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CENTRO PER LA FORMAZIONE IN ECONOMIA E POLITICA DELLO SVILUPPO RURALE
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E POLITICA AGRARIA
Università degli Studi di Napoli Federico II
Collana Working Paper Questa pubblicazione è disponibile on-line al sito del Centro per la Formazione in Economia e Politica dello Sviluppo Rurale http://www.centroportici.it o al sito del Dipartimento di Economia e Politica Agraria dell’Università di Napoli Federico II http://www.depa.unina.it This publication is available online on the CENTRO website:http:// www.centroportici.unina.it Per commenti o questioni relative al contenuto di questo paper si prega di contattare gli autori For questions or comments about the contents of this paper, please contact the authors
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I determinanti delle innovazioni di prodotto nell’industria alimentare italiana:
il ruolo dell’Università e delle istituzioni pubbliche di ricerca1
The determinants of product innovation in the Italian Food Sector: the role of the Universities and Public Research Labs
Massimiliano D’Alessio* e Ornella Wanda Maietta**
working paper n.4 /2007 18th April 2007
Abstract
This paper focuses on an important issue currently debated in literature: the role of public research institutions in helping to promote the processes of technological and economic catch up, development and growth. Objective of the paper is to verify whether and how Universities and other public research institutions influence the innovation process in the Italian agro-food sector. The data used are the 7th (1995-97) and 8th (1998-2000) wave of Capitalia surveys based on a representative sample of manufacturing firms with information on firm characteristics, employee education levels, innovation and R&D investments. The approach used is a probit analysis where the dependant variable is the introduction of product innovation and the dependant variables are firm characteristics. The analysis has been performed separately for the two periods for Italy and for the South of Italy. The results of the analysis show that the determinants of innovations in the agro-food sector are different for firms in the South of Italy respect with those located in the rest of the country and new determinants, as the use of part-time labour, have emerged for the second period examined. The linkage with the Universities and other public research centres was always significant for Italy and not significant during the years 1995-97 for the South of Italy; the size was significant only in the first period while the R&D intensity was significant only in the second period both for Italy and for the South of Italy. Human capital of employees became significant in the year 1998-2000 as a consequence of labour market deregulation. Keywords: innovations, University-industry interactions, agro-food JEL: O31, D21, R1
1 Si ringraziano vivamente Antonio D’Agata e Grazia Santangelo per aver commissionato questo lavoro in occasione della invited lecture del Professor Richard Nelson, della Columbia University: ‘The Roles of Research at Universities and Public Labs in Innovation Systems’, presso l’Università di Catania, Facoltà di Scienze Politiche, Modica; si ringraziano ancora Roberto Basile ed Erasmo Papagni per gli utili suggerimenti e Francesco de Stefano per gli interessanti commenti che hanno permesso di migliorare in modo apprezzabile una precedente versione di questo lavoro. Lavoro realizzato nell’ambito del progetto PRIN “Spillovers sistemici sulla competitività dell'industria italiana: una valutazione quantitativa per le politiche di settore”.
* Fondazione Metes, Roma. ** Università di Napoli Federico II e Centro per la Formazione in Economia e Politica dello Sviluppo
Rurale, Portici.
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1. Introduzione L’importanza delle innovazioni per la performance competitiva di imprese e di
nazioni e per la crescita economica di lungo periodo è riconosciuta da tutte le scuole di
pensiero economico. Tuttavia, le scelte politiche economiche compiute in Italia negli
ultimi trent’anni hanno sacrificato obiettivi di crescita di lungo termine, privilegiando la
competitività di costo, come dimostrato dalle politiche di lavoro ispirate alla flessibilità,
rispetto alla competitività basata sulla qualità e sull’innovazione, come dimostrato dalla
limitata spesa pubblica in ricerca e sviluppo, di fatto adottando un modello di sviluppo
basato sulla applicazione e diffusione delle innovazioni generate all’esterno del sistema
(Papagni, 1995; Costabile, 2006; ENEA, 2006).
La crescente complessità del cambiamento tecnologico, che supera la capacità della
maggior parte delle singole imprese, spiega il ricorso a fonti esterne di competenze
tecnologiche (Basile, 1998), tra queste le istituzioni pubbliche di ricerca.
Il ruolo delle istituzioni universitarie nelle società è stato oggetto di interesse da parte
di studiosi in diversi ambiti disciplinari. Fin dalla seconda metà degli anni ‘60, obiettivo
delle università era considerato generare e diffondere conoscenza quale bene pubblico,
principalmente attraverso i canali: ricerca, istruzione e assistenza (Sonka e Chicoine,
2004). Più recentemente, si è sviluppata una articolata riflessione sul ruolo
dell’università nella nascita di nuova industria ad alta tecnologia e sul supporto che
l’università può fornire allo sviluppo economico locale trainato dalla nuova tecnologia
(Mansfield, 1991; Rosenberg e Nelson 1994; Mansfield e Lee, 1996).
La necessità di accelerare la generazione e la diffusione di innovazione industriale e
le crescenti interconnessioni a livello internazionale della ricerca di base, rendono
cruciali le università, particolare in economie, come quelle del Sud Europa,
caratterizzate dalla presenza di piccole e medie imprese, da un limitato investimento in
ricerca e da una tradizione di rapporti molto limitati tra università ed imprese. Obiettivo
del Sesto programma Quadro, lanciato dall’Unione Europea nel 2002, era appunto di
connettere la ricerca di base, in particolare universitaria dei vari paesi, per trasferire i
risultati alle imprese (Ramaciotti, 2003). Il modello europeo a cui si ispira è la
realizzazione di una sorta di agenzia della ricerca estremamente selettiva che finanzierà
grandi aggregazioni di ricercatori su argomenti e progetti predefiniti a livello
3
comunitario, con l’obiettivo di focalizzare congrui finanziamenti sui gruppi di ricerca di
eccellenza.
In tale contesto l’Italia, la cui spesa in ricerca era pari all’1.1% del PIL nel 2000,
rispetto ad una media dei paesi OCSE del 2.3% (Bratti e Matteucci, 2005; Weil, 2007),
ha bloccato gli investimenti in ricerca pubblica, con una riduzione dei grandi progetti
nazionali ed un calo dei finanziamenti locali degli atenei, sebbene molte Regioni stiano
orientando verso la ricerca scientifica risorse prevalentemente rivolte e programmi
industriali o a progetti con ricadute a breve termine.
Il tessuto industriale italiano si caratterizza per la preminenza di piccole imprese,
spesso riunite in distretti industriali. È, quindi, probabile che molti processi innovativi
siano sottostimati dai dati sulla spesa formale in R&D ma avvengano all’interno dei
distretti in settori tradizionali, operati dalle singole imprese sulla base delle relazioni
infra e intra industriale e degli scambi con gli utenti e con i fornitori, siano di tipo
incrementale e/o focalizzate a generare progresso tecnico incorporato (Bratti e
Matteucci, 2005; ENEA, 2006).
L’intensità delle spese in R&D non è un indicatore sufficiente per valutare la ricaduta
sulla crescita del PIL anche perché è importante la concentrazione territoriale delle
spese in R&D, per la presenza di economie di scala, dovute al numero di ricercatori, alla
scala e alla varietà di laboratori, all’accumulo di ricerca pregressa, su cui poter
sviluppare nuove ricerche. D’altra parte la presenza, nei paesi più deboli in termini di
spese di ricerca, di un’industria diffusa, di piccole dimensioni in settori tradizionali,
tende a delineare una domanda formalizzata di ricerca da parte del settore privato molto
più limitata di paesi in cui predomina la grande impresa, che non solo domanda ricerca,
ma è in grado di valutare e di acquisire beni intangibili.
I progetti sopranazionali, molto utili nei settori che richiedono enormi investimenti
tecnologici, quali quelli più avanzati della conoscenza di base, rischiano di penalizzare
economie con una struttura produttiva frammentata, dove è ancora più importante il
compito dell’università di valorizzare la ricerca a fini industriali, identificando il
potenziale produttivo e applicativo della ricerca di base da trasmettere all’industria.
Ciò è particolarmente vero per il settore alimentare per vari motivi.
Rispetto ai distretti industriali, i sistemi locali agroalimentari hanno caratteristiche
che possono rallentare, in generale, il progresso tecnico (Becattini, 2000): i benefici
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delle innovazioni sono meno appropriabili nella fase di produzione primaria che si
svolge all’aperto, quindi sotto gli occhi di tutti, e la dinamica della scomposizione del
processo produttivo in fasi distinte, anche molto specializzate, che possono essere
riconvertite rapidamente nella direzione richiesta dal mercato, è rallentata da dati tecnici
e socio-culturali, quali l’abitudine ad una domanda meno rapidamente variabile, il senso
di appartenenza statico ad un’area, il maggiore ruolo dei rapporti gerarchici rispetto a
quelli di mercato e il vincolo della proprietà della terra che blocca la mobilità sociale e
professionale all’interno dell’area e ostacola le operazioni di riassetto fondiario (ad
esempio, Cupo, 1995).
Inoltre, l’innovazione di processo e di prodotto derivante dalla ricerca scientifica in
campo alimentare è quasi mai frutto di idee sviluppate in un solo ambito disciplinare ma
deriva da un’attività multidisciplinare dove diversi aspetti (biologici, chimici,
tecnologici, ingegneristici, nutrizionali, economici e legislativi) concorrono nello
sviluppo del complesso percorso che porta dalla formulazione dell’idea alla sua
realizzazione industriale2 (Masi, 2006).
Infine, l’industria alimentare italiana è, in generale, eccessivamente frammentata con
un’elevata presenza di piccole e medie imprese (la percentuale di imprese con al
massimo nove addetti è del 90%), concentrate soprattutto al Sud e con maggiori
difficoltà di accesso all’informazione e all’innovazione tecnologica3 (Pantini, 2007). Il
trasferimento delle conoscenze alle imprese e il coordinamento delle attività di ricerca,
per esplicitare la domanda latente di innovazioni e garantire una massa critica
sufficiente, sono, quindi, particolarmente problematici per l’industria alimentare
meridionale, caratterizzata da proprietà familiare.
Obiettivo di questo lavoro è verificare il ruolo delle università e degli istituti pubblici
di ricerca, rispetto ad altri fattori determinanti, abitualmente utilizzati in letteratura,
nell’introduzione di innovazioni di prodotto nel settore alimentare italiano. L’analisi
sarà svolta utilizzando i dati relativi alle imprese alimentari della 7a (1995-97) e 8a
(1998-2000) indagine Capitalia. La stessa specificazione sarà stimata, attraverso una
2 Ad esempio, nel caso di prodotti di quarta gamma, lo sviluppo di una tecnologia integrata che rendesse economicamente valido il processo produttivo dei friarielli pronti al consumo, ha richiesto la messa a punto di nuove tecniche colturali (Masi, 2006).
3 La realizzazione di film edibili, a partire da proteine e polisaccaridi di origine animale e vegetale, per fare in modo che la pastiera napoletano mantenga le proprie caratteristiche organolettiche per un mese o per far assorbire poco olio alle patatine fritte (Masi, 2006) ovviamente non sono alla portata di una pasticceria o di una friggitoria media.
5
regressione probit, separatamente sui campioni tratti dalle due ondate dell’indagine e sui
sub-campioni contenenti solo imprese meridionali.
2. Le interazioni università-industria
Numerosi studi, basandosi sugli strumenti attraverso cui si realizza il trasferimento
tecnologico, quali brevetti e collaborazioni di ricerca, hanno analizzato gli effetti
dell’interazione università-industria per il contesto americano (Ulrich et al., 1986;
Mowery et al., 2001; Thursby et al., 2001; Colyvas et al., 2002; Di Gregorio e Shane,
2003). Pochi studi sono stati condotti per l’Europa e per l’Italia.
Baldini et al. (2006) hanno costruito una banca dati contenente informazioni di
dettaglio sui brevetti depositati a nome di atenei italiani presso l’Ufficio Italiano
Brevetti e Marchi e le relative estensioni internazionali, dopo aver rilevato l’attività
regolamentare delle università italiane in materia di brevetti aggiornata al 31 dicembre
2002. Le imprese rappresentano il 23% dei co-titolari di brevetti depositati da atenei
italiani nel periodo esaminato.
Il trasferimento tecnologico dalle università alle imprese non si attua solo attraverso
brevetti e collaborazioni di ricerca: D’Este e Patel (2007), da un’indagine condotta sugli
studiosi delle università inglesi, evidenziano che altri canali di interazione e di possibile
trasferimento tecnologico sono importanti, quali consulenze e partecipazione a incontri
e conferenze. La varietà dei canali di interazione dipende maggiormente da
caratteristiche individuali del ricercatore piuttosto che da caratteristiche del
dipartimento di cui il ricercatore fa parte, quindi incentivi rivolti esclusivamente alle
università potrebbero essere insufficienti a stimolare le potenziali interazioni tra
università e industria ma nuovi meccanismi di incentivazione, da rivolgere ai ricercatori,
potrebbero risultare più efficaci.
Iorio (2006) conferma per la realtà italiana che il brevetto non è la modalità più
frequente di interazione tra università e industria. L’impatto della ricerca in
collaborazione con l’industria è ritenuto positivo dalle interviste condotte
nell’Università di Bologna, Ferrara e Trieste, sia sulla quantità che sulla qualità delle
pubblicazioni. Tuttavia, l’aumento del tempo dedicato alla ricerca industriale riduce il
6
tempo dedicato alla ricerca di base e le pubblicazioni derivanti da ricerca industriale
subiscono dilazioni e limitazioni nei contenuti, maggiori quando dalla ricerca in
collaborazione deriva un brevetto piuttosto che una pubblicazione congiunta.
Bonaccorsi et al. (2006) misurano l’efficienza delle università italiane, considerando
tra gli input anche i trasferimenti industriali, giungendo al risultato che economie di
scala e di scopo non solo fattori determinanti nella produttività accademica, sia della
ricerca che dell’istruzione. Per quanto concerne il trade-off tra pubblicazioni
scientifiche e ricerca industriale applicata, gli effetti di complementarietà o sostituzione
hanno una caratterizzazione locale, con evidenza di una relazione ad U rovesciata,
evidenziata nel grafico 1, tra fonti esterne e contributo al miglioramento dell’efficienza.
Tuttavia, la maggioranza delle università italiane si localizza nella regione degli effetti
positivi in quanto l’evidenza di un effetto di sostituzione dei trasferimenti industriali è
dovuta a poche osservazioni nella coda a destra della distribuzione (che superano il 6%
della quota di budget dell’università derivante da trasferimenti industriali). È quindi
possibile affermare che la ricerca scientifica e la collaborazione con l’industria per le
università italiane sono complementari.
Grafico 1. Trasferimenti industriali ed effetto sull’efficienza dell’università
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
1.1
0 1 2 3 4 5 6 7 8
Quota di trasferimenti industriali sul budget dell'università
Effe
tto su
ll'ef
ficie
nza
dell'
univ
ers
Fonte: Bonnacorsi et al., 2006
7
Ramaciotti (2006) osserva come la collaborazione tra università e industria sia
importante nello sviluppo economico di sistemi territoriali e lo stesso concetto di
trasferimento tecnologico dall’università all’industria risulti oramai inadeguato perché
implica l’esistenza di due organizzazioni separate che si scambiano un bene
appropriabile: la ricerca applicata. Tale visione è legata ad una fase storica, quella
fordista, in cui le imprese erano individuate come organizzazioni di grande dimensione
rivolte essenzialmente alla produzione fisica di un bene il cui impianto era dato ed i cui
vantaggi erano le economie di scala statiche di riproduzione in grande serie di un
prodotto standardizzato. In tale modello la ricerca era una attività precedente alla
produzione i cui risultati richiedevano cambiamenti nella linea di produzione per poter
essere applicati.
L’innovazione industriale era, quindi, uno shock da realizzarsi in termini discontinui.
Viceversa, le stesse università possono essere incubatrici di nuova industria,
permettendo la nascita di imprese derivate dalla ricerca, i cosiddetti spin off, attraendo
investimenti di imprese esterne nell’area universitaria e trasferendo tecnologie ad
imprese già esistenti, che si riuniscono così nel nuovo cluster high tech, il cui elemento
coagulante sono le nuove agglomerazioni locali di imprese ad alta tecnologia. È quanto
concludono anche Quadrio Curzio e Fortis (2002) attraverso lo studio di casi,
analizzando gli elementi che spiegano il successo di sistemi di impresa ad alta
tecnologia, diffusisi in tutto il mondo senza essere espressione della grande impresa, da
cui risulta come la collaborazione tra università e industria sia importante nello sviluppo
dei sistemi territoriali. A tal fine risulta fondamentale la presenza di capitale umano
specializzato in particolari capacità tecniche e scientifiche, simili o complementari fra
loro (Ramaciotti, 2006).
3. La metodologia
3.1. I dati
I dati utilizzati provengono dall’Indagine sulle imprese manifatturiere svolta da
Mediocredito Centrale, oggi Capitalia, per i periodi 1995-1997 e 1998-2000. L’indagine
raccoglie informazioni su un campione rappresentativo di imprese manifatturiere
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operanti in Italia con più di dieci addetti e su tutte le imprese con più di 500 addetti4.
Complessivamente, il campione relativo al periodo 1995-97 è composto di 4497
osservazioni mentre quello relativo al periodo 1998-2000 consta di 4680 rilevazioni.
Facendo ricorso alla classificazione ATECO 91, da questi campioni sono state estratte
rispettivamente 402 e 450 imprese del settore agro-industriale per i due periodi
esaminati.
L’indagine di Capitalia raccoglie informazioni relative all’introduzione di
innovazioni di prodotto e di processo e alla quota di fatturato derivante dalla vendita di
nuovi prodotti. Quest’ultima informazione è stata utilizzata per distinguere le imprese
che hanno innovato rispetto alle altre. Il motivo di tale scelta risiede nel desiderio di
utilizzare un indicatore del successo dell’innovazione introdotta. Inoltre, tale scelta è
supportata dalla considerazione che nel periodo esaminato, le imprese agro-industriali
meridionali hanno più frequentemente adottato innovazioni congiunte di prodotto e di
processo (Istituto Guglielmo Tagliacarne, 2004).
La tabella 1 evidenzia che il 14% delle imprese del campione ha introdotto
un’innovazione di prodotto nel periodo 1995-1997 ed il 16% nel periodo successivo.
La performance innovativa delle imprese, intesa quale percentuale di fatturato da
nuovi prodotti, è riportata in tabella 2. Nel periodo 1995-1997, la vendita di nuovi
prodotti contribuisce in media per il 19% al fatturato delle imprese che hanno innovato e
per il 24% nel periodo 1998-2000, con un evidente miglioramento della performance
innovativa delle imprese. A tal proposito è interessante sottolineare l’incremento nella
performance innovativa delle imprese meridionali che raggiungono un valore del 30%
del fatturato realizzato da nuovi prodotti con un risultato leggermente superiore a quello
medio nazionale.
Le caratteristiche strutturali e dimensionali delle imprese esaminate sono riportate
nella tabella 1. Osservando i valori di numero di occupati e fatturato, si può rilevare che
il campione é costituito in prevalenza da imprese di medie dimensioni e che nel periodo
considerato si riduce la dimensione media. Per le imprese che hanno innovato (tab. 2),
viceversa, si registra un incremento della dimensione, a giudicare dai valori medi degli
occupati e del fatturato, per le imprese nazionali ed una riduzione del fatturato per
quelle meridionali.
4 Si vedano Mediocredito Centrale (1999) e Capitalia (2002) per gli aspetti metodologici dell'indagine.
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L’intensità di R&S, misurata dal rapporto tra spesa in R&S e fatturato, permette di
evidenziare il differente comportamento adottato dalle imprese che hanno innovato
rispetto alle altre. Le prime, infatti, sembrano puntare sull’attivazione e realizzazione di
processi endogeni di produzione dell’innovazione, considerando anche le variabili
relative all’investimento complessivo realizzato dall’azienda in ICT5 e il peso di questo
tipo di investimento sul totale del fatturato aziendale. Entrambe le variabili subiscono
un incremento nel periodo considerato.
Tabella 1 - Statistiche descrittive per le imprese alimentari del campione
Italia Sud Italia Sud Variabile 1995-1997 1998-2000
N° imprese 338 75 386 145 Imprese con fattur. da nuovi prod. (%) 14 14 16 14
N° occupati medio 50 52 40 32 Fatturato medio (ml Euro) 13451 13931 10861 6564
Investimenti medio (ml Euro) 1785 658 863 416 Imprese con R&S 19 13 22 19
Spesa R&S/fatturato (%) 0.14 0.08 0.49 0.44 Investimento ICT (1000 eURO) 51 39 85 28 Investimento ICT/fatturato (%) 0.38 0.28 0.78 0.43
% ICT invest. hardware 69 70 63 64 % ICT invest. software 67 68 63 64
% ICT invest. comunicazione 25 21 16 14 % Spesa in R&S per
miglioramento di processo 12 10 17 15 miglioramento di prodotto 14 10 18 15
nuovi processi 7 3 8 6 nuovi prodotti 9 2 7 6
Accordi tecnologici in Italia 7 2 4 0 Imprese con rapporti con GDO 24 20 55 58
Occupati laureati (%) 5 5 4 4 R&S da rapporti con l’Università 16 13 16 14 Imprese con lavoratori flessibili 48 39 47 46
Fonte: Nostre elaborazioni sui dati Capitalia
5 Ammontare di investimento realizzato dall'impresa in hardware informatico, software, reti
telematiche e telecomunicazioni.
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Per descrivere l’attività di cooperazione tecnologica delle imprese, è stata considerata
una variabile dicotomica che indica la partecipazione dell’impresa ad un accordo
tecnologico. Dalla tabella 1 si può, in proposito, evidenziare la riduzione delle imprese
con accordi tecnologici siglati con partner italiani. Per le imprese che hanno innovato,
viceversa, si registra un incremento degli accordi.
Tabella 2 - Statistiche descrittive per le imprese alimentari innovative del campione
Italia Sud Italia Sud Variabile 1995-1997 1998-2000
N° imprese 45 13 59 21 Fatturato da nuovi prodotti (%) 19 17 24 30
N° occupati medio 51 33 68 34 Fatturato medio (ml Euro) 14813 11346 23422 6947
Investimenti medio (ml Euro) 958 899 1583 818 Imprese con R&S 40 15 39 43
Spesa R&S/fatturato (%) 0.19 0.11 1.21 1.73 Investimento ICT (1000 Euro) 89 17 396 20
Investimento ICT/Fatturato (%) 0.60 0.15 1.69 0.29 % ICT invest. Hardware 76 77 51 43 % ICT invest. software 69 69 54 48
% ICT invest. Communication 29 23 10 10 % Spesa in R&S per
miglioramento di processo 27 8 29 24 miglioramento di prodotto 29 8 25 29
nuovi processi 22 8 24 19 nuovi prodotti 40 15 27 29
Accordi tecnologici in Italia 11 0 14 0 Imprese con rapporti con GDO 44 31 71 67
Occupati laureati (%) 7 5 6 7 R&S da rapporti con l’Università 36 15 31 33 Imprese con lavoratori flessibili 56 38 61 76
Fonte: Nostre elaborazioni su dati Capitalia
Per quanto riguarda i canali di commercializzazione utilizzati dalle aziende, si può
evidenziare l’elevato incremento delle aziende che hanno rapporti con la grande
distribuzione organizzata (GDO). Nel gruppo delle imprese che hanno innovato, questa
crescita è leggermente inferiore nel campione nazionale ma è superiore nelle aziende
meridionali.
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Il numero di laureati in rapporto al totale di occupati non è molto differente tra
imprese che hanno innovato e non, probabilmente perché una maggiore percentuale di
laureati indica una struttura organizzativa interna più articolata (R&S, progettazione,
marketing e finanza) ma non è direttamente connessa alla performance innovativa
aziendale (Pavitt, 1993).
Per analizzare la collaborazione con le Università ed altri centri pubblici di ricerca è
stata utilizzata una variabile dicotomica che vale uno per le aziende che hanno rapporti
con strutture pubbliche di ricerca. Dalla tabella 1, si può rilevare che il 16% delle
imprese ha avuto contatti con strutture pubbliche di ricerca nei due periodi considerati.
Tra le imprese che hanno innovato, il 31% ha avuto rapporti con istituti pubblici di
ricerca nell’ultimo periodo considerato, con un vistoso incremento nel periodo
considerato per le imprese meridionali. Questo dato trova conferma nel fatto che le
imprese agro-industriali meridionali si rivolgono più spesso di alte imprese meridionali
agli enti pubblici di ricerca (Istituto Guglielmo Tagliacarte, 2004).
Dalle tabelle 1 e 2, si può, infine, rilevare che il 47% delle imprese del campione e il
61% delle imprese che hanno innovato ricorrono a lavoro flessibile (contratti part-time
e/o a tempo determinato).
3.2. Il modello econometrico
Per identificare i determinanti dell’introduzione di innovazioni è stata effettuata
un’analisi di regressione probit (Maddala, 1983).
Brevemente, con tale modello si assume che la differenza tra le due alternative,
innovare e non innovare, possa essere modellata come una variabile latente y*: *i i iy u′= +β x
dove indica x il vettore di variabili che condizionano la probabilità di innovare per
l’impresa i-esima e ui è una componente stocastica.
Un indicatore binario Fi osservabile è associato alla variabile latente y* tale che yi=1
quando yi*>0 e yi=0 altrimenti.
Assumendo una distribuzione normale standardizzata per gli errori nel modello
latente, si può usare un modello probit per rappresentare il processo di scelta tra
innovare e non innovare. In tal caso, la probabilità di innovare è data da:
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Pr( 1) ( )i iy ′= = Φ β x
dove Φ rappresenta la funzione di densità cumulata normale.
Simmetricamente, la probabilità di non innovare è definita da:
Pr( 0) 1 ( )i iy ′= = −Φ β x
I parametri del modello probit si ottengono massimizzando la funzione congiunta di
log-verosimiglianza:
0 1ln ln(1 ) lni i
y yi iL
= =∑ ∑= −Φ + Φ
La variabile dipendente yi assume valore 1 per imprese con fatturato derivante da
nuovi prodotti e il valore 0 diversamente.
3.3. La specificazione empirica
La specificazione qui proposta per la funzione indice del modello probit è la seguente:
F = β0+ β1Accordi tecnologici +β2GDO + β3Occupati laureati +β4 R&S +β5R&S da
università +β6 R&S da imprese +β7R&S per miglioramento di prodotto+3
71
dd
β +=∑ dd +β9
Flessibilità +β10 Cooperativa +β11 Incentivi+ β12Incentivi*R&S da rapporti esterni + 6
121
cc
β +=∑ dc+
218
1g
gβ +
=∑ dg
dove:
Accordi tecnologici, GDO, R&S da università, R&S da imprese, Flessibilità,
Cooperativa, Incentivi sono variabili dicotomiche;
Occupati laureati = percentuale di laureati sul totale degli addetti;
R&S = percentuale di spesa in R&S sul fatturato dell’impresa;
R&S per miglioramento di prodotto = percentuale di spesa in R&S destinata al
miglioramento dei prodotti:
R&S da rapporti esterni= R&S da università + R&S da imprese
dd dicotomiche di classi di fatturato definite secondo la classificazione AGRA
(2004)6:
6 La scelta della proxy di dimensione, se in termini di variabili continue o di classi di addetti o di fatturato, è stata effettuata tenendo conto di quale specificazione desse il miglior adattamento. In
13
Classe di dimensione 1 = ≤ ml Euro
Classe di dimensione 2 = 3 - 5 ml Euro
Classe di dimensione 3 = 5 - 25 ml Euro
Classe di dimensione 4 = 25 – 50 ml Euro
Classe di dimensione 5 = ≥ 50 ml Euro
dc dicotomiche per i comparti carne, orto-frutta, lattiero-caseario, granaglie, alimenti
e bevande;
dg dicotomiche per le circoscrizioni Nord e Sud.
4. I risultati dell’analisi econometrica
Questa sezione riporta i risultati dell’analisi econometrica del comportamento
innovativo delle imprese. Come già menzionato, i dati a nostra disposizione sono tratti
da due ondate dell’indagine di Capitalia: la prima riguarda il periodo 1995-1997 e
consta complessivamente di 402 osservazioni; la seconda è relativa agli anni 1998-2000
e si compone di 450 rilevazioni. Questi due insiemi di osservazioni si riducono
rispettivamente a 338 e a 386 rilevazioni, considerando i valori mancanti.
Come già menzionato, obiettivo dell’analisi è individuare le variabili che influenzano
la probabilità di realizzare un prodotto nuovo di successo, ossia commercializzato, e
verificare l’evoluzione delle determinanti del processo innovativo, dal confronto tra le
variabili significative per il periodo 1995-1997 e quelle significative nel periodo 1998-
2000. Analogamente, considerando esclusivamente le aziende meridionali è possibile
analizzare le determinanti che nei due periodi temporali spiegano il processo innovativo
dell’agro-industria meridionale.
In generale, non si evidenzia un comportamento innovativo differenziato tra comparti
e tra forme di impresa, non essendo risultate significative le dummy di comparto (ad
eccezione del comparto granaglie) e le dicotomiche per le cooperative, in nessuno dei
periodi e delle estensioni geografiche considerate.
particolare, la specificazione con le classi AGRA 2, 3 e 4 rispetto a quella con le classi 3, 4 e 5, ha fornito l’adattamento migliore per la regressione riportata in tab. 4.
14
4.1. I determinanti delle innovazioni di prodotto nel periodo 1995-1997
La tabella 3 contiene le stime degli effetti marginali dei parametri e dei valori di
significatività del modello probit applicato nel periodo 1995-1997.
Tabella 3 - Determinanti delle innovazioni di prodotto nelle imprese alimentari italiane
(1995-1997). Regressione probit. Variabile dipendente: presenza di fatturato da nuovi prodotti
Variabile dF/dx z P>|z|
Accordi tecnologici in Italia 0.091 1.28 0.20 Rapporti con GDO 0.116 2.52 0.01 Occupati laureati 0.003 1.27 0.20
Intensità R&S -0.050 -1.06 0.29 R&S da rapporti con università 0.289 2.44 0.02
R&S da rapporti con imprese 0.081 0.77 0.44 Spesa in R&S per miglioramento di
prodotto -0.002 -2.01 0.04 Classe di dimesione 2 0.101 1.54 0.12 Classe di dimesione 3 0.015 0.29 0.78 Classe di dimesione 4 0.254 2.46 0.01
Imprese con lavoratori flessibili 0.026 0.75 0.45 Cooperativa 0.020 0.37 0.71
Incentivi -0.044 -1.08 0.28 Incentivi*R&S da rapporti esterni 0.238 1.90 0.06
Comparto carne -0.013 -0.18 0.86 Comparto orto-frutticolo -0.084 -1.31 0.19
Comparto lattiero-caseario -0.054 -0.83 0.40 Comparto granaglie -0.007 -0.09 0.93 Comparto alimenti 0.046 0.61 0.54 Comparto bevande 0.066 0.91 0.36
Nord -0.028 -0.59 0.56 Sud 0.007 0.13 0.90
Psuedo R2 di McFadden 0.20
Psuedo R2 di Efron 0.17 Psuedo R2 di Veall/Zimmermann 0.31
% di predizioni corrette 87 N. osservazioni 338
Prob[χ2 > valore critico] 0.0002
L’adattamento della regressione è buono a giudicare dalla percentuale di predizioni
corrette e dalla significatività del test condotto sull’ipotesi nulla che i parametri diversi
dalla costante siano nulli. La bontà di adattamento può essere giudicata anche dai valori
15
dello psuedo R2 di McFadden, di Efron e di Veall/Zimmermann, che empiricamente
difficilmente raggiungono valori prossimi a 1 (Scarpa, 2002).
Le variabili, altamente significative, che influenzano positivamente la probabilità di
sviluppare e commercializzare un nuovo prodotto sono l’esistenza di rapporti
commerciali con la GDO e la dimensione dell’impresa, seguono, in ordine di
significatività, la presenza di R&S che proviene da rapporti con strutture pubbliche di
ricerca e gli incentivi finalizzati a stimolare tali collaborazioni, come è possibile
giudicare dalla significatività della variabile di interazione tra la presenza di incentivi e
la presenza di R&D da strutture esterne, sia pubbliche che private. La presenza di spesa
in R&D finalizzata al miglioramento di prodotti già esistenti disincentiva la
realizzazioni di nuovi prodotti.
La percentuale di laureati tra gli occupati dell’azienda e la presenza di un
dipartimento di R&S aziendale non aumentano la probabilità di innovare, perché
probabilmente il loro effetto è già stato colto dalla variabile di dimensione aziendale.
Le imprese con strategie di cooperazione e integrazione con altre imprese italiane
non hanno maggior probabilità di innovare.
La presenza di R&S che proviene da rapporti esterni con imprese, la presenza di
lavoratori flessibili, la struttura proprietaria dell’impresa, le variabili di comparto e di
circoscrizione geografica non influenzano, in media la probabilità di realizzare nuovi
prodotti di successo.
Per quanto riguarda la dimensione dell’impatto, il rapporto con strutture esterne
pubbliche di ricerca è la variabile che presenta l’effetto marginale più alto, superiore
anche a quello relativo alla dimensione aziendale.
La tabella 4 contiene le stime degli effetti marginali dei parametri e dei valori di
significatività del modello probit nel periodo 1995-1997 per il gruppo delle imprese
meridionali. Dai risultati ottenuti si può, innanzitutto, evidenziare come siano diverse le
variabili che spiegano l’adozione d’innovazioni per le aziende meridionali.
Innanzitutto non è possibile respingere l’ipotesi nulla che l’effetto congiunto dei
parametri diversi dalla costante sia nullo, probabilmente in parte spiegato dalla minore
numerosità del campione, per l’elevata incidenza di valori mancanti, che riduce la
variabilità dei determinanti osservati.
16
Tabella 4 - Determinanti delle innovazioni di prodotto nelle imprese alimentari meridionali (1995-1997). Regressione probit. Variabile dipendente: presenza di fatturato da nuovi prodotti
Variabile dF/dx z P>|z| Accordi tecnologici in Italia 0.18 1.18 0.24
Rapporti con GDO 0.23 1.85 0.07 Occupati laureati -0.26 -1.02 0.31
Intensità R&S 2.06 0.46 0.64 R&S da rapporti con università 0.11 0.89 0.38 R&S da rapporti con imprese
% Spesa in R&S per miglioramento di prodotto 0.00 -0.81 0.42
Classe di dimensione 3 0.84 10.17 0.00 Classe di dimensione 4 1.00 7.66 0.00
Imprese con lavoratori flessibili 0.04 1.17 0.24 Cooperativa -0.02 -0.88 0.38
Incentivi -0.03 -1.07 0.28 Incentivi*R&S da rapporti esterni 0.02 0.16 0.87
Comparto carne -0.02 -0.62 0.54 Comparto lattiero-caseario -0.04 -1.59 0.11
Comparto granaglie 0.10 1.28 0.20 Comparto alimenti -0.03 -1.07 0.29 Comparto bevande 0.03 0.66 0.51
Psuedo R2 di McFadden 0.37
Psuedo R2 di Efron 0.31 Psuedo R2 di Veall/Zimmermann 0.52
% di predizioni corrette 89 N. osservazioni 75
Prob[χ2 > valore critico] 0.317 Infatti, la dimensione è la variabile che spiega in toto l’introduzione di innovazioni di
successo, essendo la presenza del canale commerciale della grande distribuzione l’unica
altra variabile, debolmente significativa.
4.2. I determinanti delle innovazioni di prodotto nel periodo 1998-2000
La tabella 5 contiene le stime degli effetti marginali e della loro significatività nel
modello probit stimato per il periodo 1998-2000.
Si può, innanzitutto, osservare come non siano le stesse le variabili che spiegano
l’introduzione di innovazioni nei due periodi considerati. Parallelamente a quanto
osservato per il periodo precedente, i determinanti del processo innovativo sono la
percentuale di R&S che proviene da rapporti con strutture universitarie di ricerca e
17
l’esistenza di rapporti commerciali con la GDO. Diventano significative variabili quali
le strategie di cooperazione e integrazione tecnologica con altre aziende italiane, la
presenza di un dipartimento di R&S aziendale e la percentuale di laureati tra gli
occupati dell’azienda. La grande dimensione, sempre definita dall’appartenenza alle
classi di fatturato secondo la classificazione AGRA, non è più significativa rispetto alle
stime precedenti, si osserva una minore ma poco significativa probabilità di innovare
delle imprese di dimensioni minori.
Tabella 5 - Determinanti dell’introduzione di innovazioni nelle imprese alimentari
italiane (1998-2000). Regressione probit. Variabile dipendente: presenza di fatturato da nuovi prodotti
Variabile dF/dx z P>|z| Accordi tecnologici in Italia 0.375 3.01 0.00
Rapporti con GDO 0.078 2.28 0.02 Occupati laureati 0.006 1.97 0.05
Intensità R&S 0.018 1.96 0.05 R&S da rapporti con università 0.228 2.26 0.02 R&S da rapporti con imprese 0.119 1.71 0.09
% Spesa in R&S per miglioramento di prodotto -0.001 -1.69 0.09
Classe di dimensione 2 -0.021 -0.46 0.65 Classe di dimensione 3 -0.048 -1.10 0.27 Classe di dimensione 4 0.059 0.61 0.54
Imprese con lavoratori flessibili 0.061 1.80 0.07 Cooperativa -0.053 -1.17 0.24
Incentivi 0.043 1.09 0.28 Incentivi*R&S da rapporti con l’Università -0.047 -0.68 0.50
Comparto carne -0.071 -1.32 0.19 Comparto orto-frutticolo -0.020 -0.32 0.75
Comparto lattiero-caseario 0.020 0.33 0.74 Comparto granaglie -0.120 -1.88 0.06 Comparto alimenti -0.033 -0.61 0.54 Comparto bevande -0.040 -0.71 0.48
Nord 0.007 0.14 0.89 Sud -0.022 -0.42 0.67
Psuedo R2 di McFadden 0.17
Psuedo R2 di Efron 0.16 Psuedo R2 di Veall/Zimmermann 0.28
% di predizioni corrette 0.86 N. osservazioni 386
Prob[χ2 > valore critico] 0.0001
18
Le variabili ricorso a lavoratori flessibili e R&D da rapporto con imprese esterne
sono debolmente significativa così come, con segno negativo, l’aver migliorato i
prodotti.
Non si osserva una differenza statisticamente significativa tra le imprese appartenenti
ad aree geografiche differenti; la dicotomica relativa comparto delle granaglie mostra un
segno negativo con una debole significatività.
Per quanto riguarda l’impatto, presentano effetto marginale superiore gli accordi
tecnologici con altre imprese italiane e la variabile R&S da rapporti con università.
In tabella 6 sono riportate le stime effettuate per l’Italia meridionale. La flessibilità
del lavoro è la variabile più significativa nello spiegare la probabilità di sviluppare e
commercializzare un nuovo prodotto, seguono gli incentivi, la presenza di R&S intra
moenia ed extra moenia da rapporti con centri pubblici di ricerca. La percentuale di
laureati è debolmente significativa così come la dicotomica relativa al comparto
granaglie.
In quanto ad effetti marginali, la presenza di R&S extra moenia da rapporti con centri
pubblici di ricerca presenta il valore superiore, seguono gli incentivi e la presenza di
lavoratori flessibili. Quest’ultima variabile è altamente significativa per il Mezzogiorno
e probabilmente ciò spiega la minore significativa della variabile percentuale di laureati,
nel senso che il ricorso a lavoro flessibile ha abbassato il costo di acquisizione di
capitale umano necessario all’impresa per poi innovare, ciò in particolare per il
Mezzogiorno. Questo risultato sembra suggerire che la flessibilità del lavoro abbia
consentito lo skill-upgrading necessario alla differenziazione verticale del prodotto
(Celi, 1996; Bratti e Matteucci, 2005)
In sintesi nel periodo esaminato, subentrano nuovi sentieri di cambiamento
tecnologico con un avvicinamento tra sentiero nazionale e meridionale. L’importanza
della conoscenza si esplicita anche per il Mezzogiorno osservando l’acquisita
significatività di variabili quali la spesa in R&D intra moenia ed extra moenia da
università e centri pubblici e della percentuale di laureati, sebbene quest’ultima variabile
solo debolmente.
La dimensione non è più una variabile importante probabilmente perché gli incentivi
pubblici hanno indotto a esplicitare la domanda latente di innovazioni e a cercare
altrove risposte adeguate, nelle università ma anche nelle imprese private. Il ricorso al
19
lavoro flessibile emerge quale determinante significativa, in particolare per il
Mezzogiorno ma l’impatto di tale variabile dicotomica è inferiore a quello della
presenza di spesa in R&D da università.
Tabella 6 - Determinanti delle innovazioni nelle imprese alimentari meridionali (1998-
2000). Regressione probit. Variabile dipendente: presenza di fatturato da nuovi prodotti
Variabile dF/dx z P>|z|
Rapporti con GDO 0.034 0.73 0.47 Occupati laureati 0.021 1.72 0.09
Intensità R&S 0.051 1.98 0.05 R&S da rapporti con università 0.416 1.88 0.06
R&S da rapporti con imprese 0.164 0.76 0.45 % Spesa in R&S per miglioramento di prodotto 0.000 -0.37 0.71
Classe di dimesione 2 -0.045 -0.74 0.46 Classe di dimesione 3 -0.088 -1.41 0.16 Classe di dimesione 4 -0.075 -1.54 0.12
Imprese con lavoratori flessibili 0.125 2.44 0.02 Cooperativa -0.040 -0.66 0.51
Incentivi 0.149 2.20 0.03 Incentivi*R&S da rapporti con l’Università -0.082 -1.52 0.13
Comparto carne -0.027 -0.31 0.76 Comparto orto-frutticolo -0.044 -0.66 0.51
Comparto lattiero-caseario -0.002 -0.03 0.98 Comparto granaglie -0.104 -1.83 0.07 Comparto alimenti -0.028 -0.35 0.73 Comparto bevande
Psuedo R2 di McFadden 0.31
Psuedo R2 di Efron 0.27 Psuedo R2 di Veall/Zimmermann 0.45
% di predizioni corrette 91 N. osservazioni 145
Prob[χ2 > valore critico] 0.008
Per il Mezzogiorno, la presenza di R&S extra moenia da rapporti con università e
centri pubblici di ricerca passa da determinante non significativa dell’introduzione di
innovazioni di prodotto nel periodo 1995-997 a variabile significativa al 6% nel periodo
1998-2000. Per l’Italia nel suo complesso la significatività della variabile rimane
invariata ed alta ma diminuisce il suo effetto marginale da 0.289 a 0.228; viceversa il
valore che assume l’effetto marginale per il Mezzogiorno nel periodo 1998-2000,
sebbene meno significativo rispetto al resto d’Italia, è molto alto 0.416.
20
Ciò può essere spiegato dagli incentivi pubblici destinati a sollecitare questo tipo di
interazioni, dall’accresciuta competizione, derivante dalla diminuzione del sostegno
comunitario e dalla globalizzazione dei mercati, e dalla maggiore attenzione dei
consumatori alla qualità degli alimenti acquistati.
Tenendo conto che nei settori tradizionali , i flussi tecnologici sono maggiormente
confinati territorialmente e che il grado di polarizzazione nelle reti innovative è più alto
(Paci e Batteta, 2003) e che i flussi di conoscenza sono comunque limitati dalla distanza
geografica (Maggioni e Uberti, 2005), questo risultato conforta sul ruolo che
l’università può svolgere per il settore alimentare a sostegno di un modello di sviluppo
economico locale trainato da alta tecnologia.
5. Conclusioni La crescita delle economie tecnologicamente più avanzate è fondata sull’innovazione
costantemente alimentata dai risultati della ricerca scientifica. Obiettivo di questo lavoro
è stato verificare il ruolo delle università e degli istituti pubblici di ricerca
nell’introduzione di innovazioni nel settore agro-industriale italiano. L’analisi è stata
svolta mediante una regressione probit e sui dati relativi alle imprese agro-alimentari
della 7a (1995-97) e 8 a (1998-2000) indagine Capitalia.
Una differenziazione molto marcata si riscontra tra imprese meridionali rispetto a
quelle nazionali nel complesso in quanto a significatività dei determinati delle
innovazioni. In generale, la presenza di innovazioni di prodotto caratterizza imprese con
una intensa rete di rapporti orizzontali, con altre imprese, e verticali, con la GDO.
I risultati dell’analisi mostrano come la collaborazione con istituti pubblici di ricerca
sia sempre significativa nello spiegare l’introduzione di innovazioni di prodotto
nell’agro-industria italiana mentre comincia a diventare significativa per l’agro-industria
meridionale solo nel periodo 1998-2000.
21
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