Ugo Santamaria Ugo Santamaria (ODT, ePub) · Vathek di William Beckford Vathek, nono califfo della...

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    QUESTO E-BOOK:

    TITOLO: VathekAUTORE: Beckford, WilliamTRADUTTORE: Pintor, GiaimeCURATORE:NOTE:

    CODICE ISBN E-BOOK: 9788828100461

    DIRITTI D'AUTORE: no

    LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

    COPERTINA: [elaborazione da] "The Flying Carpet" diViktor Vasnetsov (1848–1926) - Nizhny Novgorod StateArt Museum - fonte: belygorod.ru - https://commons.-wikimedia.org/wiki/File:Vasnetsov_samolet.jpg.- Pub-blico Dominio.

    TRATTO DA: Vathek / William Beckford ; traduzione diGiaime Pintor ; postfazione di Malcolm Skey. - Tori-no : G. Einaudi, c1989. - 135 p. ; 18 cm.. - (Scrit-tori tradotti da scrittori ; 30).

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    TITOLO: VathekAUTORE: Beckford, WilliamTRADUTTORE: Pintor, GiaimeCURATORE:NOTE:

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    TRATTO DA: Vathek / William Beckford ; traduzione diGiaime Pintor ; postfazione di Malcolm Skey. - Tori-no : G. Einaudi, c1989. - 135 p. ; 18 cm.. - (Scrit-tori tradotti da scrittori ; 30).

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  • CODICE ISBN FONTE: 88-06-11579-0

    1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 12 aprile 2017

    INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

    SOGGETTO:FIC027040 FICTION / Romantico / Gotico

    DIGITALIZZAZIONE:Franco Perini

    REVISIONE:Ugo SantamariaCatia Righi

    IMPAGINAZIONE:Ugo Santamaria (ODT, ePub)Rosario Di Mauro (revisione ePub)

    PUBBLICAZIONE:Ugo Santamaria

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  • Vathekdi William Beckford

    Vathek, nono califfo della stirpe degli Abbasidi, era fi-glio di Motassem e nipote di Haroun al Raschid. Dallaprecoce ascesa al trono e dai talenti di cui disponeva perfarlo piú splendido, i suoi sudditi erano indotti a credereche il suo regno sarebbe stato lungo e felice. La sua fi-gura era gradevole e maestosa: solo quando montava infuria uno dei suoi occhi diventava cosí terribile che nes-suno avrebbe osato sostenerne lo sguardo, e lo sventura-to su cui quell'occhio si posava cadeva istantaneamenteriverso e talvolta spirava. Per paura tuttavia di spopolarei suoi territori e di rendere desolato il palazzo, solo rara-mente egli dava sfogo a tale furore.Essendo molto proclive alle femmine e ai piaceri dellatavola, Vathek cercava con la sua affabilità di procurarsipiacevoli compagnie; e in questo tanto meglio riuscivain quanto la sua generosità era senza limiti e la sua in-dulgenza senza restrizioni: egli non pensava infatticome il califfo Omar Ben Abdalaziz che fosse necessa-

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    Vathekdi William Beckford

    Vathek, nono califfo della stirpe degli Abbasidi, era fi-glio di Motassem e nipote di Haroun al Raschid. Dallaprecoce ascesa al trono e dai talenti di cui disponeva perfarlo piú splendido, i suoi sudditi erano indotti a credereche il suo regno sarebbe stato lungo e felice. La sua fi-gura era gradevole e maestosa: solo quando montava infuria uno dei suoi occhi diventava cosí terribile che nes-suno avrebbe osato sostenerne lo sguardo, e lo sventura-to su cui quell'occhio si posava cadeva istantaneamenteriverso e talvolta spirava. Per paura tuttavia di spopolarei suoi territori e di rendere desolato il palazzo, solo rara-mente egli dava sfogo a tale furore.Essendo molto proclive alle femmine e ai piaceri dellatavola, Vathek cercava con la sua affabilità di procurarsipiacevoli compagnie; e in questo tanto meglio riuscivain quanto la sua generosità era senza limiti e la sua in-dulgenza senza restrizioni: egli non pensava infatticome il califfo Omar Ben Abdalaziz che fosse necessa-

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  • rio fare un inferno di questo mondo per godere il paradi-so nell'altro.In magnificenza Vathek sorpassava tutti i suoi predeces-sori. Il palazzo di Alkoremi, che suo padre Motassemaveva eretto sul colle dei Cavalli Pezzati e che domina-va l'intera città di Samarah, gli era parso troppo angusto:egli vi aveva aggiunto quindi cinque ali o piuttosto cin-que altri palazzi che aveva destinato alla particolare sod-disfazione di ciascuno dei cinque sensi.Nel primo di questi palazzi si trovavano tavole sempreimbandite con le piú squisite vivande; erano servitegiorno e notte e continuamente si vuotavano; mentre ivini piú deliziosi e i piú scelti liquori scorrevano da cen-to fontane non mai esauste. Questo palazzo era chiama-to «L'Eterno o Inconsumabile Banchetto».Il secondo era detto «Il Tempio della Melodia» ovvero«Il Nettare dell'Anima». Era abitato dai piú abili musicie dai piú rinomati poeti del tempo, che non solo vi spie-gavano i loro talenti, ma uscendo a piccoli gruppi face-vano sí che i luoghi circostanti echeggiassero delle lorocanzoni in un vario quanto delizioso succedersi di melo-die.Il palazzo chiamato «La Delizia degli Occhi» ovvero «IlConforto della Memoria» era un vero incanto. Raritàraccolte da ogni angolo della terra erano qui distribuitecon tale profusione da confondere e da abbacinare senon altro per l'ordine in cui erano disposte. Una galleria

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    rio fare un inferno di questo mondo per godere il paradi-so nell'altro.In magnificenza Vathek sorpassava tutti i suoi predeces-sori. Il palazzo di Alkoremi, che suo padre Motassemaveva eretto sul colle dei Cavalli Pezzati e che domina-va l'intera città di Samarah, gli era parso troppo angusto:egli vi aveva aggiunto quindi cinque ali o piuttosto cin-que altri palazzi che aveva destinato alla particolare sod-disfazione di ciascuno dei cinque sensi.Nel primo di questi palazzi si trovavano tavole sempreimbandite con le piú squisite vivande; erano servitegiorno e notte e continuamente si vuotavano; mentre ivini piú deliziosi e i piú scelti liquori scorrevano da cen-to fontane non mai esauste. Questo palazzo era chiama-to «L'Eterno o Inconsumabile Banchetto».Il secondo era detto «Il Tempio della Melodia» ovvero«Il Nettare dell'Anima». Era abitato dai piú abili musicie dai piú rinomati poeti del tempo, che non solo vi spie-gavano i loro talenti, ma uscendo a piccoli gruppi face-vano sí che i luoghi circostanti echeggiassero delle lorocanzoni in un vario quanto delizioso succedersi di melo-die.Il palazzo chiamato «La Delizia degli Occhi» ovvero «IlConforto della Memoria» era un vero incanto. Raritàraccolte da ogni angolo della terra erano qui distribuitecon tale profusione da confondere e da abbacinare senon altro per l'ordine in cui erano disposte. Una galleria

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  • conteneva le pitture del celebre Mani e statue che pare-va fossero vive. Qua una ben studiata prospettiva attira-va lo sguardo; là qualche magia ottica lo ingannava pia-cevolmente; mentre il naturalista per parte sua esponevanelle loro diverse classi i doni che il cielo ha profusi sulnostro globo. In una parola, Vathek non aveva omessonulla nel suo palazzo che potesse soddisfare la curiositàdi coloro che vi accorrevano; solo la sua non doveva es-sere soddisfatta, perché di tutti gli uomini egli era certoil piú curioso.«Il Palazzo dei Profumi», che era anche qualificato«L'Incentivo ai Piaceri», consisteva di varie sale dove idifferenti profumi che la terra produce bruciavano conti-nuamente in incensieri d'oro. Torce e lampade aromati-che erano accese in pieno giorno. Ma gli effetti troppopotenti di questo piacevole delirio si potevano attenuarescendendo in un immenso giardino dove erano raccoltitutti i fiori piú fragranti, che spandevano nell'aria puris-simi odori.Il quinto palazzo, chiamato «Il Rifugio dell'Allegria»ovvero «L'Insidioso», era abitato da schiere di giovanidonne, belle come le Urí e non meno seducenti: essenon mancavano mai di accogliere con carezze gli ospitiche il califfo ammetteva alla loro presenza e a cui con-cedeva di godere di qualche ora della loro compagnia.Nonostante la sensualità cui indulgeva, Vathek non ave-va subíto la minima diminuzione nell'amore del suo po-

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    conteneva le pitture del celebre Mani e statue che pare-va fossero vive. Qua una ben studiata prospettiva attira-va lo sguardo; là qualche magia ottica lo ingannava pia-cevolmente; mentre il naturalista per parte sua esponevanelle loro diverse classi i doni che il cielo ha profusi sulnostro globo. In una parola, Vathek non aveva omessonulla nel suo palazzo che potesse soddisfare la curiositàdi coloro che vi accorrevano; solo la sua non doveva es-sere soddisfatta, perché di tutti gli uomini egli era certoil piú curioso.«Il Palazzo dei Profumi», che era anche qualificato«L'Incentivo ai Piaceri», consisteva di varie sale dove idifferenti profumi che la terra produce bruciavano conti-nuamente in incensieri d'oro. Torce e lampade aromati-che erano accese in pieno giorno. Ma gli effetti troppopotenti di questo piacevole delirio si potevano attenuarescendendo in un immenso giardino dove erano raccoltitutti i fiori piú fragranti, che spandevano nell'aria puris-simi odori.Il quinto palazzo, chiamato «Il Rifugio dell'Allegria»ovvero «L'Insidioso», era abitato da schiere di giovanidonne, belle come le Urí e non meno seducenti: essenon mancavano mai di accogliere con carezze gli ospitiche il califfo ammetteva alla loro presenza e a cui con-cedeva di godere di qualche ora della loro compagnia.Nonostante la sensualità cui indulgeva, Vathek non ave-va subíto la minima diminuzione nell'amore del suo po-

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  • polo, il quale riteneva che un califfo dedito al piacerenon fosse meno capace di governare di un altro che sene fosse dichiarato nemico. Ma l'inquieta e impetuosatendenza del califfo non gli permetteva di fermarsi là.Egli aveva studiato molto per suo piacere durante la vitadel padre e si era acquistato una grande somma di cono-scenze, ma non tante tuttavia da esserne pago. Infattiegli voleva conoscere tutto: anche le scienze che nonesistono. Volentieri proponeva dispute con i dotti; manon permetteva loro di sostenere con accanimento unparere contrario al suo. Chiudeva la bocca con doni aquelli che se la lasciavano chiudere; quanto agli altri chele sue liberalità non bastavano a soggiogare, li mandavain prigione perché si raffreddassero il sangue, rimediogeneralmente efficace.Vathek manifestava anche una predilezione per le con-troversie teologiche; ma abitualmente non teneva dallaparte degli ortodossi. In questo modo induceva i bigottia opporsi a lui e quindi li perseguitava, giacché in ognicaso risolveva di aver ragione.Il gran profeta, Maometto, di cui i califfi sono i vicari,considerava con indignazione dall'alto del suo settimocielo la condotta irreligiosa di un tale viceré. — Lascia-molo a sé stesso, — disse ai genî che sono sempre pron-ti a ricevere i suoi comandi, — vediamo fin dove lo por-teranno la sua follia e la sua empietà: se cade nell'ecces-so sapremo come castigarlo. Aiutatelo quindi a finire latorre che egli ha cominciato imitando Nimrod; non

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    polo, il quale riteneva che un califfo dedito al piacerenon fosse meno capace di governare di un altro che sene fosse dichiarato nemico. Ma l'inquieta e impetuosatendenza del califfo non gli permetteva di fermarsi là.Egli aveva studiato molto per suo piacere durante la vitadel padre e si era acquistato una grande somma di cono-scenze, ma non tante tuttavia da esserne pago. Infattiegli voleva conoscere tutto: anche le scienze che nonesistono. Volentieri proponeva dispute con i dotti; manon permetteva loro di sostenere con accanimento unparere contrario al suo. Chiudeva la bocca con doni aquelli che se la lasciavano chiudere; quanto agli altri chele sue liberalità non bastavano a soggiogare, li mandavain prigione perché si raffreddassero il sangue, rimediogeneralmente efficace.Vathek manifestava anche una predilezione per le con-troversie teologiche; ma abitualmente non teneva dallaparte degli ortodossi. In questo modo induceva i bigottia opporsi a lui e quindi li perseguitava, giacché in ognicaso risolveva di aver ragione.Il gran profeta, Maometto, di cui i califfi sono i vicari,considerava con indignazione dall'alto del suo settimocielo la condotta irreligiosa di un tale viceré. — Lascia-molo a sé stesso, — disse ai genî che sono sempre pron-ti a ricevere i suoi comandi, — vediamo fin dove lo por-teranno la sua follia e la sua empietà: se cade nell'ecces-so sapremo come castigarlo. Aiutatelo quindi a finire latorre che egli ha cominciato imitando Nimrod; non

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  • come quel gran guerriero per evitare di essere annegato,ma per l'insolente curiosità di penetrare i segreti del cie-lo: egli non indovina il fato che l'aspetta.I genî obbedirono; e quando gli operai avevano elevatol'edificio di un cubito durante il giorno, altri due cubitivenivano aggiunti la notte. La speditezza con cui la fab-brica cresceva era un non piccolo motivo di adulazioneper la vanità di Vathek: egli fantasticava che anche lamateria insensibile mostrasse una disposizione a favori-re i suoi disegni; non considerando che il successo dellosciocco e del malvagio è appunto la prima verga del lorocastigo.L'orgoglio di Vathek arrivò al culmine quando, dopo es-sere salito per la prima volta per i mille e cinquecentogradini della torre, volse di lassú lo sguardo e vide uo-mini non piú grandi di formiche, montagne che pareva-no conchiglie, e città simili ad alveari. L'idea che unatale altezza gli ispirò della propria potenza lo frastornòtotalmente; era quasi sul punto di adorarsi da sé quando,rivolti gli occhi in su, vide le stelle tanto alte sul suocapo quanto apparivano allorché egli si trovava sulla su-perficie della terra. Si consolò tuttavia di questa inop-portuna e spiacevole constatazione della propria picco-lezza col pensiero di essere grande agli occhi degli altri;e si lusingò che la luce della sua mente sarebbe andataoltre il raggio dello sguardo e avrebbe strappato allestelle i segreti del suo destino.

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    come quel gran guerriero per evitare di essere annegato,ma per l'insolente curiosità di penetrare i segreti del cie-lo: egli non indovina il fato che l'aspetta.I genî obbedirono; e quando gli operai avevano elevatol'edificio di un cubito durante il giorno, altri due cubitivenivano aggiunti la notte. La speditezza con cui la fab-brica cresceva era un non piccolo motivo di adulazioneper la vanità di Vathek: egli fantasticava che anche lamateria insensibile mostrasse una disposizione a favori-re i suoi disegni; non considerando che il successo dellosciocco e del malvagio è appunto la prima verga del lorocastigo.L'orgoglio di Vathek arrivò al culmine quando, dopo es-sere salito per la prima volta per i mille e cinquecentogradini della torre, volse di lassú lo sguardo e vide uo-mini non piú grandi di formiche, montagne che pareva-no conchiglie, e città simili ad alveari. L'idea che unatale altezza gli ispirò della propria potenza lo frastornòtotalmente; era quasi sul punto di adorarsi da sé quando,rivolti gli occhi in su, vide le stelle tanto alte sul suocapo quanto apparivano allorché egli si trovava sulla su-perficie della terra. Si consolò tuttavia di questa inop-portuna e spiacevole constatazione della propria picco-lezza col pensiero di essere grande agli occhi degli altri;e si lusingò che la luce della sua mente sarebbe andataoltre il raggio dello sguardo e avrebbe strappato allestelle i segreti del suo destino.

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  • Con questa idea il temerario principe passò la maggiorparte delle sue notti in cima alla torre, finché, iniziato aimisteri dell'astrologia, immaginò che i pianeti gli aves-sero rivelato le piú meravigliose avventure che doveva-no compiersi per mezzo di uno straordinario personag-gio venuto da un paese assolutamente ignoto. Spinto damotivi di curiosità, egli era sempre stato cortese verso iforestieri; ma da quel momento raddoppiò la sua atten-zione e ordinò che fosse annunciato a suon di trombaper tutte le vie di Samarah che nessuno dei suoi sudditi,sotto pena della disgrazia sovrana, dovesse alloggiare otenere presso di sé un viaggiatore, ma immediatamenteportarlo al palazzo.Non molto tempo dopo questo proclama, arrivò alla ca-pitale, un uomo di una bruttezza cosí abominevole, cheperfino le guardie che lo arrestarono furono costrette avoltare gli occhi dall'altra parte mentre lo portavano via.Anche il califfo apparve turbato da un aspetto cosí mo-struoso; ma la gioia successe a questo moto di orrorequando lo straniero spiegò alla sua vista tali rarità, qualiegli aveva mai viste prima né altrimenti immaginate.In verità nulla fu mai cosí straordinario come le mercan-zie offerte dallo straniero. Molte di esse, non meno am-mirabili per la fattura che per il pregio della materia,portavano inoltre le loro diverse virtú descritte in unapergamena. C'erano pantofole che con i loro balzi spon-tanei facevano correre da solo il piede; coltelli che ta-gliavano senza che fosse necessario muovere la mano;

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    Con questa idea il temerario principe passò la maggiorparte delle sue notti in cima alla torre, finché, iniziato aimisteri dell'astrologia, immaginò che i pianeti gli aves-sero rivelato le piú meravigliose avventure che doveva-no compiersi per mezzo di uno straordinario personag-gio venuto da un paese assolutamente ignoto. Spinto damotivi di curiosità, egli era sempre stato cortese verso iforestieri; ma da quel momento raddoppiò la sua atten-zione e ordinò che fosse annunciato a suon di trombaper tutte le vie di Samarah che nessuno dei suoi sudditi,sotto pena della disgrazia sovrana, dovesse alloggiare otenere presso di sé un viaggiatore, ma immediatamenteportarlo al palazzo.Non molto tempo dopo questo proclama, arrivò alla ca-pitale, un uomo di una bruttezza cosí abominevole, cheperfino le guardie che lo arrestarono furono costrette avoltare gli occhi dall'altra parte mentre lo portavano via.Anche il califfo apparve turbato da un aspetto cosí mo-struoso; ma la gioia successe a questo moto di orrorequando lo straniero spiegò alla sua vista tali rarità, qualiegli aveva mai viste prima né altrimenti immaginate.In verità nulla fu mai cosí straordinario come le mercan-zie offerte dallo straniero. Molte di esse, non meno am-mirabili per la fattura che per il pregio della materia,portavano inoltre le loro diverse virtú descritte in unapergamena. C'erano pantofole che con i loro balzi spon-tanei facevano correre da solo il piede; coltelli che ta-gliavano senza che fosse necessario muovere la mano;

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  • sciabole che colpivano da sole la persona che si deside-rava ferire; e tutto arricchito con gemme fino ad allorasconosciute.Le sciabole, le cui lame emanavano un vago riflesso, at-tirarono piú di tutto il resto l'attenzione del califfo, ilquale si propose di decifrare a suo piacere i bizzarri ca-ratteri che portavano incisi sul fianco. Perciò, senza do-mandare il prezzo, fece portare dal suo tesoro tutto l'oroin moneta che vi si trovava, e ingiunse al mercante diprendere quello che voleva. Lo straniero obbedí, ne pre-se un poco, e rimase silenzioso.Vathek, pensando che il silenzio del mercante fosse do-vuto alla soggezione che la sua presenza ispirava, lo in-coraggiò a farsi avanti e gli chiese con aria di condi-scendenza chi era, da dove veniva e dove si era procura-to oggetti cosí belli e preziosi. L'uomo, o meglio il mo-stro, invece di dare una risposta si grattò tre volte la te-sta che, come il resto del corpo, era piú nera dell'ebano;si batté quattro volte la pancia che aveva enorme e pro-minente; spalancò i grandi occhi che ardevano come tiz-zoni; e cominciò a ridere con orribile rumore scoprendoi lunghi denti color d'ambra striati di verde.Il califfo, benché alquanto turbato, ripeté la sua doman-da senza riuscire a ottenere una risposta. Al che, comin-ciando a irritarsi, esclamò: — Sai tu, sciagurato, chisono e di chi osi farti giuoco? — Poi, rivolgendosi allesue guardie: — Lo avete udito parlare? È muto? — Ha

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    sciabole che colpivano da sole la persona che si deside-rava ferire; e tutto arricchito con gemme fino ad allorasconosciute.Le sciabole, le cui lame emanavano un vago riflesso, at-tirarono piú di tutto il resto l'attenzione del califfo, ilquale si propose di decifrare a suo piacere i bizzarri ca-ratteri che portavano incisi sul fianco. Perciò, senza do-mandare il prezzo, fece portare dal suo tesoro tutto l'oroin moneta che vi si trovava, e ingiunse al mercante diprendere quello che voleva. Lo straniero obbedí, ne pre-se un poco, e rimase silenzioso.Vathek, pensando che il silenzio del mercante fosse do-vuto alla soggezione che la sua presenza ispirava, lo in-coraggiò a farsi avanti e gli chiese con aria di condi-scendenza chi era, da dove veniva e dove si era procura-to oggetti cosí belli e preziosi. L'uomo, o meglio il mo-stro, invece di dare una risposta si grattò tre volte la te-sta che, come il resto del corpo, era piú nera dell'ebano;si batté quattro volte la pancia che aveva enorme e pro-minente; spalancò i grandi occhi che ardevano come tiz-zoni; e cominciò a ridere con orribile rumore scoprendoi lunghi denti color d'ambra striati di verde.Il califfo, benché alquanto turbato, ripeté la sua doman-da senza riuscire a ottenere una risposta. Al che, comin-ciando a irritarsi, esclamò: — Sai tu, sciagurato, chisono e di chi osi farti giuoco? — Poi, rivolgendosi allesue guardie: — Lo avete udito parlare? È muto? — Ha

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  • parlato, — risposero le guardie, — ma senza senso. —Fatelo parlare di nuovo, — ordinò Vathek, — e poi dite-mi chi è, da dove viene e dove si è procurato queste sin-golari curiosità; o giuro, per l'asina di Balaam, che lofarò pentire della sua pertinacia.Questa minaccia fu accompagnata da uno degli atrocisguardi d'ira del califfo, che lo straniero sostenne senzala minima emozione, benché i suoi occhi fossero fissi suquello terribile di Vathek.Le parole non possono descrivere la costernazione deicortigiani quando si accorsero che quel rozzo mercantesosteneva inalterato il confronto. Tutti caddero prostraticon la faccia a terra, per non mettere a repentaglio lavita; e sarebbero rimasti in tale abietta posizione se ilcaliffo non avesse esclamato in tono furibondo: — Su,codardi! prendete il miscredente! E guardate che siamesso in prigione e custodito dai miei migliori soldati!Fategli tuttavia tenere i denari che gli ho dati; non è miaintenzione togliergli quello che è suo: voglio solo cheparli.Non aveva ancora pronunciato queste parole che lo stra-niero fu circondato, afferrato, legato in ceppi; quindi tra-scinato alla prigione nella grande torre, che era tutta re-cinta da sette cancelli di ferro, irti in ogni senso di chio-di lunghi e grossi come spiedi. Il califfo nondimeno ri-mase nella piú violenta agitazione. Si sedette a mensa;ma dei trecento piatti che si portavano tutti i giorni non

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    parlato, — risposero le guardie, — ma senza senso. —Fatelo parlare di nuovo, — ordinò Vathek, — e poi dite-mi chi è, da dove viene e dove si è procurato queste sin-golari curiosità; o giuro, per l'asina di Balaam, che lofarò pentire della sua pertinacia.Questa minaccia fu accompagnata da uno degli atrocisguardi d'ira del califfo, che lo straniero sostenne senzala minima emozione, benché i suoi occhi fossero fissi suquello terribile di Vathek.Le parole non possono descrivere la costernazione deicortigiani quando si accorsero che quel rozzo mercantesosteneva inalterato il confronto. Tutti caddero prostraticon la faccia a terra, per non mettere a repentaglio lavita; e sarebbero rimasti in tale abietta posizione se ilcaliffo non avesse esclamato in tono furibondo: — Su,codardi! prendete il miscredente! E guardate che siamesso in prigione e custodito dai miei migliori soldati!Fategli tuttavia tenere i denari che gli ho dati; non è miaintenzione togliergli quello che è suo: voglio solo cheparli.Non aveva ancora pronunciato queste parole che lo stra-niero fu circondato, afferrato, legato in ceppi; quindi tra-scinato alla prigione nella grande torre, che era tutta re-cinta da sette cancelli di ferro, irti in ogni senso di chio-di lunghi e grossi come spiedi. Il califfo nondimeno ri-mase nella piú violenta agitazione. Si sedette a mensa;ma dei trecento piatti che si portavano tutti i giorni non

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  • poté assaggiarne piú di trentadue.Un digiuno a cui era cosí poco abituato sarebbe bastatoda solo a impedirgli di dormire; quale doveva essernel'effetto quando si univa l'agitazione che opprimeva ilsuo spirito? Al primo chiarore dell'alba egli si avviò infretta alla prigione a interrogare di nuovo l'intrattabilestraniero: il suo furore superò ogni limite quando trovòla prigione vuota, le inferriate divelte e la guardia stesasenza vita tutt'intorno. In un parossismo di rabbia si but-tò furiosamente sulle povere carcasse e le prese a calcifino a sera senza interruzione. I cortigiani e i visir ado-perarono tutti i loro sforzi per calmare questa stravagan-za; ma trovando inefficace ogni espediente si unirono inun unico clamore: — Il califfo è diventato pazzo! Il ca-liffo è uscito di sé!Il grido, che presto risuonò per le strade di Samarah, ar-rivò infine alle orecchie di Carathis, madre di Vathek,che accorse nella piú grande costernazione a spiegare ilproprio potere sulla mente del figlio. Le lacrime e le ca-rezze di lei richiamarono l'attenzione di Vathek, che silasciò convincere dalle insistenze materne a farsi portaredi nuovo al palazzo.Carathis, preoccupata all'idea di lasciare Vathek a sestesso, lo fece mettere a letto e, seduta accanto a lui, ten-tò con la sua conversazione di pacificarlo e di placarlo.E nessuno avrebbe potuto tentarlo con piú fortuna; per-ché il califfo non solo amava Carathis come madre ma

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    poté assaggiarne piú di trentadue.Un digiuno a cui era cosí poco abituato sarebbe bastatoda solo a impedirgli di dormire; quale doveva essernel'effetto quando si univa l'agitazione che opprimeva ilsuo spirito? Al primo chiarore dell'alba egli si avviò infretta alla prigione a interrogare di nuovo l'intrattabilestraniero: il suo furore superò ogni limite quando trovòla prigione vuota, le inferriate divelte e la guardia stesasenza vita tutt'intorno. In un parossismo di rabbia si but-tò furiosamente sulle povere carcasse e le prese a calcifino a sera senza interruzione. I cortigiani e i visir ado-perarono tutti i loro sforzi per calmare questa stravagan-za; ma trovando inefficace ogni espediente si unirono inun unico clamore: — Il califfo è diventato pazzo! Il ca-liffo è uscito di sé!Il grido, che presto risuonò per le strade di Samarah, ar-rivò infine alle orecchie di Carathis, madre di Vathek,che accorse nella piú grande costernazione a spiegare ilproprio potere sulla mente del figlio. Le lacrime e le ca-rezze di lei richiamarono l'attenzione di Vathek, che silasciò convincere dalle insistenze materne a farsi portaredi nuovo al palazzo.Carathis, preoccupata all'idea di lasciare Vathek a sestesso, lo fece mettere a letto e, seduta accanto a lui, ten-tò con la sua conversazione di pacificarlo e di placarlo.E nessuno avrebbe potuto tentarlo con piú fortuna; per-ché il califfo non solo amava Carathis come madre ma

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  • la rispettava come una persona di genio superiore. Eralei che, essendo greca, lo aveva convinto a adottare lescienze e i metodi del suo paese, da cui i buoni musul-mani aborrono cosí decisamente.L'astrologia giudiziale era una di quelle scienze in cuiCarathis era perfettamente versata. Cominciò quindi colricordare a suo figlio la promessa che le stelle gli aveva-no fatta e lo informò della sua intenzione di consultarledi nuovo. — Ahimè! — disse il califfo appena poté par-lare: — che pazzo sono stato! Non per aver dato quaran-tamila calci alle mie guardie che cosí supinamente han-no accettato la morte; ma per non aver considerato chequell'uomo straordinario era lo stesso annunciatomi daipianeti: lui, che avrei dovuto conciliarmi con tutte le artidella persuasione invece di maltrattarlo.— Il passato, — disse Carathis, — non si può richiama-re; ma ci esorta a pensare al futuro. Forse potrai vederedi nuovo la persona che rimpiangi tanto; può darsi chele iscrizioni sulle sciabole ci diano qualche indizio.Mangia quindi e riposati, mio caro figlio. Domani pen-seremo al modo di agire.Vathek accondiscese come poté al consiglio della madree la mattina si alzò con la mente piú tranquilla. Si feceportare immediatamente le sciabole e, guardandole at-traverso un vetro colorato perché, cosí lucenti, non des-sero riflessi, si dispose con la piú grande serietà a deci-frare le iscrizioni. Ma i suoi reiterati tentativi furono tut-

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    la rispettava come una persona di genio superiore. Eralei che, essendo greca, lo aveva convinto a adottare lescienze e i metodi del suo paese, da cui i buoni musul-mani aborrono cosí decisamente.L'astrologia giudiziale era una di quelle scienze in cuiCarathis era perfettamente versata. Cominciò quindi colricordare a suo figlio la promessa che le stelle gli aveva-no fatta e lo informò della sua intenzione di consultarledi nuovo. — Ahimè! — disse il califfo appena poté par-lare: — che pazzo sono stato! Non per aver dato quaran-tamila calci alle mie guardie che cosí supinamente han-no accettato la morte; ma per non aver considerato chequell'uomo straordinario era lo stesso annunciatomi daipianeti: lui, che avrei dovuto conciliarmi con tutte le artidella persuasione invece di maltrattarlo.— Il passato, — disse Carathis, — non si può richiama-re; ma ci esorta a pensare al futuro. Forse potrai vederedi nuovo la persona che rimpiangi tanto; può darsi chele iscrizioni sulle sciabole ci diano qualche indizio.Mangia quindi e riposati, mio caro figlio. Domani pen-seremo al modo di agire.Vathek accondiscese come poté al consiglio della madree la mattina si alzò con la mente piú tranquilla. Si feceportare immediatamente le sciabole e, guardandole at-traverso un vetro colorato perché, cosí lucenti, non des-sero riflessi, si dispose con la piú grande serietà a deci-frare le iscrizioni. Ma i suoi reiterati tentativi furono tut-

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  • ti inutili, invano si batté la testa e si morse le unghie,non gli fu possibile riconoscere una sola lettera. Una de-lusione cosí amara lo avrebbe di nuovo stravolto se perfortuna Carathis non fosse entrata nell'appartamento.— Abbi pazienza, figlio mio! — ella disse; — certo tupossiedi ogni scienza importante, e la conoscenza dellelingue è una futilità buona solo per pedanti. Annunzia inun proclama che conferirai ricompense quali si addico-no alla tua grandezza a chi interpreterà quello che tu noncapisci e che non è degno di te studiare; e la tua curiosi-tà sarà presto soddisfatta.— Può essere, — disse il califfo, — ma nello stessotempo io sarò orribilmente disgustato da una folla dicialtroni che verranno alla prova sia per il piacere di rac-contare le loro frottole, sia per la speranza di guadagnar-si la ricompensa. Per evitare questo fastidio sarà oppor-tuno aggiungere che io manderò a morte chi non riusciràa soddisfarmi; perché, grazie al cielo, sono abbastanzaabile da distinguere se un uomo traduce o inventa.— Su questo non ho dubbi, — disse Carathis, — mamandare a morte gli ignoranti mi sembra piuttosto seve-ro e può avere effetti nocivi. Contentati di fare bruciareloro la barba: le barbe in uno stato non sono cosí essen-ziali come gli uomini.Il califfo si piegò alle ragioni della madre e, mandato achiamare Morakanabad, il suo primo visir, disse: — Fa'proclamare dai pubblici araldi, non solo a Samarah, ma

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    ti inutili, invano si batté la testa e si morse le unghie,non gli fu possibile riconoscere una sola lettera. Una de-lusione cosí amara lo avrebbe di nuovo stravolto se perfortuna Carathis non fosse entrata nell'appartamento.— Abbi pazienza, figlio mio! — ella disse; — certo tupossiedi ogni scienza importante, e la conoscenza dellelingue è una futilità buona solo per pedanti. Annunzia inun proclama che conferirai ricompense quali si addico-no alla tua grandezza a chi interpreterà quello che tu noncapisci e che non è degno di te studiare; e la tua curiosi-tà sarà presto soddisfatta.— Può essere, — disse il califfo, — ma nello stessotempo io sarò orribilmente disgustato da una folla dicialtroni che verranno alla prova sia per il piacere di rac-contare le loro frottole, sia per la speranza di guadagnar-si la ricompensa. Per evitare questo fastidio sarà oppor-tuno aggiungere che io manderò a morte chi non riusciràa soddisfarmi; perché, grazie al cielo, sono abbastanzaabile da distinguere se un uomo traduce o inventa.— Su questo non ho dubbi, — disse Carathis, — mamandare a morte gli ignoranti mi sembra piuttosto seve-ro e può avere effetti nocivi. Contentati di fare bruciareloro la barba: le barbe in uno stato non sono cosí essen-ziali come gli uomini.Il califfo si piegò alle ragioni della madre e, mandato achiamare Morakanabad, il suo primo visir, disse: — Fa'proclamare dai pubblici araldi, non solo a Samarah, ma

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  • in ogni città del mio impero, che chiunque compariràqui e saprà decifrare certi caratteri che si presentano in-comprensibili avrà modo di sperimentare quella liberali-tà per cui sono famoso; ma tutti quelli che mancherannoalla prova avranno la barba bruciata fino all'ultimo pelo.Fa' aggiungere anche che assegnerò cinquanta belleschiave e altrettante ceste di albicocche dell'isola di Kir-mith a chi mi porterà notizie dello straniero.Ai sudditi del califfo, essendo come il loro sovrano am-miratori delle belle donne e delle albicocche di Kirmith,venne l'acquolina in bocca, ma furono assolutamente in-capaci di soddisfare le loro bramosie perché nessuno sa-peva che cosa fosse successo dello straniero.Diverso fu il risultato dell'altra inchiesta del califfo. Idotti, i semidotti, e quelli che non lo erano affatto ma siritenevano pari alle due prime categorie, vennero auda-cemente a mettere a rischio le loro barbe e tutti misera-mente le perdettero. L'esazione di questo tributo, giudi-cato incarico adatto per gli eunuchi, diede loro una talepuzza di peli bruciati da disgustare oltremodo le signoredel serraglio e da rendere necessario il trasferimento inaltre mani di questa nuova occupazione dei loro custodi.Finalmente si presentò un vecchio, la cui barba era uncubito e mezzo piú lunga di tutte le altre apparse prima.Gli ufficiali del palazzo si sussurravano a vicenda men-tre lo introducevano: — Che peccato, che gran peccatoche una simile barba debba essere bruciata! — E anche

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    in ogni città del mio impero, che chiunque compariràqui e saprà decifrare certi caratteri che si presentano in-comprensibili avrà modo di sperimentare quella liberali-tà per cui sono famoso; ma tutti quelli che mancherannoalla prova avranno la barba bruciata fino all'ultimo pelo.Fa' aggiungere anche che assegnerò cinquanta belleschiave e altrettante ceste di albicocche dell'isola di Kir-mith a chi mi porterà notizie dello straniero.Ai sudditi del califfo, essendo come il loro sovrano am-miratori delle belle donne e delle albicocche di Kirmith,venne l'acquolina in bocca, ma furono assolutamente in-capaci di soddisfare le loro bramosie perché nessuno sa-peva che cosa fosse successo dello straniero.Diverso fu il risultato dell'altra inchiesta del califfo. Idotti, i semidotti, e quelli che non lo erano affatto ma siritenevano pari alle due prime categorie, vennero auda-cemente a mettere a rischio le loro barbe e tutti misera-mente le perdettero. L'esazione di questo tributo, giudi-cato incarico adatto per gli eunuchi, diede loro una talepuzza di peli bruciati da disgustare oltremodo le signoredel serraglio e da rendere necessario il trasferimento inaltre mani di questa nuova occupazione dei loro custodi.Finalmente si presentò un vecchio, la cui barba era uncubito e mezzo piú lunga di tutte le altre apparse prima.Gli ufficiali del palazzo si sussurravano a vicenda men-tre lo introducevano: — Che peccato, che gran peccatoche una simile barba debba essere bruciata! — E anche

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  • il califfo condivise il loro rammarico quando la vide; mala sua preoccupazione fu vana. Quel venerabile perso-naggio lesse i caratteri con facilità e li spiegò a vocecome segue: — Noi siamo stati fatti dove ogni cosa èben fatta, siamo l'ultima delle meraviglie di un luogodove tutto è meraviglia e tutto merita lo sguardo del pri-mo potente della terra.— Tu traduci mirabilmente! — gridò Vathek. — So ache cosa alludono questi meravigliosi caratteri. Che ri-ceva tante vesti preziose e tante migliaia di zecchinid'oro quante parole ha pronunciate. In certo modo misento libero dalla perplessità che mi imbarazzava —. EVathek invitò il vecchio a cena e a fermarsi per qualchegiorno nel palazzo.Disgraziatamente per lui il vecchio accettò l'offerta. In-fatti la mattina dopo il califfo lo fece chiamare e gli dis-se: — Leggi di nuovo quello che hai già letto; non possostancarmi di sentire la promessa che mi viene fatta e cheanelo di vedere realizzata —. Il vecchio si mise subitoun paio di occhiali verdi, che di colpo gli caddero dalnaso quando si accorse che i caratteri che aveva letti ilgiorno prima erano scomparsi per dare luogo ad altri didifferente significato. — Perché ti turbi,— domandò ilcaliffo, — e cosa sono questi segni di meraviglia? —Sovrano del mondo, — rispose il vecchio: — questesciabole parlano oggi un altro linguaggio da quello cheparlavano ieri. — Cosa dici? — replicò il califfo. —Non importa; dimmi, se puoi, che cosa significano.

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    il califfo condivise il loro rammarico quando la vide; mala sua preoccupazione fu vana. Quel venerabile perso-naggio lesse i caratteri con facilità e li spiegò a vocecome segue: — Noi siamo stati fatti dove ogni cosa èben fatta, siamo l'ultima delle meraviglie di un luogodove tutto è meraviglia e tutto merita lo sguardo del pri-mo potente della terra.— Tu traduci mirabilmente! — gridò Vathek. — So ache cosa alludono questi meravigliosi caratteri. Che ri-ceva tante vesti preziose e tante migliaia di zecchinid'oro quante parole ha pronunciate. In certo modo misento libero dalla perplessità che mi imbarazzava —. EVathek invitò il vecchio a cena e a fermarsi per qualchegiorno nel palazzo.Disgraziatamente per lui il vecchio accettò l'offerta. In-fatti la mattina dopo il califfo lo fece chiamare e gli dis-se: — Leggi di nuovo quello che hai già letto; non possostancarmi di sentire la promessa che mi viene fatta e cheanelo di vedere realizzata —. Il vecchio si mise subitoun paio di occhiali verdi, che di colpo gli caddero dalnaso quando si accorse che i caratteri che aveva letti ilgiorno prima erano scomparsi per dare luogo ad altri didifferente significato. — Perché ti turbi,— domandò ilcaliffo, — e cosa sono questi segni di meraviglia? —Sovrano del mondo, — rispose il vecchio: — questesciabole parlano oggi un altro linguaggio da quello cheparlavano ieri. — Cosa dici? — replicò il califfo. —Non importa; dimmi, se puoi, che cosa significano.

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  • — Questo, Signore — balbettò il vecchio: — Guai al te-merario mortale che tenta di conoscere ciò di cui deverestare ignaro, e di intraprendere ciò che è oltre i suoipoteri.— E guai a te! — gridò il califfo in un impeto d'indigna-zione: — Oggi hai perduto l'intelletto. Via dalla mia pre-senza, e ti bruceranno solo la metà della barba perchéieri sei stato fortunato nell'indovinare; nei miei doni nontorno mai indietro —. Il vecchio, abbastanza saggio daaccorgersi che se l'era cavata felicemente dopo la pazziadi aver rivelato una verità cosí spiacevole, sparí imme-diatamente e non si fece piú vedere.Ma non passò molto tempo che Vathek scoprí abbon-danti ragioni per rammaricarsi della sua precipitazione;infatti, benché da solo non potesse decifrare i caratteri,studiandoli continuamente si accorse con certezza checambiavano tutti i giorni; e purtroppo nessun altro can-didato si offriva di spiegarli. Quest'occupazione assil-lante gli riscaldò il sangue, gli confuse la vista e lo portòa uno stato di tale stordimento e fiacchezza che arrivavaappena a reggersi in piedi. Tuttavia, anche in condizionicosí misere, non mancava di farsi portare spesso alla suatorre e si lusingava di poter leggere nelle stelle che con-sultava qualcosa di piú vicino ai suoi desideri. Ma inquesto le sue speranze furono deluse; ché gli occhi offu-scati dai vapori del capo cominciarono a rispondere cosímale alla sua curiosità che non osservò se non una nu-vola spessa e scura da cui trasse il peggiore degli auspi-

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    — Questo, Signore — balbettò il vecchio: — Guai al te-merario mortale che tenta di conoscere ciò di cui deverestare ignaro, e di intraprendere ciò che è oltre i suoipoteri.— E guai a te! — gridò il califfo in un impeto d'indigna-zione: — Oggi hai perduto l'intelletto. Via dalla mia pre-senza, e ti bruceranno solo la metà della barba perchéieri sei stato fortunato nell'indovinare; nei miei doni nontorno mai indietro —. Il vecchio, abbastanza saggio daaccorgersi che se l'era cavata felicemente dopo la pazziadi aver rivelato una verità cosí spiacevole, sparí imme-diatamente e non si fece piú vedere.Ma non passò molto tempo che Vathek scoprí abbon-danti ragioni per rammaricarsi della sua precipitazione;infatti, benché da solo non potesse decifrare i caratteri,studiandoli continuamente si accorse con certezza checambiavano tutti i giorni; e purtroppo nessun altro can-didato si offriva di spiegarli. Quest'occupazione assil-lante gli riscaldò il sangue, gli confuse la vista e lo portòa uno stato di tale stordimento e fiacchezza che arrivavaappena a reggersi in piedi. Tuttavia, anche in condizionicosí misere, non mancava di farsi portare spesso alla suatorre e si lusingava di poter leggere nelle stelle che con-sultava qualcosa di piú vicino ai suoi desideri. Ma inquesto le sue speranze furono deluse; ché gli occhi offu-scati dai vapori del capo cominciarono a rispondere cosímale alla sua curiosità che non osservò se non una nu-vola spessa e scura da cui trasse il peggiore degli auspi-

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  • ci.Turbato da tanta ansietà, Vathek perse completamente lasalute; lo prese la febbre e l'appetito lo lasciò. Egli cheera stato uno dei piú grandi mangiatori della terra diven-ne altrettanto notevole come bevitore. La sete che lo tor-mentava era cosí insaziabile che la sua bocca, come unimbuto, era sempre aperta per ricevere le varie bevandeche altri gli porgeva, specialmente acqua fredda da cuiaveva particolare giovamento.L'infelice principe, reso ormai incapace di qualunquepiacere, fece chiudere i palazzi dei cinque sensi; smisedi apparire in pubblico, di spiegare la sua magnificenzae di amministrare la giustizia; e si ritirò nell'appartamen-to piú intimo del suo harem. Siccome era sempre statoun eccellente marito, le mogli, oltremodo turbate daquesta deplorevole situazione, offrivano di continuo pre-ghiere alla sua salute e acqua alla sua sete.Nello stesso tempo la principessa Carathis, la cui affli-zione le parole non possono descrivere, invece di limi-tarsi a piangere e a singhiozzare, si incontrava quotidia-namente col visir Morakanabad per trovare qualche curao qualche mezzo per mitigare il male del califfo. Nellapersuasione che la causa del male fosse un incantesimo,essi sfogliarono, pagina per pagina, tutti i libri di magiache potessero indicare un rimedio; e fecero ricercare do-vunque con la massima diligenza l'orribile straniero cheritenevano fosse l'incantatore.

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    ci.Turbato da tanta ansietà, Vathek perse completamente lasalute; lo prese la febbre e l'appetito lo lasciò. Egli cheera stato uno dei piú grandi mangiatori della terra diven-ne altrettanto notevole come bevitore. La sete che lo tor-mentava era cosí insaziabile che la sua bocca, come unimbuto, era sempre aperta per ricevere le varie bevandeche altri gli porgeva, specialmente acqua fredda da cuiaveva particolare giovamento.L'infelice principe, reso ormai incapace di qualunquepiacere, fece chiudere i palazzi dei cinque sensi; smisedi apparire in pubblico, di spiegare la sua magnificenzae di amministrare la giustizia; e si ritirò nell'appartamen-to piú intimo del suo harem. Siccome era sempre statoun eccellente marito, le mogli, oltremodo turbate daquesta deplorevole situazione, offrivano di continuo pre-ghiere alla sua salute e acqua alla sua sete.Nello stesso tempo la principessa Carathis, la cui affli-zione le parole non possono descrivere, invece di limi-tarsi a piangere e a singhiozzare, si incontrava quotidia-namente col visir Morakanabad per trovare qualche curao qualche mezzo per mitigare il male del califfo. Nellapersuasione che la causa del male fosse un incantesimo,essi sfogliarono, pagina per pagina, tutti i libri di magiache potessero indicare un rimedio; e fecero ricercare do-vunque con la massima diligenza l'orribile straniero cheritenevano fosse l'incantatore.

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  • A poche miglia da Samarah si trovava un'alta montagnai cui fianchi erano coperti di timo selvatico e di basilico,sulla cui cima vi era un pianoro cosí delizioso cheavrebbe potuto essere preso per il paradiso destinato aifedeli. Vi crescevano cento arbusti di rose canine e altrepiante fragranti; cento cespugli di rose intrecciati congelsomini e caprifogli; altrettanti boschetti di aranci, ce-dri e limoni, le cui fronde, confuse coi rami di palma,coi tralci delle viti e con i melograni, offrivano ogni de-lizia che possa rendere felice la vista o il gusto. Il terre-no era tappezzato di violette, campanule e viole del pen-siero, fra cui ciuffi di giunchiglie, giacinti e garofaniprofumavano l'aria. Quattro sorgenti tanto profondequanto limpide, e cosí ricche da dissetare dieci eserciti,sembravano scaturite lí apposta per rendere il giardinopiú simile all'Eden irrigato dai quattro fiumi sacri. Quil'usignolo cantava la nascita della rosa, sua prediletta, einsieme lamentava la sua beltà di breve vita; mentre ilcolombo piangeva la perdita di piaceri piú sostanziali ela mattutina allodola celebrava il sorgere del sole cheravviva l'intero creato. Qui piú che altrove le melodieconfuse degli uccelli esprimevano le diverse passioni dacui sono ispirate; e i frutti squisiti che essi potevanobeccare a loro piacimento, sembravano infondere neicantori raddoppiata energia.Su questa montagna si faceva portare spesso Vathek perrespirare un'aria piú pura e soprattutto per bere a volontàalle quattro fontane. Suoi compagni erano la madre, le

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    A poche miglia da Samarah si trovava un'alta montagnai cui fianchi erano coperti di timo selvatico e di basilico,sulla cui cima vi era un pianoro cosí delizioso cheavrebbe potuto essere preso per il paradiso destinato aifedeli. Vi crescevano cento arbusti di rose canine e altrepiante fragranti; cento cespugli di rose intrecciati congelsomini e caprifogli; altrettanti boschetti di aranci, ce-dri e limoni, le cui fronde, confuse coi rami di palma,coi tralci delle viti e con i melograni, offrivano ogni de-lizia che possa rendere felice la vista o il gusto. Il terre-no era tappezzato di violette, campanule e viole del pen-siero, fra cui ciuffi di giunchiglie, giacinti e garofaniprofumavano l'aria. Quattro sorgenti tanto profondequanto limpide, e cosí ricche da dissetare dieci eserciti,sembravano scaturite lí apposta per rendere il giardinopiú simile all'Eden irrigato dai quattro fiumi sacri. Quil'usignolo cantava la nascita della rosa, sua prediletta, einsieme lamentava la sua beltà di breve vita; mentre ilcolombo piangeva la perdita di piaceri piú sostanziali ela mattutina allodola celebrava il sorgere del sole cheravviva l'intero creato. Qui piú che altrove le melodieconfuse degli uccelli esprimevano le diverse passioni dacui sono ispirate; e i frutti squisiti che essi potevanobeccare a loro piacimento, sembravano infondere neicantori raddoppiata energia.Su questa montagna si faceva portare spesso Vathek perrespirare un'aria piú pura e soprattutto per bere a volontàalle quattro fontane. Suoi compagni erano la madre, le

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  • mogli e alcuni eunuchi che si occupavano assiduamentedi riempire capaci bacini di cristallo di rocca e gareggia-vano nel presentarli al califfo. Ma spesso avveniva chela sua avidità superava il loro zelo, tanto che egli giun-geva a buttarsi per terra e ad abbeverarsi dell'acqua sem-pre insufficiente.Un giorno, mentre l'infelice principe stava da lungotempo in posizione cosí degradante, una voce rauca maforte lo apostrofò in tal modo: — Perché ti rendi similea un cane, o califfo, tu cosí orgoglioso della tua dignità edella tua potenza? — A questo richiamo egli sollevò ilcapo e vide lo straniero causa di tanta afflizione. Infiam-mato d'ira a una tal vista, esclamò: — Maledetto Giaur-ro, cosa vieni a fare qui? Non ti basta di aver trasforma-to un principe notevole per la sua agilità in un otred'acqua? Non ti accorgi che io rischio di morire tanto disete quanto per aver troppo bevuto?— Bevi allora questa pozione, — disse lo straniero pre-sentandogli una fiala piena di una mistura gialla e rossa;— e perché possa placare la sete della tua anima comequella del corpo, sappi che io sono un indiano, ma diuna regione dell'India che nessuno conosce.Il califfo, felice di vedere le sue aspirazioni in parte sod-disfatte e lusingandosi con la speranza di poterle prestoesaudire, senza un attimo d'esitazione ingoiò la bevandae immediatamente sentí tornare la salute, calmarsi lasete e le membra muoversi di nuovo agili come una vol-

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    mogli e alcuni eunuchi che si occupavano assiduamentedi riempire capaci bacini di cristallo di rocca e gareggia-vano nel presentarli al califfo. Ma spesso avveniva chela sua avidità superava il loro zelo, tanto che egli giun-geva a buttarsi per terra e ad abbeverarsi dell'acqua sem-pre insufficiente.Un giorno, mentre l'infelice principe stava da lungotempo in posizione cosí degradante, una voce rauca maforte lo apostrofò in tal modo: — Perché ti rendi similea un cane, o califfo, tu cosí orgoglioso della tua dignità edella tua potenza? — A questo richiamo egli sollevò ilcapo e vide lo straniero causa di tanta afflizione. Infiam-mato d'ira a una tal vista, esclamò: — Maledetto Giaur-ro, cosa vieni a fare qui? Non ti basta di aver trasforma-to un principe notevole per la sua agilità in un otred'acqua? Non ti accorgi che io rischio di morire tanto disete quanto per aver troppo bevuto?— Bevi allora questa pozione, — disse lo straniero pre-sentandogli una fiala piena di una mistura gialla e rossa;— e perché possa placare la sete della tua anima comequella del corpo, sappi che io sono un indiano, ma diuna regione dell'India che nessuno conosce.Il califfo, felice di vedere le sue aspirazioni in parte sod-disfatte e lusingandosi con la speranza di poterle prestoesaudire, senza un attimo d'esitazione ingoiò la bevandae immediatamente sentí tornare la salute, calmarsi lasete e le membra muoversi di nuovo agili come una vol-

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  • ta. In un trasporto di gioia egli saltò al collo dello spa-ventoso indiano, baciò la sua orrenda bocca e le guancecave, come se fossero state le labbra di corallo e i gigli ele rose delle sue piú leggiadre mogli.E questi trasporti non sarebbero cessati se non fosse in-tervenuta a calmarli l'eloquenza di Carathis. Dopo averconvinto il figlio a tornare a Samarah, ella ordinò a unaraldo di gridare il piú forte possibile: «Il portentosostraniero è ricomparso; ha guarito il califfo; ha parlato!ha parlato!»Subito tutti gli abitanti della grande città lasciarono leloro case e corsero in folla a vedere il passaggio di Va-thek e dell'indiano, che ora benedicevano quanto l'ave-vano prima esecrato, ripetendo continuamente: «Ha sal-vato il nostro sovrano; ha parlato! ha parlato!» Né que-ste parole furono scordate nelle feste pubbliche celebra-te la stessa sera a testimonianza della gioia generale: in-fatti i poeti le applicavano come coro a tutti i canti com-posti su quell'interessante argomento.Intanto il califfo aveva fatto aprire i palazzi dei cinquesensi e, trovandosi naturalmente disposto a visitare pri-ma degli altri quello del gusto, ordinò subito uno splen-dido banchetto a cui furono invitati i grandi ufficiali e ifavoriti della corte. L'indiano, che era stato messo ac-canto al principe, mostrava di credere che, per ricono-scimento di un cosí alto privilegio, egli non dovesseaver limiti nel mangiare, né nel bere, né nel parlare. Le

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    ta. In un trasporto di gioia egli saltò al collo dello spa-ventoso indiano, baciò la sua orrenda bocca e le guancecave, come se fossero state le labbra di corallo e i gigli ele rose delle sue piú leggiadre mogli.E questi trasporti non sarebbero cessati se non fosse in-tervenuta a calmarli l'eloquenza di Carathis. Dopo averconvinto il figlio a tornare a Samarah, ella ordinò a unaraldo di gridare il piú forte possibile: «Il portentosostraniero è ricomparso; ha guarito il califfo; ha parlato!ha parlato!»Subito tutti gli abitanti della grande città lasciarono leloro case e corsero in folla a vedere il passaggio di Va-thek e dell'indiano, che ora benedicevano quanto l'ave-vano prima esecrato, ripetendo continuamente: «Ha sal-vato il nostro sovrano; ha parlato! ha parlato!» Né que-ste parole furono scordate nelle feste pubbliche celebra-te la stessa sera a testimonianza della gioia generale: in-fatti i poeti le applicavano come coro a tutti i canti com-posti su quell'interessante argomento.Intanto il califfo aveva fatto aprire i palazzi dei cinquesensi e, trovandosi naturalmente disposto a visitare pri-ma degli altri quello del gusto, ordinò subito uno splen-dido banchetto a cui furono invitati i grandi ufficiali e ifavoriti della corte. L'indiano, che era stato messo ac-canto al principe, mostrava di credere che, per ricono-scimento di un cosí alto privilegio, egli non dovesseaver limiti nel mangiare, né nel bere, né nel parlare. Le

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  • varie pietanze non erano ancora servite che subito spari-vano con grande mortificazione di Vathek, il quale sipiccava di essere il piú grande mangiatore vivente e chequella volta in particolare era aiutato da un eccellenteappetito.Il resto della compagnia si guardava in faccia stupefatto;ma l'indiano, senza mostrare di accorgersene, rovesciavagrandi bicchieri alla salute di ciascuno dei presenti; can-tava in uno stile del tutto stravagante; raccontava storiedi cui rideva in modo sguaiato; non cessava di profon-dere versi estemporanei che non si sarebbero potuti direbrutti se non fosse stato per le strane boccacce da cuierano accompagnati. In una parola, la sua loquacità fupari a quella di cento astrologi; egli mangiò come centoportieri; e bevve in proporzione.Il califfo, nonostante che la tavola fosse stata servitatrentadue volte, si sentiva infastidito dalla voracitàdell'ospite il quale era sceso considerevolmente nellasua stima. Comunque, non volendo tradire una preoccu-pazione che difficilmente avrebbe potuto nascondere,sussurrò a Bababalouk, il capo dei suoi eunuchi: — Vediche enormi risultati egli raggiunge in ogni campo; qualisarebbero le conseguenze se si interessasse delle miemogli! Va', e raddoppia la tua vigilanza, e abbi cura so-prattutto delle mie circasse che piú delle altre risponde-rebbero forse al suo gusto.L'uccello del mattino aveva tre volte ripetuto il suo can-

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    varie pietanze non erano ancora servite che subito spari-vano con grande mortificazione di Vathek, il quale sipiccava di essere il piú grande mangiatore vivente e chequella volta in particolare era aiutato da un eccellenteappetito.Il resto della compagnia si guardava in faccia stupefatto;ma l'indiano, senza mostrare di accorgersene, rovesciavagrandi bicchieri alla salute di ciascuno dei presenti; can-tava in uno stile del tutto stravagante; raccontava storiedi cui rideva in modo sguaiato; non cessava di profon-dere versi estemporanei che non si sarebbero potuti direbrutti se non fosse stato per le strane boccacce da cuierano accompagnati. In una parola, la sua loquacità fupari a quella di cento astrologi; egli mangiò come centoportieri; e bevve in proporzione.Il califfo, nonostante che la tavola fosse stata servitatrentadue volte, si sentiva infastidito dalla voracitàdell'ospite il quale era sceso considerevolmente nellasua stima. Comunque, non volendo tradire una preoccu-pazione che difficilmente avrebbe potuto nascondere,sussurrò a Bababalouk, il capo dei suoi eunuchi: — Vediche enormi risultati egli raggiunge in ogni campo; qualisarebbero le conseguenze se si interessasse delle miemogli! Va', e raddoppia la tua vigilanza, e abbi cura so-prattutto delle mie circasse che piú delle altre risponde-rebbero forse al suo gusto.L'uccello del mattino aveva tre volte ripetuto il suo can-

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  • to, quando fu annunciata l'ora del Divano. Vathek, cheaveva promesso di esservi presente per gratitudine versoi suoi sudditi, immediatamente si alzò da tavola e si av-viò all'udienza appoggiandosi al visir che lo reggeva ap-pena; tanto il povero principe era stravolto dal vino cheaveva bevuto e piú dalle stravaganti facezie del suo sel-vaggio ospite.I visir, gli ufficiali della corona e della legge, si dispose-ro in semicerchio intorno al sovrano e mantennero un ri-spettoso silenzio; mentre l'indiano, che aveva un aspettofresco come se fosse rimasto digiuno, si sedette senzacerimonie su uno dei gradini del trono, ridendo fra sédell'indignazione che quell'atto talmente temerario ave-va suscitato fra gli astanti.Intanto il califfo, che aveva le idee confuse e la testa pe-sante, cominciò ad amministrare giustizia a caso; finchéil primo visir, accortosi della situazione, escogitò un im-provviso espediente per interrompere l'udienza e salvarela dignità del suo padrone, sussurrandogli all'orecchio:— Signore, la principessa Carathis, che ha trascorso lanotte consultando i pianeti, vi informa che essi annun-ziano sventura e che il pericolo è urgente. State attentoche questo straniero, che voi avete cosí munificamentericompensato per i suoi magici ninnoli, non abbia in ani-mo qualche attentato alla vostra vita; il suo liquore, chein principio sembrava potervi curare, può esserenient'altro che un veleno di prossimo effetto. Non di-sprezzate questo consiglio; domandategli almeno di che

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    to, quando fu annunciata l'ora del Divano. Vathek, cheaveva promesso di esservi presente per gratitudine versoi suoi sudditi, immediatamente si alzò da tavola e si av-viò all'udienza appoggiandosi al visir che lo reggeva ap-pena; tanto il povero principe era stravolto dal vino cheaveva bevuto e piú dalle stravaganti facezie del suo sel-vaggio ospite.I visir, gli ufficiali della corona e della legge, si dispose-ro in semicerchio intorno al sovrano e mantennero un ri-spettoso silenzio; mentre l'indiano, che aveva un aspettofresco come se fosse rimasto digiuno, si sedette senzacerimonie su uno dei gradini del trono, ridendo fra sédell'indignazione che quell'atto talmente temerario ave-va suscitato fra gli astanti.Intanto il califfo, che aveva le idee confuse e la testa pe-sante, cominciò ad amministrare giustizia a caso; finchéil primo visir, accortosi della situazione, escogitò un im-provviso espediente per interrompere l'udienza e salvarela dignità del suo padrone, sussurrandogli all'orecchio:— Signore, la principessa Carathis, che ha trascorso lanotte consultando i pianeti, vi informa che essi annun-ziano sventura e che il pericolo è urgente. State attentoche questo straniero, che voi avete cosí munificamentericompensato per i suoi magici ninnoli, non abbia in ani-mo qualche attentato alla vostra vita; il suo liquore, chein principio sembrava potervi curare, può esserenient'altro che un veleno di prossimo effetto. Non di-sprezzate questo consiglio; domandategli almeno di che

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  • cosa era composto, dove se l'è procurato; e ricordatevi lesciabole che sembrate aver dimenticato.Vathek, per il quale l'aria insolente dello straniero diven-tava ogni momento piú insopportabile, fece capire al vi-sir con un cenno d'acquiescenza che avrebbe adottato ilsuo consiglio; e rivolgendosi a un tratto all'indiano dis-se: — Alzati e dichiara in pieno Divano di che drogheera composto il liquore che mi hai fatto prendere, perchési sospetta che fosse un veleno; dammi anche quellaspiegazione che io ho cosí ardentemente desiderato cir-ca le sciabole vendute da te; cosí mostrerai la tua grati-tudine per i favori di cui sei stato fatto segno.Dopo aver pronunciato queste parole con un tono perquanto era possibile moderato, aspettò in silenzio una ri-sposta. Ma l'indiano, restando seduto, ricominciò a ride-re rumorosamente e fece le stesse smorfie che aveva fat-to prima, senza concedere una parola di risposta. Va-thek, che non era piú in grado di sopportare una simileinsolenza, con una pedata lo buttò giú dai gradini; quin-di scese dal trono, gli assestò un altro calcio e continuòcon tale assiduità da indurre tutti quelli che erano pre-senti a seguire il suo esempio. Ogni piede si sollevò ecolpí l'indiano, e non appena uno dei presenti gli avevadato un calcio si sentiva costretto a ripetere il colpo.Lo straniero dava a tutti un notevole incitamento perché,piccolo e grasso, si era ridotto simile a una palla e roto-lava da tutte le parti sotto i calci degli assalitori, i quali

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    cosa era composto, dove se l'è procurato; e ricordatevi lesciabole che sembrate aver dimenticato.Vathek, per il quale l'aria insolente dello straniero diven-tava ogni momento piú insopportabile, fece capire al vi-sir con un cenno d'acquiescenza che avrebbe adottato ilsuo consiglio; e rivolgendosi a un tratto all'indiano dis-se: — Alzati e dichiara in pieno Divano di che drogheera composto il liquore che mi hai fatto prendere, perchési sospetta che fosse un veleno; dammi anche quellaspiegazione che io ho cosí ardentemente desiderato cir-ca le sciabole vendute da te; cosí mostrerai la tua grati-tudine per i favori di cui sei stato fatto segno.Dopo aver pronunciato queste parole con un tono perquanto era possibile moderato, aspettò in silenzio una ri-sposta. Ma l'indiano, restando seduto, ricominciò a ride-re rumorosamente e fece le stesse smorfie che aveva fat-to prima, senza concedere una parola di risposta. Va-thek, che non era piú in grado di sopportare una simileinsolenza, con una pedata lo buttò giú dai gradini; quin-di scese dal trono, gli assestò un altro calcio e continuòcon tale assiduità da indurre tutti quelli che erano pre-senti a seguire il suo esempio. Ogni piede si sollevò ecolpí l'indiano, e non appena uno dei presenti gli avevadato un calcio si sentiva costretto a ripetere il colpo.Lo straniero dava a tutti un notevole incitamento perché,piccolo e grasso, si era ridotto simile a una palla e roto-lava da tutte le parti sotto i calci degli assalitori, i quali

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  • si affannavano a corrergli dietro con un'assiduità incre-dibile e crescevano sempre di numero. La palla infatti,passando da un appartamento all'altro, si tirava dietrochiunque si trovasse sulla sua strada, tanto che l'interopalazzo fu messo a soqquadro e risonò di un tremendoclamore. Le donne dell'harem, sorprese dallo strepito,corsero alle porte per scoprirne la causa; ma appena eb-bero visto il passaggio della palla, incapaci di trattenersisi liberarono dalle strette degli eunuchi, i quali invano lepizzicavano a sangue per fermarle. Essi stessi, pur tre-mando per la fuga delle loro pupille, non erano meno in-capaci di resistere a quella forza d'attrazione.Dopo avere traversato gli atrii, le gallerie, le camere, lecucine, i giardini e le stalle del palazzo, l'indiano conti-nuò la sua corsa attraverso i cortili; mentre il califfo, in-seguendolo piú da vicino di tutti gli altri, gli assestavaquanti piú calci poteva; non senza ricevere di quando inquando quelli che i suoi competitori nella loro precipita-zione destinavano alla palla.Carathis, Morakanabad e due o tre vecchi visir la cuisaggezza aveva fino allora contenuto l'impulso a corre-re, volendo evitare che Vathek si esponesse cosí in pre-senza dei sudditi, si buttarono per terra a impedire l'inse-guimento; ma Vathek, noncurante degli intralci, passòsopra le loro teste e continuò come prima. Essi ordinaro-no allora ai muezzin di chiamare il popolo alla preghie-ra, se non altro per allontanare la gente e per stornarecon implorazioni la calamità; ma nessuno di questi espe-

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    si affannavano a corrergli dietro con un'assiduità incre-dibile e crescevano sempre di numero. La palla infatti,passando da un appartamento all'altro, si tirava dietrochiunque si trovasse sulla sua strada, tanto che l'interopalazzo fu messo a soqquadro e risonò di un tremendoclamore. Le donne dell'harem, sorprese dallo strepito,corsero alle porte per scoprirne la causa; ma appena eb-bero visto il passaggio della palla, incapaci di trattenersisi liberarono dalle strette degli eunuchi, i quali invano lepizzicavano a sangue per fermarle. Essi stessi, pur tre-mando per la fuga delle loro pupille, non erano meno in-capaci di resistere a quella forza d'attrazione.Dopo avere traversato gli atrii, le gallerie, le camere, lecucine, i giardini e le stalle del palazzo, l'indiano conti-nuò la sua corsa attraverso i cortili; mentre il califfo, in-seguendolo piú da vicino di tutti gli altri, gli assestavaquanti piú calci poteva; non senza ricevere di quando inquando quelli che i suoi competitori nella loro precipita-zione destinavano alla palla.Carathis, Morakanabad e due o tre vecchi visir la cuisaggezza aveva fino allora contenuto l'impulso a corre-re, volendo evitare che Vathek si esponesse cosí in pre-senza dei sudditi, si buttarono per terra a impedire l'inse-guimento; ma Vathek, noncurante degli intralci, passòsopra le loro teste e continuò come prima. Essi ordinaro-no allora ai muezzin di chiamare il popolo alla preghie-ra, se non altro per allontanare la gente e per stornarecon implorazioni la calamità; ma nessuno di questi espe-

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  • dienti si mostrò efficace. La vista della fatale palla ba-stava a trascinare qualunque spettatore. Gli stessi muez-zin, benché la vedessero da lontano, si precipitavano giúdai minareti e si mescolavano alla folla che cresceva inmodo cosí sorprendente che in ultimo, non un solo abi-tante rimase a Samarah, eccetto i vecchi, i malati co-stretti a letto e i lattanti, le cui nutrici potevano correrepiú spedite senza di loro. Anche Carathis, Morakanabade gli altri erano ormai della partita. Gli urli acutissimidelle donne che erano fuggite dai loro appartamenti enon sapevano liberarsi dalle spinte della folla, insiemecon quelli degli eunuchi che si accalcavano dietro, terri-ficati al pensiero di perdere di vista il loro tesoro; le ma-ledizioni dei mariti che accorrevano e si minacciavano avicenda; calci dati e ricevuti; inciampi e cadute a ognipasso; in una parola la confusione che universalmente sidiffuse, rese Samarah simile a una città presa dal turbineo abbandonata al saccheggio. In ultimo il maledetto in-diano, che manteneva la sua rotondità di figura dopo es-sere passato attraverso tutte le strade e le piazze pubbli-che e averle lasciate vuote, rotolò verso la piana di Ca-toul e imboccò la vallata ai piedi della montagna dellequattro fontane.Siccome la caduta continua dell'acqua aveva scavatonella valle una immensa voragine, chiusa alle due partida ripide scarpate, il califfo e i suoi compagni temetteroche la palla potesse andare a finire in quel baratro e perimpedirlo raddoppiarono i loro sforzi; ma invano.

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    dienti si mostrò efficace. La vista della fatale palla ba-stava a trascinare qualunque spettatore. Gli stessi muez-zin, benché la vedessero da lontano, si precipitavano giúdai minareti e si mescolavano alla folla che cresceva inmodo cosí sorprendente che in ultimo, non un solo abi-tante rimase a Samarah, eccetto i vecchi, i malati co-stretti a letto e i lattanti, le cui nutrici potevano correrepiú spedite senza di loro. Anche Carathis, Morakanabade gli altri erano ormai della partita. Gli urli acutissimidelle donne che erano fuggite dai loro appartamenti enon sapevano liberarsi dalle spinte della folla, insiemecon quelli degli eunuchi che si accalcavano dietro, terri-ficati al pensiero di perdere di vista il loro tesoro; le ma-ledizioni dei mariti che accorrevano e si minacciavano avicenda; calci dati e ricevuti; inciampi e cadute a ognipasso; in una parola la confusione che universalmente sidiffuse, rese Samarah simile a una città presa dal turbineo abbandonata al saccheggio. In ultimo il maledetto in-diano, che manteneva la sua rotondità di figura dopo es-sere passato attraverso tutte le strade e le piazze pubbli-che e averle lasciate vuote, rotolò verso la piana di Ca-toul e imboccò la vallata ai piedi della montagna dellequattro fontane.Siccome la caduta continua dell'acqua aveva scavatonella valle una immensa voragine, chiusa alle due partida ripide scarpate, il califfo e i suoi compagni temetteroche la palla potesse andare a finire in quel baratro e perimpedirlo raddoppiarono i loro sforzi; ma invano.

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  • L'indiano continuò nella folle corsa; e, come si temeva,spiccato il volo dall'orlo del precipizio con la rapidità diun fulmine, si perse nella voragine sottostante.Vathek avrebbe seguito il perfido Giaurro se una forzainvisibile non avesse arrestato la sua corsa. La folla chesi spingeva dietro a lui fu di colpo fermata allo stessomodo; e istantaneamente regnò la calma. Tutti si guar-darono in faccia con aria attonita; e benché i veli e i tur-banti perduti, gli abiti stracciati e la polvere mista al su-dore costituissero uno spettacolo dei piú comici, non sivide un sorriso. Al contrario, con sguardi di confusionee di tristezza, ritornarono tutti in silenzio a Samarah e siritirarono nei loro appartamenti piú segreti, senza riflet-tere che era stato un potere invisibile a costringerli aquelle stravaganze che ora si rimproveravano. E del re-sto è giusto che gli uomini, i quali cosí spesso si arroga-no come merito proprio un bene di cui non sono chestrumenti, si attribuiscano assurdità che non è stato inloro potere evitare.Il califfo fu l'unica persona che rifiutò di lasciare la val-lata. Ordinò che si piantassero là le sue tende e si fermògiusto sull'orlo del precipizio, a dispetto delle recrimina-zioni di Carathis e di Morakanabad, i quali gli facevanopresente il pericolo che quella propaggine franasse, el'altro della vicinanza al mago che cosí crudelmente loaveva tormentato. Vathek rise di tutte le loro rimostran-ze; e dopo aver fatto accendere mille torce e ordinato aisuoi compagni di continuare a far luce, si curvò sul ripi-

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    L'indiano continuò nella folle corsa; e, come si temeva,spiccato il volo dall'orlo del precipizio con la rapidità diun fulmine, si perse nella voragine sottostante.Vathek avrebbe seguito il perfido Giaurro se una forzainvisibile non avesse arrestato la sua corsa. La folla chesi spingeva dietro a lui fu di colpo fermata allo stessomodo; e istantaneamente regnò la calma. Tutti si guar-darono in faccia con aria attonita; e benché i veli e i tur-banti perduti, gli abiti stracciati e la polvere mista al su-dore costituissero uno spettacolo dei piú comici, non sivide un sorriso. Al contrario, con sguardi di confusionee di tristezza, ritornarono tutti in silenzio a Samarah e siritirarono nei loro appartamenti piú segreti, senza riflet-tere che era stato un potere invisibile a costringerli aquelle stravaganze che ora si rimproveravano. E del re-sto è giusto che gli uomini, i quali cosí spesso si arroga-no come merito proprio un bene di cui non sono chestrumenti, si attribuiscano assurdità che non è stato inloro potere evitare.Il califfo fu l'unica persona che rifiutò di lasciare la val-lata. Ordinò che si piantassero là le sue tende e si fermògiusto sull'orlo del precipizio, a dispetto delle recrimina-zioni di Carathis e di Morakanabad, i quali gli facevanopresente il pericolo che quella propaggine franasse, el'altro della vicinanza al mago che cosí crudelmente loaveva tormentato. Vathek rise di tutte le loro rimostran-ze; e dopo aver fatto accendere mille torce e ordinato aisuoi compagni di continuare a far luce, si curvò sul ripi-

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  • do orlo e tentò con l'aiuto di questo splendore artificialedi guardare in quelle tenebre che tutti i fuochi dell'empi-reo non sarebbero bastati a rischiarare. Ora egli fantasti-cava di voci che salissero dalle profondità del baratro;ora credeva di distinguere gli accenti dell'indiano; manon era altro che il cupo mormorio delle acque e l'ecodelle cascate che correvano da una balza all'altra lungo ifianchi della montagna.Dopo aver passato la notte in questa crudele agitazione,allo spuntare del giorno il califfo si ritirò nella sua ten-da; là, senza prendere il minimo nutrimento, rimase as-sopito finché si alzarono di nuovo i vapori dell'imbruni-re. Riprese quindi a vegliare e continuò regolarmenteper varie notti. Alla fine, stanco di una fatica cosí steri-le, cercò sollievo nel mutamento. Talvolta si aggirava arapidi passi per la pianura, lanciando furibonde occhiatealle stelle, cui rimproverava di averlo tratto in inganno;quando un giorno il cielo azzurro gli apparve segnato dagrandi strisce di sangue che dalla valle arrivavano a co-prire la città di Samarah. Poiché questo spaventoso fe-nomeno sembrava raggiungere la sua torre, Vathek pen-sò sulle prime di accorrere laggiú per vederlo piú da vi-cino; ma sentendo di non potere andare avanti, sopraf-fatto dall'inquietudine, nascose il volto nelle pieghe del-la veste.Per quanto terrificanti fossero questi prodigi, l'impres-sione che produssero su di lui era appena momentanea eserví solo a stimolare il suo amore del meraviglioso.

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    do orlo e tentò con l'aiuto di questo splendore artificialedi guardare in quelle tenebre che tutti i fuochi dell'empi-reo non sarebbero bastati a rischiarare. Ora egli fantasti-cava di voci che salissero dalle profondità del baratro;ora credeva di distinguere gli accenti dell'indiano; manon era altro che il cupo mormorio delle acque e l'ecodelle cascate che correvano da una balza all'altra lungo ifianchi della montagna.Dopo aver passato la notte in questa crudele agitazione,allo spuntare del giorno il califfo si ritirò nella sua ten-da; là, senza prendere il minimo nutrimento, rimase as-sopito finché si alzarono di nuovo i vapori dell'imbruni-re. Riprese quindi a vegliare e continuò regolarmenteper varie notti. Alla fine, stanco di una fatica cosí steri-le, cercò sollievo nel mutamento. Talvolta si aggirava arapidi passi per la pianura, lanciando furibonde occhiatealle stelle, cui rimproverava di averlo tratto in inganno;quando un giorno il cielo azzurro gli apparve segnato dagrandi strisce di sangue che dalla valle arrivavano a co-prire la città di Samarah. Poiché questo spaventoso fe-nomeno sembrava raggiungere la sua torre, Vathek pen-sò sulle prime di accorrere laggiú per vederlo piú da vi-cino; ma sentendo di non potere andare avanti, sopraf-fatto dall'inquietudine, nascose il volto nelle pieghe del-la veste.Per quanto terrificanti fossero questi prodigi, l'impres-sione che produssero su di lui era appena momentanea eserví solo a stimolare il suo amore del meraviglioso.

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  • Perciò, invece di tornare al palazzo, egli tenne fermonella decisione di non muoversi dal luogo dove erascomparso l'indiano. E cosí una notte, mentre come alsolito vagava per la pianura, la luna e le stelle si eclissa-rono a un tratto e sopravvenne l'oscurità totale. La terratremò sotto di lui e si udí una voce, la voce del Giaurro;che con accenti piú sonori del tuono cosí lo apostrofava:— Sarai devoto a me? Adorerai gli influssi terrestri erinnegherai Maometto? A queste condizioni ti guiderò alPalazzo del Fuoco Sotterraneo. Là vedrai in immenseprovvigioni i tesori che le stelle ti hanno promessi e cheti concederanno quelle intelligenze che saprai rendertipropizie. Là io presi le sciabole e là riposa Soliman BenDaoud, circondato dai talismani che controllano il mon-do.Il califfo, attonito, rispose tremando, ma in uno stile chemostrava come non fosse novizio in avventure sopran-naturali: — Dove sei? Presentati ai miei occhi, dissipa lenebbie che mi confondono e di cui sospetto tu sia lacausa. Dopo tante torce che ho bruciate per scoprirti,potresti almeno concedermi la vista della tua orribilefaccia. — Abiura dunque Maometto, — rispose l'india-no, — e promettimi prove di piena sincerità; altrimenti,non mi vedrai mai piú.L'infelice califfo, mosso da un'implacabile curiosità,prodigò le sue promesse senza riserve. Il cielo immedia-tamente si schiarí e alla luce dei pianeti che parevanoquasi ardere Vathek vide la terra aprirsi, e in fondo a un

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    Perciò, invece di tornare al palazzo, egli tenne fermonella decisione di non muoversi dal luogo dove erascomparso l'indiano. E cosí una notte, mentre come alsolito vagava per la pianura, la luna e le stelle si eclissa-rono a un tratto e sopravvenne l'oscurità totale. La terratremò sotto di lui e si udí una voce, la voce del Giaurro;che con accenti piú sonori del tuono cosí lo apostrofava:— Sarai devoto a me? Adorerai gli influssi terrestri erinnegherai Maometto? A queste condizioni ti guiderò alPalazzo del Fuoco Sotterraneo. Là vedrai in immenseprovvigioni i tesori che le stelle ti hanno promessi e cheti concederanno quelle intelligenze che saprai rendertipropizie. Là io presi le sciabole e là riposa Soliman BenDaoud, circondato dai talismani che controllano il mon-do.Il califfo, attonito, rispose tremando, ma in uno stile chemostrava come non fosse novizio in avventure sopran-naturali: — Dove sei? Presentati ai miei occhi, dissipa lenebbie che mi confondono e di cui sospetto tu sia lacausa. Dopo tante torce che ho bruciate per scoprirti,potresti almeno concedermi la vista della tua orribilefaccia. — Abiura dunque Maometto, — rispose l'india-no, — e promettimi prove di piena sincerità; altrimenti,non mi vedrai mai piú.L'infelice califfo, mosso da un'implacabile curiosità,prodigò le sue promesse senza riserve. Il cielo immedia-tamente si schiarí e alla luce dei pianeti che parevanoquasi ardere Vathek vide la terra aprirsi, e in fondo a un

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  • immenso baratro nero, una porta d'ebano davanti a cuiera fermo l'indiano con una chiave d'oro che battevacontro la toppa.— Come posso scendere fino a te? — gridò Vathek. —Vieni, prendimi; apri subito quella porta. — Non cosípresto, impaziente califfo! — rispose l'indiano. — Sappiche io sono bruciato dalla sete e che non posso aprirequesta porta finché la mia sete non sarà placata. Ho bi-sogno del sangue di cinquanta bambini. Scegli i piú av-venenti fra i figli dei visir e dei grandi del tuo regno, ola mia sete e la tua curiosità non saranno mai soddisfat-te. Torna a Samarah, procurami questa libagione che miè necessaria; poi presentati ancora qui, gettala nel bara-tro e vedrai.Dopo aver parlato in tal modo l'indiano voltò le spalle alcaliffo, che incitato dalle suggestioni dei dèmoni si deci-se all'orribile sacrificio. Fece mostra di avere riconqui-stato la sua tranquillità e partí per Samarah fra le accla-mazioni della gente che ancora lo amava e che non pote-va non rallegrarsi al pensiero ch'egli avesse ricuperato laragione. Con tanta fortuna Vathek riuscí a nascondere lasua emozione, che anche Carathis e Morakanabad furo-no ingannati come gli altri. Non si parlava d'altro che difeste e d'allegrezza. La fatale palla che nessuno fino adallora aveva osato ricordare fu riportata sul tappeto.Scoppiò una risata generale, benché molti, ancora nellemani del chirurgo per i calci ricevuti in quella memora-bile avventura, non avessero grandi motivi di ilarità.

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    immenso baratro nero, una porta d'ebano davanti a cuiera fermo l'indiano con una chiave d'oro che battevacontro la toppa.— Come posso scendere fino a te? — gridò Vathek. —Vieni, prendimi; apri subito quella porta. — Non cosípresto, impaziente califfo! — rispose l'indiano. — Sappiche io sono bruciato dalla sete e che non posso aprirequesta porta finché la mia sete non sarà placata. Ho bi-sogno del sangue di cinquanta bambini. Scegli i piú av-venenti fra i figli dei visir e dei grandi del tuo regno, ola mia sete e la tua curiosità non saranno mai soddisfat-te. Torna a Samarah, procurami questa libagione che miè necessaria; poi presentati ancora qui, gettala nel bara-tro e vedrai.Dopo aver parlato in tal modo l'indiano voltò le spalle alcaliffo, che incitato dalle suggestioni dei dèmoni si deci-se all'orribile sacrificio. Fece mostra di avere riconqui-stato la sua tranquillità e partí per Samarah fra le accla-mazioni della gente che ancora lo amava e che non pote-va non rallegrarsi al pensiero ch'egli avesse ricuperato laragione. Con tanta fortuna Vathek riuscí a nascondere lasua emozione, che anche Carathis e Morakanabad furo-no ingannati come gli altri. Non si parlava d'altro che difeste e d'allegrezza. La fatale palla che nessuno fino adallora aveva osato ricordare fu riportata sul tappeto.Scoppiò una risata generale, benché molti, ancora nellemani del chirurgo per i calci ricevuti in quella memora-bile avventura, non avessero grandi motivi di ilarità.

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  • Il prevalere del buon umore fu cosa assai gradita a Va-thek che si rendeva conto di come questo favorisse ilsuo disegno. Egli continuò a mostrarsi affabile con tutti,ma in particolare con i suoi visir e con i grandi dellacorte, a cui non mancò di offrire un sontuoso banchetto,durante il quale portò insensibilmente la conversazionesui bambini degli ospiti. Quand'ebbe chiesto, con aria dibenevolenza, chi di loro avesse la fortuna dei figli piúbelli, ogni padre sostenne i meriti dei propri e la disputasi fece cosí accanita che niente li avrebbe trattenuti dalvenire alle mani se non la profonda reverenza per la per-sona del califfo. Allora, col pretesto di mettere d'accor-do i disputanti, Vathek avocò a sé la decisione, e a que-sto fine ordinò che si facessero portare i fanciulli.Dopo non molto fece il suo ingresso un gruppo di questiinfelici bambini, curati dalle mani affettuose delle madrie coperti di quegli ornamenti che potevano dare maggiorrilievo alla loro bellezza e mettere in luce nel modo mi-gliore la grazia dell'età. Ma mentre questa brillante riu-nione attirava lo sguardo e il cuore di tutti i presenti, ilcaliffo, con una malvagia avidità che pareva attenzione,li scrutava uno per uno e sceglieva fra loro i cinquantache secondo lui il Giaurro avrebbe preferito.Sempre con lo stesso tono benevolo, Vathek propose dicelebrare una festa nella pianura per divertire i giovanifavoriti che, egli disse, tanto piú avrebbero avuto ragio-ne di rallegrarsi della sua riacquistata salute, se avesseroimmaginato i favori che egli preparava per loro.

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    Il prevalere del buon umore fu cosa assai gradita a Va-thek che si rendeva conto di come questo favorisse ilsuo disegno. Egli continuò a mostrarsi affabile con tutti,ma in particolare con i suoi visir e con i grandi dellacorte, a cui non mancò di offrire un sontuoso banchetto,durante il quale portò insensibilmente la conversazionesui bambini degli ospiti. Quand'ebbe chiesto, con aria dibenevolenza, chi di loro avesse la fortuna dei figli piúbelli, ogni padre sostenne i meriti dei propri e la disputasi fece cosí accanita che niente li avrebbe trattenuti dalvenire alle mani se non la profonda reverenza per la per-sona del califfo. Allora, col pretesto di mettere d'accor-do i disputanti, Vathek avocò a sé la decisione, e a que-sto fine ordinò che si facessero portare i fanciulli.Dopo non molto fece il suo ingresso un gruppo di questiinfelici bambini, curati dalle mani affettuose delle madrie coperti di quegli ornamenti che potevano dare maggiorrilievo alla loro bellezza e mettere in luce nel modo mi-gliore la grazia dell'età. Ma mentre questa brillante riu-nione attirava lo sguardo e il cuore di tutti i presenti, ilcaliffo, con una malvagia avidità che pareva attenzione,li scrutava uno per uno e sceglieva fra loro i cinquantache secondo lui il Giaurro avrebbe preferito.Sempre con lo stesso tono benevolo, Vathek propose dicelebrare una festa nella pianura per divertire i giovanifavoriti che, egli disse, tanto piú avrebbero avuto ragio-ne di rallegrarsi della sua riacquistata salute, se avesseroimmaginato i favori che egli preparava per loro.

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  • La proposta del califfo fu accolta con la piú grande leti-zia e presto resa nota in tutta la città. Si prepararono let-tighe, cammelli e cavalli. Donne, bambini, vecchi e gio-vani, ciascuno scelse il posto che preferiva. La cavalcatapartí scortata da tutti i confettieri della città e dei dintor-ni; il popolino, che seguiva a piedi, formò una folla stu-pefacente facendo non poco chiasso. Tutto era gioia; enessuno si ricordava di quanto ciascuno di loro avessesofferto l'ultima volta che avevano fatto quella stradaora percorsa cosí allegramente.La sera era serena, l'aria fresca, il cielo chiaro, e i fioriesalavano i loro profumi. I raggi del sole declinante, chein un mite splendore posava sulle cime della montagna,diffondevano un riflesso di rossa luce sui verdi declivi esui bianchi armenti che vi pascolavano. Non si udiva al-tro suono che il rumore delle quattro fontane e le voci ele grida dei pastori che si chiamavano da una cimaall'altra.I graziosi innocenti, destinati al sacrificio, contribuivanonon poco all'allegria della scena. Comparvero nella pia-nura pieni di festevolezza, alcuni inseguendo farfalle,altri raccogliendo i fiori e i sassolini lucenti che attirava-no la loro attenzione. Di quando in quando fuggivanoleggeri l'uno dall'altro per il piacere di essere ripresi, e sifacevano a vicenda mille carezze.Il terribile baratro, nel cui fondo stava la porta di ebano,cominciò ad apparire da lontano. Appariva come una

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    La proposta del califfo fu accolta con la piú grande leti-zia e presto resa nota in tutta la città. Si prepararono let-tighe, cammelli e cavalli. Donne, bambini, vecchi e gio-vani, ciascuno scelse il