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CENTRO PER LA FORMAZIONE IN ECONOMIA E POLITICA DELLO SVILUPPO RURALE DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E POLITICA AGRARIA Università degli Studi di Napoli Federico II Collana Working Paper Questa pubblicazione è disponibile on-line al sito del Centro per la Formazione in Economia e Politica dello Sviluppo Rurale http://www.centroportici.it o al sito del Dipartimento di Economia e Politica Agraria dell’Università di Napoli Federico II http://www.depa.unina.it This publication is available online on the CENTRO website:http:// www.centroportici.unina.it Per commenti o questioni relative al contenuto di questo paper si prega di contattare gli autori For questions or comments about the contents of this paper, please contact the authors

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CENTRO PER LA FORMAZIONE IN ECONOMIA E POLITICA DELLO SVILUPPO RURALE

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E POLITICA AGRARIA

Università degli Studi di Napoli Federico II

Collana Working Paper Questa pubblicazione è disponibile on-line al sito del Centro per la Formazione in Economia e Politica dello Sviluppo Rurale http://www.centroportici.it o al sito del Dipartimento di Economia e Politica Agraria dell’Università di Napoli Federico II http://www.depa.unina.it This publication is available online on the CENTRO website:http:// www.centroportici.unina.it Per commenti o questioni relative al contenuto di questo paper si prega di contattare gli autori For questions or comments about the contents of this paper, please contact the authors

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I determinanti delle innovazioni di prodotto nell’industria alimentare italiana:

il ruolo dell’Università e delle istituzioni pubbliche di ricerca1

The determinants of product innovation in the Italian Food Sector: the role of the Universities and Public Research Labs

Massimiliano D’Alessio* e Ornella Wanda Maietta**

working paper n.4 /2007 18th April 2007

Abstract

This paper focuses on an important issue currently debated in literature: the role of public research institutions in helping to promote the processes of technological and economic catch up, development and growth. Objective of the paper is to verify whether and how Universities and other public research institutions influence the innovation process in the Italian agro-food sector. The data used are the 7th (1995-97) and 8th (1998-2000) wave of Capitalia surveys based on a representative sample of manufacturing firms with information on firm characteristics, employee education levels, innovation and R&D investments. The approach used is a probit analysis where the dependant variable is the introduction of product innovation and the dependant variables are firm characteristics. The analysis has been performed separately for the two periods for Italy and for the South of Italy. The results of the analysis show that the determinants of innovations in the agro-food sector are different for firms in the South of Italy respect with those located in the rest of the country and new determinants, as the use of part-time labour, have emerged for the second period examined. The linkage with the Universities and other public research centres was always significant for Italy and not significant during the years 1995-97 for the South of Italy; the size was significant only in the first period while the R&D intensity was significant only in the second period both for Italy and for the South of Italy. Human capital of employees became significant in the year 1998-2000 as a consequence of labour market deregulation. Keywords: innovations, University-industry interactions, agro-food JEL: O31, D21, R1

1 Si ringraziano vivamente Antonio D’Agata e Grazia Santangelo per aver commissionato questo lavoro in occasione della invited lecture del Professor Richard Nelson, della Columbia University: ‘The Roles of Research at Universities and Public Labs in Innovation Systems’, presso l’Università di Catania, Facoltà di Scienze Politiche, Modica; si ringraziano ancora Roberto Basile ed Erasmo Papagni per gli utili suggerimenti e Francesco de Stefano per gli interessanti commenti che hanno permesso di migliorare in modo apprezzabile una precedente versione di questo lavoro. Lavoro realizzato nell’ambito del progetto PRIN “Spillovers sistemici sulla competitività dell'industria italiana: una valutazione quantitativa per le politiche di settore”.

* Fondazione Metes, Roma. ** Università di Napoli Federico II e Centro per la Formazione in Economia e Politica dello Sviluppo

Rurale, Portici.

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1. Introduzione L’importanza delle innovazioni per la performance competitiva di imprese e di

nazioni e per la crescita economica di lungo periodo è riconosciuta da tutte le scuole di

pensiero economico. Tuttavia, le scelte politiche economiche compiute in Italia negli

ultimi trent’anni hanno sacrificato obiettivi di crescita di lungo termine, privilegiando la

competitività di costo, come dimostrato dalle politiche di lavoro ispirate alla flessibilità,

rispetto alla competitività basata sulla qualità e sull’innovazione, come dimostrato dalla

limitata spesa pubblica in ricerca e sviluppo, di fatto adottando un modello di sviluppo

basato sulla applicazione e diffusione delle innovazioni generate all’esterno del sistema

(Papagni, 1995; Costabile, 2006; ENEA, 2006).

La crescente complessità del cambiamento tecnologico, che supera la capacità della

maggior parte delle singole imprese, spiega il ricorso a fonti esterne di competenze

tecnologiche (Basile, 1998), tra queste le istituzioni pubbliche di ricerca.

Il ruolo delle istituzioni universitarie nelle società è stato oggetto di interesse da parte

di studiosi in diversi ambiti disciplinari. Fin dalla seconda metà degli anni ‘60, obiettivo

delle università era considerato generare e diffondere conoscenza quale bene pubblico,

principalmente attraverso i canali: ricerca, istruzione e assistenza (Sonka e Chicoine,

2004). Più recentemente, si è sviluppata una articolata riflessione sul ruolo

dell’università nella nascita di nuova industria ad alta tecnologia e sul supporto che

l’università può fornire allo sviluppo economico locale trainato dalla nuova tecnologia

(Mansfield, 1991; Rosenberg e Nelson 1994; Mansfield e Lee, 1996).

La necessità di accelerare la generazione e la diffusione di innovazione industriale e

le crescenti interconnessioni a livello internazionale della ricerca di base, rendono

cruciali le università, particolare in economie, come quelle del Sud Europa,

caratterizzate dalla presenza di piccole e medie imprese, da un limitato investimento in

ricerca e da una tradizione di rapporti molto limitati tra università ed imprese. Obiettivo

del Sesto programma Quadro, lanciato dall’Unione Europea nel 2002, era appunto di

connettere la ricerca di base, in particolare universitaria dei vari paesi, per trasferire i

risultati alle imprese (Ramaciotti, 2003). Il modello europeo a cui si ispira è la

realizzazione di una sorta di agenzia della ricerca estremamente selettiva che finanzierà

grandi aggregazioni di ricercatori su argomenti e progetti predefiniti a livello

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comunitario, con l’obiettivo di focalizzare congrui finanziamenti sui gruppi di ricerca di

eccellenza.

In tale contesto l’Italia, la cui spesa in ricerca era pari all’1.1% del PIL nel 2000,

rispetto ad una media dei paesi OCSE del 2.3% (Bratti e Matteucci, 2005; Weil, 2007),

ha bloccato gli investimenti in ricerca pubblica, con una riduzione dei grandi progetti

nazionali ed un calo dei finanziamenti locali degli atenei, sebbene molte Regioni stiano

orientando verso la ricerca scientifica risorse prevalentemente rivolte e programmi

industriali o a progetti con ricadute a breve termine.

Il tessuto industriale italiano si caratterizza per la preminenza di piccole imprese,

spesso riunite in distretti industriali. È, quindi, probabile che molti processi innovativi

siano sottostimati dai dati sulla spesa formale in R&D ma avvengano all’interno dei

distretti in settori tradizionali, operati dalle singole imprese sulla base delle relazioni

infra e intra industriale e degli scambi con gli utenti e con i fornitori, siano di tipo

incrementale e/o focalizzate a generare progresso tecnico incorporato (Bratti e

Matteucci, 2005; ENEA, 2006).

L’intensità delle spese in R&D non è un indicatore sufficiente per valutare la ricaduta

sulla crescita del PIL anche perché è importante la concentrazione territoriale delle

spese in R&D, per la presenza di economie di scala, dovute al numero di ricercatori, alla

scala e alla varietà di laboratori, all’accumulo di ricerca pregressa, su cui poter

sviluppare nuove ricerche. D’altra parte la presenza, nei paesi più deboli in termini di

spese di ricerca, di un’industria diffusa, di piccole dimensioni in settori tradizionali,

tende a delineare una domanda formalizzata di ricerca da parte del settore privato molto

più limitata di paesi in cui predomina la grande impresa, che non solo domanda ricerca,

ma è in grado di valutare e di acquisire beni intangibili.

I progetti sopranazionali, molto utili nei settori che richiedono enormi investimenti

tecnologici, quali quelli più avanzati della conoscenza di base, rischiano di penalizzare

economie con una struttura produttiva frammentata, dove è ancora più importante il

compito dell’università di valorizzare la ricerca a fini industriali, identificando il

potenziale produttivo e applicativo della ricerca di base da trasmettere all’industria.

Ciò è particolarmente vero per il settore alimentare per vari motivi.

Rispetto ai distretti industriali, i sistemi locali agroalimentari hanno caratteristiche

che possono rallentare, in generale, il progresso tecnico (Becattini, 2000): i benefici

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delle innovazioni sono meno appropriabili nella fase di produzione primaria che si

svolge all’aperto, quindi sotto gli occhi di tutti, e la dinamica della scomposizione del

processo produttivo in fasi distinte, anche molto specializzate, che possono essere

riconvertite rapidamente nella direzione richiesta dal mercato, è rallentata da dati tecnici

e socio-culturali, quali l’abitudine ad una domanda meno rapidamente variabile, il senso

di appartenenza statico ad un’area, il maggiore ruolo dei rapporti gerarchici rispetto a

quelli di mercato e il vincolo della proprietà della terra che blocca la mobilità sociale e

professionale all’interno dell’area e ostacola le operazioni di riassetto fondiario (ad

esempio, Cupo, 1995).

Inoltre, l’innovazione di processo e di prodotto derivante dalla ricerca scientifica in

campo alimentare è quasi mai frutto di idee sviluppate in un solo ambito disciplinare ma

deriva da un’attività multidisciplinare dove diversi aspetti (biologici, chimici,

tecnologici, ingegneristici, nutrizionali, economici e legislativi) concorrono nello

sviluppo del complesso percorso che porta dalla formulazione dell’idea alla sua

realizzazione industriale2 (Masi, 2006).

Infine, l’industria alimentare italiana è, in generale, eccessivamente frammentata con

un’elevata presenza di piccole e medie imprese (la percentuale di imprese con al

massimo nove addetti è del 90%), concentrate soprattutto al Sud e con maggiori

difficoltà di accesso all’informazione e all’innovazione tecnologica3 (Pantini, 2007). Il

trasferimento delle conoscenze alle imprese e il coordinamento delle attività di ricerca,

per esplicitare la domanda latente di innovazioni e garantire una massa critica

sufficiente, sono, quindi, particolarmente problematici per l’industria alimentare

meridionale, caratterizzata da proprietà familiare.

Obiettivo di questo lavoro è verificare il ruolo delle università e degli istituti pubblici

di ricerca, rispetto ad altri fattori determinanti, abitualmente utilizzati in letteratura,

nell’introduzione di innovazioni di prodotto nel settore alimentare italiano. L’analisi

sarà svolta utilizzando i dati relativi alle imprese alimentari della 7a (1995-97) e 8a

(1998-2000) indagine Capitalia. La stessa specificazione sarà stimata, attraverso una

2 Ad esempio, nel caso di prodotti di quarta gamma, lo sviluppo di una tecnologia integrata che rendesse economicamente valido il processo produttivo dei friarielli pronti al consumo, ha richiesto la messa a punto di nuove tecniche colturali (Masi, 2006).

3 La realizzazione di film edibili, a partire da proteine e polisaccaridi di origine animale e vegetale, per fare in modo che la pastiera napoletano mantenga le proprie caratteristiche organolettiche per un mese o per far assorbire poco olio alle patatine fritte (Masi, 2006) ovviamente non sono alla portata di una pasticceria o di una friggitoria media.

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regressione probit, separatamente sui campioni tratti dalle due ondate dell’indagine e sui

sub-campioni contenenti solo imprese meridionali.

2. Le interazioni università-industria

Numerosi studi, basandosi sugli strumenti attraverso cui si realizza il trasferimento

tecnologico, quali brevetti e collaborazioni di ricerca, hanno analizzato gli effetti

dell’interazione università-industria per il contesto americano (Ulrich et al., 1986;

Mowery et al., 2001; Thursby et al., 2001; Colyvas et al., 2002; Di Gregorio e Shane,

2003). Pochi studi sono stati condotti per l’Europa e per l’Italia.

Baldini et al. (2006) hanno costruito una banca dati contenente informazioni di

dettaglio sui brevetti depositati a nome di atenei italiani presso l’Ufficio Italiano

Brevetti e Marchi e le relative estensioni internazionali, dopo aver rilevato l’attività

regolamentare delle università italiane in materia di brevetti aggiornata al 31 dicembre

2002. Le imprese rappresentano il 23% dei co-titolari di brevetti depositati da atenei

italiani nel periodo esaminato.

Il trasferimento tecnologico dalle università alle imprese non si attua solo attraverso

brevetti e collaborazioni di ricerca: D’Este e Patel (2007), da un’indagine condotta sugli

studiosi delle università inglesi, evidenziano che altri canali di interazione e di possibile

trasferimento tecnologico sono importanti, quali consulenze e partecipazione a incontri

e conferenze. La varietà dei canali di interazione dipende maggiormente da

caratteristiche individuali del ricercatore piuttosto che da caratteristiche del

dipartimento di cui il ricercatore fa parte, quindi incentivi rivolti esclusivamente alle

università potrebbero essere insufficienti a stimolare le potenziali interazioni tra

università e industria ma nuovi meccanismi di incentivazione, da rivolgere ai ricercatori,

potrebbero risultare più efficaci.

Iorio (2006) conferma per la realtà italiana che il brevetto non è la modalità più

frequente di interazione tra università e industria. L’impatto della ricerca in

collaborazione con l’industria è ritenuto positivo dalle interviste condotte

nell’Università di Bologna, Ferrara e Trieste, sia sulla quantità che sulla qualità delle

pubblicazioni. Tuttavia, l’aumento del tempo dedicato alla ricerca industriale riduce il

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tempo dedicato alla ricerca di base e le pubblicazioni derivanti da ricerca industriale

subiscono dilazioni e limitazioni nei contenuti, maggiori quando dalla ricerca in

collaborazione deriva un brevetto piuttosto che una pubblicazione congiunta.

Bonaccorsi et al. (2006) misurano l’efficienza delle università italiane, considerando

tra gli input anche i trasferimenti industriali, giungendo al risultato che economie di

scala e di scopo non solo fattori determinanti nella produttività accademica, sia della

ricerca che dell’istruzione. Per quanto concerne il trade-off tra pubblicazioni

scientifiche e ricerca industriale applicata, gli effetti di complementarietà o sostituzione

hanno una caratterizzazione locale, con evidenza di una relazione ad U rovesciata,

evidenziata nel grafico 1, tra fonti esterne e contributo al miglioramento dell’efficienza.

Tuttavia, la maggioranza delle università italiane si localizza nella regione degli effetti

positivi in quanto l’evidenza di un effetto di sostituzione dei trasferimenti industriali è

dovuta a poche osservazioni nella coda a destra della distribuzione (che superano il 6%

della quota di budget dell’università derivante da trasferimenti industriali). È quindi

possibile affermare che la ricerca scientifica e la collaborazione con l’industria per le

università italiane sono complementari.

Grafico 1. Trasferimenti industriali ed effetto sull’efficienza dell’università

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

1.1

0 1 2 3 4 5 6 7 8

Quota di trasferimenti industriali sul budget dell'università

Effe

tto su

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ficie

nza

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univ

ers

Fonte: Bonnacorsi et al., 2006

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Ramaciotti (2006) osserva come la collaborazione tra università e industria sia

importante nello sviluppo economico di sistemi territoriali e lo stesso concetto di

trasferimento tecnologico dall’università all’industria risulti oramai inadeguato perché

implica l’esistenza di due organizzazioni separate che si scambiano un bene

appropriabile: la ricerca applicata. Tale visione è legata ad una fase storica, quella

fordista, in cui le imprese erano individuate come organizzazioni di grande dimensione

rivolte essenzialmente alla produzione fisica di un bene il cui impianto era dato ed i cui

vantaggi erano le economie di scala statiche di riproduzione in grande serie di un

prodotto standardizzato. In tale modello la ricerca era una attività precedente alla

produzione i cui risultati richiedevano cambiamenti nella linea di produzione per poter

essere applicati.

L’innovazione industriale era, quindi, uno shock da realizzarsi in termini discontinui.

Viceversa, le stesse università possono essere incubatrici di nuova industria,

permettendo la nascita di imprese derivate dalla ricerca, i cosiddetti spin off, attraendo

investimenti di imprese esterne nell’area universitaria e trasferendo tecnologie ad

imprese già esistenti, che si riuniscono così nel nuovo cluster high tech, il cui elemento

coagulante sono le nuove agglomerazioni locali di imprese ad alta tecnologia. È quanto

concludono anche Quadrio Curzio e Fortis (2002) attraverso lo studio di casi,

analizzando gli elementi che spiegano il successo di sistemi di impresa ad alta

tecnologia, diffusisi in tutto il mondo senza essere espressione della grande impresa, da

cui risulta come la collaborazione tra università e industria sia importante nello sviluppo

dei sistemi territoriali. A tal fine risulta fondamentale la presenza di capitale umano

specializzato in particolari capacità tecniche e scientifiche, simili o complementari fra

loro (Ramaciotti, 2006).

3. La metodologia

3.1. I dati

I dati utilizzati provengono dall’Indagine sulle imprese manifatturiere svolta da

Mediocredito Centrale, oggi Capitalia, per i periodi 1995-1997 e 1998-2000. L’indagine

raccoglie informazioni su un campione rappresentativo di imprese manifatturiere

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operanti in Italia con più di dieci addetti e su tutte le imprese con più di 500 addetti4.

Complessivamente, il campione relativo al periodo 1995-97 è composto di 4497

osservazioni mentre quello relativo al periodo 1998-2000 consta di 4680 rilevazioni.

Facendo ricorso alla classificazione ATECO 91, da questi campioni sono state estratte

rispettivamente 402 e 450 imprese del settore agro-industriale per i due periodi

esaminati.

L’indagine di Capitalia raccoglie informazioni relative all’introduzione di

innovazioni di prodotto e di processo e alla quota di fatturato derivante dalla vendita di

nuovi prodotti. Quest’ultima informazione è stata utilizzata per distinguere le imprese

che hanno innovato rispetto alle altre. Il motivo di tale scelta risiede nel desiderio di

utilizzare un indicatore del successo dell’innovazione introdotta. Inoltre, tale scelta è

supportata dalla considerazione che nel periodo esaminato, le imprese agro-industriali

meridionali hanno più frequentemente adottato innovazioni congiunte di prodotto e di

processo (Istituto Guglielmo Tagliacarne, 2004).

La tabella 1 evidenzia che il 14% delle imprese del campione ha introdotto

un’innovazione di prodotto nel periodo 1995-1997 ed il 16% nel periodo successivo.

La performance innovativa delle imprese, intesa quale percentuale di fatturato da

nuovi prodotti, è riportata in tabella 2. Nel periodo 1995-1997, la vendita di nuovi

prodotti contribuisce in media per il 19% al fatturato delle imprese che hanno innovato e

per il 24% nel periodo 1998-2000, con un evidente miglioramento della performance

innovativa delle imprese. A tal proposito è interessante sottolineare l’incremento nella

performance innovativa delle imprese meridionali che raggiungono un valore del 30%

del fatturato realizzato da nuovi prodotti con un risultato leggermente superiore a quello

medio nazionale.

Le caratteristiche strutturali e dimensionali delle imprese esaminate sono riportate

nella tabella 1. Osservando i valori di numero di occupati e fatturato, si può rilevare che

il campione é costituito in prevalenza da imprese di medie dimensioni e che nel periodo

considerato si riduce la dimensione media. Per le imprese che hanno innovato (tab. 2),

viceversa, si registra un incremento della dimensione, a giudicare dai valori medi degli

occupati e del fatturato, per le imprese nazionali ed una riduzione del fatturato per

quelle meridionali.

4 Si vedano Mediocredito Centrale (1999) e Capitalia (2002) per gli aspetti metodologici dell'indagine.

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L’intensità di R&S, misurata dal rapporto tra spesa in R&S e fatturato, permette di

evidenziare il differente comportamento adottato dalle imprese che hanno innovato

rispetto alle altre. Le prime, infatti, sembrano puntare sull’attivazione e realizzazione di

processi endogeni di produzione dell’innovazione, considerando anche le variabili

relative all’investimento complessivo realizzato dall’azienda in ICT5 e il peso di questo

tipo di investimento sul totale del fatturato aziendale. Entrambe le variabili subiscono

un incremento nel periodo considerato.

Tabella 1 - Statistiche descrittive per le imprese alimentari del campione

Italia Sud Italia Sud Variabile 1995-1997 1998-2000

N° imprese 338 75 386 145 Imprese con fattur. da nuovi prod. (%) 14 14 16 14

N° occupati medio 50 52 40 32 Fatturato medio (ml Euro) 13451 13931 10861 6564

Investimenti medio (ml Euro) 1785 658 863 416 Imprese con R&S 19 13 22 19

Spesa R&S/fatturato (%) 0.14 0.08 0.49 0.44 Investimento ICT (1000 eURO) 51 39 85 28 Investimento ICT/fatturato (%) 0.38 0.28 0.78 0.43

% ICT invest. hardware 69 70 63 64 % ICT invest. software 67 68 63 64

% ICT invest. comunicazione 25 21 16 14 % Spesa in R&S per

miglioramento di processo 12 10 17 15 miglioramento di prodotto 14 10 18 15

nuovi processi 7 3 8 6 nuovi prodotti 9 2 7 6

Accordi tecnologici in Italia 7 2 4 0 Imprese con rapporti con GDO 24 20 55 58

Occupati laureati (%) 5 5 4 4 R&S da rapporti con l’Università 16 13 16 14 Imprese con lavoratori flessibili 48 39 47 46

Fonte: Nostre elaborazioni sui dati Capitalia

5 Ammontare di investimento realizzato dall'impresa in hardware informatico, software, reti

telematiche e telecomunicazioni.

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Per descrivere l’attività di cooperazione tecnologica delle imprese, è stata considerata

una variabile dicotomica che indica la partecipazione dell’impresa ad un accordo

tecnologico. Dalla tabella 1 si può, in proposito, evidenziare la riduzione delle imprese

con accordi tecnologici siglati con partner italiani. Per le imprese che hanno innovato,

viceversa, si registra un incremento degli accordi.

Tabella 2 - Statistiche descrittive per le imprese alimentari innovative del campione

Italia Sud Italia Sud Variabile 1995-1997 1998-2000

N° imprese 45 13 59 21 Fatturato da nuovi prodotti (%) 19 17 24 30

N° occupati medio 51 33 68 34 Fatturato medio (ml Euro) 14813 11346 23422 6947

Investimenti medio (ml Euro) 958 899 1583 818 Imprese con R&S 40 15 39 43

Spesa R&S/fatturato (%) 0.19 0.11 1.21 1.73 Investimento ICT (1000 Euro) 89 17 396 20

Investimento ICT/Fatturato (%) 0.60 0.15 1.69 0.29 % ICT invest. Hardware 76 77 51 43 % ICT invest. software 69 69 54 48

% ICT invest. Communication 29 23 10 10 % Spesa in R&S per

miglioramento di processo 27 8 29 24 miglioramento di prodotto 29 8 25 29

nuovi processi 22 8 24 19 nuovi prodotti 40 15 27 29

Accordi tecnologici in Italia 11 0 14 0 Imprese con rapporti con GDO 44 31 71 67

Occupati laureati (%) 7 5 6 7 R&S da rapporti con l’Università 36 15 31 33 Imprese con lavoratori flessibili 56 38 61 76

Fonte: Nostre elaborazioni su dati Capitalia

Per quanto riguarda i canali di commercializzazione utilizzati dalle aziende, si può

evidenziare l’elevato incremento delle aziende che hanno rapporti con la grande

distribuzione organizzata (GDO). Nel gruppo delle imprese che hanno innovato, questa

crescita è leggermente inferiore nel campione nazionale ma è superiore nelle aziende

meridionali.

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Il numero di laureati in rapporto al totale di occupati non è molto differente tra

imprese che hanno innovato e non, probabilmente perché una maggiore percentuale di

laureati indica una struttura organizzativa interna più articolata (R&S, progettazione,

marketing e finanza) ma non è direttamente connessa alla performance innovativa

aziendale (Pavitt, 1993).

Per analizzare la collaborazione con le Università ed altri centri pubblici di ricerca è

stata utilizzata una variabile dicotomica che vale uno per le aziende che hanno rapporti

con strutture pubbliche di ricerca. Dalla tabella 1, si può rilevare che il 16% delle

imprese ha avuto contatti con strutture pubbliche di ricerca nei due periodi considerati.

Tra le imprese che hanno innovato, il 31% ha avuto rapporti con istituti pubblici di

ricerca nell’ultimo periodo considerato, con un vistoso incremento nel periodo

considerato per le imprese meridionali. Questo dato trova conferma nel fatto che le

imprese agro-industriali meridionali si rivolgono più spesso di alte imprese meridionali

agli enti pubblici di ricerca (Istituto Guglielmo Tagliacarte, 2004).

Dalle tabelle 1 e 2, si può, infine, rilevare che il 47% delle imprese del campione e il

61% delle imprese che hanno innovato ricorrono a lavoro flessibile (contratti part-time

e/o a tempo determinato).

3.2. Il modello econometrico

Per identificare i determinanti dell’introduzione di innovazioni è stata effettuata

un’analisi di regressione probit (Maddala, 1983).

Brevemente, con tale modello si assume che la differenza tra le due alternative,

innovare e non innovare, possa essere modellata come una variabile latente y*: *i i iy u′= +β x

dove indica x il vettore di variabili che condizionano la probabilità di innovare per

l’impresa i-esima e ui è una componente stocastica.

Un indicatore binario Fi osservabile è associato alla variabile latente y* tale che yi=1

quando yi*>0 e yi=0 altrimenti.

Assumendo una distribuzione normale standardizzata per gli errori nel modello

latente, si può usare un modello probit per rappresentare il processo di scelta tra

innovare e non innovare. In tal caso, la probabilità di innovare è data da:

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Pr( 1) ( )i iy ′= = Φ β x

dove Φ rappresenta la funzione di densità cumulata normale.

Simmetricamente, la probabilità di non innovare è definita da:

Pr( 0) 1 ( )i iy ′= = −Φ β x

I parametri del modello probit si ottengono massimizzando la funzione congiunta di

log-verosimiglianza:

0 1ln ln(1 ) lni i

y yi iL

= =∑ ∑= −Φ + Φ

La variabile dipendente yi assume valore 1 per imprese con fatturato derivante da

nuovi prodotti e il valore 0 diversamente.

3.3. La specificazione empirica

La specificazione qui proposta per la funzione indice del modello probit è la seguente:

F = β0+ β1Accordi tecnologici +β2GDO + β3Occupati laureati +β4 R&S +β5R&S da

università +β6 R&S da imprese +β7R&S per miglioramento di prodotto+3

71

dd

β +=∑ dd +β9

Flessibilità +β10 Cooperativa +β11 Incentivi+ β12Incentivi*R&S da rapporti esterni + 6

121

cc

β +=∑ dc+

218

1g

gβ +

=∑ dg

dove:

Accordi tecnologici, GDO, R&S da università, R&S da imprese, Flessibilità,

Cooperativa, Incentivi sono variabili dicotomiche;

Occupati laureati = percentuale di laureati sul totale degli addetti;

R&S = percentuale di spesa in R&S sul fatturato dell’impresa;

R&S per miglioramento di prodotto = percentuale di spesa in R&S destinata al

miglioramento dei prodotti:

R&S da rapporti esterni= R&S da università + R&S da imprese

dd dicotomiche di classi di fatturato definite secondo la classificazione AGRA

(2004)6:

6 La scelta della proxy di dimensione, se in termini di variabili continue o di classi di addetti o di fatturato, è stata effettuata tenendo conto di quale specificazione desse il miglior adattamento. In

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Classe di dimensione 1 = ≤ ml Euro

Classe di dimensione 2 = 3 - 5 ml Euro

Classe di dimensione 3 = 5 - 25 ml Euro

Classe di dimensione 4 = 25 – 50 ml Euro

Classe di dimensione 5 = ≥ 50 ml Euro

dc dicotomiche per i comparti carne, orto-frutta, lattiero-caseario, granaglie, alimenti

e bevande;

dg dicotomiche per le circoscrizioni Nord e Sud.

4. I risultati dell’analisi econometrica

Questa sezione riporta i risultati dell’analisi econometrica del comportamento

innovativo delle imprese. Come già menzionato, i dati a nostra disposizione sono tratti

da due ondate dell’indagine di Capitalia: la prima riguarda il periodo 1995-1997 e

consta complessivamente di 402 osservazioni; la seconda è relativa agli anni 1998-2000

e si compone di 450 rilevazioni. Questi due insiemi di osservazioni si riducono

rispettivamente a 338 e a 386 rilevazioni, considerando i valori mancanti.

Come già menzionato, obiettivo dell’analisi è individuare le variabili che influenzano

la probabilità di realizzare un prodotto nuovo di successo, ossia commercializzato, e

verificare l’evoluzione delle determinanti del processo innovativo, dal confronto tra le

variabili significative per il periodo 1995-1997 e quelle significative nel periodo 1998-

2000. Analogamente, considerando esclusivamente le aziende meridionali è possibile

analizzare le determinanti che nei due periodi temporali spiegano il processo innovativo

dell’agro-industria meridionale.

In generale, non si evidenzia un comportamento innovativo differenziato tra comparti

e tra forme di impresa, non essendo risultate significative le dummy di comparto (ad

eccezione del comparto granaglie) e le dicotomiche per le cooperative, in nessuno dei

periodi e delle estensioni geografiche considerate.

particolare, la specificazione con le classi AGRA 2, 3 e 4 rispetto a quella con le classi 3, 4 e 5, ha fornito l’adattamento migliore per la regressione riportata in tab. 4.

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4.1. I determinanti delle innovazioni di prodotto nel periodo 1995-1997

La tabella 3 contiene le stime degli effetti marginali dei parametri e dei valori di

significatività del modello probit applicato nel periodo 1995-1997.

Tabella 3 - Determinanti delle innovazioni di prodotto nelle imprese alimentari italiane

(1995-1997). Regressione probit. Variabile dipendente: presenza di fatturato da nuovi prodotti

Variabile dF/dx z P>|z|

Accordi tecnologici in Italia 0.091 1.28 0.20 Rapporti con GDO 0.116 2.52 0.01 Occupati laureati 0.003 1.27 0.20

Intensità R&S -0.050 -1.06 0.29 R&S da rapporti con università 0.289 2.44 0.02

R&S da rapporti con imprese 0.081 0.77 0.44 Spesa in R&S per miglioramento di

prodotto -0.002 -2.01 0.04 Classe di dimesione 2 0.101 1.54 0.12 Classe di dimesione 3 0.015 0.29 0.78 Classe di dimesione 4 0.254 2.46 0.01

Imprese con lavoratori flessibili 0.026 0.75 0.45 Cooperativa 0.020 0.37 0.71

Incentivi -0.044 -1.08 0.28 Incentivi*R&S da rapporti esterni 0.238 1.90 0.06

Comparto carne -0.013 -0.18 0.86 Comparto orto-frutticolo -0.084 -1.31 0.19

Comparto lattiero-caseario -0.054 -0.83 0.40 Comparto granaglie -0.007 -0.09 0.93 Comparto alimenti 0.046 0.61 0.54 Comparto bevande 0.066 0.91 0.36

Nord -0.028 -0.59 0.56 Sud 0.007 0.13 0.90

Psuedo R2 di McFadden 0.20

Psuedo R2 di Efron 0.17 Psuedo R2 di Veall/Zimmermann 0.31

% di predizioni corrette 87 N. osservazioni 338

Prob[χ2 > valore critico] 0.0002

L’adattamento della regressione è buono a giudicare dalla percentuale di predizioni

corrette e dalla significatività del test condotto sull’ipotesi nulla che i parametri diversi

dalla costante siano nulli. La bontà di adattamento può essere giudicata anche dai valori

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dello psuedo R2 di McFadden, di Efron e di Veall/Zimmermann, che empiricamente

difficilmente raggiungono valori prossimi a 1 (Scarpa, 2002).

Le variabili, altamente significative, che influenzano positivamente la probabilità di

sviluppare e commercializzare un nuovo prodotto sono l’esistenza di rapporti

commerciali con la GDO e la dimensione dell’impresa, seguono, in ordine di

significatività, la presenza di R&S che proviene da rapporti con strutture pubbliche di

ricerca e gli incentivi finalizzati a stimolare tali collaborazioni, come è possibile

giudicare dalla significatività della variabile di interazione tra la presenza di incentivi e

la presenza di R&D da strutture esterne, sia pubbliche che private. La presenza di spesa

in R&D finalizzata al miglioramento di prodotti già esistenti disincentiva la

realizzazioni di nuovi prodotti.

La percentuale di laureati tra gli occupati dell’azienda e la presenza di un

dipartimento di R&S aziendale non aumentano la probabilità di innovare, perché

probabilmente il loro effetto è già stato colto dalla variabile di dimensione aziendale.

Le imprese con strategie di cooperazione e integrazione con altre imprese italiane

non hanno maggior probabilità di innovare.

La presenza di R&S che proviene da rapporti esterni con imprese, la presenza di

lavoratori flessibili, la struttura proprietaria dell’impresa, le variabili di comparto e di

circoscrizione geografica non influenzano, in media la probabilità di realizzare nuovi

prodotti di successo.

Per quanto riguarda la dimensione dell’impatto, il rapporto con strutture esterne

pubbliche di ricerca è la variabile che presenta l’effetto marginale più alto, superiore

anche a quello relativo alla dimensione aziendale.

La tabella 4 contiene le stime degli effetti marginali dei parametri e dei valori di

significatività del modello probit nel periodo 1995-1997 per il gruppo delle imprese

meridionali. Dai risultati ottenuti si può, innanzitutto, evidenziare come siano diverse le

variabili che spiegano l’adozione d’innovazioni per le aziende meridionali.

Innanzitutto non è possibile respingere l’ipotesi nulla che l’effetto congiunto dei

parametri diversi dalla costante sia nullo, probabilmente in parte spiegato dalla minore

numerosità del campione, per l’elevata incidenza di valori mancanti, che riduce la

variabilità dei determinanti osservati.

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Tabella 4 - Determinanti delle innovazioni di prodotto nelle imprese alimentari meridionali (1995-1997). Regressione probit. Variabile dipendente: presenza di fatturato da nuovi prodotti

Variabile dF/dx z P>|z| Accordi tecnologici in Italia 0.18 1.18 0.24

Rapporti con GDO 0.23 1.85 0.07 Occupati laureati -0.26 -1.02 0.31

Intensità R&S 2.06 0.46 0.64 R&S da rapporti con università 0.11 0.89 0.38 R&S da rapporti con imprese

% Spesa in R&S per miglioramento di prodotto 0.00 -0.81 0.42

Classe di dimensione 3 0.84 10.17 0.00 Classe di dimensione 4 1.00 7.66 0.00

Imprese con lavoratori flessibili 0.04 1.17 0.24 Cooperativa -0.02 -0.88 0.38

Incentivi -0.03 -1.07 0.28 Incentivi*R&S da rapporti esterni 0.02 0.16 0.87

Comparto carne -0.02 -0.62 0.54 Comparto lattiero-caseario -0.04 -1.59 0.11

Comparto granaglie 0.10 1.28 0.20 Comparto alimenti -0.03 -1.07 0.29 Comparto bevande 0.03 0.66 0.51

Psuedo R2 di McFadden 0.37

Psuedo R2 di Efron 0.31 Psuedo R2 di Veall/Zimmermann 0.52

% di predizioni corrette 89 N. osservazioni 75

Prob[χ2 > valore critico] 0.317 Infatti, la dimensione è la variabile che spiega in toto l’introduzione di innovazioni di

successo, essendo la presenza del canale commerciale della grande distribuzione l’unica

altra variabile, debolmente significativa.

4.2. I determinanti delle innovazioni di prodotto nel periodo 1998-2000

La tabella 5 contiene le stime degli effetti marginali e della loro significatività nel

modello probit stimato per il periodo 1998-2000.

Si può, innanzitutto, osservare come non siano le stesse le variabili che spiegano

l’introduzione di innovazioni nei due periodi considerati. Parallelamente a quanto

osservato per il periodo precedente, i determinanti del processo innovativo sono la

percentuale di R&S che proviene da rapporti con strutture universitarie di ricerca e

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l’esistenza di rapporti commerciali con la GDO. Diventano significative variabili quali

le strategie di cooperazione e integrazione tecnologica con altre aziende italiane, la

presenza di un dipartimento di R&S aziendale e la percentuale di laureati tra gli

occupati dell’azienda. La grande dimensione, sempre definita dall’appartenenza alle

classi di fatturato secondo la classificazione AGRA, non è più significativa rispetto alle

stime precedenti, si osserva una minore ma poco significativa probabilità di innovare

delle imprese di dimensioni minori.

Tabella 5 - Determinanti dell’introduzione di innovazioni nelle imprese alimentari

italiane (1998-2000). Regressione probit. Variabile dipendente: presenza di fatturato da nuovi prodotti

Variabile dF/dx z P>|z| Accordi tecnologici in Italia 0.375 3.01 0.00

Rapporti con GDO 0.078 2.28 0.02 Occupati laureati 0.006 1.97 0.05

Intensità R&S 0.018 1.96 0.05 R&S da rapporti con università 0.228 2.26 0.02 R&S da rapporti con imprese 0.119 1.71 0.09

% Spesa in R&S per miglioramento di prodotto -0.001 -1.69 0.09

Classe di dimensione 2 -0.021 -0.46 0.65 Classe di dimensione 3 -0.048 -1.10 0.27 Classe di dimensione 4 0.059 0.61 0.54

Imprese con lavoratori flessibili 0.061 1.80 0.07 Cooperativa -0.053 -1.17 0.24

Incentivi 0.043 1.09 0.28 Incentivi*R&S da rapporti con l’Università -0.047 -0.68 0.50

Comparto carne -0.071 -1.32 0.19 Comparto orto-frutticolo -0.020 -0.32 0.75

Comparto lattiero-caseario 0.020 0.33 0.74 Comparto granaglie -0.120 -1.88 0.06 Comparto alimenti -0.033 -0.61 0.54 Comparto bevande -0.040 -0.71 0.48

Nord 0.007 0.14 0.89 Sud -0.022 -0.42 0.67

Psuedo R2 di McFadden 0.17

Psuedo R2 di Efron 0.16 Psuedo R2 di Veall/Zimmermann 0.28

% di predizioni corrette 0.86 N. osservazioni 386

Prob[χ2 > valore critico] 0.0001

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Le variabili ricorso a lavoratori flessibili e R&D da rapporto con imprese esterne

sono debolmente significativa così come, con segno negativo, l’aver migliorato i

prodotti.

Non si osserva una differenza statisticamente significativa tra le imprese appartenenti

ad aree geografiche differenti; la dicotomica relativa comparto delle granaglie mostra un

segno negativo con una debole significatività.

Per quanto riguarda l’impatto, presentano effetto marginale superiore gli accordi

tecnologici con altre imprese italiane e la variabile R&S da rapporti con università.

In tabella 6 sono riportate le stime effettuate per l’Italia meridionale. La flessibilità

del lavoro è la variabile più significativa nello spiegare la probabilità di sviluppare e

commercializzare un nuovo prodotto, seguono gli incentivi, la presenza di R&S intra

moenia ed extra moenia da rapporti con centri pubblici di ricerca. La percentuale di

laureati è debolmente significativa così come la dicotomica relativa al comparto

granaglie.

In quanto ad effetti marginali, la presenza di R&S extra moenia da rapporti con centri

pubblici di ricerca presenta il valore superiore, seguono gli incentivi e la presenza di

lavoratori flessibili. Quest’ultima variabile è altamente significativa per il Mezzogiorno

e probabilmente ciò spiega la minore significativa della variabile percentuale di laureati,

nel senso che il ricorso a lavoro flessibile ha abbassato il costo di acquisizione di

capitale umano necessario all’impresa per poi innovare, ciò in particolare per il

Mezzogiorno. Questo risultato sembra suggerire che la flessibilità del lavoro abbia

consentito lo skill-upgrading necessario alla differenziazione verticale del prodotto

(Celi, 1996; Bratti e Matteucci, 2005)

In sintesi nel periodo esaminato, subentrano nuovi sentieri di cambiamento

tecnologico con un avvicinamento tra sentiero nazionale e meridionale. L’importanza

della conoscenza si esplicita anche per il Mezzogiorno osservando l’acquisita

significatività di variabili quali la spesa in R&D intra moenia ed extra moenia da

università e centri pubblici e della percentuale di laureati, sebbene quest’ultima variabile

solo debolmente.

La dimensione non è più una variabile importante probabilmente perché gli incentivi

pubblici hanno indotto a esplicitare la domanda latente di innovazioni e a cercare

altrove risposte adeguate, nelle università ma anche nelle imprese private. Il ricorso al

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lavoro flessibile emerge quale determinante significativa, in particolare per il

Mezzogiorno ma l’impatto di tale variabile dicotomica è inferiore a quello della

presenza di spesa in R&D da università.

Tabella 6 - Determinanti delle innovazioni nelle imprese alimentari meridionali (1998-

2000). Regressione probit. Variabile dipendente: presenza di fatturato da nuovi prodotti

Variabile dF/dx z P>|z|

Rapporti con GDO 0.034 0.73 0.47 Occupati laureati 0.021 1.72 0.09

Intensità R&S 0.051 1.98 0.05 R&S da rapporti con università 0.416 1.88 0.06

R&S da rapporti con imprese 0.164 0.76 0.45 % Spesa in R&S per miglioramento di prodotto 0.000 -0.37 0.71

Classe di dimesione 2 -0.045 -0.74 0.46 Classe di dimesione 3 -0.088 -1.41 0.16 Classe di dimesione 4 -0.075 -1.54 0.12

Imprese con lavoratori flessibili 0.125 2.44 0.02 Cooperativa -0.040 -0.66 0.51

Incentivi 0.149 2.20 0.03 Incentivi*R&S da rapporti con l’Università -0.082 -1.52 0.13

Comparto carne -0.027 -0.31 0.76 Comparto orto-frutticolo -0.044 -0.66 0.51

Comparto lattiero-caseario -0.002 -0.03 0.98 Comparto granaglie -0.104 -1.83 0.07 Comparto alimenti -0.028 -0.35 0.73 Comparto bevande

Psuedo R2 di McFadden 0.31

Psuedo R2 di Efron 0.27 Psuedo R2 di Veall/Zimmermann 0.45

% di predizioni corrette 91 N. osservazioni 145

Prob[χ2 > valore critico] 0.008

Per il Mezzogiorno, la presenza di R&S extra moenia da rapporti con università e

centri pubblici di ricerca passa da determinante non significativa dell’introduzione di

innovazioni di prodotto nel periodo 1995-997 a variabile significativa al 6% nel periodo

1998-2000. Per l’Italia nel suo complesso la significatività della variabile rimane

invariata ed alta ma diminuisce il suo effetto marginale da 0.289 a 0.228; viceversa il

valore che assume l’effetto marginale per il Mezzogiorno nel periodo 1998-2000,

sebbene meno significativo rispetto al resto d’Italia, è molto alto 0.416.

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Ciò può essere spiegato dagli incentivi pubblici destinati a sollecitare questo tipo di

interazioni, dall’accresciuta competizione, derivante dalla diminuzione del sostegno

comunitario e dalla globalizzazione dei mercati, e dalla maggiore attenzione dei

consumatori alla qualità degli alimenti acquistati.

Tenendo conto che nei settori tradizionali , i flussi tecnologici sono maggiormente

confinati territorialmente e che il grado di polarizzazione nelle reti innovative è più alto

(Paci e Batteta, 2003) e che i flussi di conoscenza sono comunque limitati dalla distanza

geografica (Maggioni e Uberti, 2005), questo risultato conforta sul ruolo che

l’università può svolgere per il settore alimentare a sostegno di un modello di sviluppo

economico locale trainato da alta tecnologia.

5. Conclusioni La crescita delle economie tecnologicamente più avanzate è fondata sull’innovazione

costantemente alimentata dai risultati della ricerca scientifica. Obiettivo di questo lavoro

è stato verificare il ruolo delle università e degli istituti pubblici di ricerca

nell’introduzione di innovazioni nel settore agro-industriale italiano. L’analisi è stata

svolta mediante una regressione probit e sui dati relativi alle imprese agro-alimentari

della 7a (1995-97) e 8 a (1998-2000) indagine Capitalia.

Una differenziazione molto marcata si riscontra tra imprese meridionali rispetto a

quelle nazionali nel complesso in quanto a significatività dei determinati delle

innovazioni. In generale, la presenza di innovazioni di prodotto caratterizza imprese con

una intensa rete di rapporti orizzontali, con altre imprese, e verticali, con la GDO.

I risultati dell’analisi mostrano come la collaborazione con istituti pubblici di ricerca

sia sempre significativa nello spiegare l’introduzione di innovazioni di prodotto

nell’agro-industria italiana mentre comincia a diventare significativa per l’agro-industria

meridionale solo nel periodo 1998-2000.

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