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CARLO NEGRI FACCHINELLO
I SUPERDISTRETTI
(Un approccio di Economia Civile)
1
INTRODUZIONE
L’ipotesi di costruire Superdistretti potrebbe impiegare l’agenda
europea e internazionale per un ampio arco di tempo.
Così come la teoria delle Superstringhe1, si propone una sintesi di
sistemi attraverso un cantiere aperto e secondo un’ottica Open
Source2.
L’analisi intorno a tale ipotesi segue il profilo indicato dalla
figura geometrica cui è ispirata la cover di questo libro, la
Spirale Aurea3.
Dunque, lo scopo di questo lavoro è quello di proporre un’ipotesi
di costruzione di Superdistretti, ovvero aree locali di eccellenza,
tra loro interrelate (individuate anche a partire dai distretti
industriali), alimentate e valorizzate, a livello globale, per il
tramite di strumenti finanziari.
1 Secondo un principio generale unitario, la teoria fisica delle Superstringhe esprime la sintesi di tutte le forze fisiche e
delle particelle presenti in natura; tali elementi sono considerati quali vibrazioni di stringhe supersimmetriche.
I contributi più recenti afferiscono all’armonizzazione tra i due pilastri della fisica moderna, la meccanica quantistica e
la relatività generale. Per approfondimenti, cfr. B. Green, “L’universo elegante”, Einaudi, 2003 e J. Gates, “L’arte della
fisica: Stringhe, Superstringhe, Teoria Unificata dei Campi”, Di Renzo, 2006. 2 Il concept informatico di Open Source identifica un software immesso sul mercato attraverso una licenza che consente
di lasciare in disponibilità di qualunque programmatore il codice sorgente. Il fine è quello di generare una libera e
spontanea collaborazione, così da ottenere un prodotto finale con una complessità maggiore di quella che potrebbe
ottenere un singolo gruppo di sviluppatori. La caratteristica principale è la knowledge sharing. 3 La Spirale Aurea rappresenta il canone di armonia universale in natura. Ne sono esempi: i bracci delle galassie, i petali
dei fiori, il volo dei falchi, la forma di diversi tipi di conchiglie, ecc. Per costruire una spirale logaritmica occorre una
Sezione Aurea, derivata da una proprietà della Successione di Fibonacci [F(n)=F(n-2)+F(n-1), per n=3,4,5,...], (la
Successione di Fibonacci, trova riscontri nella riproduzione dei conigli, nella musica di Bach, Mozart e Stravinsky,
nelle piramidi egizie, nel Partenone, nella “Gioconda” di Leonardo da Vinci, ecc.).
Tale proprietà esprime: limn (Fn/Fn-1)=[(1+5^1/2)/2]=1,618… e individua la c.d. “Sezione Aurea”.
Il rapporto tra un numero di Fibonacci e il suo successivo tende al reciproco della Sezione Aurea:
1/[(1+5^1/2)/2]=0,618… . Tale numero irrazionale viene definito “Numero Aureo” ed è considerato come la misura
della legge universale dell’armonia. Graficamente, la spirale logaritmica si ottiene mediante successive divisioni di un
rettangolo aureo in quadrati e mediante l’inscrizione di archi nei quadrati. Per costruire il Rettangolo Aureo, occorre
determinare la misura dei suoi lati, a partire dalla Sezione Aurea. Graficamente, occorre sezionare un segmento di
lunghezza pari a un’unità in un dato punto, che divida il segmento in due sottosegmenti, in un dato rapporto tra loro, a
loro volta in un dato rapporto con la lunghezza totale del segmento. Quindi, il segmento non viene sezionato lungo il
punto medio, ma in modo aureo; ciò significa che il segmento deve stare alla sua parte maggiore come questa deve
stare alla parte minore, secondo la proporzione: AB:AO=AO:OB, suscettibile di rappresentazione geometrica:
A O B
La formula per ottenere la Sezione Aurea, cioè la sezione del segmento detta media
proporzionale fra l’intero segmento e la parte residua è: [a*1/2*(5^1/2-1)], dove “a” è la misura di una generica
lunghezza. In questo caso, è pari a AO. Allora, 1/2*(5^1/2-1)=0,618… Il valore complementare a 1, ovvero la misura
della parte inferiore del segmento, è pari a (1-0,618)=0,382. Quindi, questa misura rende numericamente possibile
l’equazione AB:AO=AO:OB. Pertanto, 1:0,618=0,618:0,382. Così si è stabilita l’altezza del Rettangolo Aureo (poiché
la parte maggiore del segmento sezionato, o della base del rettangolo, corrisponde al lato del quadrato necessario alla
costruzione della spirale); per costruire gli altri quadrati della figura si procede in modo analogo, applicando
reiteratamente la formula alla misura del lato del quadrato ottenuto.
2
In particolare, tale percorso è fondato sulle basi di pensiero
dell’Economia Civile, lungo il quale può essere rilevante
l’introduzione di un modello di titoli a tasso negativo.
Pertanto, anche attraverso l’esame di alcuni temi complementari
quali la Finanza Etica e l’architettura dei Distretti industriali,
l’ipotesi dei Superdistretti si inquadra nella visione più ampia e
innovativa enunciata dalla tradizione dell’Economia Civile.
Milano, 8 maggio 2009
Carlo Negri Facchinello
3
L’ECONOMIA CIVILE
De Civile Economia4
Per le finalità di questo lavoro, l’Economia Civile5 si configura
quale alveo ottimale per la generazione di Superdistretti.
L’Economia Civile trae fondamento da una molteplicità di
vicende storiche e di pensiero e, pur non essendo caratterizzata da
un’ortodossia formale, viene individuata a partire dai canoni
dell’Umanesimo civile, espressione del Quattrocento e del
Cinquecento italiano, distinguendosi per la particolare definizione
del rapporto tra mercato e sfera sociale; l’avanzare dell’uno o
dell’altra, alternativamente, secondo gli economisti civili, è in
grado di generare un ordine sociale ottimale.
Lungo un secondo passaggio storico, sul finire del diciottesimo
secolo, i contributi essenziali dell’Economia Civile provengono
dal primato della Scuola Napoletana e dalla Scuola Milanese, per
concludersi con Adam Smith, l’ultimo degli economisti civili.
Sulla scorta di questa tradizione di pensiero, oggi le società
avanzate necessitano di almeno tre variabili indipendenti per
svilupparsi in modo temperato:
il contratto (scambio di equivalenti), la redistribuzione della
ricchezza (equità) e il dono (reciprocità).
Mentre la Mondializzazione tende a collassare nel mero
fenomeno di internazionalizzazione delle imprese, si evince un
inarrestabile affermarsi del contratto, che comprime e delimita lo
spazio delle altre due variabili, l’equità e la reciprocità.
4 Le fondamenta dell’Economia Civile risalgono all’Etica Nichomachea di Aristotele, i cui principi vengono recuperati
dai contributi del premio Nobel A.K. Sen. In particolare, Aristotele pone al centro del suo pensiero la definizione ultima
della felicità umana, ovvero la ricerca di una vita buona e giusta, quindi la ricerca delle condizioni per costruire una
società buona e giusta. Il cardine è l’analisi della funzionalità umana nei criteri di giudizio sulle modalità di esistenza
degli individui. Si stabilisce quindi un’etica dei fini nelle azioni umane (la ricerca i beni materiali, cioè la ricchezza, è
funzionale alla ricerca dei beni relazionali). Al centro del ragionamento aristotelico trovano posto tanto le attività
fisiche, quanto quelle intellettive, con particolare riferimento all’educazione; quest’ultima è rilevante non come fine, ma
è strumentale all’attivazione di altre capacità, quali l’organizzazione armonica e ordinata della società. 5 “La proposta dell’Economia Civile è quella di vivere l’esperienza della socialità umana, della reciprocità e della
fraternità all’interno di una normale vita economica, né a lato, né prima, né dopo. Essa sostiene che i principi “altri” dal
profitto e dallo scambio strumentale possono trovare posto dentro l’attività economica. In tal modo si supera certamente
la prima visione che considera il mercato come luogo eticamente neutrale basato unicamente sul principio di scambio
degli equivalenti, poiché è il momento economico stesso che, in base alla presenza o assenza di questi altri principi,
diventa civile o in-civile”, in S. Zamagni, L. Bruni, “L’Economia Civile: il quadro di riferimento”, Almo Collegio
Borromeo, Pavia, 9-28-29 Aprile 2003, pp. 3. Per ulteriori approfondimenti: S. Zamagni, L. Bruni, “Economia civile.
Efficienza, equità, felicità pubblica.”, Il Mulino, 2004; L. Bruni, “L’economia, la felicità e gli altri. Un indagine su beni
e benessere.”, Ed. Città Nuova, 2004 e L. Bruni, “Il prezzo della gratuità”, Ed. Città Nuova, 2006.
4
Senza un “rapporto aureo” tra queste dimensioni, oltre
all’introduzione del principio di gratuità, il mercato non può
operare in modo completo.
Ecco la forza dell’Economia Civile, che richiama il valore dei
beni ambientali e relazionali, elementi che tendono a superare i
fallimenti del mercato6.
In questo senso, il paradigma più efficace è il contributo offerto
dalla Scuola Napoletana, attraverso i contributi dell’abate
salernitano Antonio Genovesi; infatti, la mancanza di fede
pubblica (“niente è più vero: la prima molla motrice delle arti,
dell’opulenza, delle felicità, di ogni nazione, è il buon costume e
la virtù”) e delle virtù civili (oggi social capital) non
consentivano alla Napoli del tempo di svilupparsi al pari delle
altre capitali europee.
Con l’introduzione del principio di reciprocità, Genovesi apportò
un’innovazione determinante per la rigenerazione del tessuto
sociale.
La Scuola Napoletana
La Scuola Napoletana (che annovera, tra gli altri, Doria, Galiani,
Filangeri, Pagano) individua il commercio come fattore
civilizzante; infatti, è l’attività dei mercanti che consente,
pacificamente, di scambiare beni e relazioni.
Accanto al meccanismo intrinseco dell’eterogenesi dei fini, a
partire dal pensiero di Gianbattista Vico, Genovesi individua
l’alchimia che trasforma gli interessi e le passioni in bene
comune: non si tratta di un meccanismo automatico, ma, al
contrario, necessita l’introduzione delle virtù civili.
Gli interessi privati sono guidati dalla mano della Provvidenza
verso il bene comune solo in presenza di civili istituzioni, di
cittadini che vivono le virtù civili, di leggi che regolano le
dinamiche spontanee degli interessi privati e di magistrati civili
che le facciano rispettare.
Oggi, come allora, il tema centrale è l’educazione, cui sono
correlati i rischi relativi7.
6 Tommaso Padoa-Schioppa individua le tre principali tipologie di market failure, ovvero: a) l’effetto delle decisioni di
consumo, produzione e investimento di alcuni soggetti nei confronti di altri (inquinamento, igiene, ecc.); b) le
asimmetrie informative; c) le formazioni nel mercato di monopoli e oligopoli che determinano prezzi elevati e qualità
carente dei beni di consumo. Cfr. T. Padoa-Schioppa, “Il governo dell’economia”, Il Mulino, 1997, pp. 13-14. 7 Per approfondimenti, L. Giussani, “Il rischio educativo”, SEI, 1995.
5
La piena comprensione della visione di Genovesi parte dalla sua
concezione antropologica della civile natura dell’uomo, fonte
generatrice della “Società”.
Secondo Genovesi, i rapporti con gli altri non si possono
considerare esclusivamente come dei mezzi attraverso i quali
ottenere interessi personali (Hobbes), perché tali comportamenti,
alla lunga, non reggono, se sacrificati sull’altare di
comportamenti opportunistici (free riding).
Risulta fondamentale la reciprocità, che rende l’essere umano
“persona”.
Non basta quindi la socialità, tipica del mondo animale, ma
occorre la reciprocità, che esprime la natura del mercato come
luogo attraverso il quale, nelle grandi società (dove si può fare
poco affidamento sul dono), ci si possa assistere l’uno con l’altro,
scambiando il superfluo con il necessario.
Allora è possibile individuare un Homo Reciprocans, poiché è lo
stesso Genovesi che afferma: “E’ legge dell’universo che non si
può far la nostra felicità senza far quella degli altri”.
In “Lezioni di economia civile”8, Genovesi si domanda come sia
stato possibile che, dopo l’avvento degli umanisti civili, Hobbes9
e Mandeville10 non abbiano compreso che, per funzionare, il
sistema economico deve fondarsi sulla fiducia.
Infatti, l’economia di mercato, per essere strumento di
civilizzazione, necessita della fiducia, ovvero della fides.
In accordo con Zamagni11, il termine fides significa “fede”, ma
anche “corda”.
La fides è la corda del liuto, che deve essere tirata, altrimenti non
suona, così come le trame di relazioni, i rapporti tra gli individui
(le corde), devono avvicinarsi, restringersi, “tirarsi”, per
conseguire un ottimo sociale di tipo armonico.
Una corda può essere orizzontale o verticale.
La corda verticale (che discende, ovvero viene dall’Alto) è la
fede; la corda orizzontale (che lega gli uomini) è la fiducia.
La fede è una corda, un legame tra essere umano e la sua fede, in
un rapporto verticale.
8 A. Genovesi, “Lezioni di commercio o sia di economia civile”, Società Tipografica dei Classici Italiani, 1824. 9 T. Magri (a cura di), T. Hobbes, “De Cive. Elementi filosofici sul cittadino”, Editori Riuniti, 1999. 10 T. Magri (a cura di), B. De Mandeville, “La favola delle api”, Laterza, 1987. 11 Op. Cit.
6
Se il legame si realizza esclusivamente tra esseri umani, il
rapporto è di tipo orizzontale (Figura 1).
A
Fede
A B
Fiducia
B
Fig. 1. Le corde dell’Economia Civile
La fiducia non è un sentimento, ma è un fattore oggettivo.
I contratti si stipulano e si onorano solo se vi è fiducia tra le parti.
In assenza delle corde, delle trame di rapporti edificate sulla
reciprocità, non si stipulano i contratti e non si consente
all’economia di mercato di funzionare, a meno di incrementare
sensibilmente i costi di transazione12.
Nell’attuale momento storico, un certo numero di aziende non
sottoscrive contratti, originando minori opportunità di sviluppo e
di benessere, non tanto per gli elevati costi di produzione, ma per
gli onerosi costi di transazione.
Dove non vi è fiducia non vi è spazio per le transazioni, quindi
non esiste il mercato, ma il caos, ovvero un trasferimento dalla
volatilità all’incertezza nelle dinamiche del sistema.
Come risulta possibile, allora, allacciare le corde in modo aureo?
Come è possibile identificare una sintesi dinamica come nella
teoria delle Superstringhe?
12 Si tratta di una tipologia di costi che, in un’economia di mercato caratterizzata dal decentramento delle decisioni e da
una ripartizione della proprietà fra una moltitudine di individui, devono essere sostenuti per il trasferimento dei diritti di
proprietà sui beni. In particolare, l’economista K. Arrow (1971) identifica i costi di organizzazione; più in generale, si
tratta di costi (non sempre quantificabili) sostenuti dai partecipanti alla negoziazione di contratti per giungere al closing
dei medesimi. Una definizione più allargata dei costi di transazione è affrontata dall’economista R. H. Coase, attraverso
l’omonimo teorema. Per approfondimenti, cfr. R. H. Coase, “The problem of social cost”; J. Law & Econ. 3, 1960.
7
Genovesi propone il principio di reciprocità, sopra descritto.
Nella società dove non è applicata, non esistono fiducia, mercato,
sviluppo e ordine sociale.
La Scuola Milanese13
A partire dal tema della ricerca della pubblica felicità, Ludovico
Antonio Muratori14, uno dei principali rappresentanti della scuola
di Milano, individua il passaggio per cui l’interesse privato non si
risolve naturalmente in pubblica felicità, essendo questa il frutto
delle virtù civili. Infatti, l’aggettivo “pubblico”, che all’epoca
veniva associato alla felicità, è differente dal significato corrente
che lo associa all’intervento dello Stato.
La felicità era pubblica perchè, a differenza della ricchezza,
poteva essere goduta solo con e grazie agli altri.
Un individuo può essere soddisfatto da solo, ma per essere felici
occorre essere almeno in due e ciò sottende l’ottimo cooperativo,
come dimostrato dalla Teoria dei Giochi, attraverso il Dilemma
del Prigioniero15.
13 Risulta interessante la prospettiva storica che inquadra l’esperienza milanese verso la moderna società del welfare:
“Vi è naturalmente un genius loci, quello di una città che – secondo Eric John Hobsbawn – non ha conosciuto il mob,
quell’endemica forma di ribellismo urbano che ha spesso accompagnato la storia europea. Milano, che dalla morte
dell’ultimo Sforza nel 1535 non ha più una grande politica estera e militare, destina certo maggiori risorse a una
progettualità civile e a un intervento sociale che non hanno il medesimo riscontro in altri centri della penisola e del
continente, e non conosce, o conosce assai meno, l’atteggiamento repressivo e colpevolizzante nei confronti dei poveri
allora diffuso. Quei poveri che - secondo un autore non sospettabile di indulgenze clericali come Carlo Cattaneo –
ricevono in Lombardia <<una più generosa parte dei soccorsi che altrove>>, ad esempio negli ospedali <<aperti a
tutti>> alla sola condizione <<dell’infermità e del bisogno>>. Ma occorre considerare un intero sistema di relazioni
sociali, che rappresenta la peculiare reinvenzione dell’eredità medioevale da parte dell’Europa moderna. Esso si può
descrivere come un sistema di corpi auto-organizzati, il cui limite sta nel riconoscimento di un’autorità superiore per
competenze che vadano oltre il loro ambito, senza però ricevere da quest’ultima né la possibilità di agire né la
legittimazione, che restano originarie, legate appunto alla società”, in E. Bressan, Dalla repubblica cristiana alla
Welfare Society, in AA.VV., a cura della Fondazione per la Sussidiarietà, “Milano , i Lumi della libertà”, Globe
Editore, 2005, pp. 53-57. 14L.A. Muratori, “Della pubblica felicità”, Lucca, 1749. 15 “Il Dilemma del Prigioniero è la rappresentazione sintetica di una situazione di conflitto di interessi tra due soggetti.
Nella terminologia della teoria dei giochi si tratta di un gioco non cooperativo a somma variabile. Questo gioco,
illustrato per la prima volta da D. Luce e H. Raffa (Giochi e decisioni, 1957), è diventato ben presto un preziosissimo
esempio di interazione tra il comportamento economico e, più in generale sociale, di due decision maker. Due
prigionieri (A e B) sono posti di fronte a due alternative: confessare (C) o non confessare (NC) un certo crimine.
A seconda di ciò che scelgono indipendentemente di fare, l’esito del gioco è schematizzato nella tabella che segue.
A\B
C NC
C 10,10 0,20
NC 20,0 1,1
Il primo numero di ciascuna casella indica gli anni di carcere comminati ad A e il secondo numero a B.
Si accerta agevolmente che, indipendentemente dalla strategia dell’altro, la strategia ottima per ciascun prigioniero è C.
Dunque, l’equilibrio di Nash (equilibrio non cooperativo) è C-C, che assegna a ciascun giocatore dieci anni di carcere.
Ovviamente questo risultato non è Pareto-ottimo, in quanto l’esito del gioco, se entrambi adottassero NC, sarebbe
8
Nell’Ottocento italiano, un contributo determinante viene offerto
da Carlo Cattaneo16, che supera il pensiero anglosassone (in cui è
centrale il ruolo dei fattori di produzione nello sviluppo
economico), focalizzandosi sul talento e sull’intelligenza quali
drivers di sviluppo, inteso secondo un’accezione più ampia
rispetto agli economisti d’oltre Manica.
In conclusione, la Scuola Milanese viene ad indicare due
principali direttrici: il ruolo delle giuste leggi per la pubblica
felicità e l’importanza attribuita alla creatività e all’intelligenza
della persona nella creazione del valore dei beni.
Il pensiero di Adam Smith17
Anche l’economia classica inglese è Economia Civile, a partire
dall’espressione di Smith, l’ultimo degli economisti civili: “non è
dalla benevolenza del macellaio, del fornaio e del birraio che ci
aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla considerazione del loro
interesse; non ci rivolgiamo al loro senso di umanità, ma al loro
egoismo, e non parliamo loro delle nostre necessità, ma dei loro
vantaggi”; ma anche “propensione a scambiare e a barattare una
cosa con un’altra è uno dei principi più tipici della natura
umana”.
La propensione a scambiare beni e servizi è una tipica
espressione della socialità umana, al punto che il modo naturale
per ottenere dei beni dagli altri individui risulterebbe dalla
reciprocità, dall’amicizia e dall’amore, come nella famiglia.
Ma, nella grande società, “la durata di tutta la vita ci basta
appena a guadagnarci l’amicizia di pochi”.
In una società moderna e civilizzata, lo scambio o l’amicizia, non
sono sufficienti per farci procurare le cose necessarie alla vita.
migliore per entrambi. Si può notare anche che C-C non solo non è una soluzione Pareto-ottima, ma è l’unica a non
esserlo. Questo risultato, ottenuto dalla pura applicazione di un comportamento razionale da parte di soggetti, è
apparentemente paradossale. La possibilità di comunicare tra loro, peraltro, non offrirebbe alcuna garanzia ai giocatori
di pervenire al risultato NC-NC, in quanto entrambi potrebbero compromettere di adottare NC, ma poi adottare C in
quanto esiste un incentivo, in termini di premio, a violare un eventuale patto.
Ammettere cioè la possibilità di accordi non rende il gioco cooperativo; a tale scopo gli eventuali accordi debbono
essere resi vincolanti, ovvero la promessa di adottare una certa strategia deve apparire credibile. Tale credibilità può
derivare, per es., dalla presenza di minacce di ritorsione nel caso di violazione delle promesse: ciò però richiede la
possibilità di considerare la situazione di interazione fra i due soggetti in termini di un gioco ripetuto”.
Cfr. AA.VV., “Economia”, Garzanti, 2001, pp. 392. 16C. Cattaneo, “Del pensiero come principio di economia pubblica”, Scheiwiller, 2001. 17A. Smith, “An Enquiry into the nature and causes of the wealth of nations”, Oxford University Press, 1976 e “The
theory of moral sentiments”, Oxford University Press, 1976.
9
Ecco allora due alternative: vivere come il cagnolino o il
mendicante che per il loro pasto “dipendono dalla benevolenza
del macellaio (oggi lo Stato)”, oppure scambiare e commerciare
con gli altri.
Il mercato è quindi un meccanismo provvidenziale, logica
derivata dalla “mano invisibile”; con tale espressione, Smith
tende ad indicare la trasformazione per mezzo del mercato degli
interessi privati in bene comune, secondo le tesi di Vico e
Genovesi intorno all’azione sociale della Provvidenza.
Pertanto, l’amore reciproco richiede l’integrazione di meccanismi
sussidiari18.
Ogni volta che il commercio è introdotto in un paese, con esso
arrivano onestà e puntualità; infatti, all’epoca di Smith, egli prese
a modello il successo commerciale degli olandesi, determinato
dal fatto che in Europa erano il popolo più fedele alla parola data.
La differenza di impostazione concettuale tra la Scuola
napoletana e quella anglosassone può essere così sintetizzata:
Genovesi sostiene che prima è necessario edificare la fede
pubblica e da qui poi fiorirà il mercato; Smith parte dal mercato
per arrivare alle virtù civili.
Tuttavia, si evince una costante intersezione di fondo, riscontrata
coerentemente da entrambe le correnti di pensiero.
In particolare, l’antropologia di Smith è fondata sul principio del
fellow feeling, sulla base della categoria della corrispondenza di
sentimenti con il prossimo.
Nell’uomo, infatti, vi sono principi che lo fanno interessare alla
sorte altrui, e che gli rendono necessaria l’altrui felicità
(riconoscimento).
18 “La formulazione classica del principio di sussidiarietà cui ci riferiremo, e che è universalmente riconosciuta come
quella fondante tutto il suo successivo sviluppo, è quella data da Papa Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno:
<<come è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo
alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si
può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto
naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium afferre) le
membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle>>. Il principio di sussidiarietà è, dunque, un principio
ordinatore della società e ha un carattere normativo. Non si tratta, tuttavia, di una normatività che scaturisce da una
sorta di <<imperativo categorico>>, scaturisce, invece, da una precisa concezione antropologica e, quindi, relativa alla
dimensione sociale stessa dell’uomo, nonché alle sue ripercussioni politiche ed economiche”; cfr. P. Del Debbio,
“Fondamenti filosofici del principio di sussidiarietà”, in G. Vittadini (a cura di), “Che cosa è la sussidiarietà”, Guerini e
Associati, 2007, pp. 51. Per un’analisi intorno al rapporto tra il principio di sussidiarietà e il contesto istituzionale, cfr.
Fondazione per la Sussidiarietà, A.A.V.V.., “Sussidiarietà e riforme istituzionali, rapporto sulla sussidiarietà 2007”,
Mondadori Università, 2008.
10
Smith recupera il pensiero di Galiani (Scuola Napoletana),
secondo cui l’uomo non solo è un essere sociale (come lo è anche
il mondo animale), ma è un essere relazionale; ciò si manifesta
secondo un approccio di simpathy, ovvero un comportamento in
armonia con il contesto circostante.
L’uomo è in grado di porsi empaticamente nei confronti
dell’altro, fino a comprenderne i sentimenti (fellow feeling).
Allo stesso modo, Smith esprime il principio di benvolence; si
tratta di porre un limite etico nella vittoria contro l’avversario, da
ottenere sempre senza annichilire la dignità dell’altro.
Grazie ai principi di fellow feeling e di benvolence, può
funzionare allora il self interest, ovvero la ricerca di un
particulare temperato.
Al contrario, l’uomo ricade nella “foresta hobbesiana” .
Con Smith, l’Economia Civile recupera il significato latino di
competizione, ovvero cum petere, tendere insieme, giustificando
il conseguimento dei risultati economici positivi attraverso una
competizione all’altezza (fair trade).
La competizione è utile perché esprime la tensione verso il
raggiungimento degli obiettivi prefissati, ma la battaglia porta a
una crescita, in un contesto di economia di mercato.
Smith è l’ultimo degli umanisti civili, tuttavia il pensiero
anglosassone è stato successivamente fondato sull’utilitarismo di
Jeremy Bentham, posto su basi logiche differenti e parziali19.
In conclusione, i diversi contributi che compongono il pensiero
dell’Economia Civile affermano che, quando un sistema
economico e sociale è in crisi, l’uomo tende alla ricerca delle
origini, delle radici, per poter rigenerare le proprie attività
secondo i principi descritti.
Questo invito, fortemente attuale, è la visione illuminante offerta
dall’Economia Civile.
19
Infatti, dalla diffusione del pensiero utilitarista in poi, la tradizione dell’Economia Civile è venuta sfumando, fino ad
essere ripresa ai giorni nostri. Tuttavia, già all’epoca, Adam Smith criticava l’utilitarismo di Bentham, ribaltando le tre
tesi principali del suo pensiero, ovvero: 1) Consequenzialismo, ovvero il giudizio morale su un’azione dipende dalle
conseguenze; antitesi di Smith: un’azione è buona in base alle intenzioni; 2 ) Benesserismo, dove la conseguenza buona
è quella che aumenta il benessere, ovvero la bontà è strettamente legata all’utilità; antitesi di Smith: i diritti umani non
possono essere oggetto di calcolo, come la vita e la libertà; 3) Ordinamento per somma, [ΣUi (x)> ΣUi (y)], ovvero: “x
preferito a y” e scelgo l’opzione che massimizza l’utilità; antitesi di Smith: l’ordinamento per somma non garantisce
l’equità, ovvero il bene totale; quindi, il semplice bene comune non è il bene totale, ma risulta integrato dalla
reciprocità, come nell’equazione seguente: bene totale = bene comune + reciprocità.
11
L’Economia Civile oggi
I contributi più recenti ricercano una nuova teoria
dell’allocazione dei diritti di proprietà dello Stato, non solo dei
privati, che si concentri sulla qualità della prestazione e
l’efficacia della deliberazione nella trasparenza dei diritti e dei
doveri.
Se ci poniamo in tale prospettiva, si evince quanto proficuo possa
essere l’avvento dell’economia di relazione, piuttosto che di
transazione (e di concessione anche dei beni statuali) o di quelli
definiti un tempo “enti autarchici”.
I monopoli tecnici e naturali potrebbero essere posseduti dalle
comunità: sia in forme private a larghissima diffusione della
proprietà che in forme cooperative, ovvero in forme di enti non
profit, secondo l’esperienza anglossassone.
Ad oggi l’etica e i valori collettivi sono frammentati lungo una
pluralità di etiche e di valori individualistici e funzionali
(relativismo).
L’intervento dello Stato nell’economia assume connotazioni
clientelari, che mettono in crisi tale modello e che apre dei vuoti
colmabili esclusivamente attraverso meccanismi sussidiari.
Ciò avviene con la nascita e la crescita dal “basso” dei più
disparati tentativi di risposta ai bisogni della collettività20.
Il principio di sussidiarietà prevede che lo Stato intervenga
nell’economia solo quando la libera iniziativa degli agenti privati
non è sufficiente a rispondere ai bisogni della popolazione,
valorizzando l’azione delle singole persone e delle loro
20 Sono quattro le modalità con cui il pubblico si rapporta col privato: 1) outsourcing di compiti e funzioni; 2)
sussidiarietà per progetti; 3) valorizzazione di enti riconosciuti; 4) sussidiarietà senza apparato istituzionale di gestione.
Nel passaggio dal primo all’ultimo modello, i pubblici poteri riducono progressivamente la volontà di condizionare i
privati coinvolti, lasciando spazio per operare, senza peraltro rinunciare alla loro funzione, ovvero garantire la qualità del
servizio e i risultati della gestione. Le principali connotazioni dei quattro modelli risultano così definite: 1)
L’Esternalizzazione è un modello embrionale di realizzazione del principio di sussidiarietà, in quanto poco rispet tosa di
libertà, responsabilità ed imprenditorialità, le quali devono generare solidarietà e sviluppo; 2) La sussidiarietà per
progetti è tale nei settori in cui l’ente pubblico stimola le imprese private a incrementare la loro capacità di risposta a
bisogni, per le quali occorre innovazione e differenziazione (versus standardizzazione); 3) La valorizzazione di enti in
cui si manifesta creatività sociale, si concretizza sostenendo chi offre risposte a bisogni che l’ente pubblico non è in
grado di soddisfare; per le loro attività meritorie, tali enti si impongono all’attenzione della società civile come
benemeriti ed eccellenti e sono anche riconosciuti finanziariamente dall’ente pubblico, senza che venga richiesta la
preventiva presentazione di progetti in parte predeterminati in sede politica. In tal modo il timone passa al soggetto
privato, mentre il pubblico lo sostiene, talora ampliandone le capacità di azione, senza alcuna ingerenza, ma limitandosi
a controllare i risultati e a verificare che sia mantenuto il profilo di eccellenza che a imposto l’iniziativa all’attenzione
generale; 4) Il quarto modello modifica sensibilmente il ruolo dell’ente pubblico che, da gestore di servizi e detentore di
leve strategiche, si trasforma in ente regolatore di un mercato in cui enti pubblici, enti privati e non profit competono per
aggiudicarsi gli utenti. Questi, a loro volta, sono finanziariamente sostenuti dall’ente pubblico, in vario modo, tramite
buoni, vouchers, detrazioni/deduzioni fiscali, strumenti che consentono loro di acquisire i servizi erogati da una pluralità
di gestori, senza diminuzioni nella loro libertà di scelta.
Cfr. G. Vittadini (a cura di), “Che cosa è la sussidiarietà”, Guerini e Associati, 2007, pp. 203-204-205-206-207.
12
aggregazioni in campo economico, ossia nel soddisfacimento dei
bisogni individuali e collettivi.
Adottando una visione liberista, ovvero un approccio keynesiano,
si consideri che entrambi i modelli sono basati sull’economia di
mercato e sul ruolo dei prezzi.
In particolare, il modello liberista classico, non prevede alcun
intervento dello Stato, se non nel ruolo di redistributore delle
dotazioni iniziali.
Pertanto, rispetto al principio di sussidiarietà, il modello liberista
classico non prevede un intervento dello Stato quando gli
individui non sono in grado di provvedere al completo
soddisfacimento dei propri bisogni.
Ad esempio, in presenza di beni pubblici, la sussidiarietà tiene
conto che scambi non regolati dal meccanismo dei prezzi
possono avvenire anche per iniziativa privata, in assenza di
finalità di lucro.
Sin dalle prime attuazioni del Welfare State, gli interventi non
hanno tenuto conto della possibilità di applicare il principio di
sussidiarietà, basandosi su un ruolo diretto, ampio, dello Stato
anche nel soddisfacimento dei bisogni (statalismo).
Tuttavia, ciò si è realizzato concretamente in ambito europeo, in
cui la Comunità interviene secondo il principio di sussidiarietà
nei settori di sua esclusiva competenza, ovvero qualora gli
obiettivi dell’azione prevista non possano essere realizzati dagli
Stati Membri.
In termini attuali, si direbbe che l’Economia Civile nasce,
dunque, come risposta al default sociale del modello statalista.
In particolare, da una parte si considerano lo Stato, la società
civile e il mercato; dall’altra, il mercato, se inteso quale luogo di
esercizio di reciprocità, virtù civili e fiducia risulta elemento
fondante della società civile.
Emerge, dunque, un principio che promana dall’esperienza
dell’Umanesimo Civile, secondo cui l’uomo si trova al centro,
tanto del mercato, quanto della società civile.
L’Economia Civile, quindi, indaga tre elementi: 1) scambio, 2)
redistribuzione e 3) reciprocità.
L’origine del mercato è data dallo scambio di equivalenti di
valore, che determina i prezzi; ciò conduce a logiche di pura
efficienza, ovvero ad un conveniente rapporto tra input e output.
L’equità, principio che assicura la redistribuzione del reddito
generato dall’economia di mercato, completa parzialmente il
principio di scambio, garantendo e includendo l’accesso al gioco
cooperativo a tutti i potenziali entranti della comunità.
13
Infine, attraverso la dinamica relazionale, gli individui
sviluppano il principio di reciprocità, ovvero la fiducia, collante
tanto del mercato quanto della società civile.
Le fides, corde che identificano le trame di rapporti, privilegiano
in dati momenti atti di gratuità e di aspettativa di imitazione dei
medesimi; allo stesso tempo, aprono a tutti i soggetti la libertà
positiva (“libertà di”, in contrapposizione alla libertà negativa, o
“libertà da”); ciò consente la realizzazione della proprie attese,
traducendosi in felicità civile.
L’Economia Civile compone i diversi possibili modelli statuali,
ciascuno dei quali si è dimostrato incompleto e inefficiente nel
garantire l’ottimo sociale in senso paretiano.
In particolare, ogni modello è fondato in modo parziale sui
principi sopra esposti, a partire da quello Neoliberale (reciprocità
e scambio), Comunitarista (redistribuzione) e del Welfare
(redistribuzione e scambio).
Da questo tratto prende le mosse il tema sussidiario delle
organizzazioni non profit, cui vanno riconosciute soggettività
giuridica e indipendenza economica.
Ciò potrebbe essere esteso a n comunità ancora da determinare, i
Superdistretti, collegate tra loro per via finanziaria.
Dunque, il principio di reciprocità è correlato tanto ai beni
materiali, quanto ai beni relazionali; se calato all’interno della
vita civile, tale principio genera felicità, attraverso una modalità
di trasparenza nei rapporti umani.
In particolare, la felicità è correlata in misura maggiore nella
direzione vettoriale dei beni relazionali, quindi all’altrui libertà;
ciò evidenzia fondamenta piuttosto labili, proprio come i rapporti
umani: infatti, pur nel paradosso che sono gli stessi rapporti a
generare infelicità, la felicità si ottiene proprio dalle relazioni
civili, legate attraverso le libertà di tutti gli altri individui che
partecipano o non partecipano, in ottica cosmopolita, al gioco
cooperativo .
Infine, la gratuità, che consente all’individuo di realizzarsi
tramite la reciprocità e di corrispondere con gli altri nell’ottica di
un ordinamento sociale ottimale, genera collettivamente pubblica
felicità, come in Figura 2 (x è la variabile indipendente,
alternativamente rappresentata da intelletto, esperienza e
memoria; y risulta dalle combinazioni assolute date dal prodotto
delle variabili indicate).
14
Y + ∞ I°
y=x3
x>0
0 X
Fig. 2. La funzione d’intelligenza di un ordine sociale ottimale
La realizzazione di tali condizioni elimina dall’economia di
mercato i fallimenti generati dalla mera prospettiva del profitto,
finalizzato al perseguimento dei soli beni materiali.
Il mercato genera benessere esclusivamente in ottica delle virtù
sopra esposte, divenendo luogo di incivilimento e quindi di
felicità.
E’ interessante notare come la partecipazione alle attività di
mercato, inteso quale dato spazio economico, non è mai separata
dall’humus culturale che, riflessivamente21 lo determina.
Proprio ciò favorisce il principio dell’inclusione22 di cittadinanza
laddove si generi un equilibrio armonico, bilanciato tra i diversi
attori della stessa comunità, attraverso fede pubblica e virtù
civili.
21G. Soros, “The alchemy of finance: reading the mind of the market”, J. Wiley & Sons, 1994. 22A. Margalit, “La società decente”, Guerini e Associati, 1998.
15
LA FINANZA ETICA
Alcune definizioni
La Finanza23 Etica24 potrebbe considerarsi quale naturale
estroflessione dell’Economia Civile.
23 La Teoria della Finanza è trattata in letteratura attraverso un ampio novero di testi. In questa sede, ci limitamo a
segnalare due manuali di scuola: T.E. Copeland, J. F. Weston, “Teoria della Finanza e Politiche d’impresa”, Egea,
1994 e S. A. Ross, R.W. Westerfield, J.F. Jaffe, “Finanza Aziendale”, Il Mulino, 1997. 24 “La finanza eticamente orientata: 1) Ritiene che il credito, in tutte le sue forme, sia un diritto umano. Non discrimina
tra i destinatari degli impieghi sulla base del sesso, dell'etnia o della religione, e neanche sulla base del patrimonio,
curando perciò i diritti dei poveri e degli emarginati. Finanzia quindi attività di promozione umana, sociale e
ambientale, valutando i progetti col duplice criterio della vitalità economica e dell'utilità sociale. Le garanzie sui crediti
sono un'altra forma con cui i partner si assumono la responsabilità dei progetti finanziati. La finanza etica valuta
altrettanto valide, al pari delle garanzie di tipo patrimoniale, quelle forme di garanzia personali, di categoria o di
comunità che consentono l'accesso al credito anche alle fasce più deboli della popolazione; 2) Considera l'efficienza una
componente della responsabilità etica. Non è una forma di beneficienza: è un'attività economicamente vitale che intende
essere socialmente utile. L'assunzione di responsabilità, sia nel mettere a disposizione il proprio risparmio sia nel farne
un uso che consenta di conservarne il valore, è il fondamento di una partnership tra soggetti con pari dignità; 3) Non
ritiene legittimo l'arricchimento basato sul solo possesso e scambio di denaro. Il tasso di interesse, in questo contesto, è
una misura di efficienza nell'utilizzo del risparmio, una misura dell'impegno a salvaguardare le risorse messe a
disposizione dai risparmiatori e a farle fruttare in progetti vitali. Di conseguenza il tasso di interesse, il rendimento del
risparmio, è diverso da zero ma deve essere mantenuto il più basso possibile, sulla base delle valutazioni sia
economiche che sociali ed etiche. 4) E' trasparente. L'intermediario finanziario etico ha il dovere di trattare con
riservatezza le informazioni sui risparmiatori di cui entra in possesso nel corso della sua attività, tuttavia il rapporto
trasparente con il cliente impone la nominatività dei risparmi. I depositanti hanno il diritto di conoscere i processi di
funzionamento dell'istituzione finanziaria e le sue decisioni di impiego e di investimento. Sarà cura dell'intermediario
eticamente orientato mettere a disposizione gli opportuni canali informativi per garantire la trasparenza sulla sua
attività. 5) Prevede la partecipazione alle scelte importanti dell'impresa non solo da parte dei soci ma anche dei
risparmiatori. Le forme possono comprendere sia meccanismi diretti di indicazione delle preferenze nella destinazione
dei fondi, sia meccanismi democratici di partecipazione alle decisioni. La finanza etica in questo modo si fa promotrice
di democrazia economica. 6) Ha come criteri di riferimento per gli impieghi la responsabilità sociale e ambientale
Individua i campi di impiego, ed eventualmente alcuni campi preferenziali, introducendo nell'istruttoria economica
criteri di riferimento basati sulla promozione dello sviluppo umano e sulla responsabilità sociale e ambientale. Esclude
per principio rapporti finanziari con quelle attività economiche che ostacolano lo sviluppo umano e contribuiscono a
violare i diritti fondamentali della persona, come la produzione e il commercio di armi, le produzioni gravemente lesive
della salute e dell'ambiente, le attività che si fondano sullo sfruttamento dei minori o sulla repressione delle libertà
civili. 7) Richiede un'adesione globale e coerente da parte del gestore che ne orienta tutta l'attività. Qualora invece
l'attività di finanza etica fosse soltanto parziale, è necessario spiegare, in modo trasparente, le ragioni della limitazione
adottata. In ogni caso l'intermediario si dichiara disposto ad essere 'monitorato' da istituzioni di garanzia dei
risparmiatori”. Cfr. E. Baldessone, M. Ghiberti (a cura di), “L'euro solidale”, EMI, 1998, pp. 20-21-22, e cfr.
www.finanza-etica.it. Inoltre, autorevoli sono i richiami a questo tema: “Le frequenti distorsioni dell’economia di
mercato, ricadendo a volte in maniera pesante sulla società, hanno da tempo richiamato la necessità di risposte aziendali
responsabili, rispettose dei principi di tutela ambientale e di equità sociale. E’ così che si è aperto il capitolo della
Finanza Etica, relativa ad investimenti finalizzati all’economia reale in un quadro di sviluppo sostenibile, tale cioè da
soddisfare i bisogni del presente senza compromettere le risposte a quelli delle future generazioni. Si tratta di affrontare
i problemi di accumulazione e le sfide ecologico-ambientali secondo una dimensione universalistica (solidarietà nel
tempo e nello spazio) ovvero anche di riuscire a conservare, ad un tempo, il capitale economico e quello umano e
ambientale. Ciò postula imprese solide e durature i cui risultati, organizzativamente sani e socialmente benefici, si
concretizzano attraverso qualità e cultura. Siffatte imprese devono ricercare l’eccellenza in aree-chiave (mirare, cioè, a
fare non tanto le stesse cose, quanto cose diverse a vantaggio anche di altri), aderire alla logica concorrenziale (che è
diversa dal capitalismo privo di regole), collaborare per superare i fenomeni degenerativi, perseguire un disegno civile e
sociale di solidarietà (con il ritorno alla primazia - nella dinamica storica - del civile, del sociale, della cultura).
L’esperienza dice che una gestione sana (correttezza e trasparenza nelle relazioni d’affari) e prudente (sensibilità al
rischio) conduce a risultati positivi e che i comportamenti opportunistici (dettati da ottiche monetarie di breve) si
16
In questa sede, ne tratteremo con riguardo non tanto della sfera
del non profit, ma del puro ambito finanziario, per arrivare a
definire una proposta eminentemente tecnica, ovvero l’adozione
di un modello di titoli a tasso negativo, quale strumento per la
determinazione di un ottimo sociale all’interno di Superdistretti.
La Teoria della Finanza esplicita la massimizzazione dei profitti
quale finalità di ogni investimento, per un dato grado di rischio.
La Finanza Etica incide sulla natura sottostante agli investimenti,
ovvero sull’etica dei singoli progetti esperiti dagli attori
economici.
L'investitore (razionale) si pone un obiettivo di trading
(speculazione) coerente con i principi di responsabilità sociale e
ambientale.
L’investimento etico consiste nella selezione e nella gestione
degli investimenti condizionata da criteri etici e di natura sociale,
o ethical investment.
L'investitore etico è colui che non è unicamente interessato al
rendimento dei propri assets, ma vuole conoscere le ragioni di
fondo che realizzano tale redditività, le caratteristiche dei beni
prodotti, la localizzazione dell'azienda e verificare il realizzarsi di
politiche aziendali corrette e trasparenti.
I mercati finanziari, in particolare, sono considerati quali
strumenti a servizio all'economia reale quando gli investimenti
sono orientati nell’ottica di cui sopra.
Tali riflessioni si collocano nel contesto globale, con relativi
costi e benefici.
I costi: crisi finanziarie, sperequazione della ricchezza,
turbomobilità del capitale rispetto agli altri fattori di produzione,
regole inadeguate (in particolare sul fronte dei mercati finanziari)
e smagliature giuridiche nel sistema.
I benefici: equilibrio sociale e crescita del mercato, da cui
dipende lo sviluppo; l’operare di un mercato globale consente
allocazione più efficiente delle risorse, minori costi di produzione
e più alti livelli di produttività. Tali benefici sono appannaggio
dei paesi che li meritano, sia adeguando la loro struttura, sia
governando il processo. Quest’ultimo fattore richiede di
interagire a livello internazionale con gli altri paesi.
possono alla lunga rivelare perdenti (spesso nelle banche, se si pregiudica la fiducia dei clienti)”. Cfr. A. Caloia, “Etica
della Finanza e Finanza Etica: gli echi delle problematiche odierne”, Almo Collegio Borromeo, Pavia, 13 Maggio 2004,
pp. 7.
17
In mancanza di un governo mondiale, occorre che i vari paesi si
accordino sulla base di giochi cooperativi.
In tale quadro si inserisce il pensiero di Amartya Sen, secondo il
quale alla ricchezza (che rimane sempre un elemento base del
mercato), va ad aggiungersi anche la felicità, espressione diversa
dal benessere.
Una persona è più ricca di un'altra quando è più felice ed ha
ottenuto una migliore qualità della vita.
Il mercato è vero mercato quando non produce solo ricchezza,
ma soddisfa anche attese e valori etici.
Il risparmiatore diviene così controllore delle conseguenze non
economiche degli atti e delle sue decisioni di investimento.
Pertanto, nel presente si pone la necessità di un giudizio etico
circa il lato finanziario della Globalizzazione.
In questo senso, si rivela un nesso con la CSR (Corporate Social
Responsability)25, intesa come orientamento a soddisfare in
misura crescente le aspettative degli stakeholders, ovvero le
istanze della cittadinanza glocale, precedentemente appannaggio
dei doveri dello Stato o della società civile.
Infatti, tra gli elementi di spicco della CSR, si annoverano gli
ambiti della comunicazione e della reputation aziendale, nonché
degli investimenti nella comunità, intesi nella direzione di
costruire, alimentare e consolidare un network relazionale basato
su rapporti di fiducia, reciprocità, cooperazione e solidarietà,
valorizzando tutti gli attori della comunità, attraverso delle opere,
non solo orientate a finalità economiche.
I nessi tra Economia Reale e Finanza Etica
Sul piano della governance delle large corporations e degli
istituti finanziari, ecco allora emergere il ruolo delle maggioranze
in rapporto aureo con le minoranze, tutelando queste ultime.
Pertanto, non sono sufficienti le restrizioni morali per garantire
un equilibrio di governo della gestione aziendale.
Anche l’economista civile Adam Smith sostenne la necessità di
restrizioni per legge, in quanto i segnali di mercato possono
essere carenti o fuorvianti.
25 Cfr. M. Molteni, “L’impresa globale? Una realtà da governare”, in “Global Competition, l’impresa italiana
nell’economia globale” , n. 13 - dicembre 2007, pp.18.
18
Tassi troppo alti generano rendita, tassi troppo bassi generano
indebitamento per iniziative speculative (buy out), che
determinano una sensibile rimodulazione degli assetti del sistema
finanziario.
In particolare, “la dittatura delle maggioranze”, si estrinseca
attraverso il mancato intervento degli organi di controllo e di
vigilanza26; tutto ciò indirizza alla manipolazione
dell’informazione, alla compressione dello spazio delle
minoranze e agli ostacoli al funzionamento del meccanismo
democratico dell’alternanza.
Secondo Caloia27, al crescere della competizione globale, la
tentazione di non agire secondo una misura etica aumenta in
modo più che proporzionale.
Alle verifiche del mercato, piuttosto deboli nella realtà
finanziaria, occorre affiancare valori per un corretto e trasparente
processo di allocazione delle risorse.
Un comportamento di impresa più responsabile, ovvero un
comportamento aureo, alla lunga risulta più efficace e
profittevole, poiché è in grado di generare pubblica felicità.
In assenza di etica, semplificazione delle leggi, regole e
monitoraggio delle stesse, si accentuano le transizioni dalla sfera
della produzione e del mercato (economia reale) alla finanza
(speculazione), intesa a un livello inferiore come meccanismo
predatorio.
Sul piano istituzionale, codici di autodisciplina, riforme di diritto
societario, leggi antitrust, insider trading, liberalizzazioni e
privatizzazioni sono strumenti utili per promuovere la
responsabilità sociale fattiva d’impresa.
Governi ed esperti faticano a stare al passo con le innovazioni
introdotte dalle imprese, nonché avere accesso allo studio delle
nuove complessità, dei nuovi intrecci fra commercio, scienza e
tecnologia.
Le criticità attuali (crisi finanziarie, crisi di impresa28,
incompletezza normativa) richiedono un percorso di condivisione
a livello internazionale, governato dalle autorità di vigilanza, in
particolare nel porre un freno ai flussi finanziari di breve termine.
26 Cfr. R. Costi, “L’ordinamento bancario”, Il Mulino, 2007, pp. 527 e ss.; R. Ruozi, “Economia e gestione della
banca”, Egea, 2007, pp. 13 e ss.; E. Gualandri, “La banca, la regolamentazione e la politica monetaria”, in M. Onado,
“La banca come impresa”, Il Mulino, 2004, pp. 41 e ss. 27 Op. cit. 28 Per approfondimenti, L. Stanghellini, “Le crisi di impresa fra diritto ed economia”, Il Mulino, 2007.
19
La finanza etica, quindi, è utile se privilegia investimenti in
imprese con disegno strategico a medio e lungo termine, secondo
i principi sopra evocati.
Innovazione finanziaria e Finanza Etica
Secondo Draghi29, la finanza ha dato un contributo fondamentale
alla crescita economica degli ultimi anni, consentendo una
mobilità dei capitali senza precedenti e favorendone l’efficiente
allocazione; finanziando in modo ordinato squilibri che in altre
epoche sarebbero stati dirompenti.
L’innovazione finanziaria ha conferito liquidità ai mercati, ne ha
ridotto la volatilità. L’espansione dei mercati e il continuo
processo di innovazione finanziaria mutano anche la struttura dei
rischi. E’ ancora aumentato il ricorso agli strumenti derivati, il
cui valore nozionale è oggi dieci volte il prodotto mondiale.
Accanto agli strumenti che offrono copertura dai rischi di
mercato, si sono diffusi rapidamente quelli che consentono di
trasferire il rischio di credito; in particolare, i credit default
swaps30 consentono di scomporre e valutare con precisione il
rischio di credito, allocandolo e disperdendolo tra una
moltitudine di operatori.
Infatti, i derivati di credito contribuiscono a innalzare la
produttività del sistema finanziario, proprio come le nuove
tecnologie produttive accrescono quelle dell’economia reale.
Essi possono tuttavia divenire fonte di instabilità se utilizzati
dagli intermediari non per coprire il rischio esistente, bensì per
accrescere la quantità dei rischi da assumere.
I derivati di credito possono modificare inoltre il modus operandi
delle banche che se ne servono: se chi eroga il prestito ne cede in
parte il rischio ad altri, l’incentivo a vagliare la qualità dei
debitori può ridursi; ne è un segnale l’aumento delle insolvenze
nel mercato dei mutui ipotecari negli Stati Uniti, dove il
trasferimento del rischio è diffuso.
29 M. Draghi, “Considerazioni finali”, Assemblea Ordinaria dei Partecipanti, Banca d’Italia, 31 Maggio 2007, pp. 6-7. 30 I contratti di CDS sono strumenti finanziari di copertura che prevedono due controparti: un acquirente (protection
buyer) e un venditore (protection seller); al verificarsi di un dato evento (credit event) correlato ad un credito
sottostante (reference obligation), emesso da una data istituzione (reference entity) l’acquirente riceve in pagamento dal
venditore un importo stabilito, a fronte del versamento di un premio unico o rateale per la sottoscrizione del contratto.
Durata, premio, esecuzione delle prestazioni e credit event costituiscono gli elementi principali del contratto.
20
Liquidità abbondante e bassi tassi di interesse hanno contribuito
allo sviluppo incrementale di hedge funds31 e fondi di private
equity32 il cui ruolo nel funzionamento dei mercati è stato
positivo.
Ma la dimensione del fenomeno, l’alta leva finanziaria33 che
caratterizza gli hedge funds, la richiesta di maggiore trasparenza
da parte di investitori e controparti, i potenziali rischi di
instabilità richiedono l’attenzione del mercato e dei regolatori.
Le autorità mirano a contenere il rischio sistemico facendo leva
sulla disciplina di mercato, stimolando i soggetti da esse
direttamente vigilati affinché ottengano dagli hedge funds le
informazioni necessarie.
Finanza Etica per il risparmio
In tema di risparmio, la crisi generata dai mutui subprime, per
effetto dell’interdipendenza dei mercati, si è rapidamente
trasmessa al sistema finanziario mondiale.
La mancanza di fiducia nel sistema di rating34 ha evidenziato i
rischi connessi alla gestione di portafogli composti da una quota 31 I fondi speculativi (hedge funds) sono fondi comuni di investimento che possono essere istituiti sia in forma aperta,
sia in forma chiusa e che non sono sottoposti a predefiniti vincoli in materia di oggetto dell’investimento.
Gli hedge funds adottano differenti strategie in base alle quali è possibile distinguerli secondo tre tipologie: macro fund
(basandosi su analisi macroeconomiche, si specula sull’andamento delle economie mondiali, anticipando l’andamento
dei tassi, delle valute e dei mercati azionari), arbitrage fund (speculazione su operazioni di arbitraggio), equity edge
(acquisto e vendita allo scoperto di azioni su mercati regolamentati). Per approfondimenti, cfr. M. Gabbrielli, S. De
Bruno, “Capire la Finanza”, Il Sole 24 Ore, 2005, pp. 646-647-648. 32 Per approfondimenti, A. Gervasoni, A. Bechi, “I fondi chiusi di private equity nell’esperienza italiana”, Il Mulino,
2007. 33 Il concetto di leva finanziaria (leverage) si esprime all’interno della relazione finanziaria fondamentale, data
dall’espressione: ROE=[ROI + (ROI-ROD)*D/E]*(1-t). La leva finanziaria è rappresentata dal rapporto D/E (Debiti
finanziari/Patrimonio Netto); tale espressione prevede al numeratore i mezzi a breve, medio e lungo termine di terzi
finanziatori (banche e investitori di capitale) e al denominatore i mezzi propri dell’imprenditore capitalista. Si noti che,
in presenza di un differenziale di rendimento positivo (ROI-ROD)>0, tanto più tale differenziale è maggiore quanto più
è conveniente aumentare, per intorni ragionevoli stabiliti dal mercato creditizio, la quota di capitale proveniente da terzi
finanziatori (D). Per effetto di questa operazione, il rendimento del capitale proprio conferito dall’investitore (E)
aumenta in modo più che proporzionale, generando extraprofitti, ma anche un maggiore rischio di credito.
Per approfondimenti, cfr. P. Mella, “Elementi di economia aziendale”, Utet Libreria, 1995, pp. 348-349. 34 Il concetto di rating (= valutazione) esprime una classe di merito all’interno di una classificazione scala che va dai
debitori primari a quelli non finanziabili. Conseguentemente la posizione in tale graduatoria determina l’allocazione del
capitale a sfavore delle classi di rating più basse, cioè quelle con rischi più elevati. Pertanto, i soggetti posizionati in
fondo alla scala del merito creditizio, verranno sempre più trascurati o potranno accedere al credito solo a condizioni
meno vantaggiose, proprio perché l’Istituto stesso vorrà cautelarsi a fronte di un maggiore rischio d’insolvenza.
Il rating misura prevalentemente la probabilità di default dei soggetti che emettono o hanno intenzione di emettere
passività sui mercati finanziari nazionali o internazionali. Queste valutazioni vengono utilizzate dagli investitori per
stimare il rischio dell’investimento e, di conseguenza, il livello del rating è inversamente correlato al tasso d’interesse
che l’emittente dovrà corrispondere sul collocamento del prestito. Per le aziende, però, soprattutto quelle nazionali,
caratterizzate da piccole e medie dimensioni, l’applicazione di rating esterni risulta particolarmente difficile, proprio
per la complessità strutturale delle PMI. In questo modo, i principi internazionali di Basilea 2 (www.bis.org)
introducono la possibilità di prendere in considerazione rating interni, ossia costruiti dagli stessi Istituti di Credito che
21
rilevante di prodotti strutturati35.
Diminuendone la capacità di misurazione, ne ha risentito la
capacità di determinarne il pricing.
Quindi, a fronte della minore liquidità nel sistema, gli operatori
hanno cercato di ridurre rapidamente il rischio di portafoglio,
smantellando le posizioni gradatamente.
La volatilità è aumentata rapidamente, incrementando il rischio e
generando ulteriori attività di smobilizzo degli attivi.
Tutto ciò ha creato forti tensioni sui mercati.
Molti operatori di rilevanti dimensioni hanno mostrato riluttanza
a fornire liquidità alle controparti, il cui grado di solvibilità era
venuto meno, dubitando anche del merito di credito dei relativi
veicoli finanziari montati ad hoc; per quanto concerne il rinnovo
di linee di credito, prevalentemente a breve termine,
incrementando la preferenza per la liquidità e generando credit
crunch36.
L’intervento delle Banche Centrali è consistito nelle iniezioni di
liquidità, per il tramite di operazioni di rifinanziamento.
Ciò è avvenuto senza modificare indirizzi di politica monetaria,
fissata sulla stabilità dei prezzi; al contrario, l’ancoraggio delle
aspettative di mercato nel medio termine è ancor più rilevante in
periodi di volatilità e di incertezza generalizzati.
Inoltre, a livello internazionale, è stato attivato con ampio potere
consultivo il Financial Stability Forum37, mentre il sistema
bancario della UEM ha fatto fronte alle crisi di liquidità, anche
per la generale tenuta del modello di governance europeo.
erogano i finanziamenti. I rating interni sono quelli che le singole banche ottengono mediante l’applicazione dei loro
modelli di valutazione, che possono differire da banca a banca. Anche in questo caso, come per l’adozione di rating
esterni, l’obiettivo è di stimare la probabilità d’insolvenza del debitore, collocandolo nella relativa classe di rischio.
Attraverso le stime di questa probabilità la banca valuta le perdite attese per ciascun debitore e quindi, determina il tasso
d’interesse da applicare di conseguenza. 35 Si tratta di combinazioni di contratti tra azioni e obbligazioni e strumenti finanziari derivati (in particolare, forward,
swap, futures e opzioni). 36 Credit Crunch, letteralmente “stretta del credito”, indica una riduzione dell’offerta di credito erogato dal sistema
bancario alla fine di un periodo espansivo dell’economia, in grado di accentuare una fase di recessione.
Tale fenomeno si accompagna solitamente a un rialzo dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, al fine di
sterilizzare l’inflazione, orientando gli istituti di credito ordinario (banche commerciali) al rialzo dei tassi applicati alla
clientela, sia corporate che retail, erigendo barriere all’accesso al credito, in particolare nei confronti dei piccoli
operatori economici. 37 Il Financial Stability Board (FSB), costituito nel 1999, riunisce regolarmente rappresentanti dei governi, delle banche
centrali e delle autorità nazionali di vigilanza sulle istituzioni e sui mercati finanziari, di istituzioni finanziarie
internazionali, di associazioni internazionali di autorità di regolamentazione e supervisione e di comitati di esperti di
banche centrali. Il Forum si propone di promuovere la stabilità finanziaria a livello internazionale, migliorare il
funzionamento dei mercati e ridurre il rischio sistemico attraverso lo scambio di informazioni e la cooperazione
internazionale tra le autorità di vigilanza.
22
Proprio il modello di gestione del vecchio continente, anche a
fronte del successivo allargamento, si pone al centro del dibattito
“europeista” 38.
38 Tommaso Padoa-Schioppa evidenzia la necessità di un passaggio costituzionale e istituzionale al Federalismo
Europeo. Il percorso ottimale combina il “Gradualismo” di Jean Monnet e il “Funzionalismo”, (pragmatismo) di Spinelli:
“l’idea che l’instaurazione di una federazione significa creazione di una cittadinanza federale deve essere la bussola
secondo cui domani dovremo orientarci per accettare, con qualsiasi nome si presentino, le soluzioni vitali e per
respingere quelle soluzioni che, magari sotto apparenze prestigiose, risulterebbero assolutamente incapaci di sviluppo nel
senso desiderato”. In particolare, Padoa-Schioppa identifica alcune ipotesi di mancanze d’Europa: a) le mancanze
immaginarie, distinte a loro volta in: 1) catastrofi (introduzione dell’euro, allargamento dell’Unione, fusioni
transnazionali nell’ambito bancario ed energetico), 2) misfatti (Accordo di Schengen, terrorismo, immigrazione
clandestina), 3) eccessi (burocrazia e mancanza di competenza tecnica nelle amministrazioni pubbliche); b) le mancanze
reali, suddivise in: 1) effettivi eccessi (eccesso di legiferazione su questioni secondarie, applicazione del principio di
sussidiarietà, 2) mancato assolvimento dei compiti assegnati (mancata riforma della Politica Agricola Comune), 3)
inefficacia del potere comunitario (con conseguente delusione delle aspettative dei cittadini. Infine l’insigne economista
propone una tesi: l’Europa viene considerata come luogo del malessere, l’Unione dell’Europa come luogo del rimedio.
Ciò risulta vero principalmente in tre ambiti: Globalizzazione, Energia e Finanza.
In merito alla Finanza, si evincono la mancanza di integrazione nei servizi finanziari all’impresa e al consumatore
(credito ordinario), l’esecuzione delle transazioni, la possibilità di trasferire il controllo delle imprese, finanziarie e non.
Il mercato unico non risulta ancora tale sul piano delle regole.
Successivamente, vengono argomentate due questioni primarie: a) la privatizzazione delle Borse Valori; da soggetti
pubblici fornitori di pubblici servizi a operatori privati con finalità di profitto, ma attualmente senza un soggetto forte che
operi a tutela dell’interesse pubblico europeo, come europei sono il quadro regolamentare e l’unità della moneta. L’area
dell’euro è di fatto priva del suo mercato finanziario, con costi e inefficienze che ne conseguono; b) la regolamentazione
dell’OPA, nel caso italiano la direttiva europea porta a recepire un grado di contendibilità (concorrenza) inferiore rispetto
a quello attualmente vigente. Pertanto, in un’Europa incompiuta, fare politica economica nazionale nella finanza è
difficile, politica di mercato unico europeo impossibile. Le due principali mancanze a tutto di cui sopra sono: il voto a
maggioranza e le risorse. Per il voto, ciò significa affrontare il modo in cui si decide, un’azione unica superando le
divergenze. Le risorse, il loro utilizzo e destinazione sono le capacità di dare corso alle decisioni prese, quindi immediata
conseguenza del voto a maggioranza (principio della Cooperazione Rafforzata).
Per approfondimenti, cfr. T. Padoa-Schioppa, “Lecture Altiero Spinelli”, Ministero dell’Economia e delle Finanze, 2007.
Per una visione attuale del processo di unificazione europea, cfr. T. Padoa-Schioppa, “Europa, una pazienza attiva”,
Rizzoli, 2006.
Per una lettura istituzionale intorno alla figura di Spinelli, cfr. G. Napolitano, “Altiero Spinelli e l’Europa”, Il Mulino,
2007.
Inoltre, secondo alcuni giuristi, la struttura del modello federale europeo potrebbe anche evolvere intorno al modello
statuale della Confederazione Elvetica; tale quadro giuridico risulta significativamente innovativo, segnatamente con
riferimento alla governance del Cantone Uri. Per approfondimenti, cfr. “Costituzione federale della Confederazione
Svizzera”, www.admin.ch/ch/i/rs/c101.html .
23
I DISTRETTI
L’architettura dei Distretti Industriali
Pur trattando dell’architettura dei distretti, se ne considera
un’ipotetica estensione ideale, al di là dei confini geografici,
attraverso una correlazione finanziaria che consenta la
valorizzazione delle eccellenze39.
Per distretto industriale si intende una modalità di organizzazione
su base locale di un contesto integrato e storicamente determinato
di micro, piccole e medie imprese; tale ambito40 è alternativo e,
eventualmente, complementare alla concentrazione industriale.
Inoltre, “Quando si parla di distretto industriale si fa riferimento
ad un’entità socioeconomica costituita da un insieme di imprese,
facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo41,
localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione
ma anche concorrenza” (Alfred Marshall).
Pertanto, si delineano alcuni tratti salienti, tra cui la
caratterizzazione della sfera produttiva (beni e servizi), l’area
geografica, la concentrazione di imprese in quell’area, la trama di
rapporti tra gli attori del distretto, la rete di cooperazione e
competizione tra le imprese.
Lo sviluppo generatosi per effetto dei distretti si connota lungo
tre piani: organizzazione, decentramento e delocalizzazione della
produzione, divisione del lavoro.
39 Per approfondimenti, cfr. E.L. Gambel, “Il modello dell’eccellenza”, Franco Angeli, 2003, pp.126-127-128-129-130-
131. 40 Cfr. Raccomandazione della Commissione Europea n° 361 del 6 maggio 2003, relativa ala definizione delle
microimprese, piccole e medie imprese, testo integrale dell’Atto (2003/361/CE) in [Gazzetta Ufficiale L. 124 del
20.05.2003]; http://europa.eu/scadplus/leg/it/lvb/n26026.htm
Parametri Micro Impresa Piccola Impresa Media Impresa
Dipendenti effettivi <10 <50 <250
Fatturato (mln. €)
oppure
Totale attivo di bilancio (mln. €)
<2
<2
<10
<10
<50
<43
Indipendenza Il capitale o i diritti di voto dell’impresa non devono essere
detenuti al 25% o più da imprese associate e o collegate
41 Un settore economico è definito dall’insieme delle attività produttive che dipendono in modo specifico dall’esercizio,
dalla disponibilità e dall’organizzazione del lavoro, in contrapposizione a quelle legate alla disponibilità della terra
(agricoltura), ai trasporti o all’intermediazione commerciale.
24
Secondo un’altra definizione di Becattini42, il distretto si
caratterizza come “complesso produttivo il cui coordinamento tra
le diverse fasi e il controllo del loro regolare funzionamento, non
sono effettuati secondo regole prefissate e/o con meccanismi
gerarchici, ma sono invece affidati ad una combinazione del
gioco automatico del mercato con un sistema di sanzioni sociali
irrogate dalla comunità”.
Risultano rilevanti, inoltre, le economie di agglomerazione, che
si realizzano ogni volta in cui la popolazione e le attività
economiche si concentrano in un determinato spazio, per effetto
dei vantaggi generati dalla prossimità di tutti gli attori coinvolti.
In particolare, Alfred Marshall individua alcuni fattori quali la
condivisione di inputs e di infrastrutture indivisibili, un miglior
matching tra domanda e offerta di occupazione, una migliore e
maggiore dinamica nei meccanismi di trasmissione di know how
e di apprendimento.
Secondo alcuni studi43, la determinazione dei distretti industriali
afferisce alla rappresentazione di un sistema locale fondato sulla
contemporanea presenza di un’ industria (insieme di imprese che
insistono sullo stesso arco di business, generalmente indipendenti
sul piano giuridico e altamente specializzate) a carattere
prevalente e di una base sociale; quest’ultima evidenzia un
insieme di valori, tra cui lo spirito d’iniziativa, particolarmente
favorevole all’intrapresa economica.
Sul piano economico, la divisione del lavoro e la conseguente
specializzazione relativa consentono alla sfera produttiva di
organizzarsi in una costellazione di micro, piccole e medie
imprese, connesse da reti di transazioni (mercantili e non
mercantili) definite e coordinate da forme di cooperazione
essenzialmente esplicita.
Nel modello italiano, ad esempio, per identificare un distretto
occorre valutarne il grado di compenetrazione tra la struttura
produttiva e il relativo ambito locale di installazione.
42 La letteratura in merito è assai ampia. Per approfondimenti: G. Becattini, “Il distretto industriale: un nuovo modo di
interpretare il cambiamento economico”, Rosenberg & Sellier, 2000; G. Becattini, “Distretti industriali e made in Italy”,
Bollati Boringhieri, 1998.
Inoltre, si segnalano altri autori in materia: M. Bellandi, M. Russo, “Distretti industriali e cambiamento economico
locale”, Rosenberg & Sellier, 1994; G. Lorenzoni, “L’architettura di sviluppo delle imprese minori. Costellazioni e
piccoli gruppi”, Il Mulino, 1990; R. Varaldo, L. Ferrucci, “I distretti industriali fra logiche di sistema e logiche di
impresa”, Franco Angeli, 1996; S. Di Miceli, S. Di Maria, “Distretti industriali e tecnologie di rete: progettare la
convergenza”, Franco Angeli, 2000; G. Viesti, “Come nascono i distretti industriali”, Laterza, 2000; F. Visconti, “Le
condizioni di sviluppo nelle imprese operanti nei distretti industriali”, Egea, 1996; L. Poma, “Oltre il distretto. Imprese
e istituzioni nella nuova competizione territoriale”, Franco Angeli, 2003; C. Triglia, a, “Sviluppo locale. Un progetto
per l’Italia”, Laterza, 2005. 43 Cfr. www.ipi.it
25
Tale modello verifica la formazione di un distretto industriale,
che si manifesta attraverso la concentrazione geografica delle
imprese che si posizionano sullo stesso settore, evidenziando
parametri significativi di produzione, efficacia e allocazione delle
risorse, rispetto a quanto potrebbe verificarsi all’interno di un
unico, singolo, grande stabilimento.
Le determinanti dei Distretti Industriali
Sono individuate alcune peculiari caratteristiche:
tecnologia e innovazione flessibili e adattive alla realtà
industriale;
limitate economie di scala;
omeostasi delle quantità di output tra i microproduttori
degli stessi beni, secondo un principio di imitazione e
replicazione degli standards a più alto valore aggiunto;
relativo fabbisogno di capitale fisso;
giochi cooperativi e competitivi governati da istituzioni
distrettuali, ovvero locali, che ne articolano gli equilibri
dinamici;
modalità di trasferimento del know how caratterizzata da
approcci conoscitivi e professionali di tipo learning by
doing;
rapporti con i mercati, locali, glocali e globali, che
definiscono le determinanti del distretto e, in cascata, costi
e prezzi dei beni e dei servizi prodotti, nonché il livello
ottimale dei salari per le risorse altamente specializzate,
che determina, a sua volta il grado di flessibilità e mobilità
all’interno di una data filiera44;
elevata scomposizione e atomizzazione del processo
organizzativo, spesso di tipo informale.
44 Si tratta di un insieme di lavorazioni effettuate a cascata per ottenere un prodotto finito, a partire dall’impiego di dati
fattori produttivi. La filiera può essere di tipo orizzontale (imprese che producono gli stessi beni e servizi) o verticale
(imprese per le quali le proprie produzioni vengono cedute come semilavorati ad altre imprese, più o meno integrate, a
seconda del numero di fasi produttive svolte). I Distretti, in genere, assumono la struttura di network (reti
interorganizzative) informali di tipo verticale, con la presenza di fattori determinanti quali le relazioni sociali tra gli
attori (nodi) della rete.
26
I distretti particolarmente sviluppati e costitutivi del tessuto
economico italiano45 (oggi, in Italia, se ne contano circa 200), si
affermano con il venir meno della capacità tradizionale di
mercato delle grandi imprese, per effetto di un livellamento verso
il basso della domanda, dell’accentramento produttivo e delle
risorse in genere, della mancanza di integrazione tra imprese
specializzate all’interno di una data filiera.
Il sistema reticolare46 che caratterizza l’impianto distrettuale si
caratterizza per un sistema a specializzazione flessibile, ovvero
capace di rimpiazzare un’impresa che esce dal mercato,
all’interno di una data filiera, con un’altra che garantisca appieno
gli standards richiesti.
Parallelamente, si evince una capacità relazionale, fondata sulla
fiducia e sulla reciprocità, tesa alla condivisione delle conoscenze
e competenze, delle economie di apprendimento, delle economie
di scala e scopo, della diffusione della precipua cultura
imprenditoriale, attraverso un’ identità e un insieme di valori che
determinano idee, valori obiettivi e interessi comuni per tutti gli
attori all’interno del network.
Determinanti per l’analisi dei distretti risultano le economie
esterne47.
Infatti, la valorizzazione dei fattori interni della produzione, con
l’avvento della Globalizzazione, è stata superata dalla crescita
esponenziale di economie esterne e dal ruolo assunto dai
Consorzi di Garanzia fidi48.
La crescita di concorrenza e tecnologie hanno ridotto la
dimensione media delle imprese e il loro grado di integrazione
verticale, ma non tutte le produzioni si prestano a un processo di
scomposizione del sistema produttivo; all’interno di ciascun
settore, prioritariamente in quelli più avanzati, sono richieste
risorse più elevate sui piani quantitativo e qualitativo
(distribuzione e ricerca e sviluppo).
Sul piano delle prospettive competitive dei sistemi locali a
imprenditorialità diffusa, ogni scenario viene rappresentato
attraverso vari fattori, tra cui: concorrenza dei produttori
45Al momento dell’origine della crisi finanziaria, cfr.
www.unioncamere.it/Unioncamere_gestione/allegati/sintesi_Rapporto_20071.pdf - 46 A titolo di esempio, si segnala il seguente studio: www.nomisma.it/upload/20060522-Convegno.ppt . 47 Sono economie relative all’abbattimento e alla riduzione di costi e oneri, con conseguente incremento di benessere
generato dalle attività di produzione, consumo e scambio di dati beni e servizi da parte di attori esterni al mercato di
riferimento degli stessi beni e servizi. Si osserva che la Globalizzazione risulta fattore catalizzante per il passaggio da
economie interne a economie esterne, a fronte del grado crescente di internazionalizzazione delle imprese. 48 Cfr. Banca d’Italia, “Consorzi di garanzia collettiva dei fidi (Confidi) – Normativa secondaria di attuazione
dell’articolo 13 del Decreto Legge 30 settembre 2003, n° 269, convertito dalla Legge 24 novembre 2003, n° 326.
Link: http://www.bancaditalia.it/vigilanza/intermediari/documcons/cons_confidi.pdf
27
delocalizzati nei paesi emergenti, outsourcing transnazionale,
distanze geografiche, culturali, linguistiche e normative.
Il vantaggio reputazionale risulta limitato nel tempo e nello
spazio, soprattutto nei confronti dei Paesi Emergenti.
La frontiera tecnologica, in particolare, si muove a sbalzi,
repentinamente e l’avvicinamento da parte dei paesi follower
rallenta o subisce un’inversione.
Tuttavia ciò che risulta più significativo è che una data economia,
così come le imprese in un mercato competitivo, abbia in sé le
condizioni per tramutare in decisioni di successo le opportunità e
le sfide per crescere, anche se tale humus si è generato altrove.
I vantaggi da tecnologia non sono immediati, l’informazione
deve essere codificata in modo formale, e i vantaggi di
produttività sono caratterizzati da complementarità organizzative,
ovvero di lean organization49, fondata su riduzione dei livelli
gerarchici di decisione.
Dinamiche e relazioni tra Economia Reale e Distretti
Per quanto concerne il capitale sociale, l’interazione a livello
antropologico e sociale, con riguardo alla cooperazione tra gli
attori nelle transazioni economiche, si identifica nei codici di
comportamento volti a generare sviluppo, reciprocità ed equità.
Le connotazioni figurali del social capital all’interno dei distretti
si sostanziano, a livello micro, nelle relazioni individuali e, a
livello macro, nel rapporto con le istituzioni e nelle azioni
collettive.
Sul fronte dell’internazionalizzazione, il punto focale ruota
intorno ai sunk costs (costi irrecuperabili): nella misura in cui tali
costi contengono una componente di costi fissi, essi
rappresentano uno svantaggio competitivo per le piccole e micro
imprese, ad eccezione dello spazio all’interno dei distretti
industriali, ove questa componente tende a decrescere (principio
di ripartizione, attraverso economie di scopo nell’interazione con
i mercati esteri).
Pertanto, i distretti evidenziano maggiore propensione
all’esportazione, facendo sì che le imprese che vi appartengono
49 Si tratta di un modello organizzativo snello e flessibile, che può definirsi tale quando tutti gli sprechi (attività prive di
valore aggiunto) sono stati eliminati grazie a un miglioramento continuo di tutti i processi. Inoltre, risulta determinante
l’attitudine a focalizzarsi sul risultato, sul gioco di squadra, sulla valorizzazione dei singoli, attraverso opportune
dinamiche competitive interne.
28
siano facilitate nel superamento di barriere a carattere
informativo.
Sul fronte delle risorse umane e del lavoro, generalmente si
riscontrano elementi che conducono a una sensibile
autocorrelazione spaziale, a partire da aree geografiche contigue,
che favoriscono la trasmissione di know how e comportamenti
imitativi; ciò è vero nella misura in cui si riscontra un elevato
grado di radicamento delle istituzioni familiari e di un ambiente
sociale leale e meno orientato all’opportunismo.
Le economie industrializzate garantiscono massimo accordo tra
valori privati e pubblici, sia assicurando la somministrazione dei
servizi legati alla fruizione di infrastrutture, utili per ridurre i
costi di transazione e il potenziamento delle economie esterne.
Nei casi di ristrutturazione e rigerarchizzazione dei distretti, a
seguito dell’internazionalizzazione, il distretto tende a
polarizzarsi tra un numero ristretto di imprese leader e un
network assicurato da imprese follower.
Per quanto concerne l’azione delle istituzioni politiche verso i
distretti, da una parte l’attenzione si è principalmente orientata
verso le large corporations, in termini di incentivazione diretta e
indiretta per la crescita e l’innovazione delle stesse; dall’altra, la
creazione di consorzi, centri servizi, nonchè la volontà di porre in
essere un reale coordinamento tra i nodi della rete distrettuale, si
è risolta a vantaggio delle PMI50.
Tuttavia, tali elementi sono stati calati dall’alto, non secondo un
principio di reciprocità e sussidiarietà, pertanto si sono sviluppati
successivamente strumenti di programmazione negoziata, quali il
Patto Territoriale51, i Contratti d’Area52 e i Contratti di
Programma53.
50 Ad esempio, il modello dell’Impresa Olonica presenta alcuni vantaggi, tra cui: migliore rapidità nella risposta agli
stimoli del mercato, maggiore flessibilità lungo le filiere, ripartizione dei costi e dei rischi, customizzazione dei beni e
dei servizi, diminuzione dei costi di approvvigionamento, incremento del know how, maggior correlazione tra know how
e opportunità di business sul territorio. 51 Si tratta di un accordo volto a stimolare e incrementare la cooperazione tra attori locali, ovvero parti sociali
(rappresentanze sociali, imprenditoriali e sindacali) ed enti pubblici territoriali per la realizzazione di azioni mirate alla
promozione dello sviluppo locale. 52 Sono contratti modulari siglati secondo un approccio bottom-up volto a favorire il rilancio di aree in declino.
A fronte di dati requisiti (individuazione formale di progetti di investimento dedicati, delle aree oggetto di rilancio, di
società di promozione per la gestione dei finanziamenti erogati), si procede all’apertura di uno sportello unico, secondo
un accordo tra enti locali e amministrazione centrale. Quindi, a seguito della stesura di un codice di comportamento per
il mercato del lavoro tra le parti sociali, vengono designati gli istituti di credito deputati alla validazione dei progetti di
investimento e il Responsabile Unico per l’attuazione del Contratto d’Area. Infine, una volta che un dato territorio è
stato rilanciato, si procede alla gestione ordinaria secondo un memorandum stabilito tra le parti. 53 Afferiscono all’incentivo di start-up produttive relativamente a unità economiche quali rappresentanze di distretti
industriali, consorzi di micro, piccole e medie imprese, aziende di dimensioni rilevanti, organizzate anche per il tramite
29
Anche i Progetti Territoriali Integrati risultano strumenti efficaci
per la governance distrettuale, con un ruolo attivo della Pubblica
Amministrazione, mediante l’accrescimento di adeguate
competenze tecniche, di capitale sociale e territoriale, con
l’introduzione di nuovi beni relazionali.
Crescita e Credito
Sul piano delle forme tecniche del credito, l’ipotesi di costruire
Superdistretti potrebbe formalizzarsi, ad esempio, attraverso
l’impiego di strumenti quali i Buoni Obbligazionari degli Enti
Territoriali54.
Più in generale, la finanza dovrebbe porsi a servizio della crescita
dei distretti industriali, attraverso alcuni drivers, quali: l’attenta
considerazione delle variabili sociali, istituzionali, economiche e
geografiche; la valutazione di effetti di traboccamento (spill
over) tra realtà contigue; la differenziazione delle strategie di
crescita; l’opportuna aggregazione spaziale delle unità
produttive, con conseguente estensione delle esternalità positive
tra i nodi della rete.
Tali elementi, in genere, sono colti e valorizzati da istituti di
credito locale, con rilevante propensione alla raccolta e agli
impieghi sulla base territoriale dei distretti.
L’interazione tra agenti secondo un modello cooperativo, eleva
classi di indebitamento maggiore per le imprese del distretto
servite da banche locali; ciò indica che l’intersezione tra le curve
di domanda e di offerta del credito locale avviene a un equilibrio
più elevato.
In particolare, a fronte di una maggiore elasticità della domanda
corrisponde un minore razionamento del credito.
Tale dinamica è ampiamente verificata sul piano empirico e, a
fronte di approfondimenti quantitativi necessari a meglio
di gruppi industriali, di carattere nazionale e internazionale. La finalità principale è rivolta alla delocalizzazione di
stabilimenti produttivi in aree meno favorite. 54 L’emissione di BOC è disciplinata ai sensi dell’art. 35 Legge 724 del 23 dicembre 1994 e del Decreto del Ministero
del Tesoro n° 420, 5 luglio 1996. Si tratta di titoli a medio e lungo termine (la durata non può essere inferiore a 5 anni)
emessi dagli enti territoriali (province, comuni, unioni di comuni, città metropolitane, comunità montane, consorzi tra
enti locali territoriali e regioni) al fine di finanziare investimenti pubblici. Ai sensi dell’art. 46 del D.L. n° 504 del 30
dicembre 1992 e successive modificazioni e integrazioni, gli investimenti finanziabili risultano le opere pubbliche
destinate all’esercizio di servizi pubblici, le cui tariffe sono determinate in base a dati criteri riservati agli enti emittenti
(copertura integrale di costi, rapporto di equilibrio tra capitale investito e finanziamenti raccolti, ammontare dei costi di
gestione in relazione alla qualità dei servizi). Inoltre, l’emissione di BOC è subordinata alla presentazione di bilanci
caratterizzati da avanzi di gestione. Le forme tecniche dei titoli sono individuate in obbligazioni convertibili, a tasso
variabile o in valuta. Il calcolo del rendimento è assimilato a quello dei Buoni del Tesoro Poliennali.
Per approfondimenti, cfr. M. Gabbrielli, S. de Bruno, “Capire la Finanza”, Il Sole 24 Ore, 2005, pp. 406 e ss.
30
rappresentare il fenomeno, determina anche le basi per
l’eventuale introduzione di monete locali, ovvero di modelli di
titoli a tasso positivo o negativo.
Tuttavia, all’interno dei distretti, si annovera la presenza di
asimmetrie informative, capaci di generare fasi anticicliche
nell’economia glocale; infatti, le fitte reti di subfornitura, che
caratterizzano l’intreccio di relazioni commerciali tra le imprese
all’interno delle filiere, possono generare problemi di pricing (ad
esempio, ciò è verificato empiricamente dall’assenza di interest
rate smoothing), adverse selection55 e scoring56 nei processi di
erogazione del credito.
55 “Fenomeno, studiato tipicamente nella letteratura microeconomica, originato da asimmetrie informative nella
stipulazione dei contratti. Un tipico contratto in cui tale problema emerge è quello di assicurazione. L’assicurato
conosce le proprie caratteristiche personali, mentre la compagnia di assicurazione dispone solo di un’informazione
parziale su tali caratteristiche. Indichiamo con p il premio che la compagnia applica indistintamente a tutti i clienti
assicurati, con c il costo monetario che l’assicurazione deve sostenere allorchè si verifica un certo evento (per es. un
incidente). Ipotizziamo che i clienti si dividano in due gruppi, a e b, a seconda della probabilità, alta o bassa, che si
verifichi l’evento per il quale si sono assicurati. Denotiamo con qa, qb e na, nb, rispettivamente, le probabilità di
<<incidente>> e il numero di soggetti dei gruppi a e b. Allora possiamo dire che p, il valore del premio, è calcolato
dalla compagnia assicurativa come: p = c * [qa*(na/na+nb) + qb*(nb/na+nb)]. Poiché la perdita attesa dei soggetti a basso
rischio (del gruppo b) è inferiore al premio che dovrebbero pagare, ovvero cqb < p, essi potrebbero rifiutarsi di aderire al
contratto, che resta invece conveniente per i soggetti del gruppo a. in questo modo, i soggetti ad alto rischio
resterebbero gli unici assicurati, facendo così aumentare il premio (poiché qa> qb), e lasciando il gruppo a basso rischio
senza copertura assicurativa. Il problema di adverse selection richiederebbe in questo caso una perfetta discriminazione
di prezzo (premio) per le diverse classi di rischio, ma questa politica potrebbe rivelarsi troppo costosa per le compagnie
assicuratrici che dovrebbero anche fronteggiare problemi di moral hazard. Occorre notare infine che forme di
imperfezione dei mercati quali quelle indotte da adverse selection invalidano i risultati principali della economia del
benessere, ovvero compromettono le proprietà di ottimalità di un equilibrio concorrenziale. Nell’economia
dell’informazione il fenomeno dell’ adverse selection appare come un particolare esempio di un fenomeno generale
noto con il pittoresco termine di lemon principle (principio del <<bidone>>)”.
Cfr. AA.VV., “Economia”, Garzanti, 2001, pp. 7. 56 I sistemi di valutazione dell’affidabilità delle aziende passano attraverso l’analisi di tutti i dati significativi disponibili
alla banca: tali dati sono in primo luogo i bilanci ufficiali e i movimenti dei conti correnti e degli altri rapporti
intrattenuti dal cliente con la banca stessa (e con tutto il sistema bancario, limitatamente in questo caso ai dati resi
disponibili dalla Centrale Rischi o da Crif). Il processo che trasforma questi dati in un punteggio che corrisponde in un
certo modo a un giudizio di affidabilità del cliente è detto scoring. I migliori sistemi di scoring fondati sui i dati di
bilancio arrivano a una capacità di prevedere le crisi della clientela valutabile intorno al 80-85%.
Il contributo dello scoring generato a partire dai dati interni alla banca e dalle evidenze della Centrale rischi è rilevante,
ma complessivamente è assai difficile raggiungere un’attendibilità statistica superiore al 90%. Le banche, quindi per
raggiungere un’attendibilità accettabile del loro sistema interno di valutazione, devono integrare i loro sistemi di
scoring con analisi qualitative del rischio. Lo scoring, basato intorno ai dati circa l’andamento del rapporto con la
clientela, è uno degli indicatori più importanti per la banca poiché ha dimostrato un’elevata capacità di previsione delle
situazioni critiche che molto spesso precedono le insolvenze. Alcune banche italiane hanno realizzato sin dagli anni ’70
un sistema di relazioni periodiche che offre al gestore del fido una visione panoramica dell’evoluzione di tali variabili ai
fini di comprendere lo stato di salute dell’azienda cliente. Successivamente il sistema è stato integrato in un processo di
scoring automatico, un processo, cioè, in cui i dati sono elaborati secondo algoritmi che assegnano al cliente un
punteggio indicativo del rischio. Si tratta, come anzidetto, di un giudizio, calcolato direttamente dal sistema
informativo, a partire dallo stato di dette variabili significative, che diventa più alto in presenza delle condizioni che
l’evidenza statistica dimostra essere caratteristiche nei periodi che precedono la crisi. Cfr. A. M. Pissi, “Finanziamenti
bancari e merito creditizio”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 2007, pp. 13.
31
Cluster e Distretti
I distretti industriali nascono dal superamento storico del settore
industriale57, per far emergere le dinamiche reticolari che
caratterizzano un intero sistema di micro, piccole e medie
imprese, principalmente individuato sul territorio del centro nord
italiano.
Tuttavia, nella previsione di individuare criteri e metodologie per
la formazione di Superdistretti, è utile introdurre la terminologia
di cluster, identificato per la prima volta da Michael Porter
(1991).
I cluster sono aggregati, “grappoli” di settori industriali, che
costituiscono per ciascun Stato nazionale le fonti del vantaggio
competitivo; segnatamente, l’economia di un dato Paese è
rappresentato da un certo insieme di cluster.
La composizione degli stessi definisce lo stato di sviluppo
dell’economia reale.
Una nuova osservazione della realtà conduce ad assumere il
settore industriale quale unità fondamentale di analisi del quale il
cluster risulta la dimensione operativa, individuata in una data
area geografica, che si articola su varie scale territoriali.
I Superdistretti si collocano con maggiore prossimità lungo la
configurazione a cluster, piuttosto che lungo quella dei distretti
industriali, in quanto l’aggregazione dei distretti esistenti rileva a
una dimensione più ampia, certamente più sostenibile in termine
di appeal per i mercati, per gli investitori e per i regolatori
pubblici.
57 In particolare, per quanto concerne lo studio della crescita dei distretti, emergono i modelli core-periphery; in
particolare, tali modelli, anziché porre il focus intorno allo sviluppo, individuano le variabili di localizzazione dei
distretti. Crescita e sviluppo sono comunque interrelati, a partire dal potenziale di attrazione di investimenti e di nuove
imprese di una data area, correlato a tassi di crescita più elevati. Per localizzazione, quindi, si fa riferimento alle
interdipendenze tra differenti aree, in quanto la prossimità geografica configura a livello spaziale una data
polarizzazione, che a sua volta determina rendimenti di scala crescenti. In sostanza, i modelli core-periphery,
principalmente nell’accezione del premio Nobel P. Krugman, identificano una rappresentazione della crescita e della
polarizzazione dei distretti a partire da dati fattori, quali rilevanti economie di scala, costi di trasporto relativi e assenza
di vincoli nella localizzazione geografica. Se sussistono tali condizioni, ciascuna impresa soddisferà la propria domanda
producendo in un’unica località. I costi di trasporto vengono minimizzati dove la domanda locale è maggiore e,
contemporaneamente, si verificano i seguenti passaggi: a) si installano il maggior numero di imprese; b) le imprese
richiedono maggiori beni e servizi intermedi; c) si verifica la maggiore concentrazione di lavoratori. Tale dinamica crea
un circolo virtuoso capace di autoalimentarsi, a partire da un incremento della concentrazione cui segue un incremento
dell’intensità dei fattori che portano a localizzarsi in prossimità di altre imprese. Tali fattori sono individuati dalla
propensione delle unità economiche a collocarsi presso i mercati principali e dalla propensione dei lavoratori ad avere
accesso ai beni prodotti da altri lavoratori. Krugman, inoltre, evidenzia il ruolo cruciale di altri fattori per la
polarizzazione; in particolare, si considerano elementi comunque riconducibili alle economie di scala quali: accesso a
una gamma più vasta di input di produzione, spill over di innovazione tecnologica, accesso ad un mercato del lavoro più
ampio e strutturato.
Cfr. Op. Cit., nota 46.
32
I SUPERDISTRETTI
Il Contesto
I Superdistretti si collocano in un ambiente non più globale, ma
cosmopolita58.
Abbiamo definito i Superdistretti quali aree locali di eccellenza,
tra loro interrelate, individuate anche a partire dai distretti
industriali, alimentate e valorizzate, a livello globale, per il
tramite di strumenti finanziari.
58
Ulrich Beck ridefinisce l’orientamento dello Stato Nazione, superandolo attraverso il concetto di “Cosmopolitismo”,
inteso quale fase successiva alla Mondializzazione. L’argomentazione del sociologo si fonda sulla ratio legata ai limes
sempre più labili tra popoli, mercati, culture e Stati Nazione. Tutto ciò si palesa in un più ampio grado di permeabilità di
flussi informativi e di capitali. Si osserva una “cosmopolitizzazione quotidiana”, generata da una globalizzazione interna,
a livello locale e nazionale, che rimodula l’edificazione dell’identità di un corpo sociale. Pertanto, la governance della
globalizzazione si trasforma secondo il nuovo orientamento cosmopolita.
L’autore dipana tale formulazione a partire dalla Prima tesi, in cui tra Stato Nazione ed economia globale è quest’ultima
a prevalere, defilandosi dalle relazioni ortodosse entro i confini territoriali degli Stati, per ampliarsi nel cosiddetto
“spazio digitale”; da ciò si evince che la leva economica viene rovesciata nell’esercizio del potere, ovvero Beck parla di
“non-imperialismo”, laddove le strategie delle multinazionali si indirizzano alla minaccia di non invasione da parte degli
investitori (ciò è possibile indipendentemente dall’ambito locale). Tale potere “translegale”, inoltre, sfugge al controllo
di parlamenti e magistrature. Beck indica gli obiettivi per lo Stato nazionale sul fronte degli investimenti in ricerca,
formazione e sviluppo per controbilanciare un tale potere anonimo. La Seconda tesi afferma che le opzioni per gli attori
del gioco sono predeterminate, sulla base delle azioni di orientamento e riorientamento della sfera politica; l’evoluzione
verso un indirizzo cosmopolita si giustifica con un principio di saving costs dato dall’abbandono dei vari Paesi alle
regole di devozione allo Stato Nazione, basate sulle relazioni di potere, anche se “solo al capitale è consentito
contravvenire alle regole”. La Terza tesi chiarisce come la prospettiva assoluta e autonoma del capitale sospinge
incessantemente il potere economico verso la conquista di potere sub-politico e mondiale. Il contro-potere spetta ai
consumatori-risparmiatori. La Quarta tesi specifica il ruolo del consumatore, affermando la sua capacità di opposizione,
attraverso atti di non acquisto di beni e di servizi; si regola così l’equilibrio tra domanda e offerta, generando, in
particolare, un eccesso di offerta per date produzioni e quindi per date corporations. Il contro-potere del risparmiatore è
incontrastabile da parte delle imprese multinazionali, tant’è che il consumatore non può essere licenziato, poiché non
appartiene all’azienda. Anche la delocalizzazione risulta neutra o addirittura inefficace nel tentativo di captatio
benevolentiae aziendale. Le armi dei consumatori sono le reti informatiche e la mobilitazione; in assenza del legame ad
un marchio tale figura è libera e capace di organizzarsi a globalmente. La Quinta tesi distingue tra sovranità e autonomia,
anziché proporne l’estensione dell’equazione, tipica del nazionalismo. Successivamente, Beck individua le cause che
determinano la perdita di autonomia e, quindi di sovranità, da parte degli Stati Nazione; in particolare, si ricordano: la
dipendenza economica, la diversificazione culturale, la cooperazione militare, legale e tecnologica. Nell’ottica
cosmopolita dei meta-poteri transnazionali, si propaga la trasformazione dell’autonomia (in base all’esclusione
nazionale), in sovranità (in virtù dell’inclusione internazionale). La Sesta tesi afferma che la risposta alla globalizzazione
è lo Stato Cosmopolita, aperto al mondo, generato dalla stessa globalizzazione, per effetto di una trasformazione interna.
Tale formula deve trascurare tre illusioni: uno Stato Nazionale Autonomo, uno Stato Economico Minimo e Deregolato,
un Governo Mondiale Unificato. L’affermazione dello Stato Cosmopolita è fondato sul concetto di indifferenza della
Nazione verso lo Stato. L’esempio contemporaneo dello Stato Cosmopolita è l’Unione Europea, che ha saputo
trasformare i nemici in vicini leali e accomunati da vantaggi economici, sociali e politici. La Settima tesi rimodula i
concetti di multiculturalismo, tolleranza e internazionalismo. In particolare, la tolleranza cosmopolita amplia lo spazio di
inclusione, fino a renderlo globale, evitando uniformità e appiattimento. I gruppi, le persone, le comunità hanno
desiderio di affermare il diritto alla loro unicità. Per contemperare tutto questo occorrono diversi elementi: una visione
cosmopolita, una politica globale, una globalizzazione interna, il pieno rispetto dei diritti umani e istituzioni efficienti.
Cfr. U. Beck, “Sette tesi contro l’uomo globale”, Literaturen, Novembre 2007.
33
I potenziali attori sono individuati da soggetti stakeholders, quali
enti, istituzioni, fondazioni, imprese, associazioni di imprese, enti
pubblici territoriali e da soggetti shareholders, ovvero i cittadini.
Un Modello di titoli a tasso negativo59
I Superdistretti, concepiti a partire da un’ottica economico-
finanziaria, potrebbero costruirsi sulla base di strumenti
finanziari poco diffusi, i titoli a tasso negativo (titan, secondo
l’accezione di Domenico De Simone).
I titan possono essere emessi sia da società private che da enti
pubblici e annoverano tre principali caratteristiche: a) non creano
debito; b) anticipano la tassazione sugli strumenti finanziari; c)
non stravolgono i meccanismi di creazione della ricchezza,
ovvero non generano inflazione.
Il concetto di tasso negativo è già insito nell’espressione della
variazione incrementale positiva del livello generale dei prezzi;
infatti, l’inflazione genera una perdita del potere di acquisto della
moneta costante nel tempo.
La differenza tra inflazione e titan è data da una perdita del
valore del denaro di tipo aleatorio e non determinabile a priori
(inflazione) contro una perdita prefissata e costante, quindi certa
e oggetto di pianificazione per gli attori pubblici ed economici
(tasso negativo).
I titan non generano inflazione per l’effetto combinato di: 1)
rischio di emissione attenuato, in funzione della generale
accettazione degli strumenti finanziari da parte della collettività;
2) time decay, ovvero i titan si estinguono con il trascorrere del
tempo e vengono ritirati dalla circolazione a scadenza, senza
ampliare la massa monetaria.
In merito al secondo punto, occorre precisare che il pagamento
degli interessi viene frazionato proporzionalmente sui detentori
di titoli (in pratica sulla collettività), quindi assume la forma di
un’imposta di circolazione sul denaro locale.
Ad ogni transazione, l’ente locale emittente incamera la
remunerazione dei titan (attraverso l’apposizione di marche da
bollo), mentre il possessore vedrà remunerato il rischio di non
essere in grado di spendere i titan.
59 Il materiale di questo capitolo è principalmente derivato dai seguenti contributi: D. De Simone, “Un’ altra moneta - i
titan, la rivoluzione della finanza”, Malatempora, 2003, pp. 79 e ss.
34
Pertanto, un’analisi preliminare dei titan richiede innanzitutto
un’ottica sensibile a favore delle attività immateriali
(intangibles), la cui componente, nelle economie globali, ha
determinato l’uso della moneta segno, a fronte della crescente
dematerializzazione del denaro.
De Simone identifica le ragioni dell’introduzione dei titan
secondo quattro obiettivi: 1) l
e emissioni monetarie sono correlate e devono essere
commisurate alle dinamiche temporali; il tempo misura il tasso di
obsolescenza dei beni per i quali sono state effettuate le
emissioni monetarie; 2) il risparmio è correlato alla
tesaurizzazione monetaria, a sua volta legata al saggio di
interesse sul denaro; si può pervenire ad un modello economico
in cui è assente l’interesse sulla moneta e il risparmio viene meno
nella funzione obbligatoria di alimentare il capitale per
investimenti; 3) il trend dell’economia è predeterminato dalla
relativa emissione di moneta; 4) la spirale aurea del ciclo
economico, pertanto, è determinata dall’intersezione degli
interventi nazionali e locali sull’economia (anche a livello di
distretti opportunamente individuati).
In sostanza, per collegare i distretti tra loro, si potrebbero
prevedere due vie: la finanza tradizionale e i titan.
Inoltre, è auspicabile la quotazione di Superdistretti sui mercati
finanziari (i Superdistretti potrebbero strutturarsi con le stesse
caratteristiche di large corporations, valutate per mezzo di scale
di rating, con preferenza per le realtà al di sopra del limite
minimo dell’investment grade60).
La legge italiana, ad esempio, consente agli enti pubblici
territoriali l’emissione di titoli debito61 a tasso negativo, a
condizione che trovino copertura nel bilancio dell’ente locale e
che il tasso di interesse non sia maggiore di quello fissato pro-
tempore dalla Banca Centrale.
60 Secondo il giudizio di rating di Moody’s Investors Service il limite dell’investment grade è dato dalla scala: Aaa, Aa,
A, Baa, Ba; secondo Standard & Poor’s, la scala è data da: AAA, AA, A, BBB, BB.
Per approfondimenti, cfr. E. Cotta Ramusino, L. Rinaldi, “La valutazione d’azienda”, Il Sole 24 Ore, 2003, pp. 483-484. 61 Vedi nota 55.
35
I titan sono titoli rappresentativi di un debito dell’emittente,
(senza l’apposizione delle marche) o dell’ente locale (con
l’apposizione delle marche).
L’interesse negativo comporta il fatto che i titoli giungono a
estinzione entro un dato orizzonte temporale.
L’ente locale finanzia le imprese, che richiedono una massa di
moneta pari al capitale investito, senza gravare le imprese stesse,
senza generare consumo di oneri finanziari.
Il debito è garantito dall’imprenditore, ma la garanzia viene
liberata se, alla scadenza del termine, i titan non vengono
presentati all’incasso presso l’ente emittente.
In quel caso, la liberazione della garanzia opererà in favore dei
possessori.
Ora, si consideri il seguente modello con un ente locale e
un’impresa (Tabella 1), eventualmente estendibile a n operatori:
un ente pubblico territoriale emette 100 unità di titoli, per un
importo pari a 100 unità monetarie, al tasso del 5% annuo, per il
finanziamento di attività produttive locali.
I titoli si estinguono in 20 anni (nel piano di ammortamento
l’interesse erode il capitale nella misura pari alla quota capitale);
ciò rispetta la legge, poiché è previsto un tasso massimo, ma non
uno minimo, oltre al fatto che i titoli, estinguendosi, non
comportano necessità di copertura da parte del bilancio dell’ente.
Lo stesso ente potrebbe anche emettere delle marche da applicare
ogni anno ai titoli, pari al 5% del valore nominale del titolo,
subordinando la circolazione (trasferimento) dei titoli
all’applicazione della marca.
Al termine del ventesimo anno, la copertura sarebbe comunque
garantita dall’imposta ricavata dalla vendita delle marche,
pertanto l’operazione risulterebbe compliant all’ordinamento
giuridico vigente.
In realtà, le marche sono funzionali alla copertura del rischio di
emissione e non del rischio di interesse (cui è deputato il
rimborso alla scadenza dell’imprenditore) per due fattori: 1)
evitare che il bilancio dell’ente locale incorra in perdite in conto
capitale, con conseguente svalutazione dell’attivo, per effetto dei
lunghi tempi di realizzo delle garanzie rilasciate dall’impresa; 2)
la presenza di un differenziale tra tasso di interesse e tasso di
crescita dell’economia locale; una crescita inferiore del pil locale
rispetto al saggio di interesse a servizio del debito incrementa la
probabilità di insolvenza.
36
Conto Capitale
Orizzonte temporale t0 t1 t2 ………… t10 ………… t20
Ente Locale 0 0 0 ………… 0 ………… 100
Impresa 100 0 0 ………… 0 ………… -100
Quotazione Titan 100 95 90 ………… 50 ………… 0
Conto Interessi
Orizzonte temporale t0 t1 t2 ………… t10 ………… t20
Ente Locale 0 5 10 ………… 50 ………… 100
Impresa 0 -5 -10 ………… -50 ………… -100
Montante
Orizzonte temporale t0 t1 t2 ………… t10 ………… t20
Ente Locale 0 5 10 ………… 50 ………… 200
Impresa 100 95 90 ………… -50 ………… -200
Tabella 1. Modello Titan con un Ente Locale e un’Impresa
Le modalità di circolazione sono particolari (nessun investitore
accetta beni che si svalutano, ma solo beni che generano
profitto): infatti, l’ente pubblico consegna i titoli alle imprese che
finanzia e queste restituiscono il capitale ricevuto alla scadenza.
L’imprenditore dovrà spendere rapidamente i titoli, poiché la
moneta locale si deprezza; quindi porta i titoli ai fornitori, a
pagamento delle forniture (materiali, commesse, servizi,
consulenze, ecc.).
I fornitori hanno interesse ad accettare i titoli e a vendere i propri
beni o servizi. Possono contare sul fatto che in un anno (pari a un
incasso a 360 gg, molto lontano nella realtà) liquideranno
certamente i titoli, perdendo il 5% del valore, il che, comunque,
equivale a uno sconto della stessa percentuale sul venduto.
A scadenza, l’impresa sosterrà uscite pari a 200 unità monetarie,
che dovranno essere compensate dai ricavi generati per effetto
degli investimenti effettuati.
Pertanto, la condizione di ricerca del profitto atteso alla scadenza
t20 è data da: (-200+xi)>0, con x>0 e i>0, i<0, i=0, dato xi l’i-
esimo flusso finanziario rinveniente dall’x-esimo investimento.
A t20 l’impresa è tenuta a rimborsare la quota capitale (100 unità
monetarie) e la quota interessi (100 unità monetarie),
remunerando convenientemente i fattori delle produzione.
37
Quindi, i titoli entrano sul mercato svolgendo una funzione
monetaria.
I soggetti che ricevono i titoli, preferibilmente suddivisi in
piccoli tagli (es. 100 o 200 euro), al fine di incrementare
ulteriormente la velocità di circolazione della moneta,
manifesteranno una rilevante propensione a vendere i titoli.
Poiché, secondo la Legge di Gresham, la moneta cattiva scaccia
sempre quella buona62, il possessore di titan tratterrà euro o
dollari, o qualunque altra valuta pregiata e utilizzerà titan.
Così facendo, l’ente locale ha generato massa monetaria63
correlata in modo aureo alla curva della domanda, finanziando le
attività economiche con un rapporto di 1:1 tra moneta e capitale
investito (totale attivo di bilancio), senza imposizione per le
aziende interessate e senza l’introduzione nei bilanci di oneri
finanziari, ma con un aggravio esclusivamente a carico degli
attori del sistema monetario locale.
Alla scadenza prefissata, l’ente locale iscrive a bilancio il doppio
del capitale erogato, ovvero il flusso finanziario rinveniente dalla
vendita delle marche da bollo (a copertura del pagamento dei
titoli, mitigando sensibilmente la probability of default, anche per
il tramite di garanzie prestate dai debitori e da polizze di
assicurazione del credito) e il flusso generato dal rimborso del
prestito erogato alle imprese.
Attraverso un’adeguata campagna di comunicazione e
sensibilizzazione delle comunità locali, si potrebbe innescare il
meccanismo di raccolta delle adesioni e delle proposte di
destinazione dei flussi generati (ad esempio: reddito di
cittadinanza, promozione turistica locale, iniziative di carattere
culturale, valorizzazione e restauro di opere d’arte, ricerca e
innovazione), oggi oggetto prevalente dell’azione di fondazioni
private64.
62 La Legge di Gresham (1519-1579), identifica un’attitudine comportamentale di massa secondo cui, a parità di valore
nominale, si spendono le monete con contenuto metallico di pregio inferiore e si tesaurizzano quelle di pregio superiore. 63 La massa monetaria è data dalla somma di tutti i mezzi di pagamento all’interno di un sistema monetario.
In particolare, la base monetaria (creata esclusivamente dalla Banca Centrale) è data dalle banconote circolanti, mentre
gli altri aggregati (relativi alla creazione di moneta da parte delle banche commerciali), si distinguono in : M1
(circolante e debiti a vista delle banche e dell’Amministrazione postale; ad es. banconote e monete presso il pubblico),
M2 (M1 + depositi di risparmio con durata prestabilita fino a due anni e depositi rimborsabili con preavviso fino a tre
mesi), M3 (M2 + depositi a termine, inclusi i fondi previdenziali; in particolare, obbligazioni con scadenza fino a due
anni, quote di fondi comuni monetari, titoli del mercato monetario, pronti contro termine). La misura M3 risulta
l’aggregato più stabile, in grado di anticipare il trend dei prezzi al consumo nel medio periodo e, particolarmente nella
UEM, assurge a elemento di riferimento per il disegno della politica monetaria. 64 Sul fronte dei finanziamenti all’innovazione, si veda G. Guzzetti, “Il ruolo delle Fondazioni Bancarie nel
Finanziamento della Ricerca”, in “La ricerca in Italia tra modelli organizzativi e nuovi incentivi”, Aspen Institute, 30
novembre 2007.
38
La finalità del modello dei titoli a tasso negativo, dunque, è
l’eliminazione del debito come strumento di creazione della
moneta, riservando agli enti pubblici territoriali e in futuro a
soggetti di diritto speciale (università o altri enti) il diritto
all’emissione monetaria, in rapporto aureo rispetto ai bisogni e
alle aspirazioni della collettività.
I titoli privati65, a differenza di quelli emessi dagli enti locali (che
utilizzano le marche da bollo), sono gravati da imposta di bollo
per i titoli cambiari, con costi del tutto trascurabili.
I titan, previa autorizzazione della Banca d’Italia, potrebbero
essere emessi dai centri sociali, coinvolgendo nell’operazione
imprese e commercianti vicini, che accettino i titoli in
pagamento.
Alcune caratteristiche tecniche
I titan sono strumenti finanziari che esprimono un time decay,
ovvero una perdita di valore in relazione al trascorrere di un dato
arco temporale.
Inoltre, il tasso negativo riduce la funzione di merce e valorizza
la funzione di scambio della moneta.
I titan non sono strumenti finanziari derivati66, in quanto non
ancorati a un underliyng asset di riferimento e la negoziazione
non necessita della presenza di un market maker (soggetto che
65 Sul fronte dei privati, interessante la testimonianza dei Buoni locali di Solidarietà SCEC (Solidarietà ChE Cammina,
Progetto Arcipelago). In sostanza, si tratta di una delle possibili applicazioni dei modelli di monete complementari; la
finalità del modello è quella di favorire la ripresa economica, in una fase anticiclica. Sul piano operativo, l’obiettivo è il
mantenimento della ricchezza prodotta da una data area al proprio interno, secondo lo strumento redistributivo del
voucher (pertanto secondo un’ottica di sussidiarietà, quindi di economia civile, rafforzando la fides aurea).
Si evidenziano due principali caratteristiche: a) il voucher aumenta il potere di acquisto dei privati in ambito locale, a
fianco dell’euro, come percentuale di prezzo sul listino, variabile dal 10 al 20%; b) maggiori vantaggi competitivi dei
prodotti locali rispetto alle importazioni, attraverso la creazione di economie di scala, tramite gruppi di acquisto suddivisi
per settori merceologici, al fine di incrementare il potere negoziale sul supply side. Il Buono Locale di Solidarietà ha un
rapporto di parità 1:1 con l’euro, non è convertibile e viene distribuito gratuitamente a tutte le realtà aderenti al Progetto
Arcipelago. Il voucher è una percentuale di sconto sul prezzo pagata sul listino di un prodotto (10-20%) che può essere
riutilizzato da commercianti, professionisti, produttori e così via. Non si crea debito, al contrario della moneta cartacea
ed elettronica. Il BLS àncora al territorio l’importo pagato (anche quello in euro) e lo fa circolare all’interno; ad esempio:
un reddito pari a € 1000 con 100 euro di buono genera un reddito complessivo pari a € 1.100. Fiscalmente è equiparato
ad un abbuono (sconto), pertanto non concorre alla determinazione della base imponibile. Non si crea inflazione, poichè i
buoni acquisiscono valore con l’euro e ne sono dipendenti. Il Progetto Arcipelago prevede che ogni isola che adotti i
buoni li scambi con altre a fronte di eccedenze produttive. Infine, ogni isola si pone come garante della qualità dei beni
scambiati. Con l’introduzione di supermercati locali è possibile accorciare le filiere, abbattendo i costi di intermediazione
e annullando la speculazione. Link: www.arcipelagoscec.net . 66 Per una prima nozione, cfr. J. C. Hull, “Introduzione ai mercati dei futures e delle opzioni”, Il Sole 24 Ore, ultima
edizione.
39
immette ordini di segno opposto sul titolo quotato per
alimentarne la liquidità).
La caratteristica di tali strumenti, a differenza dei titoli collocati
sui mercati finanziari, riposa nella correlazione diretta con la
stimolazione esclusiva di attività produttive, con la nascita di
nuove imprese e quindi di nuova e maggiore ricchezza introdotta
nel sistema.
Tale correlazione è misurata dal rapporto tra finanza e economia
reale, rigidamente incanalato nelle determinanti del modello che
genera l’emissione dei titan, senza possibilità di distorsioni o
alterazioni nell’impiego degli stessi.
Dal lato delle imprese, i titan generano un incremento
dell’offerta di beni strumentali (poiché emessi esclusivamente a
fronte della creazione di iniziative imprenditoriali collegate alla
sfera della produzione e della distribuzione); dal lato dei
consumatori privati, si verifica una crescita proporzionale di
domanda e offerta di beni, secondo il moltiplicatore keynesiano67.
In entrambi i casi non si genera inflazione, dato che si applica
una riduzione del prezzo dei beni per effetto dello “sconto”
creato dall’interesse passivo.
L’interesse negativo è incamerato dall’ente locale, attraverso il
pagamento, da parte dei possessori dei titoli, della marca da bollo
corrispondente e applicata sul titolo stesso alla scadenza di ogni
anno, per ciascuno degli anni previsti dal piano di
ammortamento; inoltre, le marche asseverano la validità della
circolazione dei titan stessi.
Il valore del titolo senza marche alla scadenza è pari a zero,
mentre l’apposizione delle marche da bollo dà diritto al
67 Il moltiplicatore keynesiano è dato dal rapporto tra una variazione di reddito nazionale e la variazione della spesa che
ne è la causa. Tale fattore “si basa sull’ipotesi che il consumo aumenti o diminuisca all’aumentare o al diminuire del
reddito nazionale, ma in misura minore di questo (o, più propriamente, che la propensione marginale al consumo sia
minore dell’unità). Se gli investimenti di un dato periodo aumentano rispetto al livello del periodo precedente,
aumentano anche i redditi di chi produce beni di investimento. I percettori di tali redditi, a loro volta, aumenteranno i
propri consumi, facendo crescere i redditi dei produttori dei beni di consumo. Tale diffusione degli aumenti dei redditi
porterà a un incremento complessivo del reddito nazionale superiore all’iniziale aumento degli investimenti. Quanto più
elevata è la propensione marginale al consumo, tanto maggiore sarà l’aumento finale del reddito. Detta c la propensione
marginale al consumo, il moltiplicatore è dato dal rapporto 1/(1-c), dove (1-c) = s, propensione marginale al risparmio.
Gli aumenti successivi del reddito si vanno riducendo di passaggio in passaggio. Ciò avviene in quanto solo una parte
del reddito prodotto e distribuito viene spesa in consumo; il residuo viene risparmiato. In conclusione, l’aumento
globale del reddito (∆Y) causato da un incremento inizale dei redditi (∆I) è dato da: ∆Y=1/(1-c) ∆I. Va rilevato che il
processo del moltiplicatore non è istantaneo, ma richiede un certo tempo per esaurirsi, sia perché il reddito percepito
non viene immediatamente speso, sia perché il prcesso di produzione si svolge, ovviamente nel tempo. Il valore teorico
del moltiplicatore viene poi, in pratica, ridotto a causa delle imposte dirette, che diminuiscono il reddito disponibile, e a
causa delle importazioni, che concorrono con la produzione interna a soddisfare la domanda. All’incremento di reddito
nominale si associerà un incremento di reddito reale solo se esiste sufficiente disponibilità di fattori produttivi
inutilizzati. Se tale disponibilità non è sufficiente, il moltiplicatore funzionerà in termini monetari ma gli aumenti di
produzione saranno sostituiti in tutto o in parte da aumenti dei prezzi”. Cfr Op. Cit., Garzanti, pp. 750.
40
possessore di ricevere, in cambio della consegna delle marche, un
pagamento pari alla somma dell’importo portato dalle stesse
marche.
L’importo delle marche è fisso ed è pari all’interesse negativo
applicato sulla somma erogata.
Gli importi introitati dall’ente locale emittente andranno a coprire
il pagamento dei titoli presentati alla scadenza e coperti
totalmente o parzialmente dalle marche (quindi le marche sono
equiparabili alla quota capitale, piuttosto che alla quota interessi),
mentre l’interesse che l’ente incasserà sarà pari alle somme rese
dagli imprenditori possessori dei titoli a tasso negativo, che
avranno ricevuto i finanziamenti per l’esercizio della loro attività.
Alla scadenza dei titoli, viene restituito l’intero capitale, quindi
l’ente locale incamera a titolo di interessi, una somma pari a
quella emessa per mezzo dei titoli.
I fallimenti delle attività imprenditoriali (rischio di insolvenza) e
shocks endogeni a ciclicità ricorrente (rischi di mercato), possono
comportare il fatto che alcuni possessori non siano in grado di
restituire le somme prese a debito, generando rischio di
insolvenza (probability of default stimata a priori da un dato
livello di rating).
Per il principio di prudenza, allora, l’emittente sconterà un
incasso inferiore a quello portato dall’intero finanziamento.
Inoltre, a fronte di successive emissioni di titan sul mercato
finanziario, è stimabile che il saggio di interesse effettivo si
assesti in un intorno ragionevole del tasso di crescita
dell’economia locale nell’area monetaria in cui circolano.
Applicazioni operative
E’ possibile certamente prevedere anche corporate titan, relativi
alle aziende per le quali vengono emessi.
Rispetto alle emissioni riservate agli enti locali, una stima
corretta per il rischio ammette una durata inferiore del titolo;
inoltre, l’andamento stesso del titolo risulta strettamente correlato
all’andamento dell’azienda, per cui le quotazioni oscilleranno tra
il valore massimo pari a quello facciale e valori inferiori al
medesimo.
Tale variante dei titan sarà assoggetta a un grado di rischio
maggiore, quindi il regolamento degli oneri finanziari da parte
delle imprese dovrà avvenire per mezzo di erogazioni periodiche,
attraverso un rimborso frazionato e non mediante un unico
41
versamento alla scadenza, come nelle emissioni riservate agli enti
locali.
I titan sono titoli di debito solamente dall’atto di apposizione
delle marche; in caso contrario rimangono un debito
dell’emittente. Tale debito è garantito dall’imprenditore verso
l’emittente, ma la garanzia viene liberata se, alla scadenza, i titoli
non vengono presentati all’incasso presso lo stesso emittente.
Solo in quel caso la liberazione della garanzia opererà in favore
dei possessori dei titoli.
Quindi, si può affermare che l’emissione dei titoli è pari a un
debito tra privati tutelato dalle garanzie prestate
dall’imprenditore all’emittente.
La negoziazione dei titoli avrà un grado di rischio maggiore o
minore a seconda dell’andamento delle imprese cui sono
collegati, mentre l’emissione di titan, non direttamente correlata
ai debitori, è comunque garantita dall’ente, poiché la copertura è
assicurata dalla vendita delle marche.
I rischi di emissione gravano sull’imprenditore che li riceve; il
rischio di insolvenza è coperto da garanzie assicurative o reali
prestate dalle imprese e da garanzie personali prestate dagli
imprenditori.
In particolare, l’impresa viene a prestare garanzie reali pari a due
volte l’importo mutuato.
Per i casi di start-up si tratta di una rilevante barriera all’entrata,
sul fronte dell’accesso al credito. Allora, le garanzie potrebbero
essere prestate: a) da un soggetto terzo (ad esempio una banca
d’affari); b) dall’imprenditore in forma revolving, pertanto
rilasciata su base annua. Quest’ultima variante consente
l’integrale copertura finanziaria dell’importo erogato dall’ente
già a metà del periodo di emissione.
Nel caso di mancato incasso di una rata, l’ente locale: 1)
interviene con fondi propri a sostegno dell’impresa; 2) escute le
garanzie e ritira i titoli dalla circolazione; in questo caso l’ente
verserà ai portatori una somma pari all’importo delle marche al
momento dell’emissione, oltre alla quota residua relativa al
periodo di circolazione.
Nel caso limite in cui i titoli non circolassero affatto, il loro
pagamento sarebbe comunque garantito dalle garanzie prestate
dall’imprenditore, che si troverà a onorare gli interessi pattuiti
alla scadenza.
In sostanza, è come se il debitore fosse un mutuatario che non
utilizza il mutuo ricevuto, ma che è comunque gravato da un
42
interesse; a scadenza, dovrà restituire la somma mutuata più gli
interessi.
L’appeal dei titan per l’imprenditore è dato dalla possibilità di
spenderli presso altre imprese, che a loro volta li accetteranno in
pagamento, data la fiducia nel sistema e data la relativa certezza
che, a loro volta, li potranno spendere presso altre imprese o
operatori finanziari.
Maggiore è la durata dei titoli e più agevole ne diviene la
circolazione, poiché dalla durata ne dipende il saggio di
ammortamento.
L’imprenditore che riceve i titoli impiegherà un certo tempo
(costi di transazione) per negoziarli, acquistando beni.
Quindi, l’interesse ricadrà su tutti coloro che hanno negoziato tali
titoli, dato che sarà ripartito su di loro.
Ciò consente di minimizzare i costi di transazione, equiparandoli,
per effetto degli “abbuoni” determinati dalle dinamiche degli
interessi negativi, a contributi di importo trascurabile versati da
tutti gli attori coinvolti.
Il valore effettivo del titan tenderà al valore facciale, diminuito
dell’interesse, in prossimità della scadenza, per effetto
dell’apposizione delle marche. Il titolo tenderà a riprendere
valore pieno all’inizio dell’anno successivo.
Il debitore che trattenesse per n anni i titoli senza spenderli,
vedrebbe automaticamente decurtato il loro valore per un
importo pari al prodotto tra tre fattori: numero di anni in assenza
di impiego, interesse annuo da corrispondere all’emittente e
valore nominale del prestito erogato.
Per quanto concerne la massa monetaria, nei primi tempi
successivi all’introduzione nel sistema monetario locale dei titan,
potrebbero verificarsi prezzi rigidi, in ragione di una massa
monetaria minima.
In realtà, tutte le imprese possono manifestare propensione ad
accettare titan, poiché, nell’attuale fase storica, vi è un costante
surplus di offerta.
Il modello auspicato si fonda sull’impostazione di quello
keynesiano, senza tuttavia generare debito e con l’obiettivo di
erogare solo una parte del surplus generato dal moltiplicatore per
destinarlo a impieghi con finalità collettive.
Per quanto concerne la velocità di circolazione della moneta,
quindi dei titan, essi si negozieranno più rapidamente di tutte le
altre monete, per effetto della Legge di Gresham, con la tendenza
ad accumulare e tesaurizzare le monete di comune impiego
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rispetto ai titan, quindi aumentando, di conseguenza, la domanda
per i titan stessi.
La velocità di circolazione è positivamente correlata alle
emissioni, senza generare comunque inflazione, anche se i titan
esercitano una certa pressione al rialzo dei prezzi, al fine di
remunerare il rischio insito nella loro natura.
Ciò per due ragioni: da una parte, i titan si estinguono con il
trascorrere del tempo e vengono poi ritirati dalla circolazione,
senza gonfiare la massa monetaria; dall’altra, il rischio di
emissione diminuisce per la generale accettazione dei titoli.
Quindi, si tratta di un’emissione monetaria che accompagna la
crescita economica e poi scompare, senza lasciare il peso del
debito, una volta che le attività economiche produttive e
commerciali saranno state avviate e consolidate.
Il pagamento degli interessi ricade sui soggetti che li utilizzano.
Così si risolve, di fatto, un’imposta sulla circolazione del
denaro68, dato che in ogni transazione il prenditore vedrà
remunerato il rischio di non riuscire a spendere i titan, mentre la
remunerazione dei medesimi sarà appannaggio dell’ ente
emittente.
Il tasso di interesse negativo, nel caso migliore, è pari al valore
facciale dei titoli emessi.
L’interesse è pagato attraverso l’emissione delle marche, ma in
realtà è necessario utilizzare le marche come copertura del
pagamento finale del titolo e ottenere gli importi resi dai
prenditori come se risultassero il pagamento dell’interesse sul
titan.
Pertanto, viene ribadito che ciò risulta opportuno: a) per non
gravare il bilancio dell’ente del rischio di credito (dato
dall’eventuale insolvenza del prenditore), per effetto dei tempi
necessari allo smobilizzo delle garanzie rilasciate dal debitore a
fronte della ricezione dei titan; b) per la dinamica di correlazione
tra tasso di interesse e tasso di crescita dell’area locale.
Il rimborso potrà essere periodico o finale in un’unica soluzione.
Nel caso di titoli emessi e legati nominativamente a una data
impresa, il debitore potrebbe essere obbligato alla restituzione
68 Un esempio in tal senso è la c.d. Tobin Tax, elaborata nel 1972 dall’omonimo premio Nobel per l’economia.
Si tratta di una tassa da applicare sulle transazioni operate all’interno dei mercati valutari, con la finalità di stabilizzare
la volatilità intrinseca degli stessi, determinabile in misura corrispondente tra il 0,05% e l’1%. In alternativa, alcuni
studiosi (L. Zingales), in momenti di bassa e stabile inflazione e bassi tassi di interesse, propongono la tassazione del
debito a breve, per modulare gli effetti distorsivi delle attività speculative sui mercati monetari e finanziari.
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periodica (es. rata annua e ipotesi di garanzia revolving69,
opportunamente prestata da società finanziarie abilitate o da terzi
in genere), per meglio garantire i detentori dei titan della
solvibilità dell’imprenditore/prenditore.
Conclusioni
Il sistema finanziario ha un elevato grado di appetibilità
nell’intermediare la circolazione dei titan, sia in termini di
funzione di garanzia, circa la solidità delle iniziative
imprenditoriali presso la clientela, sia di controllo delle scelte
degli operatori economici.
Il sistema finanziario risulterebbe indotto a investire
nell’economia reale, anzichè alimentare le dinamiche speculative
dei mercati finanziari attualmente concepiti, al fine di garantire
adeguata remunerazione agli impieghi.
Con garanzie revolving, a metà della scadenza, l’importo dei
titan sarebbe coperto, mentre nella seconda metà dell’orizzonte
temporale, l’ente incasserebbe somme a titolo di interesse.
Ciò assicurerebbe la copertura del pagamento dei titoli solo dopo
la metà della scadenza della durata del titan, garantendo i
detentori sul pieno valore dei medesimi in circolazione anche se
emessi nominativamente su un’impresa.
Per altri tipi di titan, caratterizzati da un maggiore grado di
rischio (ad es. emissioni corporate), si potrebbe prevedere un
“premio” per i titolari alla scadenza sul valore nominale tra il 10
e il 40%, a seconda del rating assegnato.
Il premio sarebbe remunerato con parte degli importi resi
dall’imprenditore a scadenza.
Il rischio maggiore risulterebbe da una minore copertura del
titolo, lungo l’intero periodo di emissione, in caso di default del
debitore.
La circolazione dei titoli “a premio”70 sarebbe riservata ai soli
operatori finanziari, dato il maggior rischio e la conseguente
complessità di gestione. 69 Con tale garanzia, rinnovabile nel tempo, la banca assume l’impegno di concedere credito per un ammontare
massimo prestabilito utilizzabile più volte, entro una data scadenza. Per alcuni utilizzi relativi alle forme tecniche
revolving, cfr. A. Motta (a cura di), “Manuale delle acquisizioni di imprese”, Il Sole 24 Ore, 2003, pp. 157. 70 In questa sede, il termine “titoli a premio” assume una connotazione differente dall’accezione classica di tali
strumenti. Il premio è inteso quale rendimento addizionale correlato a un maggiore grado di rischio assunto dagli
investitori, mentre nell’accezione classica: “Il mercato dei premi rappresenta l’equivalente dell’options market
anglosassone: in esso vengono stipulati particolari contratti, detti contratti a premio o contratti a termine condizionato,
che attribuiscono ad una delle controparti, dietro pagamento di un premio, una particolare facoltà di scelta (opzione) in
ordine all’esecuzione di una compravendita di titoli. Tale facoltà varia a seconda del tipo di contratto.
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L’ente locale incamera un reddito variabile a fronte
dell’emissione dei titan.
Tale reddito abbatte il livello di imposizione fiscale sulle attività
da lavoro in ambito locale, ancor più per effetto della creazione
di maggiore ricchezza, che genera un incremento di entrate
fiscali.
In Italia, l’emissione di titoli da parte di enti pubblici è vincolata
a due parametri: la copertura di bilancio e il rispetto del livello
massimo di interesse applicato, secondo le disposizioni della
Banca d’Italia.
Non esiste una norma che autorizzi all’emissione delle marche,
come non esiste il divieto di subordinare la circolazione dei titoli
a date condizioni: pertanto, nel nostro Paese è possibile
l’emissione di tali marche.
Nel comparto retail, i titan non possono emettersi né come
cambiali né come gli altri titoli di credito tipicamente normati.
Possono tuttavia essere emessi da una società (preferibilmente
large corporation) nella forma di prestito obbligazionario
gravato da un tasso di interesse negativo.
Le cedole periodiche comportano per il detentore l’obbligo di
versare una somma anziché incassarla.
I titoli sarebbero spendibili presso i punti vendita dell’emittente e
favorirebbero un incremento della domanda all’interno del
gruppo ove circolassero.
Naturalmente, la circolazione esterna dipenderebbe dalla fiducia,
ovvero dalla reputazione degli emittenti.
Tale tipologia di titan potrebbero essere remunerati con un
premio elevato per i detentori, al fine di favorirne la circolazione
tra operatori finanziari e tra gli stessi detentori.
Il contratto dont (equivalente alla call option anglosassone) attribuisce al datore (o compratore) del premio la facoltà, da
esercitarsi entro una determinata scadenza (giorno di risposta premi), di acquistare un dato quantitativo di titoli ad un
prezzo convenuto (prezzo base). Invece, il contratto put (equivalente alla put option anglosassone) attribuisce al datore
del premio la facoltà di vendere i titoli. Accanto al dont e al put, che sono contratti a premio semplice, vengono
negoziati contratti a premio doppio, che si configurano come loro combinazioni: lo stellage attribuisce al datore del
premio la facoltà di ritirare o consegnare un determinato quantitativo di titoli al prezzo base convenuto, lo strip la
facoltà di ritirare un determinato quantitativo di titoli oppure consegnarne un quantitativo doppio e lo strap la facoltà di
ritirare il quantitativo pattuito oppure consegnarne un quantitativo dimezzato”, in E. Barone, D. Cuoco, “Il mercato dei
contratti a premio in Italia, un’applicazione dell’Option Pricing Theory”, Banca d’Italia, Servizio Studi, 1988, pp. 1.
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CONSIDERAZIONI FINALI
Il fine di questo lavoro è quello di definire un percorso, volto a
rendere concreta la possibilità di realizzare Superdistretti, intesi
quali strumenti per superare l’attuale fase di trasformazione
finanziaria globale.
Infatti, a partire dall’esperienza elementare dei distretti industriali
secondo un approccio aureo (Figura 3), le connessioni e le
interrelazioni tra le diverse aree richiedono l’introduzione di
almeno due elementi di innovazione: nuove tecnologie
dell’informazione e una riproposizione più serrata della finanza
etica.
A
Fede
aurea
A O B O
Fiducia aurea
B
Fig. 3. La pubblica felicità nell’Economia Civile
Il primo fattore, connesso all’impiego di approcci di community e
di networking, può consentire una rapida esecuzione del modello
di Superdistretti che i legislatori intenderanno adottare.
Il secondo fattore è determinante per la crescita e per lo sviluppo
di qualunque area geografica in modo aureo.
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Tuttavia, secondo un’ ottica cosmopolita e non più globale, anche
il concetto di area geografica viene dematerializzandosi: le
dimensioni fisiche cedono il passo a favore di aree virtuali, che
richiedono nuovi strumenti di gestione, all’altezza della
complessità dei Superdistretti che risultano, proprio nella loro
concezione, globali.
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INDICE
INTRODUZIONE p. 1
L’ECONOMIA CIVILE p. 3
- De Civile Economia p. 3
- La Scuola Napoletana p. 4
- La Scuola Milanese p. 7
- Il pensiero di Adam Smith p. 8
- L’Economia Civile oggi p. 11
LA FINANZA ETICA p. 15
- Alcune definizioni p. 15
- I nessi tra Economia Reale e Finanza Etica p. 18
- Innovazione finanziaria e Finanza Etica p. 19
- Finanza Etica per il risparmio p. 20
I DISTRETTI p. 23
- L’architettura dei Distretti Industriali p. 23
- Le determinanti dei Distretti Industriali p. 25
- Dinamiche e relazioni tra Economia Reale e Distretti p. 27
- Crescita e Credito p. 29
- Cluster e Distretti p. 31
I SUPERDISTRETTI p. 32
- Il contesto p. 32
- Un modello di titoli a tasso negativo p. 33
- Alcune caratteristiche tecniche p. 39
- Applicazioni operative p. 41
- Conclusioni p. 44
CONSIDERAZIONI FINALI p. 47