Carlo F. Traverso (ePub) Ugo Santamaria (ODT) · rivoluzioni, che eccitano la più viva curiosità,...

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia della decadenza e rovina dell'ImperoRomano, volume quartoAUTORE: Gibbon, EdwardTRADUTTORE: Bettoni, NicolòCURATORE:NOTE: Il testo è tratto da una copia in formato im-magine presente sul sito Internet Archive(http://www.archive.org/).Realizzato in collaborazione con il Project Guten-berg (http://www.gutenberg.net/) tramite Distributedproofreaders (http://www.pgdp.net/).

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828100799

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Schicksal der irdi-schen Überreste Johannes d. Täufers" di Geertgen totSint Jans (circa 1460-circa 1488). - Kunsthistori-sches Museum, Vienna (Austria). -https://https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Geer

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tgen_tot_Sint_Jans_005.jpg. - Pubblico Dominio.

TRATTO DA: Storia della decadenza e rovinadell'Impero Romano di Edoardo Gibbon. Traduzionedall'inglese - Milano : per Nicolo Bettoni, 1820-1824 - 13 v. ; 8 - volume quarto, 1821 400 p.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 21 ottobre 20102a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 20 luglio 2017

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:HIS002020 STORIA / Antica / Roma

DIGITALIZZAZIONE:Distributed proofreaders, http://www.pgdp.net/

REVISIONE:Claudio Paganelli, [email protected] Santamaria

IMPAGINAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected] F. Traverso (ePub)Ugo Santamaria (ODT)Ugo Santamaria (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

Informazioni sul "progetto Manuzio"Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associa-zione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque vo-

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tgen_tot_Sint_Jans_005.jpg. - Pubblico Dominio.

TRATTO DA: Storia della decadenza e rovinadell'Impero Romano di Edoardo Gibbon. Traduzionedall'inglese - Milano : per Nicolo Bettoni, 1820-1824 - 13 v. ; 8 - volume quarto, 1821 400 p.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 21 ottobre 20102a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 20 luglio 2017

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

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glia collaborare, si pone come scopo la pubblicazio-ne e la diffusione gratuita di opere letterarie informato elettronico. Ulteriori informazioni sono di-sponibili sul sito Internet:http://www.liberliber.it/

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Indice generale

Capitolo XX................................................................8[A. D. 306].................................................................... 8[A. D. 312].................................................................... 9[A. D. 326-327]........................................................... 10[A. D. 313].................................................................. 14[A. D. 313].................................................................. 59[A. D. 314].................................................................. 71[A. D. 325].................................................................. 73

Capitolo XXI............................................................75[A. D. 312].................................................................. 78[A. D. 315].................................................................. 80[A. D. 318-325]........................................................... 98[A. D. 325]................................................................ 101[A. D. 360]................................................................ 112[A. D. 324]................................................................ 113[A. D. 328-337]......................................................... 116[A. D. 337-361]......................................................... 118[A. D. 360]................................................................ 124[A. D. 330]................................................................ 128[A. D. 325]................................................................ 129[A. D. 336]................................................................ 131[A. D. 341]................................................................ 133[A. D. 346]................................................................ 135[A. D. 349]................................................................ 136[A. D. 351]................................................................ 138[A. D. 353-355]......................................................... 140

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Indice generale

Capitolo XX................................................................8[A. D. 306].................................................................... 8[A. D. 312].................................................................... 9[A. D. 326-327]........................................................... 10[A. D. 313].................................................................. 14[A. D. 313].................................................................. 59[A. D. 314].................................................................. 71[A. D. 325].................................................................. 73

Capitolo XXI............................................................75[A. D. 312].................................................................. 78[A. D. 315].................................................................. 80[A. D. 318-325]........................................................... 98[A. D. 325]................................................................ 101[A. D. 360]................................................................ 112[A. D. 324]................................................................ 113[A. D. 328-337]......................................................... 116[A. D. 337-361]......................................................... 118[A. D. 360]................................................................ 124[A. D. 330]................................................................ 128[A. D. 325]................................................................ 129[A. D. 336]................................................................ 131[A. D. 341]................................................................ 133[A. D. 346]................................................................ 135[A. D. 349]................................................................ 136[A. D. 351]................................................................ 138[A. D. 353-355]......................................................... 140

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[A. D. 355]................................................................ 143[A. D. 356]................................................................ 146[A. D. 336-362]......................................................... 151[A. D. 312-361]......................................................... 171

Capitolo XXII.........................................................180[A. D. 360]................................................................ 182[A. D. 361-363]......................................................... 218

Capitolo XXIII........................................................236Capitolo XXIV........................................................309

[A. D. 363]................................................................ 323[A. D. 363]................................................................ 337[A. D. 363]................................................................ 369

Indice dei capitoli e delle materie che si contengononel quarto volume...................................................392

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[A. D. 355]................................................................ 143[A. D. 356]................................................................ 146[A. D. 336-362]......................................................... 151[A. D. 312-361]......................................................... 171

Capitolo XXII.........................................................180[A. D. 360]................................................................ 182[A. D. 361-363]......................................................... 218

Capitolo XXIII........................................................236Capitolo XXIV........................................................309

[A. D. 363]................................................................ 323[A. D. 363]................................................................ 337[A. D. 363]................................................................ 369

Indice dei capitoli e delle materie che si contengononel quarto volume...................................................392

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STORIADELLA DECADENZA E ROVINA

DELL'IMPERO ROMANODI

EDOARDO GIBBON

TRADUZIONE DALL'INGLESE

VOLUME QUARTO

MILANO

PER NICOLÒ BETTONI

M.DCCC.XXI

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STORIADELLA DECADENZA E ROVINA

DELL'IMPERO ROMANODI

EDOARDO GIBBON

TRADUZIONE DALL'INGLESE

VOLUME QUARTO

MILANO

PER NICOLÒ BETTONI

M.DCCC.XXI

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CAPITOLO XX.

Motivi, progresso ed effetti della conversione di Costan-tino. Legittimo stabilimento, e costituzione della Chiesa

Cristiana, o Cattolica.

Si può risguardare il pubblico stabilimento del Cri-stianesimo, come una di quelle importanti e domesticherivoluzioni, che eccitano la più viva curiosità, e sommi-nistrano la più efficace istruzione. Le vittorie ed il go-verno civile di Costantino non influiscono ora più sopralo stato dell'Europa; ma una considerabil parte del globoritien tuttavia l'impressione, che ricevè dalla conversio-ne di quel Monarca; e l'ecclesiastiche istituzioni, fattesotto il suo regno, son sempre connesse, medianteun'indissolubil catena, colle opinioni, colle passioni, ecogl'interessi della presente generazione.

[A. D. 306]Nella considerazione d'un soggetto, che si può esami-

nare senza parzialità, ma non può riguardarsi con indif-ferenza, nasce subito una difficoltà inaspettata, cioèquella di determinare il vero e preciso tempo della con-versione di Costantino. L'eloquente Lattanzio, in mezzoalla Corte di lui, sembra impaziente1 di pubblicare al1 Si è diligentemente discussa la data delle Istituzioni Divine di Lattanzio; vi

si sono scoperte difficoltà; si sono proposti mezzi per iscioglierle; e si è fi-nalmente immaginato l'espediente di supporne due edizioni originali, laprima pubblicata nel tempo della persecuzione di Diocleziano, l'altra sotto

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CAPITOLO XX.

Motivi, progresso ed effetti della conversione di Costan-tino. Legittimo stabilimento, e costituzione della Chiesa

Cristiana, o Cattolica.

Si può risguardare il pubblico stabilimento del Cri-stianesimo, come una di quelle importanti e domesticherivoluzioni, che eccitano la più viva curiosità, e sommi-nistrano la più efficace istruzione. Le vittorie ed il go-verno civile di Costantino non influiscono ora più sopralo stato dell'Europa; ma una considerabil parte del globoritien tuttavia l'impressione, che ricevè dalla conversio-ne di quel Monarca; e l'ecclesiastiche istituzioni, fattesotto il suo regno, son sempre connesse, medianteun'indissolubil catena, colle opinioni, colle passioni, ecogl'interessi della presente generazione.

[A. D. 306]Nella considerazione d'un soggetto, che si può esami-

nare senza parzialità, ma non può riguardarsi con indif-ferenza, nasce subito una difficoltà inaspettata, cioèquella di determinare il vero e preciso tempo della con-versione di Costantino. L'eloquente Lattanzio, in mezzoalla Corte di lui, sembra impaziente1 di pubblicare al1 Si è diligentemente discussa la data delle Istituzioni Divine di Lattanzio; vi

si sono scoperte difficoltà; si sono proposti mezzi per iscioglierle; e si è fi-nalmente immaginato l'espediente di supporne due edizioni originali, laprima pubblicata nel tempo della persecuzione di Diocleziano, l'altra sotto

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Mondo il glorioso esempio del Sovrano della Gallia, chefin da' primi momenti del suo regno conobbe e adorò lamaestà dell'unico e vero Dio2.

[A. D. 312]Il dotto Eusebio attribuì la fede di Costantino al segno

miracoloso, che si fece veder in Cielo, mentr'egli medi-tava e preparava la spedizione dell'Italia3. L'istorico Zo-simo asserisce maliziosamente, ch'esso aveva imbrattatole mani nel sangue del suo figlio maggiore, avanti di ri-nunziar pubblicamente agli Dei di Roma e de' suoi mag-giori4. La dubbiezza, che producono queste discordi au-torità, nasce dalla condotta di Costantino medesimo. Se-condo il rigore del linguaggio ecclesiastico il primo Im-perator Cristiano non fu degno di tal nome che al mo-mento della sua morte; giacchè solo nell'ultima sua ma-lattia ricevè come catecumeno l'imposizion delle mani5,

quella di Licinio. Vedi Dufresnoy Praef. p. 5. Tillemont Mem. Eccl. Tom.VI p. 465 -470. Lardner Credibilità ec. P. II Vol. VII, p. 78-86. Quanto ame io sono quasi convinto, che Lattanzio dedicasse le sue Istituzioni al So-vrano della Gallia nel tempo in cui Galerio, Massimino, e Licinio stessoperseguitavano i Cristiani, cioè fra gli anni 306 e 311.

2Lactant. Divin Inst. l. I. VII. 27. Veramente il primo ed il più importante diquesti passi manca in 28 manoscritti; ma si trova in altri 19. Se vogliam ponde-rare il merito di questi manoscritti paragonati fra loro, può allegarsene, in favordi quel passo, uno della libreria del Re di Francia dell'età di 900 anni, ma siomette lo stesso passo nel corretto manoscritto di Bologna, che il P. Montfau-con giudica del sesto, o del settimo secolo (Diar. It. p. 409). Il gusto della mag-gior parte degli Editori (eccettuato Iseo, vedi Lattanzio dell'edizione del Dufre-snoy, Tom. I p. 596) vi ha riconosciuto il genuino stil di Lattanzio.

3Euseb. in vit. Const. (l. I. c. 27-32.)4Zosimo (l. II. p. 104.)5Questo rito fu sempre in uso nel fare i Catecumeni (vedi Bingam. Ant. l.

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Mondo il glorioso esempio del Sovrano della Gallia, chefin da' primi momenti del suo regno conobbe e adorò lamaestà dell'unico e vero Dio2.

[A. D. 312]Il dotto Eusebio attribuì la fede di Costantino al segno

miracoloso, che si fece veder in Cielo, mentr'egli medi-tava e preparava la spedizione dell'Italia3. L'istorico Zo-simo asserisce maliziosamente, ch'esso aveva imbrattatole mani nel sangue del suo figlio maggiore, avanti di ri-nunziar pubblicamente agli Dei di Roma e de' suoi mag-giori4. La dubbiezza, che producono queste discordi au-torità, nasce dalla condotta di Costantino medesimo. Se-condo il rigore del linguaggio ecclesiastico il primo Im-perator Cristiano non fu degno di tal nome che al mo-mento della sua morte; giacchè solo nell'ultima sua ma-lattia ricevè come catecumeno l'imposizion delle mani5,

quella di Licinio. Vedi Dufresnoy Praef. p. 5. Tillemont Mem. Eccl. Tom.VI p. 465 -470. Lardner Credibilità ec. P. II Vol. VII, p. 78-86. Quanto ame io sono quasi convinto, che Lattanzio dedicasse le sue Istituzioni al So-vrano della Gallia nel tempo in cui Galerio, Massimino, e Licinio stessoperseguitavano i Cristiani, cioè fra gli anni 306 e 311.

2Lactant. Divin Inst. l. I. VII. 27. Veramente il primo ed il più importante diquesti passi manca in 28 manoscritti; ma si trova in altri 19. Se vogliam ponde-rare il merito di questi manoscritti paragonati fra loro, può allegarsene, in favordi quel passo, uno della libreria del Re di Francia dell'età di 900 anni, ma siomette lo stesso passo nel corretto manoscritto di Bologna, che il P. Montfau-con giudica del sesto, o del settimo secolo (Diar. It. p. 409). Il gusto della mag-gior parte degli Editori (eccettuato Iseo, vedi Lattanzio dell'edizione del Dufre-snoy, Tom. I p. 596) vi ha riconosciuto il genuino stil di Lattanzio.

3Euseb. in vit. Const. (l. I. c. 27-32.)4Zosimo (l. II. p. 104.)5Questo rito fu sempre in uso nel fare i Catecumeni (vedi Bingam. Ant. l.

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e quindi fu ammesso, mediante l'iniziante rito del Batte-simo, nel numero de' Fedeli6.

[A. D. 326-327]Conviene concedere a Costantino la qualità di Cristia-

no in un senso molto più vago ed esteso, e si richiede lapiù minuta esattezza nel determinare i lenti, e quasi im-percettibili gradi, pe' quali il Monarca si dichiarò protet-tore, e finalmente proselito della Chiesa. Era una diffici-le impresa quella di sradicare gli abiti, ed i pregiudizidella sua educazione, di riconoscere il divino potere diCristo, e d'intendere che la verità della sua Rivelazioneera incompatibile col culto degli Dei. Gli ostacoli, cheaveva probabilmente sperimentati nell'animo suo, loistruirono a procedere con cautela nel momentaneo can-giamento d'una religion nazionale; ed appoco appocoscopriva le sue nuove opinioni, a misura che si trovavain grado di sostenerle con sicurezza e con effetto. In tut-

X. c. I. p. 419. Dom. Chardon Hist. des Sacremens, T. I. p. 62); e Costantino loricevè per la prima volta immediatamente avanti il suo battesimo, e la sua mor-te (Eusebio in vita Const. l. IV. c. 61). Valesio, dalla connessione di questi duefatti, ha tirato quella conseguenza (al luogo cit. d'Euseb.), che viene ammessacon ripugnanza dal Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV. p. 628), e contraddettacon deboli argomenti dal Mosemio (p. 968).

6Eusebio in vit. Const. (l. IV. c. 61, 62, 63). La leggenda del Battesimo diCostantino, seguìto in Roma tredici anni avanti la sua morte, fu inventatanell'ottavo secolo come un acconcio motivo per la sua donazione. Tale è stato agrado a grado il progresso delle cognizioni, che una storia, di cui il CardinalBaronio (Annal. Eccl. An. 324. n. 43-49) si dichiarò senza rossore avvocato,adesso debolmente si sostiene anche sotto la giurisdizione del Vaticano. Vedi leantichità Crist. (Tom. II p. 203), opera pubblicata con sei approvazioni aRoma, nell'anno 1751, dal P. Mamachi, erudito Domenicano.

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e quindi fu ammesso, mediante l'iniziante rito del Batte-simo, nel numero de' Fedeli6.

[A. D. 326-327]Conviene concedere a Costantino la qualità di Cristia-

no in un senso molto più vago ed esteso, e si richiede lapiù minuta esattezza nel determinare i lenti, e quasi im-percettibili gradi, pe' quali il Monarca si dichiarò protet-tore, e finalmente proselito della Chiesa. Era una diffici-le impresa quella di sradicare gli abiti, ed i pregiudizidella sua educazione, di riconoscere il divino potere diCristo, e d'intendere che la verità della sua Rivelazioneera incompatibile col culto degli Dei. Gli ostacoli, cheaveva probabilmente sperimentati nell'animo suo, loistruirono a procedere con cautela nel momentaneo can-giamento d'una religion nazionale; ed appoco appocoscopriva le sue nuove opinioni, a misura che si trovavain grado di sostenerle con sicurezza e con effetto. In tut-

X. c. I. p. 419. Dom. Chardon Hist. des Sacremens, T. I. p. 62); e Costantino loricevè per la prima volta immediatamente avanti il suo battesimo, e la sua mor-te (Eusebio in vita Const. l. IV. c. 61). Valesio, dalla connessione di questi duefatti, ha tirato quella conseguenza (al luogo cit. d'Euseb.), che viene ammessacon ripugnanza dal Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV. p. 628), e contraddettacon deboli argomenti dal Mosemio (p. 968).

6Eusebio in vit. Const. (l. IV. c. 61, 62, 63). La leggenda del Battesimo diCostantino, seguìto in Roma tredici anni avanti la sua morte, fu inventatanell'ottavo secolo come un acconcio motivo per la sua donazione. Tale è stato agrado a grado il progresso delle cognizioni, che una storia, di cui il CardinalBaronio (Annal. Eccl. An. 324. n. 43-49) si dichiarò senza rossore avvocato,adesso debolmente si sostiene anche sotto la giurisdizione del Vaticano. Vedi leantichità Crist. (Tom. II p. 203), opera pubblicata con sei approvazioni aRoma, nell'anno 1751, dal P. Mamachi, erudito Domenicano.

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to il corso del suo regno, il Cristianesimo s'avanzò conun placido, sebbene accelerato moto; ma la generaleprogressione di esso fu alle volte raffrenata ed alle voltedeviata dalle accidentali circostanze de' tempi, e dallaprudenza, o forse anche dal capriccio del Monarca. Fupermesso a' suoi Ministri d'indicar le intenzioni delPrincipe nel vario linguaggio, che più si accomodava a'respettivi loro principj7; ed egli artificiosamente bilanciòle speranze ed i timori de' propri sudditi, pubblicandonel medesimo anno due editti, l'uno de' quali comandavala solenne osservanza della Domenica8, ed il secondo di-rigeva la regolar consultazione degli Aruspici9. Mentrestava tuttavia sospesa quest'importante rivoluzione, iCristiani ed i Pagani spiavano la condotta del loro So-vrano colla medesima ansietà, ma con sentimenti deltutto contrari. I primi eran mossi da ogni motivo di zelo,non men che di vanità, ad esagerare i segni del suo favo-re, e le prove della sua fede. Gli altri, finattanto che iloro giusti timori non furon cangiati in disperazione edin isdegno, procuravano di nascondere al Mondo ed a

7Il Questore, o segretario, che compose la leg. 1. del lib. XVI. Tit. II. delCod. Teodos. fa dire con indifferenza al suo Signore, hominibus supradictaereligionis; al Ministro poi degli affari Ecclesiastici era permesso uno stile piùdevoto e rispettoso, της ενθεσµου και σγιωτατης καθογικης θρησκειας; legitti-mo, e santissimo catolico culto. Vedi Eusebio Hist. Eccles. (l. X. c. 6).

8Cod. Theodos. (lib. II Tit. VIII. leg. I.) Cod. Giustin. (Lib. III. Tit. XII. leg.III). Costantino chiama la Domenica dies Solis; nome, che non poteva offenderle orecchie de' suoi sudditi Pagani.

9Cod. Theodos. (lib. XVI. Tit. X. leg. I). Il Gottofredo, come comentatore,procura di scusare (Tom. VI. p. 257.) Costantino; ma il Baronio più zelante(Annal. Eccles, an. 521. n. 18.) critica con verità ed asprezza il profano conte-gno di lui.

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to il corso del suo regno, il Cristianesimo s'avanzò conun placido, sebbene accelerato moto; ma la generaleprogressione di esso fu alle volte raffrenata ed alle voltedeviata dalle accidentali circostanze de' tempi, e dallaprudenza, o forse anche dal capriccio del Monarca. Fupermesso a' suoi Ministri d'indicar le intenzioni delPrincipe nel vario linguaggio, che più si accomodava a'respettivi loro principj7; ed egli artificiosamente bilanciòle speranze ed i timori de' propri sudditi, pubblicandonel medesimo anno due editti, l'uno de' quali comandavala solenne osservanza della Domenica8, ed il secondo di-rigeva la regolar consultazione degli Aruspici9. Mentrestava tuttavia sospesa quest'importante rivoluzione, iCristiani ed i Pagani spiavano la condotta del loro So-vrano colla medesima ansietà, ma con sentimenti deltutto contrari. I primi eran mossi da ogni motivo di zelo,non men che di vanità, ad esagerare i segni del suo favo-re, e le prove della sua fede. Gli altri, finattanto che iloro giusti timori non furon cangiati in disperazione edin isdegno, procuravano di nascondere al Mondo ed a

7Il Questore, o segretario, che compose la leg. 1. del lib. XVI. Tit. II. delCod. Teodos. fa dire con indifferenza al suo Signore, hominibus supradictaereligionis; al Ministro poi degli affari Ecclesiastici era permesso uno stile piùdevoto e rispettoso, της ενθεσµου και σγιωτατης καθογικης θρησκειας; legitti-mo, e santissimo catolico culto. Vedi Eusebio Hist. Eccles. (l. X. c. 6).

8Cod. Theodos. (lib. II Tit. VIII. leg. I.) Cod. Giustin. (Lib. III. Tit. XII. leg.III). Costantino chiama la Domenica dies Solis; nome, che non poteva offenderle orecchie de' suoi sudditi Pagani.

9Cod. Theodos. (lib. XVI. Tit. X. leg. I). Il Gottofredo, come comentatore,procura di scusare (Tom. VI. p. 257.) Costantino; ma il Baronio più zelante(Annal. Eccles, an. 521. n. 18.) critica con verità ed asprezza il profano conte-gno di lui.

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loro medesimi, che gli Dei di Roma non contavan piùl'Imperatore nel numero dei loro devoti. Le stesse pas-sioni e gli stessi pregiudizi hanno impegnato gli scrittoriparziali di varj tempi ad unire la pubblica professionedel Cristianesimo colla più gloriosa o colla più ignomi-niosa epoca del regno di Costantino.

Per quanto si potessero scorgere ne' discorsi o nelleazioni di Costantino sintomi di cristiana pietà, ciò nono-stante perseverò egli fino all'età di quasi quarant'anninella pratica della religione stabilita10; e quella stessacondotta, che nella Corte di Nicomedia si sarebbe potutaimputare al suo timore, non si poteva attribuire cheall'inclinazione o alla politica, quando fu divenuto So-vrano della Gallia. La sua liberalità restaurò ed arricchì itempj degli Dei; le medaglie, che uscirono dall'Imperia-le sua zecca, hanno impresse le figure e gli attributi diGiove e d'Apollo, di Marte e d'Ercole; e la sua figlialpietà, mediante la solenne apoteosi di suo padre Costan-zo, accrebbe l'assemblea dell'Olimpo11. Ma la devozionedi Costantino era particolarmente diretta al genio delSole, l'Apollo della Greca e Romana mitologia; e sicompiaceva di farsi rappresentare co' simboli del Diodella luce e della poesia. Gl'infallibili dardi di quel

10Sembra che Teodoreto (l. I. c. 18) voglia far credere, ch'Elena desse al suofiglio un'educazione Cristiana; ma la superiore autorità d'Eusebio può assicu-rarci (in vita Const. l. III. c. 47), ch'ella medesima fu debitrice della cognizionedel Cristianesimo a Costantino.

11Vedi le medaglie di Costantino appresso il Du-Cange, e il Banduri. Sicco-me poche città ritenuto avevano il privilegio del conio, quasi tutte le medagliedi quel tempo uscirono dalla zecca autorizzata dalla sanzione Imperiale.

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loro medesimi, che gli Dei di Roma non contavan piùl'Imperatore nel numero dei loro devoti. Le stesse pas-sioni e gli stessi pregiudizi hanno impegnato gli scrittoriparziali di varj tempi ad unire la pubblica professionedel Cristianesimo colla più gloriosa o colla più ignomi-niosa epoca del regno di Costantino.

Per quanto si potessero scorgere ne' discorsi o nelleazioni di Costantino sintomi di cristiana pietà, ciò nono-stante perseverò egli fino all'età di quasi quarant'anninella pratica della religione stabilita10; e quella stessacondotta, che nella Corte di Nicomedia si sarebbe potutaimputare al suo timore, non si poteva attribuire cheall'inclinazione o alla politica, quando fu divenuto So-vrano della Gallia. La sua liberalità restaurò ed arricchì itempj degli Dei; le medaglie, che uscirono dall'Imperia-le sua zecca, hanno impresse le figure e gli attributi diGiove e d'Apollo, di Marte e d'Ercole; e la sua figlialpietà, mediante la solenne apoteosi di suo padre Costan-zo, accrebbe l'assemblea dell'Olimpo11. Ma la devozionedi Costantino era particolarmente diretta al genio delSole, l'Apollo della Greca e Romana mitologia; e sicompiaceva di farsi rappresentare co' simboli del Diodella luce e della poesia. Gl'infallibili dardi di quel

10Sembra che Teodoreto (l. I. c. 18) voglia far credere, ch'Elena desse al suofiglio un'educazione Cristiana; ma la superiore autorità d'Eusebio può assicu-rarci (in vita Const. l. III. c. 47), ch'ella medesima fu debitrice della cognizionedel Cristianesimo a Costantino.

11Vedi le medaglie di Costantino appresso il Du-Cange, e il Banduri. Sicco-me poche città ritenuto avevano il privilegio del conio, quasi tutte le medagliedi quel tempo uscirono dalla zecca autorizzata dalla sanzione Imperiale.

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Nume, lo splendor de' suoi occhi, la sua corona d'alloro,l'immortal bellezza, e gli eleganti ornamenti chel'accompagnano, sembra che lo costituiscano come ilDio tutelare d'un giovane Eroe. Gli altari d'Apollo erancoronati dalle votive offerte di Costantino; e la credulamoltitudine inducevasi a pensare, che fosse concessoall'Imperatore di vedere con occhi mortali la visibilemaestà del tutelare lor Nume; e che, o vegliando, o invisione, venisse felicitato da' prosperi augurj d'un lungoe vittorioso regno. Si celebrava universalmente il Sole,come la guida invincibile, ed il protettore di Costantino,ed i Pagani avevan ragione d'aspettare, che l'insultataDivinità perseguitato avrebbe con inesorabil vendettal'empietà dell'ingrato suo favorito12.

Finattanto che Costantino esercitò una sovranità limi-tata nelle Province della Gallia, i suoi sudditi Cristianifuron protetti coll'autorità, e forse colle leggi d'un Prin-cipe, che saggiamente lasciava agli Dei la cura di vendi-care il loro proprio onore. Se si dee prestar fedeall'asserzione di Costantino medesimo, egli era stato conisdegno spettatore delle barbare crudeltà che soffrironoper mano de' soldati Romani que' cittadini, l'unico delit-to de' quali consisteva nella lor religione13. Tanto

12Il Panegirico (VII. inter Panegyr. vet.) d'Eumenio che fu recitato pochimesi prima della guerra Italica, è pieno delle più chiare prove della superstizio-ne Pagana di Costantino, e della sua particolar venerazione per Apollo, o pelSole, al quale allude Giuliano, allorchè dice nell'Oraz. VII. p. 228 αµολειπωνσε (abbandonando te). Vedi il Coment. dello Spanemio sui Cesari p. 317.

13Costantino Orat. ad Sanctos c. 25. Ma potrebbe facilmente dimostrarsi,che il Traduttore Greco ha esteso il senso dell'originale Latino; e potè anche

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Nume, lo splendor de' suoi occhi, la sua corona d'alloro,l'immortal bellezza, e gli eleganti ornamenti chel'accompagnano, sembra che lo costituiscano come ilDio tutelare d'un giovane Eroe. Gli altari d'Apollo erancoronati dalle votive offerte di Costantino; e la credulamoltitudine inducevasi a pensare, che fosse concessoall'Imperatore di vedere con occhi mortali la visibilemaestà del tutelare lor Nume; e che, o vegliando, o invisione, venisse felicitato da' prosperi augurj d'un lungoe vittorioso regno. Si celebrava universalmente il Sole,come la guida invincibile, ed il protettore di Costantino,ed i Pagani avevan ragione d'aspettare, che l'insultataDivinità perseguitato avrebbe con inesorabil vendettal'empietà dell'ingrato suo favorito12.

Finattanto che Costantino esercitò una sovranità limi-tata nelle Province della Gallia, i suoi sudditi Cristianifuron protetti coll'autorità, e forse colle leggi d'un Prin-cipe, che saggiamente lasciava agli Dei la cura di vendi-care il loro proprio onore. Se si dee prestar fedeall'asserzione di Costantino medesimo, egli era stato conisdegno spettatore delle barbare crudeltà che soffrironoper mano de' soldati Romani que' cittadini, l'unico delit-to de' quali consisteva nella lor religione13. Tanto

12Il Panegirico (VII. inter Panegyr. vet.) d'Eumenio che fu recitato pochimesi prima della guerra Italica, è pieno delle più chiare prove della superstizio-ne Pagana di Costantino, e della sua particolar venerazione per Apollo, o pelSole, al quale allude Giuliano, allorchè dice nell'Oraz. VII. p. 228 αµολειπωνσε (abbandonando te). Vedi il Coment. dello Spanemio sui Cesari p. 317.

13Costantino Orat. ad Sanctos c. 25. Ma potrebbe facilmente dimostrarsi,che il Traduttore Greco ha esteso il senso dell'originale Latino; e potè anche

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nell'Oriente quanto nell'Occidente, aveva egli veduto idiversi effetti della severità e dell'indulgenza; e siccomela prima rendevasi viepiù odiosa dall'esempio di Gale-rio, suo implacabil nemico, così veniva portato ad imitarla seconda dall'autorità e dal consiglio d'un genitor mo-ribondo. Il figlio di Costanzo immediatamente sospese,o rivocò gli editti di persecuzione, o concesse a tuttiquelli, che s'erano già dichiarati membri della Chiesa, illibero esercizio delle religiose lor ceremonie. Essi furonben presto incoraggiati a fidar nel favore non meno chenella giustizia del loro Sovrano, che aveva concepitouna segreta e sincera venerazione pel nome di Cristo epel Dio de' Cristiani14.

[A. D. 313]Intorno a cinque mesi dopo la conquista dell'Italia,

l'Imperatore fece una solenne ed autentica dichiarazionede' suoi sentimenti, per mezzo del celebre editto di Mi-lano, che restituì la pace alla Chiesa Cattolica. Nel per-sonal congresso de' due Principi Occidentali, Costanti-no, per l'ascendente del suo genio e della sua potenza,ottenne facilmente l'assenso del suo collega Licinio;l'unione e l'autorità de' lor nomi disarmò il furore diMassimino, e dopo la morte del Tiranno dell'Oriente fu

l'Imperatore in età avanzata rammentarsi la persecuzione di Diocleziano conpiù vivo abborrimento di quello che aveva realmente sentito nel tempo dellasua gioventù o idolatria.

14Vedi Eusebio Hist. Eccles. (l. VII. 13 l. IX. 9 etc.) in vit. Const. (l. I. c. 16,17.) Lactant. Divin. Inst. l. 2. Cecil. De mort. persecut. c. 25.

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nell'Oriente quanto nell'Occidente, aveva egli veduto idiversi effetti della severità e dell'indulgenza; e siccomela prima rendevasi viepiù odiosa dall'esempio di Gale-rio, suo implacabil nemico, così veniva portato ad imitarla seconda dall'autorità e dal consiglio d'un genitor mo-ribondo. Il figlio di Costanzo immediatamente sospese,o rivocò gli editti di persecuzione, o concesse a tuttiquelli, che s'erano già dichiarati membri della Chiesa, illibero esercizio delle religiose lor ceremonie. Essi furonben presto incoraggiati a fidar nel favore non meno chenella giustizia del loro Sovrano, che aveva concepitouna segreta e sincera venerazione pel nome di Cristo epel Dio de' Cristiani14.

[A. D. 313]Intorno a cinque mesi dopo la conquista dell'Italia,

l'Imperatore fece una solenne ed autentica dichiarazionede' suoi sentimenti, per mezzo del celebre editto di Mi-lano, che restituì la pace alla Chiesa Cattolica. Nel per-sonal congresso de' due Principi Occidentali, Costanti-no, per l'ascendente del suo genio e della sua potenza,ottenne facilmente l'assenso del suo collega Licinio;l'unione e l'autorità de' lor nomi disarmò il furore diMassimino, e dopo la morte del Tiranno dell'Oriente fu

l'Imperatore in età avanzata rammentarsi la persecuzione di Diocleziano conpiù vivo abborrimento di quello che aveva realmente sentito nel tempo dellasua gioventù o idolatria.

14Vedi Eusebio Hist. Eccles. (l. VII. 13 l. IX. 9 etc.) in vit. Const. (l. I. c. 16,17.) Lactant. Divin. Inst. l. 2. Cecil. De mort. persecut. c. 25.

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ricevuto l'editto di Milano come una legge generale fon-damentale del Mondo Romano15. La saviezza degl'Impe-ratori ordinò la reintegrazione di tutti i diritti sì civiliche religiosi, de' quali i Cristiani erano stati sì ingiusta-mente spogliati. Fu stabilito, che i luoghi di culto e lepubbliche terre che erano state confiscate, si restituisse-ro alla Chiesa senza disputa, senza dilazione e senzaspesa; e questo severo comando fu accompagnato dauna graziosa promessa, che se alcuno de' possessori neavesse sborsato un giusto e adeguato prezzo, ne verreb-be indennizzato dal tesoro Imperiale. I salutevoli regola-menti, che riguardavano la futura tranquillità del Fedele,furon formati su' principj d'una larga ed ugual tolleran-za; e tal uguaglianza dovè da una recente Setta interpre-tarsi come una vantaggiosa ed onorevole distinzione. Idue Imperatori manifestano al Mondo, ch'essi hannoconceduto una libera ed assoluta facoltà sì a' Cristianiche a tutti gli altri di seguitar quella religione, che ognu-no crede proprio di preferire, che si è posta nel cuore, eche stima la più conveniente al proprio uso. Spieganoesattamente ogni parola ambigua, tolgono ogni eccezio-ne, ed esigono da' Governatori delle Province una rigo-rosa obbedienza al vero e semplice senso d'un Editto,che tendeva a stabilire e ad assicurare senz'alcun limite idiritti della libertà religiosa. Si compiacciono d'assegna-re due forti ragioni, che gli hanno indotti a concedere

15Cecilio (De mort. persecut. c. 48) ci ha conservato l'originale Latino; edEusebio (Hist. Eccles. l. X. c. 5) ha dato una traduzione Greca di questo edittoperpetuo, che si riferisce ad alcuni regolamenti provvisionali.

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ricevuto l'editto di Milano come una legge generale fon-damentale del Mondo Romano15. La saviezza degl'Impe-ratori ordinò la reintegrazione di tutti i diritti sì civiliche religiosi, de' quali i Cristiani erano stati sì ingiusta-mente spogliati. Fu stabilito, che i luoghi di culto e lepubbliche terre che erano state confiscate, si restituisse-ro alla Chiesa senza disputa, senza dilazione e senzaspesa; e questo severo comando fu accompagnato dauna graziosa promessa, che se alcuno de' possessori neavesse sborsato un giusto e adeguato prezzo, ne verreb-be indennizzato dal tesoro Imperiale. I salutevoli regola-menti, che riguardavano la futura tranquillità del Fedele,furon formati su' principj d'una larga ed ugual tolleran-za; e tal uguaglianza dovè da una recente Setta interpre-tarsi come una vantaggiosa ed onorevole distinzione. Idue Imperatori manifestano al Mondo, ch'essi hannoconceduto una libera ed assoluta facoltà sì a' Cristianiche a tutti gli altri di seguitar quella religione, che ognu-no crede proprio di preferire, che si è posta nel cuore, eche stima la più conveniente al proprio uso. Spieganoesattamente ogni parola ambigua, tolgono ogni eccezio-ne, ed esigono da' Governatori delle Province una rigo-rosa obbedienza al vero e semplice senso d'un Editto,che tendeva a stabilire e ad assicurare senz'alcun limite idiritti della libertà religiosa. Si compiacciono d'assegna-re due forti ragioni, che gli hanno indotti a concedere

15Cecilio (De mort. persecut. c. 48) ci ha conservato l'originale Latino; edEusebio (Hist. Eccles. l. X. c. 5) ha dato una traduzione Greca di questo edittoperpetuo, che si riferisce ad alcuni regolamenti provvisionali.

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questa universale tolleranza, cioè la benigna intenzionedi provvedere alla pace e felicità del lor popolo, e la piasperanza, che per mezzo di tal condotta saranno per cal-mare e rendersi propizia la Divinità, che ha la propriasede nel Cielo. Riconoscono con animo grato le moltesegnalate prove che han ricevuto del favor Divino, oconfidano che la medesima Providenza continuerà sem-pre a proteggere la prosperità del Principe e del Popolo.Da queste vaghe indeterminate espressioni di pietà pos-son dedursi tre supposizioni di una diversa, ma non in-compatibil natura. Poteva l'animo di Costantino esserfluttuante fra le religioni Cristiana e Pagana. Secondo lelibere e condiscendenti nozioni del Politeismo potevaegli riconoscere il Dio de' Cristiani come una delle mol-te Divinità, che componevano la gerarchia del Cielo; opoteva per avventura aver abbracciato la filosofica egradevole idea, che nonostante la varietà de' nomi, de'riti, e delle opinioni tutte le Sette e Nazioni del Mondos'uniscono a venerare il comun Padre e Creatoredell'Universo16.

Ma influiscono più frequentemente ne' consigli deiPrincipi le mire del temporale vantaggio, che le conside-razioni d'un verità speculativa ed astratta. Il parziale ecrescente favore di Costantino può naturalmente attri-

16Un Panegirico di Costantino pronunziato sette o otto mesi dopo l'editto diMilano (vedi Gottofredo Chron. Legum p. 7 e Tillemont, Hist. des Emper.Tom. IV. p. 246) usa la seguente notabile espressione: Summe rerum Sator, cu-jus tot nomina sunt, quot linguas Gentium esse voluisti, quem enim Te ipse dicivelis, scire non possumus. Paneg. Vet. IX. 26. Il Mosemio nello spiegare p. 971ec. il progresso di Costantino nella Fede, è ingegnoso, sottile e prolisso.

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questa universale tolleranza, cioè la benigna intenzionedi provvedere alla pace e felicità del lor popolo, e la piasperanza, che per mezzo di tal condotta saranno per cal-mare e rendersi propizia la Divinità, che ha la propriasede nel Cielo. Riconoscono con animo grato le moltesegnalate prove che han ricevuto del favor Divino, oconfidano che la medesima Providenza continuerà sem-pre a proteggere la prosperità del Principe e del Popolo.Da queste vaghe indeterminate espressioni di pietà pos-son dedursi tre supposizioni di una diversa, ma non in-compatibil natura. Poteva l'animo di Costantino esserfluttuante fra le religioni Cristiana e Pagana. Secondo lelibere e condiscendenti nozioni del Politeismo potevaegli riconoscere il Dio de' Cristiani come una delle mol-te Divinità, che componevano la gerarchia del Cielo; opoteva per avventura aver abbracciato la filosofica egradevole idea, che nonostante la varietà de' nomi, de'riti, e delle opinioni tutte le Sette e Nazioni del Mondos'uniscono a venerare il comun Padre e Creatoredell'Universo16.

Ma influiscono più frequentemente ne' consigli deiPrincipi le mire del temporale vantaggio, che le conside-razioni d'un verità speculativa ed astratta. Il parziale ecrescente favore di Costantino può naturalmente attri-

16Un Panegirico di Costantino pronunziato sette o otto mesi dopo l'editto diMilano (vedi Gottofredo Chron. Legum p. 7 e Tillemont, Hist. des Emper.Tom. IV. p. 246) usa la seguente notabile espressione: Summe rerum Sator, cu-jus tot nomina sunt, quot linguas Gentium esse voluisti, quem enim Te ipse dicivelis, scire non possumus. Paneg. Vet. IX. 26. Il Mosemio nello spiegare p. 971ec. il progresso di Costantino nella Fede, è ingegnoso, sottile e prolisso.

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buirsi alla stima, ch'egli aveva del moral carattere de'Cristiani, ed alla ferma credenza, che la propagazionedell'Evangelio avrebbe inculcata la pratica della pubbli-ca e privata virtù. Sia quanto si voglia estesa la potenzadi un assoluto Monarca, sia egli quanto si voglia indul-gente per le proprie passioni, è senza dubbio suo interes-se che tutti i sudditi rispettino le naturali e civili obbli-gazioni della società. Ma l'azione delle più savie leggi èimperfetta e precaria. Di rado esse inspirano la virtù;sempre non posson reprimere il vizio. La loro forza nonè sufficiente a proibire tutto ciò che condannano, nèposson sempre punire le azioni, che esse proibiscono. ILegislatori dell'antichità chiamarono in loro aiuto il po-tere dell'educazione e dell'opinione. Ma in un Imperodecadente e dispotico era già da gran tempo estinto ogniprincipio, che aveva mantenuto una volta il vigore e lapurità di Roma e di Sparta. La filosofia esercitava sem-pre il suo moderato dominio sullo spirito umano, ma laPagana superstizione assai debolmente influiva nellacausa della virtù. In tali circostanze, che scoraggiavano,un Magistrato prudente doveva osservar con piacere ilprogresso d'una religione, che diffondeva nel popolo unpuro, benefico ed universal sistema di morale, adattataad ogni dovere e ad ogni condizione, raccomandatacome la volontà e la ragione della Suprema Divinità, edinvigorita dall'espettazione de' premi o gastighi eterni.L'esperienza dell'Istoria Greca e Romana non era da tan-to di far conoscere al mondo, quanto si potesse riforma-re e migliorare il sistema de' costumi nazionali mediante

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buirsi alla stima, ch'egli aveva del moral carattere de'Cristiani, ed alla ferma credenza, che la propagazionedell'Evangelio avrebbe inculcata la pratica della pubbli-ca e privata virtù. Sia quanto si voglia estesa la potenzadi un assoluto Monarca, sia egli quanto si voglia indul-gente per le proprie passioni, è senza dubbio suo interes-se che tutti i sudditi rispettino le naturali e civili obbli-gazioni della società. Ma l'azione delle più savie leggi èimperfetta e precaria. Di rado esse inspirano la virtù;sempre non posson reprimere il vizio. La loro forza nonè sufficiente a proibire tutto ciò che condannano, nèposson sempre punire le azioni, che esse proibiscono. ILegislatori dell'antichità chiamarono in loro aiuto il po-tere dell'educazione e dell'opinione. Ma in un Imperodecadente e dispotico era già da gran tempo estinto ogniprincipio, che aveva mantenuto una volta il vigore e lapurità di Roma e di Sparta. La filosofia esercitava sem-pre il suo moderato dominio sullo spirito umano, ma laPagana superstizione assai debolmente influiva nellacausa della virtù. In tali circostanze, che scoraggiavano,un Magistrato prudente doveva osservar con piacere ilprogresso d'una religione, che diffondeva nel popolo unpuro, benefico ed universal sistema di morale, adattataad ogni dovere e ad ogni condizione, raccomandatacome la volontà e la ragione della Suprema Divinità, edinvigorita dall'espettazione de' premi o gastighi eterni.L'esperienza dell'Istoria Greca e Romana non era da tan-to di far conoscere al mondo, quanto si potesse riforma-re e migliorare il sistema de' costumi nazionali mediante

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i precetti di una Divina Rivelazione; e Costantino potècon fiducia prestare orecchio alle lusinghiere e in veritàragionevoli assicurazioni di Lattanzio. Pareva che l'elo-quente Apologista aspettasse per fermo, e s'arrischiassequasi a promettere, che lo stabilimento del Cristianesi-mo avrebbe restituita l'innocenza e la felicità de' primiti-vi tempi; che il culto del vero Dio avrebbe estinto laguerra e la dissensione fra quelli i quali si risguardavanfra loro come figli d'un comun Padre; che per la cogni-zione dell'Evangelio si sarebbe tenuto a freno qualunqueimpuro appetito, qualunque passione d'ira o d'amor pro-prio, e che i Magistrati avrebber potuto porre nel foderola spada della giustizia fra un popolo, che tutto quantosarebbe stato retto da sentimenti di verità e di pietà, diequità e di moderazione, di armonia e d'amore universa-le.17

La passiva e docile obbedienza, che18 si piega sotto ilgiogo dell'autorità o anche dell'oppressione, dovè appa-rire, agli occhi di un assoluto Monarca, tra le virtùEvangeliche la più cospicua o vantaggiosa19. I primitiviCristiani facevan derivare l'istituzione del Governo civi-le non già dal consenso del Popolo, ma da' decreti delCielo. Quantunque l'Imperatore, che regnava, usurpatoavesse lo scettro per mezzo del tradimento e della stra-

17Vedi l'elegante descrizion di Lattanzio (Div. Inst. v. 8.) ch'è molto piùchiara e positiva di quel che convenga a un discreto Profeta.

18Nell'originale "cha". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]19Il sistema politico de' Cristiani si spiega da Grozio (de Jur. Bell. et pac. l.

I. c. 3. 4). Questi era un repubblicano ed un esule; ma la dolcezza del suo tem-peramento lo faceva inclinare a sostenere le potestà già stabilite.

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i precetti di una Divina Rivelazione; e Costantino potècon fiducia prestare orecchio alle lusinghiere e in veritàragionevoli assicurazioni di Lattanzio. Pareva che l'elo-quente Apologista aspettasse per fermo, e s'arrischiassequasi a promettere, che lo stabilimento del Cristianesi-mo avrebbe restituita l'innocenza e la felicità de' primiti-vi tempi; che il culto del vero Dio avrebbe estinto laguerra e la dissensione fra quelli i quali si risguardavanfra loro come figli d'un comun Padre; che per la cogni-zione dell'Evangelio si sarebbe tenuto a freno qualunqueimpuro appetito, qualunque passione d'ira o d'amor pro-prio, e che i Magistrati avrebber potuto porre nel foderola spada della giustizia fra un popolo, che tutto quantosarebbe stato retto da sentimenti di verità e di pietà, diequità e di moderazione, di armonia e d'amore universa-le.17

La passiva e docile obbedienza, che18 si piega sotto ilgiogo dell'autorità o anche dell'oppressione, dovè appa-rire, agli occhi di un assoluto Monarca, tra le virtùEvangeliche la più cospicua o vantaggiosa19. I primitiviCristiani facevan derivare l'istituzione del Governo civi-le non già dal consenso del Popolo, ma da' decreti delCielo. Quantunque l'Imperatore, che regnava, usurpatoavesse lo scettro per mezzo del tradimento e della stra-

17Vedi l'elegante descrizion di Lattanzio (Div. Inst. v. 8.) ch'è molto piùchiara e positiva di quel che convenga a un discreto Profeta.

18Nell'originale "cha". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]19Il sistema politico de' Cristiani si spiega da Grozio (de Jur. Bell. et pac. l.

I. c. 3. 4). Questi era un repubblicano ed un esule; ma la dolcezza del suo tem-peramento lo faceva inclinare a sostenere le potestà già stabilite.

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ge, egli assumeva tuttavia subito il sacro carattere di Vi-cegerente della Divinità. A questa soltanto dovea renderconto dell'abuso del suo potere; ed i suoi sudditi erano,pel giuramento di fedeltà, indissolubilmente legati ad unTiranno, che avesse violato qualunque legge di natura edi società. Gli umili Cristiani eran mandati nel Mondo,come pecore in mezzo a' lupi; e poichè non era loro per-messo d'impiegar la forza, neppure in difesa della lor re-ligione, molto più sarebbero stati rei, se tentato avesserodi spargere il sangue de' loro prossimi nel disputare ivani privilegi o i sordidi beni di questa vita transitoria.Attaccati alla dottrina dell'Apostolo, che nel regno diNerone avea predicato il dovere di una sommissione illi-mitata, i Cristiani de' primi tre secoli mantennero puraed innocente la lor coscienza dalla colpa di qualunquesegreta cospirazione, non meno che di ogni aperta rivol-ta. Mentre provavano il rigore della persecuzione, nonfurono mai tentati o d'affrontare in campo di battaglia iloro tiranni, o di ritirarsi sdegnati in qualche remoto eseparato canto del globo20. Si sono insultati i protestantidella Francia, della Germania, e dell'Inghilterra, che so-stennero sì coraggiosi ed intrepidi la civile e religiosalor libertà, con l'odioso paragone fra la condotta de' Cri-

20Tertulliano Apolog. c. 32, 34, 35, 36. Tamen nunquam Albiniani, nec Ni-griani vel Cassiani inveniri potuerunt Christiani, ad Scapulam c. 2. Se taleespressione è rigorosamente vera, essa esclude i Cristiani di quel secolo da tuttigli impieghi civili e militari, che gli avrebber costretti a prendere qualche partenel servizio de' respettivi loro Governatori. Vedi le Opere di Moyle Vol. II. p.349.

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ge, egli assumeva tuttavia subito il sacro carattere di Vi-cegerente della Divinità. A questa soltanto dovea renderconto dell'abuso del suo potere; ed i suoi sudditi erano,pel giuramento di fedeltà, indissolubilmente legati ad unTiranno, che avesse violato qualunque legge di natura edi società. Gli umili Cristiani eran mandati nel Mondo,come pecore in mezzo a' lupi; e poichè non era loro per-messo d'impiegar la forza, neppure in difesa della lor re-ligione, molto più sarebbero stati rei, se tentato avesserodi spargere il sangue de' loro prossimi nel disputare ivani privilegi o i sordidi beni di questa vita transitoria.Attaccati alla dottrina dell'Apostolo, che nel regno diNerone avea predicato il dovere di una sommissione illi-mitata, i Cristiani de' primi tre secoli mantennero puraed innocente la lor coscienza dalla colpa di qualunquesegreta cospirazione, non meno che di ogni aperta rivol-ta. Mentre provavano il rigore della persecuzione, nonfurono mai tentati o d'affrontare in campo di battaglia iloro tiranni, o di ritirarsi sdegnati in qualche remoto eseparato canto del globo20. Si sono insultati i protestantidella Francia, della Germania, e dell'Inghilterra, che so-stennero sì coraggiosi ed intrepidi la civile e religiosalor libertà, con l'odioso paragone fra la condotta de' Cri-

20Tertulliano Apolog. c. 32, 34, 35, 36. Tamen nunquam Albiniani, nec Ni-griani vel Cassiani inveniri potuerunt Christiani, ad Scapulam c. 2. Se taleespressione è rigorosamente vera, essa esclude i Cristiani di quel secolo da tuttigli impieghi civili e militari, che gli avrebber costretti a prendere qualche partenel servizio de' respettivi loro Governatori. Vedi le Opere di Moyle Vol. II. p.349.

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stiani primitivi e quella de' riformati21. Forse, invece dicensura, si sarebbe dovuto applaudire a' sentimenti eallo spirito superiore de' nostri maggiori, che si eran per-suasi, che la religione non può abolire gl'inalienabili di-ritti della natura umana22. Può forse attribuirsi la pazien-za della primitiva Chiesa alla debolezza, ugualmenteche alla sua virtù. Una setta di indisciplinati plebei, sen-za condottieri, senz'armi, senza fortificazioni, sarebbestata inevitabilmente distrutta, se avesse fatta una teme-raria ed inutile resistenza a chi disponeva delle legioniRomane. Ma quando i Cristiani esecravano la rabbia diDiocleziano, o sollecitavano il favore di Costantino, po-tevano addurre con verità e fiducia, ch'essi tenevano ilprincipio d'una passiva obbedienza, e che nello spazio ditre secoli la lor condotta era sempre stata conforme a'loro principj. Potevano anche aggiungere, che il tronodegli Imperatori si sarebbe stabilito sopra una base fissae durevole, se tutti i lor sudditi, abbracciando la fedeCristiana, imparato avessero a tollerare e ad ubbidire.

Nell'ordine generale della Previdenza, i Principi ed iTiranni si risguardan come ministri del Cielo, destinati aregolare, o a gastigar le nazioni della terra. Ma l'IstoriaSacra somministra molti illustri esempi d'una interposi-

21Vedi l'artificioso Bossuet, Hist. des Variat. des Egl. Protest. Tom. III. p.210-258, ed il malizioso Bayle (Tom. II. p. 630). Io nomino Bayle, perchè fuegli senza dubbio l'autore dell'avviso a' Refugiati. Vedi il Dizionar. di Criticade Chaufepiè Tom. I. part. 2. p. 145.

22Il Bucanano è il più antico, o almeno il più celebre fra' riformatori, chehanno giustificato la teoria della resistenza. Vedi il suo dialogo de Jure regniapud Scotos Tom. II. p. 28, 30. Edit. fol. Reddiman.

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stiani primitivi e quella de' riformati21. Forse, invece dicensura, si sarebbe dovuto applaudire a' sentimenti eallo spirito superiore de' nostri maggiori, che si eran per-suasi, che la religione non può abolire gl'inalienabili di-ritti della natura umana22. Può forse attribuirsi la pazien-za della primitiva Chiesa alla debolezza, ugualmenteche alla sua virtù. Una setta di indisciplinati plebei, sen-za condottieri, senz'armi, senza fortificazioni, sarebbestata inevitabilmente distrutta, se avesse fatta una teme-raria ed inutile resistenza a chi disponeva delle legioniRomane. Ma quando i Cristiani esecravano la rabbia diDiocleziano, o sollecitavano il favore di Costantino, po-tevano addurre con verità e fiducia, ch'essi tenevano ilprincipio d'una passiva obbedienza, e che nello spazio ditre secoli la lor condotta era sempre stata conforme a'loro principj. Potevano anche aggiungere, che il tronodegli Imperatori si sarebbe stabilito sopra una base fissae durevole, se tutti i lor sudditi, abbracciando la fedeCristiana, imparato avessero a tollerare e ad ubbidire.

Nell'ordine generale della Previdenza, i Principi ed iTiranni si risguardan come ministri del Cielo, destinati aregolare, o a gastigar le nazioni della terra. Ma l'IstoriaSacra somministra molti illustri esempi d'una interposi-

21Vedi l'artificioso Bossuet, Hist. des Variat. des Egl. Protest. Tom. III. p.210-258, ed il malizioso Bayle (Tom. II. p. 630). Io nomino Bayle, perchè fuegli senza dubbio l'autore dell'avviso a' Refugiati. Vedi il Dizionar. di Criticade Chaufepiè Tom. I. part. 2. p. 145.

22Il Bucanano è il più antico, o almeno il più celebre fra' riformatori, chehanno giustificato la teoria della resistenza. Vedi il suo dialogo de Jure regniapud Scotos Tom. II. p. 28, 30. Edit. fol. Reddiman.

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zione più immediata della Divinità nel governo del suopopolo eletto. Si affidava lo scettro e la spada alle manidi Mosè, di Giosuè, di Gedeone, di David, de' Maccabei.Le virtù di questi Eroi erano il motivo o l'effetto del fa-vore divino, ed il successo delle loro armi era destinatoad effettuar la liberazione o il trionfo della Chiesa. Se iGiudici di Israello erano accidentali e temporanei Magi-strati, i Re di Giuda traevano dalla reale unzione delloro grande Antenato un ereditario ed inviolabil diritto,che non poteva mancare pe' loro vizi, nè revocarsi dalcapriccio de' loro sudditi. La medesima straordinariaProvidenza, che non si limitava più al popolo Giudaico,potè sceglier Costantino e la sua famiglia per proteggereil mondo Cristiano; ed il devoto Lattanzio annuncia inun tuono profetico le future glorie dell'universale e lun-go suo regno23. Galerio e Massimino, Massenzio e Lici-nio erano i rivali, che si dividevan col favorito del Cielole Province dell'Impero. Le tragiche morti di Galerio edi Massimino presto soddisfecero lo sdegno e adempiro-no le ardenti speranze de' Cristiani. Il successo di Co-stantino contro Massenzio e Licinio rimosse i due for-midabili competitori, che sempre s'opposero al trionfodel secondo David, e la sua causa pareva che avesse di-ritto alla particolare interposizione della Providenza. Ilcarattere del Tiranno di Roma infamò la porpora e la na-tura umana; e quantunque i Cristiani goder potessero del

23Lattanzio Divin. Instit. l. 1. Eusebio nel corso della sua storia della Vita diCostantino e nelle sue orazioni inculca più volte il divino diritto di essoall'Impero.

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zione più immediata della Divinità nel governo del suopopolo eletto. Si affidava lo scettro e la spada alle manidi Mosè, di Giosuè, di Gedeone, di David, de' Maccabei.Le virtù di questi Eroi erano il motivo o l'effetto del fa-vore divino, ed il successo delle loro armi era destinatoad effettuar la liberazione o il trionfo della Chiesa. Se iGiudici di Israello erano accidentali e temporanei Magi-strati, i Re di Giuda traevano dalla reale unzione delloro grande Antenato un ereditario ed inviolabil diritto,che non poteva mancare pe' loro vizi, nè revocarsi dalcapriccio de' loro sudditi. La medesima straordinariaProvidenza, che non si limitava più al popolo Giudaico,potè sceglier Costantino e la sua famiglia per proteggereil mondo Cristiano; ed il devoto Lattanzio annuncia inun tuono profetico le future glorie dell'universale e lun-go suo regno23. Galerio e Massimino, Massenzio e Lici-nio erano i rivali, che si dividevan col favorito del Cielole Province dell'Impero. Le tragiche morti di Galerio edi Massimino presto soddisfecero lo sdegno e adempiro-no le ardenti speranze de' Cristiani. Il successo di Co-stantino contro Massenzio e Licinio rimosse i due for-midabili competitori, che sempre s'opposero al trionfodel secondo David, e la sua causa pareva che avesse di-ritto alla particolare interposizione della Providenza. Ilcarattere del Tiranno di Roma infamò la porpora e la na-tura umana; e quantunque i Cristiani goder potessero del

23Lattanzio Divin. Instit. l. 1. Eusebio nel corso della sua storia della Vita diCostantino e nelle sue orazioni inculca più volte il divino diritto di essoall'Impero.

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precario favore di lui, pure si trovavano, col resto de'suoi sudditi, esposti agli effetti della sua lasciva e ca-pricciosa crudeltà. La condotta di Licinio tosto scoprì,che aveva con ripugnanza consentito ai savj ed umaniregolamenti dell'editto di Milano. Fu ne' suoi dominjproibita la convocazione de' Concilj Provinciali; i suoiuffiziali Cristiani furon cassati con ignominia; e quan-tunque egli evitasse la colpa, o piuttosto il pericolod'una persecuzione generale, le sue particolari oppres-sioni si rendevano sempre più odiose per la violazioned'un solenne e volontario impegno24. Mentre l'Oriente,secondo la viva espressione d'Eusebio, era involto nelleombre d'una infernale oscurità, i favorevoli raggi di ce-leste luce riscaldavano ed illuminavan le Provincedell'Occidente. Si risguardava la pietà di Costantinocome una piena prova della giustizia delle sue armi; el'uso, ch'ei fece, della vittoria, confermò l'opinion de'Cristiani, che il loro Eroe veniva inspirato e condottodal Signor degli Eserciti. La conquista dell'Italia produs-se un general editto di tolleranza; e tosto che la disfattadi Licinio ebbe investito Costantino solo nel dominio ditutto il Mondo Romano, egli per mezzo di circolari esor-tò immediatamente tutti i suoi sudditi ad imitare senzadilazione l'esempio del loro Sovrano, e ad abbracciar ladivina verità del Cristianesimo25.

24L'imperfetta cognizione, che abbiamo della persecuzione di Licinio è trat-ta da Eusebio, Hist. Eccles. l. X. c. 8. vit. Const. l. I. c. 49-56. l. II. c. 1, 2. Au-relio Vittore fa menzione della sua crudeltà in termini generali.

25Eusebio in vit. Const. l. II. c. 24-42. 48-60.

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precario favore di lui, pure si trovavano, col resto de'suoi sudditi, esposti agli effetti della sua lasciva e ca-pricciosa crudeltà. La condotta di Licinio tosto scoprì,che aveva con ripugnanza consentito ai savj ed umaniregolamenti dell'editto di Milano. Fu ne' suoi dominjproibita la convocazione de' Concilj Provinciali; i suoiuffiziali Cristiani furon cassati con ignominia; e quan-tunque egli evitasse la colpa, o piuttosto il pericolod'una persecuzione generale, le sue particolari oppres-sioni si rendevano sempre più odiose per la violazioned'un solenne e volontario impegno24. Mentre l'Oriente,secondo la viva espressione d'Eusebio, era involto nelleombre d'una infernale oscurità, i favorevoli raggi di ce-leste luce riscaldavano ed illuminavan le Provincedell'Occidente. Si risguardava la pietà di Costantinocome una piena prova della giustizia delle sue armi; el'uso, ch'ei fece, della vittoria, confermò l'opinion de'Cristiani, che il loro Eroe veniva inspirato e condottodal Signor degli Eserciti. La conquista dell'Italia produs-se un general editto di tolleranza; e tosto che la disfattadi Licinio ebbe investito Costantino solo nel dominio ditutto il Mondo Romano, egli per mezzo di circolari esor-tò immediatamente tutti i suoi sudditi ad imitare senzadilazione l'esempio del loro Sovrano, e ad abbracciar ladivina verità del Cristianesimo25.

24L'imperfetta cognizione, che abbiamo della persecuzione di Licinio è trat-ta da Eusebio, Hist. Eccles. l. X. c. 8. vit. Const. l. I. c. 49-56. l. II. c. 1, 2. Au-relio Vittore fa menzione della sua crudeltà in termini generali.

25Eusebio in vit. Const. l. II. c. 24-42. 48-60.

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La sicurezza, che l'elevazione di Costantino fosse in-timamente connessa co' disegni della Providenza, instil-lava negli animi de' Cristiani due opinioni, che per mez-zi molto diversi fra loro, contribuivano all'adempimentodella profezia. L'ardente loro ed attiva lealtà esauriva infavore di lui ogni ripiego dell'industria umana; ed essiaspettavano con fiducia che i gagliardi loro sforzi ver-rebbero secondati da qualche aiuto divino e miracoloso.I nemici di Costantino hanno imputato a motivi d'inte-resse la lega, ch'egli contrasse insensibilmente collaChiesa Cattolica, e che in apparenza contribuì al buonsuccesso della sua ambizione. Al principio del quartosecolo, i Cristiani erano sempre in una piccola propor-zione rispetto agli abitatori dell'Impero; ma in mezzo adun popolo degenerato, che vedeva il cangiamento de'suoi Signori coll'indifferenza propria degli schiavi, lospirito e l'unione d'un partito religioso poteva assistere ilCondottier popolare, al servizio del quale avevan essiper principio di religione consacrato le vite e gli averi26.L'esempio del padre aveva ammaestrato Costantino astimare ed a premiare il merito de' Cristiani; e nella di-stribuzione de' pubblici uffizi aveva esso il vantaggio difortificare il suo governo mediante la scelta di Ministri odi Generali, nella fedeltà de' quali poteva egli riporre

26Nel principio del secolo passato, i Papisti dell'Inghilterra non formavanoche la trentesima parte, ed i Protestanti della Francia la decimaquinta delle re-spettive nazioni, per le quali lo spirito e poter loro erano un oggetto continuo ditimore. Vedi le relazioni, che il Bentivoglio (il quale in quel tempo era Nunzioa Brusselles, e poi fu Cardinale) mandò alla Corte di Roma. Relaz. Tom. II. p.211, 241. Il Bentivoglio era curioso, ben informato, ma un poco parziale.

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La sicurezza, che l'elevazione di Costantino fosse in-timamente connessa co' disegni della Providenza, instil-lava negli animi de' Cristiani due opinioni, che per mez-zi molto diversi fra loro, contribuivano all'adempimentodella profezia. L'ardente loro ed attiva lealtà esauriva infavore di lui ogni ripiego dell'industria umana; ed essiaspettavano con fiducia che i gagliardi loro sforzi ver-rebbero secondati da qualche aiuto divino e miracoloso.I nemici di Costantino hanno imputato a motivi d'inte-resse la lega, ch'egli contrasse insensibilmente collaChiesa Cattolica, e che in apparenza contribuì al buonsuccesso della sua ambizione. Al principio del quartosecolo, i Cristiani erano sempre in una piccola propor-zione rispetto agli abitatori dell'Impero; ma in mezzo adun popolo degenerato, che vedeva il cangiamento de'suoi Signori coll'indifferenza propria degli schiavi, lospirito e l'unione d'un partito religioso poteva assistere ilCondottier popolare, al servizio del quale avevan essiper principio di religione consacrato le vite e gli averi26.L'esempio del padre aveva ammaestrato Costantino astimare ed a premiare il merito de' Cristiani; e nella di-stribuzione de' pubblici uffizi aveva esso il vantaggio difortificare il suo governo mediante la scelta di Ministri odi Generali, nella fedeltà de' quali poteva egli riporre

26Nel principio del secolo passato, i Papisti dell'Inghilterra non formavanoche la trentesima parte, ed i Protestanti della Francia la decimaquinta delle re-spettive nazioni, per le quali lo spirito e poter loro erano un oggetto continuo ditimore. Vedi le relazioni, che il Bentivoglio (il quale in quel tempo era Nunzioa Brusselles, e poi fu Cardinale) mandò alla Corte di Roma. Relaz. Tom. II. p.211, 241. Il Bentivoglio era curioso, ben informato, ma un poco parziale.

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senza riserva una giusta fiducia. Per l'influsso di questiqualificati Missionari dovevan moltiplicare nella Corte enell'armata i proseliti della nuova fede; i Barbari dellaGermania, ch'empivano gli ordini delle legioni, eranod'un'indole negligente, che s'accomodava senza resisten-za alla religione del lor comandante; e può ragionevol-mente presumersi, che quando passaron le alpi, un grannumero di soldati avesser già consacrato le loro spade alservizio di Cristo e di Costantino27. L'abitudine umana el'interesse di religione appoco appoco tolsero quell'orro-re contro la guerra ed il sangue, ch'era tanto prevalso fra'Cristiani; e ne' Concilj, che s'adunarono sotto la graziosaprotezione di Costantino, fu opportunamente impiegatal'autorità de' Vescovi per confermare l'obbligazione delgiuramento militare, e per dar la pena di scomunica aque' soldati, che durante la pace della Chiesa gettavan learmi28. Mentre Costantino accresceva ne' suoi dominj ilnumero e lo zelo de' suoi fedeli aderenti, poteva contarnell'aiuto d'una potente fazione anche in quelle Provin-ce, ch'erano sempre possedute o usurpate da' suoi rivali.Era sparsa fra i sudditi Cristiani di Massenzio e di Lici-nio una malcontentezza segreta; e lo sdegno, che

27Quest'indole trascurata de' Germani si vede quasi uniforme nella storiadella conversione di ciascheduna delle loro Tribù. Si reclutavano le legioni diCostantino con Germani, (Zosimo l. II. p. 86); ed eziandio la Corte di suo pa-dre era stata piena di Cristiani. Vedi il primo libro della vita di Costantino fattada Eusebio.

28De his, qui arma projiciunt in pace, placuit eos abstinere a communione.Concil. Arelat. Can. 3. I migliori Critici applican queste parole alla pace dellaChiesa.

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senza riserva una giusta fiducia. Per l'influsso di questiqualificati Missionari dovevan moltiplicare nella Corte enell'armata i proseliti della nuova fede; i Barbari dellaGermania, ch'empivano gli ordini delle legioni, eranod'un'indole negligente, che s'accomodava senza resisten-za alla religione del lor comandante; e può ragionevol-mente presumersi, che quando passaron le alpi, un grannumero di soldati avesser già consacrato le loro spade alservizio di Cristo e di Costantino27. L'abitudine umana el'interesse di religione appoco appoco tolsero quell'orro-re contro la guerra ed il sangue, ch'era tanto prevalso fra'Cristiani; e ne' Concilj, che s'adunarono sotto la graziosaprotezione di Costantino, fu opportunamente impiegatal'autorità de' Vescovi per confermare l'obbligazione delgiuramento militare, e per dar la pena di scomunica aque' soldati, che durante la pace della Chiesa gettavan learmi28. Mentre Costantino accresceva ne' suoi dominj ilnumero e lo zelo de' suoi fedeli aderenti, poteva contarnell'aiuto d'una potente fazione anche in quelle Provin-ce, ch'erano sempre possedute o usurpate da' suoi rivali.Era sparsa fra i sudditi Cristiani di Massenzio e di Lici-nio una malcontentezza segreta; e lo sdegno, che

27Quest'indole trascurata de' Germani si vede quasi uniforme nella storiadella conversione di ciascheduna delle loro Tribù. Si reclutavano le legioni diCostantino con Germani, (Zosimo l. II. p. 86); ed eziandio la Corte di suo pa-dre era stata piena di Cristiani. Vedi il primo libro della vita di Costantino fattada Eusebio.

28De his, qui arma projiciunt in pace, placuit eos abstinere a communione.Concil. Arelat. Can. 3. I migliori Critici applican queste parole alla pace dellaChiesa.

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quest'ultimo non poteva nascondere, non serviva che asempre più profondamente impegnarli negl'interessi delsuo competitore. Quella regolar corrispondenza, cheuniva insieme i Vescovi delle più distanti Province, liponeva in istato di potersi liberamente comunicare i lordesiderj e disegni; e di trasmetter senza pericolo qualun-que utile avviso o delle pie contribuzioni che promuoverpotessero il servizio di Costantino, il quale dichiaravapubblicamente di avere preso le armi per la liberazionedella Chiesa29.

L'entusiasmo, che ispirava le truppe e forse l'Impera-tore medesimo, aveva aguzzate le spade loro nel tempoche soddisfaceva la loro coscienza. Marciavano essi allaguerra con la piena sicurezza, che il medesimo Dio, cheaveva già aperto il passaggio agl'Israeliti pel Giordano,e gettato a terra le mura di Gerico al suono delle trombedi Giosuè, avrebbe mostrato la visibile sua maestà e po-tenza nella vittoria di Costantino. L'istoria ecclesiasticaè pronta a far fede, che furon giustificate le loro speran-ze da quel cospicuo miracolo, al quale si è quasi concor-demente attribuita la conversione del primo ImperatoreCristiano. La causa reale o immaginaria d'un fatto così

29Eusebio sempre risguarda la seconda guerra civile contro Licinio, comeuna specie di religiosa Crociata. All'invito del Tiranno alcuni Uffiziali Cristianiavevano riprese le loro zone, o in altri termini eran tornati al servizio militare.Fu dipoi censurata la lor condotta dal Canone XII del Concilio Niceno, qualoravogliasi ammettere questa interpretazione particolare, invece di quel generale elibero senso, che gli danno gl'interpreti Greci Balsamone, Zonara, ed AlessioAristeno. Vedi Beveridge Pandect. Eccles. Graec. Tom. I. p. 72. Tom. II p. 73.annotat.

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quest'ultimo non poteva nascondere, non serviva che asempre più profondamente impegnarli negl'interessi delsuo competitore. Quella regolar corrispondenza, cheuniva insieme i Vescovi delle più distanti Province, liponeva in istato di potersi liberamente comunicare i lordesiderj e disegni; e di trasmetter senza pericolo qualun-que utile avviso o delle pie contribuzioni che promuoverpotessero il servizio di Costantino, il quale dichiaravapubblicamente di avere preso le armi per la liberazionedella Chiesa29.

L'entusiasmo, che ispirava le truppe e forse l'Impera-tore medesimo, aveva aguzzate le spade loro nel tempoche soddisfaceva la loro coscienza. Marciavano essi allaguerra con la piena sicurezza, che il medesimo Dio, cheaveva già aperto il passaggio agl'Israeliti pel Giordano,e gettato a terra le mura di Gerico al suono delle trombedi Giosuè, avrebbe mostrato la visibile sua maestà e po-tenza nella vittoria di Costantino. L'istoria ecclesiasticaè pronta a far fede, che furon giustificate le loro speran-ze da quel cospicuo miracolo, al quale si è quasi concor-demente attribuita la conversione del primo ImperatoreCristiano. La causa reale o immaginaria d'un fatto così

29Eusebio sempre risguarda la seconda guerra civile contro Licinio, comeuna specie di religiosa Crociata. All'invito del Tiranno alcuni Uffiziali Cristianiavevano riprese le loro zone, o in altri termini eran tornati al servizio militare.Fu dipoi censurata la lor condotta dal Canone XII del Concilio Niceno, qualoravogliasi ammettere questa interpretazione particolare, invece di quel generale elibero senso, che gli danno gl'interpreti Greci Balsamone, Zonara, ed AlessioAristeno. Vedi Beveridge Pandect. Eccles. Graec. Tom. I. p. 72. Tom. II p. 73.annotat.

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importante merita ed esige l'attenzione della posterità;ed io procurerò di formare una giusta idea della famosavisione di Costantino, mediante un distinto esame dellostendardo, del sogno, e del segno celeste, separando fraloro le parti istoriche, naturali, e maravigliose di questoracconto straordinario, le quali artificiosamente si sonoconfuse por comporne la splendida e fragile mole di unospecioso argomento.

I. Un istrumento, che serviva per tormentare sola-mente gli schiavi e gli stranieri, era un oggetto d'orroreagli occhi d'un cittadino Romano; ed erano intimamenteconnesse coll'idea della croce l'idee di delitto, di pena ed'ignominia30. La divozione piuttosto che la clemenza diCostantino abolì ben presto nei suoi dominj quella pena,che s'era compiaciuto di soffrire il Salvatore del Mon-do31; ma l'Imperatore, prima d'avere appreso a disprez-zare i pregiudizi della sua educazione e del suo popolo,non potea risolversi ad erigere nel mezzo di Roma lapropria statua con una croce nella destra e con una iscri-zione, che riferiva la vittoria delle sue armi e la libera-

30Nomen ipsum crucis absit non modo a corpore civium Romanorum, sedetiam a cogitatione, oculis, auribus: Cicer. pro Rabirio c. 5. Gli scrittori Cri-stiani, Giustino, Minucio Felice, Tertulliano, Girolamo, e Massimo di Torinohanno investigato con passabil successo la figura o la somiglianza della crocein quasi tutti gli oggetti della natura, o dell'arte; nell'intersezione per esempiodel meridiano coll'equatore, nella faccia umana, nell'uccello che vola,nell'uomo che nuota, nell'albero coll'antenna della nave, nell'aratro, nello sten-dardo ec. Vedi Lipsio de cruce. (l. I. c. 9).

31Vedi Aurelio Vittore, che riguarda questa legge come uno degli esempidelle pietà di Costantino. Un editto così onorevole al Cristianesimo meritavaluogo nel Codice Teodosiano, invece di farne indirettamente menzione, comepar che resulti dal paragone de' Titoli V. e XVIII. del lib. IX.

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importante merita ed esige l'attenzione della posterità;ed io procurerò di formare una giusta idea della famosavisione di Costantino, mediante un distinto esame dellostendardo, del sogno, e del segno celeste, separando fraloro le parti istoriche, naturali, e maravigliose di questoracconto straordinario, le quali artificiosamente si sonoconfuse por comporne la splendida e fragile mole di unospecioso argomento.

I. Un istrumento, che serviva per tormentare sola-mente gli schiavi e gli stranieri, era un oggetto d'orroreagli occhi d'un cittadino Romano; ed erano intimamenteconnesse coll'idea della croce l'idee di delitto, di pena ed'ignominia30. La divozione piuttosto che la clemenza diCostantino abolì ben presto nei suoi dominj quella pena,che s'era compiaciuto di soffrire il Salvatore del Mon-do31; ma l'Imperatore, prima d'avere appreso a disprez-zare i pregiudizi della sua educazione e del suo popolo,non potea risolversi ad erigere nel mezzo di Roma lapropria statua con una croce nella destra e con una iscri-zione, che riferiva la vittoria delle sue armi e la libera-

30Nomen ipsum crucis absit non modo a corpore civium Romanorum, sedetiam a cogitatione, oculis, auribus: Cicer. pro Rabirio c. 5. Gli scrittori Cri-stiani, Giustino, Minucio Felice, Tertulliano, Girolamo, e Massimo di Torinohanno investigato con passabil successo la figura o la somiglianza della crocein quasi tutti gli oggetti della natura, o dell'arte; nell'intersezione per esempiodel meridiano coll'equatore, nella faccia umana, nell'uccello che vola,nell'uomo che nuota, nell'albero coll'antenna della nave, nell'aratro, nello sten-dardo ec. Vedi Lipsio de cruce. (l. I. c. 9).

31Vedi Aurelio Vittore, che riguarda questa legge come uno degli esempidelle pietà di Costantino. Un editto così onorevole al Cristianesimo meritavaluogo nel Codice Teodosiano, invece di farne indirettamente menzione, comepar che resulti dal paragone de' Titoli V. e XVIII. del lib. IX.

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zione di Roma alla virtù di quel segno salutare, verosimbolo della forza e del coraggio32. Il medesimo sim-bolo significava le armi de' soldati di Costantino; la cro-ce risplendeva sopra i loro elmi, era impressa ne' loroscudi, tessuta nelle loro bandiere; ed i sacri emblemi,che adornavano la persona stessa dell'Imperatore, noneran distinti che per la materia più ricca e pel più squisi-to lavoro33. Ma lo stendardo principale, che spiegava iltrionfo della croce, chiamavasi Labarum34; oscuro,quantunque celebre nome, che in vano si è fatto derivareda quasi tutti i linguaggi del Mondo. Vien questo de-scritto35, come una lunga picca intersecata da un'asta tra-

32Eusebio in vit. Const. l. I. c. 40. Questa statua, o almeno la croce e l'iscri-zione, si può riportare più probabilmente alla seconda, o anche alla terza visitadi Costantino a Roma. Subito dopo la disfatta di Massenzio gli animi del Sena-to e del Popolo non potevano essere ancora disposti per tal pubblico monu-mento.

33Agnoscas regina libens mea signa necesse est;In quibus effigies crucis aut gemmata refulget,Aut longis solido ex auro praefertur in hastis,Hoc signo invictus transmissis alpibus ultorServitium solvit miserabile Constantinus.. . . . . . . . . . . . . . .Christus purpureum gemmanti textus in auroSignabat Labarum clypeorum insignia ChristusScripserat; ardebat summis crux addita christis.

Prudent. in Symmach. l. II. v. 464. 486.34Rimane tuttora ignota la derivazione, ed il senso della parola Labarum o

Laborum, che s'usa da Gregorio Nazianzeno, da Ambrogio, da Prudenzio ec.malgrado gli sforzi dei Critici, che hanno inutilmente torturato il Latino, ilGreco, lo Spagnuolo, il Celtico, il Teutonico, l'Illirico, l'Armeno ec. per trovar-ne l'etimologia. Vedi Du Cange. Gloss. et inf. Latin. v. Labarum e Gottofredoad Cod. Theodos. (Tom. II. p. 143).

35Eusebio in vit. Const. l. I. c. 30, 31. Il Baronio (annal. Eccles. An. 312. n.

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zione di Roma alla virtù di quel segno salutare, verosimbolo della forza e del coraggio32. Il medesimo sim-bolo significava le armi de' soldati di Costantino; la cro-ce risplendeva sopra i loro elmi, era impressa ne' loroscudi, tessuta nelle loro bandiere; ed i sacri emblemi,che adornavano la persona stessa dell'Imperatore, noneran distinti che per la materia più ricca e pel più squisi-to lavoro33. Ma lo stendardo principale, che spiegava iltrionfo della croce, chiamavasi Labarum34; oscuro,quantunque celebre nome, che in vano si è fatto derivareda quasi tutti i linguaggi del Mondo. Vien questo de-scritto35, come una lunga picca intersecata da un'asta tra-

32Eusebio in vit. Const. l. I. c. 40. Questa statua, o almeno la croce e l'iscri-zione, si può riportare più probabilmente alla seconda, o anche alla terza visitadi Costantino a Roma. Subito dopo la disfatta di Massenzio gli animi del Sena-to e del Popolo non potevano essere ancora disposti per tal pubblico monu-mento.

33Agnoscas regina libens mea signa necesse est;In quibus effigies crucis aut gemmata refulget,Aut longis solido ex auro praefertur in hastis,Hoc signo invictus transmissis alpibus ultorServitium solvit miserabile Constantinus.. . . . . . . . . . . . . . .Christus purpureum gemmanti textus in auroSignabat Labarum clypeorum insignia ChristusScripserat; ardebat summis crux addita christis.

Prudent. in Symmach. l. II. v. 464. 486.34Rimane tuttora ignota la derivazione, ed il senso della parola Labarum o

Laborum, che s'usa da Gregorio Nazianzeno, da Ambrogio, da Prudenzio ec.malgrado gli sforzi dei Critici, che hanno inutilmente torturato il Latino, ilGreco, lo Spagnuolo, il Celtico, il Teutonico, l'Illirico, l'Armeno ec. per trovar-ne l'etimologia. Vedi Du Cange. Gloss. et inf. Latin. v. Labarum e Gottofredoad Cod. Theodos. (Tom. II. p. 143).

35Eusebio in vit. Const. l. I. c. 30, 31. Il Baronio (annal. Eccles. An. 312. n.

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versa. Il velo di seta, che pendeva dall'asta, era elegante-mente adornato dalle immagini del Monarca regnante ede' suoi figli. La sommità della picca sosteneva una co-rona d'oro, che conteneva il misterioso monogrammaesprimente nel tempo stesso la figura della croce, e lelettere iniziali del nome di Cristo36. Si confidava la sicu-rezza del Labaro a cinquanta guardie di sperimentatovalore e fedeltà; il loro posto era distinto con onori edemolumenti; e ben presto alcuni accidenti fortunati fece-ro nascere l'opinione, che finattanto che le guardie delLabaro s'esercitavano in eseguire il loro uffizio, eran si-cure ed invulnerabili in mezzo a' dardi dell'inimico. Nel-la seconda guerra civile, Licinio provò ed ebbe occasio-ne di temere la forza di questa sacra bandiera, la vistadella quale, nel forte della battaglia, infiammò d'invinci-bil entusiasmo i soldati di Costantino, e sparse il terroree il disordine fra le file delle nemiche legioni37. Gl'Impe-ratori Cristiani, che rispettavan l'esempio di Costantino,spiegavano in tutte le loro militari spedizioni lo stendar-do della Croce; ma quando i degenerati successori diTeodosio ebber finito di comparire in persona alla testade' loro eserciti, il Labaro fu depositato, come una vene-46) ha riportato un'immagine del Labarum.

36Transversa X. littera, summo capite circumflexa, Christum in scutis notat.Caecil. de M. P. c. 44. Cuper ad M. P. in Edit. Lactant. Tom. II p. 500, ed il Ba-ronio an. 312. n. 25 hanno tratto dagli antichi monumenti vari modelli di talimonogrammi, i quali divennero molto alla moda nel Mondo Cristiano.

37Eusebio in vit. Constant. l. II, c. 7, 8, 9. Egli introduce il Labaro avanti laspedizione dell'Italia, ma sembra che la sua narrazione indichi, ch'esso non fumai mostrato alla testa dell'esercito, finchè Costantino, circa dieci anni dopo,non si fu dichiarato nemico di Licinio e liberator della Chiesa.

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versa. Il velo di seta, che pendeva dall'asta, era elegante-mente adornato dalle immagini del Monarca regnante ede' suoi figli. La sommità della picca sosteneva una co-rona d'oro, che conteneva il misterioso monogrammaesprimente nel tempo stesso la figura della croce, e lelettere iniziali del nome di Cristo36. Si confidava la sicu-rezza del Labaro a cinquanta guardie di sperimentatovalore e fedeltà; il loro posto era distinto con onori edemolumenti; e ben presto alcuni accidenti fortunati fece-ro nascere l'opinione, che finattanto che le guardie delLabaro s'esercitavano in eseguire il loro uffizio, eran si-cure ed invulnerabili in mezzo a' dardi dell'inimico. Nel-la seconda guerra civile, Licinio provò ed ebbe occasio-ne di temere la forza di questa sacra bandiera, la vistadella quale, nel forte della battaglia, infiammò d'invinci-bil entusiasmo i soldati di Costantino, e sparse il terroree il disordine fra le file delle nemiche legioni37. Gl'Impe-ratori Cristiani, che rispettavan l'esempio di Costantino,spiegavano in tutte le loro militari spedizioni lo stendar-do della Croce; ma quando i degenerati successori diTeodosio ebber finito di comparire in persona alla testade' loro eserciti, il Labaro fu depositato, come una vene-46) ha riportato un'immagine del Labarum.

36Transversa X. littera, summo capite circumflexa, Christum in scutis notat.Caecil. de M. P. c. 44. Cuper ad M. P. in Edit. Lactant. Tom. II p. 500, ed il Ba-ronio an. 312. n. 25 hanno tratto dagli antichi monumenti vari modelli di talimonogrammi, i quali divennero molto alla moda nel Mondo Cristiano.

37Eusebio in vit. Constant. l. II, c. 7, 8, 9. Egli introduce il Labaro avanti laspedizione dell'Italia, ma sembra che la sua narrazione indichi, ch'esso non fumai mostrato alla testa dell'esercito, finchè Costantino, circa dieci anni dopo,non si fu dichiarato nemico di Licinio e liberator della Chiesa.

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rabile ma inutil reliquia, nel palazzo di Costantinopoli38.Si è sempre conservato l'onore di esso nelle medagliedella famiglia Flavia. La grata lor devozione pose il mo-nogramma di Cristo in mezzo alle insegne di Roma. Sitrovano applicati ugualmente sì a' religiosi che a' milita-ri trofei i solenni epiteti di salvezza della Repubblica, digloria dell'esercito, di restaurazione della pubblica feli-cità; e tuttavia esiste una medaglia dell'Imperator Co-stanzo, in cui lo stendardo del Labaro è accompagnatoda queste memorabili parole: «mercè di questo segnovincerai39».

II. In ogni occasione di pericolo o d'angustia soleva-no i primitivi Cristiani fortificare gli spiriti ed i corpiloro col segno della Croce, ch'essi usavano in tutti i ritiEcclesiastici ed in tutte le quotidiane occorrenze dellavita, come un infallibil preservativo da ogni sorta dimale spirituale o temporale40. La sola autorità dellaChiesa potè aver avuto sufficiente peso da giustificar ladevozione di Costantino, che coll'istesso prudente e gra-dual progresso riconobbe la verità, ed assunse il simbolo

38Vedi Cod. Teod. l. VI, Tit. XXV. Sozomeno l. I, c. 2. Teofane Cronogr. p.11. Teofane visse verso il fine dell'ottavo secolo, quasi cinquecento anni dopoCostantino. I Greci moderni non erano inclinati a spiegare in campo lo stendar-do dell'Impero e del Cristianesimo; e quantunque s'attaccassero ad ogni super-stiziosa speranza di difesa, pure la promessa della vittoria sarebbe sembrataloro una finzione troppo ardita.

39L'Abate du Voisin (p. 103. ec.) riporta molte di queste medaglie, e cita laparticolar dissertazione d'un Gesuita, cioè del P. Grainville, su tal soggetto.

40Tertulliano de Coron. c. 3. Athanas. (Tom. I. p. 101). Il dotto Gesuita Pe-tavio (Dogm. Theolog. l. XV. c. 9, 10) ha raccolto molti passi uniformi sopra levirtù della Croce, che nel passato secolo imbarazzarono i nostri Protestanticontroversisti.

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rabile ma inutil reliquia, nel palazzo di Costantinopoli38.Si è sempre conservato l'onore di esso nelle medagliedella famiglia Flavia. La grata lor devozione pose il mo-nogramma di Cristo in mezzo alle insegne di Roma. Sitrovano applicati ugualmente sì a' religiosi che a' milita-ri trofei i solenni epiteti di salvezza della Repubblica, digloria dell'esercito, di restaurazione della pubblica feli-cità; e tuttavia esiste una medaglia dell'Imperator Co-stanzo, in cui lo stendardo del Labaro è accompagnatoda queste memorabili parole: «mercè di questo segnovincerai39».

II. In ogni occasione di pericolo o d'angustia soleva-no i primitivi Cristiani fortificare gli spiriti ed i corpiloro col segno della Croce, ch'essi usavano in tutti i ritiEcclesiastici ed in tutte le quotidiane occorrenze dellavita, come un infallibil preservativo da ogni sorta dimale spirituale o temporale40. La sola autorità dellaChiesa potè aver avuto sufficiente peso da giustificar ladevozione di Costantino, che coll'istesso prudente e gra-dual progresso riconobbe la verità, ed assunse il simbolo

38Vedi Cod. Teod. l. VI, Tit. XXV. Sozomeno l. I, c. 2. Teofane Cronogr. p.11. Teofane visse verso il fine dell'ottavo secolo, quasi cinquecento anni dopoCostantino. I Greci moderni non erano inclinati a spiegare in campo lo stendar-do dell'Impero e del Cristianesimo; e quantunque s'attaccassero ad ogni super-stiziosa speranza di difesa, pure la promessa della vittoria sarebbe sembrataloro una finzione troppo ardita.

39L'Abate du Voisin (p. 103. ec.) riporta molte di queste medaglie, e cita laparticolar dissertazione d'un Gesuita, cioè del P. Grainville, su tal soggetto.

40Tertulliano de Coron. c. 3. Athanas. (Tom. I. p. 101). Il dotto Gesuita Pe-tavio (Dogm. Theolog. l. XV. c. 9, 10) ha raccolto molti passi uniformi sopra levirtù della Croce, che nel passato secolo imbarazzarono i nostri Protestanticontroversisti.

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del Cristianesimo. Ma la testimonianza d'uno scrittorecontemporaneo, che in un trattato apposta ha difeso lacausa della religione, compartisce alla pietà dell'Impera-tore un più stupendo e sublime carattere. Afferma eglicolla più perfetta sicurezza, che nella notte precedentel'ultima battaglia contro Massenzio, Costantino fu am-monito in sogno di fare imprimere sugli scudi de' suoisoldati il celeste segno di Dio, cioè il sacro monogram-ma del nome di Cristo; ch'esso eseguì gli ordini del Cie-lo; o che fu premiato il valore e l'obbedienza di lui colladecisiva vittoria sul ponte Milvio. Alcuni riflessi potreb-bero forse indurre uno spirito scettico a sospettare delgiudizio o della veracità dell'Oratore, la penna del quale,o per zelo o per interesse, era addetta alla causa della fa-zion vittoriosa41. Pare che egli pubblicasse le sue Mortide' Persecutori a Nicomedia circa tre anni dopo la vitto-ria di Roma; la distanza però di mille miglia e di millegiorni concede un vasto campo all'invenzione de' decla-matori, alla credulità del partito ed alla tacita approva-zione dell'Imperatore medesimo, che poteva senza sde-

41Caecil. de M. P. c. 44. Egli è certo che questa istorica declamazione fucomposta e pubblicata, mentre Licinio Sovrano dell'Oriente conservava semprel'amicizia di Costantino e de' Cristiani. Ogni lettore di buon gusto si deve ac-corgere, che lo stile è d'un carattere molto diverso ed inferiore a quel di Lattan-zio, e tale in fatti è il giudizio del Clerc e del Lardner, (Bibl. anc. et mod. TomIII. p. 438 Credibil. del Angelo ec. P. 2 vol. II. p. 94). Quelli, che son per Lat-tanzio, deducono tre argomenti di tale opinione dal titolo del libro e da' nomi diDonato e di Cecilio. Vedi il P. Lestocq (T. II. p. 46-60). Ciascheduna di questeprove presa da se è debole e mancante, ma l'unione di esse ha gran peso. Iosono stato spesso dubbioso, e seguiterò senza darmene altro pensiero il MS.Colbertino, chiamando l'A. chiunque siasi Cecilio.

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del Cristianesimo. Ma la testimonianza d'uno scrittorecontemporaneo, che in un trattato apposta ha difeso lacausa della religione, compartisce alla pietà dell'Impera-tore un più stupendo e sublime carattere. Afferma eglicolla più perfetta sicurezza, che nella notte precedentel'ultima battaglia contro Massenzio, Costantino fu am-monito in sogno di fare imprimere sugli scudi de' suoisoldati il celeste segno di Dio, cioè il sacro monogram-ma del nome di Cristo; ch'esso eseguì gli ordini del Cie-lo; o che fu premiato il valore e l'obbedienza di lui colladecisiva vittoria sul ponte Milvio. Alcuni riflessi potreb-bero forse indurre uno spirito scettico a sospettare delgiudizio o della veracità dell'Oratore, la penna del quale,o per zelo o per interesse, era addetta alla causa della fa-zion vittoriosa41. Pare che egli pubblicasse le sue Mortide' Persecutori a Nicomedia circa tre anni dopo la vitto-ria di Roma; la distanza però di mille miglia e di millegiorni concede un vasto campo all'invenzione de' decla-matori, alla credulità del partito ed alla tacita approva-zione dell'Imperatore medesimo, che poteva senza sde-

41Caecil. de M. P. c. 44. Egli è certo che questa istorica declamazione fucomposta e pubblicata, mentre Licinio Sovrano dell'Oriente conservava semprel'amicizia di Costantino e de' Cristiani. Ogni lettore di buon gusto si deve ac-corgere, che lo stile è d'un carattere molto diverso ed inferiore a quel di Lattan-zio, e tale in fatti è il giudizio del Clerc e del Lardner, (Bibl. anc. et mod. TomIII. p. 438 Credibil. del Angelo ec. P. 2 vol. II. p. 94). Quelli, che son per Lat-tanzio, deducono tre argomenti di tale opinione dal titolo del libro e da' nomi diDonato e di Cecilio. Vedi il P. Lestocq (T. II. p. 46-60). Ciascheduna di questeprove presa da se è debole e mancante, ma l'unione di esse ha gran peso. Iosono stato spesso dubbioso, e seguiterò senza darmene altro pensiero il MS.Colbertino, chiamando l'A. chiunque siasi Cecilio.

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gnarsi prestare orecchio ad una maravigliosa novellach'esaltava la fama, e promoveva i disegni di lui. Anchein favor di Licinio, che tuttavia dissimulava la sua ani-mosità contro i Cristiani, l'istesso Autore produsse unasimile visione, indicante uno specie di preghiera, che fucomunicata da un Angelo, e ripetuta da tutto l'esercitoprima d'attaccare le legioni del tiranno Massimino. Lafrequente ripetizione de' miracoli, quando non sottomet-te la ragione umana, non serve che ad irritarla42; ma sevoglia considerarsi a parte il sogno di Costantino, puònaturalmente spiegarsi o colla politica o coll'entusiasmodell'Imperatore. Essendo sospesa da un breve ed inter-rotto sonno la sua ansietà per la prossima giornata, chedovea decidere del destino dell'Impero, potè per avven-tura presentarsi all'attiva fantasia d'un Principe, che ve-nerava il nome, e forse aveva secretamente implorato ilpotere del Dio dei Cristiani, la venerabile immagin diCristo ed il ben noto simbolo della sua religione. Conugual facilità potè ancora un consumato Politico usareuno di quei militari stratagemmi, una di quelle pie frodi,che avevano adoperate con tant'arte ed effetto Filippo eSertorio43. Generalmente ammettevasi dalle nazioni anti-

42Caecil. de M. P. c. 46. Par che sia ragionevole l'osservazione di Voltaire(Oeuvr. Tom. XIV. p. 307), che attribuisce al successo di Costantino l'essere sta-ta la fama del suo Labaro maggiore di quella dell'Angelo di Licinio. Pure an-che quest'Angelo ha incontrato favore appresso il Pagi, il Tillemont, il Fleury,che sono impegnati ad accrescere la loro quantità di miracoli.

43Oltre questi ben cogniti esempi, Tollio, nella Prefazione alla traduzione diLongino fatta da Boileau, ha scoperto una visione d'Antigono, che assicurò lesue truppe d'aver veduto un pentagono (simbolo di salvezza) con queste paro-le» In questo vinci». Ma Tollio è affatto inescusabile per avere omesso di ad-

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gnarsi prestare orecchio ad una maravigliosa novellach'esaltava la fama, e promoveva i disegni di lui. Anchein favor di Licinio, che tuttavia dissimulava la sua ani-mosità contro i Cristiani, l'istesso Autore produsse unasimile visione, indicante uno specie di preghiera, che fucomunicata da un Angelo, e ripetuta da tutto l'esercitoprima d'attaccare le legioni del tiranno Massimino. Lafrequente ripetizione de' miracoli, quando non sottomet-te la ragione umana, non serve che ad irritarla42; ma sevoglia considerarsi a parte il sogno di Costantino, puònaturalmente spiegarsi o colla politica o coll'entusiasmodell'Imperatore. Essendo sospesa da un breve ed inter-rotto sonno la sua ansietà per la prossima giornata, chedovea decidere del destino dell'Impero, potè per avven-tura presentarsi all'attiva fantasia d'un Principe, che ve-nerava il nome, e forse aveva secretamente implorato ilpotere del Dio dei Cristiani, la venerabile immagin diCristo ed il ben noto simbolo della sua religione. Conugual facilità potè ancora un consumato Politico usareuno di quei militari stratagemmi, una di quelle pie frodi,che avevano adoperate con tant'arte ed effetto Filippo eSertorio43. Generalmente ammettevasi dalle nazioni anti-

42Caecil. de M. P. c. 46. Par che sia ragionevole l'osservazione di Voltaire(Oeuvr. Tom. XIV. p. 307), che attribuisce al successo di Costantino l'essere sta-ta la fama del suo Labaro maggiore di quella dell'Angelo di Licinio. Pure an-che quest'Angelo ha incontrato favore appresso il Pagi, il Tillemont, il Fleury,che sono impegnati ad accrescere la loro quantità di miracoli.

43Oltre questi ben cogniti esempi, Tollio, nella Prefazione alla traduzione diLongino fatta da Boileau, ha scoperto una visione d'Antigono, che assicurò lesue truppe d'aver veduto un pentagono (simbolo di salvezza) con queste paro-le» In questo vinci». Ma Tollio è affatto inescusabile per avere omesso di ad-

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che l'origine soprannaturale de' sogni, ed una gran partedell'esercito della Gallia era già preparata a collocare lasua fiducia nel segno salutare della religione Cristiana.La segreta visione di Costantino non poteva esser confu-tata che dall'evento; ma quell'intrepido Eroe, che avevapassato le alpi e l'apennino, poteva risguardare con noncurante disperazione le conseguenze d'una disfatta, chegli fosse toccata sotto le mura di Roma. Il Senato ed ilPopolo, esultando per la loro liberazione da un odiosotiranno, riconobbero che la vittoria di Costantino sorpas-sava le forze umane, senz'ardire però di attribuirla allaprotezione degli Dei. L'arco trionfale, che fu innalzatocirca tre anni dopo il fatto espone con frasi ambigue,ch'egli salvata aveva e vendicata la Repubblica Romanaper la grandezza della sua mente e per un istinto o im-pulso della Divinità44. L'oratore Pagano, che anteceden-temente avea preso l'opportunità di celebrar le virtù delConquistatore, suppone ch'egli solo godesse un segretoed intimo commercio coll'Ente Supremo, il quale ha de-legata la cura de' mortali agli altri subordinati suoi Dei;e così viene ad assegnare una ragione molto plausibile,per la quale i sudditi di Costantino non dovessero presu-durre donde ha ricavato quel fatto; ed il suo carattere nella letteratura, ugual-mente che nella morale, non è superiore ad ogni eccezione. Vedi ChauffepièDiction. crit. Tom. IV. p. 460. Senza insistere nel silenzio di Diodoro, di Plu-tarco, di Giustino ec. si può osservar, che Polieno, il quale in un capitolo a par-te (l. IV. c. 6), ha raccolto diciannove stratagemmi militari d'Antigono, non èpunto informato di questa notevol visione.

44Instincta Divinitatis, mentis magnitudine. Da qualunque curioso viaggia-tore può sempre leggersi l'Iscrizione sull'arco trionfale di Costantino, che fucopiata dal Baronio, dal Grutero ec.

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che l'origine soprannaturale de' sogni, ed una gran partedell'esercito della Gallia era già preparata a collocare lasua fiducia nel segno salutare della religione Cristiana.La segreta visione di Costantino non poteva esser confu-tata che dall'evento; ma quell'intrepido Eroe, che avevapassato le alpi e l'apennino, poteva risguardare con noncurante disperazione le conseguenze d'una disfatta, chegli fosse toccata sotto le mura di Roma. Il Senato ed ilPopolo, esultando per la loro liberazione da un odiosotiranno, riconobbero che la vittoria di Costantino sorpas-sava le forze umane, senz'ardire però di attribuirla allaprotezione degli Dei. L'arco trionfale, che fu innalzatocirca tre anni dopo il fatto espone con frasi ambigue,ch'egli salvata aveva e vendicata la Repubblica Romanaper la grandezza della sua mente e per un istinto o im-pulso della Divinità44. L'oratore Pagano, che anteceden-temente avea preso l'opportunità di celebrar le virtù delConquistatore, suppone ch'egli solo godesse un segretoed intimo commercio coll'Ente Supremo, il quale ha de-legata la cura de' mortali agli altri subordinati suoi Dei;e così viene ad assegnare una ragione molto plausibile,per la quale i sudditi di Costantino non dovessero presu-durre donde ha ricavato quel fatto; ed il suo carattere nella letteratura, ugual-mente che nella morale, non è superiore ad ogni eccezione. Vedi ChauffepièDiction. crit. Tom. IV. p. 460. Senza insistere nel silenzio di Diodoro, di Plu-tarco, di Giustino ec. si può osservar, che Polieno, il quale in un capitolo a par-te (l. IV. c. 6), ha raccolto diciannove stratagemmi militari d'Antigono, non èpunto informato di questa notevol visione.

44Instincta Divinitatis, mentis magnitudine. Da qualunque curioso viaggia-tore può sempre leggersi l'Iscrizione sull'arco trionfale di Costantino, che fucopiata dal Baronio, dal Grutero ec.

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Page 33: Carlo F. Traverso (ePub) Ugo Santamaria (ODT) · rivoluzioni, che eccitano la più viva curiosità, e sommi-nistrano la più efficace istruzione. Le vittorie ed il go-verno civile

mere d'abbracciare la nuova religione del loro Sovra-no45.

III. Il filosofo, che con tranquilla cautela esamina isogni o gli augurj, i miracoli ed i prodigi della storiaprofana, ed anche dell'Ecclesiastica, probabilmente con-cluderà, che se gli occhi degli spettatori sono stati qual-che volta ingannati dalla frode, molto più spesso l'intel-ligenza de' lettori è stata insultata dalla finzione. Ogniavvenimento, apparenza, o accidente, che sembri devia-re dall'ordinario corso della natura, s'è temerariamenteattribuito all'immediata azione della Divinità; e la sor-presa fantasia della moltitudine qualche volta ha dato fi-gura e colore, linguaggio e movimento alle momentaneema insolite meteore dell'aria46. Nazario ed Eusebio sonoi due più celebri oratori che con istudiati panegirici sisono adoperati ad esaltare la gloria di Costantino. Noveanni dopo la vittoria romana, Nazario47 descrive un eser-cito di guerrieri divini, che sembravano scender dal cie-lo; egli ne nota la bellezza, lo spirito, le figure gigante-sche, i raggi di luce che uscivano dalle celesti loro ar-mature, la pazienza che avevano in farsi vedere e udirda' mortali, ed il dichiarar che facevano d'essere manda-

45Habes profecto aliquid cum illa mente divina secretum, quae delegata no-stra Diis minoribus cura uni se tibi dignatur ostendere. Panegyr. vet. IX. 2.

46Freret (Mem. de l'Acad. des Inscript. Tom. IV. p. 411-417) spiega per mez-zo di cause fisiche molti prodigi dell'antichità, e Fabricio, di cui abusano ambele parti, vanamente procura di porre la celeste croce di Costantino fra gli alonisolari. Biblioth. Graec. Tom. VI. p. 8-29.

47Nazar. Paneg. vet. X. 14, 15. Non è necessario nominare i moderni, l'avi-do e non discernente appetito de' quali ha ingoiato anche il cibo Pagano di Na-zario.

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mere d'abbracciare la nuova religione del loro Sovra-no45.

III. Il filosofo, che con tranquilla cautela esamina isogni o gli augurj, i miracoli ed i prodigi della storiaprofana, ed anche dell'Ecclesiastica, probabilmente con-cluderà, che se gli occhi degli spettatori sono stati qual-che volta ingannati dalla frode, molto più spesso l'intel-ligenza de' lettori è stata insultata dalla finzione. Ogniavvenimento, apparenza, o accidente, che sembri devia-re dall'ordinario corso della natura, s'è temerariamenteattribuito all'immediata azione della Divinità; e la sor-presa fantasia della moltitudine qualche volta ha dato fi-gura e colore, linguaggio e movimento alle momentaneema insolite meteore dell'aria46. Nazario ed Eusebio sonoi due più celebri oratori che con istudiati panegirici sisono adoperati ad esaltare la gloria di Costantino. Noveanni dopo la vittoria romana, Nazario47 descrive un eser-cito di guerrieri divini, che sembravano scender dal cie-lo; egli ne nota la bellezza, lo spirito, le figure gigante-sche, i raggi di luce che uscivano dalle celesti loro ar-mature, la pazienza che avevano in farsi vedere e udirda' mortali, ed il dichiarar che facevano d'essere manda-

45Habes profecto aliquid cum illa mente divina secretum, quae delegata no-stra Diis minoribus cura uni se tibi dignatur ostendere. Panegyr. vet. IX. 2.

46Freret (Mem. de l'Acad. des Inscript. Tom. IV. p. 411-417) spiega per mez-zo di cause fisiche molti prodigi dell'antichità, e Fabricio, di cui abusano ambele parti, vanamente procura di porre la celeste croce di Costantino fra gli alonisolari. Biblioth. Graec. Tom. VI. p. 8-29.

47Nazar. Paneg. vet. X. 14, 15. Non è necessario nominare i moderni, l'avi-do e non discernente appetito de' quali ha ingoiato anche il cibo Pagano di Na-zario.

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ti, e di volare ad assistere il gran Costantino. Per la veri-tà di questo prodigio il Pagano oratore chiama in testi-monianza tutta la nazione Gallica, in presenza della qua-le allora parlava, e sembra, che da questo recente e pub-blicato fatto prenda occasione di sperare, che sia perprestarsi fede alle antiche apparizioni48. La favola Cri-stiana d'Eusebio, che nello spazio di ventisei anni potètrarre la sua origine dal sogno, è gettata in una forma piùcorretta ed elegante. Si dice, che Costantino, in una del-le sue marce, vedesse co' propri occhi il trofeo luminosodella Croce posta sopra il sole nel mezzogiorno, collaseguente iscrizione: «Per mezzo di questo vinci». Talsorprendente oggetto nel cielo fece stupire tutto l'eserci-to non meno che l'Imperatore medesimo, ch'era tuttaviadubbioso intorno alla scelta d'una religione; ma il suostupore si convertì in fede, mediante la visione dellanotte seguente. Comparve Cristo avanti a' suoi occhi, etenendo il medesimo celeste segno della Croce, ordinò aCostantino di formare uno stendardo simile a quello, edi muovere, sicuro della vittoria, contro Massenzio etutti gli altri nemici49. Sembra che l'erudito Vescovo diCesarea siasi accorto, che la recente scoperta di questo

48Vengono attestate dagli Istorici e da' pubblici monumenti le apparizioni diCastore e di Polluce, specialmente per annunziare la vittoria Macedonica. VediCicer. de Nat. Deor. II. 2. III; 5. 6. Flor. II. 12. Val. Massim. lib. I. c. 8 n. 2.Pure il più recente di questi miracoli è omesso, ed indirettamente negato da Li-vio, XLV. I.

49Eusebio l. I. c. 18, 19, 20. Il silenzio d'Eusebio stesso, nella sua Storia Ec-clesiastica, ha veramente toccato sul vivo tutti que' difensori del miracolo chenon sono affatto insensibili.

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ti, e di volare ad assistere il gran Costantino. Per la veri-tà di questo prodigio il Pagano oratore chiama in testi-monianza tutta la nazione Gallica, in presenza della qua-le allora parlava, e sembra, che da questo recente e pub-blicato fatto prenda occasione di sperare, che sia perprestarsi fede alle antiche apparizioni48. La favola Cri-stiana d'Eusebio, che nello spazio di ventisei anni potètrarre la sua origine dal sogno, è gettata in una forma piùcorretta ed elegante. Si dice, che Costantino, in una del-le sue marce, vedesse co' propri occhi il trofeo luminosodella Croce posta sopra il sole nel mezzogiorno, collaseguente iscrizione: «Per mezzo di questo vinci». Talsorprendente oggetto nel cielo fece stupire tutto l'eserci-to non meno che l'Imperatore medesimo, ch'era tuttaviadubbioso intorno alla scelta d'una religione; ma il suostupore si convertì in fede, mediante la visione dellanotte seguente. Comparve Cristo avanti a' suoi occhi, etenendo il medesimo celeste segno della Croce, ordinò aCostantino di formare uno stendardo simile a quello, edi muovere, sicuro della vittoria, contro Massenzio etutti gli altri nemici49. Sembra che l'erudito Vescovo diCesarea siasi accorto, che la recente scoperta di questo

48Vengono attestate dagli Istorici e da' pubblici monumenti le apparizioni diCastore e di Polluce, specialmente per annunziare la vittoria Macedonica. VediCicer. de Nat. Deor. II. 2. III; 5. 6. Flor. II. 12. Val. Massim. lib. I. c. 8 n. 2.Pure il più recente di questi miracoli è omesso, ed indirettamente negato da Li-vio, XLV. I.

49Eusebio l. I. c. 18, 19, 20. Il silenzio d'Eusebio stesso, nella sua Storia Ec-clesiastica, ha veramente toccato sul vivo tutti que' difensori del miracolo chenon sono affatto insensibili.

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maraviglioso aneddoto avrebbe eccitato qualche sorpre-sa e diffidenza anche fra' suoi più devoti lettori. Pure, incambio di assegnare le precise circostanze del tempo edel luogo, che ordinariamente servono a scuoprire la fal-sità, od a stabilire la certezza de' fatti50; in cambio diraccogliere e di citar la testimonianza di tante personeviventi, che dovettero essere spettatrici di tale stupendomiracolo51, Eusebio si contenta d'addurre una testimo-nianza molto singolare, cioè quella di Costantino giàmorto, il quale molti anni dopo quell'avvenimento, di-scorrendo famigliarmente con esso, gli aveva raccontatoquest'accidente straordinario della sua vita, e con solen-ne giuramento ne aveva confermata la verità. La pru-denza e la gratitudine del dotto Prelato non gli permise-ro di sospettare della veracità del suo vittorioso Signore;ma egli dà chiaramente a conoscere che, in un fatto dital natura, non avrebbe prestato fede a qualunque altraminore autorità. Sì fatto motivo di credibilità non poteasopravvivere alla potenza della famiglia Flavia; ed il se-gno celeste che si poteva in seguito porre in ridicolodagl'Infedeli52, fu trascurato da' Cristiani del secolo cheimmediatamente seguì la conversione di Costantino53.

50Sembra che la narrazione di Costantino indichi, ch'esso vide la croce nelcielo, avanti di passar le alpi contro Massenzio. La vanità Provinciale però hafatto rappresentar questa scena a Treveri, a Besanzone ec. Vedi Tillemont Hist.des Emper. Tom. IV. p. 573.

51Il pio Tillemont (Mem. Eccles. Tom. VII. p. 1317) rigetta, sospirando gliutili Atti di Artemio, veterano e martire, che attesta come testimone di vedutala visione di Costantino.

52Gelas. Cizic. Act. Conc. Nicaen. l. I. c. 4.53Gli avvocati della visione non possono addurre neppure una sola testimo-

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maraviglioso aneddoto avrebbe eccitato qualche sorpre-sa e diffidenza anche fra' suoi più devoti lettori. Pure, incambio di assegnare le precise circostanze del tempo edel luogo, che ordinariamente servono a scuoprire la fal-sità, od a stabilire la certezza de' fatti50; in cambio diraccogliere e di citar la testimonianza di tante personeviventi, che dovettero essere spettatrici di tale stupendomiracolo51, Eusebio si contenta d'addurre una testimo-nianza molto singolare, cioè quella di Costantino giàmorto, il quale molti anni dopo quell'avvenimento, di-scorrendo famigliarmente con esso, gli aveva raccontatoquest'accidente straordinario della sua vita, e con solen-ne giuramento ne aveva confermata la verità. La pru-denza e la gratitudine del dotto Prelato non gli permise-ro di sospettare della veracità del suo vittorioso Signore;ma egli dà chiaramente a conoscere che, in un fatto dital natura, non avrebbe prestato fede a qualunque altraminore autorità. Sì fatto motivo di credibilità non poteasopravvivere alla potenza della famiglia Flavia; ed il se-gno celeste che si poteva in seguito porre in ridicolodagl'Infedeli52, fu trascurato da' Cristiani del secolo cheimmediatamente seguì la conversione di Costantino53.

50Sembra che la narrazione di Costantino indichi, ch'esso vide la croce nelcielo, avanti di passar le alpi contro Massenzio. La vanità Provinciale però hafatto rappresentar questa scena a Treveri, a Besanzone ec. Vedi Tillemont Hist.des Emper. Tom. IV. p. 573.

51Il pio Tillemont (Mem. Eccles. Tom. VII. p. 1317) rigetta, sospirando gliutili Atti di Artemio, veterano e martire, che attesta come testimone di vedutala visione di Costantino.

52Gelas. Cizic. Act. Conc. Nicaen. l. I. c. 4.53Gli avvocati della visione non possono addurre neppure una sola testimo-

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Ma la Chiesa Cattolica, sì dell'Oriente che dell'Occiden-te, ha adottato un prodigio, che favorisce o sembra favo-rire il popolar culto della croce. La visione di Costantinosi mantenne un onorevole posto nelle leggende della su-perstizione, finattanto che l'ardito e sagace spirito di cri-tica ebbe la fermezza di non apprezzare il trionfo, e diattaccare la veracità del primo Imperatore Cristiano54.

I lettori protestanti e filosofici del presente secolo sa-ranno disposti a credere che Costantino, raccontando lasua conversione, volontariamente attestasse una falsitàcon un solenne e deliberato spergiuro. Essi non dubite-ranno forse di pronunziare, che nello scegliere una reli-gione fosse determinato l'animo suo solo da un senti-mento d'interesse; e che (secondo l'espressione d'unPoeta55 profano) si servisse degli altari della Chiesa,nianza tratta da' Padri del quarto e del quinto secolo, che ne' loro voluminosiscritti celebrano più volte il trionfo della croce e di Costantino. Siccome a que-sti venerabili uomini non sarebbe dispiaciuto un miracolo, noi possiam sospet-tare (e tal sospetto vien confermato dall'ignoranza di Girolamo) che essi nonfossero informati della vita di Costantino, scritta da Eusebio. Questo tratto siscoprì dalla diligenza di quelli, che tradussero o continuarono la sua Storia Ec-clesiastica, e che rappresentarono con diversi colori la visione della croce.

54Gottofredo fu il primo, che nell'anno 1643 (Not. ad Philostorg. l. I. c. 6 p.16) mostrò qualche dubbio sopra un miracolo, che con uguale zelo s'era soste-nuto e dal Cardinal Baronio e da' Centuriatori di Magdeburgo. Dopo quel tem-po molti de' Critici Protestanti hanno inclinato al dubbio e alla diffidenza. Sipropongono le obbiezioni con gran forza da Chaufepiè Dictionn. Critiq. T. IV.p. 6-11; e nell'anno 1774 l'Abbate du Voisin, dottor di Sorbona, pubblicòun'apologia, che merita d'essere lodata com'erudita e moderata.

55Lors Constantin dit ces propres paroles:J'ai renversé le culte des idoles;Sur les débris de leurs Temples fumansAu Dieu du Ciel j'ai prodigué l'encens.Mais tous mes soins pour sa grandeur suprême

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Ma la Chiesa Cattolica, sì dell'Oriente che dell'Occiden-te, ha adottato un prodigio, che favorisce o sembra favo-rire il popolar culto della croce. La visione di Costantinosi mantenne un onorevole posto nelle leggende della su-perstizione, finattanto che l'ardito e sagace spirito di cri-tica ebbe la fermezza di non apprezzare il trionfo, e diattaccare la veracità del primo Imperatore Cristiano54.

I lettori protestanti e filosofici del presente secolo sa-ranno disposti a credere che Costantino, raccontando lasua conversione, volontariamente attestasse una falsitàcon un solenne e deliberato spergiuro. Essi non dubite-ranno forse di pronunziare, che nello scegliere una reli-gione fosse determinato l'animo suo solo da un senti-mento d'interesse; e che (secondo l'espressione d'unPoeta55 profano) si servisse degli altari della Chiesa,nianza tratta da' Padri del quarto e del quinto secolo, che ne' loro voluminosiscritti celebrano più volte il trionfo della croce e di Costantino. Siccome a que-sti venerabili uomini non sarebbe dispiaciuto un miracolo, noi possiam sospet-tare (e tal sospetto vien confermato dall'ignoranza di Girolamo) che essi nonfossero informati della vita di Costantino, scritta da Eusebio. Questo tratto siscoprì dalla diligenza di quelli, che tradussero o continuarono la sua Storia Ec-clesiastica, e che rappresentarono con diversi colori la visione della croce.

54Gottofredo fu il primo, che nell'anno 1643 (Not. ad Philostorg. l. I. c. 6 p.16) mostrò qualche dubbio sopra un miracolo, che con uguale zelo s'era soste-nuto e dal Cardinal Baronio e da' Centuriatori di Magdeburgo. Dopo quel tem-po molti de' Critici Protestanti hanno inclinato al dubbio e alla diffidenza. Sipropongono le obbiezioni con gran forza da Chaufepiè Dictionn. Critiq. T. IV.p. 6-11; e nell'anno 1774 l'Abbate du Voisin, dottor di Sorbona, pubblicòun'apologia, che merita d'essere lodata com'erudita e moderata.

55Lors Constantin dit ces propres paroles:J'ai renversé le culte des idoles;Sur les débris de leurs Temples fumansAu Dieu du Ciel j'ai prodigué l'encens.Mais tous mes soins pour sa grandeur suprême

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come di un conveniente gradino al trono dell'Impero.Una conclusione però così aspra ed assoluta non è coe-rente alla cognizione che abbiamo della natura umana diCostantino o del Cristianesimo. In un tempo di religiosofervore si osserva che i più artificiosi politici sentono inse stessi qualche parte di quell'entusiasmo, che inspiranoagli altri; ed i Santi più ortodossi assumono il pericolosoprivilegio di difender la causa della verità colle armidella falsità e dell'inganno. Spesso l'interesse personaleè lo stendardo della nostra fede, non meno che della no-stra condotta, e gli stessi motivi di vantaggi temporali,che valsero ad influire sul contegno pubblico e sullaprofessione di Costantino, poterono anche insensibil-mente disporne lo spirito ad abbracciare la religione cosìfavorevole alla sua fama ed alla sua fortuna. Soddisface-vasi alla sua vanità colla lusinghiera asserzione, ch'egliera stato scelto dal Cielo a regnare sopra la terra; l'even-to aveva giustificato il divino di lui titolo al trono, equesto titolo stesso era fondato sulla verità della Rivela-zione Cristiana. Siccome qualche volta segue chel'applauso non meritato eccita la vera virtù, così l'appa-

N'eurent jamais d'autre objet que moi-même;Les saints autels n'étaient à mes regardsQu'un marchepied du trône des Césars.L'ambition, la fureur, les délicesÉtaient mes Dieux, avoient mes sacrifices.L'or des Chrétiens, leurs intrigues, leur sangOnt cimenté ma fortune et mon rang.

Può leggersi con piacere il poema, che contiene questi versi, ma non si puòcon decenza nominare.

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come di un conveniente gradino al trono dell'Impero.Una conclusione però così aspra ed assoluta non è coe-rente alla cognizione che abbiamo della natura umana diCostantino o del Cristianesimo. In un tempo di religiosofervore si osserva che i più artificiosi politici sentono inse stessi qualche parte di quell'entusiasmo, che inspiranoagli altri; ed i Santi più ortodossi assumono il pericolosoprivilegio di difender la causa della verità colle armidella falsità e dell'inganno. Spesso l'interesse personaleè lo stendardo della nostra fede, non meno che della no-stra condotta, e gli stessi motivi di vantaggi temporali,che valsero ad influire sul contegno pubblico e sullaprofessione di Costantino, poterono anche insensibil-mente disporne lo spirito ad abbracciare la religione cosìfavorevole alla sua fama ed alla sua fortuna. Soddisface-vasi alla sua vanità colla lusinghiera asserzione, ch'egliera stato scelto dal Cielo a regnare sopra la terra; l'even-to aveva giustificato il divino di lui titolo al trono, equesto titolo stesso era fondato sulla verità della Rivela-zione Cristiana. Siccome qualche volta segue chel'applauso non meritato eccita la vera virtù, così l'appa-

N'eurent jamais d'autre objet que moi-même;Les saints autels n'étaient à mes regardsQu'un marchepied du trône des Césars.L'ambition, la fureur, les délicesÉtaient mes Dieux, avoient mes sacrifices.L'or des Chrétiens, leurs intrigues, leur sangOnt cimenté ma fortune et mon rang.

Può leggersi con piacere il poema, che contiene questi versi, ma non si puòcon decenza nominare.

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rente pietà di Costantino (se pure a principio fu solo ap-parente) potè a grado a grado per la forza della lode,dell'abito e dell'esempio ridursi ad una seria fede, e aduna fervorosa divozione. I Vescovi e Dottori della nuovasetta, l'abito ed i costumi de' quali non eran molto adat-tati per comparire in una Corte, furono ammessi allamensa Imperiale; essi accompagnavano il Monarca nellesue spedizioni, e l'ascendente, che uno di loro, Egizio oSpagnuolo56 che fosse, acquistò sopra di lui, attribuivasida' Pagani all'effetto della magia57. Furono ammessiall'amicizia e famigliarità del Sovrano tanto Lattanzio,che adornò i precetti del Vangelo colla eloquenza di Ci-cerone58, quanto Eusebio, che in servigio della Religioneadoprò la dottrina e la filosofia de' Greci59; e questi abilimaestri di controversie potevano pazientemente aspetta-re le facili ed opportune occasioni di persuadere e di ap-plicar con destrezza quegli argomenti, ch'erano più ac-conci al carattere e all'intendimento di esso. Vantaggid'ogni sorta potevano trarsi dall'acquisto d'un proselito

56Questo favorito era probabilmente il grande Osio Vescovo di Cordova,che preferiva la cura pastorale di tutta la Chiesa al governo d'una diocesi parti-colare. Atanasio (T. I. p. 703) rappresenta il suo carattere magnificamente,quantunque in breve. Vedi Tillemont, Mem. Eccles. Tom. VII. p. 524-561. Osiofu accusato forse ingiustamente di essersi ritirato dalla Corte con molto abbon-danti ricchezze.

57Vedi Eusebio in vit. Const. passim, e Zosimo l. II, p. 104.58Il Cristianesimo di Lattanzio era d'una specie morale, piuttosto che miste-

riosa. Erat paene rudis (dice l'ortodosso Bull) disciplinae Christianae, et in re-thorica melius quam in theologia versatus. Defens. Fid. Nic. sect. II c. 14.

59Il Fabricio colla solita sua diligenza ha raccolto una lista di tre in quattro-cento Autori, citati nella Preparazione Evangelica d'Eusebio, Vedi Bibl. Graec.l. V. c. 4. T. VI. p. 37-56.

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rente pietà di Costantino (se pure a principio fu solo ap-parente) potè a grado a grado per la forza della lode,dell'abito e dell'esempio ridursi ad una seria fede, e aduna fervorosa divozione. I Vescovi e Dottori della nuovasetta, l'abito ed i costumi de' quali non eran molto adat-tati per comparire in una Corte, furono ammessi allamensa Imperiale; essi accompagnavano il Monarca nellesue spedizioni, e l'ascendente, che uno di loro, Egizio oSpagnuolo56 che fosse, acquistò sopra di lui, attribuivasida' Pagani all'effetto della magia57. Furono ammessiall'amicizia e famigliarità del Sovrano tanto Lattanzio,che adornò i precetti del Vangelo colla eloquenza di Ci-cerone58, quanto Eusebio, che in servigio della Religioneadoprò la dottrina e la filosofia de' Greci59; e questi abilimaestri di controversie potevano pazientemente aspetta-re le facili ed opportune occasioni di persuadere e di ap-plicar con destrezza quegli argomenti, ch'erano più ac-conci al carattere e all'intendimento di esso. Vantaggid'ogni sorta potevano trarsi dall'acquisto d'un proselito

56Questo favorito era probabilmente il grande Osio Vescovo di Cordova,che preferiva la cura pastorale di tutta la Chiesa al governo d'una diocesi parti-colare. Atanasio (T. I. p. 703) rappresenta il suo carattere magnificamente,quantunque in breve. Vedi Tillemont, Mem. Eccles. Tom. VII. p. 524-561. Osiofu accusato forse ingiustamente di essersi ritirato dalla Corte con molto abbon-danti ricchezze.

57Vedi Eusebio in vit. Const. passim, e Zosimo l. II, p. 104.58Il Cristianesimo di Lattanzio era d'una specie morale, piuttosto che miste-

riosa. Erat paene rudis (dice l'ortodosso Bull) disciplinae Christianae, et in re-thorica melius quam in theologia versatus. Defens. Fid. Nic. sect. II c. 14.

59Il Fabricio colla solita sua diligenza ha raccolto una lista di tre in quattro-cento Autori, citati nella Preparazione Evangelica d'Eusebio, Vedi Bibl. Graec.l. V. c. 4. T. VI. p. 37-56.

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Imperiale, e lo splendor della porpora, piuttosto che lasuperiorità nel sapere o nella virtù, lo distingueva dallemolte migliaia di sudditi, che avevano abbracciato ledottrine del Cristianesimo. Nè si dee stimare incredibileche la mente d'un ignorante soldato avesse potuto cedereal peso dell'evidenza, che in un secolo più illuminato hasoddisfatto o sottomesso la ragione d'un Grozio, d'unPascal, o d'un Locke. Questo soldato, fra i continui tra-vagli del suo grand'uffizio, impiegava o affettavad'impiegar le ore della notte a diligentemente studiare laScrittura, ed a comporre discorsi teologici, che dipoi re-citava ad una copiosa udienza, la quale facevagli ap-plauso. In un discorso assai lungo, che tuttavia sussiste,si diffonde il reale Predicatore sulle diverse prove dellaReligione: ma si ferma con particolar compiacenza su'versi Sibillini60 e sull'Egloga quarta di Virgilio61. Qua-ranta anni prima della nascita di Cristo, il vate Mantova-no, quasi inspirato dalla celeste musa d'Isaia, aveva ce-lebrato con tutta la pompa della metafora Orientale il ri-torno della Vergine, la caduta del serpente, la prossimanascita d'un fanciullo divino, prole del gran Giove, chedoveva espiare la colpa dell'uman genere, e governar

60Vedi Const. Orat. ad Sanctos c. 10, 20. Egli specialmente si fonda sopraun misterioso acrostico, composto nel sesto secolo dopo il diluvio, dalla SibillaEritrea e da Cicerone tradotto in Latino. Le lettere iniziali de' trentaquattro ver-si Greci formano questa profetica sentenza: «Gesù Cristo, figlio di Dio, Salva-tore del Mondo».

61L'Imperatore, nella sua parafrasi di Virgilio, ha spesse volte aiutato e mi-gliorato il senso letterale del testo Latino. Vedi Blondel des Sybilles l. I. c. 14,15, 16.

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Imperiale, e lo splendor della porpora, piuttosto che lasuperiorità nel sapere o nella virtù, lo distingueva dallemolte migliaia di sudditi, che avevano abbracciato ledottrine del Cristianesimo. Nè si dee stimare incredibileche la mente d'un ignorante soldato avesse potuto cedereal peso dell'evidenza, che in un secolo più illuminato hasoddisfatto o sottomesso la ragione d'un Grozio, d'unPascal, o d'un Locke. Questo soldato, fra i continui tra-vagli del suo grand'uffizio, impiegava o affettavad'impiegar le ore della notte a diligentemente studiare laScrittura, ed a comporre discorsi teologici, che dipoi re-citava ad una copiosa udienza, la quale facevagli ap-plauso. In un discorso assai lungo, che tuttavia sussiste,si diffonde il reale Predicatore sulle diverse prove dellaReligione: ma si ferma con particolar compiacenza su'versi Sibillini60 e sull'Egloga quarta di Virgilio61. Qua-ranta anni prima della nascita di Cristo, il vate Mantova-no, quasi inspirato dalla celeste musa d'Isaia, aveva ce-lebrato con tutta la pompa della metafora Orientale il ri-torno della Vergine, la caduta del serpente, la prossimanascita d'un fanciullo divino, prole del gran Giove, chedoveva espiare la colpa dell'uman genere, e governar

60Vedi Const. Orat. ad Sanctos c. 10, 20. Egli specialmente si fonda sopraun misterioso acrostico, composto nel sesto secolo dopo il diluvio, dalla SibillaEritrea e da Cicerone tradotto in Latino. Le lettere iniziali de' trentaquattro ver-si Greci formano questa profetica sentenza: «Gesù Cristo, figlio di Dio, Salva-tore del Mondo».

61L'Imperatore, nella sua parafrasi di Virgilio, ha spesse volte aiutato e mi-gliorato il senso letterale del testo Latino. Vedi Blondel des Sybilles l. I. c. 14,15, 16.

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l'universo pacificamente colle virtù di suo padre; lospuntare e l'apparire d'una razza celeste, una primitivanazione sparsa pel Mondo, e la successiva restaurazionedell'innocenza e felicità del secolo d'oro. Il Poeta nonsapeva forse il segreto senso ed oggetto di tali sublimipredizioni, che si son tanto indegnamente applicate alpiccolo figlio d'un Console o d'un Triumviro62; ma seuna più splendida e veramente speciosa interpretazionedella quarta Egloga contribuì alla conversione del primoImperator Cristiano, Virgilio merita d'esser posto fra' piùefficaci Missionari dell'Evangelio63.

Si nascondevano i venerandi misteri della fede e delCulto Cristiano agli occhi degli stranieri ed eziandio de'Catecumeni con un'affettata segretezza, la quale nonserviva che ad eccitare la lor maraviglia e curiosità64.Ma le regole di severa disciplina, che la prudenza de'Vescovi avea stabilite; dalla prudenza medesima venne-ro mitigate in favore d'un proselito Imperiale, che tantoimportava d'indurre ad entrare, mediante ogni gentile

62Le varie pretensioni d'un figlio maggiore o minore di Pollione, di Giulio,di Druso, o di Marcello, si sono trovate incompatibili colla cronologia,coll'istoria e col buon senso di Virgilio.

63Vedi Lowth. De sacra Poesi Hebraeor. Praelect. XXI. p. 289, 293.Nell'esame dell'Egloga quarta il rispettabile Vescovo di Londra ha dimostratoerudizione, gusto, ingenuità, ed un moderato entusiasmo, che esalta la sua fan-tasia senza degradarne il giudizio.

64Thiers (Exposit. du Saint Sacrem. l. I. c. 8. 12. p. 59, 91) spiega moltogiudiziosamente la distinzione fra le parti pubbliche e le segrete del Divin Sa-crifizio, fra la missa Catechumenorum e la missa Fidelium, ed il misteriosovelo, che la pietà e la politica gettato aveva sopra l'ultima; ma siccome in que-sto punto i Papisti possono essere ragionevolmente sospetti, un lettor Prote-stante seguiterà con più sicurezza l'erudito Bingamo. Antiquit. l. X. c. 5.

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l'universo pacificamente colle virtù di suo padre; lospuntare e l'apparire d'una razza celeste, una primitivanazione sparsa pel Mondo, e la successiva restaurazionedell'innocenza e felicità del secolo d'oro. Il Poeta nonsapeva forse il segreto senso ed oggetto di tali sublimipredizioni, che si son tanto indegnamente applicate alpiccolo figlio d'un Console o d'un Triumviro62; ma seuna più splendida e veramente speciosa interpretazionedella quarta Egloga contribuì alla conversione del primoImperator Cristiano, Virgilio merita d'esser posto fra' piùefficaci Missionari dell'Evangelio63.

Si nascondevano i venerandi misteri della fede e delCulto Cristiano agli occhi degli stranieri ed eziandio de'Catecumeni con un'affettata segretezza, la quale nonserviva che ad eccitare la lor maraviglia e curiosità64.Ma le regole di severa disciplina, che la prudenza de'Vescovi avea stabilite; dalla prudenza medesima venne-ro mitigate in favore d'un proselito Imperiale, che tantoimportava d'indurre ad entrare, mediante ogni gentile

62Le varie pretensioni d'un figlio maggiore o minore di Pollione, di Giulio,di Druso, o di Marcello, si sono trovate incompatibili colla cronologia,coll'istoria e col buon senso di Virgilio.

63Vedi Lowth. De sacra Poesi Hebraeor. Praelect. XXI. p. 289, 293.Nell'esame dell'Egloga quarta il rispettabile Vescovo di Londra ha dimostratoerudizione, gusto, ingenuità, ed un moderato entusiasmo, che esalta la sua fan-tasia senza degradarne il giudizio.

64Thiers (Exposit. du Saint Sacrem. l. I. c. 8. 12. p. 59, 91) spiega moltogiudiziosamente la distinzione fra le parti pubbliche e le segrete del Divin Sa-crifizio, fra la missa Catechumenorum e la missa Fidelium, ed il misteriosovelo, che la pietà e la politica gettato aveva sopra l'ultima; ma siccome in que-sto punto i Papisti possono essere ragionevolmente sospetti, un lettor Prote-stante seguiterà con più sicurezza l'erudito Bingamo. Antiquit. l. X. c. 5.

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condescendenza, nel sen della Chiesa; ed a Costantinofu permesso, almeno con una tacita dispensa, di goderemoltissimi privilegi di Cristiano, prima di averne con-tratta veruna obbligazione. Invece di ritirarsi dall'assem-blea, quando la voce del Diacono licenziava la moltitu-dine profana, esso pregava co' Fedeli, disputava co' Ve-scovi, predicava sopra i più sublimi ed intricati argo-menti di Teologia, celebrava secondo i riti sacri la vigi-lia di Pasqua, e si dichiarava pubblicamente non solopartecipante, ma in qualche modo sacerdote e gerofantede' misteri Cristiani65. La vanità di Costantino potè arro-garsi qualche straordinaria distinzione, ed i suoi servigil'avevano meritata. Un rigore inopportuno avrebbe potu-to annebbiare i frutti non per anche maturi della suaconversione; e se rigorosamente si fosser chiuse le portedella Chiesa in faccia ad un Principe che aveva abban-donato gli altari degli Dei, il dominator dell'Impero sa-rebbe restato privo d'ogni specie di Culto religioso.Nell'ultima sua visita a Roma disapprovò egli piamenteed insultò la superstizione de' suoi maggiori, ricusandodi porsi alla testa della militar processione dell'ordineequestre, e di offerire pubblici voti al Giove del colleCapitolino66. Costantino, molti anni prima del suo batte-simo e della sua morte, aveva pubblicato al mondo, chenon si sarebbe più veduta nè la sua persona nè la sua im-

65Vedi Eusebio in vit. Constant. I. IV. c. 15-32 e tutto il tenore del sermonedi Costantino. La fede, e la devozione dell'Imperatore hanno somministrato alBaronio uno specioso argomento in favore del suo anticipato battesimo.

66Zosimo (l. II. p. 105).

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condescendenza, nel sen della Chiesa; ed a Costantinofu permesso, almeno con una tacita dispensa, di goderemoltissimi privilegi di Cristiano, prima di averne con-tratta veruna obbligazione. Invece di ritirarsi dall'assem-blea, quando la voce del Diacono licenziava la moltitu-dine profana, esso pregava co' Fedeli, disputava co' Ve-scovi, predicava sopra i più sublimi ed intricati argo-menti di Teologia, celebrava secondo i riti sacri la vigi-lia di Pasqua, e si dichiarava pubblicamente non solopartecipante, ma in qualche modo sacerdote e gerofantede' misteri Cristiani65. La vanità di Costantino potè arro-garsi qualche straordinaria distinzione, ed i suoi servigil'avevano meritata. Un rigore inopportuno avrebbe potu-to annebbiare i frutti non per anche maturi della suaconversione; e se rigorosamente si fosser chiuse le portedella Chiesa in faccia ad un Principe che aveva abban-donato gli altari degli Dei, il dominator dell'Impero sa-rebbe restato privo d'ogni specie di Culto religioso.Nell'ultima sua visita a Roma disapprovò egli piamenteed insultò la superstizione de' suoi maggiori, ricusandodi porsi alla testa della militar processione dell'ordineequestre, e di offerire pubblici voti al Giove del colleCapitolino66. Costantino, molti anni prima del suo batte-simo e della sua morte, aveva pubblicato al mondo, chenon si sarebbe più veduta nè la sua persona nè la sua im-

65Vedi Eusebio in vit. Constant. I. IV. c. 15-32 e tutto il tenore del sermonedi Costantino. La fede, e la devozione dell'Imperatore hanno somministrato alBaronio uno specioso argomento in favore del suo anticipato battesimo.

66Zosimo (l. II. p. 105).

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magine dentro le mura d'un tempio d'idoli, mentre spar-geva per le Province una quantità di medaglie e di pittu-re, che lo rappresentavano in una umile e supplichevolpositura di devozione Cristiana67.

Non si può facilmente spiegare e scusar l'orgoglio diCostantino, allorchè ricusò i soli diritti di Catecumeno;ma può ben giustificarsi la dilazione del suo battesimocolle massime e colla pratica dell'antica Chiesa. Il Sa-cramento del battesimo68 s'amministrava regolarmentedal Vescovo stesso coll'assistenza del Clero nella ChiesaCattedrale della Diocesi nello spazio de' cinquanta gior-ni, che passano fra le solennità della Pasqua e della Pen-tecoste, ed in questo sacro tempo si ammetteva un grannumero d'infanti e di adulti nel seno della Chiesa. La di-screzione de' genitori spesse volte sospendeva il battesi-mo de' loro figliuoli, finattanto che potessero intenderequali obbligazioni per mezzo di esso si contraevano; laseverità degli antichi Vescovi esigeva da' nuovi conver-titi un noviziato di due o tre anni; ed i Catecumeni stes-si, per diversi o temporali o spirituali motivi, di radoerano impazienti di ricevere il carattere di perfetti ediniziati Cristiani. Si supponeva, che il Sacramento del

67Eusebio in vit. Costant. I. IV. c. 15-16.68È stata copiosamente spiegata la teoria e la pratica dell'antichità rispetto al

Sacramento del battesimo da Chardon; (Hist. des Sacremens, Tom. I. p. 3-405)dal Martenne (De ritib. Eccl. antiq. Tom. I.) e dal Bingamo nel libro decimo eundecimo delle sue Antichità Cristiane. Si può notare una circostanza, in cui leChiese moderne si sono materialmente allontanate dal costume antico, cioè,che il Sacramento del battesimo (anche quando si amministrava agl'infanti) eraimmediatamente seguito dalla Confermazione e dalla sacra Eucaristia.

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magine dentro le mura d'un tempio d'idoli, mentre spar-geva per le Province una quantità di medaglie e di pittu-re, che lo rappresentavano in una umile e supplichevolpositura di devozione Cristiana67.

Non si può facilmente spiegare e scusar l'orgoglio diCostantino, allorchè ricusò i soli diritti di Catecumeno;ma può ben giustificarsi la dilazione del suo battesimocolle massime e colla pratica dell'antica Chiesa. Il Sa-cramento del battesimo68 s'amministrava regolarmentedal Vescovo stesso coll'assistenza del Clero nella ChiesaCattedrale della Diocesi nello spazio de' cinquanta gior-ni, che passano fra le solennità della Pasqua e della Pen-tecoste, ed in questo sacro tempo si ammetteva un grannumero d'infanti e di adulti nel seno della Chiesa. La di-screzione de' genitori spesse volte sospendeva il battesi-mo de' loro figliuoli, finattanto che potessero intenderequali obbligazioni per mezzo di esso si contraevano; laseverità degli antichi Vescovi esigeva da' nuovi conver-titi un noviziato di due o tre anni; ed i Catecumeni stes-si, per diversi o temporali o spirituali motivi, di radoerano impazienti di ricevere il carattere di perfetti ediniziati Cristiani. Si supponeva, che il Sacramento del

67Eusebio in vit. Costant. I. IV. c. 15-16.68È stata copiosamente spiegata la teoria e la pratica dell'antichità rispetto al

Sacramento del battesimo da Chardon; (Hist. des Sacremens, Tom. I. p. 3-405)dal Martenne (De ritib. Eccl. antiq. Tom. I.) e dal Bingamo nel libro decimo eundecimo delle sue Antichità Cristiane. Si può notare una circostanza, in cui leChiese moderne si sono materialmente allontanate dal costume antico, cioè,che il Sacramento del battesimo (anche quando si amministrava agl'infanti) eraimmediatamente seguito dalla Confermazione e dalla sacra Eucaristia.

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battesimo contenesse una piena ed assoluta purgazion diogni colpa; e che l'anima riacquistasse istantaneamentel'originale sua purità ed il diritto alla promessa dellaeterna salute. Fra' proseliti del Cristianesimo v'eranomolti, che stimavano un'imprudenza il precipitare unrito salutevole, che non potea più ripetersi, e lo spogliar-si d'un inestimabile privilegio, che non potea più riac-quistarsi. Differendo il battesimo, potevano arrischiarsia soddisfare liberamente le loro passioni col godere diquesto Mondo, giacchè avevano sempre in mano i mez-zi d'una sicura e facile assoluzione69. La sublime teoriadel Vangelo aveva fatto un'impressione molto più debo-le nel cuore che nella mente di Costantino medesimo.Egli tendeva al grand'oggetto della sua ambizione pe'sanguinosi ed oscuri sentieri della guerra e della politi-ca, e dopo la vittoria s'abbandonava senza moderazioneall'abuso della sua fortuna. Invece di sostenere la suagiusta superiorità sopra l'imperfetto eroismo e la profana

69I Padri, che censuravano questa colpevole dilazione, non potevano peral-tro negare la certa e vittoriosa efficacia del battesimo, preso anche vicino allamorte. L'ingegnosa eloquenza di Grisostomo non potè trovare che tre argomen-ti contro questi prudenti Cristiani. 1. Che noi dobbiamo amare e seguir la virtùper amor di lei stessa, e non puramente pel premio che ne proviene. 2. Chepossiamo esser sorpresi dalla morte senz'aver comodo del battesimo. 3. Chequantunque siamo per aver luogo nel Cielo, pure non vi risplenderemo, checome piccole stelle, in paragone di que' soli di giustizia, che avran percorsa lalor carriera con travagli, con successo e con gloria. Chrysost. in Epist. adHebraeos, Homel. 13. ap. Chardon. Hist. des Sacrem. (Tom. I. p. 49). Io credoche tal dilazione di battesimo, quantunque soggetta alle più perniciose conse-guenze, non fosse però mai condannata da verun Concilio generale o provin-ciale, nè da verun pubblico atto, o dichiarazione della Chiesa. Facilmentes'accendeva lo zelo de' Vescovi in molte anche più leggiere occasioni.

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battesimo contenesse una piena ed assoluta purgazion diogni colpa; e che l'anima riacquistasse istantaneamentel'originale sua purità ed il diritto alla promessa dellaeterna salute. Fra' proseliti del Cristianesimo v'eranomolti, che stimavano un'imprudenza il precipitare unrito salutevole, che non potea più ripetersi, e lo spogliar-si d'un inestimabile privilegio, che non potea più riac-quistarsi. Differendo il battesimo, potevano arrischiarsia soddisfare liberamente le loro passioni col godere diquesto Mondo, giacchè avevano sempre in mano i mez-zi d'una sicura e facile assoluzione69. La sublime teoriadel Vangelo aveva fatto un'impressione molto più debo-le nel cuore che nella mente di Costantino medesimo.Egli tendeva al grand'oggetto della sua ambizione pe'sanguinosi ed oscuri sentieri della guerra e della politi-ca, e dopo la vittoria s'abbandonava senza moderazioneall'abuso della sua fortuna. Invece di sostenere la suagiusta superiorità sopra l'imperfetto eroismo e la profana

69I Padri, che censuravano questa colpevole dilazione, non potevano peral-tro negare la certa e vittoriosa efficacia del battesimo, preso anche vicino allamorte. L'ingegnosa eloquenza di Grisostomo non potè trovare che tre argomen-ti contro questi prudenti Cristiani. 1. Che noi dobbiamo amare e seguir la virtùper amor di lei stessa, e non puramente pel premio che ne proviene. 2. Chepossiamo esser sorpresi dalla morte senz'aver comodo del battesimo. 3. Chequantunque siamo per aver luogo nel Cielo, pure non vi risplenderemo, checome piccole stelle, in paragone di que' soli di giustizia, che avran percorsa lalor carriera con travagli, con successo e con gloria. Chrysost. in Epist. adHebraeos, Homel. 13. ap. Chardon. Hist. des Sacrem. (Tom. I. p. 49). Io credoche tal dilazione di battesimo, quantunque soggetta alle più perniciose conse-guenze, non fosse però mai condannata da verun Concilio generale o provin-ciale, nè da verun pubblico atto, o dichiarazione della Chiesa. Facilmentes'accendeva lo zelo de' Vescovi in molte anche più leggiere occasioni.

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filosofia di Traiano e degli Antonini, l'età matura di Co-stantino distrusse la riputazione che aveva acquistatanella sua gioventù. A misura che di grado in grado avan-zava nella cognizione della verità, declinava nella prati-ca della virtù: e quel medesimo anno del suo regno, incui convocò il Concilio di Nicea, fu macchiato dallaesecuzione o piuttosto dall'assassinio del suo maggiorfiglio. Questa data è per sè sola sufficiente a confutare lemaliziose ed ignoranti suggestioni di Zosimo70, il qualeasserisce, che dopo la morte di Crispo, il rimorso del pa-dre ricevè da' ministri del Cristianesimo quell'espiazio-ne, che aveva inutilmente richiesta ai Pontefici Pagani.Al tempo della morte di Crispo, l'Imperatore non potevapiù essere dubbioso intorno la scelta d'una religione, enon poteva più ignorare che la Chiesa possedeva un in-fallibil rimedio, quantunque egli volesse differirnel'applicazione insino a che l'approssimarsi della morteavesse allontanato il pericolo e la tentazione di ricadere.I Vescovi, che nell'ultima sua malattia aveva chiamati alpalazzo di Nicomedia, restarono edificati dal fervore,con cui egli chiese e ricevè il Sacramento del battesimo,dalle solenni proteste, che il rimanente della sua vita sa-rebbe stato degno d'un discepolo di Cristo, e dall'umilproposito che fece di non portar più la porpora Imperia-le dopo d'essersi poste le bianche vesti di neofito. Parve

70Zosimo I. II. p. 104. Per questa non ingenua falsità egli ha meritato e pro-vato i trattamenti più duri da tutti gli Scrittori Ecclesiastici, eccetto che dalCardinal Baronio (l'An. 324. n. 15-28) il quale aveva bisogno di servirsidell'autorità dell'Istoria infedele in una particolare occasione contro l'ArianoEusebio.

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filosofia di Traiano e degli Antonini, l'età matura di Co-stantino distrusse la riputazione che aveva acquistatanella sua gioventù. A misura che di grado in grado avan-zava nella cognizione della verità, declinava nella prati-ca della virtù: e quel medesimo anno del suo regno, incui convocò il Concilio di Nicea, fu macchiato dallaesecuzione o piuttosto dall'assassinio del suo maggiorfiglio. Questa data è per sè sola sufficiente a confutare lemaliziose ed ignoranti suggestioni di Zosimo70, il qualeasserisce, che dopo la morte di Crispo, il rimorso del pa-dre ricevè da' ministri del Cristianesimo quell'espiazio-ne, che aveva inutilmente richiesta ai Pontefici Pagani.Al tempo della morte di Crispo, l'Imperatore non potevapiù essere dubbioso intorno la scelta d'una religione, enon poteva più ignorare che la Chiesa possedeva un in-fallibil rimedio, quantunque egli volesse differirnel'applicazione insino a che l'approssimarsi della morteavesse allontanato il pericolo e la tentazione di ricadere.I Vescovi, che nell'ultima sua malattia aveva chiamati alpalazzo di Nicomedia, restarono edificati dal fervore,con cui egli chiese e ricevè il Sacramento del battesimo,dalle solenni proteste, che il rimanente della sua vita sa-rebbe stato degno d'un discepolo di Cristo, e dall'umilproposito che fece di non portar più la porpora Imperia-le dopo d'essersi poste le bianche vesti di neofito. Parve

70Zosimo I. II. p. 104. Per questa non ingenua falsità egli ha meritato e pro-vato i trattamenti più duri da tutti gli Scrittori Ecclesiastici, eccetto che dalCardinal Baronio (l'An. 324. n. 15-28) il quale aveva bisogno di servirsidell'autorità dell'Istoria infedele in una particolare occasione contro l'ArianoEusebio.

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che l'esempio e la riputazione di Costantino rendesseplausibile la dilazione del battesimo71. I tiranni, che ven-nero dopo di lui, presero animo a credere che le macchiedel sangue innocente, che avessero potuto spargere in unlungo regno, si sarebbero ad un tratto lavate nelle acquedi rigenerazione; e l'abuso della religione pericolosa-mente attaccava i fondamenti della virtù morale.

La gratitudine della Chiesa ha esaltato le virtù, e scu-sati i difetti d'un generoso protettore, che collocò il Cri-stianesimo sul trono del Mondo Romano; ed i Greci, checelebrano la festa del Santo Imperiale, rare volte ram-mentano il nome di Costantino senza aggiungervi il tito-lo di uguale agli Apostoli72. Tale paragone, se allude alcarattere di que' Missionari divini, non può attribuirsiche alla stravaganza d'una empia adulazione; ma se ri-stringasi all'estensione ed al numero dell'Evangelicheloro vittorie, il successo di Costantino potrebbe forseuguagliarsi a quello degli Apostoli stessi. Cogli editti ditolleranza egli tolse que' temporali svantaggi, che ave-van ritardato fin'allora il progresso del Cristianesimo, egli attivi e numerosi Ministri di questo ebbero una liberapermissione ed un generoso incoraggiamento per insi-nuare le salutari verità della Rivelazione con qualunquesorta d'argomento, che potesse muovere la ragione o lapietà del genere umano. Non sussistè più che un mo-

71Eusebio l. IV. c. 61, 62, 63. Il Vescovo di Cesarea suppone colla più per-fetta sicurezza la salvazione di Costantino.

72Vedi Tillemont Hist. des Emper. Tom. IV p. 249. I Greci, i Russi, ed i Lati-ni stessi, ne' secoli più tenebrosi, hanno desiderato di porre Costantino nel Ca-talogo de' Santi.

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che l'esempio e la riputazione di Costantino rendesseplausibile la dilazione del battesimo71. I tiranni, che ven-nero dopo di lui, presero animo a credere che le macchiedel sangue innocente, che avessero potuto spargere in unlungo regno, si sarebbero ad un tratto lavate nelle acquedi rigenerazione; e l'abuso della religione pericolosa-mente attaccava i fondamenti della virtù morale.

La gratitudine della Chiesa ha esaltato le virtù, e scu-sati i difetti d'un generoso protettore, che collocò il Cri-stianesimo sul trono del Mondo Romano; ed i Greci, checelebrano la festa del Santo Imperiale, rare volte ram-mentano il nome di Costantino senza aggiungervi il tito-lo di uguale agli Apostoli72. Tale paragone, se allude alcarattere di que' Missionari divini, non può attribuirsiche alla stravaganza d'una empia adulazione; ma se ri-stringasi all'estensione ed al numero dell'Evangelicheloro vittorie, il successo di Costantino potrebbe forseuguagliarsi a quello degli Apostoli stessi. Cogli editti ditolleranza egli tolse que' temporali svantaggi, che ave-van ritardato fin'allora il progresso del Cristianesimo, egli attivi e numerosi Ministri di questo ebbero una liberapermissione ed un generoso incoraggiamento per insi-nuare le salutari verità della Rivelazione con qualunquesorta d'argomento, che potesse muovere la ragione o lapietà del genere umano. Non sussistè più che un mo-

71Eusebio l. IV. c. 61, 62, 63. Il Vescovo di Cesarea suppone colla più per-fetta sicurezza la salvazione di Costantino.

72Vedi Tillemont Hist. des Emper. Tom. IV p. 249. I Greci, i Russi, ed i Lati-ni stessi, ne' secoli più tenebrosi, hanno desiderato di porre Costantino nel Ca-talogo de' Santi.

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mento la bilancia esatta fra le due religioni; e l'occhiopenetrante dell'ambizione e dell'avarizia scoprì ben pre-sto, che la professione del Cristianesimo potea contri-buire al vantaggio della vita presente non meno che del-la futura73. Le speranze di ricchezze e di onori, l'esempiod'un Imperatore, e le sue esortazioni, gli irresistibili suoiallettamenti convincevano la venale ossequiosa turba,che ordinariamente riempie gli appartamenti della reg-gia. Le città che con un pronto zelo si segnalavano, me-diante la volontaria distruzione de' loro templi, venivandistinte con privilegi municipali, e premiate con popola-ri donativi; e la nuova Capitale dell'Oriente gloriavasidel singolar pregio, che Costantinopoli non era stata maiprofanata dal culto degl'idoli74. Siccome le classi infe-riori della società non regolate dall'imitazione, così laconversione di quelli, che avevano qualche superioritàdi nascita, di potere o di ricchezze veniva tosto seguìtadalla dipendente moltitudine75. Era molto facile conse-

73Vedi il III. e IV. lib. della sua vita. Egli era solito dire, che o si fosse pre-dicato Cristo colle labbra, ovvero col cuore, esso ne avrebbe sempre goduto. (l.III. c. 58.)

74Il Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV. p. 374, 616) ha difeso con forza econ spirito la virginal purità di Costantinopoli contro alcuni maligni passi delPagano Zosimo.

75L'Autore dell'Istoria polit. e filosof. delle due Indie (Tom. I. p. 9.) condan-na una legge di Costantino, che compartiva la libertà a tutti gli schiavi, cheavessero abbracciato il Cristianesimo. L'Imperatore promulgò veramente unalegge che proibiva agli Ebrei di circoncidere, e forse di tenere alcuno schiavoCristiano. Vedi Eusebio in vit. Const. l. IV c. 27 ed il Cod. Teod. lib. XVI. Tit.IX col Comment. del Gottofredo Tom. VI. p. 247. Ma tale imperfetta eccezionesi riferiva solo agli Ebrei, ed il gran numero di schiavi, ch'erano in potere dipadroni o Cristiani o Pagani, non poteva migliorare la propria condizione tem-

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mento la bilancia esatta fra le due religioni; e l'occhiopenetrante dell'ambizione e dell'avarizia scoprì ben pre-sto, che la professione del Cristianesimo potea contri-buire al vantaggio della vita presente non meno che del-la futura73. Le speranze di ricchezze e di onori, l'esempiod'un Imperatore, e le sue esortazioni, gli irresistibili suoiallettamenti convincevano la venale ossequiosa turba,che ordinariamente riempie gli appartamenti della reg-gia. Le città che con un pronto zelo si segnalavano, me-diante la volontaria distruzione de' loro templi, venivandistinte con privilegi municipali, e premiate con popola-ri donativi; e la nuova Capitale dell'Oriente gloriavasidel singolar pregio, che Costantinopoli non era stata maiprofanata dal culto degl'idoli74. Siccome le classi infe-riori della società non regolate dall'imitazione, così laconversione di quelli, che avevano qualche superioritàdi nascita, di potere o di ricchezze veniva tosto seguìtadalla dipendente moltitudine75. Era molto facile conse-

73Vedi il III. e IV. lib. della sua vita. Egli era solito dire, che o si fosse pre-dicato Cristo colle labbra, ovvero col cuore, esso ne avrebbe sempre goduto. (l.III. c. 58.)

74Il Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV. p. 374, 616) ha difeso con forza econ spirito la virginal purità di Costantinopoli contro alcuni maligni passi delPagano Zosimo.

75L'Autore dell'Istoria polit. e filosof. delle due Indie (Tom. I. p. 9.) condan-na una legge di Costantino, che compartiva la libertà a tutti gli schiavi, cheavessero abbracciato il Cristianesimo. L'Imperatore promulgò veramente unalegge che proibiva agli Ebrei di circoncidere, e forse di tenere alcuno schiavoCristiano. Vedi Eusebio in vit. Const. l. IV c. 27 ed il Cod. Teod. lib. XVI. Tit.IX col Comment. del Gottofredo Tom. VI. p. 247. Ma tale imperfetta eccezionesi riferiva solo agli Ebrei, ed il gran numero di schiavi, ch'erano in potere dipadroni o Cristiani o Pagani, non poteva migliorare la propria condizione tem-

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guir la salvazione del comun popolo, se è vero che aRoma in un anno si battezzarono dodicimila uomini, ol-tre un proporzionato numero di donne e di fanciulli, eche l'Imperatore aveva promesso ad ogni convertito unabito bianco con venti monete d'oro76. Il potente influssodi Costantino non fu ristretto agli angusti limiti della suavita o de' suoi dominj. L'educazione, ch'egli diede a'suoi figli e nipoti, assicurò all'Impero una famiglia diPrincipi, la fede de' quali riusciva sempre più viva e sin-cera, poichè nella più tenera infanzia s'insinuava loro lospirito, o almeno la dottrina del Cristianesimo. La guer-ra ed il commercio avevano sparso la cognizionedell'Evangelio oltre i confini delle Province Romane; edi Barbari, che avevano sdegnato di seguire una settaumile e proscritta, ben presto appresero a stimare unareligione, che si era di fresco abbracciata dal Monarcapiù grande, e della nazione più culta del globo77. I Goti

porale col cangiare di religione. Io non so da quali guide restasse ingannatol'Abbate Raynal; mentre l'assoluta mancanza di citazioni è un imperdonabiledifetto della sua piacevole Istoria.

76Vedi Act. S. Silvestri, e Niceph. Callist. Hist. Eccl. l. VII c. 34. ap. Baron.Accl. an. 324. n. 67, 74. Tale autorità veramente non è molto pregevole, maqueste circostanze per loro medesime son tanto probabili, che l'erudito Dr. Ho-well (Istor. del Mond. Vol. III. pag. 14) non ha avuto scrupolo d'adottarle pervere.

77Si celebra la conversione de' Barbari sotto il regno di Costantinodagl'Istorici Ecclesiastici (Vedi Sozom. l. II. c. 5 e Teodoret. l. I. c. 23, 24). MaRuffino, traduttore Latino d'Eusebio, merita d'essere considerato come un Au-tore originale. Le sue notizie erano tratte diligentemente da uno dei compagnidell'Apostolo dell'Etiopia, e da Bacurio Principe Ibero, ch'era Conte de' Dome-stici. Il P. Mamacchi ha dato un ampio ragguaglio del progresso del Cristiane-simo nel primo e secondo volume della grande ma imperfetta sua opera.

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guir la salvazione del comun popolo, se è vero che aRoma in un anno si battezzarono dodicimila uomini, ol-tre un proporzionato numero di donne e di fanciulli, eche l'Imperatore aveva promesso ad ogni convertito unabito bianco con venti monete d'oro76. Il potente influssodi Costantino non fu ristretto agli angusti limiti della suavita o de' suoi dominj. L'educazione, ch'egli diede a'suoi figli e nipoti, assicurò all'Impero una famiglia diPrincipi, la fede de' quali riusciva sempre più viva e sin-cera, poichè nella più tenera infanzia s'insinuava loro lospirito, o almeno la dottrina del Cristianesimo. La guer-ra ed il commercio avevano sparso la cognizionedell'Evangelio oltre i confini delle Province Romane; edi Barbari, che avevano sdegnato di seguire una settaumile e proscritta, ben presto appresero a stimare unareligione, che si era di fresco abbracciata dal Monarcapiù grande, e della nazione più culta del globo77. I Goti

porale col cangiare di religione. Io non so da quali guide restasse ingannatol'Abbate Raynal; mentre l'assoluta mancanza di citazioni è un imperdonabiledifetto della sua piacevole Istoria.

76Vedi Act. S. Silvestri, e Niceph. Callist. Hist. Eccl. l. VII c. 34. ap. Baron.Accl. an. 324. n. 67, 74. Tale autorità veramente non è molto pregevole, maqueste circostanze per loro medesime son tanto probabili, che l'erudito Dr. Ho-well (Istor. del Mond. Vol. III. pag. 14) non ha avuto scrupolo d'adottarle pervere.

77Si celebra la conversione de' Barbari sotto il regno di Costantinodagl'Istorici Ecclesiastici (Vedi Sozom. l. II. c. 5 e Teodoret. l. I. c. 23, 24). MaRuffino, traduttore Latino d'Eusebio, merita d'essere considerato come un Au-tore originale. Le sue notizie erano tratte diligentemente da uno dei compagnidell'Apostolo dell'Etiopia, e da Bacurio Principe Ibero, ch'era Conte de' Dome-stici. Il P. Mamacchi ha dato un ampio ragguaglio del progresso del Cristiane-simo nel primo e secondo volume della grande ma imperfetta sua opera.

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ed i Germani, che s'arrolavano sotto gli stendardi diRoma, veneravan la croce, che risplendeva alla testadelle legioni, ed i fieri lor Nazionali ricevevan nel tem-po stesso le lezioni della fede e quelle dell'umanità. I Redell'Iberia e dell'Armenia adoravano il Dio del lor pro-tettore; ed i loro sudditi, che hanno invariabilmente con-servato il nome di Cristiani, tosto formarono una sacra eperpetua connessione co' Romani loro fratelli. I Cristianidella Persia in tempo di guerra si sospettava che prefe-rissero la religione alla patria; ma finchè sussisteva lapace fra i due Imperi, lo spirito persecutore de' Magi ve-niva efficacemente represso dall'intercessione di Costan-tino78. I raggi del Vangelo illuminarono la costadell'India. Le colonie di Ebrei, ch'erano penetratenell'Arabia e nell'Etiopia79, s'opposero al progresso delCristianesimo; ma il lavoro de' Missionari fu in qualchemodo facilitato da una precedente cognizione della Ri-velazione Mosaica; e l'Abissinia venera tuttavia la me-moria di Frumenzio, che nel tempo di Costantino sacri-ficò la sua vita per la conversione di que' remoti paesi.Sotto il Regno del suo figlio Costanzo, Teofilo80, ch'era

78Vedi appresso Eusebio (in vit. Constan. l. IV. c. 9) la pressante e pateticalettera di Costantino in favore de' suoi Cristiani fratelli della Persia.

79Vedi Basnage Hist. des Juifs. T. VII. p. 182. T. VIII. p. 333. T. IX. p. 810.La curiosa diligenza di questo Scrittore seguita gli esiliati Giudei sino all'estre-mità del globo.

80Teofilo nella sua puerizia era stato dato in ostaggio da' suoi nazionalidell'Isola di Diva, ed era stato educato dai Romani nelle lettere e nella pietà. LeMaldive, delle quali forse Male o Diva è la capitale, sono un complesso di1900 o 2000 piccole isole nell'Oceano Indico. Gli Antichi avevano imperfettanotizia delle Maldive; ma si trovan descritte nei due viaggiatori Maomettani

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ed i Germani, che s'arrolavano sotto gli stendardi diRoma, veneravan la croce, che risplendeva alla testadelle legioni, ed i fieri lor Nazionali ricevevan nel tem-po stesso le lezioni della fede e quelle dell'umanità. I Redell'Iberia e dell'Armenia adoravano il Dio del lor pro-tettore; ed i loro sudditi, che hanno invariabilmente con-servato il nome di Cristiani, tosto formarono una sacra eperpetua connessione co' Romani loro fratelli. I Cristianidella Persia in tempo di guerra si sospettava che prefe-rissero la religione alla patria; ma finchè sussisteva lapace fra i due Imperi, lo spirito persecutore de' Magi ve-niva efficacemente represso dall'intercessione di Costan-tino78. I raggi del Vangelo illuminarono la costadell'India. Le colonie di Ebrei, ch'erano penetratenell'Arabia e nell'Etiopia79, s'opposero al progresso delCristianesimo; ma il lavoro de' Missionari fu in qualchemodo facilitato da una precedente cognizione della Ri-velazione Mosaica; e l'Abissinia venera tuttavia la me-moria di Frumenzio, che nel tempo di Costantino sacri-ficò la sua vita per la conversione di que' remoti paesi.Sotto il Regno del suo figlio Costanzo, Teofilo80, ch'era

78Vedi appresso Eusebio (in vit. Constan. l. IV. c. 9) la pressante e pateticalettera di Costantino in favore de' suoi Cristiani fratelli della Persia.

79Vedi Basnage Hist. des Juifs. T. VII. p. 182. T. VIII. p. 333. T. IX. p. 810.La curiosa diligenza di questo Scrittore seguita gli esiliati Giudei sino all'estre-mità del globo.

80Teofilo nella sua puerizia era stato dato in ostaggio da' suoi nazionalidell'Isola di Diva, ed era stato educato dai Romani nelle lettere e nella pietà. LeMaldive, delle quali forse Male o Diva è la capitale, sono un complesso di1900 o 2000 piccole isole nell'Oceano Indico. Gli Antichi avevano imperfettanotizia delle Maldive; ma si trovan descritte nei due viaggiatori Maomettani

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Indiano d'origine, fu investito del doppio carattered'Ambasciatore e di Vescovo. Egli s'imbarcò sul marRosso con dugento cavalli delle razze più pure dellaCappadocia, i quali eran mandati dall'Imperatore alPrincipe de' Sabei o degli Omeriti. A Teofilo furono af-fidati molti altri utili o curiosi regali, che potevano ecci-tare l'ammirazione, e conciliar l'amicizia de' Barbari, edesso impiegò con vantaggio molti anni in una visita pa-storale alle Chiese della Zona torrida81.

Nell'importante e pericoloso cambiamento della Reli-gion nazionale si manifestò l'irresistibile poteredegl'Imperatori Romani. I terrori d'una forza militareimposero silenzio al debole e non sostenuto mormorarde' Pagani, e v'era motivo di credere, che una volontariasommissione del Clero non men che del popolo Cristia-no sarebbe stata l'effetto della coscienza e della gratitu-dine. Da lungo tempo era già stabilito come una massi-ma fondamentale della costituzione di Roma, che ogniclasse di cittadini fosse ugualmente sottoposta alle leggi,e che la cura della Religione fosse un diritto ed un dove-re del Magistrato civile. Costantino ed i suoi successorinon potevan facilmente persuadersi di aver perduto, me-diante la lor conversione, parte veruna delle prerogativeImperiali, o di essere inabili a dar leggi ad una Religio-

del nono secolo, pubblicati dal Renaudot. Geogr. Nubiens. p. 30, 31.D'Herbelot[**] Biblioth. Orient. p. 704. Hist. gener. des voyages Tom. VIII.

[**nell'originale D'Herbeloi Nota per l'edizione elettronica Manuzio]81Filostorgio (l. III. c. 4, 5, 6.) coll'erudite osservazioni del Gottofredo. La

narrazione istorica presto si perde in una ricerca intorno alla sede del Paradiso,a strani mostri ec.

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Indiano d'origine, fu investito del doppio carattered'Ambasciatore e di Vescovo. Egli s'imbarcò sul marRosso con dugento cavalli delle razze più pure dellaCappadocia, i quali eran mandati dall'Imperatore alPrincipe de' Sabei o degli Omeriti. A Teofilo furono af-fidati molti altri utili o curiosi regali, che potevano ecci-tare l'ammirazione, e conciliar l'amicizia de' Barbari, edesso impiegò con vantaggio molti anni in una visita pa-storale alle Chiese della Zona torrida81.

Nell'importante e pericoloso cambiamento della Reli-gion nazionale si manifestò l'irresistibile poteredegl'Imperatori Romani. I terrori d'una forza militareimposero silenzio al debole e non sostenuto mormorarde' Pagani, e v'era motivo di credere, che una volontariasommissione del Clero non men che del popolo Cristia-no sarebbe stata l'effetto della coscienza e della gratitu-dine. Da lungo tempo era già stabilito come una massi-ma fondamentale della costituzione di Roma, che ogniclasse di cittadini fosse ugualmente sottoposta alle leggi,e che la cura della Religione fosse un diritto ed un dove-re del Magistrato civile. Costantino ed i suoi successorinon potevan facilmente persuadersi di aver perduto, me-diante la lor conversione, parte veruna delle prerogativeImperiali, o di essere inabili a dar leggi ad una Religio-

del nono secolo, pubblicati dal Renaudot. Geogr. Nubiens. p. 30, 31.D'Herbelot[**] Biblioth. Orient. p. 704. Hist. gener. des voyages Tom. VIII.

[**nell'originale D'Herbeloi Nota per l'edizione elettronica Manuzio]81Filostorgio (l. III. c. 4, 5, 6.) coll'erudite osservazioni del Gottofredo. La

narrazione istorica presto si perde in una ricerca intorno alla sede del Paradiso,a strani mostri ec.

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ne, ch'essi avevan protetta ed abbracciata. Gl'Imperatoricontinuarono sempre ad esercitare una suprema giurisdi-zione sopra il ceto Ecclesiastico; ed il libro decimosestodel Codice Teodosiano dimostra in vari Titoli l'autorità,ch'essi assunsero nel governo della Chiesa Cattolica.

Ma il legittimo stabilimento del Cristianesimo intro-dusse e confermò la distinzione fra la potestà spiritualee la temporale82, che non erasi mai potuta imporre sullospirito libero della Grecia e di Roma. L'uffizio di Som-mo Pontefice, che dal tempo di Numa fino ad Augustos'era sempre esercitato da uno dei più eminenti Senatori,restò finalmente unito all'Imperial dignità. Il primo Ma-gistrato dello Stato, ogni volta che la superstizione o lapolitica lo richiedeva, faceva in persona le funzioni sa-cerdotali83; nè trovavasi o a Roma o nelle Province al-cun ordine di sacerdoti, che s'attribuissero un caratterepiù sacro fra gli uomini, o una più intima comunicazio-ne cogli Dei. Ma nella Chiesa Cristiana, che affida il mi-nistero dell'Altare ad una perpetua successione di sacriMinistri, il Monarca, la cui dignità spirituale è menoonorevole di quella del minimo Diacono, era collocatofuori del recinto del Santuario, e confuso col resto della

82Vedi l'Epist. d'Osio presso Atanasio vol. I. p. 840. La pubblica rimostran-za, che Osio fu costretto d'indirizzare al figlio, conteneva i medesimi principjdi governo Ecclesiastico e Civile, ch'esso aveva secretamente instillati nellamente del padre.

83Il Sig. della Bastia (Mem. de l'Acad. de Inscr. T. XV. p. 386) ha evidente-mente provato, che Augusto, e i suoi successori esercitavano in persona tutte lefunzioni sacre di Pontefice Massimo, o di Sommo Sacerdote del Romano Im-pero.

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ne, ch'essi avevan protetta ed abbracciata. Gl'Imperatoricontinuarono sempre ad esercitare una suprema giurisdi-zione sopra il ceto Ecclesiastico; ed il libro decimosestodel Codice Teodosiano dimostra in vari Titoli l'autorità,ch'essi assunsero nel governo della Chiesa Cattolica.

Ma il legittimo stabilimento del Cristianesimo intro-dusse e confermò la distinzione fra la potestà spiritualee la temporale82, che non erasi mai potuta imporre sullospirito libero della Grecia e di Roma. L'uffizio di Som-mo Pontefice, che dal tempo di Numa fino ad Augustos'era sempre esercitato da uno dei più eminenti Senatori,restò finalmente unito all'Imperial dignità. Il primo Ma-gistrato dello Stato, ogni volta che la superstizione o lapolitica lo richiedeva, faceva in persona le funzioni sa-cerdotali83; nè trovavasi o a Roma o nelle Province al-cun ordine di sacerdoti, che s'attribuissero un caratterepiù sacro fra gli uomini, o una più intima comunicazio-ne cogli Dei. Ma nella Chiesa Cristiana, che affida il mi-nistero dell'Altare ad una perpetua successione di sacriMinistri, il Monarca, la cui dignità spirituale è menoonorevole di quella del minimo Diacono, era collocatofuori del recinto del Santuario, e confuso col resto della

82Vedi l'Epist. d'Osio presso Atanasio vol. I. p. 840. La pubblica rimostran-za, che Osio fu costretto d'indirizzare al figlio, conteneva i medesimi principjdi governo Ecclesiastico e Civile, ch'esso aveva secretamente instillati nellamente del padre.

83Il Sig. della Bastia (Mem. de l'Acad. de Inscr. T. XV. p. 386) ha evidente-mente provato, che Augusto, e i suoi successori esercitavano in persona tutte lefunzioni sacre di Pontefice Massimo, o di Sommo Sacerdote del Romano Im-pero.

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moltitudine fedele84. Pareva salutarsi l'Imperatore comePadre del suo Popolo, ma esso dovea prestare un rispet-to ed una reverenza filiale a' Padri della Chiesa; e benpresto l'orgoglio dell'Ordine Episcopale pretese i mede-simi segni di ossequio, che Costantino aveva usato ver-so le persone de' Santi e dei Confessori85. Un segretocontrasto fra la Giurisdizione Civile e l'Ecclesiastica im-barazzava le operazioni del Governo Romano; e la colpaed il pericolo di toccar con mano profana l'arca del Te-stamento agitava un pio Imperatore. La separazione invero degli uomini ne' due ordini dello stato clericale elaicale era comune appresso molte antiche Nazioni; ed iSacerdoti dell'India, della Persia, dell'Assiria, della Giu-dea, della Etiopia, dell'Egitto e della Gallia riconosceva-no da un'origine celeste il poter temporale, ed i beni cheavevano acquistati. Queste venerabili istituzioni s'eranoa grado a grado assimilate a' costumi e al governo de' re-spettivi loro paesi86; ma l'opposizione o il disprezzo del-

84Era insensibilmente prevalsa una pratica alquanto contraria nella Chiesadi Costantinopoli; ma il rigido Ambrogio comandò a Teodosio di ritirarsi fuoridel recinto, e gl'insegnò a conoscer la differenza che corre fra un Re ed un Sa-cerdote. Vedi Teodoreto (l. V. c. 18).

85Alla mensa dell'Imperator Massimo, Martino Vescovo di Tours ricevè lacoppa da un famigliare, e la porse al Prete suo compagno avanti di permettereall'Imperatore che bevesse; e l'Imperatrice serviva Martino medesimo a tavola.Sulpic. Sever. in vita S. Martini c. 23. e dial. H. 7. Pure può dubitarsi se talistraordinari complimenti eran fatti al Vescovo o al Santo. Si possono vedere glionori, che ordinariamente si prestavano al carattere Episcopale appresso il Bin-gamo (Antiq. l. II. c. 9) e Valesio (ad Theodoret. l. IV. c. 6.) Vedasi l'altiero Ce-remoniale, che Leonzio Vescovo di Tripoli prescrisse all'Imperatrice in Tille-mont. Hist. des Emp. Tom. IV. p. 754. Patr. Apostol. Tom. II. p. 179.

86Plutarco, nel suo Trattato d'Iside e Osiride, racconta che i Re dell'Egitto,

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moltitudine fedele84. Pareva salutarsi l'Imperatore comePadre del suo Popolo, ma esso dovea prestare un rispet-to ed una reverenza filiale a' Padri della Chiesa; e benpresto l'orgoglio dell'Ordine Episcopale pretese i mede-simi segni di ossequio, che Costantino aveva usato ver-so le persone de' Santi e dei Confessori85. Un segretocontrasto fra la Giurisdizione Civile e l'Ecclesiastica im-barazzava le operazioni del Governo Romano; e la colpaed il pericolo di toccar con mano profana l'arca del Te-stamento agitava un pio Imperatore. La separazione invero degli uomini ne' due ordini dello stato clericale elaicale era comune appresso molte antiche Nazioni; ed iSacerdoti dell'India, della Persia, dell'Assiria, della Giu-dea, della Etiopia, dell'Egitto e della Gallia riconosceva-no da un'origine celeste il poter temporale, ed i beni cheavevano acquistati. Queste venerabili istituzioni s'eranoa grado a grado assimilate a' costumi e al governo de' re-spettivi loro paesi86; ma l'opposizione o il disprezzo del-

84Era insensibilmente prevalsa una pratica alquanto contraria nella Chiesadi Costantinopoli; ma il rigido Ambrogio comandò a Teodosio di ritirarsi fuoridel recinto, e gl'insegnò a conoscer la differenza che corre fra un Re ed un Sa-cerdote. Vedi Teodoreto (l. V. c. 18).

85Alla mensa dell'Imperator Massimo, Martino Vescovo di Tours ricevè lacoppa da un famigliare, e la porse al Prete suo compagno avanti di permettereall'Imperatore che bevesse; e l'Imperatrice serviva Martino medesimo a tavola.Sulpic. Sever. in vita S. Martini c. 23. e dial. H. 7. Pure può dubitarsi se talistraordinari complimenti eran fatti al Vescovo o al Santo. Si possono vedere glionori, che ordinariamente si prestavano al carattere Episcopale appresso il Bin-gamo (Antiq. l. II. c. 9) e Valesio (ad Theodoret. l. IV. c. 6.) Vedasi l'altiero Ce-remoniale, che Leonzio Vescovo di Tripoli prescrisse all'Imperatrice in Tille-mont. Hist. des Emp. Tom. IV. p. 754. Patr. Apostol. Tom. II. p. 179.

86Plutarco, nel suo Trattato d'Iside e Osiride, racconta che i Re dell'Egitto,

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la potestà civile servì ad assodare la disciplina della pri-mitiva Chiesa. I Cristiani erano stati costretti ad elegge-re i loro Magistrati, ad esigere e distribuire certe tasseparticolari, ed a regolar l'interno governo della loro Re-pubblica con un codice di leggi, ch'erano state confer-mate dal consenso del popolo e dalla pratica di tre-cent'anni. Quando Costantino abbracciò la Fede Cristia-na, parve che contraesse una lega perpetua con una di-stinta e indipendente società; ed i privilegi conceduti oconfermati da quell'Imperatore o da' suoi successori siaccettavano, non già come favori precarj della Corte, macome giusti ed inalienabili diritti dell'Ordine Ecclesiasti-co.

Si amministrava la Chiesa Cattolica dalla spirituale elegittima giurisdizione di mille ottocento Vescovi87; mil-le de' quali trovavansi nelle Province Greche dell'Impe-ro, ed ottocento nelle Latine. L'estensione ed i confinidelle respettive lor Diocesi si erano in varie maniere ac-cidentalmente stabiliti dallo zelo e dall'incontro de' pri-mi Missionari, dai desiderj del Popolo, e dalla propaga-zione del Vangelo. Eransi fondate in abbondanza, leChiese Vescovili lungo le rive del Nilo, e sulle costeche non eran già Sacerdoti, venivano promossi dopo la loro elezione all'OrdineSacerdotale.

87Non vien determinato questo numero da veruno antico Scrittore o Catalo-go originale, poichè le liste particolari delle Chiese dell'Oriente in confronto aquel tempo, son tutte moderne. Ma la paziente diligenza di Carlo da S. Paolo,di Luca Olstenio, e del Bingamo ha con gran fatica investigato tutte le SediEpiscopali della Chiesa Cattolica, ch'era quasi tanto estesa, quanto l'ImperoRomano. Il nono libro delle Antichità Cristiane forma una carta molto esatta digeografia Ecclesiastica.

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la potestà civile servì ad assodare la disciplina della pri-mitiva Chiesa. I Cristiani erano stati costretti ad elegge-re i loro Magistrati, ad esigere e distribuire certe tasseparticolari, ed a regolar l'interno governo della loro Re-pubblica con un codice di leggi, ch'erano state confer-mate dal consenso del popolo e dalla pratica di tre-cent'anni. Quando Costantino abbracciò la Fede Cristia-na, parve che contraesse una lega perpetua con una di-stinta e indipendente società; ed i privilegi conceduti oconfermati da quell'Imperatore o da' suoi successori siaccettavano, non già come favori precarj della Corte, macome giusti ed inalienabili diritti dell'Ordine Ecclesiasti-co.

Si amministrava la Chiesa Cattolica dalla spirituale elegittima giurisdizione di mille ottocento Vescovi87; mil-le de' quali trovavansi nelle Province Greche dell'Impe-ro, ed ottocento nelle Latine. L'estensione ed i confinidelle respettive lor Diocesi si erano in varie maniere ac-cidentalmente stabiliti dallo zelo e dall'incontro de' pri-mi Missionari, dai desiderj del Popolo, e dalla propaga-zione del Vangelo. Eransi fondate in abbondanza, leChiese Vescovili lungo le rive del Nilo, e sulle costeche non eran già Sacerdoti, venivano promossi dopo la loro elezione all'OrdineSacerdotale.

87Non vien determinato questo numero da veruno antico Scrittore o Catalo-go originale, poichè le liste particolari delle Chiese dell'Oriente in confronto aquel tempo, son tutte moderne. Ma la paziente diligenza di Carlo da S. Paolo,di Luca Olstenio, e del Bingamo ha con gran fatica investigato tutte le SediEpiscopali della Chiesa Cattolica, ch'era quasi tanto estesa, quanto l'ImperoRomano. Il nono libro delle Antichità Cristiane forma una carta molto esatta digeografia Ecclesiastica.

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dell'Affrica, nell'Asia Proconsolare, e nelle ProvinceMeridionali dell'Italia. I Vescovi della Gallia e dellaSpagna, della Tracia e del Ponto, dominavano sopra va-sti territorj, e delegavano i rurali, loro suffraganei adeseguire gl'inferiori doveri dell'uffizio pastorale88. Pote-va una Diocesi Cristiana estendersi ad una intera Pro-vincia o ridursi ad un solo villaggio, ma tutti i Vescovigodevano un uguale indelebil carattere; traevano tutti lemedesime facoltà e privilegi dagli Apostoli, dal Popoloe dalle Leggi. Nel tempo che la politica di Costantinoseparava la profession militare dalla civile, stabilivasinella Chiesa e nello Stato un nuovo e perpetuo ordine diMinistri Ecclesiastici, sempre rispettabile, e qualchevolta pericoloso. Ciò che v'è da osservar d'importante,rispetto alla costituzione e a' diritti di essi, può ridursi a'seguenti capi: I. all'elezione popolare: II. all'ordinazionedel Clero: III. alle sostanze di esso: IV. alla giurisdizionecivile: V. alle censure spirituali: VI. all'esercizio di pre-dicar pubblicamente: VII. al privilegio delle assembleelegislative.

I. Durò la libertà dell'elezioni lungo tempo dopo il le-gale stabilimento del Cristianesimo89; ed i sudditi Roma-

88Intorno a' Vescovi rurali o a' Corepiscopi, che aveano diritto di dare il lorvoto ne' Sinodi, e conferivano gli Ordini minori, vedi Tomassino (Discipl.Tom. I. pag. 447. ec.) e Chardon Hist. des Sacrem. Tom. V. p. 395. ec. Essi noncompariscono che nel quarto secolo, e tal equivoco carattere, che aveva eccita-ta la gelosia de' Prelati, fu abolito avanti che finisse il decimo, tanto nell'Orien-te, quanto nell'Occidente.

89Il Tomassino (Disc. Eccl. Tom. II. lib. II. c. 1-8. p. 673-721) ha trattato ab-bondantemente dell'elezione dei Vescovi nei primi cinque secoli, sì nell'Orienteche nell'Occidente; ma egli dimostra un'inclinazione molto parziale in favore

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dell'Affrica, nell'Asia Proconsolare, e nelle ProvinceMeridionali dell'Italia. I Vescovi della Gallia e dellaSpagna, della Tracia e del Ponto, dominavano sopra va-sti territorj, e delegavano i rurali, loro suffraganei adeseguire gl'inferiori doveri dell'uffizio pastorale88. Pote-va una Diocesi Cristiana estendersi ad una intera Pro-vincia o ridursi ad un solo villaggio, ma tutti i Vescovigodevano un uguale indelebil carattere; traevano tutti lemedesime facoltà e privilegi dagli Apostoli, dal Popoloe dalle Leggi. Nel tempo che la politica di Costantinoseparava la profession militare dalla civile, stabilivasinella Chiesa e nello Stato un nuovo e perpetuo ordine diMinistri Ecclesiastici, sempre rispettabile, e qualchevolta pericoloso. Ciò che v'è da osservar d'importante,rispetto alla costituzione e a' diritti di essi, può ridursi a'seguenti capi: I. all'elezione popolare: II. all'ordinazionedel Clero: III. alle sostanze di esso: IV. alla giurisdizionecivile: V. alle censure spirituali: VI. all'esercizio di pre-dicar pubblicamente: VII. al privilegio delle assembleelegislative.

I. Durò la libertà dell'elezioni lungo tempo dopo il le-gale stabilimento del Cristianesimo89; ed i sudditi Roma-

88Intorno a' Vescovi rurali o a' Corepiscopi, che aveano diritto di dare il lorvoto ne' Sinodi, e conferivano gli Ordini minori, vedi Tomassino (Discipl.Tom. I. pag. 447. ec.) e Chardon Hist. des Sacrem. Tom. V. p. 395. ec. Essi noncompariscono che nel quarto secolo, e tal equivoco carattere, che aveva eccita-ta la gelosia de' Prelati, fu abolito avanti che finisse il decimo, tanto nell'Orien-te, quanto nell'Occidente.

89Il Tomassino (Disc. Eccl. Tom. II. lib. II. c. 1-8. p. 673-721) ha trattato ab-bondantemente dell'elezione dei Vescovi nei primi cinque secoli, sì nell'Orienteche nell'Occidente; ma egli dimostra un'inclinazione molto parziale in favore

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ni godevano nella Chiesa il privilegio, che avevan per-duto nella Repubblica, di eleggere i Magistrati, a' qualidovevano ubbidire. Appena era morto un Vescovo, ilMetropolitano dava la commissione ad uno de' suoi suf-fraganei d'amministrare la sede vacante, e di prepararedentro un certo tempo la futura elezione. Il diritto didare il voto risedeva nel Clero inferiore, ch'era il piùadatto a giudicare del merito de' candidati; ne' Senatorio nobili della città, persone distinte per la dignità o perle ricchezze; e finalmente in tutto il corpo del popolo,che nel giorno stabilito correva in folla dalle più lontaneparti della Diocesi90; ed alle volte colle sue tumultuoseacclamazioni facea tacere la voce della ragione e le leg-gi della disciplina. Queste acclamazioni potevano acci-dentalmente cadere sul competitore più meritevole, suqualche vecchio Prete, su qualche santo Monaco, o suqualche laico famoso per lo zelo e per la pietà. Ma sisollecitava la cattedra Episcopale, specialmente nellegrandi e ricche città dell'Impero, piuttosto come una di-gnità temporale che spirituale. I fini d'interesse, le pas-sioni dell'amor proprio e dell'ira, le arti della perfidia edella dissimulazione, la segreta corruzione, l'aperta edanche sanguinosa violenza, che avevano un tempo stur-bata la libertà d'eleggere nelle Repubbliche della Grecia

dell'aristocrazia de' Vescovi. Il Bingamo (lib. IV. c. 2,) è moderato; e Chardon(Hist. des Sacrem. Tom. V. pag. 108-128.) è molto chiaro e preciso.

90Incredibilis multitudo non solum ex eo oppido (Tours), sed etiam ex vici-nis urbibus ad suffragia ferenda convenerat etc. Sulp. Sever. (in vit. Martin. c.7). Il Concilio di Laodicea (Can. 13) allontana dall'elezioni l'infima plebe e itumulti; e Giustiniano ristringe tale diritto alla nobiltà (Nov. 123, 1).

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ni godevano nella Chiesa il privilegio, che avevan per-duto nella Repubblica, di eleggere i Magistrati, a' qualidovevano ubbidire. Appena era morto un Vescovo, ilMetropolitano dava la commissione ad uno de' suoi suf-fraganei d'amministrare la sede vacante, e di prepararedentro un certo tempo la futura elezione. Il diritto didare il voto risedeva nel Clero inferiore, ch'era il piùadatto a giudicare del merito de' candidati; ne' Senatorio nobili della città, persone distinte per la dignità o perle ricchezze; e finalmente in tutto il corpo del popolo,che nel giorno stabilito correva in folla dalle più lontaneparti della Diocesi90; ed alle volte colle sue tumultuoseacclamazioni facea tacere la voce della ragione e le leg-gi della disciplina. Queste acclamazioni potevano acci-dentalmente cadere sul competitore più meritevole, suqualche vecchio Prete, su qualche santo Monaco, o suqualche laico famoso per lo zelo e per la pietà. Ma sisollecitava la cattedra Episcopale, specialmente nellegrandi e ricche città dell'Impero, piuttosto come una di-gnità temporale che spirituale. I fini d'interesse, le pas-sioni dell'amor proprio e dell'ira, le arti della perfidia edella dissimulazione, la segreta corruzione, l'aperta edanche sanguinosa violenza, che avevano un tempo stur-bata la libertà d'eleggere nelle Repubbliche della Grecia

dell'aristocrazia de' Vescovi. Il Bingamo (lib. IV. c. 2,) è moderato; e Chardon(Hist. des Sacrem. Tom. V. pag. 108-128.) è molto chiaro e preciso.

90Incredibilis multitudo non solum ex eo oppido (Tours), sed etiam ex vici-nis urbibus ad suffragia ferenda convenerat etc. Sulp. Sever. (in vit. Martin. c.7). Il Concilio di Laodicea (Can. 13) allontana dall'elezioni l'infima plebe e itumulti; e Giustiniano ristringe tale diritto alla nobiltà (Nov. 123, 1).

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e di Roma, troppo spesso influivano nella scelta de' suc-cessori degli Apostoli. Mentre uno dei candidati vantavagli onori della sua famiglia, un altro allettava i suoi giu-dici colle delicatezze d'una copiosa tavola, ed un terzo,anche più colpevole de' suoi rivali, offeriva di dividerfra' complici delle sacrileghe sue speranze le spogliedella Chiesa91. Le leggi Civili ugualmente che l'Eccle-siastiche tentarono d'escludere la plebaglia da tal attosolenne ed importante. I Canoni dell'antica disciplinaesigendo ne' Vescovi alcune qualificazioni d'età, di statoec. ristringevano in qualche modo l'arbitrario capricciodegli elettori. Interponevasi anche l'autorità de' VescoviProvinciali, che si adunavano nella Chiesa vacante adoggetto di confermare la scelta del popolo, per moderar-ne le passioni ed emendarne gli errori. I Vescovi pote-van ricusar d'ordinare un candidato indegno, ed il furorede' diversi fra' loro contrari partiti alle volte accettaval'imparziale lor mediazione. La sommissione o la resi-stenza del Clero e del Popolo in varie occasioni sommi-nistrava esempi, che insensibilmente diventavano leggipositive e costumi provinciali92; ma da per tutto ammet-tevasi come una massima fondamentale di religioso go-verno, che non potesse darsi ad una Chiesa ortodossa al-cun Vescovo senza il consenso de' membri della medesi-ma. Gl'Imperatori, come custodi della pubblica pace e

91Le lettere di Sidonio Apollinare (IV. 25. VII. 5, 9) dimostrano alcuni scan-dali della Chiesa Gallicana; eppure la Gallia era meno incivilita e meno corrot-ta dell'Oriente.

92Alle volte facevasi un compromesso o per legge o per consenso, oppure iVescovi e il Popolo sceglievano uno dei tre candidati nominati dall'altra parte.

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e di Roma, troppo spesso influivano nella scelta de' suc-cessori degli Apostoli. Mentre uno dei candidati vantavagli onori della sua famiglia, un altro allettava i suoi giu-dici colle delicatezze d'una copiosa tavola, ed un terzo,anche più colpevole de' suoi rivali, offeriva di dividerfra' complici delle sacrileghe sue speranze le spogliedella Chiesa91. Le leggi Civili ugualmente che l'Eccle-siastiche tentarono d'escludere la plebaglia da tal attosolenne ed importante. I Canoni dell'antica disciplinaesigendo ne' Vescovi alcune qualificazioni d'età, di statoec. ristringevano in qualche modo l'arbitrario capricciodegli elettori. Interponevasi anche l'autorità de' VescoviProvinciali, che si adunavano nella Chiesa vacante adoggetto di confermare la scelta del popolo, per moderar-ne le passioni ed emendarne gli errori. I Vescovi pote-van ricusar d'ordinare un candidato indegno, ed il furorede' diversi fra' loro contrari partiti alle volte accettaval'imparziale lor mediazione. La sommissione o la resi-stenza del Clero e del Popolo in varie occasioni sommi-nistrava esempi, che insensibilmente diventavano leggipositive e costumi provinciali92; ma da per tutto ammet-tevasi come una massima fondamentale di religioso go-verno, che non potesse darsi ad una Chiesa ortodossa al-cun Vescovo senza il consenso de' membri della medesi-ma. Gl'Imperatori, come custodi della pubblica pace e

91Le lettere di Sidonio Apollinare (IV. 25. VII. 5, 9) dimostrano alcuni scan-dali della Chiesa Gallicana; eppure la Gallia era meno incivilita e meno corrot-ta dell'Oriente.

92Alle volte facevasi un compromesso o per legge o per consenso, oppure iVescovi e il Popolo sceglievano uno dei tre candidati nominati dall'altra parte.

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come i primi cittadini di Roma e di Costantinopoli, po-tevano in realtà dichiarare i loro desiderj nell'elezioned'un Primate; ma quegli assoluti Monarchi rispettavanola libertà delle elezioni Ecclesiastiche; e mentre distri-buivano e riassumevano gli onori dello Stato e dell'eser-cito, permettevano che mille ottocento Magistrati perpe-tui ricevessero i loro importanti uffizi da' liberi suffragidel popolo93. Sarebbe stato giusto, che tali Magistratinon abbandonassero un onorevole posto, da cui non po-tevano esser rimossi; ma la saviezza de' Concilj tentò,senza gran successo, di obbligare i Vescovi alla residen-za, e d'impedirne le translazioni. Nell'Occidente, invero, la disciplina era meno rilassata che nell'Oriente;ma le stesse passioni, che obbligavano a far tali regola-menti, li rendevano inefficaci. I rimproveri che con tantaveemenza si son fatti, nel furor della collera, alcuni Pre-lati fra loro, non servono che a manifestare la comunelor colpa e la loro vicendevole indiscretezza.

II. I soli Vescovi godevano la facoltà della generazio-ne spirituale; e questo privilegio straordinario compen-sar poteva in qualche modo il penoso celibato94, che im-ponevasi loro come una virtù, come un dovere, e final-

93Sembra, che tutti gli esempi citati dal Tomassino (Disc. Eccles. Tom. II. l.II. c. 6. p. 704-714) siano atti straordinari di potestà ed eziandio d'oppressione.S'adduce da Filostorgio (Hist. Eccles. I. II. 11) la conferma del Vescovo d'Ales-sandria come una maniera di procedere più regolare.

94Il celibato del Clero per li primi cinque o sei secoli, forma in vero un sog-getto di disciplina e di controversia, che si è con gran diligenza esaminato. Siveda in particolare il Tomassino (Disc. Eccles. Tom. I. l. II. c. 60, 61. p. 886-902) e le antichità del Bingamo (lib. IV. c. 5). Ciascheduno di questi eruditi, maparziali, critici ha esposto una parte del vero, ed ha taciuto l'altra.

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come i primi cittadini di Roma e di Costantinopoli, po-tevano in realtà dichiarare i loro desiderj nell'elezioned'un Primate; ma quegli assoluti Monarchi rispettavanola libertà delle elezioni Ecclesiastiche; e mentre distri-buivano e riassumevano gli onori dello Stato e dell'eser-cito, permettevano che mille ottocento Magistrati perpe-tui ricevessero i loro importanti uffizi da' liberi suffragidel popolo93. Sarebbe stato giusto, che tali Magistratinon abbandonassero un onorevole posto, da cui non po-tevano esser rimossi; ma la saviezza de' Concilj tentò,senza gran successo, di obbligare i Vescovi alla residen-za, e d'impedirne le translazioni. Nell'Occidente, invero, la disciplina era meno rilassata che nell'Oriente;ma le stesse passioni, che obbligavano a far tali regola-menti, li rendevano inefficaci. I rimproveri che con tantaveemenza si son fatti, nel furor della collera, alcuni Pre-lati fra loro, non servono che a manifestare la comunelor colpa e la loro vicendevole indiscretezza.

II. I soli Vescovi godevano la facoltà della generazio-ne spirituale; e questo privilegio straordinario compen-sar poteva in qualche modo il penoso celibato94, che im-ponevasi loro come una virtù, come un dovere, e final-

93Sembra, che tutti gli esempi citati dal Tomassino (Disc. Eccles. Tom. II. l.II. c. 6. p. 704-714) siano atti straordinari di potestà ed eziandio d'oppressione.S'adduce da Filostorgio (Hist. Eccles. I. II. 11) la conferma del Vescovo d'Ales-sandria come una maniera di procedere più regolare.

94Il celibato del Clero per li primi cinque o sei secoli, forma in vero un sog-getto di disciplina e di controversia, che si è con gran diligenza esaminato. Siveda in particolare il Tomassino (Disc. Eccles. Tom. I. l. II. c. 60, 61. p. 886-902) e le antichità del Bingamo (lib. IV. c. 5). Ciascheduno di questi eruditi, maparziali, critici ha esposto una parte del vero, ed ha taciuto l'altra.

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mente come una positiva obbligazione. Quelle religioniantiche, le quali stabilirono un ordine separato di Sacer-doti, dedicarono al servizio perpetuo degli Dei una datastirpe, tribù, o famiglia sacra95. Instituzioni però di talgenere furon fondate per via di possesso, piuttosto chedi conquista. I figli de' Sacerdoti godevano con altera edindolente sicurezza la sacra loro eredità; ed il feroce spi-rito d'entusiasmo veniva diminuito dalle cure, da' piacerie dagli allettamenti della vita domestica. Ma il Santuariode' Cristiani era aperto ad ogni candidato ambizioso, cheavesse aspirato alle celesti promesse, od a' beni tempo-rali di esso. L'uffizio di Sacerdoti valorosamente s'eser-citava, come quello de' soldati o de' Magistrati, da colo-ro, l'abilità e temperamento de' quali gli aveva resi attiad abbracciare la professione Ecclesiastica, o che da unaccorto Vescovo si erano scelti come i più abili a pro-muovere la gloria e l'interesse della Chiesa. I Vescovi96

potevan costringere (finattantochè dalla prudenza delleleggi non fu represso l'abuso) anche quelli che ripugna-

95Diodoro Siculo attesta e comprova l'ereditaria successione del Sacerdoziofra gli Egizj, i Caldei e gl'Indiani (l. I. p. 84. l. II. p. 142. 153. Edit. Wesseling).Ammiano descrive i Magi come una famiglia molto numerosa. Per saeculamulta ad praesens una eademque prosapia multitudo creata, Deorum cultibusdedicata. (XXIII. 6.) Ausonio celebra la stirpe de' Druidi (de Profess. Burdi-gal IV,) ma dalle osservazioni di Cesare (VI. 13) possiamo arguire, che nellaGerarchia Celtica si dava luogo anche alla scelta ed all'emulazione.

96Discutono esattamente la materia della vocazione, dell'ordinazione,dell'ubbidienza ec. del Clero, il Tomassino (Disc. Eccles. Tom. II. p. 1-83) ed ilBingamo nel IV lib. delle sue Antichità (specialmente ne' cap. 4, 6 e 7). Quan-do fu ordinato in Cipro il fratello di S. Girolamo, i Diaconi gli tenevan per for-za chiusa la bocca, per timore, che egli non facesse una solenne protesta, laquale rendesse nulli i sacri riti.

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mente come una positiva obbligazione. Quelle religioniantiche, le quali stabilirono un ordine separato di Sacer-doti, dedicarono al servizio perpetuo degli Dei una datastirpe, tribù, o famiglia sacra95. Instituzioni però di talgenere furon fondate per via di possesso, piuttosto chedi conquista. I figli de' Sacerdoti godevano con altera edindolente sicurezza la sacra loro eredità; ed il feroce spi-rito d'entusiasmo veniva diminuito dalle cure, da' piacerie dagli allettamenti della vita domestica. Ma il Santuariode' Cristiani era aperto ad ogni candidato ambizioso, cheavesse aspirato alle celesti promesse, od a' beni tempo-rali di esso. L'uffizio di Sacerdoti valorosamente s'eser-citava, come quello de' soldati o de' Magistrati, da colo-ro, l'abilità e temperamento de' quali gli aveva resi attiad abbracciare la professione Ecclesiastica, o che da unaccorto Vescovo si erano scelti come i più abili a pro-muovere la gloria e l'interesse della Chiesa. I Vescovi96

potevan costringere (finattantochè dalla prudenza delleleggi non fu represso l'abuso) anche quelli che ripugna-

95Diodoro Siculo attesta e comprova l'ereditaria successione del Sacerdoziofra gli Egizj, i Caldei e gl'Indiani (l. I. p. 84. l. II. p. 142. 153. Edit. Wesseling).Ammiano descrive i Magi come una famiglia molto numerosa. Per saeculamulta ad praesens una eademque prosapia multitudo creata, Deorum cultibusdedicata. (XXIII. 6.) Ausonio celebra la stirpe de' Druidi (de Profess. Burdi-gal IV,) ma dalle osservazioni di Cesare (VI. 13) possiamo arguire, che nellaGerarchia Celtica si dava luogo anche alla scelta ed all'emulazione.

96Discutono esattamente la materia della vocazione, dell'ordinazione,dell'ubbidienza ec. del Clero, il Tomassino (Disc. Eccles. Tom. II. p. 1-83) ed ilBingamo nel IV lib. delle sue Antichità (specialmente ne' cap. 4, 6 e 7). Quan-do fu ordinato in Cipro il fratello di S. Girolamo, i Diaconi gli tenevan per for-za chiusa la bocca, per timore, che egli non facesse una solenne protesta, laquale rendesse nulli i sacri riti.

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vano, e proteggere gli angustiati per tal motivo; el'imposizione delle mani concedeva in perpetuo alcunide' più stimabili privilegi della società civile. Tutto ilcorpo del Clero Cattolico, forse più numeroso delle le-gioni, s'era per gl'Imperatori esentato da ogni pubblico oprivato servizio, da tutti gli uffizi municipali, da tutte letasse e contribuzioni personali, che aggravavano con in-tollerabile peso gli altri loro concittadini; e si accettava-no i doveri della sacra lor professione come un pienoadempimento degli obblighi loro verso la Repubblica97.Ogni Vescovo acquistava un assoluto ed irrevocabil di-ritto allo perpetua ubbidienza del Cherico che ordinava;il Clero d'ogni Chiesa Episcopale, colle parrocchie daessa dipendenti, formava una costante e regolar società,e le Cattedrali di Costantinopoli98 e di Cartagine99 man-tenevano il loro stabilito numero particolare di cinque-cento Ministri Ecclesiastici. La quantità di essi ed i gra-

97Le lettere d'immunità, che ottenne il Clero dagl'Imperatori Cristiani, sicontengono nel lib. 16 del Codice Teodosiano, e con tollerabil candore sono il-lustrate dal dotto Gottofredo, la cui mente era bilanciata fra gli opposti pregiu-dizi di Giurisconsulto e di Protestante.

98Giustiniano (Nov. 103). Sessanta Preti o Sacerdoti, cento Diaconi, quaran-ta Diaconesse, novanta Suddiaconi, centodieci Lettori, venticinque Cantori ecento Ostiari; in tutto cinquecento venticinque. Fu dall'Imperatore fissato que-sto moderato numero di ministri per sollevare le angustie della Chiesa, ches'era trovata involta fra i debiti e le usure per la spesa d'una quantità assai piùcopiosa di essi.

99Universus Clerus Carthaginensis... fere quingenti vel amplius; inter quosquamplurimi erant Lectores infantuli. Victor Vitens, de persecut. Vandal. V. 9,p. 78. Edit. Ruinart. Tuttavia sussisteva sotto l'oppressione de' Vandali questoresiduo d'uno stato più prospero.

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vano, e proteggere gli angustiati per tal motivo; el'imposizione delle mani concedeva in perpetuo alcunide' più stimabili privilegi della società civile. Tutto ilcorpo del Clero Cattolico, forse più numeroso delle le-gioni, s'era per gl'Imperatori esentato da ogni pubblico oprivato servizio, da tutti gli uffizi municipali, da tutte letasse e contribuzioni personali, che aggravavano con in-tollerabile peso gli altri loro concittadini; e si accettava-no i doveri della sacra lor professione come un pienoadempimento degli obblighi loro verso la Repubblica97.Ogni Vescovo acquistava un assoluto ed irrevocabil di-ritto allo perpetua ubbidienza del Cherico che ordinava;il Clero d'ogni Chiesa Episcopale, colle parrocchie daessa dipendenti, formava una costante e regolar società,e le Cattedrali di Costantinopoli98 e di Cartagine99 man-tenevano il loro stabilito numero particolare di cinque-cento Ministri Ecclesiastici. La quantità di essi ed i gra-

97Le lettere d'immunità, che ottenne il Clero dagl'Imperatori Cristiani, sicontengono nel lib. 16 del Codice Teodosiano, e con tollerabil candore sono il-lustrate dal dotto Gottofredo, la cui mente era bilanciata fra gli opposti pregiu-dizi di Giurisconsulto e di Protestante.

98Giustiniano (Nov. 103). Sessanta Preti o Sacerdoti, cento Diaconi, quaran-ta Diaconesse, novanta Suddiaconi, centodieci Lettori, venticinque Cantori ecento Ostiari; in tutto cinquecento venticinque. Fu dall'Imperatore fissato que-sto moderato numero di ministri per sollevare le angustie della Chiesa, ches'era trovata involta fra i debiti e le usure per la spesa d'una quantità assai piùcopiosa di essi.

99Universus Clerus Carthaginensis... fere quingenti vel amplius; inter quosquamplurimi erant Lectores infantuli. Victor Vitens, de persecut. Vandal. V. 9,p. 78. Edit. Ruinart. Tuttavia sussisteva sotto l'oppressione de' Vandali questoresiduo d'uno stato più prospero.

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di100 furono insensibilmente moltiplicati dalla supersti-zione de' tempi, che introdussero nella Chiesa le splen-dide ceremonie del Tempio Giudaico o dei Pagani; eduna lunga serie di Preti, di Diaconi, di Suddiaconi, diAccoliti, di Esorcisti, di Lettori, di Cantori, e di Ostiarico' respettivi loro uffizi contribuirono ad accrescer lapompa e l'armonia del Culto religioso. S'estesero ilnome ed i privilegi clericali a molte pie confraterniteche devotamente sostenevano il trono Ecclesiastico101.Seicento parabolani o avventurieri in Alessandria visi-tavano gli ammalati; mille cento copiati o scavatori difosse seppellivano i morti a Costantinopoli; e gli sciamide' Monaci, insorti dal Nilo, cuoprirono ed oscuraronola faccia del Mondo Romano.

[A. D. 313]III. L'editto di Milano assicurò le rendite ugualmente

che la pace alla Chiesa102. Non solo i Cristiani ricupera-ron le terre e le case, delle quali erano stati spogliati percausa della persecuzione di Diocleziano, ma eziandio

100Nella Chiesa Latina oltre il carattere Episcopale si è stabilito il numero disette Ordini; ma i quattro minori son presentemente ridotti a vuoti ed inutili ti-toli.

101Vedi Cod. Theodos. lib. XVI. Tit. II. leg. 42, 43. Il Commentario del Got-tofredo e l'istoria Ecclesiastica d'Alessandria dimostrano il pericolo di tali pieinstituzioni, che spesso disturbano la pace di quella turbolenta Capitale.

102L'editto di Milano (de M. P. c. 48) riconosce, che nella Chiesa trovasi unaspecie di proprietà di terreni, dicendo che questi erano ad jus corporis eorum,idest Ecclesiarum, non hominum singulorum pertinentia. Dovè tal solenne di-chiarazione d'un Magistrato supremo riceversi come una massima di legge ci-vile in tutti i Tribunali.

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di100 furono insensibilmente moltiplicati dalla supersti-zione de' tempi, che introdussero nella Chiesa le splen-dide ceremonie del Tempio Giudaico o dei Pagani; eduna lunga serie di Preti, di Diaconi, di Suddiaconi, diAccoliti, di Esorcisti, di Lettori, di Cantori, e di Ostiarico' respettivi loro uffizi contribuirono ad accrescer lapompa e l'armonia del Culto religioso. S'estesero ilnome ed i privilegi clericali a molte pie confraterniteche devotamente sostenevano il trono Ecclesiastico101.Seicento parabolani o avventurieri in Alessandria visi-tavano gli ammalati; mille cento copiati o scavatori difosse seppellivano i morti a Costantinopoli; e gli sciamide' Monaci, insorti dal Nilo, cuoprirono ed oscuraronola faccia del Mondo Romano.

[A. D. 313]III. L'editto di Milano assicurò le rendite ugualmente

che la pace alla Chiesa102. Non solo i Cristiani ricupera-ron le terre e le case, delle quali erano stati spogliati percausa della persecuzione di Diocleziano, ma eziandio

100Nella Chiesa Latina oltre il carattere Episcopale si è stabilito il numero disette Ordini; ma i quattro minori son presentemente ridotti a vuoti ed inutili ti-toli.

101Vedi Cod. Theodos. lib. XVI. Tit. II. leg. 42, 43. Il Commentario del Got-tofredo e l'istoria Ecclesiastica d'Alessandria dimostrano il pericolo di tali pieinstituzioni, che spesso disturbano la pace di quella turbolenta Capitale.

102L'editto di Milano (de M. P. c. 48) riconosce, che nella Chiesa trovasi unaspecie di proprietà di terreni, dicendo che questi erano ad jus corporis eorum,idest Ecclesiarum, non hominum singulorum pertinentia. Dovè tal solenne di-chiarazione d'un Magistrato supremo riceversi come una massima di legge ci-vile in tutti i Tribunali.

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acquistarono un pieno diritto a posseder tutti i beni cheavevano fin allora goduti per connivenza de' Magistrati.Poscia che il Cristianesimo divenne la religionedell'Imperatore e dell'Impero, il Clero nazionale poteapretendere un decente ed onorevole mantenimento; e lapaga d'una tassa annuale avrebbe potuto liberare il po-polo dal più opprimente tributo, che la superstizione im-pone a' suoi devoti. Ma siccome colla prosperità dellaChiesa ne crescevano anche i bisogni e le spese, così ilceto Ecclesiastico veniva sempre aiutato ed arricchitodalle volontarie obblazioni de' Fedeli. Otto anni dopol'editto di Milano, Costantino concesse a tutti i suoi sud-diti la libera ed universal facoltà di lasciare i loro benialla Santa Chiesa Cattolica103; e la devota loro liberalità,che nel corso delle lor vite era tenuta in freno dal lusso odall'avarizia, scorreva senza ritegno nell'ora della morte.I Cristiani ricchi venivano incoraggiati dall'esempio delloro Sovrano. Un assoluto Monarca, che è ricco senzapatrimonio, può esser caritatevole senza merito, e Co-stantino credè troppo facilmente di poter acquistar il fa-vore del Clero col mantenere gli oziosi a spesedell'industria, e col distribuire fra' Santi le ricchezze del-la Repubblica. Lo stesso corriere, che portò in Affrica ilcapo di Massenzio, forse portò anche una lettera per Ce-ciliano Vescovo di Cartagine. L'Imperatore in essa gli fa

103Habeat unusquisque licetitiam sanctissimo Catholicae Ecclesiae venera-bilique concilio decedens bonorum quod optavit relinquere. (Cod. Theod. l.XVI. Tit. II. leg. 4.) Questa legge fu pubblicata a Roma l'anno 321 in un tempo,in cui Costantino potea prevedere la probabilità d'una rottura coll'Imperatoredell'Oriente.

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acquistarono un pieno diritto a posseder tutti i beni cheavevano fin allora goduti per connivenza de' Magistrati.Poscia che il Cristianesimo divenne la religionedell'Imperatore e dell'Impero, il Clero nazionale poteapretendere un decente ed onorevole mantenimento; e lapaga d'una tassa annuale avrebbe potuto liberare il po-polo dal più opprimente tributo, che la superstizione im-pone a' suoi devoti. Ma siccome colla prosperità dellaChiesa ne crescevano anche i bisogni e le spese, così ilceto Ecclesiastico veniva sempre aiutato ed arricchitodalle volontarie obblazioni de' Fedeli. Otto anni dopol'editto di Milano, Costantino concesse a tutti i suoi sud-diti la libera ed universal facoltà di lasciare i loro benialla Santa Chiesa Cattolica103; e la devota loro liberalità,che nel corso delle lor vite era tenuta in freno dal lusso odall'avarizia, scorreva senza ritegno nell'ora della morte.I Cristiani ricchi venivano incoraggiati dall'esempio delloro Sovrano. Un assoluto Monarca, che è ricco senzapatrimonio, può esser caritatevole senza merito, e Co-stantino credè troppo facilmente di poter acquistar il fa-vore del Clero col mantenere gli oziosi a spesedell'industria, e col distribuire fra' Santi le ricchezze del-la Repubblica. Lo stesso corriere, che portò in Affrica ilcapo di Massenzio, forse portò anche una lettera per Ce-ciliano Vescovo di Cartagine. L'Imperatore in essa gli fa

103Habeat unusquisque licetitiam sanctissimo Catholicae Ecclesiae venera-bilique concilio decedens bonorum quod optavit relinquere. (Cod. Theod. l.XVI. Tit. II. leg. 4.) Questa legge fu pubblicata a Roma l'anno 321 in un tempo,in cui Costantino potea prevedere la probabilità d'una rottura coll'Imperatoredell'Oriente.

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sapere, che i tesorieri della Provincia hanno l'ordine dipagare nelle sue mani la somma di tremila folli, o di-ciottomila lire sterline, e di soddisfare le ulteriori sue ri-chieste per sollievo delle Chiese dell'Affrica, della Nu-midia e della Mauritania104. Cresceva la liberalità di Co-stantino in proporzione appunto della sua fede e de' suoivizi. Egli assegnò in ogni città una regolar quantità digrano per servir di fondo alla carità Ecclesiastica, e lepersone di ambidue i sessi, che abbracciavano la vitaMonastica, divenivano i favoriti speciali del Sovrano. Itempj Cristiani d'Antiochia, d'Alessandria, di Gerusa-lemme, di Costantinopoli ec. dimostrano l'ostentata pie-tà di un Principe, ambizioso nella sua vecchiezzad'uguagliare le opere perfette dell'Antichità105. La formadi questi religiosi edifici era semplice e bislunga, quan-tunque potessero alle volte sorgere in figura di cupola,ed alle volte dividersi in forma di croce. Il legname perlo più era di cedri del Libano; il tetto era coperto di te-goli, forse di rame dorato; le mura, le colonne, ed il pa-vimento erano incrostati di varie sorti di marmi. Eranprofusamente consacrati al servizio dell'Altare i più pre-ziosi ornati d'oro e d'argento, di seta e di gemme; e tale

104Eusebio Hist. Eccles. lib. X. 2. in vit. Const. lib. IV. c. 28. Esso più voltesi diffonde sulla generosità del Cristiano eroe, che il Vescovo medesimo ebbeoccasione di conoscere ed eziandio di sperimentare.

105Eusebio Hist. Eccles. l. X. c. 2, 3, 4. Il Vescovo di Cesarea, che studiava esecondava il genio del suo Signore, pronunciò in pubblico un'elaborata descri-zione della Chiesa di Gerusalemme. (in vit. Const. l. IV. c. 46) Questa non esi-ste più, ma egli ha inserito nella vita di Costantino (l. III. c. 36) un breve rag-guaglio dell'architettura e degli ornamenti di essa. In simil guisa fa menzionedella Chiesa de' Santi Apostoli a Costantinopoli (l. IV. c. 59).

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sapere, che i tesorieri della Provincia hanno l'ordine dipagare nelle sue mani la somma di tremila folli, o di-ciottomila lire sterline, e di soddisfare le ulteriori sue ri-chieste per sollievo delle Chiese dell'Affrica, della Nu-midia e della Mauritania104. Cresceva la liberalità di Co-stantino in proporzione appunto della sua fede e de' suoivizi. Egli assegnò in ogni città una regolar quantità digrano per servir di fondo alla carità Ecclesiastica, e lepersone di ambidue i sessi, che abbracciavano la vitaMonastica, divenivano i favoriti speciali del Sovrano. Itempj Cristiani d'Antiochia, d'Alessandria, di Gerusa-lemme, di Costantinopoli ec. dimostrano l'ostentata pie-tà di un Principe, ambizioso nella sua vecchiezzad'uguagliare le opere perfette dell'Antichità105. La formadi questi religiosi edifici era semplice e bislunga, quan-tunque potessero alle volte sorgere in figura di cupola,ed alle volte dividersi in forma di croce. Il legname perlo più era di cedri del Libano; il tetto era coperto di te-goli, forse di rame dorato; le mura, le colonne, ed il pa-vimento erano incrostati di varie sorti di marmi. Eranprofusamente consacrati al servizio dell'Altare i più pre-ziosi ornati d'oro e d'argento, di seta e di gemme; e tale

104Eusebio Hist. Eccles. lib. X. 2. in vit. Const. lib. IV. c. 28. Esso più voltesi diffonde sulla generosità del Cristiano eroe, che il Vescovo medesimo ebbeoccasione di conoscere ed eziandio di sperimentare.

105Eusebio Hist. Eccles. l. X. c. 2, 3, 4. Il Vescovo di Cesarea, che studiava esecondava il genio del suo Signore, pronunciò in pubblico un'elaborata descri-zione della Chiesa di Gerusalemme. (in vit. Const. l. IV. c. 46) Questa non esi-ste più, ma egli ha inserito nella vita di Costantino (l. III. c. 36) un breve rag-guaglio dell'architettura e degli ornamenti di essa. In simil guisa fa menzionedella Chiesa de' Santi Apostoli a Costantinopoli (l. IV. c. 59).

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speciosa magnificenza era sostenuta dalla solida e per-petua base di stabili possessioni. Nella spazio di due se-coli, dal regno di Costantino fino a quello di Giustinia-no, i frequenti ed inalienabili donativi de' Principi e delPopolo arricchirono le mille ottocento Chiese dell'Impe-ro. Può ragionevolmente assegnarsi un'annuale renditadi seicento lire sterline a que' Vescovi ch'erano in mezzotra i ricchi ed i poveri106, ma insensibilmente s'accrebbela lor ricchezza insieme con la dignità e coll'opulenzadelle città ch'essi governavano. Un autentico ma imper-fetto107 catalogo di rendite specifica varie case, botteghe,giardini e fondi, che appartenevano alle tre Romane Ba-siliche di S. Pietro, di S. Paolo e di S. Gio. Laterano nel-le Province dell'Italia, dell'Affrica e dell'Oriente. Questiproducevano, oltre la riserva d'una quantità d'olio, dilino, di carta, d'aromati ec., un'annuale entrata di venti-duemila aurei, o dodicimila lire sterline. Al tempo diCostantino e di Giustiniano, i Vescovi non godevan piùl'intera fiducia del Clero e del Popolo, e forse non la me-ritavano. I beni Ecclesiastici di ciascheduna Diocesi fu-ron divisi in quattro parti, che dovevan servire per usorespettivamente del Vescovo stesso, del suo clero infe-

106Vedi Giustiniano Nov. 123. 3. Non è determinata la rendita de' Patriarchie de' Vescovi più ricchi; il frutto però annuo maggiore d'un Vescovato si fissa atrenta libbre di oro, ed il minimo a due; il medio dunque potrebbe essere di se-dici, ma questi calcoli sono molto al di sotto del reale valore.

107Vedi il Baronio, Annal. Eccles, an. 324. n. 58, 65, 70, 71. Ogni memoria,che viene dal Vaticano, è giustamente sospetta: pure questi cataloghi hannol'apparenza di antichi e di autentici; ed è almeno evidente che se son finti, siformarono in un tempo, in cui gli oggetti dell'avarizia Papale erano i fondi, noni regni.

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speciosa magnificenza era sostenuta dalla solida e per-petua base di stabili possessioni. Nella spazio di due se-coli, dal regno di Costantino fino a quello di Giustinia-no, i frequenti ed inalienabili donativi de' Principi e delPopolo arricchirono le mille ottocento Chiese dell'Impe-ro. Può ragionevolmente assegnarsi un'annuale renditadi seicento lire sterline a que' Vescovi ch'erano in mezzotra i ricchi ed i poveri106, ma insensibilmente s'accrebbela lor ricchezza insieme con la dignità e coll'opulenzadelle città ch'essi governavano. Un autentico ma imper-fetto107 catalogo di rendite specifica varie case, botteghe,giardini e fondi, che appartenevano alle tre Romane Ba-siliche di S. Pietro, di S. Paolo e di S. Gio. Laterano nel-le Province dell'Italia, dell'Affrica e dell'Oriente. Questiproducevano, oltre la riserva d'una quantità d'olio, dilino, di carta, d'aromati ec., un'annuale entrata di venti-duemila aurei, o dodicimila lire sterline. Al tempo diCostantino e di Giustiniano, i Vescovi non godevan piùl'intera fiducia del Clero e del Popolo, e forse non la me-ritavano. I beni Ecclesiastici di ciascheduna Diocesi fu-ron divisi in quattro parti, che dovevan servire per usorespettivamente del Vescovo stesso, del suo clero infe-

106Vedi Giustiniano Nov. 123. 3. Non è determinata la rendita de' Patriarchie de' Vescovi più ricchi; il frutto però annuo maggiore d'un Vescovato si fissa atrenta libbre di oro, ed il minimo a due; il medio dunque potrebbe essere di se-dici, ma questi calcoli sono molto al di sotto del reale valore.

107Vedi il Baronio, Annal. Eccles, an. 324. n. 58, 65, 70, 71. Ogni memoria,che viene dal Vaticano, è giustamente sospetta: pure questi cataloghi hannol'apparenza di antichi e di autentici; ed è almeno evidente che se son finti, siformarono in un tempo, in cui gli oggetti dell'avarizia Papale erano i fondi, noni regni.

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riore, de' poveri e del Culto pubblico; e fu più volte ri-gorosamente represso l'abuso di questa sacra ammini-strazione108. Il patrimonio della Chiesa era sempre sotto-posto a tutte le pubbliche imposizioni dello Stato109. IlClero di Roma, di Alessandria, di Tessalonica ec. potèchiedere ed ottenere alcune particolari esenzioni; ma ilfigliuolo di Costantino resistè con vigore al tentativo,non per anche opportuno, del gran Concilio di Rimini,che aspirava alla libertà universale110.

IV. Il Clero Latino, che eresse il proprio tribunale sul-le rovine del Gius civile e comune, ha modestamente ri-conosciuto come un dono di Costantino111 quell'indipen-

108Vedi Tomassino. Disc. Eccles. Tom. III. l. II. c. 13, 14, 15 p. 689-706.Non pare che la legittima divisione de' beni Ecclesiastici fosse anche stabilitanel tempo d'Ambrogio e di Crisostomo. Simplicio però e Gelasio, che furonVescovi di Roma al fine del quinto secolo, nelle loro lettere pastorali ne fannomenzione come d'una legge universale ch'era già confermata dall'uso dell'Ita-lia.

109Ambrogio, difensore il più vigoroso de' privilegi Ecclesiastici, si sotto-mette senza contrasto al pagamento de' tributi sulle terre: si tributum petit Im-perator, non negamus, agri Ecclesia solvunt tributum, solvimus quae sunt Cae-saris Caesari, et quae sunt Dei Deo: tributum Caesaris est; non negatur. Il Ba-ronio (Annal. Eccl. an. 387) s'affatica d'interpretar quel tributo come un atto dicarità piuttosto che di dovere; ma il Tomassino (Disc. Eccles. Tom. III. l. I. c.34. p. 2-68) spiega più candidamente le parole, se non l'intenzione d'Ambro-gio.

110In Ariminensi Synodo super Ecclesiarum et Clericorum privilegiis trac-tatu habito, usque eo dispositio progressa est, ut juga, quae viderentur ad Ec-clesiam pertinere, a publica functione cessarent, inquietudine desistente, quodnostra videtur dudum sanctio repulisse. Cod. Teod. l. XVI. Tit. II. leg. 15. Se ilConcilio di Rimini avesse potuto ottenere l'intento, questo merito praticol'avrebbe potuto purgare da qualche speculativa eresia.

111Siamo assicurati da Eusebio (in vit. Const. l. IV. c. 27) e da Sozomeno (l.I. c. 9) che la giurisdizione Episcopale fu estesa e confermata da Costantino;ma il Gottofredo nella più soddisfacente maniera dimostra la falsità d'un famo-

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riore, de' poveri e del Culto pubblico; e fu più volte ri-gorosamente represso l'abuso di questa sacra ammini-strazione108. Il patrimonio della Chiesa era sempre sotto-posto a tutte le pubbliche imposizioni dello Stato109. IlClero di Roma, di Alessandria, di Tessalonica ec. potèchiedere ed ottenere alcune particolari esenzioni; ma ilfigliuolo di Costantino resistè con vigore al tentativo,non per anche opportuno, del gran Concilio di Rimini,che aspirava alla libertà universale110.

IV. Il Clero Latino, che eresse il proprio tribunale sul-le rovine del Gius civile e comune, ha modestamente ri-conosciuto come un dono di Costantino111 quell'indipen-

108Vedi Tomassino. Disc. Eccles. Tom. III. l. II. c. 13, 14, 15 p. 689-706.Non pare che la legittima divisione de' beni Ecclesiastici fosse anche stabilitanel tempo d'Ambrogio e di Crisostomo. Simplicio però e Gelasio, che furonVescovi di Roma al fine del quinto secolo, nelle loro lettere pastorali ne fannomenzione come d'una legge universale ch'era già confermata dall'uso dell'Ita-lia.

109Ambrogio, difensore il più vigoroso de' privilegi Ecclesiastici, si sotto-mette senza contrasto al pagamento de' tributi sulle terre: si tributum petit Im-perator, non negamus, agri Ecclesia solvunt tributum, solvimus quae sunt Cae-saris Caesari, et quae sunt Dei Deo: tributum Caesaris est; non negatur. Il Ba-ronio (Annal. Eccl. an. 387) s'affatica d'interpretar quel tributo come un atto dicarità piuttosto che di dovere; ma il Tomassino (Disc. Eccles. Tom. III. l. I. c.34. p. 2-68) spiega più candidamente le parole, se non l'intenzione d'Ambro-gio.

110In Ariminensi Synodo super Ecclesiarum et Clericorum privilegiis trac-tatu habito, usque eo dispositio progressa est, ut juga, quae viderentur ad Ec-clesiam pertinere, a publica functione cessarent, inquietudine desistente, quodnostra videtur dudum sanctio repulisse. Cod. Teod. l. XVI. Tit. II. leg. 15. Se ilConcilio di Rimini avesse potuto ottenere l'intento, questo merito praticol'avrebbe potuto purgare da qualche speculativa eresia.

111Siamo assicurati da Eusebio (in vit. Const. l. IV. c. 27) e da Sozomeno (l.I. c. 9) che la giurisdizione Episcopale fu estesa e confermata da Costantino;ma il Gottofredo nella più soddisfacente maniera dimostra la falsità d'un famo-

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dente giurisdizione, che fu il frutto del tempo, del caso,e della propria sua industria. Ma la liberalità degli Impe-ratori Cristiani aveva già insignito il carattere Sacerdo-tale di certe legali prerogative, che lo assicuravano e lonobilitavano112. Primieramente sotto un governo dispoti-co i Vescovi erano i soli che godessero e mantenesserol'inestimabile privilegio di non esser giudicati che da'loro pari; ed anche nelle accuse capitali i soli giudicidella loro reità od innocenza erano i loro fratelli adunatiin un Sinodo. Un tribunale di questa sorte, a meno chenon fosse acceso da un odio personale, o da discordiareligiosa, poteva esser favorevole o anche parzialeall'ordine de' Sacerdoti: ma Costantino era persuaso113

che l'impunità segreta sarebbe stata meno perniciosa delpubblico scandalo, ed il Concilio Niceno restò edificato

so editto, che non fu mai chiaramente inserito nel Codice Teodosiano. (VediTom. VI. p. 303 in fine di detto Codice.) Egli è strano, che Montesquieu, Giuri-sconsulto non meno che filosofo, allegasse quest'editto di Costantino (Espr.des Loix l. XXIX. c. 16) senza indicarne sospetto alcuno.

112Il soggetto della Giurisdizione Ecclesiastica è stato involto in un misto dipassione, di pregiudizio e d'interesse. Due de' migliori libri, che mi siano cadu-ti in mano su questo punto, sono le Instituzioni di Gius Canonico dell'AbateFleury, e l'Istoria civile di Napoli del Giannone. La moderazione loro fu l'effet-to della situazione, in cui si trovavano, ugualmente che del loro stato. Il Fleuryera un Ecclesiastico Francese, che rispettava l'autorità de' Parlamenti; il Gian-none un Giurisconsulto Italiano, che temeva il poter della Chiesa. E qui mi siapermesso d'avvertire, che siccome le proposizioni generali, che io reco in mez-zo, sono il risultato di molti fatti particolari ed imperfetti, bisogna, che o rimet-ta il lettore a que' moderni Scrittori che hanno espressamente trattato di tal ma-teria, o faccia crescere queste note ad una sproporzionata e non piacevolemole.

113Il Tillemont ha raccolto da Ruffino e da Teodoreto i sentimenti e le frasidi Costantino. (Mem. Eccl. Tom. III v. 749-750).

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dente giurisdizione, che fu il frutto del tempo, del caso,e della propria sua industria. Ma la liberalità degli Impe-ratori Cristiani aveva già insignito il carattere Sacerdo-tale di certe legali prerogative, che lo assicuravano e lonobilitavano112. Primieramente sotto un governo dispoti-co i Vescovi erano i soli che godessero e mantenesserol'inestimabile privilegio di non esser giudicati che da'loro pari; ed anche nelle accuse capitali i soli giudicidella loro reità od innocenza erano i loro fratelli adunatiin un Sinodo. Un tribunale di questa sorte, a meno chenon fosse acceso da un odio personale, o da discordiareligiosa, poteva esser favorevole o anche parzialeall'ordine de' Sacerdoti: ma Costantino era persuaso113

che l'impunità segreta sarebbe stata meno perniciosa delpubblico scandalo, ed il Concilio Niceno restò edificato

so editto, che non fu mai chiaramente inserito nel Codice Teodosiano. (VediTom. VI. p. 303 in fine di detto Codice.) Egli è strano, che Montesquieu, Giuri-sconsulto non meno che filosofo, allegasse quest'editto di Costantino (Espr.des Loix l. XXIX. c. 16) senza indicarne sospetto alcuno.

112Il soggetto della Giurisdizione Ecclesiastica è stato involto in un misto dipassione, di pregiudizio e d'interesse. Due de' migliori libri, che mi siano cadu-ti in mano su questo punto, sono le Instituzioni di Gius Canonico dell'AbateFleury, e l'Istoria civile di Napoli del Giannone. La moderazione loro fu l'effet-to della situazione, in cui si trovavano, ugualmente che del loro stato. Il Fleuryera un Ecclesiastico Francese, che rispettava l'autorità de' Parlamenti; il Gian-none un Giurisconsulto Italiano, che temeva il poter della Chiesa. E qui mi siapermesso d'avvertire, che siccome le proposizioni generali, che io reco in mez-zo, sono il risultato di molti fatti particolari ed imperfetti, bisogna, che o rimet-ta il lettore a que' moderni Scrittori che hanno espressamente trattato di tal ma-teria, o faccia crescere queste note ad una sproporzionata e non piacevolemole.

113Il Tillemont ha raccolto da Ruffino e da Teodoreto i sentimenti e le frasidi Costantino. (Mem. Eccl. Tom. III v. 749-750).

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da quella sua pubblica dichiarazione, che s'egli avessesorpreso un Vescovo in adulterio, avrebbe gettato il pro-prio imperial manto sopra del reo. In secondo luogo, ladomestica giurisdizione de' Vescovi era nel tempo stessoun privilegio ed un freno dell'ordine Ecclesiastico, lecause civili del quale potevano decentemente sottrarsialla cognizione d'un giudice secolare. Le minori lorocolpe non erano esposte alla vergogna d'un pubblicoprocesso o gastigo; e s'imponeva dal moderato rigore de'Vescovi quella specie di mite correzione, che i teneri fi-gli posson ricevere da' loro padri o istruttori. Ma se ilcherico diveniva reo d'alcun delitto, che non si potesseabbastanza purgare colla degradazione dal posto onore-vole e vantaggioso che aveva in quell'ora, il MagistratoRomano, senza riguardo veruno all'Ecclesiastiche im-munità, adoperava la spada della giustizia. In terzo luo-go, venne da una positiva legge ratificato l'arbitrio de'Vescovi, e fu ordinato a' Giudici d'eseguire senza dila-zione o appello i decreti Episcopali, la validità de' qualinon si era sin allora appoggiata che al consenso delleparti. La conversione de' Magistrati medesimi e di tuttol'Impero potè appoco appoco allontanare i timori e gliscrupoli dei Cristiani. Ma essi ricorrevan sempre al tri-bunale dei Vescovi, de' quali stimavano l'integrità e ladottrina; ed il venerabile Agostino aveva la soddisfazio-ne di dolersi che venivano continuamente interrotte lesue spirituali funzioni dall'odioso travaglio di decidere ildiritto o il possesso d'argento e d'oro, di terreni e di be-stiami. In quarto luogo, fu trasferito l'antico privilegio

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da quella sua pubblica dichiarazione, che s'egli avessesorpreso un Vescovo in adulterio, avrebbe gettato il pro-prio imperial manto sopra del reo. In secondo luogo, ladomestica giurisdizione de' Vescovi era nel tempo stessoun privilegio ed un freno dell'ordine Ecclesiastico, lecause civili del quale potevano decentemente sottrarsialla cognizione d'un giudice secolare. Le minori lorocolpe non erano esposte alla vergogna d'un pubblicoprocesso o gastigo; e s'imponeva dal moderato rigore de'Vescovi quella specie di mite correzione, che i teneri fi-gli posson ricevere da' loro padri o istruttori. Ma se ilcherico diveniva reo d'alcun delitto, che non si potesseabbastanza purgare colla degradazione dal posto onore-vole e vantaggioso che aveva in quell'ora, il MagistratoRomano, senza riguardo veruno all'Ecclesiastiche im-munità, adoperava la spada della giustizia. In terzo luo-go, venne da una positiva legge ratificato l'arbitrio de'Vescovi, e fu ordinato a' Giudici d'eseguire senza dila-zione o appello i decreti Episcopali, la validità de' qualinon si era sin allora appoggiata che al consenso delleparti. La conversione de' Magistrati medesimi e di tuttol'Impero potè appoco appoco allontanare i timori e gliscrupoli dei Cristiani. Ma essi ricorrevan sempre al tri-bunale dei Vescovi, de' quali stimavano l'integrità e ladottrina; ed il venerabile Agostino aveva la soddisfazio-ne di dolersi che venivano continuamente interrotte lesue spirituali funzioni dall'odioso travaglio di decidere ildiritto o il possesso d'argento e d'oro, di terreni e di be-stiami. In quarto luogo, fu trasferito l'antico privilegio

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del Santuario a' Tempj Cristiani, e dalla generosa pietàdi Teodosio il Giovane esteso a' recinti de' luoghi sa-cri114. Era permesso a' supplichevoli fuggitivi, ed ancherei, d'implorar la giustizia o la misericordia della Divini-tà e de' suoi Ministri. Veniva sospesa la dura violenzadel dispotismo dalla dolce interposizione della Chiesa; esi potevano proteggere le vite ed i beni de' sudditi piùcospicui dalla mediazione del Vescovo.

V. Il Vescovo era il perpetuo censore de' costumi delsuo popolo. La disciplina della penitenza era disposta inun sistema di giurisprudenza canonica115, che definivaesattamente il dovere della confessione pubblica o pri-vata, le regole delle prove, i gradi delle colpe, e la misu-ra delle pene. Era impossibile eseguire questa censuraspirituale, se il Pontefice Cristiano, che puniva le oscurecolpe della moltitudine, avesse rispettato i vizi cospicuied i delitti distruttivi del Magistrato; ma pure era impos-sibile attaccare la condotta di questo senza sindacare

114Vedi Cod. Teodos. (lib. IX. Tit. XLV. leg. 4). Nelle Opere di Fra Paolo(Tom. IV. p. 192 ec.) si trova un discorso eccellente sopra l'origine, i diritti, gliabusi ed i limiti de' Santuarj. Egli osserva giustamente che l'antica Grecia po-tea forse contenere quindici o venti asili: numero, che presentemente si puòtrovare nell'Italia dentro le mura d'una sola città.

[*] Gli asili sono ora aboliti in tutta l'Italia, perfino negli Stati Ecclesiasti-ci.[N.d.T.]

115La giurisprudenza penitenziale veniva continuamente accresciuta da' Ca-noni de' Concilj. Ma poichè molti casi eran sempre lasciati alla discrezione de'Vescovi, essi pubblicavano secondo le occorrenze, ad esempio del Pretore Ro-mano, le regole di disciplina, che si proponevano d'osservare. Le più famose,fra l'Epistole canoniche del quarto secolo, son quelle di Basilio Magno. Sonoesse inserite nelle pandette di Beveregio (T. II. p. 47-151) e sono state tradotteda Chardon (Hist. des Sacrem. Tom. IV. p. 219-277).

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del Santuario a' Tempj Cristiani, e dalla generosa pietàdi Teodosio il Giovane esteso a' recinti de' luoghi sa-cri114. Era permesso a' supplichevoli fuggitivi, ed ancherei, d'implorar la giustizia o la misericordia della Divini-tà e de' suoi Ministri. Veniva sospesa la dura violenzadel dispotismo dalla dolce interposizione della Chiesa; esi potevano proteggere le vite ed i beni de' sudditi piùcospicui dalla mediazione del Vescovo.

V. Il Vescovo era il perpetuo censore de' costumi delsuo popolo. La disciplina della penitenza era disposta inun sistema di giurisprudenza canonica115, che definivaesattamente il dovere della confessione pubblica o pri-vata, le regole delle prove, i gradi delle colpe, e la misu-ra delle pene. Era impossibile eseguire questa censuraspirituale, se il Pontefice Cristiano, che puniva le oscurecolpe della moltitudine, avesse rispettato i vizi cospicuied i delitti distruttivi del Magistrato; ma pure era impos-sibile attaccare la condotta di questo senza sindacare

114Vedi Cod. Teodos. (lib. IX. Tit. XLV. leg. 4). Nelle Opere di Fra Paolo(Tom. IV. p. 192 ec.) si trova un discorso eccellente sopra l'origine, i diritti, gliabusi ed i limiti de' Santuarj. Egli osserva giustamente che l'antica Grecia po-tea forse contenere quindici o venti asili: numero, che presentemente si puòtrovare nell'Italia dentro le mura d'una sola città.

[*] Gli asili sono ora aboliti in tutta l'Italia, perfino negli Stati Ecclesiasti-ci.[N.d.T.]

115La giurisprudenza penitenziale veniva continuamente accresciuta da' Ca-noni de' Concilj. Ma poichè molti casi eran sempre lasciati alla discrezione de'Vescovi, essi pubblicavano secondo le occorrenze, ad esempio del Pretore Ro-mano, le regole di disciplina, che si proponevano d'osservare. Le più famose,fra l'Epistole canoniche del quarto secolo, son quelle di Basilio Magno. Sonoesse inserite nelle pandette di Beveregio (T. II. p. 47-151) e sono state tradotteda Chardon (Hist. des Sacrem. Tom. IV. p. 219-277).

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l'amministrazione del governo civile. Alcune considera-zioni di religione di fedeltà, o di timore proteggevano lesacre persone degl'Imperatori dallo zelo o risentimentode' Vescovi; ma questi arditamente censuravano e sco-municavano i Tiranni subordinati, che non erano insi-gniti della maestà della porpora. S. Atanasio scomunicòuno de' Ministri d'Egitto, e l'interdetto, ch'egli pronunziòdell'acqua e del fuoco, fu solennemente trasmesso alleChiese della Cappadocia116. Al tempo di Teodosio ilGiovane, il colto ed eloquente Sinesio, uno de' discen-denti d'Ercole117, occupava la sede Episcopale di Tole-maide vicino alle rovine dell'antica Cirene118, ed il Ve-scovo filosofo sosteneva con dignità il carattere che ave-

116Basilio (Epist. 47) presso Baronio (Annal. Eccles. an. 370 n. 91) il qualedichiara, che a bella posta ei riferisce tal fatto per convincere i Governatori,ch'essi non erano esenti da una sentenza di scomunica. Secondo la sua opinio-ne neppure un Sovrano è salvo da' fulmini del Vaticano; ed il Cardinale si di-mostra molto più coerente a se stesso che i Giureconsulti e i Teologi dellaChiesa Gallicana.

117Era notata ne' pubblici registri di Cirene, Colonia Spartana, la lunga seriede' suoi maggiori fino ad Euristene primo Re Dorico di Sparta, ed il quinto nel-la linea discendente di Ercole (Sinesio Epist. 57, p. 197. Edit. Patav.). Una ge-nealogia così pura ed illustre di diciassette secoli, senz'aggiungervi i reali An-tenati d'Ercole, non può averne un'eguale nell'istoria dell'uman genere.

118Sinesio (de Regno pag. 2) pateticamente deplora lo stato decadente e ro-vinoso di Cirene con queste espressioni, Città Greca di antico e venerandonome, in cui trovavansi una volta migliaia di sapienti; adesso povera, e mesta,ed un gran mucchio di rovine.

Tolemaide, nuova città, 82 miglia all'Occidente di Cirene, assunse gli onoridi Metropoli della Pentapoli o della Libia superiore, che furon poi trasferiti aSozusa. Vedi Wesseling (Itiner. p. 67-68. 732.) Cellario (Geogr. T. II. part. II.p. 72, 74.) Carlo da S. Paolo (Geogr. Sacr. p. 273.) D'Anville (Geogr. Anc. T.III. p. 43, 44. Mem. de l'Acad. des Inscript. Tom. XXXVII. p. 363-391).

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l'amministrazione del governo civile. Alcune considera-zioni di religione di fedeltà, o di timore proteggevano lesacre persone degl'Imperatori dallo zelo o risentimentode' Vescovi; ma questi arditamente censuravano e sco-municavano i Tiranni subordinati, che non erano insi-gniti della maestà della porpora. S. Atanasio scomunicòuno de' Ministri d'Egitto, e l'interdetto, ch'egli pronunziòdell'acqua e del fuoco, fu solennemente trasmesso alleChiese della Cappadocia116. Al tempo di Teodosio ilGiovane, il colto ed eloquente Sinesio, uno de' discen-denti d'Ercole117, occupava la sede Episcopale di Tole-maide vicino alle rovine dell'antica Cirene118, ed il Ve-scovo filosofo sosteneva con dignità il carattere che ave-

116Basilio (Epist. 47) presso Baronio (Annal. Eccles. an. 370 n. 91) il qualedichiara, che a bella posta ei riferisce tal fatto per convincere i Governatori,ch'essi non erano esenti da una sentenza di scomunica. Secondo la sua opinio-ne neppure un Sovrano è salvo da' fulmini del Vaticano; ed il Cardinale si di-mostra molto più coerente a se stesso che i Giureconsulti e i Teologi dellaChiesa Gallicana.

117Era notata ne' pubblici registri di Cirene, Colonia Spartana, la lunga seriede' suoi maggiori fino ad Euristene primo Re Dorico di Sparta, ed il quinto nel-la linea discendente di Ercole (Sinesio Epist. 57, p. 197. Edit. Patav.). Una ge-nealogia così pura ed illustre di diciassette secoli, senz'aggiungervi i reali An-tenati d'Ercole, non può averne un'eguale nell'istoria dell'uman genere.

118Sinesio (de Regno pag. 2) pateticamente deplora lo stato decadente e ro-vinoso di Cirene con queste espressioni, Città Greca di antico e venerandonome, in cui trovavansi una volta migliaia di sapienti; adesso povera, e mesta,ed un gran mucchio di rovine.

Tolemaide, nuova città, 82 miglia all'Occidente di Cirene, assunse gli onoridi Metropoli della Pentapoli o della Libia superiore, che furon poi trasferiti aSozusa. Vedi Wesseling (Itiner. p. 67-68. 732.) Cellario (Geogr. T. II. part. II.p. 72, 74.) Carlo da S. Paolo (Geogr. Sacr. p. 273.) D'Anville (Geogr. Anc. T.III. p. 43, 44. Mem. de l'Acad. des Inscript. Tom. XXXVII. p. 363-391).

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va ricevuto con ripugnanza119. Egli vinse il presidenteAndronico, mostro della Libia, che abusava dell'autoritàd'un uffizio venale, inventava modi nuovi di rapina e ditortura, ed aggravava il delitto dell'oppressione conquello del sacrilegio120. Dopo un vano tentativo di ridur-re il superbo Magistrato, mediante una dolce e religiosaammonizione, Sinesio procede a pronunziare l'ultimasentenza della giustizia Ecclesiastica121, che condannaAndronico co' suoi compagni e le loro famiglie all'ese-crazione della terra e del cielo. Gl'impenitenti peccatori,più crudeli di Falaride e di Sennacherib, più dannosidella guerra, della peste o d'un nuvolo di locuste, sonprivati del nome e de' privilegi di Cristiani, della parte-cipazione de' Sacramenti e della speranza del Paradiso.Il Vescovo esorta il Clero, i Magistrati ed il Popolo a ri-nunziare a qualunque commercio co' nemici di Cristo,ad escluderli dalle proprie case o mense, ed a negar loro

119Sinesio avea precedentemente rappresentato le qualità, per le quali si cre-deva incapace di tal posto (Epist. c. 5. p. 246-250). Egli amava gli studi e i di-vertimenti profani; era incapace di sostenere la vita celibe; non credeva la ri-surrezione; e ricusava di predicare favole al popolo, a meno che non gli fossepermesso di filosofare in casa propria. Teofilo, Primate dell'Egitto, che cono-sceva il suo merito, accettò queste straordinarie proteste. Vedi la vita di Sinesioin Tillemont (Memoir. Eccles. Tom. XII. p. 499-554).

120Vedi l'invettiva di Sinesio (Epist. LVII. p. 191-201). La promozioned'Andronico non era legittima, essendo egli nativo di Berenice ch'era nell'istes-sa Provincia. Gl'istrumenti delle torture sono curiosamente specificati, cioèδακτυληφρα o strettoio, ποδοσραβη, ριονλαβις, ωταγρα, χειλοσροφιον, chein varie guise comprimevano o distendevano le dita, i piedi, il naso, le orecchiee le labbra delle vittime.

121La sentenza di scomunica è concepita in uno stile oratorio (Sinesio Epist.58. p. 201-203). Il metodo di comprendervi le intere famiglie, sebbene alquan-to ingiusto, fu esteso anche di più negl'interdetti nazionali.

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va ricevuto con ripugnanza119. Egli vinse il presidenteAndronico, mostro della Libia, che abusava dell'autoritàd'un uffizio venale, inventava modi nuovi di rapina e ditortura, ed aggravava il delitto dell'oppressione conquello del sacrilegio120. Dopo un vano tentativo di ridur-re il superbo Magistrato, mediante una dolce e religiosaammonizione, Sinesio procede a pronunziare l'ultimasentenza della giustizia Ecclesiastica121, che condannaAndronico co' suoi compagni e le loro famiglie all'ese-crazione della terra e del cielo. Gl'impenitenti peccatori,più crudeli di Falaride e di Sennacherib, più dannosidella guerra, della peste o d'un nuvolo di locuste, sonprivati del nome e de' privilegi di Cristiani, della parte-cipazione de' Sacramenti e della speranza del Paradiso.Il Vescovo esorta il Clero, i Magistrati ed il Popolo a ri-nunziare a qualunque commercio co' nemici di Cristo,ad escluderli dalle proprie case o mense, ed a negar loro

119Sinesio avea precedentemente rappresentato le qualità, per le quali si cre-deva incapace di tal posto (Epist. c. 5. p. 246-250). Egli amava gli studi e i di-vertimenti profani; era incapace di sostenere la vita celibe; non credeva la ri-surrezione; e ricusava di predicare favole al popolo, a meno che non gli fossepermesso di filosofare in casa propria. Teofilo, Primate dell'Egitto, che cono-sceva il suo merito, accettò queste straordinarie proteste. Vedi la vita di Sinesioin Tillemont (Memoir. Eccles. Tom. XII. p. 499-554).

120Vedi l'invettiva di Sinesio (Epist. LVII. p. 191-201). La promozioned'Andronico non era legittima, essendo egli nativo di Berenice ch'era nell'istes-sa Provincia. Gl'istrumenti delle torture sono curiosamente specificati, cioèδακτυληφρα o strettoio, ποδοσραβη, ριονλαβις, ωταγρα, χειλοσροφιον, chein varie guise comprimevano o distendevano le dita, i piedi, il naso, le orecchiee le labbra delle vittime.

121La sentenza di scomunica è concepita in uno stile oratorio (Sinesio Epist.58. p. 201-203). Il metodo di comprendervi le intere famiglie, sebbene alquan-to ingiusto, fu esteso anche di più negl'interdetti nazionali.

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i comuni uffici della vita ed i convenienti riti della se-poltura. La Chiesa di Tolemaide, oscura e per quantosembra poco autorevole, manda questa dichiarazione atutte le altre Chiese del Mondo sue sorelle, dichiarandoche qualunque profano rigetterà i suoi decreti, sarà par-tecipe del delitto e della punizione d'Andronico e degliempi seguaci di lui. Tali spirituali terrori acquistaronforza da una destra rappresentanza alla Corte di Bisan-zio; il Presidente implorò tremando la pietà della Chie-sa; e il discendente d'Ercole ebbe il piacere d'alzar daterra un prostrato Tiranno122. Tali principj ed esempi ap-poco appoco preparavano il trionfo de' Pontefici Roma-ni, che han posto il piede sul collo dei Re.

VI. Ogni Governo popolare ha provato gli effettid'una rozza o artificiale eloquenza. Il naturale più freddoviene animato, e la ragione più soda vien mossa dallarapida comunicazione dell'impeto che prevale; ed ogniuditore si trova spinto dalle sue proprie passioni, e daquelle della moltitudine che lo circonda. La rovina dellalibertà civile aveva fatto tacere i Demagoghi d'Atene edi Tribuni di Roma: non s'era introdotto ne' templidell'antichità il costume di predicare, che par che formiuna parte considerabile della devozione Cristiana, e leorecchie de' Monarchi non erano mai state tocchedall'aspro suono della popolar eloquenza, finattanto chei pulpiti dell'Impero furon pieni di sacri Oratori, che go-devano alcuni vantaggi incogniti a' profani loro prede-

122Vedi Sinesio Epist. 47. p. 186, 187. Epist. 72. p. 218, 219. Epist. 89. p.230-231.

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i comuni uffici della vita ed i convenienti riti della se-poltura. La Chiesa di Tolemaide, oscura e per quantosembra poco autorevole, manda questa dichiarazione atutte le altre Chiese del Mondo sue sorelle, dichiarandoche qualunque profano rigetterà i suoi decreti, sarà par-tecipe del delitto e della punizione d'Andronico e degliempi seguaci di lui. Tali spirituali terrori acquistaronforza da una destra rappresentanza alla Corte di Bisan-zio; il Presidente implorò tremando la pietà della Chie-sa; e il discendente d'Ercole ebbe il piacere d'alzar daterra un prostrato Tiranno122. Tali principj ed esempi ap-poco appoco preparavano il trionfo de' Pontefici Roma-ni, che han posto il piede sul collo dei Re.

VI. Ogni Governo popolare ha provato gli effettid'una rozza o artificiale eloquenza. Il naturale più freddoviene animato, e la ragione più soda vien mossa dallarapida comunicazione dell'impeto che prevale; ed ogniuditore si trova spinto dalle sue proprie passioni, e daquelle della moltitudine che lo circonda. La rovina dellalibertà civile aveva fatto tacere i Demagoghi d'Atene edi Tribuni di Roma: non s'era introdotto ne' templidell'antichità il costume di predicare, che par che formiuna parte considerabile della devozione Cristiana, e leorecchie de' Monarchi non erano mai state tocchedall'aspro suono della popolar eloquenza, finattanto chei pulpiti dell'Impero furon pieni di sacri Oratori, che go-devano alcuni vantaggi incogniti a' profani loro prede-

122Vedi Sinesio Epist. 47. p. 186, 187. Epist. 72. p. 218, 219. Epist. 89. p.230-231.

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cessori123. Agli argomenti ed alla rettorica del Tribunoimmediatamente si opponevano con uguali armi abili erisoluti antagonisti; e la causa della verità e della ragio-ne poteva trarre per accidente qualche vantaggio dalconflitto delle contrarie passioni. Il Vescovo o qualchedistinto Prete, al quale aveva esso cautamente delegatala facoltà di predicare, parlava, senza rischio d'esser in-terrotto o contraddetto, ad una sommessa moltitudine, lecui menti erano già disposte e convinte dalle venerandeceremonie della religione. Era tanto stretta la subordina-zione della Chiesa Cattolica, che nel tempo stesso pote-van partire da cento pulpiti dell'Italia o dell'Egitto suoniconcertati nella medesima forma, qualora essi fosserodiretti124 dalla mano maestra del Primate Romano oAlessandrino. Il disegno di tale instituzione era lodevo-le, ma i frutti non furono sempre salutari. I predicatoriraccomandavano la pratica de' doveri sociali; ma esalta-vano la perfezione della virtù Monastica, ch'è penosaper gli individui ed inutile pel genere umano. Le lor ca-ritatevoli esortazioni dimostravano una segreta bramache fosse affidato al Clero il maneggio de' beni de' Fe-

123Vedi il Tomassino (Discipl. Eccles. Tom. II. lib. III. c. 83. p. 1761-1770)e il Bingamo (Antiq. Vol. I, l. XIV. c. 4. p. 688-717). Si risguardava la predica-zione come l'uffizio più importante del Vescovo; ma qualche volta s'affidavaquesta funzione ad alcuni Preti, quali erano Crisostomo ed Agostino.

124La regina Elisabetta usava quest'espressione, e praticava quest'artifizioogni volta che desiderava di preoccupar gli animi del popolo in favore di qual-che passo straordinario del Governo. Il suo successore ebbe occasione di teme-re gli ostili effetti di questa musica, ed il figlio di lui ne provò il rigore «allor-chè il pulpito, il tamburo Ecclesiastico ec.» Vedi Heilyn, Vit. dell'ArcivescovoLaud. p. 153.

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cessori123. Agli argomenti ed alla rettorica del Tribunoimmediatamente si opponevano con uguali armi abili erisoluti antagonisti; e la causa della verità e della ragio-ne poteva trarre per accidente qualche vantaggio dalconflitto delle contrarie passioni. Il Vescovo o qualchedistinto Prete, al quale aveva esso cautamente delegatala facoltà di predicare, parlava, senza rischio d'esser in-terrotto o contraddetto, ad una sommessa moltitudine, lecui menti erano già disposte e convinte dalle venerandeceremonie della religione. Era tanto stretta la subordina-zione della Chiesa Cattolica, che nel tempo stesso pote-van partire da cento pulpiti dell'Italia o dell'Egitto suoniconcertati nella medesima forma, qualora essi fosserodiretti124 dalla mano maestra del Primate Romano oAlessandrino. Il disegno di tale instituzione era lodevo-le, ma i frutti non furono sempre salutari. I predicatoriraccomandavano la pratica de' doveri sociali; ma esalta-vano la perfezione della virtù Monastica, ch'è penosaper gli individui ed inutile pel genere umano. Le lor ca-ritatevoli esortazioni dimostravano una segreta bramache fosse affidato al Clero il maneggio de' beni de' Fe-

123Vedi il Tomassino (Discipl. Eccles. Tom. II. lib. III. c. 83. p. 1761-1770)e il Bingamo (Antiq. Vol. I, l. XIV. c. 4. p. 688-717). Si risguardava la predica-zione come l'uffizio più importante del Vescovo; ma qualche volta s'affidavaquesta funzione ad alcuni Preti, quali erano Crisostomo ed Agostino.

124La regina Elisabetta usava quest'espressione, e praticava quest'artifizioogni volta che desiderava di preoccupar gli animi del popolo in favore di qual-che passo straordinario del Governo. Il suo successore ebbe occasione di teme-re gli ostili effetti di questa musica, ed il figlio di lui ne provò il rigore «allor-chè il pulpito, il tamburo Ecclesiastico ec.» Vedi Heilyn, Vit. dell'ArcivescovoLaud. p. 153.

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deli per benefizio de' poveri. Le più sublimi rappresen-tazioni degli attributi e delle leggi di Dio venivano con-taminate da una vana mistura di metafisiche sottigliezze,di riti puerili e di supposti miracoli; e col più fervidozelo si diffondevano sul merito religioso di detestar gliavversari della Chiesa, e di ubbidirne i ministri. Quandol'eresia o lo scisma turbava la pubblica pace, i sacri ora-tori suonavan la tromba della discordia e forse della se-dizione. Per mezzo de' misteri si rendeva perplessol'intelletto degli uditori; se ne infiammavano le passionicolle invettive; ed essi uscivano da' tempj Cristianid'Antiochia o d'Alessandria, preparati o a soffrire o adare il martirio. Nelle veementi declamazioni de' Vesco-vi Latini si vede chiaramente la corruzione del gusto edella lingua; ma le composizioni di Gregorio o di Griso-stomo si son paragonate a' modelli più splendididell'Attica o almeno dell'Asiatica eloquenza125.

[A. D. 314]VII. I rappresentanti della Repubblica Cristiana ogni

anno adunavansi regolarmente nella primavera enell'autunno; e questi Sinodi sparsero lo spirito della di-sciplina e legislazione Ecclesiastica per le centoventiProvince del Mondo Romano126. L'Arcivescovo o il Me-

125Que' modesti Oratori confessavano, che, mancando essi del dono de' mi-racoli, procuravano di acquistar le arti della eloquenza.

126Il Concilio Niceno fece ne' Canoni 4, 5, 6 e 7 alcuni regolamenti fonda-mentali sopra i Sinodi, i Metropolitani ed i Primati. Di questi Canoni si è in va-rie guise abusato, se n'è contorto il senso, si sono interpolati, e se ne son fintidei nuovi secondo l'interesse del Clero. Le Chiese Suburbicarie, assegnate da

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deli per benefizio de' poveri. Le più sublimi rappresen-tazioni degli attributi e delle leggi di Dio venivano con-taminate da una vana mistura di metafisiche sottigliezze,di riti puerili e di supposti miracoli; e col più fervidozelo si diffondevano sul merito religioso di detestar gliavversari della Chiesa, e di ubbidirne i ministri. Quandol'eresia o lo scisma turbava la pubblica pace, i sacri ora-tori suonavan la tromba della discordia e forse della se-dizione. Per mezzo de' misteri si rendeva perplessol'intelletto degli uditori; se ne infiammavano le passionicolle invettive; ed essi uscivano da' tempj Cristianid'Antiochia o d'Alessandria, preparati o a soffrire o adare il martirio. Nelle veementi declamazioni de' Vesco-vi Latini si vede chiaramente la corruzione del gusto edella lingua; ma le composizioni di Gregorio o di Griso-stomo si son paragonate a' modelli più splendididell'Attica o almeno dell'Asiatica eloquenza125.

[A. D. 314]VII. I rappresentanti della Repubblica Cristiana ogni

anno adunavansi regolarmente nella primavera enell'autunno; e questi Sinodi sparsero lo spirito della di-sciplina e legislazione Ecclesiastica per le centoventiProvince del Mondo Romano126. L'Arcivescovo o il Me-

125Que' modesti Oratori confessavano, che, mancando essi del dono de' mi-racoli, procuravano di acquistar le arti della eloquenza.

126Il Concilio Niceno fece ne' Canoni 4, 5, 6 e 7 alcuni regolamenti fonda-mentali sopra i Sinodi, i Metropolitani ed i Primati. Di questi Canoni si è in va-rie guise abusato, se n'è contorto il senso, si sono interpolati, e se ne son fintidei nuovi secondo l'interesse del Clero. Le Chiese Suburbicarie, assegnate da

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tropolitano era dalle leggi autorizzato a convocare i Ve-scovi suffraganei alla sua Provincia, ad invigilare sullalor condotta, a sostenerne i diritti, a dichiararne la fede,e ad esaminare il merito de' candidati, che venivanoeletti dal Clero e dal Popolo, per supplire alla vacanzadel collegio Episcopale. I Primati di Roma, d'Alessan-dria, d'Antiochia, di Cartagine, ed in seguito di Costanti-nopoli, che godevano una giurisdizione più ampia, adu-navano le numerose assemblee de' Vescovi lor dipen-denti. Ma era una prerogativa propria del solo Imperato-re la convocazione de' Sinodi grandi e straordinari. Ognivolta che le occorrenze della Chiesa richiedevano si ve-nisse a tal passo decisivo, egli mandava una perentoriaintimazione a' Vescovi o ai Deputati di ciascheduna Pro-vincia, coll'ordine opportuno per l'uso de' cavalli pubbli-ci, o con assegnamenti convenienti per le spese del loroviaggio. Ne' primi tempi, allorchè Costantino era protet-tore piuttosto che proselito del Cristianesimo, egli rimi-se la controversia Affricana al Concilio d'Arles, in cui sitrovarono come fratelli ed amici i Vescovi di Yorck, diTreveri, di Milano, e di Cartagine per dibattere nel nati-vo loro linguaggio il comune interesse della Chiesa La-tina e Occidentale127. Undici anni dopo, a Nicea nellaBitinia, fu convocata una più celebre e numerosa assem-blea, per estinguere con definitiva sentenza le sottili di-Ruffino al Vescovo di Roma, hanno dato occasione ad una veemente contro-versia. Vedi Sirmond, Oper. Tom. IV. p. 1-238.

127Non abbiamo che trentatre o quarantasette soscrizioni Episcopali; maAdone, autore veramente di poco credito, conta seicento Vescovi nel Conciliod'Arles. Tillemont, Mem. Eccl. Tom. VI. p. 422.

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tropolitano era dalle leggi autorizzato a convocare i Ve-scovi suffraganei alla sua Provincia, ad invigilare sullalor condotta, a sostenerne i diritti, a dichiararne la fede,e ad esaminare il merito de' candidati, che venivanoeletti dal Clero e dal Popolo, per supplire alla vacanzadel collegio Episcopale. I Primati di Roma, d'Alessan-dria, d'Antiochia, di Cartagine, ed in seguito di Costanti-nopoli, che godevano una giurisdizione più ampia, adu-navano le numerose assemblee de' Vescovi lor dipen-denti. Ma era una prerogativa propria del solo Imperato-re la convocazione de' Sinodi grandi e straordinari. Ognivolta che le occorrenze della Chiesa richiedevano si ve-nisse a tal passo decisivo, egli mandava una perentoriaintimazione a' Vescovi o ai Deputati di ciascheduna Pro-vincia, coll'ordine opportuno per l'uso de' cavalli pubbli-ci, o con assegnamenti convenienti per le spese del loroviaggio. Ne' primi tempi, allorchè Costantino era protet-tore piuttosto che proselito del Cristianesimo, egli rimi-se la controversia Affricana al Concilio d'Arles, in cui sitrovarono come fratelli ed amici i Vescovi di Yorck, diTreveri, di Milano, e di Cartagine per dibattere nel nati-vo loro linguaggio il comune interesse della Chiesa La-tina e Occidentale127. Undici anni dopo, a Nicea nellaBitinia, fu convocata una più celebre e numerosa assem-blea, per estinguere con definitiva sentenza le sottili di-Ruffino al Vescovo di Roma, hanno dato occasione ad una veemente contro-versia. Vedi Sirmond, Oper. Tom. IV. p. 1-238.

127Non abbiamo che trentatre o quarantasette soscrizioni Episcopali; maAdone, autore veramente di poco credito, conta seicento Vescovi nel Conciliod'Arles. Tillemont, Mem. Eccl. Tom. VI. p. 422.

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spute ch'erano insorte nell'Egitto sopra la Trinità.

[A. D. 325]Trecento diciotto Vescovi obbedirono all'intimazione

dell'indulgente loro Signore; gli Ecclesiastici di ognispecie, setta o nome, vennero computati fino a duemilaquarantotto persone128; i Greci vi comparvero personal-mente, ed il consenso de' Latini fu espresso da' Legatidel Romano Pontefice. Le sessioni, che durarono circadue mesi, frequentemente furon onorate dalla presenzadell'Imperatore. Lasciando esso le guardie alla porta, se-deva (colla permissione del Concilio) sopra una piccolasedia nel mezzo dell'assemblea. Costantino ascoltavacon pazienza e parlava modestamente; e nel mentre cheinfluiva sulle discussioni, protestava umilmente, ch'egliera il ministro non il giudice de' successori degli Apo-stoli, ch'erano stati stabiliti come Sacerdoti e come Diisulla terra129. Tal profonda venerazione d'un assolutoMonarca verso un debole disarmato congresso di proprisudditi, non si può paragonare che al rispetto con cui sitrattava il Senato da' Principi Romani, che adottarono lapolitica d'Augusto. Nello spazio di cinquant'anni, unospettator filosofico delle umane vicende avrebbe potutoconfrontar Tacito nel Senato di Roma, e Costantino nel

128Vedi Tillemont (Tom. VI. p. 915) e Beausobre (Hist. du ManicheismeTom. I. p. 529). Il nome di Vescovo dato da Eutichio ai 2048. Ecclesiastici (An-nal. Tom. I. p. 440. vers. Pocock) si deve estendere molto al di là de' limitid'una ordinazione ortodossa o anche Episcopale.

129Vedi Eusebio in vit. Const. lib. III. c. 6-21. Tillemont, Mem. Eccl. Tom.VI. p. 669-759.

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spute ch'erano insorte nell'Egitto sopra la Trinità.

[A. D. 325]Trecento diciotto Vescovi obbedirono all'intimazione

dell'indulgente loro Signore; gli Ecclesiastici di ognispecie, setta o nome, vennero computati fino a duemilaquarantotto persone128; i Greci vi comparvero personal-mente, ed il consenso de' Latini fu espresso da' Legatidel Romano Pontefice. Le sessioni, che durarono circadue mesi, frequentemente furon onorate dalla presenzadell'Imperatore. Lasciando esso le guardie alla porta, se-deva (colla permissione del Concilio) sopra una piccolasedia nel mezzo dell'assemblea. Costantino ascoltavacon pazienza e parlava modestamente; e nel mentre cheinfluiva sulle discussioni, protestava umilmente, ch'egliera il ministro non il giudice de' successori degli Apo-stoli, ch'erano stati stabiliti come Sacerdoti e come Diisulla terra129. Tal profonda venerazione d'un assolutoMonarca verso un debole disarmato congresso di proprisudditi, non si può paragonare che al rispetto con cui sitrattava il Senato da' Principi Romani, che adottarono lapolitica d'Augusto. Nello spazio di cinquant'anni, unospettator filosofico delle umane vicende avrebbe potutoconfrontar Tacito nel Senato di Roma, e Costantino nel

128Vedi Tillemont (Tom. VI. p. 915) e Beausobre (Hist. du ManicheismeTom. I. p. 529). Il nome di Vescovo dato da Eutichio ai 2048. Ecclesiastici (An-nal. Tom. I. p. 440. vers. Pocock) si deve estendere molto al di là de' limitid'una ordinazione ortodossa o anche Episcopale.

129Vedi Eusebio in vit. Const. lib. III. c. 6-21. Tillemont, Mem. Eccl. Tom.VI. p. 669-759.

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Concilio di Nicea. Tanto i Padri del Campidoglio, quan-to quelli della Chiesa eran degenerati dalle virtù de' lorfondatori; ma siccome i Vescovi avevan gettate radicipiù profonde nella pubblica opinione, così sostennerocon più decente orgoglio la lor dignità, ed alle volte siopposero con virile spirito alle brame del loro Sovrano.Il progresso del tempo e della superstizione ha cancella-to la memoria della debolezza, della passione edell'ignoranza, che oscurava quegli Ecclesiastici Sinodi,ed il Mondo Cattolico si è concordemente sottomesso130

agl'infallibili decreti de' generali Concilj131.

130Sancimus igitur vicem legum obtinere, quae a quatuor SanctisConciliis... expositae sunt aut firmatae. Praedictarum enim quatuorSynodorum dogmata sicut Sanctas Scripturas, et regulas sicut legesobservamus. Giustiniano Nov. 131. Il Beveregio (ad Pandect. Proleg. p. 2) os-serva, che gl'Imperatori non fecero mai leggi nuove nelle materie Ecclesiasti-che; e Giannone avverte con uno spirito molto diverso, ch'essi diedero la san-zione legale a' Canoni de' Concilj. (Ist. Civ. di Nap. T. I. p. 136)

131Vedi l'art. Concile nell'Enciclopedia Tom. III. p. 668, 679. ediz. di Lucca.Il dottor Bouchand, autore di esso, ha discusso, a norma de' principj dellaChiesa Gallicana, le principali questioni relative alla forma e costituzione de'Concili generali, e provinciali. Gli Editori (Preface p. XVI) han ragione di glo-riarsi di quest'articolo. Di rado quelli, che consultano l'immensa loro compila-zione, restano sì ben soddisfatti.

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Concilio di Nicea. Tanto i Padri del Campidoglio, quan-to quelli della Chiesa eran degenerati dalle virtù de' lorfondatori; ma siccome i Vescovi avevan gettate radicipiù profonde nella pubblica opinione, così sostennerocon più decente orgoglio la lor dignità, ed alle volte siopposero con virile spirito alle brame del loro Sovrano.Il progresso del tempo e della superstizione ha cancella-to la memoria della debolezza, della passione edell'ignoranza, che oscurava quegli Ecclesiastici Sinodi,ed il Mondo Cattolico si è concordemente sottomesso130

agl'infallibili decreti de' generali Concilj131.

130Sancimus igitur vicem legum obtinere, quae a quatuor SanctisConciliis... expositae sunt aut firmatae. Praedictarum enim quatuorSynodorum dogmata sicut Sanctas Scripturas, et regulas sicut legesobservamus. Giustiniano Nov. 131. Il Beveregio (ad Pandect. Proleg. p. 2) os-serva, che gl'Imperatori non fecero mai leggi nuove nelle materie Ecclesiasti-che; e Giannone avverte con uno spirito molto diverso, ch'essi diedero la san-zione legale a' Canoni de' Concilj. (Ist. Civ. di Nap. T. I. p. 136)

131Vedi l'art. Concile nell'Enciclopedia Tom. III. p. 668, 679. ediz. di Lucca.Il dottor Bouchand, autore di esso, ha discusso, a norma de' principj dellaChiesa Gallicana, le principali questioni relative alla forma e costituzione de'Concili generali, e provinciali. Gli Editori (Preface p. XVI) han ragione di glo-riarsi di quest'articolo. Di rado quelli, che consultano l'immensa loro compila-zione, restano sì ben soddisfatti.

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CAPITOLO XXI.

Eresia perseguitata. Scisma de' Donatisti. ControversiaArriana. Atanasio. Stato della Chiesa e dell'Impero, tur-bato sotto Costantino ed i suoi figli. Tolleranza del Pa-

ganesimo.

L'applauso del Clero, grato ad un132 Principe che nesecondò le passioni, e ne promosse il vantaggio, ha con-sacrato la memoria di Costantino. Questi gli procurò si-curezza, beni, onori e vendetta; e risguardò la difesa del-la fede ortodossa come il più133 sacro ed importante do-vere d'un civil Magistrato. L'editto di Milano, quellagran carta di tolleranza, avea confermato ad ogni indivi-duo del Mondo Romano il privilegio di scegliere e diprofessare la propria sua religione. Ma fu ben prestoviolato questo inestimabile privilegio; l'Imperatore, in-sieme colla cognizione della verità, apprese anche lemassime della persecuzione; e le Sette, discordi dallaChiesa Cattolica, furono afflitte ed oppresse dal trionfodel Cristianesimo. Costantino credé facilmente che gliEretici, i quali pretendevano d'opporsi a' comandi, o di-sputar contro le opinioni di lui, fosser colpevoli dellapiù assurda e rea ostinazione; e che l'uso opportuno dimoderati gastighi avrebbe potuto salvare quegl'infelicidal pericolo di un'eterna condanna. Non si perdè un mo-

132Nell’originale "a dun". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]133Nell’originale "piu". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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CAPITOLO XXI.

Eresia perseguitata. Scisma de' Donatisti. ControversiaArriana. Atanasio. Stato della Chiesa e dell'Impero, tur-bato sotto Costantino ed i suoi figli. Tolleranza del Pa-

ganesimo.

L'applauso del Clero, grato ad un132 Principe che nesecondò le passioni, e ne promosse il vantaggio, ha con-sacrato la memoria di Costantino. Questi gli procurò si-curezza, beni, onori e vendetta; e risguardò la difesa del-la fede ortodossa come il più133 sacro ed importante do-vere d'un civil Magistrato. L'editto di Milano, quellagran carta di tolleranza, avea confermato ad ogni indivi-duo del Mondo Romano il privilegio di scegliere e diprofessare la propria sua religione. Ma fu ben prestoviolato questo inestimabile privilegio; l'Imperatore, in-sieme colla cognizione della verità, apprese anche lemassime della persecuzione; e le Sette, discordi dallaChiesa Cattolica, furono afflitte ed oppresse dal trionfodel Cristianesimo. Costantino credé facilmente che gliEretici, i quali pretendevano d'opporsi a' comandi, o di-sputar contro le opinioni di lui, fosser colpevoli dellapiù assurda e rea ostinazione; e che l'uso opportuno dimoderati gastighi avrebbe potuto salvare quegl'infelicidal pericolo di un'eterna condanna. Non si perdè un mo-

132Nell’originale "a dun". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]133Nell’originale "piu". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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mento ad escludere i ministri e i predicatori delle sepa-rate congregazioni da ogni partecipazione delle ricom-pense e delle immunità, che l'Imperatore aveva sì libera-mente concesse al Clero ortodosso. Ma siccome i Settarjpotevan tuttavia sussistere sotto il peso della disgraziareale, si fece immediatamente seguire alla conquistadell'Oriente un editto, che annunziava la totale lor di-struzione134. Dopo un preambolo pieno di passione e dirimproveri, Costantino assolutamente proibisce le as-semblee degli Eretici, e confisca i comuni lor beni, ap-plicandoli o al Fisco o alla Chiesa Cattolica. Le Sette,contro delle quali era diretta la Imperiale severità, pareche fosser composte dagli aderenti di Paolo di Samosa-ta; da' Montanisti della Frigia, che conservavanoun'entusiastica successione di profezia; da' Novaziani,che fieramente rigettavano la temporal efficacia dellapenitenza; da' Marcioniti e Valentiniani, sotto i principa-li stendardi de' quali appoco appoco riunite s'erano le di-verse specie di Gnostici dell'Egitto e dell'Asia; e forseda' Manichei, che di fresco avevan portato dalla Persiauna più artificiosa composizione di Teologia Orientale eCristiana135. Si eseguì con vigore e con effetto il disegnodi estirpare il nome, o almeno d'impedire i progressi di

134Eusebio in vit. Const. l. III. c. 63, 64, 65, 66.135Dopo qualche esame delle varie opinioni di Tillemont, di Beausobre, di

Lardner ec. io son persuaso, che Manete non propagasse neppure nella Persiala sua Setta prima dell'anno 270. Egli è strano, che una filosofica e stranieraeresia penetrar potesse con tanta rapidità nelle Province Affricane; pure io nonposso facilmente indurmi a rigettare l'editto di Diocleziano contro i Manichei,che può leggersi appresso il Baronio (An. Eccles. an. 287).

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mento ad escludere i ministri e i predicatori delle sepa-rate congregazioni da ogni partecipazione delle ricom-pense e delle immunità, che l'Imperatore aveva sì libera-mente concesse al Clero ortodosso. Ma siccome i Settarjpotevan tuttavia sussistere sotto il peso della disgraziareale, si fece immediatamente seguire alla conquistadell'Oriente un editto, che annunziava la totale lor di-struzione134. Dopo un preambolo pieno di passione e dirimproveri, Costantino assolutamente proibisce le as-semblee degli Eretici, e confisca i comuni lor beni, ap-plicandoli o al Fisco o alla Chiesa Cattolica. Le Sette,contro delle quali era diretta la Imperiale severità, pareche fosser composte dagli aderenti di Paolo di Samosa-ta; da' Montanisti della Frigia, che conservavanoun'entusiastica successione di profezia; da' Novaziani,che fieramente rigettavano la temporal efficacia dellapenitenza; da' Marcioniti e Valentiniani, sotto i principa-li stendardi de' quali appoco appoco riunite s'erano le di-verse specie di Gnostici dell'Egitto e dell'Asia; e forseda' Manichei, che di fresco avevan portato dalla Persiauna più artificiosa composizione di Teologia Orientale eCristiana135. Si eseguì con vigore e con effetto il disegnodi estirpare il nome, o almeno d'impedire i progressi di

134Eusebio in vit. Const. l. III. c. 63, 64, 65, 66.135Dopo qualche esame delle varie opinioni di Tillemont, di Beausobre, di

Lardner ec. io son persuaso, che Manete non propagasse neppure nella Persiala sua Setta prima dell'anno 270. Egli è strano, che una filosofica e stranieraeresia penetrar potesse con tanta rapidità nelle Province Affricane; pure io nonposso facilmente indurmi a rigettare l'editto di Diocleziano contro i Manichei,che può leggersi appresso il Baronio (An. Eccles. an. 287).

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quegli odiosi Eretici. Si copiarono dagli editti di Diocle-ziano alcuni regolamenti penali, e tal metodo di conver-sione fu applaudito da quegli stessi Vescovi, che avevanprovato il peso dell'oppressione, e difesi i dirittidell'umanità. Due particolari circostanze, per altro, pos-son servire a provare che lo spirito di Costantino non erainteramente corrotto dallo zelo e dal bigottismo. Avantidi condannare i Manichei e le Sette ad essi aderenti, esa-minar volle diligentemente la natura de religiosi loroprincipj. Siccome diffidava dell'imparzialità de' suoiconsiglieri Ecclesiastici, diede tal delicata commissionead un Magistrato civile, di cui egli giustamente stimavala moderazione e il sapere, e probabilmente ne ignoravail venale carattere136. Tosto restò l'Imperatore convinto,che aveva con troppa fretta proscritta l'ortodossa fede egli esemplari costumi de' Novaziani, che dissentivanodalla Chiesa in alcuni articoli di disciplina, i quali forsenon erano essenziali per l'eterna salute. Onde con uneditto particolare gli esentò dalle pene generali dellalegge137; compartì loro la facoltà di erigere una Chiesa inCostantinopoli, rispettò i miracoli de' loro Santi; invitòal Concilio di Nicea il loro Vescovo Acesio; e pose gen-

136Constantinus enim cum limatius superstitionum quaereret sectasManichaeorum et similium etc. Ammian. XV. 15. Strategio, che da questacommissione prese il soprannome di Musioniano, era un Cristiano della Settad'Arrio. Esso intervenne come uno de' Conti al Concilio di Sardi. Libanio lodala sua dolcezza e prudenza. Vales ad d. loc. Ammian.

137Cod. Teod. (l. XVI. Tit. V. leg. 2). Siccome nel Codice Teodosiano non sitrova inserita la legge generale, egli è probabile che nell'anno 438 fosser giàestinte le Sette nella medesima condannate.

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quegli odiosi Eretici. Si copiarono dagli editti di Diocle-ziano alcuni regolamenti penali, e tal metodo di conver-sione fu applaudito da quegli stessi Vescovi, che avevanprovato il peso dell'oppressione, e difesi i dirittidell'umanità. Due particolari circostanze, per altro, pos-son servire a provare che lo spirito di Costantino non erainteramente corrotto dallo zelo e dal bigottismo. Avantidi condannare i Manichei e le Sette ad essi aderenti, esa-minar volle diligentemente la natura de religiosi loroprincipj. Siccome diffidava dell'imparzialità de' suoiconsiglieri Ecclesiastici, diede tal delicata commissionead un Magistrato civile, di cui egli giustamente stimavala moderazione e il sapere, e probabilmente ne ignoravail venale carattere136. Tosto restò l'Imperatore convinto,che aveva con troppa fretta proscritta l'ortodossa fede egli esemplari costumi de' Novaziani, che dissentivanodalla Chiesa in alcuni articoli di disciplina, i quali forsenon erano essenziali per l'eterna salute. Onde con uneditto particolare gli esentò dalle pene generali dellalegge137; compartì loro la facoltà di erigere una Chiesa inCostantinopoli, rispettò i miracoli de' loro Santi; invitòal Concilio di Nicea il loro Vescovo Acesio; e pose gen-

136Constantinus enim cum limatius superstitionum quaereret sectasManichaeorum et similium etc. Ammian. XV. 15. Strategio, che da questacommissione prese il soprannome di Musioniano, era un Cristiano della Settad'Arrio. Esso intervenne come uno de' Conti al Concilio di Sardi. Libanio lodala sua dolcezza e prudenza. Vales ad d. loc. Ammian.

137Cod. Teod. (l. XVI. Tit. V. leg. 2). Siccome nel Codice Teodosiano non sitrova inserita la legge generale, egli è probabile che nell'anno 438 fosser giàestinte le Sette nella medesima condannate.

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tilmente in ridicolo le rigorose opinioni della sua Settacon un famigliar motto, che dalla bocca d'un Sovrano sidovè ricevere con applauso e gratitudine138.

[A. D. 312]Le querele e le vicendevoli accuse, che assalirono il

trono di Costantino, dopo che la morte di Massenzioebbe sottoposto l'Affrica alle vittoriose sue armi, eranmal acconce a edificare un imperfetto proselito. Ei sep-pe con sua maraviglia, che le Province di quella gran re-gione, da' confini di Cirene fino alle Colonne d'Ercole,eran divise per discordie di religione139. L'origine delladivisione proveniva da una doppia elezione fatta nellaChiesa di Cartagine, che tanto per grado, quanto per ric-chezze era la seconda fra le sedi Ecclesiastichedell'Occidente. I due rivali Primati dell'Affrica eran Ce-ciliano e Maiorino; e la morte di questo ultimo tosto die-de luogo a Donato, che a motivo della sua maggiore abi-lità ed apparente virtù fu il più stabil sostegno del suopartito. Il vantaggio, che Ceciliano poteva trarre

138Sozomeno (l. I. c. 22.) Socrate (l. I. c. 10). Si è sospettato, ma credo sen-za ragione, che quest'Istorici inclinassero alla dottrina Novaziana. L'Imperatoredisse al Vescovo: "Acesio, prendi una scala e va in Paradiso da te solo". MolteSette Cristiane hanno a vicenda presa in prestito la scala d'Acesio.

139Si posson trovare i migliori materiali per questa parte d'Istoria Ecclesia-stica nell'edizione d'Ottato Melevitano, pubblicata in Parigi nel 1700 da M.Dupin, che l'ha arricchita con note critiche, con geografiche discussioni, conmemorie originali, e con un esatto compendio di tutta la controversia. Il Tille-mont ha impiegato intorno a' Donatisti la maggior parte del Tom. VI P. I. e adesso è dovuta un'ampia collezione di tutti i passi di S. Agostino, suo favorito,che si riferiscono a quegli Eretici.

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tilmente in ridicolo le rigorose opinioni della sua Settacon un famigliar motto, che dalla bocca d'un Sovrano sidovè ricevere con applauso e gratitudine138.

[A. D. 312]Le querele e le vicendevoli accuse, che assalirono il

trono di Costantino, dopo che la morte di Massenzioebbe sottoposto l'Affrica alle vittoriose sue armi, eranmal acconce a edificare un imperfetto proselito. Ei sep-pe con sua maraviglia, che le Province di quella gran re-gione, da' confini di Cirene fino alle Colonne d'Ercole,eran divise per discordie di religione139. L'origine delladivisione proveniva da una doppia elezione fatta nellaChiesa di Cartagine, che tanto per grado, quanto per ric-chezze era la seconda fra le sedi Ecclesiastichedell'Occidente. I due rivali Primati dell'Affrica eran Ce-ciliano e Maiorino; e la morte di questo ultimo tosto die-de luogo a Donato, che a motivo della sua maggiore abi-lità ed apparente virtù fu il più stabil sostegno del suopartito. Il vantaggio, che Ceciliano poteva trarre

138Sozomeno (l. I. c. 22.) Socrate (l. I. c. 10). Si è sospettato, ma credo sen-za ragione, che quest'Istorici inclinassero alla dottrina Novaziana. L'Imperatoredisse al Vescovo: "Acesio, prendi una scala e va in Paradiso da te solo". MolteSette Cristiane hanno a vicenda presa in prestito la scala d'Acesio.

139Si posson trovare i migliori materiali per questa parte d'Istoria Ecclesia-stica nell'edizione d'Ottato Melevitano, pubblicata in Parigi nel 1700 da M.Dupin, che l'ha arricchita con note critiche, con geografiche discussioni, conmemorie originali, e con un esatto compendio di tutta la controversia. Il Tille-mont ha impiegato intorno a' Donatisti la maggior parte del Tom. VI P. I. e adesso è dovuta un'ampia collezione di tutti i passi di S. Agostino, suo favorito,che si riferiscono a quegli Eretici.

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dall'anteriorità della sua ordinazione, veniva tolto dimezzo dall'illegittima o almeno indecente fretta, con cuis'era fatta, senz'aspettare l'arrivo de' Vescovi della Nu-midia. L'autorità poi di questi Vescovi, che nel numerodi settanta condannarono Ceciliano, e consacrarono Ma-iorino, viene pur anche indebolita dall'infamia di varjloro caratteri personali e dagl'intrighi muliebri, dalle sa-crileghe convenzioni e dal tumultuoso procedere, chesogliono imputarsi a questo Concilio Numidico140. I Ve-scovi delle contrarie parti sostenevano con ugual ostina-zione ed ardore, che i loro avversari dovessero degra-darsi, o almeno infamarsi per l'odioso delitto d'aver datein mano agli uffiziali di Diocleziano le Sante Scritture.Da' rimproveri, che vicendevolmente si fecero, nonmeno che dall'istoria di quest'oscuro fatto può giusta-mente inferirsi, che l'ultima persecuzione aveva invele-nito lo zelo de' Cristiani dell'Affrica, senza riformarne icostumi. La Chiesa, in tal maniera divisa, non era capa-ce di rendere un giudizio imparziale; la controversiadunque fu solennemente agitata in cinque Tribunali di-versi, che furono assegnati dall'Imperatore; e tutta laprocessura, dal primo appello fino alla definitiva senten-

140Schisma igitur illo tempore confusae mulieris iracundia peperit,amibitus nutrivit, avaritia roboravit. Optat. l. I. c. 19. Il linguaggio di Purpurioè simile a quello di un furioso frenetico: dicitur te necasse filios soraris tuaeduos. Purpurius respondit. Putas me terreri a te... occidi; et occido eos, quicontra me faciunt. Act. Conc. Cirtens. ad calc. Optat. p. 274. Quando Cecilia-no fu inviato ad un'assemblea di Vescovi, Purpurio disse a' suoi confratelli opiuttosto complici: "Venga pur qua a ricever da noi l'imposizione delle mani, enoi in via di penitenza gli spezzeremo la testa". Optat. l. I. c. 19.

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dall'anteriorità della sua ordinazione, veniva tolto dimezzo dall'illegittima o almeno indecente fretta, con cuis'era fatta, senz'aspettare l'arrivo de' Vescovi della Nu-midia. L'autorità poi di questi Vescovi, che nel numerodi settanta condannarono Ceciliano, e consacrarono Ma-iorino, viene pur anche indebolita dall'infamia di varjloro caratteri personali e dagl'intrighi muliebri, dalle sa-crileghe convenzioni e dal tumultuoso procedere, chesogliono imputarsi a questo Concilio Numidico140. I Ve-scovi delle contrarie parti sostenevano con ugual ostina-zione ed ardore, che i loro avversari dovessero degra-darsi, o almeno infamarsi per l'odioso delitto d'aver datein mano agli uffiziali di Diocleziano le Sante Scritture.Da' rimproveri, che vicendevolmente si fecero, nonmeno che dall'istoria di quest'oscuro fatto può giusta-mente inferirsi, che l'ultima persecuzione aveva invele-nito lo zelo de' Cristiani dell'Affrica, senza riformarne icostumi. La Chiesa, in tal maniera divisa, non era capa-ce di rendere un giudizio imparziale; la controversiadunque fu solennemente agitata in cinque Tribunali di-versi, che furono assegnati dall'Imperatore; e tutta laprocessura, dal primo appello fino alla definitiva senten-

140Schisma igitur illo tempore confusae mulieris iracundia peperit,amibitus nutrivit, avaritia roboravit. Optat. l. I. c. 19. Il linguaggio di Purpurioè simile a quello di un furioso frenetico: dicitur te necasse filios soraris tuaeduos. Purpurius respondit. Putas me terreri a te... occidi; et occido eos, quicontra me faciunt. Act. Conc. Cirtens. ad calc. Optat. p. 274. Quando Cecilia-no fu inviato ad un'assemblea di Vescovi, Purpurio disse a' suoi confratelli opiuttosto complici: "Venga pur qua a ricever da noi l'imposizione delle mani, enoi in via di penitenza gli spezzeremo la testa". Optat. l. I. c. 19.

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za, durò più di tre anni. Una vigorosa inquisizione fattadal Vicario Pretoriano e dal Proconsole dell'Affrica; larelazione di due Visitatori Episcopali, che furon mandatia Cartagine; i decreti dei Concili di Roma e d'Arles; edil giudizio supremo di Costantino medesimo nel sacrosuo Concistoro, furono tutti favorevoli alla causa di Ce-ciliano, ed egli venne di comun consenso riconosciutodalla civile e dalla ecclesiastica potestà come il vero elegittimo Primate dell'Affrica. Si diedero gli onori ed ibeni della Chiesa a' Vescovi suffraganei di lui, e nonsenza difficoltà Costantino si contentò di punir coll'esi-lio i principali capi della fazion Donatista. Siccome laloro causa fu esaminata con attenzione, forse fu anchegiustamente decisa; e forse non era priva di fondamentola loro querela, che si fosse ingannata la credulitàdell'Imperatore dagl'insidiosi artifizi d'Osio suo favorito.L'influenza della falsità o della corruzione potè procura-re la condanna dell'innocente, o aggravar la sentenza delreo. Tal atto però d'ingiustizia, se avesse terminatoun'importuna disputa, avrebbe potuto annoverarsi fraque' mali transitorj d'un governo dispotico, che non piùsi risentono, nè si rammentano dalla posterità.

[A. D. 315]Ma quest'incidente sì piccolo per se stesso, che appe-

na merita luogo nell'istoria, produsse un memorabilescisma, che afflisse le Province dell'Affrica più di tre-cento anni, e non vi fu estinto che insieme col Cristiane-

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za, durò più di tre anni. Una vigorosa inquisizione fattadal Vicario Pretoriano e dal Proconsole dell'Affrica; larelazione di due Visitatori Episcopali, che furon mandatia Cartagine; i decreti dei Concili di Roma e d'Arles; edil giudizio supremo di Costantino medesimo nel sacrosuo Concistoro, furono tutti favorevoli alla causa di Ce-ciliano, ed egli venne di comun consenso riconosciutodalla civile e dalla ecclesiastica potestà come il vero elegittimo Primate dell'Affrica. Si diedero gli onori ed ibeni della Chiesa a' Vescovi suffraganei di lui, e nonsenza difficoltà Costantino si contentò di punir coll'esi-lio i principali capi della fazion Donatista. Siccome laloro causa fu esaminata con attenzione, forse fu anchegiustamente decisa; e forse non era priva di fondamentola loro querela, che si fosse ingannata la credulitàdell'Imperatore dagl'insidiosi artifizi d'Osio suo favorito.L'influenza della falsità o della corruzione potè procura-re la condanna dell'innocente, o aggravar la sentenza delreo. Tal atto però d'ingiustizia, se avesse terminatoun'importuna disputa, avrebbe potuto annoverarsi fraque' mali transitorj d'un governo dispotico, che non piùsi risentono, nè si rammentano dalla posterità.

[A. D. 315]Ma quest'incidente sì piccolo per se stesso, che appe-

na merita luogo nell'istoria, produsse un memorabilescisma, che afflisse le Province dell'Affrica più di tre-cento anni, e non vi fu estinto che insieme col Cristiane-

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simo stesso. L'inflessibile zelo di libertà e di fanatismoanimava i Donatisti a ricusar d'ubbidire agli usurpatori,de' quali disputavano l'elezione, e negavano la spiritualpotestà. Esclusi dal civile e religioso commercio degliuomini, essi arditamente scomunicarono il resto del ge-nere umano, che aveva abbracciato l'empio partito diCeciliano e de' traditori, da' quali traeva la pretesa suaordinazione. Asserivano con sicurezza e quasi esultan-do, che s'era interrotta la successione Apostolica; chetutti i Vescovi dell'Europa e dell'Asia erano infetti dalcontagio della colpa e dello scisma; e che le prerogativedella Chiesa Cattolica si ristringevano a quella sceltaporzione di credenti Affricani, che soli avean conservataintatta la integrità della fede e della disciplina. Questarigida teoria veniva sostenuta da una men caritatevolecondotta. Ogni volta che acquistavano un proselito, an-che dalle distanti Province dell'Oriente, reiteravanoscrupolosamente i sacri riti del Battesimo141 e dell'Ordi-nazione, rigettando la validità di quelli ch'esso avea ri-cevuti dalle mani degli Eretici o degli Scismatici. I Ve-scovi, le vergini ed eziandio gl'innocenti bambini eransottoposti al peso di una penitenza pubblica, primad'essere ammessi alla comunione de' Donatisti. Se otte-nevano il possesso d'una Chiesa, di cui avesser fatto uso

141I Concilj di Arles, di Nicea e di Trento confermarono la savia e moderatapratica della Chiesa Romana. I Donatisti però avevano il vantaggio di sostene-re l'opinione di Cipriano, e d'una parte considerabile della primitiva Chiesa.Vincenzio Lirinense (p. 332. ap. Tillemont. Mem. Eccl. T. VI. p. 138.) ha spie-gato perchè i Donatisti son condannati a bruciare in eterno col Diavolo, mentreS. Cipriano regna in Cielo con Gesù Cristo.

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simo stesso. L'inflessibile zelo di libertà e di fanatismoanimava i Donatisti a ricusar d'ubbidire agli usurpatori,de' quali disputavano l'elezione, e negavano la spiritualpotestà. Esclusi dal civile e religioso commercio degliuomini, essi arditamente scomunicarono il resto del ge-nere umano, che aveva abbracciato l'empio partito diCeciliano e de' traditori, da' quali traeva la pretesa suaordinazione. Asserivano con sicurezza e quasi esultan-do, che s'era interrotta la successione Apostolica; chetutti i Vescovi dell'Europa e dell'Asia erano infetti dalcontagio della colpa e dello scisma; e che le prerogativedella Chiesa Cattolica si ristringevano a quella sceltaporzione di credenti Affricani, che soli avean conservataintatta la integrità della fede e della disciplina. Questarigida teoria veniva sostenuta da una men caritatevolecondotta. Ogni volta che acquistavano un proselito, an-che dalle distanti Province dell'Oriente, reiteravanoscrupolosamente i sacri riti del Battesimo141 e dell'Ordi-nazione, rigettando la validità di quelli ch'esso avea ri-cevuti dalle mani degli Eretici o degli Scismatici. I Ve-scovi, le vergini ed eziandio gl'innocenti bambini eransottoposti al peso di una penitenza pubblica, primad'essere ammessi alla comunione de' Donatisti. Se otte-nevano il possesso d'una Chiesa, di cui avesser fatto uso

141I Concilj di Arles, di Nicea e di Trento confermarono la savia e moderatapratica della Chiesa Romana. I Donatisti però avevano il vantaggio di sostene-re l'opinione di Cipriano, e d'una parte considerabile della primitiva Chiesa.Vincenzio Lirinense (p. 332. ap. Tillemont. Mem. Eccl. T. VI. p. 138.) ha spie-gato perchè i Donatisti son condannati a bruciare in eterno col Diavolo, mentreS. Cipriano regna in Cielo con Gesù Cristo.

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i Cattolici loro avversari, essi purificavano il profanatoedifizio con la medesima gelosa cura, che avrebbe potu-to richiedere un tempio d'idoli. Lavavano il pavimento,radevano le mura, bruciavano l'altare, che ordinariamen-te era di legno, fondevano i sacri vasi; e gettavano a'cani la santa Eucaristia con tutte le circostanze d'igno-minia, che provocar potevano, e perpetuare l'animositàdelle religiose fazioni142. Nonostante quest'irreconcilia-bile odio, i due partiti, che insieme trovavansi mescolatie sparsi per tutte le città dell'Affrica, avevano l'istessolinguaggio, gli stessi costumi, l'istesso zelo, la stessadottrina, l'istessa fede e l'istesso culto. Proscritti dallepotestà civile ed ecclesiastica dell'Impero, i Donatisti simantennero sempre superiori di numero in alcune Pro-vince, specialmente nella Numidia; e quattrocento Ve-scovi riconoscevano la giurisdizione del loro Primate.Ma l'invincibile spirito di tal Setta qualche volta attaccòanche le sue proprie viscere; ed il seno della scismaticaloro Chiesa fu lacerato da intestine contese. Un quartode' Vescovi Donatisti seguì l'indipendente stendardo de'Massimianisti. Lo stretto e solitario sentiero, che avevansegnato i primi lor Capi, continuava a deviare dalla gransocietà del genere umano. Anche l'impercettibile Settade' Rogaziani ardiva d'asserire senza rossore, che quan-do Cristo sarebbe sceso a giudicare la terra, non avrebbemantenuta la vera sua religione che in pochi ignoti vil-laggi della Cesarea Mauritania143.

142Vedi il lib. 6 d'Ottato Melevit. p. 91-100.143Tillemont. (Mem. Eccl. Tom. VI. p. 1. pag. 253.) Egli deride la parziale

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i Cattolici loro avversari, essi purificavano il profanatoedifizio con la medesima gelosa cura, che avrebbe potu-to richiedere un tempio d'idoli. Lavavano il pavimento,radevano le mura, bruciavano l'altare, che ordinariamen-te era di legno, fondevano i sacri vasi; e gettavano a'cani la santa Eucaristia con tutte le circostanze d'igno-minia, che provocar potevano, e perpetuare l'animositàdelle religiose fazioni142. Nonostante quest'irreconcilia-bile odio, i due partiti, che insieme trovavansi mescolatie sparsi per tutte le città dell'Affrica, avevano l'istessolinguaggio, gli stessi costumi, l'istesso zelo, la stessadottrina, l'istessa fede e l'istesso culto. Proscritti dallepotestà civile ed ecclesiastica dell'Impero, i Donatisti simantennero sempre superiori di numero in alcune Pro-vince, specialmente nella Numidia; e quattrocento Ve-scovi riconoscevano la giurisdizione del loro Primate.Ma l'invincibile spirito di tal Setta qualche volta attaccòanche le sue proprie viscere; ed il seno della scismaticaloro Chiesa fu lacerato da intestine contese. Un quartode' Vescovi Donatisti seguì l'indipendente stendardo de'Massimianisti. Lo stretto e solitario sentiero, che avevansegnato i primi lor Capi, continuava a deviare dalla gransocietà del genere umano. Anche l'impercettibile Settade' Rogaziani ardiva d'asserire senza rossore, che quan-do Cristo sarebbe sceso a giudicare la terra, non avrebbemantenuta la vera sua religione che in pochi ignoti vil-laggi della Cesarea Mauritania143.

142Vedi il lib. 6 d'Ottato Melevit. p. 91-100.143Tillemont. (Mem. Eccl. Tom. VI. p. 1. pag. 253.) Egli deride la parziale

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Lo scisma de' Donatisti limitavasi all'Africa; ma ilmale più facile a spargersi della controversia intornoalla Trinità, a grado a grado penetrò in ogni parte delMondo Cristiano. Il primo fu una querela accidentalecagionata dall'abuso della libertà; il secondo fu un alto emisterioso argomento derivato dall'abuso della Filoso-fia. Dal tempo di Costantino fino a quello di Clodoveo edi Teodorico, gl'interessi temporali sì dei Romani chede' Barbari furon profondamente involti nelle teologichedispute dell'Arrianesimo. Può dunque permettersi ad unIstorico di tirar rispettosamente il velo del Santuario, odi seguire il progresso della ragione e della fede,dell'errore e della passione, dalla scuola di Platone finoalla decadenza e rovina dell'Impero.

[A. A. C. 360]Il genio di Platone, diretto dalla sua propria medita-

zione o dalla tradizionale scienza de' Sacerdoti dell'Egit-to144 aveva osato d'esplorare la misteriosa natura dellaDivinità. Dopo d'aver elevato la sua mente alla sublimecontemplazione della necessaria causa dell'universo esi-stente da se medesima, il saggio Ateniese non era capa-

lor crudeltà, mentre rispetta Agostino, il gran Dottore del sistema della prede-stinazione.

144Plato Aegyptum peragravit, ut a Sacerdotibus Barbaris numeros et coe-lestia acciperet. Cicer. de Finib. c. 25. Gli Egizi potevan tuttavia conservare latradizional fede dei Patriarchi. Gioseffo ha persuaso molti de' Padri Cristiani,che Platone traesse una parte delle sue cognizioni dagli Ebrei; ma non può con-ciliarsi tal vana opinione coll'oscuro stato, e con gl'insociabili costumi del po-polo Giudaico, le scritture del quale non furono accessibili alla curiosità Grecafino a più di cent'anni dopo la morte di Platone. Vedi Marsham. Can. Chron.pag. 144. Le Clerc Epist. crit. VII. pag. 177-194.

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Lo scisma de' Donatisti limitavasi all'Africa; ma ilmale più facile a spargersi della controversia intornoalla Trinità, a grado a grado penetrò in ogni parte delMondo Cristiano. Il primo fu una querela accidentalecagionata dall'abuso della libertà; il secondo fu un alto emisterioso argomento derivato dall'abuso della Filoso-fia. Dal tempo di Costantino fino a quello di Clodoveo edi Teodorico, gl'interessi temporali sì dei Romani chede' Barbari furon profondamente involti nelle teologichedispute dell'Arrianesimo. Può dunque permettersi ad unIstorico di tirar rispettosamente il velo del Santuario, odi seguire il progresso della ragione e della fede,dell'errore e della passione, dalla scuola di Platone finoalla decadenza e rovina dell'Impero.

[A. A. C. 360]Il genio di Platone, diretto dalla sua propria medita-

zione o dalla tradizionale scienza de' Sacerdoti dell'Egit-to144 aveva osato d'esplorare la misteriosa natura dellaDivinità. Dopo d'aver elevato la sua mente alla sublimecontemplazione della necessaria causa dell'universo esi-stente da se medesima, il saggio Ateniese non era capa-

lor crudeltà, mentre rispetta Agostino, il gran Dottore del sistema della prede-stinazione.

144Plato Aegyptum peragravit, ut a Sacerdotibus Barbaris numeros et coe-lestia acciperet. Cicer. de Finib. c. 25. Gli Egizi potevan tuttavia conservare latradizional fede dei Patriarchi. Gioseffo ha persuaso molti de' Padri Cristiani,che Platone traesse una parte delle sue cognizioni dagli Ebrei; ma non può con-ciliarsi tal vana opinione coll'oscuro stato, e con gl'insociabili costumi del po-polo Giudaico, le scritture del quale non furono accessibili alla curiosità Grecafino a più di cent'anni dopo la morte di Platone. Vedi Marsham. Can. Chron.pag. 144. Le Clerc Epist. crit. VII. pag. 177-194.

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ce d'intendere, come la semplice unità della sua essenzapotesse ammetter l'infinita varietà delle distinte e suc-cessive idee, che compongono il sistema del Mondo in-tellettuale; come un Ente puramente incorporeo eseguirne potesse il perfetto modello, e con mano creatrice darforma al rozzo e indipendente caos. La vana speranza disbrigarsi da queste difficoltà, che sempre debbon oppri-mere le deboli facoltà della mente umana, potè indurPlatone a considerar la natura Divina sotto la triplicemodificazione, di prima causa, di ragione o di Logos, edi anima o spirito dell'Universo. La sua poetica immagi-nazione fissò talvolta ed animò queste metafisiche astra-zioni; si rappresentano i tre archici, o sia originali prin-cipj nel sistema di Platone, come tre Dei, uniti l'unocoll'altro mediante una misteriosa ed ineffabil genera-zione; ed il Logos fu particolarmente considerato sotto ilpiù accessibil carattere di Figlio di un eterno PadreCreatore e Governatore del Mondo. Tali pare che fosse-ro le segrete dottrine, che venivano misteriosamente in-segnate ne' giardini dell'Accademia, e che, secondo i piùrecenti discepoli di Platone, non potevano perfettamenteintendersi che dopo un assiduo studio di trent'anni145.

[A. A. C. 300]Le armi de' Macedoni sparsero la lingua e la dottrina145Le moderne guide, che mi hanno condotto alla cognizione del sistema

Platonico, sono Cudworth (System. Intell. p. 568-620), Basnage (Hist. desJuifs. l. IV. c. IV. p. 53, 86), Le Clerc (Epist. crit. VII. p. 194, 209), e Brucker(Hist. Philos. Tom. I. p. 675-706). Siccome l'erudizione di questi Scrittori erauguale, e diversa la loro intenzione, così un attento osservatore può trarre istru-zione dalle loro dispute, e certezza da' loro argomenti.

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ce d'intendere, come la semplice unità della sua essenzapotesse ammetter l'infinita varietà delle distinte e suc-cessive idee, che compongono il sistema del Mondo in-tellettuale; come un Ente puramente incorporeo eseguirne potesse il perfetto modello, e con mano creatrice darforma al rozzo e indipendente caos. La vana speranza disbrigarsi da queste difficoltà, che sempre debbon oppri-mere le deboli facoltà della mente umana, potè indurPlatone a considerar la natura Divina sotto la triplicemodificazione, di prima causa, di ragione o di Logos, edi anima o spirito dell'Universo. La sua poetica immagi-nazione fissò talvolta ed animò queste metafisiche astra-zioni; si rappresentano i tre archici, o sia originali prin-cipj nel sistema di Platone, come tre Dei, uniti l'unocoll'altro mediante una misteriosa ed ineffabil genera-zione; ed il Logos fu particolarmente considerato sotto ilpiù accessibil carattere di Figlio di un eterno PadreCreatore e Governatore del Mondo. Tali pare che fosse-ro le segrete dottrine, che venivano misteriosamente in-segnate ne' giardini dell'Accademia, e che, secondo i piùrecenti discepoli di Platone, non potevano perfettamenteintendersi che dopo un assiduo studio di trent'anni145.

[A. A. C. 300]Le armi de' Macedoni sparsero la lingua e la dottrina145Le moderne guide, che mi hanno condotto alla cognizione del sistema

Platonico, sono Cudworth (System. Intell. p. 568-620), Basnage (Hist. desJuifs. l. IV. c. IV. p. 53, 86), Le Clerc (Epist. crit. VII. p. 194, 209), e Brucker(Hist. Philos. Tom. I. p. 675-706). Siccome l'erudizione di questi Scrittori erauguale, e diversa la loro intenzione, così un attento osservatore può trarre istru-zione dalle loro dispute, e certezza da' loro argomenti.

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della Grecia nell'Asia e nell'Egitto; e s'insegnava conpoca riserva e forse con qualche aggiunta il sistema teo-logico di Platone nella celebre scuola di Alessandria146.Il favore de' Tolomei aveva invitato una colonia nume-rosa di Ebrei a stabilirsi nella nuova lor capitale147. Neltempo che il grosso della nazione praticava le ceremonielegali, ed attendeva alle lucrose occupazioni del com-mercio, alcuni pochi Ebrei d'uno spirito più coltivato, siconsacravano alla religiosa e filosofica contemplazio-ne148. Studiarono essi con diligenza, ed abbracciaronocon ardore il sistema teologico del Savio d'Atene. Ma ilnazional loro orgoglio, sarebbe rimasto mortificato dauna chiara confessione dell'antica lor povertà, e ardita-mente spacciarono come una sacra eredità de' loro mag-giori l'oro e le gioie, che avevano sì recentemente invo-lato agli Egizi loro Signori.

[A. A. C. 100]Cent'anni avanti la nascita di Cristo gli Ebrei d'Ales-

sandria pubblicarono un trattato filosofico, che manife-stamente dimostra lo stile ed i sentimenti della scuola diPlatone, e fu di unanime consenso ricevuto come unagenuina e stimabil reliquia dell'inspirata sapienza di Sa-lomone149. Una simigliante unione della fede Mosaica e

146Brucker Hist. Philos. Tom. I. p. 1349, 1357. Si celebra la scuola Alessan-drina da Strabone (l. 17.), e da Ammiano (XXII. 6).

147Joseph Antiq. lib. XII. c. 1. 3, Basnage Hist. des Juifs. l. VII. c. 7.148Quanto all'origine della filosofia Giudaica vedi Eusebio, Prepar. Evang.

VIII. 9, 10. Secondo Filone i Terapeuti studiavan la filosofia; e Brucker ha pro-vato (Hist. Philos. Tom. II. p. 787) ch'essi preferivano quella di Platone.

149Vedi Calmet. (Dissert. sur la Bibl. Tom. II. p. 277.) Il libro della Sapienza

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della Grecia nell'Asia e nell'Egitto; e s'insegnava conpoca riserva e forse con qualche aggiunta il sistema teo-logico di Platone nella celebre scuola di Alessandria146.Il favore de' Tolomei aveva invitato una colonia nume-rosa di Ebrei a stabilirsi nella nuova lor capitale147. Neltempo che il grosso della nazione praticava le ceremonielegali, ed attendeva alle lucrose occupazioni del com-mercio, alcuni pochi Ebrei d'uno spirito più coltivato, siconsacravano alla religiosa e filosofica contemplazio-ne148. Studiarono essi con diligenza, ed abbracciaronocon ardore il sistema teologico del Savio d'Atene. Ma ilnazional loro orgoglio, sarebbe rimasto mortificato dauna chiara confessione dell'antica lor povertà, e ardita-mente spacciarono come una sacra eredità de' loro mag-giori l'oro e le gioie, che avevano sì recentemente invo-lato agli Egizi loro Signori.

[A. A. C. 100]Cent'anni avanti la nascita di Cristo gli Ebrei d'Ales-

sandria pubblicarono un trattato filosofico, che manife-stamente dimostra lo stile ed i sentimenti della scuola diPlatone, e fu di unanime consenso ricevuto come unagenuina e stimabil reliquia dell'inspirata sapienza di Sa-lomone149. Una simigliante unione della fede Mosaica e

146Brucker Hist. Philos. Tom. I. p. 1349, 1357. Si celebra la scuola Alessan-drina da Strabone (l. 17.), e da Ammiano (XXII. 6).

147Joseph Antiq. lib. XII. c. 1. 3, Basnage Hist. des Juifs. l. VII. c. 7.148Quanto all'origine della filosofia Giudaica vedi Eusebio, Prepar. Evang.

VIII. 9, 10. Secondo Filone i Terapeuti studiavan la filosofia; e Brucker ha pro-vato (Hist. Philos. Tom. II. p. 787) ch'essi preferivano quella di Platone.

149Vedi Calmet. (Dissert. sur la Bibl. Tom. II. p. 277.) Il libro della Sapienza

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della filosofia Greca distingue le opere di Filone, cheper la massima parte furon composte nel regno d'Augu-sto150, L'anima materiale dell'Universo151 poteva offen-dere la pietà degli Ebrei. Ma essi applicarono il caratteredel Logos al Jehovah di Mosè e de' Patriarchi; e fu in-trodotto il Figlio di Dio sulla terra sotto una visibile edanche umana figura, per fare que' famigliari uffizi, chesembrano incompatibili colla natura e cogli attributi del-la Causa Universale152.

[A. A. C. 97]L'eloquenza di Platone, il nome di Salomone, l'autori-

tà della scuola d'Alessandria, ed il consenso dei Greci edegli Ebrei non erano sufficienti a stabilire la verità

di Salomone fu da molti Padri riguardato come opera di quel Monarca; e seb-bene sia rigettato da' Protestanti per mancanza di un originale Ebraico, pure haottenuto, col resto della volgata, l'approvazione del Concilio di Trento.

150Il Platonismo di Filone, che fu celebre a segno tale da passare in prover-bio, si pose fuor d'ogni dubbio dal Le Clerc (Epist. Crit. VIII. p. 211-228). Ba-snagio (Hist. des Juifs. l. IV. c. 5) ha chiaramente dimostrato, che le opere teo-logiche di Filone furon composte avanti la morte e probabilissimamente avantila nascita di Cristo. In tempo di tale oscurità son più sorprendenti le cognizionidi Filone che i suoi errori. Bull. (Defens. Fid. Nic. s. I. c. 1. p. 12).

151Mens agitat molem, et magno se corpore miscet. Oltre quest'anima mate-riale, Cudworth ha scoperto (p. 562) in Amelio, in Porfirio, in Plotino, e perquanto egli crede, in Platone medesimo, una superiore, spirituale upercosmia-na, (sopramondana) anima dell'Universo. Ma Brucker, Basnagio, e Le Clerc ri-gettano questa doppia anima, come una vana fantasia de' Platonici posteriori.

152Petavio Dogm. Theol. Tom. II. lib. VIII. c. 2. p. 791. Bull. Def. Fid. Nic.s. 1. c. 1 p. 8, 13. Questa nozione, fino a tanto che non ne fu abusato dagli Ar-riani, era liberamente ammessa nella Cristiana Teologia. In Tertulliano (adv.Prax. c. 16) si trova un notabile e pericoloso passo. Dopo d'avere poste in con-trasto fra loro con indiscreta acutezza le azioni di Jehovah e la natura di Dio,conclude in tal modo: scilicet et haec nec de Filio Dei credenda fuisse, siscripta non essent, fortasse non credenda de Patre, licet scripta.

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della filosofia Greca distingue le opere di Filone, cheper la massima parte furon composte nel regno d'Augu-sto150, L'anima materiale dell'Universo151 poteva offen-dere la pietà degli Ebrei. Ma essi applicarono il caratteredel Logos al Jehovah di Mosè e de' Patriarchi; e fu in-trodotto il Figlio di Dio sulla terra sotto una visibile edanche umana figura, per fare que' famigliari uffizi, chesembrano incompatibili colla natura e cogli attributi del-la Causa Universale152.

[A. A. C. 97]L'eloquenza di Platone, il nome di Salomone, l'autori-

tà della scuola d'Alessandria, ed il consenso dei Greci edegli Ebrei non erano sufficienti a stabilire la verità

di Salomone fu da molti Padri riguardato come opera di quel Monarca; e seb-bene sia rigettato da' Protestanti per mancanza di un originale Ebraico, pure haottenuto, col resto della volgata, l'approvazione del Concilio di Trento.

150Il Platonismo di Filone, che fu celebre a segno tale da passare in prover-bio, si pose fuor d'ogni dubbio dal Le Clerc (Epist. Crit. VIII. p. 211-228). Ba-snagio (Hist. des Juifs. l. IV. c. 5) ha chiaramente dimostrato, che le opere teo-logiche di Filone furon composte avanti la morte e probabilissimamente avantila nascita di Cristo. In tempo di tale oscurità son più sorprendenti le cognizionidi Filone che i suoi errori. Bull. (Defens. Fid. Nic. s. I. c. 1. p. 12).

151Mens agitat molem, et magno se corpore miscet. Oltre quest'anima mate-riale, Cudworth ha scoperto (p. 562) in Amelio, in Porfirio, in Plotino, e perquanto egli crede, in Platone medesimo, una superiore, spirituale upercosmia-na, (sopramondana) anima dell'Universo. Ma Brucker, Basnagio, e Le Clerc ri-gettano questa doppia anima, come una vana fantasia de' Platonici posteriori.

152Petavio Dogm. Theol. Tom. II. lib. VIII. c. 2. p. 791. Bull. Def. Fid. Nic.s. 1. c. 1 p. 8, 13. Questa nozione, fino a tanto che non ne fu abusato dagli Ar-riani, era liberamente ammessa nella Cristiana Teologia. In Tertulliano (adv.Prax. c. 16) si trova un notabile e pericoloso passo. Dopo d'avere poste in con-trasto fra loro con indiscreta acutezza le azioni di Jehovah e la natura di Dio,conclude in tal modo: scilicet et haec nec de Filio Dei credenda fuisse, siscripta non essent, fortasse non credenda de Patre, licet scripta.

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d'una misteriosa dottrina, che potrebbe piacere ad unamente ragionevole, ma non soddisfarla. Solo un Profetao un Apostolo, inspirato dalla Divinità, può esercitareun legittimo potere sulla fede degli uomini; e la teologiadi Platone sarebbe restata per sempre confusa con le fi-losofiche visioni dell'Accademia, del Portico e del Li-ceo, se il nome e i divini attributi del Logos, non si fos-sero confermati dalla celeste penna dell'ultimo e del piùsublime fra gli Evangelisti153. La rivelazione Cristiana,che fu consumata sotto il regno di Nerva, scuoprì alMondo il sorprendente segreto, che il Logos, ch'era conDio fin dal principio, ed era Dio, che aveva fatto tutte lecose; e per cui tutte le cose erano state fatte, s'era incar-nato nella persona di Gesù di Nazaret, che era nato dauna Vergine, e morto sulla croce. Oltre il general dise-gno di stabilire sopra una perpetua base gli onori divinidi Cristo, i più antichi e rispettabili Scrittori Ecclesiasti-ci hanno attribuito al Teologo Evangelico l'intenzioneparticolare di confutar due opposte eresie, che disturba-vano la pace della primitiva Chiesa154. In primo luogo, la

153I Platonici ammiravano il principio dell'Evangelio di S. Giovanni, comecontenente un esatto compendio de' propri loro dommi. Agostino de Civ. DeiX. 29. Amellio ap. Cirill. advers. Julian. l. VIII p. 283. Ma nel terzo e quartosecolo i Platonici d'Alessandria migliorare poterono la loro Trinità, mediante lostudio segreto della Teologia Cristiana.

154Vedi Beausobre Hist. Crit. du Manicheisme Tom. I. p. 377. Si suppone,che il Vangelo di S. Giovanni fosse pubblicato circa 70 anni dopo la morte diCristo.

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d'una misteriosa dottrina, che potrebbe piacere ad unamente ragionevole, ma non soddisfarla. Solo un Profetao un Apostolo, inspirato dalla Divinità, può esercitareun legittimo potere sulla fede degli uomini; e la teologiadi Platone sarebbe restata per sempre confusa con le fi-losofiche visioni dell'Accademia, del Portico e del Li-ceo, se il nome e i divini attributi del Logos, non si fos-sero confermati dalla celeste penna dell'ultimo e del piùsublime fra gli Evangelisti153. La rivelazione Cristiana,che fu consumata sotto il regno di Nerva, scuoprì alMondo il sorprendente segreto, che il Logos, ch'era conDio fin dal principio, ed era Dio, che aveva fatto tutte lecose; e per cui tutte le cose erano state fatte, s'era incar-nato nella persona di Gesù di Nazaret, che era nato dauna Vergine, e morto sulla croce. Oltre il general dise-gno di stabilire sopra una perpetua base gli onori divinidi Cristo, i più antichi e rispettabili Scrittori Ecclesiasti-ci hanno attribuito al Teologo Evangelico l'intenzioneparticolare di confutar due opposte eresie, che disturba-vano la pace della primitiva Chiesa154. In primo luogo, la

153I Platonici ammiravano il principio dell'Evangelio di S. Giovanni, comecontenente un esatto compendio de' propri loro dommi. Agostino de Civ. DeiX. 29. Amellio ap. Cirill. advers. Julian. l. VIII p. 283. Ma nel terzo e quartosecolo i Platonici d'Alessandria migliorare poterono la loro Trinità, mediante lostudio segreto della Teologia Cristiana.

154Vedi Beausobre Hist. Crit. du Manicheisme Tom. I. p. 377. Si suppone,che il Vangelo di S. Giovanni fosse pubblicato circa 70 anni dopo la morte diCristo.

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fede degli Ebioniti155, e forse de' Nazareni156, era grosso-lana ed imperfetta. Essi veneravan Gesù, come il piùgrande fra' Profeti, dotato di virtù e potere soprannatura-le. Attribuivano alla persona ed al regno futuro di essotutte le predizioni degli oracoli Ebrei, che si riferisconoallo spirituale ed eterno regno del promesso Messia157.Alcuni fra loro confessavano forse, ch'egli era nato dauna Vergine; ma ostinatamente rigettavano la precedenteesistenza e le divine perfezioni del Logos, o del Figlio diDio, che sì chiaramente son definite nel Vangelo di S.Giovanni. Circa cinquant'anni dopo, gli Ebioniti, gli er-rori de' quali son rammentati da Giustino Martire conminore severità di quella che sembrerebbero meritare158

formavano una parte molto poco considerabile del nomeCristiano. In secondo luogo, i Gnostici, che si distingue-vano coll'epiteto di Dociti, caddero nell'estremo contra-rio; e volendo sostener la natura divina di Cristo, ne ab-

155Le opinioni degli Ebioniti sono chiaramente esposte dal Mosemio (p.331), e dal Le Clerc (Hist. Eccl. p. 535). Le costituzioni Clementine, pubblica-te fra' Padri Apostolici, sono attribuite da' Critici ad uno di questi Settari.

156I buoni Polemici, come Bull, (Judic. Eccl. Cathol. c. 2), insistonosull'ortodossia de' Nazareni, che agli occhi di Mosemio (p. 330) sembra menopura e certa.

157L'umile condizione ed i patimenti di Gesù sono sempre stati un forteostacolo per gli Ebrei. Deus.... contrariis coloribus Messiam depinxerat; futu-rus erat rex, judex, pastor. Vedi Limborch ed Orobio Amica. Collat. p. 8, 19,53-76, 192-234. Ma quest'obbiezione ha obbligato i credenti Cristiani ad innal-zare i loro occhi ad un regno spirituale ed eterno.

158Giustino Mart. Dial. cum Tryphon. p. 143, 144. Vedi Le Clerc Hist. Eccl.p. 615. Bull e Grabe editori di esso (Judic. Eccl. Cathol. c. 8 e append.) tenta-no di storcere o i sentimenti o le parole di Giustino; ma la violenta loro corre-zione del testo viene rigettata anche dagli Editori Benedettini.

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fede degli Ebioniti155, e forse de' Nazareni156, era grosso-lana ed imperfetta. Essi veneravan Gesù, come il piùgrande fra' Profeti, dotato di virtù e potere soprannatura-le. Attribuivano alla persona ed al regno futuro di essotutte le predizioni degli oracoli Ebrei, che si riferisconoallo spirituale ed eterno regno del promesso Messia157.Alcuni fra loro confessavano forse, ch'egli era nato dauna Vergine; ma ostinatamente rigettavano la precedenteesistenza e le divine perfezioni del Logos, o del Figlio diDio, che sì chiaramente son definite nel Vangelo di S.Giovanni. Circa cinquant'anni dopo, gli Ebioniti, gli er-rori de' quali son rammentati da Giustino Martire conminore severità di quella che sembrerebbero meritare158

formavano una parte molto poco considerabile del nomeCristiano. In secondo luogo, i Gnostici, che si distingue-vano coll'epiteto di Dociti, caddero nell'estremo contra-rio; e volendo sostener la natura divina di Cristo, ne ab-

155Le opinioni degli Ebioniti sono chiaramente esposte dal Mosemio (p.331), e dal Le Clerc (Hist. Eccl. p. 535). Le costituzioni Clementine, pubblica-te fra' Padri Apostolici, sono attribuite da' Critici ad uno di questi Settari.

156I buoni Polemici, come Bull, (Judic. Eccl. Cathol. c. 2), insistonosull'ortodossia de' Nazareni, che agli occhi di Mosemio (p. 330) sembra menopura e certa.

157L'umile condizione ed i patimenti di Gesù sono sempre stati un forteostacolo per gli Ebrei. Deus.... contrariis coloribus Messiam depinxerat; futu-rus erat rex, judex, pastor. Vedi Limborch ed Orobio Amica. Collat. p. 8, 19,53-76, 192-234. Ma quest'obbiezione ha obbligato i credenti Cristiani ad innal-zare i loro occhi ad un regno spirituale ed eterno.

158Giustino Mart. Dial. cum Tryphon. p. 143, 144. Vedi Le Clerc Hist. Eccl.p. 615. Bull e Grabe editori di esso (Judic. Eccl. Cathol. c. 8 e append.) tenta-no di storcere o i sentimenti o le parole di Giustino; ma la violenta loro corre-zione del testo viene rigettata anche dagli Editori Benedettini.

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bandonarono l'umana. Educati nella scuola di Platone edassuefatti alla sublime idea del Logos, facilmente conce-pivano, che il più luminoso Eone, o Emanazione dellaDivinità, potesse assumer l'esterna figura, e le apparenzevisibili di un mortale159; ma vanamente pretendevanoche le imperfezioni della materia fossero incompatibilicolla purità di una sostanza celeste. Mentre ancor fuma-va il sangue di Cristo sul monte Calvario, i Dociti in-ventarono l'empia e stravagante ipotesi, che inveced'esser nato dal seno della Vergine160, fosse disceso sullerive del Giordano in forma d'uomo perfetto; che avesseingannato i sensi de' suoi nemici e de' suoi discepoli; eche i Ministri di Pilato esercitato avessero l'impotentelor rabbia sopra un aereo fantasma, il quale parve chespirasse sopra la croce, e dopo tre giorni risuscitasse damorte161.

La sanzione Divina, che l'Apostolo avea comunicata

159Gli Arriani rimproveravano agli Ortodossi di aver preso in prestito da'Valentiniani e da' Marcioniti la loro Trinità. Vedi Beausobre Hist. du Manich.l. III. c. 5, 7.

160Non dignum est ex utero credere Deum, et Deum Christum... non dignumest, ut tanta majestas per sordes et squallores mulieris transire credatur. IGnostici sostenevano l'impurità della materia e del matrimonio; e si scandaliz-zavano delle grossolane interpretazioni de' Padri e di Agostino medesimo. VediBeausobre (Tom. II. p. 523).

161Apostolis adhuc in saeculo superstitibus, apud Iudeam Christi sanguinerecente, et phantasma corpus Domini asserebatur. Cotelerio (Patr. Apost. Tom.II. p. 24) crede che quelli, che non accordano che i Dociti nascessero nel tempodegli Apostoli, con egual ragione possono anche negare, che il sole risplendanel mezzogiorno. Questi Dociti, che formavano il più considerabil partito fragli altri Gnostici, eran chiamati così perchè non davano a Cristo che un corpoapparente.

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bandonarono l'umana. Educati nella scuola di Platone edassuefatti alla sublime idea del Logos, facilmente conce-pivano, che il più luminoso Eone, o Emanazione dellaDivinità, potesse assumer l'esterna figura, e le apparenzevisibili di un mortale159; ma vanamente pretendevanoche le imperfezioni della materia fossero incompatibilicolla purità di una sostanza celeste. Mentre ancor fuma-va il sangue di Cristo sul monte Calvario, i Dociti in-ventarono l'empia e stravagante ipotesi, che inveced'esser nato dal seno della Vergine160, fosse disceso sullerive del Giordano in forma d'uomo perfetto; che avesseingannato i sensi de' suoi nemici e de' suoi discepoli; eche i Ministri di Pilato esercitato avessero l'impotentelor rabbia sopra un aereo fantasma, il quale parve chespirasse sopra la croce, e dopo tre giorni risuscitasse damorte161.

La sanzione Divina, che l'Apostolo avea comunicata

159Gli Arriani rimproveravano agli Ortodossi di aver preso in prestito da'Valentiniani e da' Marcioniti la loro Trinità. Vedi Beausobre Hist. du Manich.l. III. c. 5, 7.

160Non dignum est ex utero credere Deum, et Deum Christum... non dignumest, ut tanta majestas per sordes et squallores mulieris transire credatur. IGnostici sostenevano l'impurità della materia e del matrimonio; e si scandaliz-zavano delle grossolane interpretazioni de' Padri e di Agostino medesimo. VediBeausobre (Tom. II. p. 523).

161Apostolis adhuc in saeculo superstitibus, apud Iudeam Christi sanguinerecente, et phantasma corpus Domini asserebatur. Cotelerio (Patr. Apost. Tom.II. p. 24) crede che quelli, che non accordano che i Dociti nascessero nel tempodegli Apostoli, con egual ragione possono anche negare, che il sole risplendanel mezzogiorno. Questi Dociti, che formavano il più considerabil partito fragli altri Gnostici, eran chiamati così perchè non davano a Cristo che un corpoapparente.

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al fondamental principio della Teologia di Platone, tras-se gli eruditi proseliti del secondo e del terzo secolo adammirare e studiar gli scritti del savio Ateniese, cheaveva tanto maravigliosamente annunziato una delle piùsorprendenti scoperte della rivelazione Cristiana. Gli or-todossi fecero uso162, e gli Eretici abuso163 del nome ri-spettabile di Platone, come d'un comun sostegno dellaverità e dell'errore: s'adoperò l'autorità degli abili co-mentatori di lui per giustificare le remote conseguenzedelle sue opinioni, e per supplire al discreto silenzio de-gli scrittori inspirati. Si agitavano le medesime sottili eprofonde questioni sopra la natura, la generazione, la di-stinzione e l'uguaglianza delle tre Divine persone dellamisteriosa Triade o Trinità164, nelle filosofiche e nelleCristiane scuole d'Alessandria. Un ardente spirito di cu-riosità le spingeva ad esplorare i segreti dell'abisso; esoddisfacevasi con una scienza di parole l'orgoglio de'professori e de' loro discepoli. Ma il più sagace fra i

162Possono trovarsi prove del rispetto, che i Cristiani avevano per la personae per la dottrina di Platone appresso di la Mothe le Vayer (T. V. p. 135, edit.1757) e Basnage (Hist. des Juifs. Tom. IV. pag 29, 79).

163Doleo, bona fide Platonem omnium haereticoritm condimentarium fac-tum, Tertull. de Anim. c. 23. Il Petavio (Dogm. Theol. Tom. III. Proleg. 2.) di-mostra, che questo era un lamento generale. Beausobre (Tom. I. lib. III. c. 9,10) ha dedotto da' principj Platonici gli errori Gnostici; e siccome nella scuolad'Alessandria que' principj eran mescolati con la filosofia Orientale, (Brucker.Tom. I. p. 1356) si può conciliare il sentimento di Beausobre coll'opinione diMosemio (Gener. Hist. Eccl. Vol. 1. p. 37).

164Se Teofilo Vescovo d'Antiochia (Vedi Dupin Bibl. Eccl. Tom. I. p. 66) fuil primo, che usasse la parola Triade o Trinità, termine astratto già famigliarenelle scuole di filosofia, dev'essersi questo introdotto nella teologia de' Cristia-ni dopo la metà del secondo secolo.

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al fondamental principio della Teologia di Platone, tras-se gli eruditi proseliti del secondo e del terzo secolo adammirare e studiar gli scritti del savio Ateniese, cheaveva tanto maravigliosamente annunziato una delle piùsorprendenti scoperte della rivelazione Cristiana. Gli or-todossi fecero uso162, e gli Eretici abuso163 del nome ri-spettabile di Platone, come d'un comun sostegno dellaverità e dell'errore: s'adoperò l'autorità degli abili co-mentatori di lui per giustificare le remote conseguenzedelle sue opinioni, e per supplire al discreto silenzio de-gli scrittori inspirati. Si agitavano le medesime sottili eprofonde questioni sopra la natura, la generazione, la di-stinzione e l'uguaglianza delle tre Divine persone dellamisteriosa Triade o Trinità164, nelle filosofiche e nelleCristiane scuole d'Alessandria. Un ardente spirito di cu-riosità le spingeva ad esplorare i segreti dell'abisso; esoddisfacevasi con una scienza di parole l'orgoglio de'professori e de' loro discepoli. Ma il più sagace fra i

162Possono trovarsi prove del rispetto, che i Cristiani avevano per la personae per la dottrina di Platone appresso di la Mothe le Vayer (T. V. p. 135, edit.1757) e Basnage (Hist. des Juifs. Tom. IV. pag 29, 79).

163Doleo, bona fide Platonem omnium haereticoritm condimentarium fac-tum, Tertull. de Anim. c. 23. Il Petavio (Dogm. Theol. Tom. III. Proleg. 2.) di-mostra, che questo era un lamento generale. Beausobre (Tom. I. lib. III. c. 9,10) ha dedotto da' principj Platonici gli errori Gnostici; e siccome nella scuolad'Alessandria que' principj eran mescolati con la filosofia Orientale, (Brucker.Tom. I. p. 1356) si può conciliare il sentimento di Beausobre coll'opinione diMosemio (Gener. Hist. Eccl. Vol. 1. p. 37).

164Se Teofilo Vescovo d'Antiochia (Vedi Dupin Bibl. Eccl. Tom. I. p. 66) fuil primo, che usasse la parola Triade o Trinità, termine astratto già famigliarenelle scuole di filosofia, dev'essersi questo introdotto nella teologia de' Cristia-ni dopo la metà del secondo secolo.

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Teologi Cristiani, l'istesso grande Atanasio, ha candida-mente confessato165 che ogni volta che sforzò la suamente a meditare sulla divinità del Logos, i suoi laborio-si sforzi riuscirono vani ed inefficaci; che quanto più vipensava, tanto meno capiva; e che quanto più scriveva,tanto era meno capace d'esprimere i suoi pensieri. Adogni passo di tal ricerca noi siam costretti a sentire ed aconfessare l'immensa sproporzione che passa fra la na-tura del soggetto e la capacità della mente umana. Pos-siam tentare d'astrarre le nozioni di tempo, di spazio e dimateria, che sono tanto strettamente congiunte con tuttele percezioni del nostro sperimentale conoscimento. Maquando pretendiamo di ragionare di sostanza infinita, digenerazione spirituale; quando vogliam dedurre qualcheconclusione positiva da un'idea negativa, restiamo in-volti in oscurità, in dubbiezze ed in sicure contraddizio-ni. Poichè tali difficoltà provengono dalla natura delsoggetto, esse opprimono col medesimo insuperabilepeso tanto i filosofi quanto i teologi disputanti; ma pos-siamo peraltro osservare due particolari ed essenzialicircostanze, che rendono diverse le dottrine della ChiesaCattolica dalle opinioni della Platonica scuola.

I. Una scelta società di filosofi, uomini educati libera-mente e disposti alla curiosità, poteva meditare in silen-zio, o tranquillamente discutere ne' giardini di Atene onella libreria d'Alessandria le astruse questioni della

165Atanasio Tom. I. p. 808. Le sue espressioni hanno una singolar energia, esiccome egli scriveva a' Monaci, non vi potea essere alcun motivo per affettareun linguaggio ragionevole.

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Teologi Cristiani, l'istesso grande Atanasio, ha candida-mente confessato165 che ogni volta che sforzò la suamente a meditare sulla divinità del Logos, i suoi laborio-si sforzi riuscirono vani ed inefficaci; che quanto più vipensava, tanto meno capiva; e che quanto più scriveva,tanto era meno capace d'esprimere i suoi pensieri. Adogni passo di tal ricerca noi siam costretti a sentire ed aconfessare l'immensa sproporzione che passa fra la na-tura del soggetto e la capacità della mente umana. Pos-siam tentare d'astrarre le nozioni di tempo, di spazio e dimateria, che sono tanto strettamente congiunte con tuttele percezioni del nostro sperimentale conoscimento. Maquando pretendiamo di ragionare di sostanza infinita, digenerazione spirituale; quando vogliam dedurre qualcheconclusione positiva da un'idea negativa, restiamo in-volti in oscurità, in dubbiezze ed in sicure contraddizio-ni. Poichè tali difficoltà provengono dalla natura delsoggetto, esse opprimono col medesimo insuperabilepeso tanto i filosofi quanto i teologi disputanti; ma pos-siamo peraltro osservare due particolari ed essenzialicircostanze, che rendono diverse le dottrine della ChiesaCattolica dalle opinioni della Platonica scuola.

I. Una scelta società di filosofi, uomini educati libera-mente e disposti alla curiosità, poteva meditare in silen-zio, o tranquillamente discutere ne' giardini di Atene onella libreria d'Alessandria le astruse questioni della

165Atanasio Tom. I. p. 808. Le sue espressioni hanno una singolar energia, esiccome egli scriveva a' Monaci, non vi potea essere alcun motivo per affettareun linguaggio ragionevole.

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scienza metafisica. Le sublimi speculazioni, che nonconvincevano l'intelletto, nè agitavano le passioni deglistessi Platonici, venivan trascurate dalla parte sì oziosache attiva ed anche studiosa dell'umano genere166. Madopo che il Logos fu rivelato come il sacro oggetto dellafede, della speranza e del religioso culto de' Cristiani, fuabbracciato quel misterioso sistema da una copiosa esempre crescente moltitudine in ogni Provincia delMondo Romano. Quelli, che per l'età, pel sesso, o per leoccupazioni loro erano i meno atti a giudicare, ed imeno esercitati nell'abitudine di ragionare astrattamente,aspiravano essi pure a contemplar l'economia della natu-ra divina: e Tertulliano167 vanta che un artefice Cristianopotea facilmente rispondere a tali questioni, che avreb-bero imbarazzato il più acuto de' Greci Sapienti. Dove ilsoggetto è tanto al di là delle nostre forze, la differenzafra il più sublime ed il più debole degli umani ingegnipuò in vero computarsi per un infinitamente piccolo;pure si può forse misurare il grado di debolezza dal gra-do d'ostinazione e di dogmatica sicurezza. Queste spe-culazioni, invece d'esser risguardate come divertimentidi qualche ora disoccupata, divennero l'affare più seriodella vita presente, e la preparazione più vantaggiosa

166In un Trattato, che avea per oggetto di spiegar le opinioni degli antichiFilosofi sulla natura degli Dei, avremmo potuto prometterci di veder esposta lateologica Trinità di Platone. Ma Cicerone molto ingenuamente confessa, chesebbene avesse tradotto il Timeo, non aveva mai potuto capire quel misteriosodialogo. (Vedi Hieronym. Praef. ad lib. XII in Isaiam Tom. V. p. 154).

167Tertulliano in Apolog. c. 46. Vedi Bayle Diction. alla parola Simonide. Lesue osservazioni sulla presunzione di Tertulliano sono profonde ed interessanti.

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scienza metafisica. Le sublimi speculazioni, che nonconvincevano l'intelletto, nè agitavano le passioni deglistessi Platonici, venivan trascurate dalla parte sì oziosache attiva ed anche studiosa dell'umano genere166. Madopo che il Logos fu rivelato come il sacro oggetto dellafede, della speranza e del religioso culto de' Cristiani, fuabbracciato quel misterioso sistema da una copiosa esempre crescente moltitudine in ogni Provincia delMondo Romano. Quelli, che per l'età, pel sesso, o per leoccupazioni loro erano i meno atti a giudicare, ed imeno esercitati nell'abitudine di ragionare astrattamente,aspiravano essi pure a contemplar l'economia della natu-ra divina: e Tertulliano167 vanta che un artefice Cristianopotea facilmente rispondere a tali questioni, che avreb-bero imbarazzato il più acuto de' Greci Sapienti. Dove ilsoggetto è tanto al di là delle nostre forze, la differenzafra il più sublime ed il più debole degli umani ingegnipuò in vero computarsi per un infinitamente piccolo;pure si può forse misurare il grado di debolezza dal gra-do d'ostinazione e di dogmatica sicurezza. Queste spe-culazioni, invece d'esser risguardate come divertimentidi qualche ora disoccupata, divennero l'affare più seriodella vita presente, e la preparazione più vantaggiosa

166In un Trattato, che avea per oggetto di spiegar le opinioni degli antichiFilosofi sulla natura degli Dei, avremmo potuto prometterci di veder esposta lateologica Trinità di Platone. Ma Cicerone molto ingenuamente confessa, chesebbene avesse tradotto il Timeo, non aveva mai potuto capire quel misteriosodialogo. (Vedi Hieronym. Praef. ad lib. XII in Isaiam Tom. V. p. 154).

167Tertulliano in Apolog. c. 46. Vedi Bayle Diction. alla parola Simonide. Lesue osservazioni sulla presunzione di Tertulliano sono profonde ed interessanti.

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per la futura. Una teologia ch'era obbligo credere, di cuiera empietà il dubitare, ed intorno a cui sarebbe statopericoloso ed anche fatale ogni sbaglio, divenne il fami-gliar argomento delle private meditazioni e de' popolaridiscorsi. La fredda indifferenza della Filosofia era in-fiammata dal fervente spirito di devozione; ed eziandiole metafore del linguaggio comune suggerivano fallacipregiudizi di senso e d'esperienza. I Cristiani, che abbor-rivano la grossolana ed impura generazione della mito-logia Greca168 furon tentati di trarre argomento dalla fa-migliare analogia delle relazioni filiale e paterna. Il ca-rattere di figlio pareva che includesse una perpetua su-bordinazione al volontario autore della sua esistenza169;ma siccome bisogna supporre, che l'atto di generare, nelpiù spirituale ed astratto senso, trasfonda le proprietàd'una natura comune170, non ardirono di limitar la poten-za o la durata del Figlio di un onnipotente ed eterno Pa-dre. Ottant'anni dopo la morte di Cristo, i Cristiani dellaBitinia dichiararono avanti al Tribunale di Plinio, ch'essil'invocavano come Dio; ed in ogni secolo e paese gli si

168Lactant. IV. 8. Pure la parola Probole, o Prolatio, che i più ortodossi Teo-logi presero senza scrupolo da' Valentiniani, ed illustrarono co' paragoni d'unafontana e del suo corso, del sole e de' suoi raggi ec. o non significa niente, o fa-vorisce un'idea materiale della divina generazione. Vedi Beausobre (Tom. I,lib. III c. 7. p. 548).

169Molti de' primitivi Scrittori hanno francamente confessato, che il Figliodoveva l'essere alla volontà del Padre. Vedi Clarke (Script. Trinit. p. 280-287).Dall'altra parte sembra che Atanasio ed i suoi seguaci non voglian concederequel che hanno timor di negare. Gli scolastici si sbrigano da questa difficoltàcon la distinzione fra la volontà precedente e la concomitante. Petavio Dogm.Theol. Tom. II. lib. VI c. 8, p. 587-603.

170Vedi Petavio Dogm. Theol. T. II. l. II. c. 10. p. 159.

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per la futura. Una teologia ch'era obbligo credere, di cuiera empietà il dubitare, ed intorno a cui sarebbe statopericoloso ed anche fatale ogni sbaglio, divenne il fami-gliar argomento delle private meditazioni e de' popolaridiscorsi. La fredda indifferenza della Filosofia era in-fiammata dal fervente spirito di devozione; ed eziandiole metafore del linguaggio comune suggerivano fallacipregiudizi di senso e d'esperienza. I Cristiani, che abbor-rivano la grossolana ed impura generazione della mito-logia Greca168 furon tentati di trarre argomento dalla fa-migliare analogia delle relazioni filiale e paterna. Il ca-rattere di figlio pareva che includesse una perpetua su-bordinazione al volontario autore della sua esistenza169;ma siccome bisogna supporre, che l'atto di generare, nelpiù spirituale ed astratto senso, trasfonda le proprietàd'una natura comune170, non ardirono di limitar la poten-za o la durata del Figlio di un onnipotente ed eterno Pa-dre. Ottant'anni dopo la morte di Cristo, i Cristiani dellaBitinia dichiararono avanti al Tribunale di Plinio, ch'essil'invocavano come Dio; ed in ogni secolo e paese gli si

168Lactant. IV. 8. Pure la parola Probole, o Prolatio, che i più ortodossi Teo-logi presero senza scrupolo da' Valentiniani, ed illustrarono co' paragoni d'unafontana e del suo corso, del sole e de' suoi raggi ec. o non significa niente, o fa-vorisce un'idea materiale della divina generazione. Vedi Beausobre (Tom. I,lib. III c. 7. p. 548).

169Molti de' primitivi Scrittori hanno francamente confessato, che il Figliodoveva l'essere alla volontà del Padre. Vedi Clarke (Script. Trinit. p. 280-287).Dall'altra parte sembra che Atanasio ed i suoi seguaci non voglian concederequel che hanno timor di negare. Gli scolastici si sbrigano da questa difficoltàcon la distinzione fra la volontà precedente e la concomitante. Petavio Dogm.Theol. Tom. II. lib. VI c. 8, p. 587-603.

170Vedi Petavio Dogm. Theol. T. II. l. II. c. 10. p. 159.

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son continuati gli onori divini dalle varie Sette, che han-no assunto il nome di suoi discepoli171. La tenera lorovenerazione per la memoria di Cristo, e l'orrore che ave-vano pel culto profano di ogni Ente creato, gli avrebbeimpegnati a sostenere l'uguale ed assoluta Divinità delLogos, se il rapido loro volo verso il trono del Cielo nonsi fosse insensibilmente frenato dal timore di violarl'unità e la sola superiorità del gran Padre di Cristo edell'Universo. Si può veder la sospensione e l'ondeggia-mento prodotto negli animi dei Cristiani da queste con-trarie inclinazioni negli scritti de' Teologi, che fiorironodopo il tempo degli Apostoli, ed avanti l'origine dellacontroversia Arriana. Tanto gli ortodossi quanto gli ere-tici pretendono con ugual sicurezza d'averli in loro favo-re; ed i più diligenti critici vanno pienamente d'accordo,che se essi ebber la buona fortuna di conoscer la Cattoli-ca verità, almeno hanno espresso i loro sentimenti conparole indeterminate, inesatte ed alle volte contradditto-rie172.

II. La devozione degl'individui era la prima circo-stanza che distingueva i Cristiani da' Platonici; la secon-da era l'autorità della Chiesa. I discepoli della Filosofia

171Carmenque Christo quasi Deo dicere secum invicem. Plin. (Epist. X 97).Le Clerc (Ars crit. p. 150-156) esamina criticamente il senso della parola Deus,Θεσς Elohim negl'idiomi antichi; ed il Sociniano Emlyn (Tract. p. 29, 36, 51-145) abilmente difende la proprietà del culto verso una molto eccellente crea-tura.

172Vedi Dalleo De us. Patr. e le Clerc Bibliot. univ. Tom. X p. 409. Lo scopodella stupenda opera del Petavio sulla Trinità (Dogm. Theol. Tom. II) fu d'attac-care la fede de' Padri Antiniceni, o almeno tale n'è stato l'effetto; nè questa pro-fonda impressione si è cancellata dall'erudita difesa del Vescovo Bull.

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son continuati gli onori divini dalle varie Sette, che han-no assunto il nome di suoi discepoli171. La tenera lorovenerazione per la memoria di Cristo, e l'orrore che ave-vano pel culto profano di ogni Ente creato, gli avrebbeimpegnati a sostenere l'uguale ed assoluta Divinità delLogos, se il rapido loro volo verso il trono del Cielo nonsi fosse insensibilmente frenato dal timore di violarl'unità e la sola superiorità del gran Padre di Cristo edell'Universo. Si può veder la sospensione e l'ondeggia-mento prodotto negli animi dei Cristiani da queste con-trarie inclinazioni negli scritti de' Teologi, che fiorironodopo il tempo degli Apostoli, ed avanti l'origine dellacontroversia Arriana. Tanto gli ortodossi quanto gli ere-tici pretendono con ugual sicurezza d'averli in loro favo-re; ed i più diligenti critici vanno pienamente d'accordo,che se essi ebber la buona fortuna di conoscer la Cattoli-ca verità, almeno hanno espresso i loro sentimenti conparole indeterminate, inesatte ed alle volte contradditto-rie172.

II. La devozione degl'individui era la prima circo-stanza che distingueva i Cristiani da' Platonici; la secon-da era l'autorità della Chiesa. I discepoli della Filosofia

171Carmenque Christo quasi Deo dicere secum invicem. Plin. (Epist. X 97).Le Clerc (Ars crit. p. 150-156) esamina criticamente il senso della parola Deus,Θεσς Elohim negl'idiomi antichi; ed il Sociniano Emlyn (Tract. p. 29, 36, 51-145) abilmente difende la proprietà del culto verso una molto eccellente crea-tura.

172Vedi Dalleo De us. Patr. e le Clerc Bibliot. univ. Tom. X p. 409. Lo scopodella stupenda opera del Petavio sulla Trinità (Dogm. Theol. Tom. II) fu d'attac-care la fede de' Padri Antiniceni, o almeno tale n'è stato l'effetto; nè questa pro-fonda impressione si è cancellata dall'erudita difesa del Vescovo Bull.

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sostenevano i diritti dell'intellettual libertà; ed il rispetto,che avevano pe' sentimenti de' loro maestri, era un libe-ro e volontario tributo che offerivano alla superioritàdella religione. Ma i Cristiani formavano una societànumerosa e disciplinata; e rigorosamente s'esercitava su-gli animi de' Fedeli la giurisdizione delle leggi e de' Ma-gistrati. I liberi voli dell'immaginazione venivano dimano in mano ristretti dalle formule e dalle confessionidi fede173; la libertà del giudizio privato era sottopostaalla pubblica dottrina de' Sinodi; l'autorità di un Teologoveniva determinata dal grado che esso tenea nella Chie-sa; e gli Episcopali successori degli Apostoli soggetta-vano all'Ecclesiastiche censure coloro, che deviavandalla Fede ortodossa. Ma in un tempo di controversie re-ligiose ogni atto d'oppressione accresceva nuova forzaall'elastico vigor dello spirito; ed alle volte anche lo zeloo l'ostinazione d'un ribelle spirituale si fomentava da se-greti motivi d'ambizione o d'avarizia. Un argomento me-tafisico diveniva la causa, o il pretesto di contese politi-che; si usavan le sottigliezze della scuola Platonicacome le insegne delle fazioni popolari, e la differenza,che separava le rispettive loro opinioni, si accresceva omagnificava dall'acrimonia della disputa. Finattanto chel'oscura eresia di Prassea e di Sabellio procurò di con-fondere il Padre col Figlio174, il partito Ortodosso fu de-

173Le formule di fede più antiche furono estese alla massima ampiezza.Vedi Bull (Judic. Eccl. Cath.), che tenta d'impedir Episcopio dal trarre alcunvantaggio da quest'osservazione.

174L'eresie di Prassea, di Sabellio ec. son esposte con esattezza dal Mose-mio p. 425, 680-714. Prassea, che venne a Roma verso il fine del secondo se-

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sostenevano i diritti dell'intellettual libertà; ed il rispetto,che avevano pe' sentimenti de' loro maestri, era un libe-ro e volontario tributo che offerivano alla superioritàdella religione. Ma i Cristiani formavano una societànumerosa e disciplinata; e rigorosamente s'esercitava su-gli animi de' Fedeli la giurisdizione delle leggi e de' Ma-gistrati. I liberi voli dell'immaginazione venivano dimano in mano ristretti dalle formule e dalle confessionidi fede173; la libertà del giudizio privato era sottopostaalla pubblica dottrina de' Sinodi; l'autorità di un Teologoveniva determinata dal grado che esso tenea nella Chie-sa; e gli Episcopali successori degli Apostoli soggetta-vano all'Ecclesiastiche censure coloro, che deviavandalla Fede ortodossa. Ma in un tempo di controversie re-ligiose ogni atto d'oppressione accresceva nuova forzaall'elastico vigor dello spirito; ed alle volte anche lo zeloo l'ostinazione d'un ribelle spirituale si fomentava da se-greti motivi d'ambizione o d'avarizia. Un argomento me-tafisico diveniva la causa, o il pretesto di contese politi-che; si usavan le sottigliezze della scuola Platonicacome le insegne delle fazioni popolari, e la differenza,che separava le rispettive loro opinioni, si accresceva omagnificava dall'acrimonia della disputa. Finattanto chel'oscura eresia di Prassea e di Sabellio procurò di con-fondere il Padre col Figlio174, il partito Ortodosso fu de-

173Le formule di fede più antiche furono estese alla massima ampiezza.Vedi Bull (Judic. Eccl. Cath.), che tenta d'impedir Episcopio dal trarre alcunvantaggio da quest'osservazione.

174L'eresie di Prassea, di Sabellio ec. son esposte con esattezza dal Mose-mio p. 425, 680-714. Prassea, che venne a Roma verso il fine del secondo se-

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gno di scusa, se aderiva con maggior vigore ed impegnoalla distinzione che all'uguaglianza delle persone divine.Ma tosto che fu sopito il calor della controversia, ed ilprogresso dei Sabelliani non dava più motivo di temerealle Chiese di Roma, dell'Affrica o dell'Egitto, la corren-te della opinione teologica cominciò a voltarsi con undolce ma costante moto verso l'estremo contrario; ed ipiù Ortodossi Dottori non si guardarono dall'usare i ter-mini e le definizioni, che in bocca de' Settari s'eranocensurate175. Dopo che l'Editto di tolleranza ebbe resti-tuito la pace a' Cristiani, insorse di nuovo la controver-sia della Trinità nell'antica sede del Platonismo, nelladotta, opulenta e tumultuosa città d'Alessandria; e lafiamma della discordia religiosa rapidamente si comuni-cò dalle scuole al Clero, al Popolo, alla Provincia edall'Oriente. Si agitaron le astruse questioni dell'eternitàdel Logos nell'Ecclesiastiche conferenze e ne' discorsipopolari; e furon ben presto fatte pubbliche l'eterodosseopinioni d'Arrio176 dal proprio zelo di lui, e da quello de'suoi avversari. I più implacabili nemici suoi hanno rico-nosciuto la dottrina e la vita incorrotta di quell'eminentePrete, che in un'antecedente elezione aveva dichiarate, e

colo, ingannò per qualche tempo la semplicità del Vescovo, e fu confutato dal-la penna del fervido Tertulliano.

175Socrate confessa, che l'eresia d'Arrio nacque dal forte desiderio, che ave-va, di opporsi più diametralmente che fosse possibile all'opinione di Sabellio.

176Si dipingono da Epifanio Tom. I. Haeres 69. 3. p. 279, con colori moltovivaci la figura ed i costumi d'Arrio, il carattere e il numero de' suoi primi pro-seliti; e non possiamo fare a meno di dolerci ch'esso tosto abbandoni il caratte-re d'Istorico per assumer quello di Controversista.

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gno di scusa, se aderiva con maggior vigore ed impegnoalla distinzione che all'uguaglianza delle persone divine.Ma tosto che fu sopito il calor della controversia, ed ilprogresso dei Sabelliani non dava più motivo di temerealle Chiese di Roma, dell'Affrica o dell'Egitto, la corren-te della opinione teologica cominciò a voltarsi con undolce ma costante moto verso l'estremo contrario; ed ipiù Ortodossi Dottori non si guardarono dall'usare i ter-mini e le definizioni, che in bocca de' Settari s'eranocensurate175. Dopo che l'Editto di tolleranza ebbe resti-tuito la pace a' Cristiani, insorse di nuovo la controver-sia della Trinità nell'antica sede del Platonismo, nelladotta, opulenta e tumultuosa città d'Alessandria; e lafiamma della discordia religiosa rapidamente si comuni-cò dalle scuole al Clero, al Popolo, alla Provincia edall'Oriente. Si agitaron le astruse questioni dell'eternitàdel Logos nell'Ecclesiastiche conferenze e ne' discorsipopolari; e furon ben presto fatte pubbliche l'eterodosseopinioni d'Arrio176 dal proprio zelo di lui, e da quello de'suoi avversari. I più implacabili nemici suoi hanno rico-nosciuto la dottrina e la vita incorrotta di quell'eminentePrete, che in un'antecedente elezione aveva dichiarate, e

colo, ingannò per qualche tempo la semplicità del Vescovo, e fu confutato dal-la penna del fervido Tertulliano.

175Socrate confessa, che l'eresia d'Arrio nacque dal forte desiderio, che ave-va, di opporsi più diametralmente che fosse possibile all'opinione di Sabellio.

176Si dipingono da Epifanio Tom. I. Haeres 69. 3. p. 279, con colori moltovivaci la figura ed i costumi d'Arrio, il carattere e il numero de' suoi primi pro-seliti; e non possiamo fare a meno di dolerci ch'esso tosto abbandoni il caratte-re d'Istorico per assumer quello di Controversista.

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forse generosamente soppresse, le sue pretensioni allasede Episcopale177, Alessandro, competitore di lui, presele parti di suo giudice. Fu agitata l'importante causaavanti di esso; e sebbene a principio sembrasse dubbio-so, finalmente pronunziò la sua definitiva sentenza,come un'assoluta regola di fede178. L'indomito Prete, cheardì resistere all'autorità del suo ardente Vescovo, fu se-parato dalla comunione della Chiesa. Ma l'orgogliod'Arrio era sostenuto dall'applauso d'un numeroso parti-to. Egli contava fra' suoi immediati seguaci due Vescovidell'Egitto, sette Preti, dodici Diaconi, e (quel che sem-bra quasi incredibile) settecento Vergini. Un grandissi-mo numero de' Vescovi Asiatici parve che ne sostenes-se, o favorisse la causa; ed i loro passi eran condotti daEusebio di Cesarea, il più dotto de' Prelati Cristiani, e daEusebio di Nicomedia, che aveva acquistato la riputa-zione di uomo di stato senza perder quella di Santo. Siopposero nella Palestina e nella Bitinia de' Sinodi aquelli dell'Egitto. Questa teologica disputa s'attiròl'attenzione del Sovrano e del Popolo, ed al termine di

177Vedi Filostorgio lib. I. c. 3, e l'ampio Comentario del Gottofredo. L'auto-rità però di Filostorgio vien diminuita agli occhi degli Ortodossi per causa delsuo Arrianismo; ed a quegli de' critici ragionevoli a motivo della sua passione,della sua ignoranza e de' suoi pregiudizj.

178Sozomeno (lib. I. c. 15.) rappresenta Alessandro come indifferente ed an-che ignorante in principio della disputa; mentre Socrate (lib. I.) ne attribuiscel'origine alla vana curiosità delle sue teologiche speculazioni. Il Dottor Jortin(Osserv. sull'Ist. Eccl. vol. II. p. 178) ha censurato con la solita sua libertà lacondotta d'Alessandro προς όργήν εξκπτέτα, .... όµότως Φρόνειν έκελέυσε(s'accende di sdegno.... comanda che si pensi come egli pensa).

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forse generosamente soppresse, le sue pretensioni allasede Episcopale177, Alessandro, competitore di lui, presele parti di suo giudice. Fu agitata l'importante causaavanti di esso; e sebbene a principio sembrasse dubbio-so, finalmente pronunziò la sua definitiva sentenza,come un'assoluta regola di fede178. L'indomito Prete, cheardì resistere all'autorità del suo ardente Vescovo, fu se-parato dalla comunione della Chiesa. Ma l'orgogliod'Arrio era sostenuto dall'applauso d'un numeroso parti-to. Egli contava fra' suoi immediati seguaci due Vescovidell'Egitto, sette Preti, dodici Diaconi, e (quel che sem-bra quasi incredibile) settecento Vergini. Un grandissi-mo numero de' Vescovi Asiatici parve che ne sostenes-se, o favorisse la causa; ed i loro passi eran condotti daEusebio di Cesarea, il più dotto de' Prelati Cristiani, e daEusebio di Nicomedia, che aveva acquistato la riputa-zione di uomo di stato senza perder quella di Santo. Siopposero nella Palestina e nella Bitinia de' Sinodi aquelli dell'Egitto. Questa teologica disputa s'attiròl'attenzione del Sovrano e del Popolo, ed al termine di

177Vedi Filostorgio lib. I. c. 3, e l'ampio Comentario del Gottofredo. L'auto-rità però di Filostorgio vien diminuita agli occhi degli Ortodossi per causa delsuo Arrianismo; ed a quegli de' critici ragionevoli a motivo della sua passione,della sua ignoranza e de' suoi pregiudizj.

178Sozomeno (lib. I. c. 15.) rappresenta Alessandro come indifferente ed an-che ignorante in principio della disputa; mentre Socrate (lib. I.) ne attribuiscel'origine alla vana curiosità delle sue teologiche speculazioni. Il Dottor Jortin(Osserv. sull'Ist. Eccl. vol. II. p. 178) ha censurato con la solita sua libertà lacondotta d'Alessandro προς όργήν εξκπτέτα, .... όµότως Φρόνειν έκελέυσε(s'accende di sdegno.... comanda che si pensi come egli pensa).

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sei anni179 ne fu rimessa la decisione alla suprema auto-rità del generalo Concilio di Nicea.

[A. D. 318-325]Allorchè i misterj della Fede Cristiana pericolosa-

mente s'esposero alla pubblica discussione, si potè os-servare, che l'intelletto umano era capace di formare tredistinti, quantunque imperfetti, sistemi sopra la naturadella Trinità di Dio; e fu pronunziato, che nessuno diquesti, preso in un senso puro ed assoluto, era esentedall'eresia e dall'errore180. Primieramente, secondo l'ipo-tesi sostenuta da Arrio e da' suoi discepoli, il Logos erauna produzione dipendente e spontanea, creata dal nullaper la volontà del Padre. Il Figlio, da cui s'eran fatte tut-te le cose181, era stato generato prima di tutti i Mondi, edil più lungo periodo astronomico non potea comparireche un passeggiero momento relativamente all'estensio-ne della durata di lui; tal durata però non era infinita182,

179Le fiamme dell'Arrianismo poterono per qualche tempo ardere occulte;ma v'è ragione di credere, che si manifestassero con violenza sin dall'anno 319.Tillemont Mem. Ecc. Tom. VI. p. 774-780.

180Quis crediderit? Certe aut tria nomina audiens tres Deos esse credidit, etidolatra effectus est; aut in tribus vocabulis trinominem credens Deum in Sa-bellii haeresim incurrit; aut edoctus ab Arrianis unum esse verum Deum Pa-trem, Filium et Spiritum S., credidit creaturas. Aut extra haec quid credere po-tuerit, nescio. Hieron. adv. Luciferian. Girolamo riserva all'ultimo il sistemaortodosso, ch'è più complicato e difficile.

181Siccome s'introdusse appoco appoco fra' Cristiani la dottrina dell'assolutacreazione dal niente (Beausobre Tom. II. p. 165-215), così la dignità dell'artefi-ce s'elevò assai naturalmente insieme con quella dell'opera.

182Le teorie metafisiche del Dottor Clarke (script. Trinit. p. 276-280) po-trebbero ammettere un'eterna generazione da una causa infinita.

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sei anni179 ne fu rimessa la decisione alla suprema auto-rità del generalo Concilio di Nicea.

[A. D. 318-325]Allorchè i misterj della Fede Cristiana pericolosa-

mente s'esposero alla pubblica discussione, si potè os-servare, che l'intelletto umano era capace di formare tredistinti, quantunque imperfetti, sistemi sopra la naturadella Trinità di Dio; e fu pronunziato, che nessuno diquesti, preso in un senso puro ed assoluto, era esentedall'eresia e dall'errore180. Primieramente, secondo l'ipo-tesi sostenuta da Arrio e da' suoi discepoli, il Logos erauna produzione dipendente e spontanea, creata dal nullaper la volontà del Padre. Il Figlio, da cui s'eran fatte tut-te le cose181, era stato generato prima di tutti i Mondi, edil più lungo periodo astronomico non potea comparireche un passeggiero momento relativamente all'estensio-ne della durata di lui; tal durata però non era infinita182,

179Le fiamme dell'Arrianismo poterono per qualche tempo ardere occulte;ma v'è ragione di credere, che si manifestassero con violenza sin dall'anno 319.Tillemont Mem. Ecc. Tom. VI. p. 774-780.

180Quis crediderit? Certe aut tria nomina audiens tres Deos esse credidit, etidolatra effectus est; aut in tribus vocabulis trinominem credens Deum in Sa-bellii haeresim incurrit; aut edoctus ab Arrianis unum esse verum Deum Pa-trem, Filium et Spiritum S., credidit creaturas. Aut extra haec quid credere po-tuerit, nescio. Hieron. adv. Luciferian. Girolamo riserva all'ultimo il sistemaortodosso, ch'è più complicato e difficile.

181Siccome s'introdusse appoco appoco fra' Cristiani la dottrina dell'assolutacreazione dal niente (Beausobre Tom. II. p. 165-215), così la dignità dell'artefi-ce s'elevò assai naturalmente insieme con quella dell'opera.

182Le teorie metafisiche del Dottor Clarke (script. Trinit. p. 276-280) po-trebbero ammettere un'eterna generazione da una causa infinita.

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e vi era stato un tempo che avea preceduto l'ineffabil ge-nerazione del Logos. In quest'unigenito Figlio l'onnipo-tente Padre avea trasfuso l'ampio suo spirito, ed impres-so lo splendore della sua gloria. Visibile immagine diun'invisibile perfezione, vedeva ad un'immensa distanzasotto i suoi piedi i troni de' più fulgidi Arcangeli; purenon risplendeva che una luce riflessa, e simile a' figli de'Romani Imperatori, ch'erano investiti de' titoli di Cesareo d'Augusto183, ei governava l'universo con ubbidire allavolontà del suo Padre e Monarca. Nella Seconda ipotesiil Logos godeva tutte le inerenti incomunicabili perfe-zioni, che la Religione e la Filosofia attribuiscono alsommo Dio. La Divina essenza componevasi da tre di-stinte infinite menti o sostanze, da tre esseri coeguali ecoeterni184 e sarebbe stata una contraddizione che alcunodi loro dovesse non essere stato, o che dovesse mai ces-sare di esistere185. I difensori del sistema, che pareva186

che stabilisse tre indipendenti Divinità, tentavano diconservar l'unità della prima causa così patente nel dise-gno e nell'ordine del Mondo, mediante la perpetua con-

183S'usa questa profana ed assurda similitudine da' varj de' primitivi Padri,specialmente da Atenagora nella sua apologia all'Imperator Marco ed al suo fi-glio; e vien citata senza censura da Bull medesimo. Vedi Defens. Fid. Nic. S.III. c. 5. n. 4.

184Vedi Cudworth Intell. syst. p. 559. 579. Questa pericolosa ipotesi fu favo-rita dai due Gregorj, Nisseno e Nazianzeno, da Cirillo Alessandrino, da Gio-vanni Damasceno ec. Vedi Cudworth. p. 603. e Le Clerc. Bibl. univ. Tom.XVIII. p. 97-105).

185Sembra, che Agostino invidii la libertà de' Filosofi; Liberis verbis lo-quuntur philosophi... Nos autem non dicimus duo vel tria principia, duos veltres Deos; de Civ. Dei X. 23.

186Nell’originale "parereva". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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e vi era stato un tempo che avea preceduto l'ineffabil ge-nerazione del Logos. In quest'unigenito Figlio l'onnipo-tente Padre avea trasfuso l'ampio suo spirito, ed impres-so lo splendore della sua gloria. Visibile immagine diun'invisibile perfezione, vedeva ad un'immensa distanzasotto i suoi piedi i troni de' più fulgidi Arcangeli; purenon risplendeva che una luce riflessa, e simile a' figli de'Romani Imperatori, ch'erano investiti de' titoli di Cesareo d'Augusto183, ei governava l'universo con ubbidire allavolontà del suo Padre e Monarca. Nella Seconda ipotesiil Logos godeva tutte le inerenti incomunicabili perfe-zioni, che la Religione e la Filosofia attribuiscono alsommo Dio. La Divina essenza componevasi da tre di-stinte infinite menti o sostanze, da tre esseri coeguali ecoeterni184 e sarebbe stata una contraddizione che alcunodi loro dovesse non essere stato, o che dovesse mai ces-sare di esistere185. I difensori del sistema, che pareva186

che stabilisse tre indipendenti Divinità, tentavano diconservar l'unità della prima causa così patente nel dise-gno e nell'ordine del Mondo, mediante la perpetua con-

183S'usa questa profana ed assurda similitudine da' varj de' primitivi Padri,specialmente da Atenagora nella sua apologia all'Imperator Marco ed al suo fi-glio; e vien citata senza censura da Bull medesimo. Vedi Defens. Fid. Nic. S.III. c. 5. n. 4.

184Vedi Cudworth Intell. syst. p. 559. 579. Questa pericolosa ipotesi fu favo-rita dai due Gregorj, Nisseno e Nazianzeno, da Cirillo Alessandrino, da Gio-vanni Damasceno ec. Vedi Cudworth. p. 603. e Le Clerc. Bibl. univ. Tom.XVIII. p. 97-105).

185Sembra, che Agostino invidii la libertà de' Filosofi; Liberis verbis lo-quuntur philosophi... Nos autem non dicimus duo vel tria principia, duos veltres Deos; de Civ. Dei X. 23.

186Nell’originale "parereva". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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cordia di loro amministrazione e l'essenziale conformitàdel loro volere. Si può vedere (dicevano essi) una debo-le somiglianza di tale unità d'azione nelle società degliuomini, ed anche degli animali. Le cause, che disturba-no la loro armonia, non provengono che dall'imperfezio-ne e disuguaglianza delle lor facoltà; ma l'onnipotenza,ch'è guidata da infinito sapere e bontà, non può mancaredi scegliere gli stessi mezzi per l'adempimento de' me-desimi fini. In terzo luogo tre Enti, che per propria origi-nal necessità di loro esistenza posseggono tutti i diviniattributi nel grado più perfetto; che sono eterni nella du-rata, infiniti nello spazio, ed intimamente presenti l'unoall'altro ed a tutto l'universo; irresistibilmente forzanol'attonita mente a crederli uno stesso Ente187, chenell'economia della grazia ugualmente che in quella del-la natura si possa manifestare sotto differenti forme, edesser considerato in differenti aspetti. Con questa ipotesiuna vera sostanzial Trinità si riduce ad una Trinità dinomi e di astratte modificazioni, che sussistono soltantonella mente che le concepisce. Il Logos non è più unapersona, ma un attributo, e non può applicarsi più che inun senso figurato l'epiteto di Figlio all'eterna ragione,che era un Dio fin dal principio, e da cui, non per mezzodi cui furon fatte tutte le cose. L'incarnazione del Logosriducevasi ad una mera inspirazione della Divina Sa-pienza, che riempì l'anima, e diresse tutte le azioni

187Boezio, ch'era profondamente versato nella filosofia di Platone e d'Ari-stotile, spiega l'unità della Trinità mediante l'indifferenza delle tre persone.Vedi le giudiziose osservazioni del Le Clerc, Biblioth. Chois. Tom. XVI. p. 225.

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cordia di loro amministrazione e l'essenziale conformitàdel loro volere. Si può vedere (dicevano essi) una debo-le somiglianza di tale unità d'azione nelle società degliuomini, ed anche degli animali. Le cause, che disturba-no la loro armonia, non provengono che dall'imperfezio-ne e disuguaglianza delle lor facoltà; ma l'onnipotenza,ch'è guidata da infinito sapere e bontà, non può mancaredi scegliere gli stessi mezzi per l'adempimento de' me-desimi fini. In terzo luogo tre Enti, che per propria origi-nal necessità di loro esistenza posseggono tutti i diviniattributi nel grado più perfetto; che sono eterni nella du-rata, infiniti nello spazio, ed intimamente presenti l'unoall'altro ed a tutto l'universo; irresistibilmente forzanol'attonita mente a crederli uno stesso Ente187, chenell'economia della grazia ugualmente che in quella del-la natura si possa manifestare sotto differenti forme, edesser considerato in differenti aspetti. Con questa ipotesiuna vera sostanzial Trinità si riduce ad una Trinità dinomi e di astratte modificazioni, che sussistono soltantonella mente che le concepisce. Il Logos non è più unapersona, ma un attributo, e non può applicarsi più che inun senso figurato l'epiteto di Figlio all'eterna ragione,che era un Dio fin dal principio, e da cui, non per mezzodi cui furon fatte tutte le cose. L'incarnazione del Logosriducevasi ad una mera inspirazione della Divina Sa-pienza, che riempì l'anima, e diresse tutte le azioni

187Boezio, ch'era profondamente versato nella filosofia di Platone e d'Ari-stotile, spiega l'unità della Trinità mediante l'indifferenza delle tre persone.Vedi le giudiziose osservazioni del Le Clerc, Biblioth. Chois. Tom. XVI. p. 225.

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dell'Uomo Gesù. Così dopo d'aver percorso tutto il cer-chio teologico, restiam sorpresi al vedere che il Sabel-liano va a terminare dove incominciato avea l'Ebionita,e che l'incomprensibil mistero, ch'eccita la nostra adora-zione, sfugge alle nostre ricerche188.

[A. D. 325]Se fosse stato permesso a' Vescovi del Concilio di Ni-

cea189 di seguire gl'imparziali dettami di lor coscienza,Arrio ed i suoi compagni avrebbero appena potuto lusin-garsi con la speranza d'ottenere una pluralità di voti a fa-vor d'un'ipotesi tanto direttamente contraria alle due po-polari opinioni del Mondo Cattolico. Gli Arriani tostos'accorsero della pericolosa loro situazione, e prudente-mente si vestirono di quelle modeste virtù, che, nel furo-re delle dissensioni civili o religiose, rare volte son pra-ticate, o anche lodate da altri che dalla parte più debole.Raccomandavano essi l'esercizio della carità e modera-zione Cristiana; insistevano nell'incomprensibile natura

188Se i Sabelliani rigettavano tal conclusione, venivano tratti in un altro pre-cipizio, cioè a confessare, che il Padre era nato da una Vergine, e che avevasofferto sulla Croce; e così meritavan l'odioso titolo di Patropassiani, con cuifurono infamati da' loro nemici. Vedi le invettive di Tertulliano contro Prassea,e le moderate riflessioni di Mosemio p. 423, 681, 3 e Beausobre Tom. I. lib.III. c. 6. p. 533.

189I fatti del Concilio Niceno son riferiti dagl'antichi non solo in un modoparziale, ma anche molto imperfetto. Una pittura, quale ne avrebbe fatto FraPaolo, non è da sperarsi; ma quelle rozze ombreggiature, che si delinearono dalpennello della bacchettoneria e da quello della ragione, possono vedersi ap-presso il Tillemont Mem. Eccl. Tom. VI. p. 669-759 ed il Le Clerc Biblioth.univ. Tom. X. p. 435-454.

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dell'Uomo Gesù. Così dopo d'aver percorso tutto il cer-chio teologico, restiam sorpresi al vedere che il Sabel-liano va a terminare dove incominciato avea l'Ebionita,e che l'incomprensibil mistero, ch'eccita la nostra adora-zione, sfugge alle nostre ricerche188.

[A. D. 325]Se fosse stato permesso a' Vescovi del Concilio di Ni-

cea189 di seguire gl'imparziali dettami di lor coscienza,Arrio ed i suoi compagni avrebbero appena potuto lusin-garsi con la speranza d'ottenere una pluralità di voti a fa-vor d'un'ipotesi tanto direttamente contraria alle due po-polari opinioni del Mondo Cattolico. Gli Arriani tostos'accorsero della pericolosa loro situazione, e prudente-mente si vestirono di quelle modeste virtù, che, nel furo-re delle dissensioni civili o religiose, rare volte son pra-ticate, o anche lodate da altri che dalla parte più debole.Raccomandavano essi l'esercizio della carità e modera-zione Cristiana; insistevano nell'incomprensibile natura

188Se i Sabelliani rigettavano tal conclusione, venivano tratti in un altro pre-cipizio, cioè a confessare, che il Padre era nato da una Vergine, e che avevasofferto sulla Croce; e così meritavan l'odioso titolo di Patropassiani, con cuifurono infamati da' loro nemici. Vedi le invettive di Tertulliano contro Prassea,e le moderate riflessioni di Mosemio p. 423, 681, 3 e Beausobre Tom. I. lib.III. c. 6. p. 533.

189I fatti del Concilio Niceno son riferiti dagl'antichi non solo in un modoparziale, ma anche molto imperfetto. Una pittura, quale ne avrebbe fatto FraPaolo, non è da sperarsi; ma quelle rozze ombreggiature, che si delinearono dalpennello della bacchettoneria e da quello della ragione, possono vedersi ap-presso il Tillemont Mem. Eccl. Tom. VI. p. 669-759 ed il Le Clerc Biblioth.univ. Tom. X. p. 435-454.

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dello controversia; disapprovavan l'uso di termine, o didefinizione alcuna, che non potesse trovarsi nelle Scrit-ture; ed offerivano con proteste molto liberali di soddi-sfare gli avversari senza rinunziare alla sostanza de' pro-pri loro principj. La fazione vittoriosa ricevè tutte questeproposizioni con altiera diffidenza: ed ansiosamente cer-cava qualche irreconciliabile segno di distinzione, lacondanna di cui potesse involger gli Arriani nella colpae nelle conseguenze dell'eresia. Fu pubblicamente letta,ed ignominiosamente lacerata una lettera, nella quale illoro Avvocato, Eusebio di Nicomedia, ingenuamenteconfessava, ch'era incompatibile co' principj del teologi-co loro sistema l'ammettere la parola Homoousion, oConsustanziale, termine già famigliare ai Platonici. Fuardentemente abbracciata la favorevole occasione da'Vescovi, che dirigevano le deliberazioni del Sinodo; esecondo la viva espressione d'Ambrogio190 si servironodella spada, che l'eresia medesima avea tirato dal fode-ro, per tagliar la testa all'odioso mostro. Dal ConcilioNiceno fu stabilita la consustanzialità del Padre e del Fi-glio, ed è stata la medesima concordemente ricevuta,come un fondamentale articolo della Fede Cristiana, dalconsenso delle Chiese Greca e Latina, Orientale e Prote-stante. Ma se la stessa parola non fosse stata sufficientea diffamare gli Eretici, e ad unire i Cattolici, non si sa-

190Siam debitori ad Ambrogio (de Fid. lib. III. c. alt.) della cognizione diquesto curioso aneddoto. Hoc verbum posuerunt Patres, quod viderunt adver-sariis esse formidini: ut tamquam evaginato ab ipsis gladio ipsum nefandaecaput haereseos amputarent.

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dello controversia; disapprovavan l'uso di termine, o didefinizione alcuna, che non potesse trovarsi nelle Scrit-ture; ed offerivano con proteste molto liberali di soddi-sfare gli avversari senza rinunziare alla sostanza de' pro-pri loro principj. La fazione vittoriosa ricevè tutte questeproposizioni con altiera diffidenza: ed ansiosamente cer-cava qualche irreconciliabile segno di distinzione, lacondanna di cui potesse involger gli Arriani nella colpae nelle conseguenze dell'eresia. Fu pubblicamente letta,ed ignominiosamente lacerata una lettera, nella quale illoro Avvocato, Eusebio di Nicomedia, ingenuamenteconfessava, ch'era incompatibile co' principj del teologi-co loro sistema l'ammettere la parola Homoousion, oConsustanziale, termine già famigliare ai Platonici. Fuardentemente abbracciata la favorevole occasione da'Vescovi, che dirigevano le deliberazioni del Sinodo; esecondo la viva espressione d'Ambrogio190 si servironodella spada, che l'eresia medesima avea tirato dal fode-ro, per tagliar la testa all'odioso mostro. Dal ConcilioNiceno fu stabilita la consustanzialità del Padre e del Fi-glio, ed è stata la medesima concordemente ricevuta,come un fondamentale articolo della Fede Cristiana, dalconsenso delle Chiese Greca e Latina, Orientale e Prote-stante. Ma se la stessa parola non fosse stata sufficientea diffamare gli Eretici, e ad unire i Cattolici, non si sa-

190Siam debitori ad Ambrogio (de Fid. lib. III. c. alt.) della cognizione diquesto curioso aneddoto. Hoc verbum posuerunt Patres, quod viderunt adver-sariis esse formidini: ut tamquam evaginato ab ipsis gladio ipsum nefandaecaput haereseos amputarent.

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rebbe ottenuto l'intento della maggior parte diquell'assemblea, da cui fu introdotta nel simbolo orto-dosso. Questa parte maggiore si divideva in due classi,distinte fra loro mediante una contraria inclinazione a'sentimenti dei Triteisti e de' Sabelliani. Ma siccomesembrava, che quegli opposti estremi rovinassero i fon-damenti della religione sì naturale che rivelata, essi con-venner fra loro di moderare il rigore dei loro principj, edi negare in tal modo le giuste, ma odiose conseguenze,che avrebber potuto trarsi da' loro avversarj. L'interessedella causa comune li faceva inclinare ad unire i loropartiti, ed a nasconder le lor differenze; fu ammollital'animosità loro da salutari consigli di tolleranza, e resta-ron sospese le loro dispute mediante l'uso del misteriosoHomoousion, che ognuno era libero d'interpretare se-condo le proprie particolari opinioni. Il senso Sabellia-no, che circa cinquant'anni prima aveva obbligato ilConcilio d'Antiochia191 a proibir quel celebre termine, lorendeva caro a que' Teologi, che mantenevano una se-greta, ma parziale affezione per una Trinità nominale.Ma i Santi, ch'erano più alla moda ne' tempi degli Arria-ni, l'intrepido Atanasio, il dotto Gregorio Nazianzeno, ele altre colonne della Chiesa, che sostennero con abilitàed effetto la dottrina Nicena, par che risguardasserol'espression di Sostanza, come un sinonimo di quella diNatura; e si avventurarono ad illustrare il loro pensierocon affermare, che tre uomini, in quanto appartengono

191Vedi Bull, Defens. Fid. Nic. Sect. II. c. 1. p. 25-36. Egli si crede in doveredi conciliare fra loro i due Sinodi ortodossi.

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rebbe ottenuto l'intento della maggior parte diquell'assemblea, da cui fu introdotta nel simbolo orto-dosso. Questa parte maggiore si divideva in due classi,distinte fra loro mediante una contraria inclinazione a'sentimenti dei Triteisti e de' Sabelliani. Ma siccomesembrava, che quegli opposti estremi rovinassero i fon-damenti della religione sì naturale che rivelata, essi con-venner fra loro di moderare il rigore dei loro principj, edi negare in tal modo le giuste, ma odiose conseguenze,che avrebber potuto trarsi da' loro avversarj. L'interessedella causa comune li faceva inclinare ad unire i loropartiti, ed a nasconder le lor differenze; fu ammollital'animosità loro da salutari consigli di tolleranza, e resta-ron sospese le loro dispute mediante l'uso del misteriosoHomoousion, che ognuno era libero d'interpretare se-condo le proprie particolari opinioni. Il senso Sabellia-no, che circa cinquant'anni prima aveva obbligato ilConcilio d'Antiochia191 a proibir quel celebre termine, lorendeva caro a que' Teologi, che mantenevano una se-greta, ma parziale affezione per una Trinità nominale.Ma i Santi, ch'erano più alla moda ne' tempi degli Arria-ni, l'intrepido Atanasio, il dotto Gregorio Nazianzeno, ele altre colonne della Chiesa, che sostennero con abilitàed effetto la dottrina Nicena, par che risguardasserol'espression di Sostanza, come un sinonimo di quella diNatura; e si avventurarono ad illustrare il loro pensierocon affermare, che tre uomini, in quanto appartengono

191Vedi Bull, Defens. Fid. Nic. Sect. II. c. 1. p. 25-36. Egli si crede in doveredi conciliare fra loro i due Sinodi ortodossi.

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alla stessa specie loro comune, sono consustanziali, osia homoousii l'uno coll'altro192. Questa pura e distintauguaglianza, per una parte, veniva temperata dall'internaconnessione e penetrazione spirituale, che indissolubil-mente unisce le persone divine193; e per l'altra dalla pre-minenza del Padre, che si confessava per quanto essa ècompatibile coll'indipendenza del Figliuolo194. Dentroquesti limiti si lasciò muover con sicurezza la quasi in-visibile e tremula palla dell'ortodossia; ed intorno diquesto sacro recinto stavano in agguato gli Eretici, ed idemonj per sorprendere e divorare quegl'infelici che glioltrepassavano. Ma siccome i gradi dell'odio teologicodipendono piuttosto dallo spirito di guerra chedall'importanza della controversia, gli Eretici che degra-davan la persona del Figlio, eran trattati con maggior se-verità di quelli che l'annichilavano. Atanasio consumò lasua vita nell'irreconciliabile opposizione all'empia paz-zia degli Arriani195; ma difese più di venti anni il Sabel-lianismo di Marcello d'Ancira; e quando alla fine fu co-

192Secondo Aristotile le stelle sono homoousie l'una coll'altra. Che homoou-sios significhi d'una sostanza in specie, si è dimostrato dal Petavio, dal Curcel-leo, dal Cudworth, dal Le Clerc ec. ed il provarlo sarebbe un actum agere.Questa è la giusta osservazione del Dott. Jortin V. II. p. 212. ch'esamina la con-troversia Arriana con dottrina, ingenuità e candore.

193Vedi Petav. Dogm. Theol. Tom. II. lib. IV. c. 16. p. 353, ec. Cudworth p.559. Bull Sect. IV. p. 275, 290. Edit. Grab. La περίχωρησις o circumincessio èforse il più profondo e più oscuro baratro di tutto l'abisso teologico.

194La terza sezione Della difesa della Fede Nicena di Bull, che alcuni de'suoi antagonisti han chiamato scempiaggine, ed altri eresia, è destinata alla su-pereminenza del Padre.

195Il nome, che Atanasio ed i suoi seguaci ordinariamente solevan dare agliArriani, era quello d'Arriomaniti.

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alla stessa specie loro comune, sono consustanziali, osia homoousii l'uno coll'altro192. Questa pura e distintauguaglianza, per una parte, veniva temperata dall'internaconnessione e penetrazione spirituale, che indissolubil-mente unisce le persone divine193; e per l'altra dalla pre-minenza del Padre, che si confessava per quanto essa ècompatibile coll'indipendenza del Figliuolo194. Dentroquesti limiti si lasciò muover con sicurezza la quasi in-visibile e tremula palla dell'ortodossia; ed intorno diquesto sacro recinto stavano in agguato gli Eretici, ed idemonj per sorprendere e divorare quegl'infelici che glioltrepassavano. Ma siccome i gradi dell'odio teologicodipendono piuttosto dallo spirito di guerra chedall'importanza della controversia, gli Eretici che degra-davan la persona del Figlio, eran trattati con maggior se-verità di quelli che l'annichilavano. Atanasio consumò lasua vita nell'irreconciliabile opposizione all'empia paz-zia degli Arriani195; ma difese più di venti anni il Sabel-lianismo di Marcello d'Ancira; e quando alla fine fu co-

192Secondo Aristotile le stelle sono homoousie l'una coll'altra. Che homoou-sios significhi d'una sostanza in specie, si è dimostrato dal Petavio, dal Curcel-leo, dal Cudworth, dal Le Clerc ec. ed il provarlo sarebbe un actum agere.Questa è la giusta osservazione del Dott. Jortin V. II. p. 212. ch'esamina la con-troversia Arriana con dottrina, ingenuità e candore.

193Vedi Petav. Dogm. Theol. Tom. II. lib. IV. c. 16. p. 353, ec. Cudworth p.559. Bull Sect. IV. p. 275, 290. Edit. Grab. La περίχωρησις o circumincessio èforse il più profondo e più oscuro baratro di tutto l'abisso teologico.

194La terza sezione Della difesa della Fede Nicena di Bull, che alcuni de'suoi antagonisti han chiamato scempiaggine, ed altri eresia, è destinata alla su-pereminenza del Padre.

195Il nome, che Atanasio ed i suoi seguaci ordinariamente solevan dare agliArriani, era quello d'Arriomaniti.

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stretto a ritirarsi dalla comunione di lui, rammentavasempre con ambiguo sorriso i veniali errori del suo ri-spettabile amico196.

L'autorità d'un Concilio generale, a cui gli Arrianistessi erano stati costretti a sottomettersi, delineò sullebandiere della parte ortodossa i misteriosi caratteri dellaparola Homoousion, la quale nonostanti alcune oscuredispute, e certi notturni dibattimenti, essenzialmentecontribuì a mantenere e perpetuar l'uniformità dellafede, o almen del linguaggio. I Consustanzialisti, chepel loro buon successo avean meritato e conseguito il ti-tolo di Cattolici, si gloriavano della semplicità e fermez-za del loro proprio simbolo, ed insultavano le replicatevariazioni de' loro avversari, ch'eran privi d'una certa re-gola di fede. La sincerità o l'astuzia de' Capi Arriani, iltimor delle leggi o del popolo, la reverenza che aveanoper Cristo, il loro odio verso Atanasio, tutte in somma lecause umane e divine, che possono influire e indur va-rietà ne' consigli d'un partito teologico, introdussero fra iSettari uno spirito di discordia e d'incostanza, che nelcorso di pochi anni produsse diciotto diverse formule direligione197, e vendicò la violata dignità della Chiesa. Lo

196Epiphan. Tom. I. haeres. 72. 4. p. 837. Vedi le avventure di Marcello ap-presso Tillemont (Mem. Eccl. Tom. VII. p. 880-899). Alla sua opera dell'unitàdi Dio in un libro fu risposto da Eusebio in tre libri, che tuttavia esistono. Il Pe-tavio (Tom. II. lib. I. c. 14. p. 78) dopo un lungo ed accurato esame ha pronun-ziato con ripugnanza la condanna di Marcello.

197Atanasio nella sua Epistola intorno a' Sinodi di Seleucia e di Rimini(Tom. I. p. 886-905) ha dato un'ampia lista di simboli Arriani, ch'è stata accre-sciuta e migliorata dalle fatiche dell'instancabile Tillemont. Memoir. Eccl. T.VI. p. 471.

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stretto a ritirarsi dalla comunione di lui, rammentavasempre con ambiguo sorriso i veniali errori del suo ri-spettabile amico196.

L'autorità d'un Concilio generale, a cui gli Arrianistessi erano stati costretti a sottomettersi, delineò sullebandiere della parte ortodossa i misteriosi caratteri dellaparola Homoousion, la quale nonostanti alcune oscuredispute, e certi notturni dibattimenti, essenzialmentecontribuì a mantenere e perpetuar l'uniformità dellafede, o almen del linguaggio. I Consustanzialisti, chepel loro buon successo avean meritato e conseguito il ti-tolo di Cattolici, si gloriavano della semplicità e fermez-za del loro proprio simbolo, ed insultavano le replicatevariazioni de' loro avversari, ch'eran privi d'una certa re-gola di fede. La sincerità o l'astuzia de' Capi Arriani, iltimor delle leggi o del popolo, la reverenza che aveanoper Cristo, il loro odio verso Atanasio, tutte in somma lecause umane e divine, che possono influire e indur va-rietà ne' consigli d'un partito teologico, introdussero fra iSettari uno spirito di discordia e d'incostanza, che nelcorso di pochi anni produsse diciotto diverse formule direligione197, e vendicò la violata dignità della Chiesa. Lo

196Epiphan. Tom. I. haeres. 72. 4. p. 837. Vedi le avventure di Marcello ap-presso Tillemont (Mem. Eccl. Tom. VII. p. 880-899). Alla sua opera dell'unitàdi Dio in un libro fu risposto da Eusebio in tre libri, che tuttavia esistono. Il Pe-tavio (Tom. II. lib. I. c. 14. p. 78) dopo un lungo ed accurato esame ha pronun-ziato con ripugnanza la condanna di Marcello.

197Atanasio nella sua Epistola intorno a' Sinodi di Seleucia e di Rimini(Tom. I. p. 886-905) ha dato un'ampia lista di simboli Arriani, ch'è stata accre-sciuta e migliorata dalle fatiche dell'instancabile Tillemont. Memoir. Eccl. T.VI. p. 471.

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zelante Ilario198, che per causa della particolar durezza disua situazione era inclinato a diminuire piuttosto che adaggravare gli errori del Clero dell'Oriente, dichiara chenella vasta estensione delle dieci Province dell'Asia, nel-le quali esso era stato esule, potean trovarsi ben pochiPrelati, che avessero mantenuta la cognizione del veroDio199. L'oppressione, che avea provato, i disordini, de'quali era stato spettatore e vittima, quietarono per brevetempo le fervide passioni nell'animo suo; e nel seguentepasso, di cui non farò che trascrivere pochi versi, il Ve-scovo di Poitiers s'abbandona, senz'avvedersene, allostile d'un Cristiano filosofo; «È una cosa» dice Ilario«ugualmente deplorabile e pericolosa, che vi siano tantisimboli, quante son le opinioni fra gli uomini, tante dot-trine, quante inclinazioni, e tante sorgenti di bestemmie,quanti difetti si trovan fra noi, perchè facciamo i simboliarbitrariamente e gli spieghiamo ancora a capriccio. VarjSinodi hanno successivamente rigettato, ammesso ed in-terpretato il termine Homoousion. La parziale e total so-miglianza del Padre e del Figlio in questi infelici tempiè un soggetti di disputa. Ogni anno, anzi ogni mese fac-ciamo de' nuovi simboli per esporre de' misteri invisibi-

198Erasmo ha descritto con ammirabil buon senso e libertà il giusto carattered'Ilario. Gli editori Benedettini si son limitati a rivederne il testo, a comporregli annali della sua vita, ed a giustificarne i sentimenti e la condotta.

199Absque Episcopo Eleusio, et paucis cum eo; ex majore parte Asianae de-cem provinciae, inter quas consisto, vere Deum nesciunt. Atque utinam penitusnescirent! Cum procliviore enim venia ignorarent, quam obtrectarent. Hilar. deSinod, sive de Fide Orient. c. 63. p. 1186 edit. Bened. Nel celebre Paralello fral'ateismo e la superstizione, il Vescovo di Poitiers sarebbe restato sorpreso ditrovarsi nella filosofica società di Bayle e di Plutarco.

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zelante Ilario198, che per causa della particolar durezza disua situazione era inclinato a diminuire piuttosto che adaggravare gli errori del Clero dell'Oriente, dichiara chenella vasta estensione delle dieci Province dell'Asia, nel-le quali esso era stato esule, potean trovarsi ben pochiPrelati, che avessero mantenuta la cognizione del veroDio199. L'oppressione, che avea provato, i disordini, de'quali era stato spettatore e vittima, quietarono per brevetempo le fervide passioni nell'animo suo; e nel seguentepasso, di cui non farò che trascrivere pochi versi, il Ve-scovo di Poitiers s'abbandona, senz'avvedersene, allostile d'un Cristiano filosofo; «È una cosa» dice Ilario«ugualmente deplorabile e pericolosa, che vi siano tantisimboli, quante son le opinioni fra gli uomini, tante dot-trine, quante inclinazioni, e tante sorgenti di bestemmie,quanti difetti si trovan fra noi, perchè facciamo i simboliarbitrariamente e gli spieghiamo ancora a capriccio. VarjSinodi hanno successivamente rigettato, ammesso ed in-terpretato il termine Homoousion. La parziale e total so-miglianza del Padre e del Figlio in questi infelici tempiè un soggetti di disputa. Ogni anno, anzi ogni mese fac-ciamo de' nuovi simboli per esporre de' misteri invisibi-

198Erasmo ha descritto con ammirabil buon senso e libertà il giusto carattered'Ilario. Gli editori Benedettini si son limitati a rivederne il testo, a comporregli annali della sua vita, ed a giustificarne i sentimenti e la condotta.

199Absque Episcopo Eleusio, et paucis cum eo; ex majore parte Asianae de-cem provinciae, inter quas consisto, vere Deum nesciunt. Atque utinam penitusnescirent! Cum procliviore enim venia ignorarent, quam obtrectarent. Hilar. deSinod, sive de Fide Orient. c. 63. p. 1186 edit. Bened. Nel celebre Paralello fral'ateismo e la superstizione, il Vescovo di Poitiers sarebbe restato sorpreso ditrovarsi nella filosofica società di Bayle e di Plutarco.

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li. Ci pentiamo di ciò, che abbiam fatto, difendiamoquelli che si pentono, ed anatematizziamo quelli che pri-ma difendevamo. O condanniamo la dottrina degli altriin noi stessi, o la nostra in quella degli altri; e reciproca-mente lacerandoci l'uno coll'altro, siamo stati la causadella nostra vicendevol rovina»200.

Non si aspetterà, e forse neppure si soffrirebbe, che ioampliassi questa teologica digressione con un minutoesame de' diciotto simboli, gli autori de' quali per lamaggior parte ricusavano l'odioso nome del loro padreArrio. Il delineare la forma e descriver la vegetazioned'una pianta riesce assai piacevole; ma il noioso raggua-glio delle foglie senza fiori e de' rami senza frutti stan-cherebbe tosto la pazienza, e sconcerterebbe la curiositàdel laborioso studente. Non deve però tralasciarsi la no-tizia d'una questione, che in seguito nacque dalla contro-versia Arriana, mentre servì essa a produrre e distinguerfra loro tre Sette, le quali non convenivano in altro chein una comune avversione all'Homoousion del SinodoNiceno. 1. Alla questione se fosse il Figlio simile al Pa-dre, risolutamente si rispondeva per la negativa da que-gli Eretici, che aderivano a' principj d'Arrio, o anche aquelli della filosofia, che sembra porre un'infinita diffe-renza fra il Creatore e la più eccellente delle sue creatu-re. Si sosteneva quella ovvia conseguenza da Aezio201, a

200Hilar. ad Constantium lib. II. c. 4. 5. p. 1227. 1228. Questo notabile pas-so meritò l'attenzione di Locke che lo trascrisse, Vol. III. p. 470, nel modellodel suo nuovo Repertorio.

201Appresso Filostorgio, lib. III. c. 15, il carattere e le avventure di Aeziosembrano assai singolari, quantunque siano con tutta la cura addolcite dalla

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li. Ci pentiamo di ciò, che abbiam fatto, difendiamoquelli che si pentono, ed anatematizziamo quelli che pri-ma difendevamo. O condanniamo la dottrina degli altriin noi stessi, o la nostra in quella degli altri; e reciproca-mente lacerandoci l'uno coll'altro, siamo stati la causadella nostra vicendevol rovina»200.

Non si aspetterà, e forse neppure si soffrirebbe, che ioampliassi questa teologica digressione con un minutoesame de' diciotto simboli, gli autori de' quali per lamaggior parte ricusavano l'odioso nome del loro padreArrio. Il delineare la forma e descriver la vegetazioned'una pianta riesce assai piacevole; ma il noioso raggua-glio delle foglie senza fiori e de' rami senza frutti stan-cherebbe tosto la pazienza, e sconcerterebbe la curiositàdel laborioso studente. Non deve però tralasciarsi la no-tizia d'una questione, che in seguito nacque dalla contro-versia Arriana, mentre servì essa a produrre e distinguerfra loro tre Sette, le quali non convenivano in altro chein una comune avversione all'Homoousion del SinodoNiceno. 1. Alla questione se fosse il Figlio simile al Pa-dre, risolutamente si rispondeva per la negativa da que-gli Eretici, che aderivano a' principj d'Arrio, o anche aquelli della filosofia, che sembra porre un'infinita diffe-renza fra il Creatore e la più eccellente delle sue creatu-re. Si sosteneva quella ovvia conseguenza da Aezio201, a

200Hilar. ad Constantium lib. II. c. 4. 5. p. 1227. 1228. Questo notabile pas-so meritò l'attenzione di Locke che lo trascrisse, Vol. III. p. 470, nel modellodel suo nuovo Repertorio.

201Appresso Filostorgio, lib. III. c. 15, il carattere e le avventure di Aeziosembrano assai singolari, quantunque siano con tutta la cura addolcite dalla

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cui lo zelo de' suoi nemici diede il soprannome di Ateo.Il suo spirito inquieto ed intraprendente lo indusse aprovare quasi tutte le professioni della vita umana. Eglifu in diversi tempi schiavo o almeno lavoratore di terra,venditore di vasi per le strade, orefice, medico, maestrodi scuola, teologo, e finalmente Apostolo di una nuovaChiesa, che propagossi mediante l'abilità del suo disce-polo Eunomio202. Armato di testi scritturali, e di argutisillogismi, presi dalla logica d'Aristotele, il sottil Aezioaveva acquistato la fama d'invincibil disputatore, chenon si poteva nè ridurre al silenzio, nè convincere. Talidoti s'attiraron l'amicizia de' Vescovi Arriani, fino a tan-to che non furon essi costretti a ricusare, ed anche a per-seguitare un pericoloso alleato, che per l'esattezza delsuo raziocinio aveva pregiudicato la lor causa nell'opi-nion popolare, ed offeso la pietà de' loro più devoti se-guaci. 2. L'onnipotenza del Creatore somministrava unaspeciosa e riverente soluzione della somiglianza del Pa-dre e del Figlio; e la fede poteva umilmente ammettereciò, che la ragione non avrebbe ardito di negare, vale adire, che il supremo Dio potesse comunicar le infinitesue perfezioni, e creare un Ente simile unicamente a se

mano d'un amico. Il Gottofredo editore di Filostorgio, p. 153, che era più attac-cato a' propri principj che all'autore, ha raccolte le odiose circostanze, che i di-versi avversari di lui hanno conservato o inventato.

202Secondo il giudizio d'uno che rispettava ambidue quei Settari, Aezio eradotato d'un ingegno più forte, ed Eunomio aveva acquistato più arte ed erudi-zione. Philostorg. lib. VIII. c. 18. La confessione e l'apologia d'Eunomio Fa-bric. Bibl. Graec. Tom. VIII. p. 258-305 è una delle poche opere ereticali che cisian rimaste.

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cui lo zelo de' suoi nemici diede il soprannome di Ateo.Il suo spirito inquieto ed intraprendente lo indusse aprovare quasi tutte le professioni della vita umana. Eglifu in diversi tempi schiavo o almeno lavoratore di terra,venditore di vasi per le strade, orefice, medico, maestrodi scuola, teologo, e finalmente Apostolo di una nuovaChiesa, che propagossi mediante l'abilità del suo disce-polo Eunomio202. Armato di testi scritturali, e di argutisillogismi, presi dalla logica d'Aristotele, il sottil Aezioaveva acquistato la fama d'invincibil disputatore, chenon si poteva nè ridurre al silenzio, nè convincere. Talidoti s'attiraron l'amicizia de' Vescovi Arriani, fino a tan-to che non furon essi costretti a ricusare, ed anche a per-seguitare un pericoloso alleato, che per l'esattezza delsuo raziocinio aveva pregiudicato la lor causa nell'opi-nion popolare, ed offeso la pietà de' loro più devoti se-guaci. 2. L'onnipotenza del Creatore somministrava unaspeciosa e riverente soluzione della somiglianza del Pa-dre e del Figlio; e la fede poteva umilmente ammettereciò, che la ragione non avrebbe ardito di negare, vale adire, che il supremo Dio potesse comunicar le infinitesue perfezioni, e creare un Ente simile unicamente a se

mano d'un amico. Il Gottofredo editore di Filostorgio, p. 153, che era più attac-cato a' propri principj che all'autore, ha raccolte le odiose circostanze, che i di-versi avversari di lui hanno conservato o inventato.

202Secondo il giudizio d'uno che rispettava ambidue quei Settari, Aezio eradotato d'un ingegno più forte, ed Eunomio aveva acquistato più arte ed erudi-zione. Philostorg. lib. VIII. c. 18. La confessione e l'apologia d'Eunomio Fa-bric. Bibl. Graec. Tom. VIII. p. 258-305 è una delle poche opere ereticali che cisian rimaste.

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stesso203. Questi Arriani furon potentemente sostenutidal peso e dall'abilità dei lor Capi, ch'eran successi almaneggio del partito Eusebiano, e che occupavan le sediprincipali dell'Oriente. Detestavano essi forse con qual-che affettazione l'empietà d'Aezio e professavan di cre-dere, o senza riserva o secondo le Scritture, che il Figliofosse differente da tutte le altre creature, e simile soltan-to al Padre. Ma negavano, ch'egli fosse o della medesi-ma, o di simile sostanza, giustificando alle volte ardita-mente il loro dissenso, ed alle volte opponendosi all'usodella parola sostanza, che sembra includere un'adeguata,o almeno distinta nozione della natura di Dio. 3. La Set-ta, che sosteneva la dottrina d'una simil sostanza, era lapiù numerosa, almeno nelle Province dell'Asia; e quan-do si adunarono i Capi di ambe le parti nel Concilio diSeleucia204, potè prevalere la lor opinione mediante ilsuffragio di cento cinque Vescovi sopra quarantatre. IlGreco vocabolo, che si scelse per esprimere tal misterio-sa somiglianza, ha un'affinità così grande al simbolo or-todosso, che i profani d'ogni tempo hanno deriso le fu-riose dispute, che la differenza d'un semplice dittongoeccitò tra gli Homoousii, e gli Homoiousii. Siccomeperò frequentemente accade che i suoni ed i caratteri,

203Pure secondo l'opinione d'Estio e di Bull (p. 297) v'è una facoltà, cioèquella della creazione, che Dio non può comunicare ad una creatura. Estio, chesì esattamente determina i confini dell'onnipotenza, era Olandese di nascita, edi professione Teologo Scolastico. Dupin Bibl. Eccles. Tom. XVII. p. 45.

204Sabino (ap. Socrat. lib. II. c. 39.) ne ha copiati gli atti; Atanasio ed Ilariohanno spiegato le divisioni di questo Sinodo Arriano: le altre circostanze relati-ve al medesimo si sono esattamente raccolte dal Baronio e dal Tillemont.

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stesso203. Questi Arriani furon potentemente sostenutidal peso e dall'abilità dei lor Capi, ch'eran successi almaneggio del partito Eusebiano, e che occupavan le sediprincipali dell'Oriente. Detestavano essi forse con qual-che affettazione l'empietà d'Aezio e professavan di cre-dere, o senza riserva o secondo le Scritture, che il Figliofosse differente da tutte le altre creature, e simile soltan-to al Padre. Ma negavano, ch'egli fosse o della medesi-ma, o di simile sostanza, giustificando alle volte ardita-mente il loro dissenso, ed alle volte opponendosi all'usodella parola sostanza, che sembra includere un'adeguata,o almeno distinta nozione della natura di Dio. 3. La Set-ta, che sosteneva la dottrina d'una simil sostanza, era lapiù numerosa, almeno nelle Province dell'Asia; e quan-do si adunarono i Capi di ambe le parti nel Concilio diSeleucia204, potè prevalere la lor opinione mediante ilsuffragio di cento cinque Vescovi sopra quarantatre. IlGreco vocabolo, che si scelse per esprimere tal misterio-sa somiglianza, ha un'affinità così grande al simbolo or-todosso, che i profani d'ogni tempo hanno deriso le fu-riose dispute, che la differenza d'un semplice dittongoeccitò tra gli Homoousii, e gli Homoiousii. Siccomeperò frequentemente accade che i suoni ed i caratteri,

203Pure secondo l'opinione d'Estio e di Bull (p. 297) v'è una facoltà, cioèquella della creazione, che Dio non può comunicare ad una creatura. Estio, chesì esattamente determina i confini dell'onnipotenza, era Olandese di nascita, edi professione Teologo Scolastico. Dupin Bibl. Eccles. Tom. XVII. p. 45.

204Sabino (ap. Socrat. lib. II. c. 39.) ne ha copiati gli atti; Atanasio ed Ilariohanno spiegato le divisioni di questo Sinodo Arriano: le altre circostanze relati-ve al medesimo si sono esattamente raccolte dal Baronio e dal Tillemont.

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che sono più vicini fra loro, accidentalmente rappresen-tano le più opposte idee, tal osservazione sarebbe per sestessa ridicola, se fosse possibile di notare alcuna reale esensibile distinzione fra la dottrina de' semi-Arriani,come impropriamente si appellano, e quella de' Cattolicimedesimi. Il Vescovo di Poitiers che nel suo esilio diFrigia tentò molto saviamente di riunire le parti, procuradi provare, che mediante una pia e fedele interpretazio-ne205 la parola Homoiousion può ridursi al senso di con-sustanziale. Pure confessa, che tal parola porta un'aria dioscurità e di sospetto, e come se l'oscurità fosse conge-nita alle dispute teologiche, i semi-Arriani, che piùs'accostavano alle porte della Chiesa, le assalirono colpiù inflessibil furore.

Le Province dell'Egitto e dell'Asia, che apprendevanola lingua ed i costumi de' Greci, avevan profondamentebevuto il veleno della controversia Arriana. Lo studio adessi famigliare del sistema Platonico, una disposizionealla vanità e all'argomentazione, un copioso e pieghevo-le idioma somministravano al Clero ed al Popolodell'Oriente un'inesauribile quantità di parole e di distin-zioni; ed in mezzo alle fiere loro contese, facilmente ob-bliavano il dubitare che si raccomanda dalla filosofia, ela sommissione che dalla religione è comandata. Gli

205Fideli et pia intelligentia, de Synod. c. 77. p. 5193. Nelle sue brevi noteapologetiche (pubblicate per la prima volta da' Benedettini da un MS. di Char-tres) osserva che usò questa cauta espressione, qui intelligerem et impiam, p.1206. Vedi p. 1146. Filostorgio, che vedeva questi oggetti per un diverso mez-zo, è disposto a dimenticare la differenza dell'importante dittongo. Vedi in par-ticolare VIII. 17. e Gottofred. p. 352.

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che sono più vicini fra loro, accidentalmente rappresen-tano le più opposte idee, tal osservazione sarebbe per sestessa ridicola, se fosse possibile di notare alcuna reale esensibile distinzione fra la dottrina de' semi-Arriani,come impropriamente si appellano, e quella de' Cattolicimedesimi. Il Vescovo di Poitiers che nel suo esilio diFrigia tentò molto saviamente di riunire le parti, procuradi provare, che mediante una pia e fedele interpretazio-ne205 la parola Homoiousion può ridursi al senso di con-sustanziale. Pure confessa, che tal parola porta un'aria dioscurità e di sospetto, e come se l'oscurità fosse conge-nita alle dispute teologiche, i semi-Arriani, che piùs'accostavano alle porte della Chiesa, le assalirono colpiù inflessibil furore.

Le Province dell'Egitto e dell'Asia, che apprendevanola lingua ed i costumi de' Greci, avevan profondamentebevuto il veleno della controversia Arriana. Lo studio adessi famigliare del sistema Platonico, una disposizionealla vanità e all'argomentazione, un copioso e pieghevo-le idioma somministravano al Clero ed al Popolodell'Oriente un'inesauribile quantità di parole e di distin-zioni; ed in mezzo alle fiere loro contese, facilmente ob-bliavano il dubitare che si raccomanda dalla filosofia, ela sommissione che dalla religione è comandata. Gli

205Fideli et pia intelligentia, de Synod. c. 77. p. 5193. Nelle sue brevi noteapologetiche (pubblicate per la prima volta da' Benedettini da un MS. di Char-tres) osserva che usò questa cauta espressione, qui intelligerem et impiam, p.1206. Vedi p. 1146. Filostorgio, che vedeva questi oggetti per un diverso mez-zo, è disposto a dimenticare la differenza dell'importante dittongo. Vedi in par-ticolare VIII. 17. e Gottofred. p. 352.

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abitanti dell'Occidente erano d'uno spirito meno investi-gatore; le loro passioni non eran sì fortemente mosse da-gli oggetti invisibili; i loro animi eran meno esercitatidall'abitudine di disputare; e tal era la felice ignoranzadella Chiesa Gallicana, che Ilario medesimo più ditrent'anni dopo il primo Concilio Generale non avea co-gnizione del simbolo Niceno206. I Latini avevan ricevutoil lume della cognizione divina per l'oscuro e dubbiosomezzo di una traduzione. La povertà e durezza della na-tiva loro lingua non era sempre capace di somministrarei giusti vocaboli, equivalenti a' Greci ed alle voci tecni-che della Platonica filosofia207, che s'erano consacratedal Vangelo o dalla Chiesa per esprimere i misteri dellafede Cristiana; ed un difetto verbale poteva introdurrenella teologia Latina una lunga serie d'errori, o d'ambi-guità208. Ma poichè le Province dell'Occidente avevanola fortuna di trarre la lor Religione da una sorgente orto-dossa, esse mantennero con fermezza la dottrina, cheavean ricevuto con docilità; e quando la peste Arrianas'accostò alle loro frontiere, fu applicato ad esse l'oppor-

206Testor Deum coeli atque terrae me cum neutrum audissem, semper ta-men utrumque sensisse... Regeneratus pridem et in Episcopatu aliquantispermanens, fidem Nicaenam nunquam nisi exulaturus audivi. Hilar. de Sinod. c.91. p. 1205. I Benedettini son persuasi, ch'egli governasse la Diocesi di Poi-tiers varj anni avanti il suo esilio.

207Seneca Epist. 58, si duole, che neppure το ον de' Platonici, l'ens de' piùarditi Scolastici, poteva esprimersi con un nome Latino.

208La preferenza, che il quarto Concilio Lateranense finalmente diede aduna numerica piuttosto che generica unità (vedi Petav. Tom. II. lib. IV. c. 13 p.424) veniva favorita dall'idioma Latino. Sembra che τριας ecciti l'idea di so-stanza: Trinitas quella di qualità.

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abitanti dell'Occidente erano d'uno spirito meno investi-gatore; le loro passioni non eran sì fortemente mosse da-gli oggetti invisibili; i loro animi eran meno esercitatidall'abitudine di disputare; e tal era la felice ignoranzadella Chiesa Gallicana, che Ilario medesimo più ditrent'anni dopo il primo Concilio Generale non avea co-gnizione del simbolo Niceno206. I Latini avevan ricevutoil lume della cognizione divina per l'oscuro e dubbiosomezzo di una traduzione. La povertà e durezza della na-tiva loro lingua non era sempre capace di somministrarei giusti vocaboli, equivalenti a' Greci ed alle voci tecni-che della Platonica filosofia207, che s'erano consacratedal Vangelo o dalla Chiesa per esprimere i misteri dellafede Cristiana; ed un difetto verbale poteva introdurrenella teologia Latina una lunga serie d'errori, o d'ambi-guità208. Ma poichè le Province dell'Occidente avevanola fortuna di trarre la lor Religione da una sorgente orto-dossa, esse mantennero con fermezza la dottrina, cheavean ricevuto con docilità; e quando la peste Arrianas'accostò alle loro frontiere, fu applicato ad esse l'oppor-

206Testor Deum coeli atque terrae me cum neutrum audissem, semper ta-men utrumque sensisse... Regeneratus pridem et in Episcopatu aliquantispermanens, fidem Nicaenam nunquam nisi exulaturus audivi. Hilar. de Sinod. c.91. p. 1205. I Benedettini son persuasi, ch'egli governasse la Diocesi di Poi-tiers varj anni avanti il suo esilio.

207Seneca Epist. 58, si duole, che neppure το ον de' Platonici, l'ens de' piùarditi Scolastici, poteva esprimersi con un nome Latino.

208La preferenza, che il quarto Concilio Lateranense finalmente diede aduna numerica piuttosto che generica unità (vedi Petav. Tom. II. lib. IV. c. 13 p.424) veniva favorita dall'idioma Latino. Sembra che τριας ecciti l'idea di so-stanza: Trinitas quella di qualità.

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tuno preservativo dell'Homoousion per le paterne curedel Romano Pontefice.

[A. D. 360]Si spiegarono i sentimenti, e l'indole loro nel memo-

rabil Sinodo di Rimini, che sorpassò in numero il Conci-lio di Nicea, mentre vi si trovarono più di quattrocentoVescovi dell'Italia, dell'Affrica, della Spagna, della Gal-lia, della Gran-Brettagna, e dell'Illirico. Fino da' primidibattimenti si vide che soli ottanta Prelati aderivano alpartito d'Arrio, quantunque affettassero di anatematiz-zarne la memoria ed il nome. Ma quest'inferiorità eracompensata da' vantaggi della perizia, dell'esperienza edella disciplina; ed il minor numero era condotto da Va-lente ed Ursacio Vescovi dell'Illirico, che avean consu-mato le loro vite negli intrighi delle Corti e de' Concilj,e che nelle religiose guerre dell'Oriente erano stati atti-rati sotto la bandiera Eusebiana. Essi per mezzo de' loroargomenti e negoziati imbarazzarono, confusero, ed alfine ingannarono l'onesta semplicità de' Vescovi Latini,che si lasciarono strappar dalle mani il Palladio dellafede, più per frode ed importunità, che per aperta vio-lenza. Non fu permesso che si separasse il Concilio diRimini, finchè i membri di esso non ebbero imprudente-mente soscritto un ingannevole simbolo, nel quale furo-no inserite in luogo dell'Homoousion alcune espressioni,suscettibili d'un senso ereticale. Allora fu che, secondo

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tuno preservativo dell'Homoousion per le paterne curedel Romano Pontefice.

[A. D. 360]Si spiegarono i sentimenti, e l'indole loro nel memo-

rabil Sinodo di Rimini, che sorpassò in numero il Conci-lio di Nicea, mentre vi si trovarono più di quattrocentoVescovi dell'Italia, dell'Affrica, della Spagna, della Gal-lia, della Gran-Brettagna, e dell'Illirico. Fino da' primidibattimenti si vide che soli ottanta Prelati aderivano alpartito d'Arrio, quantunque affettassero di anatematiz-zarne la memoria ed il nome. Ma quest'inferiorità eracompensata da' vantaggi della perizia, dell'esperienza edella disciplina; ed il minor numero era condotto da Va-lente ed Ursacio Vescovi dell'Illirico, che avean consu-mato le loro vite negli intrighi delle Corti e de' Concilj,e che nelle religiose guerre dell'Oriente erano stati atti-rati sotto la bandiera Eusebiana. Essi per mezzo de' loroargomenti e negoziati imbarazzarono, confusero, ed alfine ingannarono l'onesta semplicità de' Vescovi Latini,che si lasciarono strappar dalle mani il Palladio dellafede, più per frode ed importunità, che per aperta vio-lenza. Non fu permesso che si separasse il Concilio diRimini, finchè i membri di esso non ebbero imprudente-mente soscritto un ingannevole simbolo, nel quale furo-no inserite in luogo dell'Homoousion alcune espressioni,suscettibili d'un senso ereticale. Allora fu che, secondo

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Girolamo209, il Mondo con sua maraviglia si trovò Arria-no. Ma appena i Vescovi delle Province Latine furongiunti alle respettive lor Diocesi, conobbero il loro sba-glio e si pentirono della lor debolezza. Fu rigettata conabborrimento e con isdegno l'ignominiosa capitolazione;e lo stendardo Homoousio, ch'era stato scosso, ma nonatterrato, fu più stabilmente ripiantato in tutte le ChieseOccidentali210.

Tale fu l'origine ed il progresso, e tali furono le natu-rali rivoluzioni di quelle teologiche dispute, che distur-baron la pace del Cristianesimo sotto i regni di Costanti-no e de' suoi figli. Ma siccome questi Principi presunse-ro di estendere il lor dispotismo sopra la fede non menoche sulle vite e sostanze de' loro sudditi, il peso del lorovoto qualche volta fece pender la bilancia Ecclesiastica;e le prerogative del Re del Cielo furono stabilite, can-giate o modificate nel gabinetto d'un Monarca terreno.

[A. D. 324]L'infelice spirito di discordia, che invase le Province

dell'Oriente, interruppe il trionfo di Costantino; mal'Imperatore per qualche tempo continuò a guardare confredda e non curante indifferenza il soggetto della dispu-ta. Ignorando egli ancora la difficoltà di quietare le con-

209Ingemuit totus orbis, et Arrianum se esse miratus est. Hieronym. adv.Lucifer. Tom. I. p. 145.

210L'istoria del Concilio di Rimini vien narrata molto elegantemente da Sul-picio Severo (Hist. Sacr. l. II. p. 419-430 ed. Lugd. Batav. 1647) e da Girolamonel suo dialogo contro i Luciferiani. Quest'ultimo ha in mira di difendere lacondotta de' Vescovi Latini, che furono ingannati e che si pentirono.

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Girolamo209, il Mondo con sua maraviglia si trovò Arria-no. Ma appena i Vescovi delle Province Latine furongiunti alle respettive lor Diocesi, conobbero il loro sba-glio e si pentirono della lor debolezza. Fu rigettata conabborrimento e con isdegno l'ignominiosa capitolazione;e lo stendardo Homoousio, ch'era stato scosso, ma nonatterrato, fu più stabilmente ripiantato in tutte le ChieseOccidentali210.

Tale fu l'origine ed il progresso, e tali furono le natu-rali rivoluzioni di quelle teologiche dispute, che distur-baron la pace del Cristianesimo sotto i regni di Costanti-no e de' suoi figli. Ma siccome questi Principi presunse-ro di estendere il lor dispotismo sopra la fede non menoche sulle vite e sostanze de' loro sudditi, il peso del lorovoto qualche volta fece pender la bilancia Ecclesiastica;e le prerogative del Re del Cielo furono stabilite, can-giate o modificate nel gabinetto d'un Monarca terreno.

[A. D. 324]L'infelice spirito di discordia, che invase le Province

dell'Oriente, interruppe il trionfo di Costantino; mal'Imperatore per qualche tempo continuò a guardare confredda e non curante indifferenza il soggetto della dispu-ta. Ignorando egli ancora la difficoltà di quietare le con-

209Ingemuit totus orbis, et Arrianum se esse miratus est. Hieronym. adv.Lucifer. Tom. I. p. 145.

210L'istoria del Concilio di Rimini vien narrata molto elegantemente da Sul-picio Severo (Hist. Sacr. l. II. p. 419-430 ed. Lugd. Batav. 1647) e da Girolamonel suo dialogo contro i Luciferiani. Quest'ultimo ha in mira di difendere lacondotta de' Vescovi Latini, che furono ingannati e che si pentirono.

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tese de' Teologi, indirizzò ad ambi i contendenti, Ales-sandro ed Arrio, una moderata lettera211 che può attri-buirsi con più ragione al libero senso d'un soldato e d'unpolitico che a' dettami di alcuno de' Vescovi suoi consi-glieri. Egli attribuisce l'origine di tutta la controversia aduna minuta e sottile questione intorno ad un punto in-comprensibile della legge, questione che fu scioccamen-te promossa dal Vescovo, e sciolta imprudentemente dalPrete. Si duole, che il popolo Cristiano, che aveva lostesso Dio, la stessa religione e lo stesso culto, fosse di-viso da tali meschine distinzioni; e seriamente racco-manda al Clero d'Alessandria di seguir l'esempio de'Greci filosofi, i quali sapevan sostenere i loro argomentisenza perder la tranquillità, e conservar la libertà propriasenza violar l'amicizia. L'indifferenza ed il disprezzo delSovrano sarebbe forse stato il metodo più efficace di porsilenzio alla disputa, se la corrente popolare fosse statameno rapida e impetuosa, e se Costantino medesimo inmezzo alla fazione ed al fanatismo avesse potuto con-servar la calma ed il possesso della sua mente. Ma i suoiMinistri Ecclesiastici presto tentarono di sedurrel'imparzialità del Magistrato, e d'infiammare lo zelo delproselito. Fu egli provocato dagl'insulti fatti alle propriestatue; fu commosso dalla reale o immaginaria grandez-za del male, che andava dilatandosi; ed estinse ogni spe-

211Eusebio in vit. Const. l. II. c. 64-72. I principi di tolleranza e di filosoficaindifferenza, contenuti in questa lettera, son molto dispiaciuti al Baronio, alTillemont ec. i quali suppongono, che l'Imperatore avesse qualche cattivo con-sigliere, cioè o Satana, o Eusebio a' suoi fianchi. Vedi Jortin Osserv. Tom. II. p.183.

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tese de' Teologi, indirizzò ad ambi i contendenti, Ales-sandro ed Arrio, una moderata lettera211 che può attri-buirsi con più ragione al libero senso d'un soldato e d'unpolitico che a' dettami di alcuno de' Vescovi suoi consi-glieri. Egli attribuisce l'origine di tutta la controversia aduna minuta e sottile questione intorno ad un punto in-comprensibile della legge, questione che fu scioccamen-te promossa dal Vescovo, e sciolta imprudentemente dalPrete. Si duole, che il popolo Cristiano, che aveva lostesso Dio, la stessa religione e lo stesso culto, fosse di-viso da tali meschine distinzioni; e seriamente racco-manda al Clero d'Alessandria di seguir l'esempio de'Greci filosofi, i quali sapevan sostenere i loro argomentisenza perder la tranquillità, e conservar la libertà propriasenza violar l'amicizia. L'indifferenza ed il disprezzo delSovrano sarebbe forse stato il metodo più efficace di porsilenzio alla disputa, se la corrente popolare fosse statameno rapida e impetuosa, e se Costantino medesimo inmezzo alla fazione ed al fanatismo avesse potuto con-servar la calma ed il possesso della sua mente. Ma i suoiMinistri Ecclesiastici presto tentarono di sedurrel'imparzialità del Magistrato, e d'infiammare lo zelo delproselito. Fu egli provocato dagl'insulti fatti alle propriestatue; fu commosso dalla reale o immaginaria grandez-za del male, che andava dilatandosi; ed estinse ogni spe-

211Eusebio in vit. Const. l. II. c. 64-72. I principi di tolleranza e di filosoficaindifferenza, contenuti in questa lettera, son molto dispiaciuti al Baronio, alTillemont ec. i quali suppongono, che l'Imperatore avesse qualche cattivo con-sigliere, cioè o Satana, o Eusebio a' suoi fianchi. Vedi Jortin Osserv. Tom. II. p.183.

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ranza di pace e di tolleranza, dal momento che adunòtrecento Vescovi dentro le mura d'un istesso palazzo. Lapresenza del Monarca accrebbe l'importanza della di-sputa; la sua attenzione fece moltiplicarne gli argomenti;ed egli espose la sua persona con un'intrepidezza sì pa-ziente, che animò il valore de' combattenti. Nonostantel'applauso, che si è fatto all'eloquenza e sagacità di Co-stantino212, un Generale Romano, la cui religione potevaesser sempre dubbiosa, e la cui mente non era stata illu-minata nè dallo studio, nè dall'inspirazione, doveva es-ser poco acconcio a discutere in Greco linguaggio unaquestione metafisica o un articolo di fede. Ma il creditod'Osio suo favorito, il quale sembra che presedesse alConcilio di Nicea, potè disporre l'Imperatore a favordella parte ortodossa; ed una osservazione fatta a tempo,che quel medesimo Eusebio di Nicomedia, il quale allo-ra proteggeva gli Eretici, aveva innanzi assistito il Ti-ranno213, potè inasprirlo contro gli avversari. Il SimboloNiceno fu ratificato da Costantino, e la sua ferma di-chiarazione, che quelli che resistito avessero al divinogiudizio del Sinodo, potean prepararsi immediatamenteall'esilio, annientò i romori di una debole opposizione,che da diciassette Vescovi Protestanti fu quasi ad untratto ridotta a due. Eusebio di Cesarea prestò un ripu-

212Eusebio in vit. Const. l. III. c. 13.213Teodoreto ci ha conservato (l.I. c. 20) una lettera scritta da Costantino al

popolo di Nicomedia, nella quale il Monarca medesimo si dichiara pubblicoaccusatore d'uno de' suoi sudditi: egli nomina Eusebio ο της τυραννικηςωµστητος συµµυσης (complice della tirannica crudeltà), e si duole dell'ostilecondotta di lui nel tempo della guerra civile.

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ranza di pace e di tolleranza, dal momento che adunòtrecento Vescovi dentro le mura d'un istesso palazzo. Lapresenza del Monarca accrebbe l'importanza della di-sputa; la sua attenzione fece moltiplicarne gli argomenti;ed egli espose la sua persona con un'intrepidezza sì pa-ziente, che animò il valore de' combattenti. Nonostantel'applauso, che si è fatto all'eloquenza e sagacità di Co-stantino212, un Generale Romano, la cui religione potevaesser sempre dubbiosa, e la cui mente non era stata illu-minata nè dallo studio, nè dall'inspirazione, doveva es-ser poco acconcio a discutere in Greco linguaggio unaquestione metafisica o un articolo di fede. Ma il creditod'Osio suo favorito, il quale sembra che presedesse alConcilio di Nicea, potè disporre l'Imperatore a favordella parte ortodossa; ed una osservazione fatta a tempo,che quel medesimo Eusebio di Nicomedia, il quale allo-ra proteggeva gli Eretici, aveva innanzi assistito il Ti-ranno213, potè inasprirlo contro gli avversari. Il SimboloNiceno fu ratificato da Costantino, e la sua ferma di-chiarazione, che quelli che resistito avessero al divinogiudizio del Sinodo, potean prepararsi immediatamenteall'esilio, annientò i romori di una debole opposizione,che da diciassette Vescovi Protestanti fu quasi ad untratto ridotta a due. Eusebio di Cesarea prestò un ripu-

212Eusebio in vit. Const. l. III. c. 13.213Teodoreto ci ha conservato (l.I. c. 20) una lettera scritta da Costantino al

popolo di Nicomedia, nella quale il Monarca medesimo si dichiara pubblicoaccusatore d'uno de' suoi sudditi: egli nomina Eusebio ο της τυραννικηςωµστητος συµµυσης (complice della tirannica crudeltà), e si duole dell'ostilecondotta di lui nel tempo della guerra civile.

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gnante ed ambiguo consenso all'Homoousion214; e l'equi-voca condotta d'Eusebio di Nicomedia non servì che adifferire circa tre mesi la sua disgrazia, ed il suo esi-lio215. L'empio Arrio fu bandito in una delle remote Pro-vince dell'Illirico; la sua persona ed i suoi discepoli fu-rono infamati dalla legge coll'odioso nome di Porfiriani;i suoi scritti furon condannati alle fiamme; e fu stabilitala pena capitale contro coloro, appresso i quali si fossertrovati. L'Imperatore s'era allora investito dello spirito dicontroversia, e l'ardente e satirico stile de' suoi editti eradiretto ad inspirare ne' sudditi l'odio che egli avea con-cepito contro i nemici di Cristo216.

[A. D. 328-337]Ma come se la condotta dell'Imperatore avesse avuto

per guida piuttosto la passione che un vero principio,appena eran passati tre anni dopo il Concilio Niceno,ch'ei dimostrò alcuni sintomi di misericordia ed ezian-dio d'indulgenza verso la setta proscritta, ch'era segreta-mente protetta dalla sorella sua favorita. Si richiamaro-

214Vedi appresso Socrate (l. I. c. 8), o piuttosto ap. Teodoreto (l. I. cap. 12)una lettera originale d'Eusebio di Cesarea, nella quale tenta di giustificare lasua soscrizione all'Homoousion. Il carattere d'Eusebio è stato sempre un pro-blema; ma quelli, che han letto la seconda Epistola critica del Clerc (Ars. crit.Tom. III. p. 30-69) debbono avere una opinione assai svantaggiosa della since-rità ed ortodossia del Vescovo di Cesarea.

215Atanas. Tom. I. p. 707. Filostorg. l. 1 c. 10 col Coment. del Gottofredo p.41.

216Socrate. l. I. c. 9. In queste lettere circolari, che furono indirizzate a variecittà, Costantino si servì contro gli Eretici delle armi del ridicolo e della face-zia comica.

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gnante ed ambiguo consenso all'Homoousion214; e l'equi-voca condotta d'Eusebio di Nicomedia non servì che adifferire circa tre mesi la sua disgrazia, ed il suo esi-lio215. L'empio Arrio fu bandito in una delle remote Pro-vince dell'Illirico; la sua persona ed i suoi discepoli fu-rono infamati dalla legge coll'odioso nome di Porfiriani;i suoi scritti furon condannati alle fiamme; e fu stabilitala pena capitale contro coloro, appresso i quali si fossertrovati. L'Imperatore s'era allora investito dello spirito dicontroversia, e l'ardente e satirico stile de' suoi editti eradiretto ad inspirare ne' sudditi l'odio che egli avea con-cepito contro i nemici di Cristo216.

[A. D. 328-337]Ma come se la condotta dell'Imperatore avesse avuto

per guida piuttosto la passione che un vero principio,appena eran passati tre anni dopo il Concilio Niceno,ch'ei dimostrò alcuni sintomi di misericordia ed ezian-dio d'indulgenza verso la setta proscritta, ch'era segreta-mente protetta dalla sorella sua favorita. Si richiamaro-

214Vedi appresso Socrate (l. I. c. 8), o piuttosto ap. Teodoreto (l. I. cap. 12)una lettera originale d'Eusebio di Cesarea, nella quale tenta di giustificare lasua soscrizione all'Homoousion. Il carattere d'Eusebio è stato sempre un pro-blema; ma quelli, che han letto la seconda Epistola critica del Clerc (Ars. crit.Tom. III. p. 30-69) debbono avere una opinione assai svantaggiosa della since-rità ed ortodossia del Vescovo di Cesarea.

215Atanas. Tom. I. p. 707. Filostorg. l. 1 c. 10 col Coment. del Gottofredo p.41.

216Socrate. l. I. c. 9. In queste lettere circolari, che furono indirizzate a variecittà, Costantino si servì contro gli Eretici delle armi del ridicolo e della face-zia comica.

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no gli esuli; ed Eusebio che appoco appoco riprese lasua autorità sulla mente di Costantino, fu restituito allaSede Episcopale, da cui era stato ignominiosamente de-posto. Arrio stesso fu trattato da tutta la Corte con quelrispetto, che si sarebbe dovuto ad un innocente oppres-so. La sua fede fu approvata dal Sinodo di Gerusalem-me, e l'Imperatore parve impaziente di riparar l'ingiusti-zia fattagli, con emanare un assoluto comando, ch'eglifosse solennemente ammesso alla comunione nella Cat-tedrale di Costantinopoli. Nel medesimo giorno, ch'erastato stabilito pel trionfo d'Arrio, questi spirò; e le straneed orride circostanze della sua morte potrebbero eccitarequalche sospetto, che i santi Ortodossi avessero contri-buito più efficacemente che con le pure preghiere a libe-rar la Chiesa dal più formidabile de' suoi nemici217. Iprincipali tre Capi de' Cattolici, Atanasio d'Alessandria,Eustazio d'Antiochia e Paolo di Costantinopoli sopra va-rie accuse furon deposti per decreto di numerosi Conci-lj; ed in seguito furon banditi in lontani paesi dal primodegl'Imperatori Cristiani, che negli ultimi momenti dellasua vita ricevè i riti del battesimo dall'Arriano Vescovodi Nicomedia. Non può veramente salvarsi l'ecclesiasti-co governo di Costantino dalla taccia di leggerezza e didebolezza. Ma il credulo Monarca, inesperto degli stra-

217Noi prendiamo la storia originale da Atanasio (T. I. p. 670) che dimostraqualche ripugnanza ad infamar la memoria del morto. Egli poteva esagerare inquest'occasione, ma il continuo commercio fra Costantinopoli ed Alessandriaavrebbe resa pericolosa ogni invenzione. Quelli che insistono sulla narrazioneletterale della morte d'Arrio (evacuò ad un tratto gl'intestini in un cesso) deb-bono assolutamente scegliere o il veleno o un miracolo.

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no gli esuli; ed Eusebio che appoco appoco riprese lasua autorità sulla mente di Costantino, fu restituito allaSede Episcopale, da cui era stato ignominiosamente de-posto. Arrio stesso fu trattato da tutta la Corte con quelrispetto, che si sarebbe dovuto ad un innocente oppres-so. La sua fede fu approvata dal Sinodo di Gerusalem-me, e l'Imperatore parve impaziente di riparar l'ingiusti-zia fattagli, con emanare un assoluto comando, ch'eglifosse solennemente ammesso alla comunione nella Cat-tedrale di Costantinopoli. Nel medesimo giorno, ch'erastato stabilito pel trionfo d'Arrio, questi spirò; e le straneed orride circostanze della sua morte potrebbero eccitarequalche sospetto, che i santi Ortodossi avessero contri-buito più efficacemente che con le pure preghiere a libe-rar la Chiesa dal più formidabile de' suoi nemici217. Iprincipali tre Capi de' Cattolici, Atanasio d'Alessandria,Eustazio d'Antiochia e Paolo di Costantinopoli sopra va-rie accuse furon deposti per decreto di numerosi Conci-lj; ed in seguito furon banditi in lontani paesi dal primodegl'Imperatori Cristiani, che negli ultimi momenti dellasua vita ricevè i riti del battesimo dall'Arriano Vescovodi Nicomedia. Non può veramente salvarsi l'ecclesiasti-co governo di Costantino dalla taccia di leggerezza e didebolezza. Ma il credulo Monarca, inesperto degli stra-

217Noi prendiamo la storia originale da Atanasio (T. I. p. 670) che dimostraqualche ripugnanza ad infamar la memoria del morto. Egli poteva esagerare inquest'occasione, ma il continuo commercio fra Costantinopoli ed Alessandriaavrebbe resa pericolosa ogni invenzione. Quelli che insistono sulla narrazioneletterale della morte d'Arrio (evacuò ad un tratto gl'intestini in un cesso) deb-bono assolutamente scegliere o il veleno o un miracolo.

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tagemmi nella maniera di guerreggiare teologico, potèrestar ingannato dalle modeste e speciose proteste degliEretici, de' quali non aveva egli mai perfettamente capitii sentimenti; e nel tempo che proteggeva Arrio, e perse-guitava Atanasio, risguardava sempre il Concilio Nice-no come il baloardo della fede Cristiana, e la gloriaprincipal del suo regno218.

[A. D. 337-361]I figli di Costantino furono certamente ammessi fino

dalla lor fanciullezza nell'elenco de' Catecumeni, ma neldifferire il Battesimo imitarono l'esempio del loro Padre.Al pari di lui, essi pretesero di pronunziar il loro giudi-zio intorno a que' misteri, ne' quali non erano mai statiregolarmente iniziati219; ed il destino della controversiasulla Trinità dipendeva in gran parte dai sentimenti diCostanzo, ch'ereditò le Province dell'Oriente, ed acqui-stò poi tutto l'Impero. Il Prete o Vescovo Arriano, che siera servito in suo vantaggio del segreto del testamentodel defunto Imperatore, profittò della fortunata occasio-ne, che avevalo ammesso alla famigliarità d'un Principe,le pubbliche deliberazioni del quale erano sempre domi-

218Può rintracciarsi la mutazione de' sentimenti, o almeno della condotta diCostantino in Eusebio, vit. Const. l. III. c. 23 l. IV c. 41, in Socrate l. I. c. 23-39, in Sozomeno l. II. c. 16-34, in Teodoreto l. I. c. 14-34, ed in Filostorgio l.II. c. 1-17. Ma il primo di questi Autori era troppo vicino alla scena dell'azio-ne, e gli altri troppo lontani. Egli è molto singolare, che si abbandonassel'importante uffizio di continuare l'istoria Ecclesiastica a due laici e ad un ereti-co.

219Quia etiam tum Catechumenus Sacramentum fidei merito videretur po-tuisse nescire. Sulp. Sev. Hist. Sac. l. II. p. 410.

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tagemmi nella maniera di guerreggiare teologico, potèrestar ingannato dalle modeste e speciose proteste degliEretici, de' quali non aveva egli mai perfettamente capitii sentimenti; e nel tempo che proteggeva Arrio, e perse-guitava Atanasio, risguardava sempre il Concilio Nice-no come il baloardo della fede Cristiana, e la gloriaprincipal del suo regno218.

[A. D. 337-361]I figli di Costantino furono certamente ammessi fino

dalla lor fanciullezza nell'elenco de' Catecumeni, ma neldifferire il Battesimo imitarono l'esempio del loro Padre.Al pari di lui, essi pretesero di pronunziar il loro giudi-zio intorno a que' misteri, ne' quali non erano mai statiregolarmente iniziati219; ed il destino della controversiasulla Trinità dipendeva in gran parte dai sentimenti diCostanzo, ch'ereditò le Province dell'Oriente, ed acqui-stò poi tutto l'Impero. Il Prete o Vescovo Arriano, che siera servito in suo vantaggio del segreto del testamentodel defunto Imperatore, profittò della fortunata occasio-ne, che avevalo ammesso alla famigliarità d'un Principe,le pubbliche deliberazioni del quale erano sempre domi-

218Può rintracciarsi la mutazione de' sentimenti, o almeno della condotta diCostantino in Eusebio, vit. Const. l. III. c. 23 l. IV c. 41, in Socrate l. I. c. 23-39, in Sozomeno l. II. c. 16-34, in Teodoreto l. I. c. 14-34, ed in Filostorgio l.II. c. 1-17. Ma il primo di questi Autori era troppo vicino alla scena dell'azio-ne, e gli altri troppo lontani. Egli è molto singolare, che si abbandonassel'importante uffizio di continuare l'istoria Ecclesiastica a due laici e ad un ereti-co.

219Quia etiam tum Catechumenus Sacramentum fidei merito videretur po-tuisse nescire. Sulp. Sev. Hist. Sac. l. II. p. 410.

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nate da' domestici suoi favoriti. Gli eunuchi e gli schiavisparsero pel palazzo il veleno spirituale, e fu comunica-ta la pericolosa infezione dalle serventi alle guardie, edall'Imperatrice al non sospettoso marito di lei220. Laparzialità che Costanzo dimostrò sempre verso la fazio-ne d'Eusebio, fu insensibilmente fortificata da' destrimaneggi de' capi di essa; e la vittoria, che riportò controil tiranno Magnenzio, accrebbe la sua inclinazione e lasua abilità in impiegar le armi della forza nella causadell'Arrianismo. Nel tempo che combattevano i dueeserciti nella pianura di Mursa, e dipendeva il destinode' due rivali dalla sorte della guerra, il figlio di Costan-tino stava ansioso aspettando in una Chiesa di Martiri,sotto le mura della Città. Il suo spirituale confortatore,Valente, Vescovo Arriano della Diocesi, prese le più ar-tificiose cautele per essere informato del successo intempo da potere assicurarsi o il favore di lui, o la fuga.Una secreta catena di veloci e fedeli nunzj lo rendevainteso delle vicende della battaglia; e mentre i cortigianistavan tremanti attorno lo spaventato loro Signore, Va-lente l'assicurò che le Galliche legioni cedevano; e conqualche presenza di spirito gli fece credere, che gli erastato rivelato il glorioso fatto da un Angelo. Il grato Im-peratore attribuì la sua fortuna a' meriti ed all'interces-sione del Vescovo di Mursa, la cui fede aveva merita-

220Socrate l. II. c. 2. Sozomeno lib. III. c. 18. Atanasio Tom. I. p. 813-834.Egli osserva, che gli eunuchi sono i nemici naturali del Figlio. Si confrontinole osservazioni sulla Istoria Ecclesiastica del Dottor Jortin, Vol. IV. p. 3, conuna certa genealogia nel Candido cap. IV. che termina in uno de' primi compa-gni di Cristoforo Colombo.

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nate da' domestici suoi favoriti. Gli eunuchi e gli schiavisparsero pel palazzo il veleno spirituale, e fu comunica-ta la pericolosa infezione dalle serventi alle guardie, edall'Imperatrice al non sospettoso marito di lei220. Laparzialità che Costanzo dimostrò sempre verso la fazio-ne d'Eusebio, fu insensibilmente fortificata da' destrimaneggi de' capi di essa; e la vittoria, che riportò controil tiranno Magnenzio, accrebbe la sua inclinazione e lasua abilità in impiegar le armi della forza nella causadell'Arrianismo. Nel tempo che combattevano i dueeserciti nella pianura di Mursa, e dipendeva il destinode' due rivali dalla sorte della guerra, il figlio di Costan-tino stava ansioso aspettando in una Chiesa di Martiri,sotto le mura della Città. Il suo spirituale confortatore,Valente, Vescovo Arriano della Diocesi, prese le più ar-tificiose cautele per essere informato del successo intempo da potere assicurarsi o il favore di lui, o la fuga.Una secreta catena di veloci e fedeli nunzj lo rendevainteso delle vicende della battaglia; e mentre i cortigianistavan tremanti attorno lo spaventato loro Signore, Va-lente l'assicurò che le Galliche legioni cedevano; e conqualche presenza di spirito gli fece credere, che gli erastato rivelato il glorioso fatto da un Angelo. Il grato Im-peratore attribuì la sua fortuna a' meriti ed all'interces-sione del Vescovo di Mursa, la cui fede aveva merita-

220Socrate l. II. c. 2. Sozomeno lib. III. c. 18. Atanasio Tom. I. p. 813-834.Egli osserva, che gli eunuchi sono i nemici naturali del Figlio. Si confrontinole osservazioni sulla Istoria Ecclesiastica del Dottor Jortin, Vol. IV. p. 3, conuna certa genealogia nel Candido cap. IV. che termina in uno de' primi compa-gni di Cristoforo Colombo.

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mente la pubblica e miracolosa approvazione del Cie-lo221. Gli Arriani, che risguardavan la vittoria di Costan-zo come propria di loro, preferivano la gloria di lui aquella del Padre222. Cirillo, Vescovo di Gerusalemme,immediatamente compose la descrizione d'una croce ce-leste circondata da una splendida iride, che nella festa diPentecoste, circa l'ora terza del giorno, era apparsa sulmonte Oliveto per edificare i devoti pellegrini ed il po-polo della santa città223. La figura della meteora fu appo-co appoco ingrandita; e l'istorico Arriano avventurò diasserire, ch'essa fu visibile nelle pianure della Pannoniaad ambo gli eserciti; e che il Tiranno, ch'egli a bella po-sta rappresenta come idolatra, fuggì davanti al fausto se-gno dell'Ortodossa Cristianità224.

I sentimenti d'un giudizioso straniero, che imparzial-mente ha considerato il progresso della discordia civileo ecclesiastica, hanno sempre diritto alla nostra cogni-zione, ed un breve passo d'Ammiano, che militò nelle

221Sulpic. Sev. in Hist. Sac. l. II. p. 405, 406.222Cirillo (ap. Baron. An. 353. n. 26) osserva espressamente, che nel Regno

di Costantino s'era trovata la Croce nelle viscere della terra; ma che nel Regnodi Costanzo essa era comparsa nel mezzo del Cielo. Quest'opposizione provaevidentemente, che Cirillo ignorava lo stupendo miracolo, a cui s'attribuisce laconversione di Costantino; e tal ignoranza è tanto più sorprendente, che nonpiù di dodici anni dopo la morte di lui, Cirillo fu consacrato Vescovo di Geru-salemme dall'immediato successore d'Eusebio di Cesarea. Vedi TillemontMem. Eccl. Tom. VIII p. 715.

223Non è facile il determinare fino a qual segno si possa difendere l'ingenui-tà di Cirillo, mediante qualche naturale apparenza d'un alone solare.

224Filostorg. l. III. c. 26. Egli è seguitato dall'Autore della Cronica Alessan-drina, da Cedreno e da Niceforo. Vedi Gottofredo. Dissert. p. 188. Essi non po-trebbero ricusare un miracolo neppure dalle mani d'un avversario.

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mente la pubblica e miracolosa approvazione del Cie-lo221. Gli Arriani, che risguardavan la vittoria di Costan-zo come propria di loro, preferivano la gloria di lui aquella del Padre222. Cirillo, Vescovo di Gerusalemme,immediatamente compose la descrizione d'una croce ce-leste circondata da una splendida iride, che nella festa diPentecoste, circa l'ora terza del giorno, era apparsa sulmonte Oliveto per edificare i devoti pellegrini ed il po-polo della santa città223. La figura della meteora fu appo-co appoco ingrandita; e l'istorico Arriano avventurò diasserire, ch'essa fu visibile nelle pianure della Pannoniaad ambo gli eserciti; e che il Tiranno, ch'egli a bella po-sta rappresenta come idolatra, fuggì davanti al fausto se-gno dell'Ortodossa Cristianità224.

I sentimenti d'un giudizioso straniero, che imparzial-mente ha considerato il progresso della discordia civileo ecclesiastica, hanno sempre diritto alla nostra cogni-zione, ed un breve passo d'Ammiano, che militò nelle

221Sulpic. Sev. in Hist. Sac. l. II. p. 405, 406.222Cirillo (ap. Baron. An. 353. n. 26) osserva espressamente, che nel Regno

di Costantino s'era trovata la Croce nelle viscere della terra; ma che nel Regnodi Costanzo essa era comparsa nel mezzo del Cielo. Quest'opposizione provaevidentemente, che Cirillo ignorava lo stupendo miracolo, a cui s'attribuisce laconversione di Costantino; e tal ignoranza è tanto più sorprendente, che nonpiù di dodici anni dopo la morte di lui, Cirillo fu consacrato Vescovo di Geru-salemme dall'immediato successore d'Eusebio di Cesarea. Vedi TillemontMem. Eccl. Tom. VIII p. 715.

223Non è facile il determinare fino a qual segno si possa difendere l'ingenui-tà di Cirillo, mediante qualche naturale apparenza d'un alone solare.

224Filostorg. l. III. c. 26. Egli è seguitato dall'Autore della Cronica Alessan-drina, da Cedreno e da Niceforo. Vedi Gottofredo. Dissert. p. 188. Essi non po-trebbero ricusare un miracolo neppure dalle mani d'un avversario.

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armate, e studiò il carattere di Costanzo, è forse più va-lutabile di molte pagine piene d'invettive teologiche.«Egli confuse (dice quel moderato Istorico) la religioneCristiana, che in se stessa è piana e semplice, co' delirjdella superstizione. Invece di conciliare le parti col pesodella sua autorità, applaudiva e propagava per mezzo diverbose dispute le differenze che aveva eccitate la suavana curiosità. Le pubbliche strade eran coperte da trup-pe di Vescovi che correvano da ogni parte alle assem-blee, ch'essi chiamano Sinodi; e mentre ciaschedunoprocurava di trarre tutta la Setta alle proprie particolariopinioni, da' precipitosi replicati loro viaggi era quasirovinato il pubblico regolamento delle poste225». La no-stra più intima cognizione dell'istoria Ecclesiastica delregno di Costanzo ci somministrerebbe un ampio co-mentario a questo notabile passo, il quale giustifica i ra-gionevoli timori d'Atanasio, che l'inquieta attività delClero, il quale andava girando attorno in cerca dellavera fede, non eccitasse il disprezzo e le risa del Mondoinfedele226. Tosto che l'Imperatore rimase libero da' ter-rori della guerra civile, consacrò l'ozio de' suoi quartierid'inverno in Arles, in Milano, in Sirmio ed in Costanti-

225Un passo così curioso merita bene d'essere trascritto. Christianam Reli-gionem absolutam et simplicem anili superstitione confundens; in qua scrutan-da perplexius, quam componenda gravius excitaret dissidia plurima, quae pro-gressa fusius aluit concertatione verborum, ut catervis Antistitum jumentis pu-blicis ultro citroque discurrentibus, per sinodos (quas appellant) dum ritumomnem ad suum trahere conantur (Valesio legge conatur) rei vehiculariae con-cideret nervos. Ammiano XXI. 16.

226Atanas. Tom. I. p. 870.

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armate, e studiò il carattere di Costanzo, è forse più va-lutabile di molte pagine piene d'invettive teologiche.«Egli confuse (dice quel moderato Istorico) la religioneCristiana, che in se stessa è piana e semplice, co' delirjdella superstizione. Invece di conciliare le parti col pesodella sua autorità, applaudiva e propagava per mezzo diverbose dispute le differenze che aveva eccitate la suavana curiosità. Le pubbliche strade eran coperte da trup-pe di Vescovi che correvano da ogni parte alle assem-blee, ch'essi chiamano Sinodi; e mentre ciaschedunoprocurava di trarre tutta la Setta alle proprie particolariopinioni, da' precipitosi replicati loro viaggi era quasirovinato il pubblico regolamento delle poste225». La no-stra più intima cognizione dell'istoria Ecclesiastica delregno di Costanzo ci somministrerebbe un ampio co-mentario a questo notabile passo, il quale giustifica i ra-gionevoli timori d'Atanasio, che l'inquieta attività delClero, il quale andava girando attorno in cerca dellavera fede, non eccitasse il disprezzo e le risa del Mondoinfedele226. Tosto che l'Imperatore rimase libero da' ter-rori della guerra civile, consacrò l'ozio de' suoi quartierid'inverno in Arles, in Milano, in Sirmio ed in Costanti-

225Un passo così curioso merita bene d'essere trascritto. Christianam Reli-gionem absolutam et simplicem anili superstitione confundens; in qua scrutan-da perplexius, quam componenda gravius excitaret dissidia plurima, quae pro-gressa fusius aluit concertatione verborum, ut catervis Antistitum jumentis pu-blicis ultro citroque discurrentibus, per sinodos (quas appellant) dum ritumomnem ad suum trahere conantur (Valesio legge conatur) rei vehiculariae con-cideret nervos. Ammiano XXI. 16.

226Atanas. Tom. I. p. 870.

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nopoli al divertimento ed a' travagli della controversia;fu sguainata la spada del Magistrato ed eziandio del Ti-ranno per sostenere a viva forza le ragioni del Teologo;e poichè s'opponeva alla fede Ortodossa di Nicea, siconvien facilmente che la sua incapacità ed ignoranzane pareggiavano la presunzione227. Gli eunuchi, le donneed i Vescovi, che regolavano il vano e debole spiritodell'Imperatore, gli avevano inspirato un insuperabil di-sgusto per l'Homoousion; ma la sua timida coscienza eraagitata dall'empietà di Aezio. Si aggravava la colpa diquell'ateo dal sospetto favore dell'infelice Gallo; ed an-che le morti de' ministri Imperiali, ch'erano stati trucida-ti in Antiochia, vennero imputate alle suggestioni diquel pericoloso sofista. Lo spirito di Costanzo, che nonpoteva esser nè moderato dalla ragione, nè determinatodalla fede, era ciecamente spinto all'uno o all'altro latodall'orrore che aveva degli opposti estremi; egli abbrac-ciava e condannava le opinioni a vicenda, bandiva esuccessivamente richiamava i Capi dell'Arriana e Se-miarriana fazione228. Nel tempo delle occupazioni o so-lennità pubbliche esso consumava gl'interi giorni ed an-che le notti nello scegliere le parole, ed in pesar le silla-be, che componevano i fluttuanti suoi simboli. Il sogget-

227Socrat. l. II. c. 35-47. Sozomeno l. IV. c. 12-30. Teodoreto l. II. c. 18-32.Filostorg. l. IV. c. 6-12. l. V. c. 1-4 l. VI. c. 1-5.

228Sozom. l. IV. c. 23. Atanas. Tom. I. p. 831. Il Tillemont (Mem. Eccl. VII.p. 947) ha raccolto varj esempi dell'orgoglioso fanatismo di Costanzo da diver-si Trattati di Lucifero di Cagliari. I soli titoli di que' Trattati inspirano zelo eterrore. "Moriendum pro Dei Filio" "De regibus apostaticis" "De non conve-niendo cum haeretico" "De non parcendo in Deum delinquentibus".

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nopoli al divertimento ed a' travagli della controversia;fu sguainata la spada del Magistrato ed eziandio del Ti-ranno per sostenere a viva forza le ragioni del Teologo;e poichè s'opponeva alla fede Ortodossa di Nicea, siconvien facilmente che la sua incapacità ed ignoranzane pareggiavano la presunzione227. Gli eunuchi, le donneed i Vescovi, che regolavano il vano e debole spiritodell'Imperatore, gli avevano inspirato un insuperabil di-sgusto per l'Homoousion; ma la sua timida coscienza eraagitata dall'empietà di Aezio. Si aggravava la colpa diquell'ateo dal sospetto favore dell'infelice Gallo; ed an-che le morti de' ministri Imperiali, ch'erano stati trucida-ti in Antiochia, vennero imputate alle suggestioni diquel pericoloso sofista. Lo spirito di Costanzo, che nonpoteva esser nè moderato dalla ragione, nè determinatodalla fede, era ciecamente spinto all'uno o all'altro latodall'orrore che aveva degli opposti estremi; egli abbrac-ciava e condannava le opinioni a vicenda, bandiva esuccessivamente richiamava i Capi dell'Arriana e Se-miarriana fazione228. Nel tempo delle occupazioni o so-lennità pubbliche esso consumava gl'interi giorni ed an-che le notti nello scegliere le parole, ed in pesar le silla-be, che componevano i fluttuanti suoi simboli. Il sogget-

227Socrat. l. II. c. 35-47. Sozomeno l. IV. c. 12-30. Teodoreto l. II. c. 18-32.Filostorg. l. IV. c. 6-12. l. V. c. 1-4 l. VI. c. 1-5.

228Sozom. l. IV. c. 23. Atanas. Tom. I. p. 831. Il Tillemont (Mem. Eccl. VII.p. 947) ha raccolto varj esempi dell'orgoglioso fanatismo di Costanzo da diver-si Trattati di Lucifero di Cagliari. I soli titoli di que' Trattati inspirano zelo eterrore. "Moriendum pro Dei Filio" "De regibus apostaticis" "De non conve-niendo cum haeretico" "De non parcendo in Deum delinquentibus".

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to delle sue meditazioni accompagnava sempre ed occu-pava i leggieri suoi sonni; si ricevevano gl'incoerenti so-gni dell'Imperatore come visioni celesti, ed egli accetta-va con compiacenza il sublime titolo di Vescovo de' Ve-scovi da quegli Ecclesiastici, che dimenticavano l'inte-resse dell'ordine loro per soddisfare le proprie passioni.Il disegno di stabilire una dottrina uniforme che l'avevaimpegnato a convocar tanti Sinodi nella Gallia, nell'Ita-lia, nell'Illirico e nell'Asia, restò più volte deluso per lapropria sua leggerezza, per le divisioni degli Arriani eper la resistenza de' Cattolici; onde risolvè per un ultimoe decisivo sforzo d'imperiosamente dettare i decreti d'unConcilio generale. Il rovinoso terremoto di Nicomedia,la difficoltà di trovare un luogo conveniente, e forsequalche secreto motivo di politica, servirono ad alterar-ne l'intimazione. Ai Vescovi dell'Oriente fu ordinato diunirsi a Seleucia in Isauria: mentre quelli dell'Occidentetenevan le loro sessioni a Rimini sulla costa dell'Adriati-co; ed invece di due o tre Deputati d'ogni Provincia sivolle, che v'intervenisse tutto quanto il ceto de' Vescovi.Il Concilio dell'Oriente, dopo d'aver consumato quattrogiorni in fieri ed inutili contrasti, si separò senz'alcunadecisiva conclusione. L'Occidentale fu prolungato finoal settimo mese. Tauro, prefetto del Pretorio, aveva ordi-ne di non lasciar partire i Prelati fino a tanto che non sifossero tutti uniti nella stessa opinione; ed i suoi sforzifurono sostenuti con la facoltà di bandire quindici de'più refrattari, e con la promessa del Consolato, se con-duceva a termine un'impresa così difficile.

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to delle sue meditazioni accompagnava sempre ed occu-pava i leggieri suoi sonni; si ricevevano gl'incoerenti so-gni dell'Imperatore come visioni celesti, ed egli accetta-va con compiacenza il sublime titolo di Vescovo de' Ve-scovi da quegli Ecclesiastici, che dimenticavano l'inte-resse dell'ordine loro per soddisfare le proprie passioni.Il disegno di stabilire una dottrina uniforme che l'avevaimpegnato a convocar tanti Sinodi nella Gallia, nell'Ita-lia, nell'Illirico e nell'Asia, restò più volte deluso per lapropria sua leggerezza, per le divisioni degli Arriani eper la resistenza de' Cattolici; onde risolvè per un ultimoe decisivo sforzo d'imperiosamente dettare i decreti d'unConcilio generale. Il rovinoso terremoto di Nicomedia,la difficoltà di trovare un luogo conveniente, e forsequalche secreto motivo di politica, servirono ad alterar-ne l'intimazione. Ai Vescovi dell'Oriente fu ordinato diunirsi a Seleucia in Isauria: mentre quelli dell'Occidentetenevan le loro sessioni a Rimini sulla costa dell'Adriati-co; ed invece di due o tre Deputati d'ogni Provincia sivolle, che v'intervenisse tutto quanto il ceto de' Vescovi.Il Concilio dell'Oriente, dopo d'aver consumato quattrogiorni in fieri ed inutili contrasti, si separò senz'alcunadecisiva conclusione. L'Occidentale fu prolungato finoal settimo mese. Tauro, prefetto del Pretorio, aveva ordi-ne di non lasciar partire i Prelati fino a tanto che non sifossero tutti uniti nella stessa opinione; ed i suoi sforzifurono sostenuti con la facoltà di bandire quindici de'più refrattari, e con la promessa del Consolato, se con-duceva a termine un'impresa così difficile.

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[A. D. 360]Le sue preghiere e minacce, l'autorità del Sovrano,

l'arte sofistica di Valente e d'Ursacio, gl'incomodi dellafame e del freddo, ed il tristo pensiero d'un esilio senzasperanza estorsero alla fine il ripugnante consenso de'Vescovi di Rimini. I Deputati sì dell'Oriente chedell'Occidente si raccolsero intorno all'Imperatore nelPalazzo di Costantinopoli; ed egli ebbe la soddisfazionedi dettare al Mondo una professione di fede che stabiliràla somiglianza, senz'esprimer la consustanzialità del Fi-glio di Dio229. Ma la deposizion del Clero Ortodosso,che non fu possibile nè d'intimorire, nè di corrompere,precedè il trionfo dell'Arrianismo; ed il regno di Costan-zo restò infamato dalla ingiusta ed inefficace persecu-zione del grande Atanasio.

Di rado abbiam l'occasione d'osservare nella vita o at-tiva o speculativa, qual effetto possa prodursi, o qualiostacoli si possano superare dalla forza d'uno spirito,quando è inflessibilmente applicato al conseguimentod'un solo oggetto. L'immortal nome d'Atanasio230 non

229Sulpic. Sev. Hist. Sacr. l. II. p. 418, 430. Gl'Istorici Greci eran moltoignoranti degli affari dell'Occidente.

230È un danno, che Gregorio Nazianzeno componesse un panegirico piutto-sto che una vita d'Atanasio; ma possiamo godere, e profittar del vantaggio ditrarre i più autentici materiali dal ricco fondo delle proprie di lui epistole edapologie: Tom. I. p. 670-951. Io non imiterò l'esempio di Socrate (l. 2. c. 1),che pubblicò la prima edizione della sua Storia senza prendersi la pena di con-sultare gli scritti d'Atanasio. Pure anche Socrate, e Sozomeno, di lui più curio-so, ed il dotto Teodoreto servono a connettere la vita d'Atanasio con la seriedell'istoria Ecclesiastica. La diligenza del Tillemont, Tom. VIII, e degli EditoriBenedettini ha raccolto tutti i fatti, ed esaminata ogni difficoltà.

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[A. D. 360]Le sue preghiere e minacce, l'autorità del Sovrano,

l'arte sofistica di Valente e d'Ursacio, gl'incomodi dellafame e del freddo, ed il tristo pensiero d'un esilio senzasperanza estorsero alla fine il ripugnante consenso de'Vescovi di Rimini. I Deputati sì dell'Oriente chedell'Occidente si raccolsero intorno all'Imperatore nelPalazzo di Costantinopoli; ed egli ebbe la soddisfazionedi dettare al Mondo una professione di fede che stabiliràla somiglianza, senz'esprimer la consustanzialità del Fi-glio di Dio229. Ma la deposizion del Clero Ortodosso,che non fu possibile nè d'intimorire, nè di corrompere,precedè il trionfo dell'Arrianismo; ed il regno di Costan-zo restò infamato dalla ingiusta ed inefficace persecu-zione del grande Atanasio.

Di rado abbiam l'occasione d'osservare nella vita o at-tiva o speculativa, qual effetto possa prodursi, o qualiostacoli si possano superare dalla forza d'uno spirito,quando è inflessibilmente applicato al conseguimentod'un solo oggetto. L'immortal nome d'Atanasio230 non

229Sulpic. Sev. Hist. Sacr. l. II. p. 418, 430. Gl'Istorici Greci eran moltoignoranti degli affari dell'Occidente.

230È un danno, che Gregorio Nazianzeno componesse un panegirico piutto-sto che una vita d'Atanasio; ma possiamo godere, e profittar del vantaggio ditrarre i più autentici materiali dal ricco fondo delle proprie di lui epistole edapologie: Tom. I. p. 670-951. Io non imiterò l'esempio di Socrate (l. 2. c. 1),che pubblicò la prima edizione della sua Storia senza prendersi la pena di con-sultare gli scritti d'Atanasio. Pure anche Socrate, e Sozomeno, di lui più curio-so, ed il dotto Teodoreto servono a connettere la vita d'Atanasio con la seriedell'istoria Ecclesiastica. La diligenza del Tillemont, Tom. VIII, e degli EditoriBenedettini ha raccolto tutti i fatti, ed esaminata ogni difficoltà.

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potrà mai separarsi dalla dottrina Cattolica della Trinità;alla difesa di cui consacrò egli ogni momento ed ognifacoltà del suo essere. Educato nella famiglia d'Alessan-dro, s'era vigorosamente opposto a' primi progressidell'eresia d'Arrio; egli aveva l'importante uffizio di se-gretario sotto il vecchio Prelato; ed i Padri del ConcilioNiceno videro con maraviglia e rispetto le nascenti virtùdel giovane Diacono. In un tempo di pubblico pericolo,gli sciocchi diritti dell'età e del grado alle volte son tra-scurati; e dentro i cinque mesi dopo il suo ritorno da Ni-cea, il Diacono Atanasio fu collocato sull'Archiepisco-pale Sede dell'Egitto. Egli occupò quell'eminente postopiù di quaranta sei anni, e la sua lunga amministrazionefu consumata in un perpetuo combattimento contro leforze dell'Arrianismo. Cinque volte Atanasio fu espulsodalla propria sede; passò venti anni com'esule e fuggiti-vo; e quasi ogni Provincia del Romano Impero rendè invarj tempi testimonianza al suo merito ed a' suoi pati-menti per la causa dell'Homoousion, che esso considera-va come l'unico suo piacere, il solo suo affare, come ildovere e la gloria della sua vita. In mezzo alle tempestedella persecuzione, l'Arcivescovo d'Alessandria era tol-lerante della fatica, avido di fama, non curante di sicu-rezza; e quantunque il suo spirito fosse attaccato dalcontagio del fanatismo, tuttavia Atanasio spiegava unasuperiorità d'indole e d'ingegno che l'avrebbe reso moltopiù atto, che i degeneranti figli di Costantino, al governod'una gran Monarchia. La sua erudizione era moltomeno profonda ed estesa di quella di Eusebio di Cesa-

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potrà mai separarsi dalla dottrina Cattolica della Trinità;alla difesa di cui consacrò egli ogni momento ed ognifacoltà del suo essere. Educato nella famiglia d'Alessan-dro, s'era vigorosamente opposto a' primi progressidell'eresia d'Arrio; egli aveva l'importante uffizio di se-gretario sotto il vecchio Prelato; ed i Padri del ConcilioNiceno videro con maraviglia e rispetto le nascenti virtùdel giovane Diacono. In un tempo di pubblico pericolo,gli sciocchi diritti dell'età e del grado alle volte son tra-scurati; e dentro i cinque mesi dopo il suo ritorno da Ni-cea, il Diacono Atanasio fu collocato sull'Archiepisco-pale Sede dell'Egitto. Egli occupò quell'eminente postopiù di quaranta sei anni, e la sua lunga amministrazionefu consumata in un perpetuo combattimento contro leforze dell'Arrianismo. Cinque volte Atanasio fu espulsodalla propria sede; passò venti anni com'esule e fuggiti-vo; e quasi ogni Provincia del Romano Impero rendè invarj tempi testimonianza al suo merito ed a' suoi pati-menti per la causa dell'Homoousion, che esso considera-va come l'unico suo piacere, il solo suo affare, come ildovere e la gloria della sua vita. In mezzo alle tempestedella persecuzione, l'Arcivescovo d'Alessandria era tol-lerante della fatica, avido di fama, non curante di sicu-rezza; e quantunque il suo spirito fosse attaccato dalcontagio del fanatismo, tuttavia Atanasio spiegava unasuperiorità d'indole e d'ingegno che l'avrebbe reso moltopiù atto, che i degeneranti figli di Costantino, al governod'una gran Monarchia. La sua erudizione era moltomeno profonda ed estesa di quella di Eusebio di Cesa-

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rea, e la sua rozza eloquenza non potrebbe paragonarsialla culta oratoria di Gregorio o di Basilio; ma ogni vol-ta che il Primate dell'Egitto era chiamato a giustificare isuoi sentimenti o la sua condotta, il suo non premeditatostile, o nel parlare o nello scrivere, era chiaro, forte epersuadente. Egli è stato sempre rispettato nella scuolaOrtodossa come uno de' più accurati maestri della teolo-gia Cristiana; e si è supposto che possedesse due scienzeprofane non adattate al carattere Episcopale, cioè quelladella giurisprudenza231, e quella della divinazione232. Al-cune felici congetture di futuri eventi, che un imparzialeragionatore avrebbe potuto attribuire all'esperienza ed algiudizio d'Atanasio, da' suoi amici ascrivevansi ad in-spirazioni celesti, e, da' suoi nemici ad infernale magia.

Ma siccome Atanasio trovavasi continuamente impe-gnato a trattare co' pregiudizj e colle passioni d'ognispecie di persone, dal Monaco fino all'Imperatore, la co-gnizione della natura umana era la prima e più impor-tante sua scienza. Egli conservava una distinta ed interaveduta d'una scena, che andava continuamente mutan-dosi; e non mancava mai di profittare di que' decisivimomenti, che son già irreparabilmente passati, avanti

231Sulpicio Severo (Hist. Sacr. l. II. p. 396) lo chiama legale, e giurisconsul-to. Presentemente non può ravvisarsi questo carattere, o si consulti la vita, o leopere d'Atanasio.

232Dicebatur enim fatidicarum sortium fidem, quaeve augurales portende-rent alites scientissime callens aliquoties praedixisse futura. Ammian. XV. 7.Sozomeno (l. IV. c. 10) riferisce una profezia o piuttosto uno scherzo, da cui siprova evidentemente che Atanasio, se le cornacchie parlan Latino, intendeva illinguaggio delle cornacchie.

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rea, e la sua rozza eloquenza non potrebbe paragonarsialla culta oratoria di Gregorio o di Basilio; ma ogni vol-ta che il Primate dell'Egitto era chiamato a giustificare isuoi sentimenti o la sua condotta, il suo non premeditatostile, o nel parlare o nello scrivere, era chiaro, forte epersuadente. Egli è stato sempre rispettato nella scuolaOrtodossa come uno de' più accurati maestri della teolo-gia Cristiana; e si è supposto che possedesse due scienzeprofane non adattate al carattere Episcopale, cioè quelladella giurisprudenza231, e quella della divinazione232. Al-cune felici congetture di futuri eventi, che un imparzialeragionatore avrebbe potuto attribuire all'esperienza ed algiudizio d'Atanasio, da' suoi amici ascrivevansi ad in-spirazioni celesti, e, da' suoi nemici ad infernale magia.

Ma siccome Atanasio trovavasi continuamente impe-gnato a trattare co' pregiudizj e colle passioni d'ognispecie di persone, dal Monaco fino all'Imperatore, la co-gnizione della natura umana era la prima e più impor-tante sua scienza. Egli conservava una distinta ed interaveduta d'una scena, che andava continuamente mutan-dosi; e non mancava mai di profittare di que' decisivimomenti, che son già irreparabilmente passati, avanti

231Sulpicio Severo (Hist. Sacr. l. II. p. 396) lo chiama legale, e giurisconsul-to. Presentemente non può ravvisarsi questo carattere, o si consulti la vita, o leopere d'Atanasio.

232Dicebatur enim fatidicarum sortium fidem, quaeve augurales portende-rent alites scientissime callens aliquoties praedixisse futura. Ammian. XV. 7.Sozomeno (l. IV. c. 10) riferisce una profezia o piuttosto uno scherzo, da cui siprova evidentemente che Atanasio, se le cornacchie parlan Latino, intendeva illinguaggio delle cornacchie.

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che possano scorgersi da un occhio comune. L'Arcive-scovo d'Alessandria era capace di distinguere, fino aqual segno poteva egli arrischiarsi a comandare, e doveconveniva che destramente s'insinuasse; quando potevacontendere con la forza, e quando si doveva sottrarrealla persecuzione; e mentre scagliava i fulmini dellaChiesa contro l'eresia e la ribellione, poteva assumerenel seno del suo partito il flessibile ed indulgente carat-tere d'un capo prudente. L'elezione d'Atanasio non haevitato la taccia d'irregolarità e di precipitazione233; mala decenza del suo contegno gli conciliò l'affezione delClero non men che del Popolo. Gli Alessandrini eranoimpazienti di prender le armi per la difesa d'un eloquen-te e generoso Pastore. Nelle sue angustie sempre venivasoccorso o almen consolato dal fedele attaccamento delparrocchiale suo Clero; ed i cento Vescovi dell'Egittocon intrepido zelo aderivano alla causa d'Atanasio. Inquel modesto arnese, che suole affettare l'orgoglio e lapolitica, esso frequentemente faceva le visite Episcopalidelle sue Province, dalla bocca del Nilo fino a' confinidell'Etiopia, conversando famigliarmente con gl'infimidella plebe, ed umilmente salutando i santi e gli eremitidel deserto234. Nè solamente nelle sacre assemblee fra

233Si fece leggiermente menzione dell'irregolare ordinazion d'Atanasio ne'Concilj, che si tenner contro di lui. Vedi Filost. lib. II. c. 11 e Gottofredo p. 71.Ma può appena supporsi, che l'assemblea de' Vescovi dell'Egitto solennementeattestasse una pubblica falsità. Atanas. Tom. I. p. 726.

234Vedi l'Istoria de' Padri del deserto pubblicata da Rosweide, e Tillemont(Mem. Eccl. Tom. VII.) nelle vite d'Antonio, e di Pacomio. Atanasio medesimo,che non isdegnò di comporre la vita del suo amico Antonio, ha diligentemente

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che possano scorgersi da un occhio comune. L'Arcive-scovo d'Alessandria era capace di distinguere, fino aqual segno poteva egli arrischiarsi a comandare, e doveconveniva che destramente s'insinuasse; quando potevacontendere con la forza, e quando si doveva sottrarrealla persecuzione; e mentre scagliava i fulmini dellaChiesa contro l'eresia e la ribellione, poteva assumerenel seno del suo partito il flessibile ed indulgente carat-tere d'un capo prudente. L'elezione d'Atanasio non haevitato la taccia d'irregolarità e di precipitazione233; mala decenza del suo contegno gli conciliò l'affezione delClero non men che del Popolo. Gli Alessandrini eranoimpazienti di prender le armi per la difesa d'un eloquen-te e generoso Pastore. Nelle sue angustie sempre venivasoccorso o almen consolato dal fedele attaccamento delparrocchiale suo Clero; ed i cento Vescovi dell'Egittocon intrepido zelo aderivano alla causa d'Atanasio. Inquel modesto arnese, che suole affettare l'orgoglio e lapolitica, esso frequentemente faceva le visite Episcopalidelle sue Province, dalla bocca del Nilo fino a' confinidell'Etiopia, conversando famigliarmente con gl'infimidella plebe, ed umilmente salutando i santi e gli eremitidel deserto234. Nè solamente nelle sacre assemblee fra

233Si fece leggiermente menzione dell'irregolare ordinazion d'Atanasio ne'Concilj, che si tenner contro di lui. Vedi Filost. lib. II. c. 11 e Gottofredo p. 71.Ma può appena supporsi, che l'assemblea de' Vescovi dell'Egitto solennementeattestasse una pubblica falsità. Atanas. Tom. I. p. 726.

234Vedi l'Istoria de' Padri del deserto pubblicata da Rosweide, e Tillemont(Mem. Eccl. Tom. VII.) nelle vite d'Antonio, e di Pacomio. Atanasio medesimo,che non isdegnò di comporre la vita del suo amico Antonio, ha diligentemente

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persone, l'educazione ed i costumi delle quali eran similia' suoi, Atanasio esercitava l'ascendente del proprio ge-nio, ma comparve ancora con facile e rispettabil fermez-za nelle Corti de' Principi; e ne' diversi giri della suaprospera ed avversa fortuna, non perdè mai la confiden-za de' suoi amici, o la stima degli avversari.

[A. D. 330]Nella sua gioventù, il Primate dell'Egitto resistè al

gran Costantino, che aveva più volte significato la suavolontà, che ad Arrio fosse restituita la comunione Cat-tolica235. L'Imperatore rispettò, e potè anche dimenticarel'inflessibile di lui risoluzione; e la fazion contraria, cheriguardava Atanasio come il suo più formidabil nemico,fu costretta a dissimular l'odio ed a preparare tacitamen-te un indiretto e remoto assalto. Si sparsero de' romori ede' sospetti, fu rappresentato l'Arcivescovo come un al-tiero ed opprimente tiranno, ed arditamente venne accu-sato di violare l'accordo ch'erasi ratificato nel ConcilioNiceno con gli Scismatici seguaci di Melesio236. Atana-

osservato, quanto spesso il santo Monaco deplorasse e profetizzasse i dannidell'eresia Arriana. Atanas. Tom. II. p. 492-498.

235A principio Costantino minacciava parlando, e domandava scrivendo,και αγραφως µεν ηπειλει, γραφων δε η ξισυ. Le sue lettere di poi presero unminaccevole accento, ma mentre chiedeva, che a tutti fosse aperto l'ingressodella Chiesa, evitava l'odioso nome d'Arrio. Atanasio da sagace politico, ha di-ligentemente notato queste distinzioni, (Tom. I. p. 788) che gli somministrava-no qualche motivo di scusa o di dilazione.

236I Meleziani ebbero origine in Egitto, come in Affrica i Donatisti, da unadisputa Episcopale nata dalla persecuzione. Io non ho tempo di esporre taloscura controversia, la quale sembra essersi male rappresentata dalla parzialità

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persone, l'educazione ed i costumi delle quali eran similia' suoi, Atanasio esercitava l'ascendente del proprio ge-nio, ma comparve ancora con facile e rispettabil fermez-za nelle Corti de' Principi; e ne' diversi giri della suaprospera ed avversa fortuna, non perdè mai la confiden-za de' suoi amici, o la stima degli avversari.

[A. D. 330]Nella sua gioventù, il Primate dell'Egitto resistè al

gran Costantino, che aveva più volte significato la suavolontà, che ad Arrio fosse restituita la comunione Cat-tolica235. L'Imperatore rispettò, e potè anche dimenticarel'inflessibile di lui risoluzione; e la fazion contraria, cheriguardava Atanasio come il suo più formidabil nemico,fu costretta a dissimular l'odio ed a preparare tacitamen-te un indiretto e remoto assalto. Si sparsero de' romori ede' sospetti, fu rappresentato l'Arcivescovo come un al-tiero ed opprimente tiranno, ed arditamente venne accu-sato di violare l'accordo ch'erasi ratificato nel ConcilioNiceno con gli Scismatici seguaci di Melesio236. Atana-

osservato, quanto spesso il santo Monaco deplorasse e profetizzasse i dannidell'eresia Arriana. Atanas. Tom. II. p. 492-498.

235A principio Costantino minacciava parlando, e domandava scrivendo,και αγραφως µεν ηπειλει, γραφων δε η ξισυ. Le sue lettere di poi presero unminaccevole accento, ma mentre chiedeva, che a tutti fosse aperto l'ingressodella Chiesa, evitava l'odioso nome d'Arrio. Atanasio da sagace politico, ha di-ligentemente notato queste distinzioni, (Tom. I. p. 788) che gli somministrava-no qualche motivo di scusa o di dilazione.

236I Meleziani ebbero origine in Egitto, come in Affrica i Donatisti, da unadisputa Episcopale nata dalla persecuzione. Io non ho tempo di esporre taloscura controversia, la quale sembra essersi male rappresentata dalla parzialità

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sio avea disapprovato apertamente quell'ignominiosapace, e l'Imperatore era disposto a credere, ch'egli aves-se abusato del suo ecclesiastico e civile potere in perse-guitare quegli odiati settari; che avesse rotto un calicesacrilegamente in una delle loro Chiese di Mareotide;che avesse fatto battere, o imprigionati sei de' loro Ve-scovi; e che fosse stato ucciso, o almeno mutilato Arse-nio Vescovo dalla crudel mano del Primate dell'istessopartito237. Queste accuse, che attaccavan l'onore e la vitad'Atanasio, da Costantino rimesse furono al CensoreDalmazio suo fratello, che risedeva in Antiochia; venne-ro successivamente convocati i Sinodi di Cesarea e diTiro; e fu ordinato a' Vescovi dell'Oriente di giudicar lacausa d'Atanasio, avanti di procedere a consacrare lanuova Chiesa della Resurrezione a Gerusalemme. Il Pri-mate poteva esser conscio a se stesso della sua innocen-za; ma gli pesava che lo stesso implacabile spirito, cheavea dettato le accuse, dovesse compilare il processo, epronunziar la sentenza.

[A. D. 325]Egli evitò prudentemente il tribunale de' suoi nemici,

non curò le citazioni dei Sinodo di Cesarea, e dopo unalunga ed artificiosa dilazione si sottomise a' perentorj

d'Atanasio, e dall'ignoranza d'Epifanio. Vedi Mosemio Istor. gener. della Chie-sa Vol. I. p. 201.

237Viene specificato il trattamento de' sei Vescovi da Sozomeno lib. II. c.25; ma Atanasio medesimo, sì abbondante per rispetto ad Arsenio ed al calice,lascia questa grave accusa senza risposta.

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sio avea disapprovato apertamente quell'ignominiosapace, e l'Imperatore era disposto a credere, ch'egli aves-se abusato del suo ecclesiastico e civile potere in perse-guitare quegli odiati settari; che avesse rotto un calicesacrilegamente in una delle loro Chiese di Mareotide;che avesse fatto battere, o imprigionati sei de' loro Ve-scovi; e che fosse stato ucciso, o almeno mutilato Arse-nio Vescovo dalla crudel mano del Primate dell'istessopartito237. Queste accuse, che attaccavan l'onore e la vitad'Atanasio, da Costantino rimesse furono al CensoreDalmazio suo fratello, che risedeva in Antiochia; venne-ro successivamente convocati i Sinodi di Cesarea e diTiro; e fu ordinato a' Vescovi dell'Oriente di giudicar lacausa d'Atanasio, avanti di procedere a consacrare lanuova Chiesa della Resurrezione a Gerusalemme. Il Pri-mate poteva esser conscio a se stesso della sua innocen-za; ma gli pesava che lo stesso implacabile spirito, cheavea dettato le accuse, dovesse compilare il processo, epronunziar la sentenza.

[A. D. 325]Egli evitò prudentemente il tribunale de' suoi nemici,

non curò le citazioni dei Sinodo di Cesarea, e dopo unalunga ed artificiosa dilazione si sottomise a' perentorj

d'Atanasio, e dall'ignoranza d'Epifanio. Vedi Mosemio Istor. gener. della Chie-sa Vol. I. p. 201.

237Viene specificato il trattamento de' sei Vescovi da Sozomeno lib. II. c.25; ma Atanasio medesimo, sì abbondante per rispetto ad Arsenio ed al calice,lascia questa grave accusa senza risposta.

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comandi dell'Imperatore, che minacciava di punire lasua colpevole disubbidienza, qualora negato avesse dicomparire nel Concilio di Tiro238. Avanti che Atanasio,alla testa di cinquanta Prelati dell'Egitto, partisse daAlessandria, s'era egli saviamente assicurata l'alleanzade' Meleziani; ed Arsenio medesimo, immaginaria suavittima e suo segreto amico, era occultamente compresonel suo seguito. Eusebio di Cesarea dirigeva il Conciliodi Tiro con più passione e con minor arte di quel che lasua dottrina ed esperienza avrebbe fatto aspettare: la nu-merosa fazione di lui iterava i nomi d'omicida e di tiran-no; ed i loro clamori venivano incoraggiati dall'apparen-te pazienza d'Atanasio, che aspettava il decisivo mo-mento di produrre Arsenio vivo e senz'alcun mancamen-to nel mezzo dell'Assemblea. La natura delle accuse nonammetteva tali chiare e soddisfacenti risposte; purel'Arcivescovo fu in istato di provare, che nel villaggio,in cui si diceva aver egli rotto un calice consacrato, nonpoteva realmente trovarsi nè Chiesa, nè altare, nè calice.Gli Arriani, che avevan segretamente determinato difare apparir delinquente, e di condannare il loro nemico,procurarono ciò nonostante di mascherare la loro ingiu-stizia coll'imitazione della forma giudiciaria: il Sinodostabilì una commissione Episcopale di sei Deputati perinvestigar le prove del fatto sul luogo stesso; e questo

238Atanas. Tom. I. p. 788. Socrat. lib. I. c. 28. Sozomeno lib. II. c. 25.L'Imperatore nella sua Lettera di convocazione ap. Euseb. (in vit. Constant.lib. IV. c. 42) par che giudichi anticipatamente alcuni membri del Clero, ed erapiù che probabile, che il Sinodo applicasse tali rimproveri ad Atanasio.

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comandi dell'Imperatore, che minacciava di punire lasua colpevole disubbidienza, qualora negato avesse dicomparire nel Concilio di Tiro238. Avanti che Atanasio,alla testa di cinquanta Prelati dell'Egitto, partisse daAlessandria, s'era egli saviamente assicurata l'alleanzade' Meleziani; ed Arsenio medesimo, immaginaria suavittima e suo segreto amico, era occultamente compresonel suo seguito. Eusebio di Cesarea dirigeva il Conciliodi Tiro con più passione e con minor arte di quel che lasua dottrina ed esperienza avrebbe fatto aspettare: la nu-merosa fazione di lui iterava i nomi d'omicida e di tiran-no; ed i loro clamori venivano incoraggiati dall'apparen-te pazienza d'Atanasio, che aspettava il decisivo mo-mento di produrre Arsenio vivo e senz'alcun mancamen-to nel mezzo dell'Assemblea. La natura delle accuse nonammetteva tali chiare e soddisfacenti risposte; purel'Arcivescovo fu in istato di provare, che nel villaggio,in cui si diceva aver egli rotto un calice consacrato, nonpoteva realmente trovarsi nè Chiesa, nè altare, nè calice.Gli Arriani, che avevan segretamente determinato difare apparir delinquente, e di condannare il loro nemico,procurarono ciò nonostante di mascherare la loro ingiu-stizia coll'imitazione della forma giudiciaria: il Sinodostabilì una commissione Episcopale di sei Deputati perinvestigar le prove del fatto sul luogo stesso; e questo

238Atanas. Tom. I. p. 788. Socrat. lib. I. c. 28. Sozomeno lib. II. c. 25.L'Imperatore nella sua Lettera di convocazione ap. Euseb. (in vit. Constant.lib. IV. c. 42) par che giudichi anticipatamente alcuni membri del Clero, ed erapiù che probabile, che il Sinodo applicasse tali rimproveri ad Atanasio.

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passo, al quale vigorosamente si opposero i VescoviEgiziani, aprì nuove scene di violenza e di spergiuro239.Tornati i Deputati da Alessandria, il maggior numero delSinodo pronunziò contro il Primate dell'Egitto la finalsentenza di degradazione e d'esilio. Il decreto, espressonel più fiero stile della malizia e della vendetta, fu co-municato all'Imperatore ed alla Chiesa Cattolica; ed im-mediatamente i Vescovi riassunsero un devoto e dolcecontegno, qual conveniva al santo loro pellegrinaggioverso il sepolcro di Cristo240.

[A. D. 336]Ma l'ingiustizia di questi giudici ecclesiastici non fu

accompagnata dalla sommissione, e neppure dalla pre-senza d'Atanasio. Ei risolvè di fare un'ardita e pericolosaprova, se il trono fosse accessibile alla voce della verità;e prima che si pronunziasse a Tiro la definitiva sentenza,l'intrepido Primate si gettò in una barca che era pronta apartire per la città Imperiale. La richiesta di una formaleudienza avrebbe potuto incontrare opposizioni, od elu-dersi; ma Atanasio occultò il suo arrivo; aspettò il mo-mento, che Costantino tornava da una vicina villa, ed ar-ditamente si fece incontro al suo sdegnato Sovrano,mentre questi passava a cavallo per la contrada primaria

239Vedi in particolare la seconda Apologia d'Atanasio (Tom. I. p. 763-808) ele sue lettere a' Monaci (p. 808-866). Queste son giustificate con originali edautentici documenti; ma inspirerebbero maggior credibilità, se egli meno inno-cente, e meno assurdi vi comparissero i suoi nemici.

240Euseb. in vit. Const. lib. IV. c. 41-47.

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passo, al quale vigorosamente si opposero i VescoviEgiziani, aprì nuove scene di violenza e di spergiuro239.Tornati i Deputati da Alessandria, il maggior numero delSinodo pronunziò contro il Primate dell'Egitto la finalsentenza di degradazione e d'esilio. Il decreto, espressonel più fiero stile della malizia e della vendetta, fu co-municato all'Imperatore ed alla Chiesa Cattolica; ed im-mediatamente i Vescovi riassunsero un devoto e dolcecontegno, qual conveniva al santo loro pellegrinaggioverso il sepolcro di Cristo240.

[A. D. 336]Ma l'ingiustizia di questi giudici ecclesiastici non fu

accompagnata dalla sommissione, e neppure dalla pre-senza d'Atanasio. Ei risolvè di fare un'ardita e pericolosaprova, se il trono fosse accessibile alla voce della verità;e prima che si pronunziasse a Tiro la definitiva sentenza,l'intrepido Primate si gettò in una barca che era pronta apartire per la città Imperiale. La richiesta di una formaleudienza avrebbe potuto incontrare opposizioni, od elu-dersi; ma Atanasio occultò il suo arrivo; aspettò il mo-mento, che Costantino tornava da una vicina villa, ed ar-ditamente si fece incontro al suo sdegnato Sovrano,mentre questi passava a cavallo per la contrada primaria

239Vedi in particolare la seconda Apologia d'Atanasio (Tom. I. p. 763-808) ele sue lettere a' Monaci (p. 808-866). Queste son giustificate con originali edautentici documenti; ma inspirerebbero maggior credibilità, se egli meno inno-cente, e meno assurdi vi comparissero i suoi nemici.

240Euseb. in vit. Const. lib. IV. c. 41-47.

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di Costantinopoli. Una sì strana comparsa eccitò in essola maraviglia e la collera; e fu ordinato alle guardie chefacessero allontanare l'importuno querelante; l'ira peròfu superata da un involontario rispetto; e l'altiero spiritodell'Imperatore fu sorpreso dal coraggio e dall'eloquen-za d'un Vescovo, che imploravane la giustizia, e scuote-vane la coscienza241. Costantino ascoltò i lamenti di Ata-nasio con imparziale ed anche graziosa attenzione; imembri del Concilio di Tiro furon citati a giustificare lalor processura; e sarebber restati confusi gli artifizj delpartito Eusebiano, se non si fosse aggravata la reità delPrimate colla destra supposizione di un imperdonabildelitto, cioè del colpevol disegno di intercettare, e di ri-tenere le navi del grano d'Alessandria, che somministra-van la sussistenza alla nuova Capitale242. All'Imperatorenon dispiaceva che si assicurasse la pace dell'Egitto,mediante l'assenza d'un Capo del popolo; ma non volleriempire la vacanza della sede Archiepiscopale; e la sen-tenza che dopo lungo esitare ei pronunziò, fu quella diun geloso ostracismo, anzi che di un esiglio ignominio-

241Atanas. Tom. I. p. 804. In una Chiesa dedicata a S. Atanasio, tal situazio-ne somministrerebbe per una pittura un argomento più bello, che molte Storiedi miracoli e di martirj.

242Atanas. Tom. I. p. 729. Eunapio racconta (in vit. Sophist. p. 36. 37 edit.Comelin.) uno strano esempio della credulità e barbarie di Costantino in una si-mile occasione. L'eloquente Sopatro, Filosofo della Siria, godeva la sua amici-zia, e aveva provocato l'ira d'Ablavio, Prefetto del Pretorio. Il popolo di Co-stantinopoli era mal contento, perchè s'era trattenuto l'arrivo delle navi che por-tavano il grano per mancanza di vento meridionale; e Sopatro fu decapitatosull'accusa, che egli aveva legato i venti per arte magica. Svida aggiunse, cheCostantino con tal esecuzione pretese di provare che aveva assolutamente ri-nunziato alla superstizione de' Gentili.

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di Costantinopoli. Una sì strana comparsa eccitò in essola maraviglia e la collera; e fu ordinato alle guardie chefacessero allontanare l'importuno querelante; l'ira peròfu superata da un involontario rispetto; e l'altiero spiritodell'Imperatore fu sorpreso dal coraggio e dall'eloquen-za d'un Vescovo, che imploravane la giustizia, e scuote-vane la coscienza241. Costantino ascoltò i lamenti di Ata-nasio con imparziale ed anche graziosa attenzione; imembri del Concilio di Tiro furon citati a giustificare lalor processura; e sarebber restati confusi gli artifizj delpartito Eusebiano, se non si fosse aggravata la reità delPrimate colla destra supposizione di un imperdonabildelitto, cioè del colpevol disegno di intercettare, e di ri-tenere le navi del grano d'Alessandria, che somministra-van la sussistenza alla nuova Capitale242. All'Imperatorenon dispiaceva che si assicurasse la pace dell'Egitto,mediante l'assenza d'un Capo del popolo; ma non volleriempire la vacanza della sede Archiepiscopale; e la sen-tenza che dopo lungo esitare ei pronunziò, fu quella diun geloso ostracismo, anzi che di un esiglio ignominio-

241Atanas. Tom. I. p. 804. In una Chiesa dedicata a S. Atanasio, tal situazio-ne somministrerebbe per una pittura un argomento più bello, che molte Storiedi miracoli e di martirj.

242Atanas. Tom. I. p. 729. Eunapio racconta (in vit. Sophist. p. 36. 37 edit.Comelin.) uno strano esempio della credulità e barbarie di Costantino in una si-mile occasione. L'eloquente Sopatro, Filosofo della Siria, godeva la sua amici-zia, e aveva provocato l'ira d'Ablavio, Prefetto del Pretorio. Il popolo di Co-stantinopoli era mal contento, perchè s'era trattenuto l'arrivo delle navi che por-tavano il grano per mancanza di vento meridionale; e Sopatro fu decapitatosull'accusa, che egli aveva legato i venti per arte magica. Svida aggiunse, cheCostantino con tal esecuzione pretese di provare che aveva assolutamente ri-nunziato alla superstizione de' Gentili.

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so. Atanasio passò circa vent'otto mesi nella remota pro-vincia della Gallia, ma nell'ospital Corte di Treveri. Lamorte dell'Imperatore fece mutar faccia a' pubblici affa-ri; e nella generale indulgenza d'un nuovo regno, fu ilPrimate restituito al proprio paese, per mezzo di un ono-revole editto del giovane Costantino, che dimostrò pro-fondamente sentire l'innocenza ed il merito del veneran-do suo ospite243.

[A. D. 341]La morte di questo Principe espose Atanasio ad una

seconda persecuzione; ed il debol Costanzo, sovranodell'Oriente, divenne tosto segreto complice degli Euse-biani. Si adunarono in Antiochia novanta Vescovi diquella Setta o fazione, sotto lo specioso pretesto di con-sacrare la Cattedrale. Essi composero un ambiguo sim-bolo che leggermente è tinto de' colori del Semiarriani-smo, e venticinque canoni, che regolan tuttavia la disci-plina dei Greci ortodossi244. Fu deciso con qualche appa-renza di giustizia, che un Vescovo, deposto da un Sino-do, non riassumesse le funzioni Episcopali finattantochènon fosse assoluto dal giudizio d'un ugual Sinodo; la

243Nel suo ritorno egli vide Costanzo due volte a Viminiaco ed a Cesareanella Cappadocia. Atanas. Tom. I. p. 676. Il Tillemont suppone, che Costantinolo conducesse nella Pannonia al congresso dei tre reali fratelli. Mem. Eccl.Tom. VIII. p. 69.

244Vedi Beveridge Pand. Tom. I. p. 429-452 e Tom. II. Annot. p. 182.Tillemont Mem. Eccl. Tom. VI. p. 310-324. S. Ilario di Poitiers ha fatto men-zione di questo Sinodo d'Antiochia con troppo favore e rispetto. Ei vi conta no-vanta sette Vescovi.

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so. Atanasio passò circa vent'otto mesi nella remota pro-vincia della Gallia, ma nell'ospital Corte di Treveri. Lamorte dell'Imperatore fece mutar faccia a' pubblici affa-ri; e nella generale indulgenza d'un nuovo regno, fu ilPrimate restituito al proprio paese, per mezzo di un ono-revole editto del giovane Costantino, che dimostrò pro-fondamente sentire l'innocenza ed il merito del veneran-do suo ospite243.

[A. D. 341]La morte di questo Principe espose Atanasio ad una

seconda persecuzione; ed il debol Costanzo, sovranodell'Oriente, divenne tosto segreto complice degli Euse-biani. Si adunarono in Antiochia novanta Vescovi diquella Setta o fazione, sotto lo specioso pretesto di con-sacrare la Cattedrale. Essi composero un ambiguo sim-bolo che leggermente è tinto de' colori del Semiarriani-smo, e venticinque canoni, che regolan tuttavia la disci-plina dei Greci ortodossi244. Fu deciso con qualche appa-renza di giustizia, che un Vescovo, deposto da un Sino-do, non riassumesse le funzioni Episcopali finattantochènon fosse assoluto dal giudizio d'un ugual Sinodo; la

243Nel suo ritorno egli vide Costanzo due volte a Viminiaco ed a Cesareanella Cappadocia. Atanas. Tom. I. p. 676. Il Tillemont suppone, che Costantinolo conducesse nella Pannonia al congresso dei tre reali fratelli. Mem. Eccl.Tom. VIII. p. 69.

244Vedi Beveridge Pand. Tom. I. p. 429-452 e Tom. II. Annot. p. 182.Tillemont Mem. Eccl. Tom. VI. p. 310-324. S. Ilario di Poitiers ha fatto men-zione di questo Sinodo d'Antiochia con troppo favore e rispetto. Ei vi conta no-vanta sette Vescovi.

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qual legge immediatamente applicata venne al casod'Atanasio; il Concilio d'Antiochia ne pronunziò, o piut-tosto ne confermò la degradazione; uno straniero, chia-mato Gregorio, fu collocato sopra la sua sede, e fu ordi-nato a Filagrio245, Prefetto dell'Egitto, di sostenere ilnuovo Primate con la forza civile e militare della Pro-vincia. Oppresso dalla cospirazione de' Prelati Asiatici,Atanasio si ritirò da Alessandria, e passò tre anni246 esu-le e supplichevole sul sacro limine del Vaticano247. Me-diante un assiduo studio della lingua Latina, presto sirendè abile a negoziare col Clero dell'Occidente; la suadecente adulazione dominava o dirigeva l'altiero Giulio;

245Questo Magistrato, sì odioso per Atanasio, è lodato da Gregorio Nazian-zeno, Tom. I. Orat. 21. p. 391.

Saepe premente Deo fert Deus alter opem.

Per onore della natura umana ho sempre piacere di scoprire qualche buonaqualità in quegli uomini, che dallo spirito di parte si sono dipinti come mostri etiranni.

246Le difficoltà cronologiche, le quali rendon dubbiosa la residenza d'Atana-sio a Roma, sono vigorosamente trattate dal Valesio Observ. ad Calc. Tom. II.Hist. Eccles. lib. I c. 1-5, e dal Tillemont Mem. Eccles. Tom. VIII. p. 674 ec. Ioho seguitato la semplice ipotesi del Valesio, che non ammette che un sol viag-gio dopo l'intrusione di Gregorio.

247Non posso fare a meno di trascrivere una giudiziosa osservazione di We-tstein Proleg. n. T. p. 19. Si tamen Historiam Ecclesiasticam velimus consule-re, patebit jam inde a saeculo quarto, cum, ortis controversiis, EcclesiaeGraecae doctores in duas partes scinderentur, ingenio, eloquentia, numerotantum non aequales, eam partem quae vincere cupiebat Romam confugisse,majestatemque Pontificis comiter coluisse, eoque pacto oppressis per Pontifi-cem et Episcopos Latinos adversariis praevaluisse, atque orthodoxiam in Con-ciliis stabilivisse. Eam ob caussam Athanasius non sine comitatu Romampetiit, pluresque annos ibi haesit.

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qual legge immediatamente applicata venne al casod'Atanasio; il Concilio d'Antiochia ne pronunziò, o piut-tosto ne confermò la degradazione; uno straniero, chia-mato Gregorio, fu collocato sopra la sua sede, e fu ordi-nato a Filagrio245, Prefetto dell'Egitto, di sostenere ilnuovo Primate con la forza civile e militare della Pro-vincia. Oppresso dalla cospirazione de' Prelati Asiatici,Atanasio si ritirò da Alessandria, e passò tre anni246 esu-le e supplichevole sul sacro limine del Vaticano247. Me-diante un assiduo studio della lingua Latina, presto sirendè abile a negoziare col Clero dell'Occidente; la suadecente adulazione dominava o dirigeva l'altiero Giulio;

245Questo Magistrato, sì odioso per Atanasio, è lodato da Gregorio Nazian-zeno, Tom. I. Orat. 21. p. 391.

Saepe premente Deo fert Deus alter opem.

Per onore della natura umana ho sempre piacere di scoprire qualche buonaqualità in quegli uomini, che dallo spirito di parte si sono dipinti come mostri etiranni.

246Le difficoltà cronologiche, le quali rendon dubbiosa la residenza d'Atana-sio a Roma, sono vigorosamente trattate dal Valesio Observ. ad Calc. Tom. II.Hist. Eccles. lib. I c. 1-5, e dal Tillemont Mem. Eccles. Tom. VIII. p. 674 ec. Ioho seguitato la semplice ipotesi del Valesio, che non ammette che un sol viag-gio dopo l'intrusione di Gregorio.

247Non posso fare a meno di trascrivere una giudiziosa osservazione di We-tstein Proleg. n. T. p. 19. Si tamen Historiam Ecclesiasticam velimus consule-re, patebit jam inde a saeculo quarto, cum, ortis controversiis, EcclesiaeGraecae doctores in duas partes scinderentur, ingenio, eloquentia, numerotantum non aequales, eam partem quae vincere cupiebat Romam confugisse,majestatemque Pontificis comiter coluisse, eoque pacto oppressis per Pontifi-cem et Episcopos Latinos adversariis praevaluisse, atque orthodoxiam in Con-ciliis stabilivisse. Eam ob caussam Athanasius non sine comitatu Romampetiit, pluresque annos ibi haesit.

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il Pontefice Romano s'indusse a considerare l'appello dilui come un particolare interesse della Sede Apostolica;e fu di comun consenso dichiarato innocente in un Con-cilio di cinquanta Vescovi dell'Italia. In capo a tre anni,il Primate fu chiamato alla Corte di Milano dall'Impera-tore Costante, che, in braccio ad illeciti piaceri, profes-sava sempre un vivo rispetto per la Fede Ortodossa. Lacausa della verità e della giustizia si promosse perl'influenza dell'oro248, ed i ministri di Costante consiglia-rono il loro Sovrano a richieder la convocazione d'unaEcclesiastica Assemblea, che potesse agire come rap-presentante della Chiesa Cattolica. Si unirono a Sardica,sul confine de' due Imperj, ma dentro gli Stati del pro-tettor d'Atanasio, novantaquattro Vescovi Occidentali esessantasei Orientali.

[A. D. 346]Le loro dispute degeneraron ben presto in ostili alter-

cazioni: gli Asiatici, temendo per la personale lor sicu-rezza, si ritirarono a Filippopoli nella Tracia; ed i rivalidue Sinodi reciprocamente scagliavano gli spirituali lorfulmini contro i nemici, ch'essi piamente consideravanocome nemici del vero Dio. Si pubblicarono e conferma-rono i loro decreti nelle rispettive Province, ed Atanasioche nell'Occidente riverivasi come un Santo, era esposto

248Filostorg. l. III. c. 22. Se nel promuovere gl'interessi della religione s'usòqualche corruzione, un avvocato d'Atanasio potrebbe giustificare o scusare talequivoca condotta coll'esempio di Catone, e di Sidney; il primo de' quali sidice, che desse, ed il secondo che ricevesse doni in una causa di libertà.

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il Pontefice Romano s'indusse a considerare l'appello dilui come un particolare interesse della Sede Apostolica;e fu di comun consenso dichiarato innocente in un Con-cilio di cinquanta Vescovi dell'Italia. In capo a tre anni,il Primate fu chiamato alla Corte di Milano dall'Impera-tore Costante, che, in braccio ad illeciti piaceri, profes-sava sempre un vivo rispetto per la Fede Ortodossa. Lacausa della verità e della giustizia si promosse perl'influenza dell'oro248, ed i ministri di Costante consiglia-rono il loro Sovrano a richieder la convocazione d'unaEcclesiastica Assemblea, che potesse agire come rap-presentante della Chiesa Cattolica. Si unirono a Sardica,sul confine de' due Imperj, ma dentro gli Stati del pro-tettor d'Atanasio, novantaquattro Vescovi Occidentali esessantasei Orientali.

[A. D. 346]Le loro dispute degeneraron ben presto in ostili alter-

cazioni: gli Asiatici, temendo per la personale lor sicu-rezza, si ritirarono a Filippopoli nella Tracia; ed i rivalidue Sinodi reciprocamente scagliavano gli spirituali lorfulmini contro i nemici, ch'essi piamente consideravanocome nemici del vero Dio. Si pubblicarono e conferma-rono i loro decreti nelle rispettive Province, ed Atanasioche nell'Occidente riverivasi come un Santo, era esposto

248Filostorg. l. III. c. 22. Se nel promuovere gl'interessi della religione s'usòqualche corruzione, un avvocato d'Atanasio potrebbe giustificare o scusare talequivoca condotta coll'esempio di Catone, e di Sidney; il primo de' quali sidice, che desse, ed il secondo che ricevesse doni in una causa di libertà.

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come un colpevole all'esecrazione dell'Oriente249. IlConcilio Sardicense scopre i primi sintomi di discordiae di scisma fra le Chiese Greca e Latina, le quali si sepa-rarono per la differenza di fede in varie occasioni, e perla perpetua distinzione di linguaggio.

[A. D. 349]Atanasio, nel tempo del suo secondo esilio nell'Occi-

dente, era frequentemente ammesso alla presenza Impe-riale in Capua, in Lodi, in Milano, in Verona, in Padova,in Aquileia, ed in Treveri. Ordinariamente si trovavapresente a tali visite il Vescovo della Diocesi; il Maestrodegli Uffizj stava fuori del velo o della cortina del sacroappartamento; e questi rispettabili personaggi poteanoattestare l'uniforme moderazione del Primate, che solen-nemente s'appella alla loro testimonianza250. La pruden-za gli dovea senza dubbio suggerire quel dolce e rispet-toso stile, che si conveniva ad un suddito e ad un Vesco-vo. In queste famigliari conferenze col Principe d'Occi-dente, Atanasio poteva dolersi dell'error di Costanzo;ma egli arditamente attaccò la malizia de' suoi Eunuchie degli Arriani Prelati; deplorò l'angustia e il pericolodella Chiesa Cattolica, ed eccitò Costante ad emular la

249Il Canone, che permette gli appelli a' Pontefici Romani, ha innalzato ilConcilio di Sardica quasi alla dignità d'un Concilio generala; ed i suoi atti sisono, o per ignoranza o per arte confusi con quelli del Sinodo Niceno. VediTillemont Tom. VIII. p. 689 e Geddes Tract. Vol. II. p. 419-460.

250Siccome Atanasio spargeva segrete invettive contro Costanzo (Vedi l'epi-stola a' Monaci) nel tempo stesso che l'assicurava del suo profondo rispetto,noi possiamo diffidare delle proteste dell'Arcivescovo. Tom. I. p. 677.

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come un colpevole all'esecrazione dell'Oriente249. IlConcilio Sardicense scopre i primi sintomi di discordiae di scisma fra le Chiese Greca e Latina, le quali si sepa-rarono per la differenza di fede in varie occasioni, e perla perpetua distinzione di linguaggio.

[A. D. 349]Atanasio, nel tempo del suo secondo esilio nell'Occi-

dente, era frequentemente ammesso alla presenza Impe-riale in Capua, in Lodi, in Milano, in Verona, in Padova,in Aquileia, ed in Treveri. Ordinariamente si trovavapresente a tali visite il Vescovo della Diocesi; il Maestrodegli Uffizj stava fuori del velo o della cortina del sacroappartamento; e questi rispettabili personaggi poteanoattestare l'uniforme moderazione del Primate, che solen-nemente s'appella alla loro testimonianza250. La pruden-za gli dovea senza dubbio suggerire quel dolce e rispet-toso stile, che si conveniva ad un suddito e ad un Vesco-vo. In queste famigliari conferenze col Principe d'Occi-dente, Atanasio poteva dolersi dell'error di Costanzo;ma egli arditamente attaccò la malizia de' suoi Eunuchie degli Arriani Prelati; deplorò l'angustia e il pericolodella Chiesa Cattolica, ed eccitò Costante ad emular la

249Il Canone, che permette gli appelli a' Pontefici Romani, ha innalzato ilConcilio di Sardica quasi alla dignità d'un Concilio generala; ed i suoi atti sisono, o per ignoranza o per arte confusi con quelli del Sinodo Niceno. VediTillemont Tom. VIII. p. 689 e Geddes Tract. Vol. II. p. 419-460.

250Siccome Atanasio spargeva segrete invettive contro Costanzo (Vedi l'epi-stola a' Monaci) nel tempo stesso che l'assicurava del suo profondo rispetto,noi possiamo diffidare delle proteste dell'Arcivescovo. Tom. I. p. 677.

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gloria e lo zelo del padre. L'Imperatore dichiarossi riso-luto d'impiegar le truppe ed i tesori dell'Europa nellacausa ortodossa; e con una breve e perentoria letterafece sapere al suo fratello Costanzo, che qualora non ac-consentisse all'immediato ristabilimento d'Atanasio, eglistesso con una flotta e un esercito avrebbe posto l'Arci-vescovo sul trono d'Alessandria251. Ma tal guerra di reli-gione, sì contraria alla natura, non ebbe effetto perl'opportuna compiacenza di Costanzo; e l'Imperatoredell'Oriente condiscese a chiedere una riconciliazionecon un suddito, che esso aveva ingiuriato. Atanasioaspettò con decente sostenutezza, finchè non ebbe rice-vuto successivamente tre lettere, piene delle più forti as-sicurazioni della protezione, del favore, e della stima delsuo Sovrano, che l'invitava a riassumer la propria SedeEpiscopale, e che aggiungeva l'umiliante precauzione diimpegnare i suoi principali ministri ad attestar la sinceri-tà delle sue intenzioni. Queste si manifestarono in unmodo anche più pubblico per mezzo dei rigorosi ordiniche furon mandati nell'Egitto di richiamar gli aderenti diAtanasio, di reintegrarli ne' lor privilegi, di promulgar laloro innocenza, e di cancellare dai pubblici registri le il-legittime processure, che si eran fatte nel tempo che pre-valeva la fazione Eusebiana. Dopo che fu accordataogni soddisfazione e sicurezza cui la giustizia e anche la

251Nonostante il discreto silenzio d'Atanasio, e la manifesta finzione di unalettera riportata da Socrate, queste minacce son provate dalla certa testimonian-za di Lucifero di Cagliari, ed anche di Costanzo medesimo. Vedi TillemontTom. VIII. p. 693.

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gloria e lo zelo del padre. L'Imperatore dichiarossi riso-luto d'impiegar le truppe ed i tesori dell'Europa nellacausa ortodossa; e con una breve e perentoria letterafece sapere al suo fratello Costanzo, che qualora non ac-consentisse all'immediato ristabilimento d'Atanasio, eglistesso con una flotta e un esercito avrebbe posto l'Arci-vescovo sul trono d'Alessandria251. Ma tal guerra di reli-gione, sì contraria alla natura, non ebbe effetto perl'opportuna compiacenza di Costanzo; e l'Imperatoredell'Oriente condiscese a chiedere una riconciliazionecon un suddito, che esso aveva ingiuriato. Atanasioaspettò con decente sostenutezza, finchè non ebbe rice-vuto successivamente tre lettere, piene delle più forti as-sicurazioni della protezione, del favore, e della stima delsuo Sovrano, che l'invitava a riassumer la propria SedeEpiscopale, e che aggiungeva l'umiliante precauzione diimpegnare i suoi principali ministri ad attestar la sinceri-tà delle sue intenzioni. Queste si manifestarono in unmodo anche più pubblico per mezzo dei rigorosi ordiniche furon mandati nell'Egitto di richiamar gli aderenti diAtanasio, di reintegrarli ne' lor privilegi, di promulgar laloro innocenza, e di cancellare dai pubblici registri le il-legittime processure, che si eran fatte nel tempo che pre-valeva la fazione Eusebiana. Dopo che fu accordataogni soddisfazione e sicurezza cui la giustizia e anche la

251Nonostante il discreto silenzio d'Atanasio, e la manifesta finzione di unalettera riportata da Socrate, queste minacce son provate dalla certa testimonian-za di Lucifero di Cagliari, ed anche di Costanzo medesimo. Vedi TillemontTom. VIII. p. 693.

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delicatezza potesser richiedere, il Primate si pose inviaggio a piccole giornate per le Province della Tracia,dell'Asia e della Siria; e veniva per tutto accompagnatodall'abbietto omaggio de' Vescovi Orientali, che eccita-vano il suo disprezzo senza ingannare la sua penetrazio-ne252. In Antiochia vide l'Imperator Costanzo253; ricevècon modesta fermezza gli abbracciamenti e le protestedel suo Signore, ed eluse la proposizione di concedereagli Arriani una sola Chiesa in Alessandria, col chiedereuna simil tolleranza pel suo partito nelle altre cittàdell'Impero; replica, che solo avrebbe potuto apparirgiusta e moderata in bocca d'un Principe indipendente.L'ingresso dell'Arcivescovo nella sua Capitale fu unaprocession di trionfo; l'assenza e la persecuzione l'ave-vano renduto caro agli Alessandrini; si era più stabil-mente confermata la sua autorità, che egli esercitava conrigore, e la sua fama erasi sparsa dall'Etiopia fino allaGran Brettagna, in tutta l'estensione del Mondo Cristia-no254.

252Ho sempre avuto qualche dubbio intorno alla ritrattazione d'Ursacio e diValente. Atanas. T. I. p. 776. Le loro lettere a Giulio, Vescovo di Roma, e adAtanasio medesimo son di tempra sì differente l'una dall'altra, che non possonoessere ambedue genuine. L'una tiene il linguaggio de' rei che confessano laloro colpa ed infamia, l'altra quello di nemici, che a termini uguali chiedonoun'onorevole riconciliazione.

253Nell'originale "Cotanzo". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]254Le circostanze del suo secondo ritorno possono rilevarsi dal medesimo

Atanasio Tom. I. p. 769. e 822, 843, da Socrate l. II. c. 18, da Sozomeno l. III.c. 19, da Teodoreto l. II. c. 11. 12, da Filostorgio l. III. c. 12.

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delicatezza potesser richiedere, il Primate si pose inviaggio a piccole giornate per le Province della Tracia,dell'Asia e della Siria; e veniva per tutto accompagnatodall'abbietto omaggio de' Vescovi Orientali, che eccita-vano il suo disprezzo senza ingannare la sua penetrazio-ne252. In Antiochia vide l'Imperator Costanzo253; ricevècon modesta fermezza gli abbracciamenti e le protestedel suo Signore, ed eluse la proposizione di concedereagli Arriani una sola Chiesa in Alessandria, col chiedereuna simil tolleranza pel suo partito nelle altre cittàdell'Impero; replica, che solo avrebbe potuto apparirgiusta e moderata in bocca d'un Principe indipendente.L'ingresso dell'Arcivescovo nella sua Capitale fu unaprocession di trionfo; l'assenza e la persecuzione l'ave-vano renduto caro agli Alessandrini; si era più stabil-mente confermata la sua autorità, che egli esercitava conrigore, e la sua fama erasi sparsa dall'Etiopia fino allaGran Brettagna, in tutta l'estensione del Mondo Cristia-no254.

252Ho sempre avuto qualche dubbio intorno alla ritrattazione d'Ursacio e diValente. Atanas. T. I. p. 776. Le loro lettere a Giulio, Vescovo di Roma, e adAtanasio medesimo son di tempra sì differente l'una dall'altra, che non possonoessere ambedue genuine. L'una tiene il linguaggio de' rei che confessano laloro colpa ed infamia, l'altra quello di nemici, che a termini uguali chiedonoun'onorevole riconciliazione.

253Nell'originale "Cotanzo". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]254Le circostanze del suo secondo ritorno possono rilevarsi dal medesimo

Atanasio Tom. I. p. 769. e 822, 843, da Socrate l. II. c. 18, da Sozomeno l. III.c. 19, da Teodoreto l. II. c. 11. 12, da Filostorgio l. III. c. 12.

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[A. D. 351]Ma quel suddito, che ha ridotto il suo Principe alla

necessità di dissimulare, non può mai sperare un sinceroe durevol perdono; e la tragica morte di Costante benpresto privò Atanasio di un potente e liberal protettore.La guerra civile fra l'assassino e l'unico superstite fratel-lo di Costante, che afflisse l'Impero più di tre anni, assi-curò un intervallo di riposo alla Chiesa Cattolica; e cia-scheduna delle contendenti due parti desiderava di con-ciliarsi l'amicizia d'un Vescovo, che poteva col peso dal-la personale sua autorità determinar le fluttuanti risolu-zioni d'una importante Provincia. Egli diede udienzaagli ambasciatori del Tiranno, con cui fu dopo accusatodi avere tenuta una segreta corrispondenza255, e l'Impe-ratore Costanzo più volte assicurò il suo carissimo pa-dre, il Reverendissimo Atanasio, che nonostante i mali-ziosi romori, che si facevan girare attorno dai comuniloro nemici, aveva egli ereditato i sentimenti ugualmen-te che il trono del suo defunto fratello256. La gratitudinee l'umanità avrebbero disposto il Primate dell'Egitto adeplorare l'acerbo fato di Costante e ad abborrire il de-litto di Magnenzio; ma vedendo egli chiaramente che leapprensioni di Costanzo erano l'unica sua salvaguardia,ciò potè forse un poco diminuire il fervor delle sue pre-

255Atanasio (Tom. I. pag. 677-678.) difende la sua innocenza con patetichequerele, con solenni asserzioni, e con ispeciosi argomenti. Egli conviene cheerano state finte delle lettere in suo nome, ma domanda che siano esaminati isuoi segretarj e quelli del Tiranno, per conoscer se quelle lettere fossero statescritte dai primi, o dagli altri ricevute.

256Atanasio Tom. I. p. 825-844.

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[A. D. 351]Ma quel suddito, che ha ridotto il suo Principe alla

necessità di dissimulare, non può mai sperare un sinceroe durevol perdono; e la tragica morte di Costante benpresto privò Atanasio di un potente e liberal protettore.La guerra civile fra l'assassino e l'unico superstite fratel-lo di Costante, che afflisse l'Impero più di tre anni, assi-curò un intervallo di riposo alla Chiesa Cattolica; e cia-scheduna delle contendenti due parti desiderava di con-ciliarsi l'amicizia d'un Vescovo, che poteva col peso dal-la personale sua autorità determinar le fluttuanti risolu-zioni d'una importante Provincia. Egli diede udienzaagli ambasciatori del Tiranno, con cui fu dopo accusatodi avere tenuta una segreta corrispondenza255, e l'Impe-ratore Costanzo più volte assicurò il suo carissimo pa-dre, il Reverendissimo Atanasio, che nonostante i mali-ziosi romori, che si facevan girare attorno dai comuniloro nemici, aveva egli ereditato i sentimenti ugualmen-te che il trono del suo defunto fratello256. La gratitudinee l'umanità avrebbero disposto il Primate dell'Egitto adeplorare l'acerbo fato di Costante e ad abborrire il de-litto di Magnenzio; ma vedendo egli chiaramente che leapprensioni di Costanzo erano l'unica sua salvaguardia,ciò potè forse un poco diminuire il fervor delle sue pre-

255Atanasio (Tom. I. pag. 677-678.) difende la sua innocenza con patetichequerele, con solenni asserzioni, e con ispeciosi argomenti. Egli conviene cheerano state finte delle lettere in suo nome, ma domanda che siano esaminati isuoi segretarj e quelli del Tiranno, per conoscer se quelle lettere fossero statescritte dai primi, o dagli altri ricevute.

256Atanasio Tom. I. p. 825-844.

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ghiere pel buon successo della giusta causa. Non si me-ditava più la rovina di Atanasio dall'oscura malizia dipochi spigolistri od iracondi Vescovi, che abusasserodell'autorità d'un credulo Principe, ma il Monarca mede-simo dichiarò la risoluzione, che aveva sì lungamentenascosta, di vendicare i privati suoi torti257: ed il primoinverno dopo la sua vittoria, che egli passò in Arles, fuimpiegato contro un nemico per esso più odioso, che ilsoggiogato tiranno della Gallia.

[A. D. 353-355]Se l'Imperatore avesse capricciosamente determinata

la morte del più sublime e virtuoso cittadino della Re-pubblica, si sarebbe eseguito, senza esitare, dai ministridell'aperta violenza o della speciosa ingiustizia il crude-le comando. La cautela, la dilazione, la difficoltà, concui egli procedè nel condannare e punire un Vescovopopolare, manifestò al Mondo, che i privilegi dellaChiesa avevan già fatto risorgere nel governo Romanoun sentimento d'ordine e di libertà. La sentenza, pronun-ziata nel Concilio di Tiro e soscritta da un gran numerodi Vescovi Orientali, non si era mai espressamente rivo-cata; e siccome Atanasio era stato una volta depostodall'Episcopal dignità per giudizio dei suoi confratelli,ogni successivo atto poteva considerarsi come irregolareed eziandio colpevole. Ma la memoria del costante ed

257Atanas. Tom. I. p. 861. Teodoreto l. II. c. 16. L'Imperatore si protestò,che egli desiderava più di sottomettere Atanasio, di quel che avesse bramato divincer Magnenzio o Silvano.

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ghiere pel buon successo della giusta causa. Non si me-ditava più la rovina di Atanasio dall'oscura malizia dipochi spigolistri od iracondi Vescovi, che abusasserodell'autorità d'un credulo Principe, ma il Monarca mede-simo dichiarò la risoluzione, che aveva sì lungamentenascosta, di vendicare i privati suoi torti257: ed il primoinverno dopo la sua vittoria, che egli passò in Arles, fuimpiegato contro un nemico per esso più odioso, che ilsoggiogato tiranno della Gallia.

[A. D. 353-355]Se l'Imperatore avesse capricciosamente determinata

la morte del più sublime e virtuoso cittadino della Re-pubblica, si sarebbe eseguito, senza esitare, dai ministridell'aperta violenza o della speciosa ingiustizia il crude-le comando. La cautela, la dilazione, la difficoltà, concui egli procedè nel condannare e punire un Vescovopopolare, manifestò al Mondo, che i privilegi dellaChiesa avevan già fatto risorgere nel governo Romanoun sentimento d'ordine e di libertà. La sentenza, pronun-ziata nel Concilio di Tiro e soscritta da un gran numerodi Vescovi Orientali, non si era mai espressamente rivo-cata; e siccome Atanasio era stato una volta depostodall'Episcopal dignità per giudizio dei suoi confratelli,ogni successivo atto poteva considerarsi come irregolareed eziandio colpevole. Ma la memoria del costante ed

257Atanas. Tom. I. p. 861. Teodoreto l. II. c. 16. L'Imperatore si protestò,che egli desiderava più di sottomettere Atanasio, di quel che avesse bramato divincer Magnenzio o Silvano.

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efficace aiuto, che il Primate dell'Egitto avea trattodall'attaccamento della Chiesa Occidentale, impegnòCostanzo a sospendere l'esecuzione della sentenza, fi-nattantochè non fossero in essa concorsi anche i VescoviLatini. Si consumarono due anni in Ecclesiastiche nego-ziazioni; e fu solennemente discussa l'importante causafra l'Imperatore ed uno dei suoi sudditi, prima nel Sino-do di Arles, e poi nel gran Concilio di Milano258, ch'eracomposto di più di trecento Vescovi. Si cercò appocoappoco di sovvertire la loro integrità con gli argomentidegli Arriani, con la destrezza degli Eunuchi, e con lepressanti sollecitazioni di un Principe, che soddisfacevala sua vendetta a spese della sua dignità, e pubblicava leproprie passioni mentre influiva su quelle del Clero. Siadoperò con successo la corruzione, che è il più infalli-bil sintomo della libertà costituzionale; si offerirono, e siaccettarono onori, doni ed immunità, come prezzo d'unvoto Episcopale259; e fu artificiosamente rappresentata lacondanna del Primate Alessandrino, come l'unico mezzoche restituir potesse la pace e l'unione alla Chiesa Catto-lica. Gli amici però d'Atanasio non abbandonarono il lor

258Gli affari del Concilio di Milano son tanto imperfettamente ed erronea-mente riferiti dai Greci Autori, che ci deve riuscir grato il supplemento di alcu-ne lettere d'Eusebio, che il Baronio ha estratte dagli archivi della Chiesa diVercelli, e di un'antica vita di Dionisio di Milano, pubblicata dal Bollando.Ved. Baron. An. 355. e Tillemont T. VII. p. 1415.

259Gli onori, i presenti, i conviti, che sedussero tanti Vescovi, vengono conindegnazione mentovati da quelli che troppo eran puri o troppo superbi per nonaccettarli. «Noi combattiamo (dice Ilario di Poitiers) contro l'anticristo Costan-zo, che invece di battere il dorso, solletica il ventre» qui non dorsa coedit, sedventrem palpat. Hilar. contr. Constant. c. 5. p. 1240.

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efficace aiuto, che il Primate dell'Egitto avea trattodall'attaccamento della Chiesa Occidentale, impegnòCostanzo a sospendere l'esecuzione della sentenza, fi-nattantochè non fossero in essa concorsi anche i VescoviLatini. Si consumarono due anni in Ecclesiastiche nego-ziazioni; e fu solennemente discussa l'importante causafra l'Imperatore ed uno dei suoi sudditi, prima nel Sino-do di Arles, e poi nel gran Concilio di Milano258, ch'eracomposto di più di trecento Vescovi. Si cercò appocoappoco di sovvertire la loro integrità con gli argomentidegli Arriani, con la destrezza degli Eunuchi, e con lepressanti sollecitazioni di un Principe, che soddisfacevala sua vendetta a spese della sua dignità, e pubblicava leproprie passioni mentre influiva su quelle del Clero. Siadoperò con successo la corruzione, che è il più infalli-bil sintomo della libertà costituzionale; si offerirono, e siaccettarono onori, doni ed immunità, come prezzo d'unvoto Episcopale259; e fu artificiosamente rappresentata lacondanna del Primate Alessandrino, come l'unico mezzoche restituir potesse la pace e l'unione alla Chiesa Catto-lica. Gli amici però d'Atanasio non abbandonarono il lor

258Gli affari del Concilio di Milano son tanto imperfettamente ed erronea-mente riferiti dai Greci Autori, che ci deve riuscir grato il supplemento di alcu-ne lettere d'Eusebio, che il Baronio ha estratte dagli archivi della Chiesa diVercelli, e di un'antica vita di Dionisio di Milano, pubblicata dal Bollando.Ved. Baron. An. 355. e Tillemont T. VII. p. 1415.

259Gli onori, i presenti, i conviti, che sedussero tanti Vescovi, vengono conindegnazione mentovati da quelli che troppo eran puri o troppo superbi per nonaccettarli. «Noi combattiamo (dice Ilario di Poitiers) contro l'anticristo Costan-zo, che invece di battere il dorso, solletica il ventre» qui non dorsa coedit, sedventrem palpat. Hilar. contr. Constant. c. 5. p. 1240.

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Capo o la loro causa. Tanto nelle pubbliche disputequanto nelle conferenze private coll'Imperatore, essi conuno spirito virile, che dalla santità del loro carattere sirendeva meno pericoloso, sostennero l'obbligo eterno digiustizia e di religione. Dichiararono, che nè la speranzadel suo favore, nè il timore della sua disgrazia gli avreb-be potuti mai indurre ad unirsi nella condanna d'un in-nocente, lontano, e rispettabil fratello260. Affermavanocon apparente ragione, che gl'illegittimi ed antiquati de-creti del Concilio di Tiro erano stati già da lungo tempotacitamente aboliti dagli editti Imperiali, dall'onorevolristabilimento dell'Arcivescovo d'Alessandria, e dal si-lenzio o dalla ritrattazione dei suoi più clamorosi avver-sarj. Adducevano ch'erasi attestata la sua innocenza daiconcordi Vescovi dell'Egitto, e ch'era stata riconosciutane' Concilj di Roma e di Sardica261 dall'imparziale giudi-zio della Chiesa Latina. Deploravan la dura condiziond'Atanasio, che dopo d'aver per tanti anni goduto la pro-pria Sede, la riputazione, e l'apparente confidenza delsuo Sovrano, fosse di nuovo chiamato a confutare le piùinsussistenti e stravaganti accuse. Il loro linguaggio era

260Si dice qualche cosa di tale opposizione da Ammiano (XV. 7.) che avevauna cognizione molto oscura o superficiale dell'Istoria Ecclesiastica: Libe-rius... perseveranter renitebatur, nec visum hominem nec auditum damnare ne-fas ultimum saepe exclamans, aperte scilicet recalcitrans Imperatoris arbitrio.Id enim ille Athanasio semper infestus etc.

261Più propriamente però dalla parte ortodossa del Concilio Sardicense. Se iVescovi di ambe le parti avessero secondo le regole reso i voti, la differenzasarebbe stata da 94 a 76. Il Tillemont (vedi Tom. VIII. pag. 1147. 1158.) giu-stamente si maraviglia che sì piccola superiorità procedesse con tanto vigorecontro gli avversarj, il Capo dei quali immediatamente fu deposto.

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Capo o la loro causa. Tanto nelle pubbliche disputequanto nelle conferenze private coll'Imperatore, essi conuno spirito virile, che dalla santità del loro carattere sirendeva meno pericoloso, sostennero l'obbligo eterno digiustizia e di religione. Dichiararono, che nè la speranzadel suo favore, nè il timore della sua disgrazia gli avreb-be potuti mai indurre ad unirsi nella condanna d'un in-nocente, lontano, e rispettabil fratello260. Affermavanocon apparente ragione, che gl'illegittimi ed antiquati de-creti del Concilio di Tiro erano stati già da lungo tempotacitamente aboliti dagli editti Imperiali, dall'onorevolristabilimento dell'Arcivescovo d'Alessandria, e dal si-lenzio o dalla ritrattazione dei suoi più clamorosi avver-sarj. Adducevano ch'erasi attestata la sua innocenza daiconcordi Vescovi dell'Egitto, e ch'era stata riconosciutane' Concilj di Roma e di Sardica261 dall'imparziale giudi-zio della Chiesa Latina. Deploravan la dura condiziond'Atanasio, che dopo d'aver per tanti anni goduto la pro-pria Sede, la riputazione, e l'apparente confidenza delsuo Sovrano, fosse di nuovo chiamato a confutare le piùinsussistenti e stravaganti accuse. Il loro linguaggio era

260Si dice qualche cosa di tale opposizione da Ammiano (XV. 7.) che avevauna cognizione molto oscura o superficiale dell'Istoria Ecclesiastica: Libe-rius... perseveranter renitebatur, nec visum hominem nec auditum damnare ne-fas ultimum saepe exclamans, aperte scilicet recalcitrans Imperatoris arbitrio.Id enim ille Athanasio semper infestus etc.

261Più propriamente però dalla parte ortodossa del Concilio Sardicense. Se iVescovi di ambe le parti avessero secondo le regole reso i voti, la differenzasarebbe stata da 94 a 76. Il Tillemont (vedi Tom. VIII. pag. 1147. 1158.) giu-stamente si maraviglia che sì piccola superiorità procedesse con tanto vigorecontro gli avversarj, il Capo dei quali immediatamente fu deposto.

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specioso, ed onorata la loro condotta; ma in questa lun-ga ed ostinata contesa, che attirava gli occhi di tuttol'Impero sopra d'un solo Vescovo, le fazioni Ecclesiasti-che eran pronte a sacrificare la verità e la giustizia al piùinteressante oggetto di difendere o di deporre l'intrepidocampione della fede Nicena. Gli Arriani sempre stima-ron prudente consiglio quello di mascherare con ambi-gue parole i veri lor sentimenti e disegni: ma i VescoviOrtodossi, armati dal favore del Popolo e da' decretid'un Concilio generale, in ogni occasione, e specialmen-te a Milano, insisterono che i loro avversari purgasser sestessi dal sospetto di eresia, prima di pretendere d'attac-car la condotta del grande Atanasio262.

[A. D. 355]Ma la voce della ragione (se pur la ragione era vera-

mente dalla parte d'Atanasio) fu soppressa dai clamorid'un fazioso e venale partito; e non si sciolsero i Conciljd'Arles e di Milano, finattantochè l'Arcivescovo di Ales-sandria non fu solennemente condannato e deposto dalgiudizio della Chiesa Occidentale non meno chedell'Orientale. A' Vescovi, che opposti s'erano alla sen-tenza, fu richiesta di sottoscriverla, e di unirsi con reli-giosa comunione a' sospetti Capi della parte contraria.Fu mandata, per mezzo de' nunzi pubblici, una formoladi consenso a' Vescovi assenti; e tutti quelli che ricusa-rono di sottometter la privata loro opinione alla pubblica

262Sulpic. Sever. in Hist. Sacr. l. II p. 412.

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specioso, ed onorata la loro condotta; ma in questa lun-ga ed ostinata contesa, che attirava gli occhi di tuttol'Impero sopra d'un solo Vescovo, le fazioni Ecclesiasti-che eran pronte a sacrificare la verità e la giustizia al piùinteressante oggetto di difendere o di deporre l'intrepidocampione della fede Nicena. Gli Arriani sempre stima-ron prudente consiglio quello di mascherare con ambi-gue parole i veri lor sentimenti e disegni: ma i VescoviOrtodossi, armati dal favore del Popolo e da' decretid'un Concilio generale, in ogni occasione, e specialmen-te a Milano, insisterono che i loro avversari purgasser sestessi dal sospetto di eresia, prima di pretendere d'attac-car la condotta del grande Atanasio262.

[A. D. 355]Ma la voce della ragione (se pur la ragione era vera-

mente dalla parte d'Atanasio) fu soppressa dai clamorid'un fazioso e venale partito; e non si sciolsero i Conciljd'Arles e di Milano, finattantochè l'Arcivescovo di Ales-sandria non fu solennemente condannato e deposto dalgiudizio della Chiesa Occidentale non meno chedell'Orientale. A' Vescovi, che opposti s'erano alla sen-tenza, fu richiesta di sottoscriverla, e di unirsi con reli-giosa comunione a' sospetti Capi della parte contraria.Fu mandata, per mezzo de' nunzi pubblici, una formoladi consenso a' Vescovi assenti; e tutti quelli che ricusa-rono di sottometter la privata loro opinione alla pubblica

262Sulpic. Sever. in Hist. Sacr. l. II p. 412.

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ed inspirata sapienza dei Concilj d'Arles e di Milano, fu-rono immediatamente banditi dall'Imperatore, che affet-tava d'eseguire i decreti della Chiesa Cattolica. Fra que'Prelati, che conducevan l'onorevol drappello dei confes-sori e degli esuli, meritan d'essere particolarmente di-stinti Liberio di Roma, Osio di Cordova, Paolino di Tre-veri, Dionisio di Milano, Eusebio di Vercelli, Luciferodi Cagliari, ed Ilario di Poitiers. L'eminente posto di Li-berio, che governava la Capital dell'Impero, ed il meritopersonale e la lunga esperienza del venerabile Osio, chesi rispettava come il favorito del Gran Costantino ed ilpadre della fede Nicena, ponevano questi due Prelatialla testa della Chiesa Latina, ed il loro esempio di som-missione e di resistenza si sarebbe probabilmente imita-to dalla turba de' Vescovi. Ma i replicati sforzidell'Imperatore per sedurre o per intimorire i Vescovi diRoma e di Cordova riuscirono per qualche tempo ineffi-caci. Lo Spagnuolo si dichiarò pronto a soffrire sottoCostanzo, come sessant'anni avanti aveva sofferto sottoMassimiano suo avo. Il Romano sostenne in presenzadel Principe l'innocenza d'Atanasio e la propria sua li-bertà. Quando fu mandato in esilio a Berea nella Tracia,rimandò indietro una grossa somma, che gli era stata of-ferta per le spese del viaggio; ed insultò la Corte di Mi-lano con l'orgogliosa riflessione, che l'Imperatore ed isuoi Eunuchi potevano aver bisogno di quell'oro per pa-gare i loro soldati, ed i loro Vescovi263. La fermezza però

263Ammiano XV. 5. fa menzione dell'esilio di Liberio. Vedi Teodoreto l. II.c. 16. Atanas. T. I. p. 834. 837. Ilar. Fragm. I.

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ed inspirata sapienza dei Concilj d'Arles e di Milano, fu-rono immediatamente banditi dall'Imperatore, che affet-tava d'eseguire i decreti della Chiesa Cattolica. Fra que'Prelati, che conducevan l'onorevol drappello dei confes-sori e degli esuli, meritan d'essere particolarmente di-stinti Liberio di Roma, Osio di Cordova, Paolino di Tre-veri, Dionisio di Milano, Eusebio di Vercelli, Luciferodi Cagliari, ed Ilario di Poitiers. L'eminente posto di Li-berio, che governava la Capital dell'Impero, ed il meritopersonale e la lunga esperienza del venerabile Osio, chesi rispettava come il favorito del Gran Costantino ed ilpadre della fede Nicena, ponevano questi due Prelatialla testa della Chiesa Latina, ed il loro esempio di som-missione e di resistenza si sarebbe probabilmente imita-to dalla turba de' Vescovi. Ma i replicati sforzidell'Imperatore per sedurre o per intimorire i Vescovi diRoma e di Cordova riuscirono per qualche tempo ineffi-caci. Lo Spagnuolo si dichiarò pronto a soffrire sottoCostanzo, come sessant'anni avanti aveva sofferto sottoMassimiano suo avo. Il Romano sostenne in presenzadel Principe l'innocenza d'Atanasio e la propria sua li-bertà. Quando fu mandato in esilio a Berea nella Tracia,rimandò indietro una grossa somma, che gli era stata of-ferta per le spese del viaggio; ed insultò la Corte di Mi-lano con l'orgogliosa riflessione, che l'Imperatore ed isuoi Eunuchi potevano aver bisogno di quell'oro per pa-gare i loro soldati, ed i loro Vescovi263. La fermezza però

263Ammiano XV. 5. fa menzione dell'esilio di Liberio. Vedi Teodoreto l. II.c. 16. Atanas. T. I. p. 834. 837. Ilar. Fragm. I.

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di Liberio e d'Osio finalmente fu superata da' travaglidell'esilio e del confino. Il Pontefice Romano comprò ilsuo ritorno a prezzo di alcune ree condiscendenze, edopo espiò con opportuna penitenza la propria colpa.S'impiegarono la persuasione e la violenza per estorcerela ripugnante soscrizione del decrepito Vescovo di Cor-dova, di cui s'opprimeva la forza, e di cui erano proba-bilmente indebolite le facoltà dal peso di cent'anni; el'insolente trionfo degli Arriani provocò alcuni dellaparte ortodossa a trattare con inumano rigore il caratte-re, o piuttosto la memoria di un infelice vecchio, agliantichi servigi del quale tanto doveva il Cristianesimostesso264.

La caduta di Liberio e d'Osio diede un più splendidolustro alla fermezza di que' Vescovi, che si mantenneroaderenti con incorrotta fedeltà alla causa di Atanasio edella verità religiosa. L'ingegnosa malizia dei loro nemi-ci gli aveva privati del benefizio de' vicendevoli confortied avvisi, avea separato quegl'illustri esuli in distantiprovince, e scelto a bella posta i luoghi più inospiti d'ungrand'Impero265. Contuttocciò essi tosto provarono, che i

264Si è compilata la vita d'Osio dal Tillemont (T. VII. p. 524-561), che ne'termini più stravaganti a principio ammira, e quindi condanna il Vescovo diCordova. Fra le querele d'Atanasio e d'Ilario intorno alla sua caduta, può di-stinguersi la prudenza del primo dal cieco e sfrenato zelo del secondo.

265I Confessori dell'Occidente furono rilegati ne' deserti dell'Arabia o dellaTebaide, e successivamente nelle solitudini del Monte Tauro, nelle parti più de-serte della Frigia, che erano occupate dagli empi Montanisti ec. Quando l'ereti-co Aezio era troppo favorevolmente trattato a Mopsuestia nella Cilicia, gli fucangiato, per consiglio d'Acacio, l'esilio, trasferendolo ad Amblada, luogo abi-tato da' Selvaggi, ed infestato dalla guerra e dalla peste. Filostor. l. V. c. 2.

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di Liberio e d'Osio finalmente fu superata da' travaglidell'esilio e del confino. Il Pontefice Romano comprò ilsuo ritorno a prezzo di alcune ree condiscendenze, edopo espiò con opportuna penitenza la propria colpa.S'impiegarono la persuasione e la violenza per estorcerela ripugnante soscrizione del decrepito Vescovo di Cor-dova, di cui s'opprimeva la forza, e di cui erano proba-bilmente indebolite le facoltà dal peso di cent'anni; el'insolente trionfo degli Arriani provocò alcuni dellaparte ortodossa a trattare con inumano rigore il caratte-re, o piuttosto la memoria di un infelice vecchio, agliantichi servigi del quale tanto doveva il Cristianesimostesso264.

La caduta di Liberio e d'Osio diede un più splendidolustro alla fermezza di que' Vescovi, che si mantenneroaderenti con incorrotta fedeltà alla causa di Atanasio edella verità religiosa. L'ingegnosa malizia dei loro nemi-ci gli aveva privati del benefizio de' vicendevoli confortied avvisi, avea separato quegl'illustri esuli in distantiprovince, e scelto a bella posta i luoghi più inospiti d'ungrand'Impero265. Contuttocciò essi tosto provarono, che i

264Si è compilata la vita d'Osio dal Tillemont (T. VII. p. 524-561), che ne'termini più stravaganti a principio ammira, e quindi condanna il Vescovo diCordova. Fra le querele d'Atanasio e d'Ilario intorno alla sua caduta, può di-stinguersi la prudenza del primo dal cieco e sfrenato zelo del secondo.

265I Confessori dell'Occidente furono rilegati ne' deserti dell'Arabia o dellaTebaide, e successivamente nelle solitudini del Monte Tauro, nelle parti più de-serte della Frigia, che erano occupate dagli empi Montanisti ec. Quando l'ereti-co Aezio era troppo favorevolmente trattato a Mopsuestia nella Cilicia, gli fucangiato, per consiglio d'Acacio, l'esilio, trasferendolo ad Amblada, luogo abi-tato da' Selvaggi, ed infestato dalla guerra e dalla peste. Filostor. l. V. c. 2.

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deserti della Libia, e le più selvagge regioni della Cap-padocia erano meno incomode, che la dimora in quellecittà, dove un Vescovo Arriano poteva saziare senza ri-tegno la squisita malignità dell'odio teologico266. Essiperò traevan motivo di consolarsi dalla coscienza dellapropria rettitudine e indipendenza; dall'applauso, dallelettere, dalle visite, e dalle liberali elemosine dei loroaderenti267; e dalla soddisfazione che spesso avevano divedere le interne divisioni dei nemici della fede Nicena.Tal era il minuto e capriccioso gusto dell'Imperator Co-stanzo, e sì facilmente egli offendevasi per la più tenuedeviazione dal suo immaginario sistema di verità Cri-stiana, che perseguitava con ugual zelo quelli che soste-nevano la consustanzialità, quelli che difendevan la si-mil sostanza, e quelli che negavan la somiglianza del Fi-glio di Dio. Potevano per avventura trovarsi nel medesi-mo luogo tre Vescovi deposti e banditi per quelle con-trarie opinioni; e secondo la diversità del loro pensarepotevan compatire, o insultare il cieco entusiasmo de'loro avversari, i presenti patimenti dei quali non dove-vano mai venir compensati dalla futura felicità.

[A. D. 356]La disgrazia e l'esilio de' Vescovi ortodossi dell'Occi-266Vedasi il crudel trattamento e la strana ostinazione d'Eusebio, nelle sue

proprie lettere pubblicate dal Baronio an. 356. n. 92-102.267Ceterum exules satis constat totius orbis studiis celebratos, pecuniasque

eis in sumptum affatim congestas, legationibus quoque eos plebis catholica exomnibus fere Provinciis frequentatos. Sulp. Sev. Hist. Sacr. p. 414. Atanas. T. I.p. 836. 840.

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deserti della Libia, e le più selvagge regioni della Cap-padocia erano meno incomode, che la dimora in quellecittà, dove un Vescovo Arriano poteva saziare senza ri-tegno la squisita malignità dell'odio teologico266. Essiperò traevan motivo di consolarsi dalla coscienza dellapropria rettitudine e indipendenza; dall'applauso, dallelettere, dalle visite, e dalle liberali elemosine dei loroaderenti267; e dalla soddisfazione che spesso avevano divedere le interne divisioni dei nemici della fede Nicena.Tal era il minuto e capriccioso gusto dell'Imperator Co-stanzo, e sì facilmente egli offendevasi per la più tenuedeviazione dal suo immaginario sistema di verità Cri-stiana, che perseguitava con ugual zelo quelli che soste-nevano la consustanzialità, quelli che difendevan la si-mil sostanza, e quelli che negavan la somiglianza del Fi-glio di Dio. Potevano per avventura trovarsi nel medesi-mo luogo tre Vescovi deposti e banditi per quelle con-trarie opinioni; e secondo la diversità del loro pensarepotevan compatire, o insultare il cieco entusiasmo de'loro avversari, i presenti patimenti dei quali non dove-vano mai venir compensati dalla futura felicità.

[A. D. 356]La disgrazia e l'esilio de' Vescovi ortodossi dell'Occi-266Vedasi il crudel trattamento e la strana ostinazione d'Eusebio, nelle sue

proprie lettere pubblicate dal Baronio an. 356. n. 92-102.267Ceterum exules satis constat totius orbis studiis celebratos, pecuniasque

eis in sumptum affatim congestas, legationibus quoque eos plebis catholica exomnibus fere Provinciis frequentatos. Sulp. Sev. Hist. Sacr. p. 414. Atanas. T. I.p. 836. 840.

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dente furono come tanti passi per preparar la rovinad'Atanasio medesimo268. Eran ventisei mesi da che laCorte Imperiale con le più insidiose arti segretamenteprocurava di allontanarlo dalla città di Alessandria, e ditogliergli quei comodi, che davano luogo alla sua popo-lare liberalità. Ma quando il Primate dell'Egitto, abban-donato e proscritto dalla Chiesa Latina, restò privod'ogni straniero soccorso, Costanzo mandò due suoi se-gretari con la verbal commissione d'annunziare, e d'ese-guir l'ordine del suo esilio. Siccome pubblicamente siconveniva da ogni parte della giustizia della sentenza,l'unico motivo, che potè ritener Costanzo dal dare a'suoi messi il mandato in iscritto, non può attribuirsi cheal dubbio che egli avea dell'evento, e ad una cognizionedel pericolo, a cui poteva esporre la seconda Città e lapiù fertil provincia dell'Impero, se il popolo avesse per-sistito nella risoluzione di difendere a forza d'armel'innocenza del proprio Padre spirituale. Tal estremacautela somministrò ad Atanasio uno specioso pretestodi rispettosamente porre in dubbio la verità di un co-mando, che ei non potea conciliare nè coll'equità, nè conle precedenti dichiarazioni del grazioso suo Principe. Lapotestà civile dell'Egitto non si trovò capace di persua-dere o di costringere il Primate ad abbandonar l'Episco-

268Posson trovarsi ampi materiali per l'istoria di questa terza persecuzioned'Atanasio nelle proprie sue opere. Vedasi particolarmente la sua molto bellaApologia a Costanzo T. I. p. 673, la prima Apologia per la sua fuga p. 701, lasua lunga lettera a' Solitarj p. 808, e la protesta originale del popolo d'Alessan-dria contro le violenze commesse da Siriano p. 866. Sozomeno (l. IV. c. 9.) hainserito nella sua narrazione due o tre luminose ed importanti circostanze.

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dente furono come tanti passi per preparar la rovinad'Atanasio medesimo268. Eran ventisei mesi da che laCorte Imperiale con le più insidiose arti segretamenteprocurava di allontanarlo dalla città di Alessandria, e ditogliergli quei comodi, che davano luogo alla sua popo-lare liberalità. Ma quando il Primate dell'Egitto, abban-donato e proscritto dalla Chiesa Latina, restò privod'ogni straniero soccorso, Costanzo mandò due suoi se-gretari con la verbal commissione d'annunziare, e d'ese-guir l'ordine del suo esilio. Siccome pubblicamente siconveniva da ogni parte della giustizia della sentenza,l'unico motivo, che potè ritener Costanzo dal dare a'suoi messi il mandato in iscritto, non può attribuirsi cheal dubbio che egli avea dell'evento, e ad una cognizionedel pericolo, a cui poteva esporre la seconda Città e lapiù fertil provincia dell'Impero, se il popolo avesse per-sistito nella risoluzione di difendere a forza d'armel'innocenza del proprio Padre spirituale. Tal estremacautela somministrò ad Atanasio uno specioso pretestodi rispettosamente porre in dubbio la verità di un co-mando, che ei non potea conciliare nè coll'equità, nè conle precedenti dichiarazioni del grazioso suo Principe. Lapotestà civile dell'Egitto non si trovò capace di persua-dere o di costringere il Primate ad abbandonar l'Episco-

268Posson trovarsi ampi materiali per l'istoria di questa terza persecuzioned'Atanasio nelle proprie sue opere. Vedasi particolarmente la sua molto bellaApologia a Costanzo T. I. p. 673, la prima Apologia per la sua fuga p. 701, lasua lunga lettera a' Solitarj p. 808, e la protesta originale del popolo d'Alessan-dria contro le violenze commesse da Siriano p. 866. Sozomeno (l. IV. c. 9.) hainserito nella sua narrazione due o tre luminose ed importanti circostanze.

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pale sua sede; e fu costretta a concludere un trattato coipopolari Capi d'Alessandria, in cui fu stipulato che si so-spendessero tutte le processure ed ostilità, finchè non sifosse più distintamente saputa la volontà dell'Imperato-re. Con tale apparente moderazione i Cattolici furonoartificiosamente indotti ad una falsa e fatal sicurezza;mentre le legioni dell'Egitto Superiore, e della Libia siavanzavano per segreti ordini, e con precipitose marcead assediare, o piuttosto a sorprendere una Capitale, abi-tuata alla sedizione ed accesa da religioso zelo269. La si-tuazione d'Alessandria fra il mare ed il lago Mareotide,facilitò l'avvicinamento e lo sbarco delle truppe, che fu-rono introdotte nel cuore della città, prima che alcunopotesse prendere veruna efficace risoluzione o di chiu-der le porte, o d'occupare i posti di difesa importanti.Alla mezza notte, ventitre giorni dopo la soscrizione deltrattato, Siriano, Duce dell'Egitto, alla testa di cinquemi-la soldati armati e pronti all'assalto, inaspettatamente in-vestì la Chiesa di S. Teonas, dove l'Arcivescovo con unaparte del Clero e del Popolo celebrava gli uffizi notturni.Le porte del sacro edifizio cederono all'impetodell'attacco, il quale fu accompagnato da ogni più orridacircostanza di tumulto e di strage; ma siccome i corpidegli uccisi ed i frammenti delle armi dei soldati resta-rono il dì seguente come una indubitata prova in mano

269Atanasio aveva ultimamente mandato per Antonio e per alcuni dei suoiprincipali Monaci. Essi discesero dalla loro montagna, annunziarono agli Ales-sandrini la santità d'Atanasio, ed onorevolmente furono accompagnatidall'Arcivescovo fino alle porte della città. Atan. T. II. p. 491, 492. Vedi ancheRuffino III. 164. Vit. Patr. p. 524.

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pale sua sede; e fu costretta a concludere un trattato coipopolari Capi d'Alessandria, in cui fu stipulato che si so-spendessero tutte le processure ed ostilità, finchè non sifosse più distintamente saputa la volontà dell'Imperato-re. Con tale apparente moderazione i Cattolici furonoartificiosamente indotti ad una falsa e fatal sicurezza;mentre le legioni dell'Egitto Superiore, e della Libia siavanzavano per segreti ordini, e con precipitose marcead assediare, o piuttosto a sorprendere una Capitale, abi-tuata alla sedizione ed accesa da religioso zelo269. La si-tuazione d'Alessandria fra il mare ed il lago Mareotide,facilitò l'avvicinamento e lo sbarco delle truppe, che fu-rono introdotte nel cuore della città, prima che alcunopotesse prendere veruna efficace risoluzione o di chiu-der le porte, o d'occupare i posti di difesa importanti.Alla mezza notte, ventitre giorni dopo la soscrizione deltrattato, Siriano, Duce dell'Egitto, alla testa di cinquemi-la soldati armati e pronti all'assalto, inaspettatamente in-vestì la Chiesa di S. Teonas, dove l'Arcivescovo con unaparte del Clero e del Popolo celebrava gli uffizi notturni.Le porte del sacro edifizio cederono all'impetodell'attacco, il quale fu accompagnato da ogni più orridacircostanza di tumulto e di strage; ma siccome i corpidegli uccisi ed i frammenti delle armi dei soldati resta-rono il dì seguente come una indubitata prova in mano

269Atanasio aveva ultimamente mandato per Antonio e per alcuni dei suoiprincipali Monaci. Essi discesero dalla loro montagna, annunziarono agli Ales-sandrini la santità d'Atanasio, ed onorevolmente furono accompagnatidall'Arcivescovo fino alle porte della città. Atan. T. II. p. 491, 492. Vedi ancheRuffino III. 164. Vit. Patr. p. 524.

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dei Cattolici, così può risguardarsi l'intrapresa di Sirianopiuttosto come una vantaggiosa irruzione, che comeun'assoluta conquista. Le altre Chiese della città profa-nate furono con simili oltraggi: e per lo spazio almenodi quattro mesi Alessandria fu esposta agl'insulti d'un li-cenzioso esercito, stimolato dagli Ecclesiastici diun'ostile fazione. Furono uccisi molti Fedeli, che meritarpotrebbero il nome di martiri, se non si fossero provoca-te nè vendicate le loro morti; si trattarono con crudeleignominia e Vescovi e Preti; furono spogliate nude dellesacre Vergini, battute, e violate; le case di ricchi cittadinifurono poste a sacco; e sotto la maschera di religiosozelo, impunemente, ed eziandio con applauso si soddi-sfecero l'incontinenza, l'avarizia, ed il privato rancore. IPagani d'Alessandria, che formavan sempre un copiosoe malcontento partito, furono facilmente persuasi ad ab-bandonare un Vescovo, che essi temevano insieme e sti-mavano. La speranza di alcuni particolari favori, ed il ti-more di restare involti nelle generali pene di ribellionegl'impegnarono a prometter la loro assistenza al famosoGiorgio di Cappadocia, destinato successor d'Atanasio.L'usurpatore, dopo d'essere stato consacrato da un Sino-do Arriano, fu posto sulla Sede Episcopale dalle armi diSebastiano, che era stato dichiarato Conte d'Egitto pereseguire quell'importante disegno. Il tiranno Giorgio,nell'uso del potere, non meno di quel che aveva fattonell'acquisto di esso, trascurò le leggi della religione,dell'umanità e della giustizia; e le medesime scene diviolenza e di scandalo, che si erano rappresentate nella

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dei Cattolici, così può risguardarsi l'intrapresa di Sirianopiuttosto come una vantaggiosa irruzione, che comeun'assoluta conquista. Le altre Chiese della città profa-nate furono con simili oltraggi: e per lo spazio almenodi quattro mesi Alessandria fu esposta agl'insulti d'un li-cenzioso esercito, stimolato dagli Ecclesiastici diun'ostile fazione. Furono uccisi molti Fedeli, che meritarpotrebbero il nome di martiri, se non si fossero provoca-te nè vendicate le loro morti; si trattarono con crudeleignominia e Vescovi e Preti; furono spogliate nude dellesacre Vergini, battute, e violate; le case di ricchi cittadinifurono poste a sacco; e sotto la maschera di religiosozelo, impunemente, ed eziandio con applauso si soddi-sfecero l'incontinenza, l'avarizia, ed il privato rancore. IPagani d'Alessandria, che formavan sempre un copiosoe malcontento partito, furono facilmente persuasi ad ab-bandonare un Vescovo, che essi temevano insieme e sti-mavano. La speranza di alcuni particolari favori, ed il ti-more di restare involti nelle generali pene di ribellionegl'impegnarono a prometter la loro assistenza al famosoGiorgio di Cappadocia, destinato successor d'Atanasio.L'usurpatore, dopo d'essere stato consacrato da un Sino-do Arriano, fu posto sulla Sede Episcopale dalle armi diSebastiano, che era stato dichiarato Conte d'Egitto pereseguire quell'importante disegno. Il tiranno Giorgio,nell'uso del potere, non meno di quel che aveva fattonell'acquisto di esso, trascurò le leggi della religione,dell'umanità e della giustizia; e le medesime scene diviolenza e di scandalo, che si erano rappresentate nella

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Capitale, ripetute furono in più di novanta città Episco-pali dell'Egitto. Incoraggiato dal successo, Costanzo av-venturossi ad approvare la condotta dei suoi ministri.Con una pubblica e patetica lettera l'Imperatore si con-gratula della liberazione d'Alessandria da un popolare ti-ranno, che ingannava i suoi ciechi devoti colla magiadella sua eloquenza; si diffonde sulle virtù e la pietà delReverendissimo Giorgio, nuovo Vescovo; ed aspira,come avvocato e benefattore della città, a sorpassare lafama d'Alessandro medesimo. Ma solennemente dichia-ra la sua inalterabile risoluzione di perseguitare col ferroe col fuoco i sediziosi aderenti dell'empio Atanasio, chefuggendo dalla giustizia ha confessato il proprio delitto,e si è sottratto all'ignominiosa morte, che tante volteavea meritato270.

Atanasio era in fatti sfuggito al più imminente perico-lo; e le avventure di quest'uomo straordinario meritano efissano la nostra attenzione. In quella memorabile notte,in cui la Chiesa di S. Teonas fu investita dalle truppe diSiriano, l'Arcivescovo, assiso sulla sua cattedra, aspetta-va con tranquilla ed intrepida dignità l'avvicinarsi dellasua morte. Mentre interrompevasi la pubblica devozionedallo strepito della rabbia e dalle grida del terrore, essoanimava quella tremante adunanza ad esprimere la suareligiosa fiducia col cantare un Salmo di David, che ce-lebra il trionfo del Dio d'Israello sul superbo ed empio

270Atanasio Tom. I. p. 694. Nel tempo che l'Imperatore o gli Arriani suoi se-gretari esprimono il loro sdegno, manifestano i timori e la stima che hannod'Atanasio.

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Capitale, ripetute furono in più di novanta città Episco-pali dell'Egitto. Incoraggiato dal successo, Costanzo av-venturossi ad approvare la condotta dei suoi ministri.Con una pubblica e patetica lettera l'Imperatore si con-gratula della liberazione d'Alessandria da un popolare ti-ranno, che ingannava i suoi ciechi devoti colla magiadella sua eloquenza; si diffonde sulle virtù e la pietà delReverendissimo Giorgio, nuovo Vescovo; ed aspira,come avvocato e benefattore della città, a sorpassare lafama d'Alessandro medesimo. Ma solennemente dichia-ra la sua inalterabile risoluzione di perseguitare col ferroe col fuoco i sediziosi aderenti dell'empio Atanasio, chefuggendo dalla giustizia ha confessato il proprio delitto,e si è sottratto all'ignominiosa morte, che tante volteavea meritato270.

Atanasio era in fatti sfuggito al più imminente perico-lo; e le avventure di quest'uomo straordinario meritano efissano la nostra attenzione. In quella memorabile notte,in cui la Chiesa di S. Teonas fu investita dalle truppe diSiriano, l'Arcivescovo, assiso sulla sua cattedra, aspetta-va con tranquilla ed intrepida dignità l'avvicinarsi dellasua morte. Mentre interrompevasi la pubblica devozionedallo strepito della rabbia e dalle grida del terrore, essoanimava quella tremante adunanza ad esprimere la suareligiosa fiducia col cantare un Salmo di David, che ce-lebra il trionfo del Dio d'Israello sul superbo ed empio

270Atanasio Tom. I. p. 694. Nel tempo che l'Imperatore o gli Arriani suoi se-gretari esprimono il loro sdegno, manifestano i timori e la stima che hannod'Atanasio.

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tiranno dell'Egitto. Furono finalmente forzate le porte;fu scaricato un nuvolo di dardi fra il popolo; i soldatiandavan correndo colle spade nude pel Santuario; ed isacri lumi, che ardevano intorno all'altare271, facean ri-flettere il terribile splendore delle loro armature. Atana-sio rigettò sempre la pietosa importunità de' Preti e deiMonaci, attaccati alla sua persona, e nobilmente ricusòdi abbandonare l'Episcopale suo posto, finchè non ebbeposta in sicuro la ritirata di tutta la congregazione.L'oscurità ed il tumulto della notte favoriron la fugadell'Arcivescovo; e quantunque fosse egli oppresso da-gli ondeggiamenti d'un'agitata moltitudine, quantunquefosse gettato a terra, e lasciatovi privo di moto e di sen-si, ricuperò sempre l'indomito suo coraggio, ed elusel'ardente ricerca dei soldati, ai quali si diceva dalle Ar-riane lor guide, che il capo d'Atanasio sarebbe stato ildono più accetto, che avesser potuto fare all'Imperatore.In quel momento il Primate dell'Egitto disparve dagliocchi dei suoi nemici, e rimase più di sei anni celato inun'impenetrabile oscurità272.

[A. D. 336-362]Il dispotico potere dell'implacabile suo nemico pren-

271Tali minute circostanze son curiose per esser letteralmente trascritte dallaprotesta, che tre giorni dopo fu pubblicamente presentata da' Cattolici d'Ales-sandria. Vedi Atanasio T. I. p. 867.

272I Giansenisti hanno spesse volte paragonato Arnaldo con Atanasio, e sison diffusi con piacere sulla fede e sullo zelo, sul merito o sull'esilio di queidue celebri Dottori. Questo coperto paralello vien molto destramente maneg-giato dall'Abbate della Bleterie. Vie de Jov. T. I. p. 130.

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tiranno dell'Egitto. Furono finalmente forzate le porte;fu scaricato un nuvolo di dardi fra il popolo; i soldatiandavan correndo colle spade nude pel Santuario; ed isacri lumi, che ardevano intorno all'altare271, facean ri-flettere il terribile splendore delle loro armature. Atana-sio rigettò sempre la pietosa importunità de' Preti e deiMonaci, attaccati alla sua persona, e nobilmente ricusòdi abbandonare l'Episcopale suo posto, finchè non ebbeposta in sicuro la ritirata di tutta la congregazione.L'oscurità ed il tumulto della notte favoriron la fugadell'Arcivescovo; e quantunque fosse egli oppresso da-gli ondeggiamenti d'un'agitata moltitudine, quantunquefosse gettato a terra, e lasciatovi privo di moto e di sen-si, ricuperò sempre l'indomito suo coraggio, ed elusel'ardente ricerca dei soldati, ai quali si diceva dalle Ar-riane lor guide, che il capo d'Atanasio sarebbe stato ildono più accetto, che avesser potuto fare all'Imperatore.In quel momento il Primate dell'Egitto disparve dagliocchi dei suoi nemici, e rimase più di sei anni celato inun'impenetrabile oscurità272.

[A. D. 336-362]Il dispotico potere dell'implacabile suo nemico pren-

271Tali minute circostanze son curiose per esser letteralmente trascritte dallaprotesta, che tre giorni dopo fu pubblicamente presentata da' Cattolici d'Ales-sandria. Vedi Atanasio T. I. p. 867.

272I Giansenisti hanno spesse volte paragonato Arnaldo con Atanasio, e sison diffusi con piacere sulla fede e sullo zelo, sul merito o sull'esilio di queidue celebri Dottori. Questo coperto paralello vien molto destramente maneg-giato dall'Abbate della Bleterie. Vie de Jov. T. I. p. 130.

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deva tutta l'estensione del Mondo Romano; e l'inaspritoMonarca avea procurato, con una pressantissima letteraai Principi Cristiani dell'Etiopia, di scacciare Atanasioanche dalle più remote e distanti regioni della terra. Fu-rono gli uni dopo gli altri impiegati i Conti, i Prefetti, iTribuni, e gl'interi eserciti per cercare un Vescovo fuggi-tivo; dagli editti Imperiali si eccitò la vigilanza della ci-vile e militar potestà; furono promessi larghi premj achiunque presentasse Atanasio o vivo o morto; e si mi-nacciaron le pene più rigorose a coloro, che avessero ar-dito di proteggere il pubblico nemico273. Ma i desertidella Tebaide in quel tempo eran popolati da una razzadi fieri ma sottomessi fanatici, che preferivano i coman-di del loro Abbate alle leggi del Sovrano. I numerosi di-scepoli di Antonio e di Pacomio riceverono il fuggitivoPrimate come lor padre, ammirarono la pazienza e laumiltà, con la quale s'uniformava ai loro più rigorosiesercizi, raccoglievano tutte le parole che gli cadevan dibocca, come genuine effusioni d'un'inspirata sapienza;ed erano persuasi che le preghiere, i digiuni, e le vigilieloro fossero meno meritorie dello zelo che dimostrava-no, e dei pericoli che affrontavano in difesa della veritàe dell'innocenza274. I Monasteri dell'Egitto eran situati in

273Hinc jam toto orbe profugus Athanasius, nec ullus ei tutus ad latendumsupererat locus. Tribuni, Praefecti, Comites, exercitus quoque adpervestigandum eum moventur edictis Imperialibus; praemia delatoribusproponuntur, si quis eum vivum, si id minus, caput certe Athanasii detulisset.Ruffino l. I. c. 16.

274Gregor. Nazianz. Tom. I. Orat XXI. p. 584-385. Vedi Tillemont Mem.Eccl. Tom. VII. p. 176, 410, 820-880.

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deva tutta l'estensione del Mondo Romano; e l'inaspritoMonarca avea procurato, con una pressantissima letteraai Principi Cristiani dell'Etiopia, di scacciare Atanasioanche dalle più remote e distanti regioni della terra. Fu-rono gli uni dopo gli altri impiegati i Conti, i Prefetti, iTribuni, e gl'interi eserciti per cercare un Vescovo fuggi-tivo; dagli editti Imperiali si eccitò la vigilanza della ci-vile e militar potestà; furono promessi larghi premj achiunque presentasse Atanasio o vivo o morto; e si mi-nacciaron le pene più rigorose a coloro, che avessero ar-dito di proteggere il pubblico nemico273. Ma i desertidella Tebaide in quel tempo eran popolati da una razzadi fieri ma sottomessi fanatici, che preferivano i coman-di del loro Abbate alle leggi del Sovrano. I numerosi di-scepoli di Antonio e di Pacomio riceverono il fuggitivoPrimate come lor padre, ammirarono la pazienza e laumiltà, con la quale s'uniformava ai loro più rigorosiesercizi, raccoglievano tutte le parole che gli cadevan dibocca, come genuine effusioni d'un'inspirata sapienza;ed erano persuasi che le preghiere, i digiuni, e le vigilieloro fossero meno meritorie dello zelo che dimostrava-no, e dei pericoli che affrontavano in difesa della veritàe dell'innocenza274. I Monasteri dell'Egitto eran situati in

273Hinc jam toto orbe profugus Athanasius, nec ullus ei tutus ad latendumsupererat locus. Tribuni, Praefecti, Comites, exercitus quoque adpervestigandum eum moventur edictis Imperialibus; praemia delatoribusproponuntur, si quis eum vivum, si id minus, caput certe Athanasii detulisset.Ruffino l. I. c. 16.

274Gregor. Nazianz. Tom. I. Orat XXI. p. 584-385. Vedi Tillemont Mem.Eccl. Tom. VII. p. 176, 410, 820-880.

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luoghi solitari e deserti, sulla cima delle montagne onelle isole del Nilo; ed il sacro corno o la trombetta diTabenna era il ben noto segno, che faceva riunir più mi-gliaia di robusti e risoluti Monaci, i quali erano stati perla maggior parte villani dell'addiacente campagna.Quando la forza militare giungeva ad invader gli oscuriloro ritiri, non essendo possibile di resistere, tacitamentepiegavano il collo all'esecutore; e sostenevano il proprionazionale carattere, che i tormenti non potevano maistrappar di bocca ad un Egizio la confessione d'un se-greto, ch'egli avesse risoluto di non rivelare275. L'Arcive-scovo d'Alessandria, per la salute del quale sacrificava-no ardentemente le loro vite, perdevasi in mezzo ad unamoltitudine ben disciplinata e uniforme; ed all'avvici-narsi del pericolo le officiose lor mani speditamente lofacevan passare da un nascondiglio in un altro, finchèegli giunse a quei formidabili deserti, che la tenebrosa ecredula natura della superstizione avea popolato di de-monj, e di mostri selvaggi. Il ritiro d'Atanasio, che nonfinì se non con la vita di Costanzo, fu consumato per lamassima parte in compagnia de' Monaci, che fedelmentegli servivano di guardie, di segretari, e di messi; mal'importanza di mantenere una più intima connessionecol partito cattolico lo tentava, qualora diminuiva la dili-genza della persecuzione, ad uscir dal deserto, ad intro-dursi in Alessandria, e ad affidar la propria persona alla

275Et nulla tormentorum vis inveniri adhuc potuit, quae obdurato illiustractus latroni invito elicere potuit, ut nomen proprium dicat. Ammiano, XXII.16 e Vales. IV.

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luoghi solitari e deserti, sulla cima delle montagne onelle isole del Nilo; ed il sacro corno o la trombetta diTabenna era il ben noto segno, che faceva riunir più mi-gliaia di robusti e risoluti Monaci, i quali erano stati perla maggior parte villani dell'addiacente campagna.Quando la forza militare giungeva ad invader gli oscuriloro ritiri, non essendo possibile di resistere, tacitamentepiegavano il collo all'esecutore; e sostenevano il proprionazionale carattere, che i tormenti non potevano maistrappar di bocca ad un Egizio la confessione d'un se-greto, ch'egli avesse risoluto di non rivelare275. L'Arcive-scovo d'Alessandria, per la salute del quale sacrificava-no ardentemente le loro vite, perdevasi in mezzo ad unamoltitudine ben disciplinata e uniforme; ed all'avvici-narsi del pericolo le officiose lor mani speditamente lofacevan passare da un nascondiglio in un altro, finchèegli giunse a quei formidabili deserti, che la tenebrosa ecredula natura della superstizione avea popolato di de-monj, e di mostri selvaggi. Il ritiro d'Atanasio, che nonfinì se non con la vita di Costanzo, fu consumato per lamassima parte in compagnia de' Monaci, che fedelmentegli servivano di guardie, di segretari, e di messi; mal'importanza di mantenere una più intima connessionecol partito cattolico lo tentava, qualora diminuiva la dili-genza della persecuzione, ad uscir dal deserto, ad intro-dursi in Alessandria, e ad affidar la propria persona alla

275Et nulla tormentorum vis inveniri adhuc potuit, quae obdurato illiustractus latroni invito elicere potuit, ut nomen proprium dicat. Ammiano, XXII.16 e Vales. IV.

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discrezione de' suoi aderenti ed amici. Le sue diverseavventure potrebber somministrare il soggetto d'un ro-manzo molto piacevole. Una volta fu esso nascosto inuna cisterna vota, dalla quale appena era uscito, che fupalesato da una schiava276; ed una volta fu celato in unasilo anche più straordinario, in casa cioè d'una Verginedi venti anni, celebre in tutta la città per la sua rara bel-lezza. Sull'ora di mezza notte, com'ella raccontava moltianni dopo, fa sorpresa dalla comparsa dell'Arcivescovoin un negligente abbigliamento, ed avanzandosi essocon veloci passi la scongiurò a dargli un ricovero, cheda una celeste visione gli era stato ordinato di cercaresotto l'ospitale suo tetto. La pietosa fanciulla ricevè ecustodì il sacro deposito, che era stato affidato alla pru-denza ed al coraggio di essa. Senza comunicare il segre-to ad alcuno, subito condusse Atanasio nella più segretasua camera, ed invigilò alla sicurezza di lui con la tene-rezza d'un amica, e coll'assiduità d'una serva. Finattantoche il pericolo continuò, essa lo fornì regolarmente di li-bri e di provvisioni, lavavagli i piedi, l'assisteva nellesue corrispondenze, e destramente celava a qualunqueocchio sospetto questa famigliare, e solitaria conversa-zione fra un Santo, il cui carattere esigeva la più irre-prensibile castità, ed una femmina, le cui grazie poteva-no eccitare i movimenti più pericolosi277. Nei sei anni di

276Ruffino l. I. c. 18. Sozomeno l. IV. c. 10. Questa e la seguente storia di-verranno impossibili, se voglia supporsi che Atanasio continuasse ad abitarsempre nell'asilo che accidentalmente aveva preso.

277Palladio (Hist. Lausiac. c. 136 in vit. Patr. p. 776) che è l'originale autoredi quest'aneddoto, aveva trattato con la fanciulla medesima, che nella sua vec-

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discrezione de' suoi aderenti ed amici. Le sue diverseavventure potrebber somministrare il soggetto d'un ro-manzo molto piacevole. Una volta fu esso nascosto inuna cisterna vota, dalla quale appena era uscito, che fupalesato da una schiava276; ed una volta fu celato in unasilo anche più straordinario, in casa cioè d'una Verginedi venti anni, celebre in tutta la città per la sua rara bel-lezza. Sull'ora di mezza notte, com'ella raccontava moltianni dopo, fa sorpresa dalla comparsa dell'Arcivescovoin un negligente abbigliamento, ed avanzandosi essocon veloci passi la scongiurò a dargli un ricovero, cheda una celeste visione gli era stato ordinato di cercaresotto l'ospitale suo tetto. La pietosa fanciulla ricevè ecustodì il sacro deposito, che era stato affidato alla pru-denza ed al coraggio di essa. Senza comunicare il segre-to ad alcuno, subito condusse Atanasio nella più segretasua camera, ed invigilò alla sicurezza di lui con la tene-rezza d'un amica, e coll'assiduità d'una serva. Finattantoche il pericolo continuò, essa lo fornì regolarmente di li-bri e di provvisioni, lavavagli i piedi, l'assisteva nellesue corrispondenze, e destramente celava a qualunqueocchio sospetto questa famigliare, e solitaria conversa-zione fra un Santo, il cui carattere esigeva la più irre-prensibile castità, ed una femmina, le cui grazie poteva-no eccitare i movimenti più pericolosi277. Nei sei anni di

276Ruffino l. I. c. 18. Sozomeno l. IV. c. 10. Questa e la seguente storia di-verranno impossibili, se voglia supporsi che Atanasio continuasse ad abitarsempre nell'asilo che accidentalmente aveva preso.

277Palladio (Hist. Lausiac. c. 136 in vit. Patr. p. 776) che è l'originale autoredi quest'aneddoto, aveva trattato con la fanciulla medesima, che nella sua vec-

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persecuzione e d'esilio, Atanasio replicò le sue visitealla bella e fedele amica; e l'espressa dichiarazione, cheegli vide i Concilj di Rimini e di Seleucia278, ci obbliga acredere, che ei fosse occultamente presente al tempo enel luogo della loro convocazione. Il vantaggio di tratta-re personalmente co' suoi amici, d'osservar le divisionidegli avversari, e di profittarne, potrebbe giustificare inun prudente politico sì ardita e pericolosa impresa; edAlessandria, mediante il commercio e la navigazione,avea relazioni con ogni porto del Mediterraneo. Dal fon-do dell'inaccessibile suo ritiro, l'intrepido Primate face-va una continua guerra offensiva contro il protettor degliArriani; e gli opportuni suoi scritti, che diligentementesi portavano in giro, e con avidità si leggevano, contri-buivano ad unire e ad animare la parte Ortodossa. Nellesue pubbliche apologie, che indirizzò all'Imperatore me-desimo, alle volte affettava di lodar la moderazione; manel tempo stesso rappresentava Costanzo, nelle sue se-grete e veementi invettive, come un debole e malvagioPrincipe, come il carnefice della sua famiglia, il tirannodella Repubblica, e l'anticristo della Chiesa. Nel colmodella sua prosperità, quel vittorioso Monarca, che aveagastigato la temerità di Gallo, e soppresso la ribellione

chiezza rammentavasi ancora con piacere d'una sì pia ed onorevole conversa-zione. Io non posso ammettere la delicatezza del Baronio, del Valesio, del Til-lemont, che quasi rigettano un racconto, sì indegno (com'essi credono) dellagravità dell'Istoria Ecclesiastica.

278Atanasio Tom. I. p. 869. Io convengo col Tillemont (Tom. VIII. p. 1197),che le sue espressioni indicano una personale, sebbene forse occulta visita aiSinodi.

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persecuzione e d'esilio, Atanasio replicò le sue visitealla bella e fedele amica; e l'espressa dichiarazione, cheegli vide i Concilj di Rimini e di Seleucia278, ci obbliga acredere, che ei fosse occultamente presente al tempo enel luogo della loro convocazione. Il vantaggio di tratta-re personalmente co' suoi amici, d'osservar le divisionidegli avversari, e di profittarne, potrebbe giustificare inun prudente politico sì ardita e pericolosa impresa; edAlessandria, mediante il commercio e la navigazione,avea relazioni con ogni porto del Mediterraneo. Dal fon-do dell'inaccessibile suo ritiro, l'intrepido Primate face-va una continua guerra offensiva contro il protettor degliArriani; e gli opportuni suoi scritti, che diligentementesi portavano in giro, e con avidità si leggevano, contri-buivano ad unire e ad animare la parte Ortodossa. Nellesue pubbliche apologie, che indirizzò all'Imperatore me-desimo, alle volte affettava di lodar la moderazione; manel tempo stesso rappresentava Costanzo, nelle sue se-grete e veementi invettive, come un debole e malvagioPrincipe, come il carnefice della sua famiglia, il tirannodella Repubblica, e l'anticristo della Chiesa. Nel colmodella sua prosperità, quel vittorioso Monarca, che aveagastigato la temerità di Gallo, e soppresso la ribellione

chiezza rammentavasi ancora con piacere d'una sì pia ed onorevole conversa-zione. Io non posso ammettere la delicatezza del Baronio, del Valesio, del Til-lemont, che quasi rigettano un racconto, sì indegno (com'essi credono) dellagravità dell'Istoria Ecclesiastica.

278Atanasio Tom. I. p. 869. Io convengo col Tillemont (Tom. VIII. p. 1197),che le sue espressioni indicano una personale, sebbene forse occulta visita aiSinodi.

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di Silvano, che aveva tolto il diadema di capo a Vetra-nione, e vinto in campagna le legioni di Magnenzio, ri-cevè da mano invisibile una ferita, che egli non potè mainè medicare, nè vendicare; ed il figlio di Costantino fra'Principi Cristiani fu il primo, che provò la forza di queiprincipj, che nelle cause di religione posson resistere aipiù violenti sforzi del potere civile279.

La persecuzione d'Atanasio, e di tanti rispettabili Ve-scovi, che soffrirono per la verità delle loro opinioni, oalmeno per l'integrità della loro coscienza, diede un giu-sto motivo di sdegno e di malcontento a tutti i Cristiani,eccettuati quelli ch'erano ciecamente addetti alla fazioneArriana. I Popoli si dolevano della perdita dei lor fedeliPastori, l'esilio dei quali era per ordinario accompagnatodall'intrusione d'uno straniero280 nella cattedra Episcopa-le; e facevano alti lamenti, che si violasse il diritto d'ele-zione, e che fosser condannati a ubbidire ad un merce-nario usurpatore, di cui era incognita la persona, ed era-no sospetti i principj. I Cattolici procuravano di provareal Mondo, che essi non erano involti nella colpa ed ere-sia dell'Ecclesiastico lor direttore, significando pubbli-

279La lettera d'Atanasio ai Monaci è piena di rimproveri, che il Pubblico deericonoscere per veri; (Vol. I, p. 834. 856), ed in ossequio dei suoi lettori vi haintrodotto i confronti di Faraone, di Acab, di Baldassarre ec. L'ardire d'Ilario fumeno pericoloso, se pubblicò la sua invettiva nella Gallia dopo la rivolta diGiuliano; ma Lucifero mandò i suoi libelli a Costanzo, e quasi acquistò il pre-mio del martirio. Vedi Tillemont T. VII. p. 905.

280Atanasio (Tom. I. p. 811) si duole in generale di questa pratica, di cui dàin seguito un esempio (p. 861) nella pretesa elezione di Felice. Tre Eunuchirappresentavano il Popolo Romano, e tre Prelati che seguivan la Corte, fecerole funzioni dei Vescovi delle Province Suburbicarie.

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di Silvano, che aveva tolto il diadema di capo a Vetra-nione, e vinto in campagna le legioni di Magnenzio, ri-cevè da mano invisibile una ferita, che egli non potè mainè medicare, nè vendicare; ed il figlio di Costantino fra'Principi Cristiani fu il primo, che provò la forza di queiprincipj, che nelle cause di religione posson resistere aipiù violenti sforzi del potere civile279.

La persecuzione d'Atanasio, e di tanti rispettabili Ve-scovi, che soffrirono per la verità delle loro opinioni, oalmeno per l'integrità della loro coscienza, diede un giu-sto motivo di sdegno e di malcontento a tutti i Cristiani,eccettuati quelli ch'erano ciecamente addetti alla fazioneArriana. I Popoli si dolevano della perdita dei lor fedeliPastori, l'esilio dei quali era per ordinario accompagnatodall'intrusione d'uno straniero280 nella cattedra Episcopa-le; e facevano alti lamenti, che si violasse il diritto d'ele-zione, e che fosser condannati a ubbidire ad un merce-nario usurpatore, di cui era incognita la persona, ed era-no sospetti i principj. I Cattolici procuravano di provareal Mondo, che essi non erano involti nella colpa ed ere-sia dell'Ecclesiastico lor direttore, significando pubbli-

279La lettera d'Atanasio ai Monaci è piena di rimproveri, che il Pubblico deericonoscere per veri; (Vol. I, p. 834. 856), ed in ossequio dei suoi lettori vi haintrodotto i confronti di Faraone, di Acab, di Baldassarre ec. L'ardire d'Ilario fumeno pericoloso, se pubblicò la sua invettiva nella Gallia dopo la rivolta diGiuliano; ma Lucifero mandò i suoi libelli a Costanzo, e quasi acquistò il pre-mio del martirio. Vedi Tillemont T. VII. p. 905.

280Atanasio (Tom. I. p. 811) si duole in generale di questa pratica, di cui dàin seguito un esempio (p. 861) nella pretesa elezione di Felice. Tre Eunuchirappresentavano il Popolo Romano, e tre Prelati che seguivan la Corte, fecerole funzioni dei Vescovi delle Province Suburbicarie.

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camente il loro dissenso, o del tutto separandosi dallacomunione di lui. Il primo di questi metodi fu inventatoin Antiochia, e praticato con tal successo, che tosto sisparse pel Mondo Cristiano. La Dossologia, o quel sa-cro Inno, che celebra la gloria della Trinità, è suscettibi-le di alcune assai minute, ma importanti riflessioni; e sipuò esprimere la sostanza d'un Simbolo Ortodosso ov-vero Eretico mediante la differenza d'una particella di-sgiuntiva, o copulativa. S'introdussero le alternative ri-sposte, ed una più regolar Salmodia281 nelle pubblichepreci da Flaviano e da Diodoro, devoti ed operosi laici,ch'erano attaccati alla fede Nicena. Sotto la loro condot-ta, venne uno sciame di Monaci dal vicino deserto, fu-ron collocate nella Cattedrale di Antiochia varie truppedi ben disciplinati cantori, fu trionfalmente cantato daun pieno coro di voci, Gloria al Padre, ED al Figlio, EDallo Spirito Santo282, ed i Cattolici, con la purità dellaloro dottrina, insultarono l'Arriano Prelato, che usurpatoaveva la cattedra del venerabile Eustazio. Il medesimozelo che aveva inspirato il lor canto, indusse i membripiù scrupolosi del partito ortodosso a formare separateassemblee, che si governaron dai Preti, finattantochè lamorte dell'esiliato lor Vescovo non permise l'elezione e

281Il Tomassino (Disc. Eccl. Tom. I. lib. II. c. 72, 73. p. 966-984) ha raccoltomolti curiosi fatti sopra l'origine ed il progresso del canto nella Chiesa, tantod'Oriente che di Occidente.

282Filostorg. lib. III. c. 13. Gottofredo ha esaminato questo punto con singo-lar esattezza p. 147 ec. Vi eran tre formule eterodosse, cioè «Al Padre per il Fi-glio, e nello Spirito Santo» «Al Padre ed al Figlio nello Spirito Santo» e «AlPadre nel Figlio, e Spirito Santo».

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camente il loro dissenso, o del tutto separandosi dallacomunione di lui. Il primo di questi metodi fu inventatoin Antiochia, e praticato con tal successo, che tosto sisparse pel Mondo Cristiano. La Dossologia, o quel sa-cro Inno, che celebra la gloria della Trinità, è suscettibi-le di alcune assai minute, ma importanti riflessioni; e sipuò esprimere la sostanza d'un Simbolo Ortodosso ov-vero Eretico mediante la differenza d'una particella di-sgiuntiva, o copulativa. S'introdussero le alternative ri-sposte, ed una più regolar Salmodia281 nelle pubblichepreci da Flaviano e da Diodoro, devoti ed operosi laici,ch'erano attaccati alla fede Nicena. Sotto la loro condot-ta, venne uno sciame di Monaci dal vicino deserto, fu-ron collocate nella Cattedrale di Antiochia varie truppedi ben disciplinati cantori, fu trionfalmente cantato daun pieno coro di voci, Gloria al Padre, ED al Figlio, EDallo Spirito Santo282, ed i Cattolici, con la purità dellaloro dottrina, insultarono l'Arriano Prelato, che usurpatoaveva la cattedra del venerabile Eustazio. Il medesimozelo che aveva inspirato il lor canto, indusse i membripiù scrupolosi del partito ortodosso a formare separateassemblee, che si governaron dai Preti, finattantochè lamorte dell'esiliato lor Vescovo non permise l'elezione e

281Il Tomassino (Disc. Eccl. Tom. I. lib. II. c. 72, 73. p. 966-984) ha raccoltomolti curiosi fatti sopra l'origine ed il progresso del canto nella Chiesa, tantod'Oriente che di Occidente.

282Filostorg. lib. III. c. 13. Gottofredo ha esaminato questo punto con singo-lar esattezza p. 147 ec. Vi eran tre formule eterodosse, cioè «Al Padre per il Fi-glio, e nello Spirito Santo» «Al Padre ed al Figlio nello Spirito Santo» e «AlPadre nel Figlio, e Spirito Santo».

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consacrazione d'un nuovo Episcopale Pastore283. Le ri-voluzioni della Corte moltiplicavano il numero dei pre-tendenti; e spesso la medesima città, sotto il regno diCostanzo, veniva contrastata fra due, tre o anche quattroVescovi, ciascheduno dei quali esercitava la spiritualegiurisdizione su' propri respettivi seguaci, ed alternati-vamente perdeva o ricuperava il temporal possesso dellaChiesa. L'abuso del Cristianesimo introdusse nel gover-no Romano nuove cause di tirannia e di sedizione; i vin-coli della civil società si spezzarono dal furore di reli-giose fazioni: e l'oscuro cittadino, che avrebbe potutosopravviver tranquillamente all'elevazione ed alla cadu-ta di più Imperatori, s'immaginava e provava di fatto,che la propria vita, e le sue sostanze eran congiunte congl'interessi d'un popolare Ecclesiastico. L'esempio delledue Capitali, Roma e Costantinopoli, può servire a rap-presentare lo stato dell'Impero e l'indole del genereumano sotto il regno dei figli di Costantino.

I. Insino a che il Romano Pontefice mantenne il suoposto ed i suoi principj, egli fu guardato dal tenero at-taccamento d'un gran Popolo; e potea rigettare con di-sprezzo le preghiere, le minacce e le offerte di un Princi-pe eretico. Quando gli Eunuchi ebber segretamente de-terminato l'esilio di Liberio, il ben fondato timor d'un

283Dopo l'esilio d'Eustazio sotto il regno di Costantino, il rigido partito degliOrtodossi formò una divisione che in Seguito degenerò in scisma, e durò piùd'ottant'anni. Vedi Tillemont Mem. Eccles. Tom. VII. p. 35-54, 1137-1158.Tom. VIII. p. 573, 632, 1313-1332. In molte Chiese però gli Arriani, e gli Ho-moousiani, che aveano rinunziato alla comunione fra loro, continuaron perqualche tempo ad unirsi nelle preghiere. Filostorg. c. 14.

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consacrazione d'un nuovo Episcopale Pastore283. Le ri-voluzioni della Corte moltiplicavano il numero dei pre-tendenti; e spesso la medesima città, sotto il regno diCostanzo, veniva contrastata fra due, tre o anche quattroVescovi, ciascheduno dei quali esercitava la spiritualegiurisdizione su' propri respettivi seguaci, ed alternati-vamente perdeva o ricuperava il temporal possesso dellaChiesa. L'abuso del Cristianesimo introdusse nel gover-no Romano nuove cause di tirannia e di sedizione; i vin-coli della civil società si spezzarono dal furore di reli-giose fazioni: e l'oscuro cittadino, che avrebbe potutosopravviver tranquillamente all'elevazione ed alla cadu-ta di più Imperatori, s'immaginava e provava di fatto,che la propria vita, e le sue sostanze eran congiunte congl'interessi d'un popolare Ecclesiastico. L'esempio delledue Capitali, Roma e Costantinopoli, può servire a rap-presentare lo stato dell'Impero e l'indole del genereumano sotto il regno dei figli di Costantino.

I. Insino a che il Romano Pontefice mantenne il suoposto ed i suoi principj, egli fu guardato dal tenero at-taccamento d'un gran Popolo; e potea rigettare con di-sprezzo le preghiere, le minacce e le offerte di un Princi-pe eretico. Quando gli Eunuchi ebber segretamente de-terminato l'esilio di Liberio, il ben fondato timor d'un

283Dopo l'esilio d'Eustazio sotto il regno di Costantino, il rigido partito degliOrtodossi formò una divisione che in Seguito degenerò in scisma, e durò piùd'ottant'anni. Vedi Tillemont Mem. Eccles. Tom. VII. p. 35-54, 1137-1158.Tom. VIII. p. 573, 632, 1313-1332. In molte Chiese però gli Arriani, e gli Ho-moousiani, che aveano rinunziato alla comunione fra loro, continuaron perqualche tempo ad unirsi nelle preghiere. Filostorg. c. 14.

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tumulto gl'impegnò ad usar le maggiori cautele nell'ese-guir la sentenza. Fu investita da ogni parte la Capitale, efu comandato al Prefetto di impadronirsi della personadel Vescovo o mediante qualche stratagemma ocoll'aperta forza. L'ordine venne eseguito; e Liberio fucolla massima difficoltà precipitosamente di mezza not-te involato alla vista del Popolo Romano, avanti che lacosternazione di questo si convertisse in furore. Tosto-chè si seppe il suo esilio nella Tracia, fu convocata unagenerale assemblea, ed il Clero di Roma obbligossi conun pubblico e solenne giuramento a non abbandonar maiil proprio Vescovo, ed a non riconoscer l'usurpatore Fe-lice, che per la forza degli Eunuchi era stato eletto irre-golarmente, e consacrato dentro le mura d'un palazzoprofano. Dopo due anni sussisteva tuttavia intera ed in-corrotta la pietosa lor ostinazione, e quando Costanzovisitò Roma, fu assalito dalle importune sollecitazioni diun popolo, che aveva conservato, come un ultimo resi-duo dell'antica sua libertà, il diritto di trattare il proprioSovrano con famigliare insolenza. Le mogli di molti Se-natori e dei più onorevoli cittadini, dopo d'aver pressatoi loro mariti ad intercedere in favor di Liberio, risolvet-tero di prendere sopra di se medesime un assunto, chenelle loro mani sarebbe stato meno pericoloso, e poteariuscire con miglior successo. L'Imperatore ricevè congentilezza questa deputazione di donne, la ricchezza edignità delle quali appariva nella magnificenza dei loroabiti ed ornamenti; ammirò la loro inflessibile risoluzio-ne di seguitare il loro amato Pastore nei più distanti pae-

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tumulto gl'impegnò ad usar le maggiori cautele nell'ese-guir la sentenza. Fu investita da ogni parte la Capitale, efu comandato al Prefetto di impadronirsi della personadel Vescovo o mediante qualche stratagemma ocoll'aperta forza. L'ordine venne eseguito; e Liberio fucolla massima difficoltà precipitosamente di mezza not-te involato alla vista del Popolo Romano, avanti che lacosternazione di questo si convertisse in furore. Tosto-chè si seppe il suo esilio nella Tracia, fu convocata unagenerale assemblea, ed il Clero di Roma obbligossi conun pubblico e solenne giuramento a non abbandonar maiil proprio Vescovo, ed a non riconoscer l'usurpatore Fe-lice, che per la forza degli Eunuchi era stato eletto irre-golarmente, e consacrato dentro le mura d'un palazzoprofano. Dopo due anni sussisteva tuttavia intera ed in-corrotta la pietosa lor ostinazione, e quando Costanzovisitò Roma, fu assalito dalle importune sollecitazioni diun popolo, che aveva conservato, come un ultimo resi-duo dell'antica sua libertà, il diritto di trattare il proprioSovrano con famigliare insolenza. Le mogli di molti Se-natori e dei più onorevoli cittadini, dopo d'aver pressatoi loro mariti ad intercedere in favor di Liberio, risolvet-tero di prendere sopra di se medesime un assunto, chenelle loro mani sarebbe stato meno pericoloso, e poteariuscire con miglior successo. L'Imperatore ricevè congentilezza questa deputazione di donne, la ricchezza edignità delle quali appariva nella magnificenza dei loroabiti ed ornamenti; ammirò la loro inflessibile risoluzio-ne di seguitare il loro amato Pastore nei più distanti pae-

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si della terra; e acconsentì che i due Vescovi, Liberio eFelice, governassero in pace le respettive loro congrega-zioni. Ma le idee di tolleranza erano sì opposte alla pra-tica, ed anche ai sentimenti di quei tempi, che quando fuletta pubblicamente nel circo di Roma la risposta di Co-stanzo, fu rigettato con riso e disprezzo un progetto cosìragionevole. L'ardente veemenza, che animava una voltagli spettatori nel decisivo momento d'una corsa di caval-li, allora dirigevasi ad un oggetto diverso; ed il circo ri-suonava delle grida di migliaia di persone, che replicata-mente esclamavano «Un solo Dio, un solo Cristo, unsolo Vescovo». Lo zelo del popolo Romano nella causadi Liberio non si ristrinse alle sole parole; e la pericolo-sa e sanguinosa sedizione, che si eccitò poco dopo lapartenza di Costanzo, determinò questo Principe ad ac-cettare la sommissione dell'esiliato Prelato, ed a resti-tuirgli il non diviso possesso della Capitale. Dopo qual-che vana resistenza, il suo rivale fu espulso dalla cittàper la permissione dell'Imperatore, e per la forzadell'opposta fazione; furono crudelmente trucidati gliaderenti di Felice nelle strade, nelle pubbliche piazze,ne' bagni, e sin nelle Chiese; ed al ritorno di un VescovoCristiano l'aspetto di Roma rinnovò l'orrida immaginedelle stragi di Mario e delle proscrizioni di Silla284.

II. Nonostante il rapido accrescimento dei Cristiani

284Intorno a questa ecclesiastica rivoluzione di Roma vedi Ammiano XV. 7.Atanas. Tom. I. p. 35. q. VI. Sozomeno lib. IV. c. 15. Teodoreto lib. II. c. 17.Sulp. Sev. Hist. Sacr. lib. II. p. 412. Girol. Chron. Marcellin. et Faustin. libell.p. 3. 4. Tillemont Memoir. Eccl. Tom. IV. p. 336.

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si della terra; e acconsentì che i due Vescovi, Liberio eFelice, governassero in pace le respettive loro congrega-zioni. Ma le idee di tolleranza erano sì opposte alla pra-tica, ed anche ai sentimenti di quei tempi, che quando fuletta pubblicamente nel circo di Roma la risposta di Co-stanzo, fu rigettato con riso e disprezzo un progetto cosìragionevole. L'ardente veemenza, che animava una voltagli spettatori nel decisivo momento d'una corsa di caval-li, allora dirigevasi ad un oggetto diverso; ed il circo ri-suonava delle grida di migliaia di persone, che replicata-mente esclamavano «Un solo Dio, un solo Cristo, unsolo Vescovo». Lo zelo del popolo Romano nella causadi Liberio non si ristrinse alle sole parole; e la pericolo-sa e sanguinosa sedizione, che si eccitò poco dopo lapartenza di Costanzo, determinò questo Principe ad ac-cettare la sommissione dell'esiliato Prelato, ed a resti-tuirgli il non diviso possesso della Capitale. Dopo qual-che vana resistenza, il suo rivale fu espulso dalla cittàper la permissione dell'Imperatore, e per la forzadell'opposta fazione; furono crudelmente trucidati gliaderenti di Felice nelle strade, nelle pubbliche piazze,ne' bagni, e sin nelle Chiese; ed al ritorno di un VescovoCristiano l'aspetto di Roma rinnovò l'orrida immaginedelle stragi di Mario e delle proscrizioni di Silla284.

II. Nonostante il rapido accrescimento dei Cristiani

284Intorno a questa ecclesiastica rivoluzione di Roma vedi Ammiano XV. 7.Atanas. Tom. I. p. 35. q. VI. Sozomeno lib. IV. c. 15. Teodoreto lib. II. c. 17.Sulp. Sev. Hist. Sacr. lib. II. p. 412. Girol. Chron. Marcellin. et Faustin. libell.p. 3. 4. Tillemont Memoir. Eccl. Tom. IV. p. 336.

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sotto il regno della famiglia Flavia, Roma, Alessandria,e le altre maggiori città dell'Impero contenevano sempreuna forte e potente fazione d'Infedeli, che invidiavano laprosperità, e mettevano in ridicolo anche nei loro teatrile teologiche dispute della Chiesa. La sola Costantino-poli godeva il vantaggio d'esser nata ed allevata in senoalla fede. La Capitale dell'Oriente non s'avea mai conta-minata col culto degl'idoli; e tutto il corpo del Popolos'era profondamente imbevuto de' sentimenti, delle virtùe delle passioni, che distinguevano i Cristiani di queltempo dal rimanente degli uomini. Dopo la morted'Alessandro, si disputò la Sede Episcopale fra Paolo eMacedonio. Atteso lo zelo e l'abilità loro, ambedue me-ritavano l'eminente posto, al quale aspiravano; e se il ca-rattere morale di Macedonio era meno soggetto ad ecce-zioni, il suo competitore aveva il vantaggio d'un'elezio-ne anteriore e d'una più ortodossa dottrina. Il suo stabileattaccamento al Simbolo Niceno, che ha dato a Paolo unposto nel calendario fra' Santi ed i Martiri, l'espose allosdegno degli Arriani. Fu egli nello spazio di quattordicianni scacciato per cinque volte dalla sua sede, nella qua-le venne più spesso ristabilito dalla violenza del Popolo,che dalla permissione del Principe; e la potestà di Mace-donio non potè assicurarsi che mediante la morte delsuo rivale. L'infelice Paolo fu strascinato in catene dagliarenosi deserti della Mesopotamia nei più orridi luoghidel Monte Tauro285, posto in un'oscura e stretta prigione,

285Cucuso fu l'ultimo Teatro della sua vita e de' suoi travagli. La situazionedi quella solitaria città ne' confini della Cappadocia, della Cilicia, e dell'Arme-

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sotto il regno della famiglia Flavia, Roma, Alessandria,e le altre maggiori città dell'Impero contenevano sempreuna forte e potente fazione d'Infedeli, che invidiavano laprosperità, e mettevano in ridicolo anche nei loro teatrile teologiche dispute della Chiesa. La sola Costantino-poli godeva il vantaggio d'esser nata ed allevata in senoalla fede. La Capitale dell'Oriente non s'avea mai conta-minata col culto degl'idoli; e tutto il corpo del Popolos'era profondamente imbevuto de' sentimenti, delle virtùe delle passioni, che distinguevano i Cristiani di queltempo dal rimanente degli uomini. Dopo la morted'Alessandro, si disputò la Sede Episcopale fra Paolo eMacedonio. Atteso lo zelo e l'abilità loro, ambedue me-ritavano l'eminente posto, al quale aspiravano; e se il ca-rattere morale di Macedonio era meno soggetto ad ecce-zioni, il suo competitore aveva il vantaggio d'un'elezio-ne anteriore e d'una più ortodossa dottrina. Il suo stabileattaccamento al Simbolo Niceno, che ha dato a Paolo unposto nel calendario fra' Santi ed i Martiri, l'espose allosdegno degli Arriani. Fu egli nello spazio di quattordicianni scacciato per cinque volte dalla sua sede, nella qua-le venne più spesso ristabilito dalla violenza del Popolo,che dalla permissione del Principe; e la potestà di Mace-donio non potè assicurarsi che mediante la morte delsuo rivale. L'infelice Paolo fu strascinato in catene dagliarenosi deserti della Mesopotamia nei più orridi luoghidel Monte Tauro285, posto in un'oscura e stretta prigione,

285Cucuso fu l'ultimo Teatro della sua vita e de' suoi travagli. La situazionedi quella solitaria città ne' confini della Cappadocia, della Cilicia, e dell'Arme-

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lasciato per sei giorni senza cibo, e finalmente strango-lato per ordine di Filippo, uno de' principali ministridell'Imperator Costanzo286. Il primo sangue, che mac-chiò la nuova Capitale, fu sparso in quest'Ecclesiasticacontesa; e molte persone restarono uccise da ambe leparti nelle furiose ed ostinate sedizioni del Popolo. Erastata data ad Ermogene, Generale di cavalleria, la com-missione di fare eseguire per forza la sentenza d'esiliocontro Paolo; ma tal esecuzione riuscì fatale a lui stesso.I Cattolici si sollevarono in difesa del loro Vescovo: fudistrutto il palazzo d'Ermogene; il primo Uffizial milita-re dell'Impero fu strascinato per li piedi lungo le stradedi Costantinopoli, e poscia che fu spirato, ne fu espostoil cadavere ad insulti indecenti287. Il destino d'Ermogeneammaestrò Filippo, Prefetto del Pretorio, a diportarsicon più cautela in simigliante occasione. Richiese ne'termini più gentili ed onorevoli un abboccamento conPaolo nei bagni di Zeusippo, che avevano una segretacomunicazione col palazzo e col mare. Un vascello,ch'era pronto allo scalo del giardino, immediatamentenia Minore ha prodotto qualche geografica perplessità; ma siam condotti al suovero posto dal corso della strada Romana, che va da Cesarea ad Anazarbo.Vedi Cellar. Geograph. Tom. II. p. 213. Wesseling ad itiner. p. 179-703.

286Atanasio (Tom. I. p. 703, 813, 814) asserisce ne' termini più positivi, chePaolo fu ucciso e ne appella non solo alla pubblica fama, ma anche alla non so-spetta testimonianza di Filagrio, uno dei persecutori Arriani. Pure conviene,che gli Eretici attribuivano a malattia la morte del Vescovo di Costantinopoli.Atanasio vien servilmente copiato da Socrate l. II. c. 6; ma Sozomeno che di-mostra un'indole più ingenua, pretende (l. IV. c. 2) d'insinuare un prudentedubbio.

287Ammiano XIV. 10. rimette il lettore al racconto che fa egli stesso di que-sto tragico avvenimento. Ma non abbiamo più quella parte della sua storia.

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lasciato per sei giorni senza cibo, e finalmente strango-lato per ordine di Filippo, uno de' principali ministridell'Imperator Costanzo286. Il primo sangue, che mac-chiò la nuova Capitale, fu sparso in quest'Ecclesiasticacontesa; e molte persone restarono uccise da ambe leparti nelle furiose ed ostinate sedizioni del Popolo. Erastata data ad Ermogene, Generale di cavalleria, la com-missione di fare eseguire per forza la sentenza d'esiliocontro Paolo; ma tal esecuzione riuscì fatale a lui stesso.I Cattolici si sollevarono in difesa del loro Vescovo: fudistrutto il palazzo d'Ermogene; il primo Uffizial milita-re dell'Impero fu strascinato per li piedi lungo le stradedi Costantinopoli, e poscia che fu spirato, ne fu espostoil cadavere ad insulti indecenti287. Il destino d'Ermogeneammaestrò Filippo, Prefetto del Pretorio, a diportarsicon più cautela in simigliante occasione. Richiese ne'termini più gentili ed onorevoli un abboccamento conPaolo nei bagni di Zeusippo, che avevano una segretacomunicazione col palazzo e col mare. Un vascello,ch'era pronto allo scalo del giardino, immediatamentenia Minore ha prodotto qualche geografica perplessità; ma siam condotti al suovero posto dal corso della strada Romana, che va da Cesarea ad Anazarbo.Vedi Cellar. Geograph. Tom. II. p. 213. Wesseling ad itiner. p. 179-703.

286Atanasio (Tom. I. p. 703, 813, 814) asserisce ne' termini più positivi, chePaolo fu ucciso e ne appella non solo alla pubblica fama, ma anche alla non so-spetta testimonianza di Filagrio, uno dei persecutori Arriani. Pure conviene,che gli Eretici attribuivano a malattia la morte del Vescovo di Costantinopoli.Atanasio vien servilmente copiato da Socrate l. II. c. 6; ma Sozomeno che di-mostra un'indole più ingenua, pretende (l. IV. c. 2) d'insinuare un prudentedubbio.

287Ammiano XIV. 10. rimette il lettore al racconto che fa egli stesso di que-sto tragico avvenimento. Ma non abbiamo più quella parte della sua storia.

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fece vela, e mentre il popolo ancora ignorava il tentatosacrilegio, il Vescovo era già imbarcato per Tessalonica.Ad un tratto si videro con meraviglia e con isdegno spa-lancate le porte del palazzo, e l'usurpatore Macedonioassiso accanto al Prefetto sopra un alto carro, circondatoda truppe di guardie con le spade sguainate. La militarprocessione avanzavasi verso la Cattedrale; tanto gli Ar-riani quanto i Cattolici corser precipitosamente ad occu-par quel posto importante; e tremila cento cinquantapersone perderono la vita nella confusion del tumulto.Macedonio, ch'era sostenuto da una forza regolata, ot-tenne una decisiva vittoria; ma fu disturbato il suo regnoda clamori e da sedizioni; e quelle cause, che sembrava-no le meno connesse col soggetto della disputa, furonsufficienti a nutrire, e ad accender la fiamma della di-scordia civile. Poichè la cappella, in cui s'era depositatoil corpo del gran Costantino, minacciava rovina, il Ve-scovo trasportò quelle venerabili reliquie nella Chiesa diS. Acacio. Questo prudente, ed anche pietoso provvedi-mento fu rappresentato come una maliziosa profanazio-ne da tutto il partito che aderiva alla dottrinadell'Homoousion. Immediatamente le fazioni corseroalle armi, si serviron del luogo sacro come di campo dibattaglia, ed ha notato uno degl'Istorici Ecclesiasticicome un fatto reale, non come una figura rettorica, cheil pozzo, situato avanti alla Chiesa, non essendo capacedi più contenerne, allagò con un fiume di sangue i porti-ci e le corti adiacenti. Qualunque Scrittore attribuissetali tumulti unicamente ad un principio di religione, di-

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fece vela, e mentre il popolo ancora ignorava il tentatosacrilegio, il Vescovo era già imbarcato per Tessalonica.Ad un tratto si videro con meraviglia e con isdegno spa-lancate le porte del palazzo, e l'usurpatore Macedonioassiso accanto al Prefetto sopra un alto carro, circondatoda truppe di guardie con le spade sguainate. La militarprocessione avanzavasi verso la Cattedrale; tanto gli Ar-riani quanto i Cattolici corser precipitosamente ad occu-par quel posto importante; e tremila cento cinquantapersone perderono la vita nella confusion del tumulto.Macedonio, ch'era sostenuto da una forza regolata, ot-tenne una decisiva vittoria; ma fu disturbato il suo regnoda clamori e da sedizioni; e quelle cause, che sembrava-no le meno connesse col soggetto della disputa, furonsufficienti a nutrire, e ad accender la fiamma della di-scordia civile. Poichè la cappella, in cui s'era depositatoil corpo del gran Costantino, minacciava rovina, il Ve-scovo trasportò quelle venerabili reliquie nella Chiesa diS. Acacio. Questo prudente, ed anche pietoso provvedi-mento fu rappresentato come una maliziosa profanazio-ne da tutto il partito che aderiva alla dottrinadell'Homoousion. Immediatamente le fazioni corseroalle armi, si serviron del luogo sacro come di campo dibattaglia, ed ha notato uno degl'Istorici Ecclesiasticicome un fatto reale, non come una figura rettorica, cheil pozzo, situato avanti alla Chiesa, non essendo capacedi più contenerne, allagò con un fiume di sangue i porti-ci e le corti adiacenti. Qualunque Scrittore attribuissetali tumulti unicamente ad un principio di religione, di-

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mostrerebbe d'avere una ben imperfetta cognizione dellanatura umana; bisogna però confessare, che il motivo,che traviava la sincerità dello zelo, ed il pretesto, chemascherava la licenza della passione, sopprimevanoquei rimorsi che in altre occasioni sarebber succeduti alfurore dei Cristiani di Costantinopoli288.

L'arbitrario e crudele animo di Costanzo, che nonsempre aspettava d'esser provocato dalla colpa e dallaresistenza, fu giustamente inasprito dai tumulti della suaCapitale e dalla rea condotta d'una fazione, che oppone-vasi all'autorità e alla religione del proprio Sovrano. Fu-rono inflitte con particolar rigore le pene ordinarie dimorte, d'esilio, e di confiscazione; ed i Greci veneranotuttavia la santa memoria di due Cherici, uno Lettore euno Suddiacono, che furono accusati dell'uccisioned'Ermogene, e decapitati alle porte di Costantinopoli.Per un editto di Costanzo contro i Cattolici, che non si èstimato degno d'aver luogo nel Codice Teodosiano,quelli che ricusavan di comunicare coi Vescovi Arriani,ed in ispecie con Macedonio, erano spogliati delle im-munità Ecclesiastiche e dei diritti dei Cristiani; venivancostretti a lasciare il possesso delle Chiese; ed era lorostrettamente vietato di tenere assemblee dentro le muradella città. Nelle Province della Tracia e dell'Asia Mino-re, fu commessa allo zelo di Macedonio l'esecuzione di

288Vedi Socrate lib. II c. 6, 7, 12, 13, 15, 16, 26, 27, 38, e Sozomeno lib. III.3, 4, 7, 9, lib. IV. c. 11, 21. Gli Atti di S. Paolo di Costantinopoli, dei quali Fo-zio ha fatto un estratto (Biblioth. p. 1419, 1430) non sono che una semplice co-pia di quest'Istorici; ma un Greco moderno, che potè scriver la vita d'un Santo,senz'aggiungervi favole o miracoli, ha diritto di esigere qualche lode.

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mostrerebbe d'avere una ben imperfetta cognizione dellanatura umana; bisogna però confessare, che il motivo,che traviava la sincerità dello zelo, ed il pretesto, chemascherava la licenza della passione, sopprimevanoquei rimorsi che in altre occasioni sarebber succeduti alfurore dei Cristiani di Costantinopoli288.

L'arbitrario e crudele animo di Costanzo, che nonsempre aspettava d'esser provocato dalla colpa e dallaresistenza, fu giustamente inasprito dai tumulti della suaCapitale e dalla rea condotta d'una fazione, che oppone-vasi all'autorità e alla religione del proprio Sovrano. Fu-rono inflitte con particolar rigore le pene ordinarie dimorte, d'esilio, e di confiscazione; ed i Greci veneranotuttavia la santa memoria di due Cherici, uno Lettore euno Suddiacono, che furono accusati dell'uccisioned'Ermogene, e decapitati alle porte di Costantinopoli.Per un editto di Costanzo contro i Cattolici, che non si èstimato degno d'aver luogo nel Codice Teodosiano,quelli che ricusavan di comunicare coi Vescovi Arriani,ed in ispecie con Macedonio, erano spogliati delle im-munità Ecclesiastiche e dei diritti dei Cristiani; venivancostretti a lasciare il possesso delle Chiese; ed era lorostrettamente vietato di tenere assemblee dentro le muradella città. Nelle Province della Tracia e dell'Asia Mino-re, fu commessa allo zelo di Macedonio l'esecuzione di

288Vedi Socrate lib. II c. 6, 7, 12, 13, 15, 16, 26, 27, 38, e Sozomeno lib. III.3, 4, 7, 9, lib. IV. c. 11, 21. Gli Atti di S. Paolo di Costantinopoli, dei quali Fo-zio ha fatto un estratto (Biblioth. p. 1419, 1430) non sono che una semplice co-pia di quest'Istorici; ma un Greco moderno, che potè scriver la vita d'un Santo,senz'aggiungervi favole o miracoli, ha diritto di esigere qualche lode.

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questa ingiusta legge; fu ordinato alla potestà civile emilitare d'ubbidire a' suoi ordini; e le crudeltà esercitateda questo Semiarriano tiranno in difesa dell'Homoiou-sion eccederono la commissione di Costanzo, e ne infa-marono il regno. S'amministravano i Sacramenti dellaChiesa a vittime ripugnanti, che negavano la legittimitàdell'elezione, ed abborrivano i principj di Macedonio. Siconferivano i riti del Battesimo a donne e fanciulli, chea tal effetto si erano strappati dalle braccia dei loro ami-ci e parenti; per mezzo di uno istrumento di legno tene-vasi aperta la bocca dei comunicanti, mentre s'introdu-ceva loro per forza il pane consacrato nella gola; e congusci d'ovo infuocati si bruciava il petto di tenere vergi-ni, o crudelmente si comprimeva fra ruvide e pesanti ta-vole289. I Novaziani di Costantinopoli e dei vicini paesiper il loro stabile attacco alla bandiera Homoousianameritarono d'esser confusi co' Cattolici stessi. Macedo-nio seppe che un grosso distretto di Paflagonia290 eraquasi tutto abitato da que' Settari. Egli risolse di conver-tirli o di estirparli; e siccome in tale occasione diffidavadell'efficacia d'una missione Ecclesiastica, ordinò che

289Socrate lib. II. c. 17, 38. Sozomeno lib. IV. c. 21. I principali assistenti diMacedonio nella persecuzione erano i due Vescovi di Nicomedia e di Cizico,che erano stimati per le loro virtù, e specialmente per la lor carità. Io non possoritenermi dal rammentare al lettore, che la differenza fra Homoousion e Homo-iousion è quasi invisibile all'occhio teologico più delicato.

290Noi non sappiamo la precisa situazione di Mantinio. Parlando di questequattro bande di legionari, Socrate, Sozomeno, e l'Autore degli Atti di S. Paolousano i termini generali di αριθµοι, Φαλαγγες, ταγµατα, (numeri, falangi, ordi-ni) che Niceforo molto a proposito traduce per migliaia, Valesio, ad Socrat.lib. II. c. 38.

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questa ingiusta legge; fu ordinato alla potestà civile emilitare d'ubbidire a' suoi ordini; e le crudeltà esercitateda questo Semiarriano tiranno in difesa dell'Homoiou-sion eccederono la commissione di Costanzo, e ne infa-marono il regno. S'amministravano i Sacramenti dellaChiesa a vittime ripugnanti, che negavano la legittimitàdell'elezione, ed abborrivano i principj di Macedonio. Siconferivano i riti del Battesimo a donne e fanciulli, chea tal effetto si erano strappati dalle braccia dei loro ami-ci e parenti; per mezzo di uno istrumento di legno tene-vasi aperta la bocca dei comunicanti, mentre s'introdu-ceva loro per forza il pane consacrato nella gola; e congusci d'ovo infuocati si bruciava il petto di tenere vergi-ni, o crudelmente si comprimeva fra ruvide e pesanti ta-vole289. I Novaziani di Costantinopoli e dei vicini paesiper il loro stabile attacco alla bandiera Homoousianameritarono d'esser confusi co' Cattolici stessi. Macedo-nio seppe che un grosso distretto di Paflagonia290 eraquasi tutto abitato da que' Settari. Egli risolse di conver-tirli o di estirparli; e siccome in tale occasione diffidavadell'efficacia d'una missione Ecclesiastica, ordinò che

289Socrate lib. II. c. 17, 38. Sozomeno lib. IV. c. 21. I principali assistenti diMacedonio nella persecuzione erano i due Vescovi di Nicomedia e di Cizico,che erano stimati per le loro virtù, e specialmente per la lor carità. Io non possoritenermi dal rammentare al lettore, che la differenza fra Homoousion e Homo-iousion è quasi invisibile all'occhio teologico più delicato.

290Noi non sappiamo la precisa situazione di Mantinio. Parlando di questequattro bande di legionari, Socrate, Sozomeno, e l'Autore degli Atti di S. Paolousano i termini generali di αριθµοι, Φαλαγγες, ταγµατα, (numeri, falangi, ordi-ni) che Niceforo molto a proposito traduce per migliaia, Valesio, ad Socrat.lib. II. c. 38.

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un corpo di quattromila legionari marciasse contro i ri-belli, e riducesse il territorio di Mantinio sotto la suaspirituale giurisdizione. I Novaziani abitanti, animatidalla disperazione e dal furor religioso, arditamente af-frontarono gl'invasori del lor paese; e quantunque vi re-stassero uccisi molti de' Paflagoni, pure le legioni Ro-mane furono vinte da una irregolare moltitudine, armatasolo di rusticali strumenti e di legni, ed a riserva di po-chi che si salvarono mediante un'ignominiosa fuga,quattromila soldati restarono morti sul campo di batta-glia. Il successor di Costanzo ha esposto in una brevema viva maniera alcune delle teologiche calamità, cheafflisser l'Impero, e specialmente l'Oriente, nel regnod'un Principe, che era schiavo delle sue passioni e diquelle de' suoi Eunuchi. «Molti furon posti in prigione,perseguitati, e mandati in esilio. Si trucidarono interetruppe di quelli, che si chiamavano Eretici, particolar-mente a Cizico, ed a Samosata. Nella Paflagonia, nellaBitinia, nella Galazia, ed in molte altre Province, interecittà e villaggi furono devastati, ed interamente distrut-ti291.»

Mentre le fiamme dell'Arriana controversia consuma-van le viscere dell'Impero, le Province Affricane veniva-no infestate dai loro particolari nemici, da quei Selvaggifanatici, che sotto il nome di Circoncellioni formavan laforza e lo scandalo del partito Donatista292. La rigorosa

291Giulian. Epist. 52. p. 436. e Spanem.292Vedi Ottato Millevit. (specialmente l. III. c. 4) coll'istoria de' Donatisti

fatta dal Dupin, e i documenti originali posti al fine della sua edizione. Il

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un corpo di quattromila legionari marciasse contro i ri-belli, e riducesse il territorio di Mantinio sotto la suaspirituale giurisdizione. I Novaziani abitanti, animatidalla disperazione e dal furor religioso, arditamente af-frontarono gl'invasori del lor paese; e quantunque vi re-stassero uccisi molti de' Paflagoni, pure le legioni Ro-mane furono vinte da una irregolare moltitudine, armatasolo di rusticali strumenti e di legni, ed a riserva di po-chi che si salvarono mediante un'ignominiosa fuga,quattromila soldati restarono morti sul campo di batta-glia. Il successor di Costanzo ha esposto in una brevema viva maniera alcune delle teologiche calamità, cheafflisser l'Impero, e specialmente l'Oriente, nel regnod'un Principe, che era schiavo delle sue passioni e diquelle de' suoi Eunuchi. «Molti furon posti in prigione,perseguitati, e mandati in esilio. Si trucidarono interetruppe di quelli, che si chiamavano Eretici, particolar-mente a Cizico, ed a Samosata. Nella Paflagonia, nellaBitinia, nella Galazia, ed in molte altre Province, interecittà e villaggi furono devastati, ed interamente distrut-ti291.»

Mentre le fiamme dell'Arriana controversia consuma-van le viscere dell'Impero, le Province Affricane veniva-no infestate dai loro particolari nemici, da quei Selvaggifanatici, che sotto il nome di Circoncellioni formavan laforza e lo scandalo del partito Donatista292. La rigorosa

291Giulian. Epist. 52. p. 436. e Spanem.292Vedi Ottato Millevit. (specialmente l. III. c. 4) coll'istoria de' Donatisti

fatta dal Dupin, e i documenti originali posti al fine della sua edizione. Il

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esecuzione delle leggi di Costantino aveva eccitato unospirito di malcontento e di resistenza; i vigorosi sforzi,che fece il suo figlio Costante per restaurare l'unità dellaChiesa, esacerbarono i sentimenti d'odio reciproco, chea principio avea cagionati la separazione; ed i mezzidella forza e della corruzione, impiegati dai due Com-missari Imperiali Paolo e Macario, somministrarono agliScismatici uno specioso contrasto fra le massime degliApostoli, e la condotta dei pretesi lor successori293. Gliabitanti dei villaggi di Numidia e di Mauritania eranouna razza di gente feroce, che s'era imperfettamente ri-dotta sotto l'autorità delle leggi Romane, ed imperfetta-mente convertita alla fede Cristiana; ma che veniva tra-sportata da un cieco e furioso entusiasmo nella causa deiDonatisti, loro maestri. Con isdegno soffrivano essil'esilio dei loro Vescovi, la demolizione delle lor Chiese,e l'interrompimento delle segrete loro assemblee. LaTillemont (Mem. Eccl. Tom. VI. p. 147-165) ha laboriosamente raccolte le nu-merose circostanze, rammentate da Agostino, del furore dei Circoncellionicontro altri, e contro se stessi; e spesse volte ha espresso, quantunque senzapensarvi, le ingiurie, che provocato avean questi fanatici.

293È molto piacevole l'osservare il linguaggio degli opposti partiti allorchèparlano delle medesime persone e delle medesime cose. Grato, Vescovo diCartagine, incomincia le acclamazioni d'un Sinodo Ortodosso in tal modo:Gratias Deo Omnipotenti, et Christo Jesu... qui imperavit religiosissimo Con-stanti Imperatori, ut votum gereret unitatis, et mitteret ministros sancti operisfamulos Dei Paulum et Macarium: Monum. vel ad Calcem Optati p. 313. Eccesubito (dice l'Autor Donatista della Passione di Marculo) de Constantis Registyrannica domo... pollutum Macarianae persecutionis murmur increpuit; etduabus bestiis ad Africam missis eodem scilicet Macario, et Paulo, execran-dum prorsus ac dirum Ecclesiae certamen indictum est; ut Populus Christia-nus ad unionem cum traditoribus faciendam, nudatis militum gladiis, et draco-num praesentibus signis et turbarum vocibus cogeretur: Monum. p. 304.

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esecuzione delle leggi di Costantino aveva eccitato unospirito di malcontento e di resistenza; i vigorosi sforzi,che fece il suo figlio Costante per restaurare l'unità dellaChiesa, esacerbarono i sentimenti d'odio reciproco, chea principio avea cagionati la separazione; ed i mezzidella forza e della corruzione, impiegati dai due Com-missari Imperiali Paolo e Macario, somministrarono agliScismatici uno specioso contrasto fra le massime degliApostoli, e la condotta dei pretesi lor successori293. Gliabitanti dei villaggi di Numidia e di Mauritania eranouna razza di gente feroce, che s'era imperfettamente ri-dotta sotto l'autorità delle leggi Romane, ed imperfetta-mente convertita alla fede Cristiana; ma che veniva tra-sportata da un cieco e furioso entusiasmo nella causa deiDonatisti, loro maestri. Con isdegno soffrivano essil'esilio dei loro Vescovi, la demolizione delle lor Chiese,e l'interrompimento delle segrete loro assemblee. LaTillemont (Mem. Eccl. Tom. VI. p. 147-165) ha laboriosamente raccolte le nu-merose circostanze, rammentate da Agostino, del furore dei Circoncellionicontro altri, e contro se stessi; e spesse volte ha espresso, quantunque senzapensarvi, le ingiurie, che provocato avean questi fanatici.

293È molto piacevole l'osservare il linguaggio degli opposti partiti allorchèparlano delle medesime persone e delle medesime cose. Grato, Vescovo diCartagine, incomincia le acclamazioni d'un Sinodo Ortodosso in tal modo:Gratias Deo Omnipotenti, et Christo Jesu... qui imperavit religiosissimo Con-stanti Imperatori, ut votum gereret unitatis, et mitteret ministros sancti operisfamulos Dei Paulum et Macarium: Monum. vel ad Calcem Optati p. 313. Eccesubito (dice l'Autor Donatista della Passione di Marculo) de Constantis Registyrannica domo... pollutum Macarianae persecutionis murmur increpuit; etduabus bestiis ad Africam missis eodem scilicet Macario, et Paulo, execran-dum prorsus ac dirum Ecclesiae certamen indictum est; ut Populus Christia-nus ad unionem cum traditoribus faciendam, nudatis militum gladiis, et draco-num praesentibus signis et turbarum vocibus cogeretur: Monum. p. 304.

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violenza degli Uffiziali di giustizia, che ordinariamenteeran sostenuti da una guardia militare, fu alle volte ri-spinta con uguale violenza; ed il sangue di alcuni popo-lari Ecclesiastici, che si era sparso nella mischia, infiam-mò i rozzi loro seguaci d'un'ardente brama di vendicarela morte di quei Santi Martiri. I ministri della persecu-zione con la loro barbarie e temerità s'attiraron qualchevolta la morte, e la colpa d'un accidentale tumulto preci-pitò i rei nella disperazione e rivolta. Tratti dalle nativeloro campagne, i Donatisti villani si unirono in formida-bili turme all'estremità del deserto Getulio; e facilmentecangiarono l'abitudine del lavoro in una vita oziosa e ra-pace, che veniva consacrata dal nome di religione, e de-bolmente condannata dai Dottori della lor Setta. I con-dottieri de' Circoncellioni presero il titolo di Capitani de'Santi; la principale lor arme, essendo inoltre comune-mente provvisti di spade e di lance, era una grossa e pe-sante clava, ch'essi chiamavano l'Isdraelita; ed il bennoto rimbombo delle parole «sia lode a Dio» che usava-no come lor segnale di guerra, spargeva la costernazioneper le disarmate Province dell'Affrica. Da principio co-lorivano le loro depredazioni col pretesto della necessi-tà; ma ben presto passarono la misura della sussistenza;soddisfacevano senza ritegno la loro intemperanza edavarizia, bruciavano i villaggi che avevano saccheggiati,e dominavano come licenziosi tiranni nell'aperta campa-gna. Si sospesero i lavori dell'agricoltura e l'amministra-zione della giustizia; e siccome i Circoncellioni preten-devano di restituire la primitiva uguaglianza degli uomi-

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violenza degli Uffiziali di giustizia, che ordinariamenteeran sostenuti da una guardia militare, fu alle volte ri-spinta con uguale violenza; ed il sangue di alcuni popo-lari Ecclesiastici, che si era sparso nella mischia, infiam-mò i rozzi loro seguaci d'un'ardente brama di vendicarela morte di quei Santi Martiri. I ministri della persecu-zione con la loro barbarie e temerità s'attiraron qualchevolta la morte, e la colpa d'un accidentale tumulto preci-pitò i rei nella disperazione e rivolta. Tratti dalle nativeloro campagne, i Donatisti villani si unirono in formida-bili turme all'estremità del deserto Getulio; e facilmentecangiarono l'abitudine del lavoro in una vita oziosa e ra-pace, che veniva consacrata dal nome di religione, e de-bolmente condannata dai Dottori della lor Setta. I con-dottieri de' Circoncellioni presero il titolo di Capitani de'Santi; la principale lor arme, essendo inoltre comune-mente provvisti di spade e di lance, era una grossa e pe-sante clava, ch'essi chiamavano l'Isdraelita; ed il bennoto rimbombo delle parole «sia lode a Dio» che usava-no come lor segnale di guerra, spargeva la costernazioneper le disarmate Province dell'Affrica. Da principio co-lorivano le loro depredazioni col pretesto della necessi-tà; ma ben presto passarono la misura della sussistenza;soddisfacevano senza ritegno la loro intemperanza edavarizia, bruciavano i villaggi che avevano saccheggiati,e dominavano come licenziosi tiranni nell'aperta campa-gna. Si sospesero i lavori dell'agricoltura e l'amministra-zione della giustizia; e siccome i Circoncellioni preten-devano di restituire la primitiva uguaglianza degli uomi-

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ni, e riformare gli abusi della civil società, così aprivanoun asilo sicuro agli schiavi, ed a' debitori che correvanoa truppe sotto il santo loro stendardo. Allorchè non tro-vavano resistenza, ordinariamente si contentavano delsaccheggio, ma la minima opposizione serviva per pro-vocarli ad atti di violenza e di strage; ed alcuni PretiCattolici, che avevano imprudentemente segnalato illoro zelo, furon tormentati da' fanatici con la più raffina-ta e cruda barbarie. Lo spirito dei Circoncellioni perònon si esercitava sempre contro nemici senza difesa. At-taccarono essi, ed alle volte anche disfecero, le truppedella Provincia; e nella sanguinosa azione di Bagai as-saltarono in campo aperto, ma con disgraziato valore,una guardia avanzata della cavalleria Imperiale. I Dona-tisti, ch'erano presi armati, ricevevano, e facilmente me-ritavano il trattamento che avrebbe potuto farsi alle be-stie selvagge del deserto. I prigionieri morivano, senzamandare un lamento, o per mezzo della spada, o dellascure, o del fuoco; e si moltiplicarono in una rapida pro-porzione le rappresaglie, che aggravavan gli orrori dellaribellione, ed escludevano la speranza d'un vicendevolperdono. Al principio del presente secolo, si è rinnovatol'esempio dei Circoncellioni nella persecuzione,nell'ardire, ne' delitti, e nell'entusiasmo dei Camisardi, ese i fanatici di Linguadoca sorpassaron quelli di Numi-dia per le loro azioni militari, gli Affricani mantenner lafiera loro indipendenza con maggiore risolutezza e per-

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ni, e riformare gli abusi della civil società, così aprivanoun asilo sicuro agli schiavi, ed a' debitori che correvanoa truppe sotto il santo loro stendardo. Allorchè non tro-vavano resistenza, ordinariamente si contentavano delsaccheggio, ma la minima opposizione serviva per pro-vocarli ad atti di violenza e di strage; ed alcuni PretiCattolici, che avevano imprudentemente segnalato illoro zelo, furon tormentati da' fanatici con la più raffina-ta e cruda barbarie. Lo spirito dei Circoncellioni perònon si esercitava sempre contro nemici senza difesa. At-taccarono essi, ed alle volte anche disfecero, le truppedella Provincia; e nella sanguinosa azione di Bagai as-saltarono in campo aperto, ma con disgraziato valore,una guardia avanzata della cavalleria Imperiale. I Dona-tisti, ch'erano presi armati, ricevevano, e facilmente me-ritavano il trattamento che avrebbe potuto farsi alle be-stie selvagge del deserto. I prigionieri morivano, senzamandare un lamento, o per mezzo della spada, o dellascure, o del fuoco; e si moltiplicarono in una rapida pro-porzione le rappresaglie, che aggravavan gli orrori dellaribellione, ed escludevano la speranza d'un vicendevolperdono. Al principio del presente secolo, si è rinnovatol'esempio dei Circoncellioni nella persecuzione,nell'ardire, ne' delitti, e nell'entusiasmo dei Camisardi, ese i fanatici di Linguadoca sorpassaron quelli di Numi-dia per le loro azioni militari, gli Affricani mantenner lafiera loro indipendenza con maggiore risolutezza e per-

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severanza294.Tali disordini sono i naturali effetti d'una tirannia reli-

giosa; ma la rabbia dei Donatisti era infiammata da fre-nesia d'una specie molto straordinaria, la quale, se vera-mente prevalse fra loro in un grado così stravagante,non se ne può trovar sicuramente l'uguale in alcun pae-se, o in alcun secolo. Molti di questi fanatici avevano inorrore la vita, desiderando il martirio; e poco importavaloro per quali mezzi o per quali mani perissero, qualorala lor condotta santificata fosse dall'intenzione di sacrifi-carsi per la gloria della vera fede e per la speranzadell'eterna felicità295. Alle volte andavano a disturbarvillanamente le feste, ed a profanare i tempj del pagane-simo, con animo di eccitare i più zelanti fra gl'Idolatri avendicare gli insulti de' loro Dei. Alle volte, entravanper forza nei Tribunali di giustizia, o costringevano lospaventato Giudice ad ordinare l'immediata loro esecu-zione. Spesso fermavano i viandanti nelle pubblichestrade, e gli obbligavano a dar loro il martirio con lapromessa di un premio, se v'acconsentivano, e con laminaccia dell'immediata morte, se ricusavano di largiread essi un favore tanto singolare. Quando mancava qua-lunque altro ripiego, essi annunziavano il giorno, in cuialla presenza dei loro amici e fratelli si sarebber gettati abasso da qualche altissima rupe; e si mostravano varj

294L'istoria dei Camisardi, stampata in 3 volumi in 12. a Villafranca nel1760, può lodarsi come esatta ed imparziale. Per iscuoprire la religiondell'Autore si richiede qualche attenzione.

295I Donatisti suicidi allegavano a loro giustificazione l'esempio di Razia,riportato nel cap. 14. del Lib. II. dei Maccabei.

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severanza294.Tali disordini sono i naturali effetti d'una tirannia reli-

giosa; ma la rabbia dei Donatisti era infiammata da fre-nesia d'una specie molto straordinaria, la quale, se vera-mente prevalse fra loro in un grado così stravagante,non se ne può trovar sicuramente l'uguale in alcun pae-se, o in alcun secolo. Molti di questi fanatici avevano inorrore la vita, desiderando il martirio; e poco importavaloro per quali mezzi o per quali mani perissero, qualorala lor condotta santificata fosse dall'intenzione di sacrifi-carsi per la gloria della vera fede e per la speranzadell'eterna felicità295. Alle volte andavano a disturbarvillanamente le feste, ed a profanare i tempj del pagane-simo, con animo di eccitare i più zelanti fra gl'Idolatri avendicare gli insulti de' loro Dei. Alle volte, entravanper forza nei Tribunali di giustizia, o costringevano lospaventato Giudice ad ordinare l'immediata loro esecu-zione. Spesso fermavano i viandanti nelle pubblichestrade, e gli obbligavano a dar loro il martirio con lapromessa di un premio, se v'acconsentivano, e con laminaccia dell'immediata morte, se ricusavano di largiread essi un favore tanto singolare. Quando mancava qua-lunque altro ripiego, essi annunziavano il giorno, in cuialla presenza dei loro amici e fratelli si sarebber gettati abasso da qualche altissima rupe; e si mostravano varj

294L'istoria dei Camisardi, stampata in 3 volumi in 12. a Villafranca nel1760, può lodarsi come esatta ed imparziale. Per iscuoprire la religiondell'Autore si richiede qualche attenzione.

295I Donatisti suicidi allegavano a loro giustificazione l'esempio di Razia,riportato nel cap. 14. del Lib. II. dei Maccabei.

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precipizj che eran divenuti famosi pel numero dei reli-giosi suicidj. Nelle azioni di tali disperati entusiasti, ches'ammiravano da una parte come martiri di Dio, es'abborrivano dall'altra come vittime di Satana, un im-parziale Filosofo può ravvisar l'influenza e l'ultimo abu-so di quello spirito inflessibile, che in origine provenivadal carattere e dai principj della nazione Giudaica.

[A. D. 312-361]La semplice istoria delle interne divisioni, che distur-

baron la pace e disonorarono il trionfo della Chiesa, ser-virà a confermare l'osservazione d'un Istorico Pagano,ed a giustificare il lamento d'un venerabile Vescovo.L'esperienza d'Ammiano l'aveva convinto, che l'inimici-zia de' Cristiani fra loro sorpassava il furor delle fierecontro degli uomini296; e Gregorio Nazianzeno si duolenel più patetico stile, che il regno dei Cieli si era dalladiscordia convertito nell'immagine del caos, d'una tem-pesta notturna e dell'istesso inferno297. I fieri e parzialiScrittori di quei tempi, attribuendo a se stessi tutta lavirtù, ed imputando tutta la colpa agli avversari, hannorappresentato la guerra degli Angeli coi Demonj. La no-stra più tranquilla ragione rigetterà tali puri e perfettimostri di vizio o di santità, ed imputerà un'uguale o al-meno non molto298 diversa dose di bene o di male agli

296Nullas infestas hominibus bestias, ut sunt sibi ferales pleriqueChristianorum expertus. Ammiano XXII. 5.

297Gregor. Naz. Orat. I. p. 33. Vedi Tillemont Tom. VI.] p. 501. Ed. 4.298Nell'originale "molta". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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precipizj che eran divenuti famosi pel numero dei reli-giosi suicidj. Nelle azioni di tali disperati entusiasti, ches'ammiravano da una parte come martiri di Dio, es'abborrivano dall'altra come vittime di Satana, un im-parziale Filosofo può ravvisar l'influenza e l'ultimo abu-so di quello spirito inflessibile, che in origine provenivadal carattere e dai principj della nazione Giudaica.

[A. D. 312-361]La semplice istoria delle interne divisioni, che distur-

baron la pace e disonorarono il trionfo della Chiesa, ser-virà a confermare l'osservazione d'un Istorico Pagano,ed a giustificare il lamento d'un venerabile Vescovo.L'esperienza d'Ammiano l'aveva convinto, che l'inimici-zia de' Cristiani fra loro sorpassava il furor delle fierecontro degli uomini296; e Gregorio Nazianzeno si duolenel più patetico stile, che il regno dei Cieli si era dalladiscordia convertito nell'immagine del caos, d'una tem-pesta notturna e dell'istesso inferno297. I fieri e parzialiScrittori di quei tempi, attribuendo a se stessi tutta lavirtù, ed imputando tutta la colpa agli avversari, hannorappresentato la guerra degli Angeli coi Demonj. La no-stra più tranquilla ragione rigetterà tali puri e perfettimostri di vizio o di santità, ed imputerà un'uguale o al-meno non molto298 diversa dose di bene o di male agli

296Nullas infestas hominibus bestias, ut sunt sibi ferales pleriqueChristianorum expertus. Ammiano XXII. 5.

297Gregor. Naz. Orat. I. p. 33. Vedi Tillemont Tom. VI.] p. 501. Ed. 4.298Nell'originale "molta". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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ostili Settari, che prendevano i nomi di Ortodossi e diEretici. Essi erano stati educati nella medesima religionee nella medesima civil società; le speranze ed i timori sìnella vita presente che nella futura, si bilanciavano daloro nella medesima proporzione; sì dall'una chedall'altra parte poteva lo sbaglio esser innocente, la fedesincera, la pratica meritoria o corrotta; le loro passionivenivano eccitate da oggetti simili, e poteano alternati-vamente abusare del favor della Corte o del popolo. Lemetafisiche opinioni negli Atanasiani, e degli Arrianinon potevano influire sul lor morale carattere, e tuttierano ugualmente agitati dallo spirito intollerante, cheavevano tratto fuori dalle pure e semplici massimedell'Evangelio.

Un moderno Scrittore, che con giusto ardire ha postoin fronte della sua storia gli onorevoli titoli di politica efilosofica299, accusa la timida prudenza di Montesquieuper aver omesso di enumerare fra le cause della deca-denza dell'Impero una legge di Costantino, da cui fu as-solutamente soppresso l'esercizio del Culto Pagano, e silasciò priva di Sacerdoti, di tempj, e d'ogni pubblica re-ligione una considerabil parte di sudditi. Lo zelodell'Istorico filosofo pei diritti della umanità l'ha indottoad ammetter l'ambigua testimonianza di quegli Ecclesia-stici, che hanno troppo leggermente attribuito il meritodi una generale persecuzione all'Eroe lor favorito300. In-

299Hist. Polit. et Philos. des Etablissem. des Europ. etc. Tom. I. p. 9.300Secondo Eusebio in vit. Const. l. II. c. 45. l'Imperatore proibì tanto nelle

città che in campagna τα µυσαρα... της ειδωλολατρειας, le abominevoli prati-

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ostili Settari, che prendevano i nomi di Ortodossi e diEretici. Essi erano stati educati nella medesima religionee nella medesima civil società; le speranze ed i timori sìnella vita presente che nella futura, si bilanciavano daloro nella medesima proporzione; sì dall'una chedall'altra parte poteva lo sbaglio esser innocente, la fedesincera, la pratica meritoria o corrotta; le loro passionivenivano eccitate da oggetti simili, e poteano alternati-vamente abusare del favor della Corte o del popolo. Lemetafisiche opinioni negli Atanasiani, e degli Arrianinon potevano influire sul lor morale carattere, e tuttierano ugualmente agitati dallo spirito intollerante, cheavevano tratto fuori dalle pure e semplici massimedell'Evangelio.

Un moderno Scrittore, che con giusto ardire ha postoin fronte della sua storia gli onorevoli titoli di politica efilosofica299, accusa la timida prudenza di Montesquieuper aver omesso di enumerare fra le cause della deca-denza dell'Impero una legge di Costantino, da cui fu as-solutamente soppresso l'esercizio del Culto Pagano, e silasciò priva di Sacerdoti, di tempj, e d'ogni pubblica re-ligione una considerabil parte di sudditi. Lo zelodell'Istorico filosofo pei diritti della umanità l'ha indottoad ammetter l'ambigua testimonianza di quegli Ecclesia-stici, che hanno troppo leggermente attribuito il meritodi una generale persecuzione all'Eroe lor favorito300. In-

299Hist. Polit. et Philos. des Etablissem. des Europ. etc. Tom. I. p. 9.300Secondo Eusebio in vit. Const. l. II. c. 45. l'Imperatore proibì tanto nelle

città che in campagna τα µυσαρα... της ειδωλολατρειας, le abominevoli prati-

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vece di allegar questa legge immaginaria, che avrebbebrillato in fronte a' Codici Imperiali, noi possiamo consicurezza rimetterci all'epistola originale, che Costantinoindirizzò301 ai seguaci dell'antica religione in un tempo,nel quale non dissimulava più la sua conversione, nè piùtemeva i rivali del trono. Esso invita ed esorta ne' termi-ni più pressanti i sudditi del Romano Impero ad imitarl'esempio del loro Principe; ma dichiara, che quelli, chetuttavia ricusano d'aprir gli occhi alla celeste luce, pos-son liberamente godere i lor tempj e gl'immaginari lorDei. Vien dunque formalmente contraddetta l'asserzio-ne, che le ceremonie del Paganesimo fossero soppressedall'Imperatore medesimo, il quale saviamente assegnacome principio della sua moderazione l'invincibil forzadell'abitudine, del pregiudizio e della superstizione302.Ma senza violare la santità della sua promessa, senza ec-citare i timori de' Pagani, l'artificioso Monarca con lentie cauti passi avanzavasi a distrugger l'irregolare e ca-dente edifizio del politeismo. Gli atti parziali di severità,che secondo le occasioni esercitava, quantunque segre-tamente provenissero da uno zelo Cristiano, eran coloriti

che dell'idolatria. Socrate l. I. c. 17., e Sozomeno l. II. c. 4. 5. hanno rappresen-tato la condotta di Costantino con un giusto riguardo alla verità ed all'istoria,che si è trascurato da Teodoreto l. V. c. 21. e da Orosio VII. 28. Tum deinde(dice quest'ultimo) primus Constantinus justo ordine et pio vicem vertit edicto,siquidem statuit citra ullam hominum ecaedem Paganorum templa claudi.

301Nell'originale "indirisse". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]302Vedi Eusebio in vit. Const. l. II. c. 56. 60. Nel discorso all'Assemblea dei

Santi, che l'Imperatore pronunziò, quando era già maturo negli anni e nella pie-tà, dichiara agl'Idolatrici (c. XI) che era loro permesso d'offerir sacrifizi edesercitare ogni atto del religioso lor culto.

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vece di allegar questa legge immaginaria, che avrebbebrillato in fronte a' Codici Imperiali, noi possiamo consicurezza rimetterci all'epistola originale, che Costantinoindirizzò301 ai seguaci dell'antica religione in un tempo,nel quale non dissimulava più la sua conversione, nè piùtemeva i rivali del trono. Esso invita ed esorta ne' termi-ni più pressanti i sudditi del Romano Impero ad imitarl'esempio del loro Principe; ma dichiara, che quelli, chetuttavia ricusano d'aprir gli occhi alla celeste luce, pos-son liberamente godere i lor tempj e gl'immaginari lorDei. Vien dunque formalmente contraddetta l'asserzio-ne, che le ceremonie del Paganesimo fossero soppressedall'Imperatore medesimo, il quale saviamente assegnacome principio della sua moderazione l'invincibil forzadell'abitudine, del pregiudizio e della superstizione302.Ma senza violare la santità della sua promessa, senza ec-citare i timori de' Pagani, l'artificioso Monarca con lentie cauti passi avanzavasi a distrugger l'irregolare e ca-dente edifizio del politeismo. Gli atti parziali di severità,che secondo le occasioni esercitava, quantunque segre-tamente provenissero da uno zelo Cristiano, eran coloriti

che dell'idolatria. Socrate l. I. c. 17., e Sozomeno l. II. c. 4. 5. hanno rappresen-tato la condotta di Costantino con un giusto riguardo alla verità ed all'istoria,che si è trascurato da Teodoreto l. V. c. 21. e da Orosio VII. 28. Tum deinde(dice quest'ultimo) primus Constantinus justo ordine et pio vicem vertit edicto,siquidem statuit citra ullam hominum ecaedem Paganorum templa claudi.

301Nell'originale "indirisse". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]302Vedi Eusebio in vit. Const. l. II. c. 56. 60. Nel discorso all'Assemblea dei

Santi, che l'Imperatore pronunziò, quando era già maturo negli anni e nella pie-tà, dichiara agl'Idolatrici (c. XI) che era loro permesso d'offerir sacrifizi edesercitare ogni atto del religioso lor culto.

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dai più bei pretesti di giustizia e di pubblico bene; ementre Costantino tendeva a rovinare i fondamentidell'antica religione, pareva che ne riformasse gli abusi.Ad esempio dei suoi più saggi predecessori condannòsotto le più rigorose pene le occulte ed empie arti delladivinazione, che risveglia le vane speranze ed alle voltei rei tentativi di quelli, che son malcontenti della presen-te lor condizione. Fu imposto un ignominioso silenzioagli oracoli, ch'erano stati pubblicamente convinti difrode e falsità; furono aboliti gli effeminati Sacerdoti delNilo; e Costantino eseguì l'uffizio di Censore Romano,allorchè diede ordine che si demolissero i diversi tempjdella Fenicia, nei quali si praticava ogni sorta di prosti-tuzione pubblicamente in onore di Venere303. L'Imperialcittà di Costantinopoli fu in certo modo innalzata a spe-se de' ricchi tempj della Grecia e dell'Asia, e adornatadelle loro spoglie; si confiscarono i beni sacri; si tra-sportaron con rozza famigliarità le statue degli Dei e de-gli Eroi in mezzo ad un Popolo, che le risguardava comeoggetti non di adorazione, ma di curiosità; si restituì allacircolazione l'argento e l'oro; ed i Magistrati, i Vescovi,e gli Eunuchi profittarono della fortunata occasione disoddisfare nel tempo stesso lo zelo, l'avarizia e lo sde-gno. Ma tali depredazioni si ristrinsero ad una piccolaparte del Mondo Romano; e le Province da lungo tempoerano assuefatte a soffrire la medesima sacrilega rapaci-

303Vedi Euseb. in vit. Const. l. III. c. 54-58. e l. IV. c. 23. 25. Questi attid'autorità posson paragonarsi alla soppressione de' Baccanali, ed alla demoli-zione del Tempio d'Iside, ordinate dai Magistrati di Roma Pagana.

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dai più bei pretesti di giustizia e di pubblico bene; ementre Costantino tendeva a rovinare i fondamentidell'antica religione, pareva che ne riformasse gli abusi.Ad esempio dei suoi più saggi predecessori condannòsotto le più rigorose pene le occulte ed empie arti delladivinazione, che risveglia le vane speranze ed alle voltei rei tentativi di quelli, che son malcontenti della presen-te lor condizione. Fu imposto un ignominioso silenzioagli oracoli, ch'erano stati pubblicamente convinti difrode e falsità; furono aboliti gli effeminati Sacerdoti delNilo; e Costantino eseguì l'uffizio di Censore Romano,allorchè diede ordine che si demolissero i diversi tempjdella Fenicia, nei quali si praticava ogni sorta di prosti-tuzione pubblicamente in onore di Venere303. L'Imperialcittà di Costantinopoli fu in certo modo innalzata a spe-se de' ricchi tempj della Grecia e dell'Asia, e adornatadelle loro spoglie; si confiscarono i beni sacri; si tra-sportaron con rozza famigliarità le statue degli Dei e de-gli Eroi in mezzo ad un Popolo, che le risguardava comeoggetti non di adorazione, ma di curiosità; si restituì allacircolazione l'argento e l'oro; ed i Magistrati, i Vescovi,e gli Eunuchi profittarono della fortunata occasione disoddisfare nel tempo stesso lo zelo, l'avarizia e lo sde-gno. Ma tali depredazioni si ristrinsero ad una piccolaparte del Mondo Romano; e le Province da lungo tempoerano assuefatte a soffrire la medesima sacrilega rapaci-

303Vedi Euseb. in vit. Const. l. III. c. 54-58. e l. IV. c. 23. 25. Questi attid'autorità posson paragonarsi alla soppressione de' Baccanali, ed alla demoli-zione del Tempio d'Iside, ordinate dai Magistrati di Roma Pagana.

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tà dalla tirannia di Principi e di Proconsoli, contro i qua-li non potea nascer sospetto veruno di tendere a sovver-tire la religione stabilita304.

I figli di Costantino calcaron le vestigia del loro padrecon più zelo e con minor discrezione. Si moltiplicaronoappoco appoco i pretesti dell'oppressione e della rapi-na305; fu accordata ogni sorta di condiscendenza all'ille-gittima condotta dei Cristiani; qualunque dubbio fu in-terpretato in disfavore del Paganesimo; e la demolizionede' tempj fu celebrata come uno dei più prosperi avveni-menti del regno di Costante e di Costanzo306. È scritto ilnome di quest'ultimo in fronte ad una breve legge, cheavrebbe potuto render superflua qualunque posterioreproibizione. «Vogliamo che in tutti i luoghi ed in tutte lecittà immediatamente si chiudano i tempj, o siano dili-gentemente guardati, affinchè nessuno possa far male.Vogliamo ancora, che tutti i nostri sudditi si astenganoda' Sacrifizj. Se alcuno fosse reo di tal atto, provi la spa-da della vendetta; e dopo la morte i suoi beni siano con-

304Eusebio in vit. Const. l. III. c. 54. e Libanio Orat. Pro Templis p. 9. 10.Edit. Gothofr. fanno menzione del pio sacrilegio di Costantino, che essi ri-sguardavano in molto differente aspetto. L'ultimo espressamente dichiara, che«egli si servì del danaro sacro, ma non alterò il legittimo culto; i Tempj furonoin vero impoveriti, ma vi si celebravano i riti Sacri.» Lardner. Testim. Giudaic.et Pagan. etc. Vol. IV. p. 140.

305Ammiano XXII. 4. parla di alcuni Eunuchi di Corte, che furono spoliistemplorum pasti. Libanio dice Orat. pro Templ. p. 23., che l'Imperatore spessodonava un Tempio, come un cane, un cavallo, uno schiavo o una coppa d'oro;ma il devoto filosofo non lascia d'osservare, che ben di rado questi sacrileghifavoriti erano prosperati.

306Vedi Gothofr. Cod. Theodos. Tom. VI. p. 262. Liban. Orat. Parent. c. X.in Fabric. Bibl. Graec. Tom. VII. p. 235.

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tà dalla tirannia di Principi e di Proconsoli, contro i qua-li non potea nascer sospetto veruno di tendere a sovver-tire la religione stabilita304.

I figli di Costantino calcaron le vestigia del loro padrecon più zelo e con minor discrezione. Si moltiplicaronoappoco appoco i pretesti dell'oppressione e della rapi-na305; fu accordata ogni sorta di condiscendenza all'ille-gittima condotta dei Cristiani; qualunque dubbio fu in-terpretato in disfavore del Paganesimo; e la demolizionede' tempj fu celebrata come uno dei più prosperi avveni-menti del regno di Costante e di Costanzo306. È scritto ilnome di quest'ultimo in fronte ad una breve legge, cheavrebbe potuto render superflua qualunque posterioreproibizione. «Vogliamo che in tutti i luoghi ed in tutte lecittà immediatamente si chiudano i tempj, o siano dili-gentemente guardati, affinchè nessuno possa far male.Vogliamo ancora, che tutti i nostri sudditi si astenganoda' Sacrifizj. Se alcuno fosse reo di tal atto, provi la spa-da della vendetta; e dopo la morte i suoi beni siano con-

304Eusebio in vit. Const. l. III. c. 54. e Libanio Orat. Pro Templis p. 9. 10.Edit. Gothofr. fanno menzione del pio sacrilegio di Costantino, che essi ri-sguardavano in molto differente aspetto. L'ultimo espressamente dichiara, che«egli si servì del danaro sacro, ma non alterò il legittimo culto; i Tempj furonoin vero impoveriti, ma vi si celebravano i riti Sacri.» Lardner. Testim. Giudaic.et Pagan. etc. Vol. IV. p. 140.

305Ammiano XXII. 4. parla di alcuni Eunuchi di Corte, che furono spoliistemplorum pasti. Libanio dice Orat. pro Templ. p. 23., che l'Imperatore spessodonava un Tempio, come un cane, un cavallo, uno schiavo o una coppa d'oro;ma il devoto filosofo non lascia d'osservare, che ben di rado questi sacrileghifavoriti erano prosperati.

306Vedi Gothofr. Cod. Theodos. Tom. VI. p. 262. Liban. Orat. Parent. c. X.in Fabric. Bibl. Graec. Tom. VII. p. 235.

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fiscati a vantaggio del Pubblico. Estendiamo le stessepene a' Governatori delle Province, se trascureranno dipunire i delinquenti»307. Ma vi è la più forte ragione dicredere, che questo formidabil editto o fosse scritto sen-za esser pubblicato, o fosse pubblicato senza essere ese-guito. L'evidenza dei fatti ed i monumenti, che tuttaviasussistono di bronzo e di marmo, continuano a provareil pubblico esercizio del Culto Pagano in tutto il regnode' figli di Costantino. Tanto nell'Oriente quantonell'Occidente, sì nelle città che nella campagna si ri-spettava, o almeno si risparmiava un gran numero ditempj; e la devota moltitudine tuttavia godeva il lussodei sacrifizj, delle feste e delle processioni per la per-missione o per la connivenza del Governo. Circa quattroanni dopo la pretesa data di quel sanguinoso editto, Co-stanzo visitò i tempj di Roma; e viene commendata daun oratore Pagano la decenza del suo contegno, come unesempio degno dell'imitazione dei successivi Principi.Quell'Imperatore (dice Simmaco) «tollerò che restassero

307Placuit omnibus locis, atque urbibus universis claudi protinus Templa, etaccessu vetitis omnibus licentiam delinquendi perditis abnegari. Volumusetiam cunctos a sacrificiis abstinere. Quod si quis aliquid forte hujusmodiperpetraverit, gladio sternatur: facultates etiam perempti Fisco decernimusvindicari; et similiter adfligi Rectores Provinciarum, si facinora vindicareneglexerint. (Cod. Theod. l. XVI. Tit. X. leg. 4.). La Cronologia ha scopertoqualche contraddizione nella data di questa legge stravagante, ch'è l'unica for-se, in cui la negligenza dei Magistrati sia punita con la morte e con la confisca-zione dei beni. Il sig. della Bastia (Mem. de l'Acad. Tom. XV. p. 98.) congetturacon un'apparenza di ragione, che questa non fosse che la minuta d'una legge, oil contenuto d'una costituzione che voleva farsi, e che si trovasse, in scriniismemoriae, fra i fogli di Costanzo, e dopo fosse inserita come un degno model-lo nel Codice Teodosiano.

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fiscati a vantaggio del Pubblico. Estendiamo le stessepene a' Governatori delle Province, se trascureranno dipunire i delinquenti»307. Ma vi è la più forte ragione dicredere, che questo formidabil editto o fosse scritto sen-za esser pubblicato, o fosse pubblicato senza essere ese-guito. L'evidenza dei fatti ed i monumenti, che tuttaviasussistono di bronzo e di marmo, continuano a provareil pubblico esercizio del Culto Pagano in tutto il regnode' figli di Costantino. Tanto nell'Oriente quantonell'Occidente, sì nelle città che nella campagna si ri-spettava, o almeno si risparmiava un gran numero ditempj; e la devota moltitudine tuttavia godeva il lussodei sacrifizj, delle feste e delle processioni per la per-missione o per la connivenza del Governo. Circa quattroanni dopo la pretesa data di quel sanguinoso editto, Co-stanzo visitò i tempj di Roma; e viene commendata daun oratore Pagano la decenza del suo contegno, come unesempio degno dell'imitazione dei successivi Principi.Quell'Imperatore (dice Simmaco) «tollerò che restassero

307Placuit omnibus locis, atque urbibus universis claudi protinus Templa, etaccessu vetitis omnibus licentiam delinquendi perditis abnegari. Volumusetiam cunctos a sacrificiis abstinere. Quod si quis aliquid forte hujusmodiperpetraverit, gladio sternatur: facultates etiam perempti Fisco decernimusvindicari; et similiter adfligi Rectores Provinciarum, si facinora vindicareneglexerint. (Cod. Theod. l. XVI. Tit. X. leg. 4.). La Cronologia ha scopertoqualche contraddizione nella data di questa legge stravagante, ch'è l'unica for-se, in cui la negligenza dei Magistrati sia punita con la morte e con la confisca-zione dei beni. Il sig. della Bastia (Mem. de l'Acad. Tom. XV. p. 98.) congetturacon un'apparenza di ragione, che questa non fosse che la minuta d'una legge, oil contenuto d'una costituzione che voleva farsi, e che si trovasse, in scriniismemoriae, fra i fogli di Costanzo, e dopo fosse inserita come un degno model-lo nel Codice Teodosiano.

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intatti i privilegi delle Vestali; diede le dignità Sacerdo-tali a' nobili di Roma; concesse la solita prestazione perle spese dei pubblici riti e sacrifizj; e quantunque avesseabbracciato una religione diversa, non tentò mai di spo-gliar l'Impero del sacro culto dell'antichità»308. Il Senatopretendeva sempre di consacrare con solenni decreti ladivina memoria dei suoi Sovrani, e Costantino medesi-mo fu dopo la sua morte associato a quegli Dei, che essoavea rinunziati e insultati in vita. Il titolo, le insegne, ele prerogative di Pontefice Massimo, che s'erano istituiteda Numa ed assunte da Augusto, s'accettarono senzaesitare da sette Imperatori Cristiani, che venivano inve-stiti di un'autorità più assoluta sulla religione da essi ab-bandonata, che su quella che professavano309.

Le divisioni fra i Cristiani sospesero la rovina del Pa-ganesimo310; e la guerra sacra, contro gl'Infedeli con mi-

308Simmaco Epist. X. 54.309La dissertazione 4. del sig. della Bastia sul Pontificato degl'Imperatori

Romani, nelle Mem. de l'Accad. T. XV. p. 75-144, è un'opera molto erudita egiudiziosa, che spiega lo stato e le prove di tolleranza circa il Paganesimo daCostantino fino a Graziano. Vien posta fuor d'ogni dubbio l'asserzione di Zosi-mo che Graziano fosse il primo a ricusare la veste Pontificale; e son quasi ri-dotte al silenzio le dicerie de' torcicotti su tale articolo.

310Siccome io mi sono anticipatamente servito de' termini di Pagani, e diPaganesimo, indicherò in questo luogo le singolari vicende di tali famose pa-role 1. παγη nel Dialetto Dorico, sì famigliare agl'Italiani, significa fontana, edil vicinato rurale, che solea frequentarla; di qui prese il comun nome di Paguse di Pagani. (Vedi Festo a questa parola e Servio ad Virgil. Georg. II. 382.) 2.Per una facil estensione di tal voce, divenner quasi sinonimi Pagano e rurale(Plin. Hist. Nat. XXVIII. 5), e si diede quel nome agl'intimi villani, che poi neimoderni linguaggi d'Europa si è ridotto a quello di paesani, contadini. 3.L'eccessivo accrescimento dell'ordine militare introdusse la necessità d'un ter-mine correlativo (Hume Sagg. Vol. I. p. 555.); e chiunque non era arrolato alla

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intatti i privilegi delle Vestali; diede le dignità Sacerdo-tali a' nobili di Roma; concesse la solita prestazione perle spese dei pubblici riti e sacrifizj; e quantunque avesseabbracciato una religione diversa, non tentò mai di spo-gliar l'Impero del sacro culto dell'antichità»308. Il Senatopretendeva sempre di consacrare con solenni decreti ladivina memoria dei suoi Sovrani, e Costantino medesi-mo fu dopo la sua morte associato a quegli Dei, che essoavea rinunziati e insultati in vita. Il titolo, le insegne, ele prerogative di Pontefice Massimo, che s'erano istituiteda Numa ed assunte da Augusto, s'accettarono senzaesitare da sette Imperatori Cristiani, che venivano inve-stiti di un'autorità più assoluta sulla religione da essi ab-bandonata, che su quella che professavano309.

Le divisioni fra i Cristiani sospesero la rovina del Pa-ganesimo310; e la guerra sacra, contro gl'Infedeli con mi-

308Simmaco Epist. X. 54.309La dissertazione 4. del sig. della Bastia sul Pontificato degl'Imperatori

Romani, nelle Mem. de l'Accad. T. XV. p. 75-144, è un'opera molto erudita egiudiziosa, che spiega lo stato e le prove di tolleranza circa il Paganesimo daCostantino fino a Graziano. Vien posta fuor d'ogni dubbio l'asserzione di Zosi-mo che Graziano fosse il primo a ricusare la veste Pontificale; e son quasi ri-dotte al silenzio le dicerie de' torcicotti su tale articolo.

310Siccome io mi sono anticipatamente servito de' termini di Pagani, e diPaganesimo, indicherò in questo luogo le singolari vicende di tali famose pa-role 1. παγη nel Dialetto Dorico, sì famigliare agl'Italiani, significa fontana, edil vicinato rurale, che solea frequentarla; di qui prese il comun nome di Paguse di Pagani. (Vedi Festo a questa parola e Servio ad Virgil. Georg. II. 382.) 2.Per una facil estensione di tal voce, divenner quasi sinonimi Pagano e rurale(Plin. Hist. Nat. XXVIII. 5), e si diede quel nome agl'intimi villani, che poi neimoderni linguaggi d'Europa si è ridotto a quello di paesani, contadini. 3.L'eccessivo accrescimento dell'ordine militare introdusse la necessità d'un ter-mine correlativo (Hume Sagg. Vol. I. p. 555.); e chiunque non era arrolato alla

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nor vigore fu proseguita da Principi e da Vescovi, cheerano più immediatamente sbigottiti dal male e dal peri-colo della ribellione domestica. Si sarebbe potuta giusti-ficare l'estirpazione dell'idolatria311 coi principj già sta-biliti d'intolleranza; ma le contrarie Sette, che a vicendaregnavano nella Corte Imperiale, temevano di alienareda loro, e forse d'esacerbare gli animi di una forte, seb-bene decadente fazione. Militava allora in favore delCristianesimo ogni motivo di autorità e di moda, d'inte-

milizia del Principe, s'indicava col disprezzante nome di Pagano (Tacit. Hist.III. 24. 43. 77. Giovenal. Sat. 16. Tertullian. De Pall. c. 4. 4). I Cristiani erano isoldati di Cristo; i loro avversari, che ricusavano il suo Sacramento, o giura-mento militare del Battesimo, poterono meritare il titolo metaforico di Pagani;e questo popolar rimprovero s'introdusse fin dal regno di Valentiniano An. 365nelle leggi Imperiali (Cod. Theodos. lib. XVI. T. II. l. 18.) e negli scritti Teolo-gici. 5. Il Cristianesimo appoco appoco riempì le città dell'Impero; la vecchiareligione al tempo di Prudenzio (adv. Symmac. l. I. in fin) e d'Orosio (in prae-fat. Hist.) erasi ritirata e languiva negli oscuri villaggi; e la parola Pagani tornòcol nuovo significato alla primitiva sua origine. 6. Terminato che fu il culto diGiove e della sua famiglia, si è sucessivamente applicato il nome vacante diPagani a tutti gl'idolatri e politeisti sì dell'antico che del nuovo Mondo. 7. ICristiani Latini lo diedero senza scrupolo, a' Maomettani, loro mortali nemici;ed i più puri Unitarj furono infamati coll'ingiusta taccia d'Idolatria e di Pagane-simo. Vedi Gerardo Voss. Etymol. Ling. Lat. nelle sue opere T. I. p. 420. Gotto-fredo Comment. ad Cod. Theodos. T. VI. p. 250. e Du Cange Glossar. Med. etinf. Latin.

311Nel puro linguaggio della Jonia e d'Atene Ειδωλον, e Λατρεια eran paro-le antiche e famigliari. La prima esprimeva una somiglianza, un'apparizione,(Omero Odiss. XI. 601.) una rappresentazione, un'immagine creata o dalla fan-tasia o dall'arte. La seconda indicava ogni specie di servizio o di schiavitù. GliEbrei dell'Egitto, che tradussero la Scrittura dall'Ebraico, ristrinsero l'uso diqueste parole (Exod. XX. 4. 5) al culto religioso d'un'immagine. Gli ScrittoriSacri ed Ecclesiastici hanno adottato questo particolar linguaggio degli Elleni-sti, o Greci Ebrei, e si è data la taccia d'idolatria (Ειδωλολατρια) a quella visi-bile ed abbietta specie di superstizione, che alcune Sette del Cristianesimo nondovrebbero esser così corrive ad imputare ai politeisti della Grecia e di Roma.

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nor vigore fu proseguita da Principi e da Vescovi, cheerano più immediatamente sbigottiti dal male e dal peri-colo della ribellione domestica. Si sarebbe potuta giusti-ficare l'estirpazione dell'idolatria311 coi principj già sta-biliti d'intolleranza; ma le contrarie Sette, che a vicendaregnavano nella Corte Imperiale, temevano di alienareda loro, e forse d'esacerbare gli animi di una forte, seb-bene decadente fazione. Militava allora in favore delCristianesimo ogni motivo di autorità e di moda, d'inte-

milizia del Principe, s'indicava col disprezzante nome di Pagano (Tacit. Hist.III. 24. 43. 77. Giovenal. Sat. 16. Tertullian. De Pall. c. 4. 4). I Cristiani erano isoldati di Cristo; i loro avversari, che ricusavano il suo Sacramento, o giura-mento militare del Battesimo, poterono meritare il titolo metaforico di Pagani;e questo popolar rimprovero s'introdusse fin dal regno di Valentiniano An. 365nelle leggi Imperiali (Cod. Theodos. lib. XVI. T. II. l. 18.) e negli scritti Teolo-gici. 5. Il Cristianesimo appoco appoco riempì le città dell'Impero; la vecchiareligione al tempo di Prudenzio (adv. Symmac. l. I. in fin) e d'Orosio (in prae-fat. Hist.) erasi ritirata e languiva negli oscuri villaggi; e la parola Pagani tornòcol nuovo significato alla primitiva sua origine. 6. Terminato che fu il culto diGiove e della sua famiglia, si è sucessivamente applicato il nome vacante diPagani a tutti gl'idolatri e politeisti sì dell'antico che del nuovo Mondo. 7. ICristiani Latini lo diedero senza scrupolo, a' Maomettani, loro mortali nemici;ed i più puri Unitarj furono infamati coll'ingiusta taccia d'Idolatria e di Pagane-simo. Vedi Gerardo Voss. Etymol. Ling. Lat. nelle sue opere T. I. p. 420. Gotto-fredo Comment. ad Cod. Theodos. T. VI. p. 250. e Du Cange Glossar. Med. etinf. Latin.

311Nel puro linguaggio della Jonia e d'Atene Ειδωλον, e Λατρεια eran paro-le antiche e famigliari. La prima esprimeva una somiglianza, un'apparizione,(Omero Odiss. XI. 601.) una rappresentazione, un'immagine creata o dalla fan-tasia o dall'arte. La seconda indicava ogni specie di servizio o di schiavitù. GliEbrei dell'Egitto, che tradussero la Scrittura dall'Ebraico, ristrinsero l'uso diqueste parole (Exod. XX. 4. 5) al culto religioso d'un'immagine. Gli ScrittoriSacri ed Ecclesiastici hanno adottato questo particolar linguaggio degli Elleni-sti, o Greci Ebrei, e si è data la taccia d'idolatria (Ειδωλολατρια) a quella visi-bile ed abbietta specie di superstizione, che alcune Sette del Cristianesimo nondovrebbero esser così corrive ad imputare ai politeisti della Grecia e di Roma.

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resse e di ragione; ma dovettero passare due o tre gene-razioni, prima che fosse universalmente sentita la suavittoriosa influenza. La religione, che per sì lungo tem-po e recentemente avea dominato nell'Impero Romano,era sempre venerata da molti, meno attaccati invero alleopinioni speculative che all'antico uso. Erano indifferen-temente concessi gli onori dello Stato e dell'esercito atutti i sudditi di Costantino e di Costanzo; ed una parteconsiderabile di cognizioni, di ricchezze e di valore tro-vavasi tuttora impegnata in servizio del politeismo. Na-sceva da cause molto diverse la superstizione del Sena-tore e del Villano, del Poeta e del Filosofo; ma conugual divozione si univano tutti nei tempj degli Dei. Erainsensibilmente provocato il loro zelo dall'insultantetrionfo d'una Setta proscritta; e si ravvivavan le lorosperanze dalla ben fondata fiducia, che l'erede presunti-vo dell'Impero, giovane e valoroso Eroe, che avea libe-rato la Gallia dalle armi dei Barbari, avesse abbracciatosegretamente la religione dei suoi maggiori.

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resse e di ragione; ma dovettero passare due o tre gene-razioni, prima che fosse universalmente sentita la suavittoriosa influenza. La religione, che per sì lungo tem-po e recentemente avea dominato nell'Impero Romano,era sempre venerata da molti, meno attaccati invero alleopinioni speculative che all'antico uso. Erano indifferen-temente concessi gli onori dello Stato e dell'esercito atutti i sudditi di Costantino e di Costanzo; ed una parteconsiderabile di cognizioni, di ricchezze e di valore tro-vavasi tuttora impegnata in servizio del politeismo. Na-sceva da cause molto diverse la superstizione del Sena-tore e del Villano, del Poeta e del Filosofo; ma conugual divozione si univano tutti nei tempj degli Dei. Erainsensibilmente provocato il loro zelo dall'insultantetrionfo d'una Setta proscritta; e si ravvivavan le lorosperanze dalla ben fondata fiducia, che l'erede presunti-vo dell'Impero, giovane e valoroso Eroe, che avea libe-rato la Gallia dalle armi dei Barbari, avesse abbracciatosegretamente la religione dei suoi maggiori.

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CAPITOLO XXII

Giuliano è dichiarato Imperatore dalle legioni dellaGallia. Sua marcia e successo. Morte di Costanzo. Am-

ministrazione civile di Giuliano.

Mentre i Romani languivano sotto l'ignominiosa ti-rannia degli Eunuchi e dei Vescovi, si ripetevano contrasporto le lodi di Giuliano in ogni parte dell'Impero,fuorchè nel palazzo di Costanzo. I Barbari della Germa-nia avevan provato, e sempre temevano le armi del gio-vane Cesare. I suoi soldati erano i compagni della suavittoria. I Provinciali pieni di gratitudine godevano lebeneficenze del suo regno. Ma i favoriti che si erano op-posti alla sua elevazione, guardavano di mal occhio lesue virtù, ed a ragione consideravan l'amico del popolocome un nemico della Corte. Fintanto che fu dubbiosa lafama di Giuliano, i buffoni del palazzo, periti nel lin-guaggio della satira, sperimentarono l'efficacia di quellearti, ch'essi avevano tante volte praticate con felice suc-cesso. Facilmente notarono che la sua semplicità nonera esente da affettazione; applicarono all'abito e allapersona del filosofo guerriero i ridicoli nomi d'irsutoselvaggio e di scimia vestita di porpora, e le sue mode-ste relazioni venivan criticate come vane ed elaboratefinzioni d'un Greco loquace, e d'uno speculativo soldato,che aveva studiato l'arte della guerra nei giardini

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CAPITOLO XXII

Giuliano è dichiarato Imperatore dalle legioni dellaGallia. Sua marcia e successo. Morte di Costanzo. Am-

ministrazione civile di Giuliano.

Mentre i Romani languivano sotto l'ignominiosa ti-rannia degli Eunuchi e dei Vescovi, si ripetevano contrasporto le lodi di Giuliano in ogni parte dell'Impero,fuorchè nel palazzo di Costanzo. I Barbari della Germa-nia avevan provato, e sempre temevano le armi del gio-vane Cesare. I suoi soldati erano i compagni della suavittoria. I Provinciali pieni di gratitudine godevano lebeneficenze del suo regno. Ma i favoriti che si erano op-posti alla sua elevazione, guardavano di mal occhio lesue virtù, ed a ragione consideravan l'amico del popolocome un nemico della Corte. Fintanto che fu dubbiosa lafama di Giuliano, i buffoni del palazzo, periti nel lin-guaggio della satira, sperimentarono l'efficacia di quellearti, ch'essi avevano tante volte praticate con felice suc-cesso. Facilmente notarono che la sua semplicità nonera esente da affettazione; applicarono all'abito e allapersona del filosofo guerriero i ridicoli nomi d'irsutoselvaggio e di scimia vestita di porpora, e le sue mode-ste relazioni venivan criticate come vane ed elaboratefinzioni d'un Greco loquace, e d'uno speculativo soldato,che aveva studiato l'arte della guerra nei giardini

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dell'Accademia312. La voce però della maliziosa follìa fi-nalmente fu fatta tacere dal suono della vittoria; non sipotè più dipingere il conquistatore dei Franchi e degliAlemanni come un oggetto di disprezzo; ed il Monarcamedesimo era bassamente ambizioso di defraudare ilsuo luogotenente dell'onorevol premio di sue fatiche.Nelle lettere coronate di lauro, che, secondo l'antico co-stume, furono mandate alle Province, si omise il nomedi Giuliano. «Costanzo avea fatte tutte le disposizionidella guerra in persona, egli avea segnalato il suo valorenelle linee; la sua condotta militare assicurato avea lavittoria, ed il Re dei Barbari gli era stato condotto pri-gioniero nel campo di battaglia»: dal quale in quel tem-po era distante più di quaranta giornate di cammino313.Ma una favola sì stravagante non poteva ingannare lapubblica credulità, e neppur soddisfare l'orgogliodell'Imperatore medesimo. Conoscendo segretamente

312Omnes qui plus poterant in palatio, adulandi professores jam docti, recteconsulta prospereque completa vertebant in deridiculum, talia sine modo stre-pentes insulse; in odium venit cum victoriis suis; capella, non homo; ut hirsu-tum Julianum carpentes, appellantesque loquacem talpam, et purpuratam si-miam, et litterionem Graecum: et his congruentia plurima atque vernaculaPrincipi resonantes, audire haec taliaque gestienti, virtutes ejus obruere verbisimpudentibus conabantur, et segnem incessentes, et timidum et umbratilem,gestaque secus verbis comptioribus exornantem. Ammian. XVIII. 11.

313Ammiano XVI. 12. L'oratore Temistio (IV. p. 56, 57) credè tutto ciò chesi conteneva nelle lettere Imperiali, spedite al Senato di Costantinopoli. Aure-lio Vittore, che pubblicò il suo compendio nell'ultimo anno di Costanzo, attri-buisce le vittorie Germaniche alla saviezza dell'Imperatore ed alla fortuna diCesare. Pure l'Istorico poco dopo fu debitore al favore o alla stima di Giulianodell'onore di una statua di rame, e degl'importanti uffizj di Consolare della se-conda Pannonia e di Prefetto di Roma. Ammiano XXI. 10.

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dell'Accademia312. La voce però della maliziosa follìa fi-nalmente fu fatta tacere dal suono della vittoria; non sipotè più dipingere il conquistatore dei Franchi e degliAlemanni come un oggetto di disprezzo; ed il Monarcamedesimo era bassamente ambizioso di defraudare ilsuo luogotenente dell'onorevol premio di sue fatiche.Nelle lettere coronate di lauro, che, secondo l'antico co-stume, furono mandate alle Province, si omise il nomedi Giuliano. «Costanzo avea fatte tutte le disposizionidella guerra in persona, egli avea segnalato il suo valorenelle linee; la sua condotta militare assicurato avea lavittoria, ed il Re dei Barbari gli era stato condotto pri-gioniero nel campo di battaglia»: dal quale in quel tem-po era distante più di quaranta giornate di cammino313.Ma una favola sì stravagante non poteva ingannare lapubblica credulità, e neppur soddisfare l'orgogliodell'Imperatore medesimo. Conoscendo segretamente

312Omnes qui plus poterant in palatio, adulandi professores jam docti, recteconsulta prospereque completa vertebant in deridiculum, talia sine modo stre-pentes insulse; in odium venit cum victoriis suis; capella, non homo; ut hirsu-tum Julianum carpentes, appellantesque loquacem talpam, et purpuratam si-miam, et litterionem Graecum: et his congruentia plurima atque vernaculaPrincipi resonantes, audire haec taliaque gestienti, virtutes ejus obruere verbisimpudentibus conabantur, et segnem incessentes, et timidum et umbratilem,gestaque secus verbis comptioribus exornantem. Ammian. XVIII. 11.

313Ammiano XVI. 12. L'oratore Temistio (IV. p. 56, 57) credè tutto ciò chesi conteneva nelle lettere Imperiali, spedite al Senato di Costantinopoli. Aure-lio Vittore, che pubblicò il suo compendio nell'ultimo anno di Costanzo, attri-buisce le vittorie Germaniche alla saviezza dell'Imperatore ed alla fortuna diCesare. Pure l'Istorico poco dopo fu debitore al favore o alla stima di Giulianodell'onore di una statua di rame, e degl'importanti uffizj di Consolare della se-conda Pannonia e di Prefetto di Roma. Ammiano XXI. 10.

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che l'applauso ed il favor dei Romani accompagnava lanascente fortuna di Giuliano, il suo spirito malcontentoera pronto a ricevere il sottile veleno di quegli artificiosiadulatori, che colorivano i lor malvagi disegni con le piùbelle apparenze di verità e di candore314. Invece di ab-bassare i meriti di Giuliano, essi ne confessavano, edeziandio n'esageravano la fama popolare, l'eminente in-gegno e gl'importanti servigi. Ma oscuramente accenna-vano, che le virtù di Cesare potevano ad un tratto con-vertirsi nei più pericolosi delitti, se l'incostante moltitu-dine preferito avesse le proprie inclinazioni al dovere, ose il Generale d'un vittorioso esercito fosse tentato dianteporre alla sua fedeltà le speranze della vendetta, o diuna indipendente grandezza. I personali timori di Co-stanzo erano interpretati dal suo Consiglio come una lo-devole ansietà per la pubblica salute; mentre in privato,e forse anche dentro a se stesso egli mascherava col menodioso nome di timore i sentimenti d'odio e d'invidia,che aveva segretamente conceputi per le inimitabili vir-tù di Giuliano.

[A. D. 360]L'apparente tranquilità della Gallia, e l'imminente pe-

ricolo delle Province Orientali somministrarono unospecioso pretesto pei disegni che artificiosamente siconcertarono dai ministri dell'Imperatore. Risolvettero

314Callido nocendi artificio accusatoriam diritatem laudum titulis perage-bant... Hae voces fuerunt ad inflammanda odia probris omnibus potentiores.Vedi Mammertino in act. Gratiar. in Vet. Paneg. XI. 5. 6.

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che l'applauso ed il favor dei Romani accompagnava lanascente fortuna di Giuliano, il suo spirito malcontentoera pronto a ricevere il sottile veleno di quegli artificiosiadulatori, che colorivano i lor malvagi disegni con le piùbelle apparenze di verità e di candore314. Invece di ab-bassare i meriti di Giuliano, essi ne confessavano, edeziandio n'esageravano la fama popolare, l'eminente in-gegno e gl'importanti servigi. Ma oscuramente accenna-vano, che le virtù di Cesare potevano ad un tratto con-vertirsi nei più pericolosi delitti, se l'incostante moltitu-dine preferito avesse le proprie inclinazioni al dovere, ose il Generale d'un vittorioso esercito fosse tentato dianteporre alla sua fedeltà le speranze della vendetta, o diuna indipendente grandezza. I personali timori di Co-stanzo erano interpretati dal suo Consiglio come una lo-devole ansietà per la pubblica salute; mentre in privato,e forse anche dentro a se stesso egli mascherava col menodioso nome di timore i sentimenti d'odio e d'invidia,che aveva segretamente conceputi per le inimitabili vir-tù di Giuliano.

[A. D. 360]L'apparente tranquilità della Gallia, e l'imminente pe-

ricolo delle Province Orientali somministrarono unospecioso pretesto pei disegni che artificiosamente siconcertarono dai ministri dell'Imperatore. Risolvettero

314Callido nocendi artificio accusatoriam diritatem laudum titulis perage-bant... Hae voces fuerunt ad inflammanda odia probris omnibus potentiores.Vedi Mammertino in act. Gratiar. in Vet. Paneg. XI. 5. 6.

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essi di disarmar Cesare; di richiamare quelle fedeli trup-pe che guardavano la sua persona e dignità, e d'impiega-re in una guerra lontana contro il Re di Persia i valorosiveterani che sulle rive del Reno avevan vinto le più fierenazioni della Germania. Mentre Giuliano consumava lelaboriose sue ore nei quartieri d'inverno a Parigi, ammi-nistrando la potenza che nelle sue mani riducevasiall'esercizio della virtù, fu sorpreso dal precipitoso arri-vo d'un tribuno e d'un notaro con positivi ordinidell'Imperatore, ch'essi avevano la commission d'esegui-re, ed a' quali egli non dovevasi opporre. Costanzo indi-cò la sua volontà che quattro intere legioni, vale a direquelle dei Celti, dei Petulanti, degli Eruli e dei Batavi, siseparassero dalle bandiere di Giuliano, sotto di cui ac-quistato avevano la loro fama e disciplina; che si sce-gliessero in ciascheduna delle rimanenti trecento dei piùvalorosi giovani; e che questo numeroso distaccamento,che formava la forza dell'esercito Gallico, si ponesseimmediatamente in marcia, e facesse ogni diligenza perarrivare avanti l'apertura della nuova campagna sullefrontiere di Persia315. Cesare previde le conseguenze diquesto fatal comando, e se ne lagnò. Moltissimi ausilia-rii, che volontariamente s'erano ascritti alla milizia, ave-vano stipulato di non poter essere mai costretti a passar

315Il piccolo intervallo, che passa fra l'hyeme adulta, ed il primo vered'Ammiano (XX. I. 4) invece di dare un sufficiente spazio per una marcia ditremila miglia renderebbe gli ordini di Costanzo altrettanto stravaganti, quantoerano ingiusti. Le truppe della Gallia non potevan giungere in Siria che al finedell'autunno. Bisogna che le memorie d'Ammiano fossero inesatte, o le sueespressioni scorrette.

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essi di disarmar Cesare; di richiamare quelle fedeli trup-pe che guardavano la sua persona e dignità, e d'impiega-re in una guerra lontana contro il Re di Persia i valorosiveterani che sulle rive del Reno avevan vinto le più fierenazioni della Germania. Mentre Giuliano consumava lelaboriose sue ore nei quartieri d'inverno a Parigi, ammi-nistrando la potenza che nelle sue mani riducevasiall'esercizio della virtù, fu sorpreso dal precipitoso arri-vo d'un tribuno e d'un notaro con positivi ordinidell'Imperatore, ch'essi avevano la commission d'esegui-re, ed a' quali egli non dovevasi opporre. Costanzo indi-cò la sua volontà che quattro intere legioni, vale a direquelle dei Celti, dei Petulanti, degli Eruli e dei Batavi, siseparassero dalle bandiere di Giuliano, sotto di cui ac-quistato avevano la loro fama e disciplina; che si sce-gliessero in ciascheduna delle rimanenti trecento dei piùvalorosi giovani; e che questo numeroso distaccamento,che formava la forza dell'esercito Gallico, si ponesseimmediatamente in marcia, e facesse ogni diligenza perarrivare avanti l'apertura della nuova campagna sullefrontiere di Persia315. Cesare previde le conseguenze diquesto fatal comando, e se ne lagnò. Moltissimi ausilia-rii, che volontariamente s'erano ascritti alla milizia, ave-vano stipulato di non poter essere mai costretti a passar

315Il piccolo intervallo, che passa fra l'hyeme adulta, ed il primo vered'Ammiano (XX. I. 4) invece di dare un sufficiente spazio per una marcia ditremila miglia renderebbe gli ordini di Costanzo altrettanto stravaganti, quantoerano ingiusti. Le truppe della Gallia non potevan giungere in Siria che al finedell'autunno. Bisogna che le memorie d'Ammiano fossero inesatte, o le sueespressioni scorrette.

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le alpi. Si era impegnata la pubblica fede di Roma, ed ilpersonal onore di Giuliano per l'osservanza di tal condi-zione. Un simil atto di tradimento e d'oppressioneavrebbe distrutto la fiducia, ed eccitato lo sdegnodegl'indipendenti guerrieri della Germania, che risguar-davan la verità come la più nobile delle virtù, e la libertàcome il più stimabile dei loro beni. I Legionari, che go-devano il titolo ed i privilegi di Romani, s'erano arrolatiper la difesa generale della Repubblica; ma quelle mer-cenarie truppe udivan con fredda indifferenza gli anti-quati nomi di Repubblica e di Roma. Attaccati o per lanascita o per una lunga abitazione al clima ed ai costumidella Gallia, essi amavano ed ammiravan Giuliano, di-sprezzavano e forse odiavan l'Imperatore, temevanoquella marcia laboriosa, i dardi Persiani, e gli ardentideserti dell'Asia. Risguardavano come loro propria laterra che avevan salvata; e scusavan la loro mancanza dicoraggio, adducendo il sacro e più immediato dovere didifender le famiglie e gli amici loro. Le apprensioni deiGalli nascevano da un imminente ed inevitabil pericolo.Tosto che si fossero private le Province della militareloro forza, i Germani avrebber violato un trattato, chenon fondavasi che sui loro timori; e nonostante l'abilitàed il valor di Giuliano, il Generale d'un'armata di puronome, a cui si sarebbero imputate le pubbliche calamità,dovea dopo una vana resistenza trovarsi, o schiavo nelcampo dei Barbari, o reo nel palazzo di Costanzo. SeGiuliano ubbidiva agli ordini che avea ricevuti, sotto-scriveva la propria sua distruzione e quella d'un popolo,

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le alpi. Si era impegnata la pubblica fede di Roma, ed ilpersonal onore di Giuliano per l'osservanza di tal condi-zione. Un simil atto di tradimento e d'oppressioneavrebbe distrutto la fiducia, ed eccitato lo sdegnodegl'indipendenti guerrieri della Germania, che risguar-davan la verità come la più nobile delle virtù, e la libertàcome il più stimabile dei loro beni. I Legionari, che go-devano il titolo ed i privilegi di Romani, s'erano arrolatiper la difesa generale della Repubblica; ma quelle mer-cenarie truppe udivan con fredda indifferenza gli anti-quati nomi di Repubblica e di Roma. Attaccati o per lanascita o per una lunga abitazione al clima ed ai costumidella Gallia, essi amavano ed ammiravan Giuliano, di-sprezzavano e forse odiavan l'Imperatore, temevanoquella marcia laboriosa, i dardi Persiani, e gli ardentideserti dell'Asia. Risguardavano come loro propria laterra che avevan salvata; e scusavan la loro mancanza dicoraggio, adducendo il sacro e più immediato dovere didifender le famiglie e gli amici loro. Le apprensioni deiGalli nascevano da un imminente ed inevitabil pericolo.Tosto che si fossero private le Province della militareloro forza, i Germani avrebber violato un trattato, chenon fondavasi che sui loro timori; e nonostante l'abilitàed il valor di Giuliano, il Generale d'un'armata di puronome, a cui si sarebbero imputate le pubbliche calamità,dovea dopo una vana resistenza trovarsi, o schiavo nelcampo dei Barbari, o reo nel palazzo di Costanzo. SeGiuliano ubbidiva agli ordini che avea ricevuti, sotto-scriveva la propria sua distruzione e quella d'un popolo,

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che meritava il suo affetto. Ma una positiva disubbidien-za era un atto di ribellione ed una dichiarazione di guer-ra. L'inesorabil gelosia dell'Imperatore, e la perentoria, eforse insidiosa natura de' suoi comandi, non lasciavanluogo ad una plausibile apologia o candida interpreta-zione; e la dipendente situazione di Cesare appena glidava tempo di deliberare. La solitudine accresceva laperplessità di Giuliano; egli non potea più contare su' fe-deli consigli di Sallustio, che dall'oculata malizia deglieunuchi era stato rimosso dal suo uffizio; non potea nep-pure corroborare le sue rappresentanze col concorso de'Ministri, che avrebbero avuto paura o rossore d'approvarla rovina della Gallia. Fu preso il momento, in cui Lupi-cino316, Generale della cavalleria, era stato mandato nel-la Gran-Brettagna, per reprimer le incursioni degli Sco-ti, e de' Pitti; e Florenzio era occupato a Vienna nell'esa-zione del tributo. Quest'ultimo, astuto e corrotto politi-co, evitando d'essere in alcun modo responsabile in talpericolosa occasione, eluse i pressanti e replicati invitidi Giuliano, che gli rappresentava, che in ogni risoluzio-ne d'importanza era indispensabile nel consiglio delPrincipe la presenza del Prefetto. Frattanto Cesare veni-va incalzato dalle civili ed importune sollecitazioni de'messaggieri Imperiali, che pretesero di suggerire, ches'egli aspettava il ritorno de' suoi Ministri si sarebbe ca-

316Ammiano XXI. Si riconosce il valore, e la militar perizia di Lupicinodall'Istorico, il quale nell'affettato sua stile accusa il Generale d'innalzar le cor-na del suo orgoglio, ruggendo con tragico tuono, e facendo dubitar s'egli fossepiù crudele o più avaro. Il pericolo eccitato dagli Scoti, e da' Pitti era tanto se-rio, che Giuliano medesimo ebbe qualche idea di passare in persona nell'Isola.

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che meritava il suo affetto. Ma una positiva disubbidien-za era un atto di ribellione ed una dichiarazione di guer-ra. L'inesorabil gelosia dell'Imperatore, e la perentoria, eforse insidiosa natura de' suoi comandi, non lasciavanluogo ad una plausibile apologia o candida interpreta-zione; e la dipendente situazione di Cesare appena glidava tempo di deliberare. La solitudine accresceva laperplessità di Giuliano; egli non potea più contare su' fe-deli consigli di Sallustio, che dall'oculata malizia deglieunuchi era stato rimosso dal suo uffizio; non potea nep-pure corroborare le sue rappresentanze col concorso de'Ministri, che avrebbero avuto paura o rossore d'approvarla rovina della Gallia. Fu preso il momento, in cui Lupi-cino316, Generale della cavalleria, era stato mandato nel-la Gran-Brettagna, per reprimer le incursioni degli Sco-ti, e de' Pitti; e Florenzio era occupato a Vienna nell'esa-zione del tributo. Quest'ultimo, astuto e corrotto politi-co, evitando d'essere in alcun modo responsabile in talpericolosa occasione, eluse i pressanti e replicati invitidi Giuliano, che gli rappresentava, che in ogni risoluzio-ne d'importanza era indispensabile nel consiglio delPrincipe la presenza del Prefetto. Frattanto Cesare veni-va incalzato dalle civili ed importune sollecitazioni de'messaggieri Imperiali, che pretesero di suggerire, ches'egli aspettava il ritorno de' suoi Ministri si sarebbe ca-

316Ammiano XXI. Si riconosce il valore, e la militar perizia di Lupicinodall'Istorico, il quale nell'affettato sua stile accusa il Generale d'innalzar le cor-na del suo orgoglio, ruggendo con tragico tuono, e facendo dubitar s'egli fossepiù crudele o più avaro. Il pericolo eccitato dagli Scoti, e da' Pitti era tanto se-rio, che Giuliano medesimo ebbe qualche idea di passare in persona nell'Isola.

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ricato della colpa d'aver differito, ed avrebbe riservatoad essi il merito dell'esecuzione. Incapace di resistere, enon volendo ubbidire, Giuliano espresse ne' termini piùserj il desiderio, ed eziandio l'intenzione che aveva, didimetter la porpora, ch'egli non potea ritener con onore,ma che non potea per altro abbandonare con sicurezza.

Dopo un penoso contrasto, Giuliano fu costretto a ri-conoscere, che l'ubbidienza era la virtù propria del sud-dito più eminente, e che al solo Sovrano toccava di giu-dicare del pubblico bene. Ei diede gli ordini opportuniper eseguire la volontà di Costanzo; una parte delletruppe incominciò a marciare per le alpi; e dalle varieguarnigioni si mossero i distaccamenti verso i rispettiviluoghi d'unione. Avanzavano essi con difficoltà fra latremante, e spaventata folla di Provinciali, che procura-van d'eccitare la lor pietà con tacita disperazione o conalti lamenti, nel tempo che le mogli de' soldati, tenendoin braccio i lor figli, accusavano l'abbandono de' loromariti in un linguaggio misto di dispiacere, di tenerezza,e di sdegno. Questa scena di mestizia afflisse l'umanitàdi Cesare; egli concesse un numero sufficiente di carriper trasportare le mogli e le famiglie de' soldati317, pro-curò d'alleggerire i travagli, ch'era costretto d'imporre,ed accrebbe con le più lodevoli arti la sua popolarità, e ildisgusto dell'esuli truppe. La tristezza d'una moltitudinearmata presto si converte in furore; i liberi discorsi, che

317Ei loro permise il cursus clavularis, o clabularis. Di questi carri di postasi fa spesso menzione nel Codice, e si suppone, che portassero mille cinque-cento libbre di peso. Vedi Vales. ad Ammian. XX. 4.

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ricato della colpa d'aver differito, ed avrebbe riservatoad essi il merito dell'esecuzione. Incapace di resistere, enon volendo ubbidire, Giuliano espresse ne' termini piùserj il desiderio, ed eziandio l'intenzione che aveva, didimetter la porpora, ch'egli non potea ritener con onore,ma che non potea per altro abbandonare con sicurezza.

Dopo un penoso contrasto, Giuliano fu costretto a ri-conoscere, che l'ubbidienza era la virtù propria del sud-dito più eminente, e che al solo Sovrano toccava di giu-dicare del pubblico bene. Ei diede gli ordini opportuniper eseguire la volontà di Costanzo; una parte delletruppe incominciò a marciare per le alpi; e dalle varieguarnigioni si mossero i distaccamenti verso i rispettiviluoghi d'unione. Avanzavano essi con difficoltà fra latremante, e spaventata folla di Provinciali, che procura-van d'eccitare la lor pietà con tacita disperazione o conalti lamenti, nel tempo che le mogli de' soldati, tenendoin braccio i lor figli, accusavano l'abbandono de' loromariti in un linguaggio misto di dispiacere, di tenerezza,e di sdegno. Questa scena di mestizia afflisse l'umanitàdi Cesare; egli concesse un numero sufficiente di carriper trasportare le mogli e le famiglie de' soldati317, pro-curò d'alleggerire i travagli, ch'era costretto d'imporre,ed accrebbe con le più lodevoli arti la sua popolarità, e ildisgusto dell'esuli truppe. La tristezza d'una moltitudinearmata presto si converte in furore; i liberi discorsi, che

317Ei loro permise il cursus clavularis, o clabularis. Di questi carri di postasi fa spesso menzione nel Codice, e si suppone, che portassero mille cinque-cento libbre di peso. Vedi Vales. ad Ammian. XX. 4.

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si comunicavan di tenda in tenda sempre con maggioreaudacia ed effetto, prepararono i loro animi ai più arditiatti di sedizione, e mediante la connivenza dei Tribunifu segretamente sparso un opportuno libello in cui di-pingevasi con vivi colori la disgrazia di Cesare,l'oppressione dell'esercito Gallico, e gl'imbelli vizi deltiranno dell'Asia. I servi di Costanzo rimasero sorpresied agitati dal progresso di tale spirito pericoloso. Stimo-larono Cesare ad affrettar la partenza delle truppe; maimprudentemente rigettarono l'onesto o giudizioso con-siglio di Giuliano, che proponeva loro di non muoverele schiere verso Parigi, ed indicava il pericolo e la tenta-zione d'un ultimo abboccamento.

Tostochè fu annunziato l'avvicinarsi delle truppe, Ce-sare andò loro incontro e salì sul suo Tribunale che erastato eretto in una pianura fuori delle porte della Città.Dopo d'aver distinto gli Uffiziali ed i soldati, che peiloro posti ed azioni meritavan particolare attenzione,Giuliano si voltò con una studiata orazione alla moltitu-dine ohe lo circondava; celebrò con grato applauso leloro imprese, gl'incoraggiò ad accettare con allegrezzal'onore di militar sotto gli occhi d'un potente e generosoMonarca, e gli avvertì che i comandi d'Augusto richie-devano un immediata e volontaria ubbidienza. I soldati,che temevan d'offendere il lor Generale con indecenticlamori, o di mentire i lor sentimenti con false e venaliacclamazioni, conservarono un ostinato silenzio, e dopobreve posa furono rimandati a' loro quartieri. I principaliUffiziali ammessi furono alla mensa di Cesare, che pro-

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si comunicavan di tenda in tenda sempre con maggioreaudacia ed effetto, prepararono i loro animi ai più arditiatti di sedizione, e mediante la connivenza dei Tribunifu segretamente sparso un opportuno libello in cui di-pingevasi con vivi colori la disgrazia di Cesare,l'oppressione dell'esercito Gallico, e gl'imbelli vizi deltiranno dell'Asia. I servi di Costanzo rimasero sorpresied agitati dal progresso di tale spirito pericoloso. Stimo-larono Cesare ad affrettar la partenza delle truppe; maimprudentemente rigettarono l'onesto o giudizioso con-siglio di Giuliano, che proponeva loro di non muoverele schiere verso Parigi, ed indicava il pericolo e la tenta-zione d'un ultimo abboccamento.

Tostochè fu annunziato l'avvicinarsi delle truppe, Ce-sare andò loro incontro e salì sul suo Tribunale che erastato eretto in una pianura fuori delle porte della Città.Dopo d'aver distinto gli Uffiziali ed i soldati, che peiloro posti ed azioni meritavan particolare attenzione,Giuliano si voltò con una studiata orazione alla moltitu-dine ohe lo circondava; celebrò con grato applauso leloro imprese, gl'incoraggiò ad accettare con allegrezzal'onore di militar sotto gli occhi d'un potente e generosoMonarca, e gli avvertì che i comandi d'Augusto richie-devano un immediata e volontaria ubbidienza. I soldati,che temevan d'offendere il lor Generale con indecenticlamori, o di mentire i lor sentimenti con false e venaliacclamazioni, conservarono un ostinato silenzio, e dopobreve posa furono rimandati a' loro quartieri. I principaliUffiziali ammessi furono alla mensa di Cesare, che pro-

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testava, col più tenero linguaggio dell'amicizia, il desi-derio che aveva, e l'impotenza in cui si trovava di pre-miare, secondo i lor meriti, i prodi compagni delle suevittorie. Essi partiron da tavola pieni di dolore e di pen-sieri, e si dolevano della durezza di loro sorte, che divi-devagli dall'amato lor Generale, e dal lor paese nativo.Fu arditamente discusso, ed approvato l'unico espedien-te, che impedir potesse quella separazione; lo sdegnopopolare si ridusse a poco o poco ed una regolare cospi-razione; si ampliarono dalla passione i giusti motivi diquerela; e siccome nella vigilia della partenza permette-vasi alle truppe una licenziosa ricreazione, le loro pas-sioni furono anche infiammate dal vino. Alla mezza not-te l'impetuosa moltitudine con spade, con bicchieri, econ faci alla mano corse ne' sobborghi; circondò il pa-lazzo318; e non curando il futuro pericolo, pronunziò le

318Ch'era molto probabilmente il palazzo de' bagni (Thermarum) di cui sus-siste ancora una solida ed alta stanza nella via De la Harpe. Quelle fabbrichecuoprivano un considerabile spazio del moderno quartiere dell'Università; ed igiardini sotto i Re Merovingi comunicavano coll'abbazia di S. Germano desPrez. Dalle ingiurie del tempo, e de' Normanni quest'antico palazzo fu ridottonel duodecimo secolo ad un mucchio di rovine, gli oscuri nascondigli del qualeservivan di scena a' licenziosi amori.

Explicat aula sinus, montemque amplectitur alis;Multiplici latebra scelerum tersura ruborem..... pereuntis saepe pudoris.Celatura nefas, Venerisque accommoda furtis.Questi versi son presi dall'Architrenius lib. IV. c. 8. opera poetica di Gio-

vanni di Hauteville, o Hauville Monaco di S. Albano verso l'anno 1190. VediWarton Istor. della Poes. Ingl. Vol. 1 dissert. 2). Tali furti però erano forsemeno perniciosi per il genere umano delle Teologiche dispute della Sorbona,che di poi si sono agitate sul medesimo terreno. Bonamy Mem. de l'Acad. Tom.XX. p. 678-682.

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testava, col più tenero linguaggio dell'amicizia, il desi-derio che aveva, e l'impotenza in cui si trovava di pre-miare, secondo i lor meriti, i prodi compagni delle suevittorie. Essi partiron da tavola pieni di dolore e di pen-sieri, e si dolevano della durezza di loro sorte, che divi-devagli dall'amato lor Generale, e dal lor paese nativo.Fu arditamente discusso, ed approvato l'unico espedien-te, che impedir potesse quella separazione; lo sdegnopopolare si ridusse a poco o poco ed una regolare cospi-razione; si ampliarono dalla passione i giusti motivi diquerela; e siccome nella vigilia della partenza permette-vasi alle truppe una licenziosa ricreazione, le loro pas-sioni furono anche infiammate dal vino. Alla mezza not-te l'impetuosa moltitudine con spade, con bicchieri, econ faci alla mano corse ne' sobborghi; circondò il pa-lazzo318; e non curando il futuro pericolo, pronunziò le

318Ch'era molto probabilmente il palazzo de' bagni (Thermarum) di cui sus-siste ancora una solida ed alta stanza nella via De la Harpe. Quelle fabbrichecuoprivano un considerabile spazio del moderno quartiere dell'Università; ed igiardini sotto i Re Merovingi comunicavano coll'abbazia di S. Germano desPrez. Dalle ingiurie del tempo, e de' Normanni quest'antico palazzo fu ridottonel duodecimo secolo ad un mucchio di rovine, gli oscuri nascondigli del qualeservivan di scena a' licenziosi amori.

Explicat aula sinus, montemque amplectitur alis;Multiplici latebra scelerum tersura ruborem..... pereuntis saepe pudoris.Celatura nefas, Venerisque accommoda furtis.Questi versi son presi dall'Architrenius lib. IV. c. 8. opera poetica di Gio-

vanni di Hauteville, o Hauville Monaco di S. Albano verso l'anno 1190. VediWarton Istor. della Poes. Ingl. Vol. 1 dissert. 2). Tali furti però erano forsemeno perniciosi per il genere umano delle Teologiche dispute della Sorbona,che di poi si sono agitate sul medesimo terreno. Bonamy Mem. de l'Acad. Tom.XX. p. 678-682.

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fatali e irrevocabili parole: Giuliano Augusto. Il Princi-pe, la cui ansiosa sospensione veniva interrotta dalle di-sordinate loro declamazioni, assicurò le porte, affinchènon s'introducessero nel palazzo; e per quanto fu in suopotere, non espose la propria persona e dignità agli acci-denti d'un notturno tumulto. Allo spuntar del giorno isoldati, lo zelo de' quali era irritato dalla opposizione,entraron per forza nel palazzo; s'impadronirono con ri-spettosa violenza dell'oggetto della loro scelta, accom-pagnarono con spade sguainate Giuliano per le strade diParigi, lo collocarono sul Tribunale, e con replicate gri-da lo salutarono Imperatore. La prudenza non meno chela fedeltà gl'inculcarono il dovere di resistere a' lor ribel-li disegni, e di preparare alla sua oppressa virtù la scusadella violenza. Volgendosi or alla moltitudine, oragl'individui, ora implorava la lor compassione, oraesprimeva il suo sdegno; gli scongiurava a non macchiarla fama di loro immortali vittorie, e si avventurò a pro-mettere, che se immediatamente tornavano al lor dove-re, avrebbe procurato d'ottener dall'Imperatore non soloun libero e grazioso perdono, ma anche la rivocazionedegli ordini, che avevano eccitato la loro collera. Ma isoldati, che conoscevan la propria colpa, vollero piutto-sto dipendere dalla gratitudine di Giuliano, che dallaclemenza dell'Imperatore. Il loro zelo insensibilmente siridusse ad impazienza, e l'impazienza a furore. L'infles-sibil Cesare sostenne fino all'ora terza del giorno le pre-ghiere, i rimproveri e le minacce di essi; nè volle cederefintantochè non l'ebbero assicurato più volte, che s'egli

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fatali e irrevocabili parole: Giuliano Augusto. Il Princi-pe, la cui ansiosa sospensione veniva interrotta dalle di-sordinate loro declamazioni, assicurò le porte, affinchènon s'introducessero nel palazzo; e per quanto fu in suopotere, non espose la propria persona e dignità agli acci-denti d'un notturno tumulto. Allo spuntar del giorno isoldati, lo zelo de' quali era irritato dalla opposizione,entraron per forza nel palazzo; s'impadronirono con ri-spettosa violenza dell'oggetto della loro scelta, accom-pagnarono con spade sguainate Giuliano per le strade diParigi, lo collocarono sul Tribunale, e con replicate gri-da lo salutarono Imperatore. La prudenza non meno chela fedeltà gl'inculcarono il dovere di resistere a' lor ribel-li disegni, e di preparare alla sua oppressa virtù la scusadella violenza. Volgendosi or alla moltitudine, oragl'individui, ora implorava la lor compassione, oraesprimeva il suo sdegno; gli scongiurava a non macchiarla fama di loro immortali vittorie, e si avventurò a pro-mettere, che se immediatamente tornavano al lor dove-re, avrebbe procurato d'ottener dall'Imperatore non soloun libero e grazioso perdono, ma anche la rivocazionedegli ordini, che avevano eccitato la loro collera. Ma isoldati, che conoscevan la propria colpa, vollero piutto-sto dipendere dalla gratitudine di Giuliano, che dallaclemenza dell'Imperatore. Il loro zelo insensibilmente siridusse ad impazienza, e l'impazienza a furore. L'infles-sibil Cesare sostenne fino all'ora terza del giorno le pre-ghiere, i rimproveri e le minacce di essi; nè volle cederefintantochè non l'ebbero assicurato più volte, che s'egli

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voleva vivere, bisognava che acconsentisse a regnare.Fu innalzato sopra uno scudo in presenza, e fra le unani-mi acclamazioni delle truppe; supplì alla mancanza deldiadema319 un ricco collar militare, che trovarono a caso;la ceremonia si terminò con la promessa d'un moderatodonativo320; ed il nuovo Imperatore, oppresso da un veroo affettato rammarico, si ritirò ne' più segreti recessi delsuo appartamento321.

Poteva il dispiacer di Giuliano provenire solo dallasua innocenza; ma questa deve apparire estremamentedubbiosa322 agli occhi di quelli, che hanno appreso a so-spettare de' motivi, e delle proteste dei Principi. Il suoattivo e vivace spirito era suscettibile delle diverse im-pressioni di speranza e di timore, di gratitudine e di ven-detta, di dovere e d'ambizione, d'amor della fama e di ti-

319Anche in quel tumultuoso momento Giuliano badò alla formalità dellasuperstiziosa cerimonia; ed ostinatamente ricusò l'infausto uso d'una collanafemminile, o d'un collare da cavalli, che gl'impazienti soldati volevano adope-rare in luogo di diadema.

320Cioè un'ugual porzione d'oro e d'argento, cinque monete di quello, ed unalibbra di questo, che in tutto ascendeva a circa cinque lire Sterline, e dieciScellini.

321Per l'intera narrativa di questa ribellione possiamo rimetterci a materialioriginali ed autentici, quali sono Giuliano medesimo (ad S. P. Q. Athen. pag.282, 283, 284). Libanio (Orat. Parent. c. 44-48. in Fabric. Bibliot. Graec.Tom. VII. p. 269-273) Ammiano (XX. 4) e Zosimo (l. III. p. 151, 152, 153) chenel regno di Giuliano par che seguiti l'autorità più rispettabile d'Eunapio. Contali guide potremmo fare di meno degli abbreviatori e degl'Istorici Ecclesiasti-ci.

322Eutropio ch'è un rispettabile testimone, usa la dubbiosa espressione con-sensu militum (X. 15). Gregorio Nazianzeno di cui l'ignoranza potrebbe scusa-re il fanatismo, direttamente accusa l'apostata di presunzione, d'empietà ed'empia ribellione. αυθαδεια, απονοια, ασεβεια Orat. III. p. 67.

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voleva vivere, bisognava che acconsentisse a regnare.Fu innalzato sopra uno scudo in presenza, e fra le unani-mi acclamazioni delle truppe; supplì alla mancanza deldiadema319 un ricco collar militare, che trovarono a caso;la ceremonia si terminò con la promessa d'un moderatodonativo320; ed il nuovo Imperatore, oppresso da un veroo affettato rammarico, si ritirò ne' più segreti recessi delsuo appartamento321.

Poteva il dispiacer di Giuliano provenire solo dallasua innocenza; ma questa deve apparire estremamentedubbiosa322 agli occhi di quelli, che hanno appreso a so-spettare de' motivi, e delle proteste dei Principi. Il suoattivo e vivace spirito era suscettibile delle diverse im-pressioni di speranza e di timore, di gratitudine e di ven-detta, di dovere e d'ambizione, d'amor della fama e di ti-

319Anche in quel tumultuoso momento Giuliano badò alla formalità dellasuperstiziosa cerimonia; ed ostinatamente ricusò l'infausto uso d'una collanafemminile, o d'un collare da cavalli, che gl'impazienti soldati volevano adope-rare in luogo di diadema.

320Cioè un'ugual porzione d'oro e d'argento, cinque monete di quello, ed unalibbra di questo, che in tutto ascendeva a circa cinque lire Sterline, e dieciScellini.

321Per l'intera narrativa di questa ribellione possiamo rimetterci a materialioriginali ed autentici, quali sono Giuliano medesimo (ad S. P. Q. Athen. pag.282, 283, 284). Libanio (Orat. Parent. c. 44-48. in Fabric. Bibliot. Graec.Tom. VII. p. 269-273) Ammiano (XX. 4) e Zosimo (l. III. p. 151, 152, 153) chenel regno di Giuliano par che seguiti l'autorità più rispettabile d'Eunapio. Contali guide potremmo fare di meno degli abbreviatori e degl'Istorici Ecclesiasti-ci.

322Eutropio ch'è un rispettabile testimone, usa la dubbiosa espressione con-sensu militum (X. 15). Gregorio Nazianzeno di cui l'ignoranza potrebbe scusa-re il fanatismo, direttamente accusa l'apostata di presunzione, d'empietà ed'empia ribellione. αυθαδεια, απονοια, ασεβεια Orat. III. p. 67.

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mor del biasimo. Ma è impossibile per noi il calcolare ilrespettivo peso, e l'azione di tali sentimenti, o il deter-minare i principj agenti, che sfuggir potevano all'osser-vazione di Giuliano medesimo, mentre ne guidavano, opiuttosto ne spingevano i passi. Il disgusto delle truppenasceva dalla malizia de' nemici di lui; il loro tumultoera un effetto naturale dell'interesse e della passione; ese Giuliano tentato avesse di nascondere un alto disegnosotto le apparenze del caso, avrebbe dovuto impiegare ilpiù consumato artifizio senza necessità, e probabilmentesenza frutto. Egli solennemente dichiara in faccia a Gio-ve, al Sole, a Marte, a Minerva ed a tutte le altre divini-tà, che sino al termine della sera, che precedè la sua ele-vazione, fu affatto ignorante dei disegni de' soldati323; epotrebbe sembrar poco generoso il non credere all'onord'un Eroe, ed alla veracità d'un Filosofo. Pure la super-stiziosa credenza che Costanzo fosse il nemico, ed egliil favorito degli Dei, poteva fargli desiderare, promuo-vere, ed anche affrettare il fausto momento del proprioregno, ch'era predestinato a restaurar l'antica religionedell'uman genere. Quando Giuliano ebbe avuto notiziadella cospirazione, si abbandonò ad un breve sonno; edopo raccontava a' suoi amici d'aver veduto il Geniodell'Impero, che aspettava con impazienza alla sua por-ta, chiedendo con premura d'esser ammesso, e rimpro-verando la sua mancanza di coraggio, e d'ambizione324.

323Juliano ad S. P. Q. Athen. p. 284. Il divoto Abbate de la Bleterie (Vit. diGiuliano p. 159) è quasi disposto a rispettare le divote proteste d'un Pagano.

324Ammiano XX. 5 con l'annotazione di Lindenbrogio sul Genio dell'Impe-

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mor del biasimo. Ma è impossibile per noi il calcolare ilrespettivo peso, e l'azione di tali sentimenti, o il deter-minare i principj agenti, che sfuggir potevano all'osser-vazione di Giuliano medesimo, mentre ne guidavano, opiuttosto ne spingevano i passi. Il disgusto delle truppenasceva dalla malizia de' nemici di lui; il loro tumultoera un effetto naturale dell'interesse e della passione; ese Giuliano tentato avesse di nascondere un alto disegnosotto le apparenze del caso, avrebbe dovuto impiegare ilpiù consumato artifizio senza necessità, e probabilmentesenza frutto. Egli solennemente dichiara in faccia a Gio-ve, al Sole, a Marte, a Minerva ed a tutte le altre divini-tà, che sino al termine della sera, che precedè la sua ele-vazione, fu affatto ignorante dei disegni de' soldati323; epotrebbe sembrar poco generoso il non credere all'onord'un Eroe, ed alla veracità d'un Filosofo. Pure la super-stiziosa credenza che Costanzo fosse il nemico, ed egliil favorito degli Dei, poteva fargli desiderare, promuo-vere, ed anche affrettare il fausto momento del proprioregno, ch'era predestinato a restaurar l'antica religionedell'uman genere. Quando Giuliano ebbe avuto notiziadella cospirazione, si abbandonò ad un breve sonno; edopo raccontava a' suoi amici d'aver veduto il Geniodell'Impero, che aspettava con impazienza alla sua por-ta, chiedendo con premura d'esser ammesso, e rimpro-verando la sua mancanza di coraggio, e d'ambizione324.

323Juliano ad S. P. Q. Athen. p. 284. Il divoto Abbate de la Bleterie (Vit. diGiuliano p. 159) è quasi disposto a rispettare le divote proteste d'un Pagano.

324Ammiano XX. 5 con l'annotazione di Lindenbrogio sul Genio dell'Impe-

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Attonito e perplesso indirizzò le sue preghiere al granGiove, che immediatamente con un chiaro e manifestoaugurio indicogli di sottomettersi alla volontà del Cieloe dell'esercito. Allorchè uno spirito di fanatismo, sì cre-dulo nel tempo stesso e sì artificioso, s'è insinuato inun'anima nobile, insensibilmente corrode i vitali principjdi veracità, e di virtù.

Moderare lo zelo del suo partito, protegger le personede' suoi nemici325, render vane, e disprezzar le segreteintraprese, che si facevano contro la sua vita e dignità,eran le cure che occuparono i primi giorni del nuovoImperatore. Quantunque fosse fermamente risoluto dimantenersi nel posto, che aveva acquistato, era tuttaviadesideroso di salvare lo Stato dalle calamità d'una guer-ra civile, d'evitar di combattere con le superiori forze diCostanzo, e di liberare il proprio carattere dalla taccia diperfidia e d'ingratitudine. Adornato delle insegne dellapompa militare ed Imperiale, Giuliano si mostrò nelcampo di Marte ai soldati, che ardevano d'un fervido en-tusiasmo nella causa del loro pupillo, capitano, ed ami-co. Egli recapitolò le loro vittorie, si dolse de' loro trava-gli, ne applaudì la risoluzione, ne animò le speranze, ero. Giuliano medesimo in una lettera confidenziale ad Oribasio, amico e medi-co suo, (Epist. XVII. p. 384) fa menzione d'un altro sogno a cui primadell'avvenimento ei prestò fede, cioè d'un grosso albero gettato a terra, e di unapiccola pianta che gettava in terra profonde radici. Anche nel sonno la mentedi Cesare doveva essere agitata dalle speranze e da' timori di sua fortuna. Zosi-mo (l. III. p. 155) riporta un sogno fatto dopo.

325Tacito (Hist. I. 80-85) egregiamente descrive la difficile situazione delPrincipe di un'armata ribelle. Ma Ottone era molto più reo e molto meno abiledi Giuliano.

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Attonito e perplesso indirizzò le sue preghiere al granGiove, che immediatamente con un chiaro e manifestoaugurio indicogli di sottomettersi alla volontà del Cieloe dell'esercito. Allorchè uno spirito di fanatismo, sì cre-dulo nel tempo stesso e sì artificioso, s'è insinuato inun'anima nobile, insensibilmente corrode i vitali principjdi veracità, e di virtù.

Moderare lo zelo del suo partito, protegger le personede' suoi nemici325, render vane, e disprezzar le segreteintraprese, che si facevano contro la sua vita e dignità,eran le cure che occuparono i primi giorni del nuovoImperatore. Quantunque fosse fermamente risoluto dimantenersi nel posto, che aveva acquistato, era tuttaviadesideroso di salvare lo Stato dalle calamità d'una guer-ra civile, d'evitar di combattere con le superiori forze diCostanzo, e di liberare il proprio carattere dalla taccia diperfidia e d'ingratitudine. Adornato delle insegne dellapompa militare ed Imperiale, Giuliano si mostrò nelcampo di Marte ai soldati, che ardevano d'un fervido en-tusiasmo nella causa del loro pupillo, capitano, ed ami-co. Egli recapitolò le loro vittorie, si dolse de' loro trava-gli, ne applaudì la risoluzione, ne animò le speranze, ero. Giuliano medesimo in una lettera confidenziale ad Oribasio, amico e medi-co suo, (Epist. XVII. p. 384) fa menzione d'un altro sogno a cui primadell'avvenimento ei prestò fede, cioè d'un grosso albero gettato a terra, e di unapiccola pianta che gettava in terra profonde radici. Anche nel sonno la mentedi Cesare doveva essere agitata dalle speranze e da' timori di sua fortuna. Zosi-mo (l. III. p. 155) riporta un sogno fatto dopo.

325Tacito (Hist. I. 80-85) egregiamente descrive la difficile situazione delPrincipe di un'armata ribelle. Ma Ottone era molto più reo e molto meno abiledi Giuliano.

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ne frenò l'impetuosità; nè licenziò l'assemblea finchènon ebbe ottenuto una solenne promessa dalle truppe,che se l'Imperatore d'Oriente avesse voluto divenire adun discreto trattato, essi avrebbero rinunziato ad ognimira di conquista, e si sarebbero contentati del tranquil-lo possesso delle Province di Gallia. Su tal fondamentoegli compose in nome proprio e dell'esercito, una spe-ciosa, e moderata lettera326, che fu consegnata a Penta-dio, suo Maestro degli uffizj, e ad Euterio suo Ciamber-lano, ch'esso destinò Ambasciatori per ricevere la rispo-sta, ed osservar le disposizioni di Costanzo. In questalettera egli si dà il modesto nome di Cesare. Ma richiedein una perentoria, sebben rispettosa maniera, la confer-ma del titolo d'Augusto. Egli confessa l'irregolarità dellasua elezione, mentre in qualche modo giustifica il risen-timento e la violenza delle truppe, che avevano estorto aforza il suo consenso. Riconosce la superiorità del fra-tello Costanzo; e s'impegna a mandargli un annuo pre-sente di cavalli Spagnuoli, di reclutarne l'esercito conuno scelto numero di giovani barbari, e di ricever dallemani di lui un Prefetto del Pretorio di provata discrezio-ne e fedeltà. Ma si riserva l'elezione degli altri Uffizialicivili e militari con le truppe, l'entrate, e la sovranitàdelle Province oltre l'Alpi. Avverte l'Imperatore a con-sultare i dettami della giustizia; a diffidare degli artifizidi que' venali adulatori, che non sussistono che per le di-

326A questa lettera ostensibile dice Ammiano, che ne aggiunse delle privateobjurgatorias et mordaces, che l'Istorico non aveva vedute, e non avrebbe nep-pur pubblicate. Forse non sussisterono giammai.

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ne frenò l'impetuosità; nè licenziò l'assemblea finchènon ebbe ottenuto una solenne promessa dalle truppe,che se l'Imperatore d'Oriente avesse voluto divenire adun discreto trattato, essi avrebbero rinunziato ad ognimira di conquista, e si sarebbero contentati del tranquil-lo possesso delle Province di Gallia. Su tal fondamentoegli compose in nome proprio e dell'esercito, una spe-ciosa, e moderata lettera326, che fu consegnata a Penta-dio, suo Maestro degli uffizj, e ad Euterio suo Ciamber-lano, ch'esso destinò Ambasciatori per ricevere la rispo-sta, ed osservar le disposizioni di Costanzo. In questalettera egli si dà il modesto nome di Cesare. Ma richiedein una perentoria, sebben rispettosa maniera, la confer-ma del titolo d'Augusto. Egli confessa l'irregolarità dellasua elezione, mentre in qualche modo giustifica il risen-timento e la violenza delle truppe, che avevano estorto aforza il suo consenso. Riconosce la superiorità del fra-tello Costanzo; e s'impegna a mandargli un annuo pre-sente di cavalli Spagnuoli, di reclutarne l'esercito conuno scelto numero di giovani barbari, e di ricever dallemani di lui un Prefetto del Pretorio di provata discrezio-ne e fedeltà. Ma si riserva l'elezione degli altri Uffizialicivili e militari con le truppe, l'entrate, e la sovranitàdelle Province oltre l'Alpi. Avverte l'Imperatore a con-sultare i dettami della giustizia; a diffidare degli artifizidi que' venali adulatori, che non sussistono che per le di-

326A questa lettera ostensibile dice Ammiano, che ne aggiunse delle privateobjurgatorias et mordaces, che l'Istorico non aveva vedute, e non avrebbe nep-pur pubblicate. Forse non sussisterono giammai.

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scordie de' Principi; e ad abbracciare l'offerta d'un equoed onorevol trattato, vantaggioso alla Repubblica ugual-mente che alla casa di Costantino. In questa negoziazio-ne Giuliano non chiedeva più di quello che già possede-va. L'autorità delegata, che da gran tempo esercitavasulle Province di Gallia, di Spagna, e della Gran-Bretta-gna si continuò a venerare sotto un nome più indipen-dente ed augusto. I soldati ed il popolo furon contentid'una rivoluzione, che non venne macchiata neppure dalsangue de' rei. Florenzio fuggì; Lupicino fu arrestato.Quelli, che non amavano il nuovo governo, furono di-sarmati, e posti in sicuro; e si distribuirono gli uffizj va-canti, secondo la raccomandazione del merito, da unPrincipe che disprezzava gl'intrighi del palazzo, ed i cla-mori de' soldati327.

I trattati di pace venivano accompagnati e sostenutidalle più vigorose preparazioni per la guerra. L'esercito,che Giuliano teneva pronto per agire immediatamente,fu reclutato ed accresciuto da' disordini de' tempi. Lacrudel persecuzione del partito di Magnenzio avevariempito la Gallia di numerose truppe di banditi, e di la-dri. Questi volentieri accettaron l'offerta d'un generaleperdono da un Principe del quale potevan fidarsi, si sot-tomisero al rigore della militar disciplina, e non ritenne-ro che un odio implacabile contro la persona e il gover-

327Vedi le prime azioni del suo Regno appresso Giuliano medesimo ad S. P.Q. Athen. pag. 285, 286. Ammiano XX. 5, 8. Liban. Orat. parent. c. 49, 50.pag. 273-275.

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scordie de' Principi; e ad abbracciare l'offerta d'un equoed onorevol trattato, vantaggioso alla Repubblica ugual-mente che alla casa di Costantino. In questa negoziazio-ne Giuliano non chiedeva più di quello che già possede-va. L'autorità delegata, che da gran tempo esercitavasulle Province di Gallia, di Spagna, e della Gran-Bretta-gna si continuò a venerare sotto un nome più indipen-dente ed augusto. I soldati ed il popolo furon contentid'una rivoluzione, che non venne macchiata neppure dalsangue de' rei. Florenzio fuggì; Lupicino fu arrestato.Quelli, che non amavano il nuovo governo, furono di-sarmati, e posti in sicuro; e si distribuirono gli uffizj va-canti, secondo la raccomandazione del merito, da unPrincipe che disprezzava gl'intrighi del palazzo, ed i cla-mori de' soldati327.

I trattati di pace venivano accompagnati e sostenutidalle più vigorose preparazioni per la guerra. L'esercito,che Giuliano teneva pronto per agire immediatamente,fu reclutato ed accresciuto da' disordini de' tempi. Lacrudel persecuzione del partito di Magnenzio avevariempito la Gallia di numerose truppe di banditi, e di la-dri. Questi volentieri accettaron l'offerta d'un generaleperdono da un Principe del quale potevan fidarsi, si sot-tomisero al rigore della militar disciplina, e non ritenne-ro che un odio implacabile contro la persona e il gover-

327Vedi le prime azioni del suo Regno appresso Giuliano medesimo ad S. P.Q. Athen. pag. 285, 286. Ammiano XX. 5, 8. Liban. Orat. parent. c. 49, 50.pag. 273-275.

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no di Costanzo328. Subito che la stagione permised'entrare in campagna, egli comparve alla testa delle suelegioni; gettò un ponte sul Reno nelle vicinanze di Cle-ves; e si preparò a gastigar la perfidia degli Attuarj, tri-bù di Franchi, i quali supponevano di poter devastareimpunemente le frontiere d'un Impero diviso. La diffi-coltà, e la gloria di quest'impresa consisteva in una fati-cosa marcia; e Giuliano ebbe vinto, subito che gli riuscìdi penetrare in un luogo che gli antecedenti Principiavevano stimato inaccessibile. Dopo d'aver concessa lapace a' Barbari, l'Imperatore visitò diligentemente lefortificazioni lungo il Reno da Cleves a Basilea; esami-nò con particolar attenzione i territorj, che avea ricupe-rati dalle mani degli Alemanni, passò per Besanzone329,che aveva molto sofferto dal lor furore, e fissò il suoprincipal quartiere a Vienna per il seguente inverno. Fumigliorata e fortificata la frontiera della Gallia con nuo-ve fortificazioni; e Giuliano aveva qualche speranza,che i Germani, da esso tante volto soggiogati, potesseroin assenza di lui esser tenuti a freno dal terror del suonome. Vadomair330 era l'unico Principe degli Alemanni,

328Liban. Orat. parent. c. 50. pag. 275, 276. Fu questo uno strano disordine,poichè continuò più di sette anni. Nelle fazioni delle Repubbliche Greche gliesiliati ascendevano a 20,000 persone; ed Isocrate assicura Filippo, che sareb-be stato più facile di levar un'armata fra vagabondi, che dalle città. Vedi Hume.Saggi Tom. I. p. 426-427.

329Giuliano (Epist. 38. p. 44) fa una breve descrizione di Vesonzio, o Besan-zone come di una sassosa penisola quasi circondata dal fiume Doubs, una voltamagnifica Città piena di tempj ec., e poi ridotta ad una piccola terra, che risor-geva però dalle sue rovine.

330Vadomair entrò nella milizia Romana, e dal grado di Re barbaro fu pro-

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no di Costanzo328. Subito che la stagione permised'entrare in campagna, egli comparve alla testa delle suelegioni; gettò un ponte sul Reno nelle vicinanze di Cle-ves; e si preparò a gastigar la perfidia degli Attuarj, tri-bù di Franchi, i quali supponevano di poter devastareimpunemente le frontiere d'un Impero diviso. La diffi-coltà, e la gloria di quest'impresa consisteva in una fati-cosa marcia; e Giuliano ebbe vinto, subito che gli riuscìdi penetrare in un luogo che gli antecedenti Principiavevano stimato inaccessibile. Dopo d'aver concessa lapace a' Barbari, l'Imperatore visitò diligentemente lefortificazioni lungo il Reno da Cleves a Basilea; esami-nò con particolar attenzione i territorj, che avea ricupe-rati dalle mani degli Alemanni, passò per Besanzone329,che aveva molto sofferto dal lor furore, e fissò il suoprincipal quartiere a Vienna per il seguente inverno. Fumigliorata e fortificata la frontiera della Gallia con nuo-ve fortificazioni; e Giuliano aveva qualche speranza,che i Germani, da esso tante volto soggiogati, potesseroin assenza di lui esser tenuti a freno dal terror del suonome. Vadomair330 era l'unico Principe degli Alemanni,

328Liban. Orat. parent. c. 50. pag. 275, 276. Fu questo uno strano disordine,poichè continuò più di sette anni. Nelle fazioni delle Repubbliche Greche gliesiliati ascendevano a 20,000 persone; ed Isocrate assicura Filippo, che sareb-be stato più facile di levar un'armata fra vagabondi, che dalle città. Vedi Hume.Saggi Tom. I. p. 426-427.

329Giuliano (Epist. 38. p. 44) fa una breve descrizione di Vesonzio, o Besan-zone come di una sassosa penisola quasi circondata dal fiume Doubs, una voltamagnifica Città piena di tempj ec., e poi ridotta ad una piccola terra, che risor-geva però dalle sue rovine.

330Vadomair entrò nella milizia Romana, e dal grado di Re barbaro fu pro-

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ch'egli stimava o temeva; e mentre l'astuto Barbaro af-fettava d'osservar la fede de' trattati, il progresso dellesue armi minacciava lo Stato d'una inopportuna, e peri-colosa guerra. La politica di Giuliano condiscese a sor-prendere il Principe degli Alemanni con le sue propriearti; e Vadomair, che sotto il carattere d'amico aveva in-cautamente accettato un invito da' Governatori Romani,fu arrestato nel mezzo del convito, e mandato prigionie-ro nel cuor della Spagna. Avanti che i Barbari fosser rin-venuti dalla lor sorpresa, l'Imperatore comparve armatosulle sponde del Reno, ed attraversato un'altra volta ilfiume, rinnovò le profonde impressioni di terrore e di ri-spetto, che si eran già fatte da quattro precedenti spedi-zioni331.

Gli Ambasciatori di Giuliano avevano avuto l'ordined'eseguire colla massima diligenza l'importante lor com-missione. Ma nel passar che fecero per l'Italia e l'Illiricofur trattenuti dalle tediose ed affettate dilazioni de' Go-vernatori delle Province; furon condotti a lente giornateda Costantinopoli a Cesarea in Cappadocia; e quando fi-nalmente vennero ammessi alla presenza di Costanzo,trovarono ch'egli avea già concepito da' dispacci de' suoiUffiziali la più svantaggiosa opinione della condotta diGiuliano e dell'esercito Gallico. Si ascoltarono le letterecon impazienza; i tremanti Ambasciatori furono licen-

mosso a quello di Duce di Fenicia. Egli mantenne sempre il medesimo artifi-cioso carattere (Ammiano XXI. 4). Ma sotto il Regno di Valente segnalò il suovalore nella guerra d'Armenia (XXIX. 1).

331Ammiano XX. 10. XXI. 3. 4. Zosimo lib. III. p. 155.

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ch'egli stimava o temeva; e mentre l'astuto Barbaro af-fettava d'osservar la fede de' trattati, il progresso dellesue armi minacciava lo Stato d'una inopportuna, e peri-colosa guerra. La politica di Giuliano condiscese a sor-prendere il Principe degli Alemanni con le sue propriearti; e Vadomair, che sotto il carattere d'amico aveva in-cautamente accettato un invito da' Governatori Romani,fu arrestato nel mezzo del convito, e mandato prigionie-ro nel cuor della Spagna. Avanti che i Barbari fosser rin-venuti dalla lor sorpresa, l'Imperatore comparve armatosulle sponde del Reno, ed attraversato un'altra volta ilfiume, rinnovò le profonde impressioni di terrore e di ri-spetto, che si eran già fatte da quattro precedenti spedi-zioni331.

Gli Ambasciatori di Giuliano avevano avuto l'ordined'eseguire colla massima diligenza l'importante lor com-missione. Ma nel passar che fecero per l'Italia e l'Illiricofur trattenuti dalle tediose ed affettate dilazioni de' Go-vernatori delle Province; furon condotti a lente giornateda Costantinopoli a Cesarea in Cappadocia; e quando fi-nalmente vennero ammessi alla presenza di Costanzo,trovarono ch'egli avea già concepito da' dispacci de' suoiUffiziali la più svantaggiosa opinione della condotta diGiuliano e dell'esercito Gallico. Si ascoltarono le letterecon impazienza; i tremanti Ambasciatori furono licen-

mosso a quello di Duce di Fenicia. Egli mantenne sempre il medesimo artifi-cioso carattere (Ammiano XXI. 4). Ma sotto il Regno di Valente segnalò il suovalore nella guerra d'Armenia (XXIX. 1).

331Ammiano XX. 10. XXI. 3. 4. Zosimo lib. III. p. 155.

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ziati con ira e disprezzo; e gli sguardi, i gesti, ed il furio-so linguaggio del Monarca esprimevano il disordinedell'animo suo. Il domestico vincolo, che avrebbe potutoriconciliare il fratello e il marito d'Elena, di fresco erasisciolto per la morte di quella Principessa, di cui la gravi-danza era stata più volte infruttuosa, ed alla fine riuscillefatale332. L'Imperatrice Eusebia avea conservato finoall'ultimo momento della sua vita il tenero, ed anche ge-loso affetto, che concepito avea per Giuliano; e la dolcedi lei autorità avrebbe potuto moderare lo sdegno d'unPrincipe, che, dopo la morte di quella, s'era abbandonatoalle proprie passioni, ed alle arti de' suoi eunuchi. Ma iltimore d'una straniera invasione l'obbligò a sospendereil gastigo d'un nemico domestico; continuò la sua mar-cia verso i confini della Persia, e stimò sufficiente l'indi-care le condizioni, che avrebber potuto render Giulianoed i suoi rei seguaci, degni della clemenza dell'offesoloro Sovrano. Egli esigeva, che il presuntuoso Cesareespressamente rinunziasse il nome e la dignità d'Augu-sto, che ricevuto avea da' ribelli; che discendesseall'antico suo posto di limitato e dipendente ministro;

332Il suo corpo fu mandato a Roma, e sotterrato vicino a quello di Costanti-na sua sorella nel sobborgo della via Nomentana. Ammiano XX. 1. Libanio hacomposto una ben debole apologia per giustificare il suo Eroe da un'accusamolto assurda, vale a dire d'avere avvelenato la propria moglie, e premiato ilmedico di essa con le gioie di sua madre (Vedi la settima delle diciassette nuo-ve Orazioni pubblicate a Venezia nel 1754 da un MS. della libreria di S. Marcop. 117-127). Elpidio, Prefetto del Pretorio d'Oriente, alla testimonianza delquale s'appella l'accusator di Giuliano, si caratterizza da Libanio per un effemi-nato ed ingrato; si loda però la religione d'Elpidio da Girolamo (Tom. I. p. 243)e la sua umanità da Ammiano (XXI. 6).

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ziati con ira e disprezzo; e gli sguardi, i gesti, ed il furio-so linguaggio del Monarca esprimevano il disordinedell'animo suo. Il domestico vincolo, che avrebbe potutoriconciliare il fratello e il marito d'Elena, di fresco erasisciolto per la morte di quella Principessa, di cui la gravi-danza era stata più volte infruttuosa, ed alla fine riuscillefatale332. L'Imperatrice Eusebia avea conservato finoall'ultimo momento della sua vita il tenero, ed anche ge-loso affetto, che concepito avea per Giuliano; e la dolcedi lei autorità avrebbe potuto moderare lo sdegno d'unPrincipe, che, dopo la morte di quella, s'era abbandonatoalle proprie passioni, ed alle arti de' suoi eunuchi. Ma iltimore d'una straniera invasione l'obbligò a sospendereil gastigo d'un nemico domestico; continuò la sua mar-cia verso i confini della Persia, e stimò sufficiente l'indi-care le condizioni, che avrebber potuto render Giulianoed i suoi rei seguaci, degni della clemenza dell'offesoloro Sovrano. Egli esigeva, che il presuntuoso Cesareespressamente rinunziasse il nome e la dignità d'Augu-sto, che ricevuto avea da' ribelli; che discendesseall'antico suo posto di limitato e dipendente ministro;

332Il suo corpo fu mandato a Roma, e sotterrato vicino a quello di Costanti-na sua sorella nel sobborgo della via Nomentana. Ammiano XX. 1. Libanio hacomposto una ben debole apologia per giustificare il suo Eroe da un'accusamolto assurda, vale a dire d'avere avvelenato la propria moglie, e premiato ilmedico di essa con le gioie di sua madre (Vedi la settima delle diciassette nuo-ve Orazioni pubblicate a Venezia nel 1754 da un MS. della libreria di S. Marcop. 117-127). Elpidio, Prefetto del Pretorio d'Oriente, alla testimonianza delquale s'appella l'accusator di Giuliano, si caratterizza da Libanio per un effemi-nato ed ingrato; si loda però la religione d'Elpidio da Girolamo (Tom. I. p. 243)e la sua umanità da Ammiano (XXI. 6).

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che rimettesse le forze dello Stato, e dell'armata nellemani degli Uffiziali, ch'erano deputati dalla Corte Impe-riale; e che affidasse la propria salute alle assicurazionidi perdono, che si portavano da Epitteto, Vescovo Galli-co, ed uno degli Arriani favoriti di Costanzo. Inutilmen-te si consumarono varj mesi in una negoziazione, che sitrattava alla distanza di tremila miglia tra Parigi ed Anti-ochia; e quando Giuliano s'accorse, che il suo moderatoe rispettoso contegno non serviva che ad irritare l'orgo-glio d'un implacabil nemico, arditamente risolse di com-metter la sua vita e il suo stato alla sorte d'una guerra ci-vile. Diede una pubblica, e militar udienza al QuestoreLeonas; fu letta la superba lettera di Costanzo all'attentamoltitudine; e Giuliano si protestò con la più adulantedeferenza, ch'egli era pronto a dimettere il titolod'Augusto, se poteva ottenere il consenso di quelli ch'eiriguardava come autori della sua elevazione. La timidaproposizione impetuosamente fu rigettata, e da ogni par-te del campo nel tempo stesso rimbombarono queste ac-clamazioni «Giuliano Augusto, continua a regnare perl'autorità dell'esercito, del popolo e della Repubblica,che hai salvata», onde spaventato rimase il pallido Am-basciator di Costanzo. In seguito fu letta una parte dellalettera, in cui l'Imperatore accusava l'ingratitudine diGiuliano, ch'esso aveva insignito dell'onor della porpo-ra; che aveva educato con tanta cura, e tenerezza; cheaveva difeso nella sua infanzia, quando ei restò un orfa-no senza soccorso; «Orfano!» interruppe Giuliano, chegiustificava la propria causa nel tempo che soddisfaceva

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che rimettesse le forze dello Stato, e dell'armata nellemani degli Uffiziali, ch'erano deputati dalla Corte Impe-riale; e che affidasse la propria salute alle assicurazionidi perdono, che si portavano da Epitteto, Vescovo Galli-co, ed uno degli Arriani favoriti di Costanzo. Inutilmen-te si consumarono varj mesi in una negoziazione, che sitrattava alla distanza di tremila miglia tra Parigi ed Anti-ochia; e quando Giuliano s'accorse, che il suo moderatoe rispettoso contegno non serviva che ad irritare l'orgo-glio d'un implacabil nemico, arditamente risolse di com-metter la sua vita e il suo stato alla sorte d'una guerra ci-vile. Diede una pubblica, e militar udienza al QuestoreLeonas; fu letta la superba lettera di Costanzo all'attentamoltitudine; e Giuliano si protestò con la più adulantedeferenza, ch'egli era pronto a dimettere il titolod'Augusto, se poteva ottenere il consenso di quelli ch'eiriguardava come autori della sua elevazione. La timidaproposizione impetuosamente fu rigettata, e da ogni par-te del campo nel tempo stesso rimbombarono queste ac-clamazioni «Giuliano Augusto, continua a regnare perl'autorità dell'esercito, del popolo e della Repubblica,che hai salvata», onde spaventato rimase il pallido Am-basciator di Costanzo. In seguito fu letta una parte dellalettera, in cui l'Imperatore accusava l'ingratitudine diGiuliano, ch'esso aveva insignito dell'onor della porpo-ra; che aveva educato con tanta cura, e tenerezza; cheaveva difeso nella sua infanzia, quando ei restò un orfa-no senza soccorso; «Orfano!» interruppe Giuliano, chegiustificava la propria causa nel tempo che soddisfaceva

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le sue passioni; «L'assassino di mia famiglia mi rinfac-cia che io rimasi orfano? Egli mi spinge a vendicar quel-le ingiurie, che lungamente ho procurato di porre in ob-blio». Fu licenziata l'assemblea; e Leonas, che s'era dif-ficilmente difeso dal furor popolare, fu mandato al suoSignore con una lettera, in cui Giuliano esprimeva co'tratti della più veemente eloquenza i sentimenti d'ira,d'odio, e di disprezzo, ch'erano stati soppressi ed invele-niti dalla dissimulazione di venti anni. Dopo questa am-basceria, che si potè risguardare come il segno d'una ir-reconciliabile guerra, Giuliano, che poche settimaneavanti avea celebrato la festa Cristiana dell'Epifania333,fece una pubblica dichiarazione ch'egli commetteva lacura della sua salvezza ai Numi immortali; e così rinun-ziò pubblicamente alla religione, ugualmente cheall'amicizia di Costanzo334.

La situazione di Giuliano richiedeva una vigorosa, ed

333«Feriarum die, quem celebrantes mense Januario Christiani Epiphaniadictitant, progressus in eorum Ecclesiam, solemniter numine orato discessit»Ammiano XXI. 2. Zonara osserva, che ciò seguì nel giorno di Natale; e può lasua asserzione esser vera; mentre le Chiese d'Egitto, d'Asia, e forse di Galliacelebravano il medesimo giorno (sei di Gennaro) la natività ed il Battesimo delSalvatore. I Romani, ugualmente ignoranti che i lor confratelli della vera datadella sua nascita ne fissarono la solenne festa a' 25 di Decembre Brumalia, osolstizio d'inverno, quando i Pagani annualmente celebravan la nascita delsole. Vedi Bingam. Antich. della Chies. Cristian lib. XX. c. 4. e BeausobreHist. Critic. du Manic. T. II. p. 690-700.

334Le pubbliche e segrete negoziazioni fra Costanzo e Giuliano debbonotrarsi con qualche cautela da Giuliano medesimo (Orat. ad S. P. Q. Athen. pag.286), da Libanio (Orat. parent. cap. 61. pag. 276), da Ammiano (XX. 9.), daZosimo (lib. III p. 154), ed anche da Zonara (T. II lib. XIII. p. 20 ec.), che inquesto proposito pare, che avesse ed usasse dei valutabili materiali.

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le sue passioni; «L'assassino di mia famiglia mi rinfac-cia che io rimasi orfano? Egli mi spinge a vendicar quel-le ingiurie, che lungamente ho procurato di porre in ob-blio». Fu licenziata l'assemblea; e Leonas, che s'era dif-ficilmente difeso dal furor popolare, fu mandato al suoSignore con una lettera, in cui Giuliano esprimeva co'tratti della più veemente eloquenza i sentimenti d'ira,d'odio, e di disprezzo, ch'erano stati soppressi ed invele-niti dalla dissimulazione di venti anni. Dopo questa am-basceria, che si potè risguardare come il segno d'una ir-reconciliabile guerra, Giuliano, che poche settimaneavanti avea celebrato la festa Cristiana dell'Epifania333,fece una pubblica dichiarazione ch'egli commetteva lacura della sua salvezza ai Numi immortali; e così rinun-ziò pubblicamente alla religione, ugualmente cheall'amicizia di Costanzo334.

La situazione di Giuliano richiedeva una vigorosa, ed

333«Feriarum die, quem celebrantes mense Januario Christiani Epiphaniadictitant, progressus in eorum Ecclesiam, solemniter numine orato discessit»Ammiano XXI. 2. Zonara osserva, che ciò seguì nel giorno di Natale; e può lasua asserzione esser vera; mentre le Chiese d'Egitto, d'Asia, e forse di Galliacelebravano il medesimo giorno (sei di Gennaro) la natività ed il Battesimo delSalvatore. I Romani, ugualmente ignoranti che i lor confratelli della vera datadella sua nascita ne fissarono la solenne festa a' 25 di Decembre Brumalia, osolstizio d'inverno, quando i Pagani annualmente celebravan la nascita delsole. Vedi Bingam. Antich. della Chies. Cristian lib. XX. c. 4. e BeausobreHist. Critic. du Manic. T. II. p. 690-700.

334Le pubbliche e segrete negoziazioni fra Costanzo e Giuliano debbonotrarsi con qualche cautela da Giuliano medesimo (Orat. ad S. P. Q. Athen. pag.286), da Libanio (Orat. parent. cap. 61. pag. 276), da Ammiano (XX. 9.), daZosimo (lib. III p. 154), ed anche da Zonara (T. II lib. XIII. p. 20 ec.), che inquesto proposito pare, che avesse ed usasse dei valutabili materiali.

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immediata risoluzione. Egli aveva scoperto per mezzodi lettere intercettate, che l'avversario, sacrificandol'interesse dello Stato a quello del Monarca, aveva dinuovo eccitato i Barbari ad invader le Provincedell'Occidente. La disposizione di due magazzini, stabi-liti uno sulle sponde del lago di Costanza, l'altro a pièdelle Alpi Cozie, pareva che indicasse la marcia di duearmate; e la grandezza di que' magazzini, ciaschedunode' quali conteneva seicentomila sacca di grano, o piut-tosto farina335, era una minacciante prova della forza, edel numero de' nemici che si preparavano a circondarla.Ma le legioni Imperiali erano sempre nelle distanti Pro-vince dell'Asia; il Danubio era guardato debolmente, ese Giuliano con una repentina invasione riusciva ad oc-cupare le importanti Province dell'Illirico, poteva spera-re che sarebbe corso a' suoi stendardi un popolo di sol-dati, e che le ricche miniere d'oro e d'argento che v'era-no, avrebbero contribuito alle spese della guerra civile.Propose quest'audace impresa all'assemblea de' soldati;inspirò loro una giusta fiducia nel Generale ed in sestessi; e gli esortò a mantenere la propria riputazione diesser terribili a' nemici, moderati verso i propri concitta-dini, ed ubbidienti a' loro Uffiziali. L'animoso di lui di-scorso fu ricevuto con le più alte acclamazioni, e le me-desime truppe, che avean prese le armi contro Costanzo,

335Trecento miriadi, ovvero tre milioni di medimni, misura comune appres-so gli Ateniesi, che conteneva sei modj Romani. Giuliano dimostra da Soldatoe da Politico il rischio della sua situazione e la necessità ed i vantaggi di unaguerra offensiva (ad S. P. Q. Athen. pag. 286. 287).

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immediata risoluzione. Egli aveva scoperto per mezzodi lettere intercettate, che l'avversario, sacrificandol'interesse dello Stato a quello del Monarca, aveva dinuovo eccitato i Barbari ad invader le Provincedell'Occidente. La disposizione di due magazzini, stabi-liti uno sulle sponde del lago di Costanza, l'altro a pièdelle Alpi Cozie, pareva che indicasse la marcia di duearmate; e la grandezza di que' magazzini, ciaschedunode' quali conteneva seicentomila sacca di grano, o piut-tosto farina335, era una minacciante prova della forza, edel numero de' nemici che si preparavano a circondarla.Ma le legioni Imperiali erano sempre nelle distanti Pro-vince dell'Asia; il Danubio era guardato debolmente, ese Giuliano con una repentina invasione riusciva ad oc-cupare le importanti Province dell'Illirico, poteva spera-re che sarebbe corso a' suoi stendardi un popolo di sol-dati, e che le ricche miniere d'oro e d'argento che v'era-no, avrebbero contribuito alle spese della guerra civile.Propose quest'audace impresa all'assemblea de' soldati;inspirò loro una giusta fiducia nel Generale ed in sestessi; e gli esortò a mantenere la propria riputazione diesser terribili a' nemici, moderati verso i propri concitta-dini, ed ubbidienti a' loro Uffiziali. L'animoso di lui di-scorso fu ricevuto con le più alte acclamazioni, e le me-desime truppe, che avean prese le armi contro Costanzo,

335Trecento miriadi, ovvero tre milioni di medimni, misura comune appres-so gli Ateniesi, che conteneva sei modj Romani. Giuliano dimostra da Soldatoe da Politico il rischio della sua situazione e la necessità ed i vantaggi di unaguerra offensiva (ad S. P. Q. Athen. pag. 286. 287).

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quando intimò loro di abbandonare la Gallia, ora dichia-rano allegramente che avrebber seguitato Giuliano finoalle ultime estremità dell'Europa o dell'Asia. Fu datoloro il giuramento di fedeltà; ed i soldati, facendo strepi-to con gli scudi, e ponendosi la punta delle spade nudealla gola, si obbligarono con le più orride imprecazionial servizio d'un Capitano, ch'essi celebravano come il li-berator della Gallia ed il vincitor de' Germani336. A talsolenne obbligazione, che pareva dettata dall'affetto piùche dal dovere, non si oppose che il solo Nebridio,ch'era stato ammesso all'Uffizio di Prefetto del Pretorio.Il fedele Ministro, solo e senz'aiuto, sostenne i diritti diCostanzo in mezzo ad un'armata e fervida moltitudine,al furor della quale poco mancò, che non restasse onore-volmente, ma invano sacrificato. Dopo che un colpo dispada gli ebbe troncata una mano, egli abbracciò le gi-nocchia del Principe, che aveva offeso. Giuliano cuoprìil Prefetto col suo manto Imperiale, e difendendolo dalzelo de' suoi seguaci, lo mandò alla propria casa con mi-nor rispetto di quello ch'era forse dovuto alla virtù d'unnemico337. Il sublime posto di Nebridio fu dato a Sallu-stio; e le Province di Gallia, che allora si trovavan liberedall'intollerabile oppression delle tasse, goderonodell'equa e dolce amministrazione dell'amico di Giulia-

336Vedi la sua orazione ed il contegno delle truppe appresso Ammiano XXI.5.

337Egli aspramente ricusò la sua mano al supplichevole Prefetto, che fumandato in Toscana (Ammiano XXI. 5). Libanio con barbaro furore insultaNebridio, applaude ai soldati, e quasi censura l'umanità di Giuliano (Orat.Parent. c. 53. p. 278).

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quando intimò loro di abbandonare la Gallia, ora dichia-rano allegramente che avrebber seguitato Giuliano finoalle ultime estremità dell'Europa o dell'Asia. Fu datoloro il giuramento di fedeltà; ed i soldati, facendo strepi-to con gli scudi, e ponendosi la punta delle spade nudealla gola, si obbligarono con le più orride imprecazionial servizio d'un Capitano, ch'essi celebravano come il li-berator della Gallia ed il vincitor de' Germani336. A talsolenne obbligazione, che pareva dettata dall'affetto piùche dal dovere, non si oppose che il solo Nebridio,ch'era stato ammesso all'Uffizio di Prefetto del Pretorio.Il fedele Ministro, solo e senz'aiuto, sostenne i diritti diCostanzo in mezzo ad un'armata e fervida moltitudine,al furor della quale poco mancò, che non restasse onore-volmente, ma invano sacrificato. Dopo che un colpo dispada gli ebbe troncata una mano, egli abbracciò le gi-nocchia del Principe, che aveva offeso. Giuliano cuoprìil Prefetto col suo manto Imperiale, e difendendolo dalzelo de' suoi seguaci, lo mandò alla propria casa con mi-nor rispetto di quello ch'era forse dovuto alla virtù d'unnemico337. Il sublime posto di Nebridio fu dato a Sallu-stio; e le Province di Gallia, che allora si trovavan liberedall'intollerabile oppression delle tasse, goderonodell'equa e dolce amministrazione dell'amico di Giulia-

336Vedi la sua orazione ed il contegno delle truppe appresso Ammiano XXI.5.

337Egli aspramente ricusò la sua mano al supplichevole Prefetto, che fumandato in Toscana (Ammiano XXI. 5). Libanio con barbaro furore insultaNebridio, applaude ai soldati, e quasi censura l'umanità di Giuliano (Orat.Parent. c. 53. p. 278).

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no, a cui permettevasi di praticar quelle virtù, che avevainstillato nell'animo del suo allievo338.

Le speranze di Giuliano dipendevano assai meno dalnumero delle truppe, che dalla celerità de' suoi movi-menti. Nell'esecuzione d'un'ardita intrapresa, pose inopera ogni precauzione che suggerir potea la prudenza;e dove questa non poteva più accompagnare i suoi passi,affidò l'evento al valore, ed alla fortuna. Egli riunì, e di-vise il suo esercito339 nelle vicinanze di Basilea. Ad uncorpo di diecimila uomini, sotto il comando di NevittaGenerale di cavalleria, fu ordinato d'avanzarsi verso leparti mediterranee della Rezia e del Norico. Una simildivisione di truppe, sotto gli ordini di Giovio e di Giovi-no, si preparò a seguitare l'obbliquo corso delle pubbli-che strade per le Alpi ed i confini settentrionali d'Italia.Le istruzioni pei Generali eran concepite con energia eprecisione: di affrettare cioè la lor marcia in chiuse eserrate colonne, che secondo la disposizione del luogopotessero facilmente cangiarsi in qualunque ordine dibattaglia; d'assicurarsi dalle sorprese notturne per mezzodi forti posti, e di vigilanti sentinelle; di prevenire la re-sistenza coll'inaspettato loro arrivo; e mediante la repen-tina partenza, eluder le osservazioni; di spargere una

338Ammiano XXI. 8. In tal promozione osservò Giuliano la legge che avevapubblicamente imposto a se stesso: Neque civilis quisdam Judex, nec militarisrector, alio quodam praeter merita suffragante, ad potiorem veniat gradum(Ammiano XX. 5). L'assenza non indebolì il suo riguardo per Sallustio, colnome del quale onorò il Consolato dell'anno 363.

339Ammiano (XXI. 8) attribuisce ad Alessandro Magno, e ad altri abili Ge-nerali la stessa pratica e l'istesso motivo.

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no, a cui permettevasi di praticar quelle virtù, che avevainstillato nell'animo del suo allievo338.

Le speranze di Giuliano dipendevano assai meno dalnumero delle truppe, che dalla celerità de' suoi movi-menti. Nell'esecuzione d'un'ardita intrapresa, pose inopera ogni precauzione che suggerir potea la prudenza;e dove questa non poteva più accompagnare i suoi passi,affidò l'evento al valore, ed alla fortuna. Egli riunì, e di-vise il suo esercito339 nelle vicinanze di Basilea. Ad uncorpo di diecimila uomini, sotto il comando di NevittaGenerale di cavalleria, fu ordinato d'avanzarsi verso leparti mediterranee della Rezia e del Norico. Una simildivisione di truppe, sotto gli ordini di Giovio e di Giovi-no, si preparò a seguitare l'obbliquo corso delle pubbli-che strade per le Alpi ed i confini settentrionali d'Italia.Le istruzioni pei Generali eran concepite con energia eprecisione: di affrettare cioè la lor marcia in chiuse eserrate colonne, che secondo la disposizione del luogopotessero facilmente cangiarsi in qualunque ordine dibattaglia; d'assicurarsi dalle sorprese notturne per mezzodi forti posti, e di vigilanti sentinelle; di prevenire la re-sistenza coll'inaspettato loro arrivo; e mediante la repen-tina partenza, eluder le osservazioni; di spargere una

338Ammiano XXI. 8. In tal promozione osservò Giuliano la legge che avevapubblicamente imposto a se stesso: Neque civilis quisdam Judex, nec militarisrector, alio quodam praeter merita suffragante, ad potiorem veniat gradum(Ammiano XX. 5). L'assenza non indebolì il suo riguardo per Sallustio, colnome del quale onorò il Consolato dell'anno 363.

339Ammiano (XXI. 8) attribuisce ad Alessandro Magno, e ad altri abili Ge-nerali la stessa pratica e l'istesso motivo.

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grande opinione delle loro forze, ed il terror del suonome; e di riunirsi al loro Sovrano sotto le mura di Sir-mio. Per se Giuliano avea riservato la parte dell'operapiù straordinaria, e difficile. Scelse tremila bravi ed atti-vi volontari, e risolvè, come loro condottiero, di toglieread essi qualunque speranza di ritirata. Alla testa di que-sta fedele truppa, senza timore gettossi nell'interno dellaMarciana, o sia della Foresta Nera, che nasconde la sor-gente del Danubio340, e per molti giorni restò incognitoal Mondo il destin di Giuliano. Mediante la segretezzadella sua marcia, e per la diligenza e vigore con cui ope-rò, vinse ogni ostacolo; proseguì a viva forza il suoviaggio per monti e paludi, occupò i ponti, passò a nuo-to i fiumi, non traviando mai dal retto suo corso341,senz'avvertire se traversava territorj di Romani o di Bar-bari; e finalmente sboccò fra Vienna, e Ratisbona, inquel luogo appunto dove avea disegnato d'imbarcar lesue truppe sul Danubio. Mediante un ben concertato

340Questo bosco era una parte della gran foresta Ercinia, che al tempo diCesare s'estendeva dal paese de' Rauraci, Basilea, sino alle indefinite regionidel Nort. Vedi Cluver. German. antiq. l. III. c. 47.

341Si paragoni Libanio Orat. Parent. c. 53. p. 278-279, con Gregorio Na-zianzeno Orat. III. p.68... Anche il Santo ammira la celerità e la segretezza del-la sua marcia. Un moderno Teologo forse applicherebbe al progresso di Giulia-no que' versi, che originalmente appartengono ad un altro apostata (Milton).

........ In questa guisa il truceViandante infernal per l'aspro e 'l piano,Il denso, il raro, i ripidi, i burroniCapo e mani, ali e piedi oprando a gara,Il suo cammin sospinge, ed or s'attuffa,Ora nuota, ora striscia, or guazza, or vola.

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grande opinione delle loro forze, ed il terror del suonome; e di riunirsi al loro Sovrano sotto le mura di Sir-mio. Per se Giuliano avea riservato la parte dell'operapiù straordinaria, e difficile. Scelse tremila bravi ed atti-vi volontari, e risolvè, come loro condottiero, di toglieread essi qualunque speranza di ritirata. Alla testa di que-sta fedele truppa, senza timore gettossi nell'interno dellaMarciana, o sia della Foresta Nera, che nasconde la sor-gente del Danubio340, e per molti giorni restò incognitoal Mondo il destin di Giuliano. Mediante la segretezzadella sua marcia, e per la diligenza e vigore con cui ope-rò, vinse ogni ostacolo; proseguì a viva forza il suoviaggio per monti e paludi, occupò i ponti, passò a nuo-to i fiumi, non traviando mai dal retto suo corso341,senz'avvertire se traversava territorj di Romani o di Bar-bari; e finalmente sboccò fra Vienna, e Ratisbona, inquel luogo appunto dove avea disegnato d'imbarcar lesue truppe sul Danubio. Mediante un ben concertato

340Questo bosco era una parte della gran foresta Ercinia, che al tempo diCesare s'estendeva dal paese de' Rauraci, Basilea, sino alle indefinite regionidel Nort. Vedi Cluver. German. antiq. l. III. c. 47.

341Si paragoni Libanio Orat. Parent. c. 53. p. 278-279, con Gregorio Na-zianzeno Orat. III. p.68... Anche il Santo ammira la celerità e la segretezza del-la sua marcia. Un moderno Teologo forse applicherebbe al progresso di Giulia-no que' versi, che originalmente appartengono ad un altro apostata (Milton).

........ In questa guisa il truceViandante infernal per l'aspro e 'l piano,Il denso, il raro, i ripidi, i burroniCapo e mani, ali e piedi oprando a gara,Il suo cammin sospinge, ed or s'attuffa,Ora nuota, ora striscia, or guazza, or vola.

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stratagemma, s'impossessò d'una flotta di legni leggie-ri342, che ivi si trovava sulle ancore; l'assicurò di grosseprovvisioni, sufficienti a saziare il non delicato e voraceappetito d'un esercito Gallico; ed arditamente s'abban-donò al corso del Danubio. Gli sforzi de' suoi marinari,che faticavano con diligenza continua, e la stabil costan-za d'un vento favorevole, fecero progredir la sua flottapiù di seicento miglia in undici giorni343; ed aveva giàsbarcate le sue truppe a Bologna, distante non più di di-ciannove miglia da Sirmio, avanti che i nemici avesseroalcuna certa notizia, ch'egli avea lasciate le rive delReno. Nel corso di questa lunga e rapida navigazionel'animo di Giuliano era fisso nell'oggetto della sua intra-presa; e quantunque accettasse le deputazioni di alcunecittà, che s'affrettavano ad acquistare il merito d'unapronta sommissione, passò davanti alle fortezze nemi-che situate lungo il fiume, senza cedere alla tentazionedi segnalare un vano ed inopportuno valore. Le spondedel Danubio da una parte e dall'altra erano coronate dispettatori, che ammiravan la pompa militare, prevedeva-no l'importanza del fatto, e spargevan per le vicine re-gioni la fama d'un giovin Eroe, che s'avanzava con una

342In quello spazio la Notizia colloca due o tre flotte, la Lauriacense (a Lau-riacum o Lorch) l'Arlapense, la Maginense; e fa menzione di cinque legioni ocoorti di Liburnarj, che dovevano essere una specie di soldati di marina. Sect.58. Edit. Labb.

343Il solo Zosimo (l. III. p. 156) ha specificato quest'interessante circostan-za. Mammertino (in Paneg. vet. XI. 6, 7, 8) che accompagnava Giuliano comeConte delle sacre largizioni, descrive questo viaggio in una florida e pittorescamaniera, sfida Trittolemo e gli argonauti di Grecia ec.

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stratagemma, s'impossessò d'una flotta di legni leggie-ri342, che ivi si trovava sulle ancore; l'assicurò di grosseprovvisioni, sufficienti a saziare il non delicato e voraceappetito d'un esercito Gallico; ed arditamente s'abban-donò al corso del Danubio. Gli sforzi de' suoi marinari,che faticavano con diligenza continua, e la stabil costan-za d'un vento favorevole, fecero progredir la sua flottapiù di seicento miglia in undici giorni343; ed aveva giàsbarcate le sue truppe a Bologna, distante non più di di-ciannove miglia da Sirmio, avanti che i nemici avesseroalcuna certa notizia, ch'egli avea lasciate le rive delReno. Nel corso di questa lunga e rapida navigazionel'animo di Giuliano era fisso nell'oggetto della sua intra-presa; e quantunque accettasse le deputazioni di alcunecittà, che s'affrettavano ad acquistare il merito d'unapronta sommissione, passò davanti alle fortezze nemi-che situate lungo il fiume, senza cedere alla tentazionedi segnalare un vano ed inopportuno valore. Le spondedel Danubio da una parte e dall'altra erano coronate dispettatori, che ammiravan la pompa militare, prevedeva-no l'importanza del fatto, e spargevan per le vicine re-gioni la fama d'un giovin Eroe, che s'avanzava con una

342In quello spazio la Notizia colloca due o tre flotte, la Lauriacense (a Lau-riacum o Lorch) l'Arlapense, la Maginense; e fa menzione di cinque legioni ocoorti di Liburnarj, che dovevano essere una specie di soldati di marina. Sect.58. Edit. Labb.

343Il solo Zosimo (l. III. p. 156) ha specificato quest'interessante circostan-za. Mammertino (in Paneg. vet. XI. 6, 7, 8) che accompagnava Giuliano comeConte delle sacre largizioni, descrive questo viaggio in una florida e pittorescamaniera, sfida Trittolemo e gli argonauti di Grecia ec.

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velocità più che mortale alla testa delle innumerabiliforze d'Occidente. Luciliano, che col grado di Generaledi cavalleria comandava la milizia dell'Illirico, rimaseagitato e perplesso dalle dubbiose relazioni, ch'ei nonpoteva nè rigettare, nè credere. Avea egli prese alcunelente ed irresolute misure ad oggetto di levar truppe,quando fu sorpreso da Dagalaifo, attivo Uffiziale, cheGiuliano, appena sbarcato a Bologna, avea speditoavanti con qualche corpo d'infanteria leggiera. Il Gene-rale prigioniero, incerto della vita o della morte, fu po-sto in fretta sopra un cavallo, e condotto alla presenza diGiuliano, che l'alzò cortesemente da terra, e sgombrò ilterrore e la sorpresa, che sembrava avessero instupiditele sue potenze. Ma tosto che Luciliano ebbe ripreso lospirito, dimostrò la sua mancanza di discernimento colpretendere d'ammonire il suo vincitore per essersi teme-rariamente arrischiato con un pugno di soldati ad espor-re la sua persona in mezzo a' nemici. «Riserva coteste ti-mide rimostranze al tuo Signore Costanzo», replicò conun sorriso di disprezzo Giuliano, «quando io ti ho dato abaciare la mia porpora, ti ho ricevuto come un suppli-chevole, non come un consigliero». Sapendo che il solosuccesso era quello che giustificar poteva il suo tentati-vo, e che il solo ardire poteva dominar sull'evento, im-mediatamente s'avanzò alla testa di tremila soldati ad at-taccar la più forte e più popolata città delle Province Illi-riche. Entrato nel lungo sobborgo di Sirmio, fu ricevutodalle liete acclamazioni dell'esercito e del popolo, checoronato di fiori, e tenendo in mano fiaccole accese,

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velocità più che mortale alla testa delle innumerabiliforze d'Occidente. Luciliano, che col grado di Generaledi cavalleria comandava la milizia dell'Illirico, rimaseagitato e perplesso dalle dubbiose relazioni, ch'ei nonpoteva nè rigettare, nè credere. Avea egli prese alcunelente ed irresolute misure ad oggetto di levar truppe,quando fu sorpreso da Dagalaifo, attivo Uffiziale, cheGiuliano, appena sbarcato a Bologna, avea speditoavanti con qualche corpo d'infanteria leggiera. Il Gene-rale prigioniero, incerto della vita o della morte, fu po-sto in fretta sopra un cavallo, e condotto alla presenza diGiuliano, che l'alzò cortesemente da terra, e sgombrò ilterrore e la sorpresa, che sembrava avessero instupiditele sue potenze. Ma tosto che Luciliano ebbe ripreso lospirito, dimostrò la sua mancanza di discernimento colpretendere d'ammonire il suo vincitore per essersi teme-rariamente arrischiato con un pugno di soldati ad espor-re la sua persona in mezzo a' nemici. «Riserva coteste ti-mide rimostranze al tuo Signore Costanzo», replicò conun sorriso di disprezzo Giuliano, «quando io ti ho dato abaciare la mia porpora, ti ho ricevuto come un suppli-chevole, non come un consigliero». Sapendo che il solosuccesso era quello che giustificar poteva il suo tentati-vo, e che il solo ardire poteva dominar sull'evento, im-mediatamente s'avanzò alla testa di tremila soldati ad at-taccar la più forte e più popolata città delle Province Illi-riche. Entrato nel lungo sobborgo di Sirmio, fu ricevutodalle liete acclamazioni dell'esercito e del popolo, checoronato di fiori, e tenendo in mano fiaccole accese,

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conduceva all'Imperial sua residenza il proprio già rico-nosciuto Sovrano. Furono destinati due giorni alla pub-blica gioia, che celebrossi co' giuochi del Circo; ma ilterzo giorno di buon mattino Giuliano mosse ad occupa-re lo stretto passo di Succi nelle angustie del monteEmo, che posto quasi in mezzo fra Sirmio e Costantino-poli, separa fra loro le Province di Tracia e di Dacia,mediante una dirupata discesa verso la prima, ed un dol-ce declivo dalla parte dell'altra344. Fu affidata la difesa diquesto importante luogo al bravo Nevitta, il quale nonmeno che i Generali della divisione Italiana, aveva conbuon successo eseguito il piano della marcia e l'unione,che il loro Principe sì saviamente avea divisata345.

L'omaggio, che ottenne Giuliano dal timore o dallainclinazione del Popolo, s'estese molto al di làdell'immediato effetto delle sue armi346. S'amministra-van le Prefetture d'Italia e d'Illirico da Tauro e da Flo-renzio, che univano quest'importante uffizio ai vani ono-ri del consolato; e siccome que' Magistrati precipitosa-mente si ritirarono alla Corte d'Asia, Giuliano, che sem-pre non potea raffrenar la leggerezza del suo naturale,notò la lor fuga coll'aggiungere in tutti gli atti di

344La descrizione d'Ammiano, che può esser fiancheggiata da altre prove,assicura la situazione precisa delle Angustiae Succorum, o passo di Succi. Dan-ville per una debole somiglianza di nomi l'ha posto fra Sardica e Naisso. Io soncostretto per giustificarmi a far menzione dell'unico errore, che ho scopertonelle carte o negli scritti di quell'ammirabil Geografo.

345Per quante circostanze possiamo prendere altrove, Ammiano (XXI. 8, 9,10) somministra sempre la sostanza della narrazione.

346Ammiano XXI. 9, 10. Liban. Orat. Parent. c. 54. p. 279. 280. Zosimolib. III p. 157.

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conduceva all'Imperial sua residenza il proprio già rico-nosciuto Sovrano. Furono destinati due giorni alla pub-blica gioia, che celebrossi co' giuochi del Circo; ma ilterzo giorno di buon mattino Giuliano mosse ad occupa-re lo stretto passo di Succi nelle angustie del monteEmo, che posto quasi in mezzo fra Sirmio e Costantino-poli, separa fra loro le Province di Tracia e di Dacia,mediante una dirupata discesa verso la prima, ed un dol-ce declivo dalla parte dell'altra344. Fu affidata la difesa diquesto importante luogo al bravo Nevitta, il quale nonmeno che i Generali della divisione Italiana, aveva conbuon successo eseguito il piano della marcia e l'unione,che il loro Principe sì saviamente avea divisata345.

L'omaggio, che ottenne Giuliano dal timore o dallainclinazione del Popolo, s'estese molto al di làdell'immediato effetto delle sue armi346. S'amministra-van le Prefetture d'Italia e d'Illirico da Tauro e da Flo-renzio, che univano quest'importante uffizio ai vani ono-ri del consolato; e siccome que' Magistrati precipitosa-mente si ritirarono alla Corte d'Asia, Giuliano, che sem-pre non potea raffrenar la leggerezza del suo naturale,notò la lor fuga coll'aggiungere in tutti gli atti di

344La descrizione d'Ammiano, che può esser fiancheggiata da altre prove,assicura la situazione precisa delle Angustiae Succorum, o passo di Succi. Dan-ville per una debole somiglianza di nomi l'ha posto fra Sardica e Naisso. Io soncostretto per giustificarmi a far menzione dell'unico errore, che ho scopertonelle carte o negli scritti di quell'ammirabil Geografo.

345Per quante circostanze possiamo prendere altrove, Ammiano (XXI. 8, 9,10) somministra sempre la sostanza della narrazione.

346Ammiano XXI. 9, 10. Liban. Orat. Parent. c. 54. p. 279. 280. Zosimolib. III p. 157.

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quell'anno a' nomi de' due Consoli il titolo di fuggitivi.Le Province, che si trovarono abbandonate da' primi lorMagistrati, riconobber l'autorità di un Imperatore, checonciliando le qualità di soldato con quelle di filosofo,era ugualmente ammirato nei campi del Danubio, e nel-le Città della Grecia. Dal suo palazzo, o piuttosto da'suoi generali quartieri di Sirmio e di Naisso, mandò alleprincipali Città dell'Impero un'elaborata apologia dellasua condotta; pubblicò i segreti dispacci di Costanzo; echiese il giudizio del genere umano fra due competitori,l'uno de' quali aveva espulsi, e l'altro chiamati i Barba-ri347. Giuliano, il cui animo era profondamente sensibilealla taccia d'ingratitudine, tendeva a conservare con gliargomenti, non meno che colle armi, la superiorità dellasua causa, e ad esser eccellente non solo nell'arti dellaguerra, ma anche in quelle di scrivere. Sembra che lasua lettera al Senato ed al Popolo d'Atene348 fosse dettatada un elegante entusiasmo, che gli faceva sottometter leproprie azioni e i motivi di esse a' degenerati Ateniesi

347Giuliano (ad S. P. Q. Athen. p. 286) positivamente asserisce, che avevaintercettate le lettere di Costanzo a' Barbari; e Libanio afferma con ugual sicu-rezza che nella sua marcia le lesse alle truppe ed alle città. Contuttocciò Am-miano XXI. 4 s'esprime con una fredda ed ingenua dubbiezza: Si famae soliusadmittenda est fides. Specifica però una lettera intercetta e scritta da Vadomaira Costanzo, che suppone un'intima corrispondenza fra loro; Caesar tuus disci-plinam non habet.

348Zosimo rammenta le lettere di Giuliano agli Ateniesi, a' Corintj, ed a' La-cedemoni. La sostanza era probabilmente l'istessa, quantunque ne fosse variatala direzione. L'epistola agli Ateniesi tuttavia sussiste p. 268-287, ed ha sommi-nistrato notizie assai valutabili. Essa merita le lodi dell'Abbate della Bleterie(Pref. a l'Hist. de Jovien. p. 24, 25) ed è uno de' migliori manifesti, che si pos-sano trovare in qualsivoglia linguaggio.

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quell'anno a' nomi de' due Consoli il titolo di fuggitivi.Le Province, che si trovarono abbandonate da' primi lorMagistrati, riconobber l'autorità di un Imperatore, checonciliando le qualità di soldato con quelle di filosofo,era ugualmente ammirato nei campi del Danubio, e nel-le Città della Grecia. Dal suo palazzo, o piuttosto da'suoi generali quartieri di Sirmio e di Naisso, mandò alleprincipali Città dell'Impero un'elaborata apologia dellasua condotta; pubblicò i segreti dispacci di Costanzo; echiese il giudizio del genere umano fra due competitori,l'uno de' quali aveva espulsi, e l'altro chiamati i Barba-ri347. Giuliano, il cui animo era profondamente sensibilealla taccia d'ingratitudine, tendeva a conservare con gliargomenti, non meno che colle armi, la superiorità dellasua causa, e ad esser eccellente non solo nell'arti dellaguerra, ma anche in quelle di scrivere. Sembra che lasua lettera al Senato ed al Popolo d'Atene348 fosse dettatada un elegante entusiasmo, che gli faceva sottometter leproprie azioni e i motivi di esse a' degenerati Ateniesi

347Giuliano (ad S. P. Q. Athen. p. 286) positivamente asserisce, che avevaintercettate le lettere di Costanzo a' Barbari; e Libanio afferma con ugual sicu-rezza che nella sua marcia le lesse alle truppe ed alle città. Contuttocciò Am-miano XXI. 4 s'esprime con una fredda ed ingenua dubbiezza: Si famae soliusadmittenda est fides. Specifica però una lettera intercetta e scritta da Vadomaira Costanzo, che suppone un'intima corrispondenza fra loro; Caesar tuus disci-plinam non habet.

348Zosimo rammenta le lettere di Giuliano agli Ateniesi, a' Corintj, ed a' La-cedemoni. La sostanza era probabilmente l'istessa, quantunque ne fosse variatala direzione. L'epistola agli Ateniesi tuttavia sussiste p. 268-287, ed ha sommi-nistrato notizie assai valutabili. Essa merita le lodi dell'Abbate della Bleterie(Pref. a l'Hist. de Jovien. p. 24, 25) ed è uno de' migliori manifesti, che si pos-sano trovare in qualsivoglia linguaggio.

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de' suoi tempi, con quell'umile deferenza con cui avreb-be arringato, al tempo d'Aristide, avanti il Tribunaledell'Areopago. La sua richiesta al Senato di Roma, alquale tuttavia permettevasi di conferire i titoli dell'Impe-rial potestà, fu coerente alla forma d'una spirante Re-pubblica. S'intimò un'assemblea da Tertullo, Prefettodella Città; vi si lesse l'epistola di Giuliano; e siccome sivedeva, ch'egli era padrone d'Italia, i suoi diritti furonoammessi senza che alcun dissentisse. Con minor soddi-sfazione ascoltossi la sua indiretta censura delle innova-zioni di Costantino, e l'appassionata invettiva contro ivizi di Costanzo, ed il Senato, come se Giuliano fossestato presente, tutto insieme esclamò: «Rispettate, digrazia, l'Autore della vostra fortuna»349: artificiosaespressione, che si poteva interpretar differentementesecondo la sorte della guerra, o come una viril disappro-vazione dell'ingratitudine dell'usurpatore, o comeun'adulante confessione, che quel solo atto, di tanto van-taggio allo Stato, dovea servire a purgare tutti i difetti diCostanzo.

Immediatamente fu data notizia della marcia e del ra-pido progresso di Giuliano al suo rivale, che, mediantela ritirata di Sapore, aveva ottenuto qualche respiro dallaguerra Persiana. Mascherando l'angustia dell'animo suocoll'apparenza del disprezzo, Costanzo dichiarò la suaintenzione di tornare in Europa, e dar la caccia a Giulia-

349Auctori tuo reverentiam rogamus. Ammiano XXI 10. È molto piacevolel'osservare i segreti contrasti del Senato fra l'adulazione ed il timore. Vedi Taci-to Hist. I. 85.

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de' suoi tempi, con quell'umile deferenza con cui avreb-be arringato, al tempo d'Aristide, avanti il Tribunaledell'Areopago. La sua richiesta al Senato di Roma, alquale tuttavia permettevasi di conferire i titoli dell'Impe-rial potestà, fu coerente alla forma d'una spirante Re-pubblica. S'intimò un'assemblea da Tertullo, Prefettodella Città; vi si lesse l'epistola di Giuliano; e siccome sivedeva, ch'egli era padrone d'Italia, i suoi diritti furonoammessi senza che alcun dissentisse. Con minor soddi-sfazione ascoltossi la sua indiretta censura delle innova-zioni di Costantino, e l'appassionata invettiva contro ivizi di Costanzo, ed il Senato, come se Giuliano fossestato presente, tutto insieme esclamò: «Rispettate, digrazia, l'Autore della vostra fortuna»349: artificiosaespressione, che si poteva interpretar differentementesecondo la sorte della guerra, o come una viril disappro-vazione dell'ingratitudine dell'usurpatore, o comeun'adulante confessione, che quel solo atto, di tanto van-taggio allo Stato, dovea servire a purgare tutti i difetti diCostanzo.

Immediatamente fu data notizia della marcia e del ra-pido progresso di Giuliano al suo rivale, che, mediantela ritirata di Sapore, aveva ottenuto qualche respiro dallaguerra Persiana. Mascherando l'angustia dell'animo suocoll'apparenza del disprezzo, Costanzo dichiarò la suaintenzione di tornare in Europa, e dar la caccia a Giulia-

349Auctori tuo reverentiam rogamus. Ammiano XXI 10. È molto piacevolel'osservare i segreti contrasti del Senato fra l'adulazione ed il timore. Vedi Taci-to Hist. I. 85.

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no; giacchè non parlò mai di tal militare spedizione, checome d'una partita di caccia350. Nel campo di Gerapoli inSiria comunicò questo disegno all'esercito: toccò di volola colpa e la temerità del Cesare, ed osò assicurare i sol-dati, che se gli ammutinati Galli ardivano di venir loroincontro nel campo, sarebbero stati incapaci di sostenerel'ardor de' lor occhi, e l'irresistibile forza de' loro clamo-ri d'attacco. Si fece applauso militare al discorsodell'Imperatore; e Teodoto, Presidente del consiglio diGerapoli, fece istanza con lacrime d'adulazione che lasua città venisse adornata del capo del soggiogato ribel-le351. Fu spedito in carri di posta uno scelto distaccamen-to per assicurare, se fosse stato possibile, il passo diSucci; le reclute, i cavalli, le armi, ed i magazzini, ches'erano preparati contro Sapore, si applicarono all'usodella guerra civile, e le domestiche vittorie di Costanzoinspiravano a' suoi partigiani la più certa sicurezza dibuon successo. Il notaro Gaudenzio aveva occupato insuo nome le Province dell'Affrica; fu intercettata la sus-sistenza di Roma; e s'accrebbe la strettezza di Giulianoper un inaspettato accidente, che avrebbe potuto produr-re conseguenze fatali. Giuliano aveva accettato la som-missione di due legioni e d'una coorte d'arcieri, ch'eranodi guarnigione a Sirmio; ma ebbe con ragione sospetto

350Tamquam venaticam praedam caperet; hoc enim ad leniendum suorummetum subinde praedicabat. Ammiano XXI. 7.

351Vedi il discorso ed i preparativi in Ammiano XXI 13. Il vil Teodoto im-plorò in seguito ed ottenne il perdono dal pietoso conquistatore, che indicò ildesiderio che aveva di scemare il numero de' nemici e di accrescere quello de-gli amici (XXII 14).

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no; giacchè non parlò mai di tal militare spedizione, checome d'una partita di caccia350. Nel campo di Gerapoli inSiria comunicò questo disegno all'esercito: toccò di volola colpa e la temerità del Cesare, ed osò assicurare i sol-dati, che se gli ammutinati Galli ardivano di venir loroincontro nel campo, sarebbero stati incapaci di sostenerel'ardor de' lor occhi, e l'irresistibile forza de' loro clamo-ri d'attacco. Si fece applauso militare al discorsodell'Imperatore; e Teodoto, Presidente del consiglio diGerapoli, fece istanza con lacrime d'adulazione che lasua città venisse adornata del capo del soggiogato ribel-le351. Fu spedito in carri di posta uno scelto distaccamen-to per assicurare, se fosse stato possibile, il passo diSucci; le reclute, i cavalli, le armi, ed i magazzini, ches'erano preparati contro Sapore, si applicarono all'usodella guerra civile, e le domestiche vittorie di Costanzoinspiravano a' suoi partigiani la più certa sicurezza dibuon successo. Il notaro Gaudenzio aveva occupato insuo nome le Province dell'Affrica; fu intercettata la sus-sistenza di Roma; e s'accrebbe la strettezza di Giulianoper un inaspettato accidente, che avrebbe potuto produr-re conseguenze fatali. Giuliano aveva accettato la som-missione di due legioni e d'una coorte d'arcieri, ch'eranodi guarnigione a Sirmio; ma ebbe con ragione sospetto

350Tamquam venaticam praedam caperet; hoc enim ad leniendum suorummetum subinde praedicabat. Ammiano XXI. 7.

351Vedi il discorso ed i preparativi in Ammiano XXI 13. Il vil Teodoto im-plorò in seguito ed ottenne il perdono dal pietoso conquistatore, che indicò ildesiderio che aveva di scemare il numero de' nemici e di accrescere quello de-gli amici (XXII 14).

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della fedeltà di quelle truppe, ch'erano state distintedall'Imperatore; e fu creduto espediente, sotto pretestoche la frontiera di Gallia era esposta, d'allontanarle dallascena più importante d'azione. Essi avanzarono con ri-pugnanza fino a' confini dell'Italia; ma temendo la lun-ghezza del viaggio e la barbara ferocia de' Germani, ri-solvettero, instigati da uno de' loro Tribuni, di fermarsiad Aquileia, e d'innalzar sulle mura di quella inespugna-bil città le bandiere di Costanzo. La vigilanza di Giulia-no vide nel tempo stesso e l'estensione del male, e la ne-cessità d'applicarvi un immediato rimedio. Giovino dun-que ebbe l'ordine di condurre indietro una partedell'esercito in Italia, e speditamente fu posto l'assedioad Aquileia e proseguito con vigore. Ma i legionari, chepareva avessero scosso il giogo della disciplina, regola-rono la difesa della piazza con perseveranza e sapere;invitarono il rimanente dell'Italia ad imitar l'esempio delcoraggio e della fedeltà loro; e minacciarono d'impedirela ritirata di Giuliano, se mai si fosse trovato nella ne-cessità di cedere al numero superiore delle armate di'Oriente352.

Ma l'umanità di Giuliano fu liberata dalla crudele al-ternativa, di cui esso pateticamente dolevasi, di distrug-

352Ammiano XXI. 7. 11. 12. Par ch'ei descriva con fatica superflua le opera-zioni dell'assedio d'Aquileia, che in quest'occasione mantenne la sua famad'insuperabile. Gregorio Nazianzeno (Orat. III. p.68.) attribuisce quest'acci-dentale rivolta all'abilità di Costanzo, di cui annunzia la sicura vittoria conqualche apparenza di verità. Constantio quem credebat procul dubio fore vic-torem: nemo enim omnium tunc ab hac constanti sententia discrepebat. Am-miano XXI. 7.

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della fedeltà di quelle truppe, ch'erano state distintedall'Imperatore; e fu creduto espediente, sotto pretestoche la frontiera di Gallia era esposta, d'allontanarle dallascena più importante d'azione. Essi avanzarono con ri-pugnanza fino a' confini dell'Italia; ma temendo la lun-ghezza del viaggio e la barbara ferocia de' Germani, ri-solvettero, instigati da uno de' loro Tribuni, di fermarsiad Aquileia, e d'innalzar sulle mura di quella inespugna-bil città le bandiere di Costanzo. La vigilanza di Giulia-no vide nel tempo stesso e l'estensione del male, e la ne-cessità d'applicarvi un immediato rimedio. Giovino dun-que ebbe l'ordine di condurre indietro una partedell'esercito in Italia, e speditamente fu posto l'assedioad Aquileia e proseguito con vigore. Ma i legionari, chepareva avessero scosso il giogo della disciplina, regola-rono la difesa della piazza con perseveranza e sapere;invitarono il rimanente dell'Italia ad imitar l'esempio delcoraggio e della fedeltà loro; e minacciarono d'impedirela ritirata di Giuliano, se mai si fosse trovato nella ne-cessità di cedere al numero superiore delle armate di'Oriente352.

Ma l'umanità di Giuliano fu liberata dalla crudele al-ternativa, di cui esso pateticamente dolevasi, di distrug-

352Ammiano XXI. 7. 11. 12. Par ch'ei descriva con fatica superflua le opera-zioni dell'assedio d'Aquileia, che in quest'occasione mantenne la sua famad'insuperabile. Gregorio Nazianzeno (Orat. III. p.68.) attribuisce quest'acci-dentale rivolta all'abilità di Costanzo, di cui annunzia la sicura vittoria conqualche apparenza di verità. Constantio quem credebat procul dubio fore vic-torem: nemo enim omnium tunc ab hac constanti sententia discrepebat. Am-miano XXI. 7.

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ger cioè, o d'esser distrutto; e l'opportuna morte di Co-stanzo risparmiò all'Impero le calamità della guerra civi-le. L'approssimarsi dell'inverno non potè ritenere il Mo-narca in Antiochia; ed i suoi favoriti non ardironod'opporsi al suo desiderio di vendetta. Una lenta febbre,che forse fu cagionata dall'agitazione del suo spirito,s'accrebbe per le fatiche del viaggio; e Costanzo fu ob-bligato a fermarsi nella piccola Città di Mopsucrene, do-dici miglia sopra Tarso, dove spirò dopo una breve ma-lattia nel quarantesimo quinto anno della sua età, e nelventesimo quarto anno del regno353. Si è pienamentespiegato nella precedente narrazione de' fatti, sì civiliche ecclesiastici, il suo genuino carattere, ch'era compo-sto d'orgoglio e di debolezza, di superstizione e di cru-deltà. Il lungo abuso che fece del potere, lo rendè un og-getto considerabile agli occhi de' suoi contemporanei;ma siccome il solo merito personale può meritar la noti-zia della posterità, così l'ultimo tra' figli di Costantinopuò licenziarsi dal Mondo con l'osservazione ch'egliereditò i difetti senza ereditare l'abilità del padre. Sidice, che Costanzo, avanti di spirare, nominasse per suosuccessore Giuliano; nè sembra impossibile, che l'ansio-sa di lui premura per la sorte di una giovine e tenera mo-

353Ammiano rappresenta fedelmente la morte ed il carattere d'esso (XXI.14. 156.) ed abbiam motivo di non ammettere, e di detestar la stolta calunnia diGregorio (Orat. III. p. 68.) che accusa Giuliano d'aver macchinata la morte delsuo benefattore. Il privato pentimento dell'Imperatore d'aver risparmiato, e pro-mosso Giuliano (p. 69. ed Orat. XXI. p. 389.) in se stesso non è improbabile,nè incompatibile col pubblico suo verbal Testamento, che potè negli ultimimomenti della sua vita esser dettato da considerazioni prudenziali.

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ger cioè, o d'esser distrutto; e l'opportuna morte di Co-stanzo risparmiò all'Impero le calamità della guerra civi-le. L'approssimarsi dell'inverno non potè ritenere il Mo-narca in Antiochia; ed i suoi favoriti non ardironod'opporsi al suo desiderio di vendetta. Una lenta febbre,che forse fu cagionata dall'agitazione del suo spirito,s'accrebbe per le fatiche del viaggio; e Costanzo fu ob-bligato a fermarsi nella piccola Città di Mopsucrene, do-dici miglia sopra Tarso, dove spirò dopo una breve ma-lattia nel quarantesimo quinto anno della sua età, e nelventesimo quarto anno del regno353. Si è pienamentespiegato nella precedente narrazione de' fatti, sì civiliche ecclesiastici, il suo genuino carattere, ch'era compo-sto d'orgoglio e di debolezza, di superstizione e di cru-deltà. Il lungo abuso che fece del potere, lo rendè un og-getto considerabile agli occhi de' suoi contemporanei;ma siccome il solo merito personale può meritar la noti-zia della posterità, così l'ultimo tra' figli di Costantinopuò licenziarsi dal Mondo con l'osservazione ch'egliereditò i difetti senza ereditare l'abilità del padre. Sidice, che Costanzo, avanti di spirare, nominasse per suosuccessore Giuliano; nè sembra impossibile, che l'ansio-sa di lui premura per la sorte di una giovine e tenera mo-

353Ammiano rappresenta fedelmente la morte ed il carattere d'esso (XXI.14. 156.) ed abbiam motivo di non ammettere, e di detestar la stolta calunnia diGregorio (Orat. III. p. 68.) che accusa Giuliano d'aver macchinata la morte delsuo benefattore. Il privato pentimento dell'Imperatore d'aver risparmiato, e pro-mosso Giuliano (p. 69. ed Orat. XXI. p. 389.) in se stesso non è improbabile,nè incompatibile col pubblico suo verbal Testamento, che potè negli ultimimomenti della sua vita esser dettato da considerazioni prudenziali.

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glie ch'ei lasciava gravida, potesse prevalere negli ultimisuoi momenti alle più aspre passioni della vendetta, edell'odio. Eusebio ed i suoi rei compagni fecero un vanotentativo di prolungare il regno degli Eunuchi, mediantel'elezione d'un altro Imperatore, ma si rigettaron con di-sdegno i loro intrighi da un esercito, che allora abborri-va il pensiero della discordia civile; e furono subito spe-diti due uffiziali d'alto grado ad assicurar Giuliano, cheogni spada nell'impero si sarebbe adoprata in servigio dilui. Furono prevenuti da questo fortunato accidente i mi-litari disegni di quel Principe, che avea formato tre dif-ferenti attacchi contro la Tracia, e senza spargere il san-gue de' suoi concittadini, egli evitò i pericoli d'un dub-bioso combattimento, ed acquistò i vantaggi d'una com-pita vittoria. Impaziente di visitare il luogo della sua na-scita, e la nuova Capitale dell'Impero, s'avanzò da Nais-so per le montagne dell'Emo, e le città della Tracia.Quando giunse in Eraclea, alla distanza di sessanta mi-glia, tutta Costantinopoli uscì ad incontrarlo; ed eglifece il trionfale suo ingresso fra le rispettose acclama-zioni de' soldati, del popolo, e del Senato. Una moltitu-dine innumerabile s'affollò intorno ad esso con ardenterispetto; e forse restò sorpresa quando vide la piccolastatura, ed il semplice abito d'un Eroe, che nella sua ine-sperta gioventù aveva vinto i Barbari della Germania, eallora aveva traversato con un prospero corso tutto ilcontinente d'Europa, da' lidi del mare Atlantico fino a

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glie ch'ei lasciava gravida, potesse prevalere negli ultimisuoi momenti alle più aspre passioni della vendetta, edell'odio. Eusebio ed i suoi rei compagni fecero un vanotentativo di prolungare il regno degli Eunuchi, mediantel'elezione d'un altro Imperatore, ma si rigettaron con di-sdegno i loro intrighi da un esercito, che allora abborri-va il pensiero della discordia civile; e furono subito spe-diti due uffiziali d'alto grado ad assicurar Giuliano, cheogni spada nell'impero si sarebbe adoprata in servigio dilui. Furono prevenuti da questo fortunato accidente i mi-litari disegni di quel Principe, che avea formato tre dif-ferenti attacchi contro la Tracia, e senza spargere il san-gue de' suoi concittadini, egli evitò i pericoli d'un dub-bioso combattimento, ed acquistò i vantaggi d'una com-pita vittoria. Impaziente di visitare il luogo della sua na-scita, e la nuova Capitale dell'Impero, s'avanzò da Nais-so per le montagne dell'Emo, e le città della Tracia.Quando giunse in Eraclea, alla distanza di sessanta mi-glia, tutta Costantinopoli uscì ad incontrarlo; ed eglifece il trionfale suo ingresso fra le rispettose acclama-zioni de' soldati, del popolo, e del Senato. Una moltitu-dine innumerabile s'affollò intorno ad esso con ardenterispetto; e forse restò sorpresa quando vide la piccolastatura, ed il semplice abito d'un Eroe, che nella sua ine-sperta gioventù aveva vinto i Barbari della Germania, eallora aveva traversato con un prospero corso tutto ilcontinente d'Europa, da' lidi del mare Atlantico fino a

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quelli del Bosforo354. Pochi giorni dopo, allorchè fusbarcato nel porto il corpo del defunto Imperatore, i sud-diti di Giuliano applaudirono alla reale, o affettata uma-nità del loro Sovrano. A piedi, senza diadema, e vestitoa lutto, egli accompagnò il funerale fino alla Chiesa de'santi Apostoli, dove fu depositato il cadavere; e se pos-sono interpretarsi questi segni di rispetto, come un tribu-to fatto in riguardo di se stesso alla nascita ed alla digni-tà dell'Imperial suo cugino, le lacrime di Giuliano prote-starono al Mondo ch'egli aveva dimenticato le ingiurie,e si rammentava solo delle obbligazioni, che professavaa Costanzo355. Appena le legioni d'Aquileia furono assi-curate della morte dell'Imperatore, aprirono le porte del-la città, e, col sacrifizio de' loro colpevoli Capi, ottenne-ro un facil perdono dalla prudenza, o dalla mansuetudi-ne di Giuliano, che nel trentesimo secondo anno dellasua età acquistò l'intero possesso del Romano Impero356.

La filosofia aveva insegnato a Giuliano a paragonarefra loro i vantaggi dell'azione e del ritiro; ma l'elevatez-

354Nel descrivere il trionfo di Giuliano, Ammiano (XXI, 1, 2.) assume il su-blime accento di oratore, o di poeta; mentre Libanio (Orat. parent. c. 56. p.281) cade nella grave semplicità d'un Istorico.

355I funerali di Costanzo vengon descritti da Ammiano (XXI 16), da Grego-rio Nazianzeno (Or. VI. p. 119), da Mammertino (in Paneg. vet. XI. 27), da Li-banio (Orat. parent. c. 56. p. 283), ed a Filostorgio (l. VI. c. 6. con le dissertaz.del Gottofredo p. 265). Questi Scrittori, e quelli, che gli han seguitati, secondola propria professione di Pagani, di Cattolici, e di Arriani, osservano l'Impera-tore sì vivo che morto con occhi assai differenti.

356Non sono ben determinati l'anno ed il giorno della nascita di Giuliano. Ilgiorno è probabilmente il sei di Novembre, e l'anno dev'essere il 331, o il 332.Tillemont. Hist. des Emper. T. IV. p. 693. Ducange Fam. Byzant. p. 50. Io hopreferito la data più antica.

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quelli del Bosforo354. Pochi giorni dopo, allorchè fusbarcato nel porto il corpo del defunto Imperatore, i sud-diti di Giuliano applaudirono alla reale, o affettata uma-nità del loro Sovrano. A piedi, senza diadema, e vestitoa lutto, egli accompagnò il funerale fino alla Chiesa de'santi Apostoli, dove fu depositato il cadavere; e se pos-sono interpretarsi questi segni di rispetto, come un tribu-to fatto in riguardo di se stesso alla nascita ed alla digni-tà dell'Imperial suo cugino, le lacrime di Giuliano prote-starono al Mondo ch'egli aveva dimenticato le ingiurie,e si rammentava solo delle obbligazioni, che professavaa Costanzo355. Appena le legioni d'Aquileia furono assi-curate della morte dell'Imperatore, aprirono le porte del-la città, e, col sacrifizio de' loro colpevoli Capi, ottenne-ro un facil perdono dalla prudenza, o dalla mansuetudi-ne di Giuliano, che nel trentesimo secondo anno dellasua età acquistò l'intero possesso del Romano Impero356.

La filosofia aveva insegnato a Giuliano a paragonarefra loro i vantaggi dell'azione e del ritiro; ma l'elevatez-

354Nel descrivere il trionfo di Giuliano, Ammiano (XXI, 1, 2.) assume il su-blime accento di oratore, o di poeta; mentre Libanio (Orat. parent. c. 56. p.281) cade nella grave semplicità d'un Istorico.

355I funerali di Costanzo vengon descritti da Ammiano (XXI 16), da Grego-rio Nazianzeno (Or. VI. p. 119), da Mammertino (in Paneg. vet. XI. 27), da Li-banio (Orat. parent. c. 56. p. 283), ed a Filostorgio (l. VI. c. 6. con le dissertaz.del Gottofredo p. 265). Questi Scrittori, e quelli, che gli han seguitati, secondola propria professione di Pagani, di Cattolici, e di Arriani, osservano l'Impera-tore sì vivo che morto con occhi assai differenti.

356Non sono ben determinati l'anno ed il giorno della nascita di Giuliano. Ilgiorno è probabilmente il sei di Novembre, e l'anno dev'essere il 331, o il 332.Tillemont. Hist. des Emper. T. IV. p. 693. Ducange Fam. Byzant. p. 50. Io hopreferito la data più antica.

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za della sua nascita, e gli accidenti della sua vita non glilasciarono mai la libertà della scelta. Può essere ch'eglisinceramente avrebbe preferito i boschi dell'Accademia,o la società d'Atene; ma fu costretto a principio dalla vo-lontà, ed in seguito dall'ingiustizia di Costanzo ad espor-re la sua persona e la sua fama a' pericoli dell'Imperialegrandezza, ed a farsi mallevadore al Mondo ed alla po-sterità della felicità di milioni di uomini357. Giuliano ri-fletteva con terrore a quell'osservazione del suo maestroPlatone358 che il governo de' nostri armenti e de' nostrigreggi si commette ad enti d'una specie superiore adessi; e che la condotta delle nazioni meriterebbe, e ri-chiederebbe le celesti facoltà degli Dei, o de' Genj. Daquesto principio a ragione concludeva, che l'uomo ilqual pretende di regnare, aspirar dovrebbe alla perfezio-ne della natura divina; che dovrebbe purgare il suo spiri-to da ogni parte mortale e terrestre, estinguere i suoi ap-petiti, illuminar l'intelletto, regolar le passioni, e soggio-gare la selvaggia fiera, che, secondo la viva metaforad'Aristotile359, rare volte manca di salire il trono d'un de-

357Giuliano medesimo p. 253-259. ha espresso queste idee filosofiche conmolta eloquenza, e con qualche affettazione in una lettera molto elaborata aTemistio. L'Ab. della Bleterie (Tom. II. p. 146-183.) che ne ha fatta un'eloquen-te traduzione, è inclinato a credere, che questi fosse il celebre Temistio, di cuituttavia sussistono le orazioni.

358Julian. ad Temist. p. 258. Il Petavio not. p. 95. osserva, che questo passoè preso dal libro quarto De Legibus; ma o Giuliano citava a mente, o i suoimanoscritti eran diversi da' nostri. Senofonte incomincia la Ciropedia con unariflessione simile.

359Ο όε αγθρωπον κελέυων αρχειν προςιθησι. Καί θηριοι (chi esorta l'uomoa comandare l'insuperbisce, e lo muta in fiera.) Arist. ap. Julian. p. 261. IlMS. di Vossio, non contento d'una sola bestia, somministra la più forte lezione

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za della sua nascita, e gli accidenti della sua vita non glilasciarono mai la libertà della scelta. Può essere ch'eglisinceramente avrebbe preferito i boschi dell'Accademia,o la società d'Atene; ma fu costretto a principio dalla vo-lontà, ed in seguito dall'ingiustizia di Costanzo ad espor-re la sua persona e la sua fama a' pericoli dell'Imperialegrandezza, ed a farsi mallevadore al Mondo ed alla po-sterità della felicità di milioni di uomini357. Giuliano ri-fletteva con terrore a quell'osservazione del suo maestroPlatone358 che il governo de' nostri armenti e de' nostrigreggi si commette ad enti d'una specie superiore adessi; e che la condotta delle nazioni meriterebbe, e ri-chiederebbe le celesti facoltà degli Dei, o de' Genj. Daquesto principio a ragione concludeva, che l'uomo ilqual pretende di regnare, aspirar dovrebbe alla perfezio-ne della natura divina; che dovrebbe purgare il suo spiri-to da ogni parte mortale e terrestre, estinguere i suoi ap-petiti, illuminar l'intelletto, regolar le passioni, e soggio-gare la selvaggia fiera, che, secondo la viva metaforad'Aristotile359, rare volte manca di salire il trono d'un de-

357Giuliano medesimo p. 253-259. ha espresso queste idee filosofiche conmolta eloquenza, e con qualche affettazione in una lettera molto elaborata aTemistio. L'Ab. della Bleterie (Tom. II. p. 146-183.) che ne ha fatta un'eloquen-te traduzione, è inclinato a credere, che questi fosse il celebre Temistio, di cuituttavia sussistono le orazioni.

358Julian. ad Temist. p. 258. Il Petavio not. p. 95. osserva, che questo passoè preso dal libro quarto De Legibus; ma o Giuliano citava a mente, o i suoimanoscritti eran diversi da' nostri. Senofonte incomincia la Ciropedia con unariflessione simile.

359Ο όε αγθρωπον κελέυων αρχειν προςιθησι. Καί θηριοι (chi esorta l'uomoa comandare l'insuperbisce, e lo muta in fiera.) Arist. ap. Julian. p. 261. IlMS. di Vossio, non contento d'una sola bestia, somministra la più forte lezione

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spota. Il trono di Giuliano, che dalla morte di Costanzofu stabilito sopra una indipendente base, era la sede del-la ragione, della virtù, e forse della vanità. Ei disprezza-va gli onori, rinunziava a' piaceri, ed eseguiva con assi-dua diligenza i doveri dell'alto suo posto; e pochi vi sa-rebbero stati tra' suoi sudditi che avessero acconsentitoad alleggerirlo del peso del diadema, se fossero stati co-stretti a sottoporre il lor tempo e le loro azioni a quellerigorose leggi, che il filosofico Imperatore imponeva ase stesso. Uno de' suoi più intimi amici360, che avevaspesso partecipato della frugale semplicità di sua mensaha osservato che il suo parco e leggiero cibo (ch'era perordinario di vegetabili) lasciavagli lo spirito e il corposempre libero e attivo per eseguire le varie ed importantiincumbenze d'Autore, di Pontefice, di Magistrato, diGenerale, e di Principe. In uno stesso giorno davaudienza a più Ambasciatori, e scriveva o dettava un grannumero di lettere a' Generali, ai Magistrati civili, a' suoiprivati amici, ed alla diverse città de' suoi Stati. Ascolta-va le suppliche che s'erano ricevute, considerava il sog-getto della domanda, e indicava le sue intenzioni più ra-pidamente di quel che se ne potesse prender memoriadalla diligenza de' suoi segretari. Godeva tal flessibilitànel pensare, e tal fermezza d'attenzione, che impiegarpoteva la mano a scrivere, l'orecchio ad udire, e la vocedi θηπια fiere, che può garantirsi dall'esperienza del dispotismo.

360Libanio Orat. parent. c. 84, 85. p. 310, 311-312 ci ha dato quest'interes-sante ragguaglio della vita privata di Giuliano. Egli stesso in Misopogon p.350. fa menzione del suo cibo vegetabile, e biasima il grossolano e sensualeappetito del popolo d'Antiochia.

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spota. Il trono di Giuliano, che dalla morte di Costanzofu stabilito sopra una indipendente base, era la sede del-la ragione, della virtù, e forse della vanità. Ei disprezza-va gli onori, rinunziava a' piaceri, ed eseguiva con assi-dua diligenza i doveri dell'alto suo posto; e pochi vi sa-rebbero stati tra' suoi sudditi che avessero acconsentitoad alleggerirlo del peso del diadema, se fossero stati co-stretti a sottoporre il lor tempo e le loro azioni a quellerigorose leggi, che il filosofico Imperatore imponeva ase stesso. Uno de' suoi più intimi amici360, che avevaspesso partecipato della frugale semplicità di sua mensaha osservato che il suo parco e leggiero cibo (ch'era perordinario di vegetabili) lasciavagli lo spirito e il corposempre libero e attivo per eseguire le varie ed importantiincumbenze d'Autore, di Pontefice, di Magistrato, diGenerale, e di Principe. In uno stesso giorno davaudienza a più Ambasciatori, e scriveva o dettava un grannumero di lettere a' Generali, ai Magistrati civili, a' suoiprivati amici, ed alla diverse città de' suoi Stati. Ascolta-va le suppliche che s'erano ricevute, considerava il sog-getto della domanda, e indicava le sue intenzioni più ra-pidamente di quel che se ne potesse prender memoriadalla diligenza de' suoi segretari. Godeva tal flessibilitànel pensare, e tal fermezza d'attenzione, che impiegarpoteva la mano a scrivere, l'orecchio ad udire, e la vocedi θηπια fiere, che può garantirsi dall'esperienza del dispotismo.

360Libanio Orat. parent. c. 84, 85. p. 310, 311-312 ci ha dato quest'interes-sante ragguaglio della vita privata di Giuliano. Egli stesso in Misopogon p.350. fa menzione del suo cibo vegetabile, e biasima il grossolano e sensualeappetito del popolo d'Antiochia.

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a dettare; e seguitare nel tempo stesso tre differenti seried'idee, senza esitazione e senz'errore. Mentre i suoi mi-nistri dormivano, il Principe agilmente passava da un la-voro all'altro; e dopo un frettoloso pranzo, ritiravasi nel-la sua libreria, finchè i pubblici affari, che aveva fissatiper la sera, lo ritraessero dal proseguire i suoi studi. Lacena dell'Imperatore era sempre di minor sostanza delprimo cibo; il suo sonno non veniva mai ottenebrato da'fumi dell'indigestione; ed eccettuato il breve intervallod'un matrimonio, che fu effetto della politica piuttostoche dell'amore, il casto Giuliano non divise mai il pro-prio letto con femminil compagnia361. Egli veniva prestosvegliato dall'entrar che facevano i nuovi segretari, cheavevan dormito il giorno avanti, ed i suoi servi eran ob-bligati a vegliare a vicenda, mentre l'instancabile padro-ne appena lor permetteva altro sollievo che quello dicangiare le occupazioni. Il zio di Giuliano, il fratello, edil cugino, suoi antecessori, s'abbandonavano al puerilelor gusto per li giuochi del Circo sotto lo specioso prete-sto di compiacere alle inclinazioni del Popolo; e spessorestavano la maggior parte del giorno come oziosi spet-

361Lectulus... Vestalium toris purior. È la lode, che Mammertino (Paneg.vet. XI. 13.) indirizza a Giuliano medesimo. Libanio afferma in un semplice eperentorio linguaggio che Giuliano non ebbe mai commercio con donne, primadel suo matrimonio, o dopo la morte della sua moglie (Orat. parent. c. 88. p.323). La castità di Giuliano vien confermata dall'imparzial testimonianzad'Ammiano (XXV. 4.) e dal parzial silenzio de' Cristiani. Pure Giuliano ironica-mente insiste sul rimprovero del Popolo d'Antiochia, che esso quasi sempre ωςεπιπαν (in Misopogon p. 345) stava solo. L'Ab. della Bleterie spiega questa so-spettosa espressione (Hist. de Jovien. Tom. II. p. 103-109.) con candore ed in-genuità.

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a dettare; e seguitare nel tempo stesso tre differenti seried'idee, senza esitazione e senz'errore. Mentre i suoi mi-nistri dormivano, il Principe agilmente passava da un la-voro all'altro; e dopo un frettoloso pranzo, ritiravasi nel-la sua libreria, finchè i pubblici affari, che aveva fissatiper la sera, lo ritraessero dal proseguire i suoi studi. Lacena dell'Imperatore era sempre di minor sostanza delprimo cibo; il suo sonno non veniva mai ottenebrato da'fumi dell'indigestione; ed eccettuato il breve intervallod'un matrimonio, che fu effetto della politica piuttostoche dell'amore, il casto Giuliano non divise mai il pro-prio letto con femminil compagnia361. Egli veniva prestosvegliato dall'entrar che facevano i nuovi segretari, cheavevan dormito il giorno avanti, ed i suoi servi eran ob-bligati a vegliare a vicenda, mentre l'instancabile padro-ne appena lor permetteva altro sollievo che quello dicangiare le occupazioni. Il zio di Giuliano, il fratello, edil cugino, suoi antecessori, s'abbandonavano al puerilelor gusto per li giuochi del Circo sotto lo specioso prete-sto di compiacere alle inclinazioni del Popolo; e spessorestavano la maggior parte del giorno come oziosi spet-

361Lectulus... Vestalium toris purior. È la lode, che Mammertino (Paneg.vet. XI. 13.) indirizza a Giuliano medesimo. Libanio afferma in un semplice eperentorio linguaggio che Giuliano non ebbe mai commercio con donne, primadel suo matrimonio, o dopo la morte della sua moglie (Orat. parent. c. 88. p.323). La castità di Giuliano vien confermata dall'imparzial testimonianzad'Ammiano (XXV. 4.) e dal parzial silenzio de' Cristiani. Pure Giuliano ironica-mente insiste sul rimprovero del Popolo d'Antiochia, che esso quasi sempre ωςεπιπαν (in Misopogon p. 345) stava solo. L'Ab. della Bleterie spiega questa so-spettosa espressione (Hist. de Jovien. Tom. II. p. 103-109.) con candore ed in-genuità.

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tatori, e come facienti una parte dello splendido spetta-colo, fintantochè non fosse compito l'ordinario giro diventiquattro corse362. Nelle feste solenni, Giuliano, chesentiva e confessava un insolito disamore per questi fri-voli divertimenti, condiscendeva a comparire nel Circo;e dopo aver gettato un non curante sguardo su cinque osei corse, tosto si ritirava coll'impazienza d'un filosofo,che risguardava come perduto ogni momento, che nonfosse consacrato al vantaggio del Pubblico, od al mi-glioramento del suo spirito363. Mediante quest'avarizia ditempo, sembra che prolungasse la breve durata del suoRegno; e se le date fossero stabilite con minor certezza,ricuseremmo di credere, che non passassero più di sedi-ci mesi fra la morte di Costanzo, e la partenza del suosuccessore per la guerra Persiana. La diligenza dell'Isto-rico ha potuto sol conservarci le azioni di Giuliano; maquella de' suoi voluminosi scritti, che tuttora sussiste, èun monumento dell'applicazione ugualmente che del ge-nio dell'Imperatore. Il Misopogon, i Cesari, varie dellesue orazioni, e la sua elaborata opera contro la religione

362Vedi Salmas. ad Sueton. in Claud. 21. Vi fu aggiunta una ventesimaquinta corsa, o missus, per compire il numero di cento cocchi, quattro de' quali,distinti da quattro colori, correvano ad ogni corsa.

Centum quadrijugos agitabo ad flumina cursus.Sembra che corressero cinque o sette volte intorno alla meta. Svet. in Do-

mit. c. 4. E secondo la misura del Circo Massimo a Roma, dell'Ippodromo aCostantinopoli ec. poteva essere un corso di circa quattro miglia.

363Juliano in Misopogon p. 340. Giulio Cesare aveva offeso il Popolo Ro-mano leggendo le lettere nel tempo della corsa. Augusto secondò il genio diesso ed il proprio con una costante attenzione all'importante affare del Circo,per cui dichiarava d'avere la più forte inclinazione; vet. in August. c. 45.

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tatori, e come facienti una parte dello splendido spetta-colo, fintantochè non fosse compito l'ordinario giro diventiquattro corse362. Nelle feste solenni, Giuliano, chesentiva e confessava un insolito disamore per questi fri-voli divertimenti, condiscendeva a comparire nel Circo;e dopo aver gettato un non curante sguardo su cinque osei corse, tosto si ritirava coll'impazienza d'un filosofo,che risguardava come perduto ogni momento, che nonfosse consacrato al vantaggio del Pubblico, od al mi-glioramento del suo spirito363. Mediante quest'avarizia ditempo, sembra che prolungasse la breve durata del suoRegno; e se le date fossero stabilite con minor certezza,ricuseremmo di credere, che non passassero più di sedi-ci mesi fra la morte di Costanzo, e la partenza del suosuccessore per la guerra Persiana. La diligenza dell'Isto-rico ha potuto sol conservarci le azioni di Giuliano; maquella de' suoi voluminosi scritti, che tuttora sussiste, èun monumento dell'applicazione ugualmente che del ge-nio dell'Imperatore. Il Misopogon, i Cesari, varie dellesue orazioni, e la sua elaborata opera contro la religione

362Vedi Salmas. ad Sueton. in Claud. 21. Vi fu aggiunta una ventesimaquinta corsa, o missus, per compire il numero di cento cocchi, quattro de' quali,distinti da quattro colori, correvano ad ogni corsa.

Centum quadrijugos agitabo ad flumina cursus.Sembra che corressero cinque o sette volte intorno alla meta. Svet. in Do-

mit. c. 4. E secondo la misura del Circo Massimo a Roma, dell'Ippodromo aCostantinopoli ec. poteva essere un corso di circa quattro miglia.

363Juliano in Misopogon p. 340. Giulio Cesare aveva offeso il Popolo Ro-mano leggendo le lettere nel tempo della corsa. Augusto secondò il genio diesso ed il proprio con una costante attenzione all'importante affare del Circo,per cui dichiarava d'avere la più forte inclinazione; vet. in August. c. 45.

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Cristiana furon composti nelle lunghe notti dei due in-verni che passò, il primo a Costantinopoli, ed il secondoin Antiochia.

[A. D. 361-363]La riforma della Corte Imperiale fu uno de' primi, e

più necessari atti del governo di Giuliano364. Appena en-trato nel Palazzo di Costantinopoli, ebbe occasione diservirsi d'un barbiere. Gli si presentò subito un uffiziale,magnificamente vestito; «Ho bisogno d'un barbiere(esclamò il Principe con affettata sorpresa) non d'un ri-cevitor generale di Finanze365». Dimandò a quest'uomoquanto gli rendesse il suo impiego; ed intese, che oltreun grosso salario, ed alcuni valutabili incerti, godevauna quotidiana prestazione per venti servi, ed altrettanticavalli. Eran distribuiti, ne' varj uffizj di lusso, millebarbieri, mille coppieri, mille cuochi; e il numero degliEunuchi non poteva paragonarsi che agl'insetti d'ungiorno d'estate366. Il Monarca che abbandonava a' suoi

364La riforma del Palazzo è descritta da Ammiano (XXII. 4), da Libanio(Orat. parent. c. 62. p. 288), da Mammertino (in paneg. Vet. 11.), da Socrate (l.III. c. 1), e da Zonara (Tom. II. l. 13, p. 24).

365Ego non Rationalem jussi, sed tonsorem accivi. Zonara usa l'immaginemeno naturale d'un senatore. Pure un uffizial di finanze, saziato dalle ricchez-ze, desiderar poteva ed ottener gli onori del Senato.

366Μαγειρους µεν χιλιους, καρεας δε ουκ ελαττους, οινοχους δε πλειους,σµηνη τραπεήοποιων, ευνουχους υπου, τας παρα τοις ποιµεοι εν ηρι Millecuochi, non minor numero di tonsori, maggiore di coppieri, sciami di serventialle tavole, eunuchi più delle mosche intorno a' greggi nell'estate. Queste sonle parole originali di Libanio, che ho fedelmente citate affinchè non si sospet-tasse, che io avessi amplificato gli abusi della casa Reale.

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Cristiana furon composti nelle lunghe notti dei due in-verni che passò, il primo a Costantinopoli, ed il secondoin Antiochia.

[A. D. 361-363]La riforma della Corte Imperiale fu uno de' primi, e

più necessari atti del governo di Giuliano364. Appena en-trato nel Palazzo di Costantinopoli, ebbe occasione diservirsi d'un barbiere. Gli si presentò subito un uffiziale,magnificamente vestito; «Ho bisogno d'un barbiere(esclamò il Principe con affettata sorpresa) non d'un ri-cevitor generale di Finanze365». Dimandò a quest'uomoquanto gli rendesse il suo impiego; ed intese, che oltreun grosso salario, ed alcuni valutabili incerti, godevauna quotidiana prestazione per venti servi, ed altrettanticavalli. Eran distribuiti, ne' varj uffizj di lusso, millebarbieri, mille coppieri, mille cuochi; e il numero degliEunuchi non poteva paragonarsi che agl'insetti d'ungiorno d'estate366. Il Monarca che abbandonava a' suoi

364La riforma del Palazzo è descritta da Ammiano (XXII. 4), da Libanio(Orat. parent. c. 62. p. 288), da Mammertino (in paneg. Vet. 11.), da Socrate (l.III. c. 1), e da Zonara (Tom. II. l. 13, p. 24).

365Ego non Rationalem jussi, sed tonsorem accivi. Zonara usa l'immaginemeno naturale d'un senatore. Pure un uffizial di finanze, saziato dalle ricchez-ze, desiderar poteva ed ottener gli onori del Senato.

366Μαγειρους µεν χιλιους, καρεας δε ουκ ελαττους, οινοχους δε πλειους,σµηνη τραπεήοποιων, ευνουχους υπου, τας παρα τοις ποιµεοι εν ηρι Millecuochi, non minor numero di tonsori, maggiore di coppieri, sciami di serventialle tavole, eunuchi più delle mosche intorno a' greggi nell'estate. Queste sonle parole originali di Libanio, che ho fedelmente citate affinchè non si sospet-tasse, che io avessi amplificato gli abusi della casa Reale.

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sudditi la superiorità nel merito, e nella virtù, si distin-gueva mediante l'oppressiva magnificenza degli abiti,della tavola, degli edifizi, e del suo seguito. I superbipalazzi, eretti da Costantino e da' suoi figli, eran ornatidi molti marmi di varj colori, e di finimenti d'oro mas-siccio. Si procuravano i cibi più squisiti per soddisfarela loro vanità piuttosto che il gusto: uccelli delle più re-mote regioni, pesci de' mari più distanti, frutti fuori del-le stagioni lor naturali, rose d'inverno, e nevi d'estate367.La spesa della domestica turba del palazzo sorpassavaquella delle legioni; eppure la minima parte di tal di-spendiosa moltitudine serviva all'uso, o allo splendoredel Trono. Veniva infamato il Monarca, ed offeso il po-polo dall'instituzione e dalla vendita d'un numero infini-to di oscuri impieghi, ed anche di semplice titolo, ed ipiù indegni tra gli uomini potevan acquistare il privile-gio d'esser mantenuti, senza bisogno di lavorare, dallepubbliche rendite. Le spoglie d'una enorme famiglia,l'ampiezza delle mancie e degl'incerti, che ben presto sipretendevano come legittimamente dovuti; e i donich'estorcevan da quelli, che ne temevano l'inimicizia, ene sollecitavano il favore, facean presto arricchire questiorgogliosi servi. Essi abusavano della presente fortuna,senza riflettere alla passata o futura lor condizione; e larapace venalità di costoro non poteva uguagliarsi che

367L'espressioni di Mammertino son forti e vivaci. Quin etiam prandiorumet coenarum laboratas magnitudines Romanus Populus sensit; cum quaesitis-simae dapes non gustui sed difficultatibus aestimarentur; miracula avium, lon-ginquae maris pisces; alieni temporis poma, aestive nives, hybernae rosae.

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sudditi la superiorità nel merito, e nella virtù, si distin-gueva mediante l'oppressiva magnificenza degli abiti,della tavola, degli edifizi, e del suo seguito. I superbipalazzi, eretti da Costantino e da' suoi figli, eran ornatidi molti marmi di varj colori, e di finimenti d'oro mas-siccio. Si procuravano i cibi più squisiti per soddisfarela loro vanità piuttosto che il gusto: uccelli delle più re-mote regioni, pesci de' mari più distanti, frutti fuori del-le stagioni lor naturali, rose d'inverno, e nevi d'estate367.La spesa della domestica turba del palazzo sorpassavaquella delle legioni; eppure la minima parte di tal di-spendiosa moltitudine serviva all'uso, o allo splendoredel Trono. Veniva infamato il Monarca, ed offeso il po-polo dall'instituzione e dalla vendita d'un numero infini-to di oscuri impieghi, ed anche di semplice titolo, ed ipiù indegni tra gli uomini potevan acquistare il privile-gio d'esser mantenuti, senza bisogno di lavorare, dallepubbliche rendite. Le spoglie d'una enorme famiglia,l'ampiezza delle mancie e degl'incerti, che ben presto sipretendevano come legittimamente dovuti; e i donich'estorcevan da quelli, che ne temevano l'inimicizia, ene sollecitavano il favore, facean presto arricchire questiorgogliosi servi. Essi abusavano della presente fortuna,senza riflettere alla passata o futura lor condizione; e larapace venalità di costoro non poteva uguagliarsi che

367L'espressioni di Mammertino son forti e vivaci. Quin etiam prandiorumet coenarum laboratas magnitudines Romanus Populus sensit; cum quaesitis-simae dapes non gustui sed difficultatibus aestimarentur; miracula avium, lon-ginquae maris pisces; alieni temporis poma, aestive nives, hybernae rosae.

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dalla stravaganza delle loro dissipazioni. Le vesti di setache usavano, erano ricamate d'oro, le mense loro servitecon delicatezza e con profusione; le case che fabbrica-vano per loro uso, avrebber occupato l'intiero fondo d'unantico Console; ed i più onorevoli Cittadini eran costret-ti a smontare da' loro cavalli e rispettosamente salutareun Eunuco, che avessero incontrato nella pubblica stra-da. Il lusso del palazzo eccitò il disprezzo e lo sdegno diGiuliano, che ordinariamente dormiva sulla terra, checedeva con ripugnanza a' bisogni indispensabili dellanatura, e che faceva consister la sua vanità non già inemulare, ma in disprezzar la pompa reale. Mediante latotal estirpazione d'un male, che veniva magnificato an-che oltre i suoi veri confini, egli era impaziente di solle-vare le angustie, e di quietare i romori del popolo, chetollera con minor dispiacere il peso delle tasse, quando èconvinto che i frutti della propria industria s'impieganoin servizio dello Stato. Ma nell'esecuzione di quest'ope-ra salutare, viene accusato Giuliano d'aver procedutocon troppa fretta, e con inconsiderato rigore. Con unsolo editto ridusse il palazzo di Costantinopoli ad un im-menso deserto, ed ignominiosamente licenziò l'intierotreno degli schiavi, e dei dipendenti368, senza fare alcunagiusta, o almeno benefica eccezione in favor dell'età, de'servigi, della povertà, e de' fedeli domestici della Fami-

368Nondimeno Giuliano medesimo fu accusato di aver concesso delle intierecittà agli Eunuchi (Orat. VII. contr. Policlet. pag. 117-127). Libanio si contentad'una fredda ma positiva negazione del fatto, che realmente sembra piuttostoappartenere a Costanzo. Tale accusa però si può riferire a qualche incognitacircostanza.

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dalla stravaganza delle loro dissipazioni. Le vesti di setache usavano, erano ricamate d'oro, le mense loro servitecon delicatezza e con profusione; le case che fabbrica-vano per loro uso, avrebber occupato l'intiero fondo d'unantico Console; ed i più onorevoli Cittadini eran costret-ti a smontare da' loro cavalli e rispettosamente salutareun Eunuco, che avessero incontrato nella pubblica stra-da. Il lusso del palazzo eccitò il disprezzo e lo sdegno diGiuliano, che ordinariamente dormiva sulla terra, checedeva con ripugnanza a' bisogni indispensabili dellanatura, e che faceva consister la sua vanità non già inemulare, ma in disprezzar la pompa reale. Mediante latotal estirpazione d'un male, che veniva magnificato an-che oltre i suoi veri confini, egli era impaziente di solle-vare le angustie, e di quietare i romori del popolo, chetollera con minor dispiacere il peso delle tasse, quando èconvinto che i frutti della propria industria s'impieganoin servizio dello Stato. Ma nell'esecuzione di quest'ope-ra salutare, viene accusato Giuliano d'aver procedutocon troppa fretta, e con inconsiderato rigore. Con unsolo editto ridusse il palazzo di Costantinopoli ad un im-menso deserto, ed ignominiosamente licenziò l'intierotreno degli schiavi, e dei dipendenti368, senza fare alcunagiusta, o almeno benefica eccezione in favor dell'età, de'servigi, della povertà, e de' fedeli domestici della Fami-

368Nondimeno Giuliano medesimo fu accusato di aver concesso delle intierecittà agli Eunuchi (Orat. VII. contr. Policlet. pag. 117-127). Libanio si contentad'una fredda ma positiva negazione del fatto, che realmente sembra piuttostoappartenere a Costanzo. Tale accusa però si può riferire a qualche incognitacircostanza.

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glia Imperiale. Tale in fatti era l'indole di Giuliano, cherare volte si rammentava di quella fondamental massimad'Aristotile, che la vera virtù si trova in egual distanzafra gli opposti vizi. Lo splendido ed effeminato vestirdegli Asiatici, i ricci ed il liscio, le collane e gli anelliche parevan tanto ridicoli nella persona di Costantino,furono costantemente rigettati dal filosofico di lui suc-cessore. Ma Giuliano, insieme colle superfluità, affetta-va di non curare neppur la decenza del vestire; e parevache si facesse un pregio di trascurar le leggi della puli-zia. In un'opera satirica, destinata per comparire al pub-blico, l'Imperatore decanta con piacere, ed eziandio convanità la lunghezza delle sue ugne, ed il color d'inchio-stro delle sue mani; dichiara, che sebbene la maggiorparte del suo corpo fosse coperta di peli, l'uso del rasoioera limitato al solo suo capo; e vanta con visibile com-piacenza l'irsuta, e popolata369 barba, ch'egli ad esempiode' Greci filosofi amava teneramente. Se Giuliano con-sultato avesse i puri dettami della ragione, il primo Ma-gistrato de' Romani avrebbe deriso l'affettazione di Dio-gene egualmente che quella di Dario.

Ma sarebbe restata imperfetta l'opera della pubblica369Nel Misopogon (p. 338, 339) fa una pittura molto singolare di se stesso, e

le seguenti parole sono caratteristiche al sommo αυτυς πρασεθεικα τον βαθοντουτονι πωγιονα... ταυτα τι διαθεοντων ανεχοµα: των φθειρων οσπερ ετ φοχµηπων θηριων. Ho fatto crescere questa profonda barba.... così difendo gl'insetti,che trattan fra loro, come in un recinto di fiere. Gli amici dell'Ab. della Blete-rie lo scongiurarono, in nome della nazione Francese, a non tradur questo pas-so che così offendeva la loro delicatezza. Hist. de Jovien. T. II. p. 94. Io mi soncontentato, come egli fa, d'una passeggiera allusione; ma il piccolo animale,che Giuliano nomina, è il più famigliare all'uomo, e significa amore.

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glia Imperiale. Tale in fatti era l'indole di Giuliano, cherare volte si rammentava di quella fondamental massimad'Aristotile, che la vera virtù si trova in egual distanzafra gli opposti vizi. Lo splendido ed effeminato vestirdegli Asiatici, i ricci ed il liscio, le collane e gli anelliche parevan tanto ridicoli nella persona di Costantino,furono costantemente rigettati dal filosofico di lui suc-cessore. Ma Giuliano, insieme colle superfluità, affetta-va di non curare neppur la decenza del vestire; e parevache si facesse un pregio di trascurar le leggi della puli-zia. In un'opera satirica, destinata per comparire al pub-blico, l'Imperatore decanta con piacere, ed eziandio convanità la lunghezza delle sue ugne, ed il color d'inchio-stro delle sue mani; dichiara, che sebbene la maggiorparte del suo corpo fosse coperta di peli, l'uso del rasoioera limitato al solo suo capo; e vanta con visibile com-piacenza l'irsuta, e popolata369 barba, ch'egli ad esempiode' Greci filosofi amava teneramente. Se Giuliano con-sultato avesse i puri dettami della ragione, il primo Ma-gistrato de' Romani avrebbe deriso l'affettazione di Dio-gene egualmente che quella di Dario.

Ma sarebbe restata imperfetta l'opera della pubblica369Nel Misopogon (p. 338, 339) fa una pittura molto singolare di se stesso, e

le seguenti parole sono caratteristiche al sommo αυτυς πρασεθεικα τον βαθοντουτονι πωγιονα... ταυτα τι διαθεοντων ανεχοµα: των φθειρων οσπερ ετ φοχµηπων θηριων. Ho fatto crescere questa profonda barba.... così difendo gl'insetti,che trattan fra loro, come in un recinto di fiere. Gli amici dell'Ab. della Blete-rie lo scongiurarono, in nome della nazione Francese, a non tradur questo pas-so che così offendeva la loro delicatezza. Hist. de Jovien. T. II. p. 94. Io mi soncontentato, come egli fa, d'una passeggiera allusione; ma il piccolo animale,che Giuliano nomina, è il più famigliare all'uomo, e significa amore.

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riforma, se Giuliano soltanto avesse corretto gli abusi,senza punire i delitti del regno del suo predecessore.«Noi siamo adesso maravigliosamente liberati» dic'egliin una lettera famigliare ad uno de' suoi intimi amici«dalle fauci voraci dell'Idra370. Io non intendo d'applicarquest'epiteto al mio fratello Costanzo. Esso non è più;possa la terra esser leggiera sopra il suo capo! Ma gli ar-tificiosi e crudeli suoi favoriti procuravano d'ingannaree di inasprire un Principe, di cui non può lodarsi la natu-ral dolcezza senza qualche sforzo d'adulazione. Ciò no-nostante non è mia intenzione, che anche questi uominivengan oppressi; sono essi accusati, e goderanno il van-taggio d'un giusto imparziale processo». Per dirigerequest'esame, Giuliano deputò sei Giudici del più altogrado nello Stato, o nell'esercito; e siccome desideravad'evitar la taccia di condannare i suoi personali nemici,stabilì a Calcedonia sulla parte Asiatica del Bosforoquel tribunale straordinario; e diede a' Commissari unassoluto potere di pronunziare, e d'eseguire la lor sen-tenza definitiva senza dilazione e senz'appello. S'eserci-tò l'uffizio di presidente dal venerabil Prefetto Orientale,secondo Sallustio371. Le sue virtù gli conciliaron la stima

370Julian Epist. XXIII. p. 389. Egli adopera le parole πολοκε φαλον υδρανscrivendo al suo amico Ermogene, che conversava com'esso co' Poeti Greci.

371Si debbon diligentemente distinguere i due Sallustj, il Prefetto di Gallia equello d'Oriente (Hist. des Emper. Tom. IV. p. 696). Ho usato il soprannome disecondo come conveniente epiteto. Il secondo Sallustio godè la stima dei Cri-stiani medesimi: e Gregorio Nazianzeno, che condannava la sua religione, hacelebrato le sue virtù Orat. III. p. 90. Vedi una curiosa nota dell'Ab. della Ble-terie Vie de Julien. p. 463.

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riforma, se Giuliano soltanto avesse corretto gli abusi,senza punire i delitti del regno del suo predecessore.«Noi siamo adesso maravigliosamente liberati» dic'egliin una lettera famigliare ad uno de' suoi intimi amici«dalle fauci voraci dell'Idra370. Io non intendo d'applicarquest'epiteto al mio fratello Costanzo. Esso non è più;possa la terra esser leggiera sopra il suo capo! Ma gli ar-tificiosi e crudeli suoi favoriti procuravano d'ingannaree di inasprire un Principe, di cui non può lodarsi la natu-ral dolcezza senza qualche sforzo d'adulazione. Ciò no-nostante non è mia intenzione, che anche questi uominivengan oppressi; sono essi accusati, e goderanno il van-taggio d'un giusto imparziale processo». Per dirigerequest'esame, Giuliano deputò sei Giudici del più altogrado nello Stato, o nell'esercito; e siccome desideravad'evitar la taccia di condannare i suoi personali nemici,stabilì a Calcedonia sulla parte Asiatica del Bosforoquel tribunale straordinario; e diede a' Commissari unassoluto potere di pronunziare, e d'eseguire la lor sen-tenza definitiva senza dilazione e senz'appello. S'eserci-tò l'uffizio di presidente dal venerabil Prefetto Orientale,secondo Sallustio371. Le sue virtù gli conciliaron la stima

370Julian Epist. XXIII. p. 389. Egli adopera le parole πολοκε φαλον υδρανscrivendo al suo amico Ermogene, che conversava com'esso co' Poeti Greci.

371Si debbon diligentemente distinguere i due Sallustj, il Prefetto di Gallia equello d'Oriente (Hist. des Emper. Tom. IV. p. 696). Ho usato il soprannome disecondo come conveniente epiteto. Il secondo Sallustio godè la stima dei Cri-stiani medesimi: e Gregorio Nazianzeno, che condannava la sua religione, hacelebrato le sue virtù Orat. III. p. 90. Vedi una curiosa nota dell'Ab. della Ble-terie Vie de Julien. p. 463.

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dei Greci sofisti, e de' Vescovi Cristiani. Fu egli assistitodall'eloquente Mammertino372, uno de' Consoli eletti, dicui altamente si celebra il merito dalla dubbiosa testimo-nianza del suo proprio applauso. Ma il sapere civile de'due Magistrati fu contrabbilanciato dalla feroce violenzade' quattro Generali Nevitta, Agilone, Giovino ed Arbe-zione. Quest'ultimo, che il Pubblico avrebbe veduto conminor maraviglia a' cancelli, che sul tribunale, si suppo-neva che avesse il segreto della commissione. Circonda-vano il Tribunale gli armati ed ardenti Capitani dellebande Gioviana, ed Erculea; ed i Giudici eran dominatia vicenda dalle leggi della giustizia, e da' clamori dellafazione373.

Il ciamberlano Eusebio, che aveva per tanto tempoabusato del favor di Costanzo, espiò con una ignominio-sa morte l'insolenza, la corruzione, e la crudeltà del ser-vile suo regno. L'esecuzioni di Paolo e d'Apodemio (ilprimo de' quali fu bruciato vivo) si riceveron come unanon adeguata espiazione dalle vedove e dagli orfani ditante centinaia di Romani, che que' legali tiranni avevantraditi e posti a morte. Ma la giustizia medesima (se èpermesso d'usare la patetica espressione d'Ammiano374),

372Mammertino loda l'Imperatore (XI. 1.) per aver dati gli uffizi di Tesorieree di Prefetto ad un uomo d'abilità, di fermezza, d'integrità come egli stesso.Pure anche Ammiano lo pone (XX. 1) fra' ministri di Giuliano quorum merita,norat et fidem.

373Le processure di questo Tribunal di giustizia son riferite da Ammiano(XXII. 3.) e lodate da Libanio (Orat. parent. c. 74. p. 299. 300).

374Ursuli vero necem ipsa mihi videtur flesse justitia. Libanio, che attribui-sce tal morte a' soldati, tenta di accusare anche il Conte delle largizioni.

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dei Greci sofisti, e de' Vescovi Cristiani. Fu egli assistitodall'eloquente Mammertino372, uno de' Consoli eletti, dicui altamente si celebra il merito dalla dubbiosa testimo-nianza del suo proprio applauso. Ma il sapere civile de'due Magistrati fu contrabbilanciato dalla feroce violenzade' quattro Generali Nevitta, Agilone, Giovino ed Arbe-zione. Quest'ultimo, che il Pubblico avrebbe veduto conminor maraviglia a' cancelli, che sul tribunale, si suppo-neva che avesse il segreto della commissione. Circonda-vano il Tribunale gli armati ed ardenti Capitani dellebande Gioviana, ed Erculea; ed i Giudici eran dominatia vicenda dalle leggi della giustizia, e da' clamori dellafazione373.

Il ciamberlano Eusebio, che aveva per tanto tempoabusato del favor di Costanzo, espiò con una ignominio-sa morte l'insolenza, la corruzione, e la crudeltà del ser-vile suo regno. L'esecuzioni di Paolo e d'Apodemio (ilprimo de' quali fu bruciato vivo) si riceveron come unanon adeguata espiazione dalle vedove e dagli orfani ditante centinaia di Romani, che que' legali tiranni avevantraditi e posti a morte. Ma la giustizia medesima (se èpermesso d'usare la patetica espressione d'Ammiano374),

372Mammertino loda l'Imperatore (XI. 1.) per aver dati gli uffizi di Tesorieree di Prefetto ad un uomo d'abilità, di fermezza, d'integrità come egli stesso.Pure anche Ammiano lo pone (XX. 1) fra' ministri di Giuliano quorum merita,norat et fidem.

373Le processure di questo Tribunal di giustizia son riferite da Ammiano(XXII. 3.) e lodate da Libanio (Orat. parent. c. 74. p. 299. 300).

374Ursuli vero necem ipsa mihi videtur flesse justitia. Libanio, che attribui-sce tal morte a' soldati, tenta di accusare anche il Conte delle largizioni.

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parve che piangesse il fato d'Ursulo, tesorier dell'Impe-ro, ed il suo sangue accusò l'ingratitudine di Giuliano, dicui si eran opportunamente sollevate le strettezzedall'intrepida liberalità di quell'onesto ministro. Il furordei soldati, che egli aveva irritati con la sua indiscretez-za, fu la causa e la scusa della sua morte, e l'Imperatore,profondamente colpito da' propri rimorsi e da quelli delpubblico, diede qualche conforto alla famiglia d'Ursulo,mediante la restituzione de' confiscati suoi beni. Avantila fine dell'anno, in cui vennero decorati delle insegnedella Pretura e del Consolato375, Tauro e Florenzio ridot-ti furono ad implorar la clemenza dell'inesorabil tribuna-le di Calcedonia. Il primo fu bandito a Vercelli in Italia,e contro il secondo fu pronunziata sentenza di morte. UnPrincipe saggio avrebbe premiato il delitto di Tauro. Ilfedel ministro, quando non fu più capace d'opporsi alprogresso d'un ribelle, erasi rifuggito nella Corte del suobenefico e legittimo Principe. Ma la colpa di Florenziogiustificò il rigore de' giudici; e la sua fuga servì a mani-festare la magnanimità di Giuliano, che nobilmente fre-nò l'interessata diligenza di un delatore, e ricusò di sape-re qual luogo celasse il misero fuggitivo dal giusto suosdegno376. Alcuni mesi dopo che fu disciolto il tribunaledi Calcedonia, furono decapitati in Antiochia il Vicario

375Si conservava sempre tal venerazione per li rispettabili nomi della repub-blica, che il Pubblico fu sorpreso, e scandalizzato nell'udir Tauro, citato comereo, sotto il consolato di Tauro. La citazione del collega Florenzio probabil-mente fu differita fino al principio dell'anno seguente.

376Ammiano XX. 7.

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parve che piangesse il fato d'Ursulo, tesorier dell'Impe-ro, ed il suo sangue accusò l'ingratitudine di Giuliano, dicui si eran opportunamente sollevate le strettezzedall'intrepida liberalità di quell'onesto ministro. Il furordei soldati, che egli aveva irritati con la sua indiscretez-za, fu la causa e la scusa della sua morte, e l'Imperatore,profondamente colpito da' propri rimorsi e da quelli delpubblico, diede qualche conforto alla famiglia d'Ursulo,mediante la restituzione de' confiscati suoi beni. Avantila fine dell'anno, in cui vennero decorati delle insegnedella Pretura e del Consolato375, Tauro e Florenzio ridot-ti furono ad implorar la clemenza dell'inesorabil tribuna-le di Calcedonia. Il primo fu bandito a Vercelli in Italia,e contro il secondo fu pronunziata sentenza di morte. UnPrincipe saggio avrebbe premiato il delitto di Tauro. Ilfedel ministro, quando non fu più capace d'opporsi alprogresso d'un ribelle, erasi rifuggito nella Corte del suobenefico e legittimo Principe. Ma la colpa di Florenziogiustificò il rigore de' giudici; e la sua fuga servì a mani-festare la magnanimità di Giuliano, che nobilmente fre-nò l'interessata diligenza di un delatore, e ricusò di sape-re qual luogo celasse il misero fuggitivo dal giusto suosdegno376. Alcuni mesi dopo che fu disciolto il tribunaledi Calcedonia, furono decapitati in Antiochia il Vicario

375Si conservava sempre tal venerazione per li rispettabili nomi della repub-blica, che il Pubblico fu sorpreso, e scandalizzato nell'udir Tauro, citato comereo, sotto il consolato di Tauro. La citazione del collega Florenzio probabil-mente fu differita fino al principio dell'anno seguente.

376Ammiano XX. 7.

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pretorio d'Affrica, il notaro Gaudenzio ed Artemio377

duce d'Egitto. Artemio aveva dominato da corrotto ecrudel tiranno sopra una gran provincia; Gaudenzioavea lungamente praticato le arti della calunnia controgl'innocenti, i virtuosi, ed eziandio contro la persona diGiuliano medesimo. Pure furono così mal maneggiate lecircostanze del processo e della condanna loro, che que-sti malvagi uomini ottennero nella pubblica opinione lagloria di patire per l'ostinata fedeltà, con cui sostenutoavevan la causa di Costanzo. Gli altri suoi servi furondifesi da un atto di generale obblivione; e fu lasciato cheimpunemente godessero i doni, che aveano accettati oper difender gli oppressi, o per opprimere i nemici.Quest'atto, che secondo i più alti principj di politica puòmeritar la nostra approvazione fu eseguito in un modo,che parve degradasse la maestà del trono. Giuliano eratormentato dalle importunità d'una moltitudine, in parti-colare d'Egiziani, che altamente richiedevano i doni, cheper imprudenza o illegittimamente avean fatti; egli pre-vide la infinita catena di vessanti liti; e s'obbligò conuna promessa, che avrebbe sempre dovuto essere invio-labile, che se fossero essi comparsi a Calcedonia, avreb-be ascoltato in persona, e decise le loro querele. Ma to-

377Intorno ai delitti ed alla punizione di Artemio, vedi Giuliano (Epist. X p.379) ed Ammiano (XXII. 6 e Vales. ivi). Il merito di Artemio, che consistenell'aver demolito templi, ed essere stato posto a morte da un apostata, ha ten-tato le Chiese Greca e Latina ad onorarlo come un martire. Ma l'istoria eccle-siastica afferma ch'egli non solo fu un tiranno, ma anche un Arriano, onde nonè troppo agevole il giustificare questa promozione indiscreta. Tillemont, Mem.Eccl. T. VII. p. 1319.

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pretorio d'Affrica, il notaro Gaudenzio ed Artemio377

duce d'Egitto. Artemio aveva dominato da corrotto ecrudel tiranno sopra una gran provincia; Gaudenzioavea lungamente praticato le arti della calunnia controgl'innocenti, i virtuosi, ed eziandio contro la persona diGiuliano medesimo. Pure furono così mal maneggiate lecircostanze del processo e della condanna loro, che que-sti malvagi uomini ottennero nella pubblica opinione lagloria di patire per l'ostinata fedeltà, con cui sostenutoavevan la causa di Costanzo. Gli altri suoi servi furondifesi da un atto di generale obblivione; e fu lasciato cheimpunemente godessero i doni, che aveano accettati oper difender gli oppressi, o per opprimere i nemici.Quest'atto, che secondo i più alti principj di politica puòmeritar la nostra approvazione fu eseguito in un modo,che parve degradasse la maestà del trono. Giuliano eratormentato dalle importunità d'una moltitudine, in parti-colare d'Egiziani, che altamente richiedevano i doni, cheper imprudenza o illegittimamente avean fatti; egli pre-vide la infinita catena di vessanti liti; e s'obbligò conuna promessa, che avrebbe sempre dovuto essere invio-labile, che se fossero essi comparsi a Calcedonia, avreb-be ascoltato in persona, e decise le loro querele. Ma to-

377Intorno ai delitti ed alla punizione di Artemio, vedi Giuliano (Epist. X p.379) ed Ammiano (XXII. 6 e Vales. ivi). Il merito di Artemio, che consistenell'aver demolito templi, ed essere stato posto a morte da un apostata, ha ten-tato le Chiese Greca e Latina ad onorarlo come un martire. Ma l'istoria eccle-siastica afferma ch'egli non solo fu un tiranno, ma anche un Arriano, onde nonè troppo agevole il giustificare questa promozione indiscreta. Tillemont, Mem.Eccl. T. VII. p. 1319.

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sto che furono sbarcati, mandò un ordine assoluto chevietava a' marinari di trasportare a Costantinopoli Egizioveruno; e così ritenne i suoi sconcertati clienti sul lidoAsiatico, finchè dopo d'aver esausta tutta la lor pazien-za, e il denaro, furon costretti a tornare con isdegnosi la-menti al nativo loro paese378.

Il numeroso esercito di spie, di agenti, e di delatori,ascoltati da Costanzo per assicurare il riposo di un uomosolo, e per turbar quello di milioni d'uomini, fu imme-diatamente disperso dal generoso di lui successore. Giu-liano era lento ne' sospetti, e mite nelle pene, ed il suodisprezzo de' tradimenti era un risultato di giudizio, divanità e di coraggio. Sapendo di avere un preminentemerito, egli era persuaso che pochi fra' suoi sudditiavrebbero ardito d'affrontarlo in campo, d'insidiar la suavita, o anche di occupare il vacante suo trono. Come fi-losofo potea scusare le precipitate imprudenze del mal-contento; e com'Eroe potea disprezzar gli ambiziosi pro-getti, che sorpassavano la fortuna o l'abilità di temeraricospiratori. Un cittadino d'Ancira s'era preparato un abi-to di porpora; e questa imprudente azione, che sotto ilregno di Costanzo si sarebbe risguardata come un delittocapitale379, fu riferita a Giuliano dall'officiosa importuni-

378Vedi Ammiano XXII. 6. Valesio Iv. il Cod. Teodosiano lib. II. Tit. XX-XIX. leg. 1 e Gottofredo Comment. Iv. Tom. 1. v. 218.

379Il presidente di Montesquieu (Consider. sur la Grand. des Rom. c. 14.nelle sue opere Tom. III. p. 448. 449) scusa tal minuta, ed assurda tirannia colsupporre, che azioni le più indifferenti a' nostri occhi dovevano eccitare in unamente Romana l'idea di delitto e di pericolo. Questa strana apologia vien soste-nuta da una strana mal'interpretazione delle leggi Inglesi: Chez une nation....

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sto che furono sbarcati, mandò un ordine assoluto chevietava a' marinari di trasportare a Costantinopoli Egizioveruno; e così ritenne i suoi sconcertati clienti sul lidoAsiatico, finchè dopo d'aver esausta tutta la lor pazien-za, e il denaro, furon costretti a tornare con isdegnosi la-menti al nativo loro paese378.

Il numeroso esercito di spie, di agenti, e di delatori,ascoltati da Costanzo per assicurare il riposo di un uomosolo, e per turbar quello di milioni d'uomini, fu imme-diatamente disperso dal generoso di lui successore. Giu-liano era lento ne' sospetti, e mite nelle pene, ed il suodisprezzo de' tradimenti era un risultato di giudizio, divanità e di coraggio. Sapendo di avere un preminentemerito, egli era persuaso che pochi fra' suoi sudditiavrebbero ardito d'affrontarlo in campo, d'insidiar la suavita, o anche di occupare il vacante suo trono. Come fi-losofo potea scusare le precipitate imprudenze del mal-contento; e com'Eroe potea disprezzar gli ambiziosi pro-getti, che sorpassavano la fortuna o l'abilità di temeraricospiratori. Un cittadino d'Ancira s'era preparato un abi-to di porpora; e questa imprudente azione, che sotto ilregno di Costanzo si sarebbe risguardata come un delittocapitale379, fu riferita a Giuliano dall'officiosa importuni-

378Vedi Ammiano XXII. 6. Valesio Iv. il Cod. Teodosiano lib. II. Tit. XX-XIX. leg. 1 e Gottofredo Comment. Iv. Tom. 1. v. 218.

379Il presidente di Montesquieu (Consider. sur la Grand. des Rom. c. 14.nelle sue opere Tom. III. p. 448. 449) scusa tal minuta, ed assurda tirannia colsupporre, che azioni le più indifferenti a' nostri occhi dovevano eccitare in unamente Romana l'idea di delitto e di pericolo. Questa strana apologia vien soste-nuta da una strana mal'interpretazione delle leggi Inglesi: Chez une nation....

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tà d'un privato nemico. Il Monarca, fatta qualche ricercaintorno al grado ed al carattere del suo rivale, rimandòl'accusatore col presente d'un paio di scarpe di porporaper compir la magnificenza dell'Imperiale sua veste. Siformò una cospirazione più pericolosa da dieci guardiedomestiche, le quali avean risoluto di ammazzar Giulia-no nel campo degli esercizi vicino ad Antiochia. La lorointemperanza rivelò il delitto; ed essi furon condotti incatene alla presenza dell'ingiuriato loro Sovrano, chedopo una viva rappresentazione della malvagità e follìadi loro intrapresa, invece d'una tormentosa morte ch'essimeritavano ed aspettavano, pronunziò la sentenza d'esi-lio contro i due rei principali. L'unico fatto in cui parveche Giuliano si scostasse dalla solita sua clemenza, fu laesecuzione d'un temerario giovane, che aspirato avevacon una debole mano a prender le redini dell'Impero.Ma questo giovane era figlio di Marcello, Generale dicavalleria, che nella prima campagna della guerra Galli-ca avea disertato dalle bandiere di Cesare e della Repub-blica. Senz'apparire di secondare il personale suo sde-gno, Giuliano potea facilmente confondere il delitto delfiglio e del padre; ma fu acquietato dal dolore di Mar-cello, e la generosità dell'Imperatore procurò di medicarla ferita ch'era stata fatta dalla mano della giustizia380.

Giuliano non era insensibile a' vantaggi della liber-

où il est défendu de boire à la santé d'une certaine personne.380La clemenza di Giuliano, e la cospirazione, che si formò contro di lui ad

Antiochia, si descrivono da Ammiano (XXII 9, 10 c. Vales. Iv.) e da Libanio(Orat. parent. c. 99. p. 323).

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tà d'un privato nemico. Il Monarca, fatta qualche ricercaintorno al grado ed al carattere del suo rivale, rimandòl'accusatore col presente d'un paio di scarpe di porporaper compir la magnificenza dell'Imperiale sua veste. Siformò una cospirazione più pericolosa da dieci guardiedomestiche, le quali avean risoluto di ammazzar Giulia-no nel campo degli esercizi vicino ad Antiochia. La lorointemperanza rivelò il delitto; ed essi furon condotti incatene alla presenza dell'ingiuriato loro Sovrano, chedopo una viva rappresentazione della malvagità e follìadi loro intrapresa, invece d'una tormentosa morte ch'essimeritavano ed aspettavano, pronunziò la sentenza d'esi-lio contro i due rei principali. L'unico fatto in cui parveche Giuliano si scostasse dalla solita sua clemenza, fu laesecuzione d'un temerario giovane, che aspirato avevacon una debole mano a prender le redini dell'Impero.Ma questo giovane era figlio di Marcello, Generale dicavalleria, che nella prima campagna della guerra Galli-ca avea disertato dalle bandiere di Cesare e della Repub-blica. Senz'apparire di secondare il personale suo sde-gno, Giuliano potea facilmente confondere il delitto delfiglio e del padre; ma fu acquietato dal dolore di Mar-cello, e la generosità dell'Imperatore procurò di medicarla ferita ch'era stata fatta dalla mano della giustizia380.

Giuliano non era insensibile a' vantaggi della liber-

où il est défendu de boire à la santé d'une certaine personne.380La clemenza di Giuliano, e la cospirazione, che si formò contro di lui ad

Antiochia, si descrivono da Ammiano (XXII 9, 10 c. Vales. Iv.) e da Libanio(Orat. parent. c. 99. p. 323).

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tà381. Mercè de suoi studi aveva succhiato lo spirito degliantichi Saggi ed Eroi; la sua vita e fortuna era stata sot-toposta al capriccio d'un tiranno; e quando salì sul trono,la sua vanità veniva qualche volta mortificata dalla ri-flessione che schiavi, i quali non avessero ardito di cen-surare i suoi difetti, non erano degni d'applaudire allesue virtù382. Egli sinceramente abborriva il sistemad'oriental dispotismo, che Diocleziano, Costantino, e lapaziente abitudine d'ottanta anni avevano stabilitonell'Impero. Un motivo di superstizione lo distornò daeseguire il disegno, che più volte avea meditato, di sgra-vare il suo capo dal peso d'un grave diadema383: ma ricu-sò assolutamente il titolo di Dominus o di Signore384,voce, ch'era diventata sì famigliare agli orecchi de' Ro-mani, che non si ricordavano più della servile ed umi-

381Secondo alcuni, dice Aristotile (come vien citato da Giuliano ad Themist.pag. 261), la forma d'un assoluto Governo, la παµβασιλεια è contraria alla na-tura. Sì il Principe, che il Filosofo però vogliono avvolger questa verità eternain un'artificiosa elaborata oscurità.

382Tal sentimento è espresso quasi nei termini di Giuliano medesimo. Am-miano XXII. 10.

383Libanio (Orat. Parent. c. 95, p. 320) che fa menzione del desiderio, e deldisegno di Giuliano indica in un misterioso linguaggio θεων, ουτω γνοντων...αλλ‘ ην αµεινον ό κωλυων Così disponendo gli Dei.... Ma era miglior consi-glio quello d'impedirlo che l'Imperatore fu ritenuto da qualche speciale rivela-zione.

384Juliano in Misopogon p. 343. Siccome non abolì mai con alcuna pubblicalegge i superbi nomi di despota, o dominus, questi tuttavia sussistono nelle suemedaglie (Du Cange Fam. p. 38, 39); ed il privato dispiacere, che affettavad'esprimere, non fece che dare uno stile diverso alla servil maniera della Corte.L'Ab. della Bleterie (Hist. de Jovien. Tom. II p. 99-102) ha curiosamente inve-stigato l'origine, ed il progresso della parola dominus sotto il governo Imperia-le.

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tà381. Mercè de suoi studi aveva succhiato lo spirito degliantichi Saggi ed Eroi; la sua vita e fortuna era stata sot-toposta al capriccio d'un tiranno; e quando salì sul trono,la sua vanità veniva qualche volta mortificata dalla ri-flessione che schiavi, i quali non avessero ardito di cen-surare i suoi difetti, non erano degni d'applaudire allesue virtù382. Egli sinceramente abborriva il sistemad'oriental dispotismo, che Diocleziano, Costantino, e lapaziente abitudine d'ottanta anni avevano stabilitonell'Impero. Un motivo di superstizione lo distornò daeseguire il disegno, che più volte avea meditato, di sgra-vare il suo capo dal peso d'un grave diadema383: ma ricu-sò assolutamente il titolo di Dominus o di Signore384,voce, ch'era diventata sì famigliare agli orecchi de' Ro-mani, che non si ricordavano più della servile ed umi-

381Secondo alcuni, dice Aristotile (come vien citato da Giuliano ad Themist.pag. 261), la forma d'un assoluto Governo, la παµβασιλεια è contraria alla na-tura. Sì il Principe, che il Filosofo però vogliono avvolger questa verità eternain un'artificiosa elaborata oscurità.

382Tal sentimento è espresso quasi nei termini di Giuliano medesimo. Am-miano XXII. 10.

383Libanio (Orat. Parent. c. 95, p. 320) che fa menzione del desiderio, e deldisegno di Giuliano indica in un misterioso linguaggio θεων, ουτω γνοντων...αλλ‘ ην αµεινον ό κωλυων Così disponendo gli Dei.... Ma era miglior consi-glio quello d'impedirlo che l'Imperatore fu ritenuto da qualche speciale rivela-zione.

384Juliano in Misopogon p. 343. Siccome non abolì mai con alcuna pubblicalegge i superbi nomi di despota, o dominus, questi tuttavia sussistono nelle suemedaglie (Du Cange Fam. p. 38, 39); ed il privato dispiacere, che affettavad'esprimere, non fece che dare uno stile diverso alla servil maniera della Corte.L'Ab. della Bleterie (Hist. de Jovien. Tom. II p. 99-102) ha curiosamente inve-stigato l'origine, ed il progresso della parola dominus sotto il governo Imperia-le.

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liante sua origine. S'amava l'uffizio o piuttosto il nomedi Console da un Principe, che contemplava con rispettole rovine della Repubblica; e l'istesso contegno, che Au-gusto aveva tenuto per prudenza, fu da Giuliano adotta-to per scelta e per inclinazione. Nelle calende di Genna-io, allo spuntar del giorno, i nuovi Consoli, Mammerti-no e Nevitta, s'affrettarono d'andare al palazzo per salu-tare l'Imperatore. Tosto che fu informato del loro arrivo,scese dal trono, s'avanzò in fretta ad incontrarli, e co-strinse i Magistrati, pieni di rossore, a ricevere le dimo-strazioni della sua affettata umiltà. Dal palazzo si porta-rono al Senato. L'Imperatore andò a piedi avanti alleloro lettighe, e la moltitudine, osservandolo, ammiraval'immagine dei tempi antichi, ovvero segretamente bia-simava una condotta che a' lor occhi avviliva la maestàdella porpora385. Ma il contegno di Giuliano fu sostenutocon uniformità. Nel tempo de' giuochi del Circo egliaveva, o a caso, o premeditatamente, fatta la manumis-sione d'uno schiavo alla presenza del Console. Ma quan-do si sovvenne d'aver invasa la giurisdizione di un altroMagistrato, si condannò al pagamento di dieci libbred'oro; e prese quest'occasione, per dichiarar pubblica-mente al Mondo, ch'egli era soggetto come gli altri suoiconcittadini, alle leggi386 ed anche alle formalità della

385Ammiano XXII. 7. Il Console Mammertino (in Paneg. vet. XI 28, 29, 30)celebra quel fausto giorno, come un eloquente schiavo, attonito ed inebbriatoper la condiscendenza del suo signore.

386La satira personale si condannava dalle leggi delle dodici tavole: si malacondiderit in quem quis carmina, jus est, judiciumque. Giuliano (in Misopogonp. 337) si confessa sottoposto alla legge; e l'Ab. della Bleterie (Hist. de Jov.

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liante sua origine. S'amava l'uffizio o piuttosto il nomedi Console da un Principe, che contemplava con rispettole rovine della Repubblica; e l'istesso contegno, che Au-gusto aveva tenuto per prudenza, fu da Giuliano adotta-to per scelta e per inclinazione. Nelle calende di Genna-io, allo spuntar del giorno, i nuovi Consoli, Mammerti-no e Nevitta, s'affrettarono d'andare al palazzo per salu-tare l'Imperatore. Tosto che fu informato del loro arrivo,scese dal trono, s'avanzò in fretta ad incontrarli, e co-strinse i Magistrati, pieni di rossore, a ricevere le dimo-strazioni della sua affettata umiltà. Dal palazzo si porta-rono al Senato. L'Imperatore andò a piedi avanti alleloro lettighe, e la moltitudine, osservandolo, ammiraval'immagine dei tempi antichi, ovvero segretamente bia-simava una condotta che a' lor occhi avviliva la maestàdella porpora385. Ma il contegno di Giuliano fu sostenutocon uniformità. Nel tempo de' giuochi del Circo egliaveva, o a caso, o premeditatamente, fatta la manumis-sione d'uno schiavo alla presenza del Console. Ma quan-do si sovvenne d'aver invasa la giurisdizione di un altroMagistrato, si condannò al pagamento di dieci libbred'oro; e prese quest'occasione, per dichiarar pubblica-mente al Mondo, ch'egli era soggetto come gli altri suoiconcittadini, alle leggi386 ed anche alle formalità della

385Ammiano XXII. 7. Il Console Mammertino (in Paneg. vet. XI 28, 29, 30)celebra quel fausto giorno, come un eloquente schiavo, attonito ed inebbriatoper la condiscendenza del suo signore.

386La satira personale si condannava dalle leggi delle dodici tavole: si malacondiderit in quem quis carmina, jus est, judiciumque. Giuliano (in Misopogonp. 337) si confessa sottoposto alla legge; e l'Ab. della Bleterie (Hist. de Jov.

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Repubblica. Lo spirito della sua amministrazione ed ilriguardo ch'ebbe al luogo della sua nascita, mosseroGiuliano a conferire al Senato di Costantinopoli gli stes-si onori, privilegi, ed autorità, che tuttavia si godevanodal Senato dell'antica Roma387. Fu introdotta, ed appocoappoco stabilita una finzione legale, che la metà delconsiglio nazionale fosse passata in Oriente; e i dispoticisuccessori di Giuliano, accettando il titolo di Senatori, siriconoscevano membri d'un rispettabile Corpo, a cui erapermesso di rappresentare la maestà del nome Romano.Da Costantinopoli s'estese l'attenzion del Monarca a' Se-nati Municipali delle Province. Abolì con più editti leingiuste e perniciose esenzioni, che avevano tolto tantioziosi cittadini al servigio della patria; ed imponendouna distribuzione eguale di pubblici tributi, restituì laforza, lo splendore, o secondo la viva espression di Li-banio388, l'anima alle spiranti città dell'Impero. La vene-rabile antichità della Grecia eccitava nell'animo di Giu-liano la più tenera compassione; egli si sentiva rapire,quando si rammentava degli Dei, degli Eroi, e degli uo-mini superiori agli Eroi ed agli Dei, che avevan lasciatoall'ultima posterità i monumenti del loro genio, e l'esem-

Tom. II. p. 92.) ha prontamente abbracciato una dichiarazione sì favorevole alsuo sistema, ed al vero spirito dell'Imperiale costituzione.

387Zosimo l. III. p. 158.388ή της βουλης ισχυς ψυχη πολεως εςιν La forza del Senato è l'anima della

città. Vedi Libanio (Orat. parent. c. 71. p. 296). Ammiano (XXII. 9.) ed il Co-dice Teodosiano (lib. XII. Tit. I. leg. 50-55. col Coment. del Gottofredo Tom.IV. p. 390-402). Pure tutto il soggetto delle Curie, non ostanti gli ampi materia-li che vi sono, rimane sempre il più oscuro nell'Istoria legale dell'Impero.

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Repubblica. Lo spirito della sua amministrazione ed ilriguardo ch'ebbe al luogo della sua nascita, mosseroGiuliano a conferire al Senato di Costantinopoli gli stes-si onori, privilegi, ed autorità, che tuttavia si godevanodal Senato dell'antica Roma387. Fu introdotta, ed appocoappoco stabilita una finzione legale, che la metà delconsiglio nazionale fosse passata in Oriente; e i dispoticisuccessori di Giuliano, accettando il titolo di Senatori, siriconoscevano membri d'un rispettabile Corpo, a cui erapermesso di rappresentare la maestà del nome Romano.Da Costantinopoli s'estese l'attenzion del Monarca a' Se-nati Municipali delle Province. Abolì con più editti leingiuste e perniciose esenzioni, che avevano tolto tantioziosi cittadini al servigio della patria; ed imponendouna distribuzione eguale di pubblici tributi, restituì laforza, lo splendore, o secondo la viva espression di Li-banio388, l'anima alle spiranti città dell'Impero. La vene-rabile antichità della Grecia eccitava nell'animo di Giu-liano la più tenera compassione; egli si sentiva rapire,quando si rammentava degli Dei, degli Eroi, e degli uo-mini superiori agli Eroi ed agli Dei, che avevan lasciatoall'ultima posterità i monumenti del loro genio, e l'esem-

Tom. II. p. 92.) ha prontamente abbracciato una dichiarazione sì favorevole alsuo sistema, ed al vero spirito dell'Imperiale costituzione.

387Zosimo l. III. p. 158.388ή της βουλης ισχυς ψυχη πολεως εςιν La forza del Senato è l'anima della

città. Vedi Libanio (Orat. parent. c. 71. p. 296). Ammiano (XXII. 9.) ed il Co-dice Teodosiano (lib. XII. Tit. I. leg. 50-55. col Coment. del Gottofredo Tom.IV. p. 390-402). Pure tutto il soggetto delle Curie, non ostanti gli ampi materia-li che vi sono, rimane sempre il più oscuro nell'Istoria legale dell'Impero.

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pio delle loro virtù. Sollevò le angustie, e restituì la bel-lezza alle città d'Epiro, e del Peloponeso389. Atene lo ri-conobbe per suo benefattore; Argo per liberatore.L'orgoglio di Corinto, che risorgeva dalle sue rovine congli onori di colonia Romana, esigeva un tributo dalle vi-cine Repubbliche per le spese de' giuochi dell'Istmo, chesi celebravano nell'anfiteatro con la caccia di orsi, e pan-tere. Le città d'Elide, di Delfo, e d'Argo, le quali aveva-no ereditato da' remoti loro Maggiori il sacro uffizio diperpetuare i giuochi Olimpici, Pitj, e Nemei, pretende-vano una giusta esenzione da questo tributo. I Corintj ri-spettarono l'immunità d'Elide, e di Delfo; ma la povertàd'Argo tentò l'insolenza della oppressione, e fu impostosilenzio alle deboli querele de' suoi deputati dal decretod'un Magistrato provinciale, che pare avesse consultatosoltanto l'interesse della capitale in cui risiedeva. Setteanni dopo questa sentenza, Giuliano390 concesse che lacausa fosse rivista in un tribunal superiore; e s'interposela sua eloquenza, molto probabilmente con successo fe-lice, in difesa d'una città ch'era stata la sede reale d'Aga-mennone391, ed avea dato alla Macedonia una stirpe di

389Quae paulo ante arida, et sibi anhelantia visebantur, ea nunc perlui,mundari, madere; fora, deambulacra, gymnasia laetis et gaudentibus Populisfrequentari; dies festos et celebrari veteres et novos in honorem Principis con-secrari (Mammertino XI. 9). Esso particolarmente restaurò la città di Nicopoli,ed i giuochi Aziaci instituiti da Augusto.

390Juliano Ep. XXXV. p. 407-411. Questa lettera, che illustra la decadente etàdella Grecia, è omessa dall'Ab. della Bleterie, e stranamente sfigurata dal tra-duttore latino, che indicando ατελεια immunità per tributo e ιδιωται privati perpopulus, direttamente contraddice al senso dell'Originale.

391Esso regnò in Micene alla distanza di cinquanta stadi, o di sei miglia da

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pio delle loro virtù. Sollevò le angustie, e restituì la bel-lezza alle città d'Epiro, e del Peloponeso389. Atene lo ri-conobbe per suo benefattore; Argo per liberatore.L'orgoglio di Corinto, che risorgeva dalle sue rovine congli onori di colonia Romana, esigeva un tributo dalle vi-cine Repubbliche per le spese de' giuochi dell'Istmo, chesi celebravano nell'anfiteatro con la caccia di orsi, e pan-tere. Le città d'Elide, di Delfo, e d'Argo, le quali aveva-no ereditato da' remoti loro Maggiori il sacro uffizio diperpetuare i giuochi Olimpici, Pitj, e Nemei, pretende-vano una giusta esenzione da questo tributo. I Corintj ri-spettarono l'immunità d'Elide, e di Delfo; ma la povertàd'Argo tentò l'insolenza della oppressione, e fu impostosilenzio alle deboli querele de' suoi deputati dal decretod'un Magistrato provinciale, che pare avesse consultatosoltanto l'interesse della capitale in cui risiedeva. Setteanni dopo questa sentenza, Giuliano390 concesse che lacausa fosse rivista in un tribunal superiore; e s'interposela sua eloquenza, molto probabilmente con successo fe-lice, in difesa d'una città ch'era stata la sede reale d'Aga-mennone391, ed avea dato alla Macedonia una stirpe di

389Quae paulo ante arida, et sibi anhelantia visebantur, ea nunc perlui,mundari, madere; fora, deambulacra, gymnasia laetis et gaudentibus Populisfrequentari; dies festos et celebrari veteres et novos in honorem Principis con-secrari (Mammertino XI. 9). Esso particolarmente restaurò la città di Nicopoli,ed i giuochi Aziaci instituiti da Augusto.

390Juliano Ep. XXXV. p. 407-411. Questa lettera, che illustra la decadente etàdella Grecia, è omessa dall'Ab. della Bleterie, e stranamente sfigurata dal tra-duttore latino, che indicando ατελεια immunità per tributo e ιδιωται privati perpopulus, direttamente contraddice al senso dell'Originale.

391Esso regnò in Micene alla distanza di cinquanta stadi, o di sei miglia da

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conquistatori e di Re392.La faticosa amministrazione degli affari militari e ci-

vili, ch'eran moltiplicati a misura dell'estensionedell'Impero, esercitò l'abilità di Giuliano; ma egli di piùfrequentemente assumeva i caratteri di Oratore393, e diGiudice394, che son quasi incogniti a' moderni Sovranid'Europa. Le arti della persuasione, sì diligentementecoltivate da' primi Cesari, si trascurarono dalla militarignoranza e dall'Asiatico orgoglio de' lor successori; e secondiscendevano ad arringare i soldati, ch'essi temeva-no, trattavan con tacito orgoglio i Senatori, che disprez-zavano. Le assemblee del Senato, che s'erano evitate daCostanzo, si risguardarono da Giuliano come il luogo

Argo, ma queste Città che fiorirono alternativamente, son confuse fra loro da'Poeti Greci. Strab. l. VIII. p. 879. edit. Amstel. 1707.

392Marsham. Can. Chron. p. 420. Questa provenienza da Temeno ed Ercolepuò esser sospetta; pure fu accordata dopo un rigoroso esame da' giudici de'giuochi Olimpici (Erodoto l. V. c. 22.) in un tempo nel quale i Re di Macedoniaeran oscuri, e non popolari nella Grecia. Quando la lega Achea si dichiarò con-tro Filippo, fu creduto conveniente, che i deputati d'Argo si ritirassero. T. Liv.XXXII.

393È celebrata la sua eloquenza da Libanio (Orat. parent. c. 75. 76. p. 300.301.) che fa menzione distintamente degli Oratori d'Omero. Socrate (l. III c. 1.)ha imprudentemente affermato, che Giuliano fu il solo Principe dopo GiulioCesare, che arringò nel Senato. Tutti i predecessori di Nerone, (Tacit. Annal.XIII. 3) e molti de' suoi successori possederono la facoltà di parlare in pubbli-co; e si potrebbe provare con varj esempj, ch'essi l'esercitarono frequentementein Senato.

394Ammiano (XXII. 10.) ha imparzialmente narrati i meriti, ed i difetti dellesue processure giudiciali. Libanio (Orat. parent. c. 90. 91. p. 315.) ha vedutosolo il lato buono, e la sua pittura, se adula la persona, esprime almeno i doveridel giudice. Gregorio Nazianzeno (Orat. IV. p. 120.) che sopprime le virtù, edesagera eziandio i più piccoli difetti dell'apostata, trionfalmente domanda, seun tal giudice fosse atto a sedere fra Minosse e Radamanto ne' campi elisi.

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conquistatori e di Re392.La faticosa amministrazione degli affari militari e ci-

vili, ch'eran moltiplicati a misura dell'estensionedell'Impero, esercitò l'abilità di Giuliano; ma egli di piùfrequentemente assumeva i caratteri di Oratore393, e diGiudice394, che son quasi incogniti a' moderni Sovranid'Europa. Le arti della persuasione, sì diligentementecoltivate da' primi Cesari, si trascurarono dalla militarignoranza e dall'Asiatico orgoglio de' lor successori; e secondiscendevano ad arringare i soldati, ch'essi temeva-no, trattavan con tacito orgoglio i Senatori, che disprez-zavano. Le assemblee del Senato, che s'erano evitate daCostanzo, si risguardarono da Giuliano come il luogo

Argo, ma queste Città che fiorirono alternativamente, son confuse fra loro da'Poeti Greci. Strab. l. VIII. p. 879. edit. Amstel. 1707.

392Marsham. Can. Chron. p. 420. Questa provenienza da Temeno ed Ercolepuò esser sospetta; pure fu accordata dopo un rigoroso esame da' giudici de'giuochi Olimpici (Erodoto l. V. c. 22.) in un tempo nel quale i Re di Macedoniaeran oscuri, e non popolari nella Grecia. Quando la lega Achea si dichiarò con-tro Filippo, fu creduto conveniente, che i deputati d'Argo si ritirassero. T. Liv.XXXII.

393È celebrata la sua eloquenza da Libanio (Orat. parent. c. 75. 76. p. 300.301.) che fa menzione distintamente degli Oratori d'Omero. Socrate (l. III c. 1.)ha imprudentemente affermato, che Giuliano fu il solo Principe dopo GiulioCesare, che arringò nel Senato. Tutti i predecessori di Nerone, (Tacit. Annal.XIII. 3) e molti de' suoi successori possederono la facoltà di parlare in pubbli-co; e si potrebbe provare con varj esempj, ch'essi l'esercitarono frequentementein Senato.

394Ammiano (XXII. 10.) ha imparzialmente narrati i meriti, ed i difetti dellesue processure giudiciali. Libanio (Orat. parent. c. 90. 91. p. 315.) ha vedutosolo il lato buono, e la sua pittura, se adula la persona, esprime almeno i doveridel giudice. Gregorio Nazianzeno (Orat. IV. p. 120.) che sopprime le virtù, edesagera eziandio i più piccoli difetti dell'apostata, trionfalmente domanda, seun tal giudice fosse atto a sedere fra Minosse e Radamanto ne' campi elisi.

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dove spiegar potesse con la maggior decenza le massi-me di un repubblicano, ed i talenti di un retore. Alterna-tivamente praticava, come in una scuola di declamazio-ne, le varie maniere di lode, di censura, di esortazione;ed il suo amico Libanio ha osservato, che lo studiod'Omero insegnogli ad imitare il semplice e conciso stiledi Menelao, la copia di Nestore, di cui le parole cadeva-no come fiocchi di neve nell'inverno, o la forte e pateti-ca eloquenza d'Ulisse. Le funzioni di Giudice, che sonoalle volte incompatibili con quelle di Principe, s'eserci-tavano da esso non solo come un dovere, ma eziandiocome un divertimento; e sebbene potesse fidarsidell'integrità, e del discernimento de' suoi Prefetti delPretorio, spesso tuttavia ponevasi loro a lato sul tribuna-le. L'acuta penetrazione della sua mente piacevolmentes'occupava in discoprire, ed abbattere i cavilli degli Av-vocati, che si studiavano di mascherare la verità de' fatti,e di pervertire il senso delle leggi. Qualche volta per al-tro dimenticò la gravità del suo posto, fece questioni in-discrete o inopportune, e dimostrò coll'alto suo tuono divoce, e coll'agitazione del corpo l'ardente veemenza concui sosteneva la sua opinione contro i Giudici, gli Avvo-cati e i loro clienti. Ma la cognizione che avea del pro-prio temperamento, fece sì che incoraggiasse, ed anchesollecitasse la riprensione de' suoi ministri ed amici; edogni volta ch'essi osavano d'opporsi all'impeto sregolatodi sue passioni, gli spettatori poterono osservare il ros-sore, ugualmente che la riconoscenza del loro Monarca.I decreti di Giuliano eran quasi sempre appoggiati a'

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dove spiegar potesse con la maggior decenza le massi-me di un repubblicano, ed i talenti di un retore. Alterna-tivamente praticava, come in una scuola di declamazio-ne, le varie maniere di lode, di censura, di esortazione;ed il suo amico Libanio ha osservato, che lo studiod'Omero insegnogli ad imitare il semplice e conciso stiledi Menelao, la copia di Nestore, di cui le parole cadeva-no come fiocchi di neve nell'inverno, o la forte e pateti-ca eloquenza d'Ulisse. Le funzioni di Giudice, che sonoalle volte incompatibili con quelle di Principe, s'eserci-tavano da esso non solo come un dovere, ma eziandiocome un divertimento; e sebbene potesse fidarsidell'integrità, e del discernimento de' suoi Prefetti delPretorio, spesso tuttavia ponevasi loro a lato sul tribuna-le. L'acuta penetrazione della sua mente piacevolmentes'occupava in discoprire, ed abbattere i cavilli degli Av-vocati, che si studiavano di mascherare la verità de' fatti,e di pervertire il senso delle leggi. Qualche volta per al-tro dimenticò la gravità del suo posto, fece questioni in-discrete o inopportune, e dimostrò coll'alto suo tuono divoce, e coll'agitazione del corpo l'ardente veemenza concui sosteneva la sua opinione contro i Giudici, gli Avvo-cati e i loro clienti. Ma la cognizione che avea del pro-prio temperamento, fece sì che incoraggiasse, ed anchesollecitasse la riprensione de' suoi ministri ed amici; edogni volta ch'essi osavano d'opporsi all'impeto sregolatodi sue passioni, gli spettatori poterono osservare il ros-sore, ugualmente che la riconoscenza del loro Monarca.I decreti di Giuliano eran quasi sempre appoggiati a'

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principi di giustizia; ed egli avea la fermezza di resisterealle più pericolose tentazioni, che assalgono il tribunald'un Sovrano sotto le speciose apparenze di compassio-ne, e d'equità. Decideva il merito della causa senza pe-sare le circostanze delle parti; ed il povero, ch'esso desi-derava di sollevare, veniva condannato a soddisfar legiuste domande di un nobile e ricco avversario. Distin-gueva con esattezza il giudice dal legislatore395; e quan-tunque meditasse di fare una riforma necessaria alla Ro-mana Giurisprudenza, pure pronunziava le sentenze se-condo la stretta e letterale interpretazione di quelle leg-gi, che i magistrati obbligati erano ad eseguire, ed i sud-diti ad osservare.

In generale, se i Principi, spogliati della porpora, fos-ser gettati nudi nel Mondo, essi cadrebbero immediata-mente nella classe più bassa della società, senza speran-za d'uscire dall'oscurità loro. Ma il merito personale diGiuliano era in qualche modo indipendente dalla suafortuna. Qualunque genere di vita avesse egli scelto, perla forza dell'intrepido suo coraggio, dello spirito vivace,e dell'intensa applicazione, avrebbe ottenuto, o almenomeritato i più alti onori della professione, che avesse ab-bracciato. Giuliano avrebbe potuto per se stesso innal-zarsi al grado di Ministro o di Generale in quello Stato,in cui fosse nato privato cittadino. Se il geloso capriccio

395Delle leggi, che Giuliano fece in un regno di sedici mesi, cinquantaquat-tro sono state ammesse ne' codici di Teodosio, e di Giustiniano (Gothofr.Chron. Leg. p. 64-67.) L'Ab. della Bleterie (T. II. p. 329-336.) ha scelto una diqueste leggi per dare un'idea dello stile latino di Giuliano, ch'è forte ed elabo-rato, ma men puro del suo stile Greco.

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principi di giustizia; ed egli avea la fermezza di resisterealle più pericolose tentazioni, che assalgono il tribunald'un Sovrano sotto le speciose apparenze di compassio-ne, e d'equità. Decideva il merito della causa senza pe-sare le circostanze delle parti; ed il povero, ch'esso desi-derava di sollevare, veniva condannato a soddisfar legiuste domande di un nobile e ricco avversario. Distin-gueva con esattezza il giudice dal legislatore395; e quan-tunque meditasse di fare una riforma necessaria alla Ro-mana Giurisprudenza, pure pronunziava le sentenze se-condo la stretta e letterale interpretazione di quelle leg-gi, che i magistrati obbligati erano ad eseguire, ed i sud-diti ad osservare.

In generale, se i Principi, spogliati della porpora, fos-ser gettati nudi nel Mondo, essi cadrebbero immediata-mente nella classe più bassa della società, senza speran-za d'uscire dall'oscurità loro. Ma il merito personale diGiuliano era in qualche modo indipendente dalla suafortuna. Qualunque genere di vita avesse egli scelto, perla forza dell'intrepido suo coraggio, dello spirito vivace,e dell'intensa applicazione, avrebbe ottenuto, o almenomeritato i più alti onori della professione, che avesse ab-bracciato. Giuliano avrebbe potuto per se stesso innal-zarsi al grado di Ministro o di Generale in quello Stato,in cui fosse nato privato cittadino. Se il geloso capriccio

395Delle leggi, che Giuliano fece in un regno di sedici mesi, cinquantaquat-tro sono state ammesse ne' codici di Teodosio, e di Giustiniano (Gothofr.Chron. Leg. p. 64-67.) L'Ab. della Bleterie (T. II. p. 329-336.) ha scelto una diqueste leggi per dare un'idea dello stile latino di Giuliano, ch'è forte ed elabo-rato, ma men puro del suo stile Greco.

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del potere avesse deluso le sue speranze; o s'egli avesseprudentemente deviato dal sentiero della grandezza,l'uso degli stessi talenti in una studiosa solitudine avreb-be posto la sua felicità presente e la sua fama immortaleal di sopra della giurisdizione dei Re. Quando noi guar-diamo con minuta, o forse malevola attenzione il ritrattodi Giuliano, sembra che manchi qualche cosa alla gra-zia, e perfezione dell'intiera figura. Il suo genio erameno potente e sublime di quello di Cesare, nè possede-va la consumata prudenza d'Augusto; le virtù di Traianoappariscono più stabili e naturali, e la filosofia di Marcoè più semplice e soda. Nondimeno Giuliano sostennel'avversità con fermezza, e la prosperità con moderazio-ne. Dopo lo spazio di centoventi anni dalla morted'Alessandro Severo, i Romani videro un Imperatore,che non distingueva i propri doveri da' suoi piaceri; cheprocurava di sollevare le angustie, e di far risorgere lospirito de' suoi sudditi; e che cercava sempre d'unirel'autorità con il merito e la felicità con la virtù. Anche lafazione, e la fazion religiosa fu costretta a riconoscere lasuperiorità del suo genio in pace ed in guerra, ed a con-fessare sospirando, che l'apostata Giuliano fu amantedella sua patria, e meritò l'Impero del Mondo396.

396Ductor fortissimus armis;Conditor et legum celeberrimus; ore manuqueConsultor patriae; sed non consultor habendaeReligionis; amans tercentum milia divum.Perfidus ille Deo, sed non et perfidus orbi.

Prudent. Apotheos. 450. Sembra che la coscienza d'un sentimento generoso

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del potere avesse deluso le sue speranze; o s'egli avesseprudentemente deviato dal sentiero della grandezza,l'uso degli stessi talenti in una studiosa solitudine avreb-be posto la sua felicità presente e la sua fama immortaleal di sopra della giurisdizione dei Re. Quando noi guar-diamo con minuta, o forse malevola attenzione il ritrattodi Giuliano, sembra che manchi qualche cosa alla gra-zia, e perfezione dell'intiera figura. Il suo genio erameno potente e sublime di quello di Cesare, nè possede-va la consumata prudenza d'Augusto; le virtù di Traianoappariscono più stabili e naturali, e la filosofia di Marcoè più semplice e soda. Nondimeno Giuliano sostennel'avversità con fermezza, e la prosperità con moderazio-ne. Dopo lo spazio di centoventi anni dalla morted'Alessandro Severo, i Romani videro un Imperatore,che non distingueva i propri doveri da' suoi piaceri; cheprocurava di sollevare le angustie, e di far risorgere lospirito de' suoi sudditi; e che cercava sempre d'unirel'autorità con il merito e la felicità con la virtù. Anche lafazione, e la fazion religiosa fu costretta a riconoscere lasuperiorità del suo genio in pace ed in guerra, ed a con-fessare sospirando, che l'apostata Giuliano fu amantedella sua patria, e meritò l'Impero del Mondo396.

396Ductor fortissimus armis;Conditor et legum celeberrimus; ore manuqueConsultor patriae; sed non consultor habendaeReligionis; amans tercentum milia divum.Perfidus ille Deo, sed non et perfidus orbi.

Prudent. Apotheos. 450. Sembra che la coscienza d'un sentimento generoso

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CAPITOLO XXIII.

Religione di Giuliano. Tolleranza universale. Tenta direstaurare il culto Pagano: di rifabbricare il tempio diGerusalemme. Persecuzione artificiosa de' Cristiani.

Zelo ed ingiustizia vicendevole.

Il carattere d'Apostata ha oltraggiato la riputazione diGiuliano; e l'entusiasmo, che ne adombrò le virtù, haesagerato la reale o apparente grandezza de' suoi difetti.La nostra parziale ignoranza ce lo può rappresentarecome un filosofo Sovrano, che procurò di proteggerecon ugual favore le religiose fazioni dell'Impero, e miti-gare la teologica febbre, che aveva infiammato le mentidel popolo, dagli editti di Diocleziano sino all'esiliod'Atanasio. Un esame però più accurato del carattere edella condotta di Giuliano ci toglierà questa favorevoleprevenzione per un Principe, che non fu esente dal gene-ral contagio de' suoi tempi. Abbiamo il singolar vantag-gio di poter confrontare fra loro le pitture, che ne sonostate fatte, sì da' suoi più appassionati ammiratori, chedagl'implacabili suoi nemici. Le azioni di Giuliano sonfedelmente riferite da un giudizioso e candido Istorico,imparziale spettatore della vita e della morte di esso.L'unanime testimonianza de' suoi contemporanei vieneconfermata dalle pubbliche e private dichiarazionidell'Imperatore medesimo; ed i suoi varj scritti esprimo-

abbia innalzato il Poeta Cristiano sopra la solita sua mediocrità.

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CAPITOLO XXIII.

Religione di Giuliano. Tolleranza universale. Tenta direstaurare il culto Pagano: di rifabbricare il tempio diGerusalemme. Persecuzione artificiosa de' Cristiani.

Zelo ed ingiustizia vicendevole.

Il carattere d'Apostata ha oltraggiato la riputazione diGiuliano; e l'entusiasmo, che ne adombrò le virtù, haesagerato la reale o apparente grandezza de' suoi difetti.La nostra parziale ignoranza ce lo può rappresentarecome un filosofo Sovrano, che procurò di proteggerecon ugual favore le religiose fazioni dell'Impero, e miti-gare la teologica febbre, che aveva infiammato le mentidel popolo, dagli editti di Diocleziano sino all'esiliod'Atanasio. Un esame però più accurato del carattere edella condotta di Giuliano ci toglierà questa favorevoleprevenzione per un Principe, che non fu esente dal gene-ral contagio de' suoi tempi. Abbiamo il singolar vantag-gio di poter confrontare fra loro le pitture, che ne sonostate fatte, sì da' suoi più appassionati ammiratori, chedagl'implacabili suoi nemici. Le azioni di Giuliano sonfedelmente riferite da un giudizioso e candido Istorico,imparziale spettatore della vita e della morte di esso.L'unanime testimonianza de' suoi contemporanei vieneconfermata dalle pubbliche e private dichiarazionidell'Imperatore medesimo; ed i suoi varj scritti esprimo-

abbia innalzato il Poeta Cristiano sopra la solita sua mediocrità.

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no l'uniforme tenore de' religiosi sentimenti di lui, che lapolitica avrebbe dovuti fargli piuttosto dissimulare cheaffettare. Un divoto e sincero attaccamento agli Deid'Atene e di Roma formava la dominante passion diGiuliano397; le facoltà d'un intelletto illuminato furontradite e corrotte dalla forza d'un superstizioso pregiudi-zio; ed i fantasmi, ch'esistevano soltanto nella mentedell'Imperatore, produssero un reale e pernicioso effettosul governo dell'Impero. Il veemente zelo de' Cristiani,che disprezzavano il culto, e rovesciavan gli altari diquelle favolose divinità, trasse il loro devoto in uno sta-to d'irreconciliabile ostilità con una numerosa porzionedi sudditi; ed egli fu qualche volta tentato dal desideriodella vittoria, dalla vergogna della ripulsa, a violar leleggi della prudenza ed anche della giustizia. Il trionfodel partito, ch'egli abbandonò ed a cui s'oppose, hastampato una macchia d'infamia sul nome di Giuliano;ed il disgraziato Apostata è stato oppresso da un torrentedi pie invettive, il segnal delle quali fu dato dalla sonora

397Io trascriverò alcune delle sue proprie espressioni, tolte da un breve di-scorso religioso, che compose il Pontefice Imperiale per censurare l'ardita em-pietà d'un Cinico. Αλλ' οµως ουτω δη τιτουςουτ βεους πεφρικα, και φιλω,καισεβω, και αξοµαι, και πανθ' απλως τα τοιαυτα προς αυτους πασχω, οςαπεραν τις και οια προς αγαθους δεςποτας, προς διδασκαλους, προς πατερα, προςκηδεµονας. Ma in tal maniera ho temuto ed amo, venero e rispetto gli Dei, e fogeneralmente verso di loro tutto ciò che potrebbe farsi verso de' buoni padro-ni, de' maestri, de' padri, de' tutori. VII. p. 212. La varietà e la copia della lin-gua Greca non sembra sufficiente al fervore della sua devozione.

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no l'uniforme tenore de' religiosi sentimenti di lui, che lapolitica avrebbe dovuti fargli piuttosto dissimulare cheaffettare. Un divoto e sincero attaccamento agli Deid'Atene e di Roma formava la dominante passion diGiuliano397; le facoltà d'un intelletto illuminato furontradite e corrotte dalla forza d'un superstizioso pregiudi-zio; ed i fantasmi, ch'esistevano soltanto nella mentedell'Imperatore, produssero un reale e pernicioso effettosul governo dell'Impero. Il veemente zelo de' Cristiani,che disprezzavano il culto, e rovesciavan gli altari diquelle favolose divinità, trasse il loro devoto in uno sta-to d'irreconciliabile ostilità con una numerosa porzionedi sudditi; ed egli fu qualche volta tentato dal desideriodella vittoria, dalla vergogna della ripulsa, a violar leleggi della prudenza ed anche della giustizia. Il trionfodel partito, ch'egli abbandonò ed a cui s'oppose, hastampato una macchia d'infamia sul nome di Giuliano;ed il disgraziato Apostata è stato oppresso da un torrentedi pie invettive, il segnal delle quali fu dato dalla sonora

397Io trascriverò alcune delle sue proprie espressioni, tolte da un breve di-scorso religioso, che compose il Pontefice Imperiale per censurare l'ardita em-pietà d'un Cinico. Αλλ' οµως ουτω δη τιτουςουτ βεους πεφρικα, και φιλω,καισεβω, και αξοµαι, και πανθ' απλως τα τοιαυτα προς αυτους πασχω, οςαπεραν τις και οια προς αγαθους δεςποτας, προς διδασκαλους, προς πατερα, προςκηδεµονας. Ma in tal maniera ho temuto ed amo, venero e rispetto gli Dei, e fogeneralmente verso di loro tutto ciò che potrebbe farsi verso de' buoni padro-ni, de' maestri, de' padri, de' tutori. VII. p. 212. La varietà e la copia della lin-gua Greca non sembra sufficiente al fervore della sua devozione.

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tromba398 di Gregorio Nazianzeno399. L'interessante na-tura degli avvenimenti, ammucchiati nel breve regno diquest'operativo Imperatore, merita una giusta e circo-stanziata narrazione. I motivi, i consigli e le azioni delmedesimo, in quanto sono connesse coll'istoria della re-ligione, formeranno il soggetto del presente capitolo.

Può esser derivata la causa della strana e fatale apo-stasia di Giuliano dal tempo della sua più tenera età, incui restò orfano nelle mani degli uccisori di sua fami-glia. S'associarono tosto i nomi di Cristo e di Costanzo,le idee di schiavitù e di religione in una giovenil imma-ginativa, suscettibile delle più vive impressioni. Fu affi-data la cura della sua puerizia ad Eusebio Vescovo diNicomedia400, che gli era congiunto per parte di madre;e fino all'età di vent'anni ricevè da' Cristiani suoi precet-tori l'educazione non già da eroe, ma da santo. L'Impe-

398L'oratore con qualche eloquenza, con molto entusiasmo e con più vanitàindirizza il suo discorso al cielo e alla terra, agli uomini e agli angeli, a' vivi eda' morti, e specialmente al gran Costanzo Ει πως αιςθησις ec. se pure è capacedi sentimento, inadequata espressione Pagana ec. Ei conclude, con ardita sicu-rezza, che ha eretto un monumento non meno durevole, e molto più maneggia-bile delle colonne di Ercole. Vedi Greg. Naz. Orat. III. p. 50. IV. p. 134.

399Vedasi questa lunga invettiva, ch'è stata con poco senno divisa in dueOrazioni nelle Opere di Gregorio Tom. I p. 49-134. Parigi 1630. Fu pubblicatada Gregorio, e dal suo amico Basilio (IV. p. 133) circa sei mesi dopo la mortedi Giuliano, quando fu trasportato il suo corpo a Tarso (IV. p. 120), mentreGioviano era tuttora sul Trono (III. p. 54. IV. p. 117). Io ho tratto grand'aiuto dauna traduzione Francese, e dalle note impresse a Lione nel 1735.

400Nicomediae ab Eusebio educatus Episcopo, quem genere longius contin-gebat. Ammiano XXII. 9. Giuliano non dimostra mai gratitudine alcuna versol'Arriano Prelato; ma celebra l'eunuco Mardonio suo precettore, e descrive lasua maniera d'educarlo, che inspirò nell'allievo una forte ammirazione pel ge-nio, e forse per la religione d'Omero. Misopogon p. 351. 352.

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tromba398 di Gregorio Nazianzeno399. L'interessante na-tura degli avvenimenti, ammucchiati nel breve regno diquest'operativo Imperatore, merita una giusta e circo-stanziata narrazione. I motivi, i consigli e le azioni delmedesimo, in quanto sono connesse coll'istoria della re-ligione, formeranno il soggetto del presente capitolo.

Può esser derivata la causa della strana e fatale apo-stasia di Giuliano dal tempo della sua più tenera età, incui restò orfano nelle mani degli uccisori di sua fami-glia. S'associarono tosto i nomi di Cristo e di Costanzo,le idee di schiavitù e di religione in una giovenil imma-ginativa, suscettibile delle più vive impressioni. Fu affi-data la cura della sua puerizia ad Eusebio Vescovo diNicomedia400, che gli era congiunto per parte di madre;e fino all'età di vent'anni ricevè da' Cristiani suoi precet-tori l'educazione non già da eroe, ma da santo. L'Impe-

398L'oratore con qualche eloquenza, con molto entusiasmo e con più vanitàindirizza il suo discorso al cielo e alla terra, agli uomini e agli angeli, a' vivi eda' morti, e specialmente al gran Costanzo Ει πως αιςθησις ec. se pure è capacedi sentimento, inadequata espressione Pagana ec. Ei conclude, con ardita sicu-rezza, che ha eretto un monumento non meno durevole, e molto più maneggia-bile delle colonne di Ercole. Vedi Greg. Naz. Orat. III. p. 50. IV. p. 134.

399Vedasi questa lunga invettiva, ch'è stata con poco senno divisa in dueOrazioni nelle Opere di Gregorio Tom. I p. 49-134. Parigi 1630. Fu pubblicatada Gregorio, e dal suo amico Basilio (IV. p. 133) circa sei mesi dopo la mortedi Giuliano, quando fu trasportato il suo corpo a Tarso (IV. p. 120), mentreGioviano era tuttora sul Trono (III. p. 54. IV. p. 117). Io ho tratto grand'aiuto dauna traduzione Francese, e dalle note impresse a Lione nel 1735.

400Nicomediae ab Eusebio educatus Episcopo, quem genere longius contin-gebat. Ammiano XXII. 9. Giuliano non dimostra mai gratitudine alcuna versol'Arriano Prelato; ma celebra l'eunuco Mardonio suo precettore, e descrive lasua maniera d'educarlo, che inspirò nell'allievo una forte ammirazione pel ge-nio, e forse per la religione d'Omero. Misopogon p. 351. 352.

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ratore, meno geloso della corona celeste, che della terre-na, si contentava dell'imperfetto carattere di catecume-no, mentre largiva i vantaggi del battesimo401 a' nipoti diCostantino402. I quali furono ammessi fino agli uffizi mi-nori dell'Ordine ecclesiastico; e Giuliano pubblicamentelesse le sacre scritture nella Chiesa di Nicomedia. Lostudio della religione, che assiduamente facevano, parveche producesse i più bei frutti di fede e di devozione403.Essi pregavano, digiunavano, dispensavano elemosine a'poveri, doni al Clero, ed oblazioni alle tombe de' marti-ri, e lo splendido monumento di S. Mamas a Cesarea fueretto, o almeno intrapreso, congiuntamente per opera diGallo e di Giuliano404; conversavan rispettosamente co'Vescovi più eminenti per la lor santità, e chiedevano labenedizione a' Monaci ed agli eremiti, che avevano in-trodotto in Cappadocia i volontari travagli della vitaascetica405. A misura che i due Principi s'avanzavano

401Gregor. Nazianz. III. p. 70. Egli procurò di cancellare quel santo segnonel sangue, forse, d'un Taurobolo. Baron. Annal. Eccl. an. 361. n. 3. 4.

402Giuliano stesso (Epist. 51. p. 454.) assicura gli Alessandrini, ch'egli erastato Cristiano (deve intendere sincero) fino all'età di vent'anni.

403Vedi la sua cristiana ed eziandio ecclesiastica educazione presso Grego-rio (III. p. 58.), Socrate (l. II. c. 1.) e Sozomeno (IV. c. 2). Poco mancò che nonfosse un Vescovo, e forse un Santo.

404La parte dell'opera, ch'era toccata a Gallo, fu proseguita con vigore ebuon successo; ma la terra ostinatamente rigettava e distruggeva le moli ches'erigevano dalla sacrilega mano di Giuliano. Greg. III. p. 59. 60. 61. Questoparzial terremoto, attestato da molti spettatori viventi, dovrebbe essere uno de'più chiari miracoli nell'Istoria Ecclesiastica.

405Il Filosofo (Fragm. p. 288.) mette in ridicolo le catene di ferro di questisolitari fanatici (Vedi Tillemont. Mem. Eccl. Tom. IX. p. 661. 662.), che s'erandimenticati, che l'uomo è di sua natura un animale gentile e socievole,ανθρωπου, φυσει πολιτικου ξωου και ιµεριου. Il Pagano suppone ch'essi fosse-

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ratore, meno geloso della corona celeste, che della terre-na, si contentava dell'imperfetto carattere di catecume-no, mentre largiva i vantaggi del battesimo401 a' nipoti diCostantino402. I quali furono ammessi fino agli uffizi mi-nori dell'Ordine ecclesiastico; e Giuliano pubblicamentelesse le sacre scritture nella Chiesa di Nicomedia. Lostudio della religione, che assiduamente facevano, parveche producesse i più bei frutti di fede e di devozione403.Essi pregavano, digiunavano, dispensavano elemosine a'poveri, doni al Clero, ed oblazioni alle tombe de' marti-ri, e lo splendido monumento di S. Mamas a Cesarea fueretto, o almeno intrapreso, congiuntamente per opera diGallo e di Giuliano404; conversavan rispettosamente co'Vescovi più eminenti per la lor santità, e chiedevano labenedizione a' Monaci ed agli eremiti, che avevano in-trodotto in Cappadocia i volontari travagli della vitaascetica405. A misura che i due Principi s'avanzavano

401Gregor. Nazianz. III. p. 70. Egli procurò di cancellare quel santo segnonel sangue, forse, d'un Taurobolo. Baron. Annal. Eccl. an. 361. n. 3. 4.

402Giuliano stesso (Epist. 51. p. 454.) assicura gli Alessandrini, ch'egli erastato Cristiano (deve intendere sincero) fino all'età di vent'anni.

403Vedi la sua cristiana ed eziandio ecclesiastica educazione presso Grego-rio (III. p. 58.), Socrate (l. II. c. 1.) e Sozomeno (IV. c. 2). Poco mancò che nonfosse un Vescovo, e forse un Santo.

404La parte dell'opera, ch'era toccata a Gallo, fu proseguita con vigore ebuon successo; ma la terra ostinatamente rigettava e distruggeva le moli ches'erigevano dalla sacrilega mano di Giuliano. Greg. III. p. 59. 60. 61. Questoparzial terremoto, attestato da molti spettatori viventi, dovrebbe essere uno de'più chiari miracoli nell'Istoria Ecclesiastica.

405Il Filosofo (Fragm. p. 288.) mette in ridicolo le catene di ferro di questisolitari fanatici (Vedi Tillemont. Mem. Eccl. Tom. IX. p. 661. 662.), che s'erandimenticati, che l'uomo è di sua natura un animale gentile e socievole,ανθρωπου, φυσει πολιτικου ξωου και ιµεριου. Il Pagano suppone ch'essi fosse-

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verso la virilità, dimostravano ne' religiosi lor sentimentila differenza de' loro caratteri. Il tardo ed ostinato inge-gno di Gallo con implicito zelo abbracciò le dottrine delCristianesimo, che non influirono mai sulla sua condot-ta, nè moderarono le sue passioni. La mansueta indoledel fratello minore fu meno ripugnante a' precetti delVangelo, e la sua attiva curiosità potè restar soddisfattada un sistema teologico, che spiega la misteriosa essen-za di Dio, ed apre un infinito prospetto d'invisibili e fu-turi Mondi. Ma l'indipendente spirito di Giuliano ricusòdi cedere alla passiva ed irresistente obbedienza, ch'esi-gevasi a nome della Religione dagli altieri Ministri dellaChiesa. Imponevano essi le loro speculative opinionicome leggi positive, sostenute da terrori di eterne pene;ma mentre prescrivevano il rigido formulario de' pensie-ri, delle parole, e delle azioni del giovane Principe;mentre facevan tacere le sue obbiezioni; e severamentefrenavan la libertà delle sue ricerche, segretamente pro-vocavano l'impaziente suo ingegno a ricusar l'autoritàdelle sue ecclesiastiche guide. Era egli educato nell'AsiaMinore fra gli scandali della controversia Arriana406. Lefiere contese de' Vescovi Orientali, le continue alterazio-ni de' loro simboli ed i motivi profani, che sembravanoagire sulla lor condotta, insensibilmente fortificarono ilpregiudizio di Giuliano, che essi non intendessero nèro posseduti e tormentati da' cattivi spiriti, perchè avevano rinunziato agli Dei.

406Vedi Giuliano ap. Cirill. l. VI. p. 206. l. VIII. p. 253-262. Voi perseguita-te, dic'egli, quegli Eretici, che non piangono l'uomo morto precisamente nelmodo che voi approvate. Egli si dimostra tollerabil teologo; ma sostiene, che laTrinità Cristiana non è derivata dalla dottrina di Paolo, di Gesù, o di Mosè.

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verso la virilità, dimostravano ne' religiosi lor sentimentila differenza de' loro caratteri. Il tardo ed ostinato inge-gno di Gallo con implicito zelo abbracciò le dottrine delCristianesimo, che non influirono mai sulla sua condot-ta, nè moderarono le sue passioni. La mansueta indoledel fratello minore fu meno ripugnante a' precetti delVangelo, e la sua attiva curiosità potè restar soddisfattada un sistema teologico, che spiega la misteriosa essen-za di Dio, ed apre un infinito prospetto d'invisibili e fu-turi Mondi. Ma l'indipendente spirito di Giuliano ricusòdi cedere alla passiva ed irresistente obbedienza, ch'esi-gevasi a nome della Religione dagli altieri Ministri dellaChiesa. Imponevano essi le loro speculative opinionicome leggi positive, sostenute da terrori di eterne pene;ma mentre prescrivevano il rigido formulario de' pensie-ri, delle parole, e delle azioni del giovane Principe;mentre facevan tacere le sue obbiezioni; e severamentefrenavan la libertà delle sue ricerche, segretamente pro-vocavano l'impaziente suo ingegno a ricusar l'autoritàdelle sue ecclesiastiche guide. Era egli educato nell'AsiaMinore fra gli scandali della controversia Arriana406. Lefiere contese de' Vescovi Orientali, le continue alterazio-ni de' loro simboli ed i motivi profani, che sembravanoagire sulla lor condotta, insensibilmente fortificarono ilpregiudizio di Giuliano, che essi non intendessero nèro posseduti e tormentati da' cattivi spiriti, perchè avevano rinunziato agli Dei.

406Vedi Giuliano ap. Cirill. l. VI. p. 206. l. VIII. p. 253-262. Voi perseguita-te, dic'egli, quegli Eretici, che non piangono l'uomo morto precisamente nelmodo che voi approvate. Egli si dimostra tollerabil teologo; ma sostiene, che laTrinità Cristiana non è derivata dalla dottrina di Paolo, di Gesù, o di Mosè.

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credessero la Religione, per la quale sì ardentementecombattevano. In vece di dar orecchio alle prove delCristianesimo con quella favorevole attenzione che ag-giunge peso alla testimonianza più rispettabile, egliascoltava con sospetto, poneva in dubbio con ostinazio-ne ed acutezza le dottrine, per le quali aveva già conce-pito un'avversione invincibile. Ogni volta che si facevacomporre ai giovani Principi qualche declamazione so-pra le controversie allora correnti, Giuliano si dichiaravasempre avvocato del Paganesimo sotto lo spezioso pre-testo, che la sua dottrina o cultura si sarebbe esercitata espiegata più vantaggiosamente in difesa della causa piùdebole.

Appena Gallo fu investito dell'onor della porpora,venne permesso a Giuliano di respirar l'aria della libertà,della letteratura, e del Paganesimo407. La schiera de' so-fisti, ch'erano attratti dal gusto e dalla liberalità del loroAllievo reale, avea formato una stretta lega fra il saperee la religione della Grecia; ed i poemi d'Omero, inveced'esser ammirati come originali produzioni dell'ingegnoumano, venivano seriamente attribuiti alla celeste inspi-razione d'Apollo e delle Muse. Le deità dell'Olimpo,quali sono dipinte dal vate immortale, s'imprimono nellementi anche le meno portate alla superstiziosa credulità.La famigliar cognizione, che abbiamo de' loro nomi ecaratteri, le loro forme ed attributi, pare che diano aquesti aerei soggetti una reale e sostanzial esistenza, ed

407Liban. Orat. parent. n. 9. 10. p. 232. Greg. Naz. Orat. III, p. 61. Eunap.Vit. sophist. in Maximo p. 68. 69. 70. Edit. Commelin.

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credessero la Religione, per la quale sì ardentementecombattevano. In vece di dar orecchio alle prove delCristianesimo con quella favorevole attenzione che ag-giunge peso alla testimonianza più rispettabile, egliascoltava con sospetto, poneva in dubbio con ostinazio-ne ed acutezza le dottrine, per le quali aveva già conce-pito un'avversione invincibile. Ogni volta che si facevacomporre ai giovani Principi qualche declamazione so-pra le controversie allora correnti, Giuliano si dichiaravasempre avvocato del Paganesimo sotto lo spezioso pre-testo, che la sua dottrina o cultura si sarebbe esercitata espiegata più vantaggiosamente in difesa della causa piùdebole.

Appena Gallo fu investito dell'onor della porpora,venne permesso a Giuliano di respirar l'aria della libertà,della letteratura, e del Paganesimo407. La schiera de' so-fisti, ch'erano attratti dal gusto e dalla liberalità del loroAllievo reale, avea formato una stretta lega fra il saperee la religione della Grecia; ed i poemi d'Omero, inveced'esser ammirati come originali produzioni dell'ingegnoumano, venivano seriamente attribuiti alla celeste inspi-razione d'Apollo e delle Muse. Le deità dell'Olimpo,quali sono dipinte dal vate immortale, s'imprimono nellementi anche le meno portate alla superstiziosa credulità.La famigliar cognizione, che abbiamo de' loro nomi ecaratteri, le loro forme ed attributi, pare che diano aquesti aerei soggetti una reale e sostanzial esistenza, ed

407Liban. Orat. parent. n. 9. 10. p. 232. Greg. Naz. Orat. III, p. 61. Eunap.Vit. sophist. in Maximo p. 68. 69. 70. Edit. Commelin.

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il piacevol incanto produce un imperfetto e momentaneoassenso dell'immaginazione a quelle favole, che sono lepiù ripugnanti alla nostra ragione ed esperienza. Nell'etàdi Giuliano i magnifici tempj della Grecia e dell'Asia; leopere di quegli artefici, che avevano espresso colla pit-tura o colla scultura i divini concetti del Poeta; la pompadelle feste e de' sacrifizj; le arti fortunate della divina-zione; le popolari tradizioni degli oracoli e de' prodigi,l'antica pratica di duemila anni, ogni circostanza in som-ma contribuiva ad accrescere e fortificar l'illusione. Ladebolezza del politeismo era in qualche modo scusatadalla moderazione di ciò che esigeva, e la devozione de'Pagani non era incompatibile col più libero scettici-smo408. Invece d'un indivisibile e regolar sistema che oc-cupa tutta l'estensione della mente che crede, la mitolo-gia de' Greci era composta di mille sciolte e flessibiliparti, ed il servo degli Dei poteva liberamente determi-nare il grado e la misura della religiosa sua fede. Il sim-bolo che Giuliano adottò per suo uso, aveva le più am-pie dimensioni; e, per una strana contraddizione, sdegnòil giogo salutare del Vangelo, mentre fece una volontariaofferta della sua ragione su gli altari di Giove e d'Apol-lo. Una delle orazioni di Giuliano è consacrata in onoredi Cibele, madre degli Iddii, ch'esigeva dagli effeminatisacerdoti suoi il sanguinoso sacrifizio, sì temerariamen-

408Un moderno Filosofo ha ingegnosamente paragonate le differenti opera-zioni del Teismo, e del Politeismo, rispetto al dubbio e alla persuasione cheproducono nello spirito umano. Vedi Hume Sagg. II. p. 444, 457 in 8. Edit.1777.

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il piacevol incanto produce un imperfetto e momentaneoassenso dell'immaginazione a quelle favole, che sono lepiù ripugnanti alla nostra ragione ed esperienza. Nell'etàdi Giuliano i magnifici tempj della Grecia e dell'Asia; leopere di quegli artefici, che avevano espresso colla pit-tura o colla scultura i divini concetti del Poeta; la pompadelle feste e de' sacrifizj; le arti fortunate della divina-zione; le popolari tradizioni degli oracoli e de' prodigi,l'antica pratica di duemila anni, ogni circostanza in som-ma contribuiva ad accrescere e fortificar l'illusione. Ladebolezza del politeismo era in qualche modo scusatadalla moderazione di ciò che esigeva, e la devozione de'Pagani non era incompatibile col più libero scettici-smo408. Invece d'un indivisibile e regolar sistema che oc-cupa tutta l'estensione della mente che crede, la mitolo-gia de' Greci era composta di mille sciolte e flessibiliparti, ed il servo degli Dei poteva liberamente determi-nare il grado e la misura della religiosa sua fede. Il sim-bolo che Giuliano adottò per suo uso, aveva le più am-pie dimensioni; e, per una strana contraddizione, sdegnòil giogo salutare del Vangelo, mentre fece una volontariaofferta della sua ragione su gli altari di Giove e d'Apol-lo. Una delle orazioni di Giuliano è consacrata in onoredi Cibele, madre degli Iddii, ch'esigeva dagli effeminatisacerdoti suoi il sanguinoso sacrifizio, sì temerariamen-

408Un moderno Filosofo ha ingegnosamente paragonate le differenti opera-zioni del Teismo, e del Politeismo, rispetto al dubbio e alla persuasione cheproducono nello spirito umano. Vedi Hume Sagg. II. p. 444, 457 in 8. Edit.1777.

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te fatto dalla pazzia del fanciullo di Frigia. Il pio Impe-ratore condiscende fino a riferire senza rossore e senzariso il viaggio della Dea da' lidi di Pergamo all'imbocca-tura del Tevere, e lo stupendo miracolo, che convinse ilSenato ed il Popolo di Roma che il pezzo di terra, che iloro ambasciatori avean trasportato sul mare, avea vita esentimento e divino potere409. Per la verità di tal prodi-gio egli si appella a' pubblici monumenti della città, ecensura, con qualche acrimonia, l'infermo ed affettatogusto di quelli, che impertinentemente deridono le sacretradizioni de' loro Maggiori410.

Ma il devoto Filosofo, che sinceramente abbracciava,e caldamente incoraggiava la superstizione del popolo, ase stesso riservava il privilegio di una libera interpreta-zione; e passava in silenzio dal piè dell'altare all'interiorsantuario del Tempio. La stravaganza della Greca mito-logia proclamava con chiara ed intelligibile voce, che ilpio investigatore invece di scandalizzarsi, o soddisfarsi

409La Madre Idea sbarcò in Italia verso il fine della seconda guerra Punica.Il miracolo di Claudia, vergine o matrona che fosse, la quale purgò la sua famacoll'infamar la più grave modestia delle Dame Romane, è attestato da una folladi testimonj. I loro attestati si son raccolti da Drakenborch (ad Sil. Ital. XVII.33). Ma noi possiam osservare che Livio (XXIX. 14) passa sopra il fatto conprudente ambiguità.

410Io non posso ritenermi dal trascrivere l'enfatiche parole di Giuliano: εµοιδε δοκει ταις πολεσι πιςευειν µαλλον τα τοιαυτα, ή τουτοισι τοις κοµψοις, ωντο ψυχαριον δριµυ µεν, υγιες δε ουδε έν βλεπει. A me sembra, che si debbacredere in tali cose piuttosto alle città, che a questi faceti, lo spirito de' quali èacuto, ma non sano in discernere. Orat. V. p. 161. Giuliano similmente dichia-ra la ferma sua fede negli Ancili, o ne' sacri scudi che caddero dal Cielo sulcolle Quirinale; e compassiona la strana cecità de' Cristiani, che preferivano laCroce a questi celesti trofei. Apud Cyrill. l. VI. p. 194.

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te fatto dalla pazzia del fanciullo di Frigia. Il pio Impe-ratore condiscende fino a riferire senza rossore e senzariso il viaggio della Dea da' lidi di Pergamo all'imbocca-tura del Tevere, e lo stupendo miracolo, che convinse ilSenato ed il Popolo di Roma che il pezzo di terra, che iloro ambasciatori avean trasportato sul mare, avea vita esentimento e divino potere409. Per la verità di tal prodi-gio egli si appella a' pubblici monumenti della città, ecensura, con qualche acrimonia, l'infermo ed affettatogusto di quelli, che impertinentemente deridono le sacretradizioni de' loro Maggiori410.

Ma il devoto Filosofo, che sinceramente abbracciava,e caldamente incoraggiava la superstizione del popolo, ase stesso riservava il privilegio di una libera interpreta-zione; e passava in silenzio dal piè dell'altare all'interiorsantuario del Tempio. La stravaganza della Greca mito-logia proclamava con chiara ed intelligibile voce, che ilpio investigatore invece di scandalizzarsi, o soddisfarsi

409La Madre Idea sbarcò in Italia verso il fine della seconda guerra Punica.Il miracolo di Claudia, vergine o matrona che fosse, la quale purgò la sua famacoll'infamar la più grave modestia delle Dame Romane, è attestato da una folladi testimonj. I loro attestati si son raccolti da Drakenborch (ad Sil. Ital. XVII.33). Ma noi possiam osservare che Livio (XXIX. 14) passa sopra il fatto conprudente ambiguità.

410Io non posso ritenermi dal trascrivere l'enfatiche parole di Giuliano: εµοιδε δοκει ταις πολεσι πιςευειν µαλλον τα τοιαυτα, ή τουτοισι τοις κοµψοις, ωντο ψυχαριον δριµυ µεν, υγιες δε ουδε έν βλεπει. A me sembra, che si debbacredere in tali cose piuttosto alle città, che a questi faceti, lo spirito de' quali èacuto, ma non sano in discernere. Orat. V. p. 161. Giuliano similmente dichia-ra la ferma sua fede negli Ancili, o ne' sacri scudi che caddero dal Cielo sulcolle Quirinale; e compassiona la strana cecità de' Cristiani, che preferivano laCroce a questi celesti trofei. Apud Cyrill. l. VI. p. 194.

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del senso letterale, dovesse diligentemente esplorar laocculta sapienza che s'era nascosta dalla prudenzadell'Antichità sotto la maschera della favola e della fol-lia411. I Filosofi della scuola Platonica412, Plotino, Porfi-rio, ed il divino Jamblico erano ammirati come i piùdotti maestri di quest'allegorica scienza, che cercava dimitigare, e di render coerenti le deformi fattezze del Pa-ganesimo. Giuliano medesimo, che fu diretto nella mi-steriosa ricerca da Edesio, venerabile successore di Jam-blico, aspirava al possesso d'un tesoro, che (se dee cre-dersi alle sue solenni asserzioni) egli stimava molto piùdell'Impero del Mondo413. In fatti era un tesoro che trae-va il suo valore solo dall'opinione; ed ogni artefice chesi lusingava d'aver estratto il prezioso metallo dalle sco-rie che lo circondavano, avea un egual diritto di dargli lafigura ed il nome, che più piaceva alla sua particolarfantasia. La favola d'Ati e di Cibele s'era già spiegata daPorfirio; ma le sue fatiche non servirono che ad animarla pietosa industria di Giuliano, che inventò e pubblicòla nuova sua allegoria di quella mistica ed antica favola.Questa libertà d'interpretazione, che parea soddisfare

411Vedi i principj d'allegoria, appresso Giuliano (Orat. VII. p. 216. 222). Ilsuo ragionamento è meno assurdo di quello che alcuni moderni Teologi, i qualiasseriscono, che una stravagante o contraddittoria dottrina dev'esser divina,mentre nessuna persona vivente avrebbe potuto pensare ad inventarla.

412Eunapio ha fatto di questi Sofisti il soggetto d'una parziale e fanatica sto-ria; ed il dotto Brucher (Hist. Phil. T. II. p. 217-303) ha impiegato molta faticain illustrarne le oscure vite, e le incomprensibili dottrine.

413Giuliano (Orat. VII. p. 222) giura con la più fervida ed entusiastica devo-zione; e trema per paura di parlar troppo di que' santi misteri, che i profani conun empio sardonico riso potrebber beffare.

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del senso letterale, dovesse diligentemente esplorar laocculta sapienza che s'era nascosta dalla prudenzadell'Antichità sotto la maschera della favola e della fol-lia411. I Filosofi della scuola Platonica412, Plotino, Porfi-rio, ed il divino Jamblico erano ammirati come i piùdotti maestri di quest'allegorica scienza, che cercava dimitigare, e di render coerenti le deformi fattezze del Pa-ganesimo. Giuliano medesimo, che fu diretto nella mi-steriosa ricerca da Edesio, venerabile successore di Jam-blico, aspirava al possesso d'un tesoro, che (se dee cre-dersi alle sue solenni asserzioni) egli stimava molto piùdell'Impero del Mondo413. In fatti era un tesoro che trae-va il suo valore solo dall'opinione; ed ogni artefice chesi lusingava d'aver estratto il prezioso metallo dalle sco-rie che lo circondavano, avea un egual diritto di dargli lafigura ed il nome, che più piaceva alla sua particolarfantasia. La favola d'Ati e di Cibele s'era già spiegata daPorfirio; ma le sue fatiche non servirono che ad animarla pietosa industria di Giuliano, che inventò e pubblicòla nuova sua allegoria di quella mistica ed antica favola.Questa libertà d'interpretazione, che parea soddisfare

411Vedi i principj d'allegoria, appresso Giuliano (Orat. VII. p. 216. 222). Ilsuo ragionamento è meno assurdo di quello che alcuni moderni Teologi, i qualiasseriscono, che una stravagante o contraddittoria dottrina dev'esser divina,mentre nessuna persona vivente avrebbe potuto pensare ad inventarla.

412Eunapio ha fatto di questi Sofisti il soggetto d'una parziale e fanatica sto-ria; ed il dotto Brucher (Hist. Phil. T. II. p. 217-303) ha impiegato molta faticain illustrarne le oscure vite, e le incomprensibili dottrine.

413Giuliano (Orat. VII. p. 222) giura con la più fervida ed entusiastica devo-zione; e trema per paura di parlar troppo di que' santi misteri, che i profani conun empio sardonico riso potrebber beffare.

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l'orgoglio de' Platonici, manifestò la vanità di lor arte.Senza un noioso ragguaglio, il moderno lettore formarnon si potrebbe una giusta idea delle strane allusioni,delle forzate etimologie, delle solenni inezie e dell'impe-netrabile oscurità di que' Savi, che si protestavan di rive-lare il sistema dell'Universo. Siccome le tradizioni dellamitologia Pagana si riferirono in varie maniere, i sacriinterpreti erano in libertà di scegliere le circostanze piùconvenienti; ed interpretando essi una cifra arbitraria, daogni favola potevan trarre ogni senso che si adattasse allor favorito sistema di religione e di filosofia. La lascivafigura d'una Venere nuda riducevasi alla scoperta diqualche precetto morale o di qualche fisica verità; e lacastrazione di Ati spiegava la rivoluzione del sole fra'tropici, e la separazione dell'anima umana dal vizio edall'errore414.

Sembra che il sistema Teologico di Giuliano conte-nesse i sublimi ed importanti principj della religion na-turale. Ma siccome la fede, che non è fondata sulla rive-lazione, dee rimaner priva d'ogni stabile sicurezza, il di-scepolo di Platone imprudentemente ricadde nell'abitu-dine della volgar superstizione: e pare che si confondes-sero insieme l'idea popolare e la filosofica della Divinitànella pratica, negli scritti ed eziandio nello spirito di

414Vedi la quinta Orazione di Giuliano. Ma tutte le allegorie, che mai usci-rono dalla scuola Platonica, non uguagliano il breve poema di Catullo sul me-desimo straordinario soggetto. Il passaggio d'Ati, dal più fiero entusiasmo alsobrio patetico lamento per l'irreparabil sua perdita, deve inspirar compassionead un uomo, e disperazione ad un eunuco.

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l'orgoglio de' Platonici, manifestò la vanità di lor arte.Senza un noioso ragguaglio, il moderno lettore formarnon si potrebbe una giusta idea delle strane allusioni,delle forzate etimologie, delle solenni inezie e dell'impe-netrabile oscurità di que' Savi, che si protestavan di rive-lare il sistema dell'Universo. Siccome le tradizioni dellamitologia Pagana si riferirono in varie maniere, i sacriinterpreti erano in libertà di scegliere le circostanze piùconvenienti; ed interpretando essi una cifra arbitraria, daogni favola potevan trarre ogni senso che si adattasse allor favorito sistema di religione e di filosofia. La lascivafigura d'una Venere nuda riducevasi alla scoperta diqualche precetto morale o di qualche fisica verità; e lacastrazione di Ati spiegava la rivoluzione del sole fra'tropici, e la separazione dell'anima umana dal vizio edall'errore414.

Sembra che il sistema Teologico di Giuliano conte-nesse i sublimi ed importanti principj della religion na-turale. Ma siccome la fede, che non è fondata sulla rive-lazione, dee rimaner priva d'ogni stabile sicurezza, il di-scepolo di Platone imprudentemente ricadde nell'abitu-dine della volgar superstizione: e pare che si confondes-sero insieme l'idea popolare e la filosofica della Divinitànella pratica, negli scritti ed eziandio nello spirito di

414Vedi la quinta Orazione di Giuliano. Ma tutte le allegorie, che mai usci-rono dalla scuola Platonica, non uguagliano il breve poema di Catullo sul me-desimo straordinario soggetto. Il passaggio d'Ati, dal più fiero entusiasmo alsobrio patetico lamento per l'irreparabil sua perdita, deve inspirar compassionead un uomo, e disperazione ad un eunuco.

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Giuliano415. Riconosceva e adorava il pio Imperatorel'Eterna Causa dell'Universo, alla quale attribuiva tuttele perfezioni, d'un'infinita natura, invisibile agli occhi,ed inaccessibile all'intelletto de' deboli mortali. Il supre-mo Dio, secondo lui, avea creato, o piuttosto, nel lin-guaggio Platonico, avea generato la successiva serie de-gli spiriti dipendenti, degli Dei, de' demonj, degli eroi edegli uomini; ed ogni ente, che immediatamente traevala propria esistenza dalla Prima Cagione, riceveva ine-rente a sè il dono dell'immortalità. Affinchè sì preziosovantaggio non cadesse sopra indegni soggetti, il Creato-re affidato aveva all'abilità ed al potere degl'inferiori Deil'incumbenza di formare il corpo umano, e d'ordinar labell'armonia de' regni animale, vegetabile e minerale.Alla condotta di tali divini Ministri commise il governotemporale di questo basso Mondo; ma l'imperfetta loroamministrazione non va esente dalla discordia odall'errore. Si dividon fra loro la terra ed i suoi abitanti,e si posson distintamente rintracciare i caratteri di Marteo di Minerva, di Mercurio o di Venere nelle leggi e ne'costumi de' particolari loro devoti. Finchè le immortalinostre anime sono confinate in una prigione mortale, ènostro interesse e dovere di sollecitare il favore, ed al-lontanar l'ira delle potestà celesti, l'orgoglio delle qualisi compiace della divozione degli uomini; e può suppor-

415Può dedursi la vera religione di Giuliano da' Cesari (p. 308 con le noteed illustrazioni dello Spanemio), da' frammenti appresso Cirillo (l. II. p. 57.58) e specialmente dalla orazione teologica in Solem Regem, indirizzata inconfidenza al Prefetto Sallustio, suo amico.

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Giuliano415. Riconosceva e adorava il pio Imperatorel'Eterna Causa dell'Universo, alla quale attribuiva tuttele perfezioni, d'un'infinita natura, invisibile agli occhi,ed inaccessibile all'intelletto de' deboli mortali. Il supre-mo Dio, secondo lui, avea creato, o piuttosto, nel lin-guaggio Platonico, avea generato la successiva serie de-gli spiriti dipendenti, degli Dei, de' demonj, degli eroi edegli uomini; ed ogni ente, che immediatamente traevala propria esistenza dalla Prima Cagione, riceveva ine-rente a sè il dono dell'immortalità. Affinchè sì preziosovantaggio non cadesse sopra indegni soggetti, il Creato-re affidato aveva all'abilità ed al potere degl'inferiori Deil'incumbenza di formare il corpo umano, e d'ordinar labell'armonia de' regni animale, vegetabile e minerale.Alla condotta di tali divini Ministri commise il governotemporale di questo basso Mondo; ma l'imperfetta loroamministrazione non va esente dalla discordia odall'errore. Si dividon fra loro la terra ed i suoi abitanti,e si posson distintamente rintracciare i caratteri di Marteo di Minerva, di Mercurio o di Venere nelle leggi e ne'costumi de' particolari loro devoti. Finchè le immortalinostre anime sono confinate in una prigione mortale, ènostro interesse e dovere di sollecitare il favore, ed al-lontanar l'ira delle potestà celesti, l'orgoglio delle qualisi compiace della divozione degli uomini; e può suppor-

415Può dedursi la vera religione di Giuliano da' Cesari (p. 308 con le noteed illustrazioni dello Spanemio), da' frammenti appresso Cirillo (l. II. p. 57.58) e specialmente dalla orazione teologica in Solem Regem, indirizzata inconfidenza al Prefetto Sallustio, suo amico.

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si, che le loro parti più grosse ricevan qualche nutrimen-to dal fumo de' sacrifizi416. Gli Dei minori potevano allevolte condiscendere ad animare le statue, e ad abitare itempj dedicati al lor culto. Potevano accidentalmente vi-sitare la terra, ma i Cieli erano il proprio trono, ed ilsimbolo della lor gloria. L'ordine invariabile del sole,della luna, e delle stelle fu precipitosamente ammessoda Giuliano come una prova della eterna loro durata; etal eternità era una sufficiente contrassegno, ch'essi eranl'opera non già d'una Divinità inferiore, ma del Re onni-potente. Nel sistema de' Platonici, il Mondo visibile erauna figura dell'invisibile. I corpi celesti essendo animatida uno spirito divino, si potevan considerare come glioggetti più degni del Culto religioso. Il Sole, di cui lalieta influenza penetra e sostien l'universo, giustamenteesigeva l'adorazione degli uomini, come lo splendidorappresentante del Logos, viva, ragionevole e beneficaimmagine del Padre intellettuale417.

In ogni tempo si supplisce alla mancanza d'una genui-na inspirazione colle forti illusioni dell'entusiasmo e

416Giuliano adotta questo grossolano sentimento, attribuendolo al suo favo-rito Marco Antonino (Caesar. p. 333.). Gli Stoici ed i Platonici esitavano fral'analogia de' corpi e la purità degli spiriti; tuttavia i più gravi Filosofi inclina-vano alla capricciosa fantasia d'Aristofane e di Luciano, che un secolo miscre-dente avrebbe potuto affamare gli Dei immortali. Vedi le Osservazioni delloSpanem, p. 284. 444.

417Ηλιον λογω, τυ ξων αγαλµα, και εµψυχον, και εννουν, και αγαθοεργοντου γοκτου πατρος. Io chiamo il sole vivente, animata, ragionevole, e beneficaimmagine dell'intelligente padre. Juliano Epist. In un altro luogo (ap. Cyrill. l.II. p. 69) chiama il sole, Dio, e il trono di Dio. Giuliano credeva la Trinità Pla-tonica, e solo biasimava i Cristiani, perchè preferissero un Logos mortale ad unimmortale.

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si, che le loro parti più grosse ricevan qualche nutrimen-to dal fumo de' sacrifizi416. Gli Dei minori potevano allevolte condiscendere ad animare le statue, e ad abitare itempj dedicati al lor culto. Potevano accidentalmente vi-sitare la terra, ma i Cieli erano il proprio trono, ed ilsimbolo della lor gloria. L'ordine invariabile del sole,della luna, e delle stelle fu precipitosamente ammessoda Giuliano come una prova della eterna loro durata; etal eternità era una sufficiente contrassegno, ch'essi eranl'opera non già d'una Divinità inferiore, ma del Re onni-potente. Nel sistema de' Platonici, il Mondo visibile erauna figura dell'invisibile. I corpi celesti essendo animatida uno spirito divino, si potevan considerare come glioggetti più degni del Culto religioso. Il Sole, di cui lalieta influenza penetra e sostien l'universo, giustamenteesigeva l'adorazione degli uomini, come lo splendidorappresentante del Logos, viva, ragionevole e beneficaimmagine del Padre intellettuale417.

In ogni tempo si supplisce alla mancanza d'una genui-na inspirazione colle forti illusioni dell'entusiasmo e

416Giuliano adotta questo grossolano sentimento, attribuendolo al suo favo-rito Marco Antonino (Caesar. p. 333.). Gli Stoici ed i Platonici esitavano fral'analogia de' corpi e la purità degli spiriti; tuttavia i più gravi Filosofi inclina-vano alla capricciosa fantasia d'Aristofane e di Luciano, che un secolo miscre-dente avrebbe potuto affamare gli Dei immortali. Vedi le Osservazioni delloSpanem, p. 284. 444.

417Ηλιον λογω, τυ ξων αγαλµα, και εµψυχον, και εννουν, και αγαθοεργοντου γοκτου πατρος. Io chiamo il sole vivente, animata, ragionevole, e beneficaimmagine dell'intelligente padre. Juliano Epist. In un altro luogo (ap. Cyrill. l.II. p. 69) chiama il sole, Dio, e il trono di Dio. Giuliano credeva la Trinità Pla-tonica, e solo biasimava i Cristiani, perchè preferissero un Logos mortale ad unimmortale.

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colle comiche arti dell'impostura. Se, al tempo di Giulia-no, queste arti non si fossero praticate che da' sacerdotiPagani per sostenere una causa spirante, si potrebbe for-se usar qualche indulgenza all'interesse ed all'abitudinedel carattere sacerdotale. Ma può esser soggetto di sor-presa e di scandalo, il vedere che i Filosofi stessi contri-buissero ad ingannar la superstiziosa credulità dell'umangenere418, e che fossero sostenuti i misteri Greci dallamagia o teurgia de' moderni Platonici. Essi arrogante-mente pretendevano di sconvolger l'ordine della natura,d'esplorare i segreti del futuro, di comandare agli spiritiinferiori, di goder della vista e della conversazion degliDei superiori; e sciogliendo l'anima da' materiali suoivincoli, di riunir quell'immortal particella allo Spirito in-finito e divino.

La devota e coraggiosa curiosità di Giuliano tentò ifilosofi colla speranza d'una facil conquista; che, attesala situazione del giovane loro proselito, poteva produrrele più importanti conseguenze419. Giuliano apprese i pri-mi rudimenti delle dottrine Platoniche dalla boccad'Esedio, che avea fissato a Pergamo la perseguitata e

418I sofisti d'Eunapio fanno tanti miracoli, quanti ne fanno i santi del deser-to; e l'unica circostanza in lor favore è che sono d'un color men oscuro. In vecedi diavoli con corna e code, Jamblico facea comparire i genj d'amore Eros eAnteros, da due vicine fontane. Due bei fanciulli uscivan fuori dall'acqua, loabbracciavano teneramente qual padre, e si ritiravano al primo suo cenno. p.26. 27.

419Il destro maneggio di questi Sofisti, che facevan passare il loro creduloallievo dalle mani dell'uno a quelle dell'altro, è chiaramente riportato da Euna-pio (p. 69. 76.) con non sospetta semplicità. L'Ab. della Bleterie ha intesa edelegantemente descritta tutta questa commedia Vie de Julien, p. 61-67.

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colle comiche arti dell'impostura. Se, al tempo di Giulia-no, queste arti non si fossero praticate che da' sacerdotiPagani per sostenere una causa spirante, si potrebbe for-se usar qualche indulgenza all'interesse ed all'abitudinedel carattere sacerdotale. Ma può esser soggetto di sor-presa e di scandalo, il vedere che i Filosofi stessi contri-buissero ad ingannar la superstiziosa credulità dell'umangenere418, e che fossero sostenuti i misteri Greci dallamagia o teurgia de' moderni Platonici. Essi arrogante-mente pretendevano di sconvolger l'ordine della natura,d'esplorare i segreti del futuro, di comandare agli spiritiinferiori, di goder della vista e della conversazion degliDei superiori; e sciogliendo l'anima da' materiali suoivincoli, di riunir quell'immortal particella allo Spirito in-finito e divino.

La devota e coraggiosa curiosità di Giuliano tentò ifilosofi colla speranza d'una facil conquista; che, attesala situazione del giovane loro proselito, poteva produrrele più importanti conseguenze419. Giuliano apprese i pri-mi rudimenti delle dottrine Platoniche dalla boccad'Esedio, che avea fissato a Pergamo la perseguitata e

418I sofisti d'Eunapio fanno tanti miracoli, quanti ne fanno i santi del deser-to; e l'unica circostanza in lor favore è che sono d'un color men oscuro. In vecedi diavoli con corna e code, Jamblico facea comparire i genj d'amore Eros eAnteros, da due vicine fontane. Due bei fanciulli uscivan fuori dall'acqua, loabbracciavano teneramente qual padre, e si ritiravano al primo suo cenno. p.26. 27.

419Il destro maneggio di questi Sofisti, che facevan passare il loro creduloallievo dalle mani dell'uno a quelle dell'altro, è chiaramente riportato da Euna-pio (p. 69. 76.) con non sospetta semplicità. L'Ab. della Bleterie ha intesa edelegantemente descritta tutta questa commedia Vie de Julien, p. 61-67.

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vagabonda sua scuola. Ma siccome la decadente forza diquel venerabile Savio non era corrispondente all'ardore,alla diligenza ed alla rapida penetrazione dello scolare,due de' suoi più dotti discepoli, Crisante ed Eusebio,supplirono, secondo il proprio desiderio di lui, all'attem-pato loro maestro. Sembra che questi filosofi avesser giàpreparate e si fosser distribuite le respettive lor parti; edartificiosamente procurarono per mezzo di oscuri cennie di affettate dispute d'eccitare le impazienti speranzedell'aspirante, finattanto che lo consegnarono al lorocompagno Massimo, il più ardito ed il più abile maestrodella scienza teurgica. Dalle sue mani Giuliano fu segre-tamente iniziato in Efeso, nel ventesim'anno della suaetà. La permanenza, ch'ei fece in Atene, confermò que-sta non naturale alleanza di filosofia e di superstizione.Egli ottenne il privilegio d'esser solennemente iniziato a'Misteri d'Eleusi, che nella general decadenza del Cultodella Grecia ritenevan qualche vestigio della primieralor santità; e tale fu lo zelo di Giuliano, che in seguitoinvitò il Pontefice Eleusino alla Corte della Gallia, pelsolo fine di perfezionare mercè di sacrifizi e di riti lagrand'opera di sua santificazione. Poichè tali ceremoniesi facevano in profonde caverne e nel silenzio della not-te, e che la discretezza dell'iniziato conservò l'inviolabilsegreto dei Misteri, io non pretenderò di descrivere gliorridi suoni o le apparizioni di fuoco, che si presentaro-no a' sensi o all'immaginazione del credulo aspirante420,

420Quando Giuliano, in un momentaneo timor panico che lo sorprese, sifece il segno della croce, i demonj subito sparirono (Greg. Naz. Orat. III. p.

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vagabonda sua scuola. Ma siccome la decadente forza diquel venerabile Savio non era corrispondente all'ardore,alla diligenza ed alla rapida penetrazione dello scolare,due de' suoi più dotti discepoli, Crisante ed Eusebio,supplirono, secondo il proprio desiderio di lui, all'attem-pato loro maestro. Sembra che questi filosofi avesser giàpreparate e si fosser distribuite le respettive lor parti; edartificiosamente procurarono per mezzo di oscuri cennie di affettate dispute d'eccitare le impazienti speranzedell'aspirante, finattanto che lo consegnarono al lorocompagno Massimo, il più ardito ed il più abile maestrodella scienza teurgica. Dalle sue mani Giuliano fu segre-tamente iniziato in Efeso, nel ventesim'anno della suaetà. La permanenza, ch'ei fece in Atene, confermò que-sta non naturale alleanza di filosofia e di superstizione.Egli ottenne il privilegio d'esser solennemente iniziato a'Misteri d'Eleusi, che nella general decadenza del Cultodella Grecia ritenevan qualche vestigio della primieralor santità; e tale fu lo zelo di Giuliano, che in seguitoinvitò il Pontefice Eleusino alla Corte della Gallia, pelsolo fine di perfezionare mercè di sacrifizi e di riti lagrand'opera di sua santificazione. Poichè tali ceremoniesi facevano in profonde caverne e nel silenzio della not-te, e che la discretezza dell'iniziato conservò l'inviolabilsegreto dei Misteri, io non pretenderò di descrivere gliorridi suoni o le apparizioni di fuoco, che si presentaro-no a' sensi o all'immaginazione del credulo aspirante420,

420Quando Giuliano, in un momentaneo timor panico che lo sorprese, sifece il segno della croce, i demonj subito sparirono (Greg. Naz. Orat. III. p.

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insino a che non comparvero le visioni di conforto e dicognizione in una fiamma di celeste luce421. Nelle caver-ne d'Efeso e d'Eleusi la mente di Giuliano fu penetratada un sincero, profondo ed inalterabil entusiasmo; quan-tunque dimostrasse alle volte le vicende della pia frodee dell'ipocrisia, che osservar si possono, o almen sospet-tarsi ne' caratteri de' più scrupolosi fanatici. Fino da quelmomento esso consacrò la sua vita al servizio degli Dei,e mentre pareva che le occupazioni della guerra, del go-verno e dello studio richiedessero tutto il suo tempo, erainvariabilmente riservata una certa porzione dell'ore del-la notte per l'esercizio della privata sua devozione. Latemperanza, che adornava i rigorosi costumi del soldatoe del filosofo, era accompagnata da varie frivole e stret-te regole di religiosa astinenza; e Giuliano, in onore diPane e di Mercurio, d'Ecate o d'Iside, in certi giornis'asteneva dall'uso di alcuni particolari cibi, che avreb-ber potuto dispiacere alle sue tutelari Divinità. Per mez-zo di questi volontari digiuni egli preparava i sensi el'intelletto alle frequenti e famigliari visite, colle qualiveniva onorato dai celesti Poteri. Non ostante il modestosilenzio di Giuliano medesimo, possiamo apprenderedall'oratore Libanio, suo fedele amico, ch'egli viveva in

71). Gregorio suppone, che si fossero spaventati, ma i Sacerdoti dichiararonoche si erano sdegnati. Il lettore potrà, secondo il grado della sua fede, deciderequesta profonda questione.

421Danno un'oscura e lontana idea de' terrori e de' piaceri dell'iniziazioneDion Grisostomo, Temistio, Proclo, e Stobeo. Il dotto autore della Divina Le-gazione ha riferito le loro parole (Vol. I. p. 239. 247. 248. 280. ed. 1765.) cheesso destramente o forzatamente applica alla sua ipotesi.

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insino a che non comparvero le visioni di conforto e dicognizione in una fiamma di celeste luce421. Nelle caver-ne d'Efeso e d'Eleusi la mente di Giuliano fu penetratada un sincero, profondo ed inalterabil entusiasmo; quan-tunque dimostrasse alle volte le vicende della pia frodee dell'ipocrisia, che osservar si possono, o almen sospet-tarsi ne' caratteri de' più scrupolosi fanatici. Fino da quelmomento esso consacrò la sua vita al servizio degli Dei,e mentre pareva che le occupazioni della guerra, del go-verno e dello studio richiedessero tutto il suo tempo, erainvariabilmente riservata una certa porzione dell'ore del-la notte per l'esercizio della privata sua devozione. Latemperanza, che adornava i rigorosi costumi del soldatoe del filosofo, era accompagnata da varie frivole e stret-te regole di religiosa astinenza; e Giuliano, in onore diPane e di Mercurio, d'Ecate o d'Iside, in certi giornis'asteneva dall'uso di alcuni particolari cibi, che avreb-ber potuto dispiacere alle sue tutelari Divinità. Per mez-zo di questi volontari digiuni egli preparava i sensi el'intelletto alle frequenti e famigliari visite, colle qualiveniva onorato dai celesti Poteri. Non ostante il modestosilenzio di Giuliano medesimo, possiamo apprenderedall'oratore Libanio, suo fedele amico, ch'egli viveva in

71). Gregorio suppone, che si fossero spaventati, ma i Sacerdoti dichiararonoche si erano sdegnati. Il lettore potrà, secondo il grado della sua fede, deciderequesta profonda questione.

421Danno un'oscura e lontana idea de' terrori e de' piaceri dell'iniziazioneDion Grisostomo, Temistio, Proclo, e Stobeo. Il dotto autore della Divina Le-gazione ha riferito le loro parole (Vol. I. p. 239. 247. 248. 280. ed. 1765.) cheesso destramente o forzatamente applica alla sua ipotesi.

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perpetuo commercio con gli Dei e con le Dee; ch'essi di-scendevano in terra per godere la conversazionedell'eroe lor favorito; che interrompevan gentilmente isuoi sonni toccandogli la mano o i capelli; che l'avverti-vano di ogni imminente pericolo, e lo dirigevano con laloro infallibil sapienza in ogni azione della sua vita; eche aveva egli acquistato un'intima cognizione sì grandede' celesti suoi ospiti, che facilmente distingueva la vocedi Giove da quella di Minerva, e la figura di Apollo daquella d'Ercole422. Tali visioni, o nel sonno o nella vigi-lia, che sono gli effetti ordinari dell'astinenza e del fana-tismo, abbasserebbero quasi l'Imperatore al livello d'unmonaco Egizio. Ma le inutili vite d'Antonio e di Pano-mio si consumarono in queste vane occupazioni, laddo-ve Giuliano potea dal sogno della superstizione passaread armarsi per la battaglia, e dopo aver vinto in campo inemici di Roma, tranquillamente ritirarsi nella sua tendaa dettare savie e salutari leggi a un Impero, od a secon-dare il suo genio in eleganti ricerche di letteratura e difilosofia.

L'importante segreto dell'apostasia di Giuliano era af-fidato alla fedeltà degl'iniziati, co' quali era egli unitope' sacri vincoli dell'amicizia e della religione423. Cauta-

422La modestia di Giuliano limitossi ad oscuri ed accidentali cenni; ma Li-banio distendesi con piacere ne' digiuni e nelle visioni del religioso eroe. Le-gat. ad Julian. p. 157 e Orat. parent. c. 85. p. 309, 310.

423Libanio Orat. parent. c. 10. p. 233, 234. Gallo aveva qualche motivo disospettare dell'apostasia segreta di suo fratello, ed in una lettera, che può am-mettersi per genuina, esorta Giuliano ad aderire alla religione de' loro Maggio-ri. Questo era un argomento, che, per quanto sembra, non calzava ancora per-

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perpetuo commercio con gli Dei e con le Dee; ch'essi di-scendevano in terra per godere la conversazionedell'eroe lor favorito; che interrompevan gentilmente isuoi sonni toccandogli la mano o i capelli; che l'avverti-vano di ogni imminente pericolo, e lo dirigevano con laloro infallibil sapienza in ogni azione della sua vita; eche aveva egli acquistato un'intima cognizione sì grandede' celesti suoi ospiti, che facilmente distingueva la vocedi Giove da quella di Minerva, e la figura di Apollo daquella d'Ercole422. Tali visioni, o nel sonno o nella vigi-lia, che sono gli effetti ordinari dell'astinenza e del fana-tismo, abbasserebbero quasi l'Imperatore al livello d'unmonaco Egizio. Ma le inutili vite d'Antonio e di Pano-mio si consumarono in queste vane occupazioni, laddo-ve Giuliano potea dal sogno della superstizione passaread armarsi per la battaglia, e dopo aver vinto in campo inemici di Roma, tranquillamente ritirarsi nella sua tendaa dettare savie e salutari leggi a un Impero, od a secon-dare il suo genio in eleganti ricerche di letteratura e difilosofia.

L'importante segreto dell'apostasia di Giuliano era af-fidato alla fedeltà degl'iniziati, co' quali era egli unitope' sacri vincoli dell'amicizia e della religione423. Cauta-

422La modestia di Giuliano limitossi ad oscuri ed accidentali cenni; ma Li-banio distendesi con piacere ne' digiuni e nelle visioni del religioso eroe. Le-gat. ad Julian. p. 157 e Orat. parent. c. 85. p. 309, 310.

423Libanio Orat. parent. c. 10. p. 233, 234. Gallo aveva qualche motivo disospettare dell'apostasia segreta di suo fratello, ed in una lettera, che può am-mettersi per genuina, esorta Giuliano ad aderire alla religione de' loro Maggio-ri. Questo era un argomento, che, per quanto sembra, non calzava ancora per-

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mente spargevasi questo piacevol rumore fra' seguacidell'antico culto, e la futura grandezza di lui divennel'oggetto delle speranze, delle preghiere e delle predizio-ni de' Pagani in ogni Provincia dell'Impero. Dallo zelo edalle virtù del loro reale proselito, essi ansiosamenteaspettavano la medicina d'ogni male e la restaurazioned'ogni bene, ed invece di disapprovare l'ardore de' loropii desiderj, Giuliano ingenuamente confessava d'esserambizioso di giugnere a tal situazione da poter esser uti-le alla sua patria ed alla sua religione. Ma questa religio-ne medesima si guardava con occhio nemico dal succes-sore di Costantino, le capricciose passioni del quale al-ternativamente salvarono e minacciaron la vita di Giu-liano. Eran severamente proibite le arti magiche e divi-natorie sotto un governo dispotico, ch'era portato a te-merle; e sebbene a' Pagani fosse di mala voglia permes-so l'esercizio della loro superstizione, il grado di Giulia-no l'avrebbe eccettuato dalla general tolleranza. L'apo-stata presto divenne l'erede presuntivo della Monarchia,e la sua morte solamente avrebbe potuto quietare le ap-prensioni de' Cristiani424. Ma il giovane Principe, cheaspirava alla gloria d'eroe piuttosto che a quella di mar-tire, provvide alla propria salvezza col mascherar la suareligione, e l'indulgente natura del politeismo gli per-metteva d'unire ad esso il Culto pubblico d'una Setta,fettamente. Vedi Giuliano Op. p. 454 ed Hist. de Jovien. Tom, II. p. 141.

424Gregorio (III. p. 50) con zelo inumano censura Costanzo per aver rispar-miato l'apostata fanciullo κακως σωθεντα malamente salvato. Il suo traduttoreFrancese (p. 265) cautamente osserva, che tali espressioni non debbon prender-si alla lettera.

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mente spargevasi questo piacevol rumore fra' seguacidell'antico culto, e la futura grandezza di lui divennel'oggetto delle speranze, delle preghiere e delle predizio-ni de' Pagani in ogni Provincia dell'Impero. Dallo zelo edalle virtù del loro reale proselito, essi ansiosamenteaspettavano la medicina d'ogni male e la restaurazioned'ogni bene, ed invece di disapprovare l'ardore de' loropii desiderj, Giuliano ingenuamente confessava d'esserambizioso di giugnere a tal situazione da poter esser uti-le alla sua patria ed alla sua religione. Ma questa religio-ne medesima si guardava con occhio nemico dal succes-sore di Costantino, le capricciose passioni del quale al-ternativamente salvarono e minacciaron la vita di Giu-liano. Eran severamente proibite le arti magiche e divi-natorie sotto un governo dispotico, ch'era portato a te-merle; e sebbene a' Pagani fosse di mala voglia permes-so l'esercizio della loro superstizione, il grado di Giulia-no l'avrebbe eccettuato dalla general tolleranza. L'apo-stata presto divenne l'erede presuntivo della Monarchia,e la sua morte solamente avrebbe potuto quietare le ap-prensioni de' Cristiani424. Ma il giovane Principe, cheaspirava alla gloria d'eroe piuttosto che a quella di mar-tire, provvide alla propria salvezza col mascherar la suareligione, e l'indulgente natura del politeismo gli per-metteva d'unire ad esso il Culto pubblico d'una Setta,fettamente. Vedi Giuliano Op. p. 454 ed Hist. de Jovien. Tom, II. p. 141.

424Gregorio (III. p. 50) con zelo inumano censura Costanzo per aver rispar-miato l'apostata fanciullo κακως σωθεντα malamente salvato. Il suo traduttoreFrancese (p. 265) cautamente osserva, che tali espressioni non debbon prender-si alla lettera.

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che internamente spregiava. Libanio ha risguardatol'ipocrisia del suo amico, come un soggetto non di cen-sura, ma di lode. «Siccome le Statue degli Dei (dicequell'oratore) che sono state contaminate con lordure,vengono poste di nuovo in magnifici tempj; così la bel-lezza della verità era collocata nella mente di Giuliano,poscia che fu essa purificata dagli errori e dalle folliedella sua educazione. Aveva mutato i sentimenti; masiccome sarebbe stato pericoloso il manifestarli, conti-nuò nell'istessa condotta. Molto diverso dall'asino diEsopo, che si cuoprì con la pelle d'un leone, il nostroleone fu costretto a nascondersi sotto la pelle d'un asino:e mentre abbracciava i dettami della ragione, dovè ubbi-dire alle leggi della prudenza e della necessità425». Ladissimulazione di Giuliano durò più di dieci anni, dallasua segreta iniziazione in Efeso fino al principio dellaguerra civile, allorchè si dichiarò nell'istesso tempo im-placabil nemico di Cristo e di Costanzo. Questo stato diviolenza potè contribuire ad avvalorar la sua devozione;ed appena egli avea soddisfatto all'obbligo d'assistere,nelle feste solenni, all'assemblee de' Cristiani, tornavacoll'impazienza d'un amante ad ardere il libero e volon-tario incenso nelle domestiche sue cappelle di Giove edi Mercurio. Ma ogni atto di dissimulazione dee riuscirpenoso per un animo ingenuo, ond'è che la professionedel Cristianesimo accrebbe l'avversion di Giuliano versouna religione, che opprimeva la libertà di sua mente, e

425Libanio Orat. parent. c. IX. p. 233.

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che internamente spregiava. Libanio ha risguardatol'ipocrisia del suo amico, come un soggetto non di cen-sura, ma di lode. «Siccome le Statue degli Dei (dicequell'oratore) che sono state contaminate con lordure,vengono poste di nuovo in magnifici tempj; così la bel-lezza della verità era collocata nella mente di Giuliano,poscia che fu essa purificata dagli errori e dalle folliedella sua educazione. Aveva mutato i sentimenti; masiccome sarebbe stato pericoloso il manifestarli, conti-nuò nell'istessa condotta. Molto diverso dall'asino diEsopo, che si cuoprì con la pelle d'un leone, il nostroleone fu costretto a nascondersi sotto la pelle d'un asino:e mentre abbracciava i dettami della ragione, dovè ubbi-dire alle leggi della prudenza e della necessità425». Ladissimulazione di Giuliano durò più di dieci anni, dallasua segreta iniziazione in Efeso fino al principio dellaguerra civile, allorchè si dichiarò nell'istesso tempo im-placabil nemico di Cristo e di Costanzo. Questo stato diviolenza potè contribuire ad avvalorar la sua devozione;ed appena egli avea soddisfatto all'obbligo d'assistere,nelle feste solenni, all'assemblee de' Cristiani, tornavacoll'impazienza d'un amante ad ardere il libero e volon-tario incenso nelle domestiche sue cappelle di Giove edi Mercurio. Ma ogni atto di dissimulazione dee riuscirpenoso per un animo ingenuo, ond'è che la professionedel Cristianesimo accrebbe l'avversion di Giuliano versouna religione, che opprimeva la libertà di sua mente, e

425Libanio Orat. parent. c. IX. p. 233.

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lo costringeva a tenere un contegno ripugnante alla sin-cerità ed al coraggio, che sono gli attributi più nobilidella natura umana.

Potè l'inclinazione di Giuliano fargli preferire gli Deid'Omero e degli Scipioni alla nuova fede, che il suo zioavea stabilito nel Romano Impero, e nella quale s'eraegli santificato col sacramento del Battesimo. Ma comea filosofo, gl'incumbeva di giustificare il proprio dissen-so dal Cristianesimo, ch'era sostenuto dal numero de'convertiti, dalla catena delle profezie, dallo splendor de'miracoli e dal peso della evidenza. L'elaborata opera426,ch'egli compose in mezzo a' preparativi della guerraPersiana, conteneva la sostanza di quegli argomenti,ch'esso avea lungamente meditati nell'animo. Ne tra-scrisse, e ce ne conservò alcuni frammenti il veementeCirillo d'Alessandria427 suo nemico; e questi presentanouna mistura ben singolare d'ingegno e di dottrina, di artesofistica e di fanatismo. L'eleganza dello stile ed il gra-do dell'autore conciliarono a questi scritti l'attenzionedel pubblico428; e nella lista de' nemici del Cristianesimo

426Fabricio (Bibl. Graec. l. V. c. VIII. p. 88, 90] e Lardner (Testim. Pagan.Vol. IV. p. 44-47) hanno esattamente raccolto tutto ciò che ora può trovarsi del-le opere di Giuliano contro i Cristiani.

427Circa settant'anni dopo la morte di Giuliano egli eseguì un'impresa, ches'era debolmente tentata da Filippo di Sidone, prolisso e disprezzabile autore;ma neppur l'opera di Cirillo ha interamente soddisfatto i giudici più favorevoli;e l'Ab. della Bleterie (Pref. a l'Hist. de Jovien. pag. 30-32) desidera, che qual-che Teologo filosofo (strano centauro) intraprenda la confutazione di Giuliano.

428Libanio (Orat. parent. c. 87 p. 313) contro di cui vi è stato il sospetto,che aiutasse il suo amico, preferisce la divina sua apologia (Orat. IX in necemJulian. p. 255 Ed. Morel.) agli scritti di Porfirio. Si può attaccare il giudizio diLibanio (Socrat. l. III c. 23) ma non accusar lui d'adulazione verso un Principe

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lo costringeva a tenere un contegno ripugnante alla sin-cerità ed al coraggio, che sono gli attributi più nobilidella natura umana.

Potè l'inclinazione di Giuliano fargli preferire gli Deid'Omero e degli Scipioni alla nuova fede, che il suo zioavea stabilito nel Romano Impero, e nella quale s'eraegli santificato col sacramento del Battesimo. Ma comea filosofo, gl'incumbeva di giustificare il proprio dissen-so dal Cristianesimo, ch'era sostenuto dal numero de'convertiti, dalla catena delle profezie, dallo splendor de'miracoli e dal peso della evidenza. L'elaborata opera426,ch'egli compose in mezzo a' preparativi della guerraPersiana, conteneva la sostanza di quegli argomenti,ch'esso avea lungamente meditati nell'animo. Ne tra-scrisse, e ce ne conservò alcuni frammenti il veementeCirillo d'Alessandria427 suo nemico; e questi presentanouna mistura ben singolare d'ingegno e di dottrina, di artesofistica e di fanatismo. L'eleganza dello stile ed il gra-do dell'autore conciliarono a questi scritti l'attenzionedel pubblico428; e nella lista de' nemici del Cristianesimo

426Fabricio (Bibl. Graec. l. V. c. VIII. p. 88, 90] e Lardner (Testim. Pagan.Vol. IV. p. 44-47) hanno esattamente raccolto tutto ciò che ora può trovarsi del-le opere di Giuliano contro i Cristiani.

427Circa settant'anni dopo la morte di Giuliano egli eseguì un'impresa, ches'era debolmente tentata da Filippo di Sidone, prolisso e disprezzabile autore;ma neppur l'opera di Cirillo ha interamente soddisfatto i giudici più favorevoli;e l'Ab. della Bleterie (Pref. a l'Hist. de Jovien. pag. 30-32) desidera, che qual-che Teologo filosofo (strano centauro) intraprenda la confutazione di Giuliano.

428Libanio (Orat. parent. c. 87 p. 313) contro di cui vi è stato il sospetto,che aiutasse il suo amico, preferisce la divina sua apologia (Orat. IX in necemJulian. p. 255 Ed. Morel.) agli scritti di Porfirio. Si può attaccare il giudizio diLibanio (Socrat. l. III c. 23) ma non accusar lui d'adulazione verso un Principe

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fu cancellato il celebre nome di Porfirio dal merito odalla riputazione maggiore di Giuliano. Gli animi de'Fedeli furono o sedotti, o scandalizzati, o commossi a ti-more; ed i Pagani, che alle volte ardivano di impegnarsiin una disputa disuguale, trassero dalle popolari operedel loro Imperial Missionario un inesausto sussidio difallaci obbiezioni. Ma nel continuo proseguimento ditali teologici studj, l'Imperator de' Romani contrassegl'illiberali pregiudizi e le passioni d'un teologo polemi-co. Si credè irrevocabilmente obbligato a sostenere epropagare le sue religiose opinioni; e nel tempo stessoche segretamente applaudiva la forza e destrezza con cuimaneggiava le armi della controversia, era tentato a dif-fidare della sincerità, o a disprezzare l'ingegno dei suoiantagonisti, che ostinatamente resistevano alla forza del-la ragione e dell'eloquenza.

I Cristiani, che vedevano con orrore e con isdegnol'apostasia di Giuliano, avevano molto più a temere dal-la sua potenza che da' suoi argomenti. I Pagani, che era-no consapevoli del fervente suo zelo, aspettavano forsecon impazienza, che immediatamente s'accendesser lefiamme della persecuzione contro i nemici degli Dei; eche l'ingegnosa malizia di Giuliano inventasse crudeli eraffinate maniere di morti e di tormenti, che non si fos-ser conosciute dal rozzo ed inesperto furore de' suoi pre-decessori. Ma, in apparenza, deluse rimasero le speranzeugualmente che i timori delle religiose fazioni, dalla

defunto.

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fu cancellato il celebre nome di Porfirio dal merito odalla riputazione maggiore di Giuliano. Gli animi de'Fedeli furono o sedotti, o scandalizzati, o commossi a ti-more; ed i Pagani, che alle volte ardivano di impegnarsiin una disputa disuguale, trassero dalle popolari operedel loro Imperial Missionario un inesausto sussidio difallaci obbiezioni. Ma nel continuo proseguimento ditali teologici studj, l'Imperator de' Romani contrassegl'illiberali pregiudizi e le passioni d'un teologo polemi-co. Si credè irrevocabilmente obbligato a sostenere epropagare le sue religiose opinioni; e nel tempo stessoche segretamente applaudiva la forza e destrezza con cuimaneggiava le armi della controversia, era tentato a dif-fidare della sincerità, o a disprezzare l'ingegno dei suoiantagonisti, che ostinatamente resistevano alla forza del-la ragione e dell'eloquenza.

I Cristiani, che vedevano con orrore e con isdegnol'apostasia di Giuliano, avevano molto più a temere dal-la sua potenza che da' suoi argomenti. I Pagani, che era-no consapevoli del fervente suo zelo, aspettavano forsecon impazienza, che immediatamente s'accendesser lefiamme della persecuzione contro i nemici degli Dei; eche l'ingegnosa malizia di Giuliano inventasse crudeli eraffinate maniere di morti e di tormenti, che non si fos-ser conosciute dal rozzo ed inesperto furore de' suoi pre-decessori. Ma, in apparenza, deluse rimasero le speranzeugualmente che i timori delle religiose fazioni, dalla

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prudente umanità di un Principe429, che aveva a cuore lasua fama, la pubblica pace e i diritti del genere umano.Istruito dall'istoria e dalla riflessione, Giuliano era per-suaso che se i mali del corpo si possono qualche voltacurare con una salutevol violenza, nè il ferro nè il fuocovalgono a sradicar dalla mente l'erronee opinioni. Puòstrascinarsi la ripugnante vittima a piè dell'altare; ma ilcuore sempre abborrisce e disapprova il sacrilego attodella mano. La religiosa ostinazione s'indura e si esacer-ba per l'oppressione; e tosto che la persecuzione cessa,quelli che hanno ceduto, ricevono il perdono come peni-tenti, e quelli che han resistito, vengono onorati comemartiri e santi. Se Giuliano avesse adottato l'infruttuosacrudeltà di Diocleziano e de' suoi colleghi, sentiva beneche avrebbe infamato la sua memoria col nome di tiran-no, ed avrebbe accresciute nuove glorie alla Chiesa Cat-tolica, che avea tratto forza ed aumento dalla severità de'Magistrati Pagani. Mosso da questi motivi, e temendo diturbare il riposo d'un regno non ancora ben fermo, Giu-liano sorprese il Mondo con un editto non indegno d'unpolitico o d'un filosofo. Egli estese a tutti gli abitanti delMondo Romano i benefizi d'una libera ed ugual tolle-ranza; e l'unico aggravio, che impose a' Cristiani, fu diprivarli del potere di tormentare gli altri sudditi, a' qualidavano gli odiosi titoli d'idolatri e di eretici. Ai Pagani

429Libanio (Orat. parent. c. 58. p. 283, 284) ha eloquentemente spiegato iprincipj tolleranti e la condotta dell'Imperiale suo amico, e Giuliano stesso inuna molto notabile epistola al popolo di Bostra (Epist. 52) protesta la sua mo-derazione, e tradisce il suo zelo, ch'è riconosciuto da Ammiano, ed esposto daGregorio (Orat. III p. 72).

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prudente umanità di un Principe429, che aveva a cuore lasua fama, la pubblica pace e i diritti del genere umano.Istruito dall'istoria e dalla riflessione, Giuliano era per-suaso che se i mali del corpo si possono qualche voltacurare con una salutevol violenza, nè il ferro nè il fuocovalgono a sradicar dalla mente l'erronee opinioni. Puòstrascinarsi la ripugnante vittima a piè dell'altare; ma ilcuore sempre abborrisce e disapprova il sacrilego attodella mano. La religiosa ostinazione s'indura e si esacer-ba per l'oppressione; e tosto che la persecuzione cessa,quelli che hanno ceduto, ricevono il perdono come peni-tenti, e quelli che han resistito, vengono onorati comemartiri e santi. Se Giuliano avesse adottato l'infruttuosacrudeltà di Diocleziano e de' suoi colleghi, sentiva beneche avrebbe infamato la sua memoria col nome di tiran-no, ed avrebbe accresciute nuove glorie alla Chiesa Cat-tolica, che avea tratto forza ed aumento dalla severità de'Magistrati Pagani. Mosso da questi motivi, e temendo diturbare il riposo d'un regno non ancora ben fermo, Giu-liano sorprese il Mondo con un editto non indegno d'unpolitico o d'un filosofo. Egli estese a tutti gli abitanti delMondo Romano i benefizi d'una libera ed ugual tolle-ranza; e l'unico aggravio, che impose a' Cristiani, fu diprivarli del potere di tormentare gli altri sudditi, a' qualidavano gli odiosi titoli d'idolatri e di eretici. Ai Pagani

429Libanio (Orat. parent. c. 58. p. 283, 284) ha eloquentemente spiegato iprincipj tolleranti e la condotta dell'Imperiale suo amico, e Giuliano stesso inuna molto notabile epistola al popolo di Bostra (Epist. 52) protesta la sua mo-derazione, e tradisce il suo zelo, ch'è riconosciuto da Ammiano, ed esposto daGregorio (Orat. III p. 72).

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si diede graziosamente permissione, o piuttosto un ordi-ne d'aprire tutti i lor tempj430; e furono ad un tratto libe-rati dalle leggi oppressive e dalle arbitrarie vessazioni,che avevan sofferto sotto il regno di Costantino e de'suoi figli. Nel medesimo tempo i Vescovi e Cherici,ch'erano stati banditi dall'Arriano Monarca, furon richia-mati dall'esiglio, e restituiti alle respettive lor Chiese, iDonatisti, i Novaziani, i Macedoniani, gli Eunomiani, equelli che con miglior fortuna aderivano alla dottrina delConcilio Niceno ebbero una sorte medesima. Giulianoche intendeva e derideva le lor teologiche dispute, invitòalla reggia i Capi delle Sette contrarie per poter godereil piacevole spettacolo de' loro furiosi conflitti. Il clamordella controversia qualche volta eccitò l'Imperatore agridare: «Uditemi; i Franchi e gli Alemanni mi hannoascoltato»; ma presto conobbe, che allora trattava connemici più ostinati ed implacabili, e quantunque impie-gasse la forza dell'eloquenza a persuaderli di vivere inconcordia, o almeno in pace, avanti di licenziarli dallasua presenza restò perfettamente convinto, ch'ei nonaveva che temere dall'unione de' Cristiani. L'imparzialeAmmiano attribuì quest'affettata clemenza al desideriodi fomentar l'interne divisioni della Chiesa, ed infattil'insidioso disegno di sottominare il Cristianesimo era

430In Grecia s'aprirono per espresso comando di lui i tempj di Minerva, pri-ma della morte di Costanzo (Liban. Orat. parent. c. 55 p. 280), e Giuliano stes-so si dichiarò Pagano nel pubblico suo manifesto agli Ateniesi. Questa indubi-tabile prova può correggere l'inconsiderata asserzione di Ammiano, il qualesuppone che Costantinopoli fosse il luogo, dove egli scuoprì il suo attaccamen-to agli Dei.

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si diede graziosamente permissione, o piuttosto un ordi-ne d'aprire tutti i lor tempj430; e furono ad un tratto libe-rati dalle leggi oppressive e dalle arbitrarie vessazioni,che avevan sofferto sotto il regno di Costantino e de'suoi figli. Nel medesimo tempo i Vescovi e Cherici,ch'erano stati banditi dall'Arriano Monarca, furon richia-mati dall'esiglio, e restituiti alle respettive lor Chiese, iDonatisti, i Novaziani, i Macedoniani, gli Eunomiani, equelli che con miglior fortuna aderivano alla dottrina delConcilio Niceno ebbero una sorte medesima. Giulianoche intendeva e derideva le lor teologiche dispute, invitòalla reggia i Capi delle Sette contrarie per poter godereil piacevole spettacolo de' loro furiosi conflitti. Il clamordella controversia qualche volta eccitò l'Imperatore agridare: «Uditemi; i Franchi e gli Alemanni mi hannoascoltato»; ma presto conobbe, che allora trattava connemici più ostinati ed implacabili, e quantunque impie-gasse la forza dell'eloquenza a persuaderli di vivere inconcordia, o almeno in pace, avanti di licenziarli dallasua presenza restò perfettamente convinto, ch'ei nonaveva che temere dall'unione de' Cristiani. L'imparzialeAmmiano attribuì quest'affettata clemenza al desideriodi fomentar l'interne divisioni della Chiesa, ed infattil'insidioso disegno di sottominare il Cristianesimo era

430In Grecia s'aprirono per espresso comando di lui i tempj di Minerva, pri-ma della morte di Costanzo (Liban. Orat. parent. c. 55 p. 280), e Giuliano stes-so si dichiarò Pagano nel pubblico suo manifesto agli Ateniesi. Questa indubi-tabile prova può correggere l'inconsiderata asserzione di Ammiano, il qualesuppone che Costantinopoli fosse il luogo, dove egli scuoprì il suo attaccamen-to agli Dei.

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inseparabilmente connesso con lo zelo che Giulianoprofessava, di restaurar l'antica religion dell'Impero431.

Appena salito sul Trono, secondo il costume de' suoipredecessori, assunse il carattere di Pontefice Massimonon solo come il più onorevole titolo della grandezzaImperiale, ma eziandio come un sacro ed importante uf-fizio, i doveri del quale era egli risoluto d'eseguire conpia diligenza. Poichè gli affari dello Stato impedivanoall'Imperatore d'unirsi ogni giorno negli atti di pubblicadevozione co' suoi sudditi, dedicò una cappella domesti-ca al Sole suo Dio tutelare; i suoi giardini eran pieni distatue e di altari degli Dei; ed ogni appartamento del Pa-lazzo avea l'apparenza d'un magnifico tempio. Ognimattina ei salutava il padre della luce con un sacrifizio;si spargeva il sangue d'un'altra vittima nel momento, incui il Sole cadeva sotto l'orizzonte; e la Luna, le Stelleed i Genj della notte ricevevano i lor respettivi ed op-portuni onori dall'instancabile devozione di Giuliano.Nelle feste solenni regolarmente visitava il tempio delDio o della Dea, a cui quel giorno era particolarmentededicato, e procurava d'eccitar la religione de' Magistra-ti e del Popolo coll'esempio del suo proprio zelo. Invecedi sostener l'alto stato d'un Monarca, distinto dallosplendor della porpora, e circondato dagli aurei scudidelle sue guardie, Giuliano con rispettoso ardore s'eser-

431Ammiano XXII. 5. Sozomeno l. V. c. 5. Bestia moritur, tranquillitas re-dit... omnes Episcopi, qui de propriis sedibus fuerant exterminati, per indul-gentiam novi Principis ad Ecclesias redeunt. Girol. adv. Lucifer. Tom. II p.143. Ottato rimprovera a' Donatisti d'esser debitori della loro salvezza ad unapostata (l. II. c. 16 p. 36, 37, Edit. Dupin).

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inseparabilmente connesso con lo zelo che Giulianoprofessava, di restaurar l'antica religion dell'Impero431.

Appena salito sul Trono, secondo il costume de' suoipredecessori, assunse il carattere di Pontefice Massimonon solo come il più onorevole titolo della grandezzaImperiale, ma eziandio come un sacro ed importante uf-fizio, i doveri del quale era egli risoluto d'eseguire conpia diligenza. Poichè gli affari dello Stato impedivanoall'Imperatore d'unirsi ogni giorno negli atti di pubblicadevozione co' suoi sudditi, dedicò una cappella domesti-ca al Sole suo Dio tutelare; i suoi giardini eran pieni distatue e di altari degli Dei; ed ogni appartamento del Pa-lazzo avea l'apparenza d'un magnifico tempio. Ognimattina ei salutava il padre della luce con un sacrifizio;si spargeva il sangue d'un'altra vittima nel momento, incui il Sole cadeva sotto l'orizzonte; e la Luna, le Stelleed i Genj della notte ricevevano i lor respettivi ed op-portuni onori dall'instancabile devozione di Giuliano.Nelle feste solenni regolarmente visitava il tempio delDio o della Dea, a cui quel giorno era particolarmentededicato, e procurava d'eccitar la religione de' Magistra-ti e del Popolo coll'esempio del suo proprio zelo. Invecedi sostener l'alto stato d'un Monarca, distinto dallosplendor della porpora, e circondato dagli aurei scudidelle sue guardie, Giuliano con rispettoso ardore s'eser-

431Ammiano XXII. 5. Sozomeno l. V. c. 5. Bestia moritur, tranquillitas re-dit... omnes Episcopi, qui de propriis sedibus fuerant exterminati, per indul-gentiam novi Principis ad Ecclesias redeunt. Girol. adv. Lucifer. Tom. II p.143. Ottato rimprovera a' Donatisti d'esser debitori della loro salvezza ad unapostata (l. II. c. 16 p. 36, 37, Edit. Dupin).

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citava ne' minimi uffizi che appartenevano al culto degliDei. In mezzo alla sacra ma licenziosa folla di Sacerdo-ti, d'inferiori ministri e di femmine danzanti, ch'eranoaddette al servizio del tempio, l'occupazione dell'Impe-ratore era quella di portar le legna, di soffiar nel fuoco,di prendere il coltello, d'uccider la vittima, e ponendo lesanguinose sue mani nelle viscere dello spirante anima-le, di tirar fuori il cuore o il fegato per leggervi, con laconsumata abilità d'un aruspice, gl'immaginari segni de-gli eventi futuri. I più savj fra' Pagani censuravano talestravagante superstizione, che affettava di disprezzare iritegni della prudenza e del decoro. Nel regno d'un Prin-cipe, che praticava le rigide massime d'economia, laspesa del Culto religioso consumava una gran partedell'entrata; si trasportava continuamente una quantitàde' più rari e più begli uccelli da remoti paesi per ucci-derli sugli altari degli Dei; frequentemente si sacrifica-vano da Giuliano cento bovi nel medesimo giorno; epresto si sparse un detto scherzoso fra il popolo, che setornava dalla guerra di Persia colla vittoria, la razza delbestiame cornuto insensibilmente sarebbesi estinta. Purequesta spesa può sembrare di niun conto, qualora si pa-ragoni con gli splendidi donativi, che offerti furono dal-le mani dell'Imperatore, o per ordine di lui, a tutti i luo-ghi celebri di devozione nel Mondo Romano; e con lesomme concesse per restaurare ed ornare gli antichitempj, che avevan sofferto o la tacita decadenza deltempo, o le recenti ingiurie dello zelo Cristiano. Inco-raggiate dall'esempio, dall'esortazione e dalla liberalità

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citava ne' minimi uffizi che appartenevano al culto degliDei. In mezzo alla sacra ma licenziosa folla di Sacerdo-ti, d'inferiori ministri e di femmine danzanti, ch'eranoaddette al servizio del tempio, l'occupazione dell'Impe-ratore era quella di portar le legna, di soffiar nel fuoco,di prendere il coltello, d'uccider la vittima, e ponendo lesanguinose sue mani nelle viscere dello spirante anima-le, di tirar fuori il cuore o il fegato per leggervi, con laconsumata abilità d'un aruspice, gl'immaginari segni de-gli eventi futuri. I più savj fra' Pagani censuravano talestravagante superstizione, che affettava di disprezzare iritegni della prudenza e del decoro. Nel regno d'un Prin-cipe, che praticava le rigide massime d'economia, laspesa del Culto religioso consumava una gran partedell'entrata; si trasportava continuamente una quantitàde' più rari e più begli uccelli da remoti paesi per ucci-derli sugli altari degli Dei; frequentemente si sacrifica-vano da Giuliano cento bovi nel medesimo giorno; epresto si sparse un detto scherzoso fra il popolo, che setornava dalla guerra di Persia colla vittoria, la razza delbestiame cornuto insensibilmente sarebbesi estinta. Purequesta spesa può sembrare di niun conto, qualora si pa-ragoni con gli splendidi donativi, che offerti furono dal-le mani dell'Imperatore, o per ordine di lui, a tutti i luo-ghi celebri di devozione nel Mondo Romano; e con lesomme concesse per restaurare ed ornare gli antichitempj, che avevan sofferto o la tacita decadenza deltempo, o le recenti ingiurie dello zelo Cristiano. Inco-raggiate dall'esempio, dall'esortazione e dalla liberalità

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del pio loro Sovrano, le città e le famiglie ripresero lapratica delle trascurate lor ceremonie. «Ogni parte delMondo (esclama Libanio con devoto trasporto) spiegavail trionfo della Religione, il grato prospetto di altari ar-denti e di uccise vittime, il fumo dell'incenso; ed un so-lenne ordine di Sacerdoti e di Profeti senza timore e sen-za pericolo. S'udivan sulla cima delle più alte montagneil suono delle preci e della musica, ed il medesimo boveserviva di sacrifizio agli Dei, e di cena pe' lieti loro de-voti»432.

Ma il genio e la potenza di Giuliano non furono suffi-cienti per l'impresa di restaurare una religione, ch'eramancante di principj teologici, di precetti morali ed'ecclesiastica disciplina; che tendeva rapidamente alladecadenza ed allo scioglimento; e che non era suscetti-bile d'alcuna solida o stabile riforma. La giurisdizionedel Pontefice Massimo, dopo che specialmentequell'uffizio erasi unito all'Imperial dignità, s'estendevaa tutto l'Impero Romano. Giuliano elesse per suoi vicarjnelle diverse Province i Sacerdoti e Filosofi, che stimòpiù idonei a cooperare all'esecuzione del suo gran dise-gno; e le sue lettere pastorali433, s'è permesso d'usare tal

432La restaurazione del Culto Pagano è descritta da Giuliano (Misopogon p.346), da Libanio (Orat. parent. c. 60. p. 286. 287. e Orat. Consul. ad Julian. p.245. 246. edit. Morel.) da Ammiano (XXII. 12.), e da Gregorio Nazianzeno(Orat. IV. p. 121). Questi Scrittori convengono nella sostanza ed anche ne' fattiminuti; ma i differenti aspetti, ne' quali vedevano l'estrema divozione di Giu-liano, esprimono diversi gradi d'amor proprio, d'appassionata ammirazione, didolce disapprovazione e di parzial invettiva.

433Vedi Giuliano (Epist. 49. 62. 63) ed un lungo e curioso frammento senzaprincipio nè fine (p. 288. 305). Il pontefice Massimo deride la storia Mosaica e

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del pio loro Sovrano, le città e le famiglie ripresero lapratica delle trascurate lor ceremonie. «Ogni parte delMondo (esclama Libanio con devoto trasporto) spiegavail trionfo della Religione, il grato prospetto di altari ar-denti e di uccise vittime, il fumo dell'incenso; ed un so-lenne ordine di Sacerdoti e di Profeti senza timore e sen-za pericolo. S'udivan sulla cima delle più alte montagneil suono delle preci e della musica, ed il medesimo boveserviva di sacrifizio agli Dei, e di cena pe' lieti loro de-voti»432.

Ma il genio e la potenza di Giuliano non furono suffi-cienti per l'impresa di restaurare una religione, ch'eramancante di principj teologici, di precetti morali ed'ecclesiastica disciplina; che tendeva rapidamente alladecadenza ed allo scioglimento; e che non era suscetti-bile d'alcuna solida o stabile riforma. La giurisdizionedel Pontefice Massimo, dopo che specialmentequell'uffizio erasi unito all'Imperial dignità, s'estendevaa tutto l'Impero Romano. Giuliano elesse per suoi vicarjnelle diverse Province i Sacerdoti e Filosofi, che stimòpiù idonei a cooperare all'esecuzione del suo gran dise-gno; e le sue lettere pastorali433, s'è permesso d'usare tal

432La restaurazione del Culto Pagano è descritta da Giuliano (Misopogon p.346), da Libanio (Orat. parent. c. 60. p. 286. 287. e Orat. Consul. ad Julian. p.245. 246. edit. Morel.) da Ammiano (XXII. 12.), e da Gregorio Nazianzeno(Orat. IV. p. 121). Questi Scrittori convengono nella sostanza ed anche ne' fattiminuti; ma i differenti aspetti, ne' quali vedevano l'estrema divozione di Giu-liano, esprimono diversi gradi d'amor proprio, d'appassionata ammirazione, didolce disapprovazione e di parzial invettiva.

433Vedi Giuliano (Epist. 49. 62. 63) ed un lungo e curioso frammento senzaprincipio nè fine (p. 288. 305). Il pontefice Massimo deride la storia Mosaica e

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nome, tuttora presentano una prova molto curiosa de'suoi desiderj e disegni. Egli ordinò che in ogni cittàl'ordin Sacerdotale venisse composto, senza distinzionealcuna di nascita o di ricchezze, da quelle persone chefossero le più cospicue pel loro amore verso gli Dei everso gli uomini. «Se i medesimi (continua) son rei diqualche scandaloso delitto potranno esser censurati odegradati dal Pontefice superiore; ma fintanto che riten-gono il loro grado, hanno diritto al rispetto de' Magistra-ti e del Popolo. Posson dimostrare la lor umiltà nellaschiettezza delle domestiche vesti e la dignità nellapompa delle sacre. Quando son chiamati, secondo l'ordi-ne, ad uffiziare avanti all'altare, non dovrebbero pel de-terminato numero di giorni partirsi dal recinto del tem-pio; nè soffrir dovrebbero, che passasse un sol giornosenza le preghiere ed il sacrifizio che son obbligati adofferire per la prosperità dello Stato e degl'individui.L'esercizio delle sacre loro funzioni esige un'immacola-ta purità sì di mente che di corpo; ed anche allorchè sonfuori del tempio, nelle occupazioni della vita comune,incombe loro l'obbligo di sorpassare in decenza e in vir-tù gli altri loro concittadini. Il Sacerdote degli Dei nondovrebbe mai vedersi ne' teatri o nelle taverne. La suaconversazione dovrebbe esser casta, il suo cibo tempera-to, i suoi amici d'onesta riputazione; e se qualche voltasi fa vedere nel Foro o nel Palazzo, non dovrebbe com-parirvi che come avvocato di quelli che hanno chiesto inla disciplina Cristiana, preferisce i Poeti Greci a' Profeti Ebrei, e dissimulacoll'arte d'un Gesuita, il culto relativo delle immagini.

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nome, tuttora presentano una prova molto curiosa de'suoi desiderj e disegni. Egli ordinò che in ogni cittàl'ordin Sacerdotale venisse composto, senza distinzionealcuna di nascita o di ricchezze, da quelle persone chefossero le più cospicue pel loro amore verso gli Dei everso gli uomini. «Se i medesimi (continua) son rei diqualche scandaloso delitto potranno esser censurati odegradati dal Pontefice superiore; ma fintanto che riten-gono il loro grado, hanno diritto al rispetto de' Magistra-ti e del Popolo. Posson dimostrare la lor umiltà nellaschiettezza delle domestiche vesti e la dignità nellapompa delle sacre. Quando son chiamati, secondo l'ordi-ne, ad uffiziare avanti all'altare, non dovrebbero pel de-terminato numero di giorni partirsi dal recinto del tem-pio; nè soffrir dovrebbero, che passasse un sol giornosenza le preghiere ed il sacrifizio che son obbligati adofferire per la prosperità dello Stato e degl'individui.L'esercizio delle sacre loro funzioni esige un'immacola-ta purità sì di mente che di corpo; ed anche allorchè sonfuori del tempio, nelle occupazioni della vita comune,incombe loro l'obbligo di sorpassare in decenza e in vir-tù gli altri loro concittadini. Il Sacerdote degli Dei nondovrebbe mai vedersi ne' teatri o nelle taverne. La suaconversazione dovrebbe esser casta, il suo cibo tempera-to, i suoi amici d'onesta riputazione; e se qualche voltasi fa vedere nel Foro o nel Palazzo, non dovrebbe com-parirvi che come avvocato di quelli che hanno chiesto inla disciplina Cristiana, preferisce i Poeti Greci a' Profeti Ebrei, e dissimulacoll'arte d'un Gesuita, il culto relativo delle immagini.

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vano giustizia o pietà. I suoi studj dovrebbero esser coe-renti alla santità della sua professione. Le novelle licen-ziose, le commedie e le satire dovrebbero esser banditedalla sua libreria, che solo dovrebbe esser composta discritti storici e filosofici; di storia fondata sulla verità, edi filosofia connessa con la religione. L'empie opinionidegli Epicurei e degli Scettici meritano il suo abborri-mento e disprezzo434; ma dovrebbe diligentemente stu-diare i sistemi di Pitagora, di Platone e degli Stoici, cheinsegnano concordemente, che vi sono gli Dei; che ilMondo è governato dalla lor providenza; che la lor bon-tà è la sorgente d'ogni bene temporale; e che hanno essipreparato per l'anima umana uno stato futuro di premioo di pena». L'Imperial Pontefice inculca ne' più persua-sivi termini i doveri della beneficenza e dell'ospitalità;esorta l'inferiore suo clero a raccomandare la praticauniversale di queste virtù; promette d'assister la loro in-digenza col tesoro pubblico; e dichiarasi risoluto di sta-bilire degli ospedali in ogni città, ne' quali potesse il po-vero esser ricevuto senz'alcuna odiosa distinzione di re-ligione o di patria. Giuliano vedeva con invidia i savj edumani regolamenti della Chiesa, ed assai francamenteconfessa l'intenzione che aveva di spogliare i Cristianidell'applauso e del vantaggio, ch'essi aveano acquistatomediante la pratica esclusiva della carità e della benefi-

434L'esultazione di Giuliano (p. 301) perchè s'estinguessero quest'empie Set-te ed anche i loro scritti, può essere assai coerente al carattere Sacerdotale; maè indegno d'un Filosofo il desiderare, che si celasse agli occhi del genere uma-no alcuna opinione o argomento anche il più ripugnante al proprio sentire.

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vano giustizia o pietà. I suoi studj dovrebbero esser coe-renti alla santità della sua professione. Le novelle licen-ziose, le commedie e le satire dovrebbero esser banditedalla sua libreria, che solo dovrebbe esser composta discritti storici e filosofici; di storia fondata sulla verità, edi filosofia connessa con la religione. L'empie opinionidegli Epicurei e degli Scettici meritano il suo abborri-mento e disprezzo434; ma dovrebbe diligentemente stu-diare i sistemi di Pitagora, di Platone e degli Stoici, cheinsegnano concordemente, che vi sono gli Dei; che ilMondo è governato dalla lor providenza; che la lor bon-tà è la sorgente d'ogni bene temporale; e che hanno essipreparato per l'anima umana uno stato futuro di premioo di pena». L'Imperial Pontefice inculca ne' più persua-sivi termini i doveri della beneficenza e dell'ospitalità;esorta l'inferiore suo clero a raccomandare la praticauniversale di queste virtù; promette d'assister la loro in-digenza col tesoro pubblico; e dichiarasi risoluto di sta-bilire degli ospedali in ogni città, ne' quali potesse il po-vero esser ricevuto senz'alcuna odiosa distinzione di re-ligione o di patria. Giuliano vedeva con invidia i savj edumani regolamenti della Chiesa, ed assai francamenteconfessa l'intenzione che aveva di spogliare i Cristianidell'applauso e del vantaggio, ch'essi aveano acquistatomediante la pratica esclusiva della carità e della benefi-

434L'esultazione di Giuliano (p. 301) perchè s'estinguessero quest'empie Set-te ed anche i loro scritti, può essere assai coerente al carattere Sacerdotale; maè indegno d'un Filosofo il desiderare, che si celasse agli occhi del genere uma-no alcuna opinione o argomento anche il più ripugnante al proprio sentire.

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cenza435. Il medesimo spirito d'imitazione potè disporrel'Imperatore ad adottare varie istituzioni ecclesiastiche,l'uso ed importanza delle quali confermavasi dal buonsuccesso de' suoi nemici. Ma se si fossero realizzati que-sti immaginari divisamenti di riforma, tal imperfetta eforzata copia sarebbe stata meno giovevole al Paganesi-mo che onorevole pe' Cristiani436. I Gentili, che pacifica-mente seguivano i costumi de' loro maggiori, restaronopiuttosto sorpresi che edificati dall'introduzione di usistranieri; e nel breve periodo del suo regno Giulianoebbe frequenti occasioni di dolersi della mancanza difervore del suo partito437.

L'entusiasmo di Giuliano gli facea risguardar gli ami-ci di Giove come suoi personali amici e fratelli; e quan-tunque trascurasse con parzial disprezzo il merito dellacostanza Cristiana, ammirava e premiava la nobil perse-veranza di que' Gentili, che preferito avevano il favordegli Dei a quello dell'Imperatore438. Se oltre la religione

435Insinua però che i Cristiani, sotto pretesto di carità, involavano i fanciullialla lor religione ed a' loro genitori, li trasportavano sopra navi, e condannava-no queste vittime ad una vita di povertà o di servitù in un remoto paese (p.305). Se l'accusa fosse stata provata, il suo dovere non era di dolersi, ma di pu-nire.

436Gregorio Nazianzeno è faceto, ingegnoso ed arguto (Orat. III. p. 101,102. ec.) Egli pone in ridicolo la follia di tal vana imitazione, e si diverte ad in-vestigare quali morali o teologiche lezioni potrebbero trarsi dalle favole Gre-che.

437Egli accusa uno de' suoi Pontefici d'una segreta lega co' Vescovi e PretiCristiani. Epist. 69. Ορων ουν πολλην µεν ολιγωριαν ουςαν ηµινπρος τουςθεους, vedendo pertanto che in noi si trova molta negligenza verso gli Dei; e dinuovo Ηµας δε ουπω ραθιµως; che noi così languidamente ec. Ep. 63.

438Ei loda la fedeltà di Callissene, Sacerdotessa di Cerere, ch'era stata due

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cenza435. Il medesimo spirito d'imitazione potè disporrel'Imperatore ad adottare varie istituzioni ecclesiastiche,l'uso ed importanza delle quali confermavasi dal buonsuccesso de' suoi nemici. Ma se si fossero realizzati que-sti immaginari divisamenti di riforma, tal imperfetta eforzata copia sarebbe stata meno giovevole al Paganesi-mo che onorevole pe' Cristiani436. I Gentili, che pacifica-mente seguivano i costumi de' loro maggiori, restaronopiuttosto sorpresi che edificati dall'introduzione di usistranieri; e nel breve periodo del suo regno Giulianoebbe frequenti occasioni di dolersi della mancanza difervore del suo partito437.

L'entusiasmo di Giuliano gli facea risguardar gli ami-ci di Giove come suoi personali amici e fratelli; e quan-tunque trascurasse con parzial disprezzo il merito dellacostanza Cristiana, ammirava e premiava la nobil perse-veranza di que' Gentili, che preferito avevano il favordegli Dei a quello dell'Imperatore438. Se oltre la religione

435Insinua però che i Cristiani, sotto pretesto di carità, involavano i fanciullialla lor religione ed a' loro genitori, li trasportavano sopra navi, e condannava-no queste vittime ad una vita di povertà o di servitù in un remoto paese (p.305). Se l'accusa fosse stata provata, il suo dovere non era di dolersi, ma di pu-nire.

436Gregorio Nazianzeno è faceto, ingegnoso ed arguto (Orat. III. p. 101,102. ec.) Egli pone in ridicolo la follia di tal vana imitazione, e si diverte ad in-vestigare quali morali o teologiche lezioni potrebbero trarsi dalle favole Gre-che.

437Egli accusa uno de' suoi Pontefici d'una segreta lega co' Vescovi e PretiCristiani. Epist. 69. Ορων ουν πολλην µεν ολιγωριαν ουςαν ηµινπρος τουςθεους, vedendo pertanto che in noi si trova molta negligenza verso gli Dei; e dinuovo Ηµας δε ουπω ραθιµως; che noi così languidamente ec. Ep. 63.

438Ei loda la fedeltà di Callissene, Sacerdotessa di Cerere, ch'era stata due

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coltivavano anche la letteratura de' Greci acquistavanoun diritto maggiore all'amicizia di Giuliano, che ponevale Muse nel numero delle sue Divinità tutelari. Nella re-ligione, ch'egli aveva abbracciato, eran quasi sinonimopietà ed erudizione439; e una folla di poeti, di retori, e difilosofi correva alla Corte Imperiale ad occupare i postivacanti dei Vescovi che avean sedotto la credulità di Co-stanzo. Il suo successore stimava i vincoli dell'iniziazio-ne molto più sacri di quelli della consanguineità, scelse ipiù favoriti fra' savj, ch'eran profondamente periti nelleocculte scienze della magia e della divinazione; edogn'impostore, che pretendea di rivelare i segreti futuri,era sicuro di godere l'accesso agli onori ed alle ricchez-ze440. Fra' filosofi, Massimo ottenne il grado più eminen-te nell'amicizia del suo reale discepolo, che ad esso co-municava con intera confidenza le sue azioni, i senti-menti ed i religiosi disegni che aveva nel tempo che re-stava sospesa la guerra civile441. Tosto che Giulianoebbe preso possesso del palazzo di Costantinopoli, man-dò un onorevole e pressante invito a Massimo, che involte costante come Penelope, e la rimunera col Sacerdozio della Dea Frigia aPessino (Giuliano Epist. 21). Applaude alla fermezza di Sopatro di Jerapoli,che più volte da Costanzo e da Gallo era stato stimolato ad apostatare (Epist.27. p. 401).

439Ο δε νοµιξον αδελφα λογους τε και θεων ιερα: stimando congiunti fraloro i raziocinj ed i misteri degli Dei. Orat. parent. c. 77, p. 302. Viene incul-cato spesse volte il medesimo sentimento da Giuliano, da Libanio, e dagli altridel loro partito.

440Ammiano (XXII. 12) espone elegantemente la curiosità e credulitàdell'Imperatore, che approvava ogni specie di divinazione.

441Giuliano Epist. 38. Sono indirizzate al filosofo Massimo le altre tre lette-re 15, 16 e 39 col medesimo stile d'amicizia e di confidenza.

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coltivavano anche la letteratura de' Greci acquistavanoun diritto maggiore all'amicizia di Giuliano, che ponevale Muse nel numero delle sue Divinità tutelari. Nella re-ligione, ch'egli aveva abbracciato, eran quasi sinonimopietà ed erudizione439; e una folla di poeti, di retori, e difilosofi correva alla Corte Imperiale ad occupare i postivacanti dei Vescovi che avean sedotto la credulità di Co-stanzo. Il suo successore stimava i vincoli dell'iniziazio-ne molto più sacri di quelli della consanguineità, scelse ipiù favoriti fra' savj, ch'eran profondamente periti nelleocculte scienze della magia e della divinazione; edogn'impostore, che pretendea di rivelare i segreti futuri,era sicuro di godere l'accesso agli onori ed alle ricchez-ze440. Fra' filosofi, Massimo ottenne il grado più eminen-te nell'amicizia del suo reale discepolo, che ad esso co-municava con intera confidenza le sue azioni, i senti-menti ed i religiosi disegni che aveva nel tempo che re-stava sospesa la guerra civile441. Tosto che Giulianoebbe preso possesso del palazzo di Costantinopoli, man-dò un onorevole e pressante invito a Massimo, che involte costante come Penelope, e la rimunera col Sacerdozio della Dea Frigia aPessino (Giuliano Epist. 21). Applaude alla fermezza di Sopatro di Jerapoli,che più volte da Costanzo e da Gallo era stato stimolato ad apostatare (Epist.27. p. 401).

439Ο δε νοµιξον αδελφα λογους τε και θεων ιερα: stimando congiunti fraloro i raziocinj ed i misteri degli Dei. Orat. parent. c. 77, p. 302. Viene incul-cato spesse volte il medesimo sentimento da Giuliano, da Libanio, e dagli altridel loro partito.

440Ammiano (XXII. 12) espone elegantemente la curiosità e credulitàdell'Imperatore, che approvava ogni specie di divinazione.

441Giuliano Epist. 38. Sono indirizzate al filosofo Massimo le altre tre lette-re 15, 16 e 39 col medesimo stile d'amicizia e di confidenza.

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quel tempo dimorava a Sardi nella Lidia con Crisantio,suo compagno nell'arte e negli studi. Il prudente e super-stizioso Crisantio ricusò d'intraprendere un viaggio cheappariva, secondo le regole della divinazione, in unaspetto il più minaccioso e maligno; ma il compagno,ch'era d'un fanatismo di tempra più ardita, persistè nelleinterrogazioni fintanto che non ebbe estorto dagli Dei unapparente consenso a' suoi desiderj ed a quellidell'Imperatore. Il viaggio di Massimo per le cittàdell'Asia spiegava il trionfo della filosofica vanità; ed iMagistrati gareggiavan fra loro negli onori che prepara-vano per ricever l'amico del loro Sovrano. Giuliano, almomento che seppe l'arrivo di Massimo, recitavaun'orazione in Senato; immediatamente interruppe il di-scorso, corse ad incontrarlo, e dopo un tenero abbracciolo condusse per mano in mezzo dell'assemblea, dovepubblicamente confessò i vantaggi, che aveva trattidall'istruzioni del filosofo. Massimo442, che presto acqui-stò la confidenza di Giuliano, ed influiva ne' suoi consi-gli, fu insensibilmente corrotto dalle tentazioni d'unaCorte. Il suo vestire divenne più splendido, il suo porta-mento più altero, e sotto un altro regno fu espostoall'odiosa investigazione de' mezzi, co' quali il discepolodi Platone aveva accumulato, nella breve durata del suofavore, una molto scandalosa quantità di ricchezze. Da-

442Eunapio (in Massimo p. 77. 78. 79 et in Chrysanthio p. 147. 148) ha mi-nutamente riportati questi aneddoti, ch'ei crede i fatti più importanti di queltempo. Nondimeno ingenuamente confessa la fragilità di Massimo. Il suo rice-vimento a Costantinopoli è descritto da Libanio (Orat. parent. c. 86. p. 301) eda Ammiano (XXII. 7).

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quel tempo dimorava a Sardi nella Lidia con Crisantio,suo compagno nell'arte e negli studi. Il prudente e super-stizioso Crisantio ricusò d'intraprendere un viaggio cheappariva, secondo le regole della divinazione, in unaspetto il più minaccioso e maligno; ma il compagno,ch'era d'un fanatismo di tempra più ardita, persistè nelleinterrogazioni fintanto che non ebbe estorto dagli Dei unapparente consenso a' suoi desiderj ed a quellidell'Imperatore. Il viaggio di Massimo per le cittàdell'Asia spiegava il trionfo della filosofica vanità; ed iMagistrati gareggiavan fra loro negli onori che prepara-vano per ricever l'amico del loro Sovrano. Giuliano, almomento che seppe l'arrivo di Massimo, recitavaun'orazione in Senato; immediatamente interruppe il di-scorso, corse ad incontrarlo, e dopo un tenero abbracciolo condusse per mano in mezzo dell'assemblea, dovepubblicamente confessò i vantaggi, che aveva trattidall'istruzioni del filosofo. Massimo442, che presto acqui-stò la confidenza di Giuliano, ed influiva ne' suoi consi-gli, fu insensibilmente corrotto dalle tentazioni d'unaCorte. Il suo vestire divenne più splendido, il suo porta-mento più altero, e sotto un altro regno fu espostoall'odiosa investigazione de' mezzi, co' quali il discepolodi Platone aveva accumulato, nella breve durata del suofavore, una molto scandalosa quantità di ricchezze. Da-

442Eunapio (in Massimo p. 77. 78. 79 et in Chrysanthio p. 147. 148) ha mi-nutamente riportati questi aneddoti, ch'ei crede i fatti più importanti di queltempo. Nondimeno ingenuamente confessa la fragilità di Massimo. Il suo rice-vimento a Costantinopoli è descritto da Libanio (Orat. parent. c. 86. p. 301) eda Ammiano (XXII. 7).

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gli altri Filosofi e Sofisti, che furono invitati alla CorteImperiale o dalla scelta di Giuliano o dal buon successodi Massimo, ben pochi furono capaci di conservare laloro innocenza o riputazione443. I generosi doni di dana-ro, di terre e di case non furono sufficienti a saziare larapace loro avarizia; ed era giustamente eccitato lo sde-gno del popolo dalla rimembranza dell'abbietta lor po-vertà e delle disinteressate loro proteste. Non potè sem-pre ingannarsi la penetrazion di Giuliano; ma ei non vo-leva avvilire il carattere di quelli, i talenti de' quali meri-tavano la sua stima; voleva evitare la doppia tacciad'imprudenza e d'incostanza; e temeva d'abbassare, agliocchi de' profani, l'onor delle lettere e della religione444.

Il favor di Giuliano era quasi ugualmente diviso fra iPagani, ch'erano stati fermamente attaccati al culto de'loro maggiori, ed i Cristiani che prudentemente abbrac-ciavano la religione del loro Sovrano. L'acquisto di nuo-vi proseliti445 soddisfaceva la superstizione e la vanità,

443Crisantio, che avea ricusato di partir dalla Lidia, fu creato sommo Sacer-dote della Provincia. Il cauto e moderato uso che fece del suo potere, l'assicuròdopo la rivoluzione, e visse in pace, mentre Massimo, Prisco ec. furon perse-guitati da' ministri Cristiani. Vedi le avventure di que' fanatici sofisti, raccoltedal Brucker T. II. 281-293.

444Vedi Libanio (Orat. parent. c. 101. 102. p. 324. 325. 326.) ed Eunapio(Vit. Sophista. in Proderesio. p. 126). Alcuni studenti, le speranze de' quali era-no forse mal fondate o stravaganti, si ritirarono disgustati (Greg. Nazianz.Orat. IV. p. 120). Egli è strano, che non possiamo essere in grado di contraddi-re al titolo d'un capitolo di Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV. p. 960.) «Lacour de Julien est pleine de philosophes et de gens perdus».

445Durante il regno di Luigi XIV. i suoi sudditi d'ogni ordine aspiravano alglorioso titolo di Convertisseur, che esprimeva lo zelo e successo loro in far de'proseliti. Sì la parola, che l'idea in Francia sono presentemente antiquate. Pos-

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gli altri Filosofi e Sofisti, che furono invitati alla CorteImperiale o dalla scelta di Giuliano o dal buon successodi Massimo, ben pochi furono capaci di conservare laloro innocenza o riputazione443. I generosi doni di dana-ro, di terre e di case non furono sufficienti a saziare larapace loro avarizia; ed era giustamente eccitato lo sde-gno del popolo dalla rimembranza dell'abbietta lor po-vertà e delle disinteressate loro proteste. Non potè sem-pre ingannarsi la penetrazion di Giuliano; ma ei non vo-leva avvilire il carattere di quelli, i talenti de' quali meri-tavano la sua stima; voleva evitare la doppia tacciad'imprudenza e d'incostanza; e temeva d'abbassare, agliocchi de' profani, l'onor delle lettere e della religione444.

Il favor di Giuliano era quasi ugualmente diviso fra iPagani, ch'erano stati fermamente attaccati al culto de'loro maggiori, ed i Cristiani che prudentemente abbrac-ciavano la religione del loro Sovrano. L'acquisto di nuo-vi proseliti445 soddisfaceva la superstizione e la vanità,

443Crisantio, che avea ricusato di partir dalla Lidia, fu creato sommo Sacer-dote della Provincia. Il cauto e moderato uso che fece del suo potere, l'assicuròdopo la rivoluzione, e visse in pace, mentre Massimo, Prisco ec. furon perse-guitati da' ministri Cristiani. Vedi le avventure di que' fanatici sofisti, raccoltedal Brucker T. II. 281-293.

444Vedi Libanio (Orat. parent. c. 101. 102. p. 324. 325. 326.) ed Eunapio(Vit. Sophista. in Proderesio. p. 126). Alcuni studenti, le speranze de' quali era-no forse mal fondate o stravaganti, si ritirarono disgustati (Greg. Nazianz.Orat. IV. p. 120). Egli è strano, che non possiamo essere in grado di contraddi-re al titolo d'un capitolo di Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV. p. 960.) «Lacour de Julien est pleine de philosophes et de gens perdus».

445Durante il regno di Luigi XIV. i suoi sudditi d'ogni ordine aspiravano alglorioso titolo di Convertisseur, che esprimeva lo zelo e successo loro in far de'proseliti. Sì la parola, che l'idea in Francia sono presentemente antiquate. Pos-

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dominanti passioni dell'animo suo; e s'udì protestare,coll'entusiasmo d'un Missionario, che quando egli aves-se potuto rendere ogn'individuo più ricco di Mida, edogni città più grande di Babilonia, non si sarebbe credu-to il benefattore dell'uman genere, se nel tempo stessonon avesse anche potuto richiamare i suoi sudditidall'empia lor ribellione contro gli Dei immortali446. UnPrincipe, che avea studiato la natura umana, e che pos-sedeva i tesori del Romano Impero, poteva adattare gliargomenti, le promesse ed i premj ad ogni ordine di Cri-stiani447; ed il merito d'un'opportuna conversione servivaa supplire a' difetti d'un candidato, o anche ad espiare ildelitto d'un reo. Siccome l'esercito è la più forte macchi-na del potere assoluto, Giuliano applicossi con partico-lar diligenza a corrompere la religione delle sue truppe,senza il cordial concorso delle quali ogni passo dovevaesser pericoloso ed inutile, e l'indole natural de' soldatirendè tal conquista altrettanto facile, quanto era impor-tante. Le legioni della Gallia s'attaccarono alla fedeugualmente che alla fortuna del vittorioso lor Capitano;ed anche avanti la morte di Costanzo egli ebbe il piacered'annunziare a' suoi amici, ch'essi assistevano con fer-sano in Inghilterra non trovare accesso giammai!

446Vedansi le forti espressioni di Libanio, ch'erano probabilmente quelle diGiuliano medesimo (Orat. parent. c. 59. p. 285.)

447Quando Gregorio Nazianzeno (Orat. X. p. 167.) vuol magnificare la fer-mezza Cristiana di Cesario suo fratello, medico alla Corte Imperiale, confessache Cesario disputò con un formidabile avversario, πολυν εν οπλοις, και µεγανεν λογων δεινοτητι abbondante di armi, e grande nella forza del discorso. Nel-le sue invettive appena concede alcuna dose d'ingegno o di coraggio all'aposta-ta.

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dominanti passioni dell'animo suo; e s'udì protestare,coll'entusiasmo d'un Missionario, che quando egli aves-se potuto rendere ogn'individuo più ricco di Mida, edogni città più grande di Babilonia, non si sarebbe credu-to il benefattore dell'uman genere, se nel tempo stessonon avesse anche potuto richiamare i suoi sudditidall'empia lor ribellione contro gli Dei immortali446. UnPrincipe, che avea studiato la natura umana, e che pos-sedeva i tesori del Romano Impero, poteva adattare gliargomenti, le promesse ed i premj ad ogni ordine di Cri-stiani447; ed il merito d'un'opportuna conversione servivaa supplire a' difetti d'un candidato, o anche ad espiare ildelitto d'un reo. Siccome l'esercito è la più forte macchi-na del potere assoluto, Giuliano applicossi con partico-lar diligenza a corrompere la religione delle sue truppe,senza il cordial concorso delle quali ogni passo dovevaesser pericoloso ed inutile, e l'indole natural de' soldatirendè tal conquista altrettanto facile, quanto era impor-tante. Le legioni della Gallia s'attaccarono alla fedeugualmente che alla fortuna del vittorioso lor Capitano;ed anche avanti la morte di Costanzo egli ebbe il piacered'annunziare a' suoi amici, ch'essi assistevano con fer-sano in Inghilterra non trovare accesso giammai!

446Vedansi le forti espressioni di Libanio, ch'erano probabilmente quelle diGiuliano medesimo (Orat. parent. c. 59. p. 285.)

447Quando Gregorio Nazianzeno (Orat. X. p. 167.) vuol magnificare la fer-mezza Cristiana di Cesario suo fratello, medico alla Corte Imperiale, confessache Cesario disputò con un formidabile avversario, πολυν εν οπλοις, και µεγανεν λογων δεινοτητι abbondante di armi, e grande nella forza del discorso. Nel-le sue invettive appena concede alcuna dose d'ingegno o di coraggio all'aposta-ta.

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vente devozione e vorace appetito a' sacrifizj, i quali piùvolte s'offerirono nel suo campo, d'intere ecatombe digrassi bovi448. Gli eserciti dell'Oriente, ch'erano statitratti allo stendardo della croce e di Costanzo, richieserouna più sottile e dispendiosa specie di persuasione.L'Imperatore, ne' giorni di pubbliche e solenni feste, ri-ceveva l'omaggio, e premiava il merito delle truppe. Ilsuo trono era circondato dall'insegne militari di Roma edella Repubblica; il santo nome di Cristo era cancellatodal Labaro; ed eran così destramente mescolati i simbolidi guerra, di Maestà e di Pagana superstizione, che ilsuddito fedele incorreva il delitto d'idolatria, quando ri-spettosamente salutava la persona o l'immagine del suoSovrano. I soldati passavano, l'un dopo l'altro, avanti dilui; ed a ciascheduno di essi, prima che dalla man diGiuliano ricevesse un liberal donativo proporzionato alsuo grado ed a' suoi servigi, imponevasi di gettar pochigrani d'incenso nella fiamma che ardeva sopra l'altare.Alcuni confessori Cristiani poteron resistere, ed altripentirsi di tal atto; ma la massima parte, allettata dallavista dell'oro, ed intimorita dalla presenza dell'Imperato-re, contrasse il colpevole impegno; ed ogni considera-zione di dovere e d'interesse li confortava a perseverarein futuro nel culto degli Dei. Con la frequente ripetizio-

448Giuliano Epist. 38. Ammiano XXII. 12. Adeo ut in dies poene singulosmilites carnis distentiore sagina victitantes incultius, potusque aviditate cor-repti humeris impositi transeuntum per plateas ex publicis aedibus... ad suadiversoria portarentur. Tanto il devoto Principe, quanto lo sdegnato Istoricodescrivono la medesima scena; e nell'Illirico non meno che in Antiochia similicause debbono avere prodotto simili effetti.

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vente devozione e vorace appetito a' sacrifizj, i quali piùvolte s'offerirono nel suo campo, d'intere ecatombe digrassi bovi448. Gli eserciti dell'Oriente, ch'erano statitratti allo stendardo della croce e di Costanzo, richieserouna più sottile e dispendiosa specie di persuasione.L'Imperatore, ne' giorni di pubbliche e solenni feste, ri-ceveva l'omaggio, e premiava il merito delle truppe. Ilsuo trono era circondato dall'insegne militari di Roma edella Repubblica; il santo nome di Cristo era cancellatodal Labaro; ed eran così destramente mescolati i simbolidi guerra, di Maestà e di Pagana superstizione, che ilsuddito fedele incorreva il delitto d'idolatria, quando ri-spettosamente salutava la persona o l'immagine del suoSovrano. I soldati passavano, l'un dopo l'altro, avanti dilui; ed a ciascheduno di essi, prima che dalla man diGiuliano ricevesse un liberal donativo proporzionato alsuo grado ed a' suoi servigi, imponevasi di gettar pochigrani d'incenso nella fiamma che ardeva sopra l'altare.Alcuni confessori Cristiani poteron resistere, ed altripentirsi di tal atto; ma la massima parte, allettata dallavista dell'oro, ed intimorita dalla presenza dell'Imperato-re, contrasse il colpevole impegno; ed ogni considera-zione di dovere e d'interesse li confortava a perseverarein futuro nel culto degli Dei. Con la frequente ripetizio-

448Giuliano Epist. 38. Ammiano XXII. 12. Adeo ut in dies poene singulosmilites carnis distentiore sagina victitantes incultius, potusque aviditate cor-repti humeris impositi transeuntum per plateas ex publicis aedibus... ad suadiversoria portarentur. Tanto il devoto Principe, quanto lo sdegnato Istoricodescrivono la medesima scena; e nell'Illirico non meno che in Antiochia similicause debbono avere prodotto simili effetti.

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ne di tali artifizj, ed a spese di somme che sarebber ser-vite a comprare i servigi della metà delle nazioni dellaScizia, Giuliano appoco appoco acquistò l'immaginariaprotezion degli Dei per le sue truppe, e per sè lo stabilee reale sostegno delle Romane Legioni449. In fatti egli èpiù che probabile, che la restaurazione e l'incoraggia-mento del Paganesimo dovesse scoprire una moltitudinedi pretesi Cristiani, i quali per motivi di vantaggi tempo-rali aveano aderito alla religione del precedente regno; eche dopo, con la medesima flessibilità di coscienza, tor-narono alla fede professata da' successori di Giuliano.

Mentre il devoto Monarca continuamente s'affaticavaa restaurare e propagar la religione de' suoi antenati,concepì lo straordinario disegno di rifabbricare il tempiodi Gerusalemme. In una pubblica lettera450 alla nazioneo comunità degli Ebrei, dispersi per le Province, com-passiona le loro disgrazie, ne condanna gli oppressori,ne loda la costanza, si dichiara grazioso lor protettore,ed esprime una pia speranza, che dopo il ritorno dallaguerra Persiana gli sarà permesso di tributare i suoi votiall'Onnipotente nella santa sua città di Gerusalemme. Lacieca superstizione e l'abbietta servitù di que' miserabili

449Gregor. (Orat. III p. 74. 75. 83. 86) e Libanio (Orat. parent. c. 81, 82, p.307, 308) περι ταυτην την σπουδην ουκ ορνουµαι πλουτον ανηλωσται µεγαν;per tale ardore nego essersi spese grandi somme. Il sofista confessa e giustifi-ca la spesa di queste militari conversioni.

450La lettera XXV di Giuliano è indirizzata alla comunità degli Ebrei. Aldo(Venet. 1499) l'ha notata con un ει γνησιον, se genuina; ma di tal taccia è statagiustamente liberata da' seguenti Editori Petavio e Spanemio. Fa menzione diquesta lettera Sozomeno (l. V. c. 22) ed il senso di essa vien confermato daGregorio (Orat. IV. p. 111) e da Giuliano medesimo (Fragmen. p. 295).

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ne di tali artifizj, ed a spese di somme che sarebber ser-vite a comprare i servigi della metà delle nazioni dellaScizia, Giuliano appoco appoco acquistò l'immaginariaprotezion degli Dei per le sue truppe, e per sè lo stabilee reale sostegno delle Romane Legioni449. In fatti egli èpiù che probabile, che la restaurazione e l'incoraggia-mento del Paganesimo dovesse scoprire una moltitudinedi pretesi Cristiani, i quali per motivi di vantaggi tempo-rali aveano aderito alla religione del precedente regno; eche dopo, con la medesima flessibilità di coscienza, tor-narono alla fede professata da' successori di Giuliano.

Mentre il devoto Monarca continuamente s'affaticavaa restaurare e propagar la religione de' suoi antenati,concepì lo straordinario disegno di rifabbricare il tempiodi Gerusalemme. In una pubblica lettera450 alla nazioneo comunità degli Ebrei, dispersi per le Province, com-passiona le loro disgrazie, ne condanna gli oppressori,ne loda la costanza, si dichiara grazioso lor protettore,ed esprime una pia speranza, che dopo il ritorno dallaguerra Persiana gli sarà permesso di tributare i suoi votiall'Onnipotente nella santa sua città di Gerusalemme. Lacieca superstizione e l'abbietta servitù di que' miserabili

449Gregor. (Orat. III p. 74. 75. 83. 86) e Libanio (Orat. parent. c. 81, 82, p.307, 308) περι ταυτην την σπουδην ουκ ορνουµαι πλουτον ανηλωσται µεγαν;per tale ardore nego essersi spese grandi somme. Il sofista confessa e giustifi-ca la spesa di queste militari conversioni.

450La lettera XXV di Giuliano è indirizzata alla comunità degli Ebrei. Aldo(Venet. 1499) l'ha notata con un ει γνησιον, se genuina; ma di tal taccia è statagiustamente liberata da' seguenti Editori Petavio e Spanemio. Fa menzione diquesta lettera Sozomeno (l. V. c. 22) ed il senso di essa vien confermato daGregorio (Orat. IV. p. 111) e da Giuliano medesimo (Fragmen. p. 295).

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esuli avrebbe dovuto eccitare il disprezzo d'un filosofoImperatore; ma essi meritarono l'amicizia di Giulianopel loro implacabil odio al nome di Cristo. La sterile si-nagoga abborriva ed invidiava la fecondità della ribelleChiesa; la forza degli Ebrei non era uguale alla loro ma-lizia; ma i lor più gravi Rabbini approvavano la privatauccision d'un apostata451; ed i lor sediziosi clamori avea-no spesso svegliata l'indolenza dei Magistrati Pagani.Sotto il regno di Costantino, gli Ebrei divennero sudditide' lor ribelli figliuoli; nè passò lungo tempo, che prova-rono l'amarezza della domestica tirannia. Le immunitàcivili, che loro erano state concesse o confermate da Se-vero, furono appoco appoco rivocate da' Principi Cri-stiani; ed un temerario tumulto eccitato dagli Ebrei dellaPalestina452 parve che giustificasse le lucrose maniered'oppressione, inventate da' Vescovi e dagli Eunuchidella Corte di Costanzo. L'Ebraico Patriarca, al qualeveniva sempre permesso d'esercitare una precaria giuri-sdizione, teneva la sua residenza in Tiberiade453; e le vi-cine città della Palestina erano pieno de' residui d'un po-polo, ch'era fortemente attaccato alla Terra Promessa.

451Il Misnah determinava la morte contro quelli che abbandonavano il fon-damento. Il giudizio di zelo è spiegato dal Marsham (Canon. Chron. p. 161162. Edit. fol. Lond. 1672) e dal Basnagio (Hist. des Juifs T. VIII. p. 120). Co-stantino fece una legge per proteggere i Cristiani convertiti dal Giudaismo.Cod. Theod. lib. XXI. Tit. VIII. leg. 1. Gothofred. Tom. VI. p. 215.

452Et interea (nel tempo della guerra civile di Magnenzio) Judaeorum sedi-tio, qui Patricium nefarie in regni speciem sustulerunt, oppressa; Aurel. Vittor.in Constantio c. 42. Vedi Tillemont Hist. des Emper. T. IV. p. 379. in 4.

453La città e la sinagoga di Tiberiade sono curiosamente descritte da Reland.Palestin. Tom. II. p. 1036-1042.

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esuli avrebbe dovuto eccitare il disprezzo d'un filosofoImperatore; ma essi meritarono l'amicizia di Giulianopel loro implacabil odio al nome di Cristo. La sterile si-nagoga abborriva ed invidiava la fecondità della ribelleChiesa; la forza degli Ebrei non era uguale alla loro ma-lizia; ma i lor più gravi Rabbini approvavano la privatauccision d'un apostata451; ed i lor sediziosi clamori avea-no spesso svegliata l'indolenza dei Magistrati Pagani.Sotto il regno di Costantino, gli Ebrei divennero sudditide' lor ribelli figliuoli; nè passò lungo tempo, che prova-rono l'amarezza della domestica tirannia. Le immunitàcivili, che loro erano state concesse o confermate da Se-vero, furono appoco appoco rivocate da' Principi Cri-stiani; ed un temerario tumulto eccitato dagli Ebrei dellaPalestina452 parve che giustificasse le lucrose maniered'oppressione, inventate da' Vescovi e dagli Eunuchidella Corte di Costanzo. L'Ebraico Patriarca, al qualeveniva sempre permesso d'esercitare una precaria giuri-sdizione, teneva la sua residenza in Tiberiade453; e le vi-cine città della Palestina erano pieno de' residui d'un po-polo, ch'era fortemente attaccato alla Terra Promessa.

451Il Misnah determinava la morte contro quelli che abbandonavano il fon-damento. Il giudizio di zelo è spiegato dal Marsham (Canon. Chron. p. 161162. Edit. fol. Lond. 1672) e dal Basnagio (Hist. des Juifs T. VIII. p. 120). Co-stantino fece una legge per proteggere i Cristiani convertiti dal Giudaismo.Cod. Theod. lib. XXI. Tit. VIII. leg. 1. Gothofred. Tom. VI. p. 215.

452Et interea (nel tempo della guerra civile di Magnenzio) Judaeorum sedi-tio, qui Patricium nefarie in regni speciem sustulerunt, oppressa; Aurel. Vittor.in Constantio c. 42. Vedi Tillemont Hist. des Emper. T. IV. p. 379. in 4.

453La città e la sinagoga di Tiberiade sono curiosamente descritte da Reland.Palestin. Tom. II. p. 1036-1042.

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Ma fu rinnovato ed invigorito l'editto d'Adriano; ed essiguardavano da lontano le mura della santa Città, profa-nate sotto i loro occhi dal trionfo della croce e dalla de-vozion de' Cristiani454.

In mezzo ad un sassoso e steril paese, le mura di Ge-rusalemme455 contenevano le due montagne di Sion ed'Acra dentro un ovale recinto di circa tre miglia Ingle-si456. Verso il mezzodì sorgevano sull'alto del monteSion la parte più elevata della città e la torre di David; alSettentrione, le fabbriche della più bassa parte cuopriva-no la spaziosa cima del monte Acra; ed una parte delcolle, distinto col nome di Moriah, e posto a livellodall'industria umana, era coronata dal magnifico tempiodella nazione Giudaica. Dopo l'ultima distruzione deltempio operata dalle armi di Tito e d'Adriano, si fecepassar l'aratro sopra la Terra Sacra come un segno diperpetuo interdetto. Sionne fu abbandonato, e fu ripienoil voto della più bassa parte della città con pubblici eprivati edifizi della Colonia Elia, che si sparserosull'addiacente monte Calvario. I santi luoghi restaroncontaminati da monumenti d'idolatria; e fu dedicata, o abella posta, o per accidente, a Venere una cappella, in

454Il Basnagio ha pienamente illustrato lo stato degli Ebrei sotto Costantinoed i suoi successori. Tomo VIII. c. IV. p. 111-155.

455Reland (Palest. l. I. p. 309, 390. l. III. p. 838.) descrive con erudizione echiarezza Gerusalemme, e l'aspetto dell'addiacente paese.

456Ho consultato un raro e curioso trattato del Danville Sur l'ancienne Jeru-salem. Paris 1747. p. 75. La circonferenza dell'antica città (Euseb. Praepar.Evang. l. IX. c. 36.) era di 27. stadi, o di 2550. tese francesi. Una pianta presasul luogo, non ne assegna più di 1980. alla moderna città. Il recinto vien deter-minato da segni naturali che non possono sbagliarsi o rimuoversi.

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Ma fu rinnovato ed invigorito l'editto d'Adriano; ed essiguardavano da lontano le mura della santa Città, profa-nate sotto i loro occhi dal trionfo della croce e dalla de-vozion de' Cristiani454.

In mezzo ad un sassoso e steril paese, le mura di Ge-rusalemme455 contenevano le due montagne di Sion ed'Acra dentro un ovale recinto di circa tre miglia Ingle-si456. Verso il mezzodì sorgevano sull'alto del monteSion la parte più elevata della città e la torre di David; alSettentrione, le fabbriche della più bassa parte cuopriva-no la spaziosa cima del monte Acra; ed una parte delcolle, distinto col nome di Moriah, e posto a livellodall'industria umana, era coronata dal magnifico tempiodella nazione Giudaica. Dopo l'ultima distruzione deltempio operata dalle armi di Tito e d'Adriano, si fecepassar l'aratro sopra la Terra Sacra come un segno diperpetuo interdetto. Sionne fu abbandonato, e fu ripienoil voto della più bassa parte della città con pubblici eprivati edifizi della Colonia Elia, che si sparserosull'addiacente monte Calvario. I santi luoghi restaroncontaminati da monumenti d'idolatria; e fu dedicata, o abella posta, o per accidente, a Venere una cappella, in

454Il Basnagio ha pienamente illustrato lo stato degli Ebrei sotto Costantinoed i suoi successori. Tomo VIII. c. IV. p. 111-155.

455Reland (Palest. l. I. p. 309, 390. l. III. p. 838.) descrive con erudizione echiarezza Gerusalemme, e l'aspetto dell'addiacente paese.

456Ho consultato un raro e curioso trattato del Danville Sur l'ancienne Jeru-salem. Paris 1747. p. 75. La circonferenza dell'antica città (Euseb. Praepar.Evang. l. IX. c. 36.) era di 27. stadi, o di 2550. tese francesi. Una pianta presasul luogo, non ne assegna più di 1980. alla moderna città. Il recinto vien deter-minato da segni naturali che non possono sbagliarsi o rimuoversi.

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quel luogo appunto ch'era stato santificato dalla morte edalla resurrezione di Cristo457. Quasi trecent'anni dopotali stupendi avvenimenti, fu demolita la profana cappel-la di Venere per ordine di Costantino; e lo smuover chesi fece della terra e delle pietre scuoprì agli occhidell'uman genere il santo Sepolcro. Fu eretta una magni-fica Chiesa su quella mistica terra dal primo ImperatoreCristiano; e gli effetti della sua pia munificenza s'estese-ro ad ogni luogo ch'era stato consacrato dalle vestigiade' Patriarchi, de' Profeti e del figlio di Dio458.

L'ardente desiderio di contemplare i monumenti ori-ginali della redenzione tirò a Gerusalemme una follacontinua di pellegrini da' lidi del mare Atlantico e daipiù distanti paesi dell'Oriente459; e la lor pietà fu autoriz-zata dall'esempio dell'Imperatrice Elena, la quale sem-bra che unisse la credulità della vecchiezza coi fervidisentimenti d'una conversione recente. I savi e gli Eroi,che hanno visitato le memorabili scene della gloria o delsapere antico, han confessato di sentire l'inspirazione delGenio del luogo460; ed i Cristiani, che si prostravano

457Vedi due curiosi passi appresso Girolamo Tom. I. p. 102. Tom. VI. p.315. e le molte particolarità riferite dal Tillemont (Hist. des Emper. Tom. I. p.509). Tom. II. 289. 294. ed. in 4).

458Euseb. in Vit. Constant. l. III. c. 25-47. 51-53. L'Imperatore fabbricò si-milmente delle Chiese a Betlemme, sul monte Oliveto, ed alla quercia di Mam-bre. Il Santo Sepolcro è descritto da Sandys (Viag. p. 125. 133), e curiosamentedisegnato dal Le Brayn (Voyage au Levant. p. 288-296).

459L'itinerario da Bordò a Gerusalemme fu composto nell'anno 333 per usode' pellegrini, fra' quali Girolamo (Tom. I. p. 126) conta Brettoni ed Indiani. Lecause di questa religiosa moda son discusse nella dotta e giudiziosa prefazionedi Wesseling (Itiner. p. 537-545).

460Cicerone (de Finib. V. 1.) ha espresso elegantemente il senso comune de-

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quel luogo appunto ch'era stato santificato dalla morte edalla resurrezione di Cristo457. Quasi trecent'anni dopotali stupendi avvenimenti, fu demolita la profana cappel-la di Venere per ordine di Costantino; e lo smuover chesi fece della terra e delle pietre scuoprì agli occhidell'uman genere il santo Sepolcro. Fu eretta una magni-fica Chiesa su quella mistica terra dal primo ImperatoreCristiano; e gli effetti della sua pia munificenza s'estese-ro ad ogni luogo ch'era stato consacrato dalle vestigiade' Patriarchi, de' Profeti e del figlio di Dio458.

L'ardente desiderio di contemplare i monumenti ori-ginali della redenzione tirò a Gerusalemme una follacontinua di pellegrini da' lidi del mare Atlantico e daipiù distanti paesi dell'Oriente459; e la lor pietà fu autoriz-zata dall'esempio dell'Imperatrice Elena, la quale sem-bra che unisse la credulità della vecchiezza coi fervidisentimenti d'una conversione recente. I savi e gli Eroi,che hanno visitato le memorabili scene della gloria o delsapere antico, han confessato di sentire l'inspirazione delGenio del luogo460; ed i Cristiani, che si prostravano

457Vedi due curiosi passi appresso Girolamo Tom. I. p. 102. Tom. VI. p.315. e le molte particolarità riferite dal Tillemont (Hist. des Emper. Tom. I. p.509). Tom. II. 289. 294. ed. in 4).

458Euseb. in Vit. Constant. l. III. c. 25-47. 51-53. L'Imperatore fabbricò si-milmente delle Chiese a Betlemme, sul monte Oliveto, ed alla quercia di Mam-bre. Il Santo Sepolcro è descritto da Sandys (Viag. p. 125. 133), e curiosamentedisegnato dal Le Brayn (Voyage au Levant. p. 288-296).

459L'itinerario da Bordò a Gerusalemme fu composto nell'anno 333 per usode' pellegrini, fra' quali Girolamo (Tom. I. p. 126) conta Brettoni ed Indiani. Lecause di questa religiosa moda son discusse nella dotta e giudiziosa prefazionedi Wesseling (Itiner. p. 537-545).

460Cicerone (de Finib. V. 1.) ha espresso elegantemente il senso comune de-

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avanti al santo sepolcro, attribuivano la loro viva fede efervente devozione all'influsso più immediato del Divi-no Spirito. Lo zelo, e forse l'avarizia, del clero di Geru-salemme promuoveva e moltiplicava tali benefiche visi-te. Si fissava, per mezzo d'indubitabile tradizione, lascena d'ogni memorabile avvenimento. Si facean vedergl'istrumenti, ch'erano stati usati nella passione di Cri-sto; i chiodi e la lancia che ne avea trafitto le mani, ipiedi ed il petto; la corona di spine che gli fu posto sulcapo; la colonna alla quale fu flagellato; e sopra tutto lacroce su cui soffrì, e che era stata dissotterrata nel regnodi que' Principi, che inserirono il simbolo del Cristiane-simo nelle bandiere delle Romane legioni461. Si propaga-rono appoco appoco senza opposizione tutti que' mira-coli, che parvero necessari per render ragione dellastraordinaria conservazione, e dell'opportuna scoperta ditali cose. La custodia della vera Croce, che solennemen-te nella Domenica di Pasqua esponevasi al popolo, eraaffidata al Vescovo di Gerusalemme; ed egli solo poteasoddisfare la curiosa devozione de' pellegrini con darneloro piccoli pezzi, ch'essi incassavano in gemme o inoro, e seco portavano in trionfo a' respettivi loro paesi.

gli uomini.461Il Baronio (Annal. Eccl. an. 326. n. 42-50.) ed il Tillemont (Mem. Eccl.

Tom. VII. p. 8-16) sono gl'Istorici ed i campioni della miracolosa invenzionedella croce nel regno di Costantino. Le loro più antiche testimonianze son trat-te da Paolino, da Sulpicio Severo, da Ruffino, da Ambrogio, e forse da Cirillodi Gerusalemme. Il silenzio d'Eusebio e del pellegrino di Bordò soddisfannoalcuni e rendon altri perplessi. Vedi le notabili osservazioni di Jortin Vol. II p.238. 248.

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avanti al santo sepolcro, attribuivano la loro viva fede efervente devozione all'influsso più immediato del Divi-no Spirito. Lo zelo, e forse l'avarizia, del clero di Geru-salemme promuoveva e moltiplicava tali benefiche visi-te. Si fissava, per mezzo d'indubitabile tradizione, lascena d'ogni memorabile avvenimento. Si facean vedergl'istrumenti, ch'erano stati usati nella passione di Cri-sto; i chiodi e la lancia che ne avea trafitto le mani, ipiedi ed il petto; la corona di spine che gli fu posto sulcapo; la colonna alla quale fu flagellato; e sopra tutto lacroce su cui soffrì, e che era stata dissotterrata nel regnodi que' Principi, che inserirono il simbolo del Cristiane-simo nelle bandiere delle Romane legioni461. Si propaga-rono appoco appoco senza opposizione tutti que' mira-coli, che parvero necessari per render ragione dellastraordinaria conservazione, e dell'opportuna scoperta ditali cose. La custodia della vera Croce, che solennemen-te nella Domenica di Pasqua esponevasi al popolo, eraaffidata al Vescovo di Gerusalemme; ed egli solo poteasoddisfare la curiosa devozione de' pellegrini con darneloro piccoli pezzi, ch'essi incassavano in gemme o inoro, e seco portavano in trionfo a' respettivi loro paesi.

gli uomini.461Il Baronio (Annal. Eccl. an. 326. n. 42-50.) ed il Tillemont (Mem. Eccl.

Tom. VII. p. 8-16) sono gl'Istorici ed i campioni della miracolosa invenzionedella croce nel regno di Costantino. Le loro più antiche testimonianze son trat-te da Paolino, da Sulpicio Severo, da Ruffino, da Ambrogio, e forse da Cirillodi Gerusalemme. Il silenzio d'Eusebio e del pellegrino di Bordò soddisfannoalcuni e rendon altri perplessi. Vedi le notabili osservazioni di Jortin Vol. II p.238. 248.

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Ma siccome questo lucroso ramo di commercio avrebbedovuto presto finire, si trovò conveniente di supporreche quel maraviglioso legno godesse una segreta forzadi vegetazione; e che la sua sostanza, quantunque conti-nuamente diminuita, restasse sempre intera e l'istessa462.Si sarebbe forse aspettato che l'influsso del luogo e lafede d'un perpetuo miracolo dovessero aver prodottoqualche salutevol effetto ne' costumi e nella fede del po-polo. Pure i più rispettabili fra gli scrittori Ecclesiasticisono stati costretti a confessare non solamente che lestrade di Gerusalemme eran piene d'un continuo tumultodi negozi e di piaceri463; ma che ogni specie di vizio,l'adulterio, il furto, l'idolatria, il veneficio, l'omicidio ec.era famigliare agli abitanti della Santa Città464. La ric-chezza e preeminenza della Chiesa di Gerusalemme ec-citava l'ambizione de' candidati Arriani e degli Ortodos-si; e le virtù di Cirillo, che dopo la sua morte è statoonorato col titolo di santo, si fecero conoscer piuttostonell'esercizio che nell'acquisto della sua Episcopal di-gnità465.

462S'asserisce tal moltiplicazione da Paolino (Epist. 36.) Vedi Dupin (Bibl.Eccles. Tom. III. p. 149), il quale sembra estendere un ornamento oratorio diCirillo ad un fatto reale. Il medesimo soprannatural privilegio dev'essersi co-municato al latte della Vergine; (Erasmi Opera T. I. p. 378. Lugd. Batav. 1703in colloq. de peregr. relig. ergo), alle teste de' Santi; e ad altre reliquie, che sitrovano replicate in tante Chiese diverse.

463Girolamo (T. I. p. 103), che dimorava nel vicino villaggio di Betlemme,descrive per propria esperienza i vizi di Gerusalemme.

464Gregorio Nissen. ap. Vesseling. p. 539. Tutta quell'epistola, che condannao l'uso o l'abuso de' religiosi pellegrinaggi, è incomoda pe' teologi Cattolici,laddove riesce grata e famigliare a' polemici Protestanti.

465Ei rinunziò alla sua ordinazione ortodossa, uffiziò come Diacono, e fu

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Ma siccome questo lucroso ramo di commercio avrebbedovuto presto finire, si trovò conveniente di supporreche quel maraviglioso legno godesse una segreta forzadi vegetazione; e che la sua sostanza, quantunque conti-nuamente diminuita, restasse sempre intera e l'istessa462.Si sarebbe forse aspettato che l'influsso del luogo e lafede d'un perpetuo miracolo dovessero aver prodottoqualche salutevol effetto ne' costumi e nella fede del po-polo. Pure i più rispettabili fra gli scrittori Ecclesiasticisono stati costretti a confessare non solamente che lestrade di Gerusalemme eran piene d'un continuo tumultodi negozi e di piaceri463; ma che ogni specie di vizio,l'adulterio, il furto, l'idolatria, il veneficio, l'omicidio ec.era famigliare agli abitanti della Santa Città464. La ric-chezza e preeminenza della Chiesa di Gerusalemme ec-citava l'ambizione de' candidati Arriani e degli Ortodos-si; e le virtù di Cirillo, che dopo la sua morte è statoonorato col titolo di santo, si fecero conoscer piuttostonell'esercizio che nell'acquisto della sua Episcopal di-gnità465.

462S'asserisce tal moltiplicazione da Paolino (Epist. 36.) Vedi Dupin (Bibl.Eccles. Tom. III. p. 149), il quale sembra estendere un ornamento oratorio diCirillo ad un fatto reale. Il medesimo soprannatural privilegio dev'essersi co-municato al latte della Vergine; (Erasmi Opera T. I. p. 378. Lugd. Batav. 1703in colloq. de peregr. relig. ergo), alle teste de' Santi; e ad altre reliquie, che sitrovano replicate in tante Chiese diverse.

463Girolamo (T. I. p. 103), che dimorava nel vicino villaggio di Betlemme,descrive per propria esperienza i vizi di Gerusalemme.

464Gregorio Nissen. ap. Vesseling. p. 539. Tutta quell'epistola, che condannao l'uso o l'abuso de' religiosi pellegrinaggi, è incomoda pe' teologi Cattolici,laddove riesce grata e famigliare a' polemici Protestanti.

465Ei rinunziò alla sua ordinazione ortodossa, uffiziò come Diacono, e fu

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Potè la vana ed ambiziosa mente di Giuliano aspirarea ristabilire l'antica gloria del tempio di Gerusalemme466.Siccome i Cristiani eran fermamente persuasi, che sifosse pronunziata una sentenza d'eterna distruzione con-tro tutta la fabbrica della legge Mosaica, il Sofista Impe-riale avrebbe convertito il successo della sua impresa inuno specioso argomento contro la fede della profezia ela verità della rivelazione467. Gli dispiaceva lo spiritualculto della sinagoga; ma approvava le instituzioni diMosè, che non avea sdegnato d'adottar molti riti e cere-monie dell'Egitto468. La locale e nazional Divinità degliEbrei era sinceramente adorata da un politeista, che de-siderava soltanto di moltiplicare il numero degli Dei469;

riordinato dalle mani degli Arriani. Ma in seguito Cirillo cangiò col tempo, eprudentemente si uniformò alla fede Nicena. Il Tillemont (Mem. Eccl. Tom.VIII.) che tratta la memoria di Cirillo con tenerezza e rispetto, ha inserito neltesto le sue virtù, e nelle note, con una decente oscurità, i suoi difetti.

466Imperii sui memoriam magnitudine operam gestiens propagare. Ammia-no XXIII. 1. Il tempio di Gerusalemme era stato famoso anche fra' Gentili.Questi avevano molti tempj in ogni città (cinque in Sichem, otto in Gaza, aRoma quattrocento ventiquattro); ma la ricchezza e la religione della nazionGiudaica eran tutte concentrate in un luogo.

467S'espongono le segrete intenzioni di Giuliano dal fu Vescovo di Gloce-ster, l'erudito e dogmatico Warburton, che coll'autorità d'un Teologo prescrive imotivi e la condotta dell'Esser supremo. Il discorso intitolato Giuliano (2.Ediz. Lond. 1751) contiene in sommo grado tutte le particolarità imputate allascuola Warburtoniana.

468Io mi difendo coll'autorità di Maimonide, di Marsham, di Spencer, di leClerc, di Warburton ec., che hanno elegantemente deriso i timori, la follia e lafalsità di alcuni superstiziosi Teologi. Vedi Div. Legat. vol. IV. p. 25.

469Giuliano (Fragm. p. 295) lo chiama rispettosamente µεγας θεος grandeDio, ed altrove (Epist. 63) lo rammenta con sempre maggior riverenza. Ei con-danna doppiamente i Cristiani, e perchè credevano, e perchè rinunziavano lareligione degli Ebrei. La loro Divinità era secondo esso il vero, ma non l'unico

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Potè la vana ed ambiziosa mente di Giuliano aspirarea ristabilire l'antica gloria del tempio di Gerusalemme466.Siccome i Cristiani eran fermamente persuasi, che sifosse pronunziata una sentenza d'eterna distruzione con-tro tutta la fabbrica della legge Mosaica, il Sofista Impe-riale avrebbe convertito il successo della sua impresa inuno specioso argomento contro la fede della profezia ela verità della rivelazione467. Gli dispiaceva lo spiritualculto della sinagoga; ma approvava le instituzioni diMosè, che non avea sdegnato d'adottar molti riti e cere-monie dell'Egitto468. La locale e nazional Divinità degliEbrei era sinceramente adorata da un politeista, che de-siderava soltanto di moltiplicare il numero degli Dei469;

riordinato dalle mani degli Arriani. Ma in seguito Cirillo cangiò col tempo, eprudentemente si uniformò alla fede Nicena. Il Tillemont (Mem. Eccl. Tom.VIII.) che tratta la memoria di Cirillo con tenerezza e rispetto, ha inserito neltesto le sue virtù, e nelle note, con una decente oscurità, i suoi difetti.

466Imperii sui memoriam magnitudine operam gestiens propagare. Ammia-no XXIII. 1. Il tempio di Gerusalemme era stato famoso anche fra' Gentili.Questi avevano molti tempj in ogni città (cinque in Sichem, otto in Gaza, aRoma quattrocento ventiquattro); ma la ricchezza e la religione della nazionGiudaica eran tutte concentrate in un luogo.

467S'espongono le segrete intenzioni di Giuliano dal fu Vescovo di Gloce-ster, l'erudito e dogmatico Warburton, che coll'autorità d'un Teologo prescrive imotivi e la condotta dell'Esser supremo. Il discorso intitolato Giuliano (2.Ediz. Lond. 1751) contiene in sommo grado tutte le particolarità imputate allascuola Warburtoniana.

468Io mi difendo coll'autorità di Maimonide, di Marsham, di Spencer, di leClerc, di Warburton ec., che hanno elegantemente deriso i timori, la follia e lafalsità di alcuni superstiziosi Teologi. Vedi Div. Legat. vol. IV. p. 25.

469Giuliano (Fragm. p. 295) lo chiama rispettosamente µεγας θεος grandeDio, ed altrove (Epist. 63) lo rammenta con sempre maggior riverenza. Ei con-danna doppiamente i Cristiani, e perchè credevano, e perchè rinunziavano lareligione degli Ebrei. La loro Divinità era secondo esso il vero, ma non l'unico

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e tal era l'appetito di Giuliano pe' sacrifizi di sangue, chela pietà di Salomone, il quale nella festa della dedicazio-ne aveva offerto ventiduemila bovi, e centoventimila pe-core470, avrebbe potuto eccitar la sua emulazione. Tali ri-flessioni poterono influire ne' suoi disegni; ma il pro-spetto d'un immediato ed importante vantaggio non sof-friva che l'impaziente Monarca aspettasse il lontano edincerto evento della guerra Persiana. Ei risolse d'erigeresenza dilazione, sulla dominante cima del Moriah, unmagnifico tempio; che potesse ecclissar lo splendoredella Chiesa della Resurrezione, situata sull'addiacentecolle del Calvario; di ristabilirvi un ordine di Sacerdoti,l'interessato zelo de' quali scoprisse le arti, e resistesseall'ambizione de' Cristiani loro rivali; e d'invitarvi unacolonia numerosa di Ebrei, il forte fanatismo de' qualisarebbe sempre stato pronto a secondare, ed anche aprevenire le ostili misure del governo Pagano. Fra gliamici dell'Imperatore (se non sono incompatibili i nomid'Imperatore e d'amico) s'assegnava da Giuliano mede-simo il primo luogo al virtuoso e dotto Alipio471. L'uma-nità d'Alipio era moderata da una severa giustizia e dauna virile fortezza, e nel tempo ch'esercitava la sua abi-lità nella civile amministrazione della Gran-Brettagna,

Dio. Ap. Cyrill. l. IX p. 305.470I. Reg. VIII. 63. II. Numer. VII. 5. Joseph. Antiq. Jud. l. VIII, c. 4. p. 431.

edit. Havercamp. Siccome il sangue ed il fumo di tante ecatombe sarebbe statoinconveniente, il Cristiano Rabbino Lightfoot se ne sbriga con un miracolo. LeClerc (in quei luoghi) ardisce di sospettare della fedeltà de' numeri.

471Juliano Epist. XXIX, XXX. La Bleterie ha trascurato di tradurre la se-conda di queste lettere.

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e tal era l'appetito di Giuliano pe' sacrifizi di sangue, chela pietà di Salomone, il quale nella festa della dedicazio-ne aveva offerto ventiduemila bovi, e centoventimila pe-core470, avrebbe potuto eccitar la sua emulazione. Tali ri-flessioni poterono influire ne' suoi disegni; ma il pro-spetto d'un immediato ed importante vantaggio non sof-friva che l'impaziente Monarca aspettasse il lontano edincerto evento della guerra Persiana. Ei risolse d'erigeresenza dilazione, sulla dominante cima del Moriah, unmagnifico tempio; che potesse ecclissar lo splendoredella Chiesa della Resurrezione, situata sull'addiacentecolle del Calvario; di ristabilirvi un ordine di Sacerdoti,l'interessato zelo de' quali scoprisse le arti, e resistesseall'ambizione de' Cristiani loro rivali; e d'invitarvi unacolonia numerosa di Ebrei, il forte fanatismo de' qualisarebbe sempre stato pronto a secondare, ed anche aprevenire le ostili misure del governo Pagano. Fra gliamici dell'Imperatore (se non sono incompatibili i nomid'Imperatore e d'amico) s'assegnava da Giuliano mede-simo il primo luogo al virtuoso e dotto Alipio471. L'uma-nità d'Alipio era moderata da una severa giustizia e dauna virile fortezza, e nel tempo ch'esercitava la sua abi-lità nella civile amministrazione della Gran-Brettagna,

Dio. Ap. Cyrill. l. IX p. 305.470I. Reg. VIII. 63. II. Numer. VII. 5. Joseph. Antiq. Jud. l. VIII, c. 4. p. 431.

edit. Havercamp. Siccome il sangue ed il fumo di tante ecatombe sarebbe statoinconveniente, il Cristiano Rabbino Lightfoot se ne sbriga con un miracolo. LeClerc (in quei luoghi) ardisce di sospettare della fedeltà de' numeri.

471Juliano Epist. XXIX, XXX. La Bleterie ha trascurato di tradurre la se-conda di queste lettere.

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imitava nelle sue poetiche composizioni l'armonia e dol-cezza delle odi di Saffo. Questo Ministro, al quale Giu-liano comunicava senza riserva le sue più minute legge-rezze ed i suoi più serj disegni, ricevè la straordinariacommissione di ristabilire nella sua primiera bellezza iltempio di Gerusalemme; e la diligenza d'Alipio richieseed ottenne il vigoroso aiuto del Governatore della Pale-stina. Alla chiamata del loro gran liberatore, gli Ebrei datutte le Province dell'Impero si unirono sulla santa mon-tagna de' loro padri; ed il loro insolente trionfo commos-se ed esacerbò i Cristiani abitanti di Gerusalemme. Ildesiderio di riedificare il tempio in ogni secolo è stata lapassion dominante de' figli d'Israele. In tale propiziomomento gli uomini si dimenticaron della loro avarizia,e le donne della loro delicatezza; dalla vanità de' ricchisi provvidero zappe e picconi d'argento, e si trasportava-no i sassi in mantelli di seta e di porpora. S'aprì ogniborsa a liberali contribuzioni, ogni mano volle aver par-te nel pio lavoro, ed i comandi d'un gran Monarca furo-no eseguiti dall'entusiasmo d'un intero popolo472.

Pure in quest'occasione i congiunti sforzi del potere edell'entusiasmo riuscirono inutili: ed il suolo del tempioGiudaico, che adesso è coperto da una Moschea Mao-mettana473, continuò sempre a presentare lo stesso edifi-

472Vedi lo zelo e l'impazienza degli Ebrei appresso Gregorio Nazianzeno(Orat. IV. v. 111.) e Teodoreto (l. III. c. 20).

473Fabbricata da Omar, secondo Califfo, che morì l'anno 644. Questa granMoschea occupa tutto il sacro terreno del tempio Giudaico; e forma quasi unquadrato di 760 tese, o un miglio Romano in circonferenza. Vedi DanvilleJerusalem. p. 45.

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imitava nelle sue poetiche composizioni l'armonia e dol-cezza delle odi di Saffo. Questo Ministro, al quale Giu-liano comunicava senza riserva le sue più minute legge-rezze ed i suoi più serj disegni, ricevè la straordinariacommissione di ristabilire nella sua primiera bellezza iltempio di Gerusalemme; e la diligenza d'Alipio richieseed ottenne il vigoroso aiuto del Governatore della Pale-stina. Alla chiamata del loro gran liberatore, gli Ebrei datutte le Province dell'Impero si unirono sulla santa mon-tagna de' loro padri; ed il loro insolente trionfo commos-se ed esacerbò i Cristiani abitanti di Gerusalemme. Ildesiderio di riedificare il tempio in ogni secolo è stata lapassion dominante de' figli d'Israele. In tale propiziomomento gli uomini si dimenticaron della loro avarizia,e le donne della loro delicatezza; dalla vanità de' ricchisi provvidero zappe e picconi d'argento, e si trasportava-no i sassi in mantelli di seta e di porpora. S'aprì ogniborsa a liberali contribuzioni, ogni mano volle aver par-te nel pio lavoro, ed i comandi d'un gran Monarca furo-no eseguiti dall'entusiasmo d'un intero popolo472.

Pure in quest'occasione i congiunti sforzi del potere edell'entusiasmo riuscirono inutili: ed il suolo del tempioGiudaico, che adesso è coperto da una Moschea Mao-mettana473, continuò sempre a presentare lo stesso edifi-

472Vedi lo zelo e l'impazienza degli Ebrei appresso Gregorio Nazianzeno(Orat. IV. v. 111.) e Teodoreto (l. III. c. 20).

473Fabbricata da Omar, secondo Califfo, che morì l'anno 644. Questa granMoschea occupa tutto il sacro terreno del tempio Giudaico; e forma quasi unquadrato di 760 tese, o un miglio Romano in circonferenza. Vedi DanvilleJerusalem. p. 45.

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cante spettacolo di rovina e desolazione. Forse l'assenzae la morte dell'Imperatore, e le nuove massime d'un re-gno Cristiano spiegar potrebbero l'interrompimentod'una difficile opera, la quale non fu intrapresa che negliultimi sei mesi della vita di Giuliano474. Ma i Cristianiavevano una pia e naturale speranza, che in questa me-morabil contesa si sarebbe vendicato l'onor della religio-ne da qualche segnalato miracolo. Che un terremoto, unturbine, ed una eruzione di fuoco rovesciassero e disper-dessero i nuovi fondamenti del tempio, s'attesta conqualche variazione da contemporanei e rispettabili testi-moni475. Questo pubblico fatto è descritto da Ambro-gio476 Vescovo di Milano in una lettera all'ImperatorTeodosio, che doveva provocare la severa critica degliEbrei; dall'eloquente Crisostomo477, che poteva appellar-

474Ammiano rammenta i Consoli dell'anno 363 avanti di procedere a farmenzione de' pensieri di Giuliano: Templum instaurare sumptibus cogitabatimmodicis. Warburton ha un segreto desiderio d'anticiparne il disegno; madeve avere appreso da' più antichi esempi, che l'esecuzione di tal opera avreb-be richiesto molti anni.

475Le successive testimonianze di Socrate, di Sozomeno, di Teodoreto, diFilostorgio ec. aggiungono contraddizioni anzi che autorità. Si confrontino leobbiezioni di Basnagio (Hist. des Juifs, Tom. VIII. p. 157. 168.) con le rispostedi Warburton (Julian. p. 174. 258). Il Vescovo ha spiegato ingegnosamente lecroci miracolose, che apparivano sulle vesti degli spettatori per mezzo d'un si-mil esempio e de' naturali effetti del baleno.

476Ambrog. Tom. II. Epist. 40. p. 946. Edit. Bened. Egli compose questa let-tera l'anno 388 per giustificare un Vescovo ch'era stato condannato dal Magi-strato civile per aver bruciato una sinagoga.

477Grisostomo Tom. I. p. 580 adv. Judaeos et Gent. T. II. p. 574. de S.Babyla Edit. Montfaucon. Io ho seguitato la comune e naturale supposizione;ma il dotto Benedettino, che riferisce la composizione di questi sermoni all'an.383, crede che non fosser mai pronunziati dal pulpito.

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cante spettacolo di rovina e desolazione. Forse l'assenzae la morte dell'Imperatore, e le nuove massime d'un re-gno Cristiano spiegar potrebbero l'interrompimentod'una difficile opera, la quale non fu intrapresa che negliultimi sei mesi della vita di Giuliano474. Ma i Cristianiavevano una pia e naturale speranza, che in questa me-morabil contesa si sarebbe vendicato l'onor della religio-ne da qualche segnalato miracolo. Che un terremoto, unturbine, ed una eruzione di fuoco rovesciassero e disper-dessero i nuovi fondamenti del tempio, s'attesta conqualche variazione da contemporanei e rispettabili testi-moni475. Questo pubblico fatto è descritto da Ambro-gio476 Vescovo di Milano in una lettera all'ImperatorTeodosio, che doveva provocare la severa critica degliEbrei; dall'eloquente Crisostomo477, che poteva appellar-

474Ammiano rammenta i Consoli dell'anno 363 avanti di procedere a farmenzione de' pensieri di Giuliano: Templum instaurare sumptibus cogitabatimmodicis. Warburton ha un segreto desiderio d'anticiparne il disegno; madeve avere appreso da' più antichi esempi, che l'esecuzione di tal opera avreb-be richiesto molti anni.

475Le successive testimonianze di Socrate, di Sozomeno, di Teodoreto, diFilostorgio ec. aggiungono contraddizioni anzi che autorità. Si confrontino leobbiezioni di Basnagio (Hist. des Juifs, Tom. VIII. p. 157. 168.) con le rispostedi Warburton (Julian. p. 174. 258). Il Vescovo ha spiegato ingegnosamente lecroci miracolose, che apparivano sulle vesti degli spettatori per mezzo d'un si-mil esempio e de' naturali effetti del baleno.

476Ambrog. Tom. II. Epist. 40. p. 946. Edit. Bened. Egli compose questa let-tera l'anno 388 per giustificare un Vescovo ch'era stato condannato dal Magi-strato civile per aver bruciato una sinagoga.

477Grisostomo Tom. I. p. 580 adv. Judaeos et Gent. T. II. p. 574. de S.Babyla Edit. Montfaucon. Io ho seguitato la comune e naturale supposizione;ma il dotto Benedettino, che riferisce la composizione di questi sermoni all'an.383, crede che non fosser mai pronunziati dal pulpito.

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sene alla memoria de' più vecchi nella sua congregazio-ne d'Antiochia, e da Gregorio Nazianzeno478, il qualepubblicò il suo ragguaglio del miracolo avanti che spi-rasse il medesimo anno. L'ultimo di questi Scrittori co-raggiosamente ha dichiarato, che questo soprannaturaleavvenimento non si contrastava neppure dagl'Infedeli; eper quanto strana sembrar possa tale asserzione, vienconfermata dall'indubitabil testimonianza d'AmmianoMartellino479. Il filosofo soldato che amava le virtù sen-za adottare i pregiudizi del suo Signore, ha riportato,nella giudiziosa e candida storia de' suoi tempi glistraordinari ostacoli, che interruppero la restaurazionedel tempio di Gerusalemme: «Mentre Alipio, assistitodal Governatore della Provincia, promuoveva con vigo-re e diligenza l'esecuzione dell'opera, venendo fuori de-gli orribili globi di fuoco vicino a' fondamenti, rendero-no quel luogo inaccessibile agli artefici, varie volte daessi abbruciati; e continuando il vittorioso elemento intale modo ad ostinatamente rispingerli indietro, l'impre-sa fu abbandonata». Tale autorità deve soddisfare un

478Gregor. Nazianzeno Orat. IV. p. 110. 113. Το δε ουν περιβοητον πασιθαυµα και ουδε τοις αθεοις αυτοις απιςουµενον λεχων ερχοµαι Intraprendo anarrare adunque tal prodigio noto a tutti, e neppure negato dagli stessi infede-li.

479Ammiano XXIII. 1. Cum itaque rei fortiter instaret Alypius, juvaretqueProvinciae rector, metuendi globi flammarum prope fundamenta crebris assul-tibus erumpentes fecere locum exustis aliquoties operantibus inaccessum: hoc-que modo elemento destinatius repellente, cessavit inceptum. Warburton s'affa-tica d'estorcere (p. 60. 90.) una confessione del miracolo dalla bocca di Giulia-no e di Libanio, e di servirsi della testimonianza d'un Rabbino, che visse nelXV Secolo. Tali prove non possono ammettersi che da un giudice ben favore-vole.

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sene alla memoria de' più vecchi nella sua congregazio-ne d'Antiochia, e da Gregorio Nazianzeno478, il qualepubblicò il suo ragguaglio del miracolo avanti che spi-rasse il medesimo anno. L'ultimo di questi Scrittori co-raggiosamente ha dichiarato, che questo soprannaturaleavvenimento non si contrastava neppure dagl'Infedeli; eper quanto strana sembrar possa tale asserzione, vienconfermata dall'indubitabil testimonianza d'AmmianoMartellino479. Il filosofo soldato che amava le virtù sen-za adottare i pregiudizi del suo Signore, ha riportato,nella giudiziosa e candida storia de' suoi tempi glistraordinari ostacoli, che interruppero la restaurazionedel tempio di Gerusalemme: «Mentre Alipio, assistitodal Governatore della Provincia, promuoveva con vigo-re e diligenza l'esecuzione dell'opera, venendo fuori de-gli orribili globi di fuoco vicino a' fondamenti, rendero-no quel luogo inaccessibile agli artefici, varie volte daessi abbruciati; e continuando il vittorioso elemento intale modo ad ostinatamente rispingerli indietro, l'impre-sa fu abbandonata». Tale autorità deve soddisfare un

478Gregor. Nazianzeno Orat. IV. p. 110. 113. Το δε ουν περιβοητον πασιθαυµα και ουδε τοις αθεοις αυτοις απιςουµενον λεχων ερχοµαι Intraprendo anarrare adunque tal prodigio noto a tutti, e neppure negato dagli stessi infede-li.

479Ammiano XXIII. 1. Cum itaque rei fortiter instaret Alypius, juvaretqueProvinciae rector, metuendi globi flammarum prope fundamenta crebris assul-tibus erumpentes fecere locum exustis aliquoties operantibus inaccessum: hoc-que modo elemento destinatius repellente, cessavit inceptum. Warburton s'affa-tica d'estorcere (p. 60. 90.) una confessione del miracolo dalla bocca di Giulia-no e di Libanio, e di servirsi della testimonianza d'un Rabbino, che visse nelXV Secolo. Tali prove non possono ammettersi che da un giudice ben favore-vole.

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credente, e sorprendere un incredulo. Pure un filosofopotrà sempre domandare l'original testimonianza d'intel-ligenti ed imparziali spettatori. In quella crisi importan-te, ogni singolare accidente di natura potrebbe assumerel'apparenza, e produrre gli effetti di un vero prodigio.Tal gloriosa liberazione si sarebbe messa tosto a profit-to, e magnificata dalla pia sagacità del Clero di Gerusa-lemme, e dall'attiva credulità del mondo Cristiano; edalla distanza di vent'anni un Istorico Romano, non cu-rante di teologiche dispute, potè bene adornar la suaopera con quello splendido e specioso miracolo480.

La restaurazione del tempio Giudaico era segretamen-te connessa con la rovina della Chiesa Cristiana. Giulia-no continuava sempre a mantenere la libertà del cultoreligioso, senza distinguere se questa universale tolle-ranza dipendeva dalla giustizia o dalla clemenza di lui.Affettava di aver pietà degl'infelici Cristiani, ches'ingannavano sul punto più importante di loro vita; mala sua pietà era avvilita dal disprezzo, il disprezzo erainvelenito dall'odio, e Giuliano esprimeva i suoi senti-menti in uno stile di spirito satirico, il quale cagionaprofonde e mortali ferite, quando viene dalla bocca d'unSovrano. Siccome sapeva che i Cristiani si gloriavanonel nome del loro Redentore, soleva usare, e forse ordi-nò che si desse loro il titolo men onorevole di Galilei481.

480Il Dottor Lardner è forse il solo fra' critici Cristiani ad osare di porre indubbio la verità di questo famoso miracolo. Testim. Giudaic. Pag. Vol. IV. p.47. 71. Il silenzio di Girolamo condurrebbe a sospettare, che potesse dispre-giarsi sul luogo quella medesima storia ch'era celebre in lontananza.

481Greg. Nazianz. Orat. III. p. 81. E questa legge fu confermata dalla prati-

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credente, e sorprendere un incredulo. Pure un filosofopotrà sempre domandare l'original testimonianza d'intel-ligenti ed imparziali spettatori. In quella crisi importan-te, ogni singolare accidente di natura potrebbe assumerel'apparenza, e produrre gli effetti di un vero prodigio.Tal gloriosa liberazione si sarebbe messa tosto a profit-to, e magnificata dalla pia sagacità del Clero di Gerusa-lemme, e dall'attiva credulità del mondo Cristiano; edalla distanza di vent'anni un Istorico Romano, non cu-rante di teologiche dispute, potè bene adornar la suaopera con quello splendido e specioso miracolo480.

La restaurazione del tempio Giudaico era segretamen-te connessa con la rovina della Chiesa Cristiana. Giulia-no continuava sempre a mantenere la libertà del cultoreligioso, senza distinguere se questa universale tolle-ranza dipendeva dalla giustizia o dalla clemenza di lui.Affettava di aver pietà degl'infelici Cristiani, ches'ingannavano sul punto più importante di loro vita; mala sua pietà era avvilita dal disprezzo, il disprezzo erainvelenito dall'odio, e Giuliano esprimeva i suoi senti-menti in uno stile di spirito satirico, il quale cagionaprofonde e mortali ferite, quando viene dalla bocca d'unSovrano. Siccome sapeva che i Cristiani si gloriavanonel nome del loro Redentore, soleva usare, e forse ordi-nò che si desse loro il titolo men onorevole di Galilei481.

480Il Dottor Lardner è forse il solo fra' critici Cristiani ad osare di porre indubbio la verità di questo famoso miracolo. Testim. Giudaic. Pag. Vol. IV. p.47. 71. Il silenzio di Girolamo condurrebbe a sospettare, che potesse dispre-giarsi sul luogo quella medesima storia ch'era celebre in lontananza.

481Greg. Nazianz. Orat. III. p. 81. E questa legge fu confermata dalla prati-

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Dichiarò che per la follia de' Galilei, quali esso descrivecome una Setta di fanatici disprezzabili dagli uomini edodiosi agli Dei, erasi ridotto sull'orlo della distruzionel'Impero, ed in un pubblico editto insinua che un freneti-co ammalato può alle volte curarsi con salutare violen-za482. Giuliano aveva adottato nell'animo e ne' consigliuna illiberal distinzione, che secondo la differenza de'religiosi loro sentimenti, una parte de' suoi sudditi meri-tasse il suo favore e la sua amicizia, mentre l'altra nonavesse diritto, che a' comuni benefizi, cui la sua giusti-zia ricusar non poteva ad un popolo ubbidiente483. Anorma d'un principio fecondo d'oppressioni e di mali,trasferì a' Pontefici della sua religione il maneggio dellegenerose prestazioni, che dal pubblico erario avea con-cesse alla Chiesa la pietà di Costantino e de' suoi fi-gliuoli. L'orgoglioso sistema degli onori e delle immuni-tà clericali, che s'era stabilito con tant'arte e fatica, fu

ca invariabile dell'istesso Giuliano. Warburton ha giustamente osservato (p. 35)che i Platonici credevano nella misteriosa virtù delle parole: ed il contraggeniodi Giuliano pel nome di Cristo potea procedere da superstizione ugualmenteche da disprezzo.

482Juliano Fragm. p. 288. Ei deride la µορια αλιλαιων stoltezza dei Galilei;(Epist. 7) e perde tanto di vista i principj di tolleranza, che brama, Epist. 42.ακοντας ιασθαι, medicarli contro lor voglia.

483Ου γαρ µοι θεµις εςι χοµιξεµεν, η ελεαιρειν Ανδρας, οι και θεοισιναπεχθωντ' αθανατοισιν. Poichè non mi è permesso d'aver cura o misericordiadi uomini, che sono odiosi agli Dei immortali. Questi due versi, che Giulianoha cangiati e pervertiti nel vero spirito d'un superstizioso (Epist. 49) son presidal discorso d'Eolo, che ricusa di accordare ad Ulisse un nuovo aiuto di venti(Odyss. X. 73). Libanio (Orat. parent. c. 59. p. 286.) tenta di giustificare que-sta parziale condotta con un'apologia, in cui si travede la persecuzione attraver-so la maschera del candore.

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Dichiarò che per la follia de' Galilei, quali esso descrivecome una Setta di fanatici disprezzabili dagli uomini edodiosi agli Dei, erasi ridotto sull'orlo della distruzionel'Impero, ed in un pubblico editto insinua che un freneti-co ammalato può alle volte curarsi con salutare violen-za482. Giuliano aveva adottato nell'animo e ne' consigliuna illiberal distinzione, che secondo la differenza de'religiosi loro sentimenti, una parte de' suoi sudditi meri-tasse il suo favore e la sua amicizia, mentre l'altra nonavesse diritto, che a' comuni benefizi, cui la sua giusti-zia ricusar non poteva ad un popolo ubbidiente483. Anorma d'un principio fecondo d'oppressioni e di mali,trasferì a' Pontefici della sua religione il maneggio dellegenerose prestazioni, che dal pubblico erario avea con-cesse alla Chiesa la pietà di Costantino e de' suoi fi-gliuoli. L'orgoglioso sistema degli onori e delle immuni-tà clericali, che s'era stabilito con tant'arte e fatica, fu

ca invariabile dell'istesso Giuliano. Warburton ha giustamente osservato (p. 35)che i Platonici credevano nella misteriosa virtù delle parole: ed il contraggeniodi Giuliano pel nome di Cristo potea procedere da superstizione ugualmenteche da disprezzo.

482Juliano Fragm. p. 288. Ei deride la µορια αλιλαιων stoltezza dei Galilei;(Epist. 7) e perde tanto di vista i principj di tolleranza, che brama, Epist. 42.ακοντας ιασθαι, medicarli contro lor voglia.

483Ου γαρ µοι θεµις εςι χοµιξεµεν, η ελεαιρειν Ανδρας, οι και θεοισιναπεχθωντ' αθανατοισιν. Poichè non mi è permesso d'aver cura o misericordiadi uomini, che sono odiosi agli Dei immortali. Questi due versi, che Giulianoha cangiati e pervertiti nel vero spirito d'un superstizioso (Epist. 49) son presidal discorso d'Eolo, che ricusa di accordare ad Ulisse un nuovo aiuto di venti(Odyss. X. 73). Libanio (Orat. parent. c. 59. p. 286.) tenta di giustificare que-sta parziale condotta con un'apologia, in cui si travede la persecuzione attraver-so la maschera del candore.

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gettato a terra; si tolsero dal rigor delle leggi le speranzedelle testamentarie donazioni; ed i Sacerdoti della SettaCristiana rimaser confusi colla ultima e più ignominiosaclasse del popolo. Fra questi regolamenti, quelli che par-vero necessari a frenare l'ambizione e l'avarizia degliEcclesiastici, furon poco dopo imitati dalla saviezzad'un Principe ortodosso. Le speciali distinzioni, intro-dotte dalla politica, o dalla superstizione profusenell'ordine Sacerdotale, debbono ristringersi a que' Sa-cerdoti, che professano la religione dello Stato. Ma lavolontà del Legislatore non era esente dal pregiudizio edalla passione; e l'insidiosa politica di Giuliano tendevaa spogliare i Cristiani di tutti gli onori e vantaggi tempo-rali, che li rendevano rispettabili agli occhi del Mon-do484.

Si è fatta una giusta e severa censura a quella legge,che proibiva a' Cristiani d'apprender le arti della gram-matica e della rettorica485. I motivi allegati dall'Impera-tore per giustificare tal atto parziale ed oppressivo, pote-rono, durante la sua vita soltanto, imporre silenzio aglischiavi, e riscuoter applauso dagli adulatori. Giulianoabusò dell'ambiguo senso di una parola, che poteva in-differentemente applicarsi alla lingua ed alla religionede' Greci: egli osserva con disprezzo che gli uomini, iquali esaltano il merito d'una implicita fede, non debbon

484Queste leggi sopra il Clero si posson vedere ne' leggieri cenni, che ne hadato Giuliano medesimo (Epist. 52.), nelle vaghe declamazioni di Gregorio(Orat. III. p. 86. 87), e nelle positive asserzioni di Sozomeno l. V. c. 5.

485Inclemens, perenni obruendum silentio. Ammiano XXII. 10. XXV. 5.

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gettato a terra; si tolsero dal rigor delle leggi le speranzedelle testamentarie donazioni; ed i Sacerdoti della SettaCristiana rimaser confusi colla ultima e più ignominiosaclasse del popolo. Fra questi regolamenti, quelli che par-vero necessari a frenare l'ambizione e l'avarizia degliEcclesiastici, furon poco dopo imitati dalla saviezzad'un Principe ortodosso. Le speciali distinzioni, intro-dotte dalla politica, o dalla superstizione profusenell'ordine Sacerdotale, debbono ristringersi a que' Sa-cerdoti, che professano la religione dello Stato. Ma lavolontà del Legislatore non era esente dal pregiudizio edalla passione; e l'insidiosa politica di Giuliano tendevaa spogliare i Cristiani di tutti gli onori e vantaggi tempo-rali, che li rendevano rispettabili agli occhi del Mon-do484.

Si è fatta una giusta e severa censura a quella legge,che proibiva a' Cristiani d'apprender le arti della gram-matica e della rettorica485. I motivi allegati dall'Impera-tore per giustificare tal atto parziale ed oppressivo, pote-rono, durante la sua vita soltanto, imporre silenzio aglischiavi, e riscuoter applauso dagli adulatori. Giulianoabusò dell'ambiguo senso di una parola, che poteva in-differentemente applicarsi alla lingua ed alla religionede' Greci: egli osserva con disprezzo che gli uomini, iquali esaltano il merito d'una implicita fede, non debbon

484Queste leggi sopra il Clero si posson vedere ne' leggieri cenni, che ne hadato Giuliano medesimo (Epist. 52.), nelle vaghe declamazioni di Gregorio(Orat. III. p. 86. 87), e nelle positive asserzioni di Sozomeno l. V. c. 5.

485Inclemens, perenni obruendum silentio. Ammiano XXII. 10. XXV. 5.

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pretendere di godere i vantaggi della scienza; e vana-mente sostiene che se ricusano d'adorare gli Dei d'Ome-ro e di Demostene, debbon contentarsi d'esporre Luca eMatteo nelle Chiese de' Galilei486. In tutte le città delmondo Romano, s'affidava l'educazione della gioventùa' maestri di grammatica e di rettorica, ch'erano eletti da'Magistrati, mantenuti a pubbliche spese, e distinti conmolti lucrosi ed onorevoli privilegi. L'editto di Giulianopare che includesse anche i medici ed i professori di tut-te le arti liberali; e l'Imperatore, che riservò a se stessol'approvazione de' candidati, fu autorizzato dalle leggi acorrompere o a punire la religiosa costanza de' più dottifra' Cristiani487. Tosto che la dimissione de' più ostina-ti488 maestri ebbe stabilito senza rivali il dominio de' so-fisti Pagani, Giuliano invitò la nascente generazione afrequentar con libertà le pubbliche scuole, nella giustafiducia che le tenere menti avrebber ricevuto le impres-sioni della letteratura e dell'idolatria. Se poi la maggior

486Può confrontarsi l'editto medesimo, che tuttavia sussiste nella 42 fra lelettere di Giuliano, con le libere invettive di Gregorio (Orat. III. p. 96). IlTillemont (Mem. Eccl. VII. pag. 96) ha raccolto le apparenti differenze fra gliantichi ed i moderni. Possono però facilmente conciliarsi fra loro. A' Cristianifu direttamente proibito d'insegnare, ed indirettamente d'apprendere, mentrenon avrebbero mai frequentato le scuole de' Pagani.

487Cod. Theod. lib. XIII. Tit. III. de medicis et professor. leg. 5. (pubblicatali 17 Giugno, ricevuta a Spoleti, in Italia il 29 Luglio dell'anno 363) con le illu-strazioni del Gottofredo, Tom. V. p. 31.

488Orosio celebra la lor disinteressata risoluzione. Sicut a majoribus nostriscompertum habemus, omnes ubique propemodum.... officium quam fidemdeserere maluerunt. VII. 30. Proeresio, Sofista Cristiano ricusò d'accettare ilparzial favore dell'Imperatore. Hieronym. in Chron. p. 185 ed. Scalig. Eunap.in Proaeresio p. 126.

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pretendere di godere i vantaggi della scienza; e vana-mente sostiene che se ricusano d'adorare gli Dei d'Ome-ro e di Demostene, debbon contentarsi d'esporre Luca eMatteo nelle Chiese de' Galilei486. In tutte le città delmondo Romano, s'affidava l'educazione della gioventùa' maestri di grammatica e di rettorica, ch'erano eletti da'Magistrati, mantenuti a pubbliche spese, e distinti conmolti lucrosi ed onorevoli privilegi. L'editto di Giulianopare che includesse anche i medici ed i professori di tut-te le arti liberali; e l'Imperatore, che riservò a se stessol'approvazione de' candidati, fu autorizzato dalle leggi acorrompere o a punire la religiosa costanza de' più dottifra' Cristiani487. Tosto che la dimissione de' più ostina-ti488 maestri ebbe stabilito senza rivali il dominio de' so-fisti Pagani, Giuliano invitò la nascente generazione afrequentar con libertà le pubbliche scuole, nella giustafiducia che le tenere menti avrebber ricevuto le impres-sioni della letteratura e dell'idolatria. Se poi la maggior

486Può confrontarsi l'editto medesimo, che tuttavia sussiste nella 42 fra lelettere di Giuliano, con le libere invettive di Gregorio (Orat. III. p. 96). IlTillemont (Mem. Eccl. VII. pag. 96) ha raccolto le apparenti differenze fra gliantichi ed i moderni. Possono però facilmente conciliarsi fra loro. A' Cristianifu direttamente proibito d'insegnare, ed indirettamente d'apprendere, mentrenon avrebbero mai frequentato le scuole de' Pagani.

487Cod. Theod. lib. XIII. Tit. III. de medicis et professor. leg. 5. (pubblicatali 17 Giugno, ricevuta a Spoleti, in Italia il 29 Luglio dell'anno 363) con le illu-strazioni del Gottofredo, Tom. V. p. 31.

488Orosio celebra la lor disinteressata risoluzione. Sicut a majoribus nostriscompertum habemus, omnes ubique propemodum.... officium quam fidemdeserere maluerunt. VII. 30. Proeresio, Sofista Cristiano ricusò d'accettare ilparzial favore dell'Imperatore. Hieronym. in Chron. p. 185 ed. Scalig. Eunap.in Proaeresio p. 126.

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parte della gioventù Cristiana pe' propri scrupoli o perquelli de' lor genitori si fosse ritenuta dall'abbracciaretale pericolosa maniera d'istruzione, dovea nel tempostesso rinunziare a' vantaggi d'un'educazion liberale.Giuliano avea motivo di sperare che, nello spazio di po-chi anni, la Chiesa ricaduta sarebbe nella sua primierasemplicità, e che a' Teologi, che possedevano un'ade-quata porzione della dottrina e dell'eloquenza di quel se-colo, sarebbe successa una generazione di ciechi odignoranti fanatici, incapaci di difender la verità dei loroprincipj, e d'esporre le varie follie del politeismo489.

Il desiderio e l'intenzion di Giuliano era senza dubbiodi privare i Cristiani de' vantaggi, delle ricchezze, dellecognizioni e del potere; ma l'ingiustizia di escluderli datutti gli uffizi di fedeltà e di profitto, sembra che fosse ilrisultato della sua generale politica piuttosto che l'imme-diata conseguenza d'alcuna legge positiva490. Potè unmerito superiore stimarsi degno di qualche straordinariaeccezione ma la maggior parte de' ministri Cristiani fu-rono appoco appoco rimossi da' loro impieghi nello Sta-to, nell'esercito o nelle Province. S'estinsero le speranze

489Essi ricorsero all'espediente di comporre libri per le loro scuole. In pochimesi Apollinare pubblicò le sue Cristiane imitazioni d'Omero (Istoria sacra in4 libri), di Pindaro, d'Euripide e di Menandro; e Sozomeno è persuaso, ch'esseuguagliassero o superassero gli originali.

490Tal era l'istruzione di Giuliano a' suoi Magistrati Epist. 7 προτιµαθοαιµεν τοι τουε θεασεβειν και κανυ φηµι δειν dico che si debbano onninamentepreferire quelli che venerano gli Dei. Sozomeno (l. V. c. 18) e Socrate (l. III. c.13) esser debbon ridotti alla misura di Gregorio (Orat. III. p. 195), non in veromeno proclive ad esagerare, ma più ritenuto per l'attual cognizione de' lettoridel suo tempo.

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parte della gioventù Cristiana pe' propri scrupoli o perquelli de' lor genitori si fosse ritenuta dall'abbracciaretale pericolosa maniera d'istruzione, dovea nel tempostesso rinunziare a' vantaggi d'un'educazion liberale.Giuliano avea motivo di sperare che, nello spazio di po-chi anni, la Chiesa ricaduta sarebbe nella sua primierasemplicità, e che a' Teologi, che possedevano un'ade-quata porzione della dottrina e dell'eloquenza di quel se-colo, sarebbe successa una generazione di ciechi odignoranti fanatici, incapaci di difender la verità dei loroprincipj, e d'esporre le varie follie del politeismo489.

Il desiderio e l'intenzion di Giuliano era senza dubbiodi privare i Cristiani de' vantaggi, delle ricchezze, dellecognizioni e del potere; ma l'ingiustizia di escluderli datutti gli uffizi di fedeltà e di profitto, sembra che fosse ilrisultato della sua generale politica piuttosto che l'imme-diata conseguenza d'alcuna legge positiva490. Potè unmerito superiore stimarsi degno di qualche straordinariaeccezione ma la maggior parte de' ministri Cristiani fu-rono appoco appoco rimossi da' loro impieghi nello Sta-to, nell'esercito o nelle Province. S'estinsero le speranze

489Essi ricorsero all'espediente di comporre libri per le loro scuole. In pochimesi Apollinare pubblicò le sue Cristiane imitazioni d'Omero (Istoria sacra in4 libri), di Pindaro, d'Euripide e di Menandro; e Sozomeno è persuaso, ch'esseuguagliassero o superassero gli originali.

490Tal era l'istruzione di Giuliano a' suoi Magistrati Epist. 7 προτιµαθοαιµεν τοι τουε θεασεβειν και κανυ φηµι δειν dico che si debbano onninamentepreferire quelli che venerano gli Dei. Sozomeno (l. V. c. 18) e Socrate (l. III. c.13) esser debbon ridotti alla misura di Gregorio (Orat. III. p. 195), non in veromeno proclive ad esagerare, ma più ritenuto per l'attual cognizione de' lettoridel suo tempo.

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de' futuri candidati dalla dichiarata parzialità d'un Prin-cipe, che maliziosamente rammentava loro, non esserlecito ad un Cristiano di usare la spada o della giustiziao della guerra, e che premurosamente muniva il campoed i tribunali con le insegne dell'idolatria. Il potere delGoverno fu affidato a' Pagani, che professavano un ar-dente zelo per la religione de' loro Maggiori; e poichè lascelta dell'Imperatore spesso dipendeva dalle regole del-la divinazione, i favoriti ch'ei preferiva come i più gratiagli Dei, non ottenevan sempre l'approvazione degli uo-mini491. I Cristiani, sotto l'amministrazione de' loro ne-mici, molto ebbero da soffrire e più da temere. L'indoledi Giuliano era contraria alla crudeltà; e la cura della suariputazione, esposta agli occhi dell'Universo, riteneva ilfilosofo Monarca dal violare le leggi della giustizia edella tolleranza, che egli stesso sì recentemente aveastabilito. Ma i Ministri provinciali della sua autorità sitrovavano in un posto meno cospicuo; nell'eserciziodell'arbitrario potere essi consultavano i desiderj piutto-sto che gli ordini del loro Sovrano; ed osavano d'eserci-tare una segreta e vessante tirannia contro i Settari, a'quali non era loro concesso di conferire l'onor del Marti-rio. L'Imperatore, il quale dissimulò più che potè la co-gnizione dell'ingiustizia, ch'esercitavasi in nome suo,espresse il suo real sentimento intorno alla condotta de'suoi Ministri con dolci espressioni o con premj effetti-

491ψηφω θεων και διδυς µη διδυς Dando e non dando secondo il suffragiodegli Dei. Liban. Orat. parent. c. 88, pag. 314.

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de' futuri candidati dalla dichiarata parzialità d'un Prin-cipe, che maliziosamente rammentava loro, non esserlecito ad un Cristiano di usare la spada o della giustiziao della guerra, e che premurosamente muniva il campoed i tribunali con le insegne dell'idolatria. Il potere delGoverno fu affidato a' Pagani, che professavano un ar-dente zelo per la religione de' loro Maggiori; e poichè lascelta dell'Imperatore spesso dipendeva dalle regole del-la divinazione, i favoriti ch'ei preferiva come i più gratiagli Dei, non ottenevan sempre l'approvazione degli uo-mini491. I Cristiani, sotto l'amministrazione de' loro ne-mici, molto ebbero da soffrire e più da temere. L'indoledi Giuliano era contraria alla crudeltà; e la cura della suariputazione, esposta agli occhi dell'Universo, riteneva ilfilosofo Monarca dal violare le leggi della giustizia edella tolleranza, che egli stesso sì recentemente aveastabilito. Ma i Ministri provinciali della sua autorità sitrovavano in un posto meno cospicuo; nell'eserciziodell'arbitrario potere essi consultavano i desiderj piutto-sto che gli ordini del loro Sovrano; ed osavano d'eserci-tare una segreta e vessante tirannia contro i Settari, a'quali non era loro concesso di conferire l'onor del Marti-rio. L'Imperatore, il quale dissimulò più che potè la co-gnizione dell'ingiustizia, ch'esercitavasi in nome suo,espresse il suo real sentimento intorno alla condotta de'suoi Ministri con dolci espressioni o con premj effetti-

491ψηφω θεων και διδυς µη διδυς Dando e non dando secondo il suffragiodegli Dei. Liban. Orat. parent. c. 88, pag. 314.

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vi492.Il più poderoso istrumento d'oppressione, con cui si

armavano tali Ministri, era la legge che obbligava i Cri-stiani a far piene ed ampie riparazioni pe' tempj, ch'essiaveano distrutti sotto il regno antecedente. Lo zelo dellatrionfante Chiesa non aveva sempre aspettato la sanzio-ne della pubblica autorità; ed i Vescovi, sicuri dell'impu-nità, spesso eran marciati alla testa delle loro congrega-zioni ad attaccare e demolir le Fortezze del Principe del-le tenebre. Furono chiaramente determinate, e facilmen-te restituite le terre sacre, che avevano impinguato il pa-trimonio del Sovrano o del Clero. Ma su quelle terre, esulle rovine della superstizione Pagana, i Cristiani ave-vano frequentemente innalzati i religiosi loro edifizi; esiccome bisognava distrugger la chiesa, prima che si po-tesse rifabbricare il tempio, da una parte applaudivasialla giustizia ed alla pietà dell'Imperatore, mentredall'altra si deplorava e detestava la sacrilega violenza dilui493. Dopo ch'era purgata la terra, il ristabilimento diquelle magnifiche moli, che si erano gettate a terra, e de'preziosi ornamenti che si erano convertiti in usi Cristia-ni, ascendeva a somme assai considerabili di danni e didebito. Gli autori del male non avevano nè abilità nè vo-glia di soddisfare a tali accumulate richieste; e si sareb-

492Gregor. Nazianzen. Orat. III. p. 74, 91, 92. Socrate l. III. c. 4. Teodoretol. III. c. 6. Può accordarsi però qualche tara alla violenza del loro zelo nonmeno parziale di quello di Giuliano.

493Se paragoniamo il moderato linguaggio di Libanio (Orat. parent. c. 60,p. 286) con le forti esclamazioni di Gregorio (Orat. III p. 86, 87) sarà difficiledi persuaderci che i due Oratori veramente descrivano i medesimi fatti.

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vi492.Il più poderoso istrumento d'oppressione, con cui si

armavano tali Ministri, era la legge che obbligava i Cri-stiani a far piene ed ampie riparazioni pe' tempj, ch'essiaveano distrutti sotto il regno antecedente. Lo zelo dellatrionfante Chiesa non aveva sempre aspettato la sanzio-ne della pubblica autorità; ed i Vescovi, sicuri dell'impu-nità, spesso eran marciati alla testa delle loro congrega-zioni ad attaccare e demolir le Fortezze del Principe del-le tenebre. Furono chiaramente determinate, e facilmen-te restituite le terre sacre, che avevano impinguato il pa-trimonio del Sovrano o del Clero. Ma su quelle terre, esulle rovine della superstizione Pagana, i Cristiani ave-vano frequentemente innalzati i religiosi loro edifizi; esiccome bisognava distrugger la chiesa, prima che si po-tesse rifabbricare il tempio, da una parte applaudivasialla giustizia ed alla pietà dell'Imperatore, mentredall'altra si deplorava e detestava la sacrilega violenza dilui493. Dopo ch'era purgata la terra, il ristabilimento diquelle magnifiche moli, che si erano gettate a terra, e de'preziosi ornamenti che si erano convertiti in usi Cristia-ni, ascendeva a somme assai considerabili di danni e didebito. Gli autori del male non avevano nè abilità nè vo-glia di soddisfare a tali accumulate richieste; e si sareb-

492Gregor. Nazianzen. Orat. III. p. 74, 91, 92. Socrate l. III. c. 4. Teodoretol. III. c. 6. Può accordarsi però qualche tara alla violenza del loro zelo nonmeno parziale di quello di Giuliano.

493Se paragoniamo il moderato linguaggio di Libanio (Orat. parent. c. 60,p. 286) con le forti esclamazioni di Gregorio (Orat. III p. 86, 87) sarà difficiledi persuaderci che i due Oratori veramente descrivano i medesimi fatti.

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be fatta conoscere la imparzial saviezza di un legislatorecol bilanciare le vicendevoli pretensioni e querele, me-diante un equo e moderato arbitrio. Ma tutto l'Impero, especialmente l'Oriente, cadde in confusione pergl'imprudenti editti di Giuliano, ed i Magistrati Pagani,accesi di zelo e di vendetta, abusavan del rigoroso privi-legio della legge Romana, che sostituisce la persona deldebitore insolvente alle sue non sufficienti sostanze.Sotto l'antecedente regno, Marco, Vescovo d'Aretusa494,avea atteso alla conversion del suo popolo con armi piùefficaci di quelle della persuasione495. I Magistrati ri-chiesero l'intera valuta del tempio, che era stato distrattodall'intollerante suo zelo; ma essendo convinti della suapovertà, bramavano sol di piegar l'inflessibile animo dilui alla promessa di una tenuissima compensazione. Essipresero il vecchio Prelato, crudelmente lo flagellarono,gli strapparono la barba, e nudato il suo corpo ed unto dimele, lo sospesero in una rete fra il cielo e la terra, espo-nendolo alle punture degl'insetti ed a' raggi d'un sole diSiria496. Da quell'alto luogo, Marco persistè sempre a

494Restan, o Aretusa, posta in ugual distanza di sedici miglia fra Emesa(Hems) ed Epifania (Hamath) fu fondata, o almeno nominata da Seleucio Ni-catore. La particolare sua Era incomincia dall'anno 685 di Roma secondo lemedaglie della città. Nella decadenza de' Seleucidi, Emesa ed Aretusa furonousurpate dall'Arabo Sampsiceramo, la posterità del quale, divenuta vassalla diRoma, non era anche estinta nel regno di Vespasiano. Vedi Danville Carte, egeogr. antic. Tom. II p. 134. Wesseling. Itinerar. p. 188 e Noris Epoch. SyroMaced. p. 80, 481, 482.

495Sozomeno l. V. c. 10. Fa maraviglia che Gregorio e Teodoreto abbiansoppresso una circostanza, che, a' loro occhj, doveva far crescer di pregio il re-ligioso merito del Confessore.

496I patimenti e la costanza di Marco, che Gregorio ha sì tragicamente rap-

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be fatta conoscere la imparzial saviezza di un legislatorecol bilanciare le vicendevoli pretensioni e querele, me-diante un equo e moderato arbitrio. Ma tutto l'Impero, especialmente l'Oriente, cadde in confusione pergl'imprudenti editti di Giuliano, ed i Magistrati Pagani,accesi di zelo e di vendetta, abusavan del rigoroso privi-legio della legge Romana, che sostituisce la persona deldebitore insolvente alle sue non sufficienti sostanze.Sotto l'antecedente regno, Marco, Vescovo d'Aretusa494,avea atteso alla conversion del suo popolo con armi piùefficaci di quelle della persuasione495. I Magistrati ri-chiesero l'intera valuta del tempio, che era stato distrattodall'intollerante suo zelo; ma essendo convinti della suapovertà, bramavano sol di piegar l'inflessibile animo dilui alla promessa di una tenuissima compensazione. Essipresero il vecchio Prelato, crudelmente lo flagellarono,gli strapparono la barba, e nudato il suo corpo ed unto dimele, lo sospesero in una rete fra il cielo e la terra, espo-nendolo alle punture degl'insetti ed a' raggi d'un sole diSiria496. Da quell'alto luogo, Marco persistè sempre a

494Restan, o Aretusa, posta in ugual distanza di sedici miglia fra Emesa(Hems) ed Epifania (Hamath) fu fondata, o almeno nominata da Seleucio Ni-catore. La particolare sua Era incomincia dall'anno 685 di Roma secondo lemedaglie della città. Nella decadenza de' Seleucidi, Emesa ed Aretusa furonousurpate dall'Arabo Sampsiceramo, la posterità del quale, divenuta vassalla diRoma, non era anche estinta nel regno di Vespasiano. Vedi Danville Carte, egeogr. antic. Tom. II p. 134. Wesseling. Itinerar. p. 188 e Noris Epoch. SyroMaced. p. 80, 481, 482.

495Sozomeno l. V. c. 10. Fa maraviglia che Gregorio e Teodoreto abbiansoppresso una circostanza, che, a' loro occhj, doveva far crescer di pregio il re-ligioso merito del Confessore.

496I patimenti e la costanza di Marco, che Gregorio ha sì tragicamente rap-

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gloriarsi del suo delitto, e ad insultar l'impotente rabbiade' suoi persecutori. Finalmente fu liberato dalle lormani, e mandato a godere l'onore del suo divino trionfo.Gli Arriani celebravano la virtù del pio lor Confessore; iCattolici ambivano la sua alleanza497; ed i Pagani,ch'eran suscettibili di vergogna o di rimorso, furon ratte-nuti dal replicare tali crudeltà infruttuose498. Giuliano ri-sparmiò ad esso la vita; ma se il Vescovo d'Aretusa aveasalvato l'infanzia di Giuliano499, la posterità dovrà con-dannare l'ingratitudine piuttosto che lodar la clemenzadell'Imperatore.

Alla distanza di cinque miglia d'Antiochia i Re Mace-doni della Siria avean consacrato ad Apollo uno de' più

presentato (Orat. III. p. 88-91) si confermano dall'indubitabile e forzata testi-monianza di Libanio. Μαρκσς εκεινος κρεµαµενος και µαςγουµενσς, και τουπωγωνος αυτω τιλλοµενυ, παντα ενεγκων ανδρειως νυν ιροθεος εςι ταις τιµαις,καν φανη που περιµαχητος ευθυς; quel Marco essendo stato sospeso e battuto,ed essendogli stata svelta la barba, fortemente avendo tutto sofferto, adesso èonorato come un Dio, e dovunque si trovi, con ardore si combatte pel favore dilui. Epist. 730. p. 350. 351. Ed. Wolf. Amstel. 1713.

497Περιµαχητος: intorno a cui si contende; certatim eum sibi (Christiani)vindicant. In tal modo Lacroze e Volfio (ivi) hanno spiegato un vocabolo Gre-co, di cui non s'era capito il vero senso dagl'Interpreti antecedenti e neppuredal Le Clerc (Bibl. ant. et mod. Tom. III. p. 371). Contuttocciò il Tillemont instrana guisa tormentasi per capire (Mem. Eccl. Tom. VII. p. 1309) come Gre-gorio e Teodoreto potessero prender per santo un Vescovo Semi-arriano.

498Vedi il ragionevol consiglio di Sallustio (Gregorio Nazianzeno Orat. III.90. 91). Libanio intercede in favore di un simile reo, per timore di trovar moltiMarchi; pure conviene, che se Orione avea realmente nascosto i beni sacri, me-ritava d'esser condannato al gastigo di Marsia, cioè d'essere scorticato vivo.Ep. 730. p. 349, 351.

499Gregorio (Orat. III. p. 90), è persuaso, che salvando l'Apostata, Marcoavea meritato molto peggio di quello che aveva sofferto.

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gloriarsi del suo delitto, e ad insultar l'impotente rabbiade' suoi persecutori. Finalmente fu liberato dalle lormani, e mandato a godere l'onore del suo divino trionfo.Gli Arriani celebravano la virtù del pio lor Confessore; iCattolici ambivano la sua alleanza497; ed i Pagani,ch'eran suscettibili di vergogna o di rimorso, furon ratte-nuti dal replicare tali crudeltà infruttuose498. Giuliano ri-sparmiò ad esso la vita; ma se il Vescovo d'Aretusa aveasalvato l'infanzia di Giuliano499, la posterità dovrà con-dannare l'ingratitudine piuttosto che lodar la clemenzadell'Imperatore.

Alla distanza di cinque miglia d'Antiochia i Re Mace-doni della Siria avean consacrato ad Apollo uno de' più

presentato (Orat. III. p. 88-91) si confermano dall'indubitabile e forzata testi-monianza di Libanio. Μαρκσς εκεινος κρεµαµενος και µαςγουµενσς, και τουπωγωνος αυτω τιλλοµενυ, παντα ενεγκων ανδρειως νυν ιροθεος εςι ταις τιµαις,καν φανη που περιµαχητος ευθυς; quel Marco essendo stato sospeso e battuto,ed essendogli stata svelta la barba, fortemente avendo tutto sofferto, adesso èonorato come un Dio, e dovunque si trovi, con ardore si combatte pel favore dilui. Epist. 730. p. 350. 351. Ed. Wolf. Amstel. 1713.

497Περιµαχητος: intorno a cui si contende; certatim eum sibi (Christiani)vindicant. In tal modo Lacroze e Volfio (ivi) hanno spiegato un vocabolo Gre-co, di cui non s'era capito il vero senso dagl'Interpreti antecedenti e neppuredal Le Clerc (Bibl. ant. et mod. Tom. III. p. 371). Contuttocciò il Tillemont instrana guisa tormentasi per capire (Mem. Eccl. Tom. VII. p. 1309) come Gre-gorio e Teodoreto potessero prender per santo un Vescovo Semi-arriano.

498Vedi il ragionevol consiglio di Sallustio (Gregorio Nazianzeno Orat. III.90. 91). Libanio intercede in favore di un simile reo, per timore di trovar moltiMarchi; pure conviene, che se Orione avea realmente nascosto i beni sacri, me-ritava d'esser condannato al gastigo di Marsia, cioè d'essere scorticato vivo.Ep. 730. p. 349, 351.

499Gregorio (Orat. III. p. 90), è persuaso, che salvando l'Apostata, Marcoavea meritato molto peggio di quello che aveva sofferto.

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eleganti luoghi di devozione nel Mondo Pagano500. Visorgeva un magnifico tempio in onore del Dio dellaluce; e la sua colossal figura501 quasi occupava tutto ilvasto santuario, ch'era arricchito d'oro e di gemme, eadornato dalla perizia de' Greci artefici. Era il Numerappresentato in uno positura curva con una coppa d'oroin mano in atto di versare una libazione sopra la terra;quasi che supplicasse la venerabil Madre a porre la fred-da e bella Dafne nelle sue braccia; e quanto al luogoerasi nobilitato per mezzo d'una finzione, avendo la fan-tasia de' poeti Sirj trasportato l'amorosa favola dalle rivedel Peneo a quelle dell'Oronte. Dalla real colonia di An-tiochia s'erano imitati gli antichi riti della Grecia. Scor-reva dal Castalio fonte di Dafne una profetica onda, ri-vale dell'oracolo Delfico, per la verità e la fama502. Nellavicina campagna s'era fabbricato uno stadio per uno spe-cial privilegio503 comprato da Elide; vi si celebravano a

500Il bosco ed il tempio di Dafne son descritti da Strabone (l. XVI. p. 1089,1090 ed. Amstel. 1707), da Libanio (Naenia p. 185. 188. Antioch. Orat. XI. p.380, 581. ec.) e da Sozomeno (l. v. c. 19). Wesseling (Itin. p. 581), e Casaubo-no (ad Hist. Aug. p. 64) illustrano questo curioso soggetto.

501Simulacrum in eo Olympiaci Jovis imitamenti aequiparans magnitudi-nem. Ammiano XXII. 13. Il Giove Olimpico era alto sessanta piedi, e la suamole per conseguenza era uguale a quella di mille uomini. Vedi una curiosamemoria dell'Ab. Gedoyn Acad. des Inscr. Tom. IX. p. 198.

502Adriano lesse l'istoria della sua futura grandezza sopra una foglia immer-sa nel fonte Castalio: artificio, che secondo il medico Vandale (de Oraculis281, 282) per mezzo di chimiche preparazioni può facilmente eseguirsi.L'Imperatore turò la sorgente di tal pericolosa cognizione, la quale fu riapertadalla devota curiosità di Giuliano.

503Fu acquistato l'anno di Cristo 44 ed il 92 dell'era di Antioco (Noris Epoc.Syr. Maced. p. 139-174) per il termine di novanta olimpiadi. Ma non furon ce-lebrati regolarmente i giuochi olimpici d'Antiochia fino al regno di Commodo.

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eleganti luoghi di devozione nel Mondo Pagano500. Visorgeva un magnifico tempio in onore del Dio dellaluce; e la sua colossal figura501 quasi occupava tutto ilvasto santuario, ch'era arricchito d'oro e di gemme, eadornato dalla perizia de' Greci artefici. Era il Numerappresentato in uno positura curva con una coppa d'oroin mano in atto di versare una libazione sopra la terra;quasi che supplicasse la venerabil Madre a porre la fred-da e bella Dafne nelle sue braccia; e quanto al luogoerasi nobilitato per mezzo d'una finzione, avendo la fan-tasia de' poeti Sirj trasportato l'amorosa favola dalle rivedel Peneo a quelle dell'Oronte. Dalla real colonia di An-tiochia s'erano imitati gli antichi riti della Grecia. Scor-reva dal Castalio fonte di Dafne una profetica onda, ri-vale dell'oracolo Delfico, per la verità e la fama502. Nellavicina campagna s'era fabbricato uno stadio per uno spe-cial privilegio503 comprato da Elide; vi si celebravano a

500Il bosco ed il tempio di Dafne son descritti da Strabone (l. XVI. p. 1089,1090 ed. Amstel. 1707), da Libanio (Naenia p. 185. 188. Antioch. Orat. XI. p.380, 581. ec.) e da Sozomeno (l. v. c. 19). Wesseling (Itin. p. 581), e Casaubo-no (ad Hist. Aug. p. 64) illustrano questo curioso soggetto.

501Simulacrum in eo Olympiaci Jovis imitamenti aequiparans magnitudi-nem. Ammiano XXII. 13. Il Giove Olimpico era alto sessanta piedi, e la suamole per conseguenza era uguale a quella di mille uomini. Vedi una curiosamemoria dell'Ab. Gedoyn Acad. des Inscr. Tom. IX. p. 198.

502Adriano lesse l'istoria della sua futura grandezza sopra una foglia immer-sa nel fonte Castalio: artificio, che secondo il medico Vandale (de Oraculis281, 282) per mezzo di chimiche preparazioni può facilmente eseguirsi.L'Imperatore turò la sorgente di tal pericolosa cognizione, la quale fu riapertadalla devota curiosità di Giuliano.

503Fu acquistato l'anno di Cristo 44 ed il 92 dell'era di Antioco (Noris Epoc.Syr. Maced. p. 139-174) per il termine di novanta olimpiadi. Ma non furon ce-lebrati regolarmente i giuochi olimpici d'Antiochia fino al regno di Commodo.

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spese della città i giuochi Olimpici; ed ogni annos'impiegava pel pubblico piacere un'entrata di trentamilazecchini504. Il perpetuo concorso di pellegrini e di spetta-tori formò insensibilmente nelle vicinanze del tempio ilmagnifico e popolato villaggio di Dafne, ch'emulava losplendore senz'avere il titolo d'una città provinciale. Iltempio ed il villaggio eran situati nel fondo d'un foltobosco di lauri e di cipressi, che aveva una circonferenzadi dieci miglia, e nella più calda state formava una fre-sca ed impenetrabile ombra. Mille rivi dell'acqua piùpura, scorrendo giù da più colli, conservavano il verdedella terra e la temperatura dell'aria; i sensi venivano al-lettati con armoniosi suoni ed aromatici odori; ed ilquieto bosco era consacrato alla comodità, al piacere, edall'amore. Il vigoroso giovane come Apollo seguitaval'oggetto de' suoi desiderj, e la rubiconda fanciulla eraavvertita dal destino di Dafne a fuggir la follia d'unainopportuna durezza. Dal soldato e dal filosofo pruden-temente evitavasi la tentazione di questo sensual paradi-so505, dove il piacere, prendendo il carattere di religione,insensibilmente rilassava la fermezza della virile virtù.

Vedine le curiose particolarità nella cronica di Gio. Malala (Tom. I. p. 290,320, 370, 381) scrittore, il merito e l'autorità del quale si ristringono a' limitidella sua patria.

504Quindici talenti d'oro, lasciati da Sosibio, che morì al tempo d'Augusto.Si riferiscono i meriti teatrali delle città della Siria nel secolo di Costantinonell'Expositio totius mundi p. 6. (Hudson Geogr. min. Tom. III.).

505Avidio Cassio Syriacas legiones dedi luxuria diffluentes, et Daphnicismoribus. Queste sono le parole dell'Imperatore Marco Antonino in una letteraoriginale conservataci dal suo Biografo (in Hist. Aug. p. 41). Cassio licenziò opunì ogni soldato che fosse veduto a Dafne.

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spese della città i giuochi Olimpici; ed ogni annos'impiegava pel pubblico piacere un'entrata di trentamilazecchini504. Il perpetuo concorso di pellegrini e di spetta-tori formò insensibilmente nelle vicinanze del tempio ilmagnifico e popolato villaggio di Dafne, ch'emulava losplendore senz'avere il titolo d'una città provinciale. Iltempio ed il villaggio eran situati nel fondo d'un foltobosco di lauri e di cipressi, che aveva una circonferenzadi dieci miglia, e nella più calda state formava una fre-sca ed impenetrabile ombra. Mille rivi dell'acqua piùpura, scorrendo giù da più colli, conservavano il verdedella terra e la temperatura dell'aria; i sensi venivano al-lettati con armoniosi suoni ed aromatici odori; ed ilquieto bosco era consacrato alla comodità, al piacere, edall'amore. Il vigoroso giovane come Apollo seguitaval'oggetto de' suoi desiderj, e la rubiconda fanciulla eraavvertita dal destino di Dafne a fuggir la follia d'unainopportuna durezza. Dal soldato e dal filosofo pruden-temente evitavasi la tentazione di questo sensual paradi-so505, dove il piacere, prendendo il carattere di religione,insensibilmente rilassava la fermezza della virile virtù.

Vedine le curiose particolarità nella cronica di Gio. Malala (Tom. I. p. 290,320, 370, 381) scrittore, il merito e l'autorità del quale si ristringono a' limitidella sua patria.

504Quindici talenti d'oro, lasciati da Sosibio, che morì al tempo d'Augusto.Si riferiscono i meriti teatrali delle città della Siria nel secolo di Costantinonell'Expositio totius mundi p. 6. (Hudson Geogr. min. Tom. III.).

505Avidio Cassio Syriacas legiones dedi luxuria diffluentes, et Daphnicismoribus. Queste sono le parole dell'Imperatore Marco Antonino in una letteraoriginale conservataci dal suo Biografo (in Hist. Aug. p. 41). Cassio licenziò opunì ogni soldato che fosse veduto a Dafne.

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Ma i boschi di Dafne continuarono per molti secoli agodere la venerazione de' nazionali e degli stranieri; fu-rono ampliati i privilegj di quel sacro luogo dalla muni-ficenza de' successivi Imperatori; ed ogni generazioneaggiungeva nuovi ornamenti allo splendore del Tem-pio506.

Allorchè Giuliano s'affrettò, nel giorno dell'annua fe-sta, ad adorare l'Apollo di Dafne, la sua devozione eragiunta al più alto segno d'ardore e d'impazienza. La vi-vace immaginazione di lui già gli pingeva la grata pom-pa delle vittime, delle libazioni e dell'incenso, una lungaprocessione di giovani e di fanciulle con bianche vesti,simbolo della loro innocenza, ed il tumultuoso concorsod'un innumerabile popolo. Ma lo zelo d'Antiochia, dopoil regno del Cristianesimo, avea preso una direzione di-versa. Invece d'ecatombe di grassi bovi, sacrificati dalletribù d'una ricca città al loro Dio tutelare, l'Imperatore siduole di non avervi trovato che una sola oca, provvista aspese di un sacerdote, pallido e solitario abitante507 deltempio cadente in rovina508. Era abbandonato l'altare,l'oracolo ridotto al silenzio, e la sacra terra profanata perl'introduzione di riti Cristiani e funebri. Dopo che Babi-

506Aliquantum agrorum Daphnensibus dedit (Pompeo) quo lucus ibi spatio-sior fieret, delectatus amoenitate loci, et aquarum abundantia, Eutrop. VI. 14.Sext. Ruf. de Provinc. c. 16.

507Nell'originale "abitanto". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]508Giuliano (Misopogon. p. 361. 362) scuopre il suo carattere con quella

naturalezza, con quella inavveduta semplicità, che sempre costituisce la verafantasia.

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Ma i boschi di Dafne continuarono per molti secoli agodere la venerazione de' nazionali e degli stranieri; fu-rono ampliati i privilegj di quel sacro luogo dalla muni-ficenza de' successivi Imperatori; ed ogni generazioneaggiungeva nuovi ornamenti allo splendore del Tem-pio506.

Allorchè Giuliano s'affrettò, nel giorno dell'annua fe-sta, ad adorare l'Apollo di Dafne, la sua devozione eragiunta al più alto segno d'ardore e d'impazienza. La vi-vace immaginazione di lui già gli pingeva la grata pom-pa delle vittime, delle libazioni e dell'incenso, una lungaprocessione di giovani e di fanciulle con bianche vesti,simbolo della loro innocenza, ed il tumultuoso concorsod'un innumerabile popolo. Ma lo zelo d'Antiochia, dopoil regno del Cristianesimo, avea preso una direzione di-versa. Invece d'ecatombe di grassi bovi, sacrificati dalletribù d'una ricca città al loro Dio tutelare, l'Imperatore siduole di non avervi trovato che una sola oca, provvista aspese di un sacerdote, pallido e solitario abitante507 deltempio cadente in rovina508. Era abbandonato l'altare,l'oracolo ridotto al silenzio, e la sacra terra profanata perl'introduzione di riti Cristiani e funebri. Dopo che Babi-

506Aliquantum agrorum Daphnensibus dedit (Pompeo) quo lucus ibi spatio-sior fieret, delectatus amoenitate loci, et aquarum abundantia, Eutrop. VI. 14.Sext. Ruf. de Provinc. c. 16.

507Nell'originale "abitanto". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]508Giuliano (Misopogon. p. 361. 362) scuopre il suo carattere con quella

naturalezza, con quella inavveduta semplicità, che sempre costituisce la verafantasia.

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la509, Vescovo d'Antiochia, il quale morì in carcere nellapersecuzione di Decio, era stato più d'un secolo nel suosepolcro, ne fu trasportato il corpo per ordine di GalloCesare nel mezzo del bosco di Dafne. Su quelle reliquiesi eresse una magnifica Chiesa; si usurpò una porzionedi sacre terre pel mantenimento del Clero e per la sepol-tura de' Cristiani d'Antiochia, i quali erano ambiziosi digiacere a' piè del loro Vescovo; ed i sacerdoti d'Apollosi ritirarono insieme co' loro intimoriti e sdegnati segua-ci. Subito che un'altra rivoluzione parve che ristabilissela fortuna del Paganesimo, la Chiesa di S. Babila fu de-molita, e furono aggiunte nuove fabbriche al rovinanteedifizio, innalzato dalla pietà de' Re della Siria. Ma laprima e più seria cura di Giuliano fu quella di liberare lasua oppressa Divinità dall'odiosa presenza de' Cristianisì vivi che morti, i quali avevano tanto efficacementesoppressa la voce della frode o dell'entusiasmo510. Il luo-go infetto fu purificato, secondo le formalità degli anti-chi rituali; i corpi furono decentemente rimossi, ed a'Ministri della Chiesa fu permesso di trasferir le reliquiedi S. Babila all'antica loro abitazione dentro le mura

509Babila è rammentato da Eusebio nella successione dei Vescovi d'Antio-chia (Hist. Eccl. l. VI. c. 29. 30). Vien diffusamente celebrato da Grisostomo(Tom. II. p. 536. 579. ed. Montfaucon.) il suo trionfo sopra due Imperatori (ilprimo favoloso, ed il secondo istorico). Il Tillemont (Memoir. Ecclesiast. Tom.III. p. II. p. 287. 302. 459. 465.) diviene quasi scettico.

510I Critici Ecclesiastici, particolarmente quelli che amano le reliquie, esul-tano per la confessione di Giuliano (Misopogon p. 361) e di Libazio (Naen.pag. 785) che Apollo fosse disturbato dalla vicinanza d'un uomo morto. Am-miano però (XXII. 12.) fa mondare e purificare tutto il terreno secondo i ritiche usaron anticamente gli Ateniesi nell'isola di Delo.

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la509, Vescovo d'Antiochia, il quale morì in carcere nellapersecuzione di Decio, era stato più d'un secolo nel suosepolcro, ne fu trasportato il corpo per ordine di GalloCesare nel mezzo del bosco di Dafne. Su quelle reliquiesi eresse una magnifica Chiesa; si usurpò una porzionedi sacre terre pel mantenimento del Clero e per la sepol-tura de' Cristiani d'Antiochia, i quali erano ambiziosi digiacere a' piè del loro Vescovo; ed i sacerdoti d'Apollosi ritirarono insieme co' loro intimoriti e sdegnati segua-ci. Subito che un'altra rivoluzione parve che ristabilissela fortuna del Paganesimo, la Chiesa di S. Babila fu de-molita, e furono aggiunte nuove fabbriche al rovinanteedifizio, innalzato dalla pietà de' Re della Siria. Ma laprima e più seria cura di Giuliano fu quella di liberare lasua oppressa Divinità dall'odiosa presenza de' Cristianisì vivi che morti, i quali avevano tanto efficacementesoppressa la voce della frode o dell'entusiasmo510. Il luo-go infetto fu purificato, secondo le formalità degli anti-chi rituali; i corpi furono decentemente rimossi, ed a'Ministri della Chiesa fu permesso di trasferir le reliquiedi S. Babila all'antica loro abitazione dentro le mura

509Babila è rammentato da Eusebio nella successione dei Vescovi d'Antio-chia (Hist. Eccl. l. VI. c. 29. 30). Vien diffusamente celebrato da Grisostomo(Tom. II. p. 536. 579. ed. Montfaucon.) il suo trionfo sopra due Imperatori (ilprimo favoloso, ed il secondo istorico). Il Tillemont (Memoir. Ecclesiast. Tom.III. p. II. p. 287. 302. 459. 465.) diviene quasi scettico.

510I Critici Ecclesiastici, particolarmente quelli che amano le reliquie, esul-tano per la confessione di Giuliano (Misopogon p. 361) e di Libazio (Naen.pag. 785) che Apollo fosse disturbato dalla vicinanza d'un uomo morto. Am-miano però (XXII. 12.) fa mondare e purificare tutto il terreno secondo i ritiche usaron anticamente gli Ateniesi nell'isola di Delo.

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d'Antiochia. In quest'occasione lo zelo de' Cristiani tra-scurò quel modesto contegno, che avrebbe potuto quie-tare la gelosia d'un governo nemico. L'alto carro che tra-sportava le reliquie di Babila, fu seguito, accompagnatoe ricevuto da un'innumerabile moltitudine, che cantavacon strepitose acclamazioni i salmi di David, i piùespressivi del suo disprezzo per gl'idoli e per gl'idolatri.Il ritorno del Santo fu un trionfo, ed il trionfo un insultoalla religion dell'Imperatore, che fece pompa della suavanità per dissimulare lo sdegno. Nella notte medesima,in cui terminò questa processione, il tempio di Dafneandò in fiamme; la statua d'Apollo fu consumata; e lemura dell'edifizio restarono un nudo ed orrido monu-mento di rovina. I Cristiani d'Antiochia asserivano, conreligiosa sicurezza, che la potente intercessione di S.Babila avea diretto i fulmini del cielo contro quel dan-nato tetto; ma trovandosi Giuliano ridotto all'alternativadi credere o un delitto o un miracolo, volle piuttostosenza esitare, senza prove, ma con qualche apparenza diprobabilità, imputare l'incendio di Dafne alla vendettade' Galilei511. Se si fosse sufficientemente provato il lorodelitto, questo avrebbe potuto giustificar la vendetta,che fu immediatamente eseguita per ordine di Giuliano,di chiuder le porte, e di confiscare i beni della Cattedra-le d'Antiochia. Per iscoprire i rei del tumulto edell'incendio, e dell'occultazione delle ricchezze della

511Giuliano, in Misopogon p. 361, insinua, piuttosto che affermi il loro de-litto. Ammiano (XXII. 13), tratta quest'imputazione come levissimus rumor, eriferisce l'istoria con estremo candore.

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d'Antiochia. In quest'occasione lo zelo de' Cristiani tra-scurò quel modesto contegno, che avrebbe potuto quie-tare la gelosia d'un governo nemico. L'alto carro che tra-sportava le reliquie di Babila, fu seguito, accompagnatoe ricevuto da un'innumerabile moltitudine, che cantavacon strepitose acclamazioni i salmi di David, i piùespressivi del suo disprezzo per gl'idoli e per gl'idolatri.Il ritorno del Santo fu un trionfo, ed il trionfo un insultoalla religion dell'Imperatore, che fece pompa della suavanità per dissimulare lo sdegno. Nella notte medesima,in cui terminò questa processione, il tempio di Dafneandò in fiamme; la statua d'Apollo fu consumata; e lemura dell'edifizio restarono un nudo ed orrido monu-mento di rovina. I Cristiani d'Antiochia asserivano, conreligiosa sicurezza, che la potente intercessione di S.Babila avea diretto i fulmini del cielo contro quel dan-nato tetto; ma trovandosi Giuliano ridotto all'alternativadi credere o un delitto o un miracolo, volle piuttostosenza esitare, senza prove, ma con qualche apparenza diprobabilità, imputare l'incendio di Dafne alla vendettade' Galilei511. Se si fosse sufficientemente provato il lorodelitto, questo avrebbe potuto giustificar la vendetta,che fu immediatamente eseguita per ordine di Giuliano,di chiuder le porte, e di confiscare i beni della Cattedra-le d'Antiochia. Per iscoprire i rei del tumulto edell'incendio, e dell'occultazione delle ricchezze della

511Giuliano, in Misopogon p. 361, insinua, piuttosto che affermi il loro de-litto. Ammiano (XXII. 13), tratta quest'imputazione come levissimus rumor, eriferisce l'istoria con estremo candore.

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Chiesa, furon tormentati varj Ecclesiastici512; e fu deca-pitato un prete, chiamato Teodoro, per sentenza delConte d'Oriente. Ma questo precipitoso atto fu biasimatodall'Imperatore, che si dolse con reale o affettato interes-se, che l'imprudente zelo de' suoi Ministri avrebbe mac-chiato il suo regno colla taccia della persecuzione513.

Lo zelo de' Ministri di Giuliano fu subito raffrenatodalla disapprovazione del loro Principe; ma quando ilpadre d'uno Stato si dichiara Capo d'una fazione, nonpuò facilmente ritenersi, nè punirsi efficacemente la li-cenza del furor popolare. Giuliano, in un pubblico com-ponimento, applaude alla devozione e fedeltà delle santecittà della Siria, i pietosi abitanti delle quali avevano alprimo segnale distrutto i sepolcri de' Galilei; e debol-mente si lagna, che vendicato avessero l'ingiurie degliDei con minor moderazione di quella ch'esso avrebberaccomandata514. Può sembrar, che tale imperfetta e ri-pugnante confessione confermi le narrazioni ecclesiasti-che, che nelle città di Gaza, d'Ascalona, di Cesarea,d'Eliopoli ec., i Pagani abusassero senza prudenza o ri-

512Quo tam atroci casu repente consumpto, ad id usque Imperatoris iraprovexit, ut quaestiones agitare juberet solito acriores (Giuliano però biasimala mollezza de' Magistrati d'Antiochia) et majorem Ecclesiam Antiochiae clau-di. Tale interdetto fu eseguito con alcune circostanze d'indegnità e di profana-zione; e l'opportuna morte dello zio di Giuliano, attore principale, si riferiscecon molto superstiziosa compiacenza dall'Ab. della Bleterie. Vie de Julien pag.362, 569.

513Oltre gl'Istorici Ecclesiastici, che debbono essere più o meno sospetti,possiamo allegare la passione di S. Teodoro negli Atti sinceri di Ruinart p. 591.Il lamento di Giuliano le dà un'aria originale ed autentica.

514Juliano Misopogon p. 361.

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Chiesa, furon tormentati varj Ecclesiastici512; e fu deca-pitato un prete, chiamato Teodoro, per sentenza delConte d'Oriente. Ma questo precipitoso atto fu biasimatodall'Imperatore, che si dolse con reale o affettato interes-se, che l'imprudente zelo de' suoi Ministri avrebbe mac-chiato il suo regno colla taccia della persecuzione513.

Lo zelo de' Ministri di Giuliano fu subito raffrenatodalla disapprovazione del loro Principe; ma quando ilpadre d'uno Stato si dichiara Capo d'una fazione, nonpuò facilmente ritenersi, nè punirsi efficacemente la li-cenza del furor popolare. Giuliano, in un pubblico com-ponimento, applaude alla devozione e fedeltà delle santecittà della Siria, i pietosi abitanti delle quali avevano alprimo segnale distrutto i sepolcri de' Galilei; e debol-mente si lagna, che vendicato avessero l'ingiurie degliDei con minor moderazione di quella ch'esso avrebberaccomandata514. Può sembrar, che tale imperfetta e ri-pugnante confessione confermi le narrazioni ecclesiasti-che, che nelle città di Gaza, d'Ascalona, di Cesarea,d'Eliopoli ec., i Pagani abusassero senza prudenza o ri-

512Quo tam atroci casu repente consumpto, ad id usque Imperatoris iraprovexit, ut quaestiones agitare juberet solito acriores (Giuliano però biasimala mollezza de' Magistrati d'Antiochia) et majorem Ecclesiam Antiochiae clau-di. Tale interdetto fu eseguito con alcune circostanze d'indegnità e di profana-zione; e l'opportuna morte dello zio di Giuliano, attore principale, si riferiscecon molto superstiziosa compiacenza dall'Ab. della Bleterie. Vie de Julien pag.362, 569.

513Oltre gl'Istorici Ecclesiastici, che debbono essere più o meno sospetti,possiamo allegare la passione di S. Teodoro negli Atti sinceri di Ruinart p. 591.Il lamento di Giuliano le dà un'aria originale ed autentica.

514Juliano Misopogon p. 361.

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morso del momento di loro prosperità; che gl'infelici og-getti di lor crudeltà non finissero d'esser tormentati checolla morte; che i loro laceri corpi essendo trascinati perle strade (tal era la rabbia universale) si pungessero da-gli spiedi de' cuochi e dalle rocche delle infuriate donne,e che dopo d'essersi gustate da quegli inumani fanaticile viscere di preti e di vergini Cristiane, venisser mesco-late con orzo, ed ignominiosamente gettate agl'immondianimali della città515. Tali scene di religiosa pazzia pre-sentano la più dispregevole ed odiosa pittura della natu-ra umana; ma la strage di Alessandria richiama anchemaggiore attenzione per la certezza del fatto, per la qua-lità delle vittime e per lo splendore della Capitale d'Egit-to.

Giorgio516, pe' suoi genitori o per l'educazione sopran-nominato il Cappadoce, era nato a Epifania in Cilicianella bottega d'un purgatore di panni. Da tale oscura eservile origine s'innalzò colle arti di parassito; ed i pa-droni, ch'esso continuamente adulava, procurarono perl'indegno lor dipendente una lucrosa commissione o im-

515Vedi Greg. Naz. Orat. III. p. 87. Sozomeno (l. V. c. 9) può considerarsicome un testimone originale, quantunque non imparziale. Egli era nativo diGaza, ed aveva conversato col Confessore Zenone, Vescovo di Majuma, chevisse fino all'età di cent'anni (l. VII. c. 28). Filostorgio l. VII. c. 14. colle Dis-sertazioni del Gottofredo p. 284), aggiunge alcune tragiche circostanze di Cri-stiani, che furono letteralmente sacrificati sugli altari degli Dei ec.

516La vita e morte di Giorgio di Cappadocia sono descritte da Ammiano(XXII. 11.), da Gregorio Nazianzeno (Orat. XXI. p. 382. 385. 389. 390.) e daEpifanio (Haeres. 70). Le invettive de' due Santi non meriterebbero molta fede,se confermate non fossero dalla testimonianza del freddo ed imparziale Paga-no.

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morso del momento di loro prosperità; che gl'infelici og-getti di lor crudeltà non finissero d'esser tormentati checolla morte; che i loro laceri corpi essendo trascinati perle strade (tal era la rabbia universale) si pungessero da-gli spiedi de' cuochi e dalle rocche delle infuriate donne,e che dopo d'essersi gustate da quegli inumani fanaticile viscere di preti e di vergini Cristiane, venisser mesco-late con orzo, ed ignominiosamente gettate agl'immondianimali della città515. Tali scene di religiosa pazzia pre-sentano la più dispregevole ed odiosa pittura della natu-ra umana; ma la strage di Alessandria richiama anchemaggiore attenzione per la certezza del fatto, per la qua-lità delle vittime e per lo splendore della Capitale d'Egit-to.

Giorgio516, pe' suoi genitori o per l'educazione sopran-nominato il Cappadoce, era nato a Epifania in Cilicianella bottega d'un purgatore di panni. Da tale oscura eservile origine s'innalzò colle arti di parassito; ed i pa-droni, ch'esso continuamente adulava, procurarono perl'indegno lor dipendente una lucrosa commissione o im-

515Vedi Greg. Naz. Orat. III. p. 87. Sozomeno (l. V. c. 9) può considerarsicome un testimone originale, quantunque non imparziale. Egli era nativo diGaza, ed aveva conversato col Confessore Zenone, Vescovo di Majuma, chevisse fino all'età di cent'anni (l. VII. c. 28). Filostorgio l. VII. c. 14. colle Dis-sertazioni del Gottofredo p. 284), aggiunge alcune tragiche circostanze di Cri-stiani, che furono letteralmente sacrificati sugli altari degli Dei ec.

516La vita e morte di Giorgio di Cappadocia sono descritte da Ammiano(XXII. 11.), da Gregorio Nazianzeno (Orat. XXI. p. 382. 385. 389. 390.) e daEpifanio (Haeres. 70). Le invettive de' due Santi non meriterebbero molta fede,se confermate non fossero dalla testimonianza del freddo ed imparziale Paga-no.

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piego di provvedere il lardo per l'esercito. Il suo uffizioera basso, ma ei lo rendè infame. Accumulò ricchezzecolle arti più vili della frode e della corruzione; e furonocosì notori i suoi inganni, che Giorgio fu costretto a fug-gire dalle ricerche della giustizia. Dopo questa disgra-zia, nella quale sembra che salvasse la sua ricchezza aspese dell'onore, abbracciò con reale od affettato zelo laprofessione dell'Arrianismo. Per amore, o per ostenta-zion di dottrina, raccolse una stimabile libreria d'istoria,di rettorica, di filosofia e di teologia517, e la scelta delpartito, che prevaleva, promosse al posto d'AtanasioGiorgio di Cappadocia. L'ingresso del nuovo Arcivesco-vo fu quello d'un barbaro conquistatore; ed ogni mo-mento del suo regno fu contaminato dalla crudeltà edall'avarizia. I Cattolici d'Alessandria e dell'Egitto resta-rono abbandonati ad un tiranno, inclinato per natura eper educazione ad esercitar l'uffizio di persecutore; maegli oppresse con mano imparziale tutti i varj abitantidella sua estesa Diocesi. Il Primate dell'Egitto assunse lapompa e l'insolenza dell'alto suo posto; ma sempre fececonoscere i vizj della sua bassa e servil estrazione.S'impoverirono i mercanti d'Alessandria per l'ingiusto equasi universal monopolio, ch'egli acquistò del nitro, e

517Dopo l'uccisione di Giorgio, l'Imperator Giuliano più volte ordinò, che sene conservasse la libreria per uso suo, e che si torturassero gli schiavi, che po-tessero esser sospetti d'aver occultato qualche libro. Ei loda il merito della col-lezione, da cui avea prese in prestito e trascritte molte opere, quando faceva isuoi studi in Cappadocia. Avrebbe in vero desiderato, che perissero le opere de'Galilei; ma richiese un esatto conto anche di quei Teologici Volumi, affinchènon si perdesser con essi altri pregevoli trattati. Juliano Epist. IX. XXXIV.

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piego di provvedere il lardo per l'esercito. Il suo uffizioera basso, ma ei lo rendè infame. Accumulò ricchezzecolle arti più vili della frode e della corruzione; e furonocosì notori i suoi inganni, che Giorgio fu costretto a fug-gire dalle ricerche della giustizia. Dopo questa disgra-zia, nella quale sembra che salvasse la sua ricchezza aspese dell'onore, abbracciò con reale od affettato zelo laprofessione dell'Arrianismo. Per amore, o per ostenta-zion di dottrina, raccolse una stimabile libreria d'istoria,di rettorica, di filosofia e di teologia517, e la scelta delpartito, che prevaleva, promosse al posto d'AtanasioGiorgio di Cappadocia. L'ingresso del nuovo Arcivesco-vo fu quello d'un barbaro conquistatore; ed ogni mo-mento del suo regno fu contaminato dalla crudeltà edall'avarizia. I Cattolici d'Alessandria e dell'Egitto resta-rono abbandonati ad un tiranno, inclinato per natura eper educazione ad esercitar l'uffizio di persecutore; maegli oppresse con mano imparziale tutti i varj abitantidella sua estesa Diocesi. Il Primate dell'Egitto assunse lapompa e l'insolenza dell'alto suo posto; ma sempre fececonoscere i vizj della sua bassa e servil estrazione.S'impoverirono i mercanti d'Alessandria per l'ingiusto equasi universal monopolio, ch'egli acquistò del nitro, e

517Dopo l'uccisione di Giorgio, l'Imperator Giuliano più volte ordinò, che sene conservasse la libreria per uso suo, e che si torturassero gli schiavi, che po-tessero esser sospetti d'aver occultato qualche libro. Ei loda il merito della col-lezione, da cui avea prese in prestito e trascritte molte opere, quando faceva isuoi studi in Cappadocia. Avrebbe in vero desiderato, che perissero le opere de'Galilei; ma richiese un esatto conto anche di quei Teologici Volumi, affinchènon si perdesser con essi altri pregevoli trattati. Juliano Epist. IX. XXXIV.

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del sale, della carta, de' funerali ec., ed il padre spiritua-le d'un gran popolo s'abbassava a praticar le vili e perni-ciose arti di delatore. Gli Alessandrini non poterono maidimenticare o perdonargli la tassa, ch'ei suggerì sopratutte le case della città, sotto l'antiquato pretesto che ilreal fondatore di essa avea trasferito ne' Tolomei e ne'Cesari, suoi successori, la perpetua proprietà del suolo. IPagani, a cui lusinghevolmente s'era fatto sperare libertàe tolleranza, eccitarono la sua devota avarizia, ed i ricchitempj d'Alessandria furono o saccheggiati o insultatidall'altero Prelato, ch'esclamava con alta e minacciantevoce. «E fino a quando si permetterà, che questi sepolcrisussistano?» Sotto il regno di Costanzo, egli fu scaccia-to dal furore o piuttosto dalla giustizia del popolo; e nonsenza un violento contrasto, la forza civile e militaredello Stato potè ristabilire l'autorità, e soddisfare la suavendetta. Il corriere, che promulgò in Alessandrial'avvenimento di Giuliano al trono, annunziò anche lacaduta dell'Arcivescovo. Giorgio, insieme con due deisuoi ossequiosi ministri, il conte Diodoro e Draconziosoprintendente della zecca, furono ignominiosamentecondotti in catene nelle pubbliche carceri. Al termine diventiquattro giorni, fu aperta per forza la prigione dalfurore d'una superstiziosa moltitudine, impaziente dellenoiose formalità delle processure giudiciali. I nemici de-gli Dei, e degli uomini spirarono fra' loro crudeli insulti;i morti corpi dell'Arcivescovo e de' suoi compagni furonportati in trionfo per le strade sul dorso d'un cammello:

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del sale, della carta, de' funerali ec., ed il padre spiritua-le d'un gran popolo s'abbassava a praticar le vili e perni-ciose arti di delatore. Gli Alessandrini non poterono maidimenticare o perdonargli la tassa, ch'ei suggerì sopratutte le case della città, sotto l'antiquato pretesto che ilreal fondatore di essa avea trasferito ne' Tolomei e ne'Cesari, suoi successori, la perpetua proprietà del suolo. IPagani, a cui lusinghevolmente s'era fatto sperare libertàe tolleranza, eccitarono la sua devota avarizia, ed i ricchitempj d'Alessandria furono o saccheggiati o insultatidall'altero Prelato, ch'esclamava con alta e minacciantevoce. «E fino a quando si permetterà, che questi sepolcrisussistano?» Sotto il regno di Costanzo, egli fu scaccia-to dal furore o piuttosto dalla giustizia del popolo; e nonsenza un violento contrasto, la forza civile e militaredello Stato potè ristabilire l'autorità, e soddisfare la suavendetta. Il corriere, che promulgò in Alessandrial'avvenimento di Giuliano al trono, annunziò anche lacaduta dell'Arcivescovo. Giorgio, insieme con due deisuoi ossequiosi ministri, il conte Diodoro e Draconziosoprintendente della zecca, furono ignominiosamentecondotti in catene nelle pubbliche carceri. Al termine diventiquattro giorni, fu aperta per forza la prigione dalfurore d'una superstiziosa moltitudine, impaziente dellenoiose formalità delle processure giudiciali. I nemici de-gli Dei, e degli uomini spirarono fra' loro crudeli insulti;i morti corpi dell'Arcivescovo e de' suoi compagni furonportati in trionfo per le strade sul dorso d'un cammello:

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e l'inattività del partito d'Atanasio518 fu stimata unosplendido esempio d'Evangelica pazienza. Gli avanzi diquesti rei miserabili furon gettati nel mare; ed i Capi delpopolar tumulto dichiararono il loro disegno d'impedirla devozione de' Cristiani ed i futuri onori di questi mar-tiri, ch'erano stati puniti, come i loro predecessori, da'nemici della lor religione519. I timori de' Pagani eran giu-sti, ma non servirono le loro precauzioni. La meritatamorte dell'Arcivescovo cancellò la memoria della suavita. Il rival d'Atanasio era caro e sacro agli Arriani, el'apparente conversione di questi Settarj introdusse ilculto di lui nel seno della Chiesa Cattolica520. L'odiosostraniero, dissimulata ogni circostanza di tempo e diluogo, assunse la maschera di martire, di santo, e d'eroeCristiano521, e l'infame Giorgio di Cappadocia fu trasfor-

518Filostorgio con cauta malizia indica la loro colpa; και του Αθανασιουγνωµην σρατηγισαι της πραξεως e che il consiglio d'Atanasio diresse quel fat-to lib. VII. c. 2. Gottofred. pag. 267.

519Cineres projecit in mare, id metuens, ut clamabat, ne, collectis supremis,aedes illis extruerent; ut reliquis, qui deviare a religione compulsi, pertulerecruciabiles poenas, ad usque gloriosam mortem intemerata fide progressi, etnunc Martyres appellantur. Ammiano XXII. 11. Epifanio prova agli Arriani,che Giorgio non fu martire.

520Alcuni Donatisti (Optat. Millev. p. 60. 307. Ed. Dupin. e Tillemont Mem.Eccles. Tom. VI. p. 713 in 4.) e Priscillianisti (Tillemont. T. VIII. p. 516.) han-no in simile guisa usurpato gli onori di martiri e di santi Cattolici.

521I Santi della Cappadocia, Basilio ed i Gregorj, non furono informati delSanto loro compagno. Il Papa Gelasio, il primo fra' Cattolici, che riconosca S.Giorgio (nell'an. 494.), lo pone fra' martiri «qui Deo magis quam hominibusnoti sunt». Rigetta i suoi atti, come opera d'Eretici. Tuttavia sussistono alcuni,forse non i più antichi dagli atti spurj, ed a traverso una nuvola di finzioni pos-siamo anche scorgere il combattimento che S. Giorgio di Cappadocia sostennein presenza della Regina Alessandra, contro il Mago Atanasio.

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e l'inattività del partito d'Atanasio518 fu stimata unosplendido esempio d'Evangelica pazienza. Gli avanzi diquesti rei miserabili furon gettati nel mare; ed i Capi delpopolar tumulto dichiararono il loro disegno d'impedirla devozione de' Cristiani ed i futuri onori di questi mar-tiri, ch'erano stati puniti, come i loro predecessori, da'nemici della lor religione519. I timori de' Pagani eran giu-sti, ma non servirono le loro precauzioni. La meritatamorte dell'Arcivescovo cancellò la memoria della suavita. Il rival d'Atanasio era caro e sacro agli Arriani, el'apparente conversione di questi Settarj introdusse ilculto di lui nel seno della Chiesa Cattolica520. L'odiosostraniero, dissimulata ogni circostanza di tempo e diluogo, assunse la maschera di martire, di santo, e d'eroeCristiano521, e l'infame Giorgio di Cappadocia fu trasfor-

518Filostorgio con cauta malizia indica la loro colpa; και του Αθανασιουγνωµην σρατηγισαι της πραξεως e che il consiglio d'Atanasio diresse quel fat-to lib. VII. c. 2. Gottofred. pag. 267.

519Cineres projecit in mare, id metuens, ut clamabat, ne, collectis supremis,aedes illis extruerent; ut reliquis, qui deviare a religione compulsi, pertulerecruciabiles poenas, ad usque gloriosam mortem intemerata fide progressi, etnunc Martyres appellantur. Ammiano XXII. 11. Epifanio prova agli Arriani,che Giorgio non fu martire.

520Alcuni Donatisti (Optat. Millev. p. 60. 307. Ed. Dupin. e Tillemont Mem.Eccles. Tom. VI. p. 713 in 4.) e Priscillianisti (Tillemont. T. VIII. p. 516.) han-no in simile guisa usurpato gli onori di martiri e di santi Cattolici.

521I Santi della Cappadocia, Basilio ed i Gregorj, non furono informati delSanto loro compagno. Il Papa Gelasio, il primo fra' Cattolici, che riconosca S.Giorgio (nell'an. 494.), lo pone fra' martiri «qui Deo magis quam hominibusnoti sunt». Rigetta i suoi atti, come opera d'Eretici. Tuttavia sussistono alcuni,forse non i più antichi dagli atti spurj, ed a traverso una nuvola di finzioni pos-siamo anche scorgere il combattimento che S. Giorgio di Cappadocia sostennein presenza della Regina Alessandra, contro il Mago Atanasio.

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mato522 nel celebre S. Giorgio d'Inghilterra, avvocatodell'armi, della cavalleria e dell'ordine della giarrettie-ra523.

Verso quel tempo stesso, che Giuliano seppe il tumul-to d'Alessandria, ebbe notizia da Edessa, che la superbae ricca fazione degli Arriani aveva insultato la debolez-za de' Valentiniani, e commesso tali disordini, che non sidoveano impunemente soffrire in uno Stato ben regola-to. Senz'aspettare le lente formalità della giustizia, l'esa-cerbato Principe diresse i suoi ordini a' Magistratid'Edessa524, co' quali confiscava tutti i beni della Chiesa:il danaro fu distribuito a' soldati, e le terre addette al fi-sco; e quest'atto d'oppressione fu aggravato dalla piùbassa ironia. «Io mi dimostro» dice Giuliano: «il veroamico de' Galilei. L'ammirabile lor legge ha promesso ilregno de' Cieli al povero, ed essi potranno avanzarsi conmaggior facilità nel cammino della virtù e della salute,qualora siano, mediante la mia assistenza, sollevati dalpeso de' beni temporali. Guardate bene» prosegue ilMonarca in un tuono più serio «guardate bene di nonprovocar la mia pazienza e mansuetudine. Se continua-no questi disordini, io vendicherò i delitti del popolo sui

522Non si dà questa trasformazione come assolutamente certa, macom'estremamente probabile. Vedi Lengueruana Tom. I. p. 194.

523Si potrebbe trarre una curiosa storia del culto di S. Giorgio fino dal sestosecolo (in cui era già venerato nella Palestina e nell'Armenia, in Roma ed aTreveri nella Gallia) dal Dottor Heylin Istor. di S. Giorg. 2. Ediz. Lond. 1633.in 4. p. 429. e da' Bollandisti Act. SS. Mens. April. Tom. III. p. 100-163. La suafama e popolarità in Europa, e specialmente in Inghilterra, provenne dalla Cro-ciate.

524Juliano Epist. 43.

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mato522 nel celebre S. Giorgio d'Inghilterra, avvocatodell'armi, della cavalleria e dell'ordine della giarrettie-ra523.

Verso quel tempo stesso, che Giuliano seppe il tumul-to d'Alessandria, ebbe notizia da Edessa, che la superbae ricca fazione degli Arriani aveva insultato la debolez-za de' Valentiniani, e commesso tali disordini, che non sidoveano impunemente soffrire in uno Stato ben regola-to. Senz'aspettare le lente formalità della giustizia, l'esa-cerbato Principe diresse i suoi ordini a' Magistratid'Edessa524, co' quali confiscava tutti i beni della Chiesa:il danaro fu distribuito a' soldati, e le terre addette al fi-sco; e quest'atto d'oppressione fu aggravato dalla piùbassa ironia. «Io mi dimostro» dice Giuliano: «il veroamico de' Galilei. L'ammirabile lor legge ha promesso ilregno de' Cieli al povero, ed essi potranno avanzarsi conmaggior facilità nel cammino della virtù e della salute,qualora siano, mediante la mia assistenza, sollevati dalpeso de' beni temporali. Guardate bene» prosegue ilMonarca in un tuono più serio «guardate bene di nonprovocar la mia pazienza e mansuetudine. Se continua-no questi disordini, io vendicherò i delitti del popolo sui

522Non si dà questa trasformazione come assolutamente certa, macom'estremamente probabile. Vedi Lengueruana Tom. I. p. 194.

523Si potrebbe trarre una curiosa storia del culto di S. Giorgio fino dal sestosecolo (in cui era già venerato nella Palestina e nell'Armenia, in Roma ed aTreveri nella Gallia) dal Dottor Heylin Istor. di S. Giorg. 2. Ediz. Lond. 1633.in 4. p. 429. e da' Bollandisti Act. SS. Mens. April. Tom. III. p. 100-163. La suafama e popolarità in Europa, e specialmente in Inghilterra, provenne dalla Cro-ciate.

524Juliano Epist. 43.

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Magistrati; e voi avrete motivo di temere non solo laconfiscazione e l'esilio, ma eziandio il ferro ed il fuo-co». I tumulti d'Alessandria eran senza dubbio d'una piùatroce e pericolosa natura; ma era stato ucciso un Vesco-vo Cristiano per le mani de' Pagani, e la pubblica letteradi Giuliano somministra una viva prova dello spiritoparziale del suo governo. Le sue riprensioni ai Cittadinid'Alessandria son mescolate con espressioni di stima edi tenerezza; e si duole che in questa occasione si fosse-ro allontanati dalle gentili e generose maniere, che indi-cano la lor Greca origine. Gravemente censura la colpache avevan commessa contro le leggi di giustizia e diumanità; ma ricapitola con visibile compiacenza le in-tollerabili provocazioni che avevan sì lungamente sof-ferte dall'empia tirannia di Giorgio di Cappadocia. Giu-liano ammette il principio, che un saggio e vigoroso go-verno dovrebbe gastigar l'insolenza del popolo; pure inconsiderazione del lor fondatore Alessandro e di Serapi-de lor Divinità tutelare, concede un libero e graziosoperdono alla colpevole città, per la quale di nuovo sentel'affezione di fratello525.

Quietato che fu il tumulto d'Alessandria, Atanasio, inmezzo alle pubbliche acclamazioni, s'assise sulla catte-dra, dalla quale il suo indegno competitore l'aveva pre-cipitato; e siccome lo zelo dell'Arcivescovo era tempe-rato dalla discrezione, così l'esercizio della sua autoritàtendeva non ad accendere, ma a riconciliare le menti del

525Juliano Ep. X. Egli permetteva agli amici di calmare la sua collera. Am-miano XXII. 11.

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Magistrati; e voi avrete motivo di temere non solo laconfiscazione e l'esilio, ma eziandio il ferro ed il fuo-co». I tumulti d'Alessandria eran senza dubbio d'una piùatroce e pericolosa natura; ma era stato ucciso un Vesco-vo Cristiano per le mani de' Pagani, e la pubblica letteradi Giuliano somministra una viva prova dello spiritoparziale del suo governo. Le sue riprensioni ai Cittadinid'Alessandria son mescolate con espressioni di stima edi tenerezza; e si duole che in questa occasione si fosse-ro allontanati dalle gentili e generose maniere, che indi-cano la lor Greca origine. Gravemente censura la colpache avevan commessa contro le leggi di giustizia e diumanità; ma ricapitola con visibile compiacenza le in-tollerabili provocazioni che avevan sì lungamente sof-ferte dall'empia tirannia di Giorgio di Cappadocia. Giu-liano ammette il principio, che un saggio e vigoroso go-verno dovrebbe gastigar l'insolenza del popolo; pure inconsiderazione del lor fondatore Alessandro e di Serapi-de lor Divinità tutelare, concede un libero e graziosoperdono alla colpevole città, per la quale di nuovo sentel'affezione di fratello525.

Quietato che fu il tumulto d'Alessandria, Atanasio, inmezzo alle pubbliche acclamazioni, s'assise sulla catte-dra, dalla quale il suo indegno competitore l'aveva pre-cipitato; e siccome lo zelo dell'Arcivescovo era tempe-rato dalla discrezione, così l'esercizio della sua autoritàtendeva non ad accendere, ma a riconciliare le menti del

525Juliano Ep. X. Egli permetteva agli amici di calmare la sua collera. Am-miano XXII. 11.

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popolo. Le sue pastorali fatiche non si limitavano agliangusti confini dell'Egitto. Era presente all'attivo e capa-ce suo spirito lo stato del Mondo Cristiano; e l'età, ilmerito, la riputazione d'Atanasio l'abilitarono a prenderein un momento di pericolo il posto d'Ecclesiastico Ditta-tore526. Non erano ancor passati tre anni, da che la mag-gior parte dei Vescovi dell'Occidente aveva per ignoran-za o contro voglia soscritto la confessione di Rimini. Sene pentivano essi, credevano, ma temevan l'inopportunorigore dei loro ortodossi fratelli; e se la vanità fosse statain essi più forte della fede, potevano anche gettarsi inbraccio agli Arriani per evitare l'indegnità d'una pubbli-ca penitenza, che li527 avrebbe ridotti allo stato d'oscurilaici. Nel tempo stesso, agitavansi con qualche calorefra i dottori Cattolici le domestiche differenze intornoall'unione e distinzione delle persone Divine; e parevache il progresso di tal metafisica disputa minacciasseuna pubblica e costante divisione delle Chiese, Greca eLatina. Dalla saviezza d'uno scelto Sinodo, a cui la pre-senza ed il nome d'Atanasio diede l'autorità d'un Conci-lio Generale, i Vescovi, ch'erano imprudentemente de-viati nell'errore, furono ammessi alla comunion dellaChiesa con la facile condizione di soscrivere il SimboloNiceno, senza prendere alcuna formal cognizione dellapassata loro mancanza, o d'alcuna minuta definizione

526Vedasi Atanasio ad Rufin. Tom. II. p. 40, 41. e Greg. Nazianz. (Orat. III.p. 395, 396) il quale giustamente stabilisce, che fu il moderato zelo del Primatopiù meritorio delle sue preghiere, de' suoi digiuni, delle sue persecuzioni ec.

527Nell'originale "gli". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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popolo. Le sue pastorali fatiche non si limitavano agliangusti confini dell'Egitto. Era presente all'attivo e capa-ce suo spirito lo stato del Mondo Cristiano; e l'età, ilmerito, la riputazione d'Atanasio l'abilitarono a prenderein un momento di pericolo il posto d'Ecclesiastico Ditta-tore526. Non erano ancor passati tre anni, da che la mag-gior parte dei Vescovi dell'Occidente aveva per ignoran-za o contro voglia soscritto la confessione di Rimini. Sene pentivano essi, credevano, ma temevan l'inopportunorigore dei loro ortodossi fratelli; e se la vanità fosse statain essi più forte della fede, potevano anche gettarsi inbraccio agli Arriani per evitare l'indegnità d'una pubbli-ca penitenza, che li527 avrebbe ridotti allo stato d'oscurilaici. Nel tempo stesso, agitavansi con qualche calorefra i dottori Cattolici le domestiche differenze intornoall'unione e distinzione delle persone Divine; e parevache il progresso di tal metafisica disputa minacciasseuna pubblica e costante divisione delle Chiese, Greca eLatina. Dalla saviezza d'uno scelto Sinodo, a cui la pre-senza ed il nome d'Atanasio diede l'autorità d'un Conci-lio Generale, i Vescovi, ch'erano imprudentemente de-viati nell'errore, furono ammessi alla comunion dellaChiesa con la facile condizione di soscrivere il SimboloNiceno, senza prendere alcuna formal cognizione dellapassata loro mancanza, o d'alcuna minuta definizione

526Vedasi Atanasio ad Rufin. Tom. II. p. 40, 41. e Greg. Nazianz. (Orat. III.p. 395, 396) il quale giustamente stabilisce, che fu il moderato zelo del Primatopiù meritorio delle sue preghiere, de' suoi digiuni, delle sue persecuzioni ec.

527Nell'originale "gli". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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dei loro scolastici sentimenti. L'avviso del Primated'Egitto avea già preparato il Clero della Gallia e dellaSpagna, dell'Italia e della Grecia, ad ammetter questosalutevole regolamento; e nonostante l'opposizione dialcuni fervidi spiriti528, il timore del comun nemico pro-mosse la pace e l'armonia dei Cristiani529.

L'abilità e la diligenza del Primate d'Egitto avea pro-fittato dal tempo di tranquillità, avanti che fosse inter-rotto dagli ostili editti dell'Imperatore530. Giuliano, chedisprezzava i Cristiani, onorava Atanasio del sincero eparticolare suo odio. Solo per causa di lui introdusse unadistinzione arbitraria, che ripugnava almeno allo spiritodelle sue precedenti dichiarazioni. Sostenne, che i Gali-lei, che avea richiamati dall'esilio, non venivano ristabi-liti, mediante quella generale indulgenza, nel possessodelle respettive lor Chiese; e si dimostrò sorpreso, cheun reo, che era stato più volte condannato dal giudiziodegl'Imperatori, ardisse d'insultare la maestà delle leggi,

528Io non ho tempo di seguire la cieca ostinazione di Lucifero di Cagliari.Vedansi le sue avventure nel Tillemont (Mem. Eccl. Tom. VII. p. 900, 926,) e siosservi, come insensibilmente cangia il colore della narrazione, finattantochè ilConfessore diventa uno scismatico.

529Assensus est huic sententiae Occidens, et per tam necessarium conciliumSatanae faucibus mundus ereptus. Il vivo ed artificioso dialogo di Girolamocontro i Luciferiani (Tom. II. p. 135-155.) presenta un'original pittura della po-litica Ecclesiastica di quei tempi.

530Il Tillemont, supponendo, che Giorgio fosse trucidato nel mese d'Agosto,accumula in uno stretto spazio le azioni d'Atanasio (Mem. Eccles. Tom. VIII. p.360). Un frammento originale, che pubblicò il Marchese Maffei, trattodall'antica Libreria Capitolare di Verona (Osserv. Letter. Tom. III. p. 60-92),somministra molte importanti date, che sono autenticate dal computo dei mesiEgiziani.

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dei loro scolastici sentimenti. L'avviso del Primated'Egitto avea già preparato il Clero della Gallia e dellaSpagna, dell'Italia e della Grecia, ad ammetter questosalutevole regolamento; e nonostante l'opposizione dialcuni fervidi spiriti528, il timore del comun nemico pro-mosse la pace e l'armonia dei Cristiani529.

L'abilità e la diligenza del Primate d'Egitto avea pro-fittato dal tempo di tranquillità, avanti che fosse inter-rotto dagli ostili editti dell'Imperatore530. Giuliano, chedisprezzava i Cristiani, onorava Atanasio del sincero eparticolare suo odio. Solo per causa di lui introdusse unadistinzione arbitraria, che ripugnava almeno allo spiritodelle sue precedenti dichiarazioni. Sostenne, che i Gali-lei, che avea richiamati dall'esilio, non venivano ristabi-liti, mediante quella generale indulgenza, nel possessodelle respettive lor Chiese; e si dimostrò sorpreso, cheun reo, che era stato più volte condannato dal giudiziodegl'Imperatori, ardisse d'insultare la maestà delle leggi,

528Io non ho tempo di seguire la cieca ostinazione di Lucifero di Cagliari.Vedansi le sue avventure nel Tillemont (Mem. Eccl. Tom. VII. p. 900, 926,) e siosservi, come insensibilmente cangia il colore della narrazione, finattantochè ilConfessore diventa uno scismatico.

529Assensus est huic sententiae Occidens, et per tam necessarium conciliumSatanae faucibus mundus ereptus. Il vivo ed artificioso dialogo di Girolamocontro i Luciferiani (Tom. II. p. 135-155.) presenta un'original pittura della po-litica Ecclesiastica di quei tempi.

530Il Tillemont, supponendo, che Giorgio fosse trucidato nel mese d'Agosto,accumula in uno stretto spazio le azioni d'Atanasio (Mem. Eccles. Tom. VIII. p.360). Un frammento originale, che pubblicò il Marchese Maffei, trattodall'antica Libreria Capitolare di Verona (Osserv. Letter. Tom. III. p. 60-92),somministra molte importanti date, che sono autenticate dal computo dei mesiEgiziani.

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ed insolentemente usurpare la sede Archiepiscopaled'Alessandria, senz'aspettar gli ordini del suo Sovrano.In pena dell'immaginario delitto, bandì Atanasio di nuo-vo dalla città, e si compiacque di supporre, che questoatto di giustizia sarebbe stato sommamente grato ai de-voti suoi sudditi. Le vive sollecitazioni del popolo tostolo convinsero, che la maggior parte degli Alessandrinieran Cristiani, e che la massima parte dei Cristiani erastabilmente attaccata alla causa dell'oppresso loro Pri-mate. Ma la cognizione dei loro sentimenti, invece dipersuaderlo a revocare il decreto, lo trasse ad estenderea tutto l'Egitto il termine dell'esilio d'Atanasio. Lo zelodella moltitudine rendè Giuliano sempre più inesorabile;lo mise in agitazione il pericolo di lasciare alla testad'una tumultuosa città un Capo intraprendente o popola-re, ed il linguaggio della sua collera scuopre l'opinioneche egli aveva del coraggio e dell'abilità d'Atanasio. Eratuttavia differita l'esecuzione della sentenza per la caute-la o negligenza d'Ecdicio, Prefetto dell'Egitto, che final-mente fu svegliato dal suo letargo con una riprensionesevera. «Quantunque voi trascuriate (dice Giuliano) discrivermi sopra qualunque altro soggetto, almeno è vo-stro dovere d'informarmi della vostra condotta versoAtanasio, nemico degli Dei. Vi è stata da gran tempo co-municata la mia intenzione. Giuro pel gran Serapide,che se alle calende di Decembre Atanasio non è partitoda Alessandria, anzi dall'Egitto, i Ministri del vostro go-verno pagheranno una pena di cento libbre d'oro. Voiconoscete il mio naturale: io son lento a condannare, ma

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ed insolentemente usurpare la sede Archiepiscopaled'Alessandria, senz'aspettar gli ordini del suo Sovrano.In pena dell'immaginario delitto, bandì Atanasio di nuo-vo dalla città, e si compiacque di supporre, che questoatto di giustizia sarebbe stato sommamente grato ai de-voti suoi sudditi. Le vive sollecitazioni del popolo tostolo convinsero, che la maggior parte degli Alessandrinieran Cristiani, e che la massima parte dei Cristiani erastabilmente attaccata alla causa dell'oppresso loro Pri-mate. Ma la cognizione dei loro sentimenti, invece dipersuaderlo a revocare il decreto, lo trasse ad estenderea tutto l'Egitto il termine dell'esilio d'Atanasio. Lo zelodella moltitudine rendè Giuliano sempre più inesorabile;lo mise in agitazione il pericolo di lasciare alla testad'una tumultuosa città un Capo intraprendente o popola-re, ed il linguaggio della sua collera scuopre l'opinioneche egli aveva del coraggio e dell'abilità d'Atanasio. Eratuttavia differita l'esecuzione della sentenza per la caute-la o negligenza d'Ecdicio, Prefetto dell'Egitto, che final-mente fu svegliato dal suo letargo con una riprensionesevera. «Quantunque voi trascuriate (dice Giuliano) discrivermi sopra qualunque altro soggetto, almeno è vo-stro dovere d'informarmi della vostra condotta versoAtanasio, nemico degli Dei. Vi è stata da gran tempo co-municata la mia intenzione. Giuro pel gran Serapide,che se alle calende di Decembre Atanasio non è partitoda Alessandria, anzi dall'Egitto, i Ministri del vostro go-verno pagheranno una pena di cento libbre d'oro. Voiconoscete il mio naturale: io son lento a condannare, ma

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sempre più lento a perdonare». A questa letteras'aggiunse vigore con tal breve poscritto di caratteredell'Imperatore medesimo. «Il disprezzo, che si dimostraverso tutti gli Dei, mi riempie di dispiacere e di sdegno.Non v'è cosa, che io vedessi, o ascoltassi con maggiorepiacere, che l'espulsion d'Atanasio da tutto l'Egitto. Ab-bominevole scellerato! Sotto il mio regno le sue perse-cuzioni han cagionato il battesimo di più Dame Grechedel più alto grado531». Non fu espressamente comandatala morte d'Atanasio, ma il Prefetto dell'Egitto comprese,che era più sicuro per lui l'eccedere che il trascurare icomandi d'uno sdegnato Signore. L'Arcivescovo pru-dentemente si ritirò ai monasteri del deserto; eluse conla solita sua destrezza i lacci del nemico; e visse pertrionfar sulle ceneri di un Principe, che in termini di for-midabil trasporto avea dichiarato di bramare, che tutto ilveleno della scuola Galilea si riunisse nella sola personad'Atanasio.532

Ho procurato di rappresentar fedelmente l'artificiososistema, con cui Giuliano si propose d'ottenere gli effettidella persecuzione, senza incorrerne la colpa, o la taccia.Ma se un mortale spirito di fanatismo pervertì il cuore e

531Τον µιαρον, ος ετολµησεν Ελληνιδας επ’ εµου γυναικας των επισηµωνβαπτισαι διωκεσθαι Ho conservato l'ambiguo senso di quest'ultima voce; am-biguità d'un tiranno che brama di trovare o di crear delle colpe.

532Le tre lettere di Giuliano, che spiegano la sua intenzione e condotta intor-no ad Atanasio, si dovrebbero disporre nel seguente ordine cronologico,XXVI. X. VI. Vedi anche Greg. Naz. XXI. p. 393. Sozomen. Lib. V. c. 15. So-crate lib. III. c. 14. Teodoreto lib. III. c. 9. e Tillemont Mem. Eccl. Tom. VIII.p. 361-368, che si è servito d'alcuni materiali preparati dai Bollandisti.

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sempre più lento a perdonare». A questa letteras'aggiunse vigore con tal breve poscritto di caratteredell'Imperatore medesimo. «Il disprezzo, che si dimostraverso tutti gli Dei, mi riempie di dispiacere e di sdegno.Non v'è cosa, che io vedessi, o ascoltassi con maggiorepiacere, che l'espulsion d'Atanasio da tutto l'Egitto. Ab-bominevole scellerato! Sotto il mio regno le sue perse-cuzioni han cagionato il battesimo di più Dame Grechedel più alto grado531». Non fu espressamente comandatala morte d'Atanasio, ma il Prefetto dell'Egitto comprese,che era più sicuro per lui l'eccedere che il trascurare icomandi d'uno sdegnato Signore. L'Arcivescovo pru-dentemente si ritirò ai monasteri del deserto; eluse conla solita sua destrezza i lacci del nemico; e visse pertrionfar sulle ceneri di un Principe, che in termini di for-midabil trasporto avea dichiarato di bramare, che tutto ilveleno della scuola Galilea si riunisse nella sola personad'Atanasio.532

Ho procurato di rappresentar fedelmente l'artificiososistema, con cui Giuliano si propose d'ottenere gli effettidella persecuzione, senza incorrerne la colpa, o la taccia.Ma se un mortale spirito di fanatismo pervertì il cuore e

531Τον µιαρον, ος ετολµησεν Ελληνιδας επ’ εµου γυναικας των επισηµωνβαπτισαι διωκεσθαι Ho conservato l'ambiguo senso di quest'ultima voce; am-biguità d'un tiranno che brama di trovare o di crear delle colpe.

532Le tre lettere di Giuliano, che spiegano la sua intenzione e condotta intor-no ad Atanasio, si dovrebbero disporre nel seguente ordine cronologico,XXVI. X. VI. Vedi anche Greg. Naz. XXI. p. 393. Sozomen. Lib. V. c. 15. So-crate lib. III. c. 14. Teodoreto lib. III. c. 9. e Tillemont Mem. Eccl. Tom. VIII.p. 361-368, che si è servito d'alcuni materiali preparati dai Bollandisti.

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la mente d'un Principe virtuoso, bisogna nel tempo stes-so confessare, che i patimenti reali dei Cristiani furonopromossi ed accresciuti dalle passioni umane e dal reli-gioso entusiasmo. La mansuetudine e rassegnazione,che avea distinto i primi discepoli del Vangelo, eral'oggetto dell'applauso piuttosto che dell'imitazione deiloro successori. I Cristiani, che a quel tempo aveanoposseduto più di quarant'anni il governo civile ed eccle-siastico dell'Impero, avevano contratto gli insolenti vizidella prosperità533 e l'abito di credere, che i soli Santiavessero diritto di regnare sopra la terra. Appena l'inimi-cizia di Giuliano spogliò il Clero dei privilegi, che glierano stati conceduti dal favore di Costantino, si lamen-tarono della più crudele oppressione; e la libera tolleran-za degl'Idolatri e degli Eretici fu un motivo di dolore edi scandalo per la parte ortodossa534. Gli atti di violenza,che non erano più favoriti dai Magistrati, si commette-van sempre dallo zelo del popolo. A Pessino, fu rove-sciato quasi in presenza dell'Imperatore l'altare di Cibe-le; e nella città di Cesarea nella Cappadocia fu distruttoil tempio della Fortuna, che era l'unico luogo di culto la-sciato ai Pagani. In tali occasioni un Principe, che avevaa cuore l'onor degli Dei, non era disposto ad interrompe-re il corso della giustizia; ed il suo animo era sempre piùfortemente inasprito, allorchè vedeva che i fanatici, iquali avevan meritata e portata la pena degl'incendiari,

533Vedi la bella confessione di Gregorio, Orat. III. pag. 61-62.534Si oda il furioso ed assurdo lamento d'Ottato. De schism. Donat. l. II c.

16. 17.

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la mente d'un Principe virtuoso, bisogna nel tempo stes-so confessare, che i patimenti reali dei Cristiani furonopromossi ed accresciuti dalle passioni umane e dal reli-gioso entusiasmo. La mansuetudine e rassegnazione,che avea distinto i primi discepoli del Vangelo, eral'oggetto dell'applauso piuttosto che dell'imitazione deiloro successori. I Cristiani, che a quel tempo aveanoposseduto più di quarant'anni il governo civile ed eccle-siastico dell'Impero, avevano contratto gli insolenti vizidella prosperità533 e l'abito di credere, che i soli Santiavessero diritto di regnare sopra la terra. Appena l'inimi-cizia di Giuliano spogliò il Clero dei privilegi, che glierano stati conceduti dal favore di Costantino, si lamen-tarono della più crudele oppressione; e la libera tolleran-za degl'Idolatri e degli Eretici fu un motivo di dolore edi scandalo per la parte ortodossa534. Gli atti di violenza,che non erano più favoriti dai Magistrati, si commette-van sempre dallo zelo del popolo. A Pessino, fu rove-sciato quasi in presenza dell'Imperatore l'altare di Cibe-le; e nella città di Cesarea nella Cappadocia fu distruttoil tempio della Fortuna, che era l'unico luogo di culto la-sciato ai Pagani. In tali occasioni un Principe, che avevaa cuore l'onor degli Dei, non era disposto ad interrompe-re il corso della giustizia; ed il suo animo era sempre piùfortemente inasprito, allorchè vedeva che i fanatici, iquali avevan meritata e portata la pena degl'incendiari,

533Vedi la bella confessione di Gregorio, Orat. III. pag. 61-62.534Si oda il furioso ed assurdo lamento d'Ottato. De schism. Donat. l. II c.

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venivan premiati con gli onori del martirio535. I sudditiCristiani di Giuliano eran sicuri degli ostili disegni delloro Principe; ed ogni circostanza del suo governo poteasomministrare alla gelosa loro apprensione qualche fon-damento di disgusto e di sospetto. Nell'amministrazioneordinaria della giustizia i Cristiani che formavano unaporzione sì grande del popolo, dovevano esser frequen-temente condannati; ma i loro indulgenti fratelli,senz'esaminare il merito delle cause li supponevano in-nocenti, ne accordavano le pretensioni, ed imputavan laseverità del lor giudice alla parzial malizia d'una religio-sa persecuzione536. I travagli presenti, per quanto parerpotessero intollerabili, si rappresentavano come un leg-giero preludio delle imminenti calamità537. I Cristiani ri-sguardavan Giuliano come un crudele ed artificioso ti-ranno, che sospendeva l'esecuzione della sua vendetta,finchè fosse tornato vittorioso dalla guerra Persiana.Essi aspettavano che tosto che avesse trionfato degliesterni nemici di Roma, si sarebbe tolta dal viso la mo-lesta maschera della dissimulazione; che gli anfiteatri si

535Gregor. Naz. Orat. III. p. 91. IV. p. 133. Ei loda i tumultuanti di Cesarea;τουτων δε των αγµελοςυων και θερµων εις ευσεβειαν; questi magnanimi e fer-venti nella pietà. Vedi Sozomeno l. V. 4. 11. Il Tillemont (Mem. Eccles. T. VII.p. 649-650.) confessa che la lor condotta non fu dans l'ordre commun: ma restaperfettamente soddisfatto, perchè il gran S. Basilio celebrò sempre la festa diquesti benedetti Martiri.

536Giuliano decise una lite contro la nuova città Cristiana di Maiuma, portodi Gaza; e quantunque la sua sentenza potesse imputarsi di superstizione, nonfu mai revocata dai suoi successori. Sozomeno lib. V. c. 3. Roland. Palest. T.II. pag. 791.

537Nell'originale "calamita". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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venivan premiati con gli onori del martirio535. I sudditiCristiani di Giuliano eran sicuri degli ostili disegni delloro Principe; ed ogni circostanza del suo governo poteasomministrare alla gelosa loro apprensione qualche fon-damento di disgusto e di sospetto. Nell'amministrazioneordinaria della giustizia i Cristiani che formavano unaporzione sì grande del popolo, dovevano esser frequen-temente condannati; ma i loro indulgenti fratelli,senz'esaminare il merito delle cause li supponevano in-nocenti, ne accordavano le pretensioni, ed imputavan laseverità del lor giudice alla parzial malizia d'una religio-sa persecuzione536. I travagli presenti, per quanto parerpotessero intollerabili, si rappresentavano come un leg-giero preludio delle imminenti calamità537. I Cristiani ri-sguardavan Giuliano come un crudele ed artificioso ti-ranno, che sospendeva l'esecuzione della sua vendetta,finchè fosse tornato vittorioso dalla guerra Persiana.Essi aspettavano che tosto che avesse trionfato degliesterni nemici di Roma, si sarebbe tolta dal viso la mo-lesta maschera della dissimulazione; che gli anfiteatri si

535Gregor. Naz. Orat. III. p. 91. IV. p. 133. Ei loda i tumultuanti di Cesarea;τουτων δε των αγµελοςυων και θερµων εις ευσεβειαν; questi magnanimi e fer-venti nella pietà. Vedi Sozomeno l. V. 4. 11. Il Tillemont (Mem. Eccles. T. VII.p. 649-650.) confessa che la lor condotta non fu dans l'ordre commun: ma restaperfettamente soddisfatto, perchè il gran S. Basilio celebrò sempre la festa diquesti benedetti Martiri.

536Giuliano decise una lite contro la nuova città Cristiana di Maiuma, portodi Gaza; e quantunque la sua sentenza potesse imputarsi di superstizione, nonfu mai revocata dai suoi successori. Sozomeno lib. V. c. 3. Roland. Palest. T.II. pag. 791.

537Nell'originale "calamita". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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sarebber veduti inondati del sangue di Eremiti e di Ve-scovi; e che i Cristiani, che avessero perseverato nellaprofession della fede, verrebbero privati dei comuni be-nefizi della natura e della società538. Ogni calunnia539,che ferir potesse la riputazione dell'Apostata veniva su-bito creduta dal timore e dall'odio de' suoi avversari; edi loro indiscreti clamori provocavano l'indole d'un So-vrano, ch'era loro dovere di rispettare, e loro interesse diaddolcire. Continuavano in vero a protestare che le pre-ghiere e le lagrime erano le uniche loro armi control'empio tiranno, il capo del quale rilasciavano alla giu-stizia del Cielo oltraggiato. Ma con torva risolutezza fa-cean capire, che la lor sommissione non era più l'effettodella debolezza, e che nello stato imperfetto dell'umanavirtù, la pazienza, che solo è fondata sopra le massime,potava esaurirsi dalla persecuzione. Non può determi-narsi fino a qual segno lo zelo di Giuliano ne avrebbesuperato il buon senso e l'umanità, ma se riflettiamo se-riamente alla forza ed allo spirito della Chiesa, restere-mo convinti, che prima di poter estinguere la religionedi Cristo, l'Imperatore avrebbe dovuto involgere lo Stato

538Gregorio (Orat. III. p. 93, 94, 95. Orat. IV. p. 114.) pretende di parlaresecondo le informazioni avute dai confidenti di Giuliano, che Orosio (VII. 30)non potè avere veduto.

539Gregorio (Orat. III. p. 91.) accusa l'Apostata di segreti sacrifizi di fan-ciulli e di fanciulle, e positivamente afferma, che n'erano gettati i corpinell'Oronte. Vedi Teodoreto lib. III. c. 26, 27 e l'equivoco candore dell'Ab. del-la Bleterie, Vie de Julien p. 351, 352. Pure la malizia dei contemporanei nonpotè imputare a Giuliano le truppe di Martiri, specialmente nell'Occidente, cheil Baronio sì avidamente moltiplica, ed il Tillemont così debolmente rigetta(Mem. Eccles. Tom. VII. p. 1295-1315).

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sarebber veduti inondati del sangue di Eremiti e di Ve-scovi; e che i Cristiani, che avessero perseverato nellaprofession della fede, verrebbero privati dei comuni be-nefizi della natura e della società538. Ogni calunnia539,che ferir potesse la riputazione dell'Apostata veniva su-bito creduta dal timore e dall'odio de' suoi avversari; edi loro indiscreti clamori provocavano l'indole d'un So-vrano, ch'era loro dovere di rispettare, e loro interesse diaddolcire. Continuavano in vero a protestare che le pre-ghiere e le lagrime erano le uniche loro armi control'empio tiranno, il capo del quale rilasciavano alla giu-stizia del Cielo oltraggiato. Ma con torva risolutezza fa-cean capire, che la lor sommissione non era più l'effettodella debolezza, e che nello stato imperfetto dell'umanavirtù, la pazienza, che solo è fondata sopra le massime,potava esaurirsi dalla persecuzione. Non può determi-narsi fino a qual segno lo zelo di Giuliano ne avrebbesuperato il buon senso e l'umanità, ma se riflettiamo se-riamente alla forza ed allo spirito della Chiesa, restere-mo convinti, che prima di poter estinguere la religionedi Cristo, l'Imperatore avrebbe dovuto involgere lo Stato

538Gregorio (Orat. III. p. 93, 94, 95. Orat. IV. p. 114.) pretende di parlaresecondo le informazioni avute dai confidenti di Giuliano, che Orosio (VII. 30)non potè avere veduto.

539Gregorio (Orat. III. p. 91.) accusa l'Apostata di segreti sacrifizi di fan-ciulli e di fanciulle, e positivamente afferma, che n'erano gettati i corpinell'Oronte. Vedi Teodoreto lib. III. c. 26, 27 e l'equivoco candore dell'Ab. del-la Bleterie, Vie de Julien p. 351, 352. Pure la malizia dei contemporanei nonpotè imputare a Giuliano le truppe di Martiri, specialmente nell'Occidente, cheil Baronio sì avidamente moltiplica, ed il Tillemont così debolmente rigetta(Mem. Eccles. Tom. VII. p. 1295-1315).

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negli orrori d'una guerra civile540.

540La rassegnazione di Gregorio è veramente edificante (Orat. IV. p. 123.124). Nondimeno, quando un uffizial di Giuliano tentò d'impadronirsi dellaChiesa di Nazianzo, egli avrebbe perduta la vita, se non avesse ceduto allo zelodel Vescovo e del popolo (Orat. XIX. p. 308). Vedi le riflessioni di Grisosto-mo, allegate dal Tillemont (Mem. Eccles. Tom. VII. p. 575.).

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negli orrori d'una guerra civile540.

540La rassegnazione di Gregorio è veramente edificante (Orat. IV. p. 123.124). Nondimeno, quando un uffizial di Giuliano tentò d'impadronirsi dellaChiesa di Nazianzo, egli avrebbe perduta la vita, se non avesse ceduto allo zelodel Vescovo e del popolo (Orat. XIX. p. 308). Vedi le riflessioni di Grisosto-mo, allegate dal Tillemont (Mem. Eccles. Tom. VII. p. 575.).

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CAPITOLO XXIV.

Residenza di Giuliano in Antiochia. Sua felice spedizio-ne contro i Persiani. Passaggio del Tigri. Ritirata emorte di Giuliano. Elezione di Gioviano. Egli salva

l'esercito Romano per mezzo d'un vergognoso trattato.

La favola filosofica, che Giuliano compose col titolode' Cesari541, è una delle più piacevoli ed utili produzio-ni dell'antico sapere542. Nel tempo della libertà ed ugua-glianza, che somministravano i Saturnali, Romolo pre-parò un convito per le Divinità dell'Olimpo, che l'aveva-no stimato degno della lor società, e pei Principi Roma-ni, che avean regnato sopra il marziale suo popolo e lesoggiogate nazioni della terra. Gli Dei eran distribuiti inbuon ordine su' magnifici loro troni; e sotto la luna eraapparecchiata la tavola pei Cesari nella più alta regionedell'aria. I Tiranni che disonorato avrebber la compagniadegli uomini e degli Dei, dall'inesorabile Nemesi veni-

541Vedasi questa favola o satira a p. 306-336 delle opere di Giulianodell'edizione di Lipsia. La traduzione Francese del dotto Ezechiele Spanemio(Parigi 1683) è squallida, languida e corretta; e vi sono ammassate tante note,prove ed illustrazioni, che formano una mole di 557 pagine in quarto di minutastampa. L'Abbate della Bleterie (vit. di Gioviano Tom. I. p. 241-393) ha espres-so più felicemente lo spirito non meno che il senso dell'originale, che da essoviene illustrato con alcune brevi e curiose note.

542Lo Spanemio, nella sua Prefazione, ha molto eruditamente discusso l'eti-mologia, l'origine, la somiglianza fra loro e la diversità delle satire Greche(drammatici componimenti, che si rappresentavan dopo le tragedie) e delle sa-tire Latine (così dette da Satura) composizioni miste in prosa e in versi. Ma iCesari di Giuliano sono d'una specie così originale, che il Critico resta dubbio-so in qual classe debbano collocarsi.

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CAPITOLO XXIV.

Residenza di Giuliano in Antiochia. Sua felice spedizio-ne contro i Persiani. Passaggio del Tigri. Ritirata emorte di Giuliano. Elezione di Gioviano. Egli salva

l'esercito Romano per mezzo d'un vergognoso trattato.

La favola filosofica, che Giuliano compose col titolode' Cesari541, è una delle più piacevoli ed utili produzio-ni dell'antico sapere542. Nel tempo della libertà ed ugua-glianza, che somministravano i Saturnali, Romolo pre-parò un convito per le Divinità dell'Olimpo, che l'aveva-no stimato degno della lor società, e pei Principi Roma-ni, che avean regnato sopra il marziale suo popolo e lesoggiogate nazioni della terra. Gli Dei eran distribuiti inbuon ordine su' magnifici loro troni; e sotto la luna eraapparecchiata la tavola pei Cesari nella più alta regionedell'aria. I Tiranni che disonorato avrebber la compagniadegli uomini e degli Dei, dall'inesorabile Nemesi veni-

541Vedasi questa favola o satira a p. 306-336 delle opere di Giulianodell'edizione di Lipsia. La traduzione Francese del dotto Ezechiele Spanemio(Parigi 1683) è squallida, languida e corretta; e vi sono ammassate tante note,prove ed illustrazioni, che formano una mole di 557 pagine in quarto di minutastampa. L'Abbate della Bleterie (vit. di Gioviano Tom. I. p. 241-393) ha espres-so più felicemente lo spirito non meno che il senso dell'originale, che da essoviene illustrato con alcune brevi e curiose note.

542Lo Spanemio, nella sua Prefazione, ha molto eruditamente discusso l'eti-mologia, l'origine, la somiglianza fra loro e la diversità delle satire Greche(drammatici componimenti, che si rappresentavan dopo le tragedie) e delle sa-tire Latine (così dette da Satura) composizioni miste in prosa e in versi. Ma iCesari di Giuliano sono d'una specie così originale, che il Critico resta dubbio-so in qual classe debbano collocarsi.

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van precipitati giù nell'abisso tartareo. Gli altri Cesaris'avanzavano, l'un dopo l'altro, verso i lor posti; e, men-tre passavano, il vecchio Sileno, giocoso moralista, chesotto la maschera d'un baccanale cuopriva la saviezza diun filosofo, maliziosamente notava i vizi, i difetti e lemacchie de' respettivi loro caratteri543. Quando fu termi-nato il convito, Mercurio promulgò il decreto di Giove,che una corona celeste fosse il premio del merito più su-blime. Furono scelti come i più illustri candidati GiulioCesare, Augusto, Traiano e Marco Antonino; non fuescluso l'effeminato Costantino544 da tal onorevole con-correnza, e fu invitato Alessandro Magno a disputare ilglorioso premio a' Romani Eroi. Fu permesso a ciasche-dun candidato d'esporre il merito delle proprie geste;ma, secondo il giudizio degli Dei, il modesto silenzio diMarco perorò con maggior efficacia, che l'elaborate ora-zioni de' superbi rivali di lui; ed apparve sempre più de-cisiva e cospicua la superiorità dello stoico Imperiale,allorchè i Giudici di quella terribil contesa procederonoad esaminare il cuore ed a scrutinare i motivi delle azio-ni545. Alessandro, e Cesare, Augusto, Traiano e Costanti-

543Questo misto carattere di Sileno è delicatamente espresso nell'Egloga se-sta di Virgilio.

544Ogni lettore imparziale deve conoscere e condannare la parzialità di Giu-liano contro Costantino suo zio, e contro la religion Cristiana. In quest'occasio-ne gl'interpreti vengono astretti da un più sacro interesse a ricusare il loroomaggio all'Autore, e ad abbandonarne la causa.

545Giuliano era segretamente inclinato a preferire un Greco a un Romano.Ma quando seriamente confrontava un Eroe con un filosofo, sentiva che il ge-nere umano aveva obbligazioni molto maggiori a Socrate che ad Alessandro:Orat. ad Themist. p. 264.

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van precipitati giù nell'abisso tartareo. Gli altri Cesaris'avanzavano, l'un dopo l'altro, verso i lor posti; e, men-tre passavano, il vecchio Sileno, giocoso moralista, chesotto la maschera d'un baccanale cuopriva la saviezza diun filosofo, maliziosamente notava i vizi, i difetti e lemacchie de' respettivi loro caratteri543. Quando fu termi-nato il convito, Mercurio promulgò il decreto di Giove,che una corona celeste fosse il premio del merito più su-blime. Furono scelti come i più illustri candidati GiulioCesare, Augusto, Traiano e Marco Antonino; non fuescluso l'effeminato Costantino544 da tal onorevole con-correnza, e fu invitato Alessandro Magno a disputare ilglorioso premio a' Romani Eroi. Fu permesso a ciasche-dun candidato d'esporre il merito delle proprie geste;ma, secondo il giudizio degli Dei, il modesto silenzio diMarco perorò con maggior efficacia, che l'elaborate ora-zioni de' superbi rivali di lui; ed apparve sempre più de-cisiva e cospicua la superiorità dello stoico Imperiale,allorchè i Giudici di quella terribil contesa procederonoad esaminare il cuore ed a scrutinare i motivi delle azio-ni545. Alessandro, e Cesare, Augusto, Traiano e Costanti-

543Questo misto carattere di Sileno è delicatamente espresso nell'Egloga se-sta di Virgilio.

544Ogni lettore imparziale deve conoscere e condannare la parzialità di Giu-liano contro Costantino suo zio, e contro la religion Cristiana. In quest'occasio-ne gl'interpreti vengono astretti da un più sacro interesse a ricusare il loroomaggio all'Autore, e ad abbandonarne la causa.

545Giuliano era segretamente inclinato a preferire un Greco a un Romano.Ma quando seriamente confrontava un Eroe con un filosofo, sentiva che il ge-nere umano aveva obbligazioni molto maggiori a Socrate che ad Alessandro:Orat. ad Themist. p. 264.

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no confessarono con rossore, che l'importante argomen-to de' loro travagli era stato la fama, la potenza o il pia-cere: ma gli Dei medesimi risguardarono con rispetto edamore un virtuoso mortale, che sul trono avea posto inpratica gl'insegnamenti della filosofia, e che nello statodell'imperfezione umana aveva aspirato ad imitare i mo-rali attributi della Divinità. Il grado dell'Autore fa cre-scer di pregio questa piacevole opera (i Cesari di Giu-liano). Un Principe, che dipinge con libertà i vizi e levirtù de' suoi predecessori, sottoscrive ad ogni verso lacensura o l'approvazione della propria condotta.

Ne' freddi momenti della riflessione, Giuliano antepo-neva ad ogni cosa le utili e benefiche virtù d'Antonino;ma l'ambizioso suo spirito era infiammato dalla gloriad'Alessandro; ed egli desiderava, con uguale ardore, lastima de' savi e l'applauso della moltitudine. In quel trat-to della vita umana, in cui le facoltà della mente e delcorpo godono il vigore più attivo, l'Imperatore, istruitodall'esperienza ed animato dal buon successo della guer-ra Germanica, risolvè di segnalare il suo regno con qual-che più splendida e memorabile impresa. Gli Ambascia-tori dell'Oriente, fino dal Continente dell'India edall'Isola di Ceilan546 avean salutato rispettosamente la

546Inde nationibus Indicis certatim cum donis Optimates mittentibus.... abusque Divis et Serendivis. Ammiano XX 7. Quest'isola, a cui si son dati suc-cessivamente i nomi di Taprobana, di Serendib e di Ceilan, dimostra, quantoimperfettamente si conoscessero da' Romani i mari e le terre a Levante delCapo Comorin. In primo luogo nel regno di Claudio un liberto, che aveva inaffitto le dogane del mar Rosso, fu accidentalmente trasportato da' venti suquell'estranea e sconosciuta costa; conversò per sei mesi con gli abitanti di

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no confessarono con rossore, che l'importante argomen-to de' loro travagli era stato la fama, la potenza o il pia-cere: ma gli Dei medesimi risguardarono con rispetto edamore un virtuoso mortale, che sul trono avea posto inpratica gl'insegnamenti della filosofia, e che nello statodell'imperfezione umana aveva aspirato ad imitare i mo-rali attributi della Divinità. Il grado dell'Autore fa cre-scer di pregio questa piacevole opera (i Cesari di Giu-liano). Un Principe, che dipinge con libertà i vizi e levirtù de' suoi predecessori, sottoscrive ad ogni verso lacensura o l'approvazione della propria condotta.

Ne' freddi momenti della riflessione, Giuliano antepo-neva ad ogni cosa le utili e benefiche virtù d'Antonino;ma l'ambizioso suo spirito era infiammato dalla gloriad'Alessandro; ed egli desiderava, con uguale ardore, lastima de' savi e l'applauso della moltitudine. In quel trat-to della vita umana, in cui le facoltà della mente e delcorpo godono il vigore più attivo, l'Imperatore, istruitodall'esperienza ed animato dal buon successo della guer-ra Germanica, risolvè di segnalare il suo regno con qual-che più splendida e memorabile impresa. Gli Ambascia-tori dell'Oriente, fino dal Continente dell'India edall'Isola di Ceilan546 avean salutato rispettosamente la

546Inde nationibus Indicis certatim cum donis Optimates mittentibus.... abusque Divis et Serendivis. Ammiano XX 7. Quest'isola, a cui si son dati suc-cessivamente i nomi di Taprobana, di Serendib e di Ceilan, dimostra, quantoimperfettamente si conoscessero da' Romani i mari e le terre a Levante delCapo Comorin. In primo luogo nel regno di Claudio un liberto, che aveva inaffitto le dogane del mar Rosso, fu accidentalmente trasportato da' venti suquell'estranea e sconosciuta costa; conversò per sei mesi con gli abitanti di

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porpora Romana547. Le nazioni Occidentali stimavano etemevano le personali virtù di Giuliano, tanto in paceche in guerra. Egli disprezzava i trofei d'una vittoria Go-tica548, ed era persuaso che i rapaci Barbari del Danubiosi sarebber guardati da ogni futura violazione della fededei trattati, pel terror del suo nome, e per le fortificazio-ni che aveva aggiunto alle frontiere della Tracia odell'Illirico. Il successore di Ciro e d'Artaserse era l'uni-co rivale, che stimava degno delle sue armi; e risolvè dicastigare, mediante l'intera conquista della Persia,quell'altiera Nazione, che avea per tanto tempo resistitoe fatto insulto alla Romana Maestà549. Appena seppe ilMonarca Persiano, che il trono di Costanzo era occupatoda un Principe d'indole assai diversa, condiscese a farealcune artificiose, o forse anche sincere pratiche per untrattato di pace. Ma restò sorpreso l'orgoglio di Saporedalla fermezza di Giuliano, che altamente dichiarò diessa; ed il Re di Ceilan, che per la prima volta udì parlare della potenza o dellagiustizia di Roma, s'indusse a mandare Ambasciatori all'Imperatore (Plin. Hist.Nat. VI. 24). Secondariamente i Geografi (e Tolomeo stesso) hanno fatto più diquindici volte più grande del vero questo nuovo Mondo, che fu da' medesimiesteso fino all'Equatore, ed alle vicinanze della China.

547Erano state mandate a Costanzo tali ambascerie. Ammiano, che,senz'accorgersene, discende ad una bassa adulazione, doveva essersi dimenti-cato della lunghezza del viaggio, e della breve durata del Regno di Giuliano.

548Gothos saepe fallaces et perfidos; hostes quaerere se meliores ajebat; il-lis enim sufficere mercatores Galatas, per quos ubique sine conditionis discri-mine venundantur. In meno di quindici anni questi schiavi Goti minacciarono evinsero i loro padroni.

549Alessandro rammenta a Cesare, suo rivale, il qual disprezzava la fama edil merito d'una vittoria Asiatica, che Crasso ed Antonio avevan sentiti i dardipersiani, e i Romani, in una guerra di trecento anni, non avevano ancora sog-giogato la sola Provincia della Mesopotamia, o dell'Assiria. Caesar. p. 324.

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porpora Romana547. Le nazioni Occidentali stimavano etemevano le personali virtù di Giuliano, tanto in paceche in guerra. Egli disprezzava i trofei d'una vittoria Go-tica548, ed era persuaso che i rapaci Barbari del Danubiosi sarebber guardati da ogni futura violazione della fededei trattati, pel terror del suo nome, e per le fortificazio-ni che aveva aggiunto alle frontiere della Tracia odell'Illirico. Il successore di Ciro e d'Artaserse era l'uni-co rivale, che stimava degno delle sue armi; e risolvè dicastigare, mediante l'intera conquista della Persia,quell'altiera Nazione, che avea per tanto tempo resistitoe fatto insulto alla Romana Maestà549. Appena seppe ilMonarca Persiano, che il trono di Costanzo era occupatoda un Principe d'indole assai diversa, condiscese a farealcune artificiose, o forse anche sincere pratiche per untrattato di pace. Ma restò sorpreso l'orgoglio di Saporedalla fermezza di Giuliano, che altamente dichiarò diessa; ed il Re di Ceilan, che per la prima volta udì parlare della potenza o dellagiustizia di Roma, s'indusse a mandare Ambasciatori all'Imperatore (Plin. Hist.Nat. VI. 24). Secondariamente i Geografi (e Tolomeo stesso) hanno fatto più diquindici volte più grande del vero questo nuovo Mondo, che fu da' medesimiesteso fino all'Equatore, ed alle vicinanze della China.

547Erano state mandate a Costanzo tali ambascerie. Ammiano, che,senz'accorgersene, discende ad una bassa adulazione, doveva essersi dimenti-cato della lunghezza del viaggio, e della breve durata del Regno di Giuliano.

548Gothos saepe fallaces et perfidos; hostes quaerere se meliores ajebat; il-lis enim sufficere mercatores Galatas, per quos ubique sine conditionis discri-mine venundantur. In meno di quindici anni questi schiavi Goti minacciarono evinsero i loro padroni.

549Alessandro rammenta a Cesare, suo rivale, il qual disprezzava la fama edil merito d'una vittoria Asiatica, che Crasso ed Antonio avevan sentiti i dardipersiani, e i Romani, in una guerra di trecento anni, non avevano ancora sog-giogato la sola Provincia della Mesopotamia, o dell'Assiria. Caesar. p. 324.

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non voler mai acconsentire a tenere alcuna pacifica con-ferenza fra gl'incendi e le rovine delle città della Meso-potamia; e che soggiunse con un disprezzante sorriso,ch'era inutile di trattare per mezzo di Ambasciatori,mentre aveva determinato di visitar da se stesso in brevela Corte di Persia. L'impazienza dell'Imperatore solleci-tò la diligenza de' militari preparativi. Furono eletti iGenerali; fu destinato per quest'importante impresa unesercito formidabile; e Giuliano, da Costantinopoli mar-ciando per le Province dell'Asia Minore, giunse ad Anti-ochia, circa otto mesi dopo la morte del suo predecesso-re. L'ardente suo desiderio d'internarsi nel cuor dellaPersia venne raffrenato dall'indispensabile dovere di re-golare lo stato dell'Impero, dallo zelo di far risorgere ilculto degli Dei, e dal consiglio de' più saggi suoi amici,che gli rappresentarono la necessità d'interporre il salu-tare intervallo de' quartieri d'inverno per ristorare l'esau-sta forza delle Legioni della Gallia, e la disciplina e lospirito delle truppe Orientali. Giuliano s'indusse a stabi-lire fino alla primavera seguente la sua residenza in An-tiochia; in mezzo ad un popolo maliziosamente dispostoa deridere la fretta, ed a censurare le dilazioni del suoSovrano550.

Se Giuliano si fosse lusingato, che la personal sua di-mora nella capitale dell'Oriente dovesse produrre unavicendevol soddisfazione al Principe ed al Popolo,

550Si espone il disegno della guerra Persiana da Ammiano (XXII. 7. 12), daLibanio (Orat. parent. c. 79, 80. p. 305, 306), da Zosimo (l. III. p. 158), e daSocrate (l. III. c. 19).

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non voler mai acconsentire a tenere alcuna pacifica con-ferenza fra gl'incendi e le rovine delle città della Meso-potamia; e che soggiunse con un disprezzante sorriso,ch'era inutile di trattare per mezzo di Ambasciatori,mentre aveva determinato di visitar da se stesso in brevela Corte di Persia. L'impazienza dell'Imperatore solleci-tò la diligenza de' militari preparativi. Furono eletti iGenerali; fu destinato per quest'importante impresa unesercito formidabile; e Giuliano, da Costantinopoli mar-ciando per le Province dell'Asia Minore, giunse ad Anti-ochia, circa otto mesi dopo la morte del suo predecesso-re. L'ardente suo desiderio d'internarsi nel cuor dellaPersia venne raffrenato dall'indispensabile dovere di re-golare lo stato dell'Impero, dallo zelo di far risorgere ilculto degli Dei, e dal consiglio de' più saggi suoi amici,che gli rappresentarono la necessità d'interporre il salu-tare intervallo de' quartieri d'inverno per ristorare l'esau-sta forza delle Legioni della Gallia, e la disciplina e lospirito delle truppe Orientali. Giuliano s'indusse a stabi-lire fino alla primavera seguente la sua residenza in An-tiochia; in mezzo ad un popolo maliziosamente dispostoa deridere la fretta, ed a censurare le dilazioni del suoSovrano550.

Se Giuliano si fosse lusingato, che la personal sua di-mora nella capitale dell'Oriente dovesse produrre unavicendevol soddisfazione al Principe ed al Popolo,

550Si espone il disegno della guerra Persiana da Ammiano (XXII. 7. 12), daLibanio (Orat. parent. c. 79, 80. p. 305, 306), da Zosimo (l. III. p. 158), e daSocrate (l. III. c. 19).

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avrebbe formato una ben falsa idea del proprio caratteree de' costumi d'Antiochia551. Il calore del clima dispone-va gli abitanti ai più sfrenati piaceri che nascano dallatranquillità e dall'opulenza, ed in essi riunivasi la vivacelibertà dei Greci all'ereditaria mollezza de' Sirj. La modaera l'unica legge, il piacere l'unico scopo, e lo splendordelle vesti e degli arredi l'unica distinzione de' cittadinid'Antiochia. Si onoravan le arti di lusso; le virtù serie evirili eran poste in ridicolo, ed il disprezzo per la mode-stia femminile e per la venerabil vecchiezza annunziavala universal corruzione della capitale dell'Oriente.L'amore degli spettacoli formava il gusto, o piuttosto lapassione de' Sirj; si chiamavano dalle vicine città552 i piùvalenti artefici; si consumava in pubblici divertimentiuna considerabil porzione dell'entrate; e la magnificenzade' giuochi del teatro e del circo risguardavasi come lafelicità e la gloria d'Antiochia. I rozzi costumi d'un Prin-cipe, che sdegnava tal gloria, e non assaporava una feli-cità di tal sorta, disgustarono ben presto la delicatezzade' propri sudditi; e gli effeminati Orientali non potero-no nè imitare nè ammirar la severa semplicità, che sem-pre si usava, ed alle volte affettavasi da Giuliano. I gior-ni di solennità, consacrati dall'antico rito all'onor degli

551Tanto la satira di Giuliano, quanto le Omelie di S. Gio. Grisostomo fannol'istessa pittura d'Antiochia. La miniatura, che quindi ha ritratto l'Ab. della Ble-terie (Vit. di Giuliano p. 330) è corretta ed elegante.

552Laodicea somministrava i cocchieri; Tiro e Berito i commedianti; Cesa-rea i pantomimi; Eliopoli i cantori; Gaza i gladiatori; Ascalona i lottatori; e Ca-stabala i ballerini di corda. Vedi Exposit. totius Mundi p. 6 nel terzo tomo deiGeografi minori di Hudson.

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avrebbe formato una ben falsa idea del proprio caratteree de' costumi d'Antiochia551. Il calore del clima dispone-va gli abitanti ai più sfrenati piaceri che nascano dallatranquillità e dall'opulenza, ed in essi riunivasi la vivacelibertà dei Greci all'ereditaria mollezza de' Sirj. La modaera l'unica legge, il piacere l'unico scopo, e lo splendordelle vesti e degli arredi l'unica distinzione de' cittadinid'Antiochia. Si onoravan le arti di lusso; le virtù serie evirili eran poste in ridicolo, ed il disprezzo per la mode-stia femminile e per la venerabil vecchiezza annunziavala universal corruzione della capitale dell'Oriente.L'amore degli spettacoli formava il gusto, o piuttosto lapassione de' Sirj; si chiamavano dalle vicine città552 i piùvalenti artefici; si consumava in pubblici divertimentiuna considerabil porzione dell'entrate; e la magnificenzade' giuochi del teatro e del circo risguardavasi come lafelicità e la gloria d'Antiochia. I rozzi costumi d'un Prin-cipe, che sdegnava tal gloria, e non assaporava una feli-cità di tal sorta, disgustarono ben presto la delicatezzade' propri sudditi; e gli effeminati Orientali non potero-no nè imitare nè ammirar la severa semplicità, che sem-pre si usava, ed alle volte affettavasi da Giuliano. I gior-ni di solennità, consacrati dall'antico rito all'onor degli

551Tanto la satira di Giuliano, quanto le Omelie di S. Gio. Grisostomo fannol'istessa pittura d'Antiochia. La miniatura, che quindi ha ritratto l'Ab. della Ble-terie (Vit. di Giuliano p. 330) è corretta ed elegante.

552Laodicea somministrava i cocchieri; Tiro e Berito i commedianti; Cesa-rea i pantomimi; Eliopoli i cantori; Gaza i gladiatori; Ascalona i lottatori; e Ca-stabala i ballerini di corda. Vedi Exposit. totius Mundi p. 6 nel terzo tomo deiGeografi minori di Hudson.

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Dei, somministravan ad esso le sole occasioni di rilassa-re la filosofica severità; e questi appunto erano i soligiorni, ne' quali astener si potevano i Sirj d'Antiochiadalle lusinghe del piacere. La maggior parte del popolososteneva la gloria del nome Cristiano, che era stato perla prima volta inventato da' loro Maggiori553: essi non sifacevano scrupolo di trasgredire i precetti morali, maerano scrupolosamente attaccati allo dottrine speculativedella lor religione. La Chiesa Antiochena era laceratadall'eresia e dallo scisma; ma negli Arriani e negli Ata-nasiani, nei seguaci di Melezio ed in quelli di Paolino554

ardeva il medesimo devoto odio del comune loro avver-sario.

Si nutriva il più forte pregiudizio contro il carattered'un apostata, nemico e successore d'un Principe, ches'era conciliato l'affetto di una Setta assai numerosa; e latraslazione di S. Babila eccitò un implacabile odio con-tro la persona di Giuliano. I sudditi di lui si lagnavanocon superstiziosa indignazione, che la carestia avea se-guitato i passi dell'Imperatore da Costantinopoli ad An-tiochia; e fu esacerbata la malcontentezza d'un affamatopopolo dall'imprudente sforzo di sollevarne le angustie.

553χριςὸν δὲ ὰγαθὼντες, έχέτε πολιουχον ὰνιί τυ Διὸς, amando voi Cristo,tenetelo per tutelare invece di Giove. Il popolo d'Antiochia ingegnosamenteprofessava il suo attaccamento al Chi, X (Christo), ed al Kappa, K (Costanzo),Giuliano in Misopogon p. 357.

554Lo scisma d'Antiochia, che durò ottantacinque anni (dal 330 al 415),s'accese nel tempo, che Giuliano risedeva in quella città, per l'imprudente ordi-nazione di Paolino. Vedi Tillemont Mem. Eccl. Tom. VII. pag. 803. dell'ediz. inquarto Parig. 1701 ec., della quale io mi servirò da qui avanti nelle citazioni.

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Dei, somministravan ad esso le sole occasioni di rilassa-re la filosofica severità; e questi appunto erano i soligiorni, ne' quali astener si potevano i Sirj d'Antiochiadalle lusinghe del piacere. La maggior parte del popolososteneva la gloria del nome Cristiano, che era stato perla prima volta inventato da' loro Maggiori553: essi non sifacevano scrupolo di trasgredire i precetti morali, maerano scrupolosamente attaccati allo dottrine speculativedella lor religione. La Chiesa Antiochena era laceratadall'eresia e dallo scisma; ma negli Arriani e negli Ata-nasiani, nei seguaci di Melezio ed in quelli di Paolino554

ardeva il medesimo devoto odio del comune loro avver-sario.

Si nutriva il più forte pregiudizio contro il carattered'un apostata, nemico e successore d'un Principe, ches'era conciliato l'affetto di una Setta assai numerosa; e latraslazione di S. Babila eccitò un implacabile odio con-tro la persona di Giuliano. I sudditi di lui si lagnavanocon superstiziosa indignazione, che la carestia avea se-guitato i passi dell'Imperatore da Costantinopoli ad An-tiochia; e fu esacerbata la malcontentezza d'un affamatopopolo dall'imprudente sforzo di sollevarne le angustie.

553χριςὸν δὲ ὰγαθὼντες, έχέτε πολιουχον ὰνιί τυ Διὸς, amando voi Cristo,tenetelo per tutelare invece di Giove. Il popolo d'Antiochia ingegnosamenteprofessava il suo attaccamento al Chi, X (Christo), ed al Kappa, K (Costanzo),Giuliano in Misopogon p. 357.

554Lo scisma d'Antiochia, che durò ottantacinque anni (dal 330 al 415),s'accese nel tempo, che Giuliano risedeva in quella città, per l'imprudente ordi-nazione di Paolino. Vedi Tillemont Mem. Eccl. Tom. VII. pag. 803. dell'ediz. inquarto Parig. 1701 ec., della quale io mi servirò da qui avanti nelle citazioni.

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L'inclemenza della stagione avea danneggiato le raccol-te della Siria, e ne' mercati d'Antiochia il prezzo delpane555 era naturalmente cresciuto in proporzione dellascarsezza del grano. Ma la giusta e ragionevole propor-zione fu tosto violata da' rapaci artifizi del monopolio.In questa disugual contesa, in cui da una parte il prodot-to della terra si pretende che sia nel proprio esclusivodominio, da un altra si riguarda come un oggetto lucrati-vo di commercio, e si ricerca da una terza parte pel quo-tidiano e necessario mantenimento della vita, tutti i gua-dagni degli agenti, intermedj vanno a posarsi sul capode' miseri consumatori. La durezza della loro situazioneveniva esagerata ed accresciuta dalla loro impazienza edinquietudine; ed il timore della scarsità produsse appocoappoco l'apparenza d'una carestia. Quando i voluttuosicittadini d'Antiochia si lamentarono del caro prezzo deipolli e del pesce, Giuliano pubblicamente dichiarò cheuna città frugale avrebbe dovuto contentarsi di una rego-lar quantità di vino, d'olio e di pane; riconosceva egliperò ch'era dover di un Sovrano il provvedere alla sussi-stenza del popolo. Con questo salutevole fine, l'Impera-

555Giuliano stabilisce tre diverse proporzioni di cinque, di dieci, o di quindi-ci modj di frumento per una moneta d'oro secondo i gradi d'abbondanza, o discarsità (in Misopogon p. 369). Da questo fatto e da altri esempi del medesimotempo rilevo, che sotto i successori di Costantino il prezzo moderato del granoera di circa trentadue scellini il sacco Inglese, che è uguale al prezzo medio de'primi sessantaquattro anni del presente secolo (il secolo 18). Vedi ArbuthnotTavola di monete, pesi e misure p. 88, 89. Plin. Hist. Nat. XVIII. 12. Mem. del'Acad. des Inscript. Tom. XXVIII. p. 718, 721. Smith. Ricerca su la natura ele cause della ricchezza delle Nazioni vol. I. p. 246. Io mi fo pregio di citarquest'ultima come l'opera d'un dotto e d'un amico.

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L'inclemenza della stagione avea danneggiato le raccol-te della Siria, e ne' mercati d'Antiochia il prezzo delpane555 era naturalmente cresciuto in proporzione dellascarsezza del grano. Ma la giusta e ragionevole propor-zione fu tosto violata da' rapaci artifizi del monopolio.In questa disugual contesa, in cui da una parte il prodot-to della terra si pretende che sia nel proprio esclusivodominio, da un altra si riguarda come un oggetto lucrati-vo di commercio, e si ricerca da una terza parte pel quo-tidiano e necessario mantenimento della vita, tutti i gua-dagni degli agenti, intermedj vanno a posarsi sul capode' miseri consumatori. La durezza della loro situazioneveniva esagerata ed accresciuta dalla loro impazienza edinquietudine; ed il timore della scarsità produsse appocoappoco l'apparenza d'una carestia. Quando i voluttuosicittadini d'Antiochia si lamentarono del caro prezzo deipolli e del pesce, Giuliano pubblicamente dichiarò cheuna città frugale avrebbe dovuto contentarsi di una rego-lar quantità di vino, d'olio e di pane; riconosceva egliperò ch'era dover di un Sovrano il provvedere alla sussi-stenza del popolo. Con questo salutevole fine, l'Impera-

555Giuliano stabilisce tre diverse proporzioni di cinque, di dieci, o di quindi-ci modj di frumento per una moneta d'oro secondo i gradi d'abbondanza, o discarsità (in Misopogon p. 369). Da questo fatto e da altri esempi del medesimotempo rilevo, che sotto i successori di Costantino il prezzo moderato del granoera di circa trentadue scellini il sacco Inglese, che è uguale al prezzo medio de'primi sessantaquattro anni del presente secolo (il secolo 18). Vedi ArbuthnotTavola di monete, pesi e misure p. 88, 89. Plin. Hist. Nat. XVIII. 12. Mem. del'Acad. des Inscript. Tom. XXVIII. p. 718, 721. Smith. Ricerca su la natura ele cause della ricchezza delle Nazioni vol. I. p. 246. Io mi fo pregio di citarquest'ultima come l'opera d'un dotto e d'un amico.

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tore arrischiossi ad un passo molto pericoloso ed incer-to, a determinare cioè con legale autorità il valore delgrano. Egli ordinò, che in un tempo di scarsità si ven-desse ad un prezzo, che rare volte aveva avuto luogo ne-gli anni di maggiore abbondanza; ed affinchè il proprioesempio desse vigore alla legge, mandò al mercato quat-trocento ventiduemila moggi o misure, che si trasseroper ordine di lui da granai di Gerapoli, di Calcide ed an-che d'Egitto. Se ne potevano prevedere le conseguenze,e ben presto ebbero effetto. Si comprò da ricchi mercan-ti il grano Imperiale; i proprietari di terre o di frumentonon ne mandarono più alla città la solita dose, e le pic-cole quantità di grano, che comparivano in mercato, era-no segretamente vendute ad un anticipato ed illegittimoprezzo. Giuliano continuò sempre a gloriarsi della suapolitica, risguardò i lamenti del popolo come vani ed in-grati romori, e convinse Antiochia, ch'esso aveva eredi-tato se non la crudeltà, almeno l'ostinazione di Gallo, dilui fratello556. Le rimostranze del Senato municipale nonservirono che ad inasprire l'inflessibil suo spirito. Egliera persuaso, forse a diritto, che i Senatori stessi d'Anti-ochia, i quali possedevano dei terreni, ed erano interes-sati nel commercio, avessero contribuito alle calamitàdel lor paese; ed attribuiva l'irriverente ardire, che usa-vano, ad un sentimento non già di pubblico dovere, ma

556Numquam a proposito declinabat, Galli similis fratris, licet incruentus.Ammiano XXII. 14. L'ignoranza dei più illuminati Principi può ammetterequalche scusa; ma non possiamo esser soddisfatti della difesa propria di Giu-liano (in Misopogon p. 368, 369) o dell'elaborata apologia di Libanio (Orat.parent. c. XCVII. p. 321).

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tore arrischiossi ad un passo molto pericoloso ed incer-to, a determinare cioè con legale autorità il valore delgrano. Egli ordinò, che in un tempo di scarsità si ven-desse ad un prezzo, che rare volte aveva avuto luogo ne-gli anni di maggiore abbondanza; ed affinchè il proprioesempio desse vigore alla legge, mandò al mercato quat-trocento ventiduemila moggi o misure, che si trasseroper ordine di lui da granai di Gerapoli, di Calcide ed an-che d'Egitto. Se ne potevano prevedere le conseguenze,e ben presto ebbero effetto. Si comprò da ricchi mercan-ti il grano Imperiale; i proprietari di terre o di frumentonon ne mandarono più alla città la solita dose, e le pic-cole quantità di grano, che comparivano in mercato, era-no segretamente vendute ad un anticipato ed illegittimoprezzo. Giuliano continuò sempre a gloriarsi della suapolitica, risguardò i lamenti del popolo come vani ed in-grati romori, e convinse Antiochia, ch'esso aveva eredi-tato se non la crudeltà, almeno l'ostinazione di Gallo, dilui fratello556. Le rimostranze del Senato municipale nonservirono che ad inasprire l'inflessibil suo spirito. Egliera persuaso, forse a diritto, che i Senatori stessi d'Anti-ochia, i quali possedevano dei terreni, ed erano interes-sati nel commercio, avessero contribuito alle calamitàdel lor paese; ed attribuiva l'irriverente ardire, che usa-vano, ad un sentimento non già di pubblico dovere, ma

556Numquam a proposito declinabat, Galli similis fratris, licet incruentus.Ammiano XXII. 14. L'ignoranza dei più illuminati Principi può ammetterequalche scusa; ma non possiamo esser soddisfatti della difesa propria di Giu-liano (in Misopogon p. 368, 369) o dell'elaborata apologia di Libanio (Orat.parent. c. XCVII. p. 321).

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di privato vantaggio. Tutto quel Corpo, composto di du-gento de' più nobili e ricchi cittadini, fu mandato sottocustodia dal palazzo in prigione; e sebbene, avanti chefinisse la sera, fosse loro accordato di tornare alle re-spettive loro case557, l'Imperatore non potè da essi otte-nere il perdono, ch'egli aveva loro sì facilmente conces-so. I medesimi pesi erano continuamente il soggetto del-le medesime querele, che si facevano ad arte circolaredalla astuzia e leggerezza de' Greci della Siria. Ne' li-cenziosi giorni de' Saturnali, risonavan le strade d'Anti-ochia di canzoni insolenti, che deridevan le leggi, la re-ligione, la personal condotta e fino la barba dell'Impera-tore; e la connivenza de' Magistrati, non meno chel'applauso della moltitudine, manifestavan lo spiritod'Antiochia558. Il discepolo di Socrate fu troppo profon-damente punto da tali popolari indulti; ma il Monarca,dotato di viva sensibilità, e che possedeva un assolutopotere, negò alle sue passioni la soddisfazione dellavendetta. Un tiranno avrebbe, senza distinzione, pro-scritto le vite ed i beni dei cittadini d'Antiochia; i deboliSirj avrebber dovuto pazientemente sottoporsi alla bru-talità ed alla rapace barbarie delle fedeli Legioni dellaGallia. Una sentenza più dolce avrebbe potuto privare lacapitale dell'Oriente de' suoi onori e privilegi; ed i corti-

557Libanio tocca gentilmente il loro breve e mite arresto (Orat. parent. c.XCVIII. p. 322. 323).

558Libanio (ad Antiochenos de Imperatoris ira c. 17, 18, 19. ap. Fabric.Biblioth. Graec. T. VII. p. 221-223) a guisa di abile Avvocato severamente cen-sura la follia del popolo, che soffriva pel delitto di pochi oscuri ed ebrj misera-bili.

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di privato vantaggio. Tutto quel Corpo, composto di du-gento de' più nobili e ricchi cittadini, fu mandato sottocustodia dal palazzo in prigione; e sebbene, avanti chefinisse la sera, fosse loro accordato di tornare alle re-spettive loro case557, l'Imperatore non potè da essi otte-nere il perdono, ch'egli aveva loro sì facilmente conces-so. I medesimi pesi erano continuamente il soggetto del-le medesime querele, che si facevano ad arte circolaredalla astuzia e leggerezza de' Greci della Siria. Ne' li-cenziosi giorni de' Saturnali, risonavan le strade d'Anti-ochia di canzoni insolenti, che deridevan le leggi, la re-ligione, la personal condotta e fino la barba dell'Impera-tore; e la connivenza de' Magistrati, non meno chel'applauso della moltitudine, manifestavan lo spiritod'Antiochia558. Il discepolo di Socrate fu troppo profon-damente punto da tali popolari indulti; ma il Monarca,dotato di viva sensibilità, e che possedeva un assolutopotere, negò alle sue passioni la soddisfazione dellavendetta. Un tiranno avrebbe, senza distinzione, pro-scritto le vite ed i beni dei cittadini d'Antiochia; i deboliSirj avrebber dovuto pazientemente sottoporsi alla bru-talità ed alla rapace barbarie delle fedeli Legioni dellaGallia. Una sentenza più dolce avrebbe potuto privare lacapitale dell'Oriente de' suoi onori e privilegi; ed i corti-

557Libanio tocca gentilmente il loro breve e mite arresto (Orat. parent. c.XCVIII. p. 322. 323).

558Libanio (ad Antiochenos de Imperatoris ira c. 17, 18, 19. ap. Fabric.Biblioth. Graec. T. VII. p. 221-223) a guisa di abile Avvocato severamente cen-sura la follia del popolo, che soffriva pel delitto di pochi oscuri ed ebrj misera-bili.

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giani e forse anche tutti i sudditi di Giuliano avrebberoapplaudito ad un atto di giustizia, che sosteneva la di-gnità del Magistrato supremo della Repubblica559. Mainvece d'abusare o di fare pompa dell'autorità dell'Impe-ro per vendicare le personali sue ingiurie, Giuliano sicontentò di una innocente maniera di vendetta, che po-chi Principi sarebbero in grado di poter usare. Esso erastato insultato con satire e con libelli; compose dunqueancora egli un'ironica confessione de' propri difetti eduna severa satira dei licenziosi ed effeminati costumid'Antiochia col titolo di Nemico della barba. Fu pubbli-camente esposta questa replica Imperiale avanti alleporte del palazzo; e tuttavia sussiste il Misopogon560

come un singolar monumento dell'ira, dell'ingegno, del-la umanità e dell'indiscretezza di Giuliano. Quantunqueegli affettasse di ridere, non potè perdonare561. Espresseil suo disprezzo, e potè soddisfare la sua vendetta colnominare un Governatore562 degno solo di tali soggetti;

559Libanio (ad Antiochen. c. VII. p. 213) rammenta ad Antiochia il recentegastigo di Cesare: e Giuliano stesso (in Misopogon p. 335) accenna con quantorigore Taranto aveva espiato l'insulto fatto agli Ambasciatori Romani.

560Quanto al Misopogon vedasi Ammiano (XXII. 14). Libanio (Orat. pa-rent. c. XCIX. p. 323), Gregorio Nazianzeno (Orat. IV. p. 133) e la Cronicad'Antiochia di Gio. Malala (Tom. II. p. 15, 16). Ho grandi obbligazioni alla tra-duzione e alle note dell'Ab. della Bleterie (vit. di Giovian. Tom. II. p. 1-138).

561Ammiano avverte assai giustamente, che coactus dissimulare pro tempo-re, ira sufflabatur interna. L'ironia elaborata di Giuliano alla fine prorompe inserie e dirette invettive.

562Ipse autem Antiochiam egressurus, Heliopoliten quemdam AlexandrumSyriacae Jurisdictioni praefecit turbulentum et saevum; dicebatque non illummeruisse, sed Antiochensibus avaris et contumeliosis hujusmodi Judicem con-venire. Ammiano XXIII. 2. Libanio (Epist. 722. pag. 346, 347), che confessa a

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giani e forse anche tutti i sudditi di Giuliano avrebberoapplaudito ad un atto di giustizia, che sosteneva la di-gnità del Magistrato supremo della Repubblica559. Mainvece d'abusare o di fare pompa dell'autorità dell'Impe-ro per vendicare le personali sue ingiurie, Giuliano sicontentò di una innocente maniera di vendetta, che po-chi Principi sarebbero in grado di poter usare. Esso erastato insultato con satire e con libelli; compose dunqueancora egli un'ironica confessione de' propri difetti eduna severa satira dei licenziosi ed effeminati costumid'Antiochia col titolo di Nemico della barba. Fu pubbli-camente esposta questa replica Imperiale avanti alleporte del palazzo; e tuttavia sussiste il Misopogon560

come un singolar monumento dell'ira, dell'ingegno, del-la umanità e dell'indiscretezza di Giuliano. Quantunqueegli affettasse di ridere, non potè perdonare561. Espresseil suo disprezzo, e potè soddisfare la sua vendetta colnominare un Governatore562 degno solo di tali soggetti;

559Libanio (ad Antiochen. c. VII. p. 213) rammenta ad Antiochia il recentegastigo di Cesare: e Giuliano stesso (in Misopogon p. 335) accenna con quantorigore Taranto aveva espiato l'insulto fatto agli Ambasciatori Romani.

560Quanto al Misopogon vedasi Ammiano (XXII. 14). Libanio (Orat. pa-rent. c. XCIX. p. 323), Gregorio Nazianzeno (Orat. IV. p. 133) e la Cronicad'Antiochia di Gio. Malala (Tom. II. p. 15, 16). Ho grandi obbligazioni alla tra-duzione e alle note dell'Ab. della Bleterie (vit. di Giovian. Tom. II. p. 1-138).

561Ammiano avverte assai giustamente, che coactus dissimulare pro tempo-re, ira sufflabatur interna. L'ironia elaborata di Giuliano alla fine prorompe inserie e dirette invettive.

562Ipse autem Antiochiam egressurus, Heliopoliten quemdam AlexandrumSyriacae Jurisdictioni praefecit turbulentum et saevum; dicebatque non illummeruisse, sed Antiochensibus avaris et contumeliosis hujusmodi Judicem con-venire. Ammiano XXIII. 2. Libanio (Epist. 722. pag. 346, 347), che confessa a

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e rinunziando l'Imperatore per sempre all'ingrata città,pubblicò la sua risoluzione di passare il prossimo inver-no a Tarso nella Cilicia563.

Contuttocciò in Antiochia trovavasi un cittadino, ilgenio e le virtù del quale nell'opinione di Giuliano pote-van purgare i vizi e la follia della patria di lui. Il SofistaLibanio era nato nella capital dell'Oriente; professò pub-blicamente le arti di retore e di declamatore in Nicea, inNicomedia, in Costantinopoli, in Atene, e passò il restodella sua vita in Antiochia. La scuola di lui era conti-nuamente frequentata dalla gioventù della Grecia; i suoidiscepoli, che alle volte passarono il numero di ottanta,celebravano l'incomparabil loro maestro; e la gelosia de'suoi rivali, che lo perseguitava da una città in un'altra,confermò la opinion favorevole, che Libanio ostentava,del sublime suo merito. I precettori di Giuliano avevanoestorto da esso una imprudente ma solenne promessa,ch'ei non avrebbe mai letto gli scritti del loro avversario;la curiosità del giovine reale repressa vie più si accese;cercò segretamente le opere di quel pericoloso Sofista,ed appoco appoco sorpassò nella perfetta imitazione delsuo stile i più laboriosi fra' domestici uditori di lui564.Allorchè Giuliano salì sul trono, dichiarò l'impazienza,

Giuliano medesimo, che aveva esso avuto parte nel generale disgusto, preten-de, che Alessandro fosse un utile, quantunque austero riformatore de' costumi edella religione d'Antiochia.

563Juliano in Misopogon p. 364. Ammiano XXIII. 2, e Vales. ib. Libanio inun'orazione, espressamente scritta, lo invita a tornare alla sua leale e pentitacittà d'Antiochia.

564Liban. Orat. parent. c. VIII. p. 230, 231.

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e rinunziando l'Imperatore per sempre all'ingrata città,pubblicò la sua risoluzione di passare il prossimo inver-no a Tarso nella Cilicia563.

Contuttocciò in Antiochia trovavasi un cittadino, ilgenio e le virtù del quale nell'opinione di Giuliano pote-van purgare i vizi e la follia della patria di lui. Il SofistaLibanio era nato nella capital dell'Oriente; professò pub-blicamente le arti di retore e di declamatore in Nicea, inNicomedia, in Costantinopoli, in Atene, e passò il restodella sua vita in Antiochia. La scuola di lui era conti-nuamente frequentata dalla gioventù della Grecia; i suoidiscepoli, che alle volte passarono il numero di ottanta,celebravano l'incomparabil loro maestro; e la gelosia de'suoi rivali, che lo perseguitava da una città in un'altra,confermò la opinion favorevole, che Libanio ostentava,del sublime suo merito. I precettori di Giuliano avevanoestorto da esso una imprudente ma solenne promessa,ch'ei non avrebbe mai letto gli scritti del loro avversario;la curiosità del giovine reale repressa vie più si accese;cercò segretamente le opere di quel pericoloso Sofista,ed appoco appoco sorpassò nella perfetta imitazione delsuo stile i più laboriosi fra' domestici uditori di lui564.Allorchè Giuliano salì sul trono, dichiarò l'impazienza,

Giuliano medesimo, che aveva esso avuto parte nel generale disgusto, preten-de, che Alessandro fosse un utile, quantunque austero riformatore de' costumi edella religione d'Antiochia.

563Juliano in Misopogon p. 364. Ammiano XXIII. 2, e Vales. ib. Libanio inun'orazione, espressamente scritta, lo invita a tornare alla sua leale e pentitacittà d'Antiochia.

564Liban. Orat. parent. c. VIII. p. 230, 231.

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che aveva, d'abbracciare e di premiare il Sofista dellaSiria, che in un secolo corrotto avea conservato la puritàdel gusto, de' costumi e della religione della Grecia. Laprevenzione dell'Imperatore fu accresciuta e giustificatadal prudente orgoglio del suo favorito. Libanio, in luogod'affrettarsi co' primi del popolo al palazzo di Costanti-nopoli, tranquillamente attese l'arrivo di lui in Antio-chia; si ritirò dalla Corte a' primi sintomi di freddezza ed'indifferenza; per ogni visita esigeva un invito formale,e diede al suo Sovrano l'importante lezione, che ei pote-va comandar l'ubbidienza ad un suddito, ma che biso-gnava meritar l'affezione d'un amico. I Sofisti d'ognitempo, sprezzando, o affettando di sprezzare le acciden-tali distinzioni della nascita e della fortuna565, riservanola propria stima per le superiori qualità dello ingegno,delle quali sono essi così abbondantemente dotati. Giu-liano potea non curare le acclamazioni di una Corte ve-nale, che adorava l'Imperial porpora; ma era somma-mente allettato dalla lode, dagli avvertimenti, dalla li-bertà e dall'invidia d'uno indipendente filosofo, che ricu-sava i suoi favori, amava la sua persona, ne celebrava lafama, e proteggevane la memoria. Tuttavia sussistono levoluminose opere di Libanio, che per la maggior parteson vani ed oziosi componimenti d'un oratore, che colti-vava la scienza delle parole, e produzioni d'uno studioso

565Eunapio riferisce che Libanio ricusò l'onorevol grado di Prefetto del Pre-torio come meno illustre del titolo di Sofista (Vit. Sofist. p. 135). I Critici han-no osservato un sentimento simile in un'epistola (XVIII dell'Ediz. Wolf.) di Li-banio medesimo.

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che aveva, d'abbracciare e di premiare il Sofista dellaSiria, che in un secolo corrotto avea conservato la puritàdel gusto, de' costumi e della religione della Grecia. Laprevenzione dell'Imperatore fu accresciuta e giustificatadal prudente orgoglio del suo favorito. Libanio, in luogod'affrettarsi co' primi del popolo al palazzo di Costanti-nopoli, tranquillamente attese l'arrivo di lui in Antio-chia; si ritirò dalla Corte a' primi sintomi di freddezza ed'indifferenza; per ogni visita esigeva un invito formale,e diede al suo Sovrano l'importante lezione, che ei pote-va comandar l'ubbidienza ad un suddito, ma che biso-gnava meritar l'affezione d'un amico. I Sofisti d'ognitempo, sprezzando, o affettando di sprezzare le acciden-tali distinzioni della nascita e della fortuna565, riservanola propria stima per le superiori qualità dello ingegno,delle quali sono essi così abbondantemente dotati. Giu-liano potea non curare le acclamazioni di una Corte ve-nale, che adorava l'Imperial porpora; ma era somma-mente allettato dalla lode, dagli avvertimenti, dalla li-bertà e dall'invidia d'uno indipendente filosofo, che ricu-sava i suoi favori, amava la sua persona, ne celebrava lafama, e proteggevane la memoria. Tuttavia sussistono levoluminose opere di Libanio, che per la maggior parteson vani ed oziosi componimenti d'un oratore, che colti-vava la scienza delle parole, e produzioni d'uno studioso

565Eunapio riferisce che Libanio ricusò l'onorevol grado di Prefetto del Pre-torio come meno illustre del titolo di Sofista (Vit. Sofist. p. 135). I Critici han-no osservato un sentimento simile in un'epistola (XVIII dell'Ediz. Wolf.) di Li-banio medesimo.

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ritirato, la mente del quale, disprezzando i suoi contem-poranei, era sempre fissa nella guerra Troiana e nellaRepubblica Ateniese. Pure il Sofista d'Antiochia discesealle volte da tale immaginaria elevazione; tenne unamoltiplice ed esatta corrispondenza566; lodò le virtù deisuoi tempi; arditamente attaccò gli abusi della vita pub-blica e privata; ed eloquentemente difese la causad'Antiochia contro la giusta collera di Giuliano e di Teo-dosio. La vecchiezza comunemente ha la disgrazia567 diperdere tutto ciò, che avrebbe potuto renderla desidera-bile; ma Libanio provò il particolar dispiacere di soprav-vivere alla religione ed alle scienze, alle quali consacra-to aveva il suo genio. L'amico di Giuliano dovè conisdegno essere spettatore del trionfo del Cristianesimo;ed il superstizioso suo spirito, che oscurava il prospettodel Mondo visibile, non inspirò a Libanio alcuna vivasperanza della felicità e della gloria celeste568.

566Ci son rimaste, e son già pubblicate quasi duemila delle sue lettere; spe-cie di composizione, in cui Libanio si reputava eccellente. Possono i Critici lo-dar la sottile ed elegante lor brevità; ma il D. Bentley (Dissert. sopra Falar. p.487) potè giustamente, ma non gentilmente, osservare, che «si sente dal voto edalla mancanza d'anima in esse, che si conversa con un pedante, il quale va so-gnando appoggiato sulla sua cattedra».

567Si pone la sua nascita nell'anno 314. Ei fa menzione del settantesimo se-sto anno della sua età, anno 390, e sembra, che alluda ad alcuni avvenimentid'una data eziandio posteriore.

568Libanio ha fatta la vana e prolissa, ma curiosa narrazione della sua vita(Tom. II. p. 1-84. Ed: Morell.), della quale ci ha lasciato Eunapio (p. 130-135)un breve e svantaggioso ragguaglio. Fra' moderni il Tillemont (Hist. desEmper. Tom. IV. p. 571-576), il Fabricio (Bibl. Graec. Tom. VII. p. 378-414), eLardner (Testim. Pagan. T. IV. p. 127-163) hanno illustrato il carattere e gliscritti di questo celebre Sofista.

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ritirato, la mente del quale, disprezzando i suoi contem-poranei, era sempre fissa nella guerra Troiana e nellaRepubblica Ateniese. Pure il Sofista d'Antiochia discesealle volte da tale immaginaria elevazione; tenne unamoltiplice ed esatta corrispondenza566; lodò le virtù deisuoi tempi; arditamente attaccò gli abusi della vita pub-blica e privata; ed eloquentemente difese la causad'Antiochia contro la giusta collera di Giuliano e di Teo-dosio. La vecchiezza comunemente ha la disgrazia567 diperdere tutto ciò, che avrebbe potuto renderla desidera-bile; ma Libanio provò il particolar dispiacere di soprav-vivere alla religione ed alle scienze, alle quali consacra-to aveva il suo genio. L'amico di Giuliano dovè conisdegno essere spettatore del trionfo del Cristianesimo;ed il superstizioso suo spirito, che oscurava il prospettodel Mondo visibile, non inspirò a Libanio alcuna vivasperanza della felicità e della gloria celeste568.

566Ci son rimaste, e son già pubblicate quasi duemila delle sue lettere; spe-cie di composizione, in cui Libanio si reputava eccellente. Possono i Critici lo-dar la sottile ed elegante lor brevità; ma il D. Bentley (Dissert. sopra Falar. p.487) potè giustamente, ma non gentilmente, osservare, che «si sente dal voto edalla mancanza d'anima in esse, che si conversa con un pedante, il quale va so-gnando appoggiato sulla sua cattedra».

567Si pone la sua nascita nell'anno 314. Ei fa menzione del settantesimo se-sto anno della sua età, anno 390, e sembra, che alluda ad alcuni avvenimentid'una data eziandio posteriore.

568Libanio ha fatta la vana e prolissa, ma curiosa narrazione della sua vita(Tom. II. p. 1-84. Ed: Morell.), della quale ci ha lasciato Eunapio (p. 130-135)un breve e svantaggioso ragguaglio. Fra' moderni il Tillemont (Hist. desEmper. Tom. IV. p. 571-576), il Fabricio (Bibl. Graec. Tom. VII. p. 378-414), eLardner (Testim. Pagan. T. IV. p. 127-163) hanno illustrato il carattere e gliscritti di questo celebre Sofista.

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[A. D. 363]La marziale impazienza di Giuliano l'indusse a met-

tersi in campagna al principio della primavera; e licen-ziò con disprezzo e con rimproveri il Senato di Antio-chia, che accompagnò l'Imperatore al di là dei confinidel suo territorio, nel quale aveva egli risoluto di nontornare mai più. Dopo una faticosa marcia di due gior-ni569 si fermò il terzo a Berea, ovvero Aleppo, dov'ebbela mortificazione di trovare un Senato quasi tutto Cri-stiano, che ricevè con fredde e formali dimostrazioni dirispetto l'eloquente discorso dell'Apostolo del Paganesi-mo. Il figlio d'uno de' più illustri cittadini di Berea, cheper interesse o per coscienza aveva abbracciato la reli-gione dell'Imperatore, fu diseredato dall'irato suo geni-tore. Sì il padre che il figlio furono invitati alla mensaImperiale. Giuliano, postosi in mezzo fra loro, procurò,ma inutilmente, d'inculcare insegnamenti ed esempi ditolleranza; soffrì con affettata tranquillità l'indiscretozelo del vecchio Cristiano, che parve dimenticare i sen-timenti della natura ed il dovere di suddito; e finalmenterivolto all'afflitto giovine: «giacchè avete perduto un pa-dre (gli disse) per mia cagione, a me tocca il supplire insua vece»570. L'Imperatore fu accolto in un modo assai

569La strada da Antiochia a Litarbe, nel territorio di Calcide, per monti e perpaludi, era estremamente cattiva; e le pietre slegate non avevano altro cementoche la sabbia. Juliano Epist. XXVII. Egli è molto strano che i Romani trascu-rassero la gran comunicazione fra Antiochia e l'Eufrate. Vedi Wesseling. Itiner.p. 290. Bergier. Histoire des grands Chemins Tom. II. p. 200.

570Giuliano allude a quest'accidente nell'Epist. 27, che più distintamenteviene riferito da Teodoreto (l. III. c 2.). Applaudisce allo spirito intollerante del

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[A. D. 363]La marziale impazienza di Giuliano l'indusse a met-

tersi in campagna al principio della primavera; e licen-ziò con disprezzo e con rimproveri il Senato di Antio-chia, che accompagnò l'Imperatore al di là dei confinidel suo territorio, nel quale aveva egli risoluto di nontornare mai più. Dopo una faticosa marcia di due gior-ni569 si fermò il terzo a Berea, ovvero Aleppo, dov'ebbela mortificazione di trovare un Senato quasi tutto Cri-stiano, che ricevè con fredde e formali dimostrazioni dirispetto l'eloquente discorso dell'Apostolo del Paganesi-mo. Il figlio d'uno de' più illustri cittadini di Berea, cheper interesse o per coscienza aveva abbracciato la reli-gione dell'Imperatore, fu diseredato dall'irato suo geni-tore. Sì il padre che il figlio furono invitati alla mensaImperiale. Giuliano, postosi in mezzo fra loro, procurò,ma inutilmente, d'inculcare insegnamenti ed esempi ditolleranza; soffrì con affettata tranquillità l'indiscretozelo del vecchio Cristiano, che parve dimenticare i sen-timenti della natura ed il dovere di suddito; e finalmenterivolto all'afflitto giovine: «giacchè avete perduto un pa-dre (gli disse) per mia cagione, a me tocca il supplire insua vece»570. L'Imperatore fu accolto in un modo assai

569La strada da Antiochia a Litarbe, nel territorio di Calcide, per monti e perpaludi, era estremamente cattiva; e le pietre slegate non avevano altro cementoche la sabbia. Juliano Epist. XXVII. Egli è molto strano che i Romani trascu-rassero la gran comunicazione fra Antiochia e l'Eufrate. Vedi Wesseling. Itiner.p. 290. Bergier. Histoire des grands Chemins Tom. II. p. 200.

570Giuliano allude a quest'accidente nell'Epist. 27, che più distintamenteviene riferito da Teodoreto (l. III. c 2.). Applaudisce allo spirito intollerante del

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più conforme ai suoi desiderj a Batne, piccola città deli-ziosamente situata in un bosco di cipressi, distante circaventi miglia dalla città di Gerapoli. Gli abitanti di Batne,che sembravano attaccati al culto di Apollo e di Giove,loro tutelari Divinità, decentemente prepararono i ritisolenni del sacrifizio; ma rimase offesa la seria devozio-ne di Giuliano, dal tumulto del loro applauso, e troppochiaramente si accorse che il fumo, che alzavasi dai loroaltari, era piuttosto un incenso d'adulazione che di pietà.Non esisteva più l'antico e magnifico tempio, che avevaper tanti secoli santificato la città di Gerapoli571; e forse ibeni sacri, che somministravano un abbondante mante-nimento a più di trecento Sacerdoti, ne accelerarono larovina. Giuliano però ebbe la soddisfazione di abbrac-ciare un filosofo ed un amico, la religiosa fermezza delquale avea resistito alle pressanti e replicate sollecita-zioni di Costanzo e di Gallo, tutte le volte che que' Prin-cipi nel passar da Gerapoli aveano preso alloggio nellasua casa. Tanto nella confusione de' militari apparecchi,quanto nella tranquilla confidenza d'una famigliare ami-cizia, sembra che lo zelo di Giuliano fosse vivo ed uni-forme. Aveva egli allora intrapreso un'importante e dif-ficile guerra; e l'incertezza dell'evento lo rendea semprepiù attento nell'osservare e notare i più minuti presagi,

padre il Tillemont (Hist. des Emp. Tom. IV. p. 534), ed anche la Bleterie (Vit.di Giuliano p. 413).

571Vedi il curioso trattato de Dea Syria, inserito fra le opere di Luciano(Tom. III. p. 451-490. Edit. Reitz.). La singolare denominazione di Ninus vetus(Ammiano XIV. 8) potrebbe far sospettare, che Jerapoli fosse stata la sede rea-le dell'Assiria.

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più conforme ai suoi desiderj a Batne, piccola città deli-ziosamente situata in un bosco di cipressi, distante circaventi miglia dalla città di Gerapoli. Gli abitanti di Batne,che sembravano attaccati al culto di Apollo e di Giove,loro tutelari Divinità, decentemente prepararono i ritisolenni del sacrifizio; ma rimase offesa la seria devozio-ne di Giuliano, dal tumulto del loro applauso, e troppochiaramente si accorse che il fumo, che alzavasi dai loroaltari, era piuttosto un incenso d'adulazione che di pietà.Non esisteva più l'antico e magnifico tempio, che avevaper tanti secoli santificato la città di Gerapoli571; e forse ibeni sacri, che somministravano un abbondante mante-nimento a più di trecento Sacerdoti, ne accelerarono larovina. Giuliano però ebbe la soddisfazione di abbrac-ciare un filosofo ed un amico, la religiosa fermezza delquale avea resistito alle pressanti e replicate sollecita-zioni di Costanzo e di Gallo, tutte le volte che que' Prin-cipi nel passar da Gerapoli aveano preso alloggio nellasua casa. Tanto nella confusione de' militari apparecchi,quanto nella tranquilla confidenza d'una famigliare ami-cizia, sembra che lo zelo di Giuliano fosse vivo ed uni-forme. Aveva egli allora intrapreso un'importante e dif-ficile guerra; e l'incertezza dell'evento lo rendea semprepiù attento nell'osservare e notare i più minuti presagi,

padre il Tillemont (Hist. des Emp. Tom. IV. p. 534), ed anche la Bleterie (Vit.di Giuliano p. 413).

571Vedi il curioso trattato de Dea Syria, inserito fra le opere di Luciano(Tom. III. p. 451-490. Edit. Reitz.). La singolare denominazione di Ninus vetus(Ammiano XIV. 8) potrebbe far sospettare, che Jerapoli fosse stata la sede rea-le dell'Assiria.

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da' quali secondo le regole della divinazione potessetrarsi qualche cognizion del futuro572; nè lasciò d'infor-mar Libanio del suo avanzarsi fino a Gerapoli, con unaelegante lettera573 che spiega la felicità del suo ingegno ela tenera amicizia che aveva pel Sofista Antiocheno.

Si era destinata Gerapoli, posta quasi sulle rivedell'Eufrate574, per la generale riunione delle truppe Ro-mane, che immediatamente passarono quel gran fiumesopra un ponte di barche, ch'era stato precedentementepreparato575. Se le inclinazioni di Giuliano fossero statesimili a quelle del suo predecessore, avrebbe consumatol'attiva ed importante stagione dell'anno nel circo di Sa-mosata, o nelle Chiese d'Edessa. Ma siccome il guerrie-ro Imperatore avea preso per suo modello Alessandropiuttosto che Costanzo, s'avanzò immediatamente versoCarre576, città molto antica della Mesopotamia, distanteottanta miglia da Gerapoli. Il tempio della Luna richia-mò la devozione di Giuliano, ma la fermata di pochi

572Giuliano (Epist. 28) tenne un esatto conto di tutti gli augurj fortunati, masoppresse gl'infelici, che sono diligentemente rammentati da Ammiano (XXIII.2).

573Juliano Epist. XXVII. p. 399-402.574Io prendo la prima occasione che mi si presenta di confessare le mie ob-

bligazioni verso il Danville per la recente sua geografia dell'Eufrate e del Tigri(Par. 1780. in 4.) che particolarmente illustra la spedizione di Giuliano.

575Vi sono tre passaggi, distanti poche miglia l'uno dall'altro: 1. Zeugma, ce-lebre presso gli antichi: 2. Bir, frequentato da' moderni: e 3. il ponte di Men-bigz, o sia Gerapoli alla distanza di quattro parasanghe dalla città.

576Haran, o Carre fu l'antica residenza de' Sabei e di Abramo. Vedasi l'Indi-ce Geografico di Schultens, (ad calc. vit. Saladini), opera da cui ho ricavatomolte notizie Orientali intorno all'antica e moderna Geografia della Siria e de-gli adiacenti paesi.

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da' quali secondo le regole della divinazione potessetrarsi qualche cognizion del futuro572; nè lasciò d'infor-mar Libanio del suo avanzarsi fino a Gerapoli, con unaelegante lettera573 che spiega la felicità del suo ingegno ela tenera amicizia che aveva pel Sofista Antiocheno.

Si era destinata Gerapoli, posta quasi sulle rivedell'Eufrate574, per la generale riunione delle truppe Ro-mane, che immediatamente passarono quel gran fiumesopra un ponte di barche, ch'era stato precedentementepreparato575. Se le inclinazioni di Giuliano fossero statesimili a quelle del suo predecessore, avrebbe consumatol'attiva ed importante stagione dell'anno nel circo di Sa-mosata, o nelle Chiese d'Edessa. Ma siccome il guerrie-ro Imperatore avea preso per suo modello Alessandropiuttosto che Costanzo, s'avanzò immediatamente versoCarre576, città molto antica della Mesopotamia, distanteottanta miglia da Gerapoli. Il tempio della Luna richia-mò la devozione di Giuliano, ma la fermata di pochi

572Giuliano (Epist. 28) tenne un esatto conto di tutti gli augurj fortunati, masoppresse gl'infelici, che sono diligentemente rammentati da Ammiano (XXIII.2).

573Juliano Epist. XXVII. p. 399-402.574Io prendo la prima occasione che mi si presenta di confessare le mie ob-

bligazioni verso il Danville per la recente sua geografia dell'Eufrate e del Tigri(Par. 1780. in 4.) che particolarmente illustra la spedizione di Giuliano.

575Vi sono tre passaggi, distanti poche miglia l'uno dall'altro: 1. Zeugma, ce-lebre presso gli antichi: 2. Bir, frequentato da' moderni: e 3. il ponte di Men-bigz, o sia Gerapoli alla distanza di quattro parasanghe dalla città.

576Haran, o Carre fu l'antica residenza de' Sabei e di Abramo. Vedasi l'Indi-ce Geografico di Schultens, (ad calc. vit. Saladini), opera da cui ho ricavatomolte notizie Orientali intorno all'antica e moderna Geografia della Siria e de-gli adiacenti paesi.

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giorni s'impiegò principalmente in compire gl'immensipreparativi della guerra Persiana. Fin qui aveva egli te-nuto celato il segreto della disposizione; ma essendoCarre il punto di separazione delle due grandi strade,non potè più nascondere se meditava d'attaccare i domi-nj di Sapore dalla parte del Tigri, o da quella dell'Eufra-te. L'Imperatore distaccò un'armata di trentamila uominisotto il comando di Procopio suo congiunto, e di Seba-stiano ch'era stato Duce dell'Egitto; ed ordinò loro, chedirigesser la marcia verso Nisibi per assicurar le frontie-re dalle improvvise scorrerie del nemico, avanti di tenta-re il passaggio del Tigri. Le seguenti loro operazioni ri-messe furono alla discrezione de' Generali medesimi;ma Giuliano sperava, che dopo d'aver posto a ferro efuoco i fertili distretti della Media e dell'Adiabene,avrebber potuto giungere sotto le mura di Ctesifonteverso il medesimo tempo, in cui egli, avanzandosi conugual passo lungo le sponde dell'Eufrate, avrebbe asse-diato la capitale della Monarchia Persiana. Il buon suc-cesso di questo ben concertato disegno dipendeva ingran parte dall'efficace e pronto aiuto del Re d'Armenia,che poteva, senza esporre ad alcun rischio la sicurezzade' suoi Stati, distaccare quattromila cavalli e ventimilafanti in aiuto de' Romani577. Ma il debole Arsace Tira-no578, Re d'Armenia, aveva degenerato viepiù vergogno-

577Vedi Senofonte Ciroped. l. III. p. 189. Edit. Hutchinson. Artavasdeavrebbe potuto soccorrere Marco Antonio con 16000 cavalli armati e discipli-nati secondo la maniera dei Parti. Plutarco in M. Antonio Tom. V. p. 117.

578Mosè di Corene (Hist. Armen. l. III c. 11. p. 242) pone il suo innalzamen-to al trono nell'anno 354 decimo settimo di Costanzo.

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giorni s'impiegò principalmente in compire gl'immensipreparativi della guerra Persiana. Fin qui aveva egli te-nuto celato il segreto della disposizione; ma essendoCarre il punto di separazione delle due grandi strade,non potè più nascondere se meditava d'attaccare i domi-nj di Sapore dalla parte del Tigri, o da quella dell'Eufra-te. L'Imperatore distaccò un'armata di trentamila uominisotto il comando di Procopio suo congiunto, e di Seba-stiano ch'era stato Duce dell'Egitto; ed ordinò loro, chedirigesser la marcia verso Nisibi per assicurar le frontie-re dalle improvvise scorrerie del nemico, avanti di tenta-re il passaggio del Tigri. Le seguenti loro operazioni ri-messe furono alla discrezione de' Generali medesimi;ma Giuliano sperava, che dopo d'aver posto a ferro efuoco i fertili distretti della Media e dell'Adiabene,avrebber potuto giungere sotto le mura di Ctesifonteverso il medesimo tempo, in cui egli, avanzandosi conugual passo lungo le sponde dell'Eufrate, avrebbe asse-diato la capitale della Monarchia Persiana. Il buon suc-cesso di questo ben concertato disegno dipendeva ingran parte dall'efficace e pronto aiuto del Re d'Armenia,che poteva, senza esporre ad alcun rischio la sicurezzade' suoi Stati, distaccare quattromila cavalli e ventimilafanti in aiuto de' Romani577. Ma il debole Arsace Tira-no578, Re d'Armenia, aveva degenerato viepiù vergogno-

577Vedi Senofonte Ciroped. l. III. p. 189. Edit. Hutchinson. Artavasdeavrebbe potuto soccorrere Marco Antonio con 16000 cavalli armati e discipli-nati secondo la maniera dei Parti. Plutarco in M. Antonio Tom. V. p. 117.

578Mosè di Corene (Hist. Armen. l. III c. 11. p. 242) pone il suo innalzamen-to al trono nell'anno 354 decimo settimo di Costanzo.

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samente che suo padre Cosroe dalle virili virtù del granTiridate; e siccome l'imbecille Monarca era contrario adogni impresa di pericolo e di gloria, egli potè maschera-re la timida sua indolenza con le più decenti scuse di re-ligione e di gratitudine. Dichiarò un devoto attaccamen-to alla memoria di Costanzo dalle mani del quale, avearicevuto per moglie Olimpiade, figlia del Prefetto Abla-vio, e la congiunzione d'una donna, educata per essermoglie dell'Imperator Costante, esaltava la dignità d'unRe Barbaro579. Tirano professava la Religione Cristiana;regnava sopra un popolo di Cristiani, ed ogni principiodi coscienza e d'interesse lo riteneva dal contribuire allavittoria, che avrebbe portato seco la rovina della Chiesa.Lo spirito già alienato di Tirano fu inasprito dall'indi-scretezza di Giuliano, che trattò il Re d'Armenia comesuo schiavo e come il nemico degli Dei. Il superbo e mi-naccioso stile degl'Imperiali comandi580 eccitò il segretosdegno d'un Principe, che nell'umiliante stato di dipen-denza tuttavia ricordavasi della sua real discendenza da-gli Arsacidi, padroni una volta dell'Oriente e rivali dellapotenza Romana.

Le militari disposizioni di Giuliano furono artificiosa-

579Ammiano XX. 11. Atanasio (Tom. I. p. 856.) dice in termini generali,che Costanzo diede la vedova del suo fratello τοις βαρβαροις a' Barbari,espressione più conveniente a un Romano che ad un Cristiano.

580Ammiano (XXIII. 2.) si serve d'un termine troppo mite in quest'occasio-ne, monuerat. Il Muratori (Fabr. Biblioth. Graec. Tom. VII. p. 86) ha pubblica-to una lettera scritta da Giuliano al Satrapo Arsace, impetuosa, bassa, e (sebbe-ne abbia potuto ingannare Sozomeno l. VI. c. 5.) molto probabilmente spuria.La Bleterie (Hist. de Jovien Tom. II p. 339) la traduce e la rigetta.

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samente che suo padre Cosroe dalle virili virtù del granTiridate; e siccome l'imbecille Monarca era contrario adogni impresa di pericolo e di gloria, egli potè maschera-re la timida sua indolenza con le più decenti scuse di re-ligione e di gratitudine. Dichiarò un devoto attaccamen-to alla memoria di Costanzo dalle mani del quale, avearicevuto per moglie Olimpiade, figlia del Prefetto Abla-vio, e la congiunzione d'una donna, educata per essermoglie dell'Imperator Costante, esaltava la dignità d'unRe Barbaro579. Tirano professava la Religione Cristiana;regnava sopra un popolo di Cristiani, ed ogni principiodi coscienza e d'interesse lo riteneva dal contribuire allavittoria, che avrebbe portato seco la rovina della Chiesa.Lo spirito già alienato di Tirano fu inasprito dall'indi-scretezza di Giuliano, che trattò il Re d'Armenia comesuo schiavo e come il nemico degli Dei. Il superbo e mi-naccioso stile degl'Imperiali comandi580 eccitò il segretosdegno d'un Principe, che nell'umiliante stato di dipen-denza tuttavia ricordavasi della sua real discendenza da-gli Arsacidi, padroni una volta dell'Oriente e rivali dellapotenza Romana.

Le militari disposizioni di Giuliano furono artificiosa-

579Ammiano XX. 11. Atanasio (Tom. I. p. 856.) dice in termini generali,che Costanzo diede la vedova del suo fratello τοις βαρβαροις a' Barbari,espressione più conveniente a un Romano che ad un Cristiano.

580Ammiano (XXIII. 2.) si serve d'un termine troppo mite in quest'occasio-ne, monuerat. Il Muratori (Fabr. Biblioth. Graec. Tom. VII. p. 86) ha pubblica-to una lettera scritta da Giuliano al Satrapo Arsace, impetuosa, bassa, e (sebbe-ne abbia potuto ingannare Sozomeno l. VI. c. 5.) molto probabilmente spuria.La Bleterie (Hist. de Jovien Tom. II p. 339) la traduce e la rigetta.

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mente prese in maniera da ingannare le spie, e divertirl'attenzione di Sapore. Pareva che le Legioni dirizzasse-ro la loro marcia verso Nisibi ed il Tigri. Ad un tratto sivoltarono a destra; attraversarono la uguale e nuda pia-nura di Carre, e giunsero il terzo giorno alle rivedell'Eufrate, dove i Re Macedoni avean fabbricato laforte città di Niceforio o Callinico. Quindi l'Imperatoreproseguì la sua marcia per più di novanta miglia lungo iltortuoso corso dell'Eufrate, sinchè circa un mese dopo lasua partenza da Antiochia, scuoprì finalmente le torri diCircesio, ultimo limite del dominio Romano. L'esercitodi Giuliano, più numeroso di qualunque altro che alcunImperatore avesse condotto contro i Persiani, consistevain sessantacinquemila effettivi e ben disciplinati soldati.Erano state scelte da varie Province le truppe veteranedi cavalleria e d'infanteria, di Romani e di Barbari; ed ivalorosi Galli, che guardavano il trono e la personadell'amato lor Principe, arrogavansi una giusta preemi-nenza di fedeltà e di valore. Si era trasportato da un altroclima e quasi da un altro Mondo un formidabile corpo diSciti ausiliari per invadere un lontano paese, di cui nonsapevano essi la situazione, nè il nome. L'amore dellarapina o della guerra tirò agl'Imperiali stendardi più tri-bù di Saracini o di Arabi vagabondi, che Giuliano faceamilitare, nel tempo che fortemente ricusava di pagarloro i consueti sussidi. Era occupato il largo canaledell'Eufrate581 da una flotta di mille e cento navi, desti-

581Latissimum flumen Eufratem artabat. Ammiano XXIII. 3. Un poco di so-pra, al guado di Tapsaco, il fiume è largo quattro stadi, ovvero 800 braccia,

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mente prese in maniera da ingannare le spie, e divertirl'attenzione di Sapore. Pareva che le Legioni dirizzasse-ro la loro marcia verso Nisibi ed il Tigri. Ad un tratto sivoltarono a destra; attraversarono la uguale e nuda pia-nura di Carre, e giunsero il terzo giorno alle rivedell'Eufrate, dove i Re Macedoni avean fabbricato laforte città di Niceforio o Callinico. Quindi l'Imperatoreproseguì la sua marcia per più di novanta miglia lungo iltortuoso corso dell'Eufrate, sinchè circa un mese dopo lasua partenza da Antiochia, scuoprì finalmente le torri diCircesio, ultimo limite del dominio Romano. L'esercitodi Giuliano, più numeroso di qualunque altro che alcunImperatore avesse condotto contro i Persiani, consistevain sessantacinquemila effettivi e ben disciplinati soldati.Erano state scelte da varie Province le truppe veteranedi cavalleria e d'infanteria, di Romani e di Barbari; ed ivalorosi Galli, che guardavano il trono e la personadell'amato lor Principe, arrogavansi una giusta preemi-nenza di fedeltà e di valore. Si era trasportato da un altroclima e quasi da un altro Mondo un formidabile corpo diSciti ausiliari per invadere un lontano paese, di cui nonsapevano essi la situazione, nè il nome. L'amore dellarapina o della guerra tirò agl'Imperiali stendardi più tri-bù di Saracini o di Arabi vagabondi, che Giuliano faceamilitare, nel tempo che fortemente ricusava di pagarloro i consueti sussidi. Era occupato il largo canaledell'Eufrate581 da una flotta di mille e cento navi, desti-

581Latissimum flumen Eufratem artabat. Ammiano XXIII. 3. Un poco di so-pra, al guado di Tapsaco, il fiume è largo quattro stadi, ovvero 800 braccia,

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nate a seguitar i movimenti ed a supplire a' bisognidell'armata Romana. La forza militare della flotta eracomposta di cinquanta galere armate; e a queste s'univaun ugual numero di barche piatte, che alle occorrenze sipotevan connettere insieme in forma di mobili ponti. Lealtre navi, parte costrutte di tavole, e parte coperte dipelli crude, eran cariche d'una quasi infinita quantità diarmi e di macchine, di utensili e di provvisioni. La vigi-lante umanità di Giuliano aveva fatto imbarcare unagrandissima dose di aceto e di biscotto per uso de' solda-ti, ma proibì la mollezza del vino; e rigorosamente arre-stò una lunga serie di cammelli superflui, che incomin-ciavano a seguitare la retroguardia dell'esercito. Il fiumeCabora si getta nell'Eufrate a Circesio582; ed appena latromba diede il segno, i Romani passarono quel piccoltorrente, che separava i due potenti ed ostili Imperi.L'uso della antica disciplina esigeva un'orazion militare;e Giuliano prendeva ogni occasione di far pompa dellasua eloquenza. Egli animò le impazienti ed attente Le-gioni coll'esempio dell'inflessibil coraggio e dei gloriositrionfi dei loro maggiori; eccitonne lo sdegno con unavivace pittura dell'insolenza dei Persiani; e le esortò ad

quasi mezzo miglio Inglese (Xenof. Anabas. lib. I. p. 41. Edit. Hutch. colle os-serv. di Foster. p. 28. ec. nel secondo volume della Traduzione di Spelman). Sela larghezza dell'Eufrate a Bir ed a Zeugma non è maggiore di 130 braccia(Viag. di Niebuhr Tom. II. p. 335.), tal enorme differenza deve specialmentenascere dalla profondità del canale.

582Monumentum tutissimum, et fabre politum, cujus moenia Abora (gliOrientali l'aspirano dicendo Cabora o Cabor) et Euphrates ambiunt fluminavelut spatium insulare fingentes. Ammiano XXIII. 5.

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nate a seguitar i movimenti ed a supplire a' bisognidell'armata Romana. La forza militare della flotta eracomposta di cinquanta galere armate; e a queste s'univaun ugual numero di barche piatte, che alle occorrenze sipotevan connettere insieme in forma di mobili ponti. Lealtre navi, parte costrutte di tavole, e parte coperte dipelli crude, eran cariche d'una quasi infinita quantità diarmi e di macchine, di utensili e di provvisioni. La vigi-lante umanità di Giuliano aveva fatto imbarcare unagrandissima dose di aceto e di biscotto per uso de' solda-ti, ma proibì la mollezza del vino; e rigorosamente arre-stò una lunga serie di cammelli superflui, che incomin-ciavano a seguitare la retroguardia dell'esercito. Il fiumeCabora si getta nell'Eufrate a Circesio582; ed appena latromba diede il segno, i Romani passarono quel piccoltorrente, che separava i due potenti ed ostili Imperi.L'uso della antica disciplina esigeva un'orazion militare;e Giuliano prendeva ogni occasione di far pompa dellasua eloquenza. Egli animò le impazienti ed attente Le-gioni coll'esempio dell'inflessibil coraggio e dei gloriositrionfi dei loro maggiori; eccitonne lo sdegno con unavivace pittura dell'insolenza dei Persiani; e le esortò ad

quasi mezzo miglio Inglese (Xenof. Anabas. lib. I. p. 41. Edit. Hutch. colle os-serv. di Foster. p. 28. ec. nel secondo volume della Traduzione di Spelman). Sela larghezza dell'Eufrate a Bir ed a Zeugma non è maggiore di 130 braccia(Viag. di Niebuhr Tom. II. p. 335.), tal enorme differenza deve specialmentenascere dalla profondità del canale.

582Monumentum tutissimum, et fabre politum, cujus moenia Abora (gliOrientali l'aspirano dicendo Cabora o Cabor) et Euphrates ambiunt fluminavelut spatium insulare fingentes. Ammiano XXIII. 5.

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imitare la sua ferma risoluzione o di estirpare quellaperfida razza; o di sacrificare la propria vita in vantag-gio della Repubblica. Fu invigorita l'eloquenza di Giu-liano da un donativo di centotrenta monete d'argento persoldato; ed immediatamente fu rotto il ponte di Caboraper convincer le truppe, che non dovevan collocar lesperanze di salvezza, che nel successo delle loro armi.Tuttavia la prudenza dell'Imperatore l'indusse ad assicu-rare una distante frontiera, esposta di continuo alle scor-rerie degli Arabi nemici. Lasciò a Circesio un distacca-mento di quattromila uomini che con quelli, che giàv'erano, compiva il numero di diecimila soldati, regolarguarnigione di quella importante Fortezza583.

Subito che i Romani entrarono nel paese584 d'un attivoed artificioso nemico, fu disposto in tre colonne585 l'ordi-ne della marcia. Fu posta nel centro la forza dell'infante-ria, e per conseguenza di tutto l'esercito, sotto il partico-lar comando di Vittore, Generale di essa. A destra il va-loroso Nevitta conduceva una colonna di varie legionilungo le sponde dell'Eufrate, e quasi sempre in vista del-la flotta, e la colonna della cavalleria proteggeva il fian-co sinistro dell'esercito. Ormisda ed Arinteo furono elet-

583Si descrivono l'impresa e l'armamento di Giuliano da lui stesso (Epist.XXVII.), da Ammiano Marcellino (XXIII. 3, 4, 5.), da Libanio (Orat. parent. c.108. 109. p. 332. 333.), da Zosimo (lib. III. p. 160, 161, 162.), da Sozomeno(lib. VI. c. 1.) e da Gio. Malala (Tom. II. p. 17.).

584Prima d'entrar nella Persia, Ammiano descrive ampiamente (XXIII. 6. p.369-419. Edit. Gronov. in 4.) le otto gran Satrapie o Province (fino alle frontie-re Seriche, o Chinesi) che erano sottoposte ai Sassanidi.

585Ammiano (XXIV. 1.) e Zosimo (lib. III. pag. 162. 163.) hanno accurata-mente esposto tal ordine.

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imitare la sua ferma risoluzione o di estirpare quellaperfida razza; o di sacrificare la propria vita in vantag-gio della Repubblica. Fu invigorita l'eloquenza di Giu-liano da un donativo di centotrenta monete d'argento persoldato; ed immediatamente fu rotto il ponte di Caboraper convincer le truppe, che non dovevan collocar lesperanze di salvezza, che nel successo delle loro armi.Tuttavia la prudenza dell'Imperatore l'indusse ad assicu-rare una distante frontiera, esposta di continuo alle scor-rerie degli Arabi nemici. Lasciò a Circesio un distacca-mento di quattromila uomini che con quelli, che giàv'erano, compiva il numero di diecimila soldati, regolarguarnigione di quella importante Fortezza583.

Subito che i Romani entrarono nel paese584 d'un attivoed artificioso nemico, fu disposto in tre colonne585 l'ordi-ne della marcia. Fu posta nel centro la forza dell'infante-ria, e per conseguenza di tutto l'esercito, sotto il partico-lar comando di Vittore, Generale di essa. A destra il va-loroso Nevitta conduceva una colonna di varie legionilungo le sponde dell'Eufrate, e quasi sempre in vista del-la flotta, e la colonna della cavalleria proteggeva il fian-co sinistro dell'esercito. Ormisda ed Arinteo furono elet-

583Si descrivono l'impresa e l'armamento di Giuliano da lui stesso (Epist.XXVII.), da Ammiano Marcellino (XXIII. 3, 4, 5.), da Libanio (Orat. parent. c.108. 109. p. 332. 333.), da Zosimo (lib. III. p. 160, 161, 162.), da Sozomeno(lib. VI. c. 1.) e da Gio. Malala (Tom. II. p. 17.).

584Prima d'entrar nella Persia, Ammiano descrive ampiamente (XXIII. 6. p.369-419. Edit. Gronov. in 4.) le otto gran Satrapie o Province (fino alle frontie-re Seriche, o Chinesi) che erano sottoposte ai Sassanidi.

585Ammiano (XXIV. 1.) e Zosimo (lib. III. pag. 162. 163.) hanno accurata-mente esposto tal ordine.

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ti Generali della cavalleria; e le singolari avventure delprimo di essi meritano la nostra attenzione586. Egli eraun Principe Persiano della stirpe reale de' Sassanidi, chenelle turbolenze della minorità di Sapore, dalla prigioneerasi rifuggito all'ospital Corte di Costantino Magno. Aprincipio eccitò egli la compassione, ed in seguito ac-quistò la stima dei suoi nuovi Signori. Il valore e la fe-deltà l'innalzarono agli onori militari del Romano Impe-ro; e quantunque Cristiano, esso nutriva il segreto piace-re di convincer l'ingrata sua patria, che un suddito op-presso può divenire il più pericoloso nemico. Tal era ladisposizione delle tre principali colonne. La fronte ed ifianchi dell'esercito venivano coperti da Luciliano conun corpo volante di mille cinquecento soldati di leggieraarmatura, l'attiva vigilanza dei quali osservava i segnipiù remoti, e portava le più opportune notizie d'ogni av-vicinamento nemico. Dagalaifo e Secondino, Duced'Osroena, comandavan le truppe della retroguardia, ilbagaglio marciava con sicurezza negli intervalli dellecolonne; e le file, o sia per uso, o per ostentazione, erandisposte in tal ordine, che tutta la linea della marciaestendeva a quasi dieci miglia. L'ordinario posto di Giu-liano era alla testa della colonna centrale; ma siccomeesso preferiva i doveri di Generale allo stato di Monar-ca, rapidamente correva, con una piccola scorta di ca-

586Si raccontano le avventure d'Ormisda con qualche miscuglio di favola daZosimo (l. II. p. 100-102.) e dal Tillemont (Hist. des Emper. T. IV. p. 188.). Egliè impossibile, che ei fosse il fratello (frater germanus) di un primogenito po-stumo; nè io mi ricordo che Ammiano gli abbia mai dato quel titolo.

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ti Generali della cavalleria; e le singolari avventure delprimo di essi meritano la nostra attenzione586. Egli eraun Principe Persiano della stirpe reale de' Sassanidi, chenelle turbolenze della minorità di Sapore, dalla prigioneerasi rifuggito all'ospital Corte di Costantino Magno. Aprincipio eccitò egli la compassione, ed in seguito ac-quistò la stima dei suoi nuovi Signori. Il valore e la fe-deltà l'innalzarono agli onori militari del Romano Impe-ro; e quantunque Cristiano, esso nutriva il segreto piace-re di convincer l'ingrata sua patria, che un suddito op-presso può divenire il più pericoloso nemico. Tal era ladisposizione delle tre principali colonne. La fronte ed ifianchi dell'esercito venivano coperti da Luciliano conun corpo volante di mille cinquecento soldati di leggieraarmatura, l'attiva vigilanza dei quali osservava i segnipiù remoti, e portava le più opportune notizie d'ogni av-vicinamento nemico. Dagalaifo e Secondino, Duced'Osroena, comandavan le truppe della retroguardia, ilbagaglio marciava con sicurezza negli intervalli dellecolonne; e le file, o sia per uso, o per ostentazione, erandisposte in tal ordine, che tutta la linea della marciaestendeva a quasi dieci miglia. L'ordinario posto di Giu-liano era alla testa della colonna centrale; ma siccomeesso preferiva i doveri di Generale allo stato di Monar-ca, rapidamente correva, con una piccola scorta di ca-

586Si raccontano le avventure d'Ormisda con qualche miscuglio di favola daZosimo (l. II. p. 100-102.) e dal Tillemont (Hist. des Emper. T. IV. p. 188.). Egliè impossibile, che ei fosse il fratello (frater germanus) di un primogenito po-stumo; nè io mi ricordo che Ammiano gli abbia mai dato quel titolo.

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valleggieri, alla fronte, alla retroguardia, a' fianchi, e do-vunque la sua presenza poteva animare o proteggere lemosse dell'armata Romana. Il paese, che traversaronodal Cabora fino alle terre coltivate dell'Assiria, può con-siderarsi come una parte del deserto dell'Arabia, vale adire un arido e nudo terreno, che non potè mai coltivarsidalle arti più efficaci dell'umana industria. Giulianomarciò sulla medesima strada, che era stata fatta intornoa settecento anni prima da Ciro il Giovane, e che viendescritta dal saggio ed eroico Senofonte, uno dei com-pagni della sua spedizione587. «Il terreno era tutto pianofino al mare, e pieno di piante d'assenzio; e se vi nasce-va qualche altra specie di arboscelli o di canne, avevanotutti un odore aromatico, ma non vi si vedevano alberi.Pareva che i soli abitatori di quel deserto fossero struzzied ottarde (specie di oche dette granajole) gazzelle edasini selvaggi588, e le fatiche della marcia eran mitigatedai divertimenti della caccia». Frequentemente dal ven-to era sollevata la minuta sabbia del deserto in nuvole dipolvere; ed una gran parte dei soldati di Giuliano, insie-me con le lor tende, venivano ad un tratto gettati a terradalla violenza d'improvvisi Oragani.

Le arenose pianure della Mesopotamia erano abban-donate alle gazzelle ed agli asini selvaggi del deserto;

587Vedi il primo libro dell'Anabasi p. 45. 46. Questa piacevole opera è origi-nale ed autentica; pure la memoria di Senofonte, forse molti anni dopo la spe-dizione, qualche volta l'ha tradito; e le distanze, ch'ei nota, sono spesso mag-giori di quel che possa accordare un soldato o un geografo.

588M. Spelman, traduttore inglese dell'Anabasi (Vol. I. p. 151.), confonde lagazzella col capriolo, e l'asino selvaggio collo zebra.

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valleggieri, alla fronte, alla retroguardia, a' fianchi, e do-vunque la sua presenza poteva animare o proteggere lemosse dell'armata Romana. Il paese, che traversaronodal Cabora fino alle terre coltivate dell'Assiria, può con-siderarsi come una parte del deserto dell'Arabia, vale adire un arido e nudo terreno, che non potè mai coltivarsidalle arti più efficaci dell'umana industria. Giulianomarciò sulla medesima strada, che era stata fatta intornoa settecento anni prima da Ciro il Giovane, e che viendescritta dal saggio ed eroico Senofonte, uno dei com-pagni della sua spedizione587. «Il terreno era tutto pianofino al mare, e pieno di piante d'assenzio; e se vi nasce-va qualche altra specie di arboscelli o di canne, avevanotutti un odore aromatico, ma non vi si vedevano alberi.Pareva che i soli abitatori di quel deserto fossero struzzied ottarde (specie di oche dette granajole) gazzelle edasini selvaggi588, e le fatiche della marcia eran mitigatedai divertimenti della caccia». Frequentemente dal ven-to era sollevata la minuta sabbia del deserto in nuvole dipolvere; ed una gran parte dei soldati di Giuliano, insie-me con le lor tende, venivano ad un tratto gettati a terradalla violenza d'improvvisi Oragani.

Le arenose pianure della Mesopotamia erano abban-donate alle gazzelle ed agli asini selvaggi del deserto;

587Vedi il primo libro dell'Anabasi p. 45. 46. Questa piacevole opera è origi-nale ed autentica; pure la memoria di Senofonte, forse molti anni dopo la spe-dizione, qualche volta l'ha tradito; e le distanze, ch'ei nota, sono spesso mag-giori di quel che possa accordare un soldato o un geografo.

588M. Spelman, traduttore inglese dell'Anabasi (Vol. I. p. 151.), confonde lagazzella col capriolo, e l'asino selvaggio collo zebra.

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ma sulle rive dell'Eufrate e nelle isole accidentalmenteformate da quel fiume, trovavasi una quantità di popola-te città e di villaggi assai piacevolmente situati. La cittàdi Annah o Anato589, attual residenza d'un Emir Arabo, ècomposta di due lunghe strade, che chiudono in unaFortezza naturale una piccola isola nel mezzo, e due fer-tili pezzi da ciaschedun lato dell'Eufrate. I guerrieri abi-tanti di Anato mostrarono qualche disposizione ad arre-stare il progresso di un Romano Imperatore, finattantoche non furono distolti da quella fatal presunzione, perle dolci esortazioni del Principe Ormisda ed i prossimiterrori della flotta e dell'esercito. Implorarono essi edesperimentarono la clemenza di Giuliano, che trasferì ilpopolo in un luogo vantaggioso vicino a Calcide nellaSiria, e diede a Puseo, loro Governatore, un posto ono-revole nella sua milizia e confidenza. Ma l'inespugnabilFortezza di Tiluta potè disprezzar la minaccia d'un asse-dio, e l'Imperatore si dovè contentare dell'insultante pro-messa, che quando egli avrebbe soggiogato le interneProvince della Persia, Tiluta non avrebbe più ricusato dionorare il trionfo del conquistatore. Gli abitatori dei luo-ghi aperti essendo incapaci di resistere, e non volendocedere, precipitosamente fuggivano; e le loro case, pie-ne di spoglie e di provvisioni, erano occupate dai soldatidi Giuliano, che senza rimorso ed impunemente trucida-

589Vedi Viag. di Tavernier P. I. l. III. p. 316. e più specialmente i Viaggi diPietro della Valle T. I. let. XVII. p. 671. Egli non sapeva l'antico nome e la con-dizione di Annah. I ciechi nostri viaggiatori hanno rare volte alcuna previa no-tizia dei paesi che visitano. Meritano però un'onorevol eccezione Shaw e Tour-nefort.

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ma sulle rive dell'Eufrate e nelle isole accidentalmenteformate da quel fiume, trovavasi una quantità di popola-te città e di villaggi assai piacevolmente situati. La cittàdi Annah o Anato589, attual residenza d'un Emir Arabo, ècomposta di due lunghe strade, che chiudono in unaFortezza naturale una piccola isola nel mezzo, e due fer-tili pezzi da ciaschedun lato dell'Eufrate. I guerrieri abi-tanti di Anato mostrarono qualche disposizione ad arre-stare il progresso di un Romano Imperatore, finattantoche non furono distolti da quella fatal presunzione, perle dolci esortazioni del Principe Ormisda ed i prossimiterrori della flotta e dell'esercito. Implorarono essi edesperimentarono la clemenza di Giuliano, che trasferì ilpopolo in un luogo vantaggioso vicino a Calcide nellaSiria, e diede a Puseo, loro Governatore, un posto ono-revole nella sua milizia e confidenza. Ma l'inespugnabilFortezza di Tiluta potè disprezzar la minaccia d'un asse-dio, e l'Imperatore si dovè contentare dell'insultante pro-messa, che quando egli avrebbe soggiogato le interneProvince della Persia, Tiluta non avrebbe più ricusato dionorare il trionfo del conquistatore. Gli abitatori dei luo-ghi aperti essendo incapaci di resistere, e non volendocedere, precipitosamente fuggivano; e le loro case, pie-ne di spoglie e di provvisioni, erano occupate dai soldatidi Giuliano, che senza rimorso ed impunemente trucida-

589Vedi Viag. di Tavernier P. I. l. III. p. 316. e più specialmente i Viaggi diPietro della Valle T. I. let. XVII. p. 671. Egli non sapeva l'antico nome e la con-dizione di Annah. I ciechi nostri viaggiatori hanno rare volte alcuna previa no-tizia dei paesi che visitano. Meritano però un'onorevol eccezione Shaw e Tour-nefort.

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rono alcune donne senza difesa. Durante la marcia, ilSurenas o Generale Persiano, e Malek Rodosace, famo-so Emir della tribù di Gassan590, continuamente andavangirando intorno all'armata; s'intercettava chiunque sco-stavasi dall'esercito; ogni distaccamento era attaccato;ed il valente Ormisda con qualche difficoltà potè libe-rarsi dalle lor mani. Ma i Barbari furono finalmente re-spinti; il paese diveniva sempre meno favorevole alleoperazioni della cavalleria; e quando i Romani giunseroa Macepratta osservarono le rovine della muraglia, cheera stata costrutta dagli antichi Re dell'Assiria per assi-curare i loro Stati dalle scorrerie dei Medi. Questi preli-minari della spedizion di Giuliano par che occupasserocirca quindici giorni; e possiamo computare quasi tre-cento miglia dalla Fortezza di Circesio alle mura di Ma-cepratta591.

La fertile Provincia dell'Assiria592 che s'estendeva al

590Famosi nominis latro, dice Ammiano, ch'è un grande encomio per unArabo. La tribù di Gassan era stabilita sul confine della Siria, e regnò qualchetempo in Damasco sotto una Dinastia di trentun Re, o Emiri, dal tempo diPompeo fino a quello del Califfo Omar. D'Herbelot Bibl. Orient. p. 360.Pocock Specim. Histor. Arab. p. 76. 78. Nella lista però di essi non si trova ilnome di Rodosace.

591Ved. Ammiano (XXIV. I. 2). Libanio (Orat. parent. c. 110. 111. p. 334.),Zosimo (l. III p. 164-168).

592Ci vien somministrata la descrizione dell'Assiria da Erodoto (lib. I. c.192.), che ora scrive pe' fanciulli, ed ora pe' filosofi; da Strabone (lib. XVI. p.1070, 1082.) e da Ammiano (lib. XXIII. c. 6). Fra' moderni viaggiatori i mi-gliori sono Tavernier (Part. I. l. II. p. 226-258.), Otter. (T. II. p. 35-69. e 189-224.) e Niebuhr (Tom. II. p. 172-288.). Nondimeno mi rincresce assai che nonsia stato tradotto l'Irak Arabi di Albufeda.

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rono alcune donne senza difesa. Durante la marcia, ilSurenas o Generale Persiano, e Malek Rodosace, famo-so Emir della tribù di Gassan590, continuamente andavangirando intorno all'armata; s'intercettava chiunque sco-stavasi dall'esercito; ogni distaccamento era attaccato;ed il valente Ormisda con qualche difficoltà potè libe-rarsi dalle lor mani. Ma i Barbari furono finalmente re-spinti; il paese diveniva sempre meno favorevole alleoperazioni della cavalleria; e quando i Romani giunseroa Macepratta osservarono le rovine della muraglia, cheera stata costrutta dagli antichi Re dell'Assiria per assi-curare i loro Stati dalle scorrerie dei Medi. Questi preli-minari della spedizion di Giuliano par che occupasserocirca quindici giorni; e possiamo computare quasi tre-cento miglia dalla Fortezza di Circesio alle mura di Ma-cepratta591.

La fertile Provincia dell'Assiria592 che s'estendeva al

590Famosi nominis latro, dice Ammiano, ch'è un grande encomio per unArabo. La tribù di Gassan era stabilita sul confine della Siria, e regnò qualchetempo in Damasco sotto una Dinastia di trentun Re, o Emiri, dal tempo diPompeo fino a quello del Califfo Omar. D'Herbelot Bibl. Orient. p. 360.Pocock Specim. Histor. Arab. p. 76. 78. Nella lista però di essi non si trova ilnome di Rodosace.

591Ved. Ammiano (XXIV. I. 2). Libanio (Orat. parent. c. 110. 111. p. 334.),Zosimo (l. III p. 164-168).

592Ci vien somministrata la descrizione dell'Assiria da Erodoto (lib. I. c.192.), che ora scrive pe' fanciulli, ed ora pe' filosofi; da Strabone (lib. XVI. p.1070, 1082.) e da Ammiano (lib. XXIII. c. 6). Fra' moderni viaggiatori i mi-gliori sono Tavernier (Part. I. l. II. p. 226-258.), Otter. (T. II. p. 35-69. e 189-224.) e Niebuhr (Tom. II. p. 172-288.). Nondimeno mi rincresce assai che nonsia stato tradotto l'Irak Arabi di Albufeda.

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di là del Tigri fino alle montagne della Media593, conte-neva circa quattrocento miglia, dall'antica muraglia diMacepratta fino al territorio di Basra, dove le acquedell'Eufrate e del Tigri vanno insieme a scaricarsi nelgolfo Persico594. A tutto quel tratto potrebbe darsi il par-ticolar nome di Mesopotamia, mentre i due fiumi, chenon son mai più distanti di cinquanta miglia fra loro, fraBagdad e Babilonia si avvicinano alla distanza di venti-cinque. Una quantità di canali, scavati senza molta fati-ca in un suolo molle e cedente, congiungevano i fiumi,ed intersecavano il piano dell'Assiria. Gli usi di questiartificiali canali eran varj ed importanti: servivano a sca-ricare le acque superflue da un fiume nell'altro al tempodelle respettive loro innondazioni: suddividendosi insempre più piccoli rami, rinfrescavano le aride terre, esupplivano alla mancanza della pioggia; facilitavano lacomunicazione ed il commercio in tempo di pace; e sic-come potevano prestamente rompersi le cateratte, som-ministravano alla disperazione degli Assirj i mezzi diopporre un subitaneo diluvio al progresso d'un esercitoche gl'invadesse. La natura negato aveva al suolo ed alclima dell'Assiria alcuni dei suoi più scelti doni, come la

593Ammiano osserva, che l'Assiria primitiva, la quale comprendeva Nino(Ninive) ed Arbella, aveva preso la più moderna e special denominazioned'Adiabene, e sembra che ponga Teredone, Vologesia, ed Apollonia come leultime città dell'attual Provincia dell'Assiria.

594I due fiumi si uniscono ad Apamea, o Corna (cento miglia distante dalgolfo Persico) nel largo canale del Pasitigris, o Shat-ul-Arab. L'Eufrate antica-mente arrivava al mare per una bocca separata, che fu chiusa, e deviatone ilcorso da' cittadini di Orcoe, circa venti miglia al Sud-est della moderna Basra.Danville nelle memor. dell'Accad. delle inscriz. Tom. XXX. p. 170-191.

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di là del Tigri fino alle montagne della Media593, conte-neva circa quattrocento miglia, dall'antica muraglia diMacepratta fino al territorio di Basra, dove le acquedell'Eufrate e del Tigri vanno insieme a scaricarsi nelgolfo Persico594. A tutto quel tratto potrebbe darsi il par-ticolar nome di Mesopotamia, mentre i due fiumi, chenon son mai più distanti di cinquanta miglia fra loro, fraBagdad e Babilonia si avvicinano alla distanza di venti-cinque. Una quantità di canali, scavati senza molta fati-ca in un suolo molle e cedente, congiungevano i fiumi,ed intersecavano il piano dell'Assiria. Gli usi di questiartificiali canali eran varj ed importanti: servivano a sca-ricare le acque superflue da un fiume nell'altro al tempodelle respettive loro innondazioni: suddividendosi insempre più piccoli rami, rinfrescavano le aride terre, esupplivano alla mancanza della pioggia; facilitavano lacomunicazione ed il commercio in tempo di pace; e sic-come potevano prestamente rompersi le cateratte, som-ministravano alla disperazione degli Assirj i mezzi diopporre un subitaneo diluvio al progresso d'un esercitoche gl'invadesse. La natura negato aveva al suolo ed alclima dell'Assiria alcuni dei suoi più scelti doni, come la

593Ammiano osserva, che l'Assiria primitiva, la quale comprendeva Nino(Ninive) ed Arbella, aveva preso la più moderna e special denominazioned'Adiabene, e sembra che ponga Teredone, Vologesia, ed Apollonia come leultime città dell'attual Provincia dell'Assiria.

594I due fiumi si uniscono ad Apamea, o Corna (cento miglia distante dalgolfo Persico) nel largo canale del Pasitigris, o Shat-ul-Arab. L'Eufrate antica-mente arrivava al mare per una bocca separata, che fu chiusa, e deviatone ilcorso da' cittadini di Orcoe, circa venti miglia al Sud-est della moderna Basra.Danville nelle memor. dell'Accad. delle inscriz. Tom. XXX. p. 170-191.

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vite, l'ulivo, il fico ec.; ma vi nasceva con inesauribilfertilità il cibo che sostiene la vita umana e specialmenteil grano e l'orzo; e l'Agricoltore che gettava in terra ilsuo seme, veniva spesso premiato con una raccolta didue e fino di trecento volte maggiore. La superficie delpaese era ornata di boschi d'innumerabili palme595; ed idiligenti abitatori celebravano sì in versi che in prosa itrecento sessanta usi, che potevano artificiosamente far-si del tronco, de' rami, delle foglie, del sugo e del fruttodi esse. Varie manifatture, in specie di cuojo e di lino,impiegavan l'industria d'un numeroso popolo, e sommi-nistravano pregevoli materiali pel commercio straniero,il quale per altro sembra, che fosse fatto dai forestieri.Babilonia era stata ridotta ad un parco reale; ma pressole rovine dell'antica capitale erano in diversi tempi sortenovelle città, e la popolazione del paese s'era diffusa inuna moltitudine di terre e di villaggi, che erano fabbrica-ti di mattoni seccati al sole e fortemente collegati insie-me con bitume, che è un naturale e special prodotto delsuolo di Babilonia. Quando i successori di Ciro domina-van sull'Asia, la sola Provincia dell'Assiria mantenevaper la terza parte dell'anno la lussuriosa abbondanza del-la tavola e della casa dei gran Re. Erano assegnati quat-tro considerabili villaggi per la sussistenza dei cani In-diani, ottocento stalloni e sedicimila cavalle continua-mente si mantenevano a spese del paese per le stalle rea-li; e siccome il tributo quotidiano, che pagasi al Satrapo,

595Il dotto Kaempfer ha esaurito come botanico, come antiquario, e comeviaggiatore il soggetto delle palme. Amoenit. exoticae Fascicul. IV. p. 660-674.

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vite, l'ulivo, il fico ec.; ma vi nasceva con inesauribilfertilità il cibo che sostiene la vita umana e specialmenteil grano e l'orzo; e l'Agricoltore che gettava in terra ilsuo seme, veniva spesso premiato con una raccolta didue e fino di trecento volte maggiore. La superficie delpaese era ornata di boschi d'innumerabili palme595; ed idiligenti abitatori celebravano sì in versi che in prosa itrecento sessanta usi, che potevano artificiosamente far-si del tronco, de' rami, delle foglie, del sugo e del fruttodi esse. Varie manifatture, in specie di cuojo e di lino,impiegavan l'industria d'un numeroso popolo, e sommi-nistravano pregevoli materiali pel commercio straniero,il quale per altro sembra, che fosse fatto dai forestieri.Babilonia era stata ridotta ad un parco reale; ma pressole rovine dell'antica capitale erano in diversi tempi sortenovelle città, e la popolazione del paese s'era diffusa inuna moltitudine di terre e di villaggi, che erano fabbrica-ti di mattoni seccati al sole e fortemente collegati insie-me con bitume, che è un naturale e special prodotto delsuolo di Babilonia. Quando i successori di Ciro domina-van sull'Asia, la sola Provincia dell'Assiria mantenevaper la terza parte dell'anno la lussuriosa abbondanza del-la tavola e della casa dei gran Re. Erano assegnati quat-tro considerabili villaggi per la sussistenza dei cani In-diani, ottocento stalloni e sedicimila cavalle continua-mente si mantenevano a spese del paese per le stalle rea-li; e siccome il tributo quotidiano, che pagasi al Satrapo,

595Il dotto Kaempfer ha esaurito come botanico, come antiquario, e comeviaggiatore il soggetto delle palme. Amoenit. exoticae Fascicul. IV. p. 660-674.

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ascendeva ad uno stajo Inglese d'argento, possiamo va-lutare l'annua rendita dell'Assiria più di un milione e du-gentomila lire sterline596.

[A. D. 363]Le campagne dell'Assiria furono condannate da Giu-

liano alle calamità della guerra, ed il filosofo vendicòsopra un innocente popolo gli atti di rapina e di crudeltà,che il loro superbo Signore avea commessi nelle Provin-ce Romane. I tremanti Assiri chiamarono in loro aiuto ifiumi, e con le proprie mani finiron di rovinare il loropaese. Le strade si rendettero impraticabili; si portò nelcampo un diluvio di acque e per più giorni le truppe diGiuliano furon costrette a combattere coi travagli più in-tollerabili. Ma sormontossi ogni ostacolo dalla perseve-ranza dei legionarj, che erano indurati alla fatica ed alpericolo, e che si sentivano animati dallo spirito del loroCapo. Il danno era di mano in mano riparato; le acqueridotte a' loro canali; furono tagliati degl'interi boschi dipalme, e posti lungo le rotture delle strade; e l'armatapassava i larghi e molto profondi canali su ponti formati

596L'Assiria pagava ogni giorno al Satrapo della Persia un artaba d'argento.La nota proporzione de' pesi e delle misure (Vedi l'elaborata ricerca del Vesco-vo Hooper) la gravità specifica dell'acque e dell'argento, ed il valore di questometallo dopo un breve conteggio daranno l'annua rendita da me fissata. Pure ilgran Re non riceveva dall'Assiria più di mille talenti Euboici o Tiri (252,000.lire sterl.). Il paragone di due passi d'Erodoto (lib. I. c. 192. lib. III. c. 89-96)dimostra un'importante differenza fra l'entrata lorda e netta della Persia; fra lesomme pagate dalle Province, e l'oro e l'argento che entrava nel Regio Erario.Dei diciassette o diciotto milioni, che si esigevan dal popolo il Monarca avràrealizzati annualmente solo tre milioni seicento mila lire.

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ascendeva ad uno stajo Inglese d'argento, possiamo va-lutare l'annua rendita dell'Assiria più di un milione e du-gentomila lire sterline596.

[A. D. 363]Le campagne dell'Assiria furono condannate da Giu-

liano alle calamità della guerra, ed il filosofo vendicòsopra un innocente popolo gli atti di rapina e di crudeltà,che il loro superbo Signore avea commessi nelle Provin-ce Romane. I tremanti Assiri chiamarono in loro aiuto ifiumi, e con le proprie mani finiron di rovinare il loropaese. Le strade si rendettero impraticabili; si portò nelcampo un diluvio di acque e per più giorni le truppe diGiuliano furon costrette a combattere coi travagli più in-tollerabili. Ma sormontossi ogni ostacolo dalla perseve-ranza dei legionarj, che erano indurati alla fatica ed alpericolo, e che si sentivano animati dallo spirito del loroCapo. Il danno era di mano in mano riparato; le acqueridotte a' loro canali; furono tagliati degl'interi boschi dipalme, e posti lungo le rotture delle strade; e l'armatapassava i larghi e molto profondi canali su ponti formati

596L'Assiria pagava ogni giorno al Satrapo della Persia un artaba d'argento.La nota proporzione de' pesi e delle misure (Vedi l'elaborata ricerca del Vesco-vo Hooper) la gravità specifica dell'acque e dell'argento, ed il valore di questometallo dopo un breve conteggio daranno l'annua rendita da me fissata. Pure ilgran Re non riceveva dall'Assiria più di mille talenti Euboici o Tiri (252,000.lire sterl.). Il paragone di due passi d'Erodoto (lib. I. c. 192. lib. III. c. 89-96)dimostra un'importante differenza fra l'entrata lorda e netta della Persia; fra lesomme pagate dalle Province, e l'oro e l'argento che entrava nel Regio Erario.Dei diciassette o diciotto milioni, che si esigevan dal popolo il Monarca avràrealizzati annualmente solo tre milioni seicento mila lire.

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di fluttuanti zattere, ch'erano sostenute per mezzo di ve-sciche. Due città dell'Assiria pretesero di resistere allearmi dell'Imperatore Romano; ed ambedue pagarono se-veramente la pena della loro temerità. Alla distanza dicinquanta miglia dalla residenza reale di Ctesifonte te-neva il secondo grado nella Provincia Perisabor o An-bar, città grande, popolata e ben fortificata con un dop-pio recinto di mura, quasi circondata da un ramodell'Eufrate, e difesa dal valore di una numerosa guarni-gione. Si rigettarono con disprezzo l'esortazioni d'Ormi-sda; e il Principe Persiano dovè udire coi proprj orecchiil giusto rimprovero, che dimenticatosi della reale suanascita, conduceva un esercito di stranieri contro il pro-prio Sovrano e la patria. Gli Assiri mantennero la lor fe-deltà mediante una ben intesa e vigorosa difesa, finat-tanto che avendo un forte colpo d'ariete aperto una largabreccia con aver danneggiato uno degli angoli della mu-raglia, essi precipitosamente si ritirarono nelle fortifica-zioni della cittadella interiore. I soldati di Giuliano sigettarono impetuosamente nella città, e dopo d'aver ap-pieno soddisfatto ogni militare appetito, Perisabor fu ri-dotta in cenere; e furono piantate sulle rovine delle casefumanti, le macchine dirette contro la cittadella. Si con-tinuò il combattimento per mezzo di perpetue vicende-voli scariche di dardi; e la superiorità, che i Romani po-tevano trarre dalla meccanica forza delle loro balestre ecatapulte, veniva contrabbilanciata dal vantaggio delsuolo dalla parte degli assediati. Ma tosto che fu erettaun'elepoli, che poteva attaccare ad ugual livello i più alti

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di fluttuanti zattere, ch'erano sostenute per mezzo di ve-sciche. Due città dell'Assiria pretesero di resistere allearmi dell'Imperatore Romano; ed ambedue pagarono se-veramente la pena della loro temerità. Alla distanza dicinquanta miglia dalla residenza reale di Ctesifonte te-neva il secondo grado nella Provincia Perisabor o An-bar, città grande, popolata e ben fortificata con un dop-pio recinto di mura, quasi circondata da un ramodell'Eufrate, e difesa dal valore di una numerosa guarni-gione. Si rigettarono con disprezzo l'esortazioni d'Ormi-sda; e il Principe Persiano dovè udire coi proprj orecchiil giusto rimprovero, che dimenticatosi della reale suanascita, conduceva un esercito di stranieri contro il pro-prio Sovrano e la patria. Gli Assiri mantennero la lor fe-deltà mediante una ben intesa e vigorosa difesa, finat-tanto che avendo un forte colpo d'ariete aperto una largabreccia con aver danneggiato uno degli angoli della mu-raglia, essi precipitosamente si ritirarono nelle fortifica-zioni della cittadella interiore. I soldati di Giuliano sigettarono impetuosamente nella città, e dopo d'aver ap-pieno soddisfatto ogni militare appetito, Perisabor fu ri-dotta in cenere; e furono piantate sulle rovine delle casefumanti, le macchine dirette contro la cittadella. Si con-tinuò il combattimento per mezzo di perpetue vicende-voli scariche di dardi; e la superiorità, che i Romani po-tevano trarre dalla meccanica forza delle loro balestre ecatapulte, veniva contrabbilanciata dal vantaggio delsuolo dalla parte degli assediati. Ma tosto che fu erettaun'elepoli, che poteva attaccare ad ugual livello i più alti

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baloardi, il tremendo aspetto di una mobile torre, chenon lasciava speranza veruna di resistenza o di pietà, ri-dusse gli spaventati difensori della rocca ad un umilesommissione; e la piazza si rendè dopo due soli giorniche Giuliano s'era presentato innanzi alle mura di Peri-sabor. Fu permesso a duemila cinquecento personed'ambedue i sessi, deboli residui d'un florido popolo, diritirarsi; le abbondanti provvisioni di grano, di armi e displendide spoglie furono in parte distribuite fra le trup-pe, e in parte riservate per uso pubblico; gli arnesi inuti-li, distrutti furono dal fuoco, o gettati nell'Eufrate; e re-stò vendicata la caduta di Amida dalla total rovina diPerisabor.

Sembra che la città o piuttosto la fortezza di Maoga-malca, che era difesa da sedici grosse torri, da un pro-fondo fossato, e da due forti e solidi recinti di mura, fos-se fabbricata alla distanza di undici miglia, come unasalvaguardia della capitale della Persia. L'Imperatore,non arrischiandosi a lasciarsi dietro alle spalle tale im-portante fortezza, pose immediatamente l'assedio eMaogamalca; ed a tale oggetto l'esercito Romano fu di-stribuito in tre divisioni. Vittore alla testa della cavalle-ria e di un distaccamento di fanti di grave armatura, fudestinato a purgare la strada fino alle rive del Tigri ed aisobborghi di Ctesifonte. Assunse la condotta dell'attaccoGiuliano in persona, il quale pareva che lo facesse tuttoconsistere nelle macchine militari, che esso construivacontro le mura, nel tempo che segretamente immaginavaun mezzo più efficace d'introdur le sue truppe nel cuore

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baloardi, il tremendo aspetto di una mobile torre, chenon lasciava speranza veruna di resistenza o di pietà, ri-dusse gli spaventati difensori della rocca ad un umilesommissione; e la piazza si rendè dopo due soli giorniche Giuliano s'era presentato innanzi alle mura di Peri-sabor. Fu permesso a duemila cinquecento personed'ambedue i sessi, deboli residui d'un florido popolo, diritirarsi; le abbondanti provvisioni di grano, di armi e displendide spoglie furono in parte distribuite fra le trup-pe, e in parte riservate per uso pubblico; gli arnesi inuti-li, distrutti furono dal fuoco, o gettati nell'Eufrate; e re-stò vendicata la caduta di Amida dalla total rovina diPerisabor.

Sembra che la città o piuttosto la fortezza di Maoga-malca, che era difesa da sedici grosse torri, da un pro-fondo fossato, e da due forti e solidi recinti di mura, fos-se fabbricata alla distanza di undici miglia, come unasalvaguardia della capitale della Persia. L'Imperatore,non arrischiandosi a lasciarsi dietro alle spalle tale im-portante fortezza, pose immediatamente l'assedio eMaogamalca; ed a tale oggetto l'esercito Romano fu di-stribuito in tre divisioni. Vittore alla testa della cavalle-ria e di un distaccamento di fanti di grave armatura, fudestinato a purgare la strada fino alle rive del Tigri ed aisobborghi di Ctesifonte. Assunse la condotta dell'attaccoGiuliano in persona, il quale pareva che lo facesse tuttoconsistere nelle macchine militari, che esso construivacontro le mura, nel tempo che segretamente immaginavaun mezzo più efficace d'introdur le sue truppe nel cuore

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della città. Furono aperte le trincee sotto la direzione diNevitta e di Dagalaifo ad una considerabil distanza, edappoco appoco furon prolungate fino all'orlo del fosso.Questo fu speditamente ripieno di terra; e mediante il la-voro continuo delle truppe, si fece una mina sotto i fon-damenti delle mura sostenute a sufficienti distanze dapuntelli di legno. Avanzandosi in una sola fila tre coortiscelte, tacitamente esploravano l'oscuro e pericolosopassaggio, finattanto che l'intrepido lor condottiero fecesapere a quelli che lo seguivano, che era vicino a sbuca-re da quelle angustie nelle contrade della nemica città.Giuliano frenò il loro ardore per assicurarne l'evento; edimmediatamente divertì l'attenzione del presidio col tu-multo ed il clamor d'un generale assalto. I Persiani, chedalle loro mura guardavano con disprezzo il progressod'un impotente attacco, celebravano con cantici di trion-fo la gloria di Sapore; ed ardivano assicurare l'Imperato-re, che egli avrebbe potuto salire nella stellata magioned'Ormusd, prima di potere sperar di prendere l'inespu-gnabil città di Maogamalca. Ma essa era già presa.L'istoria ci ha conservato il nome di un semplice solda-to, che fu il primo ad uscir dalla mina in una torre ab-bandonata; fu slargato il passo dai suoi compagni, cheprogredivano con impaziente valore; ed erano già nelmezzo della città mille cinquecento nemici. La guarni-gione stupefatta abbandonò le mura, unica loro speranzadi salvezza; furono subito spalancate le porte; e si saziòcon una tumultuaria strage la furia militare, dovunquenon era sospesa dall'incontinenza e dall'avarizia. Il Go-

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della città. Furono aperte le trincee sotto la direzione diNevitta e di Dagalaifo ad una considerabil distanza, edappoco appoco furon prolungate fino all'orlo del fosso.Questo fu speditamente ripieno di terra; e mediante il la-voro continuo delle truppe, si fece una mina sotto i fon-damenti delle mura sostenute a sufficienti distanze dapuntelli di legno. Avanzandosi in una sola fila tre coortiscelte, tacitamente esploravano l'oscuro e pericolosopassaggio, finattanto che l'intrepido lor condottiero fecesapere a quelli che lo seguivano, che era vicino a sbuca-re da quelle angustie nelle contrade della nemica città.Giuliano frenò il loro ardore per assicurarne l'evento; edimmediatamente divertì l'attenzione del presidio col tu-multo ed il clamor d'un generale assalto. I Persiani, chedalle loro mura guardavano con disprezzo il progressod'un impotente attacco, celebravano con cantici di trion-fo la gloria di Sapore; ed ardivano assicurare l'Imperato-re, che egli avrebbe potuto salire nella stellata magioned'Ormusd, prima di potere sperar di prendere l'inespu-gnabil città di Maogamalca. Ma essa era già presa.L'istoria ci ha conservato il nome di un semplice solda-to, che fu il primo ad uscir dalla mina in una torre ab-bandonata; fu slargato il passo dai suoi compagni, cheprogredivano con impaziente valore; ed erano già nelmezzo della città mille cinquecento nemici. La guarni-gione stupefatta abbandonò le mura, unica loro speranzadi salvezza; furono subito spalancate le porte; e si saziòcon una tumultuaria strage la furia militare, dovunquenon era sospesa dall'incontinenza e dall'avarizia. Il Go-

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vernatore, che aveva ceduto sulla promessa di pietà, fupochi giorni dopo abbruciato vivo per essere stato accu-sato di aver dette alcune poco rispettose parole control'onore del Principe Ormisda. Furono gettate a terra lefortificazioni; e non restò alcun vestigio che vi fossemai stata la città di Maogamalca. Le adjacenze della ca-pitale della Persia eran ornate di tre sontuosi palazzi ma-gnificamente arricchiti d'ogni produzione, che soddisfarpotesse il lusso e la vanità d'un Monarca Orientale. Lapiacevol situazione de' giardini lungo le sponde del Ti-gri, era migliorata, secondo il gusto Persiano, dalla sim-metria de' fiori, delle fontane e degli ombrosi viali; ederan chiusi di mura de' vasti parchi per contenere degliorsi, de' leoni e de' cignali, mantenuti con notabile spesapel piacere della caccia reale. Questi recinti furono aper-ti, fu abbandonata la cacciagione ai dardi de' soldati, eper ordine del Romano Imperatore si ridussero in cenerei palazzi di Sapore. Giuliano dimostrò in quest'occasio-ne di non sapere, o di disprezzare le leggi della civiltà,che la prudenza e coltura de' secoli inciviliti hanno sta-biliti fra' Principi nemici. Pure queste capricciose deva-stazioni eccitar non debbono alcun forte movimento dicompassione o di sdegno ne' nostri petti. Una sola statuanuda, perfezionata dalla mano d'un Greco artefice, è dimaggior valore che tutti que' rozzi e dispendiosi monu-menti di barbaro lavoro; e se ci sentiamo più mossi dallarovina d'un palazzo che dall'incendio d'una capanna, lanostra umanità dee aver formato un ben falso giudizio

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vernatore, che aveva ceduto sulla promessa di pietà, fupochi giorni dopo abbruciato vivo per essere stato accu-sato di aver dette alcune poco rispettose parole control'onore del Principe Ormisda. Furono gettate a terra lefortificazioni; e non restò alcun vestigio che vi fossemai stata la città di Maogamalca. Le adjacenze della ca-pitale della Persia eran ornate di tre sontuosi palazzi ma-gnificamente arricchiti d'ogni produzione, che soddisfarpotesse il lusso e la vanità d'un Monarca Orientale. Lapiacevol situazione de' giardini lungo le sponde del Ti-gri, era migliorata, secondo il gusto Persiano, dalla sim-metria de' fiori, delle fontane e degli ombrosi viali; ederan chiusi di mura de' vasti parchi per contenere degliorsi, de' leoni e de' cignali, mantenuti con notabile spesapel piacere della caccia reale. Questi recinti furono aper-ti, fu abbandonata la cacciagione ai dardi de' soldati, eper ordine del Romano Imperatore si ridussero in cenerei palazzi di Sapore. Giuliano dimostrò in quest'occasio-ne di non sapere, o di disprezzare le leggi della civiltà,che la prudenza e coltura de' secoli inciviliti hanno sta-biliti fra' Principi nemici. Pure queste capricciose deva-stazioni eccitar non debbono alcun forte movimento dicompassione o di sdegno ne' nostri petti. Una sola statuanuda, perfezionata dalla mano d'un Greco artefice, è dimaggior valore che tutti que' rozzi e dispendiosi monu-menti di barbaro lavoro; e se ci sentiamo più mossi dallarovina d'un palazzo che dall'incendio d'una capanna, lanostra umanità dee aver formato un ben falso giudizio

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delle miserie della vita umana597.Giuliano fu pei Persiani un oggetto di terrore e di

odio; ed i pittori di quella Nazione rappresentavanol'invasore del lor paese sotto la figura di furioso leone,che vomitava dalla bocca un fuoco divoratore598. Ai pro-pri amici e soldati però compariva il filosofo Eroe in unaspetto più amabile; nè furon mai con maggior pompaspiegate le sue virtù, che nell'ultimo e più attivo periododella sua vita. Egli praticava senza sforzo, e quasi senzamerito, le abituali qualità della temperanza e della so-brietà. Secondo i dettami di quell'artificiale sapienza,che s'attribuisce un assoluto dominio sulla mente e sulcorpo, fortemente negava a se stesso la soddisfazionedei più naturali appetiti599. Nel caldo clima dell'Assiria,che sollecitava un popolo lussurioso a soddisfare ognisensual desiderio600, un giovane conquistatore mantennepura ed inviolata la sua castità; nè Giuliano fu mai tenta-

597Sono circostanziatamente riferite le operazioni della guerra d'Assiria daAmmiano (XXIV. 2. 3, 4. 5.), da Libanio (Orat. parent. c. 112-123. p. 335-347.), da Zosimo l. III. p. 168-180.), e da Gregorio Nazianzeno (Orat. IV. p.113. 144.). La critica militare del Santo è devotamente copiata dal Tillemont,fedele suo seguace.

598Liban. de ulciscenda Juliani nece c. 13. p. 162.599I famosi esempi di Ciro, di Alessandro, e di Scipione furono atti di giu-

stizia; ma la castità di Giuliano era volontaria, e secondo la sua opinione, meri-toria.

600Sallustio (ap. vet. Scholiast. Juvenal. Sat. 1. 104) osserva, che nihil cor-ruptius moribus. Le matrone e le vergini di Babilonia si mescolavan libera-mente con gli uomini in licenziosi banchetti, e quando si sentivan toccate dallaforza del vino e dell'amore, appoco appoco si spogliavano quasi interamentedell'incomodo delle vesti: ad ultimum ima corporum velamenta projiciunt Q.Curt. V. I.

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delle miserie della vita umana597.Giuliano fu pei Persiani un oggetto di terrore e di

odio; ed i pittori di quella Nazione rappresentavanol'invasore del lor paese sotto la figura di furioso leone,che vomitava dalla bocca un fuoco divoratore598. Ai pro-pri amici e soldati però compariva il filosofo Eroe in unaspetto più amabile; nè furon mai con maggior pompaspiegate le sue virtù, che nell'ultimo e più attivo periododella sua vita. Egli praticava senza sforzo, e quasi senzamerito, le abituali qualità della temperanza e della so-brietà. Secondo i dettami di quell'artificiale sapienza,che s'attribuisce un assoluto dominio sulla mente e sulcorpo, fortemente negava a se stesso la soddisfazionedei più naturali appetiti599. Nel caldo clima dell'Assiria,che sollecitava un popolo lussurioso a soddisfare ognisensual desiderio600, un giovane conquistatore mantennepura ed inviolata la sua castità; nè Giuliano fu mai tenta-

597Sono circostanziatamente riferite le operazioni della guerra d'Assiria daAmmiano (XXIV. 2. 3, 4. 5.), da Libanio (Orat. parent. c. 112-123. p. 335-347.), da Zosimo l. III. p. 168-180.), e da Gregorio Nazianzeno (Orat. IV. p.113. 144.). La critica militare del Santo è devotamente copiata dal Tillemont,fedele suo seguace.

598Liban. de ulciscenda Juliani nece c. 13. p. 162.599I famosi esempi di Ciro, di Alessandro, e di Scipione furono atti di giu-

stizia; ma la castità di Giuliano era volontaria, e secondo la sua opinione, meri-toria.

600Sallustio (ap. vet. Scholiast. Juvenal. Sat. 1. 104) osserva, che nihil cor-ruptius moribus. Le matrone e le vergini di Babilonia si mescolavan libera-mente con gli uomini in licenziosi banchetti, e quando si sentivan toccate dallaforza del vino e dell'amore, appoco appoco si spogliavano quasi interamentedell'incomodo delle vesti: ad ultimum ima corporum velamenta projiciunt Q.Curt. V. I.

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to neppure da un motivo di curiosità a visitar le sueschiave di squisita bellezza601, che invece di resistergliavrebber disputato fra loro l'onore de' suoi abbraccia-menti. Con quella stessa fermezza, con cui resisteva agliallettamenti dell'amore, sosteneva le fatiche della guer-ra. Allorchè i Romani marciavano per quella bassa e in-nondata pianura, il loro Sovrano, a piedi, alla testa dellelegioni, era partecipe de' loro travagli, e ne animava ladiligenza. Ad ogni util lavoro la mano di Giuliano erapronta e vigorosa; e la porpora Imperiale era immollatao coperta di fango ugualmente che la veste ordinariadell'infimo soldato. I due assedj gli presentarono riguar-devoli occasioni di segnalare il suo personal valore, chenel più perfetto stato dell'arte militare rare volte può di-mostrarsi da un prudente Capitano. Stava l'Imperatoreavanti la cittadella di Perisabor non curando l'estremosuo rischio, ed incoraggiava le truppe a gettar giù le por-te di ferro, fino al segno di esser quasi oppresso da unnuvolo di dardi e di grosse pietre, ch'eran dirette controla sua persona. Nel tempo che esaminava le fortificazio-ni esterne di Maogamalca, due Persiani, sacrificandosialla loro patria ad un tratto gli corsero addosso con lescimitarre nude: l'Imperatore, alzato lo scudo, riparò de-stramente i lor colpi, e con un costante e ben inteso co-raggio stese morto ai suoi piedi uno degli avversari. La

601Ex virginibus autem, quae speciosae sunt capta, et in Perside, ubi foemi-narum pulchritudo excellit, nec contrectare aliquam voluit, nec videre: Am-mian. XXIV. 4. La razza naturale de' Persiani è piccola e brutta; ma si è mi-gliorata per la perpetua mescolanza del sangue Circasso: Herod. l. III. c. 97,Buffon Histoir. natur. Tom. III. p. 420.

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to neppure da un motivo di curiosità a visitar le sueschiave di squisita bellezza601, che invece di resistergliavrebber disputato fra loro l'onore de' suoi abbraccia-menti. Con quella stessa fermezza, con cui resisteva agliallettamenti dell'amore, sosteneva le fatiche della guer-ra. Allorchè i Romani marciavano per quella bassa e in-nondata pianura, il loro Sovrano, a piedi, alla testa dellelegioni, era partecipe de' loro travagli, e ne animava ladiligenza. Ad ogni util lavoro la mano di Giuliano erapronta e vigorosa; e la porpora Imperiale era immollatao coperta di fango ugualmente che la veste ordinariadell'infimo soldato. I due assedj gli presentarono riguar-devoli occasioni di segnalare il suo personal valore, chenel più perfetto stato dell'arte militare rare volte può di-mostrarsi da un prudente Capitano. Stava l'Imperatoreavanti la cittadella di Perisabor non curando l'estremosuo rischio, ed incoraggiava le truppe a gettar giù le por-te di ferro, fino al segno di esser quasi oppresso da unnuvolo di dardi e di grosse pietre, ch'eran dirette controla sua persona. Nel tempo che esaminava le fortificazio-ni esterne di Maogamalca, due Persiani, sacrificandosialla loro patria ad un tratto gli corsero addosso con lescimitarre nude: l'Imperatore, alzato lo scudo, riparò de-stramente i lor colpi, e con un costante e ben inteso co-raggio stese morto ai suoi piedi uno degli avversari. La

601Ex virginibus autem, quae speciosae sunt capta, et in Perside, ubi foemi-narum pulchritudo excellit, nec contrectare aliquam voluit, nec videre: Am-mian. XXIV. 4. La razza naturale de' Persiani è piccola e brutta; ma si è mi-gliorata per la perpetua mescolanza del sangue Circasso: Herod. l. III. c. 97,Buffon Histoir. natur. Tom. III. p. 420.

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stima di un Principe, che possiede le virtù che approvanegli altri, è la più nobile ricompensa di un meritevolesuddito; e l'autorità, che Giuliano traeva dal personalesuo merito, lo rendea capace di restaurare ed invigorireil rigore dell'antica disciplina. Ei punì colla morte ocoll'ignominia la cattiva condotta di tre truppe di caval-leria, che in una scaramuccia col Surenas avevan perdu-to l'onore ed uno dei loro stendardi; e con corone obsi-dionali602 distinse il valore dei primi soldati che salironosulla città di Maogamalca. Dopo l'assedio di Perisaborfu esercitata la fermezza dell'Imperatore dall'insolenteavarizia dell'esercito, il quale altamente lagnavasi chefosser premiati i suoi servigi con un piccol donativo dicento monete d'argento. S'espresse il giusto suo sdegnonel grave e virile linguaggio d'un Romano. «L'oggetto divostre brame son le ricchezze? Si trovan queste nellemani dei Persiani, e le spoglie di questo fertil paesesono il premio del vostro valore e disciplina. Crediatemi(continuò Giuliano) che la Repubblica Romana, la qualeprima possedeva tanti immensi tesori, è presentementeridotta al bisogno ed alla miseria, da che i nostri Principisi son lasciati persuadere da deboli ed interessati Mini-stri a comprare coll'oro la pace dei Barbari. Esausto èl'erario, le città rovinate, spopolate le Province. Quantoa me, l'unica eredità, che ho ricevuto dai miei reali ante-

602Obsidionalibus coronis donati. Ammiano XXIV. 4. O Giuliano, o l'Istori-co era un imperito antiquario. Avrebbe dovuto dar corone murali. L'obsidiona-le era il premio d'un Generale, che liberato avesse una città assediata. Aul.Gell. Noct. Attic. V. 6.

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stima di un Principe, che possiede le virtù che approvanegli altri, è la più nobile ricompensa di un meritevolesuddito; e l'autorità, che Giuliano traeva dal personalesuo merito, lo rendea capace di restaurare ed invigorireil rigore dell'antica disciplina. Ei punì colla morte ocoll'ignominia la cattiva condotta di tre truppe di caval-leria, che in una scaramuccia col Surenas avevan perdu-to l'onore ed uno dei loro stendardi; e con corone obsi-dionali602 distinse il valore dei primi soldati che salironosulla città di Maogamalca. Dopo l'assedio di Perisaborfu esercitata la fermezza dell'Imperatore dall'insolenteavarizia dell'esercito, il quale altamente lagnavasi chefosser premiati i suoi servigi con un piccol donativo dicento monete d'argento. S'espresse il giusto suo sdegnonel grave e virile linguaggio d'un Romano. «L'oggetto divostre brame son le ricchezze? Si trovan queste nellemani dei Persiani, e le spoglie di questo fertil paesesono il premio del vostro valore e disciplina. Crediatemi(continuò Giuliano) che la Repubblica Romana, la qualeprima possedeva tanti immensi tesori, è presentementeridotta al bisogno ed alla miseria, da che i nostri Principisi son lasciati persuadere da deboli ed interessati Mini-stri a comprare coll'oro la pace dei Barbari. Esausto èl'erario, le città rovinate, spopolate le Province. Quantoa me, l'unica eredità, che ho ricevuto dai miei reali ante-

602Obsidionalibus coronis donati. Ammiano XXIV. 4. O Giuliano, o l'Istori-co era un imperito antiquario. Avrebbe dovuto dar corone murali. L'obsidiona-le era il premio d'un Generale, che liberato avesse una città assediata. Aul.Gell. Noct. Attic. V. 6.

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nati, è un animo incapace di timore; e finattanto che iosarò convinto, che ogni real vantaggio consiste nellospirito, non mi vergognerò di confessare un'onorevolepovertà, che nei tempi dell'antica virtù era consideratacome la gloria di Fabricio. Vostra può esser tal gloria etal virtù, se presterete orecchio alla voce del Cielo e delvostro Generale. Ma se temerariamente volete persiste-re, se siete risoluti di rinnovare i vergognosi e colpevoliesempi delle antiche sedizioni, proseguite pure.... Comeconviene ad un Imperatore, che ha tenuto il primo gradofra gli uomini, io son pronto a morire da forte, ed asprezzare una vita precaria, che può ad ogni momentodipendere da un'accidental malattia. Se mi trovate inde-gno del comando, vi sono adesso fra voi (io lo dico conambizione e con piacere) vi sono molti Capi, il merito el'esperienza dei quali è capace di regolare una guerradella maggiore importanza. La natura del mio regno èstata di tal sorta, che io posso ritirarmi senza dispiaceree senza timore nell'oscurità di uno stato privato603». Allamodesta risoluzione di Giuliano corrispose l'unanimeapplauso e la volonterosa ubbidienza dei Romani, cheespressero la fiducia, che avevano, della vittoria, mentrecombattevano sotto le bandiere dell'eroico lor Principe.Si accendeva il loro coraggio dai frequenti e famigliaridetti di lui, giacchè in tali voti consistevano i giuramentidi Giuliano: «Così possa io ridurre i Persiani sotto il

603Io reputo questo discorso originale e genuino. Ammiano potè averlo udi-to e trascritto, ed era incapace d'inventarlo. Mi son preso alcune piccole libertà,e lo concludo con la più vigorosa sentenza.

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nati, è un animo incapace di timore; e finattanto che iosarò convinto, che ogni real vantaggio consiste nellospirito, non mi vergognerò di confessare un'onorevolepovertà, che nei tempi dell'antica virtù era consideratacome la gloria di Fabricio. Vostra può esser tal gloria etal virtù, se presterete orecchio alla voce del Cielo e delvostro Generale. Ma se temerariamente volete persiste-re, se siete risoluti di rinnovare i vergognosi e colpevoliesempi delle antiche sedizioni, proseguite pure.... Comeconviene ad un Imperatore, che ha tenuto il primo gradofra gli uomini, io son pronto a morire da forte, ed asprezzare una vita precaria, che può ad ogni momentodipendere da un'accidental malattia. Se mi trovate inde-gno del comando, vi sono adesso fra voi (io lo dico conambizione e con piacere) vi sono molti Capi, il merito el'esperienza dei quali è capace di regolare una guerradella maggiore importanza. La natura del mio regno èstata di tal sorta, che io posso ritirarmi senza dispiaceree senza timore nell'oscurità di uno stato privato603». Allamodesta risoluzione di Giuliano corrispose l'unanimeapplauso e la volonterosa ubbidienza dei Romani, cheespressero la fiducia, che avevano, della vittoria, mentrecombattevano sotto le bandiere dell'eroico lor Principe.Si accendeva il loro coraggio dai frequenti e famigliaridetti di lui, giacchè in tali voti consistevano i giuramentidi Giuliano: «Così possa io ridurre i Persiani sotto il

603Io reputo questo discorso originale e genuino. Ammiano potè averlo udi-to e trascritto, ed era incapace d'inventarlo. Mi son preso alcune piccole libertà,e lo concludo con la più vigorosa sentenza.

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giogo; così possa io restaurare la forza e lo splendoredella Repubblica». L'amor della fama era l'ardente pas-sione dell'animo suo: ma non prima d'aver posto il piedesulle rovine di Maogamalca si credè permesso di dire:«che allora egli avea preparato qualche materiale pelSofista d'Antiochia604».

Il fortunato valor di Giuliano aveva trionfato di tuttigli ostacoli, che si opponevano alla sua marcia fino alleporte di Ctesifonte. Ma era tuttavia lontana la presa oanche l'assedio della capital della Persia: nè può chiara-mente vedersi la militar condotta dell'Imperatore senzauna cognizione del paese, che fu il teatro delle ardite eben dirette sue operazioni605. Venti miglia al mezzodì diBagdad e sulla sponda Orientale del Tigri la curiositàdei viaggiatori ha notato le rovine dei palazzi di Ctesi-fonte, che al tempo di Giuliano era una grande e popola-ta città. Era totalmente estinto il nome e la gloria dellavicina Seleucia; e l'unico quartiere che rimaneva diquella Greca colonia, aveva ripreso, insieme col lin-guaggio e co' costumi dell'Assiria, il primitivo nome diCoche. Questa era situata sulla parte occidentale del Ti-gri; ma naturalmente consideravasi come un sobborgo diCtesifonte, con cui possiam supporre che fosse unita permezzo d'un ponte permanente di barche. Le connesse

604Ammiano XXIV. 3. Liban. Orat. parent. c. 122. p. 346.605Danville (Mem. de l'Acad. des Inscr. Tom. XXVIII. p. 246-259.) ha deter-

minato la vera posizione e distanza fra loro di Babilonia, di Seleucia, di Ctesi-fonte, di Bagdad ec. Il viaggiatore Romano, Pietro della Valle (Tom. I. lett. 17.p. 650-780.) sembra l'osservatore più diligente di quella famosa Provincia. Egliè un gentiluomo erudito, ma intollerabilmente vano e prolisso.

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giogo; così possa io restaurare la forza e lo splendoredella Repubblica». L'amor della fama era l'ardente pas-sione dell'animo suo: ma non prima d'aver posto il piedesulle rovine di Maogamalca si credè permesso di dire:«che allora egli avea preparato qualche materiale pelSofista d'Antiochia604».

Il fortunato valor di Giuliano aveva trionfato di tuttigli ostacoli, che si opponevano alla sua marcia fino alleporte di Ctesifonte. Ma era tuttavia lontana la presa oanche l'assedio della capital della Persia: nè può chiara-mente vedersi la militar condotta dell'Imperatore senzauna cognizione del paese, che fu il teatro delle ardite eben dirette sue operazioni605. Venti miglia al mezzodì diBagdad e sulla sponda Orientale del Tigri la curiositàdei viaggiatori ha notato le rovine dei palazzi di Ctesi-fonte, che al tempo di Giuliano era una grande e popola-ta città. Era totalmente estinto il nome e la gloria dellavicina Seleucia; e l'unico quartiere che rimaneva diquella Greca colonia, aveva ripreso, insieme col lin-guaggio e co' costumi dell'Assiria, il primitivo nome diCoche. Questa era situata sulla parte occidentale del Ti-gri; ma naturalmente consideravasi come un sobborgo diCtesifonte, con cui possiam supporre che fosse unita permezzo d'un ponte permanente di barche. Le connesse

604Ammiano XXIV. 3. Liban. Orat. parent. c. 122. p. 346.605Danville (Mem. de l'Acad. des Inscr. Tom. XXVIII. p. 246-259.) ha deter-

minato la vera posizione e distanza fra loro di Babilonia, di Seleucia, di Ctesi-fonte, di Bagdad ec. Il viaggiatore Romano, Pietro della Valle (Tom. I. lett. 17.p. 650-780.) sembra l'osservatore più diligente di quella famosa Provincia. Egliè un gentiluomo erudito, ma intollerabilmente vano e prolisso.

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parti contribuirono a formare il comun epiteto di al Mo-dain, le città, che gli Orientali hanno dato alla residenzainvernale dei Sassanidi; e tutta la circonferenza della ca-pitale Persiana era fortemente difesa dalle acque del fiu-me, da alte mura e da lagune impraticabili. Il campo diGiuliano fu piantato vicino alle rovine di Seleucia, edassicurato da un fosso e da un muro contro le sortite del-la numerosa ed intraprendente guarnigione di Coche. Inquesto fertile e piacevole paese, i Romani furono abbon-dantemente forniti di acqua e di provvisioni; ed alcuniForti, che avrebber potuto imbarazzare i movimentidell'esercito, si sottomisero dopo qualche resistenza aglisforzi del loro valore. La flotta passò dall'Eufrate in unaartificiale diramazione di quel fiume, che versa una co-piosa e navigabil quantità d'acqua nel Tigri ad una pic-cola distanza sotto la gran città. Se avessero seguitatoquel real canale che si chiamava Nahar-Malcha606,l'intermedia situazione di Coche avrebbe separato laflotta e l'esercito di Giuliano; e la temeraria impresa didirigersi contro la corrente del Tigri, e di forzare il passoin mezzo alla capitale nemica avrebbe dovuto produrrela total distruzione della flotta Romana. La prudenzadell'Imperatore previde il pericolo, e vi pose rimedio.Siccome aveva egli minutamente studiato le operazionifatte da Traiano nell'istesso luogo, tosto si rammentò

606Il real canale Nahar-Malcha potè in diversi tempi esser restaurato, altera-to, diviso ec. (Cellario Geogr. ant. T. II. p. 453.); e questi cangiamenti servirpossono a spiegare le apparenti contraddizioni dell'antichità. Al tempo di Giu-liano dovea cader nell'Eufrate sotto Ctesifonte.

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parti contribuirono a formare il comun epiteto di al Mo-dain, le città, che gli Orientali hanno dato alla residenzainvernale dei Sassanidi; e tutta la circonferenza della ca-pitale Persiana era fortemente difesa dalle acque del fiu-me, da alte mura e da lagune impraticabili. Il campo diGiuliano fu piantato vicino alle rovine di Seleucia, edassicurato da un fosso e da un muro contro le sortite del-la numerosa ed intraprendente guarnigione di Coche. Inquesto fertile e piacevole paese, i Romani furono abbon-dantemente forniti di acqua e di provvisioni; ed alcuniForti, che avrebber potuto imbarazzare i movimentidell'esercito, si sottomisero dopo qualche resistenza aglisforzi del loro valore. La flotta passò dall'Eufrate in unaartificiale diramazione di quel fiume, che versa una co-piosa e navigabil quantità d'acqua nel Tigri ad una pic-cola distanza sotto la gran città. Se avessero seguitatoquel real canale che si chiamava Nahar-Malcha606,l'intermedia situazione di Coche avrebbe separato laflotta e l'esercito di Giuliano; e la temeraria impresa didirigersi contro la corrente del Tigri, e di forzare il passoin mezzo alla capitale nemica avrebbe dovuto produrrela total distruzione della flotta Romana. La prudenzadell'Imperatore previde il pericolo, e vi pose rimedio.Siccome aveva egli minutamente studiato le operazionifatte da Traiano nell'istesso luogo, tosto si rammentò

606Il real canale Nahar-Malcha potè in diversi tempi esser restaurato, altera-to, diviso ec. (Cellario Geogr. ant. T. II. p. 453.); e questi cangiamenti servirpossono a spiegare le apparenti contraddizioni dell'antichità. Al tempo di Giu-liano dovea cader nell'Eufrate sotto Ctesifonte.

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che il guerriero suo predecessore aveva scavato un nuo-vo e navigabil canale, che, lasciando Coche a diritta,portava le acque del Nahar-Malcha nel fiume Tigri aqualche distanza sopra la città. Presa informazione daicontadini, Giuliano ritrovò i vestigi di quell'opera anti-ca, ch'erano quasi cancellati o a bella posta o per acci-dente. L'instancabil lavoro dei soldati prestamente scavòun largo e profondo canale per ricever l'Eufrate. Fu co-strutto un forte argine per interromper l'ordinario corsodel Nahar-Malcha; corse impetuosamente nel nuovo let-to un diluvio di acque; e la flotta Romana dirigendo iltrionfante suo corso nel Tigri deluse le vane ed ineffica-ci barricate, che avevano eretto i Persiani di Ctesifonteper opporsi al loro passaggio.

Siccome bisognava trasportar l'esercito Romano di làdal Tigri, si rendea necessario un altro lavoro di minorfatica, ma di maggior pericolo del precedente. Il fiumeera largo e rapido; la salita scoscesa e difficile; e le trin-cere, fatte sull'opposta riva, eran occupate da una copio-sa armata di gravi corazze, di destri arcieri e di grossielefanti, che (secondo la stravagante iperbole di Liba-nio) coll'istessa facilità calpestar potevano un campo digrano ed una legion di Romani607. A fronte di tal nemicoera impossibile la costruzione d'un ponte; e l'intrepidoPrincipe, che immediatamente vide l'unico espediente

607Καὶ µελεθὲσιν έλεφάντων, οίςίσον εργόν διὰ σαχυω̃ν ὲλθεὶν, καιΦαλὰγγας: e di grandi elefanti, pe' quali è l'istesso camminare sopra le spighe,o sopra una falange. «Rien n'est beau que le vrai»: massima che dovrebb'esse-re scritta sulla cattedra d'ogni retore.

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che il guerriero suo predecessore aveva scavato un nuo-vo e navigabil canale, che, lasciando Coche a diritta,portava le acque del Nahar-Malcha nel fiume Tigri aqualche distanza sopra la città. Presa informazione daicontadini, Giuliano ritrovò i vestigi di quell'opera anti-ca, ch'erano quasi cancellati o a bella posta o per acci-dente. L'instancabil lavoro dei soldati prestamente scavòun largo e profondo canale per ricever l'Eufrate. Fu co-strutto un forte argine per interromper l'ordinario corsodel Nahar-Malcha; corse impetuosamente nel nuovo let-to un diluvio di acque; e la flotta Romana dirigendo iltrionfante suo corso nel Tigri deluse le vane ed ineffica-ci barricate, che avevano eretto i Persiani di Ctesifonteper opporsi al loro passaggio.

Siccome bisognava trasportar l'esercito Romano di làdal Tigri, si rendea necessario un altro lavoro di minorfatica, ma di maggior pericolo del precedente. Il fiumeera largo e rapido; la salita scoscesa e difficile; e le trin-cere, fatte sull'opposta riva, eran occupate da una copio-sa armata di gravi corazze, di destri arcieri e di grossielefanti, che (secondo la stravagante iperbole di Liba-nio) coll'istessa facilità calpestar potevano un campo digrano ed una legion di Romani607. A fronte di tal nemicoera impossibile la costruzione d'un ponte; e l'intrepidoPrincipe, che immediatamente vide l'unico espediente

607Καὶ µελεθὲσιν έλεφάντων, οίςίσον εργόν διὰ σαχυω̃ν ὲλθεὶν, καιΦαλὰγγας: e di grandi elefanti, pe' quali è l'istesso camminare sopra le spighe,o sopra una falange. «Rien n'est beau que le vrai»: massima che dovrebb'esse-re scritta sulla cattedra d'ogni retore.

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che potea prendersi, celò fino al momento dell'esecuzio-ne il suo disegno alla cognizione de' Barbari, delle sueproprie truppe e fino de' suoi Generali medesimi. Sottolo specioso pretesto d'esaminar lo stato de' magazzini,furono appoco appoco scaricati ottanta vascelli; e fudato ordine ad uno scelto distaccamento, in apparenzadestinato per una segreta spedizione, a star prontosull'armi ad ogni cenno. Giuliano copriva l'occulta agi-tazion del suo spirito con sorrisi di fiducia e di gioja; edivertiva le nemiche nazioni con lo spettacolo di giuochimilitari, ch'ei celebrava insultando sotto le mura di Co-che. Il giorno fu destinato al piacere; ma tosto che fupassata l'ora di cena, l'Imperatore convocò i Generalinella sua tenda, e fece loro sapere che avea deliberato dipassare il Tigri quella notte medesima. Furono essi sor-presi da un tacito e rispettoso stupore; ma quando il ve-nerabil Sallustio fece uso del privilegio, che gli dava lasua età ed esperienza, gli altri capitani sostennero libera-mente il peso delle prudenti sue rimostranze608. Giulianosi contentò d'osservare che dal tentativo dipendea laconquista e la salute; che il numero dei nemici, in vecedi scemare, sarebbe cresciuto per causa dei successivirinforzi; e che una maggior dilazione non avrebbe dimi-nuita la larghezza del fiume, nè spianata l'altezza dellasponda. Fu immediatamente dato il segno, ed eseguito; ipiù impazienti fra i legionarj saltaron su cinque vascelli,

608Libanio indica il più potente fra' Generali. Io mi sono arrischiato a nomi-nar Sallustio. Ammiano asserisce di tutti i condottieri, quod acri metu territiduces concordi precatu fieri prohibere tentarent.

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che potea prendersi, celò fino al momento dell'esecuzio-ne il suo disegno alla cognizione de' Barbari, delle sueproprie truppe e fino de' suoi Generali medesimi. Sottolo specioso pretesto d'esaminar lo stato de' magazzini,furono appoco appoco scaricati ottanta vascelli; e fudato ordine ad uno scelto distaccamento, in apparenzadestinato per una segreta spedizione, a star prontosull'armi ad ogni cenno. Giuliano copriva l'occulta agi-tazion del suo spirito con sorrisi di fiducia e di gioja; edivertiva le nemiche nazioni con lo spettacolo di giuochimilitari, ch'ei celebrava insultando sotto le mura di Co-che. Il giorno fu destinato al piacere; ma tosto che fupassata l'ora di cena, l'Imperatore convocò i Generalinella sua tenda, e fece loro sapere che avea deliberato dipassare il Tigri quella notte medesima. Furono essi sor-presi da un tacito e rispettoso stupore; ma quando il ve-nerabil Sallustio fece uso del privilegio, che gli dava lasua età ed esperienza, gli altri capitani sostennero libera-mente il peso delle prudenti sue rimostranze608. Giulianosi contentò d'osservare che dal tentativo dipendea laconquista e la salute; che il numero dei nemici, in vecedi scemare, sarebbe cresciuto per causa dei successivirinforzi; e che una maggior dilazione non avrebbe dimi-nuita la larghezza del fiume, nè spianata l'altezza dellasponda. Fu immediatamente dato il segno, ed eseguito; ipiù impazienti fra i legionarj saltaron su cinque vascelli,

608Libanio indica il più potente fra' Generali. Io mi sono arrischiato a nomi-nar Sallustio. Ammiano asserisce di tutti i condottieri, quod acri metu territiduces concordi precatu fieri prohibere tentarent.

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ch'erano i più vicini alla riva; e siccome con intrepidavelocità maneggiavano i loro remi, si perderono dopopochi momenti nell'oscurità della notte. Si videsull'opposto lato una fiamma, e Giuliano, il qual chiara-mente conobbe, che i suoi primi vascelli nel tentare diprender terra erano incendiati dal nemico, destramentecangiò l'estremo loro pericolo in un presagio di vittoria.«I nostri compagni (esclamò con ardore) sono già pa-droni dell'altra sponda; vedete... danno il segno fra noiconvenuto: affrettiamoci ad emulare, e ad assistere illoro coraggio». L'unito e rapido moto d'una gran flottaruppe la violenza della corrente, ed arrivarono in tempoall'Oriental parte del Tigri da poter estinguere le fiammee liberare gli avventurosi loro compagni. Le difficoltàd'una ripida ed alta salita erano accresciute dal peso del-le armi e dall'oscurità della notte. Continuamente si sca-ricava sulla testa degli assalitori una pioggia di pietre, edi dardi e di fuoco; essi però dopo un aspro combatti-mento si rampicarono sulla riva, e vittoriosi posero ilpiede sul muro. Tosto che si trovarono in un campo piùuguale, Giuliano, che con la sua infanteria leggiera aveacondotto l'attacco609, gettò un occhio perito e sperimen-tato lungo le file: secondo i precetti d'Omero610 furon di-stribuiti nella fronte e nella retroguardia i soldati più va-

609Hinc Imperator.... (dice Ammiano) ipse cum levis armaturae auxiliis perprima postremaque discurrens. Contuttociò Zosimo, suo amico, dice, che nonpassò il fiume se non due giorni dopo la battaglia.

610Secundum Homericam dispositionem. Si attribuisce tal distribuzione alsavio Nestore nel quarto libro dell'Iliade; ed Omero non era mai lontano dallamente di Giuliano.

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ch'erano i più vicini alla riva; e siccome con intrepidavelocità maneggiavano i loro remi, si perderono dopopochi momenti nell'oscurità della notte. Si videsull'opposto lato una fiamma, e Giuliano, il qual chiara-mente conobbe, che i suoi primi vascelli nel tentare diprender terra erano incendiati dal nemico, destramentecangiò l'estremo loro pericolo in un presagio di vittoria.«I nostri compagni (esclamò con ardore) sono già pa-droni dell'altra sponda; vedete... danno il segno fra noiconvenuto: affrettiamoci ad emulare, e ad assistere illoro coraggio». L'unito e rapido moto d'una gran flottaruppe la violenza della corrente, ed arrivarono in tempoall'Oriental parte del Tigri da poter estinguere le fiammee liberare gli avventurosi loro compagni. Le difficoltàd'una ripida ed alta salita erano accresciute dal peso del-le armi e dall'oscurità della notte. Continuamente si sca-ricava sulla testa degli assalitori una pioggia di pietre, edi dardi e di fuoco; essi però dopo un aspro combatti-mento si rampicarono sulla riva, e vittoriosi posero ilpiede sul muro. Tosto che si trovarono in un campo piùuguale, Giuliano, che con la sua infanteria leggiera aveacondotto l'attacco609, gettò un occhio perito e sperimen-tato lungo le file: secondo i precetti d'Omero610 furon di-stribuiti nella fronte e nella retroguardia i soldati più va-

609Hinc Imperator.... (dice Ammiano) ipse cum levis armaturae auxiliis perprima postremaque discurrens. Contuttociò Zosimo, suo amico, dice, che nonpassò il fiume se non due giorni dopo la battaglia.

610Secundum Homericam dispositionem. Si attribuisce tal distribuzione alsavio Nestore nel quarto libro dell'Iliade; ed Omero non era mai lontano dallamente di Giuliano.

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lorosi, e tutte le trombe dell'esercito Imperiale intuona-rono la battaglia. I Romani, gettato un grido militare,avanzarono con passi misurati sulle animose note dellamarziale lor musica; lanciarono i lor formidabili giavel-lotti, e corsero avanti con le spade nude per privare iBarbari, mediante uno stretto combattimento, del van-taggio delle armi da scagliare. Tutto l'attacco durò più didodici ore, finattanto che la gradual ritirata de' Persianisi mutò in disordinata fuga, di cui diedero vergognosoesempio i primi Duci ed il Surenas medesimo. Furonoessi perseguitati fino alle porte di Ctesifonte, ed i vinci-tori avrebber potuto entrare nella sbigottita città611, se illor generale Vittore, ch'era mortalmente ferito da un dar-do, non gli avesse scongiurati a desistere da una temera-ria impresa, che avrebbe dovuto riuscir fatale, se nonandava felicemente. Dalla lor parte i Romani non trova-ron che la perdita di settantacinque soldati; mentre asse-rivan che i Barbari avean lasciato sul campo due milacinquecento o anche seimila dei loro più valenti guerrie-ri. La preda fu quale poteva aspettarsi dalla ricchezza edal lusso di un campo Orientale; una gran quantità d'oroe d'argento, splendide armi e fornimenti di cavalli, letti etavole d'argento massiccio. Il vittorioso Imperatore di-stribuì come premj di valore diversi doni e molte coroneciviche, murali e navali, ch'egli (e forse era il solo) sti-

611Persas terrore subito miscuerunt, versisque agminibus totius gentis,apertas Ctesiphontis portas victor miles intrasset, ni major praedarum occasiofuisset, quam cura victoriae (Sest. Ruf. de Provinc. c. 28). La loro avariziapotè disporli a dare orecchio al consiglio di Vittore.

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lorosi, e tutte le trombe dell'esercito Imperiale intuona-rono la battaglia. I Romani, gettato un grido militare,avanzarono con passi misurati sulle animose note dellamarziale lor musica; lanciarono i lor formidabili giavel-lotti, e corsero avanti con le spade nude per privare iBarbari, mediante uno stretto combattimento, del van-taggio delle armi da scagliare. Tutto l'attacco durò più didodici ore, finattanto che la gradual ritirata de' Persianisi mutò in disordinata fuga, di cui diedero vergognosoesempio i primi Duci ed il Surenas medesimo. Furonoessi perseguitati fino alle porte di Ctesifonte, ed i vinci-tori avrebber potuto entrare nella sbigottita città611, se illor generale Vittore, ch'era mortalmente ferito da un dar-do, non gli avesse scongiurati a desistere da una temera-ria impresa, che avrebbe dovuto riuscir fatale, se nonandava felicemente. Dalla lor parte i Romani non trova-ron che la perdita di settantacinque soldati; mentre asse-rivan che i Barbari avean lasciato sul campo due milacinquecento o anche seimila dei loro più valenti guerrie-ri. La preda fu quale poteva aspettarsi dalla ricchezza edal lusso di un campo Orientale; una gran quantità d'oroe d'argento, splendide armi e fornimenti di cavalli, letti etavole d'argento massiccio. Il vittorioso Imperatore di-stribuì come premj di valore diversi doni e molte coroneciviche, murali e navali, ch'egli (e forse era il solo) sti-

611Persas terrore subito miscuerunt, versisque agminibus totius gentis,apertas Ctesiphontis portas victor miles intrasset, ni major praedarum occasiofuisset, quam cura victoriae (Sest. Ruf. de Provinc. c. 28). La loro avariziapotè disporli a dare orecchio al consiglio di Vittore.

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mava più preziose delle ricchezze dell'Asia. Fu offertoun solenne sacrifizio al Dio della guerra, ma dalle osser-vazioni delle vittime si minacciarono i più infelici suc-cessi; e Giuliano tosto rilevò dai meno equivoci segni,ch'esso allora era giunto al termine della sua prosperi-tà612.

Il giorno dopo la battaglia le guardie domestiche, iGioviani e gli Erculei, ed il resto delle truppe, che com-ponevan quelli due terzi di tutto l'esercito, furon trasferi-ti sicuramente di là dal Tigri613. Mentre i Persiani dallemura di Ctesifonte miravano la desolazione dell'addia-cente campagna, Giuliano spesso gettava un ansiososguardo verso il Nord, aspettando che siccome avevaegli vittoriosamente penetrato fino alla capitale di Sapo-re, così la marcia e l'unione di Sebastiano e di Procopio,suoi luogotenenti, sarebbesi eseguita con ugual diligen-za e coraggio. Restò delusa la sua aspettativa dal tradi-mento del Re di Armenia, che permise, e più probabil-mente ordinò la diserzione delle ausiliarie sue truppe dalcampo Romano614 e dalle dissensioni dei due Generali,

612Il lavoro del canale, il passaggio del Tigri e la vittoria si descrivon daAmmiano (XXIV. 5. 6.), da Libanio (Orat. parent. c. 124-128. p. 347, 353), daGregorio Nazianzeno (Orat. IV. p. 115.), da Zosimo (l. III. p. 181-183.) e daSesto Rufo (de Prov. c. 28).

613La flotta e l'esercito erano disposti in tre divisioni una sola delle quali erapassata nella notte (Ammiano XXIV. 6.); παση δαρυφορια (tutto il seguito),che Zosimo fa passare il terzo giorno (l. III p. 183.), poteva esser composto daiprotettori, fra' quali in quell'era militavan l'Istorico Ammiano e Gioviano futu-ro Imperatore, di alcune truppe di domestici, e, forse de' Gioviani e degli Ercu-lei, che spesso facevan l'uffizio di guardie.

614Mosè di Corene (Hist. Armen. l. III c. 15 p. 246.) ci somministra una tra-dizione del paese, ed una lettera spuria. Io non ho ammesso che la principal

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mava più preziose delle ricchezze dell'Asia. Fu offertoun solenne sacrifizio al Dio della guerra, ma dalle osser-vazioni delle vittime si minacciarono i più infelici suc-cessi; e Giuliano tosto rilevò dai meno equivoci segni,ch'esso allora era giunto al termine della sua prosperi-tà612.

Il giorno dopo la battaglia le guardie domestiche, iGioviani e gli Erculei, ed il resto delle truppe, che com-ponevan quelli due terzi di tutto l'esercito, furon trasferi-ti sicuramente di là dal Tigri613. Mentre i Persiani dallemura di Ctesifonte miravano la desolazione dell'addia-cente campagna, Giuliano spesso gettava un ansiososguardo verso il Nord, aspettando che siccome avevaegli vittoriosamente penetrato fino alla capitale di Sapo-re, così la marcia e l'unione di Sebastiano e di Procopio,suoi luogotenenti, sarebbesi eseguita con ugual diligen-za e coraggio. Restò delusa la sua aspettativa dal tradi-mento del Re di Armenia, che permise, e più probabil-mente ordinò la diserzione delle ausiliarie sue truppe dalcampo Romano614 e dalle dissensioni dei due Generali,

612Il lavoro del canale, il passaggio del Tigri e la vittoria si descrivon daAmmiano (XXIV. 5. 6.), da Libanio (Orat. parent. c. 124-128. p. 347, 353), daGregorio Nazianzeno (Orat. IV. p. 115.), da Zosimo (l. III. p. 181-183.) e daSesto Rufo (de Prov. c. 28).

613La flotta e l'esercito erano disposti in tre divisioni una sola delle quali erapassata nella notte (Ammiano XXIV. 6.); παση δαρυφορια (tutto il seguito),che Zosimo fa passare il terzo giorno (l. III p. 183.), poteva esser composto daiprotettori, fra' quali in quell'era militavan l'Istorico Ammiano e Gioviano futu-ro Imperatore, di alcune truppe di domestici, e, forse de' Gioviani e degli Ercu-lei, che spesso facevan l'uffizio di guardie.

614Mosè di Corene (Hist. Armen. l. III c. 15 p. 246.) ci somministra una tra-dizione del paese, ed una lettera spuria. Io non ho ammesso che la principal

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che erano incapaci di formare o d'eseguire alcun disegnopel pubblico vantaggio. Quando ebbe l'Imperatore per-duta la speranza di quest'importante rinforzo, condiscesea tenere un consiglio di guerra, ed approvò, dopo unlungo dibattimento, il parere di quei Generali, che dis-suadevano l'assedio di Ctesifonte come un'impresa inu-tile e perniciosa. Non è facile per noi il concepire, permezzo di quali arti di fortificazione una città, ch'era sta-ta tre volte assediata e presa dai predecessori di Giulia-no, si fosse potuta rendere inespugnabile a fronte di unesercito di sessantamila Romani sotto il comando d'unprode ed esperto Generale, ed abbondantemente fornitidi navi, di provvisioni, di macchine per assedio e di ar-nesi militari. Ma possiamo assicurarci, atteso l'amor del-la gloria ed il disprezzo del pericolo che formavano ilcarattere di Giuliano, ch'ei non fu certamente scoraggia-to da ostacoli di piccola importanza o immaginari615. Neltempo stesso, in cui rinunziò all'assedio di Ctesifonte, ri-gettò con ostinazione e con isdegno le più lusinghiereofferte d'un trattato di pace. Sapore ch'era stato sì lunga-mente assuefatto alla tarda ostentazione di Costanzo, re-stò sorpreso dall'intrepida diligenza del suo successore.Fu ordinato ai Satrapi delle distanti Province, sino aiconfini dell'India e della Scizia, d'unire le loro truppe, e

circostanza, la quale è coerente alla verità, alla verisimiglianza ed a Libanio(Orat. parent. c. 131 p. 355).

615Civitas inexpugnabilis, facinus audax et importunum. Ammian. XXIV. 7.Eutropio, collega di lui nella milizia, evita la difficoltà: Assiriamque populatuscastra apud Ctesiphontem stativa aliquandiu habuit; remeansque victor etc. X.16. Zosimo è artificioso o ignorante, e Socrate inesatto.

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che erano incapaci di formare o d'eseguire alcun disegnopel pubblico vantaggio. Quando ebbe l'Imperatore per-duta la speranza di quest'importante rinforzo, condiscesea tenere un consiglio di guerra, ed approvò, dopo unlungo dibattimento, il parere di quei Generali, che dis-suadevano l'assedio di Ctesifonte come un'impresa inu-tile e perniciosa. Non è facile per noi il concepire, permezzo di quali arti di fortificazione una città, ch'era sta-ta tre volte assediata e presa dai predecessori di Giulia-no, si fosse potuta rendere inespugnabile a fronte di unesercito di sessantamila Romani sotto il comando d'unprode ed esperto Generale, ed abbondantemente fornitidi navi, di provvisioni, di macchine per assedio e di ar-nesi militari. Ma possiamo assicurarci, atteso l'amor del-la gloria ed il disprezzo del pericolo che formavano ilcarattere di Giuliano, ch'ei non fu certamente scoraggia-to da ostacoli di piccola importanza o immaginari615. Neltempo stesso, in cui rinunziò all'assedio di Ctesifonte, ri-gettò con ostinazione e con isdegno le più lusinghiereofferte d'un trattato di pace. Sapore ch'era stato sì lunga-mente assuefatto alla tarda ostentazione di Costanzo, re-stò sorpreso dall'intrepida diligenza del suo successore.Fu ordinato ai Satrapi delle distanti Province, sino aiconfini dell'India e della Scizia, d'unire le loro truppe, e

circostanza, la quale è coerente alla verità, alla verisimiglianza ed a Libanio(Orat. parent. c. 131 p. 355).

615Civitas inexpugnabilis, facinus audax et importunum. Ammian. XXIV. 7.Eutropio, collega di lui nella milizia, evita la difficoltà: Assiriamque populatuscastra apud Ctesiphontem stativa aliquandiu habuit; remeansque victor etc. X.16. Zosimo è artificioso o ignorante, e Socrate inesatto.

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di marciare senza dilazione in aiuto del proprio Monar-ca. Ma se ne prolungarono i preparativi, e lenti furono ilor movimenti; e prima che Sapore potesse condurre incampo un'armata, ebbe la trista novella della devastazio-ne dell'Assiria, della rovina dei suoi palazzi e della stra-ge delle più valenti sue truppe, che difendevano il passodel Tigri. Fu umiliato l'orgoglio della real dignità finoalla polvere; egli si cibò sulla nuda terra; e la scarmi-gliata sua chioma esprimeva il dolore e l'agitazione del-lo spirito. Forse non avrebbe ricusato di comprare con lametà del suo regno la sicurezza del resto; e volentieri sisarebbe dichiarato, in un trattato di pace, fedele e dipen-dente alleato del Romano conquistatore. Sotto pretestodi affari privati fu segretamente spedito un ministro diqualità e di confidenza ad abbracciare le ginocchiad'Ormisda per pregarlo, coll'espressione di un suppli-chevole, di poter essere introdotto alla presenzadell'Imperatore. O sia che il principe Sassanide prestasseorecchio alla voce dell'orgoglio o dell'umanità, o sia checonsultasse i sentimenti della sua nascita o i doveri dellasituazione, egli era per ogni parte inclinato a promuove-re un salutevole metodo per terminare le calamità dellaPersia, ed assicurare il trionfo di Roma. Restò sorpresodall'inflessibil fermezza d'un Eroe, che, per disgrazia dise medesimo e dei suoi, rammentavasi che Alessandroavea ugualmente rigettato le proposizioni di Dario. Masiccome Giuliano conosceva che la speranza d'una sicu-ra ed onorevol pace avrebbe potuto raffreddar l'ardoredelle sue truppe, istantemente richiese che Ormisda li-

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di marciare senza dilazione in aiuto del proprio Monar-ca. Ma se ne prolungarono i preparativi, e lenti furono ilor movimenti; e prima che Sapore potesse condurre incampo un'armata, ebbe la trista novella della devastazio-ne dell'Assiria, della rovina dei suoi palazzi e della stra-ge delle più valenti sue truppe, che difendevano il passodel Tigri. Fu umiliato l'orgoglio della real dignità finoalla polvere; egli si cibò sulla nuda terra; e la scarmi-gliata sua chioma esprimeva il dolore e l'agitazione del-lo spirito. Forse non avrebbe ricusato di comprare con lametà del suo regno la sicurezza del resto; e volentieri sisarebbe dichiarato, in un trattato di pace, fedele e dipen-dente alleato del Romano conquistatore. Sotto pretestodi affari privati fu segretamente spedito un ministro diqualità e di confidenza ad abbracciare le ginocchiad'Ormisda per pregarlo, coll'espressione di un suppli-chevole, di poter essere introdotto alla presenzadell'Imperatore. O sia che il principe Sassanide prestasseorecchio alla voce dell'orgoglio o dell'umanità, o sia checonsultasse i sentimenti della sua nascita o i doveri dellasituazione, egli era per ogni parte inclinato a promuove-re un salutevole metodo per terminare le calamità dellaPersia, ed assicurare il trionfo di Roma. Restò sorpresodall'inflessibil fermezza d'un Eroe, che, per disgrazia dise medesimo e dei suoi, rammentavasi che Alessandroavea ugualmente rigettato le proposizioni di Dario. Masiccome Giuliano conosceva che la speranza d'una sicu-ra ed onorevol pace avrebbe potuto raffreddar l'ardoredelle sue truppe, istantemente richiese che Ormisda li-

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cenziasse privatamente il ministro di Sapore per toglierquesta pericolosa tentazione alla cognizion dell'eserci-to616.

L'onore non meno che l'interesse di Giuliano lo disto-glievano dal consumare il tempo sotto le inespugnabilimura di Ctesifonte; ed ogni volta ch'egli sfidava i Bar-bari, che difendevano la città, a venirgli contro in campoaperto, essi prudentemente rispondevano, che se deside-rava d'esercitare il proprio valore, potrebbe andare incerca dell'esercito del Gran Re. Ei fu mosso dall'insulto,ed accettò il consiglio. Invece di limitare servilmente lasua marcia alle rive dell'Eufrate e del Tigri, risolvèd'imitare il rischioso coraggio d'Alessandro, e d'ardita-mente avanzarsi nelle Province interiori, finattanto chepotesse forzare il nemico a combattere seco, forse nellepianure d'Arbella, per l'Impero dell'Asia. La magnani-mità di Giuliano fu approvata ed applaudita dagli artifizjd'un nobil Persiano, che per amor della patria erasi ge-nerosamente indotto a fare una parte piena di pericolo,di falsità e di vergogna617. Con una truppa di fedeli se-guaci portossi al campo Imperiale; espose in un artifi-

616Liban. Orat. parent. c. 130. p. 354. c. 139. p. 361. Socrate l. III. c. 21.L'Istorico Ecclesiastico attribuisce al consiglio di Massimo il rifiuto della pace.Tal consiglio era indegno d'un filosofo; ma il filosofo era anche un incantatore,che lusingava le speranze e le passioni del suo Signore.

617Le arti di questo nuovo Zopiro (Greg. Nazianzeno Orat. IV p. 115. 156)possono meritare qualche credenza per la testimonianza de' due abbreviatori(Sesto Rufo e Vittore) e pei cenni che accidentalmente ne danno Libanio(Orat. parent. c. 134. p. 157.) ed Ammiano XXIV. 7. Viene interrotto il corsodell'istoria genuina da una molto inopportuna mancanza nel testo d'Ammianomedesimo.

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cenziasse privatamente il ministro di Sapore per toglierquesta pericolosa tentazione alla cognizion dell'eserci-to616.

L'onore non meno che l'interesse di Giuliano lo disto-glievano dal consumare il tempo sotto le inespugnabilimura di Ctesifonte; ed ogni volta ch'egli sfidava i Bar-bari, che difendevano la città, a venirgli contro in campoaperto, essi prudentemente rispondevano, che se deside-rava d'esercitare il proprio valore, potrebbe andare incerca dell'esercito del Gran Re. Ei fu mosso dall'insulto,ed accettò il consiglio. Invece di limitare servilmente lasua marcia alle rive dell'Eufrate e del Tigri, risolvèd'imitare il rischioso coraggio d'Alessandro, e d'ardita-mente avanzarsi nelle Province interiori, finattanto chepotesse forzare il nemico a combattere seco, forse nellepianure d'Arbella, per l'Impero dell'Asia. La magnani-mità di Giuliano fu approvata ed applaudita dagli artifizjd'un nobil Persiano, che per amor della patria erasi ge-nerosamente indotto a fare una parte piena di pericolo,di falsità e di vergogna617. Con una truppa di fedeli se-guaci portossi al campo Imperiale; espose in un artifi-

616Liban. Orat. parent. c. 130. p. 354. c. 139. p. 361. Socrate l. III. c. 21.L'Istorico Ecclesiastico attribuisce al consiglio di Massimo il rifiuto della pace.Tal consiglio era indegno d'un filosofo; ma il filosofo era anche un incantatore,che lusingava le speranze e le passioni del suo Signore.

617Le arti di questo nuovo Zopiro (Greg. Nazianzeno Orat. IV p. 115. 156)possono meritare qualche credenza per la testimonianza de' due abbreviatori(Sesto Rufo e Vittore) e pei cenni che accidentalmente ne danno Libanio(Orat. parent. c. 134. p. 157.) ed Ammiano XXIV. 7. Viene interrotto il corsodell'istoria genuina da una molto inopportuna mancanza nel testo d'Ammianomedesimo.

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cioso discorso le ingiurie che avea sofferte; esagerò lacrudeltà di Sapore, la malcontentezza del popolo e la de-bolezza del regno: e confidentemente offrì sè stesso perostaggio e per guida della marcia Romana. Dall'accor-tezza e dall'esperienza d'Ormisda si rappresentaronoinutilmente i motivi più ragionevoli di sospetto; ed ilcredulo Giuliano, ammettendo il traditore alla sua confi-denza, si lasciò persuadere a dare precipitosamente unordine, che nell'opinione del Mondo parve che fossecontrario alla prudenza, e ponesse in rischio la sua salu-te. Distrusse in un'ora tutta la flotta, ch'erasi trasportataper più di cinquecento miglia a spese di tanti travagli, ditanto danaro e di tanto sangue. Si serbarono dodici o alpiù ventidue piccole barche per seguitare su' carri lamarcia dell'esercito, e formare alle occorrenze de' pontipel passaggio de' fiumi. Fu conservata la provvisione diventi giorni pe' soldati; e per assoluto comandodell'imperatore il resto de' magazzini con una flotta dimille cento vascelli che stavano all'ancora sul Tigri, ab-bandonossi alle fiamme. I Vescovi Cristiani Gregorio edAgostino insultano la pazzia dell'apostata, ch'eseguivacon le proprie mani la sentenza della divina giustizia. Laloro autorità, che in una questione militare potrebbe re-putarsi per avventura di piccolo peso, vien confermatadal freddo giudizio d'un esperto soldato, che fu spettato-re di quell'incendio; e che non potè disapprovare il repu-gnante mormorio delle truppe618. Ciò nonostante non

618Vedi Ammiano (XXIV. 7), Libanio (Orat. parent. c. 132. 133, p. 356.357), Zosimo (l. III. p. 185.), Zonara (Tom. II. l. XIII. p. 26), Gregorio (Orat.

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cioso discorso le ingiurie che avea sofferte; esagerò lacrudeltà di Sapore, la malcontentezza del popolo e la de-bolezza del regno: e confidentemente offrì sè stesso perostaggio e per guida della marcia Romana. Dall'accor-tezza e dall'esperienza d'Ormisda si rappresentaronoinutilmente i motivi più ragionevoli di sospetto; ed ilcredulo Giuliano, ammettendo il traditore alla sua confi-denza, si lasciò persuadere a dare precipitosamente unordine, che nell'opinione del Mondo parve che fossecontrario alla prudenza, e ponesse in rischio la sua salu-te. Distrusse in un'ora tutta la flotta, ch'erasi trasportataper più di cinquecento miglia a spese di tanti travagli, ditanto danaro e di tanto sangue. Si serbarono dodici o alpiù ventidue piccole barche per seguitare su' carri lamarcia dell'esercito, e formare alle occorrenze de' pontipel passaggio de' fiumi. Fu conservata la provvisione diventi giorni pe' soldati; e per assoluto comandodell'imperatore il resto de' magazzini con una flotta dimille cento vascelli che stavano all'ancora sul Tigri, ab-bandonossi alle fiamme. I Vescovi Cristiani Gregorio edAgostino insultano la pazzia dell'apostata, ch'eseguivacon le proprie mani la sentenza della divina giustizia. Laloro autorità, che in una questione militare potrebbe re-putarsi per avventura di piccolo peso, vien confermatadal freddo giudizio d'un esperto soldato, che fu spettato-re di quell'incendio; e che non potè disapprovare il repu-gnante mormorio delle truppe618. Ciò nonostante non

618Vedi Ammiano (XXIV. 7), Libanio (Orat. parent. c. 132. 133, p. 356.357), Zosimo (l. III. p. 185.), Zonara (Tom. II. l. XIII. p. 26), Gregorio (Orat.

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mancano speciose, e forse anche sode ragioni, che po-trebbero giustificare la risoluzione di Giuliano. L'Eufra-te non era navigabile al di là di Babilonia, nè il Tigri ol-tre Opis619. La distanza di quest'ultima città dal campoRomano non era molto grande; e Giuliano avrebbe do-vuto ben presto rinunziare alla vana ed ineseguibile im-presa di condurre a forza una gran flotta contro la cor-rente d'un rapido fiume620, che in molti luoghi era impe-dito da cateratte o naturali o fatte ad arte621. Non poteaservire la forza delle vele e dei remi; bisognava rimor-chiar le navi contro il corso del fiume; si sarebbe impie-gata l'opera di ventimila soldati in quel tedioso e serviltravaglio; e se i Romani continuavano a marciar lungole sponde del Tigri, potevan solo aspettarsi di tornarealla lor case senza aver fatto alcuna impresa degna delgenio o della fortuna del lor capitano. Se per l'oppostoera buon progetto quello di avanzarsi nell'interno delpaese, la distruzione della flotta o dei magazzini eral'unico mezzo di togliere quella preziosa preda dallemani delle copiose ed attive truppe, che potevano im-IV. p. 116), Agostino (de Civ. Dei. l. IV. c. 29. l. V. c. 21). Fra questi Libaniosolo tenta di fare una debole apologia pel suo Eroe, che secondo Ammianopronunziò la propria condanna, con un tardo ed efficace tentativo d'estinguer lefiamme.

619Vedi Erodoto (l. I. c. 194.), Strabone (l. XIV. p. 1074.) e Tavernier (p. I. l.II. p. 152.).

620A celeritate Tigris incipit vocari, ita appellant Medi sagittam: Plin.Histor. nat. VI. 31.

621Una di quelle dighe, che produce una cascata o cateratta artificiale, viendescritta dal Tavernier (P. I. l. II. p. 226.) e dal Thevenot (P. II. l. I. p. 193). IPersiani o gli Assirj procurarono d'interrompere la navigazione del fiume: Stra-bone l. XV. pag. 1975. Danville L'Euphrate et le Tigre p. 98, 99.

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mancano speciose, e forse anche sode ragioni, che po-trebbero giustificare la risoluzione di Giuliano. L'Eufra-te non era navigabile al di là di Babilonia, nè il Tigri ol-tre Opis619. La distanza di quest'ultima città dal campoRomano non era molto grande; e Giuliano avrebbe do-vuto ben presto rinunziare alla vana ed ineseguibile im-presa di condurre a forza una gran flotta contro la cor-rente d'un rapido fiume620, che in molti luoghi era impe-dito da cateratte o naturali o fatte ad arte621. Non poteaservire la forza delle vele e dei remi; bisognava rimor-chiar le navi contro il corso del fiume; si sarebbe impie-gata l'opera di ventimila soldati in quel tedioso e serviltravaglio; e se i Romani continuavano a marciar lungole sponde del Tigri, potevan solo aspettarsi di tornarealla lor case senza aver fatto alcuna impresa degna delgenio o della fortuna del lor capitano. Se per l'oppostoera buon progetto quello di avanzarsi nell'interno delpaese, la distruzione della flotta o dei magazzini eral'unico mezzo di togliere quella preziosa preda dallemani delle copiose ed attive truppe, che potevano im-IV. p. 116), Agostino (de Civ. Dei. l. IV. c. 29. l. V. c. 21). Fra questi Libaniosolo tenta di fare una debole apologia pel suo Eroe, che secondo Ammianopronunziò la propria condanna, con un tardo ed efficace tentativo d'estinguer lefiamme.

619Vedi Erodoto (l. I. c. 194.), Strabone (l. XIV. p. 1074.) e Tavernier (p. I. l.II. p. 152.).

620A celeritate Tigris incipit vocari, ita appellant Medi sagittam: Plin.Histor. nat. VI. 31.

621Una di quelle dighe, che produce una cascata o cateratta artificiale, viendescritta dal Tavernier (P. I. l. II. p. 226.) e dal Thevenot (P. II. l. I. p. 193). IPersiani o gli Assirj procurarono d'interrompere la navigazione del fiume: Stra-bone l. XV. pag. 1975. Danville L'Euphrate et le Tigre p. 98, 99.

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provvisamente sortir dalle porte di Ctesifonte. Se learmi di Giuliano fossero state vittoriose, adesso noi am-mireremmo la condotta non men che il coraggio d'unEroe, che privando i soldati della speranza di ritirarsi,non lasciò loro che l'alternativa fra la morte e la conqui-sta622.

Il grave bagaglio dell'artiglieria e dei carri, che ritardale operazioni delle armate moderne, era in gran parte in-cognito in un campo di Romani623. Pure in ogni tempo ilmantenimento di sessantamila uomini deve essere statouno dei più importanti pensieri d'un prudente Generale;e tal sussistenza non potea trarsi che o dal proprio paeseo da quel del nemico. Quand'anche Giuliano avesse po-tuto mantenere un ponte di comunicazione sul Tigri, econservar le piazze già conquistate dell'Assiria, non po-teva una desolata Provincia somministrare alcun abbon-dante e regolato soccorso in una stagione, in cui la terraera coperta dall'innondazion dell'Eufrate624, e l'aria mal-sana oscurata da sciami d'innumerabili insetti625. L'appa-

622Rammentiamoci la felice ed applaudita temerità d'Agatocle e di Cortes,che abbruciarono le loro navi sulla costa dell'Affrica e del Messico.

623Vedi le giudiziose riflessioni dell'Autore del saggio sulla Tattica (Tom. II.pag. 287-354.) e le dotte osservazioni del Guichardt (Nouveaux memoires mili-taires. Tom. I. pag. 351-382.) sul bagaglio e la sussistenza degli eserciti Roma-ni.

624Il Tigri sorge al mezzodì, l'Eufrate al settentrione delle montagned'Armenia. Il primo dà fuori nel Marzo, ed il secondo nel mese di Luglio. Talicircostanze vengon bene spiegate nella dissertazione Geografica di Foster inse-rita nella Spedizione di Ciro di Spelman (Vol. II p. 26.)

625Ammiano (XXIV. 8.) descrive, come sentì egli stesso, l'incomododell'acqua, del caldo e degli insetti. I terreni dell'Assiria, sotto l'oppressione de'Turchi, e la devastazione de' Curdi o Arabi, moltiplican dieci, quindici e venti

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provvisamente sortir dalle porte di Ctesifonte. Se learmi di Giuliano fossero state vittoriose, adesso noi am-mireremmo la condotta non men che il coraggio d'unEroe, che privando i soldati della speranza di ritirarsi,non lasciò loro che l'alternativa fra la morte e la conqui-sta622.

Il grave bagaglio dell'artiglieria e dei carri, che ritardale operazioni delle armate moderne, era in gran parte in-cognito in un campo di Romani623. Pure in ogni tempo ilmantenimento di sessantamila uomini deve essere statouno dei più importanti pensieri d'un prudente Generale;e tal sussistenza non potea trarsi che o dal proprio paeseo da quel del nemico. Quand'anche Giuliano avesse po-tuto mantenere un ponte di comunicazione sul Tigri, econservar le piazze già conquistate dell'Assiria, non po-teva una desolata Provincia somministrare alcun abbon-dante e regolato soccorso in una stagione, in cui la terraera coperta dall'innondazion dell'Eufrate624, e l'aria mal-sana oscurata da sciami d'innumerabili insetti625. L'appa-

622Rammentiamoci la felice ed applaudita temerità d'Agatocle e di Cortes,che abbruciarono le loro navi sulla costa dell'Affrica e del Messico.

623Vedi le giudiziose riflessioni dell'Autore del saggio sulla Tattica (Tom. II.pag. 287-354.) e le dotte osservazioni del Guichardt (Nouveaux memoires mili-taires. Tom. I. pag. 351-382.) sul bagaglio e la sussistenza degli eserciti Roma-ni.

624Il Tigri sorge al mezzodì, l'Eufrate al settentrione delle montagned'Armenia. Il primo dà fuori nel Marzo, ed il secondo nel mese di Luglio. Talicircostanze vengon bene spiegate nella dissertazione Geografica di Foster inse-rita nella Spedizione di Ciro di Spelman (Vol. II p. 26.)

625Ammiano (XXIV. 8.) descrive, come sentì egli stesso, l'incomododell'acqua, del caldo e degli insetti. I terreni dell'Assiria, sotto l'oppressione de'Turchi, e la devastazione de' Curdi o Arabi, moltiplican dieci, quindici e venti

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renza d'un paese nemico era più atta ad invitare. L'estesaregione, che giace tra il fiume Tigri ed i monti della Me-dia, era piena di città e di villaggi; ed il fertile suolo eraper la massima parte in uno stato di coltivazione assaibuono. Giuliano potea sperare che un conquistatore, ilquale possedeva i due potenti strumenti di persuadere, ilferro e l'oro, sarebbesi facilmente procacciata una copio-sa sussistenza dal terrore o dall'avarizia degli abitanti.Ma all'avvicinarsi dei Romani svanì ad un tratto questoricco e ridente prospetto. Dovunque egli andava, gli abi-tatori abbandonavano i villaggi aperti, e rifuggivansidentro alle fortificate città; era cacciato via il bestiame;e l'erbaggio ed il grano maturo consumato dal fuoco; equando eran cessate le fiamme, che interrompevano lamarcia di Giuliano, non gli si presentava che il tristoaspetto d'un nudo e fumante deserto. Questo disperato,ma efficace, sistema di difesa non può eseguirsi che odall'entusiasmo d'un popolo che preferisce l'indipenden-za a' suoi beni, o dal rigore d'un governo arbitrario, cheprovvede alla salvezza pubblica senza sottoporreall'inclinazion de' privati la libertà della scelta.Nell'occasione presente, lo zelo e l'ubbidienza de' Per-siani secondò gli ordini di Sapore; e l'Imperatore fu inbreve ridotto ad una tenue quantità di provvisioni, chegli andava continuamente mancando fra mano. Primache fossero interamente consumate, avrebbe potuto con-dursi alle doviziose e deboli città d'Ecbatana o di Susa,volte il seme, che un miserabile ed imperito agricoltore vi getta. Viag. di Nie-buhr Tom. II. p. 27. 285.

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renza d'un paese nemico era più atta ad invitare. L'estesaregione, che giace tra il fiume Tigri ed i monti della Me-dia, era piena di città e di villaggi; ed il fertile suolo eraper la massima parte in uno stato di coltivazione assaibuono. Giuliano potea sperare che un conquistatore, ilquale possedeva i due potenti strumenti di persuadere, ilferro e l'oro, sarebbesi facilmente procacciata una copio-sa sussistenza dal terrore o dall'avarizia degli abitanti.Ma all'avvicinarsi dei Romani svanì ad un tratto questoricco e ridente prospetto. Dovunque egli andava, gli abi-tatori abbandonavano i villaggi aperti, e rifuggivansidentro alle fortificate città; era cacciato via il bestiame;e l'erbaggio ed il grano maturo consumato dal fuoco; equando eran cessate le fiamme, che interrompevano lamarcia di Giuliano, non gli si presentava che il tristoaspetto d'un nudo e fumante deserto. Questo disperato,ma efficace, sistema di difesa non può eseguirsi che odall'entusiasmo d'un popolo che preferisce l'indipenden-za a' suoi beni, o dal rigore d'un governo arbitrario, cheprovvede alla salvezza pubblica senza sottoporreall'inclinazion de' privati la libertà della scelta.Nell'occasione presente, lo zelo e l'ubbidienza de' Per-siani secondò gli ordini di Sapore; e l'Imperatore fu inbreve ridotto ad una tenue quantità di provvisioni, chegli andava continuamente mancando fra mano. Primache fossero interamente consumate, avrebbe potuto con-dursi alle doviziose e deboli città d'Ecbatana o di Susa,volte il seme, che un miserabile ed imperito agricoltore vi getta. Viag. di Nie-buhr Tom. II. p. 27. 285.

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mediante lo sforzo d'una marcia rapida e ben diretta626;ma restò privo anche di quest'ultimo ripiego per l'igno-ranza delle strade e per la perfidia delle sue guide. I Ro-mani andaron vagando più giorni all'oriente di Bagdad;il disertore persiano, che artificiosamente condotti gliavea nella rete, si sottrasse al loro sdegno; ed i seguacidi esso, posti alla tortura, confessarono il segreto dellacospirazione. Le immaginarie conquiste dell'Ircania edell'India, che per tanto tempo avean lusingato l'animodi Giuliano, adesso lo tormentavano. Consapevole chela propria imprudenza era la causa del pubblico male,stava con perplessità bilanciando le speranze di salute odi successo, senza potere ottenere alcuna soddisfacenterisposta nè dagli uomini nè dagli Dei. Finalmente nonessendovi altro compenso da prendere, si risolvè di vol-tare i suoi passi verso le rive del Tigri ad oggetto di sal-vare l'esercito per mezzo d'una precipitosa marcia versoi confini di Corduena, fertile ed amica Provincia, che ri-conosceva il dominio di Roma. Le scoraggiate truppeobbedirono al segnale della ritirata non più che settantagiorni dopo d'aver passato il Cabora con un'ardente fi-ducia di rovesciare il trono della Persia627.

626Isidoro di Carax (Mansion. Parthic. pag. 5. 6. ap. Hudson. Geogr. min.Tom. II.) computa 129. scheni da Seleucia, e Thevenot (Par. I. lib. II. p. 209-245.) un cammino di ore 128 da Bagdad ad Ecbatana, o Hamadam. Quelle mi-sure non possono eccedere una parasanga ordinaria, o tre miglia Romane.

627Descrivono circostanziatamente, non però con chiarezza, il cammino chefece Giuliano da Ctesifonte, Ammiano (XXIV. 7, 8), Libanio (Orat. parent. c.134. p. 357.) e Zosimo (lib. III. p. 183.). Gli ultimi due par che ignorassero,che il loro conquistatore si ritirasse; e Libanio assurdamente lo limita allesponde del Tigri.

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mediante lo sforzo d'una marcia rapida e ben diretta626;ma restò privo anche di quest'ultimo ripiego per l'igno-ranza delle strade e per la perfidia delle sue guide. I Ro-mani andaron vagando più giorni all'oriente di Bagdad;il disertore persiano, che artificiosamente condotti gliavea nella rete, si sottrasse al loro sdegno; ed i seguacidi esso, posti alla tortura, confessarono il segreto dellacospirazione. Le immaginarie conquiste dell'Ircania edell'India, che per tanto tempo avean lusingato l'animodi Giuliano, adesso lo tormentavano. Consapevole chela propria imprudenza era la causa del pubblico male,stava con perplessità bilanciando le speranze di salute odi successo, senza potere ottenere alcuna soddisfacenterisposta nè dagli uomini nè dagli Dei. Finalmente nonessendovi altro compenso da prendere, si risolvè di vol-tare i suoi passi verso le rive del Tigri ad oggetto di sal-vare l'esercito per mezzo d'una precipitosa marcia versoi confini di Corduena, fertile ed amica Provincia, che ri-conosceva il dominio di Roma. Le scoraggiate truppeobbedirono al segnale della ritirata non più che settantagiorni dopo d'aver passato il Cabora con un'ardente fi-ducia di rovesciare il trono della Persia627.

626Isidoro di Carax (Mansion. Parthic. pag. 5. 6. ap. Hudson. Geogr. min.Tom. II.) computa 129. scheni da Seleucia, e Thevenot (Par. I. lib. II. p. 209-245.) un cammino di ore 128 da Bagdad ad Ecbatana, o Hamadam. Quelle mi-sure non possono eccedere una parasanga ordinaria, o tre miglia Romane.

627Descrivono circostanziatamente, non però con chiarezza, il cammino chefece Giuliano da Ctesifonte, Ammiano (XXIV. 7, 8), Libanio (Orat. parent. c.134. p. 357.) e Zosimo (lib. III. p. 183.). Gli ultimi due par che ignorassero,che il loro conquistatore si ritirasse; e Libanio assurdamente lo limita allesponde del Tigri.

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Per tutto il tempo in cui parve che i Romani si avan-zassero nel paese, era osservata ed insidiata di lontano laloro marcia da vari corpi di cavalleria Persiana, che fa-cendosi vedere alle volte in ordine più stretto, facevadelle piccole scaramuccie con le guardie avanzate. Que-sti distaccamenti però venivano sostenuti da una forzamolto maggiore; ed appena i capi delle colonne si dires-sero verso il Tigri, che sollevossi un nuvol di polvere sulpiano. I Romani, che allora non aspiravano che alla per-missione di una sicura e pronta ritirata, volevano per-suadersi che tale formidabile apparenza nasceva da unatruppa di asini selvaggi, o dall'avvicinarsi di Arabi ami-ci. Si arrestarono, piantarono le tende, fortificarono ilcampo, passaron tutta la notte in continue agitazioni, edallo spuntar del giorno s'avvidero ch'eran circondati daun esercito di Persiani. Quest'armata, che potea solo ri-guardarsi come la vanguardia de' Barbari, fu tosto segui-ta da un grosso corpo di corazze, di arcieri e di elefanticomandati da Merane, Generale di riputazione e di qua-lità. Era egli accompagnato da due figli del Re e da mol-ti de' primi Satrapi: e la fama e l'aspettazione esageravanla grandezza delle altre forze, che, lentamente s'avanza-vano sotto la direzione di Sapore stesso. Continuando iRomani la marcia, la lunga loro ordinanza, che si dove-va piegare, o dividere secondo le varietà del terreno,somministrava delle frequenti e favorevoli occasioni aivigilanti nemici. I Persiani più volte li628 attaccarono im-

628Nell'originale "gli". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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Per tutto il tempo in cui parve che i Romani si avan-zassero nel paese, era osservata ed insidiata di lontano laloro marcia da vari corpi di cavalleria Persiana, che fa-cendosi vedere alle volte in ordine più stretto, facevadelle piccole scaramuccie con le guardie avanzate. Que-sti distaccamenti però venivano sostenuti da una forzamolto maggiore; ed appena i capi delle colonne si dires-sero verso il Tigri, che sollevossi un nuvol di polvere sulpiano. I Romani, che allora non aspiravano che alla per-missione di una sicura e pronta ritirata, volevano per-suadersi che tale formidabile apparenza nasceva da unatruppa di asini selvaggi, o dall'avvicinarsi di Arabi ami-ci. Si arrestarono, piantarono le tende, fortificarono ilcampo, passaron tutta la notte in continue agitazioni, edallo spuntar del giorno s'avvidero ch'eran circondati daun esercito di Persiani. Quest'armata, che potea solo ri-guardarsi come la vanguardia de' Barbari, fu tosto segui-ta da un grosso corpo di corazze, di arcieri e di elefanticomandati da Merane, Generale di riputazione e di qua-lità. Era egli accompagnato da due figli del Re e da mol-ti de' primi Satrapi: e la fama e l'aspettazione esageravanla grandezza delle altre forze, che, lentamente s'avanza-vano sotto la direzione di Sapore stesso. Continuando iRomani la marcia, la lunga loro ordinanza, che si dove-va piegare, o dividere secondo le varietà del terreno,somministrava delle frequenti e favorevoli occasioni aivigilanti nemici. I Persiani più volte li628 attaccarono im-

628Nell'originale "gli". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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petuosamente; più volte furono rispinti con fermezza, el'azione di Maronga, che meritò quasi il nome di batta-glia, fu notabile per una gran perdita di Satrapi e di ele-fanti, che agli occhi del loro Monarca erano forsed'uguale valore. Non si ottennero tali splendidi vantaggisenza una corrispondente strage dalla parte dei Romani;restarono uccisi o feriti molti uffiziali di distinzione, el'Imperatore medesimo, che in ogni occasione di perico-lo inspirava e regolava il valore delle sue truppe, era co-stretto ad esporre la propria persona, ed a far uso dellasua abilità. Il peso delle armi offensive e difensive, cheformavano sempre la forza e sicurezza dei Romani, lirendeva incapaci a perseguitar lungamente e con vigoreil nemico; laddove i cavalieri Orientali, essendo assue-fatti a lanciare i giavellotti, ed a scagliare i dardi consomma velocità e per qualunque possibile direzione629,la cavalleria Persiana non riusciva mai più formidabileche nel momento di una disordinata e rapida fuga. Ma lapiù certa ed irreparabil perdita dei Romani era quella deltempo. I robusti veterani, avvezzati al freddo clima dellaGallia e Germania, languivano nel soffocante caldod'una state d'Assiria, s'esauriva il loro vigore pei conti-nui ordini di marciare e di combattere, e l'avanzamentodell'esercito era sospeso dalle precauzioni di una lenta erischiosa ritirata in presenza d'un attivo nemico. Ogni

629Chardin, ch'è il più giudizioso tra' viaggiatori moderni, descrive (Tom. IIIp. 57-58. ec. edit. in 4.) l'educazione e la destrezza de' cavalieri Persiani. Bris-sonio (de Regn. Pers. p. 650-661 ec.) ha raccolto le testimonianze dell'antichi-tà.

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petuosamente; più volte furono rispinti con fermezza, el'azione di Maronga, che meritò quasi il nome di batta-glia, fu notabile per una gran perdita di Satrapi e di ele-fanti, che agli occhi del loro Monarca erano forsed'uguale valore. Non si ottennero tali splendidi vantaggisenza una corrispondente strage dalla parte dei Romani;restarono uccisi o feriti molti uffiziali di distinzione, el'Imperatore medesimo, che in ogni occasione di perico-lo inspirava e regolava il valore delle sue truppe, era co-stretto ad esporre la propria persona, ed a far uso dellasua abilità. Il peso delle armi offensive e difensive, cheformavano sempre la forza e sicurezza dei Romani, lirendeva incapaci a perseguitar lungamente e con vigoreil nemico; laddove i cavalieri Orientali, essendo assue-fatti a lanciare i giavellotti, ed a scagliare i dardi consomma velocità e per qualunque possibile direzione629,la cavalleria Persiana non riusciva mai più formidabileche nel momento di una disordinata e rapida fuga. Ma lapiù certa ed irreparabil perdita dei Romani era quella deltempo. I robusti veterani, avvezzati al freddo clima dellaGallia e Germania, languivano nel soffocante caldod'una state d'Assiria, s'esauriva il loro vigore pei conti-nui ordini di marciare e di combattere, e l'avanzamentodell'esercito era sospeso dalle precauzioni di una lenta erischiosa ritirata in presenza d'un attivo nemico. Ogni

629Chardin, ch'è il più giudizioso tra' viaggiatori moderni, descrive (Tom. IIIp. 57-58. ec. edit. in 4.) l'educazione e la destrezza de' cavalieri Persiani. Bris-sonio (de Regn. Pers. p. 650-661 ec.) ha raccolto le testimonianze dell'antichi-tà.

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giorno ed ogni ora a misura che diminuiva la quantitàdei viveri nel campo Romano, crescevano la stima ed ilprezzo630. Giuliano, che solea contentarsi di una dose dicibo, che non avrebbe soddisfatto un affamato soldato,distribuì per uso dello truppe le provvisioni della casaImperiale, e tuttociò che potea risparmiarsi dei cavallida soma dei Tribuni e dei Generali. Ma questo debolsollievo non servì che ad aggravare il sentimento dellacomune calamità, ed i Romani cominciarono ad aver lepiù tetre apprensioni, che avanti di poter giungere allefrontiere dell'Impero dovessero tutti perire o di fame, oper lo mani de' Barbari631.

Mentre Giuliano combatteva con le difficoltà quasiinsuperabili della sua situazione, impiegava sempre lequiete ore della notte nello studio o nella contemplazio-ne. Ogni volta che chiudeva gli occhi in brevi ed inter-rotti sonni, il suo spirito era agitato da penose inquietu-dini; nè dee recar maraviglia che una volta gli comparis-se davanti il Genio dell'Impero, in atto di coprirsi il capood il corno dell'Abbondanza con un funereo velo, e dilentamente ritirarsi dalla tenda Imperiale. Il Monarcabalzò fuori del letto, ed uscito dalla tenda per sollevare

630Nella ritirata di Marc'Antonio una misura Attica si vendeva cinquantadramme, o in altri termini una libbra di farina dodici o quattordici scellini; ilpane d'orzo era venduto per tanto argento quanto erane il peso. Non si può leg-gere l'interessante narrazione di Plutarco (Tom. V. pag. 102-116.) senz'accor-gersi, che Marc'Antonio e Giuliano erano perseguitati dall'istesso nemico, edinvolti nelle medesime angustie.

631Ammiano XXIV. 8. XXV. 1. Zosimo lib. III. p. 184, 185, 186. LibanioOrat. parent. c. 134. 135. p. 357, 358, 359. Sembra che il Sofista d'Antiochiaignorasse la fame delle truppe.

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giorno ed ogni ora a misura che diminuiva la quantitàdei viveri nel campo Romano, crescevano la stima ed ilprezzo630. Giuliano, che solea contentarsi di una dose dicibo, che non avrebbe soddisfatto un affamato soldato,distribuì per uso dello truppe le provvisioni della casaImperiale, e tuttociò che potea risparmiarsi dei cavallida soma dei Tribuni e dei Generali. Ma questo debolsollievo non servì che ad aggravare il sentimento dellacomune calamità, ed i Romani cominciarono ad aver lepiù tetre apprensioni, che avanti di poter giungere allefrontiere dell'Impero dovessero tutti perire o di fame, oper lo mani de' Barbari631.

Mentre Giuliano combatteva con le difficoltà quasiinsuperabili della sua situazione, impiegava sempre lequiete ore della notte nello studio o nella contemplazio-ne. Ogni volta che chiudeva gli occhi in brevi ed inter-rotti sonni, il suo spirito era agitato da penose inquietu-dini; nè dee recar maraviglia che una volta gli comparis-se davanti il Genio dell'Impero, in atto di coprirsi il capood il corno dell'Abbondanza con un funereo velo, e dilentamente ritirarsi dalla tenda Imperiale. Il Monarcabalzò fuori del letto, ed uscito dalla tenda per sollevare

630Nella ritirata di Marc'Antonio una misura Attica si vendeva cinquantadramme, o in altri termini una libbra di farina dodici o quattordici scellini; ilpane d'orzo era venduto per tanto argento quanto erane il peso. Non si può leg-gere l'interessante narrazione di Plutarco (Tom. V. pag. 102-116.) senz'accor-gersi, che Marc'Antonio e Giuliano erano perseguitati dall'istesso nemico, edinvolti nelle medesime angustie.

631Ammiano XXIV. 8. XXV. 1. Zosimo lib. III. p. 184, 185, 186. LibanioOrat. parent. c. 134. 135. p. 357, 358, 359. Sembra che il Sofista d'Antiochiaignorasse la fame delle truppe.

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gli stanchi suoi spiriti con la freschezza dell'aria nottur-na, osservò un'ignea meteora, che balenò attraverso ilcielo, ed immediatamente sparì. Giuliano restò convintod'aver veduto il minaccevole aspetto del Dio della guer-ra632: il consiglio degli Aruspici Toscani633, ch'ei convo-cò, disse tutto d'accordo, che si doveva astener dal com-battere; ma in tal congiuntura la necessità e la ragioneprevalsero alla superstizione, e le trombe allo spuntardel giorno diedero il segno. L'esercito marciava per unpaese montuoso; e se n'erano segretamente occupate lealture dai Persiani. Giuliano, che conduceva la frontedell'esercito con l'abilità e la diligenza d'un consumatoGenerale, fu sorpreso dalla notizia, ch'era stata improv-visamente attaccata la sua retroguardia. Il caldo dellastagione l'aveva tentato a spogliarsi della corazza; mastrappato di mano lo scudo ad uno de' suoi famigliari,s'affrettò con un sufficiente rinforzo a soccorrer la retro-guardia. Un pericolo simile richiamò l'intrepido Principea difender la fronte; e nel tempo che galoppava fra lecolonne, fu attaccato e quasi rotto il centro della sinistrada una impetuosa irruzione di cavalleria Persiana e di

632Ammiano XXV 2. Giuliano aveva giurato in un punto di passione; num-quam se Marti sacra facturum XXIV. 6. Non erano infrequenti queste capric-ciose contese fra gli Dei e gl'insolenti loro devoti: e fino il prudente Augusto,dopo che la sua flotta ebbe fatto due volte naufragio, escluse Nettuno daglionori delle pubbliche feste. Vedi le filosofiche Riflessioni di Hume Sagg. Vol.II. p. 418.

633Essi tuttavia conservavano il monopolio della vana ma lucrosa scienzadella divinazione, ch'era stata inventata in Etruria, e si protestavan di trarre lecognizioni, che avevan de' segni e degli augurj, dagli antichi libri di Tarquazio,savio Etrusco.

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gli stanchi suoi spiriti con la freschezza dell'aria nottur-na, osservò un'ignea meteora, che balenò attraverso ilcielo, ed immediatamente sparì. Giuliano restò convintod'aver veduto il minaccevole aspetto del Dio della guer-ra632: il consiglio degli Aruspici Toscani633, ch'ei convo-cò, disse tutto d'accordo, che si doveva astener dal com-battere; ma in tal congiuntura la necessità e la ragioneprevalsero alla superstizione, e le trombe allo spuntardel giorno diedero il segno. L'esercito marciava per unpaese montuoso; e se n'erano segretamente occupate lealture dai Persiani. Giuliano, che conduceva la frontedell'esercito con l'abilità e la diligenza d'un consumatoGenerale, fu sorpreso dalla notizia, ch'era stata improv-visamente attaccata la sua retroguardia. Il caldo dellastagione l'aveva tentato a spogliarsi della corazza; mastrappato di mano lo scudo ad uno de' suoi famigliari,s'affrettò con un sufficiente rinforzo a soccorrer la retro-guardia. Un pericolo simile richiamò l'intrepido Principea difender la fronte; e nel tempo che galoppava fra lecolonne, fu attaccato e quasi rotto il centro della sinistrada una impetuosa irruzione di cavalleria Persiana e di

632Ammiano XXV 2. Giuliano aveva giurato in un punto di passione; num-quam se Marti sacra facturum XXIV. 6. Non erano infrequenti queste capric-ciose contese fra gli Dei e gl'insolenti loro devoti: e fino il prudente Augusto,dopo che la sua flotta ebbe fatto due volte naufragio, escluse Nettuno daglionori delle pubbliche feste. Vedi le filosofiche Riflessioni di Hume Sagg. Vol.II. p. 418.

633Essi tuttavia conservavano il monopolio della vana ma lucrosa scienzadella divinazione, ch'era stata inventata in Etruria, e si protestavan di trarre lecognizioni, che avevan de' segni e degli augurj, dagli antichi libri di Tarquazio,savio Etrusco.

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elefanti. Questo grosso corpo fu presto disfatto dalla benintesa evoluzione della fanteria leggiera, che diresse leproprie armi con destrezza ed effetto contro le spalle deicavalli e le gambe degli elefanti. I Barbari si diederoalla fuga; e Giuliano, che in ogni pericolo era sempre ilprimo, animava i suoi ad inseguirli con la voce e co' ge-sti. Le tremanti sue guardie, disperse ed angustiate dalladisordinata folla degli amici e de' nemici, rammentaronoall'intrepido lor Sovrano, ch'egli era senza armatura, e loscongiurarono ad evitare il colpo dell'imminente rovina.Nel tempo che così gridavano634, fu scaricato da' fuggiti-vi squadroni un nuvol di dardi e di frecce; ed un giavel-lotto, avendogli raso la pelle del braccio gli trafisse lecoste, e si piantò nella inferior parte del fegato. Giulianotentò di trarsi la mortale arme dal fianco, ma gli si ta-gliaron le dita dall'acutezza del ferro, e cadde privo disensi da cavallo. Le guardie corsero in aiuto di esso, edil ferito Imperatore fu gentilmente alzato da terra, e tra-sportato fuor del tumulto della battaglia in una tenda vi-cina. Passò di fila in fila la nuova del tristo caso; ma ildolor dei Romani inspirò loro un invincibil valore e ildesiderio della vendetta. Continuò il sanguinoso ed osti-nato combattimento fra le due armate, finattanto chenon furon separate dalla totale oscurità della notte. IPersiani riportarono qualche onore dal vantaggio che ot-tennero contro l'ala sinistra, dove Anatolio maestro degli

634Clamabant hinc inde Candidati (Vedi la nota di Valesio) quos disjeceratterror, ut fugientium molem tanquam ruinam male compositi culminis declina-rent. Ammiano XXV. 3.

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elefanti. Questo grosso corpo fu presto disfatto dalla benintesa evoluzione della fanteria leggiera, che diresse leproprie armi con destrezza ed effetto contro le spalle deicavalli e le gambe degli elefanti. I Barbari si diederoalla fuga; e Giuliano, che in ogni pericolo era sempre ilprimo, animava i suoi ad inseguirli con la voce e co' ge-sti. Le tremanti sue guardie, disperse ed angustiate dalladisordinata folla degli amici e de' nemici, rammentaronoall'intrepido lor Sovrano, ch'egli era senza armatura, e loscongiurarono ad evitare il colpo dell'imminente rovina.Nel tempo che così gridavano634, fu scaricato da' fuggiti-vi squadroni un nuvol di dardi e di frecce; ed un giavel-lotto, avendogli raso la pelle del braccio gli trafisse lecoste, e si piantò nella inferior parte del fegato. Giulianotentò di trarsi la mortale arme dal fianco, ma gli si ta-gliaron le dita dall'acutezza del ferro, e cadde privo disensi da cavallo. Le guardie corsero in aiuto di esso, edil ferito Imperatore fu gentilmente alzato da terra, e tra-sportato fuor del tumulto della battaglia in una tenda vi-cina. Passò di fila in fila la nuova del tristo caso; ma ildolor dei Romani inspirò loro un invincibil valore e ildesiderio della vendetta. Continuò il sanguinoso ed osti-nato combattimento fra le due armate, finattanto chenon furon separate dalla totale oscurità della notte. IPersiani riportarono qualche onore dal vantaggio che ot-tennero contro l'ala sinistra, dove Anatolio maestro degli

634Clamabant hinc inde Candidati (Vedi la nota di Valesio) quos disjeceratterror, ut fugientium molem tanquam ruinam male compositi culminis declina-rent. Ammiano XXV. 3.

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Uffizi fu ucciso, ed al Prefetto Sallustio appena riuscì discappare. Ma l'evento della giornata fu contrario ai Bar-bari. Essi abbandonarono il campo; perderono i due lorGenerali, Merane e Noordate635, cinquanta nobili o Sa-trapi, ed una gran quantità dei lor più bravi soldati; ed ilbuon successo dei Romani, se Giuliano fosse sopravvis-suto, avrebbe potuto riuscire in una decisiva ed util vit-toria.

Le prime parole, che pronunziò Giuliano dopo che furinvenuto dal deliquio, nel quale era caduto per la perdi-ta del sangue, servono ad esprimere il marziale suo spi-rito. Egli chiese il cavallo e le armi, ed era impaziente dicorrere alla battaglia. Si esaurì la forza che gli restavapel penoso sforzo che fece, ed i chirurghi, ch'esamina-van la sua ferita, vi scuoprirono i sintomi d'una vicinamorte. Passò egli quei terribili momenti col fermo con-tegno d'un savio e d'un eroe; i filosofi, che l'avevano ac-compagnato in quella fatale spedizione, paragonavan latenda di Giuliano alla prigione di Socrate; e gli spettato-ri, che per dovere, per amicizia o per curiosità si eranoadunati attorno al suo letto, udivano con rispettoso cor-doglio l'orazion funerea del morente loro Imperatore636.

635Sapore stesso dichiarò a' Romani, ch'era suo costume di confortar le fa-miglie de' Satrapi defunti, mandando loro come in dono le teste delle guardie edegli uffiziali, che non eran caduti al lato del suo Signore. Liban. De nece Ju-liani ulcisc. c. XIII. p. 163.

636Il carattere e la situazione di Giuliano potrebbero confermare il sospetto,che egli avesse precedentemente composta quell'elaborata orazione, che si udì,e si trascrisse da Ammiano. La traduzione dell'Abate della Bleterie è fedele edelegante. Io l'ho seguitato nell'esporre l'idea Platonica dell'emanazione, cheviene oscuramente indicata nell'originale.

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Uffizi fu ucciso, ed al Prefetto Sallustio appena riuscì discappare. Ma l'evento della giornata fu contrario ai Bar-bari. Essi abbandonarono il campo; perderono i due lorGenerali, Merane e Noordate635, cinquanta nobili o Sa-trapi, ed una gran quantità dei lor più bravi soldati; ed ilbuon successo dei Romani, se Giuliano fosse sopravvis-suto, avrebbe potuto riuscire in una decisiva ed util vit-toria.

Le prime parole, che pronunziò Giuliano dopo che furinvenuto dal deliquio, nel quale era caduto per la perdi-ta del sangue, servono ad esprimere il marziale suo spi-rito. Egli chiese il cavallo e le armi, ed era impaziente dicorrere alla battaglia. Si esaurì la forza che gli restavapel penoso sforzo che fece, ed i chirurghi, ch'esamina-van la sua ferita, vi scuoprirono i sintomi d'una vicinamorte. Passò egli quei terribili momenti col fermo con-tegno d'un savio e d'un eroe; i filosofi, che l'avevano ac-compagnato in quella fatale spedizione, paragonavan latenda di Giuliano alla prigione di Socrate; e gli spettato-ri, che per dovere, per amicizia o per curiosità si eranoadunati attorno al suo letto, udivano con rispettoso cor-doglio l'orazion funerea del morente loro Imperatore636.

635Sapore stesso dichiarò a' Romani, ch'era suo costume di confortar le fa-miglie de' Satrapi defunti, mandando loro come in dono le teste delle guardie edegli uffiziali, che non eran caduti al lato del suo Signore. Liban. De nece Ju-liani ulcisc. c. XIII. p. 163.

636Il carattere e la situazione di Giuliano potrebbero confermare il sospetto,che egli avesse precedentemente composta quell'elaborata orazione, che si udì,e si trascrisse da Ammiano. La traduzione dell'Abate della Bleterie è fedele edelegante. Io l'ho seguitato nell'esporre l'idea Platonica dell'emanazione, cheviene oscuramente indicata nell'originale.

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«Amici e miei militari compagni (diss'egli), è giuntoadesso il tempo opportuno alla mia partenza, ed io pagociò che domanda la natura con quella gioia che ha unbuon debitore. Ho appreso dalla filosofia, quanto l'ani-ma è più eccellente del corpo; e che la separazione dellasostanza più nobile dovrebbe piuttosto esser motivod'allegrezza che d'afflizione. Ho appreso dalla religioneche una presta morte spesso è stata il premio della pie-tà637; ed accetto, come un favore degli Dei, il mortal col-po, che mi libera dal pericolo di disonorare un carattere,che fino qui è stato sostenuto dalla virtù e dalla fortezza.Siccome son vissuto senza colpa, così muoio senza ri-morso. Io mi compiaccio nel pensare all'innocenza dellamia vita privata; e posso affermare con sicurezza, chel'autorità suprema, quell'emanazione cioè del potere Di-vino, si è conservata pura ed immacolata nelle miemani. Detestando le corrotte e rovinose massime del di-spotismo, ho risguardato la felicità del popolo come loscopo del governo. Sottoponendo le mie azioni alle leg-gi della prudenza, della giustizia e della moderazione,ne ho lasciato l'evento alla cura della Providenza. Finat-tanto che la pace fu coerente al pubblico bene, fu essal'oggetto de' miei consigli; ma quando l'imperiosa vocedella patria m'invitò alle armi, esposi la mia persona aipericoli della guerra, chiaramente prevedendo (come

637Erodoto ha spiegato (lib. I. c. 31.) tal dottrina in una piacevol novella.Giove però, che (nel lib. 16. dell'Iliad.) piange a lagrime di sangue la morte diSarpedone suo figlio, avea un'idea molto imperfetta della felicità o della gloriadopo il sepolcro.

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«Amici e miei militari compagni (diss'egli), è giuntoadesso il tempo opportuno alla mia partenza, ed io pagociò che domanda la natura con quella gioia che ha unbuon debitore. Ho appreso dalla filosofia, quanto l'ani-ma è più eccellente del corpo; e che la separazione dellasostanza più nobile dovrebbe piuttosto esser motivod'allegrezza che d'afflizione. Ho appreso dalla religioneche una presta morte spesso è stata il premio della pie-tà637; ed accetto, come un favore degli Dei, il mortal col-po, che mi libera dal pericolo di disonorare un carattere,che fino qui è stato sostenuto dalla virtù e dalla fortezza.Siccome son vissuto senza colpa, così muoio senza ri-morso. Io mi compiaccio nel pensare all'innocenza dellamia vita privata; e posso affermare con sicurezza, chel'autorità suprema, quell'emanazione cioè del potere Di-vino, si è conservata pura ed immacolata nelle miemani. Detestando le corrotte e rovinose massime del di-spotismo, ho risguardato la felicità del popolo come loscopo del governo. Sottoponendo le mie azioni alle leg-gi della prudenza, della giustizia e della moderazione,ne ho lasciato l'evento alla cura della Providenza. Finat-tanto che la pace fu coerente al pubblico bene, fu essal'oggetto de' miei consigli; ma quando l'imperiosa vocedella patria m'invitò alle armi, esposi la mia persona aipericoli della guerra, chiaramente prevedendo (come

637Erodoto ha spiegato (lib. I. c. 31.) tal dottrina in una piacevol novella.Giove però, che (nel lib. 16. dell'Iliad.) piange a lagrime di sangue la morte diSarpedone suo figlio, avea un'idea molto imperfetta della felicità o della gloriadopo il sepolcro.

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aveva conosciuto mediante la divinazione) che era desti-nato che io morissi per mezzo della spada. Offro adessoi miei rendimenti di grazie all'Ente supremo, che non hapermesso che io perissi nè per la crudeltà d'un tiranno,nè per le segrete insidie d'una cospirazione, nè pei lentitormenti d'una languida malattia. Ei mi ha concesso unasplendida e gloriosa partenza da questo Mondo, in mez-zo ad una onorevol carriera, ed io stimo ugualmente as-surdo che vile il sollecitare o fuggire il colpo del fato...Non posso favellar più oltre; mi mancan le forze, e sen-to l'approssimarsi della morte... mi guarderò cautamenteda ogni parola, che possa tendere ad influire sui vostrivoti nella elezione d'un Imperatore. La mia scelta po-trebbe essere imprudente o non giudiziosa, e se non ve-nisse confermata dal consenso dell'esercito, potrebbetornar funesta a quello che avessi raccomandato. Io nonfarò ch'esprimere da buon cittadino i miei voti, che pos-sano i Romani esser felici sotto il governo d'un virtuosoSovrano». Dopo questo discorso, che Giuliano pronun-ziò con un costante e fermo tuono di voce, egli distribuì,un testamento militare638, i residui delle sue facoltà pri-vate; e dimandando perchè non si trovasse presenteAnatolio, quando seppe da Sallustio che Anatolio eramorto, pianse con un'amabile incoerenza la perditadell'amico. Nel tempo stesso egli biasimava lo smodera-

638I soldati, che facevano il loro verbale, o nuncupatorio testamento neltempo dell'attual servizio (in procinctu), erano esenti dalle formalità del GiusRomano. Ved. Heinecc. Antiq. Jur. Rom. Tom. I. p. 504. Montesquieu Espr. desLoix l. 27.

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aveva conosciuto mediante la divinazione) che era desti-nato che io morissi per mezzo della spada. Offro adessoi miei rendimenti di grazie all'Ente supremo, che non hapermesso che io perissi nè per la crudeltà d'un tiranno,nè per le segrete insidie d'una cospirazione, nè pei lentitormenti d'una languida malattia. Ei mi ha concesso unasplendida e gloriosa partenza da questo Mondo, in mez-zo ad una onorevol carriera, ed io stimo ugualmente as-surdo che vile il sollecitare o fuggire il colpo del fato...Non posso favellar più oltre; mi mancan le forze, e sen-to l'approssimarsi della morte... mi guarderò cautamenteda ogni parola, che possa tendere ad influire sui vostrivoti nella elezione d'un Imperatore. La mia scelta po-trebbe essere imprudente o non giudiziosa, e se non ve-nisse confermata dal consenso dell'esercito, potrebbetornar funesta a quello che avessi raccomandato. Io nonfarò ch'esprimere da buon cittadino i miei voti, che pos-sano i Romani esser felici sotto il governo d'un virtuosoSovrano». Dopo questo discorso, che Giuliano pronun-ziò con un costante e fermo tuono di voce, egli distribuì,un testamento militare638, i residui delle sue facoltà pri-vate; e dimandando perchè non si trovasse presenteAnatolio, quando seppe da Sallustio che Anatolio eramorto, pianse con un'amabile incoerenza la perditadell'amico. Nel tempo stesso egli biasimava lo smodera-

638I soldati, che facevano il loro verbale, o nuncupatorio testamento neltempo dell'attual servizio (in procinctu), erano esenti dalle formalità del GiusRomano. Ved. Heinecc. Antiq. Jur. Rom. Tom. I. p. 504. Montesquieu Espr. desLoix l. 27.

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to dolore degli astanti, e gli scongiurava a non disonora-re con deboli lagrime il destino d'un Principe, che inbreve si sarebbe unito col cielo e con le stelle639. Glispettatori stavano in silenzio; e Giuliano entrò in unametafisica discussione coi filosofi Prisco e Massimo so-pra la natura dell'anima. Gli sforzi, ch'ei fece di spirito,non men che di corpo, probabilmente ne affrettaron lamorte. Incominciò la sua ferita a versare sangue conmaggior forza; dal gonfiamento delle vene gli s'impedi-va il respiro, chiese un sorso di acqua fresca, e tosto chel'ebbe presa, spirò senza pena verso la mezza notte. Talefu il termine di questo uomo straordinario nel trentesimosecondo anno della sua età, dopo un regno di un anno, ecirca otto mesi dalla morte di Costanzo. Negli ultimisuoi momenti dimostrò, forse con qualche ostentazione,l'amore della virtù e della fama, ch'erano state le passio-ni dominanti della sua vita640.

[A. D. 363]Possono in qualche modo attribuirsi a Giuliano stesso

il trionfo del Cristianesimo e le calamità dell'Impero peraver egli trascurato di assicurare in futuro l'esecuzione

639Quest'unione dell'anima umana con la divina eterna sostanza dell'univer-so è l'antica dottrina di Pitagora e di Platone; ma sembra ch'escluda ogni perso-nale, o particolare immortalità. Vedi le dotte e ragionevoli osservazioni di War-burton Divin. legat. Vol. II. p. 199-216.

640Si fa tutto il racconto della morte di Giuliano da Ammiano (XXV. 3.) cheera stato diligente spettatore. Libanio, ch'evita con orrore tale scena, ce nesomministra qualche circostanza (Orat. parent. c. 136. 140. p. 350-562.). Lecalunnie di Gregorio, e le leggende di più antichi Santi si possono presente-mente disprezzare in silenzio.

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to dolore degli astanti, e gli scongiurava a non disonora-re con deboli lagrime il destino d'un Principe, che inbreve si sarebbe unito col cielo e con le stelle639. Glispettatori stavano in silenzio; e Giuliano entrò in unametafisica discussione coi filosofi Prisco e Massimo so-pra la natura dell'anima. Gli sforzi, ch'ei fece di spirito,non men che di corpo, probabilmente ne affrettaron lamorte. Incominciò la sua ferita a versare sangue conmaggior forza; dal gonfiamento delle vene gli s'impedi-va il respiro, chiese un sorso di acqua fresca, e tosto chel'ebbe presa, spirò senza pena verso la mezza notte. Talefu il termine di questo uomo straordinario nel trentesimosecondo anno della sua età, dopo un regno di un anno, ecirca otto mesi dalla morte di Costanzo. Negli ultimisuoi momenti dimostrò, forse con qualche ostentazione,l'amore della virtù e della fama, ch'erano state le passio-ni dominanti della sua vita640.

[A. D. 363]Possono in qualche modo attribuirsi a Giuliano stesso

il trionfo del Cristianesimo e le calamità dell'Impero peraver egli trascurato di assicurare in futuro l'esecuzione

639Quest'unione dell'anima umana con la divina eterna sostanza dell'univer-so è l'antica dottrina di Pitagora e di Platone; ma sembra ch'escluda ogni perso-nale, o particolare immortalità. Vedi le dotte e ragionevoli osservazioni di War-burton Divin. legat. Vol. II. p. 199-216.

640Si fa tutto il racconto della morte di Giuliano da Ammiano (XXV. 3.) cheera stato diligente spettatore. Libanio, ch'evita con orrore tale scena, ce nesomministra qualche circostanza (Orat. parent. c. 136. 140. p. 350-562.). Lecalunnie di Gregorio, e le leggende di più antichi Santi si possono presente-mente disprezzare in silenzio.

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dei suoi disegni, mediante l'opportuna e giudiziosa scel-ta d'un collega e successore. Ma la reale stirpe di Co-stanzo Cloro s'era ridotta alla sua sola persona; e se glipassò per la mente qualche serio pensiero d'investir del-la porpora il più degno fra' Romani, fu distolto da talerisoluzione per la difficoltà della scelta, per la gelosiadella potenza, pel timore dell'ingratitudine e per la natu-ral presunzione di salute, di gioventù e di prosperità.L'inaspettata sua morte lasciò l'Impero senza Signore esenza erede in uno stato di perplessità e di pericolo, chenon s'era provato per lo spazio d'ottant'anni dopo l'ele-zione di Diocleziano. In un Governo, che aveva quasidimenticato la distinzione del sangue puro e nobile, eradi poca importanza la superiorità della nascita; i dirittidel grado militare erano accidentali e precari; ed i candi-dati, che aspirar potevano a salir sul trono vacante, nonpotevano esser sostenuti che dalla coscienza del loromerito personale, o dalle speranze del favore del popolo.Ma la situazione di un esercito affamato, circondata perogni parte dai Barbari, abbreviò i momenti del lutto edella deliberazione. In quello spettacolo di terrore ed'angustia, il corpo del morto Principe fu, secondo i suoipropri ordini, decentemente imbalsamato; ed allo spun-tar del giorno i Generali adunaronsi in un Senato milita-re, a cui furono invitati i Comandanti delle Legioni e gliUffiziali sì di cavalleria che d'infanteria. Non erano an-che passate tre o quattr'ore della notte, che s'era già for-mata qualche segreta cabala, e quando si propose lascelta d'un Imperatore, lo spirito di partito incominciò

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dei suoi disegni, mediante l'opportuna e giudiziosa scel-ta d'un collega e successore. Ma la reale stirpe di Co-stanzo Cloro s'era ridotta alla sua sola persona; e se glipassò per la mente qualche serio pensiero d'investir del-la porpora il più degno fra' Romani, fu distolto da talerisoluzione per la difficoltà della scelta, per la gelosiadella potenza, pel timore dell'ingratitudine e per la natu-ral presunzione di salute, di gioventù e di prosperità.L'inaspettata sua morte lasciò l'Impero senza Signore esenza erede in uno stato di perplessità e di pericolo, chenon s'era provato per lo spazio d'ottant'anni dopo l'ele-zione di Diocleziano. In un Governo, che aveva quasidimenticato la distinzione del sangue puro e nobile, eradi poca importanza la superiorità della nascita; i dirittidel grado militare erano accidentali e precari; ed i candi-dati, che aspirar potevano a salir sul trono vacante, nonpotevano esser sostenuti che dalla coscienza del loromerito personale, o dalle speranze del favore del popolo.Ma la situazione di un esercito affamato, circondata perogni parte dai Barbari, abbreviò i momenti del lutto edella deliberazione. In quello spettacolo di terrore ed'angustia, il corpo del morto Principe fu, secondo i suoipropri ordini, decentemente imbalsamato; ed allo spun-tar del giorno i Generali adunaronsi in un Senato milita-re, a cui furono invitati i Comandanti delle Legioni e gliUffiziali sì di cavalleria che d'infanteria. Non erano an-che passate tre o quattr'ore della notte, che s'era già for-mata qualche segreta cabala, e quando si propose lascelta d'un Imperatore, lo spirito di partito incominciò

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ad agitar l'Assemblea. Vittore ed Arinteo riunirono i re-sidui della Corte di Costanzo; gli amici di Giulianos'attaccarono a Dagalaifo e Nevitta, capitani Galli; e po-tean temersi le più fatali conseguenze dalla discordia didue fazioni così opposte fra loro nel carattere ed interes-se, nelle massime di governo, e forse anche ne' princìpidi religione. Le sole sublimi virtù di Sallustio avrebberpotuto conciliarne le divisioni, ed unire i lor voti, ed ilvenerabil Prefetto immediatamente sarebbe stato dichia-rato successor di Giuliano, se da se medesimo con sin-cera e modesta fermezza non avesse addotto la sua età emancanza di salute, che lo rendeano incapace di soste-nere il peso del diadema. I Generali, che restarono sor-presi e perplessi dal suo rifiuto, mostraron qualche di-sposizione ad ammettere il salutar consiglio d'un uffizia-le inferiore641, che operassero come avrebbero fattonell'assenza dell'Imperatore; che dimostrassero la loroabilità nello strigar l'esercito dalle presenti strettezze: ese eran tanto felici da giungere a' confini della Mesopo-tamia, avrebbero allora potuto devenire con unanimi ematuri consigli all'elezione d'un legittimo Sovrano.Mentre deliberavano, alcune poche voci salutaron Gio-viano, il quale non era più che il Primo de' domestici642,ne' nomi d'Imperatore e d'Augusto. Fu immediatamente

641Honoratior aliquis miles, forse Ammiano medesimo. Il modesto e giudi-zioso Istorico descrive la scena dell'elezione, alla quale si trovò senza dubbiopresente (XXV. 5.).

642Il Primo o Primicerio godeva la dignità di Senatore, e quantunque nonfosse che tribuno, aveva posto fra i Duci militari. Cod. Teodos. lib. VI. Tit.XXIV. Questi privilegi son forse di data più recente del tempo di Gioviano.

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ad agitar l'Assemblea. Vittore ed Arinteo riunirono i re-sidui della Corte di Costanzo; gli amici di Giulianos'attaccarono a Dagalaifo e Nevitta, capitani Galli; e po-tean temersi le più fatali conseguenze dalla discordia didue fazioni così opposte fra loro nel carattere ed interes-se, nelle massime di governo, e forse anche ne' princìpidi religione. Le sole sublimi virtù di Sallustio avrebberpotuto conciliarne le divisioni, ed unire i lor voti, ed ilvenerabil Prefetto immediatamente sarebbe stato dichia-rato successor di Giuliano, se da se medesimo con sin-cera e modesta fermezza non avesse addotto la sua età emancanza di salute, che lo rendeano incapace di soste-nere il peso del diadema. I Generali, che restarono sor-presi e perplessi dal suo rifiuto, mostraron qualche di-sposizione ad ammettere il salutar consiglio d'un uffizia-le inferiore641, che operassero come avrebbero fattonell'assenza dell'Imperatore; che dimostrassero la loroabilità nello strigar l'esercito dalle presenti strettezze: ese eran tanto felici da giungere a' confini della Mesopo-tamia, avrebbero allora potuto devenire con unanimi ematuri consigli all'elezione d'un legittimo Sovrano.Mentre deliberavano, alcune poche voci salutaron Gio-viano, il quale non era più che il Primo de' domestici642,ne' nomi d'Imperatore e d'Augusto. Fu immediatamente

641Honoratior aliquis miles, forse Ammiano medesimo. Il modesto e giudi-zioso Istorico descrive la scena dell'elezione, alla quale si trovò senza dubbiopresente (XXV. 5.).

642Il Primo o Primicerio godeva la dignità di Senatore, e quantunque nonfosse che tribuno, aveva posto fra i Duci militari. Cod. Teodos. lib. VI. Tit.XXIV. Questi privilegi son forse di data più recente del tempo di Gioviano.

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ripetuta quella tumultuaria acclamazione dalle guardie,che circondavan la tenda, e passò in pochi minuti finoall'estremità della fila. Il nuovo Principe, attonito dellasua fortuna, fu precipitosamente vestito degli ornamentiImperiali, e ricevè il giuramento di fedeltà da que' Duci,de' quali tanto poco tempo avanti sollecitava il favore ela protezione. La più forte raccomandazione di Giovianofu il merito del Conte Varroniano suo padre, che in ono-rato ritiro godeva il frutto de' suoi lunghi servigi.Nell'oscura libertà d'una condizione privata, il figlio se-condò il proprio genio per le donne e pel vino; ma so-stenne con riputazione il carattere di Cristiano643 e disoldato. Senza esser cospicuo per alcuna di quelle ambi-ziose qualità, che risvegliavan l'ammirazione e l'invidiadegli uomini, la persona ben fatta di Gioviano, il piace-vol temperamento ed il famigliare suo spirito avean gua-dagnato l'affetto dei suoi compagni, ed i Generalid'ambedue le parti acconsentirono ad un'elezion popola-re, che non era stata diretta dalle arti dei respettivi nemi-ci. La vanità, che potea nascere da questa inaspettataelevazione, veniva moderata dal giusto timore, chequell'istesso giorno potea finir la vita ed il regno delnuovo Imperatore. Si obbedì senza dilazione alla voce

643Gli storici Ecclesiastici, Socrate (l. III. c. 22), e Sozomeno (l. VI. c. 3) eTeodoreto (l. IV. c. 1) attribuiscono a Gioviano il merito di Confessore nel pre-cedente regno; e piamente suppongono, ch'egli ricusasse la porpora finattantoche tutto l'esercito non ebbe concordemente esclamato d'esser Cristiano. Am-miano, tranquillamente proseguendo la sua narrazione, distrugge la leggendacon questa sentenza: hostiis pro Joviano, extisque inspectis pronuntiatum est.XXV. 6.

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ripetuta quella tumultuaria acclamazione dalle guardie,che circondavan la tenda, e passò in pochi minuti finoall'estremità della fila. Il nuovo Principe, attonito dellasua fortuna, fu precipitosamente vestito degli ornamentiImperiali, e ricevè il giuramento di fedeltà da que' Duci,de' quali tanto poco tempo avanti sollecitava il favore ela protezione. La più forte raccomandazione di Giovianofu il merito del Conte Varroniano suo padre, che in ono-rato ritiro godeva il frutto de' suoi lunghi servigi.Nell'oscura libertà d'una condizione privata, il figlio se-condò il proprio genio per le donne e pel vino; ma so-stenne con riputazione il carattere di Cristiano643 e disoldato. Senza esser cospicuo per alcuna di quelle ambi-ziose qualità, che risvegliavan l'ammirazione e l'invidiadegli uomini, la persona ben fatta di Gioviano, il piace-vol temperamento ed il famigliare suo spirito avean gua-dagnato l'affetto dei suoi compagni, ed i Generalid'ambedue le parti acconsentirono ad un'elezion popola-re, che non era stata diretta dalle arti dei respettivi nemi-ci. La vanità, che potea nascere da questa inaspettataelevazione, veniva moderata dal giusto timore, chequell'istesso giorno potea finir la vita ed il regno delnuovo Imperatore. Si obbedì senza dilazione alla voce

643Gli storici Ecclesiastici, Socrate (l. III. c. 22), e Sozomeno (l. VI. c. 3) eTeodoreto (l. IV. c. 1) attribuiscono a Gioviano il merito di Confessore nel pre-cedente regno; e piamente suppongono, ch'egli ricusasse la porpora finattantoche tutto l'esercito non ebbe concordemente esclamato d'esser Cristiano. Am-miano, tranquillamente proseguendo la sua narrazione, distrugge la leggendacon questa sentenza: hostiis pro Joviano, extisque inspectis pronuntiatum est.XXV. 6.

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imperiosa, della necessità, ed i primi ordini dati da Gio-viano, poche ore dopo ch'era spirato il suo predecessore,furono di continuare una marcia, che sola distrigar poteai Romani dalle attuali loro strettezze644.

I timori d'un nemico esprimono con la maggiore sin-cerità la sua stima; e si può esattamente misurare il gra-do del suo timore dalla gioia, con cui celebra la proprialiberazione. La gradita nuova della morte di Giuliano,che un disertore portò al campo di Sapore, inspirò neldisanimato Monarca una subitanea fiducia di vincere.Immediatamente distaccò la regia cavalleria, formataforse da diecimila Immortali645, per secondare e sostene-re la caccia de' nemici, e scaricò tutto il peso delle riuni-te sue forze sulla retroguardia Romana. Fu essa posta indisordine; le famose legioni, che portavano il nome diDiocleziano e del guerriero collega di lui, furono rotte ecalpestate dagli elefanti; e perderono la vita tre Tribuni,che tentavano di fermar la fuga de' loro soldati. La bat-taglia però in seguito fu rimessa dal costante valor de'Romani; i Persiani vennero rispinti con un gran macellodi uomini e di elefanti; e l'esercito dopo aver marciato ecombattuto per tutta una giornata di state, arrivò la sera

644Ammiano (XXV. 10) ha delineato un imparzial ritratto di Gioviano, alquale Vittore il Giovane aggiunse alcuni notabili tratti. L'Ab. della Bleterie(Hist. de Jovien T. I. p. 1-238) ha composto un'istoria elaborata pel breve regnodi lui; opera considerabilmente distinta per l'eleganza dello stile, per le criticheosservazioni e pei pregiudizi di religione.

645Regius equitatus. Si rileva da Procopio, che gl'Immortali, tanto celebrisotto Ciro ed i suoi successori, risorsero, se ci è permesso d'usare impropria-mente tal termine, sotto i Sassanidi: Brisson de regn. Pers. p. 268.

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imperiosa, della necessità, ed i primi ordini dati da Gio-viano, poche ore dopo ch'era spirato il suo predecessore,furono di continuare una marcia, che sola distrigar poteai Romani dalle attuali loro strettezze644.

I timori d'un nemico esprimono con la maggiore sin-cerità la sua stima; e si può esattamente misurare il gra-do del suo timore dalla gioia, con cui celebra la proprialiberazione. La gradita nuova della morte di Giuliano,che un disertore portò al campo di Sapore, inspirò neldisanimato Monarca una subitanea fiducia di vincere.Immediatamente distaccò la regia cavalleria, formataforse da diecimila Immortali645, per secondare e sostene-re la caccia de' nemici, e scaricò tutto il peso delle riuni-te sue forze sulla retroguardia Romana. Fu essa posta indisordine; le famose legioni, che portavano il nome diDiocleziano e del guerriero collega di lui, furono rotte ecalpestate dagli elefanti; e perderono la vita tre Tribuni,che tentavano di fermar la fuga de' loro soldati. La bat-taglia però in seguito fu rimessa dal costante valor de'Romani; i Persiani vennero rispinti con un gran macellodi uomini e di elefanti; e l'esercito dopo aver marciato ecombattuto per tutta una giornata di state, arrivò la sera

644Ammiano (XXV. 10) ha delineato un imparzial ritratto di Gioviano, alquale Vittore il Giovane aggiunse alcuni notabili tratti. L'Ab. della Bleterie(Hist. de Jovien T. I. p. 1-238) ha composto un'istoria elaborata pel breve regnodi lui; opera considerabilmente distinta per l'eleganza dello stile, per le criticheosservazioni e pei pregiudizi di religione.

645Regius equitatus. Si rileva da Procopio, che gl'Immortali, tanto celebrisotto Ciro ed i suoi successori, risorsero, se ci è permesso d'usare impropria-mente tal termine, sotto i Sassanidi: Brisson de regn. Pers. p. 268.

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a Samara sulle rive del Tigri circa cento miglia sopraCtesifonte646. Il giorno seguente i Barbari, invece disturbare la marcia, attaccarono il campo di Gioviano,che s'era situato in una profonda e remota valle. Gli ar-cieri Persiani insultavano e molestavano dalle altezze glistanchi legionari; ed un corpo di cavalleria, che con di-sperato coraggio era penetrato nella porta Pretoria, fudopo un dubbioso combattimento tagliato a pezzi vicinoalla tenda Imperiale. Nella notte di poi, il campo di Car-che fu difeso dalle alte dighe del fiume; e l'esercito Ro-mano, sebbene continuamente esposto al molesto inse-guimento de' Saracini, piantò le sue tende presso la cittàdi Dura647 quattro giorni dopo la morte di Giuliano. Essoaveva sempre il Tigri a sinistra; erano quasi tutte consu-mate le sue provvisioni e speranze; e gl'impazienti sol-dati, che s'erano fortemente persuasi, che le frontieredell'Impero non fosser molto distanti, chiedevano alnuovo lor Principe la permissione di tentare il passo delfiume. Gioviano, coll'aiuto de' suoi più savi Uffiziali,procurò di frenarne la temerità, rappresentando loro, chequando avessero avuto sufficiente abilità e vigore davincere l'impetuosità di una rapida e profonda corrente,

646I nomi degli oscuri villaggi del paese interiore si sono irreparabilmenteperduti, nè possiam dire in qual luogo perisse Giuliano: ma Danville ha dimo-strato la precisa situazione di Sumere, di Carche e di Dura lungo le sponde delTigri (Geogr. anc. Tom. II. p. 248. L'Euphrate et le Tigre p. 95, 97). Nel nonosecolo Sumere o Samara divenne, con un piccol cangiamento di nome, la regiaresidenza de' Califfi della casa di Abbas.

647Dura era una piazza forte nelle guerre d'Antioco contro i ribelli della Me-dia e della Persia: Polib. l. V. c. 48,52. p. 548, 552. Edit. Casaub. in 8.

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a Samara sulle rive del Tigri circa cento miglia sopraCtesifonte646. Il giorno seguente i Barbari, invece disturbare la marcia, attaccarono il campo di Gioviano,che s'era situato in una profonda e remota valle. Gli ar-cieri Persiani insultavano e molestavano dalle altezze glistanchi legionari; ed un corpo di cavalleria, che con di-sperato coraggio era penetrato nella porta Pretoria, fudopo un dubbioso combattimento tagliato a pezzi vicinoalla tenda Imperiale. Nella notte di poi, il campo di Car-che fu difeso dalle alte dighe del fiume; e l'esercito Ro-mano, sebbene continuamente esposto al molesto inse-guimento de' Saracini, piantò le sue tende presso la cittàdi Dura647 quattro giorni dopo la morte di Giuliano. Essoaveva sempre il Tigri a sinistra; erano quasi tutte consu-mate le sue provvisioni e speranze; e gl'impazienti sol-dati, che s'erano fortemente persuasi, che le frontieredell'Impero non fosser molto distanti, chiedevano alnuovo lor Principe la permissione di tentare il passo delfiume. Gioviano, coll'aiuto de' suoi più savi Uffiziali,procurò di frenarne la temerità, rappresentando loro, chequando avessero avuto sufficiente abilità e vigore davincere l'impetuosità di una rapida e profonda corrente,

646I nomi degli oscuri villaggi del paese interiore si sono irreparabilmenteperduti, nè possiam dire in qual luogo perisse Giuliano: ma Danville ha dimo-strato la precisa situazione di Sumere, di Carche e di Dura lungo le sponde delTigri (Geogr. anc. Tom. II. p. 248. L'Euphrate et le Tigre p. 95, 97). Nel nonosecolo Sumere o Samara divenne, con un piccol cangiamento di nome, la regiaresidenza de' Califfi della casa di Abbas.

647Dura era una piazza forte nelle guerre d'Antioco contro i ribelli della Me-dia e della Persia: Polib. l. V. c. 48,52. p. 548, 552. Edit. Casaub. in 8.

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non avrebber fatto altro che andare a porsi nudi e senzadifesa nelle mani de' Barbari, che avevano occupato leopposte rive. Cedendo però finalmente alla clamorosaloro importunità, acconsentì con ripugnanza, che cin-quecento Galli e Germani, assuefatti fin da fanciulli alleacque del Reno e del Danubio, tentassero l'ardita impre-sa, che sarebbe servita o d'incoraggiamento o d'avvisopel resto dell'esercito. Nel silenzio della notte passaronoa nuoto il Tigri, sorpresero un posto non guardato dalnemico, e spiegarono allo spuntar del giorno il segno dilor risolutezza e fortuna. L'evento di tale sperimento di-spose l'Imperatore a prestare orecchio alle promesse de'suoi architetti, che proposero di costruire un mobileponte di gonfiate pelli di pecore, di bovi e di capre co-perte con uno strato di terra e di fascine648. Si consuma-rono due importanti giornate in quell'inutil lavoro; ed iRomani, che già provavano le miserie della fame, getta-vano sguardi di disperazione sul Tigri o su' Barbari, ilnumero e l'ostinazione dei quali andava crescendocoll'angustie dell'armata Imperiale649.

In questa disperata situazione il nome di pace ravvivò

648Fu proposto a' condottieri de' diecimila un espediente simile e saviamenterigettato. Senof. Anab. T. III. p. 255, 256, 257. Si rileva dai nostri moderniviaggiatori che il commercio e la navigazione del Tigri si fa su tavolini nuotan-ti sopra vesciche.

649Le prime azioni militari del regno di Gioviano sono riferite da Ammiano(XXV. 6), da Libanio (Orat. parent. c. 146. p. 364) e da Zosimo (l. III. p. 89,190, 191). Quantunque possiam diffidarci dall'ingenuità di Libanio, pure l'ocu-lar testimonianza d'Eutropio (uno a Persis atque altero praelip victus X. 17) cifa inclinar a sospettare, che Ammiano sia stato troppo geloso dell'onor dellearmi Romane.

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non avrebber fatto altro che andare a porsi nudi e senzadifesa nelle mani de' Barbari, che avevano occupato leopposte rive. Cedendo però finalmente alla clamorosaloro importunità, acconsentì con ripugnanza, che cin-quecento Galli e Germani, assuefatti fin da fanciulli alleacque del Reno e del Danubio, tentassero l'ardita impre-sa, che sarebbe servita o d'incoraggiamento o d'avvisopel resto dell'esercito. Nel silenzio della notte passaronoa nuoto il Tigri, sorpresero un posto non guardato dalnemico, e spiegarono allo spuntar del giorno il segno dilor risolutezza e fortuna. L'evento di tale sperimento di-spose l'Imperatore a prestare orecchio alle promesse de'suoi architetti, che proposero di costruire un mobileponte di gonfiate pelli di pecore, di bovi e di capre co-perte con uno strato di terra e di fascine648. Si consuma-rono due importanti giornate in quell'inutil lavoro; ed iRomani, che già provavano le miserie della fame, getta-vano sguardi di disperazione sul Tigri o su' Barbari, ilnumero e l'ostinazione dei quali andava crescendocoll'angustie dell'armata Imperiale649.

In questa disperata situazione il nome di pace ravvivò

648Fu proposto a' condottieri de' diecimila un espediente simile e saviamenterigettato. Senof. Anab. T. III. p. 255, 256, 257. Si rileva dai nostri moderniviaggiatori che il commercio e la navigazione del Tigri si fa su tavolini nuotan-ti sopra vesciche.

649Le prime azioni militari del regno di Gioviano sono riferite da Ammiano(XXV. 6), da Libanio (Orat. parent. c. 146. p. 364) e da Zosimo (l. III. p. 89,190, 191). Quantunque possiam diffidarci dall'ingenuità di Libanio, pure l'ocu-lar testimonianza d'Eutropio (uno a Persis atque altero praelip victus X. 17) cifa inclinar a sospettare, che Ammiano sia stato troppo geloso dell'onor dellearmi Romane.

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gl'indeboliti spiriti de' Romani. Era già svanita la transi-toria presunzione di Sapore; osservò egli con seria pon-derazione, che replicando le dubbiose battaglie, avevaperduti i suoi più fedeli ed intrepidi nobili, le truppe piùbrave e la maggior parte degli elefanti; e l'esperto Mo-narca temè di provocare la resistenza della disperazione,le vicende della fortuna e l'inesausta potenza del Roma-no Impero, che poteva in breve soccorrere o vendicare ilsuccessor di Giuliano. Comparve nel campo di Giovianoil Surenas medesimo accompagnato da un altro Satra-po650; ed espose che la clemenza del suo Sovrano nonera aliena dell'indicare le condizioni, colle quali avrebbeacconsentito a risparmiare e lasciare in libertà Cesare,co' residui del disastrato suo esercito. Le speranze di sa-lute vinsero la fermezza dei Romani; l'Imperatore fu co-stretto dal parere del suo consiglio e dai clamori dei sol-dati ad ammetter l'offerta di pace; e fu immediatamentespedito il Prefetto Sallustio col Generale Arinteo per in-tendere qual fosse la volontà del gran Re. L'astuto Per-siano differì sotto vari pretesti la conclusion del trattato;oppose difficoltà, chiese schiarimenti, suggerì espedien-ti, ristrinse quel che aveva concesso, accrebbe le sue do-mande, e consumò quattro giorni negli artifizi della ne-goziazione, finattanto che fossero terminate le provvi-sioni, che restavano ancora nel campo Romano. Se Gio-viano fosse stato capace d'eseguire un ardito e prudente

650Sesto Rufo (de Provinc. c. 29) abbraccia un debole sotterfugio di vanitànazionale. Tanta reverentia nominis Romani fuit, ut a Persis primus de pacesermo haberetur.

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gl'indeboliti spiriti de' Romani. Era già svanita la transi-toria presunzione di Sapore; osservò egli con seria pon-derazione, che replicando le dubbiose battaglie, avevaperduti i suoi più fedeli ed intrepidi nobili, le truppe piùbrave e la maggior parte degli elefanti; e l'esperto Mo-narca temè di provocare la resistenza della disperazione,le vicende della fortuna e l'inesausta potenza del Roma-no Impero, che poteva in breve soccorrere o vendicare ilsuccessor di Giuliano. Comparve nel campo di Giovianoil Surenas medesimo accompagnato da un altro Satra-po650; ed espose che la clemenza del suo Sovrano nonera aliena dell'indicare le condizioni, colle quali avrebbeacconsentito a risparmiare e lasciare in libertà Cesare,co' residui del disastrato suo esercito. Le speranze di sa-lute vinsero la fermezza dei Romani; l'Imperatore fu co-stretto dal parere del suo consiglio e dai clamori dei sol-dati ad ammetter l'offerta di pace; e fu immediatamentespedito il Prefetto Sallustio col Generale Arinteo per in-tendere qual fosse la volontà del gran Re. L'astuto Per-siano differì sotto vari pretesti la conclusion del trattato;oppose difficoltà, chiese schiarimenti, suggerì espedien-ti, ristrinse quel che aveva concesso, accrebbe le sue do-mande, e consumò quattro giorni negli artifizi della ne-goziazione, finattanto che fossero terminate le provvi-sioni, che restavano ancora nel campo Romano. Se Gio-viano fosse stato capace d'eseguire un ardito e prudente

650Sesto Rufo (de Provinc. c. 29) abbraccia un debole sotterfugio di vanitànazionale. Tanta reverentia nominis Romani fuit, ut a Persis primus de pacesermo haberetur.

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divisamento, avrebbe dovuto continuar la sua marciacon assidua diligenza; il progresso del trattato avrebbesospeso gli attacchi dei Barbari; e prima che spirasse ilquarto giorno, sarebbe giunto salvo alla fertil Provinciadi Corduena, che non era distante più di cento miglia651.L'irresoluto Imperatore, invece di rompere le reti del ne-mico, aspettò con paziente rassegnazione il suo fato, edaccettò le umilianti condizioni di pace, le quali non erain suo poterò di ricusare. Furono restituite alla Monar-chia Persiana le cinque Province di là dal Tigri, chedall'avo di Sapore erano state cedute. Per un articolo se-parato acquistò egli anche l'inespugnabile città di Nisibi,che in tre successivi assedi aveva sostenuto lo sforzodelle sue armi. Singara ed il castello de' Mori, una dellepiù forti piazze della Mesopotamia, si smembrarono pa-rimente dall'Impero. Fu considerata come una largità,che fosse permesso agli abitanti di quelle fortezze di ri-tirarsi coi loro effetti; ma il vincitore fortemente insistè,che i Romani dovesser per sempre abbandonare il Re edil regno dell'Armenia. Stipulossi fra le nemiche Nazioniuna pace o piuttosto una lunga tregua di trent'anni; consolenni giuramenti e con cerimonie religiose si ratificòla fede de' trattati; e reciprocamente si diedero ostaggi diragguardevol grado per assicurare l'esecuzione de' pat-

651È una vanità il controvertere l'opinione d'Ammiano, soldato ed attualespettatore. Egli è però difficile a intendersi, come si potessero estendere lemontagne di Corduena sul piano dell'Assiria fino all'unione del Tigri e del granZab; o come un esercito di sessantamila uomini potesse far cento miglia inquattro giorni.

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divisamento, avrebbe dovuto continuar la sua marciacon assidua diligenza; il progresso del trattato avrebbesospeso gli attacchi dei Barbari; e prima che spirasse ilquarto giorno, sarebbe giunto salvo alla fertil Provinciadi Corduena, che non era distante più di cento miglia651.L'irresoluto Imperatore, invece di rompere le reti del ne-mico, aspettò con paziente rassegnazione il suo fato, edaccettò le umilianti condizioni di pace, le quali non erain suo poterò di ricusare. Furono restituite alla Monar-chia Persiana le cinque Province di là dal Tigri, chedall'avo di Sapore erano state cedute. Per un articolo se-parato acquistò egli anche l'inespugnabile città di Nisibi,che in tre successivi assedi aveva sostenuto lo sforzodelle sue armi. Singara ed il castello de' Mori, una dellepiù forti piazze della Mesopotamia, si smembrarono pa-rimente dall'Impero. Fu considerata come una largità,che fosse permesso agli abitanti di quelle fortezze di ri-tirarsi coi loro effetti; ma il vincitore fortemente insistè,che i Romani dovesser per sempre abbandonare il Re edil regno dell'Armenia. Stipulossi fra le nemiche Nazioniuna pace o piuttosto una lunga tregua di trent'anni; consolenni giuramenti e con cerimonie religiose si ratificòla fede de' trattati; e reciprocamente si diedero ostaggi diragguardevol grado per assicurare l'esecuzione de' pat-

651È una vanità il controvertere l'opinione d'Ammiano, soldato ed attualespettatore. Egli è però difficile a intendersi, come si potessero estendere lemontagne di Corduena sul piano dell'Assiria fino all'unione del Tigri e del granZab; o come un esercito di sessantamila uomini potesse far cento miglia inquattro giorni.

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ti652.Il Sofista d'Antiochia, che vide con isdegno lo scettro

del suo eroe nelle deboli mani d'un successore Cristiano,protesta d'ammirar la moderazione di Sapore in conten-tarsi d'una sì piccola parte dell'Impero Romano. S'egliavesse esteso fino all'Eufrate le ambiziose sue pretensio-ni, sarebbe stato sicuro, dice Libanio, di non incontrareopposizione alcuna. S'egli avesse fissato per confini del-la Persia l'Oronte, il Cidno, il Sangario, o anche il Bo-sforo Tracio, non sarebber mancati nella Corte di Gio-viano gli adulatori per convincere quel timido Principe,che le sue rimanenti Province gli avrebbero tuttaviasomministrato il modo d'ampiamente soddisfare la po-tenza ed il lusso653. Senza interamente ammettere questamaliziosa osservazione, dobbiam confessare però che laprivata ambizion di Gioviano facilitò la conclusioned'un trattato così vergognoso. Un oscuro domestico, in-nalzato al trono dalla fortuna piuttosto che dal merito,era impaziente di sottrarsi dalle mani dei Persiani perpoter prevenire i disegni di Procopio, che comandaval'esercito della Mesopotamia, e stabilire il dubbioso suoregno sulle Legioni e Province, che tuttavia ignoravanola precipitosa e tumultuaria elezione, fatta nel campo di

652Fanno menzione del trattato di Dura con dispiacere e con isdegno Am-miano (XXV. 7), Libanio (Orat. parent. c. 142. p. 264), Zosimo (l. III. p. 190,191) Gregorio Nazianzeno (Orat. IV. p. 117, 118) che attribuisce a Giuliano lacalamità, e la liberazione a Gioviano, ed Eutropio (X. 17). L'ultimo di questiScrittori, che si trovava presente in un posto militare, chiama tal pace necessa-riam quidem, sed ignobilem.

653Liban. Orat. parent. c. 143. p. 364, 365.

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ti652.Il Sofista d'Antiochia, che vide con isdegno lo scettro

del suo eroe nelle deboli mani d'un successore Cristiano,protesta d'ammirar la moderazione di Sapore in conten-tarsi d'una sì piccola parte dell'Impero Romano. S'egliavesse esteso fino all'Eufrate le ambiziose sue pretensio-ni, sarebbe stato sicuro, dice Libanio, di non incontrareopposizione alcuna. S'egli avesse fissato per confini del-la Persia l'Oronte, il Cidno, il Sangario, o anche il Bo-sforo Tracio, non sarebber mancati nella Corte di Gio-viano gli adulatori per convincere quel timido Principe,che le sue rimanenti Province gli avrebbero tuttaviasomministrato il modo d'ampiamente soddisfare la po-tenza ed il lusso653. Senza interamente ammettere questamaliziosa osservazione, dobbiam confessare però che laprivata ambizion di Gioviano facilitò la conclusioned'un trattato così vergognoso. Un oscuro domestico, in-nalzato al trono dalla fortuna piuttosto che dal merito,era impaziente di sottrarsi dalle mani dei Persiani perpoter prevenire i disegni di Procopio, che comandaval'esercito della Mesopotamia, e stabilire il dubbioso suoregno sulle Legioni e Province, che tuttavia ignoravanola precipitosa e tumultuaria elezione, fatta nel campo di

652Fanno menzione del trattato di Dura con dispiacere e con isdegno Am-miano (XXV. 7), Libanio (Orat. parent. c. 142. p. 264), Zosimo (l. III. p. 190,191) Gregorio Nazianzeno (Orat. IV. p. 117, 118) che attribuisce a Giuliano lacalamità, e la liberazione a Gioviano, ed Eutropio (X. 17). L'ultimo di questiScrittori, che si trovava presente in un posto militare, chiama tal pace necessa-riam quidem, sed ignobilem.

653Liban. Orat. parent. c. 143. p. 364, 365.

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là dal Tigri654. In vicinanza del medesimo fiume, ad unadistanza non molto grande dalla fatale stazione diDura655, i diecimila Greci restarono abbandonati senzaGenerali, senza guide e senza provvisioni, più di dugen-to miglia lontani dal loro paese, allo sdegno d'un vitto-rioso Monarca. La differenza della condotta ed il suc-cesso di essi è più da imputarsi al loro carattere, che allasituazione in cui si trovarono. In vece di ciecamente ab-bandonarsi alle deliberazioni segrete ed alle private mired'una sola persona, i consigli riuniti dei Greci venivanoinspirati dal generoso entusiasmo di una popolare as-semblea, dove lo spirito d'ogni cittadino è pieno d'amoredella gloria, d'orgoglio della libertà e di disprezzo dellamorte. Consapevoli della loro superiorità nella discipli-na e nelle armi sopra de' Barbari, sdegnarono di cedere,e ricusarono di capitolare; fu sormontato qualunqueostacolo dalla loro pazienza, dal coraggio e dalla milita-re perizia; e la memorabile ritirata dei diecimila schiarìe svergognò la debolezza della Monarchia Persiana656.

Per prezzo delle vergognose sue concessioni l'Impera-654Conditionibus... dispendiosis Romanae Reipublicae impositis... quibus

cupidior regni quam gloriae Jovianus imperio rudis adquievit. Sest. Rufo deProv. c. 29. La Bleterie ha esposto in una lunga orazione, fatta su tal proposito,questi speciosi riflessi di pubblico e di privato vantaggio: Hist. de Jovien Tom.I. p. 39 ec.

655I Generali furono uccisi alle rive dello Zabato (Anabasis l. III. p. 226) odel gran Zab, fiume d'Assiria largo 400 piedi, che si getta nel Tigri, quattordiciore di cammino sotto Mosul. L'errore de' Greci attribuì al maggior ed al minorZab i nomi del lupo (Lycus) e del capro (Capros). Essi adoperaron questi ani-mali per corteggiare il Tigri dell'Oriente.

656La Ciropedia è languida ed incerta; l'Anabasi circostanziata e vivace. Talè sempre la differenza tra la finzione e la verità.

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là dal Tigri654. In vicinanza del medesimo fiume, ad unadistanza non molto grande dalla fatale stazione diDura655, i diecimila Greci restarono abbandonati senzaGenerali, senza guide e senza provvisioni, più di dugen-to miglia lontani dal loro paese, allo sdegno d'un vitto-rioso Monarca. La differenza della condotta ed il suc-cesso di essi è più da imputarsi al loro carattere, che allasituazione in cui si trovarono. In vece di ciecamente ab-bandonarsi alle deliberazioni segrete ed alle private mired'una sola persona, i consigli riuniti dei Greci venivanoinspirati dal generoso entusiasmo di una popolare as-semblea, dove lo spirito d'ogni cittadino è pieno d'amoredella gloria, d'orgoglio della libertà e di disprezzo dellamorte. Consapevoli della loro superiorità nella discipli-na e nelle armi sopra de' Barbari, sdegnarono di cedere,e ricusarono di capitolare; fu sormontato qualunqueostacolo dalla loro pazienza, dal coraggio e dalla milita-re perizia; e la memorabile ritirata dei diecimila schiarìe svergognò la debolezza della Monarchia Persiana656.

Per prezzo delle vergognose sue concessioni l'Impera-654Conditionibus... dispendiosis Romanae Reipublicae impositis... quibus

cupidior regni quam gloriae Jovianus imperio rudis adquievit. Sest. Rufo deProv. c. 29. La Bleterie ha esposto in una lunga orazione, fatta su tal proposito,questi speciosi riflessi di pubblico e di privato vantaggio: Hist. de Jovien Tom.I. p. 39 ec.

655I Generali furono uccisi alle rive dello Zabato (Anabasis l. III. p. 226) odel gran Zab, fiume d'Assiria largo 400 piedi, che si getta nel Tigri, quattordiciore di cammino sotto Mosul. L'errore de' Greci attribuì al maggior ed al minorZab i nomi del lupo (Lycus) e del capro (Capros). Essi adoperaron questi ani-mali per corteggiare il Tigri dell'Oriente.

656La Ciropedia è languida ed incerta; l'Anabasi circostanziata e vivace. Talè sempre la differenza tra la finzione e la verità.

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tore avrà forse stipulato, che fosse abbondantementefornito di viveri il campo degli affamati Romani657; eche fosse loro permesso di passare il Tigri sul pontech'era stato costrutto dai Persiani. Ma se Gioviano ardi-va di sollecitare l'osservanza di tali eque convenzioni,altieramente si ricusavano esse dal superbo Tirannodell'Oriente, la clemenza del quale avea perdonatoagl'invasori delle sue terre. I Saracini alle volte intercet-tavano quelli che si staccavano dall'esercito; ma i Gene-rali ed i soldati di Sapore rispettavan la sospensione del-le armi; e si tollerò, che Gioviano esplorasse il luogo piùcomodo pel passaggio del fiume. Le piccole barche, chesi eran salvate dall'incendio della flotta, furono inquest'occasione di grandissimo aiuto. Con esse fu tra-sportato prima lo Imperatore ed i suoi cortigiani; ed inseguito, facendo molti viaggi successivamente, una granparte dell'esercito. Ma siccome ognuno avea premuradella propria personale salvezza, o temeva di essere ab-bandonato sul lido nemico, i soldati, troppo impazientid'aspettare il tardo ritorno delle barelle, s'arrischiavanoaudacemente di passare sopra leggieri graticci o soprapelli gonfiate di aria; e traendosi dietro i cavalli tentava-no con vario successo di attraversare quel fiume. Moltidi questi arditi avventurieri furono ingoiati dalle onde;molti altri, trasportati via dalla violenza della corrente,

657Secondo Ruffino, fu stipulato nell'accordo un immediato soccorso diprovvisioni; e Teodoreto afferma, che i Persiani fedelmente mantennero la pro-messa. Tal fatto è probabile, ma indubitabilmente falso. Vedi Tillemont Hist.des Emper. Tom. IV. p. 702.

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tore avrà forse stipulato, che fosse abbondantementefornito di viveri il campo degli affamati Romani657; eche fosse loro permesso di passare il Tigri sul pontech'era stato costrutto dai Persiani. Ma se Gioviano ardi-va di sollecitare l'osservanza di tali eque convenzioni,altieramente si ricusavano esse dal superbo Tirannodell'Oriente, la clemenza del quale avea perdonatoagl'invasori delle sue terre. I Saracini alle volte intercet-tavano quelli che si staccavano dall'esercito; ma i Gene-rali ed i soldati di Sapore rispettavan la sospensione del-le armi; e si tollerò, che Gioviano esplorasse il luogo piùcomodo pel passaggio del fiume. Le piccole barche, chesi eran salvate dall'incendio della flotta, furono inquest'occasione di grandissimo aiuto. Con esse fu tra-sportato prima lo Imperatore ed i suoi cortigiani; ed inseguito, facendo molti viaggi successivamente, una granparte dell'esercito. Ma siccome ognuno avea premuradella propria personale salvezza, o temeva di essere ab-bandonato sul lido nemico, i soldati, troppo impazientid'aspettare il tardo ritorno delle barelle, s'arrischiavanoaudacemente di passare sopra leggieri graticci o soprapelli gonfiate di aria; e traendosi dietro i cavalli tentava-no con vario successo di attraversare quel fiume. Moltidi questi arditi avventurieri furono ingoiati dalle onde;molti altri, trasportati via dalla violenza della corrente,

657Secondo Ruffino, fu stipulato nell'accordo un immediato soccorso diprovvisioni; e Teodoreto afferma, che i Persiani fedelmente mantennero la pro-messa. Tal fatto è probabile, ma indubitabilmente falso. Vedi Tillemont Hist.des Emper. Tom. IV. p. 702.

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divennero una facile preda dell'avarizia o della crudeltàdegli Arabi selvaggi; e la perdita, che soffrì l'esercito nelpaesaggio del Tigri, non fu inferiore al macello d'unagiornata campale. Quando i Romani ebber posto il piedesulla riva Occidentale, restaron liberi dall'ostile insegui-mento dei Barbari; ma in una laboriosa marcia di dugen-to miglia per le pianure della Mesopotamia provarono leultime estremità della sete e della fame. Furono essi co-stretti a traversare un arenoso deserto, che per lo spaziodi settanta miglia non somministrava neppure un filo dierba da mangiare, nè alcuna sorgente d'acqua; e nel ri-manente di quell'inospita solitudine non vedevasi alcunvestigio nè di amici nè di nemici. Se potea trovarsi nelcampo una piccola dose di farina, volentieri se ne com-pravan venti libbre per dieci monete di oro658; furon uc-cise e divorate le bestie da soma; ed il deserto era sparsodi armi e del bagaglio dei soldati Romani, i laceri vesti-menti ed i magri aspetti dei quali dimostravano quel cheavevano sofferto, e la miseria in cui si trovavano. Unpiccol convoglio di provvisioni s'avanzò incontroall'armata fino al castello di Ur, e tal soccorso riuscì tan-to più gradito, che dichiarava la fedeltà di Sebastiano e

658Possiam far uso in questo luogo di alcuni versi di Lucano (Pharsal. IV.95) che descrive un'angustia simile dell'esercito di Cesare nella Spagna.

Saeva fames aderat....Miles eget: tota censu non prodigus emitExiguam cererem. Proh lucri pallida labes!Non deest prolato jejunus venditor auro.

Vedi Guichardt. Nouv. memoir. milit. Tom. I. p. 379, 382. L'analisi, ch'ei fa del-le due campagne in Ispagna e nell'Affrica, è il più nobile monumento, che siamai stato innalzato alla fama di Cesare.

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divennero una facile preda dell'avarizia o della crudeltàdegli Arabi selvaggi; e la perdita, che soffrì l'esercito nelpaesaggio del Tigri, non fu inferiore al macello d'unagiornata campale. Quando i Romani ebber posto il piedesulla riva Occidentale, restaron liberi dall'ostile insegui-mento dei Barbari; ma in una laboriosa marcia di dugen-to miglia per le pianure della Mesopotamia provarono leultime estremità della sete e della fame. Furono essi co-stretti a traversare un arenoso deserto, che per lo spaziodi settanta miglia non somministrava neppure un filo dierba da mangiare, nè alcuna sorgente d'acqua; e nel ri-manente di quell'inospita solitudine non vedevasi alcunvestigio nè di amici nè di nemici. Se potea trovarsi nelcampo una piccola dose di farina, volentieri se ne com-pravan venti libbre per dieci monete di oro658; furon uc-cise e divorate le bestie da soma; ed il deserto era sparsodi armi e del bagaglio dei soldati Romani, i laceri vesti-menti ed i magri aspetti dei quali dimostravano quel cheavevano sofferto, e la miseria in cui si trovavano. Unpiccol convoglio di provvisioni s'avanzò incontroall'armata fino al castello di Ur, e tal soccorso riuscì tan-to più gradito, che dichiarava la fedeltà di Sebastiano e

658Possiam far uso in questo luogo di alcuni versi di Lucano (Pharsal. IV.95) che descrive un'angustia simile dell'esercito di Cesare nella Spagna.

Saeva fames aderat....Miles eget: tota censu non prodigus emitExiguam cererem. Proh lucri pallida labes!Non deest prolato jejunus venditor auro.

Vedi Guichardt. Nouv. memoir. milit. Tom. I. p. 379, 382. L'analisi, ch'ei fa del-le due campagne in Ispagna e nell'Affrica, è il più nobile monumento, che siamai stato innalzato alla fama di Cesare.

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di Procopio. A Tilsafata659 l'Imperatore accolse moltograziosamente i Generali della Mesopotamia; e final-mente i residui d'un esercito una volta sì florido, si ripo-sarono sotto le mura di Nisibi. I messaggi di Giovianoavevano già pubblicato con le frasi dell'adulazionel'innalzamento, il trattato ed il ritorno di esso; ed il nuo-vo Principe aveva preso le più efficaci misure per assi-curarsi la fedeltà degli eserciti e delle Provincedell'Europa, dando il comando militare a quegli Uffizia-li, che per motivo d'interesse o d'inclinazione avrebberocostantemente sostenuto la causa del loro benefattore660.

Gli amici di Giuliano avevano altamente annunziatoil felice successo della sua spedizione. Erano essi forte-mente persuasi, che si sarebbero arricchiti i tempj degliDei con le spoglie dell'Oriente; che la Persia si sarebberidotta all'umile stato di una Provincia tributaria, gover-nata dalle leggi e dai Magistrati di Roma; che i Barbariadottato avrebbero l'abito, i costumi e la lingua dei loroconquistatori; e che la gioventù di Ecbatana e di Susavenuta sarebbe a studiar la rettorica nelle scuole de' Gre-ci661. I progressi delle armi di Giuliano interruppero lacomunicazione di lui coll'Impero; e dal momento che

659Il Danville (vedi le sue carte e l'Euphr. et le Tigr. p. 92, 93) descrive laloro marcia, e fissa la vera situazione di Hatra, di Ur, e di Tilsafata, delle qualiha fatta menzione Ammiano. Ei non si duole del Samiel, cioè di quel mortalvento caldo sì temuto da Thevenot. Viag. Pars. II. l. I. p. 192.

660La ritirata di Gioviano è descritta da Ammiano XXV. 9 da Libanio (Orat.parent. c. 143. pag. 365) e da Zosimo (l. III. p. 194).

661Liban. Orat. parent. c. 145. p. 366. Tali erano le speranze e i desiderj na-turali d'un retore.

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di Procopio. A Tilsafata659 l'Imperatore accolse moltograziosamente i Generali della Mesopotamia; e final-mente i residui d'un esercito una volta sì florido, si ripo-sarono sotto le mura di Nisibi. I messaggi di Giovianoavevano già pubblicato con le frasi dell'adulazionel'innalzamento, il trattato ed il ritorno di esso; ed il nuo-vo Principe aveva preso le più efficaci misure per assi-curarsi la fedeltà degli eserciti e delle Provincedell'Europa, dando il comando militare a quegli Uffizia-li, che per motivo d'interesse o d'inclinazione avrebberocostantemente sostenuto la causa del loro benefattore660.

Gli amici di Giuliano avevano altamente annunziatoil felice successo della sua spedizione. Erano essi forte-mente persuasi, che si sarebbero arricchiti i tempj degliDei con le spoglie dell'Oriente; che la Persia si sarebberidotta all'umile stato di una Provincia tributaria, gover-nata dalle leggi e dai Magistrati di Roma; che i Barbariadottato avrebbero l'abito, i costumi e la lingua dei loroconquistatori; e che la gioventù di Ecbatana e di Susavenuta sarebbe a studiar la rettorica nelle scuole de' Gre-ci661. I progressi delle armi di Giuliano interruppero lacomunicazione di lui coll'Impero; e dal momento che

659Il Danville (vedi le sue carte e l'Euphr. et le Tigr. p. 92, 93) descrive laloro marcia, e fissa la vera situazione di Hatra, di Ur, e di Tilsafata, delle qualiha fatta menzione Ammiano. Ei non si duole del Samiel, cioè di quel mortalvento caldo sì temuto da Thevenot. Viag. Pars. II. l. I. p. 192.

660La ritirata di Gioviano è descritta da Ammiano XXV. 9 da Libanio (Orat.parent. c. 143. pag. 365) e da Zosimo (l. III. p. 194).

661Liban. Orat. parent. c. 145. p. 366. Tali erano le speranze e i desiderj na-turali d'un retore.

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passò il Tigri, gli affezionati suoi sudditi non sepperopiù la sorte e gli accidenti del loro Principe. La contem-plazione degl'immaginati trionfi venne sturbata dalla tri-sta fama della sua morte; e persisterono a dubitare dellaverità di quel fatale avvenimento, anche dopo che nonpotevano più negarlo662. I messaggieri di Gioviano pro-mulgarono la speciosa novella di una prudente e neces-saria pace: ma la voce della fama, più alta e più sincera,manifestò il disonor dell'Imperatore e le condizionidell'ignominioso trattato. Gli animi del popolo si riempi-rono di stupore e di affanno, di sdegno e di terrore,quando seppero che l'indegno successor di Giuliano ab-bandonava le cinque Province, che acquistate aveva lavittoria di Galerio; e che vergognosamente rendeva aiBarbari l'importante città di Nisibi, ch'era il più stabilebaloardo delle Province Orientali663. Nelle popolari con-versazioni agitavasi liberamente la profonda e pericolo-sa questione, se la fede pubblica si dovesse osservare,quando essa è incompatibile con la pubblica sicurezza;ed avevasi qualche speranza, che l'Imperatore avrebberimediato alla pusillanime sua condotta con uno splendi-do atto di patriottica perfidia. Lo spirito inflessibile del

662Il Popolo di Carre, città addetta al Paganesimo, seppellì sotto un mucchiodi pietre l'inaugurato apportator di tal nuova (Zosimo l. III. p. 196). Libanio,quando ne ricevè la fatal notizia, gettò gli occhi sopra la spada: ma si rammen-tò, che Platone aveva condannato il suicidio, e ch'ei doveva vivere per compor-re il panegirico di Giuliano (Liban. de vita sua Tom. II. p. 45, 46).

663Possono ammettersi Ammiano ed Eutropio come buoni e credibili testi-moni de' discorsi e de' sentimenti pubblici. Il popolo d'Antiochia inveiva con-tro un'ignominiosa pace, che l'esponeva sopra una nuda e non difesa frontieraalle armi Persiane.

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passò il Tigri, gli affezionati suoi sudditi non sepperopiù la sorte e gli accidenti del loro Principe. La contem-plazione degl'immaginati trionfi venne sturbata dalla tri-sta fama della sua morte; e persisterono a dubitare dellaverità di quel fatale avvenimento, anche dopo che nonpotevano più negarlo662. I messaggieri di Gioviano pro-mulgarono la speciosa novella di una prudente e neces-saria pace: ma la voce della fama, più alta e più sincera,manifestò il disonor dell'Imperatore e le condizionidell'ignominioso trattato. Gli animi del popolo si riempi-rono di stupore e di affanno, di sdegno e di terrore,quando seppero che l'indegno successor di Giuliano ab-bandonava le cinque Province, che acquistate aveva lavittoria di Galerio; e che vergognosamente rendeva aiBarbari l'importante città di Nisibi, ch'era il più stabilebaloardo delle Province Orientali663. Nelle popolari con-versazioni agitavasi liberamente la profonda e pericolo-sa questione, se la fede pubblica si dovesse osservare,quando essa è incompatibile con la pubblica sicurezza;ed avevasi qualche speranza, che l'Imperatore avrebberimediato alla pusillanime sua condotta con uno splendi-do atto di patriottica perfidia. Lo spirito inflessibile del

662Il Popolo di Carre, città addetta al Paganesimo, seppellì sotto un mucchiodi pietre l'inaugurato apportator di tal nuova (Zosimo l. III. p. 196). Libanio,quando ne ricevè la fatal notizia, gettò gli occhi sopra la spada: ma si rammen-tò, che Platone aveva condannato il suicidio, e ch'ei doveva vivere per compor-re il panegirico di Giuliano (Liban. de vita sua Tom. II. p. 45, 46).

663Possono ammettersi Ammiano ed Eutropio come buoni e credibili testi-moni de' discorsi e de' sentimenti pubblici. Il popolo d'Antiochia inveiva con-tro un'ignominiosa pace, che l'esponeva sopra una nuda e non difesa frontieraalle armi Persiane.

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Senato Romano aveva in altri tempi disapprovato le in-giuste condizioni estorte dalle angustie delle oppressesue armate; e se vi fosse stato bisogno di soddisfareall'onore della nazione con dare il Generale colpevolenelle mani de' Barbari, la maggior parte de' sudditi diGioviano avrebbe volentieri acconsentito a seguirel'esempio de' tempi antichi664.

Ma l'Imperatore, per quanto stretti fossero i limiti del-la sua costitutiva autorità, era padrone assoluto delleleggi e delle armi dello Stato; e gli stessi motivi, chel'avevan forzato a sottoscrivere il trattato di pace, lo af-frettavano ad eseguirlo. Egli era impaziente d'assicurarsiun Impero a costo di poche Province; ed i nomi rispetta-bili di religione e d'onore coprivano i timori personali el'ambizion di Gioviano. Non ostanti le umili sollecita-zioni degli abitanti, il decoro ugualmente che la pruden-za impediron l'Imperatore dal prendere alloggio nel pa-lazzo di Nisibi; ma la mattina dopo il suo arrivo, Binese,Ambasciatore di Persia, entrò nella piazza, spiegò dallafortezza la bandiera del gran Re, e pubblicò in nome diesso la crudele alternativa della servitù o dell'esilio. Iprincipali cittadini di Nisibi, che fino a quel fatal mo-mento avevan confidato nella protezione del loro Sovra-no, gli si gettarono a' piedi. Lo scongiurarono a non ab-bandonare o almeno a non consegnare una fedele colo-

664L'Ab. della Bleterie (Hist. de Jovien p. 211-227) quantunque rigoroso ca-sista, decise che Gioviano non era obbligato ad eseguire la sua promessa; poi-chè non poteva smembrare l'Impero, o alienare l'omaggio del suo popolo senzail consenso di esso. Io non ho mai trovato gran diletto o istruzione in tali politi-ci Metafisici.

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Senato Romano aveva in altri tempi disapprovato le in-giuste condizioni estorte dalle angustie delle oppressesue armate; e se vi fosse stato bisogno di soddisfareall'onore della nazione con dare il Generale colpevolenelle mani de' Barbari, la maggior parte de' sudditi diGioviano avrebbe volentieri acconsentito a seguirel'esempio de' tempi antichi664.

Ma l'Imperatore, per quanto stretti fossero i limiti del-la sua costitutiva autorità, era padrone assoluto delleleggi e delle armi dello Stato; e gli stessi motivi, chel'avevan forzato a sottoscrivere il trattato di pace, lo af-frettavano ad eseguirlo. Egli era impaziente d'assicurarsiun Impero a costo di poche Province; ed i nomi rispetta-bili di religione e d'onore coprivano i timori personali el'ambizion di Gioviano. Non ostanti le umili sollecita-zioni degli abitanti, il decoro ugualmente che la pruden-za impediron l'Imperatore dal prendere alloggio nel pa-lazzo di Nisibi; ma la mattina dopo il suo arrivo, Binese,Ambasciatore di Persia, entrò nella piazza, spiegò dallafortezza la bandiera del gran Re, e pubblicò in nome diesso la crudele alternativa della servitù o dell'esilio. Iprincipali cittadini di Nisibi, che fino a quel fatal mo-mento avevan confidato nella protezione del loro Sovra-no, gli si gettarono a' piedi. Lo scongiurarono a non ab-bandonare o almeno a non consegnare una fedele colo-

664L'Ab. della Bleterie (Hist. de Jovien p. 211-227) quantunque rigoroso ca-sista, decise che Gioviano non era obbligato ad eseguire la sua promessa; poi-chè non poteva smembrare l'Impero, o alienare l'omaggio del suo popolo senzail consenso di esso. Io non ho mai trovato gran diletto o istruzione in tali politi-ci Metafisici.

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nia al furore d'un Barbaro tiranno, esacerbato da tre suc-cessive sconfitte ricevute sotto le mura di Nisibi. Essiavevano ancora armi e coraggio per rispingere gl'inva-sori della patria; chiedevano soltanto la permissione diservirsene in loro difesa; e tosto che avessero assicuratala propria indipendenza, avrebbero implorato il favoredi essere nuovamente ammessi nel numero de' suoi sud-diti. Gli argomenti, la eloquenza e le lacrime loro furonoinefficaci. Gioviano con qualche rossore allegò la santi-tà de' giuramenti; e quando la ripugnanza, con cui accet-tò il dono d'una corona d'oro, convinse i cittadini del di-sperato lor caso, l'avvocato Silvano proruppe in talesclamazione: "O Imperatore, così possiate voi essereincoronato da tutte le città de' vostri Stati!" A Gioviano,che in poche settimane aveva preso le abitudini di Prin-cipe665, dispiacque la libertà, e si offese del vero; e poi-chè a ragione suppose che la malcontentezza del popolopotesse farlo inclinare a sottomettersi al governo Persia-no, pubblicò un editto, che nel termine di tre giorni do-vessero tutti, sotto pena di morte, lasciar la città. Am-miano ha descritto con vivaci colori la scena della di-sperazione universale, di cui sembra essere stato spetta-tore con occhio di compassione666. La vigorosa gioventùabbandonava con isdegnoso cordoglio le mura, che ave-va sì gloriosamente difese; le sconsolate donne sparge-

665A Nisibi egli fece un atto indegno di Re. Un bravo Uffiziale, che avendoil suo stesso nome, era stato creduto degno della porpora, fu tratto da cena, get-tato in un pozzo, e lapidato senza alcuna forma di processo o prova di delitto.Ammiano XXV. 8.

666Vedi XXV, 9 e Zosimo l. III. p. 194, 195.

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nia al furore d'un Barbaro tiranno, esacerbato da tre suc-cessive sconfitte ricevute sotto le mura di Nisibi. Essiavevano ancora armi e coraggio per rispingere gl'inva-sori della patria; chiedevano soltanto la permissione diservirsene in loro difesa; e tosto che avessero assicuratala propria indipendenza, avrebbero implorato il favoredi essere nuovamente ammessi nel numero de' suoi sud-diti. Gli argomenti, la eloquenza e le lacrime loro furonoinefficaci. Gioviano con qualche rossore allegò la santi-tà de' giuramenti; e quando la ripugnanza, con cui accet-tò il dono d'una corona d'oro, convinse i cittadini del di-sperato lor caso, l'avvocato Silvano proruppe in talesclamazione: "O Imperatore, così possiate voi essereincoronato da tutte le città de' vostri Stati!" A Gioviano,che in poche settimane aveva preso le abitudini di Prin-cipe665, dispiacque la libertà, e si offese del vero; e poi-chè a ragione suppose che la malcontentezza del popolopotesse farlo inclinare a sottomettersi al governo Persia-no, pubblicò un editto, che nel termine di tre giorni do-vessero tutti, sotto pena di morte, lasciar la città. Am-miano ha descritto con vivaci colori la scena della di-sperazione universale, di cui sembra essere stato spetta-tore con occhio di compassione666. La vigorosa gioventùabbandonava con isdegnoso cordoglio le mura, che ave-va sì gloriosamente difese; le sconsolate donne sparge-

665A Nisibi egli fece un atto indegno di Re. Un bravo Uffiziale, che avendoil suo stesso nome, era stato creduto degno della porpora, fu tratto da cena, get-tato in un pozzo, e lapidato senza alcuna forma di processo o prova di delitto.Ammiano XXV. 8.

666Vedi XXV, 9 e Zosimo l. III. p. 194, 195.

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vano le ultime lagrime sulla tomba del figlio o del mari-to, che in breve doveva essere profanata dalle rozzemani di un Barbaro possessore; ed i vecchi cittadini ba-ciavano le spoglie, e stavano attaccati alle porte dellecase, dove passato avevano le care e liete ore della pue-rizia. Eran piene le pubbliche strade d'una tremante mol-titudine; e nell'universale calamità non si faceva distin-zione alcuna di grado, di sesso o di età. Ognuno procu-rava di portar via qualche frammento dal naufragio de'propri beni; e siccome non era possibile d'aver subito unsufficiente numero di cavalli o di carri, furono costretti alasciarsi dietro la massima parte de' loro effetti preziosi.La dura insensibilità di Gioviano sembra che aggravassei travagli di quegli esuli sfortunati. Furon posti però inun quartiere nuovamente fabbricato d'Amida; e quellarinascente città, col rinforzo d'una considerabil colonia,presto ricuperò il suo antico splendore, e divenne la ca-pitale della Mesopotamia667. Si mandarono simili ordinidall'Imperatore per l'evacuazione di Singara e del castel-lo de' Mori e per la restituzione delle cinque Province aldi là del Tigri. Sapore godè la gloria ed i frutti della suavittoria; e questa ignominiosa pace si è giustamente ri-sguardata come una memorabile epoca nella decadenzae rovina del Romano Impero. I predecessori di Giovianoavevano alle volte abbandonato il dominio di lontaneinutili Province; ma dalla fondazione della città, il Ge-nio di Roma, il Dio Termine, che guardava i confini del-

667Chron. Paschal. p. 300. Posson consultarsi le Notizie Ecclesiastiche.

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vano le ultime lagrime sulla tomba del figlio o del mari-to, che in breve doveva essere profanata dalle rozzemani di un Barbaro possessore; ed i vecchi cittadini ba-ciavano le spoglie, e stavano attaccati alle porte dellecase, dove passato avevano le care e liete ore della pue-rizia. Eran piene le pubbliche strade d'una tremante mol-titudine; e nell'universale calamità non si faceva distin-zione alcuna di grado, di sesso o di età. Ognuno procu-rava di portar via qualche frammento dal naufragio de'propri beni; e siccome non era possibile d'aver subito unsufficiente numero di cavalli o di carri, furono costretti alasciarsi dietro la massima parte de' loro effetti preziosi.La dura insensibilità di Gioviano sembra che aggravassei travagli di quegli esuli sfortunati. Furon posti però inun quartiere nuovamente fabbricato d'Amida; e quellarinascente città, col rinforzo d'una considerabil colonia,presto ricuperò il suo antico splendore, e divenne la ca-pitale della Mesopotamia667. Si mandarono simili ordinidall'Imperatore per l'evacuazione di Singara e del castel-lo de' Mori e per la restituzione delle cinque Province aldi là del Tigri. Sapore godè la gloria ed i frutti della suavittoria; e questa ignominiosa pace si è giustamente ri-sguardata come una memorabile epoca nella decadenzae rovina del Romano Impero. I predecessori di Giovianoavevano alle volte abbandonato il dominio di lontaneinutili Province; ma dalla fondazione della città, il Ge-nio di Roma, il Dio Termine, che guardava i confini del-

667Chron. Paschal. p. 300. Posson consultarsi le Notizie Ecclesiastiche.

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la Repubblica, non si era mai ritirato in faccia alla spadadi un vittorioso nemico668.

Dopo che Gioviano ebbe adempito quelle obbligazio-ni, che la voce del suo popolo avrebbe potuto tentarlo aviolare, s'affrettò di sottrarsi alla scena della sua vergo-gna, e passò con tutta la Corte a godere le delizie d'Anti-ochia669. Senza consultare i dettami di un religioso zelo,egli fu indotto dall'umanità e dalla gratitudine a prestargli ultimi onori al corpo del suo defunto Sovrano670; eProcopio, che sinceramente piangeva la perdita del suocongiunto, fu rimosso dal comando dell'esercito sotto ildecente pretesto di aver cura de' funerali. Fu trasportatoil cadavere di Giuliano da Nisibi a Tarso, in una lentamarcia di quindici giorni; e nel passare che fece per lecittà dell'Oriente, veniva salutato dalle fazioni fra lorocontrarie o con luttuosi lamenti o con grida d'insulto. IPagani già collocavano il loro diletto Eroe nel grado diquegli Dei, de' quali aveva restaurato il culto; mentre leinvettive de' Cristiani perseguitavan l'anima dell'Aposta-ta fino all'inferno ed il corpo di esso fino al sepolcro671.

668Zosimo l. III pag. 192, 193. Sesto Rufo de Provinc. c. 29. Agostin. DeCiv. Dei l. IV. c. 29. Si dee però applicare ed interpretare questa generale pro-posizione con qualche cautela.

669Ammiano XXV. 9 Zosimo l. III. p. 196. Per quanto egli fosse edax, etvino venerique indulgens, io convengo con la Bleterie (Tom. I. p. 148-154) inrigettare il pazzo racconto d'un baccanale disordine (Ap. Suid.) fatto in Antio-chia dall'Imperatore, dalla sua moglie e da una truppa di concubine.

670L'ab. della Bleterie (Tom. I. p. 156, 209) espone leggiadramente il brutaldesiderio del Baronio, che avrebbe voluto che Giuliano fosse gettato ai cani necespititia quidem sepultura dignus.

671Si confronti il Sofista col Santo (Libanio Monod. T. II. p. 251. et Orat.parent. c. 145. p. 367. c. 156. p. 377, con Gregorio Nanzianz. Orat. IV. p. 125,

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la Repubblica, non si era mai ritirato in faccia alla spadadi un vittorioso nemico668.

Dopo che Gioviano ebbe adempito quelle obbligazio-ni, che la voce del suo popolo avrebbe potuto tentarlo aviolare, s'affrettò di sottrarsi alla scena della sua vergo-gna, e passò con tutta la Corte a godere le delizie d'Anti-ochia669. Senza consultare i dettami di un religioso zelo,egli fu indotto dall'umanità e dalla gratitudine a prestargli ultimi onori al corpo del suo defunto Sovrano670; eProcopio, che sinceramente piangeva la perdita del suocongiunto, fu rimosso dal comando dell'esercito sotto ildecente pretesto di aver cura de' funerali. Fu trasportatoil cadavere di Giuliano da Nisibi a Tarso, in una lentamarcia di quindici giorni; e nel passare che fece per lecittà dell'Oriente, veniva salutato dalle fazioni fra lorocontrarie o con luttuosi lamenti o con grida d'insulto. IPagani già collocavano il loro diletto Eroe nel grado diquegli Dei, de' quali aveva restaurato il culto; mentre leinvettive de' Cristiani perseguitavan l'anima dell'Aposta-ta fino all'inferno ed il corpo di esso fino al sepolcro671.

668Zosimo l. III pag. 192, 193. Sesto Rufo de Provinc. c. 29. Agostin. DeCiv. Dei l. IV. c. 29. Si dee però applicare ed interpretare questa generale pro-posizione con qualche cautela.

669Ammiano XXV. 9 Zosimo l. III. p. 196. Per quanto egli fosse edax, etvino venerique indulgens, io convengo con la Bleterie (Tom. I. p. 148-154) inrigettare il pazzo racconto d'un baccanale disordine (Ap. Suid.) fatto in Antio-chia dall'Imperatore, dalla sua moglie e da una truppa di concubine.

670L'ab. della Bleterie (Tom. I. p. 156, 209) espone leggiadramente il brutaldesiderio del Baronio, che avrebbe voluto che Giuliano fosse gettato ai cani necespititia quidem sepultura dignus.

671Si confronti il Sofista col Santo (Libanio Monod. T. II. p. 251. et Orat.parent. c. 145. p. 367. c. 156. p. 377, con Gregorio Nanzianz. Orat. IV. p. 125,

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Gli uni compiangevano l'imminente rovina dei loro alta-ri; gli altri celebravano la maravigliosa liberazion dellaChiesa. I Cristiani applaudivano, con alti ed ambiguicantici, al colpo della divina vendetta ch'era stata sì lun-go tempo sospesa sopra il reo capo di Giuliano. Assicu-ravano che nell'istante in cui Giuliano spirò di là dal Ti-gri, era stata rivelata la morte del tiranno a' Santidell'Egitto, della Siria e della Cappadocia672; ed invecedi accordare che fosse perito per mezzo de' dardi Persia-ni, la loro indiscretezza attribuiva l'eroico fatto all'oscu-ra mano di qualche mortale o immortale campion dellafede673. Tali imprudenti dichiarazioni furono ardente-mente adottate dalla malizia o dalla credulità de' loroavversarj674, che oscuramente insinuavano, o con sicu-rezza asserivano, che i Moderatori della Chiesa avevano

132). L'oratore Cristiano insinua qualche debol'esortazione alla modestia ed alperdono; ma egli è ben contento che i reali patimenti di Giuliano siano moltomaggiori de' tormenti favolosi d'Issione o di Tantalo.

672Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV p. 549) ha raccolto queste visioni.Fu osservato, che qualche santo o angelo era assente nella notte per una segretaspedizione ec.

673Sozomeno (l. VI. 2) fa applauso alla dottrina Greca del tirannicidio; matutto quel passo, che un Gesuita volentieri avrebbe tradotto, è prudentementesoppresso dal Presidente Cousin.

674Subito dopo la morte di Giuliano, si sparse un incerto romore, ch'eglitelo cecidisse Romano. Alcuni disertori lo portarono fino al campo Persiano;ed i Romani furon tacciati come assassini dell'Imperatore da Sapore e da' suoisudditi (Ammiano XXV. 6. Liban. de ulcisc. Julian. nece c. XIII. p. 162, 163).Adducevasi come una decisiva prova, che nissun Persiano erasi presentato perchiedere il promesso premio (Liban. Orat. parent. c. 141. p. 363). Ma il cava-liere che scagliò fuggendo il fatal giavellotto, potè ignorar l'effetto di esso, onella medesima azione restare ucciso. Ammiano non ne dà indizio, nè ispirasospetto veruno.

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Gli uni compiangevano l'imminente rovina dei loro alta-ri; gli altri celebravano la maravigliosa liberazion dellaChiesa. I Cristiani applaudivano, con alti ed ambiguicantici, al colpo della divina vendetta ch'era stata sì lun-go tempo sospesa sopra il reo capo di Giuliano. Assicu-ravano che nell'istante in cui Giuliano spirò di là dal Ti-gri, era stata rivelata la morte del tiranno a' Santidell'Egitto, della Siria e della Cappadocia672; ed invecedi accordare che fosse perito per mezzo de' dardi Persia-ni, la loro indiscretezza attribuiva l'eroico fatto all'oscu-ra mano di qualche mortale o immortale campion dellafede673. Tali imprudenti dichiarazioni furono ardente-mente adottate dalla malizia o dalla credulità de' loroavversarj674, che oscuramente insinuavano, o con sicu-rezza asserivano, che i Moderatori della Chiesa avevano

132). L'oratore Cristiano insinua qualche debol'esortazione alla modestia ed alperdono; ma egli è ben contento che i reali patimenti di Giuliano siano moltomaggiori de' tormenti favolosi d'Issione o di Tantalo.

672Tillemont (Hist. des Emper. Tom. IV p. 549) ha raccolto queste visioni.Fu osservato, che qualche santo o angelo era assente nella notte per una segretaspedizione ec.

673Sozomeno (l. VI. 2) fa applauso alla dottrina Greca del tirannicidio; matutto quel passo, che un Gesuita volentieri avrebbe tradotto, è prudentementesoppresso dal Presidente Cousin.

674Subito dopo la morte di Giuliano, si sparse un incerto romore, ch'eglitelo cecidisse Romano. Alcuni disertori lo portarono fino al campo Persiano;ed i Romani furon tacciati come assassini dell'Imperatore da Sapore e da' suoisudditi (Ammiano XXV. 6. Liban. de ulcisc. Julian. nece c. XIII. p. 162, 163).Adducevasi come una decisiva prova, che nissun Persiano erasi presentato perchiedere il promesso premio (Liban. Orat. parent. c. 141. p. 363). Ma il cava-liere che scagliò fuggendo il fatal giavellotto, potè ignorar l'effetto di esso, onella medesima azione restare ucciso. Ammiano non ne dà indizio, nè ispirasospetto veruno.

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instigato e diretto il fanatismo di un assassino domesti-co675. Più di sedici anni dopo la morte di Giuliano, taleaccusa fu solennemente e con ardore sostenuta in unapubblica orazione, diretta da Libanio all'Imperatore Teo-dosio. I suoi sospetti non sono appoggiati su fatto o ar-gomento veruno; e non possiamo far altro che stimare ilgeneroso zelo del Sofista d'Antiochia per le fredde e ne-glette ceneri del suo amico676.

V'era un costume antico ne' funerali, non meno chene' trionfi de' Romani, che la voce degli encomj venissecorretta da quella della satira e del ridicolo; e che inmezzo alle splendide pompe, che spiegavan la gloria delvivente o del defunto, non fosser nascoste agli occhi delMondo le sue imperfezioni677. Tale uso fu praticato an-che nell'esequie di Giuliano. I Comici, ch'erano irritatidal disprezzo ed avversione di lui pel teatro, rappresen-tarono con applauso dell'udienza Cristiana la viva edesagerata pittura delle follie e de' difetti del morto Impe-

675Ος τις εντολην τληρων ω σφων αυτων αρχουτί; chiunque fu che adempìla commissione ricevuta da chi presedeva loro. Tale oscura e dubbiosa espres-sione può riferirsi ad Atanasio, ch'era senza rivale il primo del clero Cristiano(Liban. De ulcisc. Juliani nece c. 5. p. 149. La Bleterie Hist. de Jovien Tom. I.p. 179).

676L'Oratore (ap. Fabric. Biblioth. Graec. Tom. VII p. 145-179) sparge so-spetti, domanda un processo, ed insinua che potrebbero tuttavia trovarsene del-le prove, egli attribuisce i progressi degli Unni alla colpevole negligenza divendicar la morte di Giuliano.

677Nel funerale di Vespasiano, il comico che rappresentava quel frugale Im-peratore domandò ansiosamente quanto costava tal funzione.... Ottantamila lire(centies).... «Datemi, rispose, la decima parte di questa somma, e gettate il miocorpo nel Tevere». Sveton. in Vespasian. c. 19. con le note del Casaubono e delGronovio.

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instigato e diretto il fanatismo di un assassino domesti-co675. Più di sedici anni dopo la morte di Giuliano, taleaccusa fu solennemente e con ardore sostenuta in unapubblica orazione, diretta da Libanio all'Imperatore Teo-dosio. I suoi sospetti non sono appoggiati su fatto o ar-gomento veruno; e non possiamo far altro che stimare ilgeneroso zelo del Sofista d'Antiochia per le fredde e ne-glette ceneri del suo amico676.

V'era un costume antico ne' funerali, non meno chene' trionfi de' Romani, che la voce degli encomj venissecorretta da quella della satira e del ridicolo; e che inmezzo alle splendide pompe, che spiegavan la gloria delvivente o del defunto, non fosser nascoste agli occhi delMondo le sue imperfezioni677. Tale uso fu praticato an-che nell'esequie di Giuliano. I Comici, ch'erano irritatidal disprezzo ed avversione di lui pel teatro, rappresen-tarono con applauso dell'udienza Cristiana la viva edesagerata pittura delle follie e de' difetti del morto Impe-

675Ος τις εντολην τληρων ω σφων αυτων αρχουτί; chiunque fu che adempìla commissione ricevuta da chi presedeva loro. Tale oscura e dubbiosa espres-sione può riferirsi ad Atanasio, ch'era senza rivale il primo del clero Cristiano(Liban. De ulcisc. Juliani nece c. 5. p. 149. La Bleterie Hist. de Jovien Tom. I.p. 179).

676L'Oratore (ap. Fabric. Biblioth. Graec. Tom. VII p. 145-179) sparge so-spetti, domanda un processo, ed insinua che potrebbero tuttavia trovarsene del-le prove, egli attribuisce i progressi degli Unni alla colpevole negligenza divendicar la morte di Giuliano.

677Nel funerale di Vespasiano, il comico che rappresentava quel frugale Im-peratore domandò ansiosamente quanto costava tal funzione.... Ottantamila lire(centies).... «Datemi, rispose, la decima parte di questa somma, e gettate il miocorpo nel Tevere». Sveton. in Vespasian. c. 19. con le note del Casaubono e delGronovio.

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ratore. Il vario carattere ed i singolari costumi di lui for-nirono ampia materia di motteggi e di ridicolo678.Nell'esercizio de' propri non ordinari talenti, spesse vol-te, abbassava la maestà del suo posto. Alessandro tra-sformavasi in Diogene, il Filosofo diveniva Sacerdote.La purità della sua virtù era macchiata da un'eccessivavanità; la sua superstizione disturbò la pace, e pose in ri-schio la salute d'un vasto Impero; e gl'irregolari trasportidi lui tanto meno eran degni d'indulgenza, che sembra-vano laboriosi sforzi dell'arte o dell'affettazione. Il cada-vere di Giuliano fu sepolto a Tarso nella Cilicia; ma ilmagnifico sepolcro, che gli fu innalzato in quella cittàsulle rive del fresco e limpido Cidno679, dispiacque agliamici fedeli, che amavano e rispettavano la memoria diquell'uomo straordinario. Il filosofo dimostrò un deside-rio assai ragionevole, che il discepolo di Platone ripo-sasse in mezzo a' giardini dell'Accademia680; mentre ilsoldato esclamò in più forti accenti, che le ceneri diGiuliano dovevano unirsi a quelle di Cesare nel campodi Marte, e fra gli antichi monumenti del Romano valo-re681. L'istoria dei Principi non somministra frequente-

678Gregorio (Orat. IV. p. 119. 120.) paragona tal supposta ignominia e ridi-colezza agli onori funebri di Costanzo, il corpo del quale fu portato sul monteTauro da un coro di Angeli.

679Q. Curzio l. III. c. 4. Si è censurato più volte il lusso delle sue descrizio-ni. Era però quasi un dovere dell'Istorico il descrivere un fiume, le acque delquale erano state quasi fatali ad Alessandro.

680Liban. Orat. parent. c. 156. p. 377. Riconosce però con gratitudine la li-beralità dei due reali fratelli nel decorare la tomba di Giuliano: De ulcisc. Ju-liani. nec. c. 7. p. 152.

681Cujus suprema et cinerea, si qui tunc juste consuleret, non Cydnus videre

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ratore. Il vario carattere ed i singolari costumi di lui for-nirono ampia materia di motteggi e di ridicolo678.Nell'esercizio de' propri non ordinari talenti, spesse vol-te, abbassava la maestà del suo posto. Alessandro tra-sformavasi in Diogene, il Filosofo diveniva Sacerdote.La purità della sua virtù era macchiata da un'eccessivavanità; la sua superstizione disturbò la pace, e pose in ri-schio la salute d'un vasto Impero; e gl'irregolari trasportidi lui tanto meno eran degni d'indulgenza, che sembra-vano laboriosi sforzi dell'arte o dell'affettazione. Il cada-vere di Giuliano fu sepolto a Tarso nella Cilicia; ma ilmagnifico sepolcro, che gli fu innalzato in quella cittàsulle rive del fresco e limpido Cidno679, dispiacque agliamici fedeli, che amavano e rispettavano la memoria diquell'uomo straordinario. Il filosofo dimostrò un deside-rio assai ragionevole, che il discepolo di Platone ripo-sasse in mezzo a' giardini dell'Accademia680; mentre ilsoldato esclamò in più forti accenti, che le ceneri diGiuliano dovevano unirsi a quelle di Cesare nel campodi Marte, e fra gli antichi monumenti del Romano valo-re681. L'istoria dei Principi non somministra frequente-

678Gregorio (Orat. IV. p. 119. 120.) paragona tal supposta ignominia e ridi-colezza agli onori funebri di Costanzo, il corpo del quale fu portato sul monteTauro da un coro di Angeli.

679Q. Curzio l. III. c. 4. Si è censurato più volte il lusso delle sue descrizio-ni. Era però quasi un dovere dell'Istorico il descrivere un fiume, le acque delquale erano state quasi fatali ad Alessandro.

680Liban. Orat. parent. c. 156. p. 377. Riconosce però con gratitudine la li-beralità dei due reali fratelli nel decorare la tomba di Giuliano: De ulcisc. Ju-liani. nec. c. 7. p. 152.

681Cujus suprema et cinerea, si qui tunc juste consuleret, non Cydnus videre

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mente esempi di tale contrasto.

FINE DEL VOLUME QUARTO

deberet, quamvis gratissimus amnis et liquidus: sed ad perpetuandam gloriamrecte factorum praeterlambere Tiberis, intersecans urbem aeternam, divorum-que veterum monumenta perstringens. Ammiano XXV. 10.

391

mente esempi di tale contrasto.

FINE DEL VOLUME QUARTO

deberet, quamvis gratissimus amnis et liquidus: sed ad perpetuandam gloriamrecte factorum praeterlambere Tiberis, intersecans urbem aeternam, divorum-que veterum monumenta perstringens. Ammiano XXV. 10.

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INDICE DEI CAPITOLI E DELLE MATERIE CHE SICONTENGONO NEL QUARTO VOLUME682

CAPITOLO XX.

Motivi, progresso ed effetti della conversione di Costantino. Le-gittimo stabilimento e costituzione della chiesa Cristiana e Catto-

lica.

A.D. Pag.306 Conversione di Costantino 6312 Sospetti caduti sopra di lui, per la morte di suo figlio 7327 Avanzo in esso di superstizione pagana 8

Cristiani della Gallia protetti 11319 Editto di Milano 12

Uso e bellezza della morale cristiana iviDottrina e pratica dell'obbedienza passiva 14Diritto divino di Costantino 18Lealtà e zelo del partito Cristiano 20Aspettazione e fede di un miracolo 23Il Labaro, Stendardo della Croce iviSegno di Costantino 27

338 Apparizione di una Croce nelle nuvole 32La conversione di Costantino poteva esser sincera 34Devozione e privilegi di Costantino 36Suo battesimo protratto fino all'avvicinarsi dellamorte

40

Propagazione del Cristianesimo 43312-338 Cangiamento della religione nazionale 47

Distinzione della potestà spirituale e temporale 48Stato de' Vescovi sotto gl'Imperatori cristiani 50

682 Le numerazioni di pagina riportate sono quelle dell'edizione cartacea di ri-ferimento. [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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INDICE DEI CAPITOLI E DELLE MATERIE CHE SICONTENGONO NEL QUARTO VOLUME682

CAPITOLO XX.

Motivi, progresso ed effetti della conversione di Costantino. Le-gittimo stabilimento e costituzione della chiesa Cristiana e Catto-

lica.

A.D. Pag.306 Conversione di Costantino 6312 Sospetti caduti sopra di lui, per la morte di suo figlio 7327 Avanzo in esso di superstizione pagana 8

Cristiani della Gallia protetti 11319 Editto di Milano 12

Uso e bellezza della morale cristiana iviDottrina e pratica dell'obbedienza passiva 14Diritto divino di Costantino 18Lealtà e zelo del partito Cristiano 20Aspettazione e fede di un miracolo 23Il Labaro, Stendardo della Croce iviSegno di Costantino 27

338 Apparizione di una Croce nelle nuvole 32La conversione di Costantino poteva esser sincera 34Devozione e privilegi di Costantino 36Suo battesimo protratto fino all'avvicinarsi dellamorte

40

Propagazione del Cristianesimo 43312-338 Cangiamento della religione nazionale 47

Distinzione della potestà spirituale e temporale 48Stato de' Vescovi sotto gl'Imperatori cristiani 50

682 Le numerazioni di pagina riportate sono quelle dell'edizione cartacea di ri-ferimento. [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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I. Elezione de' Vescovi 52II. Ordinazione del Clero 55

313 III. Sostanze 58IV. Giurisdizione Civile 62V. Censure spirituali 65VI. Libertà di predicare pubblicamente 68

314-325 VII. Privilegio delle assemblee legislative 70

CAPITOLO XXI.

Eresia perseguitata. Scisma de' Donatisti, controversia Arriana.Atanasio. Stato della Chiesa e dell'Imperatore, turbato sotto Co-

stantino ed i suoi figli. Tolleranza del Paganesimo.

A.D. Pag.312 Controversia d'Affrica 77315 Scisma de' Donatisti 79

Controversia sopra la Trinità 81Sistema Platonico anteriore a Cristo di 360 anni ivi

97 Rivelato dall'Apostolo S. Giovanni 85Natura misteriosa della Trinità 88Zelo de' Cristiani 90Autorità della Chiesa 93

318-325 Fazioni 94Tre sistemi della Trinità 97Arrianismo 97Triteismo 98Sabellianismo 99

325 Concilio Niceno 100Formole di fede Arriane 104Fede della chiesa occidentale e latina 109

360 Concilio di Rimini 111Condotta degli Imperatori nella controversia Arriana 112

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I. Elezione de' Vescovi 52II. Ordinazione del Clero 55

313 III. Sostanze 58IV. Giurisdizione Civile 62V. Censure spirituali 65VI. Libertà di predicare pubblicamente 68

314-325 VII. Privilegio delle assemblee legislative 70

CAPITOLO XXI.

Eresia perseguitata. Scisma de' Donatisti, controversia Arriana.Atanasio. Stato della Chiesa e dell'Imperatore, turbato sotto Co-

stantino ed i suoi figli. Tolleranza del Paganesimo.

A.D. Pag.312 Controversia d'Affrica 77315 Scisma de' Donatisti 79

Controversia sopra la Trinità 81Sistema Platonico anteriore a Cristo di 360 anni ivi

97 Rivelato dall'Apostolo S. Giovanni 85Natura misteriosa della Trinità 88Zelo de' Cristiani 90Autorità della Chiesa 93

318-325 Fazioni 94Tre sistemi della Trinità 97Arrianismo 97Triteismo 98Sabellianismo 99

325 Concilio Niceno 100Formole di fede Arriane 104Fede della chiesa occidentale e latina 109

360 Concilio di Rimini 111Condotta degli Imperatori nella controversia Arriana 112

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324 Indifferenza di Costantino iviArriani perseguitati 114

328-337 A loro volta gli Ortodossi 115337-361 Costanzo favorisce gli Arriani 117

Concilii Arriani 119Indole ed avventure d'Atanasio 123

330 Persecuzione contro Atanasio 127Lega del medesimo coi Meleziani ivi

336 Primo esilio 130341 Secondo esilio 131346 Assemblea di Sardica 133349 Atanasio richiamato 134351 Sdegno di Costanzo 137353-355 Concilii d'Arles e di Milano 138355 Condanna d'Atanasio 141

Esilii 143356 Espulsione d'Atanasio da Alessandria 144

Contegno tenuto dal medesimo 148356-362 Ritirata 149

Vescovi Arriani 154Divisioni iviRoma 156Costantinopoli 158Crudeltà degli Arriani 162

345 Ribellione e furore dei Donatisti circoncellioni 164312-361 Loro suicidii religiosi 167

Indole generale delle Sette Cristiane 169Tolleranza del Paganesimo 170Sotto Costantino 171Sotto i figli del medesimo 173

CAPITOLO XXII.

394

324 Indifferenza di Costantino iviArriani perseguitati 114

328-337 A loro volta gli Ortodossi 115337-361 Costanzo favorisce gli Arriani 117

Concilii Arriani 119Indole ed avventure d'Atanasio 123

330 Persecuzione contro Atanasio 127Lega del medesimo coi Meleziani ivi

336 Primo esilio 130341 Secondo esilio 131346 Assemblea di Sardica 133349 Atanasio richiamato 134351 Sdegno di Costanzo 137353-355 Concilii d'Arles e di Milano 138355 Condanna d'Atanasio 141

Esilii 143356 Espulsione d'Atanasio da Alessandria 144

Contegno tenuto dal medesimo 148356-362 Ritirata 149

Vescovi Arriani 154Divisioni iviRoma 156Costantinopoli 158Crudeltà degli Arriani 162

345 Ribellione e furore dei Donatisti circoncellioni 164312-361 Loro suicidii religiosi 167

Indole generale delle Sette Cristiane 169Tolleranza del Paganesimo 170Sotto Costantino 171Sotto i figli del medesimo 173

CAPITOLO XXII.

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Giuliano è dichiarato Imperatore dalle legioni della Gallia. Suamarcia e successo - Morte di Costanzo. Amministrazione civile di

Giuliano.

A.D. Pag.Gelosia di Costanzo contro Giuliano 178Timori e invidia che agitavano Costanzo 180

360 Ordine alle legioni della Gallia di condursinell'Oriente

ivi

Mal umore venuto nelle medesime 184Giuliano acclamato Imperatore 185Protestazioni d'innocenza fatte dal medesimo 188Ambasceria a Costanzo 190

360-361 Quarta e quinta spedizione di Giuliano oltre il Reno 192Negoziato inutile e intimazione di guerra 194Giuliano si accinge ad assalire Costanzo 197Marcia dal Reno all'Illirico 200Giustifica la propria causa 204Preparamenti ostili 206Morte di Costanzo 208Giuliano riconosciuto da tutto l'Impero 211Governo civile e vita privata del medesimo 212

361-363 Conghietture sull'intervallo fra la morte di Costanzo ela partenza di Giuliano accintosi alla guerra persiana

215

Riforma della Corte Imperiale 216Tribunale di giustizia 220Punizione contemporanea dell'innocente e del reo 221Clemenza di Giuliano 224Propenso alla libertà e alla repubblica 226Sollecitudine in ver le greche città 229Giuliano oratore e Giudice 230Indole di Giuliano 233

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Giuliano è dichiarato Imperatore dalle legioni della Gallia. Suamarcia e successo - Morte di Costanzo. Amministrazione civile di

Giuliano.

A.D. Pag.Gelosia di Costanzo contro Giuliano 178Timori e invidia che agitavano Costanzo 180

360 Ordine alle legioni della Gallia di condursinell'Oriente

ivi

Mal umore venuto nelle medesime 184Giuliano acclamato Imperatore 185Protestazioni d'innocenza fatte dal medesimo 188Ambasceria a Costanzo 190

360-361 Quarta e quinta spedizione di Giuliano oltre il Reno 192Negoziato inutile e intimazione di guerra 194Giuliano si accinge ad assalire Costanzo 197Marcia dal Reno all'Illirico 200Giustifica la propria causa 204Preparamenti ostili 206Morte di Costanzo 208Giuliano riconosciuto da tutto l'Impero 211Governo civile e vita privata del medesimo 212

361-363 Conghietture sull'intervallo fra la morte di Costanzo ela partenza di Giuliano accintosi alla guerra persiana

215

Riforma della Corte Imperiale 216Tribunale di giustizia 220Punizione contemporanea dell'innocente e del reo 221Clemenza di Giuliano 224Propenso alla libertà e alla repubblica 226Sollecitudine in ver le greche città 229Giuliano oratore e Giudice 230Indole di Giuliano 233

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CAPITOLO XXIII.

Religione di Giuliano. Tolleranza universale. Tenta di restaurareil Culto pagano: di rifabbricare il tempio di Gerusalemme. Per-secuzione artificiosa de' Cristiani. Zelo ed ingiustizia vicendevo-

le.

A.D. Pag.Religione di Giuliano 234Educazione ed apostasia del medesimo 237Abbraccia la mitologia del paganesimo 240Allegorie 242Sistema teologico di Giuliano 244Fanatismo de' filosofi 246Iniziazione e fanatismo di Giuliano 247Religiosa dissimulazione 250Scritti da esso composti contro la religione cristiana 252Tolleranza universale 254Zelo e devozione di Giuliano nella restaurazione delPaganesimo

256

Riforma del Paganesimo 259Filosofi 262Conversioni 265Ebrei 268Gerusalemme 270Pellegrinaggi 271Giuliano tenta di rifabbricare il tempio 274Parzialità di Giuliano 279Scuole proibite ai Cristiani 282Disfavore in cui vennero, ed oppressioni usatesovr'essi

284

Condannati a riedificare i tempj pagani 285Tempio e sacro bosco di Dafne 288

396

CAPITOLO XXIII.

Religione di Giuliano. Tolleranza universale. Tenta di restaurareil Culto pagano: di rifabbricare il tempio di Gerusalemme. Per-secuzione artificiosa de' Cristiani. Zelo ed ingiustizia vicendevo-

le.

A.D. Pag.Religione di Giuliano 234Educazione ed apostasia del medesimo 237Abbraccia la mitologia del paganesimo 240Allegorie 242Sistema teologico di Giuliano 244Fanatismo de' filosofi 246Iniziazione e fanatismo di Giuliano 247Religiosa dissimulazione 250Scritti da esso composti contro la religione cristiana 252Tolleranza universale 254Zelo e devozione di Giuliano nella restaurazione delPaganesimo

256

Riforma del Paganesimo 259Filosofi 262Conversioni 265Ebrei 268Gerusalemme 270Pellegrinaggi 271Giuliano tenta di rifabbricare il tempio 274Parzialità di Giuliano 279Scuole proibite ai Cristiani 282Disfavore in cui vennero, ed oppressioni usatesovr'essi

284

Condannati a riedificare i tempj pagani 285Tempio e sacro bosco di Dafne 288

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Disprezzo e profanazioni di Dafne 291Reliquie trasferite dalla Chiesa di S. Babila, e tempiodi Dafne abbruciato

292

Giorgio di Cappadocia 295Oppressore d'Alessandria e dell'Egitto 296

362 Trucidato dal popolo 297Indi venerato siccome martire 299Cattedra episcopale restituita ad Atanasio 300Perseguitato indi e scacciato da Giuliano 302Zelo ed imprudenza de' Cristiani 304

CAPITOLO XXIV.

Residenza di Giuliano in Antiochia. Sua felice spedizione contro iPersiani. Passaggio del Tigri, e ritirata e morte di Giuliano. Ele-zione di Gioviano. Egli salva l'esercito romano per mezzo di un

vergognoso trattato.

A.D. Pag.Cesari di Giuliano 309

362 Risoluzione di marciare contro i Persiani 311Giuliano passa da Costantinopoli ad Antiochia 313Licenziosi costumi del popolo d'Antiochia 314Loro avversione a Giuliano 316Carestia di grano e pubblico disgusto iviGiuliano compose una satira contro Antiochia 319

314-390, ec. Libanio sofista 320363 Giuliano marcia verso l'Eufrate 323

Suo disegno d'invadere la Persia 325Alienazione del Re di Armenia 327Apparecchi militari 328Giuliano entra nel territorio Persiano 330Marcia pel deserto della Mesopotamia 331

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Disprezzo e profanazioni di Dafne 291Reliquie trasferite dalla Chiesa di S. Babila, e tempiodi Dafne abbruciato

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Giorgio di Cappadocia 295Oppressore d'Alessandria e dell'Egitto 296

362 Trucidato dal popolo 297Indi venerato siccome martire 299Cattedra episcopale restituita ad Atanasio 300Perseguitato indi e scacciato da Giuliano 302Zelo ed imprudenza de' Cristiani 304

CAPITOLO XXIV.

Residenza di Giuliano in Antiochia. Sua felice spedizione contro iPersiani. Passaggio del Tigri, e ritirata e morte di Giuliano. Ele-zione di Gioviano. Egli salva l'esercito romano per mezzo di un

vergognoso trattato.

A.D. Pag.Cesari di Giuliano 309

362 Risoluzione di marciare contro i Persiani 311Giuliano passa da Costantinopoli ad Antiochia 313Licenziosi costumi del popolo d'Antiochia 314Loro avversione a Giuliano 316Carestia di grano e pubblico disgusto iviGiuliano compose una satira contro Antiochia 319

314-390, ec. Libanio sofista 320363 Giuliano marcia verso l'Eufrate 323

Suo disegno d'invadere la Persia 325Alienazione del Re di Armenia 327Apparecchi militari 328Giuliano entra nel territorio Persiano 330Marcia pel deserto della Mesopotamia 331

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Page 398: Carlo F. Traverso (ePub) Ugo Santamaria (ODT) · rivoluzioni, che eccitano la più viva curiosità, e sommi-nistrano la più efficace istruzione. Le vittorie ed il go-verno civile

Successi 333Descrizione dell'Assiria 335Invasione dell'Assiria 338Assedio di Perisabor iviDi Maogamalca 340Personal condotta di Giuliano 342Conduce la sua flotta dall'Eufrate al Tigri 346Passaggio del Tigri e vittoria de' Romani 348Stato in cui si trova Giuliano. Sua ostinazione 352Incendia la flotta 355Marcia contro Sapore 358Ritirata ed angustie dell'esercito Romano 361Giuliano è ferito mortalmente 364

363 Morte di Giuliano 366363 Elezione dell'Imperatore Gioviano 370

Pericolo e difficoltà della ritirata 373Negoziazioni, e pace 376Debolezza e disonore di Gioviano 378Egli continua la ritirata verso Nisibi 380Disapprovazione data universalmente al negoziato dipace

383

Gioviano abbandona Nisibi, e restituisce le cinqueProvince ai Persiani

385

Riflessioni sopra la morte di Giuliano 387Suoi funerali 390

FINE DELL'INDICE.

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Successi 333Descrizione dell'Assiria 335Invasione dell'Assiria 338Assedio di Perisabor iviDi Maogamalca 340Personal condotta di Giuliano 342Conduce la sua flotta dall'Eufrate al Tigri 346Passaggio del Tigri e vittoria de' Romani 348Stato in cui si trova Giuliano. Sua ostinazione 352Incendia la flotta 355Marcia contro Sapore 358Ritirata ed angustie dell'esercito Romano 361Giuliano è ferito mortalmente 364

363 Morte di Giuliano 366363 Elezione dell'Imperatore Gioviano 370

Pericolo e difficoltà della ritirata 373Negoziazioni, e pace 376Debolezza e disonore di Gioviano 378Egli continua la ritirata verso Nisibi 380Disapprovazione data universalmente al negoziato dipace

383

Gioviano abbandona Nisibi, e restituisce le cinqueProvince ai Persiani

385

Riflessioni sopra la morte di Giuliano 387Suoi funerali 390

FINE DELL'INDICE.

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