza e del percorso sperimentale di volta in volta seguito.

    Se questo vero, in Italia, non ci si deve proporre di fare come gli altri (i tedeschi, gli americani ecc.), ma si deve invece cercare di seguire la strada che corrisponde alla nostra specificit.

    In che modo? Le imprese italiane si trovano di fronte ad una evoluzione che per certi versi conferma le

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    linee di sviluppo lungo cui cresciuto il capitalismo distrettuale negli anni 1970-2000: la ri-personalizzazione in Italia pu contare su moltissime imprese personali o familiari, che utilizzano a piene mani la conoscenza generativa delle persone, e hanno semmai lhandicap di non avere abbastanza familiarit con la conoscenza codificata nella ricerca, nelle tecnologie innovative, nellinformatica e nei sistemi comunicativi e di marketing.

    Un altro trend che corrisponde ai percorsi gi avviati dal made in Italy quello del worldmaking, che si appoggia ai significati correlati al prodotto materiale. Gli stili, i marchi, il design, il gusto nellalimentare hanno dato vita in tutta una serie di settori a quello che stato a ragione chiamato il settore del prodotto Bello e Ben Fatto (BBF). Piattaforme di partenza da cui possibile partire per costruire ambienti ricchi di significato, come prescrive il worldmaking. Certo non tutte le imprese sono avanti in questa linea di tendenza, ma abbiamo una base di partenza non banale.

    Meno bene ci troviamo con le altre tre onde della transizione in corso. La globalizzazione impone infatti di specializzare la propria competenze e il proprio ruolo allinterno di filiere estese, mentre leconomia che abbiamo ereditato dal novecento soprattutto una economia della prossimit, che usa il territorio come medium organizzativo a basso costo, che permette di mantenere informali le relazioni tra le persone e di utilizzare il sapere pratico derivante dallesperienza sedimentata in un luogo.

    Per superare il potenziale conflitto tra il locale e il globale, occorre che le imprese dotate di radici globali cerchino di utilizzare conoscenze, fornitori e mercati in una logica di convenienza globale; e che, al tempo stesso, mantengano radici e originalit territoriale (e aziendale) per quanto riguarda la conoscenza generativa con cui innovano, rispondono in modo flessibile alla domanda, creano stili di vita e significati nel consumo, interagiscono con gli altri attori della filiera e del territorio.

    Queste due polarit vanno integrate, evitando che si paralizzino a vicenda. La piccola impresa locale, ad esempio, deve digitalizzarsi e collegarsi a un sistema ampio di divisione del lavoro, ma al tempo stesso deve mantenere la propria unicit per quanto riguarda le funzioni generative utili alla filiera.

    Per quanto riguarda lautomazione, in Italia abbiamo buone pre-esistenze grazie alla presenza di unindustria meccanica che si avvia a diventare con successo meccatronica. Ma, in molti casi, la creativit flessibile con cui le macchine sono concepite e realizzare in risposta a bisogni di nicchia o a domande personalizzate del singolo cliente non hanno accesso ai moltiplicatori che consentono in una filiera estesa di ri-usare la stessa base di conoscenza, con i vantaggi di scala conseguenti.

    Il networking, per adesso, sconta qualche ritardo rispetto allintensit digitale e relazionale a cui sono giunti alcuni paesi sviluppati, nostri concorrenti. Ma le reti digitali che per adesso caratterizzano soprattutto le grandi imprese (standardizzate e codificate) sono uno strumento fondamentale per dare alle piccole capacit di specializzazione e di integrazione in filiere globali lontane, che non possono essere raggiunte a basso costo - di persona o con i prodotti fisici. Possiamo dunque immaginare che, dopo il ritardo iniziale, possano nel nostro paese crescere reti che addensano conoscenza e rapporti a tutti i livelli: di filiera, di territorio, di impresa.

    Nellevoluzione in corso, le imprese possono aprirsi al futuro se cominciano a fare investimenti a rischi, finora rimandati, a causa della crisi. Ma il futuro che si prepara ha un elevato e crescente livello di complessit (variet, variabilit, interdipendenza, indeterminazione). E molto probabile che il rischio sia tale da scoraggiare investimenti fatti nel contesto finanziario classico della piccola impresa: scarso capitale di rischio (lapporto iniziale pi lautofinanziamento cumulato negli anni); ricorso al credito importante ma sempre pi difficile (credit crunch da eccesso di rischio, da parte delle banche); difficile ricorso al capital venturing e a forme di investimento finanziario che hanno giustamente molte difficolt a valutare la credibilit dei progetti di investimento aziendale, il cui buon esito in una piccola o media impresa legato in modo

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    determinante alle capacit e al carattere dellimprenditore-persona. Chi non lo conosce in modo approfondito, fa fatica a capire se le aspettative contenute nei business plans sono realistiche o meno.

    Che fare, dunque, per aumentare il livello di rischio sostenibile e gli importi di investimento finanziabili?

    La prima soluzione praticabile, nel mondo imprenditoriale frammentato che domina la nostra scena, quella della tenace e diffusa costruzione di reti (o alleanze) tra imprese complementari, in vista di progetti ambiziosi che superano le competenze e i mezzi dei singoli imprenditori coinvolti. Mettendosi insieme ad altri, e specializzandosi reciprocamente, limprenditore pu, attraverso la rete, usare le competenze e i capitali di altri, messi al servizio di un progetto di interesse comune.

    E difficile vincere lindividualismo degli imprenditori attuali, ma le esigenze competitive parlano chiaro: solo condividendo progetti ambizioni, capitali investiti e rischi assunti molte piccole imprese possono far fronte alle sfide che si aprono oggi. E questo per chi sa imparare dalla storia conta.

    Unaltra soluzione rilevante quella di aumentare il capitale di rischio delle imprese, chiamando a far parte della compagine sociale persone che per una ragione o per unaltra conoscono direttamente le abilit personali dellimprenditore finanziato e sono dunque in grado di fare una valutazione realistica del rischio (di perdere o di guadagnare) assunto.

    Chi sono questi potenziali soci, a cui limprenditore pu rivolgersi per varare piani di innovazione di una certa complessit e ambizione?

    I concorrenti, in primo luogo; poi i fornitori e i clienti della filiera; i manager e i dipendenti, i distributori che vendono il prodotto e persino i consumatori se credono nella validit del vino biologico prodotto o di un filone di letteratura particolarmente amato. Anche le banche che si sono attrezzate per entrare in un rapporto inter-personale diretto sono in grado di valutare il rischio degli investimenti proposti, sebbene spesso i legami personali tra banche e imprese finanziate abbiano prodotto errori di non poco conto, influenzando le valutazioni del rischio.

    Infine, una via per condividere il rischio degli investimenti (senza offrire finanziamenti specifici) quella contrattuale. Si possono infatti stipulare contratti tra fornitori e clienti, datori di lavoro e lavoratori, azionisti e manager, consulenti e utilizzatori, imprese e territorio, banche e operatori finanziati in cui il prezzo delle prestazioni fornite non stabilito ex ante, ma varia con una formula stabilita ex ante di comune accordo in funzione dei risultati che il progetto condiviso riesce effettivamente ad avere nel corso della sua realizzazione.

    In tutti questi casi, limprenditore monocratico tradizionale deve accettare che ci siano altri soci, pi o meno rilevanti, a cui rendere conto delle decisioni prese (a loro rischio) e con cui condividere progetti innovativi e scelte strategiche.

    Non un passaggio facile, ma la forza delle cose costringer molte imprese a sperimentare forme di coinvolgimento pluri-personale di capitali e attori di varia provenienza, scelti dallimprenditore-persona, certo, ma pur sempre potenzialmente ingombranti, dopo la luna di miele iniziale.

    Unaltra ragione che gioca a favore dello sviluppo delle imprese verso la forma dellimprenditorialit pluri-personale che essa la soluzione pi stabile e sicura quando ci si trova di fronte al ricambio degli uomini, nei posti di comando. La successione tra padri e figli, ad esempio, cessa di essere un evento traumatico e necessitato, in una situazione in cui lazienda ha assunto forma pluri-personale, perch ci sono molte persone che possono guidarla, in concerto tra loro, anche in assenza o in mancanza dellimprenditore-persona, che invecchia, si ammala o per questa o quella ragione - esce dalla vita attiva.