Carinci Il Diritto Sindacale

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INTRODUZIONE 1.DIRITTO DEL LAVORO E DIRITTO SINDACALE Il diritto del lavoro, in senso ampio, si caratterizza e presenta una propria autonomia, come disciplina giuridica del lavoro subordinato. Tradizionalmente si distinguono al suo interno la disciplina del rapporto individuale di lavoro (diritto del lavoro in senso stretto), che regola diritti e obblighi del singolo lavoratore contrapposto al singolo datore; il diritto sindacale, che riflette vicende ed interessi collettivi o di gruppo; il diritto della previdenza sociale (o della sicurezza),che disciplina l’erogazione di beni e servizi in favore di coloro che ne hanno bisogno. Tutte queste discipline hanno una comune origine,quella della diffusione del lavoro subordinato in conseguenza della Rivoluzione Industriale. Il processo espansivo del diritto sindacale è però più lento e incompleto rispetto a quello del diritto del lavoro,e della previdenza sociale. L’elemento fondamentale che distingue il diritto sindacale dal resto della disciplina del lavoro,è il riferimento ad aspetti e momenti collettivi dei rapporti di lavoro,infatti gli oggetti della disciplina sono l’organizzazione collettiva dei lavoratori e dei datori di lavoro,il contratto collettivo di lavoro,il conflitto collettivo (sciopero,serrata).Anche i protagonisti sono collettivi: le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori nelle loro varie forme,e lo Stato con le istituzioni pubbliche,la cui presenza è diventata sempre più rilevante. 2.ORDINAMENTO STATALE E AUTONOMIA COLLETTIVA Il diritto sindacale si presenta come un sistema di norme di diversa matrice: a quelle di origine statale si intrecciano regole prodotte dalle stesse parti collettive, sindacati ed imprenditori,soprattutto attraverso la contrattazione ma anche su base unilaterale (statuti,regolamenti,ecc.). Di queste regole collettive alcune disciplinano situazioni finali (diritti e doveri tra le parti), altre regolano l’attività di produzione di altre norme,hanno quindi carattere strumentale. 1

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INTRODUZIONE

1.DIRITTO DEL LAVORO E DIRITTO SINDACALEIl diritto del lavoro, in senso ampio, si caratterizza e presenta una propria autonomia, comedisciplina giuridica del lavoro subordinato. Tradizionalmente si distinguono al suo interno la disciplina del rapporto individuale di lavoro (diritto del lavoro in senso stretto), che regola diritti eobblighi del singolo lavoratore contrapposto al singolo datore; il diritto sindacale, che riflettevicende ed interessi collettivi o di gruppo; il diritto della previdenza sociale (o della sicurezza),chedisciplina l’erogazione di beni e servizi in favore di coloro che ne hanno bisogno.Tutte queste discipline hanno una comune origine,quella della diffusione del lavoro subordinato in conseguenza della Rivoluzione Industriale. Il processo espansivo del diritto sindacale è però più lento e incompleto rispetto a quello del diritto del lavoro,e della previdenza sociale.L’elemento fondamentale che distingue il diritto sindacale dal resto della disciplina del lavoro,è ilriferimento ad aspetti e momenti collettivi dei rapporti di lavoro,infatti gli oggetti della disciplinasono l’organizzazione collettiva dei lavoratori e dei datori di lavoro,il contratto collettivo dilavoro,il conflitto collettivo (sciopero,serrata).Anche i protagonisti sono collettivi: le organizzazionidei lavoratori e degli imprenditori nelle loro varie forme,e lo Stato con le istituzioni pubbliche,la cuipresenza è diventata sempre più rilevante.

2.ORDINAMENTO STATALE E AUTONOMIA COLLETTIVAIl diritto sindacale si presenta come un sistema di norme di diversa matrice: a quelle di originestatale si intrecciano regole prodotte dalle stesse parti collettive, sindacati ed imprenditori,soprattutto attraverso la contrattazione ma anche su base unilaterale(statuti,regolamenti,ecc.). Di queste regole collettive alcune disciplinano situazioni finali (diritti edoveri tra le parti), altre regolano l’attività di produzione di altre norme,hanno quindi caratterestrumentale.I processi di osmosi tra ordinamento sindacale e statale sono intesi in entrambe le direzioni: il primoha esercitato una funzione di stimolo e innovazione rispetto al diritto statale che a sua volta hasvolto compiti di sostegno dell’autonomia collettiva e talora di correzione o integrazione dellenorme prodotte da questa.

3. DIRITTO SINDACALE E RELAZIONI INDUSTRIALIIl diritto sindacale è il settore dell’esperienza giuridica nel quale più immediata risulta l’incidenza dei rapporti di forza tra gli attori delle relazioni industriali e più pesa il quadro di riferimento economico e sociale. Trattasi di un complesso di regole giuridiche che, mentre disciplinano le relazioni industriale, restano poi influenzate dalle loro dinamiche interne.

4.LE FONTI DEL DIRITTO SINDACALELe fonti del diritto sindacale sono quelle proprie del diritto generale. Ciò non toglie che esse finiscano per atteggiarsi in termini e modi peculiari, rispetto a quelli usuali, dati i caratteri dei fenomeni regolati.

4.1.LE FONTI INTERNAZIONALIFanno capo all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL),la cui più nota attività consistenell’adozione dei testi di convenzioni internazionali e di raccomandazioni in materia di lavoro.Le convenzioni sono trattati destinati ad essere ratificati dagli stati membri,così da diventarevincolanti nel diritto interno. I membri hanno l’obbligo di sottoporre la convenzione agli organi competenti per la ratifica, di applicare le disposizioni della convenzione ratificata e di accettare controlli internazionali, sia generali, sia specifici, nel caso (raro) di ricorso di un membro per non applicazione. L’interpretazione è affidata alla Corte Internazionale di giustizia che ha sede all’Aja.

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Le raccomandazioni non sono destinate alla ratifica ed hanno valore non normativo,ma di modello o indirizzo rispetto alle politiche nazionali del lavoro.

4.2.LE FONTI COMUNITARIEL’attività degli organi comunitari appare più incisiva, hanno infatti una produzione normativa che esprime un ordinamento giuridico proprio, di dimensioni e rilevanza crescenti in ordine a tutti i punti critici del diritto sindacale: libertà sindacale, metodi di composizione dei conflitti, contrattazione collettiva e soprattutto dei lavorati e nell’impresa. L’attività normativa dell’Unione Europea si attua in due forme prevalenti,ad opera del Consiglio e della Commissione.I regolamenti sono atti generali obbligatori,di applicazione diretta nel diritto dei paesi membri; ledirettive sono fonti giuridiche che vincolano gli stati membri ad adeguarsi nei risultati ,questegodono di un’ efficacia normativa indiretta, cioè condizionata all’emanazione di un apposito atto di recepimento interno.Le direttive hanno efficacia direttamente nei confronti dello Stato quando hanno un contenuto chiaro, preciso ed incondizionato; su questo si pronuncia la Corte di giustizia.Si ritiene, comunque, che le direttive spieghino un’efficacia c.d. verticale, ossia direttamente nel confronti dello Stato, allorché abbiamo un contenuto dispotico chiaro, preciso ed incondizionato. Rimane invece esclusa l’efficacia c.d. orizzontale, ovvero nei rapporti tra privati, sebbene si ammetta un’efficacia orizzontale indiretta, tale da imporre un’interpretazione del diritto nazionale il più possibile conforme al diritto comunitario.Su tal punto si pronuncia la Corte di giustizia dell’Unione Europea competente appunto per l’interpretazione del Trattato, nonché per l’interpretazione e la decisione circa la validità degli atti degli organismi comunitari. Per la corte anche i principi giuridici da essa ricavati sono vincolanti per il diritto interno, imponendo al giudice nazionale la disapplicazione delle eventuali norme incompatibili.

4.3.LE FONTI INTERNEIl primo richiamo va alla Costituzione, i cui articoli direttamente rilevanti in tema di diritto sindacale sono il 39, sull’organizzazione sindacale e la contrattazione collettiva, il 40, sullo sciopero, il 46 sulla partecipazione dei lavoratori nell’impresa. All’insegna del principio della libertà di organizzazione sindacale si è affermata l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sul sindacato come associazione non riconosciuta e sul contratto collettivo c.d. di diritto comune.Il ruolo della legislazione nel diritto sindacale del secondo dopo-guerra è stato a lungo marginale. Si è parlato a proposito di astensionismo legislativo. Tale astensionismo ha trovato le proprie ragioni nell’impraticabilità tecnica e politica dell’originario disegno del Costituente, nonché nella diffidenza del movimento dei lavoratori nei confronti di interventi provenienti da un quadro politico per lungo tempo non favorivo ad un eccessivo rafforzamento del sindacato.La prima tappa legislativa di rilievo è costituita dalla legge 20 Maggio 1970, numero 300,lo Statuto dei lavoratori,si tratta di una disciplina di sostegno dell’attività sindacale in azienda.Una seconda tappa significativa l’ha segnata la legge n.146 del 1990 (vd,l.83/2000),intervenuta adisciplinare lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, dopo ben oltre 40 anni di astensionismo legislativo.Una terza tappa è rappresentata dal D.Lgs. n.29 del 1993 (ora D.Lgs. n.165 del 2001,Testo Unicodel pubblico impiego). Questo nel riformare il rapporto di pubblico impiego, lo ha assoggettato alle medesime fonti del lavoro privato, in primis al contratto.La contrattazione collettiva riveste un ruolo centrale in ambito lavoristico,in quanto come fontesindacale rileva per la parte obbligatoria dei contratti collettivi.Un primo momento di integrazione è realizzato a monte dei provvedimenti legislativi. Basti ricordare che molte delle discipline in materia del lavoro e sindacale sono state “contrattate”,

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dapprima in modo informale e poi con grandi accordi di concertazione che hanno dato piena tangibilità al fenomeno della “legislazione negoziata”.Un secondo momento di integrazione stringente tra fonti si è avuta nella fase di c.d. derogazione controllata e concordata. Una tendenza, questa, che ha finito per individuare nel contratto collettivo lo strumento più idoneo ad una gestione consensuale delle crisi aziendali e ad un governo flessibile del mercato del lavoro, in alternativa ad una derogazione totale e “secca” della materia.Lo spostamento della mediazione del conflitto industriale dalla tradizionale sede parlamentare a sedi sindacali o tripartite, appare strettamente connesso alla crisi del governo dei processi sociali attraverso “regole generali”. Si tratta di fenomeni di c.d. delegificazione, che comunque sottraggono spazio all’intervento legislativo. Anzi, la realtà si è evoluta proprio nel senso di una coesistenza delle due linee: delegificazione, da un lato, rilegificazione, dall’altro.Ne offre emblematica testimonianza non solo la legge n. 146/1990, ma anche il D.Lgs. n. 29/1993, che ha “privatizzato” il lavoro pubblico, con conseguente delegificazione della disciplina del rapporto, tradizionalmente regolato dalla legge o da atti di autorità.La giurisprudenza riveste in ogni paese occidentale un’importanza decisiva nella fomazione edapplicazione del diritto sindacale.

5 pag 10Fonti internazionali, (non troppo influenti per il diritto del lavoro) fanno capo all’OIL, Organizzazione internazionale del lavoro, costituita nel 1919 con sede a Ginevra che adotta testi di:

Convenzioni, devono essere ratificate dagli stati membri divenendo vincolanti per il diritto interno

Raccomandazioni, non debbono essere ratificate né sono vincolanti, ma sono di indirizzoIn materia di diritto del lavoro le condizioni presenti nei diversi paesi sono molto diverse e di difficile uniformazioneFonti comunitarie, più importanti delle fonti internazionali, si sono sempre occupate di diritto del lavoro anche in relazione al problema della concorrenza. Es.: se in Germania ci fosse una diversità di normativa, tale da rendere più facile le imprese, a livello internazionale le imprese si sposterebbero dove trovano migliori condizioni.Strumenti:

Regolamenti, scarsamente impiegati. Il più importante è quello sulla libera circolazione dei lavoratori e quello sulla libera circolazione dei servizi

Direttive, più utilizzate ed importanti. Il diritto italiano è stato fortemente influenzato dalle direttive dell’U.E. e quelle più importanti sono quelle degli anni ’70 (periodo di crisi), in materia di licenziamenti collettivi, di trasferimento di azienda, di parità sul mercato del lavoro fra uomo e donna, poi negli anni 80 e 90, in materia di orario di lavoro, di contratto a termine, di lavoro a tempo parziale

Contratto collettivo europeo, espressione del dialogo sociale, si distingue in:1. Accordo quadro, è uno strumento concertativo a livello europeo che viene recepito

dagli stati membri divenendo vincolante2. Accordo libero, mero accordo politico – orientativo privo di raccordo a livello

nazionaleDopo il trattato di Maastricht viene dato più spazio al diritto del lavoro ed alle organizzazioni sindacali che contrattano a livello europeo mediante accordi (es. direttiva in materia di contratto a termine. Successivamente con Amsterdam (nuovo metodo aperto di coordinamento che prende atto che l’Europa e costituita da 27 Stati membri interviene con metodo di soft law che dà raccomandazioni ai paesi sui principi che si basano sul raggiungimento di obiettivi a medio e lungo termine) e Nizza la linea seguita dall’U.E. cambia nuovamente in relazione all’esigenza di flessibilità mirata a ottenere un alto livello di occupazione, proteggendo di soggetti deboli. Nel Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa sono stati recepiti espressi a Nizza

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Fonti interne: Costituzione, principali articoli:

39. organizzazione sindacale e contrattazione collettiva 40. sciopero 46. partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese (i quali peraltro non

gestiscono l’impresa), questa norma è programmatica. Si deve rapportare con l’art. 41 (libertà di iniziativa economica)

Legislazione, che evidenzia tre tappe legislative Contratto collettivo, è in grado di porre regole alle quale andranno a uniformarsi i

successivi singoli contratti individuali e perciò opera alla stregua della legge. Detta regola anche per i rapporti tra chi stipula i contratti, ovvero tra soggetti sindacali, e nelle sue espressioni più altre è anche in grado di condizionare lo Stato obbligandolo ad assumere determinati impegni condivisi con le organizzazioni sindacali e imprenditoriali. Gerarchia delle fonti: la legge è la disciplina minimale mentre i contratti collettivi possono migliorare tale disciplina in senso favorevole a lavoratori e sindacatoPer la particolare forza sociale viene riconosciuto come fonte di disciplina dei rapporti di lavoro de delle relazioni sindacali. Non è sempre stato così. La storia del diritto sindacale è la storia del contratto collettivo ed è perciò la fonte più importante insieme alle altre due

Usi e prassi Giurisprudenza, i giudici hanno svolto un lavoro sostitutivo del legislatore. Legge sulla

sciopero solo nel 1990 e sino a quel punto tale interpretazione è stata realizzata dalla giurisprudenza. L’interpretazione dei giudici hanno perciò fatto la regola.

Caratteristica del diritto del lavoro è la legislazione speciale rispetto alla codificazione

CAPITOLO PRIMOIL DIRITTO SINDACALE: ATTORI ED EVOLUZIONE STORICA

A)L’EVOLUZIONE STORICA DEI RAPPORTI TRA GLI ATTORI1.GLI ATTORI DELL’ORDINAMENTO SINDACALE E I LORO RAPPORTIIn ogni ordinamento sindacale operano tre attori: le organizzazioni sindacali dei lavoratori,leorganizzazioni sindacali imprenditoriali (e gli stessi singoli imprenditori), lo Stato (e più in generalele istituzioni pubbliche).I rapporti tra questi tre attori variano nel tempo e a seconda degliordinamenti.

2.LE ORIGINI: LA REPRESSIONE DEL FENOMENO SINDACALEIn Italia,come in gran parte dei paesi occidentali, i rapporti collettivi sono stati caratterizzatiall’origine da forti tensioni conflittuali e da interventi repressivi da parte dello Stato nei confrontidell’organizzazione sindacale e a maggior ragione dello sciopero.Quasi tutti i paesi occidentali hanno attraversato una prima fase storica in cui l’ordinamentogiuridico,generalmente il legislatore,negava ai lavoratori e agli imprenditori la possibilità diorganizzarsi collettivamente per motivi di autotutela.

3.IL PERIODO DELLA TOLLERANZA PENALENella fase successiva lo Stato provvide a rimuovere i divieti penali al conflitto e all’organizzazionesindacale,sancendo la libertà di coalizione.Il codice Zanardelli del 1889 inaugurò un periodo di tregua che durò fino al fascismo,non puniva losciopero e la serrata ma i comportamenti in contrasto con la libertà di lavoro.All’inizio del ventesimo secolo in Europa nacquero una serie di istituzioni pubbliche competenti perle materie di rapporti di lavoro e relazioni industriali. Al consiglio dei probiviri spettava lacompetenza sia sulle controversie individuali,sia in seguito su quelle collettive;fu il primo esempioin Italia di intervento in materia di contrattazione collettiva.

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4.IL PERIODO CORPORATIVOIn Italia l’avvento del fascismo interruppe lo sviluppo delle relazioni industriali. Furono demoliti i fondamenti del sistema volontario di relazioni industriali e si creò un sistemasindacale e contrattuale pubblicistico,completamente controllato dallo Stato. La legge 3 Aprile 1926n. 563 ammetteva formalmente la libertà sindacale,ma solo un sindacato di lavoratori e datori perogni categoria poteva ottenere il riconoscimento legale dal Governo con attribuzione dellapersonalità giuridica; era quindi tutto controllato dallo Stato che esercitava un controllo penetrante, sino allo scioglimento e all’amministrazione forzata.Una volta riconosciuti i sindacati avevano ex lege la rappresentanza di tutti i componenti dellacategoria,quindi i contratti collettivi da questi conclusi avevano efficacia erga omnes. Il conflitto erarepresso penalmente come reato contro l’economia nazionale, riflessa in modo sistematico nel codice penale Rocco, la cui normativa sarà destinata a durare in parte anche dopo la Costituzione repubblicana.

5.LA FASE TRANSITORIA (1943-1947) E LA COSTITUZIONEDopo la caduta del fascismo (25 Luglio 1943) uno dei primi atti del Governo Badoglio fu quello diabrogare le corporazioni e le istituzioni tipiche della fase corporativa.Il modello costituzionale si fonda sulla valorizzazione del lavoro come criterio ordinatore generaledei rapporti tra Stato e società,e come fondamento di una partecipazione dei lavoratori alla vitaproduttiva e sociale;questo spiega la serie di diritti riservati esclusivamente ai lavoratori subordinati.L’articolo 39 sancisce tre principi fondamentali:a) la libertà sindacale come fondamento delle relazioni industriali (comma 1);b) la registrazione del sindacato come presupposto per acquisire la capacità di stipulare contratticollettivi efficaci per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiscono;c) l’attribuzione di tale capacità contrattuale a rappresentanze unitarie dei sindacati registrati,inproporzione dei loro iscritti.Il senso fondamentale di queste scelte è di costruire una soluzione mediana tra due modelli: la concezione corporativa, da un lato, che intende “il sindacato quale ente di diritto pubblico giuridicamente riconosciuto dallo Stato e sottoposto al controllo delle autorità tutorie”; la concezione liberale dall’altro, seguita parzialmente del periodo precorporativo, secondo la quale il sindacato non ha rapporti giuridici con lo Stato e non riceve da questo alcun sostegno.La valorizzazione del sindacato è rafforzata dal riconoscimento dello sciopero (art. 40), privilegiatorispetto alla serrata. Per questo aspetto rileva anche l’art. 46, che prevede la collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende “nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge”. Peraltro la norma è indeterminata, in quanto rinvia al futuro la definizione di tutti i principali elementi qualificativi della partecipazione.L’art. 39 prevedeva, dunque, la possibilità per il sindacato di ottenere il riconoscimento giuridico. Secondo la norma il sindacato avrebbe dovuto iscriversi organicamente in un assetto costituzionale “con ruoli e funzioni prestabilite da un chiaro regolamento di competenze”. L’unica condizione prevista esplicitamente dall’art. per la registrazione è l’esistenza di uno statuto a base democratica. Altro requisito è stato di regola individuato in un minimo di consistenza numerica; per non previsto esplicitamente, esso è richiesto al fine di evitare la registrazione di organizzazioni del tutto inadeguate o fittizie.

6.LA CRISI DEL MODELLO COSTITUZIONALEl’art. 39, seconda parte, Cost. non ha mai ricevuto attuazione.La crisi del modello dell’art. 39 si ha già con la rottura dell’unità sindacale (1948).Comune a tutti isindacati è la paura di un controllo pubblico sulla propria organizzazione e sullo sciopero: perché l’attuazione dell’art 39 avrebbe comportato inevitabilmente al quella dell’art 40. a ciò si aggiunse anche la resistenza, soprattutto dei sindacati minoritari CISL e UIL, a inserire l’attività sindacale in

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un modello imperniato sulle rappresentanze unitarie secondo il principio di maggioranza. Tale art avrebbe infatti rinsaldato l’egemonia della CGIL, quale sindacato maggioritario, sulla contrattazione nazionale e ostacolato l’obiettivo, perseguito da CISL e UIL si favorire un’articolazione della contrattazione su base aziendali. La disciplina dell’ordinamento sindacale si sposta così nel diritto privato;il sindacato è quindi un’associazione non riconosciuta,sottratta a disciplina legislativa.

7.LO STATUTO DEI LAVORATORIL’impulso decisivo al superamento della prospettiva costituzionale del riconoscimento giuridicoavviene nel 1970 con lo Statuto dei lavoratori. La legge n. 300 è approvata nel mezzo del più intenso ciclo di lotte operaie verificatosi nella nostra storia, il biennio 1968-1970, e mira a rafforzare la presenza del sindacato nei confronti della controparte imprenditoriale e nei confronti di una pressione di base che rischiava di sfuggire al controllo delle organizzazioni. Lo statuto riprende l’ispirazione fondamentale della Costituzione di valorizzare il sindacato come agente di trasformazione sociale e di eguaglianza sostanziale, ma senza mettere in questione, anzi, confermando, la scelta privatistica dei decenni precedenti. Il campo di intervento stavolta è l’azienda, all’interno della quale il sindacato è il centro di contropotere.La legge è limitata alla realtà industriale della fabbrica,e non si riferisce alle piccole realtà produttive.

8.CONCERTAZIONE SOCIALE E INTERVENTO PUBBLICO.A)LO SCAMBIOPOLITICO NELL’EMERGENZA DEGLI ANNI ‘70Nel corso degli anni ’70 matura un profondo cambiamento nel ruolo dello stato rispetto allerelazioni industriali,che diventa infatti elemento fondamentale delle dinamiche delle relazioniindustriali.L’autogoverno delle parti sociali si rivela inidoneo rispetto alle urgenti esigenze economiche poste dalla sopravvenuta crisi nazionale e internazionale. Da mediatore che cerca di garantire le regole del gioco, lo Statuto diviene un elemento fondamentale delle dinamiche delle relazioni industriali e vi interviene quale ulteriore contraente, gestore di proprie risorse.Lo Statuto dispone di molteplici risorse: la legislazione di sostegno al sindacato; misure legislative e amministrative a favore dei lavoratori; agevolazioni di vario genere a favore dei datori di lavoro.Tra i tre attori delle relazioni industriali si realizza in questo modo quello che è stato definito “scambio politico”.I termini dello scambio sono più ampi rispetto a quelli della contrattazione economica e mettono in gioco risorse pubbliche e private: da parte sindacale, rallentamento della scala mobile, contenimento della conflittualità, maggiore flessibilità nell’uso della forza lavoro; da parte del governo, politiche di sostegno al sindacato, all’occupazione specie giovanile, fiscalizzazione dei contributi sociali, una prima flessibilizzazione della disciplina del lavoro; da parte imprenditoriale, una normalizzazione delle relazioni contrattuali e poi una modesta riduzione dell’orario di lavoro.Lo “scambio di lavoro” trova espressione emblematica negli episodi di contrattazione centralizzata sul costo del lavoro verificatasi nel 1977, nel 1983, nel 1984 e nel dicembre 1985-maggio 1986.

9.B)LE AMBIVALENZE DEGLI ANNI ‘80Negli anni ’80 si profilano condizioni nuove che influiscono nei rapporti tra Stato e parti sociali: la ripresa economica – peraltro in Italia ancora limitata -, l’innovazione e l’internazionalizzazione dell’economia alimentano tendenze “liberiste” che si diffondono a partire dai paesi forti dell’occidente capitalistico, a cominciare dagli USA.Queste tendenze però non hanno assunto in Italia un carattere assoluto, dal momento che l’affermazione di relazioni industriali apertamente liberista è ostacolata da altri fattori: la tradizione interventista del potere pubblico; la forza ancora diffusa del sindacato e il radicamento nelle istituzioni; il peso e le posizioni dei partiti più vicini al sindacato.

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La rottura del 1984 (Protocollo di San Valentino) è solo un segnale delle difficoltà di praticare inItalia lo scambio politico.Si sviluppano tendenze liberiste,superati gli anni delle grosse crisi.

10.C)CONCERTAZIONE SOCIALE E STABILIZZAZIONE ECONOMICA NEGLI ANNI‘90Gli anni ’90 sono dominati, anche per i rapporti sindacali, dai problemi del risanamento e dellastabilizzazione economica, aggravati dal peso del debito pubblico ereditato dal passato, edall’inflazione.In questo contesto la concertazione sociale si dimostra uno strumento essenziale per sostenere col consenso il difficile perseguimento di questi obiettivi, e si traduce in un’altra serie di accordi triangolari che percorrono tutto il periodo.Con l’accordo del 31 Luglio 1992 i sindacati accettano l’abolizione di un istituto storico come lascala mobile, che aveva retto per tutto il dopoguerra; ma la tappa più significativa è segnatadall’accordo del 23 LUGLIO 1993, considerato la prima costituzione delle relazioni industrialiitaliane, che sancisce la partecipazione dei sindacati confederali alle decisioni macroeconomichedell’esecutivo, e sostituisce il meccanismo automatico della scala mobile con quello della politicadei redditi. Al posto della vecchia indennità di contingenza di introduce una nuova “indennità di vacanza contrattuale” e si prevede un adeguamento biennale del salario contrattuale definito a livello nazionale.In questa vicenda il governo ha un peso più che mai incisivo sulla concertazione centralizzata. Il suo intervento non si esprime nel sostegno economico alle parti, bensì soprattutto in attività di direzione e controllo rispetto alle parti sociali. Il Governo, infatti, si impegna ad intervenire per modificare il quadro normativo in tema di disciplina del mercato del lavoro; nonché per ridare sostegno al sistema produttivo.Si tratta di un neo-interventismo visibile anche sul piano dell’iniziativa legislativa, particolarmente diffusa negli anni seguenti, che raggiunse aree tradizionalmente fra le più resistenti come lo sciopero nei servici pubblici e che privatizza aree di storica disciplina legislativa come il rapporto del pubblico impiego.

Cap. 11 pag. 23Diritto del lavoro: disciplina giuridica del lavoro subordinato la cui diffusione è avvenuta in conseguenza della rivoluzione industriale, attorno al 1750, che ha rivoluzionato di modo di lavorare, facendo passare da un’economia caratterizzata dal lavoro agricolo ad un’economia industriale. Perciò una forte concentrazione di lavoratori in un determinato luogo dando luogo a molte e complesse questioni sociali, la cui risposta viene data proprio dal diritto del lavoro. Le esigenze sorte sono di tutela in relazione alle condizioni di lavoro dettate unilateralmente dal datore di lavoro. Il fenomeno parte in Inghilterra ed in Francia. Le prime due leggi sono però di divieto alle organizzazioni dei lavoratori. In Italia si comincia a parlare del fenomeno solo dopo l’unità, tanto che il codice civile del 1865 non dedica norme alla tutela del lavoro, salvo una norma che semplicemente vietava di realizzare rapporti di lavoro a tempo indeterminato (per evitare forme di schiavitù). Gli interventi legislativi arrivano durante il periodo della c.d. legislazione sociale garantendo così dei diritti basilari che trovano una ragione d’essere con riguardo alla posizione di soggezione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (tutela della parte debole del contratto di lavoro). Il secondo periodo si ha quando con un regio decreto 1865, si scrive la legge sull’impiego privato. È un provvedimento molto importante che fa tesoro dei collegi dei probiviri che aveva il compiti di cercare una conciliazione fra le parti in una diatriba di lavoroIl diritto del lavoro trova il suo fondamento giuridico nel contratto, siamo perciò nell’ambito del diritto privato. Qui il “grande ombrello” del diritto privato viene a coprire sia il diritto commerciale e il diritto del lavoro.

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Tuttavia mentre nel contratto si assume la parità fra le parti, nel diritto del lavoro c’è disparità di forze fra le parti.

PERIODO CORPORATIVO

Nella fase di codificazione del diritto del lavoro l’esperienza corporativa segna a fondo il diritto del lavoro, facente capo all’esperienza fascista, che blocca lo sviluppo (in Italia) del diritto del lavoro in materia di:

1. Libertà sindacale 2. Diritto di sciopero (ma anche di serrata)

Tuttavia proprio durante il periodo corporativo viene a prodursi il codice civile nel 1942 che porta numerose norme tuttora in vigore. Rispetto al diritto civile, il diritto del lavoro:

1. Ha uno statuto protettivo, protegge la parte debole del rapporto2. È un diritto per la gran parte inderogabile, ovvero non è disponibile dalle parti

Fase transitoria (1943-1947) e la CostituzioneDopodiché arriva la Costituzione repubblicana che dà forza e respiro ai sindacati e al lavoro subordinato. Essa affronta le questioni sociali, sia dal punto di vista della dignità dell’individuo che trova nel lavoro, proprio nella c.d. costituzione economica, ovvero in quella parte che riguarda il lavoro.La centralità del diritto del lavoro che trova spazi più ampi rispetto al diritto commerciale

ARTICOLO 39 COST.

L’art. 39/1 è diretto a garantire la libertà sindacale sia ai singoli che ai gruppi organizzatiÈ immediatamente precettivo. Nella parte II non ha mai ricevuto attuazione mediante legge, infatti oggi sono un’associazione non riconosciuta

Art. 39 Costituzione1. L'organizzazione sindacale è libera.2. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici

locali o centrali, secondo le norme di legge (ovvero è libera)3. E' condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento

interno a base democratica.I sindacati non voglio l’attuazione dei commi 2 e 3 dell’art. 39 infatti non vi sono registri dei sindacati (temono il controllo dello stato)4. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in

proporzione (fondamentale) dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce (ovvero erga omnes, con medesima efficacia della legge)

I sindacati minoritari non vogliono l’attuazione del comma 4 (causa la loro debolezza decisionale) Dai precedenti tratti emerge la c.d. Costituzione materiale rispetto a quella formale in relazione al rifiuto del sindacato Nonostante la non attuazione dei commi 2, 3 e 4, non sono mai stati cancellati, essa sposta il sindacato dal diritti pubblico al diritto privatoCon l’attuazione dell’art. 39 il sindacato sarebbe andato verso il modello di sindacato pubblicistico. Tale rifiuto ha condotto il sindacato verso i modello del diritto privato delle OO.SS. (Organizzazioni Sindacali) CCNL (Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro)Il sindacato è una organizzazione non riconosciuta (artt. 36 e seguenti c.c.)Caduto il regime fascista, c’erano beni che sono stati acquisiti dai sindacati, coperti da una normativa scarna come quella delle organizzazioni collettive.

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Contrasta la precedente impostazione che contrastava lo sciopero. Si tratta di una libertà individuale collegato all’art. 40 che si rivolge alle organizzazioni (termine neutro molto più ampio)Soggetti che possono svolgere attività sindacale:

Imprenditore che fa contratti fa attività sindacale (tale attività si può persino esprimere anche evitando di fare contratti)

Lavoratori autonomi (es.: benzinai e tassisti)Tipi di libertà:

Libertà dallo Stato. Nessuna forma di controllo nei confronti dell’organizzazione sindacale (salvo che non compia attività illecite). Oggi il sindacato si organizza come vuole (agenzia viaggi, consulenze fiscali, ecc.)

Libertà nei confronti dal datore di lavoro. È lo statuto dei lavoratori che dà riconoscimento giuridico alla presenza del sindacato all’interno dell’azienda. Il datore di lavoro non può discriminare il lavoratore in relazione alla sua adesione o meno al sindacato. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna esistono norme che legano l’assunzione del lavoratore all’adesione a un particolare sindacato

Il codice civile e la Costituzione vengono però integrati dal moltissime leggi che realizzano lo statuto protettivo proposto dalla Costituzione attuato mediante le seguenti tappe: IL DIRITTO DEL LAVORO È DISTINTO IN:

1. Diritto del lavoro in senso stretto, che disciplina il rapporto individuale di lavoro e regola diritti e obblighi del singolo lavoratore contrapposto al singolo datore di lavoro

2. Diritto sindacale, riflette vicende o interessi collettivi conseguenti al conflitto industriale3. Diritto della previdenza (o della sicurezza) sociale, che disciplina l’erogazione di beni o

servizi a favore di chi viene a trovarsi in particolari condizioni di bisogno

Passaggio dalla legislazione negoziata alla fase della deregolamentazione controllata e concordata che negli anni ’90 ha individuato nel contratto collettivo lo strumento di gestione delle crisi aziendaliRelazioni industriali: studio dei rapporti sindacali nel contesto delle variabili economiche, sociali, politiche e tecnologiche. Si riferisce alle relazioni sindacali dei settori privati e pubbliciStatuto dei lavoratori, fondamentale atto normativo, è una sorta di carta costituzionale dei diritti dei lavoratoriDiritto sindacale: oggetto del diritto sindacale è regolare dal punto di vista giuridico le relazioni che intercorrono tra tre soggetti:

Protagonisti:1. Organizzazioni sindacali dei lavoratori 2. Organizzazioni degli imprenditori3. Stato, mediante le istituzioni pubbliche

Oggetto:4. Organizzazione collettiva dei lavoratori e dei datori di lavoro5. Contratto collettivo di lavoro6. Conflitto collettivo (sciopero e serrata)

Il codice penale sardo del 1859 vieta l’esercizio del diritto di sciopero in quanto intravedevano in queste forme di lotta sindacale, un evidente pericolo per l’ordine pubblico e per l’economia. Il primo diritto è un diritto repressivoIl codice Zanardelli del 1889 non cambia molto le coseL’organizzazione è atta a realizzare una sintesi tra tante esigenze individuali con il datore di lavoro. Oggetto fondamentale sono proprio i soldi e i primi accordi partono con la Fiat dal 1977Il sindacato si pone come interlocutore con il datore di lavoro fino a quando non interviene il regime fascistaLe norme del codice civile sono eccellenti nell’ambito del panorama internazionale

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Il periodo corporativo disconosce l’esigenza sindacale in ragione del valore della economia nazionale dal 1924 al 1944. Questo congela e paralizza qualunque sviluppo mentre la libertà sindacale negli altri paesi viene promossa e riconosciutaCaratteristiche del periodo corporativo e Costituzione:

1. Un solo sindacato per categoria, che ha personalità giuridica di diritto pubblico e che viene riconosciuto dallo Stato

2. Contratto collettivo corporativo. Sindacato che non è in conflitto ma che opera, essendone abilitato dallo Stato, per realizzare contratti collettivi corporativi. L’attenzione sul periodo corporativo è legata al fatto che il nostro diritto del lavoro parte proprio da tale periodo Il contratto collettivo corporativo veniva riconosciuto dall’art. 1 delle preleggi ed aveva efficacia erga omnes, ovvero a prescindere che il datore di lavoro o del lavoro fossero iscritti da quel sindacato

3. Corporazioni4. Codice Rocco, codice penale del 1930, contiene una serie di norme che vietano lo sciopero

per motivi economici, non c’è libertà di pensiero, non c’è possibilità di fare scioperi politici rendendo, di fatto, impossibile lo sciopero

5. Costituzione, in part. dall’art. 40, contrasta con il codice Rocco e solo la Corte Costituzionale con la sua giurisprudenza “rimedia” a tali antinomie

L’attuazione del diritto sindacale ha trovato molti ostacoli ed il giudizio del diritto sindacale in costituzione è di parziale attuazioneOrganizzazione in grado di garantire la libertà sindacale anche a forme di condivisione di interessi collettivi diverse da quelle tipicamente associativaAttività sindacale: una fra le più importanti espressioni di libertàL’art. 39 prevedeva un registro pubblico che fosse subordinato ad un controllo sulla democraticità interna dello statuto. Il rifiuto ha spostato l’ambito giuridico della disciplina dal diritto pubblico al diritto privato. Il fenomeno sindacale trova nel diritto privato alcuni principi che possono sicuramente attagliarsi al fenomeno sindacale. La disciplina utilizzata dai giudici (in gran parte) artt. 36 e ss. c.c. che regolano il fenomeno dell’associazione non riconosciuta. È una disciplina troppo minimale per un fenomeno così importante (dello stesso problema soffrono anche i partiti politici, anch’essi associazioni non riconosciute)Il problema sorge in caso di divisione di patrimoni, regolati attraverso le discipline statutarie ai sensi dell’art. 36 c.c.Vi sono 2 caratteristiche tipiche del nostro sindacato dei lavoratori in relazione al pluralismo sindacale (che vede molte organizzazioni sindacali nel nostro paese), organizzato su:

1. Base territoriale2. Categoria dei rappresentati. Mestiere svolto dai rappresentati. Es. il sindacato dei

macchinisti, si occupano esclusivamente di gruppi di lavoratori, si tratta di un sindacalismo molto potente (grazie allo sciopero) ma numericamente marginale

Mentre il sindacato dei lavoratori ha un forte carattere politico, è minore nei sindacati degli imprenditoriUno dei caratteri del sindacalismo italiano è la sua organizzazione su basi pluralistiche, ovvero in organizzazioni distinte a seconda delle concezioni culturali, ideologiche e di ascendenze politicheConfederazioni sindacali:

CGIL: 1944, sinistra italiana CISL: 1950, ispirazione cattolica UIL: 1950, componenti socialiste, repubblicane e socialdemocratiche CISNAL (ora UGL): neo-fascista

Hanno una base politica, è un fenomeno tipico del sindacalismo italiano, è stata una scelta dei sindacatiIl sindacato entra in azienda attraverso le strutture dei lavoratori

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Tappe legislative importanti:

1. L. 604/66, prima legge di tutela contro i licenziamenti

2. L. 300/1970, Statuto dei lavoratori, la legislazione lavoristica degli anni 60 è originata dai movimenti sociali e possiamo definire “promozionali” e porta allo Statuto che favorisce la vita e la sopravvivenza del sindacato. Esso è un centro di contro potere nell’azienda ed è chiamato ad un’assunzione di responsabilità facendo le regole mediante i contratti collettivi

3. 1974, fenomeno dell’austerity, si apre per le aziende di tutto il mondo una profonda crisi determinata dalla necessità di trasformazione dei sistemi produttivi, segnando a sua volta il diritto del lavoro, il quale diviene un “distributore di sacrifici” dando sì quote di tutela ma anche distribuendo la difficoltà delle imprese sui lavoratori. Se ne esce con un sindacato un po’ acciaccato (nel senso della perdita di consenso), tuttavia, verso la fine degli anni 80, il sindacato che si è fatto responsabile e che ha condiviso con il governo il problema diviene parte della contrattazione centralizzata si apre la fase della concertazione, che porta il sindacato a trattare con il governo

4. L. 146/1990, legge sugli scioperi

5. D. lgs 29/1993, Testo unico del pubblico impiego, riforma l’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione

6. 2000/2001, il precedente periodo termina. La legislazione del lavoro comincia a preoccuparsi dei modi di lavorare (es. collaborazione coordinate e cooperative). Tale legislazione è fortemente influenzata dal diritto europeo. Il diritto del lavoro inizia ad avere una grande attenzione alle esigenze dell’impresa in relazione alla flessibilità, cambiando il diritto del lavoro

7. D. lgs 61/2000, sul lavoro part time8. D. lgs 368/2001, sul contratto a termine che opta per una flessibilità non negoziata ma

realizzata direttamente per legge9. D. lgs nr. 276/2003, c.d. legge Biagi, c’è una grande riforma del lavoro, che si occupa delle

tipologie di lavoro (peraltro Biagi ha scritto solo una parte non sostanziale di tale legge che ha preso il nome). È composta da 86 articoli di legge dei quali la Corte Costituzionale ha “fatto fuori” solo un commaIl termine concertazione viene sostituito dal dialogo sociale

B) FUNZIONI E ISTITUZIONI PUBBLICHE NEL DIRITTO SINDACALE1.L’INTERVENTO PUBBLICO NELLE RELAZIONI INDUSTRIALIL’intervento dello Stato e dei pubblici poteri nelle relazioni industriali ha avuto storicamenteun’importanza sempre rilevante. Attualmente vi sono varie funzioni dello Stato rilevanti per lerelazioni industriali: la funzione programmatoria e di governo; la funzione legislativa; la funzionedecisoria, che si esplica attraverso la giurisprudenza ordinaria; la funzione conciliativa e mediatoria;le funzioni assistenziali o di welfare; le funzioni di gestione diretta dei rapporti dilavoro. Analogamente sono molteplici gli organi di intervento: oltre a governo, parlamento,magistratura ed enti locali, operano altri organi di rilevanza costituzionale (il CNEL),e organi delministero del lavoro

2.LE FUNZIONI DELLO STATO NELLE RELAZIONI INDUSTRIALI: LA FUNZIONEMEDIATORIA E CONCILIATIVATradizionalmente si distinguono le forme di intervento mediatorio e conciliativo a seconda che esse riguardino controversie giuridiche o economiche. La prima distinzione è riferita all’oggetto della controversia: quelle giuridiche riguarderebbero l’applicazione di norme già esistenti; quelle

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economiche la modifica di norme esistenti o la creazione di norme nuove. La seconda distinzione riguarda i soggetti, o meglio interessi, di gruppi o di collettività coinvolte nella disputa.L’esercizio di tale funzione può limitarsi a mettere in contatto le parti,a favorire il chiarimento delleposizioni reciproche, a esplorare punti di convergenza. Rientra nelle competenze del Ministero dellavoro e degli organi periferici, ed in Italia si è sempre svolta con caratteri di accentuata informalità, diversamente dalla maggioranza degli ordinamenti sindacali avanzati.

3.LA FUNZIONE ASSISTENZIALE (O DI “WELFARE”)

Si tratta di una funzione sviluppata straordinariamente in tutti gli ordinamenti capitalistici avanzati, così da denotare un carattere essenziale usualmente sintetizzato con l'espressione di “welfare state”. Si esprime in una vasta serie di interventi legislativi,amministrativi e finanziari,relativi all’interagamma dei rapporti sociali e impegna una consistente fetta delle risorse nazionali. Sono da segnalare re tipi di intervento: quelli di previdenza, di sicurezza e assistenza sociale in senso stretto: gli aiuti alle imprese; gli interventi di politica fiscale. La legislazione della previdenza e della sicurezza sociale costituisce una delle componenti originarie dell'intervento statale nei rapporti sociali.Alcuni di questi interventi rivestono una incidenza particolare sui rapporti collettivi. Si tratta delle prestazioni dirette a garantire il reddito dei lavoratori e , direttamente o indirettamente, il posto di lavoro a fronte delle crisi occupazionali e processi di retribuzione in casi di riduzione-sospensione del lavoro e cassa integrazione, nonché in genere sostegno della domanda sul mercato del lavoro.

4.LA FUNZIONE DI DATORE DI LAVOROTale funzione è svolta direttamente nel pubblico impiego,che a causa dei risultati insoddisfacentidel settore pubblico ha portato alla privatizzazione,sia nelle aziende pubbliche,sia nel rapporto diimpiego.

5.LA FUNZIONE PROGRAMMATORIALa programmazione è considerata lo strumento per eccellenza di guida pubblica delle politicheeconomiche e sociali: un rilievo particolare lo ha assunto l’intervento dello stato nella dinamica deiredditi, diretto cioè a predeterminare gli aumenti dei redditi da lavoro e anche dei prezzi,soprattuttoa fini di contenimento dell’inflazione. Un rilievo particolare ha assunto, nella maggior parte di questi paesi, l'intervento dello Stato nella dinamica dei redditi, diretto cioè a predeterminare gli aumenti dei redditi da lavoro e talora anche dei prezzi, soprattutto a fini di contenimento dell'inflazione.

6.GLI ORGANI E LE ISTITUZIONI NAZIONALIa) Il CNEL (Consiglio nazionale dell’ economia e del lavoro),previsto dall’art.99 Cost. etutelato da diverse leggi,ha compito di consulenza nei confronti delle camere e delgoverno,di iniziativa legislativa e di contributo all’elaborazione della legislazioneeconomica e sociale. È composto da 111 membri, di cui 12 esperti e gli altri rappresentanti delle categorie produttive, nominati dal Presidente della Repubblica su proposta governativa e su designazione delle organizzazioni più rappresentate. L'attività del Consiglio è stata a lungo marginale, oltre che per la debolezza dei poteri formali, per la diffidenza e la disattenzione che lo ha circondato. A togliergli spazio ha contribuito dapprima la sua struttura corporativa e poi la prassi di consultazioni e contrattazioni tra sindacati, imprenditori e governo o istituzioni pubbliche su molte materie di grande rilievo economico sociale.b) Il Ministero del lavoro ha avuto tradizionalmente competenza amministrativa generale inmateria di lavoro e di sicurezza sociale. Operano diverse commissioni,composte dirappresentanti dei lavoratori e dei datori. Al ministero restano compiti di indirizzo,dicontrollo e vigilanza,esercitati attraverso l’Ispettorato del lavoro.

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c) Organismi a composizione tripartita in materia di lavoro individuali e collettivi costituisce una tendenza di lontana origine, ma si è esteso soprattutto negli ultimi anni in Italia e in quasi tutti i paesi europei.d) Il governo,coinvolto nelle relazioni industriali con forme diverse: nella consultazione-contrattazione con le parti sociali per le maggiori decisioni economico-sociali fino alla definizione delle linee programmatiche dell'economia; in decisioni collegiali di ministri economici su questioni di politica industriale e del mercato del lavoro incidenti nei rapporti collettivi; nel settore del pubblico impiego come protagonista della contrattazione collettiva.

7 pag. 31 8.L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA E GLI ORGANISMIINTERNAZIONALIL’internazionalizzazione dell’economia riduca progressivamente il ruolo dello Stato nelle relazioniindustriali;sono state fondate quindi forme di autorità sopranazionale per regolare questi rapporti:a) L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL),del 1919 con sede a Ginevra, èl’organismo con competenze generali,soprattutto normative e di assistenza in materia dilavoro,svolte per migliorare le condizioni sociali e del lavoro.b) Il Consiglio d’Europa,del 1949, che ha elaborato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Ha elaborato anche la Carta sociale europea che sanciscediversi principi fondamentali in materia di lavoro: diritto al lavoro,alla retribuzione,ecc.

9.IL DIRITTO DEL LAVORO E LE ISTITUZIONI EUROPEEL’Europa è la prima area del mondo sviluppato che si è data organismi e progressivamente un veroordinamento sopranazionale,competente anche per i rapporti di lavoro. La Commissione ha ilcompito di promuovere la consultazione delle parti sociali a livello comunitario. (riguardare libro)

CAPITOLO II: L’ORGANIZZAZIONE DEI LAVORATORI E DEGLIIMPRENDITORI1. Linee generali: le caratteristiche organizzative dei sindacati dei lavoratori e degli imprenditori risultano strettamente influenzate dalle vicende storiche e dal contesto generale dei rapporti di lavoro che si realizza in ciascun sistema. Un dato tipico della situazione italiana è lo sviluppo tardivo dell’organizzazione sindacale, a causa del ritardo del processo di industrializzazione nel nostro paese, oltre che per la generale fragilità del nostro sistema economico e la debolezza del mercato del lavoro (la Federazione della Camera del lavoro si costituisce nel 1893, ma è un organismo alquanto debole e solo nel 1906 si forma la Confederazione generale del lavoro); un altro carattere è la forte politicizzazione, intesa sia come connotazione ideologica sia come connessione con gli stessi partiti politici. Di qui la tradizionale divisione tra le grandi centrali sindacali che, realizzatasi già nel periodo prefascista, si è riprodotta nell'immediato dopoguerra.

Da notare che, nel caso italiano, la struttura delle organizzazioni imprenditoriali si è modellata su quella dei sindacati dei lavoratori. La pluralità organizzativa riscontrabile tra gli imprenditori risponde a criteri diversi: il settore economico (Confindustria, Confcommercio, Confagricoltura); le dimensioni di imprese (Confapi); il carattere privato o pubblico (Confindustria-Intersind, Asap).Diverso rilievo assume l’associazione sindacale per i lavoratori e per i datori. Solo per i primi è un fenomeno necessario, nel senso che sono soggetti sindacati solo in quanto organizzati; mentre i secondi possono esserlo anche come individui.

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2. I modelli organizzativi: esiste una duplice linea organizzativa in ogni centrale sindacale: verticale e orizzontale. La prima ha quale elemento di aggregazione l’appartenenza dei lavoratori, e delle imprese da cui dipendono, allo stesso settore o categoria produttiva (es. sindacato dei tessili, dei metalmeccanici,ecc…); la seconda, invece, comprende tutti i lavoratori e le imprese (nonché gli organismi verticali) dei vari settori merceologici presenti in un determinato ambito geografico. Entrambe le linee organizzative non solo coesistono e s’intersecano entro ogni sindacato, ma consistono ciascuna di varie strutture o istanze, di diversa dimensione, dal luogo di lavoro, alla zona territoriale circoscritta fino all’ambito nazionale.Le confederazioni rappresentano il vertice sia delle strutture orizzontali (s.o.) che di quelle verticali (s.v.); le tre maggiori sono: la CGIL, la CISL, la UIL. Eguale importanza le strutture orizzontali hanno nell’organizzazione degli imprenditori.

3. L’organizzazione sindacale: evoluzione storica: l’evoluzione sindacale nel secondo dopoguerra segue fasi significative per l’intero assetto delle nostre relazioni industriali: 1)Periodo ’48-58: per oltre un decennio le condizioni socio-politiche (tensioni sociali, politiche pubbliche di controllo e repressione sindacale) ed economiche (forte disoccupazione) contribuiscono a mantenere il sindacato in situazione di debolezza organizzativa e di divisione politica. 2) Anni della crescita: con il boom economico, la crescita comporta un rafforzamento della posizione dei lavoratori sul mercato del lavoro, in particolar modo nei settori dell’industria di massa; a ciò contribuisce il mutato quadro politico, l’atteggiamento dei pubblici poteri, più favorevole all’organizzazione sindacale, e la modernizzazione sociale. La CGIL, la CISL e la UIL si avvicinano; vi è più interesse ai temi dell’impresa e della contrattazione aziendale. 3) Decennio ’80: a causa di una diffusa crisi economica a livello internazionale, che determina fenomeni di ristrutturazione e innovazione produttiva, questa fase presenta tendenze contrastanti. 4) Decennio ’90: il decennio ’90 ereditadal passato i fattori di crisi di rappresentatività del sindacato specie confederale, e questo rende più urgente la modifica delle regole del gioco prevedendo criteri di rappresentatività effettivi dell’organizzazione sindacale; il tutto è reso ancor più complesso dalla concorrenzialità tra sigle sindacali, sviluppatasi sia all’esterno delle grandi centrali confederali, sia all’interno delle stesse.

4. L’attuale struttura organizzativa del sindacato: l’attuale struttura organizzativa risulta basata su quattro livelli: 1)Alla base stanno le strutture presenti nei luoghi di lavoro (delegati nel settore privato, sezioni sindacali o simili nel settore pubblico). 2) Il secondo livello è quello provinciale o comprensoriale. Qui sono presenti le s.v., i sindacati provinciali delle varie categorie e le strutture orizzontali, variamente denominate: Camere del Lavoro per la CGIL, Camera sindacale per la UIL, Unioni sindacali per la CISL. 3) Il livello regionale, sia orizzontale, sia di categoria, di più recente costituzione, è provvisto di potericrescenti anche in corrispondenza del decentramento amministrativo e regionale. 4) In ambito nazionale operano le strutture di vertice dell’intera organizzazione, le federazioni nazionali di categoria e la confederazione.La distinzione tra s.o. e s.v. si basa su una fondamentale divisione di compiti nel sindacato: alle s.o. spetta di fissare gli indirizzi essenziali di politica sindacale, economica, contrattuale per tutta l’organizzazione, di cui rappresentano tendenzialmente l’istanza di direzione politica e di rappresentanza nei confronti dei poteri pubblici. Le s.v. sono competenti per la conduzione dell’attività contrattuale e delle iniziative di rilievo settoriale.Per quanto riguarda la tipologia degli organi delle varie strutture, essa riproduce quella usuale delleassociazioni.Le principali fonti di finanziamento dei sindacati sono: la quota tessera, principale introito delle centrali confederali, i contributi associativi, e la quota di servizio.L’elemento distintivo del sindacalismo italiano è la sua organizzazione su basi pluralistiche, vale a dire in organizzazioni distinte a seconda di concezioni culturali, ideologiche e ascendenze politiche.CGIL = componenti/ispirazioni legate ai partiti della sinistra italiana (socialista e comunista)

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CISL = ispirazione cattolica e a lungo collaterale alla DC, anche lavoratori di aree diverseUIL = componenti socialiste, repubblicane e socialdemocraticheIl luglio 1972 vede la nascita della federazione CGIL-CISL-UIL attraverso un Patto federativo, momento culminante di avvio all’unità organica, da sempre un traguardo di difficile raggiungimento a causa delle divisioni sul ruolo del sindacato e sui rapporti con i partiti politici; nonostante questo, i contrasti degli anni ’80, culminanti nella rottura dell’84 fra CGIL, CISL e UIL sull’accordo antinflazione, hanno portato allo scioglimento della federazione.RIGUARDARE

5. L’organizzazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro: sviluppo storico:l’espressione degli interessi collettivi dei lavoratori in azienda è stata, dalle origini fino agli anni ’60, affidata ad una rappresentanza, la commissione interna (CI), strutturalmente diversa dal sindacato, in quanto costituita non su base associativa come questo, ma elettivamente da tutti i lavoratori dell’azienda; la CI è una forma rappresentativa unitaria e necessaria: compito generale di questo organismo era di “mantenere normali rapporti tra i lavoratori e la direzione dell’azienda per il regolare svolgimento dell’attività produttiva, in uno spirito di collaborazione”.In risposta all’esigenza di avere una diretta presenza organizzata in azienda, senza il tramite delle CI, arrivano le sezioni sindacali aziendali; tuttavia queste non riuscirono a diffondersi al di fuori di poche aziende industriali, anche perché non erano riconosciute come strutture con pieni poteri sindacali. Vi sono poi i delegati di fabbrica, i cui caratteri principali sono di essere eletti in modo unitario da un gruppo ristretto di lavoratori collocato nella stessa condizione produttiva; l’insieme dei delegati forma il Consiglio di fabbrica (CdF).

6. L’attuale organizzazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro: il Protocollo del luglio 1993 definisce i compiti e le modalità costitutive delle nuove strutture di base, le c.d. Rappresentanze sindacali unitarie (RSU). Le RSU hanno competenze generali di tutela collettiva dei lavoratori in azienda, compresa la titolarità contrattuale, nei limiti delle competenze attribuite dal contratto collettivo nazionale a quello decentrato. Le RSU sono composte da delegati in numero proporzionale ai voti ricevuti da ciascuna lista; tuttavia, le organizzazioni stipulanti il contratto nazionale si assicurano la designazione di un terzo dei delegati, in modo da garantirsi il controllo della struttura. La RSU è organo dell’insieme dei lavoratori e funge al tempo stesso da struttura comune di rappresentanza dei sindacati in azienda; resta tuttavia confermata la tradizione del c.d. “canale unico” sindacale di rappresentanza, per cui gli organismi rappresentativi sono controllati dal sindacato ed hanno la totalità delle competenze di autotutela collettiva in azienda, a differenza della maggioranza dei paesi europei che predilige il canale “doppio” o “plurimo” di rappresentanza, ove si distingue fra rappresentanze sindacali in senso stretto e organismi eletti da tutti i lavoratori.

7. L’organizzazione degli imprenditori in generale: l’organizzazione degli imprenditori è un fenomeno storicamente indotto, o di risposta, rispetto al sindacato dei lavoratori e ne riproduce i tratti organizzativi generali: doppia linea organizzativa, prevalenza delle strutture orizzontali, tradizionale accentramento.CONFINDUSTRIA = organizzazione imprenditori industrialiCONFCOMMERCIO = organizzazione imprenditori del commercioCONFAGRICOLTURA = organizzazione imprenditori dell’agricolturaOrganizzazioni delle imprese a partecipazione statale = Intersind (imprese del gruppo IRI) – Asap (imprese del gruppo ENI).L’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale) ha due scopi: a) sostituire le varie delegazioni di parte pubblica, politicizzate e precarie, con un’unica controparte, tecnica e stabile; b) contribuire a dare piena efficacia alla contrattazione collettiva ormai di diritto comune.

8. La Confindustria: la Confindustria è l’organizzazione imprenditoriale più consistente: le imprese associate operano nell’industria e nel c.d. terziario avanzato (trasporti, comunicazioni,

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turismo). Più della metà delle imprese rappresentate impiegano meno di 10 dipendenti. Le strutture portanti (orizzontali) sono le associazioni territoriali (più o meno una provincia); a queste fanno capo tutte le imprese della provincia, che spesso non aderiscono alla loro organizzazione (verticale) di categoria. La principale attività svolta dalle associazioni territoriali è l’assistenza fornita alle aziende in materia di contrattazione, applicazione dei contratti e delle leggi sul lavoro e composizione delle controversie relative. Le federazioni di categoria (di cui la Federmeccanica è la più importante) svolgono un ruolo significativo nella preparazione e conduzione delle tornate contrattuali nazionali, nonché nell’indirizzo della contrattazione decentrata. La struttura organizzativa della Confindustria (assemblea, giunta, consiglio direttivo e presidente) la rende simile ad una associazione; sono previsti tre comitati particolari, con funzioni consultive (comitato per le piccole imprese; comitato per il mezzogiorno; comitato dei giovani industriali). Decisivo è il ruolo della presidenza.

9. Organizzazioni sindacali a livello internazionale e comunitario: la CISL (ConfederazioneInternazionale dei Sindacati Liberi) è l’organizzazione sindacale internazionale più rappresentativa dei lavoratori. A livello verticale si sono sviluppate federazioni internazionali di categoria, con compiti di coordinamento dell’azione sindacale. La CES (Confederazione Europea dei Sindacati) rappresenta oltre trenta organizzazioni. Non esistono centrali internazionale degli imprenditori paragonabili a quelle dei lavoratori: gli imprenditori sono rappresentati all’OIL. L’UNICE (Unione delle Industrie della Comunità europea) raggruppa le organizzazioni padronali dei paesi membri per settori di attività.

Il sindacato entra in azienda attraverso le strutture dei lavoratoriIl principio di libertà sindacale trova rispondenza nell’art. 14 dello statuto dei lavoratori che funge da (c.d.) legislazione di sostegno all’art 39 cost. È la norma che universalmente, rende libera l’attività sindacale, a prescindere dall’iscrizione ad uno specifico sindacato. Ciò ovviamente cercando di comporre l’interesse del datore di lavoro che viene, attraverso la legge, compressa limitata e regolamentata per tutelare l’attività dei lavoratori e per dare spazio all’attività sindacaleIl titolo II dello statuto è composto da 5 norme (dall’art. 14 al 18) che traducono il principio dell’art. 39 Cost.. Due linee orizzontali e verticali

Linee orizzontali: base territoriale Linee verticali: categoria (linee rosse)1

Sindacato

Nazionale Segreteria Nazionale Esecutivo

Regionale Segreteria Regionale EsecutivoProvinciale

compr.Segreteria Provinciale Direttivo

AziendaleAll’interno del sindacato territorio (struttura orizzontale) esistono strutture che hanno come riferimento una categoria merceologica (struttura verticale). Queste ultime fanno attività di contrattazione collettiva con le corrispondenti associazioni imprenditoriali date dal requisito della categoria

La prima forma di organizzazione sindacale è il sindacato di mestiere, il quale ha assunto il mestiere esercitato dai lavoratori come criterio individuante il gruppo professionale.Successivamente si è venuto a creare il sindacato per ramo d’industria, in cui i lavoratori erano organizzati secondo il tipo di attività produttiva esercitata dall’impresa da cui dipendevano.In Italia inizialmente furono numerosi i sindacati di mestiere, ma con il tempo si affermò il modello dei sindacati per ramo d’industria.La formula del sindacato di mestiere attualmente è praticata nell’area dei sindacati autonomi, cioè non aderenti alle 3 Confederazioni sindacali: i lavoratori non ritenendo i propri interessi tutelati dalla

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politica delle maggiori organizzazioni, tendono ad organizzarsi in sindacati separati che hanno nella professione esercitata il punto di aggregazione.

La struttura organizzativa delle maggiori Confederazioni sindacali può essere così sintetizzata:

L’unità di base è l’organizzazione nel luogo di lavoro, ma i lavoratori che lavorano in una impresa nella quale non esiste tale struttura, possono aderire direttamente alla struttura territoriale.La struttura del luogo di lavoro confluisce, in via verticale, nelle Strutture territoriali di categoria, che possono essere provinciali, regionali o nazionali.Le strutture territoriali di categoria confluiscono poi, in via orizzontale, in strutture territoriali intercategoriali.Quindi le Strutture territoriali intercategoriali confluiscono poi in Strutture regionali intercategoriali, le quali infine formano la Confederazione.

Un aspetto importante del sindacalismo è quello relativo al regime di unità o di pluralismo.In Italia nel 1944 la DC, il PCI e il PSI stipularono un accordo, detto Patto di Roma, per far rinascere il sindacalismo libero creando un’unica Confederazione, la CGIL, che avrebbe organizzato tutti i lavoratori indipendentemente dal loro orientamento politico.Nel 1948 la CGIL unitaria su abbandonata dalla corrente cattolica, che formò la CISL, e nel 1949 la corrente socialdemocratica e repubblicana si distaccò formando la UIL.Nel 1972 le tre Confederazioni stipularono un patto con il quale fu creata la Federazione CGIL, CISL e UIL.Gli organi di questa erano composti dai corrispondenti organi delle 3 confederazioni in modo da riconoscersi reciprocamente pari peso nelle decisioni.Questo equilibrio resse fino al 1984, anno in cui si sciolse la Federazione.La necessità di convivenza impose la ripresa di una prassi unitaria, pur in una netta separazione tra le tre organizzazioni.Tale prassi unitaria negli anni non ha comunque impedito il prodursi di accordi sottoscritti solo da CISL e UIL e non dalla CGIL.Accanto ai 3 sindacati principali esistono tutta una serie di organizzazioni autonome, che pur facendosi talvolta portatrici di dissenso rispetto alla linea politica dei sindacati maggiori, non riescono ad assurgere definitivamente al ruolo di stabili interlocutori del processo negoziale

A livello europeo le 3 Confederazioni italiane aderiscono alla Confederazione europea dei sindacati (CES). Le maggiori Confederazioni italiane aderiscono anche ad organizzazioni sindacali internazionali.Esse aderiscono Confederazione internazione dei sindacati liberi (CISL internazionale).

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L’associazionismo sindacale degli imprenditori nasce dall’esigenza di contrastare la controparte.In Italia, i datori di lavoro si raggruppano in confederazioni che si distinguono per grandi settori economici. Le maggiori organizzazioni degli imprenditori sono la Confindustria, la Confcommercio e la Confagricoltura.La legge, invece, assegna all’ARAN la rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni.Nel settore agricolo, oltre alla Confagricoltura, operano anche la Coldiretti e la Confcoltivatori, che organizzano piccoli e piccolissimi imprenditori agricoli.L’unità di base della Confindustria è l’Associazione provinciale degli industriali, che riunisce gli industriali di tutte le categorie produttive operanti nell’ambito di una stessa provincia.Le associazioni provinciali operanti nell’ambito di una regione sono raggruppate in una federazione regionale.Sul piano nazionale esistono federazioni nazionali di categoria, le quali insieme alle associazioni provinciali danno luogo alla Confindustria.Deve dirsi che anche le organizzazioni del movimento cooperativo e degli artigiani svolgono una funzione sindacale.Anche gli imprenditori hanno percepito la necessità di organizzarsi a livello europeo e a tal fine gli imprenditori privati si sono organizzati nella Unione delle confederazioni industriali e dei datori di lavoro di Europa (UNICE) e i datori di lavoro pubblici nel Centro europeo dell’impresa pubblica (CEEP).

CAPITOLO III: LA LIBERTÀ SINDACALE1. Norme nazionali ed internazionali: nel nostro ordinamento il riconoscimento della libertà sindacale si incentra sul sintetico disposto dell’art. 39 Cost, 1° comma (“l’organizzazione sindacale è libera”); a questo si aggiungono diverse fonti internazionali, tra cui le Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, n° 87 (libertà sindacale e protezione dei fenomeni sindacali in genere) e n° 98 (principio del diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva nei rapporti interprivati e nei confronti dei datori di lavoro); inoltre la libertà di associazione e di attività sindacale trova spazio nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 e nella Carta sociale europea del 1961.Di fondamentale importanza sono pure le disposizioni dettate dallo Statuto dei lavoratori in materiasindacale; in modo particolare il titolo II della legge 300 costituisce una concreta articolazione del principio costituzionale con riguardo all’ambito endoaziendale [diritto di associazione e di attività sindacale nei luoghi di lavoro (art. 14), divieto di trattamenti discriminatori in ragione di affiliazione o attività sindacale (artt. 15 e 16), ecc…].La libertà garantita a livello costituzionale all’organizzazione sindacale va oltre quella sancita in linea generale per il fenomeno associativo di cui all’art. 18 Cost. (infatti l’art 39 non considera il sindacato quale “associazione”, bensì quale “organizzazione”, allargando quindi la sfera d’azione anche a forme organizzatorie non necessariamente a carattere associativo, come ad esempio le CI e i CdF).

2. I contenuti dell’art. 39, 1° comma, Cost.: il profilo individuale e quello collettivo: l’art. 39, 1° comma, Cost. garantisce la libertà sindacale tanto ai singoli individui che ai gruppi organizzati.Profilo individuale: distinzione tra libertà sindacale positiva e libertà sindacale negativa; la prima consiste nella libertà per il singolo di costituire un sindacato, di aderirvi, di fare opera di proselitismo, di raccogliere contributi sindacali, di riunirsi in assemblea (Convenzione OIL n° 87 e art. 14 legge 300 1970 per garantirne l’attuazione nei luoghi di lavoro; a questo si lega l’art. 15 che decreta la nullità dei (p)atti discriminatori rivolti a colpire un lavoratore in ragione della sua adesione ad un’associazione sindacale). Alla lettera a dell’art. 15 è rinvenibile l’unico riferimento presente nella legislazione italiana alla libertà sindacale negativa, ossia la libertà del lavoratore di non aderire o di recedere dal sindacato; questo tipo di libertà non trova invece spazio nelle fonti internazionali, a causa dell’esistenza, specie su suolo anglosassone, di pratiche restrittive di tale libertà negativa (v. closed shop).Profilo collettivo: A) libertà di organizzazione del sindacato garantita sia a livello nazionale che

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internazionale, con conseguente libertà di scelta delle forme organizzative e delle regole che disciplinano l’assetto interno, oltre alla libertà di definire gli obiettivi e gli strumenti dell’attività sindacale, senza alcuna interferenza esterna; allo stesso modo è garantita la facoltà del sindacato di aderire ad organizzazioni complesse, sia a livello nazionale che internazionale; B) Libertà di privilegiare, all’interno dell’organizzazione sindacale, il ruolo e i poteri del vertice o della base, secondo le contingenti valutazioni di strategia e di opportunità; C) possibilità di valorizzare il ruolo di rappresentanza degli associati o piuttosto di rappresentanza dell’intera classe dei lavoratori; D) possibilità di privilegiare il confronto o con la controparte datoriale o con le pubbliche istituzioni, valorizzando all’interno del confronto un modello conflittuale o invece un modello cooperativo; E) libertà di azione sindacale e, in particolare, dell’azione contrattuale, come affermato nelle fonti internazionali (Convenzione OIL n° 98).La libertà sindacale, oltre che come libertà di organizzazione e di azione specie contrattuale, va intesa anche come libertà di lotta.

3. Il carattere “sindacale” dell’organizzazione protetta: è opportuno ora considerare quali organizzazioni e attività rientrino nella fattispecie “sindacale” prevista dal 1° comma dell’art. 39, e possano quindi godere di tutte le garanzie connesse a tale norma, dalla quale può solo desumersi un rinvio alla realtà sociale; un’attenta analisi del fenomeno sindacale mette in luce, innanzitutto, il c.d. profilo teleologico (o oggettivo), vale a dire il fine perseguito dalla fattispecie sindacale, che può essere individuato nella funzione di “autotutela di interessi connessi a relazioni giuridiche in cui sia dedotta l’attività di lavoro”: sotto questo aspetto la convergenza tra fenomeno sindacale e momento politico-partitico è più che netta, visto e considerato che entrambe le realtà insistono sugli stessi temi (gli interessi dei lavoratori); ed è qui che interviene un valido criterio discriminante, ossia le attività e gli strumenti impiegati dal fenomeno sindacale per il raggiungimento dell’obbiettivo preposto (profilo strumentale = organizzazione, contrattazione, sciopero). Per quanto riguarda il profilo soggettivo, basta dire che il concetto di “autotutela” implica pur sempre una gestione degli interessi collettivi posta in essere dagli stessi lavoratori o da espressioni immediate di loro rappresentanza.

4. La titolarità della libertà sindacale: questione della titolarità della libertà sindacale da parte degli imprenditori, in merito al fatto se tale attività debba ritenersi riconducibile, come quella dei lavoratori, alla tutela costituzionale dell’art. 39, 1° comma, o piuttosto se rimanga nell’ambito della libertà di associazione e di iniziativa economica (artt. 18 e 41 Cost.), con i limiti del caso. È opportuno considerare anzitutto le diversità tra l’attività sindacale dei lavoratori e degli imprenditori: 1) Sul versante dei lavoratori, l’attività sindacale è un fenomeno “collettivo”, mentre il datore di lavoro è soggetto sindacale anche come singolo.2) Il contratto collettivo è inderogabile in peius dai singoli lavoratori, a conferma di una peculiare solidarietà di classe; è invece derogabile dal singolo datore di lavoro, a conferma di una maggiore autonomia del singolo rispetto al collettivo.Libertà sindacale dei lavoratori parasubordinati e autonomi: i primi trovano spiegazione nel processo espansivo del diritto del lavoro proteso ad estendere le proprie garanzie in direzione di ogni ipotesi di dipendenza sociale ed economica; per i secondi (i lavoratori autonomi), le istanze di tutela “sindacale” dei gruppi professionali, prima confluite all’interno degli organismi professionali, hanno successivamente indotto lo sviluppo collaterale di forme associative di natura privatistici con struttura e finalità peculiarmente sindacali.Libertà sindacale dei pubblici dipendenti: il riconoscimento della libertà sindacale ai pubblici dipendenti non è mai stato messo in discussione, visto che alla incondizionata portata precettiva della norma costituzionale ha subito fatto riscontro nella pratica il diffuso ingresso del sindacalismo nelle amministrazioni pubbliche; a completare l’opera è intervenuto il D. Lgs. n° 29/1993 che, nel privatizzare il rapporto di pubblico impiego, ha sancito la piena tutela della libertà e dell’attività sindacale nel settore pubblico.

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5. La multidirezionalità della tutela dell’art. 39, 1° comma, Cost.: il riconoscimento costituzionale della libertà sindacale esplica i suoi effetti sia sul piano del diritto pubblico – garantendo l’immunità dell’organizzazione sindacale nei confronti dello Stato e dei pubblici poteri – sia su quello dei rapporti privati e soprattutto nei confronti del datore di lavoro. Per quanto riguarda i pubblici poteri, ad essi è quindi preclusa ogni possibilità di controllo o ingerenza nella sfera organizzativa e nella identità politico-ideologica dei sindacati; è altresì vietato ogni condizionamento autoritativo, che possa irreggimentare il sindacato e la sua azione secondo le linee della politica governativa. Il problema della garanzia nei confronti di interventi dei pubblici poteri si presenta riguardo alla libertà di contrattazione collettiva, ossia riguardo alla possibilità che iniziative di carattere legislativo o amministrativo modifichino o pongano limiti inderogabili agliaccordi intervenuti tra le parti collettive.Oltre che nei confronti dei pubblici poteri, la libertà sindacale viene riconosciuta nei confronti dei datori di lavoro, i quali, in quanto detentori del potere economico e alcune prerogative in tema di organizzazione e controllo del lavoro, sono in grado di condizionare la presenza e le iniziative del sindacato, specie nel luogo di lavoro; sotto questo profilo, le manifestazioni della libertà sindacale incontrano un limite nelle esigenze organizzative dell’impresa: dunque, le istanze dell’imprenditore, antagonistiche rispetto a quelle sindacali, vengono salvaguardate, nel senso che queste non sono subordinate di diritto all’esercizio delle libertà sindacali. Non è quindi possibile parlare di lesione dei diritti sindacali da parte dell’imprenditore quando questi abbia agito nel rispetto di obiettive e razionali esigenze organizzative.

L’art. 39 Cost. stabilisce che l’organizzazione sindacale è libera.Tale principio si contrappone a quello che fu proprio del sistema corporativo fascista, il quale prevedeva un solo sindacato ed escludeva la libera partecipazione dei soggetti interessati.Il diritto di organizzarsi liberamente si manifesta come diritto soggettivo pubblico di libertà, impedendo allo Stato di compiere atti che siano lesivi di tale libertà, ma operando anche nei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore.

L’art. 39 Cost. stabilisce che l’organizzazione sindacale è libera.Analizzando la norma si evidenzia:

Organizzazione: tale termine implica una nozione ampia del fenomeno sindacale, tale da comprendere anche forme organizzative diverse da quella associativa, purchè idonee ad essere qualificate come sindacali:

Sindacale: Sotto il profilo teleologico è sindacale un’attività diretta alla autotutela di interessi connessi all’attività di lavoro, ma sotto il profilo strutturale, la qualificazione sindacale presuppone un’aggregazione di soggetti, in quanto la stessa Costituzione utilizza il termine “organizzazione”.

Ciò implica che la fattispecie sindacale contemplata nella Costituzione è quella che si esprime in forma organizzata e coinvolge una pluralità di soggetti organizzati.

L’art. 39 comma 1 stabilisce che l’organizzazione sindacale è libera.I commi 2,3,4 però prevedono l’obbligo per il sindacato di sottoporsi alla registrazione, ed indicano come condizione per la registrazione la democraticità degli statuti.Infine si stabilisce che con la registrazione il sindacato acquista la personalità giuridica e che possa quindi stipulare contratti collettivi dotati di efficacia generale.Questa formulazione era frutto di una convergenza tra le posizioni della Dc e le posizioni di Psi e Pci.Da un lato si affermava il principio di libertà sindacale, dall’altro si creava un meccanismo, col minimo intervento dello Stato, veniva attribuito ai sindacati il potere di porre in essere norme vincolanti.Il meccanismo delineato dai commi 2-3-4 per diventare operativo necessitava di un intervento di specificazione da parte del legislatore, che tuttavia non è mai stato attuato.Le ragioni della mancata attuazione sono rinvenibili nel timore che il procedimento di registrazione diventasse uno strumento di intromissione dello Stato nella vita interna del sindacato.

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A ciò deve aggiungersi che nel tempo si è andato consolidato un sistema sindacale “di fatto”.Tuttavia la mancata attuazione non può essere vista come un inadempimento costituzionale, in quanto il meccanismo previsto dai commi 2-3-4 art. 39 è diretto ai sindacati che si assoggettano alla registrazione il potere di stipulare contratti collettivi con efficacia erga omnes, e non a disciplinare in sé il soggetto sindacale.

Sul piano delle convenzioni internazionali in materia di libertà sindacale rilevano: Convenzione 87 O.I.L.: dispone che i lavoratori e i datori di lavoro hanno diritto di costituire

organizzazioni sindacali e di aderire alle stesse; Convenzione 98 O.I.L.: stabilisce che i lavoratori debbano godere di una protezione adeguata

contro qualsiasi atto di discriminazione antisindacale posto in essere dai datori di lavoro. Carta sociale europea: viene ribadito il principio di libertà dell’organizzazione sindacale.

Si ritiene che l’associazionismo degli imprenditori non goda della tutela dell’art. 39 Cost, ma esso sarebbe invece tutelato dall’art. 18 Cost. in combinato con l’art. 41 Cost.La libertà sindacale dell’imprenditore può anche assumere aspetti collettivi, ma essa è pur sempre una proiezione dell’iniziativa economica privata e come tale essenzialmente una libertà individuale.Inoltre deve dirsi che esiste anche un sindacalismo dei lavoratori autonomi finalizzato a promuovere condizioni di uguaglianza effettiva.

CAPITOLO IV: I SINDACATI E LE ORGANIZZAZIONI IMPRENDITORIALI COMEASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE

1. Fattispecie sindacale e associazionela mancata attuazione dell’art. 39, 2ª parte, Cost. ha avuto due conseguenze sulla disciplina delle organizzazioni sindacali sia dei lavoratori che dei datori di lavoro: a) una accentuazione del loro carattere privatistici; b) la loro appartenenza al genere “associazioni non riconosciute”.Pur essendo proprio del sindacato, il carattere associativo non è necessario della fattispecie sindacale, il cui unico elemento qualificante è l’esercizio in forma organizzata di autotutela collettiva, attività questa che può essere svolta da coalizioni o gruppi occasionali, privi dei caratteri di stabilità e della strumentazione propri dell’associazione, oppure da organismi elettivi.Attività di autotutela collettiva, quindi sindacale in senso lato, possono essere svolte anche da coalizioni o gruppi occasionali, privi dei caratteri di stabilità e strumentazione propri dell’associazione, oppure da organismi in tutto o in parte elettivi.

2. La disciplina codicistica delle associazioni: in quanto associazioni non riconosciute, sindacati eorganizzazioni imprenditoriali sono assoggettati alla disciplina degli artt. 36, 37 e 38 del codice civile. Si tratta di una disciplina scarna, e in realtà residuale, per questo inadeguata a spiegare la sostanza del fenomeno associativo sindacale. La residualità risulta già dal principio base sancito dal 1° comma dell’art. 36, secondo cui l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, ossia dalle regole interne dell’associazione, statuti e regolamenti che si ritengono riconducibili al consenso dei soci; le altre norme, invece, riguardano gli aspetti patrimoniali. Per quanto riguarda la questione del carattere di associazione non riconosciuta, si è giunti alla conclusione che, anche in assenza di questa, è possibile godere di soggettività giuridica, come capacità sia pur limitata e relativa di essere centro di imputazione di rapporti giuridici (l’unica differenza di spicco tra un’associazione riconosciuta ed una non riconosciuta è ravvisabile nella c.d. autonomia patrimoniale perfetta, propria solo della prima, cioè nella totale irresponsabilità dei soci per i debiti sociali).La giurisprudenza del lavoro è stata fra le più restie ad abbandonare la concezione atomistica dell’associazione e si è espressa a lungo contro la capacità delle associazioni sindacali di stare in giudizio e persino di intervenire nel processo.

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L’art. 28 dello Statuto dei lavoratori riconosce, però, al sindacato la legittimità ad agire in giudizio per la difesa dei propri interessi.

3. Rapporti interni e democrazia sindacale: l’assenza di una disciplina tipica dell’associazione sindacale ha un rilievo particolare in ordine ai rapporti interni del sindacato. Scarso rilievo giuridico dei problemi della tutela dei soci verso l’organizzazione. Il principio della democraticità interna del sindacato richiesto dall’art. 39 Cost., come condizione per la registrazione, deve ritenersi vigente anche per i sindacati di fatto, come condizione di qualificazione in quanto tali; in assenza di questo requisito, l’organizzazione non beneficerebbe della disciplina (in termini di diritti e poteri) riservata dall’ordinamento al sindacato. Tra le regole democratiche accettate dal sindacalismo, di fondamentale importanza sono: il carattere elettivo delle cariche sociali, il principio di maggioranza, la necessità che le decisioni generali per la vita dell’associazione siano di competenza di un organo assembleare, comprendente tutti i soci.

4. La giustizia interna dei sindacati: debole effettività e scarsa affidabilità degli organi giudicanti, la cui autonomia rispetto agli organi giudicanti, e agli organi c.d. politici del sindacato non è assicurata dalle scarne norme statutarie sull’incompatibilità. L’orientamento della giurisprudenza è rigorosamente astensionistico. Altrettanto incerta è pure l’operatività all’interno delle associazioni di alcuni diritti e garanzie costituzionali.

5. Controversie interne, ammissione al sindacato, rapporti tra associazioni di diverso livello: i rapporti tra organismi sindacali di diverso livello rilevano sia per la qualificazione della struttura associativa come tale, sia rispetto all’attività esterna del sindacato, per risolvere il delicato problema dei rapporti tra contratti collettivi di diversa ampiezza. Sotto il primo profilo si sono avanzate due tesi: una che configura il sindacato come associazione complessa in senso proprio, ossia come associazione di associazioni (inferiori), l’altra che ritiene preferibile la configurazione come insieme di associazioni parallele, a cui il singolo socio appartiene contemporaneamente.

Il sindacato è una associazione non riconosciuta.L’associazione non riconosciuta qualifica diversi fenomeni organizzativi e a tale ampiezza di definizione non corrisponde una normativa adeguata.Inizialmente l’associazione era vista come somma di individui. Solo a partire dal secolo scorso di cominciò a riconoscere all’associazione un’ unità giuridica.La disciplina giuridica dell’associazione non riconosciuta si caratterizza per i seguenti aspetti:

1. Il fondo sociale permane oltre la volontà del socio di mantenere il vita il rapporto giuridico e si estingue soltanto con l’atto con cui i soci deliberano lo scioglimento dell’associazione;

2. La responsabilità patrimoniale è ripartita tra il fondo sociale e le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione;

3. Al presidente dell’associazione spetta la rappresentanza in giudizio di essa.Questi elementi dimostrano come l’associazione non riconosciuta sia un soggetto di diritto, in quanto costituisce un centro autonomo di imputazioni giuridiche.

Si è ritenuto che tra associazioni non riconosciute e associazioni riconosciute vi sarebbe una identità di strutture e questo comporterebbe che anche per le associazioni non riconosciute si applicherebbero tutte quelle norme sull’associazione riconosciuta che non si ricollegano al riconoscimento della personalità giuridica.La conseguenza sarebbe la sottoposizione della dinamica interna dell’associazione al controllo giudiziale.Questo punto di vista è stato oggetto di critiche. In particolare si è obiettato il contrasto con il principio di libertà associativa sancito dall’art. 18 Cost., sostenendosi che l’unica fonte di regolamentazione dei rapporti endoassociativi dovrebbero rimanere gli accordi tra gli associati.

L’organizzazione sindacale può assumere una veste diversa da quella associativa.

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Infatti accade che i lavoratori conducano azioni conflittuali anche attraverso delegazioni occasionali che vengono investite di un mandato per organizzare forme di lotta e per condurre le eventuali trattative.Al termine del conflitto, la coalizione esaurisce il suo mandato e si scioglie. In essa mancando l’elemento della stabilità non può ravvisarsi un’associazione.In tali casi, anche se è assente la fattispecie associativa sindacale, si può sempre ravvisare una forma di esercizio di libertà di organizzazione sindacale.Forme di questo tipo si riscontrano anche tra i datori di lavoro.Resta così confermato che l’organizzazione sindacale può esprimersi anche fuori dalla forma dell’associazione.

CAPITOLO QUINTOLA RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE1.IL SOSTEGNO DEL SINDACATO RAPPRESENTAVIVO: IL SIGNIFICATOPOLITICO, GLI AMBITI OGGETTIVI, LA NOZIONE DI SINDACATORAPPRESENTATIVO (riguardare)Il diritto sindacale italiano si caratterizza per l’esiguità degli interventi legislativi e per la mancata attuazione delle disposizioni costituzionali sulla registrazione dei sindacati e sul contratto collettivo con efficacia generale, nonché sulla regolamentazione del diritto di sciopero. Ciò ha indotto a parlare di formazione extralegislativa delle regole del diritto sindacale, affidate alla autonomia collettiva, agli orientamenti giurisprudenziali.Dalla più ridotta presenza di norme legislative il tratto dominante è, tuttavia, quello promozionale, cioè a dire di sostegno e di ausilio per i sindacati dei lavorati.A partire dal 1970, con lo Statuto dei lavoratori, l’operazione di sostegno si è, invece, spostata nei luoghi di lavoro. Alcune organizzazione sindacali maggiormente rappresentative si sono viste riconosciute, dall’art. 19 St. lav., una posizione del tutto preferenziale in materia di organizzazione e di azione sindacale in azienda.Successione, nella legislazione cosiddetta di “emergenza” e poi di “crisi”, il s.m.r. è stato chiamato a partecipare alla gestione della crisi economica, tramite

a) La stabile integrazione in appositi organismi pubblici di gestione del mercato di lavoro;b) L’attribuzione della legittimazione a stipulare determinati contratti collettivi con clausole

anche derogatorie rispetto agli standars legali di tutela dei lavoratori;c) Il Riconoscimento di diritti di informazione su varie problematiche aziendali.

La politica legislativi di promozione e sostegno del sindacato si collega alla considerazione del ruolo assunto dalle forze rappresentative dei lavoratori nel contesto di una società pluralistica; si riconnette altresì all’esigenza delle moderne società industriali, a base democratica, di ottenere un minimum di consenso da parte delle forze sociali nei confronti del sistema: di qui il riconoscimento e il sostegno di organizzazioni, che, in quanto aggregazioni di ampie fasce di lavoratori, possono costituire un fattore di squilibrio o di stabilizzazione del sistema stesso, nella misura in cui possono assumere posizioni massimaliste e di radicale contestazione o, invece, di responsabile consapevolezza degli equilibri generali dell’economia.La politica di promozione del sindacato contiene in sé la necessità di una delimitazione selettiva deisoggetti collettivi protetti,necessità questa che è stata a lungo soddisfatta dal richiamo alla figura del“sindacato maggiormente rappresentativo”,quale unico destinatario del sostegno legislativo epolitico,in quanto capace di influenzare e governare vasti strati di lavoratori.”Maggiormenterappresentativo” è quel sindacato che presenta in modo sicuro la capacità di esprimereadeguatamente l’interesse del sottostante gruppo professionale,rispetto ad un ampia massa dilavoratori.Nel momento di massima ascesa del versante politico-legislativo,il s.m.r. comincia un lento mairreversibile declino,per la sua incapacità di esprimere adeguatamente l’universo sempre più ampioe complesso degli interessi di lavoro.Già il Protocollo del 1993 supera il criterio dell’art.19 st.lav. ,che vede però un notevole

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cambiamento con il referendum del giugno 1995,con l’abrogazione parziale relativa al settoreprivato,e con quella completa nel settore pubblico.Solo per la Corte Costituzionale non scomparedel tutto dal nostro ordinamento la maggiore rappresentatività,che conserva infatti rilevanza a finiextra-aziendali.

Portatore dell’interesse collettivo è il sindacato, mentre portatore dell’interesse generale è lo Stato.Non deve confondersi l’interesse collettivo con l’interesse individuale dei singoli lavoratori aderenti al sindacato stesso.Il carattere dell’indivisibilità dell’interesse collettivo permette di comprendere il rapporto tra sindacato e non iscritti. Il solidarismo classista cui si ispirano molti sindacati europei induce il sindacato ad agire anche in favore dei non iscritti e questo tendenzialmente per due motivi: ove gli imprenditore potessero praticare nei confronti dei non iscritti al sindacato condizioni economiche e normative peggiori di quelle che devono praticare nei confronti di chi è iscritto al sindacato, preferirebbero dare occupazione ai non aderenti; Assicurando ai lavoratori non iscritti i benefici della contrattazione collettiva, il sindacato acquisisce maggior forza contrattuale.

2.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO NEL VECCHIO ART.19,LETT.a): LAMAGGIORE RAPPRESENTATIVITA’ PRESUNTA E I SUOI INDICI DI RILEVAZIONEL’ elevato numero di iscritti non poteva bastare per conferire una patente di “maggiorerappresentatività”,senza la chiamata in causa di altri requisiti,che dottrina e giurisprudenza hannocosì individuato:1) l’equilibrata presenza in un ampio arco di categorie professionali,non potendosi considerarem.r. una confederazione concentrata solo in alcuni settori o in una sola categoria;2) la diffusione su tutto il territorio nazionale;3) l’esercizio continuativo dell’azione di autotutela con riguardo a diversi livelli e a diversiinterlocutori;4) la reale capacità di influenza sull’assetto economico e sociale del Paese.In concreto,la giurisprudenza ha ritenuto maggiormente rappresentative le tre confederazioniCGIL,CISL e UIL.il criterio della m.r. è stato oggetto di accese discussioni nella dottrina giurislavorista, poiché considerato veicolo di sostegno arbitrario del legislatore a favore del sindacato confederale “storico”.Si è sostenuto, in particolare, che la m.r. costituiva un criterio selettivo basato su indici oggettivi e concretamente verificabili, idoneo cioè a descrivere la situzione di fatto dell'universo sindacale.in tal modo si consentiva anche ai sindacati inizialmente privi dei requisiti sostanziali richiesti la possibilità di accedere ai benefici legali previo il raggiungimento di quella stessa condizione oggettiva sintetizzata nella forma della m.r.La lettera a) dell’art.19 St. lav. è stata quindi abrogata.

3.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO NELL’ART.19 ST.LAV. DOPO ILREFERENDUM: LA RAPPRESENTATIVITA’ “EFFETTIVA” E I DIRITTI SINDACALIDopo l’abrogazione della lettera a) la norma predilige il collegamento esclusivo delle r.s.a. conassociazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva,ne emergequindi una rappresentatività originaria,empiricamente verificabile;ne usciranno favorite leconfederazioni storiche,poiché sono essenzialmente i grandi sindacati a stipulare contratti collettiviapplicati nelle unità produttive. (riguardare).

4. L'art. 19 St. lav. dopo la manipolazione realizzata dal referendum del 1995I cennati esiti dell'art. 19, rivelando un vistoso deficit di democrazia, portarono ad una rivisitaione dei criteri di costituzione delle rappresentanze sindacali in azienda: nel 93 un Accordo interconfederale istituì la RSU (rappresentanza sindacale unitaria) come forma rappresentativa

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alternativa alla RSA; nel '95 un referendum parzialmente abrogativo dell'art. 19 St. lav. spostò il criterio identificativo della rappresentanza sindacale sul piano della sottoscrizione di contratti o accordi collettivi di qualsivoglia livello applicati nell'unità

4.PROFILI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 19 ST.LAV.La Corte Costituzionale ha superato tutti i dubbi sull’incostituzionalità dell’art.19 con tre sentenze:una del ’74,una del ’88 e una del ’90.Nella sentenza n.54 del 1974,la Corte ha rilevato che l’art.19 e il titolo III St.lav. non interferisconocon la libertà sindacale,ma aggiungono alle prerogative di libertà ulteriori privilegi e benefici.Nella sentenza n.334 del 1988 i giudici hanno risolto i dubbi sulla rappresentatività a livelloconfederale,confermando la legittimità della disposizione statutaria,e la non lesione del principio dilibertà sindacale.In seguito alla formulazione da parte della Corte di altre sentenze in materia,nasce l’esigenza diun’interpretazione rigorosa dell’art.19,tale da farlo coincidere con la capacità del sindacato diimporsi al datore di lavoro,direttamente o attraverso la sua associazione,come contropartecontrattuale. Occorrerà quindi accertare la partecipazione attiva del sindacato al processo diformazione del contratto collettivo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro,almeno per unsettore o un istituto importante. (riguardare)

5.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO NELLA PIU’ RECENTE LEGISLAZIONE c.d.DI RINVIO: LA RAPPRESENTATIVITA’ “COMPARATA”Nella legislazione recente,la nozione di s.m.r. lascia il posto sovente ad una diversa formula,quelladi sindacato comparativamente più rappresentativo.La rappresentatività comparata tenta disopperire alla scarsa selettività della maggiore rappresentatività sindacale,ereditandone però lestesse finalità.

5. Rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro (art. 19 St. lav; Protocollo 23 luglio 1993; Accordo Interconfederale 20 dicembre 1993; D.Lgs. n° 626/1994).5.1 Le RSA: il tit. III dello Statuto dei lavoratori presenta il riconoscimento alle organizzazioni con taluni requisiti di rappresentatività di una serie di “diritti sindacali” ulteriori rispetto a quelli spettanti in via generale ad individui e organizzazioni sindacali. L’art. 19 disciplina il soggetto sindacale beneficiario di tali diritti – la RSA – che viene dotato di una legittimazione rafforzata ad operare nei luoghi di lavoro e cui viene conferita una serie di poteri e diritti regolati prevalentemente nel tit. III dello Statuto.Art. 19 pre-referendum abrogativo: diritto di costituire RSA “nell’ambito”: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva.Art. 19 post-referendum abrogativo (1995): “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati all’unità produttiva”.Questione dell’ iniziativa dei lavoratori e della costituzione “nell’ambito di”: per quanto riguarda la prima, è importante notare che l’iniziativa costitutiva spetta ai lavoratori in quanto tali e non ai soli iscritti; in merito alla seconda condizione, invece, essa delinea l’esigenza di un minimum di istituzionalizzazione delle nuove realtà organizzative aziendali, esigenza connessa a due ordini di considerazioni: innanzitutto, l’opportunità di evitare abusi da parte di organismi in ipotesi costituiti allo scopo esclusivo o prevalente di usufruire di tutti i vantaggi statutari. In secondo luogo, l’esigenza di promuovere interlocutori stabili con i quali il datore di lavoro possa proficuamente, e sia pur conflittualmente, dialogare: Per poter godere dei benefici dello Statuto, la RSA deve venire innanzitutto:

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A)“Costituita nell’ambito di una associazione sindacale”: esigenza di vincolare l’organismo aziendale ad entità sindacali esterne all’azienda dalla struttura rigorosamente associativa.B) Tale associazione sindacale deve essere “firmataria di contratti collettivi”; criterio di rappresentatività tecnica ed effettiva; secondo la Corte Cost. deve trattarsi di un contratto normativo che “regoli in modo organico i rapporti di lavoro, anche in via integrativa, a livello aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nell’unità produttiva”.C) Questi contratti collettivi devono essere “applicati nell’unità produttiva” di riferimento.

5.2 Le RSU: diversamente dalle RSA dell’art. 19 St. lav., le RSU si configurano quali strutture organizzate su base unitaria, elette dalla collettività aziendale. La loro costituzione è demandata infatti ad elezioni cui partecipano tutti i lavoratori (iscritti e non iscritti), con ammissione alla competizione anche di liste presentate da associazioni non rappresentative ex art. 19 St. lav., purché formalmente costituite con proprio statuto, nonché aderenti all’AI (Accordo Interconfederale) e forti della firma di almeno il 5% dei lavoratori dell’unità produttiva aventi diritto al voto. Le RSU sono costituite solo per 2/3 dei seggi da membri eletti a suffragio universale ed a scrutinio segreto tra liste concorrenti. Il restante terzo viene assegnato alle liste presentate dalle associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’unità produttiva, in proporzione ai voti ottenuti.Il carattere unitario e almeno in parte elettivo della RSU rafforza il legame della medesima con la base dei lavoratori: essa è organo dell’insieme dei lavoratori, e funge al tempo stesso da struttura comune di rappresentanza e di sindacati nell’azienda, sostitutiva della RSA. La RSU è legittimata a negoziare per la stipula del contratto collettivo aziendale di lavoro; essa subentra a tutte le funzioni ed i poteri conferiti alle RSA per effetto delle disposizioni di legge, incluse quelle in tema di informazione e consultazione sindacale.

5.3 Le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza: l’art. 9 St. lav. aveva per la prima volta attribuito a tutti i dipendenti, in quanto parte della comunità di rischio, un generale diritto di promozione e controllo in tema di salute e sicurezza. La svolta si è avuta con l’istituzione, obbligatoria e generalizzata, nei settori privato e pubblico, del rappresentante dei lavoratori: si è stabilito che nelle aziende o unità produttive con più di 15 dipendenti, esso (il rappresentante) venga eletto o designato dai lavoratori tra i componenti le rappresentanze sindacali. Tra le prerogative e tutele di cui gode il rappresentante per la sicurezza vanno annoverate il diritto di informazione e consultazione preventiva sui temi dell’insicurezza, nonché la facoltà di ricorso alle autorità competenti in caso di inidoneità delle misure di sicurezza apprestate dal datore.

6.LA RAPPRESENTATIVITA’ DEL SETTORE PUBBLICOIl legislatore adotta una nozione di rappresentatività la cui unità di misura è la media tra datoassociativo e dato elettorale,che rappresentano gli indici quantitativi per eccellenza: testimonianzadella capacità di aggregare iscritti l’uno,e dell’idoneità a raccogliere consensi oltre alla cerchia degliassociati l’altro.La rappresentatività appare quindi declinata sotto tre accezioni: sufficiente,comparata ecomplessiva.7.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO E LE PUBBLICHE ISTITUZIONIIl sindacato magg. o comp. più rappresentativo appare presente anche in una serie di istituzioni osedi pubbliche,dove non interviene in rappresentanza del personale occupato.Bisogna distinguere ariguardo:a) la presenza di organi di carattere prevalentemente consultivo o di collaborazione rispettoall’esercizio dei poteri tipici dello Stato;b) la partecipazione di tipo cogestivo in organi direttivi di enti pubblici destinati a svolgereattività in favore dei lavoratori;c) la partecipazione alle politiche di formazione professionale,mediante la costituzione di

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organismi paritetici bilaterali;d) la partecipazione informale del sindacato all’indirizzo politico generale nei due aspettidell’attività legislativ e della politica economica e programmatoria.

8.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO E LA CONTRATTAZIONEIl nostro ordinamento non riconosce al sindacato rappresentativo una posizione privilegiata in sededi contrattazione collettiva nel settore privato.Va però chiarito che:a) le tre maggiori confederazioni CGIL,CISL,UIL, si trovano investite di un monopolio difatto,delle trattive con le forze governative sui grandi temi che investono l’economia delpaese,come gli Accordi Interconfederali;b) alcune leggi conferiscono al sindacato rappresentativo il potere di derogare, in viacontrattuale,ad alcune norme di legge,rimettendo alla valutazione di quest’ultimol’opportunità o meno di mantenere certi vincoli garantistici di tutela del singolo dipendente;c) nel settore pubblico il legislatore ha riconfermato il sindacato rappresentativo nel ruolo diinterlocutore contrattuale esclusivo della p.a.

9.LA CRISI DELLA RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE E LE PROPOSTE DIRIFORMADalla metà degli anni ’80 il sindacalismo confederale registra una grave crisi dirappresentatività.Tra le prime cause,che sono molteplici,vanno annoverate la rivoluzionetecnologica,la terziarizzazione crescente dell’economia,l’accesa competitività nazionale.

Le organizzazioni sindacali, sono portatrici di (non della somma di singoli interessi individuali) interessi generali, collettivi, attuati mediante una sintesi Qualunque sindacato può godere della protezione base del titolo II, tuttavia quando si tratta di riconoscere qualcosa in più, occorre selezionare, ciò in quanto viene riconosciuto in azienda, agendo sulle prerogative del datore di lavoro, ovvero sulla borsa del datore di lavoro. Il riconoscimento dei diritti sindacali ha un costo economico per il datore di lavoro e perciò occorre individuare un interlocutore forte, affidabile, riconosciuto sia dai lavoratori che dai datori di lavoro e anche da chi sta fuori d’aziendaCiò porta al tema del c.d. S.M.R. sindacato maggiormente rappresentativo , a partire dagli anni ‘70. Due punti sulla rappresentanza del S.M.R.:

1. Rappresentanza civilistica , il rappresentante non esprime una propria volontà essendo così portatore di interessi individuali. Il sindacato invece porta interessi propri (come detto sopra in relazione alla sintesi operata dal sindacato)

2. Rappresentatività sindacale , termine metagiuridico, è la capacità del sindacato di realizzare questi interessi collettivi, solo in tale caso ha rappresentatività, realizzando tali interessi, facendo sintesi. Questo passo in più rispetto alla tutela minimale del titolo II il legislatore ha utilizzato la figura del Sindacato Maggiormente Rappresentativo. Tale sindacato viene selezionato e diviene destinatario di tutta una serie di diritti sindacali contenuti nel titolo III dello statuto. È soggetto idoneo a garantire la valenza rappresentativa dell’interlocutore. Tuttavia non esiste una nozione giuridica di SMR, tale dato è sempre stato assunto come dato storico dei quali si sono occupati prevalentemente giudici e studiosi che hanno prodotto degli indiciIndici di rappresentatività:

Iscritti Presenza territoriale Presenza pluricategoriale (presenza trasversale su più categorie)

Questi primi tre indici sono i più importanti e facilmente valutabili Svolgere attività, deve fare scioperi, contratti, ovvero capacità di organizzare

l’attività sindacale

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Influenza politica, capacità di influire sulla politica economica del paese, ovvero un sindacato che sappia farsi interlocutore del governo

Il SMR diventerà il destinatario di tutta la legislazione

RAPPRESENTANZE SINDACALI NEI LUOGHI DI LAVORO

La situazione attuale è disciplinata dall’art. 19 dello statuto e da altre norme secondarieArticolo 19. Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali (è tutta importante: leggere bene)(RSA) Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite (non vi è nessuna registrazione ma tale costituzione è basata sui requisiti) ad iniziativa dei lavoratori (secondo giurisprudenza, che, in generale, nel diritto del lavoro ha grande importanza, non vi deve essere designazione, ovvero con designazione deve essere accettata dai lavoratori) in ogni unità produttiva, nell'ambito (perciò, essendo così generica la descrizione, possono essere anche lavoratori non iscritti al sindacato):[a) delle associazioni aderenti alle confederazioni (per definizione una organizzazione di organizzazioni, godeva di una palese preferenza del legislatore del 1970 per evitare di incentivare la microconflittualità che poteva venirsi a creare in caso di sindacati). Il sindacato di categoria fa gli interessi della categoria mentre il sindacato confederale si occupa di interessi più vasti) maggiormente rappresentative sul piano nazionale] (abrogata totalmente);b) delle associazioni sindacali, [non affiliate alle predette confederazioni,] che siano firmatarie di contratti collettivi [nazionali o provinciali] di lavoro applicati nell'unità produttiva. (quindi anche aziendale) Nell'ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento. (abrogata parzialmente)(1) Con d.p.r. 28 luglio 1995, n. 312, in esito al referendum (che ha portato ad una abrogazione parziale) indetto con d.p.r. 5 aprile 1995 è stata abrogata la lettera a) e la lettera b), limitatamente alle parole «non affiliate alle predette confederazioni» e alle parole «nazionali o provinciali» (un sindacato può, dopo il referendum, chiedere la RSA)Evoluzione temporale:

In precedenza le RSA erano legittime come nella originaria formulazione e l’interpretazione doveva essere rigorosaCorte costituzionale: I diritti sindacali previsti dal 19 dello statuto non rientrano nel concetto di libertà sindacale

Oggi, rimane la lettera b) trasformata in un: ESSERE FIRMATARIE DI CONTRATTI COLLETTIVI

Problemi di costituzionalità dell’art. 19 lett. b) 1. Relativo alle RSA con la quale si favorisce chi firma un contratto collettivo normativo che

riguarda un istituto importante Se è vero che il datore di lavoro deve consentire le RSA, quando ne ricorrano i requisiti, è giusto che anche gli altri sindacati godano degli stessi vantaggi. La Corte Costituzionale, interessata in merito, ha detto che la norma non solo obbliga il datore a concedere quei diritti ma anche che quei diritti non siano concessi ai sindacati che non abbiano quei requisiti

2. Art. 39 Cost., l’art. 19 non rientra nell’art. 39/1, è quindi qualcosa che il legislatore avrebbe potuto non concedere, non vi era obbligato dall’art. 39

3. Art. 3 Cost. il concetto di non discriminazione, la Corte ha disposto che non solo il legislatore può concedere solo ad alcuni, ma con il filtro dell’art. 19 in base alla nuova formulazione li ha concessi con un criterio ragionevole di non discriminazione. Infine ha fatto bene il legislatore a favorire i sindacati più rappresentativi del quadro macro economico complessivo (se anche i sindacati nel loro complesso avessero un potere forte per ottenere condizioni lavorative molto buone, ma questo comporta un problema notevole per

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le imprese, ciò non sarebbe un bene anche dal punto di vista costituzionale (ad es. ai fini occupazionali)

4. Irragionevolezza, se quello che conta per divenire RSA è la stipulazione di contatto collettivo, si rischia che i sindacati firmino a condizioni poco vantaggiose. La Corte ha rigettato in quanto non è un problema giuridico, ma un problema di fatto, che si risolve da sé in quanto il sindacato in conseguenza di tale comportamento il sindacato perderà consenso ed alla fine avrà più seguito chi fa gli interessi dei lavoratori

Contratto unilateralmente collettivo: collettivo, in quanto vi sono più lavoratori; unilaterale, in quanto può essere firmato anche solo da un datore di lavoro Le RSA possono essere più d’una all’interno di una medesima aziendaLe RSU hanno una disciplina diversa Distinzione fondamentale:

Parte normativa, è la parte normativa del contratto di lavoro che precostituisce i contenuto dei singoli contratti di lavoro

Parte obbligatoria: riguarda i rapporti fra i soggetti stipulanti, datore e lavoratoriPassaggi:

CI: commissioni interne del 1906 (nello stesso anno si forma la Confederazione generale del lavoro)

Sezioni sindacali aziendali Consigli di fabbrica e delegati di fabbrica RSA (rappresentanza sindacale aziendale) e RSU (rappresentanza sindacale Unitaria)

Rapporto tra attivisti sindacali all’interno delle aziende il sindacato esterno dialettica come sindacato come movimento e sindacato come istituzione o organizzazione.La dialettica in altri ordinamenti viene ricomposta tramite il doppio canale di rappresentanza. L’art. 3 della convenzione OIL (o ILO, convenzione 135 del 1971, tutela dei lavoratori). Definisce il canale sindacale rappresentanti liberamente eletti dai lavoratori dell’aziendaConsigli di fabbrica :

Ebbero inizio nell’autunno caldo del 1968 composti da un singolo rappresentante eletto da tutti i lavoratori (spesso ad acclamazione ed

in maniera palese) È un fenomeno delle grandi fabbriche Il delegato impersonava tutti i lavoratori Dopo pochi anni di movimento anche questa figura, peraltro più vicina ai lavoratori, confluì

nel sindacatoRSU è stata creata come soggetto collettivo dal protocollo del 23 luglio del 1993 che ha stabilito che un futuro accordo collettivo doveva essere disciplinata nel dettaglio la modalità di costituzione delle RSU Ha lo scopo di fondere le RSA e risulta dalla somma di ogni RSA per unità produttiva. I sindacati si obbligano a mettere in monte comune le loro richieste, è composto 2/3 elettivo (scelti dai lavoratori da liste formate dai sindacati anche se possono essere eletti fuori lista) e 1/3 designato dall’esterno da parte dei sindacati esterni che riesce a mantenere un certo controllo. Una parte dei diritti del titolo III viene mantenuto in capo al sindacato esternoPer la fondazione di una RSU è necessaria la metà più uno degli aventi diritti, salvo situazioni particolari che si possono essere verificate nell’unità produttiva (di fatto, in relazione a quest’ultimo elemento, la necessità della metà più uno scompare)Hanno prerogative in più rispetto alle RSA, possono stipulare il contratto collettivo aziendale se accompagnati dai sindacati esterni

LA PRESENZA SINDACALE SUI LUOGHI DI LAVOROÈ cominciata con le commissioni interne, elette a suffragio universale dal lavoratori. Elemento negativo era la impossibilità delle commissioni interne di fare contrattazione collettiva anche se qualche forma di trattativa vi è sempre stata. Il punto di partenza va rinvenuto fra gli anni 68/70, il

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patto confederativo del 1972. La contrattazione fatta dai consigli delegati rivelò esperienze di frontiera e fu la matrice per fare il contratto collettivo dei metalmeccaniciChi rappresenta chi:

Lo Statuto dei lavoratori introduce un modello che ha superato l’esperienza dei consigli ed è quello della Rappresentanza sindacale di base. È indicato al titolo terzo dello statuto. Ad ogni riconoscimento dei diritti vi è un corrispondente obbligo del datore di lavoro. Solo selezionando i soggetti destinatari (determinati sindacati e non tutto il pianeta sindacale)

Il meccanismo è associativo, l’importante è che possiamo riferirci ad un sindacato esterno al quale il datore di lavoro fa riferimento

Modello vincente per tutti gli anni ’80 per la crisi della rappresentatività sindacale. (cambio del modo di lavorare, trasformazione delle produzione, cambio degli interessi dei rappresentati, cambio della funzione stessa del sindacato che ha possibilità di deroga in peggio rispetto allo Statuto), sintomo di questa crisi è una scelta di tipo referendario, che travolge la parte relativa al sindacato maggiormente rappresentativo (art. 19). Resta tuttavia quella parte che verifica la rappresentatività, le rappresentanze si possono ancora costituire ma solo nell’ambito di sindacati che possono sottoscrivere contratti collettivi

Capacità dl sindacato che possa essere parte riconosciuta dal datore di lavoro (sentenza 268 del 94). Un sindacato che riesca a farsi parte delle relazioni sindacali

Accordo interfederale per la costituzione delle RSU che sono un nuovo modello di rappresentanza sindacale in azienda che non sono regolate dalla legge. Sono regolate da un accordo che è un contratto, ovvero un accordo endosindacale. RSU sono organismo collettivi ed unitari. Mentre possiamo avere molte RSA, nelle RSU la rappresentanza e collegiale e votata. Ciò comporta che la rappresentanza essendo votata (per i 2/3) è vera rappresentanza, mentre il restante terzo viene designata dalle organizzazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi.

RSA (modello associativo) e RSU (modello elettivo) nella stessa organizzazione non possono convivere in quanto le organizzazioni che investono nelle RSU si impegnano a chiudere le RSA già presenti e a non costituirne altre. I diritti vengono passati dalla RSA alla RSU. Possono restare in vita i sindacati che non condividono le RSU, purchè siano firmatari di contratti collettivi

In Germania invece di un binario unico c’è un doppio canale rappresentativo con funzioni diverse, mentre da noi fa tutto RSA o RSU

Ovviamente lo spartiacque degli anni 70 non è così netto, le denominazioni seguono la storia dell’azienda anche se i modelli giuridico formali sono quelli. L’esigenza è sempre quella di selezionare una presenza sindacale forte e riconosciuta dall’imprenditore che sia destinataria dei quei diritti che sono riconosciuti sono ad alcuni sindacati

L’art. 19 ha sofferto problemi di costituzionalità in relazione al problema del perché solo alcuni e non a tutti i sindacati. La risposta: 1) per evitare l’atomizzazione dei sindacati; 2) per evitare i sindacati gialli

Quali sono i diritti sindacali? In che modo viene sostenuta quest’attività per l’azienda?Sono un sacrificio organizzativo ed economico. Il datore di lavoro è obbligato a subire per far sì che l’attività sindacale venga promossa all’interno dell’azienda.Ovviamente i diritti sono riconosciuti sia nel privato che nel pubblico

Nel concetto di rappresentanza il rappresentante agisce in nome e nell’interesse del soggetto rappresentato.Diversa è la nozione di rappresentatività. Essa indica la capacità dell’organizzazione di unificare i comportamenti dei lavoratori in modo che gli stessi operino non ciascuno secondo scelte proprie, ma come gruppo.Tale nozione nel tempo è stata fatta propria dal legislatore, il quale attribuisce determinati diritti solo ai sindacati che sono dotati di una effettiva capacità unificatrice del gruppo professionale o di rilevanti frazioni di esso.

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Sul piano formale ciò è avvenuto qualificando alcune organizzazioni come maggiormente rappresentative.

Il concetto di sindacato maggiormente rappresentativo è indicato dallo Statuto dei lavoratori.Con lo Statuto dei lavoratori, il legislatore ha riconosciuto alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative diritti che favoriscono il rapporto tra l’organizzazione e i lavoratori.Tali diritti implicano una intromissione nella sfera giuridica dell’imprenditore: ad esempio esercitare il diritto di assemblea significa permanere nei locali dell’imprenditore per svolgere un’attività estranea al rapporto di lavoro.Le ragioni per cui questi diritti sono riconosciuti solo alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sono da rinvenirsi in 2 aspetti: riconoscere questi diritti a tutte le organizzazioni a prescindere dalla loro rappresentatività favorirebbe da un lato la formazione di organizzazioni che non sono realmente attrici del conflitto sindacale, e dall’altro sarebbe eccessivo il sacrificio imposto all’imprenditore.Oltre allo Statuto, anche altre leggi hanno espresso l’esigenza di selezionare i sindacati.Tali leggi hanno stabilito:

Il potere dei sindacati maggiormente rappresentativi di designare i rappresentanti dei lavoratori in organi collegiali espressivi degli interessi delle parti sociali;

Il potere di riservare ai sindacati maggiormente rappresentativi la legittimazione a stipulare particolari tipi di contratti collettivi.

La rappresentatività presunta

Il criterio riassunto nella formula “sindacati maggiormente rappresentativi” implica un giudizio di rappresentatività che è stata definita storica, perché basata sul dato storico dell’effettività dell’azione sindacale svolta dalle grandi confederazioni.Il criterio storico è anche indicato come rappresentatività presunta.In questo modo il legislatore ha espresso una politica di favore verso le forme organizzative del sindacato di natura confederale, ancor oggi prevalenti nel sistema di relazioni industriali.La nozione di sindacato maggiormente rappresentativo ha la funzione di favorire le forme di aggregazione sindacale più ampie.

Gli indici della maggiore rappresentatività

La dottrina e la giurisprudenza hanno indicato i criteri per la individuazione del sindacato maggiormente rappresentativo:

1. Consistenza del numero di iscritti;2. Equilibrata presenza in un ampio arco di settori produttivi;3. Svolgimento di un’attività di contrattazione con caratteri di continuità.

Nell’applicare questi criteri, la giurisprudenza aveva progressivamente ricompresso nel concetto di maggiore rappresentatività anche quei sindacati dotati di una struttura confederale, ma presenti in uno o pochi settori del mondo del lavoro.Ciò ha determinato un logorio della funzione selettiva della qualificazione di maggiore rappresentatività.

La crisi della maggiore rappresentatività

La maggiore rappresentatività come modello di selezione dei sindacati è entrato in crisi nella seconda metà degli anni ’80, a causa delle trasformazioni dei processi produttivi.Ciò ha favorito la nascita di organizzazione sindacali autonome e questo ha determinato che la rappresentatività delle grandi confederazioni non poteva più essere presunta, ma dovesse essere in qualche modo verificata.

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Quando tale rappresentatività è stata verificata, la maggiore rappresentatività di CIGL, CISL e UIL è stata confermata, ma si è affermata la necessità di misurare tale rappresentatività sulla base di indici attendibili e non più presuntivamente.

L’art. 19 dello Statuto dei lavoratori e i referendum del ‘95

L’art. 19 Statuto dei lavoratori individuava come soggetti titolari dei diritti sindacali le rappresentanze sindacali aziendali che operassero nell’ambito:

a) Delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;

b) Delle associazioni non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva.

Il secondo criterio aveva la finalità di non escludere dal campo di applicazione di queste norme alcuni sindacati che, non inquadrati nelle confederazioni maggiormente rappresentative, avevano tuttavia una forte presenza in alcuni settori.L’art. 19 St. Lav. è stato oggetto di 2 referendum abrogativi nel 1995. Il primo quesito ha avuto esisto negativo, il secondo esito positivo.Il secondo quesito ha portato ad abrogare le diciture “nazionali o provinciali” dalla norma, con la conseguenza che il titolo III oggi trova applicazione solo per i sindacati firmatari dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, risultando appannato il criterio della rappresentatività presunta in favore di un dato molto più oggettivo.Questa modifica ha avuto anche esiti paradossali, in quanto un sindacato che abbia stipulato un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva interessata, se prima poteva accedere all’area privilegiata attraverso la lettera a) dell’art. 19, dopo il referendum si vedrà precluso tale accesso.Ciò può riguardare quei sindacati autonomi cui la giurisprudenza aveva attribuito troppo generosamente la qualificazione di confederazione maggiormente rappresentativa.Deve infine ricordarsi che il referendum del 1995 ha investito il solo art. 19 St.Lav e non anche altre norme di legge che utilizzano la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo.

La giurisprudenza costituzionale sull’art. 19 prima dei referendum

Diverse volte l’art. 19 St. Lav. è stato oggetto di giudizio di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 39 comma 1 e 3 Cost.Prima del 1995 la Corte costituzionale si è pronunziata sulla questione per 3 volte, respingendo sempre le eccezioni di illegittimità costituzionale:

Sentenza 54/1974: secondo la Corte costituzionale, la norma ha la funzione di individuare i soggetti titolari delle posizioni attive previste dalle norme del titolo III e non quella di limitare la libertà di costituire rappresentanze sindacali all’interno dei luoghi di lavoro. Inoltre la Corte affermò che la scelta del legislatore di non conferire a tutti i diritti sindacali è una scelta razionale e consapevole, tenuto conto che lo Statuto dei Lavoratori si pone lo scopo di evitare che singoli individui o piccoli gruppi di lavoratori, possano espletare tali funzioni;

Sentenza 334/1988: la Corte nel respingere nuovamente le eccezioni sottolineava il carattere solidaristico dell’opzione del modello intercategoriale operata dallo Statuto e la coerenza di tale scelta sia con la storia del sindacalismo italiano che con la Costituzione.

Sentenza 30/1990: secondo la Corte l’art. 19 St. Lav. andava interpretato nel senso che le organizzazioni sindacali che non possedessero i requisiti posti dallo stesso articolo non potevano fruire di diritti sindacali, neanche a seguito di accordo con il datore, che peraltro doveva considerarsi invalido.

La giurisprudenza costituzionale sull’art. 19 dopo i referendum

L’art. 19 è stato oggetto di censure di legittimità costituzionale anche dopo il referendum del 1995 e su di esse si è pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza 244/1996.Con tale sentenza la Corte ha stabilito che l’art. 19 non viola l’art. 39 perché le norme a sostegno dell’azione sindacale nelle unità produttive, in quanto sopravanzano la garanzia costituzionale della

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libertà sindacale, possono essere riservate a certi sindacati identificati mediante criteri scelti discrezionalmente nei limiti della razionalità; né è violato l’art. 3 perché questi limiti di razionalità sono rispettati dalla norma in esame.La ragionevolezza del criterio adottato dalla norma è, secondo la Corte, condizionata ad una interpretazione rigorosa che non risolva la sottoscrizione dei contratti collettivi in un requisito meramente formale, ma sia effettivamente indicativo della capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro come controparte contrattuale.

La rappresentatività ponderata nel settore pubblico

La nozione di sindacato maggiormente rappresentativo nella Pubblica Amministrazione assolve la funzione di individuare i sindacati abilitati all’attività di contrattazione collettiva nazionale.La scelta di regolare la legittimazione del sindacato a negoziare collettivamente, era confermata dalla L. 421/1992 che delegava il Governo a prevedere criteri di rappresentatività ai fini della contrattazione collettiva.Tale delega era esercitata la prima volta con l’art. 47 D.Lgs. 29/1993 il quale disponeva che i requisiti per la qualificazione di un sindacato come maggiormente rappresentativo fossero stabiliti in un apposito accordo tra il Presidente del Consiglio dei Ministri e le confederazioni maggiormente rappresentative.La norma fu sottoposta a referendum ed abrogata.In materia in seguito fu emanato il D.Lgs. 165/2001 che all’art. 43 dispone che siano ammessi alla contrattazione collettiva nazionale di comparto o di area i sindacati che realizzino un indice di rappresentatività non inferiore al 5%, calcolato sulla media tra il dato associativo e il dato elettorale.Alla trattativa per gli accordi che definiscono i comparti sono ammesse le confederazioni sindacali alle quali siano affiliati sindacati rappresentativi in almeno due comparti o aree contrattuali.Così la rappresentatività non è più determinata sulla base di indici discrezionali, ma viene misurata sulla base di dati numerici accertabili.La disciplina in esame dispone che la rappresentatività di ogni organizzazione venga misurata dal consenso effettivo tra i lavoratori goduto da ciascuna organizzazione nei luoghi di lavoro, per poi riflettersi nella legittimazione negoziale a livello nazionale.Tutti i sindacati che realizzino la soglia del 5% sono ammessi alla trattativa contrattuale: sembra dunque che il legislatore del 1997 abbia fatto propria la proposta di individuare una soglia minima di rappresentatività, varcata la quale ciascun soggetto sindacale si ritrovi in posizione di eguaglianza con gli altri che abbiano parimenti superato la soglia.

Il sindacato comparativamente più rappresentativo

In alcuni recenti interventi il legislatore ha introdotto la nozione di sindacato comparativamente più rappresentativo.Si tratta di ipotesi nelle quali la legge assume il contratto collettivo stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi come fatto produttivo di effetti giuridici da lei stessa determinati: ad esempio, assume le retribuzioni determinate dal contratto collettivo come parametro per la determinazione dell’obbligo contributivo previdenziale.Tuttavia può accadere che vengano stipulati, per lo stesso gruppo professionale, due contratti collettivi e questa concorrenza pone il problema di scegliere a quale dei due contratti vada collegato l’effetto legale.Quando la legge adotta la nozione in esame, impone al giudice o alla P.A. di attribuire quell’effetto al contratto che sia stato stipulato dalle parti che, comparativamente, siano più rappresentative di quelle che hanno stipulato l’altro contratto.La comparazione andrà compiuta sulla base degli indici elaborati: consistenza numerica, diffusione territoriale, partecipazione effettiva alla dinamica delle relazioni industriali.Questa soluzione lascia aperto il problema dell’ipotesi in cui i due contratti collettivi non coprano il medesimo gruppo professionale, ma uno più ampio e uno più ristretto ricompreso nel primo.

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Il criterio del sindacato comparativamente più rappresentativo in tale ipotesi non è in grado di operare perché la comparazione può avvenire solo tra termini omogenei.In altri casi però la nozione in oggetto è utilizzata in contesti normativi in cui la legge affida al contratto collettivo stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi la funzione di integrare la regolamentazione posta dalla legge stessa.Qui infatti le parti sono chiamate a dettare una regola che integra la regola legale e ne consegue che occorre selezionare le organizzazioni autorizzate a dettare regole che modifichino il precetto legale, mentre i soggetti sindacali non autorizzati non potranno porre in essere simili regole.

Le commissioni interne

Le commissioni interne sono l’espressione più antica di rappresentanza all’interno dell’azienda.Durante il fascismo le commissioni interne furono soppresse e sostituite dalla figura del fiduciario d’azienda.Dopo la caduta del regime le commissioni interne furono ripristinate e si attribuì ad esse un compito di contrattazione a livello aziendale.La composizione delle Commissioni interne era determinata da una elezione a suffragio universale con la possibilità di esprimere, nell’ambito delle liste, un voto di preferenza.La ripartizione dei seggi avveniva col metodo proporzionale.

Le sezioni sindacali aziendali

Le sezioni sindacali aziendali si differenziano dalle commissioni interne perché esso non è un organo unitario e necessario, ma riproduce, all’interno dell’impresa, il principio associativo proprio delle organizzazioni sindacali esterne. La diffusione di queste strutture si limitò a poche imprese.

I delegati e i consigli

Tra gli anni 1968-69 si affermarono nuove strutture di rappresentanza dei lavoratori all’interno delle imprese: i delegati e il consiglio di fabbrica.Queste strutture sostituirono le commissioni interne, dalle quali si differenziavano per l’instaurazione di un legame politico ed organizzativo con il sindacato esterno.Il delegato rappresentava i lavoratori appartenenti ad un gruppo omogeneo, cioè ad un gruppo individuato dalla sua collocazione nel processo produttivo.La sua elezione era libera da designazioni da parte del sindacato e non era neanche prescritto che il delegato fosse iscritto al sindacato.Il Consiglio di fabbrica era formato da tutti i delegati di una certa unità produttiva.Il patto federativo del 1972 tra CGIL, CISL e UIL attribuiva al consiglio di fabbrica poteri di contrattazione sui posti di lavoro.Poiché i poteri rappresentativi erano attribuiti al consiglio sulla base del Patto del 1972, e dunque su delega dei sindacati esterni, quando il patto fu sciolto vi furono diverse difficoltà per il rinnovo elettorale di questi organi.

Le rappresentanze sindacali aziendali dell’art. 19 Statuto dei Lavoratori

La questione della rappresentanza dei lavoratori sui luoghi di lavoro è stata affrontata dallo Statuto dei Lavoratori.Ed infatti l’art. 19 St. Lav. attribuisce i diritti sindacali a generiche Rappresentanze sindacali aziendali, senza regolarne la struttura.Questa previsione si spiega perché lo Statuto dei Lavoratori è una legislazione di sostegno all’attività sindacale e non di regolamentazione della organizzazione sindacale.I requisiti richiesti per la costituzione di R.S.A. sono:

1. Che la costituzione della R.S.A. avvenga ad iniziativa dei lavoratori;2. Che la R.S.A. operi nell’ambito delle organizzazioni che rispondono ai requisiti indicati dall’art.

19.

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Il requisito dell’iniziativa dei lavoratori è soddisfatto anche in caso di comportamento concludente in tal senso.Il secondo requisito facendo ricorso al concetto di “ambito sindacale” indica la volontà di delineare il legame che deve sussistere tra la R.S.A. e l’associazione sindacale.La necessità di tale collegamento fa sì che per ogni sindacato possa costituirsi una sola R.S.A.

Le rappresentanze sindacali unitarie nel settore privato

Una mediazione tra le diverse posizioni dei sindacati è stata trovata nelle Rappresentanze sindacali unitarie, regolate da un accordo delle 3 Confederazioni con la Confindustria e con l’Intersind del 20 dicembre 1993.L’accordo interconfederale prevedeva che le organizzazioni sindacali firmatarie o che vi abbiano successivamente aderito acquistano il diritto di promuovere la formazione di RSU e a partecipare alle relative elezioni, rinunciando alla costituzione di proprie r.s.a.Così da un lato la RSU subentra alla r.s.a. nella titolarità dei diritti sindacali.Dall’altro, un sindacato firmatario può revocare il proprio riconoscimento della RSU dando disdetta dell’accordo interconfederale.Inoltre l’accordo prevede che l’iniziativa della costituzione delle RSU o il loro rinnovo possa essere presa anche disgiuntamente da ciascuna delle associazioni sindacali firmatarie dell’accordo interconfederale, ovvero del contratto collettivo nazionale di lavoro, ovvero anche dagli altri sindacati che aderiscano all’accordo e raccolgano un numero di firme non inferiore al 5% dei lavoratori aventi diritto al voto.Si stabilisce inoltre che all’accordo possano aderire organizzazione non affiliate alle Confederazioni inizialmente sottoscrittrici e l’adesione dà titolo a partecipare alle elezioni, all’unica condizione che abbiano sottoscritto il contratto collettivo nazionale ovvero raccolgano un numero di firme non inferiore al 5% dei lavoratori aventi diritto al voto.Tuttavia bisogna dire che solo 2/3 dei seggi sono ripartiti tra tutte le liste presentate in proporzione ai voti conseguiti; il restante terzo è infatti riservato solo alle liste presentate dai sindacati firmatari del contratto collettivo nazionale applicato nell’unità produttiva.Peraltro nella quota di riserva i seggi sono attribuiti mediante una designazione effettuata dal sindacato stesso e non sulla base dei voti.Infine deve dirsi che i sindacati firmatari dei contratti collettivi nazionali di lavoro si riservano una parte dei diritti sindacali, al fine di poter operare direttamente in azienda.Per la validità dell’elezione si richiede un quorum del 50% + 1 degli elettori; si consente tuttavia alla commissione elettorale di considerare valide le elezioni anche se il quorum non è stato raggiungo “in relazione alla situazione determinatasi”. La durata del mandato è di 3 anni e non più essere prorogata.

Le rappresentanze sindacali unitarie nelle pubbliche amministrazioni

L’art. 42 D.Lgs. 165/2001 stabilisce l’applicabilità anche all’interno delle pubbliche amministrazioni delle norme in tema di libertà sindacale.Si riconosce quindi ai sindacati maggiormente rappresentativi del settore pubblico il diritto a costituire proprie r.s.a., ma la stessa legge stabilisce anche la obbligatorietà di costituire RSU in ciascuna amministrazione che abbia almeno 15 dipendenti.La combinazione dei due precetti implica che ciascun sindacato ha la facoltà di partecipare alle elezioni delle RSU o di rinunciarvi, mantenendo il diritto a costituire la propria r.s.a.La legge pone un incentivo alla partecipazione di tutti i sindacati alle elezioni, poiché solo i sindacati maggiormente rappresentativi sono ammessi alle trattative per i contratti nazionali e il sindacato che decida di non partecipare alle elezioni, per essere ammesso a tali trattative dovrà avere una percentuale di iscritti pari almeno al 10%.La disciplina delle RSU nel settore pubblico e privato è simili ma vi sono anche differenze:

1. La fonte delle RSU nel settore pubblico è la legge e non il contratto;2. La previsione del metodo proporzionale per le RSU del settore pubblico è incompatibile con la

riserva di 1/3 dei seggi destinata a favore dei sindacati firmatari del contratto nazionale.

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3. Mentre nel settore privato anche i sindacati che non abbiano sottoscritto il contratto nazionale possono presentare la propria lista, laddove questa sia sottoscritta da almeno il 5% degli elettori; nel settore pubblico la sottoscrizione da parte degli elettori è richiesta per tutte le liste.

4. Le RSU del lavoro pubblico hanno la titolarità esclusiva dei diritti di informazione e partecipazione previsti dalla legge o dai contratti collettivi e una legittimazione esclusiva alla contrattazione integrativa.

La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese

L’art. 46 Cost. prevede il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione dell’impresa; questa norma è rimasta tuttavia inattuata.Tuttavia tale situazione non ha impedito la ricerca di strumenti per far pesare gli interessi dei lavoratori nei processi decisionali dell’impresa.Ciò è avvenuto attribuendo ai rappresentanti dei lavoratori il diritto ad essere informati preventivamente delle decisioni che l’imprenditore intende assumere su alcune materie ovvero prevedendo il diritto di ricevere periodicamente informazioni relative a dati inerenti l’azienda, anche nel contesto di incontri nel corso dei quali i rappresentanti delle parti procedono alla discussione dei dati e delle loro conseguenze.Su questa materia rileva il Protocollo IRI del 1984 che ha rafforzato i diritti di informazione e creato procedure di consultazione del sindacato sulle scelte gestionali più importanti.

I comitati aziendali europei

La direttiva 45/1994 prevede il diritto di informazione e di consultazione dei lavoratori, limitatamente alle imprese e ai gruppi di imprese comunitari.Per impresa comunitaria si intende quella che abbia almeno 1000 dipendenti nella Comunità e 150 per stato membro in almeno 2 Stati membri.Per gruppo di imprese comunitarie si intende un gruppo di imprese che impieghi almeno 1000 lavoratori nell’intera Comunità; che sia composto da almeno 2 imprese che operino in Stati membri diversi, ciascuna delle quali occupi almeno 150 dipendenti. Si ha gruppo di imprese anche quando una impresa controlla una o più imprese.Nelle imprese comunitarie o nei gruppi di imprese comunitarie, la direzione centrale deve negoziare con una delegazione speciale dei lavoratori l’istituzione di un comitato aziendale europeo.Nel caso in cui l’accordo non scelga la costituzione del comitato, l’accordo stesso deve prevedere il diritto di riunione dei rappresentanti dei lavoratori per procedere a uno scambio di idee in merito alle informazioni che sono loro comunicate.In caso di mancato accordo, trova applicazione la legge dello Stato in cui si trova la direzione centrale.

Il rappresentante per la sicurezza

Il rappresentante per la sicurezza ha la finalità di realizzare il massimo di sicurezza nei luoghi di lavoro.Nelle aziende fino a 15 dipendenti il rappresentante è eletto direttamente dai lavoratori ed i lavoratori possono anche designare un solo rappresentante per una pluralità di aziende dello stesso territorio.Nelle aziende con più di 15 dipendenti, il rappresentante per la sicurezza va individuato nell’ambito delle rappresentanze sindacali operanti in azienda.I rappresentanti per la sicurezza devono ricevere una adeguata formazione sia sulla normativa sia sui rischi esistenti nell’ambito di lavoro.Essi hanno diritto a permessi retribuiti e ai mezzi necessari per svolgere la loro attività.Le modalità per lo svolgimento della loro funzione sono determinate dalla contrattazione collettiva.

CAPITOLO VI: I DIRITTI SINDACALI1. Ratio storico-politica dei diritti sindacali nell’impresa: il titolo II dello Statuto dei lavoratori ribadisce la poliedrica operatività del principio di libertà sindacale nei luoghi di lavoro, in polemica con concezioni volte a negare cittadinanza alle libertà costituzionalmente garantite nei rapporti interprivati e segnatamente nelle unità produttive; ovviamente la libertà di organizzazione sindacale

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non si esaurisce nel riconoscimento del momento associativo, ma si espande fino a consentire l’attivazione di ulteriori situazioni strumentali in grado di dinamicizzare l’azione sindacale.

2. Associazione e attività sindacale in azienda (art. 14): l’art. 14, che apre il titolo II della L. n°300/1970, sancisce il diritto per tutti il lavoratori di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale nei luoghi di lavoro; questo articolo, insieme alla disciplina relativa agli atti e ai trattamenti economici collettivi discriminatori (artt. 15 e 16) e alla norma che pone il divieto di costituzione di sindacati di comodo (art. 17), costituisce la concretizzazione a livello aziendale del principio di libertà di organizzazione sindacale (art 39, 1° comma, Cost.). Comunque i diritti sindacali del tit. III rappresentano un’aggiunta alla libertà sindacale in azienda: infatti l’art. 14 garantisce pure il diritto di costituire e far operare in azienda, sia pur senza le garanzie previste dal titolo III, organizzazioni sindacali al di fuori dell’art. 19, con esclusione, naturalmente, dei sindacati di comodo (v. § 4); inoltre l’art. 14 tutela lo stesso pluralismo sindacale, garantisce protezione legislativa a forme di dissenso anche in momenti di organizzazione collettiva spontanea di carattere transitorio (comitati di sciopero, di lotta), nel rispetto però dei limiti posti dall’art. 18 (liceità dei fini, non segretezza).

3. Il principio di non discriminazione (artt. 15 e 16): l’art. 15 Stat. lav. costituisce la prima ampiaconsacrazione legislativa del principio di non discriminazione nel rapporto di lavoro: esso si riferisce alle discriminazioni per motivi sindacali, insieme a quelle per motivi politici e religiosi, e per ragioni di sesso, razza e lingua; è opportuno comunque sottolineare la distinzione tra il principio di eguaglianza e il principio di non discriminazione, poiché mentre il primo mira a realizzare una parificazione generale dei trattamenti tra i soggetti appartenenti ad un gruppo, il secondo mira a reprimere ipotesi di disparità legate a specifici motivi vietati. La fattispecie oggetto del divieto di discriminazione nell’art. 15 comprende atti diretti a: a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari per le ragioni indicate, nonché ogni altro atto o patto in grado di recare altrimenti pregiudizio al lavoratore per gli stessi motivi; sono esclusi solo i meri comportamenti materiali e le semplici manifestazioni di intenzioni, oltretutto per lo più non idonee a ledere gli interessi protetti.L’art. 16 vieta la concessione da parte del datore di trattamenti economici collettivi a carattere discriminatorio, ossia quei trattamenti più favorevoli corrisposti a gruppi di lavoratori in ragione del loro comportamento sindacale (sono dunque vietati i “premi” corrisposti a lavoratori che non abbiano scioperato o la maggiore retribuzione a coloro che non abbiano partecipato ad un’assemblea).Nel divieto degli artt. 15 e 16 vanno ricompresi anche gli atti c.d. omissivi del datore di lavoro (es. rifiuto di assumere, di promuovere, di concedere trattamenti economici).

Lo Statuto dei Lavoratori, L. 20 marzo 1970 n.300, persegue fondamentalmente 3 obiettivi:1. Tutelare il lavoratore da situazioni repressive della sua libertà che possono verificarsi

nell’impresa;2. Rafforzare il principio di libertà sindacale all’interno dei luoghi di lavoro, vietando

all’imprenditore di esercitare i suoi poteri per ostacolare i lavoratori nell’esercizio delle attività di autotutela dei propri interessi;

3. Attuare una politica di sostegno delle organizzazioni sindacali dei lavoratori.L’art. 14 dello Statuto dei lavoratori afferma “che il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro”.Tale norma sottolinea l’intenzione di garantire la libertà sindacale soprattutto nei luoghi di lavoro e quindi nei confronti del datore di lavoro, in modo da evidenziare l’efficacia dell’art. 39 Cost. non solo nei rapporti tra cittadino-Stato, ma anche nei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro.L’art. 15 St. Lav. sancisce invece la nullità degli atti discriminatori, stabilendo:

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La nullità dei patti diretti a subordinare l’occupazione del lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale;

La nullità di qualsiasi atto o patto diretto a licenziare un lavoratore, a discriminarlo o a recargli pregiudizio a causa della sua affiliazione ad un sindacato ovvero a causa della sua partecipazione ad uno sciopero.

Mentre nel primo caso è prevista l’applicazione di una sanzione penale, nel secondo caso il legislatore ha ritenuto sufficiente la sanzione civile della nullità.Infine si ritiene che una discriminazione sindacale sussista anche nel momento in cui il datore di lavoro conceda particolari benefici ai lavoratori che tengano un determinato comportamento, come ad esempio il caso in cui viene concesso un premio ai lavoratori che non abbiano partecipato ad uno sciopero.Infatti l’art. 16 St. Lav. vieta la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio.Per trattamento economico si intende qualsiasi concessione valutabile in termini economici e quindi non solo la corresponsione di denaro.Se si accerta il comportamento discriminatorio, il giudice può condannare il datore di lavoro al pagamento di una somma pari all’importo dei trattamenti economici di maggior favore illegittimamente corrisposti, a favore del Fondo pensioni dell’INPS.

L’art. 15 St. Lav sancisce la c.d. libertà sindacale negativa, cioè la libertà del lavoratore di non aderire ad alcuna organizzazione sindacale, stabilendo che è illecita ogni discriminazione ai danni del lavoratore che non aderisca ad un’associazione sindacale.L’art. 15 considera illecita non solo le discriminazioni compiute ai danni del lavoratore che non vuole aderire ad alcun sindacato nel momento della assunzione (c.d. closed shop), ma anche quelle che subordinano la continuazione del rapporto di lavoro alla iscrizione al sindacato (c.d. union shop).Quindi sono inammissibili sia le discriminazioni riconducibili alla adesione al sindacato, sia quelle riconducibili alla mancata adesione all’organizzazione sindacale.Naturalmente non costituisce discriminazione la pratica dei c.d. benefici riservati, che riserva in tutto o in parte i vantaggi della contrattazione collettiva ai soli lavoratori iscritti ai sindacati stipulanti.

4. Sindacati di comodo (art. 17): l’art 17 vieta a tutti i datori di lavoro, imprenditori e non (anche gli enti pubblici) nonché alle loro associazioni (sindacali e di altro genere) “di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori”. Sono sindacati di comodo quelle organizzazioni, promosse o sostenute dai datori di lavoro, per avere un interlocutore all’apparenza antagonistico, ma in realtà addomesticato, con conseguente alterazione della dinamica sindacale. Per quanto riguarda la sanzionabilità del comportamento antisindacale, è scontato il ricorso all’art. 28, ma è altresì dubbio se il giudice possa spingersi sino ad una radicale eliminazione del gruppo costituitosi in violazione dell’art. 17; la tesi contraria si fonda sul riconoscimento che il gruppo sindacalmente non genuino gode pur sempre della tutela dell’art. 18 Cost., in quanto manifestazione di una più generale libertà di associazione.

L’art. 17 vieta la costituzione di sindacati di comodo, cioè di sindacati costituiti dai datori di lavoro o dalle loro associazioni.L’esistenza di tali sindacati costituisce infatti un modo indiretto di compressione della libertà sindacale.La situazione antigiuridica contemplata dalla norma vi è quando il rapporto tra sindacato e datore di lavoro è di asservimento del primo al secondo.In caso di violazione dell’art. 17 da parte del datore di lavoro, si deve sottolineare che il giudice potrà interdire al datore di lavoro l’azione di sostegno del sindacato, ma non potrà ordinare lo scioglimento dell’associazione.

5. Il diritto di assemblea (art. 20): funzione dell’assemblea – come del referendum – è di permettere ai lavoratori, anche non appartenenti al sindacato, di partecipare alla elaborazione e decisione delle politiche contrattuali e sindacali. Ai sensi del 1° comma dell’art. 20 “i lavoratori

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hanno diritto di riunirsi nell’unità produttiva”: il potere di convocare l’assemblea è riservato a ciascuna RSA, che così può filtrare le domande provenienti dalla base, valutando quali di queste appaiano meritevoli di considerazione; anche le RSU hanno pieno diritto di convocare l’assemblea, una volta però subentrate alle RSA dei sindacati partecipanti all’elezione.L’assemblea deve riguardare “materie di interesse sindacale e del lavoro” (può dunque concernere anche tematiche di carattere non strettamente rivendicativo-aziendale, bensì politico in senso ampio, non invece aspetti che afferiscono esclusivamente al campo della politica.L’assemblea può svolgersi durante l’orario di lavoro nei limiti di 10 ore annue per ciascun lavoratore.

L’art. 20 Statuto dispone che i lavoratori hanno diritto a riunirsi in assemblea nell’unità produttiva in cui prestano la loro opera.L’ assemblea implica la collaborazione del datore di lavoro, il quale deve mettere a disposizione quanto è necessario affinchè l’assemblea possa svolgersi.Inoltre il datore di lavoro deve consentire l’accesso in azienda anche ai lavoratori sospesi, collocati in Cassa integrazione guadagni o ai lavoratori in sciopero.Il diritto di assemblea è circoscritto dalla pertinenza della riunione con la condizione di lavoro, anche se una riunione di diversa natura sarebbe legittima nella misura in cui non turbi lo svolgimento dell’attività produttiva.Il diritto di riunirsi in assemblea incontra una serie di limiti.Le assemblee si svolgono di regola al di fuori dell’orario di lavoro, ma possono svolgersi anche durante tale orario nel limite di 10 ore annue, per le quali va corrisposta la normale retribuzione.Le riunioni devono essere convocate dalle r.s.a. e se ne deve dare comunicazione al datore di lavoro.Tuttavia anche le organizzazioni sindacali possono convocare assemblee retribuite. Nel settore privato tale diritto è limitato a 3 ore annue, nel settore pubblico rimane fermo il limite di 10 ore annue di assemblea spettante a ciascun dipendente.Un altro limite è costituito dal fatto che le riunioni devono essere indette per discutere materie di interesse sindacale e del lavoro, essendo tali tutti quelli che il sindacato assume come materia propria, in rapporto ai fini istituzionali.L’art. 20 Statuto prevede poi che alle riunioni possono partecipare “dirigenti esterni” del sindacato cui fa capo la r.s.a. che convoca l’assemblea, fermo restando l’obbligo di preavviso del datore di lavoro.Il datore di lavoro invece non ha diritto a partecipare all’assemblea, salvo che non sia stato invitato.Deve infine dirsi che l’esercizio del diritto di assemblea sia condizionato alla salvaguardia del normale svolgimento dell’attività aziendale.Si stabilisce che la contrattazione collettiva non può derogare in peius al diritto di assemblea, ma può ricercare soluzioni per rendere meno oneroso per l’imprenditore l’esercizio di tale diritto da parte dei lavoratori.Inoltre la contrattazione può introdurre limiti diretti a contemperare l’esercizio di tale diritto con i diritti degli utenti costituzionalmente garantiti. In tal senso l’accordo 7 agosto 1998 sui diritti sindacali nel settore pubblico ha consentito all’amministrazione di differire l’assemblea quando ricorrano “condizioni eccezionali e motivate”.

6. Il referendum (art. 21): il diritto di referendum serve a far emergere l’opinione dei lavoratori (iscritti e non) su determinate tematiche, con precise limitazioni: la facoltà di convocazione è riservata alle RSA (come per l’assemblea), che possono però esercitarla soltanto congiuntamente. I limiti posti alla disciplina di indizione dei referendum trovano giustificazione: a) nel garantire una qualche stabilità alle strategie ed opzioni del sindacato, evitando una continua esposizione al rischio di contestazioni da parte di lavoratori dissenzienti o di sindacati minoritari; b) nell’impedire una eccessiva proliferazione di consultazioni nei luoghi di lavoro, nell’interesse della parte datoriale.Oggetto: il referendum deve riguardare materie inerenti all’attività sindacale.Modalità: l’art. 21 dispone che il referendum debba tenersi in ambito aziendale e fuori dall’orario di lavoro.Efficacia: il rilievo del referendum è circoscritto al rapporto associativo tra lavoratore e sindacato.

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L’art. 21 Statuto pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di consentire lo svolgimento di referendum tra i lavoratori dell’unità produttiva o tra i lavoratori appartenenti ad una stessa categoria.Il referendum deve svolgersi al di fuori dell’orario di lavoro e deve riguardare materie inerenti all’attività sindacale. Inoltre deve essere indetto unitariamente da tutte le r.s.a.Il referendum, come l’assemblea, coinvolge la collaborazione dell’imprenditore per la disponibilità dei locali, l’accesso ad essi etc.L’art. 14 L. 146/1990 dispone che la Commissione di garanzia possa indire un referendum sugli accordi in materia di prestazioni minime da garantire in occasione degli scioperi nei servizi essenziali, quando a richiederlo sia una organizzazione dissenziente o un numero rilevante di lavoratori.

7. Diritto di affissione (art. 25): il diritto di affissione compete alle RSA e si esercita “all’interno dell’unità produttiva” dove il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre appositi spazi che rendano esercitabile il diritto. La norma dispone che l’attività di affissione abbia ad oggetto pubblicazioni, testi e comunicati “inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro”. Resta discussa l’inesistenza di qualsiasi forma di autotutela da parte del datore di lavoro, soprattutto ove il documento ecceda i limiti stabiliti dalla legge, ovvero risulti offensivo, diffamatorio per il datore o in generale integri gli estremi di un reato.

L’art. 25 St. riconosce alle r.s.a. il diritto di affiggere all’interno dell’unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti materie di interesse sindacale e del lavoro.In base a tale norma, il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre per ciascuna r.s.a. degli spazi per l’affissione e tali spazi devono trovarsi in luoghi accessibili a tutti..È escluso che la Direzione aziendale possa vietare l’affissione o possa rimuovere testi affissi dalle r.s.a., anche nel caso che essi integrino estremi di reato.In tale ipotesi occorre chiedere la rimozione ai responsabili delle r.s.a. o all’autorità giudiziaria.Il diritto di affissione trova un limite nel fatto che i documenti affissi devono attenere materie di interesse sindacale e del lavoro.In giurisprudenza è stato affermato che qualsiasi argomento può essere considerato di interesse sindacale se il sindacato lo assume come tale.Per quanto riguarda la concessione di locali alle r.s.a., la legge distingue tra unità produttive con almeno 200 dipendenti e unità produttive minori.Per le prime il datore di lavoro ha l’obbligo di porre permanentemente a disposizione delle r.s.a. un locale idoneo all’interno della unità produttiva o nelle immediate vicinanze.Per le unità produttive con meno di 200 dipendenti il datore di lavoro è obbligato a mettere a disposizione delle r.s.a. un locale idoneo ogni volta che queste ne facciano richiesta.

8. Proselitismo e collette sindacali nei luoghi di lavoro (art. 26): l’art. 26 riconosce ai singoli lavoratori il diritto “di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale”.L’attività di proselitismo non corrisponde ad una forma qualificata di propaganda, poiché comprende momenti ed aspetti operativi, volti a concretamente promuovere l’ingresso di nuovi elementi nell’organizzazione sindacale. Beneficiarie dell’attività di raccolta dei contributi e dell’opera di proselitismo sono, infatti, tutte le associazioni sindacali dei lavoratori, con la differenza, rispetto ai diritti di assemblea e di referendum, che la situazione attiva conferita al singolo non è subordinata all’esercizio di un potere da parte dell’organizzazione sindacale. Il proselitismo, nonché la raccolta di contributi aziendali, incontrano il limite “espresso” del rispetto del “normale svolgimento dell’attività aziendale”.

L’art. 26 St. Lav. riconosce ai lavoratori la libertà di svolgere opera di proselitismo in favore delle proprie organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio per il normale svolgimento dell’attività aziendale.

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Il limite del normale svolgimento dell’attività aziendale opera in via generale per tutte le attività che i lavoratori sono liberi di svolgere nei luoghi di lavoro.I contributi sindacali consistono in quote che ciascun iscritto è obbligato a versare all’associazione sindacale per costituire il fondo comune dell’associazione.Nel primo periodo di vita democratica, la riscossione avveniva mediante versamento diretto da parte del lavoratore al sindacato prescelto. Negli anni 60 tale sistema venne sostituito dalla ritenuta sul salario operata dall’imprenditore e da questi versata all’organizzazione sindacale indicata dal lavoratore.Anche la raccolta di contributi viene considerata attività di proselitismo e quindi deve svolgersi senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività sindacale.Un accenno merita il referendum dell’11 giugno 1995 il quale ha abrogato l’obbligo dei datori di lavoro di trattenere dalla busta paga dei lavoratori il contributo sindacale e di versarlo alla organizzazione sindacale scelta dal lavoratore.

9. Locali per le RSA (art. 27): le rappresentanze sindacali hanno diritto ad utilizzare appositi locali per l’esercizio dell’attività sindacale, messi a disposizione dall’azienda. Da notare tuttavia il fatto che la disposizione di cui all’art. 27 distingue due ipotesi, la prima delle quali concernente le unità produttive con almeno 200 dipendenti: in esse è fatto obbligo al datore di lavoro di mettere a disposizione delle RSA permanentemente un idoneo locale comune all’interno dell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa. La seconda ipotesi riguarda le unità produttive con meno di 200 dipendenti, nel cui caso viene meno il requisito della permanente disponibilità, prevedendo invece la concessione di un idoneo locale per le riunioni che di volta in volta le RSA decideranno di tenere.

10. Permessi per i dirigenti sindacali aziendali (artt. 23 e 24): gli artt. 23 e 24 sono norme chebeneficiano i dirigenti sindacali interni: in base a queste norme, la carica di dirigente sindacale aziendale dà diritto a permessi retribuiti (art. 23) e a permessi non retribuiti (art. 24). I primi sono concessi ai dirigenti delle RSA ovvero ai componenti della RSU, ove esistente, “per l’espletamento del loro mandato” (mandato = complesso delle attività e delle funzioni inerenti alla sfera di competenza delle strutture sindacali aziendali, quali organismi interni all’unità produttiva). I permessi non retribuiti dell’art. 24 sono, invece, concessi ai dirigenti di RSA o ai componenti di RSU che vi subentrino, oltre che alle oo.ss. aderenti alle associazioni stipulanti il CCNL “per la partecipazione a trattative sindacali o congressi e convegni di natura sindacale”. Le norme prevedono limiti circa i soggetti beneficiari e il numero delle ore di permesso usufruibili, che variano a seconda delle dimensioni dell’unità produttiva.

Il legislatore ha riconosciuto ai dirigenti delle r.s.a. il diritto a permessi per svolgere attività sindacale.Gli artt. 23 e 24 Statuto prevedono che un determinato numero di dirigenti delle r.s.a. abbia diritto a permessi retribuiti e non, per un dato numero di ore per ciascuna r.s.a. regolarmente costituita.Dirigenti delle r.s.a. dovrebbero essere considerati coloro che sono stati nominati secondo le procedure previste dallo statuto dell’organizzazione.La nomina per produrre effetti deve essere però comunicata al datore di lavoro o altrimenti conosciuta dallo stesso.La contrattazione collettiva ha però sganciato il godimento dei permessi dalla qualificazione di dirigente di r.s.a. Infatti essa nella maggior parte dei casi determina un monte ore annuo di permessi posti a disposizione delle r.s.a., che di volta in volta designano il lavoratore che ne può fruire.Il lavoratore che intenda godere del permesso retribuito ne deve dare comunicazione al datore almeno 24 ore prima, tramite le r.s.a., per consentire al datore di sostituirlo.Il diritto a permessi non retribuiti viene invece riconosciuto per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi e convegni sindacali. Anche per la fruizione dei permessi non retribuiti la norma prevede che si dia comunicazione scritta al datore di lavoro almeno 3 giorni prima.Inoltre i componenti degli organi direttivi provinciali o nazionali dei sindacati maggiormente rappresentativi hanno diritto a permessi retribuiti per la partecipazione alle riunioni degli organi stessi.

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11. Permessi e aspettativa per i dirigenti sindacali esterni (artt. 30 e 31): a norma dell’art. 30 St. lav., i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali dei sindacati di cui all’art 19 St. lav. hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti. I lavoratori che ricoprono cariche sindacali provinciali e nazionali, a norma dell’art. 31 1° e 2° comma, possono essere collocati, a richiesta, in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro mandato.

Inoltre l’art. 31 Statuto riconosce il diritto dei lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali nazionali o provinciali di chiedere di essere collocati in aspettativa non retribuita per la durata del mandato.

12. Guarentigie per i dirigenti sindacali aziendali: l’art. 22 e l’art.18 commi 7°, 8°, 9° e 10° prevedono una tutela speciale a favore dei dirigenti sindacali in materia di licenziamenti e trasferimenti. In ordine al licenziamento, il lavoratore che riveste qualifica di dirigente sindacale riceve una tutela privilegiata di tipo processuale (venendo provvisoriamente reintegrato); inoltre, se il datore non ottempera all’ordinanza di reintegrazione viene condannato, oltre che a versare la normale retribuzione a favore del lavoratore, “anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore (art. 18, 10° comma). Il trasferimento, invece, dell’unità produttiva dei dirigenti delle RSA, dei candidati e dei membri di commissioni interne, ai sensi del 1° comma dell’art. 22, può essere disposto solo previo nulla-osta delle associazioni sindacali di appartenenza; lamancanza del nulla-osta rende inefficace (o meglio nullo) il provvedimento.

Per i dirigenti delle r.s.a. è prevista una tutela rafforzata contro i licenziamenti e i trasferimenti arbitrari posti in essere dal datore di lavoro. Tali tutele si applicano anche per l’anno successivo alla cessazione dell’incarico di dirigente.L’art. 18 prevede una procedura cautelare, esperibile durante il corso del giudizio per ottenere, senza dover attendere la sentenza, l’immediata reintegrazione nel posto di lavoro del dirigente di r.s.a. che sia stato licenziato.Su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato, il giudice in ogni stato e grado del giudizio può disporre, con ordinanza, la reintegrazione del lavoratore quando ritenga insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro. In tal caso il datore di lavoro che non ottemperi all’ordine di reintegrazione, oltre alle retribuzioni dovute al lavoratore, dovrà versare una somma pari a queste ultime all’INPS.Inoltre i dirigenti delle r.s.a. possono essere trasferiti dalla unità produttiva in cui operano solo previo nulla osta dell’associazione sindacale di appartenenza.Non è necessario il nulla osta per trasferimenti interni, il quale sarà tuttavia illegittimo se ispirato a motivi discriminatori.

13. Campo d’applicazione del titolo III dello Statuto (art. 35): per l’art. 35, comma 1°, le disposizioni del titolo III, rispetto alle imprese industriali e commerciali, “si applicano a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti”; dette disposizioni si applicano anche alle imprese agricole che occupano più di 15 dipendenti. Il 2° comma dell’art. 35 precisa che al fine del raggiungimento della consistenza occupazionale indicata è sufficiente che l’impresa occupi più di 15 dipendenti nello stesso comune “anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti”.

Il legislatore ha individuato il campo di applicazione delle norme del titolo III facendo riferimento alla nozione di unità produttiva.L’art. 35 statuto prescrive infatti che le disposizioni del titolo III si applicano a “ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio e reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti” e l’espressione che riassume tali articolazione è proprio quella di unità produttiva.

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L’esistenza in una data unità produttiva di un certo numero di dipendenti come condizione perché in essa possano esercitarsi i diritti del titolo III è giustificata dalla necessità che l’interesse collettivo alla cui tutela sono finalizzati quei diritti abbia uno spessore che gli può essere dato solo dal fatto che è espresso da un gruppo di lavoratori dotato di un minimo di consistenza.Inoltre l’art. 35 fa riferimento anche ad un dato territoriale: il comma 2 stabilisce infatti che va sommato il numero dei dipendenti di tutte le unità produttive poste nel territorio di uno stesso comune. Avendosi più unità produttive di piccole dimensioni, ma operanti nello stesso comune, i lavoratori potranno organizzare assemblee e svolgere tutte le attività indicate dal titolo III Statuto come se lavorassero in un’unica unità produttiva.

14. Rappresentanza, diritti sindacali e partecipazione nel lavoro pubblico: sul versante del lavoro pubblico, il problema della rappresentanza e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro ha avuto un’evoluzione storica tormentata e differente rispetto alla disciplina del settore privato; l’art. 42 D.Lgs. n° 165/2001 instaura un inedito sistema di verifica effettiva e democratica del consenso nei luoghi di lavoro. Il modello poggia su una duplicazione delle strutture base: le rappresentanze sindacali aziendali, da una parte, e gli organismi di rappresentanza unitaria personale, dall’altra. Per quanto riguarda le RSA del settore pubblico, esse non nascono ad iniziativa dei lavoratori, ma sono immediata e diretta espressione dei sindacati in possesso della rappresentatività minima del 5%; in merito ai nuovi organismi di rappresentanza unitaria del personale, l’art. 42, 3° comma consente la loro istituzione ad iniziativa anche disgiunta deisindacati nel medesimo ambito costitutivo delle RSA, mediante elezioni aperte a tutti i lavoratori. Le RSU sono elette a suffragio universale e voto segreto con apertura del meccanismo elettorale anche ad organizzazioni sindacali non rappresentative; la ripartizione dei seggi deve avvenire secondo il “metodo proporzionale”; sul piano delle tutele statutarie, i componenti della RSU sono pienamente equiparati ai dirigenti di RSA, mentre su quello dei diritti e delle prerogative collettive, tutto è rinviato agli accordi sulla costituzione ed il funzionamento delle RSU, chiamati altresì a trasferire ai componenti eletti della rappresentanza unitaria le garanzie spettanti alle rappresentanze aziendali delle organizzazioni stipulanti o aderenti ai succitati accordi.

Anche i dipendenti del pubblico impiego godono di diritti sindacali del tutto simili a quelli dei dipendenti del settore privato, ma sono riscontrabili alcune differenze:

1. Nel settore privato i diritti sindacali spettano alle r.s.a. in misura paritaria, mentre i diritti ai permessi per il settore pubblico sono determinati quantitativamente nella loro misura complessiva e ripartiti tra i diversi sindacati in proporzione al loro grado di rappresentatività;

2. L’accordo quadro ha previsto che le organizzazioni sindacali nel settore pubblico operino attraverso “terminali di tipo associativo”.

Nelle pubbliche amministrazioni dunque oltre alle RSU e alle r.s.a. operano anche questi “terminali” delle associazioni sindacali che partecipano alle RSU, nella forma organizzativa liberamente individuata dallo statuto di ciascuna associazione.3. Nel settore pubblico sono state abrogate le norme che prevedevano la partecipazione di

rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione di enti ed amministrazioni pubbliche e il legislatore ha affidato alla contrattazione collettiva il compito di prevedere e disciplinare forme di partecipazione dei lavoratori all’organizzazione del lavoro.

15. Diritti di informazione e controllo: al di fuori dello Statuto, uno degli sviluppi più significativi in tema di diritti sindacali riguarda i c.d. diritti di informazione, di consultazione e di controllo rispetto a scelte organizzative o a politiche economiche e industriali dell’impresa. Essi possono avere origine diversa e si legano alla tematica generale della partecipazione del sindacato alle scelte imprenditoriali. Lo sviluppo maggiore dei diritti in questione si ha nella contrattazione collettiva.Il diritto sindacale di informazione, consistente nella semplice comunicazione di conoscenze al sindacato; in taluni contratti collettivi, detto diritto sfocia poi nell’obbligo dell’imprenditore di sottoporre la materia ad esame congiunto con la controparte, soprattutto in relazione alle conseguenze delle scelte aziendali sulle condizioni di lavoro e sull’occupazione. L’informazione si

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articola a diversi livelli – nazionale, regionale, provinciale, d’impresa o di gruppo di impresa – e coinvolge diversi soggetti: i sindacati nazionali di categoria che hanno sottoscritto il contratto, le loro articolazioni regionali o provinciali, le RSA o RSU; oggetto delle informazioni sono, generalmente, le questioni riguardanti l’organizzazione produttiva, il decentramento, le strategie aziendali.

DIRITTI SINDACALI

Riconosciuti alle RSA e alle RSU da quando sono presentiArticolo 20. Assemblea (istituto di democrazia diretta)I lavoratori hanno diritto (è tuttavia il sindacato che decide quanto ci sarà la riunione) di riunirsi (solo i lavoratori e non il datore di lavoro (a meno che non venga invitato) il suo intervento verrebbe considerato condotta antisindacale; si discute sulla partecipazione del dirigente, in genere non consentita; partecipazione di personalità sindacali: deve essere comunicato al datore di lavoro (caso di denuncia per “violazione di domicilio” dei dirigenti che non hanno preavvisato), nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell'orario di lavoro, nonché durante l'orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione (ciò ha lo scopo di consentire alle persone di andare alle assemblee, in caso contrario l’afflusso sarebbe sicuramente minore). Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva.Le riunioni - che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi - sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell'unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro (su materie non di interesse sindacale una riunione verrebbe considerata come sciopero con la possibilità di sanzioni disciplinari) e secondo l'ordine di precedenza delle convocazioni, comunicate al datore di lavoro.Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale.Ulteriori modalità per l'esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.Articolo 27. Locali delle rappresentanze sindacali aziendali.Il datore di lavoro nelle unità produttive con almeno 200 dipendenti pone permanentemente a disposizione delle rappresentanze sindacali aziendali, per l'esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune all'interno dell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.Nelle unità produttive con un numero inferiore di dipendenti le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di usufruire, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro riunioni.Articolo 21. Referendum (Attività condivisa. È controllato congiuntamente da tutte le RSA per evitare un voto collettivo su una scelta già effettuata da parte di altre rappresentanza sindacali. Attività tipica della CGIL con la FIOM che organizza assemblee o referendum per vedere com’è orientata la base su un contratto collettivo che ha preparato)Il datore di lavoro deve consentire nell'ambito aziendale lo svolgimento, fuori dell'orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti all'attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente interessata.Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro anche aziendali.L’eventuale esito negativo ha solo una valenza di natura politica. Il sindacato può comunque firmare il contratto collettivoUna giurisprudenza vincola il sindacato di organizzare il referendum in modo da garantire la segretezza del voto

GUARENTIGIE SINDACALI

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Norme di garanzia sindacali, (guarentigie) in materia di 1. Dirigenti della rappresentanza sindacale confederale2. Componenti delle RSU3. Soggetti che ricoprono cariche all’interno del sindacato

Ambiti delle garanzie: TRASFERIMENTO :

1) Lavoratore, il datore di lavoro può trasferire geograficamente il lavoratore (cambia la sede lavorativa), purché si vi siano tre ragioni:

1. Tecniche2. Produttive3. Organizzative

2) Dirigenti solo previo nulla osta:Articolo 22. Trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali.Il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui al precedente articolo 19 (ma anche dirigente RSU), dei candidati e dei membri di commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza…

LICENZIAMENTO : Deve essere giustificato, se privo di giusta causa vi sono delle tutele che sono maggiori se la dimensione dell’impresa è maggiore. La soglia (legge 108/1990) è stata identificata nel limite dei 15 lavoratori indicata nell’art. 18 dello Statuto. Tale tutela consente al lavoratore ingiustamente licenziato di essere reintegrato (come mai licenziato, come se quel rapporto non si fosse mai interrotto). Art. 18 commi 7/8/9 Statuto (norma quasi mai usata), casi in cui il soggetto licenziato è un dirigente sindacale. Tale tutela consente al giudice, in ogni stato e grado del processo, di procedere ad una reintegrazione anticipata, richiesta dal dirigente sindacale e dalla sua organizzazione sindacale di riferimento con una istanza (con la quale si chiede un’ordinanza che obblighi il datore di lavoro alla reintegrazione del datore di lavoro). Il presupposto è che il giudice abbia il fumus boni iuris. La protezione non è diretta al singolo ma alla protezione dell’attività sindacale, l’esigenza di dare continuità alla rappresentanza sindacale

PERMESSI : Per le normali attività sindacali, sono retribuiti, vengono distribuiti a ciascuna RSA a seconda del nr. di impiegati all’interno dell’azienda, venendo a costituire un monte ore. Vi sono delle ore di permesso retribuite (es. azienda di 100 dipendenti ha circa 10/12 ore da “spendere”) gestito dalla RSA di riferimento, e dato ai singoli dopo un preavviso di almeno 24 ore Il datore di lavoro non può sindacare cosa fa il dirigente, tranne i casi eccezionali (“beccato” a fare la spesa)

ASPETTATIVE: Pubblico impiego, sono retribuite e si chiamano “distacchi sindacali” ATTIVITÀ DI PROSELITISMO:

Articolo 26. Contributi sindacali. (proselitismo)I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale. (schema della delegazione del pagamento che ha consentito ai sindacati di diventare “ricchi”: una al lavoratore, una al sindacato che richiedeva al datore di lavoro il contributo senza che questi, con questo meccanismo, non venisse a sapere chi aveva aderito a chi) Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario nonché sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscono la segretezza del

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versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale] Tale parte abrogata è stata reintrodotta dai contratti collettivi nel medesimo sistema di versamento

PARTECIPAZIONE SINDACALE

Ambito molto importante dei diritti sindacali di partecipazione, rappresenta una zona di evoluzione del diritto sindacale. Se ne occupa la costituzione all’art. 36 con una norma programmatica in quanto se ne deve occupare la legge. La norma è rimasta inattuata, ovvero la legge non e mai stata promulgata46. Cost.. Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.In Italia non c’è un modello di partecipazione sindacale descritto dalla legge e quindi di carattere generale (dal 31/01/2007 c’è). Vi sono dei momenti di partecipazione sindacale che vengono introdotti per procedimentalizzare alcuni poteri del datore di lavoro. In particolare per situazioni che determina allarme sociale, ovvero in relazione alla riduzione della forza di lavoro e di trasformazione dell’impresa intervenendo sulle risorse umane Negli anni 80/90 il legislatore ha introdotto norme di legge in relazione al rapporti di lavoro:

Cassa integrazione Licenziamenti collettivi, la procedura che regola il confronto con le organizzazioni

sindacali e severe e va seguita alla lettera come indicato da giurisprudenza plurima. C’è quindi un obbligo a trattare

Trasferimento di aziendaLe ultime due ipotesi sono dettate da adempimenti comunitari. Si tratta di attività da porre in essere prima del licenziamentoIl decreto individua, all’interno di RSA e RSU (ha tutti i diritti dei dirigenti sindacali), all’art. 18 626/94, il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza Clausole previste dai contratti collettivi:

1. Diritti di informazione. Le RSU o RSA vengono informate della necessità del datore di lavoro di cedere tutta o parte dell’impresa. Si tratta di clausole di natura obbligatoria della parte sindacale (o politica o prima parte). In tutti i contratti collettivi, c’è una prima parte del contratto che stabilisce obblighi (quindi diritti per i lavoratori) per i singoli datori di lavoro e per le organizzazioni sindacali. Il sindacato diventa perciò destinatario di informazioni che riguardano la vita dell’impresa, le strategie dell’imprenditore

2. Consultazione o esame congiunto. Il sindacato riceve l’informazione e chiede al datore di lavoro un incontro finalizzato a trattarne la gestione

3. Concertazione, maggiore coinvolgimento del sindacato rispetto alla consultazioneTre direttive:

1. 1994, Comitati Aziendali Europei, CAE, sono degli organismi costituiti all’interno delle imprese transnazionali (requisito occupazionale complessivo con un buon numero di lavoratori inameno due stati membri). Trasposta nel nostro paese e all’interno dei CAE viene individuata delegazione sindacale trattante che sviluppa una forma di partecipazione a livello europeo

2. 2001, statuto della società europea, direttiva di diritto commerciale che si associa al regolamento che istituisce, vincolando tutti gli stati membri, un nuovo modello societario, con lo statuto della società europea. Ha la caratteristica di poter disciplinare un’attività di impresa di carattere sovranazionale che si fa per i grandi gruppi di impresa, per regolare le Holding, le capogruppo. Si tratta sempre di interventi specifici

3. 2002, direttiva 14, è stata recepita dall’Italia con decreto lgs del 31.01.2006. Riguarda le imprese con più di 50 dipendenti o più di 20 dipendenti per stato membro. Punti:

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informazione e consultazione, ma cambia l’informazione però, ora, deve essere utile allo scopo, ovvero deve consentire al sindacato di conoscere ..... E’ importante soprattutto perché il giudice ha oggi un appiglio normativo per sindacare se l’informazione è utile allo scopo e se la consultazione è stata fatto in modo utile allo scopo, c’è quindi un salto di qualità

informazioni riservate, obblighi di segretezza per i rappresentanti sindacali delle informazioni che il datore di lavoro. La rivelazione di tali fonti è fonte di sanzioni per il rappresentante che le divulga. Ci sono informazioni che possono anche essere segretate dal datore di lavoro, sebbene ci sia la possibilità di verificare e di sanzionare il datore che segreta senza motivo delle informazione

Il nuovo decreto da effettività

CAPITOLO SETTIMO1.L’IMPORTANZA DELL’ART. 28La protezione legislativa della libertà,dell’attività sindacale in azienda e del diritto di scioperosi realizza nel modo più ampio,e con la massima effettività,nell’art.28 St.lav.,vera norma dichiusura della legge,che prevede uno speciale procedimento giurisdizionale repressivo dellacondotta antisindacale del datore di lavoro.L’art. 28 Statuto sancisce che di fronte ad un comportamento del datore di lavoro diretto ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero, gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse possono proporre ricorso al giudice del lavoro, per chiedere che cessi il comportamento pregiudizievole.Il giudice del lavoro entro i 2 gg. successivi convoca le parti e, qualora ritenga che il comportamento sia antisindacale, con provvedimento motivato ordina al datore di cessare dal comportamento illegittimo e di rimuoverne gli effetti.Le parti entro 15 gg. possono proporre opposizione al decreto davanti allo stesso giudice.L’opposizione non sospende l’efficacia del decreto, il quale non può essere revocato fino alla sentenza con cui viene definito il giudizio.Le particolarità di questo tipo di azione sono:

1. La specialità delle regole processuali: riguarda la fase che si conclude col decreto. Essa dovrebbe esaurirsi in 2 gg. e per rendere possibile ciò, il legislatore esonera il giudice dall’obbligo di seguire le normali formalità processuali e di fondare la sua decisione sugli ordinari mezzi di prova.L’esigenza di garantire alle parti la esplicazione delle difese ha reso necessario che questa fase del processo non si chiuda con sentenza, ma con decreto contro il quale il soccombente può proporre opposizione davanti allo stesso giudice;2. L’attribuzione dell’azione ad un soggetto collettivo, il sindacato;3. L’adozione di un particolare strumento sanzionatorio: la condanna consiste nell’ordine

indirizzato al datore di lavoro di ripristinare la situazione di pieno godimento delle libertà sindacali e del diritto di sciopero.

Il datore che non ottemperi alla decisione è punito a norma dell’art. 650 c.p., ossia con l’arresto fino a 3 mesi o con un’ammenda. Di recente è stata aggiunta un’altra sanzione: la revoca delle agevolazioni fiscali nei confronti del datore di lavoro condannato per condotta antisindacale con provvedimento definitivo.4. L’uso di una particolare tecnica normativa per l’identificazione della fattispecie.

2.LA FATTISPECIE E IL SOGGETTO ATTIVOLa condotta antisindacale è identificata dall’art.28 nei “comportamenti del datore di lavorodiretti a impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del dirittodi sciopero”.Soggetto attivo della condotta vietata è quindi il datore di lavoro,a prescindereche sia o non sia imprenditore,privato o pubblico e indipendentemente dal numero dilavoratori alle sue dipendenze.La condotta antisindacale è rilevante ex art.28 anche se posta inessere non personalmente dal datore,ma dai soggetti che secondo l’organizzazione

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dell’azienda svolgono attività ad esso imputabile. L’illecito è imputabile solo e direttamente aldatore.

3.IL COMPORTAMENTOIl comportamento illegittimo è individuato nell’art.28 solo per l’idoneità a ledere i beni protetti:libertà,attività sindacale,diritto di sciopero,è quindi strutturalmente aperto;infatti i beni protettipossono essere lesi nella pratica da comportamenti diversi,non tipizzabili a priori.Il terminecomportamento esclude ogni qualificazione giuridica dell’atto,e comprende quindi anche i mericomportamenti materiali del datore (intimidazioni,minacce,ecc.),a conferma della maggiorampiezza dell’art.28 rispetto all’art.15.Nel divieto rientrano anche comportamentiantisindacali,come la serrata,riduzioni o sospensioni di orario,presi nei confronti della generalità deidipendenti.

4.I BENI PROTETTIL’elemento centrale della fattispecie è la lesione della “libertà,attività sindacale e diritto disciopero”.La dottrina e la giurisprudenza hanno rifiutato le prime teorie restrittive secondo cui la normatutelerebbe solo i diritti collettivi esplicitamente riconosciuti dalla Legge 300,a causa propriodell’ampiezza della formula normativa che si riferisce ai diritti sindacali elementari nella loro formapiù estesa.Quindi si ha condotta antisindacale non solo quando sono violati diritti sindacali formalmentericonosciuti dallo Statuto,ma anche quando si colpiscono uno o più lavoratori singoli per l’eserciziodei diritti della libertà sindacale,e diritto di sciopero di cui sono titolari.

5.I LIMITI DELL’ANTISINDACALITA’. ANTISINDACALITA’ GIURIDICA E DI FATTONon tutti i comportamenti antagonistici del sindacato sono antisindacali dal punto di vistagiuridico.In genere,sono illeciti i comportamenti del datore ostativi di attività sindacale e di scioperi svolticon modalità riconosciute dall’ordinamento,o di comportamenti che si muovono nella sfera genericadella libertà sindacale,e come tali protetti.Sono invece esenti da censura i comportamenti motivati da reazioni a comportamenti illeciti o nonprotetti dei lavoratoria) Antisindacalità ed interesse dell’impresaNascono delle controversie sui comportamenti del datore attinenti alla gestione dell’impresa,mabisogna escludere che basti qualsiasi interesse aziendale a giustificare il comportamento del datore ead escludere l’applicabilità dell’art.28.Perché sia così,il comportamento oltre a dover esseregiustificato i n modo conclusivo,si deve escludere che sia diretto a contrastare l’esercizio dei dirittiprotetti dalla norma.b) Reazioni allo scioperoL’art.28 protegge il diritto di sciopero da ogni comportamento ostativo,ma senza entrare nel meritodei limiti del suo esercizio.Limiti che sono quelli posti dalla giurisprudenza,sia quanto allemodalità,sia quanto agli obiettivi.c) Comportamenti nelle trattativeSi ritiene che il rifiuto di trattare o il comportamento ostruzionistico non costituisce in sé condottaantisindacale,perché non esiste nel nostro ordinamento un obbligo legale di trattare in capoall’imprenditore.La condotta del datore è reprimibile ex art.28,solo quando un obbligo a trattare sidesume da specifiche disposizioni di legge,o anche di contratto collettivo.d) Violazione dei diritti sindacali contrattualiUna serie di problemi si verifica quando il datore viola diritti riconosciuti al sindacato dalla stessacontrattazione collettiva,non dalla legge.La norma protegge l’esercizio dei diritti sindacali quali siconfigurano e sono riconosciuti dall’ordinamento,in questi rientrano quelli che fanno parte dell’area

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protetta di attività sindacale attraverso il tramite di autonomia collettiva,che è riconosciuta dalnostro sistema costituzionale come fonte di disciplina dei rapporti di lavoro.La violazione della parte normativa del contratto riguardante la disciplina dei rapporti individualinon è reprimibile ex art.28.

L’azione in giudizio ha come presupposto una condotta antisindacale posta in essere dai soggetti che, nella gerarchia dell’impresa, svolgono attività imputabile al datore di lavoro, in quanto agiscono in base a delega di quest’ultimo.La norma individua il comportamento illegittimo in base alla sua idoneità a ledere i beni protetti.Scarso seguito ha avuto l’interpretazione secondo cui l’art. 28 sarebbe applicabile solo quando la lesione colpisce un interesse esclusivo del sindacato, prevalendo invece la posizione secondo la quale la norma sarebbe applicabile nel caso in cui il comportamento del datore di lavoro leda un interesse individuale che ha una propria tutela giudiziaria.Deve dirsi tuttavia che la facoltà dei singoli lavoratori di agire in giudizio a tutela del proprio interesse non esclude che contro lo stesso comportamento agisca anche il sindacato, in quanto esistono comportamenti che ledono sia l’interesse del singolo sia quello del sindacato, c.d. plurioffensività del comportamento.

6.LA IRRILEVANZA DI ELEMENTI SOGGETTIVIL’art.28 dispone che i comportamenti antisindacali del datore di lavoro devono essere “direttia impedire o limitare” l’esercizio dei diritti sindacali protetti;si deve quindi ritenere che siasufficiente accertare la obiettiva portata lesiva del comportamento,cioè la sua idoneità aostacolare l’esercizio dei diritti,a prescindere dall’esistenza di dolo o colpa.

7.LEGITTIMAZIONE AD AGIRE E INTERESSI PROTETTI DALL’ART.28a) I soggetti legittimatiInnovazione fondamentale dell’art.28 è il riconoscimento della legittimazione a un soggettocollettivo,precisamente agli “organismi locali delle associazioni sindacali nazionali,che vi abbianointeresse”.La specificazione di quali siano gli organismi locali delle associazioni nazionali sembradoversi desumere dagli statuti interni di queste.In principio si tratterà degli organi territoriali dicategoria e non di quelli orizzontali;inoltre si dovrà decidere quale sia il livello sindacalelegittimato.b) Questioni di costituzionalitàIl limite della legittimazione attiva agli organismi locali dei sindacati nazionali ha sollevatoproblemi di costituzionalità;le obiezioni si sono fondate in vario modo sugli articoli 24; 2; 3 e 39della Cost.Il nucleo argomentativi comune è che la scelta del legislatore non limita in alcun modo idiritti individuali e collettivi di libertà sindacale,ma attribuisce a soggetti qualificati uno strumentodi azione giudiziaria di particolare efficacia.

Una innovazione fondamentale dell’art. 28 è il riconoscimento della legittimazione attiva al sindacato, e precisamente agli “organismi locali delle associazioni sindacali nazionali”.L’art. 28 esclude la legittimazione ad agire sia dei singoli lavoratori sia di forme collettive non organizzate su base nazionale.L’attribuzione della legittimazione attiva ai soli organismi locali dei sindacati nazionali ha sollevato problemi di legittimità costituzionale.In particolare le obiezioni hanno riguardato:

Art. 24 Cost.: riconosce al soggetto il diritto di agire in giudizio per la tutela delle proprie posizioni giuridiche;

Art. 2 Cost.: Diritti del cittadino nelle formazioni sociali; Artt. 3 e 39 Cost.: eguaglianza e libertà sindacale.

La Corte costituzionale ha respinto tutte le obiezioni affermando che la scelta del legislatore di attribuire la legittimazione attiva ai soli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali, non limita in alcun modo i diritti individuali e collettivi di libertà sindacale, ma attribuisce a soggetti qualificati uno strumento di azione giudiziaria di particolare efficacia.

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La scelta si spiega perché privilegia organizzazioni responsabili che abbiano una effettiva rappresentatività.

8.IL PROCEDIMENTOIl procedimento previsto dall’art.28 ha carattere d’urgenza,fondato su un’istruttoria minima(audizione delle parti) da concludersi in tempi brevi,anche se il termine dei due giorni èordinatorio e di fatto è largamente superato.L’ azione si propone con ricorso al Tribunale delluogo ove è posto in essere il comportamento denunciato;l’ordine del giudice (decretomotivato) che sanziona l’eventuale condotta antisindacale,è immediatamente esecutivo,ecomporta la “cessazione del comportamento illegittimo” lesivo dei beni protetti e “rimozionedegli effetti” lesivi già realizzati,ripristinando il libero godimento degli stessi beni.Il giudiceperò non ha per il nostro ordinamento il potere di creare norme astratte.

9.LE SANZIONILa sanzione penale posta a carico del datore di lavoro,per l’inosservanza dell’ordine delgiudice,ai sensi dell’art.650 (arresto fino a 3 mesi o ammenda fino a L.400000) è un altrofattore decisivo di effettività della norma.La sanzione si può infliggere solo se il giudice penale,riesaminando se il comportamento siadavvero antisindacale,lo condanna sulla base del provvedimento del giudice civile.

10.L’ART.28 E IL PUBBLICO IMPIEGOE’ stato a lungo controverso se ed in quali limiti l’art.28 St.lav. sia applicabile nel pubblicoimpiego.Alle soglie del decennio ’90 è intervenuto in materia il legislatore con l’intento di fornire un sistemacerto e razionale in tema di tutela giurisdizionale dei diritti sindacali.L’art. 6 L. 146/1990 ha aggiunto due commi all’art. 28 St. Lav. i quali dispongono che l’azione ex art. 28 era esperibile di fronte al pretore quando il comportamento denunciato ledesse esclusivamente un interesse del sindacato.Quando invece il comportamento fosse plurioffensivo, cioè lesivo anche di un interesse del pubblico dipendente, la giurisdizione era attribuita al giudice amministrativo.In seguito il D.Lgs. 29/1993 (c.d. contrattualizzazione del pubblico impiego) ha attribuito tale giurisdizione in tutti i casi al giudice ordinario del lavoro.Tuttavia la norma non chiariva se il giudice ordinario avesse giurisdizione sulle controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni in ogni caso o se i rapporti di lavoro non “privatizzati” rimanevano sotto la giurisdizione del giudice amministrativo.L’opinione preferibile era la prima ed attualmente la questione è risolta visto che la L. 2000/83 ha abrogato espressamente gli ultimi due commi dell’art. 28.

La condotta antisindacale è identificata dall’art. 28 nei comportamenti del datore di lavoro diretti a impedire o a limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di scioperoCaratteristiche art. 28:

L’articolo 28 è stato uno strumento che ha portato davanti al giudice molte questioni interpretative

È norma di chiusura del sistema, processuale ed è un requisito di garanzia ed effettività

Funziona ad ampio raggio valutando i comportamenti del datore di lavoro. I diritti tutelati non sono solo quello del titolo II dello Statuto.

Riconosce per la prima volta un’azione di tipo collettivo, ovvero dà una tutela in proprio del sindacato sfuggendo a tutti i condizionamenti

Soggetto passivo (resistente): Datore di lavoro e i dirigenti

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Comportamenti: Tipologie:

1. Atti giuridici: sanzione disciplinare, licenziamento, trasferimento2. Comportamenti materiali: intimidazioni, minacce, indagini antisindacali3. Comportamenti omissivi: rifiuto di promozione

Attualità: il comportamento deve essere attuale al momento del ricorso. Se la condotta fosse già esaurita non si può utilizzare il 28 ma si dovranno utilizzare altri articoli

Beni protetti: Libertà sindacale Attività sindacale Sciopero

Es.: una non applicazione del contratto collettivo (es. indennità di turno) è condotta antisindacaleE’ una norma c.d. teleologicamente orientata, ovvero non si elencano serie di condotte antisindacali, è un’opzione interpretativa che verifica se vengono colpiti i beni protetti. Categoria aperta: i comportamenti antisindacali sono perciò divenuti più raffinatiCONDOTTA ANTISINDACALE TIPIZZATA , perseguibile dall’art. 28:

Violazione delle clausole obbligatorie dei contatti collettivi, art. 7 l. 146/90 Violazione di procedura sindacale, es.: Trasferimento d’azienda, art. 47 L. 428/90, la non

effettuazione delle procedure costituisce condotta antisindacaleQuesti comportamenti sono plurioffensivi, ledendo sia l’interesse:

Sindacato Lavoratore (es. il licenziamento antisindacale consente al lavoratore di chiedere la

reintegrazione ex art. 18)Legittimazione ad agire:

Sindacato. Interesse proprio: attraverso l’art. 28 il sindacato fa valere un diritto sindacale proprio, è l’unico legittimato ad agire, non può farlo il lavoratore

Organismi locali delle associazioni nazionali che vi abbiano interessi. Normalmente è il segretario provinciale dell’organizzazione di categoria, se mancasse, si sale, lo fa il regionale, il più vicino possibile all’azienda, ma, si ripete, non le RSA

Tutti i datori di lavoro temono il 28, che ha tempi molto rapidiARTICOLO 28. REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE

Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi (istruttoria minima), convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto (decreto, non sentenza) motivato ed immediatamente esecutivo, la (1) cessazione del comportamento (che è attuale e prescinde da dolo o colpa) illegittimo e la (2) rimozione degli effetti (ripristinando la situazione precedente. Es. riattaccare personalmente il volantino)L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il pretore in funzione di giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato a norma del comma successivo.Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto alle parti opposizione davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale.L'autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza (dignità del sindacato) penale di condanna nei modi stabiliti dall'articolo 36 del codice penale.

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(Domanda:) Come può il datore di lavoro reagire al decreto ex art. 28(Risposta:) Mediante opposizione entro 15 gg. dal deposito del decreto che apre un giudizio ordinario di cognizione del lavoro (permane tuttavia l’esecutività del decreto ex art. 28). In questo caso il resistente (datore di lavoro) si fa ricorrente. Vale sia per il settore pubblico che privato

CAPITOLO VIII: LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA1. La contrattazione collettiva in generale: la contrattazione collettiva consiste nel processo diregolamentazione congiunta (sindacati-padronato) dei rapporti d lavoro; la struttura e i contenuti della contrattazione collettiva sono strettamente correlati e dipendono largamente da altri aspetti del sistema di relazioni industriali, quali la struttura del sistema produttivo, la struttura del mercato del lavoro, il ritmo dello sviluppo economico, i caratteri dell’intervento statale. Si è diffusa nel tempo la tendenza ad adottare una nozione lata di contrattazione collettiva, fino a ricomprendervi tutto l’insieme dei rapporti, anche non strettamente negoziali, e più o meno formali, che intercorrono fra i diversi agenti del sistema di relazioni industriali, in ordine alla regolamentazione dei rapporti di lavoro.Modalità e procedure della contrattazione sono in Italia scarsamente formalizzate; gli attori sono, per parte dei lavoratori, le organizzazioni maggiormente (o comparativamente più) rappresentative ai vari livelli; le trattative vedono frequentemente l’intervento mediatore di organi pubblici. L’accordo raggiunto è condizionato alla ratifica dei lavoratori nelle aziende. È inoltre diffusa la pratica del referendum per l’approvazione sia delle piattaforme sia degli accordi.

2. Evoluzione della struttura e dei contenuti della contrattazione: la ricostruzione e gli anni ’50: la prima fase è caratterizzata da un sistema di relazioni industriali “centralizzato e a predominanza politica”, cui corrisponde un modello di contrattazione analogamente centralizzata, debole e statica. In seguito all’accordo interconfederale cosiddetto sul conglobamento dei vari elementi retributivi, viene riconosciuto alle federazioni di categoria il potere di negoziare autonomamente i livelli retributivi.

3. (Segue): Gli anni ’60: la prima modernizzazione del sistema contrattuale: la fine degli anni ’50 dà avvio ad un processo di modernizzazione delle relazioni industriali italiane, di cui è parte significativa la modifica del sistema contrattuale. La dinamica generale della contrattazione cresce ai due livelli di categoria e aziendale; si realizza di conseguenza un primo decentramento della struttura contrattuale. Il decentramento è completo rispetto ai contratti nazionali di categoria, che diventano l’asse portante della struttura, fonte della disciplina di base del rapporto di lavoro.Sul finire del decennio ’50 la contrattazione aziendale viene riconosciuta ed istituzionalizzata nel sistema di contrattazione articolata; in base a tale sistema, alla contrattazione aziendale è riservata la competenza a trattare le materie determinate dallo stesso contratto nazionale.Il decentramento è parziale sia per le materie che sono delegate, sia per gli agenti contrattuali competenti a trattare, che sono i sindacati provinciali di categoria di entrambe le parti; al contratto nazionale spetta dunque di predeterminare, attraverso clausole di rinvio, sia le materie e gli agenti della contrattazione aziendale, sia le procedure di svolgimento, i tempi e, in qualche caso, i margini contrattuali, e fornire garanzia di tregua sindacale nelle pause temporali intercorrenti tra un accordo e l’altro, tramite clausole di tregua.

4. (Segue): Il ciclo 1968-1975: sviluppo e decentramento della contrattazione: la contrattazioneraggiunge il massimo del decentramento, poiché l’elemento trainante nel settore industriale è questa volta la contrattazione aziendale, che rompe il limiti quantitativi e qualitativi definiti nel ’62, e il minimo di istituzionalizzazione, in quanto, cadute le norme di coordinamento giuridico tra i livelli contrattuali, ognuno di questi è formalmente autonomo, non vincolato per oggetti, per procedure né per agenti di contrattazione.

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5. (Segue): La centralizzazione e gli accordi triangolari: la seconda metà degli anni ’70 è caratterizzata dal peso crescente della crisi economica sull’azione sindacale; questa situazione sfavorevole non comporta un crollo del potere sindacale, ma altera gli equilibri contrattuali. Prevalgono tendenze all’assestamento di istituti già regolati, nell’area dei diritti sindacali, mentre si ricercano contenuti contrattuali nuovi di controllo sulle scelte economiche e di impresa, diretti a risolvere i problemi dell’occupazione e della produttività.Sempre più marcata la pressione da parte degli imprenditori e poi anche del governo per il contenimento del costo del lavoro e la riduzione della dinamica della scala mobile.Vi è una tendenza alla ricentralizzazione della struttura contrattuale, tendenza alla quale se ne ricollega un’altra, quella dell’intervento diretto del potere pubblico nella contrattazione centralizzata, che arriva ad assumere carattere triangolare e che si collega a tematiche di diretto rilievo politico-economico.

6. (Segue): Gli anni ’80: nuovo decentramento o riequilibrio?: dall’inizio degli anni ’80 anche la struttura e i contenuti della contrattazione collettiva hanno subito forti sollecitazioni al cambiamento per le seguenti ragioni: la rinnovata, ancorché fragile, ripresa economica, dopo la ristrutturazione, e soprattutto la rapidissima innovazione tecnologica.La spinta più netta in tutti i paesi industrializzati è verso il decentramento della contrattazione, che trova le proprie motivazioni nelle: 1) crescenti difficoltà della contrattazione interconfederale; 2) perdita di rilievo e di contenuti innovativi della contrattazione di categoria, con blocchi o gravi ostacoli nei rinnovi contrattuali; 3) (ri)emersione di una contrattazione aziendale o infra-aziendale non coordinata dal centro.Variazioni nelle altre dimensioni della struttura contrattuale: estensione (= grado di copertura dellacontrattazione) – incisività – grado di innovazione dei contenuti contrattuali.

7. Gli anni ’90: riaccentramento e razionalizzazione del sistema contrattuale: negli anni ’90 (periodo della c.d. “riregolazione del rapporto di lavoro”) il sistema contrattuale è investito dall’urgenza del risanamento e della stabilizzazione economica: le pressanti esigenze del risanamento convivono peraltro con le richieste di competitività e flessibilità emerse e tutt’altro che esaurite nel periodo precedente: da qui le persistenti spinte al decentramento. Lo Stato interviene sul conflitto in modo sempre più massiccio, anche se ben attento a non espropriare il sindacato delle funzioni protette ai sensi dell’art. 39 Cost., 1° comma. Si afferma un nuovo ruolo della contrattazione interconfederale: quello di strumento politico di soluzione di problemi, a cominciare dalla lotta all’inflazione e al controllo del costo del lavoro, che riguardano l’intero mondo del lavoro ed i suoi rapporti con il mondo dell’economia e della finanza. Il nuovo processo di riaccentramento, abbandonate le finalità difensive promosse dall’art. 19 St. lav., trova la propria ragion d’essere nel Protocollo del 23 luglio 1993, ispirato dalla consapevolezza che solo un controllo centrale sullacontrattazione collettiva congiunto ad un analogo controllo sulla politica salariale è in grado di rendere un sistema di relazioni industriali responsabile e al tempo stesso efficiente. Soprattutto, questo accordo è il primo serio tentativo di razionalizzazione del sistema di contrattazione collettiva; nel dettaglio: A) Sono previsti 2 livelli di contrattazione, quello nazionale di categoria e quello aziendale, tra loro collegarti in modo tale che gli ambiti, i tempi, le modalità di articolazione, le materie e gli istituti del secondo sono predeterminati dal primo.B) Durata dei contratti predeterminata: 4 anni per la parte normativa del CCNL e per il contratto aziendale; 2 anni per la parte retributiva del CCNL.C) Introduzione di scansioni temporali per l’apertura delle trattative ai fini dei rinnovi dei contratti.D) Le RSU sono riconosciute come “rappresentanza sindacale aziendale unitaria nelle singole unitàproduttive”, e investite della “legittimazione a negoziare al secondo livello le materie oggetto di rinvio da parte del contratto nazionale di categoria”.

ACCENTRAMENTO / DECENTRAMENTO

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Subisce periodiche attrazioni verso il centro e verso la periferia nei due livelli contrattuali principali (nazionale / aziendale)Differenze:

Settore privato: contrattazione collettiva è che non è regolata dalla legge e si fonda di prassi con regole precettive e sanzionatorie. Gino Giugni: “ordinamento intersindacale, un sistema capace di creare un vero e proprio regolamento”

Settore pubblico: invece è la legge a regolare il contratto collettivoCi mettiamo in una logica da contenuto a contenitore. Il contratto collettivo è il contenuto, esaminiamo le regole che portano alla creazione del contratto collettivo Altro binomio interessante quando si parla di contratto collettivo è quello di accentramento/decentramento, una caratteristica sicura del nostro sistema di relazioni che porta alla contratto collettiva e che non è regolata dalla legge, mentre il contratto collettivo ha norme a volte datate o derivate dall’ordinamento, la contrattazione collettiva è un sistema che si fonda su prassi o regole di natura contrattuale.Ordinamento intersindacale con proprie regole precettive e sanzionatorie, diversa invece è la regolamentazione del settore pubblico dove è la legge a regolare il contratto collettivoNel settore privato si sviluppa dopo l’uscita dal sistema corporativo, il sistema della contrattazione collettiva come sistema fatto di livelli di soggetti e materie che possono essere regolate sull’uno o altro livello, si sviluppa solamente quando la contrattazione e il contratto iniziano ad avere libertà di espansione nelle imprese a partire dal 19501. Inizialmente è un sistema semplice in quanto esiste il solo livello nazionale perché nel periodo

successivo al periodo corporativo c’è il bisogno di dotare ciascuna categoria di un proprio. Contratto collettivo nazionale con risorse scarse da impegnare per la contrattazione collettiva.

2. Dal 1960 fino all’autunno caldo 1968/69 conosce una maggiore articolazione fra i modelli contrattuali si contratta a livello nazionale ma anche a livello aziendale questo periodo conosce la contrattazione articolata con sistema bipolare c’è un contratto nazionale e uno aziendale riconosciuto. Il sistema però è ancora accentrato, in quanto regolato dal contratto collettivo nazionale, nascono in questo periodo le clausole tipiche di un sistema di contrattazione articolato:

Clausole di rinvio, il CCN (nazionale) dice cosa può fare il CCA (aziendale) Clausole di tregua o pace sindacale, clausole che garantiscono la tenuta del sistema.

Sono i soggetti che sottoscrivono il CCN che si impegnano a non scioperare3. Fine anni ’60, questo schema salta in quanto una forte istanza che viene dalla base dei

lavoratori per svolgere e dare peso alla contrattazione collettiva di livello aziendale.Viene introdotto il concetto di produttività e ripartizione delle risorse, c’è soprattutto lo statuto dei lavoratori che introduce norme di tutela dell’attività sindacale. I contratti aziendali diventano il perno del sistema, l’evoluzione del contenuto (contratto) si ha prima a livello aziendale per poi essere trasferito nel contratto nazionale, un decentramento della struttura favorito dalla congiuntura economica, le cosa tornano a cambiare dalla metà degli anni 70 in poi, quando c’è crisi c’è sempre accentramento perché in questo modo c’è il controllo del costo del lavoro, tagli occupazionali ed è bene che di questo se ne occupi il contratto nazionale.

4. Shock petrolifero del 1974, c’è la prima vera grande crisi ed il sistema tende ad accentarsi per riprendere il controllo delle risorse e del costo del lavoro. Tagli occupazionali del quale è bene si occupi il CCNI due sistemi entrano in competizione sino agli anni 80 con il CCN che cerca di contenere il costo del lavoro, gli scatti di anzianità, la scala mobile o indennità di contingenza = è un elemento della retribuzione, regolato dalla legge (dal 1970) la quale automaticamente prevedeva che all’incremento del costo della vita le retribuzioni venissero adeguate a questo incremento.

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Questo sistema protegge le retribuzione ma toglie forza ai contenuti cioè alla contrattazione collettiva, che serve ad individuare incrementi produttivi che vadano ad incrementare le retribuzioni. Se questo lavoro lo fa la legge viene meno il ruolo della contrattazione, la volontà di eliminare di eliminare la scala mobile è una volontà delle organizzazioni sindacali

5. Nel 1991/2 è definitivamente scomparso il meccanismo della scala mobile, non è più la legge ad adeguare le retribuzioni, questo lavoro lo fanno i contratti collettivi nazionali di categoria. Questo restituisce valore e dignità alle contrattazioni, con un grande rischio: di non fare il contratto. Oggi se non c’è il c.c. le retribuzioni dei lavoratori potrebbero essere esposte ad un picco inflativo

6. Accordo Ciampi del 23/7/93, il sistema viene ricondotto ad unità. Si cerca di individuare un sistema di regole per la contrattazione collettiva che risponda contemporaneamente all’esigenze di controllo sociale dello strumento, ma soprattutto ad esigenze di carattere macro economico. Dal 1992/93 assume un ruolo nella programmazione degli obiettivi macro economici del paese e per fare questo non ci si poteva servire di un sistema non regolato o regolato dalle prassi, servono regole, tempi e certezze di governo dell’economia che si fa anche attraverso i contratti collettivi.Questo protocollo oggi costituisce l’unico documento di regolazione della contrattazione collettiva in Italia non c’è una legge ma un accordo siglato al massimo livello possibile e viene considerato una vera e propria costituzione per le relazioni sindacali e contrattualiPunti fondamentali del PROTOCOLLO CIAMPI a) Sistema basato su 2 livelli, (nazionale di categoria e aziendale integrativo) questo non

significa che si possano fare accordi a livello più altob) Sistema ricondotto ad una forma di centralizzazione, è il contratto collettivo nazionale che

stabilisce i contenuti le materie, che possono essere regolati a livello aziendale in realtà la dicitura utilizzata è che il c.a. non può regolare materie regolate dal contratto nazionale. Il contratto aziendale si può muovere solo negli ambiti riservategli dalla contrattazione collettiva nazionale per garantire la tenuta di questo sistema bipolare accentrato

c) Si interviene sui soggetti della contrattazione 20 dicembre 93 i contratti nazionali li fanno le rappresentanti sindacali unitarie (RSU insieme (doppia legittimazione) ai rappresentanti territoriali delle organizzazioni sindacali che hanno firmato il contratto collettivo.

d) Procedimento di contrattazione regolato, stabilendo pochi ma importanti passaggi di tipo formale, oggi si dicono 2 cose, la prima è che le piattaforme per il rinnovo del contratto collettivo nazionale devono essere presentate entro 3 mesi dalla scadenza del contratto, l’atto di avvio del procedimento è la presentazione della piattaforma, si dice ancora a tutela della tenuto dal contratto, fino a 3 mesi prima della scadenza e per tutto il mese successivo alla stipulazione non si possono realizzare azioni di lotta, non si può fare sciopero. Come si fa la trattativa resta nella libertà delle azioni sindacali, anche se l’accordo di luglio introduce sistemi di tipo concertativi per trattare ad alto livello taluni parametri che sono indispensabili non solo per l’economia del paese ma anche per quelli che ci vengono consegnati dall’U.E. Il governo incontra 2 volte l’anno le OO.SS. per discutere e concertare linee di programmazione economiche finanziarie nel rispetto della normativa interna e comunitaria. Questo significa che quando le parti si incontrano hanno già uno scenario macro economico e soprattutto hanno a disposizione un dato che è il tasso di inflazione programmata. Questo dato è importante perché i contratto collettivo nazionale occupandosi della materia retributiva lo devono fare conoscendo questo dato per adeguare i trattamenti retributivi al tasso di inflazione che si prefigurerà nel biennio successivo.

e) Durata dei contratti collettivi: 4 anni per la parte normativa (es. ferie) 2 anni per la parte economica (accorciata)

f) Indennità di vacanza contrattuale, viene introdotto un meccanismo tale da indurre i soggetti negoziali a fare il c.c. se il contratto scade il 31.12.07, 3 mesi prima deve essere

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presentata la piattaforma per il rinnovo della parte economica avendo come dato l’inflazione programmata, inizia a decorrere un periodo successivo alla scadenza nel quale esiste l’ultrattività, dopo:

3 mesi dalla scadenza scatta un istituto che corrisponde al 30% dell’inflazione programmata calcolata sui minimi tariffari dei vecchi contratti collettivi, questa azione costringe i datori a pagare per non dovere pagare questa indennità,

6 mesi sale al 50%

CAPITOLO NONOIL CONTRATTO COLLETTIVO NEL LAVORO PRIVATO

1.LA PROBLEMATICA GIURIDICA DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTOCOMUNEIl capitolo si concentra sul prodotto della contrattazione collettiva,cioè sul contrattocollettivo,inteso come il contratto con cui i soggetti collettivi (organizzazioni dei lavoratori edegli imprenditori) predeterminano la disciplina dei rapporti individuali di lavoro (partenormativa) e regolano anche taluni tratti dei loro rapporti reciproci (parte obbligatoria).Sono rinvenibili almeno quattro tipi di contratto collettivo: quello corporativo, quello c.d. di dirittocomune, quello prefigurato dal legislatore costituente e quello recepito in decreto legislativo ai sensidella legge 741/1959.L’unico che continua ad essere prodotto è il contratto collettivo di dirittocomune,a questo quindi va dedicata maggiore attenzione,anche se i suoi problemi giuridici sicolgono in contrapposizione con il contratto corporativo.Il contratto corporativo è un contrattotipico,elevato a fonte del diritto in senso proprio,anche se subordinata a leggi e regolamenti.Lasoppressione dell’ordinamento corporativo e delle organizzazioni sindacali fasciste hanno coinvoltoi contratti corporativi e la loro disciplina legale.La giurisprudenza si assume il compito di ricostruire man mano le linee fondamentali della suadisciplina,in parte ricavandola da quella codicistica dei contratti in generale (ed è per questo che siparla di contratto collettivo di diritto comune) in parte recuperando tratti della disciplina codicisticadel contratto corporativo.Il contratto collettivo di diritto comune finisce così per apparire un istitutodi origine largamente giurisprudenziale.Le problematiche del contratto collettivo di diritto comune si incentrano sulla efficacia della partenormativa nei confronti dei rapporti individuali di lavoro,e possono essere accorpate attorno a duetemi di fondo: ambito e tipo dell’efficacia stessa.

2.L’AMBITO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVOCon la caduta del sistema corporativo le associazioni sindacali divengono libere di individuarel’ambito delle categorie di cui intendono farsi espressione e, correlativamente, l’ambito diefficacia del contratto collettivo.Solo il datore di lavoro iscritto all’organizzazione sindacale dei datori di lavoro è tenutoall’applicazione del contratto collettivo nei confronti dei soli lavoratori sindacalmente associati.

3.OPERAZIONI GIURISPRUDENZIALI SULL’AMBITO DI EFFICACIALa giurisprudenza si è sforzata di dilatare l’ambito di applicazione del contratto collettivo.a) Il contratto collettivo è così ritenuto applicabile quando le parti individuale vi abbiano presoesplicita o implicita adesione.Il primo caso si verifica normalmente quando il contrattoindividuale rinvia alla disciplina collettiva;avendo accetto il contratto collettivo come fonteregolatrice,il datore non si può più liberare unilateralmente dal vincolo.Il secondo caso siverifica quando il contratto collettivo è spontaneamente applicato,e avviene quando vengonoapplicate numerose e significative clausole:il datore di lavoro è allora tenuto ad applicare ilcontratto nella sua integralità.

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b) La giurisprudenza ritiene inoltre che il datore di lavoro iscritto è tenuto ad applicare ilcontratto collettivo anche ai lavoratori non iscritti,non potendo impedire che essimanifestino la volontà di conformare ad esso il contratto di lavoro individuale.L’imprenditore che si associa infatti è consapevole del fatto che i contratti collettivirivelano la chiara intenzione delle parti contraenti di considerarli come norma generale didisciplina dei rapporti di lavoro,e in quanto tali aperti alla generalità dei dipendenti.c) Nell’operazione di recupero dell’art.2070 cod.civ. il datore di lavoro deve applicare ilcontratto corrispondente alla propria attività,e se svolge più attività distinti contratti qualoraqueste siano autonome tra loro,o il contratto corrispondente all’attività principale se le altresono accessorie.L’art.2070 non è vincolato all’ordinamento corporativo,ma risponde aesigenze dell’azione sindacale e della disciplina di categoria.Agli inizi degli anni ’90 però laCassazione dichiarò l’incompatibilità tra il principio di libertà sindacale di cui all’art.391°comma Cost. ed il criterio di appartenenza alla categoria imprenditoriale fissatodall’art.2070 cod.civ.d) A partire dalla metà degli anni ’50,la giurisprudenza è andata applicando,sia pureindirettamente i minimi tariffari del contratto collettivo anche ai rapporti di lavoro conimprenditori non iscritti alle organizzazioni stipulanti. L’orientamento è stato fondatosull’art.36 Cost. che garantisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata allaqualità e alla quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla suafamiglia un’esistenza libera e dignitosa.

4.INTERVENTI LEGISLATIVI SULL’AMBITO DI EFFICACIADalla fine degli anni ’40 si sono succeduti vari interventi legislativi,ad operare una dilatazionedell’ambito di applicazione dei contratti collettivi di diritto comune.a) La consacrazione dell’efficacia generalizzata dei contratti collettivi è stata in un primomomento ravvisata in quelle disposizioni che sanciscono l’obbligo del datore di lavoro diosservare le norme dei contratti collettivi e di retribuire il prestatore in conformità alle tariffein essi contenute.b) L’intervento più importante è verso la fine degli anni ’50,quando il legislatore,acquisital’impraticabilità di una norma attuativa dell’art.39 Cost., tentò di condurre diversamente asoluzione definitiva il problema dell’efficacia generale dei contratti collettivi.c) Il legislatore tornò così a sperimentare nuove soluzioni,per pervenire in via diretta alladilatazione dell’ambito di efficacia dei contratti collettivi (per es. l’art.36 St.lav.).d) Tra gli interventi volti a favorire l’estensione dell’ambito di applicazione dei contratticollettivi,vanno annoverati quelli in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali,checondizionano la fruizione del relativo beneficio alla circostanza che l’impresa assicuri aipropri dipendenti trattamenti non inferiori ai minimi previsti dai contratti collettivi nazionalidi categoria,stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

5.L’AMBITO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI LIVELLOAZIENDALE. IL CONTRATTO COLLETTIVO GESTIONALE E LA TEORIA DELLAPROCEDIMENTALIZZAZIONEE’ sul piano della contrattazione aziendale che negli ultimi anni si è registrata una serie di interventilegislativi,diretti ad attribuire efficacia generale agli atti di autonomia collettiva.Non sembracomunque fino ad oggi possibile registrare interventi legislativi che abbiano attribuito in mododiretto efficacia normativa generale ai contrati aziendali,anche se più di una volta ne hanno favoritol’espansione a tutti i lavoratori dell’azienda.Vi sono inoltre i contratti di solidarietà,stipulati al fine di evitare,in tutto o in parte,la riduzione o ladichiarazione di esuberanza del personale anche attraverso un suo più razionale impiego (del primotipo);o diretti a incrementare gli organici (del secondo tipo).Il contratto aziendale non ha sempre una funzione normativa,anzi spesso assume una funzione

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gestionale,nel senso che si occupa di gestire situazioni di crisi in occasione delle quali può farsiveicolo di distribuzione di sacrifici.L’effetto erga omnes,quindi, discende pur sempre dall’atto del datore di lavoro che esercita i suoipoteri imprenditoriali,e non dall’accordo sindacale gestionale che è solo un tramite per l’esercizio diquei poteri.La pretesa del datore di lavoro di applicare il contratto collettivo stipulato con alcuni sindacati alavoratori iscritti ai sindacati dissenzienti costituisce secondo la giurisprudenza,condottaantisindacale ai sensi dell’art.28 St.lav.

6.IL TIPO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVO:LA PROBLEMATICADELL’INDEROGABILITA’Posto che il contratto collettivo sia applicabile,resta da stabilire quale efficacia esplichi neiconfronti del contratto individuale.Resta da stabilire se il singolo datore di lavoro e il singololavoratore possano o meno pattuire una disciplina del rapporto individuale difforme da quellapredeterminata nel contratto collettivo.Per diritto comune i rappresentanti,in quanto titolari degli interessi in giuoco,possono sempre dicomune accordo modificare la regolamentazione di quegli interessi disposta in loro nome e per loroconto dai rappresentanti.L’art.2077 cod.civ. stabilisce che i contratti individuali devono uniformasi alle disposizioni delcontratto collettivo e le clausole eventualmente difformi sono sostituite di diritto da quelle delcontratto collettivo,salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.

7.L’EFFICACIA NORMATIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO E LADEROGABILITA’ IN MELIUSLa consacrazione nell’ordinamento dell’autonomo potere sindacale di regolazione deirapporti di lavoro ha favorito l’assimilazione,quanto al tipo di efficacia,del contratto collettivoalla legge e il riconoscimento che,al pari della legge,esso opera nei confronti del contrattoindividuale dall’esterno quale fonte eteronoma.Bisogna fermare l’attenzione sui caratteri dell’inderogabilità,cioè sulle modalità del raffrontotra disciplina collettiva ed individuale.Anzitutto va precisato che l’inderogabilità non èassoluta giacchè opera a solo vantaggio,e non a danno,del lavoratore.Le norme della legislazione in materia di lavoro sono considerate dagli interpreti inderogabili inpeius,perché rivolte a porre una disciplina minimale di protezione del lavoratore,ma per ciò stessoderogabili in melius.La medesima funzione di tutela minimale,viene riconosciuta anche al contratto collettivo.Lagiurisprudenza del resto ha potuto vedere la regola della derogabilità in melius codificatanell’art.2077.Il raffronto tra legge ed autonomia privata è correntemente operato con riferimento a singoleclausole. Le clausole del contratto individuale di contenuto peggiorativo sono sostituite dalladisciplina legale,e non trovano compensazione con il contenuto eventualmente migliorativo di altreclausole dello stesso contratto.Non hanno avuto fortuna i tentativi di operare il raffronto tra l’intera disciplina del contrattocollettivo e l’intera disciplina del contratto individuale;tuttavia la giurisprudenza si è orientata nelsenso di ricondurre ad un unico istituto l’intero trattamento economico.

8.LEGGE E AUTONOMIA COLLETTIVAIl contratto collettivo,al pari di quello individuale,deve ritenersi gerarchicamente subordinato allalegge. L’opinione prevalente è però nel senso che il legislatore costituzionale,pur valorizzandol’autonomia sindacale, ha affidato anzitutto al legislatore ordinario il compito di provvedere allatutela (minima) del lavoratore.La legge costituisce per l’autonomia collettiva un limite invalicabilea sfavore del lavoratore,e valicabile invece a suo vantaggio.

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Di regola la norma di legge è inderogabile in peius e derogabile in melius dal contratto collettivo(come da quello individuale).Questo modello di rapporto tra legge e contrattazione collettiva haperò subito un’alterazione.Sono oggi numerose le ipotesi in cui il legislatore utilizza lacontrattazione collettiva come veicolo di attenuazione della propria stessa rigidità,attribuendole ilpoter di derogare in peius o, forse più propriamente,affidandole il compito di individuare omodificare il precetto legale.Con la legislazione sul costo del lavoro è stata sancita l’inderogabilità in melius ad operadell’autonomia collettiva di una normativa legale.Il legislatore ha cioè qualificato il propriointervento come diretto non già a fissare un minimo ma un massimo di disciplina del rapporto dilavoro.Tra interventi deregolativi e interventi limitativi,l’intreccio legge-contratto collettivo si presenta oraassai complesso ed articolato rispetto al classico schema,che però continua ad essere l’archetipo deldiritto del lavoro,e che vede la legge dettare una disciplina minimale,sempre derogabile in meglioma non in peggio dell’autonomia collettiva.La Corte Costituzionale ha stabilito che al legislatore deve essere riconosciuta la potestà di porrelimiti inderogabili alla contrattazione collettiva nel perseguimento di finalità di caratterepubblico,trascendenti l’ambito nel quale si colloca per la Costituzione la libertà di organizzazionesindacale e la corrispondente autonomia negoziale,tutelate dall’art.39 Cost.Questo potere deve essere riconosciuto al legislatore nel caso di accordi a tre,che vedono il Governoassumere una serie di impegni politici,spesso rilevanti,e che pur non contrastando la Costituzionenon rientrano nel quadro tipizzato dall’art.39,dal momento che le organizzazioni sindacali non sonostaccate dagli organi del governo ma cooperanti con esso.

9.L’EFFICACIA NEL TEMPO DEL CONTRATTO COLLETTIVO: ULTRATTIVITA’,RETROATTIVITA’, DIRITTI QUESITILe procedure dei contratti collettivi sono state formalizzate solo dal Protocollo del 23 luglio1993,che prevede relativamente al contratto nazionale di categoria,una durata di quattro anni per laparte normativa,e di due anni per la parte economica.Tre mesi prima della scadenza,leorganizzazioni dei datori e dei lavoratori si incontrano per avviare le trattative per il rinnovo.Quando scade il termine apposto dalle parti stipulanti,il contratto perde la sua efficacia e da quelmomento cessa di conformare il contenuto dei rapporti individuali.Questo perché in ragione dellasua natura privatistica la giurisprudenza nega l’applicabilità della teoria dell’ultrattività del contrattocorporativo,dell’art.2074 cod.civ. Sono allora per lo più gli stessi contratti collettivi a correre airipari mediante l’espressa previsione della propria ultrattività.Altra questione riguarda la possibile retroattività del regolamento collettivo.Così come l’art.2074cod.civ. la giurisprudenza ritiene inapplicabile al contratto di diritto comune anche il 2°commadell’art.11 disp.prel.cod.civ.,secondo cui i “contratti collettivi di lavoro possono stabilire per la loroefficacia una data anteriore alla pubblicazione,purchè non preceda quella dellastipulazione”.Ammette quindi che il contratto collettivo può darsi efficacia retroattiva,e giunge aritenere che di tali benefici possono giovarsi anche lavoratori il cui rapporto sia cessatoanteriormente alla stipulazione del contratto collettivo.Per la giurisprudenza inoltre il contratto collettivo può disporre retroattivamente anche in “malampartem” cioè a danno del lavoratore.Il contratto collettivo successivo nel tempo,nel sostituirsiintegralmente a quello anteriore (dello stesso tipo e livello),può modificare la precedente disciplinacollettiva anche peggiorativamente per il lavoratore,senza incontrare limite alcuno nei “dirittiquesiti” sulla base del contratto sostituito.Di “diritto quesito” si può propriamente parlare in caso disuccessione di leggi,e non in caso di successione di diverse regolamentazioni contrattuali di unostesso rapporto.Diritto quesito in sostanza è solo ciò che è già entrato nel patrimonio del lavoratoreper effetto della precedente disciplina.

10.I RAPPORTI TRA CONTRATTI COLLETTIVI PRIVATISTICI DI DIVERSO

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LIVELLOPer un certo tempo,all’inizio degli anni ’60,la giurisprudenza è parsa ancora propensa a ritenerel’inderogabilità “in peius” del contratto di categoria in forza di motivazioni diverse;sul finire deglianni settanta il panorama giurisprudenziale è però divenuto assai meno univoco e decifrabile.Agli inizi degli anni ottanta è andato prendendo piede un orientamento,tutt’affatto diverso,incline adattribuire comunque prevalenza alla disciplina (anche meno favorevole) posteriore nel tempo.Lagiurisprudenza ha ritenuto di poter trasferire sul piano del rapporto tra contratto di categoria econtratto aziendale il principio,costantemente utilizzato sul piano del rapporto tra contratticorporativi e contratti collettivi di diritto comune nonché tra contratti collettivi di diritto comunedello stesso livello,secondo cui quando ad una regolamentazione di carattere generale ne segueun’altra di carattere parimenti generale,la seconda si sostituisce alla prima integralmente.E’divenuta così ricorrente la tesi per cui: un contratto aziendale di lavoro può derogare anche in peiusal trattamento previsto per i lavoratori da un precedente contratto collettivo,e che reciprocamente,leclausole di un contratto aziendale possono essere derogate da clausole meno favorevoli per ilavoratori,contenute in contratti collettivi successivi,sia aziendali che di categoria.La prevalenza delcontratto posteriore nel tempo esprime l’assenza,nell’ordinamento,di un criterio affidabile per lasoluzione dei conflitti di disciplina tra contratti collettivi di diverso livello.

11.PROFILI ULTERIORI DI DISCIPLINA DEL CONTRATTO COLLETTIVO DIDIRITTO COMUNEIl contratto collettivo di diritto comune,quand’è applicabile,opera nei confronti del contrattoindividuale con la stessa efficacia della legge.Esso però resta un atto di autonomia privata.Dalla sua natura privatistica vengono così fatte discendere una serie di conseguenze:a) il contratto collettivo deve essere interpretato secondo i criteri ermeneutica previsti perl’interpretazione dei contratti e non di quelli per l’interpretazione della legge.E’ alloracompito primario dell’interprete ricostruire la comune volontà delle parti contraenti.Se ildato testuale rimane equivoco,l’interprete deve aiutarsi con la storia delcontratto,desumendo la comune intenzione delle parti sia dai temi dibattuti nellatrattativa,sia dal modo di redazione delle norme,sia dalla effettiva concreta attuazione,sia dalsuccedersi dei testi in rispondenza delle esigenze perseguite.b) Non è ammissibile il ricorso in Cassazione per violazione o falsa applicazione del contrattocollettivo.Alla Suprema Corte non si può chiedere di fornire l’esatta interpretazione delcontratto collettivo,bensì di controllare il procedimento ermeneutica seguito dal giudice dimerito.c) Il contratto collettivo deve essere portato in giudizio dalla parte che lo invoca,non potendotrovare applicazione il principio secondo cui il giudice ha diretta conoscenza dei testi dilegge.Il giudice però può svolgere una funzione di supplenza,e richiedere alle associazionisindacali il testo del contratto,di categoria o aziendale,applicabile al rapporto controverso.d) Le clausole del contratto collettivo non sono applicabili in via analogica,né al di fuoridell’ambito di efficacia del contratto stesso,per colmare eventuali lacune del testocontrattuale che regola il rapporto controverso;né all’interno di ciascun contratto perestenderne le clausole al di là dei casi previsti espressamente.e) Secondo la giurisprudenza,il principio di eguaglianza sancito dall’art.3 Cost.,in quantoinapplicabile ai rapporti tra privati,è inoperante nei confronti dell’autonomiacollettiva.Quindi il contratto collettivo può in linea di massima disciplinare diversamenteposizioni di lavoro uguali o analoghe,salvi naturalmente i limiti derivanti da divietiespressamente posti dal legislatore.f) La giurisprudenza ha a lungo negato la possibilità di recedere unilateralmente dal contrattocollettivo,giungendo solo di recente a mutare avviso.Ora la Cassazione prevede,per ilcontratto collettivo a tempo indeterminato,che la mancata applicazione del termine nonimplica che gli effetti del contratto perdurino nel tempo senza limiti,dovendosi pur sempre

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consentire il recesso anche in assenza di esplicita disposizione in tal senso.g) Per quanto riguarda la forma del contratto collettivo,data l’assenza di qualsiasi disposizionein proposito,deve ritenersi vigente il principio generale della libertà della forma,comeribadito dalla Cassazione.

12.L’EFFICACIA “OBBLIGATORIA” DEL CONTRATTO COLLETTIVOPrima di analizzare gli altri tipi di contratto collettivo,bisogna fermare l’attenzione sullaproblematica dell’efficacia obbligatoria del contratto collettivo nei confronti degli stessi soggettiche lo stipulano,sindacati,organizzazioni imprenditoriali e imprenditori singoli.La nostra dottrina,come quella tedesca,fa discendere dalla stipulazione del contratto collettivo il c.d.dovere di influenza,il dovere cioè di influire sugli associati affinché osservino la parte normativa delcontratto stesso.Questione diversa è se il sindacato dei lavoratori debba ritenersi vincolato al contratto collettivo pertutta la sua durata,in dipendenza della stipulazione stessa,con conseguente configurabilità a propriocarico del c.d. obbligo implicito di pace sindacale;l’obbligo cioè di astenersi dal promuoverescioperi finalizzati a conseguire una revisione della disciplina concordata.Secondo una tesi diffusain dottrina,deve escludersi che stipulando il contratto collettivo il sindacato dei lavoratori intendaassumere e di fatto assuma impegni per il futuro,anche se parte della dottrina ritiene inaccettabile laconcezione del contratto collettivo come unilateralmente vincolante (cioè impegnativo solo per ilsindacato dei datori di lavoro).Il dovere di non rimettere in discussione,prima della scadenza del contratto, la disciplina concordatasarebbe configurabile solo in capo alle organizzazioni sindacali stipulanti.Il problema si pone conriguardo al c.d. obbligo esplicito di pace sindacale,cioè all’eventuale impegno di tregua pattuitoesplicitamente.In dottrina si è fatta distinzione tra obbligo relativo di tregua,concernente solo lematerie compiutamente regolate dal contratto,e obbligo assoluto di tregua,esteso alle materierimaste estranee al contratto.Le clausole comunemente inserite nei contratti di categoria dal ’62-’63non possono essere lette negli stessi termini.In esse innegabilmente l’impegno di tregua appareriferito solo al sindacato.Le costanti disapplicazioni delle clausole di pace e le vicendedell’”autunno caldo” hanno fatto ben presto dubitare che le clausole di pace sindacale siano dotatedi efficacia di tipo obbligatorio.Rilevante è l’accordo stipulato tra governo e parti sociali con il Protocollo del 23 luglio 1993,cheintroduce un obbligo esplicito di tregua per il periodo di rinnovo del contratto (periodo di 4 mesi)durante il quale le parti non assumeranno iniziative unilaterali né procederanno ad azioni dirette.L’introduzione di una sanzione economica a presidio di una clausola di tregua rappresenta unanovità per il nostro sistema sindacale.Accanto all’obbligo di pace ce ne sono altri due:quello correlato alle clausole istitutive dei raccorditra il livello contrattuale nazionale e quello aziendale;e quello correlato alla predeterminazione delladurata dei contratti.

13.GLI ALTRI TIPI DI CONTRATTO COLLETTIVO. I CONTRATTI CORPORATIVIRIMASTI IN VIGORE.Il D.Lgs. Lgt. 23 novembre 1944,n.369,nell’abrogare il sistema corporativo,dispose la permanenza“in vigore,salvo le successive modifiche,delle norme contenute nei contratti collettivi” all’epocavigenti.La giurisprudenza ha poi comunemente invocato il principio secondo cui,quando ad unaregolamentazione di carattere generale ne segue un’altra di carattere parimenti generale,questa sisostituisce alla precedente,ed ha quindi ritenuto che la disciplina del contratto corporativo deveintendersi completamente sostituita da quella del successivo contratto collettivo di dirittocomune,ogni qualvolta esso è applicabile allo specifico rapporto di lavoro.

14.I CONTRATTI COLLETTIVI “RECEPITI” IN DECRETO.

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La legge 14 luglio 1959 n.741 delegò il Governo “ad emanare norme giuridiche,aventi forza dilegge,al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confrontidi tutti gli appartenenti ad una medesima categoria” e stabilì che nella emanazione delle norme ilGoverno dovrà uniformarsi alle clausole dei singoli accordi economici e contratti collettivi.La Corte riconobbe che il legislatore con la legge n.741 aveva conferito efficacia generale aicontratti collettivi con forme e procedimento diverse da quelli previsti dall’art.39.La Corte ritenneche la legge si sottraesse al contrasto con l’art.39 in ragione del suo significato e funzione di leggetransitoria,provvisoria ed eccezionale,rivolta a regolare una situazione passata e a tutelarel’interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro.La legge del ’59 e i decreti emanati in sua attuazione hanno sollevato numerose questioniinterpretative.a) La Corte Costituzionale ha chiarito che rientra nei compiti del giudice ordinario individuarei concreti fini della categoria,cui la legge delegata si riferisce,desumendoli dallacontrattazione collettiva e con riferimento alle associazioni stipulanti.Obiettivo della leggedelega è quello di rendere applicabili i contratti collettivi al di là della cerchia degliassociati,e non quello di allargare l’ambito della categoria di riferimento;e poi perchérisulterebbe violata la regola costituzionale che garantisce la libertà di organizzazionesindacale.b) La giurisprudenza,dando prevalenza al dato “sostanziale” del contenuto (un contratto)rispetto al dato “formale” (un decreto),ha affermato che “l’estensione erga omnesdell’obbligatorietà del contratto collettivo lascia immutata la natura propria dei patticontrattuali estesi e non vale come diretta legiferazione”.c) In seguito si è andata invece manifestando la tendenza a negare,anche sotto questoprofilo,che l’estensione erga omnes abbia mutato la natura precettiva de contratti.

15.CONTRATTO COLLETTIVO E USI AZIENDALI.Bisogna infine analizzare le correlazioni tra il contratto collettivo e i c.d. usi aziendali,cioè icomportamenti tenuti di fatto dal datore di lavoro con apprezzabile continuità o reiterazione neiriguardi dell’intero personale o di settori dello stesso.La giurisprudenza ha dovuto prendere atto cheben difficilmente una prassi aziendale può rispondere ai requisiti,assai rigorosi,dell’usonormativo,per il quale si richiede tradizionalmente una pratica uniforme e costante,tenuta per lungotempo dalla generalità degli interessati nella convinzione che essa sia obbligatoria in quantoconforme ad una regola giuridica.La giurisprudenza ha così cominciato ad attribuire icomportamenti tenuti dal datore di lavoro nei confronti di tutti i propri dipendenti o d’una cerchia diessi ai c.d. “usi contrattuali” ed a spiegare la loro efficacia sui rapporti di lavoro riguardandoli comeproposte contrattuali ai singoli lavoratori da questi tacitamente accettate.E’ così divenuta ricorrentela tesi che gli usi si iscrivono nei contratti di lavoro alla stregua dei patti individuali,e quindi per unverso possono derogare solo in melius ai contratti collettivi.

Il contratto collettivo

La determinazione delle condizioni di lavoro

Sin dalle sue origini il movimento sindacale ebbe tra i suoi fini quello di ottenere minimi di tutela economica e normativa per i lavoratori subordinati.Tale finalità fu perseguita sia mediante la contrattazione con la controparte imprenditoriale, sia a mezzo di un’azione politica tendente a condizionare gli orientamenti legislativi.In origine una funzione protettiva venne svolta anche mediante forme di determinazione unilaterale delle condizioni di lavoro, consistente nel rifiuto da parte dei lavoratori di assumere lavoro se non a determinate condizioni.Consolidata è invece oggi la determinazione delle condizioni di lavoro mediante un’attività di contrattazione con il datore di lavoro o con le associazioni imprenditoriali.

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Le prime riflessioni giuridiche sul contratto collettivo

Sul piano soggettivo, il problema della efficacia del contratto collettivo concerneva l’individuazione dei soggetti vincolati dal contratto e veniva risolto stabilendo che essi coincidevano con gli aderenti alle associazioni sindacali firmatarie.Sul piano oggettivo, il problema della efficacia del contratto collettivo consisteva nell’individuare i meccanismi attraverso cui il contratto avrebbe vincolato i contratti individuali stipulati tra imprenditore e singolo lavoratore.In Italia questo problema fu risolto dalla dottrina pre-corporativa.Sulla questione il giurista Giuseppe Messina affermava che il contratto collettivo era inderogabile poiché il soggetto collettivo stipulante agiva in rappresentanza del lavoratore. Ciò tuttavia non impediva che singoli datori di lavoro e lavoratori, nello stipulare il singolo contratto individuale avrebbero potuto modificare quanto stabilito dal contratto collettivo.Messina, tuttavia, ritenne che in base al diritto comune delle obbligazioni non si potesse affermare la prevalenza automatica del contratto collettivo sul contratto individuale, ma era tuttavia possibile assicurare al contratto collettivo una sanzione di natura obbligatoria, perché la sua deroga costituiva violazione di un obbligo al quale sarebbe stato possibile reagire con un’azione risarcitoria.

Il contratto collettivo e l’art. 39 Cost.

Venuto meno l’ordinamento corporativo, il contratto collettivo ritornò nell’area dell’autonomia privata e si riproposero i problemi dell’efficacia dei contratti collettivi.Il dibattito sul problema dell’efficacia dei contratti collettivi portò l’Assemblea Costituente alla redazione del comma 3 dell’art. 39 Cost.Secondo tale norma i sindacati registrati hanno il potere di stipulare contratti collettivi con efficacia generale per tutta la categoria. In tal modo i costituenti ritenevano di aver risolto il problema di rendere compatibile il principio di libertà sindacale con l’efficacia erga omnes del contratto collettivo.Tuttavia la norma non fu attuata, ma la mancata attuazione della norma costituzionale non impedì che i sindacati stipulassero contratti collettivi e sviluppassero un sistema di contrattazione, ma tutto ciò avvenne in mancanza di una normativa legale.Il compito di attribuire un significato giuridico a questa attività contrattuale è stato assunto dalla giurisprudenza.

La legge 741/1959 (c.d. Legge Vigorelli)

L’esigenza di dare applicazione ai contratti collettivi oltre l’ambito degli iscritti alle associazioni sindacali ha trovato soluzioni diverse nelle legislazioni straniere, a seconda che l’imprenditore sia o meno aderente all’associazioni stipulante il contratto collettivo.Il legislatore italiano al fine di risolvere tale questione, nel 1959 per mezzo di una legge delega attribuiva al governo il potere di emanare decreti legislativi aventi come contenuto la determinazione di condizioni minime di lavoro per ciascuna categoria.Nello stesso tempo però il governo, nell’emanare tali decreti fu vincolato ad uniformarsi alle clausole dei contratti collettivi esistenti.Dal punto di vista formale non si dichiarava l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi, ma si dettava una disciplina sui minimi di trattamento economico e normativo e per raggiungere tale obiettivo era vincolato ai contenuti della contrattazione collettiva.In forza di tale legge furono emanati circa 1000 decreti, visto che la legge prevedeva la ricezione sia dei contratti aventi come ambito di applicazione il territorio nazionale, sia dei contratti provinciali dotati di certe caratteristiche.La delega conferita nel 1959 alla sua scadenza venne prorogata di 15 mesi ed estesa ai contratti collettivi stipulati entro i 10 mesi successivi all’entrata in vigore della legge prorogata.

Alcuni principi costituzionali sul contratto collettivo

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Con la sentenza 106/1962 la Corte costituzionale respinse le eccezioni di incostituzionalità proposte contro la c.d. legge erga omnes, ma accolse quella l’eccezione sollevata contro la norma che estendeva la delega anche ai contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della legge prorogata.Insomma, venne riconosciuta la legittimità della legge, ma solo per la sua transitorietà.Tuttavia la sentenza della Corte costituzionale ha fissato alcuni principi importanti: ha affermato che l’art. 39 Cost. non pone una riserva in favore della contrattazione collettiva per il regolamento dei rapporti di lavoro, in quanto ciò contrasterebbe con le norme costituzionali che postulano un intervento del legislatore nel rapporto di lavoro al fine di tutelare il lavoratore.Inoltre, l’art. 39 Cost. conferisce automaticamente efficacia erga omnes ai contratti collettivi quando gli stessi siano stipulati dai soggetti stabiliti dalla legge.Un altro problema rilevanti fu quello di determinare l’ambito di applicazione dei decreti.Tale questione fu risolta dalla Corte costituzionale, la quale stabilì che è il contratto stesso che decide il proprio ambito di applicazione.

Il contratto collettivo di diritto comune

In seguito alla caduta dell’ordinamento corporativo, le organizzazioni dei lavoratori e dei datori ritornarono nell’area del diritto privato.Di conseguenza i contratti collettivi non potevano essere qualificati se non come espressione del potere di autoregolamentazione di interessi di soggetti di diritto privato.Questo tipo di contratto collettivo è definito dalla dottrina “di diritto comune”.Oggi a parte il settore delle amministrazioni pubbliche è quasi esclusivamente il contratto collettivo di diritto comune a regolare i rapporti individuali di lavoro e le relazioni sindacali.L’inquadramento tra i contratti, implica che l’unica regolamentazione del contratto collettivo rinvenibile nell’ordinamento è quella dettata dal codice civile per i contratti in generale.

La funzione normativa del contratto collettivo di diritto comune

Il contratto collettivo si colloca all’interno della categoria del “contratto normativo”, di quel contratto cioè che determina i contenuti di una futura produzione contrattuale.Le parti nel contratto normativo si accordano circa le condizioni alla quali si atterranno nell’attività contrattuale che svolgeranno in futuro.Una peculiarità è costituita dal fatto che almeno una delle parti stipulanti è necessariamente un soggetto collettivo.Sotto il profilo oggettivo, il dato caratterizzante è costituito dal fatto che il contratto collettivo predetermina le clausole dei contratti individuali di lavoro e non solo quelli futuri, ma anche quelli in corso al momento della stipulazione.Alcuni studiosi hanno inquadrato il contratto collettivo nella categoria del contratto tipo, poiché esso non predetermina gli elementi cui si dovranno attenere i futuri contratti in forma generica, ma li individua specificatamente.Deve dirsi tuttavia che nel contratto tipo la predeterminazione proviene da una delle due parti e non è vincolante perché costituisce soltanto uno schema contrattuale, mentre il contratto normativo realizza un vincolo contrattuale tra le parti.

CONTRATTO COLLETTIVO

Contrattazione collettiva, rappresenta il principale istituto dei moderni sistemi di relazioni industriali e consiste nel processo di regolamentazione congiunta (sindacati-padronato) dei rapporti di lavoroContratto collettivo, è una fonte atipica del diritto del lavoro dotata di una particolare forza costituita dal consenso sociale TIPI DI CONTRATTO COLLETTIVO, utili per studiare l’unico tipo oggi in vigore:

1. Contratto collettivo corporativo, modello attuato, fatto da agenti negoziali unici, riconosciuto come fonte del diritto nelle preleggi del codice civile (sia pure subordinato alle

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leggi ed ai regolamenti, art. 7 disp. prel. c.c.), perciò contratto tipico, disciplinato (allora) dagli artt. 2068 e seguenti. Avevano la caratteristica di essere efficaci erga omnes, ovvero per tutti gli appartenenti alla categoria. Di questa esperienza abbiamo un lascito, ovvero alcune norme del codice civile che regolano il contratto collettivo che si riferiscono al contratto collettivo corporativo. Del resto, abrogato nel 1944

2. Contratto previsto dall’art. 39/2 Cost., è un modello che non viene attuato e che eredita alcune caratteristiche negativamente apprezzate:

la necessaria registrazione del sindacato il controllo dello statuto la misurazione fatta in proporzione agli iscritti

Esito del fallimento (CISL) è la deriva privatistica: sindacato non registrato, ecc. Scelta della regolamentazione del diritto civile che non può essere quella del codice del 1942 in quanto quella regolamentazione è pensata per il contratto collettivo

3. Contatto collettivo di diritto comune (ovvero proveniente dalla normativa del contratto), in quanto la sponda privatista viene trovata nelle norme sui contratti. È un contratto atipico, meritevole di tutela (1322 c.c.) da parte dell’ordinamento. Si applicano tendenzialmente gli artt. 1321 e seguenti, ovvero le norme sul contratto. La giurisprudenza si assume il compito di ricostruire man mano le linee fondamentali della sua disciplinaÈ un contratto normativo al cui interno si possono riconoscere due parti: Parte obbligatoria, parte politica del contratto, regole di natura sindacale che vincolano,

es. la durata del contratto collettivo, clausole di tregua o di pace sindacale (le parti riconoscono vicendevolmente un obbligo)

Parte normativa che regola i singoli rapporti (norma sulla malattia, un norma sulle sanzioni disciplinare, sui permessi, soprattutto il trattamento economico)

Caratteristiche : Interesse delle parti: è un interesse collettivo, che non è la somma di tanti interessi

individuali ma la sintesi Parti sono collettive, sempre dal punto di vista dei lavoratori

La dottrina ha svolto un grosso lavoro di adattamento delle norme sul contratto in relazione all’utilizzo del contratto collettivo, che è catalogabile come contratto normativo, ovvero che non pone una diretta regolamentazione, ma predispone dei modelli regolativi che verranno applicati su altri e successivi rapporti stipulati da altri soggettiHa le proprie peculiarità ma sconta l’insufficienza della disciplina codicistica a spiegare il problema dell’efficacia nei confronti dei terzi. Due casi:

1. Terzi iscritti, si spiega il mandato con rappresentanza2. Terzi non iscritti, è un problema di efficacia (non è più, come per l’art. 39/2 cost,

efficace erga omnes)A CHI SI APPLICA IL CONTRATTO COLLETTIVO?

Il materasso del diritto comune soffre di alcuni problemi in quanto secondo le regole del diritto privato, il contratto ha effetto tra le parti quindi i soggetti attraverso l’istituto della rappresentanza (che si ha attraverso l’iscrizione al sindacato), ciò è un limite all’efficacia, ovvero a chi si applica il contratto collettivo?TENTATIVI LEGISLATIVI DI OFFRIRE EFFICACIA AL CONTRATTO COLLETTIVO

(meno efficaci in quanto si sono dovuti confrontare con la norma costituzionale)1. Legge 741/59, c.d. “Legge Vigorelli” (costituzionale) È il 4° tipo di contratto collettivo.

La legge ha come idea di fondo di prevedere trattamenti minimi retributivi a favore dei lavoratori. Non è una legge sul contratto collettivo ma ha lo scopo di dotare i singoli lavoratori di tutte le categorie di un trattamento economico di base, minimo. È utile per comprendere le difficoltà del legislatore nella realizzazione del contratto collettivo. È una legge delega che delega il governo a recepire in decreti legislativi (contenitore formale,

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scatola vuota) tutti i contratti collettivi nazionali stipulati sino all’emanazione della legge Vigorelli (erano oltre 1000). Un decreto per ogni contratto, in tal modo il contratto, recepito in un decreto legislativo diviene norma ed ha efficacia erga omnes facendo così scomparire il problema dell’efficacia generalizzata che la loro natura di contratto di diritto privato non avrebbe mai potuto estendere ai non iscritti

2. Legge 1027/60 (incostituzionale), ripete l’operazione “Vigorelli” per i contratti collettivi successivi alla legge Vigorelli, trasformando i contratti in tanti decreti legislativiLa Corte costituzionale che decide con una sentenza bipolare:

1) dichiara costituzionale alla legge Vigorelli 2) dichiara incostituzionale la legge 1027/60. Ciò in relazione all’art. 39/4 Cost. La

stabilizzazione del meccanismo di recepimento avrebbe saltato l’art. 39/4 e perciò incostituzionale

Ne consegue che i contratti collettivi divenuti decreto legislativo, ritornano ad essere contratti collettivi con la loro efficacia ridotta e non più erga omnes

Il legislatore non si arrischierà più, a Cost. invariata, a “tentare” un nuovo modello ma interviene in modi diversi per dare efficacia al contratto collettivo:

3. Clausola sociale , art. 36 l. 300/70, obbliga a far confluire una clausola in base alla quale l’appaltatore si obbliga a trattamenti non inferiori a quelli previsti nei contratti collettivi, estendendone così l’efficacia

4. Fiscalizzazione degli oneri sociali , lo stato si impegna a garantire agli imprenditori che applichino i minimi tariffari del CCNL, la possibilità di scaricare di alcuni oneri che derivano dal costo del lavoro sostenuto (fiscalizzare: ovvero scaricare, pagare meno tasse). Tuttavia si tratta di un meccanismo induttivo

5. Contratti di riallineamento , si fanno solo in meridione, sono contratti collettivi di livello provinciale che consentono di adottare un trattamento economico inferiore rispetto al contratto collettivo nazionale di categoria a patto che si inserisca in un programma di progressivo riallineamento di trattamento previsti dal contratto collettivo nazionale

RUOLO FONDAMENTALE DELLA GIURISPRUDENZACost. + Cass., che ha creato alcuni principi, in particolare quello dell’ambito di applicazione del contratto collettivo mediante un ruolo quasi “normativo” nella materiaPrimi due tentativi di soluzione:1. Adesione esplicita del contratto individuale (fra lavoratore e datore di lavoro) al CCNL2. Adesione implicita del contratto individuale (fra lavoratore e datore di lavoro) se c’è un

riferimento al CCNL, c’è una volontà di accettare il CCNLSoluzione finale: il problema dell’efficacia dei contratti collettivi erga omnes nel nostro paese, è superato, in quanto, sebbene dica che in linea di principio di dovrebbe applicare ai soli iscritti, grazie all’art. 36 Cost. la Cassazione, negli anni ‘90, la estende a tuttiLa Cassazione usa quindi il (3) 2070 c.c.: “quando datore di lavoro e lavoratore si accordano per l’applicazione di un contratto collettivo con trattamento economico più favorevole rispetto al CCNL” o il (4) 36 Cost.: “qualora i minimi tariffari del contratto prescelto risultino inferiori, si applica il CCNL” per estendere l’efficacia generalizzata3. 2070. c.c. Criteri di applicazione.

Se l'imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività.Quando il datore di lavoro esercita non professionalmente un'attività organizzata, si applica il contratto collettivo che regola i rapporti di lavoro relativi alle imprese che esercitano la stessa attività

4. 36. Cost. (è norma di diretta applicazione, di immediata precettività)Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente (Tali minimi vengono identificati dal giudice, ex art. 2099 c.c., nei minimi contrattuali del CCNL in relazione alle mansione (qualità del lavoro) ed al

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tempo (quantità). Ciò è stato criticato perché non si tratta solo di una retribuzione, ma di tutto quanto previsto dai contratti, ma “ così si fa !) ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

CIA

Contratto (collettivo) integrativo (di livello) aziendale (CIA), contratto di 2° livello di contrattazioneSofferenze, ovvero situazioni in cui la legge rinvia al contratto aziendale per derogare a diritti importanti con una responsabilità trasferita ad un accordo fra datore di lavoro e lavoratori incentrata sul sindacato: Dissenso individuale (39/1 Cost. libertà sindacale del lavoratore) del lavoratore che si chiama

fuori: Natura del contratto aziendale, (criteri di licenziamento, contratto di solidarietà, ecc.) in

queste situazioni il contratto collettivo non è normativo, qui il contratto collettivo svolte una funzione gestionale in quanto gestisce una situazione molto delicata all’interno dell’azienda, in quanto regola un potere del datore di lavoro su mandato della legge. Su ciò si è pronunciata la Corte Cost. e ne ha affermato la necessaria efficacia generalizzata. Essa dice: il potere viene direttamente dalla legge, i contratti incanalano un potere che i datori avrebbero comunque e che hanno efficacia erga omnes.

CCNL VS CONTRATTO INDIVIDUALE

Posto che il contratto collettivo sia applicabile, resta da stabilire quale efficacia esplichi nei confronti del contratto individuale, ovvero se il singolo datore di lavoro e il singolo lavoratore possano o meno pattuire una disciplina del rapporto individuale difforme da quella predeterminata nel contratto collettivo(Domanda) In che misura il contatto individuale è in grado di derogare il contratto collettivo? (Risposta) È una questione piuttosto datata e qui possiamo dire che la soluzione data giurisprudenza c’è ed è universalmente accettata e condivisa nella INDEROGABILITÀ DEL CCNL:

1. Mandato irrevocabile , si tentò di risolvere il problema attraverso il diritto comune dei contratti:

1723. c.c. Revocabilità del mandato. Mandato interesse mandatario 1726. c.c. Revoca del mandato collettivo. Mandato conferito a più soggetti

Si cerca di affermare fin dall’inizio che il contratto collettivo ha una forza particolare deve vincere il contratto individuale perché è portatore di interessi super individuali, appunto collettivi che sono diversi da una somma di interessi individuali, è una sintesi degli interessi individuali. Un conto è stabilire questa prevalenza, un conto è fondarla dal punto di vista giuridicoIl lavoratore (mandante) iscritto non può revocare il mandato se questo mandato è conferito anche nell’interesse del mandatario o se è conferito da più soggetti. Utilizzando queste norme si dice che il mandato è irrevocabile disconoscere l’operatività dell’azione sindacale. Altri autori hanno ragionato sul piano metagiuridico l’inderogabilità del contratto individuale rispetto al collettivo

2. 2077. Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale [I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.

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Le clausole difformi dei contratti individuali preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro] [c.c. 1339, 1419, 2066] È una norma criticata in quanto riferita al contratto corporativo Il problema viene risolto con una legge del 1973 che ha riformato il processo del lavoro e ha ritoccato due norme l’art. 2113 del c.c. e l’art. 808 cpc.

3. 2113. Rinunzie e transazioni (soluzione finale)Le rinunzie (atti unilaterali del lavoratore che rinuncia ai propri diritti) [c.c. 1236] e le transazioni (contratti, scambi fra il datore e il lavoratore, in base al quale il lavoratore rinuncia ai propri diritti) [c.c. 1965, 1966], che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide [c.c. 2934]L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza [c.c. 2964], entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesimaLe rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410 e 411 del codice di procedura civile Allo stesso modo nel 808 diceva che il lodo poteva essere impugnato per norme inderogabili di legge oggi accanto alla legge l’inderogabilità c’è anche per il contratto collettivo.L’aver affiancato nel 2113 e 808 alla legge il contratto collettivo, ha parificato dal punto di vista dell’inderogabilità le 2 fonti, per cui possiamo dire così come la LEGGE È INDEROGABILE COSÌ LO È ANCHE IL CONTRATTO COLLETTIVO e che non può essere derogato dal contratto individuale. Questo vale per le condizioni peggiorative (in peius) è invece possibile la derogabilità in senso più favorevole (in melius)

RINUNZIE E TRANSAZIONIChe tipo di invalidità è:

Annullabilità (mentre il 1418 c.c. parla di nullità) in quanto possono essere fatte valere entro un termine di decadenza di 6 mesi che decorrono dalla cessazione del rapporto (o dalla rinunzia / transazione se successiva alla cessazione del rapporto) e poste in essere dal lavoratore o dal datore di lavoro

La ratio della differenza insiste sul fatto che non si tratta di diritti primari del lavoratore (diritto alle ferie primario in quanto contemplato dalla costituzione). La ratio finale è però relativa al bisogno di certezza dei rapporti giuridici in ambito lavoristico Rinunzie e transazioni sempre valide ed efficaci sin dal primo momento:

Giudice Direzione provinciale del lavoro Collegi di conciliazione costituiti presso i sindacati

Ogni contrattazione con il lavoratore non bisogna mai farla con il solo lavoratore, ma è sempre meglio farla nelle sedi sopra indicateDel 2077 viene recuperato l’effetto della sostituzione automatica e il concetto dell’inderogabilità relativa

PROBLEMA INTERPRETATIVORaffronto tra contratto collettivo e contratto individuale, dobbiamo capire rispetto ad una clausola se è più o meno favorevole al lavorato il contratto collettivo o il contratto individuale. Il raffronto non si può fare tra singole clausole ma tra istituti in quanto normalmente i contratti collettivi contengono delle clausole di inscindibilità (bisogna prendere tutto l’istituto e quindi è

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chiaro che quando c’è un istituto regolato da entrambe si utilizza la fonte che contiene la disciplina dell’istituto più favorevole per il lavoratore) le quali impediscono alla contratto individuale di scegliere il fior da fiore. La Cassazione dice che il super minimo normalmente viene assorbitoIl contratto collettivo si pone come fonte eteronoma dotato delle stesse caratteristiche di inderogabilità della legge e come fonte dobbiamo interrogarci sui rapporti interni ed esterni

CCNL VS LEGGE

Cioè tra due fonti che l’art. 2113 considera entrambi inderogabili, tuttavia il contratto collettivo non può derogare la legge, a meno che non introduca discipline più favorevoliQuesta è la regola base ma il rapporto è complesso:

Funzione di regolazione che viene trasferita dalla legge alla contrattazione collettiva Funzione di deregolazione controllata, Il legislatore fa dei rinvii ai contratti collettivi che

possono essere di natura derogatoria alla legge stessa, ovvero taluni diritti possono essere derogati solo se lo prevede il contratto collettivo

a) INDEROGABILITÀ IN PEIUS: 1. Trasferimento di azienda, perdita dei diritti maturati

I rapporti di lavoro continuano ma la legge dice che se ad essere ceduta è un impresa in crisi per favorire l’acquisto da parte di terzi, questa passa all’acquirente senza la conservazione dei diritti maturati dai lavoratori e quindi in questo caso c’è una deroga: garantisco la continuità ma derogo al mantenimento dei diritti

2. Licenziamento, perdita della qualificazione del lavoratoreb) DEROGABILITÀ IN MELIUS: Ci sono stati casi viceversa in cui la legge ha impedito al

contratto collettivo di disporre in senso più favorevole per i lavoratori, c.d. massimi legislativi, che sancivano una inderogabilità in melius, con la fissazione di limiti o tetti di legge al contratto collettivo. Questo si è verificato dal 1977 al 1991/92 ed ha interessato questo fenomeno la disciplina del costo del lavoro. Il nostro paese aveva un meccanismo di legge che si occupava del costo del lavoro in relazione al costo della vita (scala mobile) questa indennità di contingenza entrava in busta paga e veniva ricalcolata per stabilire l’anzianità di servizio, questo processo ad un certo punto viene progressivamente annullato 1992

CCNL VS TEMPO

Tre mesi prima della scadenza del contratto collettivo, le organizzazioni dei datori e dei lavoratori si incontrano per avviare le trattative per il rinnovo, tuttavia non è raro che la trattativa si prolunghi oltre il termine fisiologico. Il protocollo del 1993 ha introdotto, per la parte economica, l’istituto dell’indennità di vacanza contrattuale, ovvero un automatismo di secondo grado appositamente finalizzato a disincentivare ritardi e a proteggere temporaneamente i lavoratoriSuccessione di contratto: al contratto 1998/2001, succede il contratto 2002/2005, sono entrambi contratti collettivi che si succedono nel tempo. Il problema si pone rispetto la disciplina di un istitutoNell’ipotesi che ad es. lo straordinario del contratto precedente fosse 10 euro, quando il contratto collettivo scade il codice civile all’art. 2074 prevede in mancanza del rinnovo il contatto risulti ultrattivo, ma la giurisprudenza dice che quest’articolo non si può applicare possono essere ultrattivi solo se è lo stesso contratto a prevederlo, se una delle parti dà disdetta al contrattoCosa succede nella successione tra contratti nell’ipotesi in cui il vecchio contenesse una disciplina che il nuovo non prevede. Non c’è un principio di inderogabilità, il contratto collettivo può derogare tranquillamente al contratto che precede sia in senso più favorevole ma anche in senso sfavorevole al lavoratore nel caso sopra dello straordinario prevede 5 euro, non è tutelata l’aspettativa dei lavoratori di vedersi confermata una disciplina contrattuale in quanto la nuova può derogare alla precedente, con una sola eccezione comunemente chiamata dei diritti quesiti o

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acquisiti (acquisiti = è solo quello già entrato a far parte del patrimonio giuridico del lavoratore per effetto della precedente disciplina. Si parla però solo di successione di leggi, non di successione di contratti collettivi)Ad ogni rinnovo del contratto collettivo questo contratto non riscrive totalmente tutto, ma mantiene ferme alcune discipline che sono già state regolate dal contratto precedenteIl rapporto è diverso quando non è tra contratti dello stesso livello, ad es. contratto collettivo nazionale (CCNL) in rapporto ad un contratto collettivo aziendale. Quando è che si verifica, quando i 2 contratti nello stesso momento regolano uno stesso istituto ma lo fanno in maniera diversa e si tratta di capire quale dei due prevale

CCNL VS AZIENDALEEs. se il primo prevede 10 euro per il lavoro notturno e il secondo ne prevede 20

1. Vince sempre il CCNLPoi ci sono 2 teorie che la corte di cassazione ha elaborato nello stesso anno:

2. Teoria del mandato ascendente nel caso di 2 discipline concorrenti vince sempre l’aziendale perché il potere regolativi parte dal basso dai lavoratori

3. Teoria del mandato discendente, dice il contrario che il potere parte dall’alto e quindi vince sempre il CCNL su quello aziendale a prescindere che sia più o meno favorevole

4. Teoria della posteriorità nel tempo Soluzione vincente della giurisprudenza che esprime l’assenza di un criterio affidabile nell’ordinamento. A questo si associa anche il criterio della specialità nel senso che vince la disciplina più vicina al rapporto da regolare

Questo problema è stato risolto dal Protocollo del 23 luglio 1993 che dice: “il contratto aziendale (CIA) non può regolare materie e istituti in particolare quelli di natura retributiva già regolati dal contratto nazionale” in questo modo non dovrebbe più porsi il problema in quanto non dovrebbero più esserci sovrapposizioni di discipline.Il contratto collettivo è il contenuto che va sotto il sistema di regole, il contenitore, che porta alla produzione del contratto collettivo. Siamo su una linea di confine sbilanciata verso altre materie (lontani dal diritto) in quanto è tema di diritto sindacale

Altre funzioni del contratto collettivo di diritto comune

Una parte della dottrina ha teorizzato all’interno del contratto collettivo una distinzione, secondo la quale accanto ad una parte normativa, costituita dalle disposizioni preordinate a determinare minimi di trattamento economico e normativo, sarebbe individuabile un’altra parte che viene definita obbligatoria.Le clausole obbligatorie instaurano rapporti obbligatori non facenti capo alle parti del rapporto individuale di lavoro, bensì a soggetti collettivi.Infine all’interno del contratto collettivo esistono anche clausole che hanno una funzione compositiva dei conflitti.

L’inderogabilità in peius

Nei rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale opera il meccanismo della c.d. inderogabilità in peius, secondo cui il contratto individuale che regola il singolo rapporto di lavoro non può disporre trattamenti economici e normativi peggiori per il lavoratore di quanto previsto dal contratto collettivo.Qualora ciò avvenga la conseguenza è non solo un’azione di risarcimento del danno, bensì l’automatica sostituzione delle clausole di contenuto peggiorativo con quelle più favorevoli per il lavoratore previste dal contratto collettivo.Per il contratto collettivo di diritto comune, l’affermazione del principio dell’inderogabilità ha costituito per anni un tema di acceso dibattito. Sono rinvenibili in proposito due orientamenti dottrinali:

Alcuni ritengono che il problema sia risolvibile utilizzando soluzioni interne al sistema di principi del diritto civile;

Altri tendono a ricercare soluzioni eteronome fondate su dati normativi estranei ai principi civilistici classici.

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All’interno del primo orientamento rileva la posizione di Santoro Passarelli, secondo cui il contratto collettivo è espressione di un “fenomeno di autoregolamentazione di interessi privati fra gruppi contrapposti” che può essere sintetizzato nella formula autonomia collettiva.Questa forma di autonomia privata ha natura collettiva perché i soggetti che la esprimono sono portatori dell’interesse di una pluralità di persone e di conseguenza l’interesse collettivo prevale sull’interesse individuale e il contratto collettivo prevale sul contratto individuale.Tale soluzione è rinvenibile negli artt. 1723 e 1726 che sanciscono la irrevocabilità del mandato conferito da più soggetti per un interesse comune.Altri autori ritengono che la prevalenza del contratto collettivo su quello individuale sia invece da individuare nell’atto di adesione del singolo al sindacato, che implica l’assoggettamento del singolo al potere dell’associazione di dettare regole nella sua sfera di interessi.Entrambe queste posizioni non hanno permesso di dare un fondamento alla inderogabilità in peius, la quale ha trovato definizione solo con l’art. 2113 c.c., il quale stabilisce che le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti collettivi non sono valide.

La derogabilità in melius

L’art. 2077 c.c. stabilisce che il contratto individuale può derogare al contratto collettivo laddove introduca disposizioni di maggior favore per il lavoratore.Non sempre è agevole stabilire se il trattamento previsto dal contratto individuale sia più favorevole di quello previsto dal contratto collettivo. Sul punto si sono delineati 2 orientamenti:

Tesi del conglobamento: la comparazione deve essere operata tra i trattamenti complessivi previsti da ciascun contratto;

Tesi del cumulo: bisogna confrontare le singole clausole di ciascun contratto estraendo da ognuno di essi le clausole più favorevoli.

Deve dirsi, tuttavia, che non pochi contratti collettivi contengono clausole d’inscindibilità, con le quali le parti stabiliscono che le disposizioni contrattuali sono correlate tra loro e non cumulabili con trattamenti derivanti da altre fonti.

Efficacia soggettiva

Altro problema del contratto collettivo è quello della efficacia soggettiva, che si estende solo agli iscritti alle associazioni stipulanti.La natura privatistica di tale contratto, infatti, lo rende efficace solo nei confronti di quei soggetti che abbiano conferito all’associazione mandato rappresentativo.La natura privatistica inibisce l’applicazione al contratto collettivo di diritto comune dell’art. 2070 c.c., il quale dettato per i contratti collettivi corporativi, può essere applicabile al contratto collettivo di diritto comune solo in mancanza di una manifestazione di volontà delle parti.

Efficacia soggettiva nella giurisprudenza

Si stabilisce che il contratto collettivo sia vincolante solo nei confronti degli aderenti alle associazioni stipulanti. Negli anni tuttavia si sono delineati una serie di meccanismi di estensione dell’ambito di applicazione del contratto collettivo.La Cassazione, in proposito, ha fatto propria una tesi secondo la quale il datore di lavoro aderente all’associazione firmataria di un contratto collettivo deve applicare le sue norme a tutti i suoi dipendenti anche non iscritti al sindacato.Nel caso invece di un datore di lavoro che non sia iscritto ad alcuna associazione sindacale, si stabilisce che il contratto collettivo è applicabile quando le parti nel contratto individuale abbiano richiamato la contrattazione collettiva vigente.Inoltre il contratto collettivo è vincolante anche nei confronti del datore di lavoro il quale, pur non essendovi tenuto, ne abbia spontaneamente applicato il contenuto.Inoltre è stato stabilita dalla giurisprudenza una generalizzazione dell’efficacia delle clausole retributive anche nei confronti dei datori non aderenti al sindacato: poiché l’art. 36 stabilisce che il

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lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità della prestazione lavorativa e in ogni caso sufficiente a garantirgli una esistenza libera e dignitosa, si stabilisce la nullità delle clausole contrarie a questi principi.Il venir meno di tale clausola retributiva determina a sua volta l’obbligo del giudice di fissare la misura della retribuzione, la quale sarà fissata facendo riferimento ai minimi retributivi fissati dal contratto collettivo applicabile alla categoria.

L’estensione dell’efficacia soggettiva della legislazione

Il legislatore al fine di estendere l’efficacia soggettiva del contratto collettivo spesso ha attribuito agli imprenditori agevolazioni, subordinandone il godimento all’applicazione dei contratti collettivi ovvero di trattamenti economici e normativi non inferiori a quanto stabilito dagli stessi.Prototipo di questi interventi è l’art. 36 St. Lav. il quale impone alle amministrazioni pubbliche di inserire, nei provvedimenti di concessione di agevolazioni finanziarie a favore degli imprenditori, una clausola che stabilisce l’obbligo di applicare nei confronti dei lavoratori, condizioni di trattamento non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi. La violazione di tale obbligo comporta la revoca del beneficio.

La parte obbligatoria

Le clausole obbligatorie del contratto collettivo istituiscono obbligazioni direttamente tra i soggetti che stipulano il contratto. Bisogna ricordare:

1. Clausole di rinvio: mediante esse il contratto collettivo nazionale rinvia la trattazione di uno o più temi al contratto collettivo di livello inferiore;

2. Clausole di amministrazione: dispongono che la applicazione di una norma contrattuale consegua per esempio ad un esame congiunto tra le parti;

3. Clausole istituzionali: creano particolari organi o istituzioni.Il protocollo del 23 luglio 1993 ha introdotto il meccanismo di “raffreddamento” del conflitto sindacale.Esso è operante in occasione dei rinnovi contrattuali e stabilisce che per 3 mesi prima della scadenza e per il primo mese successivo, le parti contrattuali dovranno negoziare sulla base della piattaforma rivendicativa senza assumere iniziative unilaterali e senza procedere ad azioni dirette. In sostanza, lo sciopero è inibito in tale periodo e la violazione di tale regola comporta una sanzione economica.Una parte della dottrina ha affermato che nelle clausole di tregua è implicita una rinunzia al diritto di sciopero, per cui la clausola vincolerebbe non solo il sindacato ma anche il lavoratore iscritto al sindacato.Questa tesi porta ad affermare un effetto non solo obbligatorio ma anche normativo delle clausole. Tuttavia dalla struttura che di solito le clausole di pace presentano si può desumere che esse impegnino solo i sindacati stipulanti e che per questo sono inquadrabili nella parte obbligatoria.

La c.d. procedimentalizzazione dei poteri dell’imprenditore e il contratto gestionale

Rientrano nella parte obbligatoria del contratto anche le clausole che obbligano l’imprenditore a dare alle rappresentanze dei lavoratori informazioni preventive su alcune decisioni gestionali che intende assumere.A seguito dell’informazione, le rappresentanze sindacali possono chiedere un incontro per esaminare il problema e il potere dell’imprenditore di assumere la decisione rimane sospeso per la durata del procedimento.Questa tecnica normativa ha assunto il nome di procedimentalizzazione del potere dell’imprenditore.La limitazione del potere imprenditoriale mediante la sua procedimentalizzazione è opera non solo della contrattazione collettiva, ma anche della legislazione.Con tali norme non si obbliga l’imprenditore a pervenire ad un accordo se vuole porre in essere l’atto di gestione: infatti trascorso il termine fissato nella norma senza che l’accordo si realizzi, il potere dell’imprenditore sottoposto al vincolo procedurale ritorna integro.

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Il contratto collettivo aziendale ha una doppia funzione: da un lato può dettare norme sul trattamento economico e normativo dei lavoratori e sulle relazioni sindacali, ma esso può anche svolgere una funzione gestionale, cioè concordare un provvedimento di gestione del personale.

CAPITOLO DECIMOIL CONTRATTO COLLETTIVO NEL PUBBLICO IMPIEGO

1.DALL’AFFERMAZIONE DEL METODO CONTRATTUALE ALLA C.D.PRIVATIZZAZIONE DEL PUBBLICO IMPIEGOFino agli inizi degli anni sessanta il trattamento economico e normativo del pubblico impiego erafissato per legge o per regolamento,in via esclusiva.Il panorama sindacale era contraddistinto dalladiffusa ed influente presenza dei sindacati “autonomi”,mentre i sindacati aderenti alle grandiconfederazioni apparivano da esse scollati e tra sé divisi.Al processo di sindacalizzazione il sindacato andrò affidando,con maggior consapevolezza,unduplice obiettivo:rinnovamento dell’organizzazione pubblica mediante l’intervento sulle condizionidi lavoro all’interno di essa,e superamento delle sperequazioni.Alla fine degli anni sessanta prese avvio anche il processo di istituzionalizzazione sul pianolegislativo della contrattazione nei diversi settori del pubblico impiego (Stato,sanità,entilocali,ecc.),questo processo trovò la sua sistemazione nella legge quadro del 29 marzo 1983,cheforniva un ampio quadro per l’intera disciplina dei rapporti di lavoro pubblico. L’innovazione piùsignificativa consisteva nell’introduzione di una disciplina della contrattazione collettiva secondoun modello unitario valido per tutto l’impiego pubblico,al posto delle diversificate discipline deldecennio pecedente.Diversamente dallo Statuto dei lavoratori,che per il settore privato si limita a promuovere l’attivitàsindacale nei luoghi di lavoro senza regolarla e senza disciplinare la contrattazione collettiva,lalegge n.93 riconosceva e insieme regolava i principali assetti sia dell’azione sindacale sia dellacontrattazione.Di questa disciplinava gli ambiti (i settori),gli attori,i contenuti,i livelli e l’efficacia.Sul finire degli anni ’80 però si verifica una progressiva e strisciante ingestibilità della leggestessa,il fallimento precoce della legge quadro.Dalla presa d’atto dell’impossibilità di rivitalizzare in qualche modo il precedente sistema,cominciala storia della c.d. “privatizzazione”, scartata l’ipotesi di una semplice rivisitazione della leggequadro.Il decreto legislativo 3 febbraio 1993 n.29,si presenta anzitutto come intervento sulle fonti. Da unlato viene modificato l’atto posto alla base del rapporto di impiego,che è ora il contratto;dall’altro,alcontratto collettivo viene restituito il ruolo di fonte immediata di disciplina del rapporto,con pienosuperamento della prospettiva per cui l’accordo sindacale non poteva considerarsi niente di più cheuna tappa del procedimento di formazione dell’atto amministrativo di recezione.Il contratto,individuale e collettivo di diritto comune,cosituisce il perno attorno al quale ruota latrasformazione dal pubblico al privato (per questo si parla anche di contratualizzazione).Latrasformazione dell’assetto delle fonti viene poi realizzata tramite altri due passaggi:il passaggio didisciplina,che è ora quella contenuta nel codice civil;ed il passaggio di giurisdizione dal giudiceamministrativo a quello ordinario.

2.LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NELLA RIFORMA DEL D.Lgs. n.29 del 1993(ora D.Lgs. n.165/2001). AMBITI E LIVELLI.L’estensione dell’area assoggettata alla privatizzazione,sia sotto il profilo oggettivo che sotto quellosoggettivo, corrisponde a quella in precedenza ricoperta dalla legge quadro n.93 del 1983.Sotto il profilo oggettivo,rientrano nell’area di applicazione del decreto legislativo “tutte leamministrazioni dello Stato,ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzionieducative,le aziende e le amministrazioni dello stato ad ordinamento autonomo,le regioni,leprovince,i comuni,le comunità montane e loro consorzi e associazioni,le istituzioni universitarie,gliistituti autonomi case popolari,le camere di commercio,industria,artigianato e agricoltura e loro

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associazioni,tutti gli enti pubblici non economici nazionali,regionali e locali,le amministrazioni e leaziende e gli enti del Servizio Sanitario Nazionale”.Sotto il profilo soggettivo,vengono escluse dall’area della privatizzazione alcune categorieparticolari,che mantengono una disciplina speciale:i magistrati ordinari,amministrativi econtabili,gli avvocati e procuratori dello Stato,il personale militare e delle forze di polizia,ilpersonale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia.Bisogna sottolineare come il D.Lgs. n.29 continui la linea accentratrice già fatta propria dalla leggequadro;la spinta alla centralizzazione del sistema contrattuale rappresenta il prodotto di uncompromesso tra forze che sul piano storico si trovano attualmente a condividere interessicomuni,tra cui l’interesse al processo rivendicativo:il Governo e le Confederazioni.

3.SOGGETTILa persistente frammentazione e la scarsa trasparenza dei soggetti negoziali hanno sempre costituitola causa più evidente di distorsioni del processo di contrattazione collettiva nel pubblico impiego.L’elemento di maggior rilievo è l’entrata in scena di un protagonista completamentenuovo,l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) “dotatadi personalità giuridica di diritto pubblico”.Con essa il legislatore ha sostituito alle varie delegazionidi parte pubblica,un’unica controparte,tecnica e stabile. E ad essa è attribuita la rappresentanzasindacale di tutte le amministrazioni pubbliche, a livello di contrattazione collettiva nazionale.L’Agenzia non è sottoposta alla vigilanza della Previdenza del Consiglio e gli unici controlli sullasua attività sono effettuati dalla Corte dei Conti,sulla gestione finanziaria. Oggi l’Agenzia si collocaal centro di un sistema più articolato,nel quale il potere di impartire direttive per l’azionecontrattuale è stato mutato in potere di indirizzo e trasferito dal Governo ai c.d. Comitati disettore,organi espressi dalle forme associative delle singole amministrazioni e degli entirispettivamente interessati.Sono ora ammesse alla contrattazione di comparto le Confederazioni sindacali,non più in quanto insé rappresentative ma solo se affiliano un sindacato rappresentativo nel comparto o nell’area.

4.OGGETTILa contrattazione collettiva ha oggi una competenza generale,potendosi svolgere su “tutte le materierelative al rapporto di lavoro e alle relazioni sindacali”.Il trattamento economico continua ad essere la materia tipica affidata alla contrattazione,fin dallalegislazione degli anni ’70.

5.PROCEDURA ED EFFICACIAGli accordi collettivi nel pubblico impiego hanno sempre acquistato efficacia sui rapporti di lavoronon direttamente,ma solo per il tramite di un atto di autorità. Anche nel pubblico impiego ilcontratto collettivo è destinato ad acquistare efficacia immediata quanto alla disciplina dei rapportidi lavoro compresi nella sua sfera applicativa.L’iter procedurale si alleggerisce,ma non viene meno:a) Quanto al livello nazionale vi è una fase preventiva a quella propriamentecontrattuale,costituita dalla deliberazione degli atti di indirizzo da parte dei comitati disettore delle pubbliche amministrazioni,che vengono trasmessi all’Aran;b) L’Agenzia entra nella fase della trattativa in ordine alla quale il legislatore serba il piùassoluto silenzio;c) Il raggiungimento di un’intesa conduce poi direttamente alla terza fase,quella finale,la fasedel perfezionamento del contratto.Oggi non è più richiesta l’autorizzazione del Governo,masolo il parere favorevole del Comitato di settore,che deve pervenire entro cinque giorni dallaricezione del testo.Il parere è chiaramente vincolante per l’Aran.Il giorno successivo a quello dell’acquisizione del parere favorevole da parte del comitato di settore(o del Presidente del Consiglio),l’Aran trasmette la quantificazione dei costi contrattuali,contenutain un prospetto allegato,alla Corte dei Conti,la quale ne verifica la compatibilità con gli strumenti di

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programmazione e di bilancio. La Corte dei Conti non controlla dunque più la legittimità dell’attogovernativo di autorizzazione,ma solo l’esistenza della copertura finanziaria delle spese previste dalcontratto.Se la delibera della Corte è positiva oppure se decorre il termine di cinque giorni dalla ricezionesenza che essa si sia pronunciata,il presidente dell’Aran sottoscrive il contratto collettivo.Se invece la Corte dei Conti si pronuncia negativamente,l’Aran dovrà tentare l’adeguamento dellaquantificazione dei costi. L’intera procedura di certificazione deve concludersi entro quaranta giornidall’ipotesi di accordo.

6.EFFICACIA: AMBITO E TIPO.Il contratto pubblico privatizzato,pur se tipico o speciale,non sfugge ai problemi del contrattocollettivo di diritto comune,la cui efficacia è formalmente limitata ai datori e lavoratorirappresentanti al tavolo delle trattative.L’erga omnes del contratto collettivo risulta assicurato in forza:a) della previsione che assegna all’Agenzia la rappresentanza legale di tutte le pubblicheamministrazioni;b) della previsione che vincola le pubbliche amministrazioni a garantire ai propri dipendenti“parità di trattamento contrattuali e comunque trattamenti non inferiori a quelli prescritti daicontratti collettivi”c) della previsione che le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con icontratti collettivi nazionali o integrative.Il contratto collettivo diventa positivamente applicabile a tutti per il tramite della clausola di rinvionecessariamente contenuta nel contratto individuale che viene sottoscritto al momento dellacostituzione del rapporto.Altro versante problematico è quello che riguarda il rapporto tra contratto collettivo e contrattoindividuale. Nel privato tale questione trova soluzione nel senso che il contratto collettivo èinderogabile in peius dal contratto individuale e le eventuali disposizioni difformi vengonosostituite di diritto da quelle del contratto collettivo.Per contro il contratto individuale può derogarein melius il contratto collettivo.Nel settore del lavoro pubblico si assiste ad un capovolgimento:il profilo della inderogabilità inpeius non risulta affatto posto in discussione,è tuttora oggetto di dibattito la questione delladerogabilità in melius. Due orientamenti si fronteggiano:l’uno sostiene l’inderogabilità assoluta obilaterale del contratto collettivo nei confronti dell’individuale;l’altro riconosce l’esistenza di spazid’azione per la contrattazione individuale.

CCNL NEL PUBBLICO IMPIEGO

Il contratto collettivo è una fonte privilegiata in quanto nello stesso rapporto con la legge il decreto 165/01 prevede la possibilità per il CCNL di derogare alla legge anche in senso meno favorevole alla legge (rompendo lo schema classico). É un contratto collettivo più forte della legge Clausola di salvezza, la legge si può rendere inderogabile dai CCNL:

Trattamento economico: il CCNL può far cadere le ipotesi previste dalla legge (in contrasto con il precedente CCNL

Tutto il resto: il CCNL può derogare alla legge, la legge può “difendersi” con la clausola di salvezza

A livello nazionale si fa per comparto (per settori omogenei delle amministrazioni, nel privato è per categoria). Oggi vi sono 12 comparti e la decisione sui comparti spetta alla stessa contrattazione collettiva. Es. si è creato un:

comparto dei dipendenti delle agenzie fiscali che prima era inglobato in un ministero; comparto della sicurezza, nel quale è confluito il rapporto dei vigili del fuoco si sta discutendo un comparto delle Regioni, per dare specificità alla Regioni

Struttura contrattuale binaria:

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1. CCNL2. Contratto collettivo di livello integrativo. Ci possono essere più contratti integrativi in un

compartoAl di fuori di questi due livelli c’è il contratto collettivo nazionale quadro che si fa per regolare materie di interesse comune (es. sulla costituzione delle RSU)

CASO DELL’UNIVERSITÀ

Tutto il personale esclusi i dirigenti: CCNL di comparto Contratto integrativo, per ciascun ateneo

Dirigenti: CCNL dell’area (meno di un comparto) per i dirigenti Contratto integrativo, per ciascun ateneo

Riserve di legge, sui quali i contratti collettivi non possono esprimersi: insegnamento concorsi (in effetti la norma cost. non parla di concorso “pubblico” ma solo di concorso) sui

quali la giurisdizione è quella del giudice amministrativo (in luogo invece del giudice del lavoro)

incompatibilità, insieme di regole che disciplinano per il lavoratore pubblico di svolgere un secondo lavoro (letti secondo l’art. 98 della Cost. che prevede un dovere di esclusività), ciò si (2105. c.c.) traduce in una mancanza di concorrenza

SOGGETTI DELLA CONTRATTAZIONE : Nel settore pubblico l’agente sindacale è unico ed è previsto dalla legge in un soggetto che si chiama ARAN (agenzia per la rappresentanza sindacale della PA).

Il soggetto sindacale è sempre l’agenzia Non è indipendente svolge tutte le attività di contrattazione Ha un direttivo formato in parte su designazione del consiglio dei ministri ed in parte dalle

Regioni I contratti dell’Aran sono validi per tutte le amministrazioni, anche le più piccole Ha sede nell’ex palazzo del partito socialista

Comitati di Settore per ciascun comparto, hanno il compito fondamentale di fornire direttive all’Aran (es. per le università: conferenza dei rettori)Metodo della selezione delle organizzazioni sindacali (che nel settore privato non c’è):

VINCOLO POLITICO : il Comitato di settore dell’università (es.) rappresenta all’Aran le linee e gli obiettivi che si richiede di far valere sul tavolo della contrattazione

VINCOLO GIURIDICO : quantificazione delle risorse per la contrattazione collettiva, viene fatta per legge finanziaria che predetermina quante risorse sono a disposizione della parte pubblica per essere investite sulla contrattazione collettiva nazionale e integrativa. Questo è un vincolo per la contrattazione, il CCNL non potrà spendere neppure un euro in più, è un limite all’attività sindacale (39 vs tenuta del sistema). Per questo vincolo CCNL a volte si occupano di istituti non economici (disciplinare, mobbing, ecc.)

RAPPRESENTATIVITÀ SUFFICIENTE, l’Aran deve stabilire chi si siede al tavolo. Questa decisione viene a determinare un primo momento della rappresentatività sufficiente, 5% così costruito da due dati:

1. Associativo, degli iscritti, vi è una trattenuta sullo stipendio e l’Aran tiene i conti degli iscritti

2. Elettivo, nr. voti RSU interamente votatiLa soglia consente di sedere al tavolo delle medie grandi organizzazione, tagliando però fuori le piccole organizzazioni. Quando si va a votare nelle PA sulle RSU si contribuisce anche il livello nazionale in relazione alla soglia del 5% e per i piccoli sindacati è importante

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consentendogli di avvicinarsi alla soglia di rappresentatività sufficiente per il contratto collettivo

Costituito il tavolo , si apre la trattativa:1. possono andare avanti anche a lungo 2. Trattamento economico: è la sola una materia è riservata ai contratti collettivi ed il

CCNL deve vertere almeno su questo argomento IPOTESI DI ACCORDO :

1. inviata ai comitati di settore, che intervengono all’inizio con la direttiva verso la fien del procedimento allo scopo di verificare se dopo la contrattazione con i sindacati l’Aran è riuscito a portare a casa gli input della contrattazione

2. parere vincolante dei comitati di settore entro 5 giorni, solo se c’è l’ok dei comitati di settore si può andare avanti, altrimenti si torna alla trattazione

3. Controllo della corte dei conti, fatta entro 15 giorni (silenzio assenso) su una scheda tecnica nella quale vengono quantificati i conti: quanto costa quel contratto. Il suo controllo è di tipo finanziario, CCNL vs perimetro finanziario della legge finanziaria. La corte fa una certificazione dei costi e solo se è positiva si può procedere, altrimenti si torna alla trattazione. Un caso famoso CCNL sul telelavoro

4. FIRMA DEL CONTRATTO : Il contratto è valido ed efficace solo se sull’ipotesi di accordo si raccolgono consensi (firma) delle organizzazioni sindacali che messe insieme rappresentino almeno il 51% rispetto ai due dati (associativo/elettivo) o anche solo il 60% del dato elettivo

La CCNL si deve muovere nelle materie e con le risorse previsti nella legge finanziaria, se accade il CCNL è nullo (a differenza del settore privato), la nullità della clausola difforme, può essere fatta valere da chiunque, si è scelta l’opzione più forte per impedire che a livello integrativo (es. quella del comune) si sfori quanto previsto. Il controllo è perciò molto più forteAMBITO DI EFFICACIA (a chi si applica il contratto collettivo?):

Erga omnes, nel pubblico di fatto è così, nei confronti di tutte le amministrazione del comparto e di tutti i lavoratori del comparto1. Aran, è previsto dalla legge e ciò che fa vincola tutte le amministrazioni2. Art. 45 decreto, le amm.ne devono applicare un principio di parità minimo che

prevedono dei tariffari non inferiori a quelli dei CCNL, uguale, devono applicare i contratti collettivi.

3. Adempimento: art. 40 comma 4, 165/01. Le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l'osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti (3).

Dalla parte del datore di lavoro: sentenza corte Cost. 309 del 1997, meccanismi di indiretta efficacia, è un risultato di fatto compatibile con l’art. 39 Cost.. Argomenta bene su questo versanteDalla parte del lavoratore: si applica il CCNL in quanto il contratto individuale contiene una clausola di rinvio al CCNL ed al Contratto integrativo, con la firma del contratto il lavoratore accettata tutti quelle che verranno nel rapporto con l’amministrazione. Argomenta meno bene su quest’altro versante

IMPIEGO NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Privatizzazione, o contrattualizzazione del pubblico impiego è la riforma amministrativa del periodo post costituzionale. Cominciata nel 1992/93 e si è compiuta nel 2002 sebbene sia tuttora in itinere ed è regolato dal diritto pubblico e diritto amministrativo Il datore di lavoro si occupa di un interesse pubblico di carattere generale, svolgendo servizi che spesso hanno una tutela costituzionaleIl pubblico impiego nella tradizionale concezione pubblicistica:

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Il rapporto di lavoro fa parte dell’organizzazione amministrativa ed è strumentale al perseguimento di fini pubblici => poteri autoritativi. La gestione del personale e conglobata nel pubblico

Supremazia speciale vs Poteri di diritto privato; soggezione speciale vs subordinazione Il rapporto nasce da un atto amministrativo non da un contratto Fonti sempre unilaterali: leggi, regolamenti, atti amministrativi => lo stato giuridico e i testi

unici Interessi legittimi non Diritti soggettivi (salvo la materia retributiva che non interferisce con

l’organizzazione) La giurisdizione: 1° grado T.A.R. e 2° grado Consiglio di Stato DPR 3/57 conteneva oltre 300 articoli destinati a regolare passo passo ogni elemento del

rapporto di lavoroMomento culturale, Giannini, già ministro della funzione pubblica (che oggi è un dipartimento), nel 1970 scrive un rapporto:

Riconoscere cittadinanza al contratto collettivo a riconoscere i diritti sindacali Non c’è differenza sostanziale fra due segreterie (pubblico / privato), fatta eccezione per i

dirigenti che rappresentando l’amministrazione devono essere tutelati dal diritto privato. 93/1983 una legge quadro del pubblico impiego riconosce i diritti sindacali nella pubbliche amministrazioni estendendo i titoli 2 e 3 nella P.A. e nei primi due articoli stabilisce che alcune materie debbono essere normate dalla legge, mentre altre materie possono essere regolate mediante accordi (non contratti) collettivi che potevano regolare alcuni aspetti ed in particolare la retribuzione. Gli accordi venivano recepiti con un DPR (il contratto collettivo si “suicidava” in un DPR). Fallisce in quanto la legge si occupa di retribuzione, per il Parlamento era “importante” decidere sulle retribuzioni (clientelismo)

LE SPINTE ALLA PRIVATIZZAZIONE Interesse delle OO.SS. dei lavoratori (confederali e maggiormente rappresentative) al

recupero di rappresentatività attraverso l’applicazione di norme comuni per tutto il lavoro subordinato (privato e pubblico)

Interesse del Governo al recupero di un’eccessiva spesa pubblica e all’efficienza della P.A.. Allora si trattava di Amato, ed ha un interesse diverso da quello del sindacato (il settore pubblico è da sempre stato “una macchina mangia soldi”) e ha interesse alla gestione civilistica del pubblico impiego, visto come strumento utile al risparmio della pubblica amministrazione

Consiglio di Stato , cd. gen. 31 agosto 1992 nr. 146 (parere famosissimo e molto denso come concentrato di un secolo), dice: “siete matti?”, ovvero “la c.d. privatizzazione, se intesa come totale unificazione della disciplina dell’impiego pubblico e del lavoro privato non appare possibile, anche alla luce delle disposizioni costituzionali in materia (artt. 28, 97, 100, 103 e 113) … vi saranno sempre, infatti, molti aspetti per i quali la disciplina dell’impiego pubblico ne risulterà per sua natura differenziato da quella del lavoro privato” “la prestazione lavorativa richiesta al dipendente consiste nell’esercizio di pubbliche funzioni”

LE TAPPE DELLA RIFORMA

Prima privatizzazione: L. 23 ottobre 1992 nr. 421, è’ una legge di spesa che si occupa di diverse materie fra le quali

scuola e sanità D. lgs 3 febbraio 1993 nr. 29, la “ventinove” molto famosa, è la legge di riforma della

pubblica amministrazione nella quale vi sono tutti i principi ispiratori, vi sono molti elementi che inquinano, c’è ancora il giudice amministrativo (nel 1998 si passerà al giudice del lavoro).

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La prima tornata contrattuale 1994/1997:1. Si fanno i primi contratti collettivi di diritto privato (non più DPR) con la

differenza che si contratta per comparto, ovvero macro raggruppamenti legati dal dato territoriale o dal tipo di attività, per settori omogenei della pubblica amministrazione: sanità, regioni e autonomia locali, enti di ricerca (CNR), gli enti pubblici non economici (INPS), i monopoli di stato (ANAS)

2. Assunzioni per contratto e non per atto di nominaSeconda privatizzazione:

L. 15 marzo 1997, nr. 59 (la 1° Bassanini), riforma che attua il decentramento amministrativo, verso la periferia e verso la semplificazione della P.A. Si tratta di un momento molto importante, l’art. 11 è dedicato ad una ulteriore accelerazione della P.A.. Una spinta importante arriva da Massimo D’Antona, lavorista, scelto come consulente del ministro Bassanini per la Funzione pubblica con il compito di individuare ritocchi sul 29/93 nell’ambito di una riorganizzazione generale. Era molto vicino alla CGL, oltre alla capacità tecnica aveva la capacità politica di realizzare progettiScrive tre decreti che modificano quasi integralmente il 29/93:

1. D. lgs 396/97, sindacale2. D. lgs 80/98, la competenza passa dai giudici amministrativi al giudice del

lavoro3. D. lgs 387/98

Seconda tornata contrattuale 1998/2001, finisce il periodo transitorio Il c.d. Testo Unico del pubblico impiego: MAI REALIZZATO (episodio di Andrea Carinci

e del gattino “cinese” TUPI)I rapporti individuali di lavoro delle amministrazione pubbliche sono disciplinati dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresaConseguenze:

il rapporto non nasce più da un atto autoritativo, quindi c’è la subordinazione, i poteri sono di diritto privato, il datore di lavoro assume degli obblighi contrattuali, quindi diritti soggettivi non più interessi legittimi

gli atti amministrativi necessitano la forma scritta, non è cosi per il diritto privato, quindi non sono più necessari decreti per i licenziamenti, ora basta una raccomandata

art. 3, per questi dipendenti resta ferma la vecchia normativa pubblicistica: magistrati, avvocati dello stato, personale diplomatico, forze di polizia, militari

Il contratto collettivo e la rappresentanza sindacale la contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle

relazioni sindacali (art. 40, c. 1 D. lgs 165/2001) “la contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settori privato, la durata dei

contratti collettivi nazionali e integrativi, la strutture contrattuale e i rapporti dtra i diversi livelli (art. 40, comma 3 165/2001)

nel settore pubblico il contenuto ed il contenitore sono regolati dalla legge. Oggi il contratto collettivo ha una competenza senza limiti su tutto ciò che riguarda rapporto di lavoro e relazioni sindacali. Resta regolata dalla legge una piccola parte, quella dei concorsi pubblici, quella delle incompatibilità (ovvero delle attività che il lavoratore può fare, obbligo di fedeltà 2105 c.c.)

efficacia di fatto “erga omnes” dei contratti collettivi. Grande risultato. La Corte Costituzionale ha detto che non anticostituzionale ex artt. 39 Cost. tramite il D. lgs 165/01

l’Aran (agenzia per la rappresentanza negoziale (sindacale) nelle pubbliche amministrazioni: www.aran.it) e la rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione collettiva. È dotato di personalità giuridica. Una volta sottoscritti dall’Aran i contratti sono validi anche per il c.d. comune polvere (sotto i 5.000 abitanti)

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La giurisdizione del giudice del lavoroArt. 68 del D. lgs n. 29 del 1993 1. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2….I non privatizzati continuato ad andare al TAR, lo stesso per il contenzioso relativo ai concorsi pubblici (al momento della visita però si è già nella competenza del giudice del lavoro)La dotazione organica e fatta con un atto amministrativo. Può succedere che la dotazione organica riveli una eccedenza di personale, lo strumento per tale gestione si chiama mobilità, si esce dal diritto pubblico e si entra nel diritto privato, si sentono i sindacati. Dopo due anni all’80% il dipendente in mobilità viene licenziato (si . Se questi va davanti al giudice ordinario si va ad analizzare tutte le decisioni che hanno portato all’estinzione del rapporto. Il giudice conosce perciò di tutta la procedura e persino dell’atto amministrativo presupposto (la dotazione organica). Se scopre che la dotazione è stata fatta male disapplica tale dotazione e reintegra il lavoratore. La dotazione può essere anche impugnata di fronte al TAR senza che ciò importa la sospensione del processo giungendo a due eventualità, che possono essere anche in contrasto fra loro:

TAR, elimina l’atto per tutti gli altri dipendente Giudice ordinario, disapplica l’atto che però rimane valido per gli altri dipendenti pubblici

Atto amministrativo, può essere impugnato per: Eccesso di potere, violazione di legge, incompetenza

La contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego

Per ciò che concerne la riforma del pubblico impiego, la legge-delega 421/92 ha conferito delega al governo per ricondurre i rapporti di impiego con la P.A. sotto il vigore del diritto civile.Il D.Lgs. 29/1993 distingueva tra organizzazione degli uffici, stabilita da disposizioni di legge e di regolamento, e organizzazione del lavoro, all’interno della quale i rapporti di lavoro sono regolati dalle norme sul lavoro subordinato nell’impresa.Restano sottoposte al diritto pubblico solo i c.d. atti di macro-organizzazione, mentre quelli di micro-organizzazione sono sotto il vigore del diritto civile.Oggi il rapporto di pubblico impiego è un rapporto di lavoro fondato su un contratto di diritto privato, invece restano sotto il regime pubblicistico, i rapporti specificati dall’art. 3 D.Lgs. 165/2001.La Corte costituzionale ha risolto positivamente la questione della costituzionalità della riforma in sé, argomentando che il legislatore ha realizzato un equilibrato dosaggio di fonti regolatrici.

La legge quadro del 1983

Secondo la tradizionale dottrina, il rapporto di impiego pubblico non aveva natura paritaria ed in esso la P.A. datrice di lavoro assumeva una posizione di supremazia.Di conseguenza per molti anni il riconoscimento costituzionale del diritto di sciopero anche ai pubblici dipendenti venne accompagnato dal disconoscimento di forme di contrattazione collettiva.Solo dal 1968, il legislatore riconosceva l’attività di contrattazione collettiva nel settore pubblico, ma agli accordi sindacali non veniva attribuita efficacia diretta sui rapporti di lavoro; essi erano solo il presupposto per l’emanazione di successivi atti unilaterali di recezione da parte della P.A. aventi natura regolamentare.Questa impostazione venne recepita dalla legge quadro sul pubblico impiego, mantenendo lo schema secondo cui l’accordo sindacale era solo un momento di un procedimento amministrativo che sfociava in un atto di natura regolamentare.

Contrattazione collettiva e lavoro pubblico

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L’elemento cardine della riforma è che i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici hanno perso il loro carattere autoritativo per essere ricondotti sotto la disciplina del diritto civile e regolati mediante contratti individuali e collettivi.In questo nuovo quadro gli accordi sindacali non sono più una fase di un procedimento che sfocia in un atto amministrativo di natura regolamentare, bensì atti di autonomia privata la cui legittimazione deriva dall’art. 39 Cost.Tale principio comporta che il contratto collettivo regoli direttamente il rapporto di lavoro pubblico e alla contrattazione collettiva viene attribuita una competenza generale prevedendo che possa svolgersi su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali.Il contratto collettivo ha anche l’effetto di far cessare l’efficacia delle norme di legge che attribuiscano trattamenti economici non previsti dal precedente contratto collettivo. Inoltre, norme di legge che introducano discipline particolari per i dipendenti pubblici possono essere derogate dai successivi contratti.Si è dubitato della legittimità costituzionale di simili soluzioni normative, ma quanto disposto opera solo se non è disposto diversamente dalla legge stessa; si afferma quindi una prevalenza della legge sul contratto collettivo.

La struttura del sistema contrattuale

La struttura della contrattazione è determinata dalla contrattazione stessa.Il perno del sistema è il contratto nazionale di comparto.I comparti sono settori omogenei delle amministrazioni pubbliche.È prevista la possibilità di stipulare accordi quadro applicabili all’insieme di comparti quando le parti ritengano opportuno che una certa materia sia disciplinata in modo uniforme.È anche previsto che le pubbliche amministrazioni possano attivare autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa anche per strutture periferiche. L’art. 40 comma 3 D.Lgs. 165/2001 dispone che la contrattazione collettiva si svolga sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono.È dunque l’autonomia collettiva e non la legge a determinare le materie di competenza dei differenti livelli di contrattazione.Alle parti è rimessa la durata dei contratti attualmente fissata in 4 anni per i contratti collettivi nazionali, con un rinnovo biennale della sola parte economica.

I soggetti della contrattazione: la rappresentanza dei lavoratori

La legittimazione a negoziare collettivamente deriva dalla qualificazione del sindacato come rappresentativo.Il contratto collettivo può essere concluso solo quando sia sottoscritto da sindacati che nel loro complesso realizzino un indice di rappresentatività pari al 51% come media tra dato associativo e dato elettorale ovvero al 60% se si assume il solo dato elettorale.La legge individua nelle RSU i soggetti necessari della contrattazione integrativa, prevedendo che solo i contratti nazionali possano disporne l’integrazione con rappresentanze dei sindacali firmatari del contratto nazionale di comparto.L’accordo quadro del 1998 dal canto suo dispone una legittimazione concorrente della RSU e dei sindacati di categoria firmatari del contratto nazionale e dispone che le decisioni relative all’attività negoziale siano assunte dalla RSU e dai rappresentanti delle associazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale secondo i criteri previsti dal contratto stesso.

I soggetti della contrattazione: la rappresentanza delle amministrazioni

La rappresentanza negoziale della P.A. è affidata all’ARAN, organismo tecnico dotato di personalità giuridica.L’ARAN rappresenta tutte le P.A. per la stipulazione dei contratti nazionali e può assistere, se richiesta, le singole amministrazioni nella contrattazione integrativa.

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Sfuggono alla rappresentanza legale dell’ARAN le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano.La rappresentanza da parte dell’ARAN assume una duplice funzione: da un lato fa sì che il contratto produca i suoi effetti nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni interessate, senza necessità di un atto di recezione da parte degli organi di governo di ciascuna di esse; dall’altro, la sua attribuzione ad un unico organismo nazionale per tutte le P.A. favorisce la creazione di un quadro unitario delle politiche contrattuali seguite nei diversi comparti.L’azione di rappresentanza dell’ARAN si svolge all’interno di atti di indirizzo espressi dai comitati di settore, che sono organismi costituiti per ciascun comparto.Questi atti di indirizzo devono limitarsi ad indicare gli obiettivi di massima che devono essere perseguiti con l’attività contrattuale e devono rispettare l’autonomia tecnica dell’Agenzia.Infine l’ARAN per poter sottoscrivere definitivamente un contratto collettivo deve ottenere preventivamente il parere favorevole del comitato di settore. Per le amministrazioni statali il parere è espresso dal Presidente del Consiglio previa deliberazione del Governo.

Il procedimento contrattuale

Per la contrattazione nazionale esiste una fase preliminare che consta di 3 momenti:1. Il Ministro del tesoro provvede a quantificare gli oneri di spesa a carico del bilancio dello Stato;2. Il Presidente del Consiglio o il comitato di settore impartiscono gli indirizzi all’Agenzia;3. Si procede alla selezione dei soggetti sindacali abilitati alla trattativa.

Circa la seconda fase deve dirsi che l’ARAN può sottoscrivere il contratto solo dietro parere favorevole del comitato di settore o del Presidente del Consiglio. Tale parere è vincolante, ma non si tratta di una autorizzazione.Spetta al Presidente del Consiglio o al comitato di settore formulare gli indirizzi dell’attività contrattuale determinando gli obiettivi da realizzare; all’ARAN spetta la gestione delle trattative e necessita infine il parere favorevole del Presidente del Consiglio o dei Comitati di settore per verificare che l’assetto contrattuale realizzato dall’ARAN sia soddisfacente.Il controllo della Corte dei conti è limitato alla attendibilità dei costi quantificati e alla loro compatibilità con gli strumenti di programmazione del bilancio.

L’efficacia soggettiva del contratto collettivo

Al fine di risolvere il problema dell’efficacia generalizzata del contratto collettivo del pubblico impiego, il legislatore ha predisposto un duplice meccanismo:

Ha conferito all’ARAN la rappresentanza legale di tutte le P.A. interessate dal contratto collettivo;

Ha disposto che il trattamento economico è stabilito dai contratti collettivi, impedendo così che lo stesso possa essere determinato unilateralmente dall’amministrazione datrice di lavoro.

In proposito la Corte costituzionale ha affermato che il contratto collettivo del lavoro pubblico non ha efficacia generale diretta. L’efficacia discende dal rinvio che i contratti individuali di lavoro dei dipendenti pubblici necessariamente operano alla disciplina collettiva.

Ulteriori garanzie di controllo della spesa

La legge stabilisce che il contratto collettivo debba prevedere la possibilità di prorogarne l’efficacia nel tempo o di sospenderne gli effetti in caso di accertata esorbitanza dai limiti di spesa.Una seconda norma destinata a garantire l’entità della spesa è quella sulla c.d. interpretazione autentica dei contratti collettivi. Essa dispone che quando sorgano controversie sull’interpretazione dei contratti collettivi, le parti possono definire consensualmente il significato della clausola controversa.In tale quadro si colloca anche la norma secondo cui il giudice chiamato a decidere una controversia sulla validità di un contratto collettivo ovvero sull’interpretazione di una clausola deve sospendere il giudizio per consentire alle parti collettive di pervenire all’accordo.

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CAPITOLO XI: SCIOPERO E SERRATAA. LO SCIOPERO: I PROTAGONISTI DELLA SUA REGOLAMENTAZIONE

1. Il caso italiano: dal codice penale sardo al testo costituzionale: lo sciopero rappresenta il punto di avvio del lungo e travagliato processo formativo del sindacato: è stato prima represso come “reato”, poi tollerato come “libertà”, infine protetto, fino ad essere riconosciuto, come “diritto”. Come “reato” lo sciopero fu previsto dal codice penale sardo del 1859, esteso al regno d’Italia, poi sostituito dal codice Zanardelli, che punisce non più lo sciopero ma solo l’eventuale comportamento violento o minaccioso diretto verso un lavoratore, per costringerlo ad astenersi dal lavoro; col nuovo codice penale del 1930, la repressione della libertà di lotta sindacale troverà una più compiuta ed articolata previsione (significativo il fatto che sia il grande sciopero torinese del 1943 ad anticipare il crollo del fascismo). Il dato di fatto della non punibilità del fenomeno trova consacrazione nell’art. 40 della Costituzione, con l’espresso e solenne riconoscimento del diritto di sciopero.Per quanto riguarda fonti internazionali e comunitarie, la disciplina dello sciopero è tradizionalmente esclusa dal campo di intervento sia delle convenzioni OIL sia delle direttive comunitarie, anche se l’art. 28 della c.d. Costituzione europea riconosce, in capo ai lavoratori, ai datori e alle rispettive organizzazioni “il diritto di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei propri interessi, compreso lo sciopero”.

2. I protagonisti nell’evoluzione della disciplina dello sciopero. Il Parlamento: l’art. 40 Cost. contiene un rinvio al Parlamento per il varo di un testo legislativo largamente discrezionale circa il tempo d’esercizio; il fatto che nell’arco di una quarantennio tale testo non abbia visto la luce non può essere considerato un vero e proprio caso di “inadempimento costituzionale”, ma deve essere spiegato storicamente. Lo sciopero riceve una forma di tutela indiretta dallo Statuto dei lavoratori, che parla sì dello sciopero, ma non per darne una regolamentazione, bensì per offrirne una tutela rafforzata. La legge 146/1990, in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali, attribuisce un rilievo prioritario agli accordi (nel settore pubblico) e ai contratticollettivi (nel settore privato) come fonte regolativa del conflitto. La legge 83/2000 corregge i principali punti deboli della disciplina base, conservandone le caratteristiche di fondo: ritocca la strumentazione negoziale e gli obblighi delle parti, ricalca i poteri della Commissione di garanzia, perfeziona il sistema sanzionatorio, estende le regole da rispettare in caso di sciopero anche alle astensioni collettive di lavoratori non subordinati.

3. La dottrina e la giurisprudenza: I distinzione: il diritto di sciopero sarebbe soggetto a limiti circa il titolare, il comportamento attuativo, il fine perseguito: limiti c.d. coessenziali, perché connaturati al concetto di sciopero assunto a referente del riconoscimento medesimo all’interno del testo costituzionale e dell’intero ordinamento; limiti c.d. d’esercizio, perché appunto relativi all’esercizio. II distinzione (radicata nella I): limiti interni, desumibili dal concetto di sciopero recepito nell’art. 40; limiti esterni, desumibili dal contemperamento fra diritto di sciopero e altro diritto costituzionalmente tutelato a livello identico o superiore. Evoluzione del diritto di sciopero in Italia: a) Sciopero prima inteso come fatto straordinario, poi come strumento di garanzia sociale perl’ordinamento intersindacale, infine strumento di influenza e partecipazione nella determinazione della politica nazionale ed aziendale.b) Diversa attitudine verso l’attività interpretativa svolta.c) Nuova definizione della fattispecie “sciopero-fatto” (sciopero visto come fenomeno sociale) e“sciopero-diritto” (lo sciopero visto come diritto).d) Nuova ricostruzione dogmatica del diritto di sciopero.e) Nuova disciplina della titolarità e dell’esercizio del diritto di sciopero.

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4. La Corte Costituzionale: nella seconda metà degli anni ’50 la Corte Costituzionale entra in attività, e la situazione che le si presenta non è delle più rosee, a causa soprattutto della perdurante assenza del Parlamento nel varare una legge attuativa dell’art. 39, comma 2°, e del rinvio di cui all’art. 40. La Corte Costituzionale, presa in mano la situazione, assume diversi ruoli: di guida rispetto alla magistratura, di sollecitazione rispetto alla classe politica, di chiarificazione rispetto all’organizzazione sindacale, di influenza rispetto all’opinione pubblica. Si riapre la questione dei limiti, distinguendo tra quelli desumibili dallo stesso interprete, ossia dal “concetto stesso di sciopero” (“interni”), oppure “dalla necessità di contemperare le esigenze dell’autotutela di categoria con altre discendenti da interessi generali i quali trovano protezione in principi consacrati nella Costituzione (“esterni”).Sentenza di rigetto pura, che conserva la norma impugnata; sentenza di rigetto interpretativa, che salva la norma in ragione di una certa interpretazione, peraltro non vincolante; sentenza di accoglimento, totale o parziale, “pura”, che cancella tutta o parte della disposizione contestata; s. di accoglimento parziale manipolativa, che estrapola da tale disposizione un’altra meno estesa, destinata a sopravvivere. Con l’avvento della legge 146/1990, la Corte si vede privata di una grossa porzione della vecchia disciplina penale.

5. Il Governo e la pubblica amministrazione: altro protagonista assai importate è stato lo stesso potere esecutivo, nell’influire sul regolamento e soprattutto sull’esercizio effettivo del diritto di sciopero, assumendo le fattezze di promotore dell’iniziativa legislativa, condizionatore dell’attività giurisprudenziale, responsabile della politica dell’ordine pubblico, datore di lavoro pubblico; soprattutto l’atteggiamento del Governo è venuto progressivamente mutando, da apertamente repressivo, a neutrale, a promozionale. Nel corso del decennio ’90, la legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali e la normativa sulla c.d. privatizzazione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni sanciscono il riconoscimento pieno del diritto di sciopero nel pubblico impiego.

6. Le organizzazioni sindacali: significativa anche la stessa autoregolamentazione: unilaterale, oautoregolamentazione in senso stretto, posta dalla sola organizzazione sindacale; bilaterale oregolamentazione patrizia, convenuta con la contro-parte datoriale; quest’ultima acquista rilevanza in seguito alla l. 146/1990 e alla privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, poichémaggiormente indicata per l’individuazione delle prestazioni indispensabili in caso di sciopero effettuato nei servizi pubblici essenziali.

7. La Commissione di garanzia: organo istituito dalla l. 146/1990, è l’ultimo protagonista dellaregolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali.

L’autotutela e il diritto di sciopero

Lo sciopero nella Costituzione

Nella Costituzione, la norma fondamentale in materia di sciopero è l’art. 40, il quale garantisce l’esercizio del diritto di sciopero nell’ambito delle leggi che lo regolano.Il diritto di sciopero conferisce effettività al principio di libertà di organizzazione, perché proprio lo sciopero consente alla organizzazione sindacale di operare nel sistema economico.Difficoltà interpretative sorgono dalla espressione “leggi che lo regolano”.Questa infatti può considerarsi o come un rinvio alle leggi future o come rinvio alle norme preesistenti.Nelle intenzioni dei costituenti era la prima interpretazione a dover prevalere, visto che si pensava all’emanazione a breve scadenza di una legge ordinaria che doveva disciplinare il diritto di sciopero.

Lo sciopero come diritto pubblico di libertà

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Il diritto di sciopero può essere inteso come diritto pubblico di libertà.Tale qualificazione ha importanti implicazioni sia nel rapporto Stato-cittadino, comportando l’impossibilità dello Stato di emanare provvedimenti che contrastino con il diritto di sciopero, sia nei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, implicando l’impossibilità del datore di lavoro a compiere atti diretti a limitare il diritto di sciopero.Da questo punto di vista deve ricordarsi che l’art. 4 L.604/1966 dichiarò nullo il licenziamento determinato dalla partecipazione ad attività sindacali e tale tutela venne estesa dallo Statuto dei Lavoratori nei confronti di ogni discriminazione del lavoratore basata sulla sua partecipazione allo sciopero.

Gli effetti dello sciopero sul contratto di lavoro

La partecipazione allo sciopero costituisce un fatto lecito e non un inadempimento contrattuale.A tal proposito il riconoscimento del diritto allo sciopero determina l’esclusione di ogni responsabilità contrattuale, prevedendo una prevalenza dell’interesse del lavoratore alla sua autotutela sul diritto dell’imprenditore ad ottenere la prestazione.La giurisprudenza ha affermato che l’esercizio del diritto di sciopero produce la sospensione delle due obbligazioni fondamentali del rapporto di lavoro e se lo sciopero non fosse riconosciuto come diritto, in conseguenza dello sciopero il lavoratore potrebbe subire sanzioni disciplinari per inadempimento della prestazione.

La titolarità del diritto di sciopero

Si deve escludere che la titolarità del diritto di sciopero spetti alle organizzazioni sindacali dei lavoratori; infatti lo sciopero può essere praticato anche da lavoratori non organizzati in sindacato.Se titolari del diritto di sciopero fossero i sindacati l’esercizio di tale diritto determinerebbe anche la sospensione dell’obbligazione dei lavoratori non iscritti al sindacato.In realtà il diritto di sciopero può essere definito come un diritto individuale ad esercizio collettivo: la sua titolarità spetta ad ogni singolo lavoratore, anche se tale diritto è riconosciuto per la tutela di un interesse collettivo e il suo esercizio si esplica collettivamente.Ciò che rileva è la natura collettiva dell’interesse, infatti una astensione anche massiccia che non tenda a perseguire un interesse collettivo non potrà essere definita sciopero.Un altro problema riguarda se i titolari del diritto di sciopero siano solo i lavoratori subordinati o anche i lavoratori autonomi. Visto che lo strumento dello sciopero è finalizzato ad un miglioramento delle condizioni dei lavoratori, non rileva il dato formale, ma la reale situazione di sottoprotezione sociale.Tale lettura estensiva fu compiuta dalla Corte costituzionale che dichiarò legittimo lo sciopero degli esercenti piccoli commerci privi di lavoratori alle proprie dipendenze. Infatti l’astensione di essi non può essere qualificata come serrata, visto che svolgendo questi la loro attività di impresa solo con il proprio lavoro non erano qualificabili come datori di lavoro ma come lavoratori e quindi la loro astensione dal lavoro è qualificabile come sciopero.Successivamente la Cassazione affermò la sussistenza della titolarità del diritto di sciopero in capo a tutti i lavoratori autonomi in condizione di parasubordinazione.Tuttavia deve dirsi che lo sciopero è storicamente strumento di lotta di gruppi sociali subalterni che con esso cercano di riequilibrare il loro deficit di forza sociale. Se dunque tale disuguaglianza non sussiste, l’astensione dal lavoro non può essere configurata come sciopero.

Lo sciopero come diritto potestativo e come negozio giuridico: critica

Alcuni autori qualificano lo sciopero come diritto potestativo del lavoratore e l’esercizio di tale diritto costituirebbe un negozio giuridico che produce l’effetto di far venir meno il diritto del datore di lavoro alla prestazione lavorativa.Secondo tale impostazione tale diritto potrebbe esercitarsi solo in funzione di una pretesa diretta contro il datore di lavoro e quindi lo sciopero per essere legittimo deve essere praticato solo a

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sostegno di rivendicazioni la cui soddisfazione sia nelle mani del datore di lavoro da cui il lavoratore dipende. Tale costruzione lascia fuori una vasta fenomenologia dello sciopero.È invece posizione diffusa che il diritto di sciopero sia un diritto assoluto della persona, condizionato alla esistenza di un contratto di lavoro, ma non necessariamente inerente al rapporto giuridico con il datore di lavoro. Questa impostazione consente di spiegare la vasta gamma di scioperi.Non è neanche convincente la qualificazione del diritto di sciopero come negozio giuridico, perchè nel comportamento del lavoratore che attua lo sciopero non vi è alcun intento negoziale.

Lo sciopero come mero fatto giuridico

Il problema della natura giuridica dello sciopero si semplifica intendendo lo sciopero come un mero fatto giuridico.Qualsiasi astensione dal lavoro che sia concertata da un gruppo di lavoratori e abbia per obiettivo la soddisfazione di un interesse collettivo è sciopero.Non è necessaria la proclamazione dello sciopero in quanto questa ha solo il significato di un invito a scioperare.

Sciopero e retribuzione

Sebbene l’esercizio del diritto di sciopero non può incidere sui diritti sindacali del lavoratori, si stabilisce che l’effettuazione di uno sciopero sospende per il lavoratore che vi abbia aderito il diritto alla retribuzione.La sospensione della retribuzione si riferisce a tutti gli elementi che la compongono.Si ritiene che anche il periodo di ferie vada ridotto proporzionalmente alla durata dello sciopero, infatti poiché le ferie hanno la finalità di reintegrare le energie del lavoratore spese durante un anno di lavoro, non avendo il lavoratore speso alcuna energia ricollegabile alla prestazione di lavoro, ne consegue che il periodo di ferie vada ridotto.Inoltre non è dovuta la corresponsione neanche per le giornate festive che cadono durante i giorni di sciopero perché la retribuzione per le festività viene attribuita solo quando l’assenza dal servizio sia da considerare effetto diretto della festività medesima.Per quanto riguarda gli scioperi brevi, cioè di durata inferiore ad un giorno, è stato ritenuto che la trattenuta sulla retribuzione deve essere proporzionata non alla durata dello sciopero, ma alla diminuita utilità della prestazione lavorata.Si è ritenuto che al lavoratore nulla spetti nel momento in cui, in conseguenza dello sciopero breve, il lavoratore non abbia raggiunto la minima unità tecnico-temporale, cioè quel minimo al di sotto del quale la prestazione lavorativa non ha determinato alcuna utilità.

Le attività strumentali all’esercizio dello sciopero

Il riconoscimento del diritto di sciopero implica il riconoscimento del diritto a porre in essere tutte le attività strumentali affinchè tale diritto possa essere esercitato.Si consente quindi lo svolgimento di attività di propaganda e di pubbliche manifestazioni o di cortei interni, che sono esplicazioni del diritto di sciopero.Quanto al c.d. picchettaggio, e cioè all’organizzazione da parte dei lavoratori in sciopero di una vigilanza all’ingresso dei luoghi di lavoro, esso è lecito a condizione che non si traduca in comportamenti penalmente rilevanti.È illegittima la condotta diretta ad impedire con violenza o minaccia l’esecuzione della prestazione da parte dei lavoratori non scioperanti; ed è stato ritenuto illecito anche il blocco delle merci in quanto comportamento idoneo a violare il diritto dei non aderenti a svolgere l’attività lavorativa.

B. IL DIRITTO DI SCIOPERO E LE ALTRE FORME DI LOTTA1. Fondamento e natura del diritto di sciopero: non esiste una risposta univoca e definitiva circa nozione e disciplina del diritto di sciopero: è una constatazione di fatto, dato che non è esistita ieri e non esiste oggi una dottrina ed una giurisprudenza unanime. Salvo qualche isolato dissenso, l’art. 40 Cost. venne subito considerato immediatamente precettivo: il che volle dire riformulare e

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scomporre quel testo, come se contenesse un duplice disposto: il diritto di sciopero è riconosciuto; il diritto di sciopero deve essere esercitato nell’ambito delle leggi che lo regolano. Il principale problema interpretativo era rappresentato dal primo disposto, ossia il riconoscimento del diritto di sciopero, e risolverlo avrebbe comportato trovarne il fondamento, ossia la ratio: vale a dire il significato “oggettivo”, storicamente aperto, assunto all’interno del testo costituzionale. Vi sono, a questo proposito, due filoni interpretativi: il primo vede il diritto di sciopero come mero strumento di autotutela contrattuale ed organizzativa; il secondo come canale di partecipazione politica.In merito alla natura del diritto di sciopero, sono state avanzate varie interpretazioni, da quella che lo vede come un diritto soggettivo in ogni sua sfaccettatura, fino alla tesi della potestà. Si assume, a punto di partenza, il quadro che vede nel diritto di sciopero riconosciuto dall’art. 40 un vero e proprio diritto soggettivo, ossia un potere attribuito ad un soggetto per il soddisfacimento di un interesse, solo suo od anche suo; il diritto di sciopero è anche configurabile come un diritto soggettivo potestativo, nel senso del potere accordato ad un soggetto di modificare il rapporto di cui è parte. Per quanto riguarda invece il diritto di sciopero come diritto della personalità, in questo caso viene messo in risalto il coinvolgimento stesso della persona del lavoratore, e così pure per lo sciopero in quanto libertà fondamentale, e allo stesso sciopero come diritto politico, dove viene sottolineato il ruolo di partecipazione politica.

2. Titolarità del diritto: il diritto di sciopero viene riconosciuto come un diritto individuale quanto al titolare, ma collettivo quanto all’esercizio, vale a dire che un abbandono del lavoro assurge ad esercizio del diritto di sciopero, solo se ed in quanto attuato da un numero più o meno consistente di prestatori per un fine comune.

3. Ambito del diritto: il significato legale di sciopero, fatto proprio nell’art. 40, coincide con il significato comune, accreditato nel sociale: sicché è sciopero solo quello consolidato come tale nel sentire e nella prassi sindacale, cioè un abbandono del lavoro, collettivo nello svolgimento e nel fine. Secondo un giudicato della Cassazione, il significato attribuibile allo sciopero è “quello che la parola ed il concetto da esso sotteso hanno nel comune linguaggio adottato nell’ambiente sociale”, vale a dire “nulla più che un’astensione collettiva dal lavoro, disposta da unapluralità di lavoratori, per il raggiungimento di un fine comune”. Sorge a questo proposito la questione dei limiti esterni, determinati dall’impatto potenziale dell’abbandono del lavoro su qualche altro diritto costituzionale, pari-ordinato o preminente; in proposito si è espressa la Corte Costituzionale, la quale, mentre liberalizza lo sciopero dei pubblici dipendenti, limita la titolarità e l’esercizio dello sciopero degli addetti a funzioni o servizi pubblici essenziali e dei marittimi, in vista della protezione delle persone e delle cose coinvolte.

4. (Segue) I soggetti titolari: titolari del diritto di sciopero sono: il prestatore subordinato – l’apprendista – il lavoratore in prova – il lavoratore a tempo determinato – il lavoratore a tempo parziale – il lavoratore a domicilio – il lavoratore parasubordinato; inoltre, con la legge n° 83/2000 viene estesa l’applicabilità dialcune regole dello sciopero anche a lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori. Non sono titolari del diritto di sciopero militari e poliziotti.

5. (Segue): I modi attuativi: innanzitutto c’è una FASE PRELIMINARE, costituita dalla presentazione e definizione della piattaforma, dalla richiesta e dall’eventuale apertura di una trattativa, dalla deliberazione e proclamazione delle lotte; non è dunque necessario rispettare sempre e comunque l’obbligo di preavviso (vale solo se previsto). Segue quello che, in lingua povera, è lo sciopero vero e proprio, ossia “l’abbandono del lavoro” o “l’astensione dal lavoro”; si tratta di un fenomeno multiforme, variante a seconda della durata, dell’estensione, dell’articolazione della lotta.

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DURATA: distinzione fra sciopero ad oltranza (progettato e proseguito fino al successo o al fallimento finale) e lo sciopero a tempo (programmato e condotto per un certo tempo). Sciopero breve (tempo inferiore all’orario giornaliero), sciopero dimostrativo o simbolico (tempo moltobreve, in segno di solidarietà).ESTENSIONE: sciopero generale (potenzialmente estesa all’esteso all’intero universo del lavorosubordinato). Sciopero categoriale (nazionale, di gruppo, locale), sciopero aziendale (d’azienda, di stabilimento, di reparto, e che può essere “totale” o “parziale”).ARTICOLAZIONE: è la caratteristica più attuale e significativa, per cui l’astensione collettiva viene programmata, sì da non risolversi in una contemporanea e continua interruzione dellaprestazione, ma articolarsi secondo una data combinazione spaziale e/o temporale. Si distingue tra sciopero a singhiozzo, costituito da un susseguirsi di brevi interruzioni e riprese del lavoro, da parte di tutti i lavoratori interessati, e sciopero a scacchiera, dato da un alternarsi di interruzioni del lavoro, volta a volta da parte dei soli lavoratori di determinati reparti, gruppi, profili professionali.Evoluzione della valutazione dello sciopero c.d. articolato nella Giurisprudenza della Cassazione:A) Nel periodo iniziale, che giunge fin quasi a mezzo decennio ’70, lo sciopero c.d. articolato è tenuto al bando, con un discorso piuttosto vario, ma tutto segnato da un netto apriorismo ideologico e definitorio. Secondo un primo approccio, si parla dello stesso concetto di sciopero di cui all’art.40, distinguendo tra uno sciopero semplice, visto come un abbandono del lavoro contestuale e continuo; uno più complesso, come un abbandono del lavoro causativo di un “danno ingiusto”. Secondo un ulteriore approccio, si parte dal rinvio “alle leggi che lo regolano” di cui sempre all’art. 40: in questo caso, lo sciopero deve essere esercitato nel rispetto dei principi generali di correttezza e di buona fede in fase di esecuzione del contratto, nonché dei doveri specifici di collaborazione subordinata e di diligenza nello svolgimento del rapporto di lavoro.B) Nel periodo successivo, lo sciopero c.d. articolato appare ormai largamente diffuso e relativamente accettato. Di fronte ad uno sciopero articolato l’accento è posto non più sul modo attuativo, ma sul rendimento del lavoro offerto dal personale attualmente non scioperante; ugualmente, di fronte ad uno sciopero in lavorazioni a ciclo continuo od integrato, l’accento è posto sul rendimento del lavoro reso disponibile dal personale al termine dello stesso, lavoro che deve essere non solo utilizzabile, ma anche proficuo, secondo lo standard normale (ossia idoneo a conseguire l’intero risultato produttivo dedotto ed atteso, e, perdippiù, a conseguirlo senza costo od onere aggiuntivo per lo stesso lavoratore).Altrimenti il datore può ben rifiutarlo e non retribuirlo, come non corrispondente a quantocontrattualmente dovuto, facendo ricorso all’eccezione di inadempimento (art. 1460 cod. civ.), oppure al rifiuto giustificato delle collaborazione all’adempimento.C) L’ultimo periodo, che inizia nel decennio ’80, è caratterizzato dall’incontro, grazie all’intervento della Corte di Cassazione, di concetti: quello legale di sciopero, di cui all’art. 40 Cost., e quello comune di sciopero, comprensivo dello stesso sciopero articolato. Il significato attribuibile allo sciopero deve essere quello corrente nel contesto sociale, ossia “nulla più di un’astensione dal lavoro, disposta da una pluralità di lavoratori, per il raggiungimento di un fine comune”. Lo stacco, rispetto al periodo precedente, appare assai più netto, anche per via del duplice aspetto alla base del nuovo indirizzo giurisprudenziale: innanzitutto viene ridisegnato l’ambito dei limiti esterni, con l’introduzione della necessità di tutelare l’impresa come “organizzazione istituzionale”; in secondo luogo, sopravvive il preesistente indirizzo circa il potere del datore di non accettare e retribuire il lavoro offerto negli intervalli di uno sciopero a singhiozzo, nei reparti volta a volta non coinvolti da uno sciopero a scacchiera, nei tempi di riavvio dell’impianto di lavorazioni a ciclo continuo od integrale interessate da uno sciopero.Il punto di arrivo del cammino intrapreso dalla Corte di Cassazione ripropone il problema dell’ambito del diritto di sciopero; tale ambito appare circoscritto secondo il duplice criterio dei limiti interni e dei limiti esterni; per quanto riguarda i primi, essi possono essere individuati nel significato comune di sciopero, inteso come “astensione dal lavoro”: di conseguenza è esclusa ogni

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altra forma di lotta, comunque etichettata, che non si esprima con questa astensione, semplice o articolata.In merito ai limiti esterni, invece, bisogna procedere secondo un duplice passaggio: in primo luogo c’è da accertare quale altro diritto costituzionalmente garantito sia sovra-ordinato o pari-ordinato al diritto di sciopero, sì da giustificarne un qualche limite; in secondo luogo c’è da verificare quale limite sia ammissibile, assoluto o relativo, escludente la stessa titolarità od incidente sul solo esercizio, rigido o flessibile; ma quali diritti costituzionalmente garantiti possono essere considerati sovra-ordinati od almeno pari-ordinati, tali da imporre sacrifici od almeno contemperamenti con riguardo agli scioperi? Sulla questione si dipanano numerose opinioni:A)OPINIONE UNANIME: i diritti inerenti alla vita e all’integrità psico-fisica dell’individuo,che non possono essere esposti a rischi o a danni da eventuali abbandoni del lavoro.B)OPINIONE MAGGIORITARIA: i diritti relativi alla libertà del singolo dipendente – nonaderente ad uno sciopero – di raggiungere il posto di lavoro o comunque di svolgere il lavoro,nonché alla libertà del singolo imprenditore di disporre degli impianti e dei beni aziendali.C)CORTE COSTITUZIONALE: “i diritti ed i poteri nei quali si esprime direttamente o indirettamente la sovranità popolare”.D)CORTE DI CASSAZIONE: l’impresa come “organizzazione istituzionale e non gestionale”, cioè la “produttività e non la produzione aziendale”.Nel caso della verifica del sacrificio conseguentemente necessario, è evidente anche qui un certo processo evolutivo, sia per quanto attiene l’accertamento del rischio o del danno relativo all’altro diritto, sia per quanto concerne la determinazione del sacrificio richiesto al diritto di sciopero.

6. (Segue) Gli scopi: la Corte Costituzionale ha rivestito un ruolo di fondamentale importanzanell’individuazione delle finalità perseguite dallo sciopero; sull’argomento, è intervenuta una normativa secondo una duplice direttiva, struttura, dislocazione: quella principale di cui agli artt. 502 e ss., dettata per la realtà privata, e quella secondaria, di cui all’art. 303, dettata per la realtà pubblica.ART. 502 E SS.: la normativa principale ruota intorno ad una distinzione di base: fra divieto dello sciopero contrattuale, e divieto dello sciopero non contrattuale. La Corte percorrerà una linea evolutiva, rilegittimando, in una prima fase, solo lo sciopero contrattuale, poi restituendo, in una seconda fase, sempre maggior vigore anche allo sciopero a scopo non contrattuale. Lo sciopero a fine contrattuale sarebbe stato quello attuato allo scopo di premere sul datore di lavoro per ottenere un trattamento migliore od evitarne uno peggiore rispetto a quello pattuito o comunque applicato nel luogo di lavoro; lo sciopero a fine non contrattuale è quello delineato nel codice penale come “sciopero politico”, di “coazione alla pubblica autorità”, di “solidarietà” o di “protesta”. Si delinea un’apertura verso una doppia figura di sciopero, caratterizzata dall’avere il datore quale soggetto passivo dell’astensione, ma non quale destinatario della pretesa così fatta valere: cioè lo sciopero di imposizione economico-politica e lo sciopero di solidarietà, il primo sconosciuto al codice penale, inventato dalla dottrina per indicare un abbandono del lavoro diretto verso il governo e o il parlamento, o per impedire o ottenere un intervento del governo nel mondo del lavorosubordinato. La seconda figura è quella dello sciopero di solidarietà, che il codice penale reprime come nel caso della figura dello sciopero di protesta; si tratta di uno sciopero secondario attuato da alcuni lavoratori a sostegno di uno sciopero primario eseguito da lavoratori dipendenti da altri datori.In seguito alla sentenza n° 290/1974, la Corte Costituzionale, per la prima volta, considera lo sciopero come “un mezzo che necessariamente valutato nel quadro di tutti gli strumenti di pressione usati dai vari gruppi sociali, è idoneo a favorire il perseguimento dei fini di cui, al comma 2° dell’art.3 Cost..”; riconosce l’esistenza, oltre ad uno spazio coperto dal diritto di sciopero (come tale lecito penalmente e civilmente, protetto contro lo stato ed il datore di lavoro), anche uno spazio coperto dalla libertà di sciopero (come tale lecito penalmente ma non civilmente, garantito rispetto allo stato ma non al datore di lavoro).

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7. Sciopero ed effetti legali: in tema di effetti legali dello sciopero, il principale problema è costituito dalle ricadute sul rapporto di lavoro in essere tra datore e suoi dipendenti. Gli effetti essenziali sui rapporti dei dipendenti attualmente scioperanti possono essere così riassunti:A) L’esercizio del diritto di sciopero produce la sospensione dell’obbligazione lavorativa, con correlativa perdita della retribuzione.B) L’esercizio del diritto di ciopero produce, però, una sospensione relativa, non assoluta, del rapporto ristretta al sinallagma obbligazione lavorativa/retribuzione, non estesa oltre anche all’anzianità di servizio.C) L’esercizio del diritto di sciopero riesce protetto rispetto a qualsiasi atto o comportamento del datore di lavoro, precedente, contemporaneo, successivo allo sciopero medesimo, che sia tale da apparire soggettivamente o anche solo oggettivamente discriminatorio.Un punto richiede un cenno speciale: IL CRUMIRAGGIO. Il crumiraggio consiste nel non scioperare, ma è necessaria qualche distinzione: prima fra crumiraggio diretto e indiretto; poi, relativamente a quest’ultimo, fra crumiraggio interno ed esterno. Il crumiraggio diretto è quello praticato dai dipendenti di un dato complesso (tipo i Misfits: ahahahah!), che non intendono scendere in sciopero, bensì svolgere il loro normale lavoro; il crumiraggio indiretto è quello attuato sostituendo gli scioperanti con altri dipendenti spostati provvisoriamente dal loro normale lavoro (crumiraggio interno) e/o con altri lavoratori assunti transitoriamente (crumiraggio esterno).

8. Sciopero e altre forme di lotta sindacale: lo sciopero è solo una delle tante espressioni del concetto di lotta sindacale; esistono, però, tipologie di lotta che costituiscono vero e proprio sciopero, anche se discusse per questo o quell’aspetto: è il caso del c.d. sciopero bianco, ossia attuato senza un contestuale abbandono del posto o comunque del luogo di lavoro; esiste poi lo sciopero c.d. dello straordinario, cioè eseguito come rifiuto collettivo di prestare lo straordinario richiesto dal datore di lavoro ai sensi di contratto collettivo. È opportuno, ora, considerare una varia tipologia costituita non da un’astensione dal lavoro, semplice o articolata, ma da una prestazione quantitativamente o qualitativamente diversa da quella pretesa dal datore di lavoro etichettata come non collaborazione o ostruzionismo, vale a dire un’attività lavorativa rallentata, con riduzione dei ritmi od introduzione di pause maggiori o nuove, oppure modificata, con inosservanza dei criteri direttivi prefissati, o ancora ristretta, con esecuzione di alcune mansioni primarie, ma non di altresussidiarie. L’ostruzionismo ha attraversato la fase di maggior sviluppo sul finire del decennio ’70, nel corso della grande stagione rivendicativa, con il ricorso al c.d. blocco o sciopero delle mansioni (rifiuto collettivo di eseguire certe mansioni considerate inferiori o superiori alle qualifiche e classificazioni attribuite) e al c.d. sciopero del rendimento o del cottimo (rifiuto collettivo di osservare determinate cadenze ritenute eccessive).Ancora: sciopero pignolo, ossia adempimento del compito prestabilito con un rispetto rigoroso o pedante del regolamento lavorativo; sciopero alla rovescia, dato dallo svolgimento di un lavoro non richiesto o addirittura vietato dal proprietario o imprenditore; sciopero virtuale, con destinazione della retribuzione a scopi solidaristici.

9. (Segue): Picchettaggio, occupazione d’azienda, boicottaggio, sabotaggio: sono forme di lotta sindacale connesse o alternative allo sciopero.PICCHETTAGGIO: il p. consiste nel raggruppamento più o meno folto di lavoratori, dipendentidell’azienda in sciopero o provenienti da altra azienda, che stazionano vicino o di fronte ai cancelli od agli ingressi per dissuadere, disturbare, bloccare gli eventuali crumiri; ovviamente i problemi non emergono in caso di p. pacifico, che può essere considerato alla luce dell’art. 21, c. 1° Cost. (libertà di manifestazione del pensiero), ma nello sfortunato caso di p. violento, variante da una resistenza passiva ad una vera e propria attività violenta. Una variante del picchettaggio è costituita dal “blocco delle merci”, in base al quale un gruppo di lavoratori, stazionante di fronte ai cancelli od agli ingressi, tende ad evitare specie l’uscita delle merci già prodotte; e tende a far questo perché

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un’azienda che ne avesse immagazzinate parecchie, in vista dell’astensione dal lavoro o solo in ragione della congiuntura negativa del mercato, potrebbe continuare a soddisfare la domanda della clientela.OCCUPAZIONE AZIENDALE: forma di lotta costituita dall’entrata e/o permanenza nell’azienda di tutta o parte della forza lavoro ivi occupata, con astensione dall’attività lavorativa, allo scopo di togliere l’iniziativa alla direzione, allorché voglia procedere ad una serrata o ad una riduzione/liquidazione dell’attività produttiva; può anche servire a sensibilizzare l’opinione e l’autorità pubblica.BOICOTTAGGIO: il b. è un mezzo di lotta di carattere generale. L’art. 507 cod. pen. dichiara punibile chiunque “per uno degli scopi indicati negli articoli 502, 503, 504, 505, mediante propaganda o valendosi della forza e autorità di partiti, leghe o associazioni, induce una o più persone a non stipulare patti di lavoro o a non somministrare materie o strumenti necessari al lavoro, ovvero a non acquistare gli altri prodotti agricoli o industriali. Secondo la Corte, l’incriminazione del boicottaggio è legittima, salvo il caso in cui venga attuato come una mera attività di propaganda.SABOTAGGIO: art. 508, c. 2°: danneggiamento “qualificato”, sia per il requisito soggettivo del dolo specifico (d’impedire e turbare il normale svolgimento del lavoro), sia per il requisito oggettivo del peculiare carattere dei beni. Per la Corte l’art. 508 è legittimo.

D. LA SERRATA1. Importanza, tipologia, evoluzione della serrata: secondo la nozione corrente, la serrata è costituita da una chiusura o interruzione temporanea dell’attività aziendale, totale o parziale, nonché dal rifiuto di accettare e retribuire le prestazioni di lavoro, attuata da una sola o da più imprese, con finalità di pressione e di lotta. Si distingue tra: serrata individuale o collettiva, eseguita da una sola oppure da più aziende, concordemente e/o contestualmente fra loro; la serrata sospensiva o risolutiva, realizzata tramite la mera sospensione oppure, addirittura, la cessazione dei rapporti di lavoro in essere; la serrata offensiva o difensiva, secondo che costituisca una manovra per anticipare e bruciare l’iniziativa avversaria oppure una misura per rispondere ad una lotta già intrapresa. Una classica serrata offensiva è quella di solidarietà, mentre tipicamente difensiva è considerata quella di ritorsione. Il codice penale menziona, all’art. 502, c. 1° e all’art. 503 rispettivamente la serrata per fini contrattuali e non contrattuali; l’art. 504 è dedicato alla serrata di coazione alla pubblica autorità, mentre l’art. 505 si occupa della serrata a scopo di solidarietà e di protesta. Infine l’art. 506 chiude l’elenco con la serrata di esercenti di piccole industrie e commerci.Nella Costituzione la serrata, a differenza dello sciopero, non trova spazio, e questo ci fa dedurre che essa non costituisce un diritto, ma rappresenta bensì una semplice “libertà”, in quanto sottratta al pericolo di incriminabilità penale.

2. La giurisprudenza costituzionale: la rilevanza penale della serrata: ai sensi della sentenza n° 29 1960, lo sciopero è considerato un “diritto”, un comportamento penalmente e civilmente legittimo, mentre la serrata rimane una “libertà”, un comportamento quindi solo penalmente lecito. Da questa linea intrapresa dalla Corte Costituzionale deriva l’incostituzionalità dell’art. 502, cc. 1° e 2°, ossia del divieto penale della serrata e rispettivamente dello sciopero a fini contrattuali, per contrasto con gli artt. 39 e 40 Cost.; ogni altro divieto, riconducibile agli artt. 503, 504 e 505 cod. pen., rimarrebbe al suo posto.

3. (Segue): La rilevanza civile della serrata. La c.d. serrata di ritorsione: la serrata, quand’anche essa non sia un illecito penale, resta pur sempre un illecito civile, un comportamento in violazione del contratto di lavoro; non pare dunque possibile distinguere fra serrata risolutiva e sospensiva: se il datore di lavoro pensasse di far precedere, accompagnare, seguire la chiusura o interruzione temporanea dell’attività aziendale dal licenziamento collettivo del personale opererebbe in maniera illecita. Se poi il datore ritenesse di procedere alla chiusura o interruzione dell’attività aziendale,

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senza alcun previo, contestuale o successivo licenziamento collettivo del personale, allora provocherebbe una sospensione di fatto delle prestazioni lavorative, ma non una sospensione di diritto dei rapporti di lavoro in essere. La violazione consiste dunque nel rifiuto esplicito od implicito di ricevere le prestazioni lavorative dei propri dipendenti, a prescindere da quel che pur normalmente consegue, cioè il mancato pagamento dei relativi stipendi e salari.Serrata di ritorsione: reazione a forme di lotta particolarmente incisive per le modalità attuative o per le realtà produttive investite, quali gli scioperi articolati e gli scioperi negli impianti a ciclo continuo, ma anche come rifiuto del datore di lavoro di accogliere e retribuire il lavoro offerto da personale attualmente non scioperante, in occasione di uno sciopero pur pienamente legittimo, qualora il lavoro reso disponibile risultasse non proficuo secondo lo standard normale.

La serrata

Il mezzo di lotta sindacale tipico degli imprenditori è la serrata, che consiste nella chiusura totale o parziale dell’impresa e cioè nel rifiuto di ricevere la prestazione lavorativa e conseguentemente di pagare le retribuzioni.La serrata può essere quindi qualificata come mora credendi, in quanto con essa il creditore rifiuta la prestazione offertagli dal lavoratore-debitore.L’art. 1207 c.c. pone a carico del creditore in mora l’obbligo di risarcire i danni provocati al suo debitore; se ne trae la conseguenza che il datore di lavoro che ponga in essere una serrata, è tenuto a risarcire il danno subito al lavoratore a causa delle mancate retribuzioni, ma che sia detraibile dal risarcimento quanto il prestatore di lavoro abbia guadagnato impiegando altrove la propria attività lavorativa.

La serrata di ritorsione

L’art. 1206 c.c. specifica che il creditore non è in mora quando si rifiuti di ricevere la prestazione dovutagli per un motivo legittimo. Quindi è legittima la c.d. serrata di ritorsione, cioè il rifiuto del datore di lavoro di ricevere le prestazioni quando i lavoratori pongano in essere uno sciopero articolato.In questo caso la legittimità della serrata di ritorsione, veniva da alcuni spiegata affermando che dalla illegittimità dello sciopero derivava la legittimità della serrata.Secondo un altro orientamento, la legittimità della serrata di ritorsione sarebbe da giustificare alla stregua del fatto che l’imprenditore può legittimamente rifiutare la prestazione che non sia più utilizzabile in relazione alla obiettiva preesistente organizzazione dell’impresa, ovvero possa essere utilizzata solo attraverso l’assunzione di maggiori spese e oneri.Tuttavia l’unica soluzione giuridicamente corretta sembra essere nel senso che la sospensione dell’attività produttiva sia legittima solo in 2 ipotesi:

1. Quando la prestazione offerta nell’intervallo di uno sciopero a singhiozzo sia tanto breve da non consentire alla prestazione di lavoro di realizzare la sua minima unità tecnico-temporale;

2. Quando in uno sciopero a scacchiera, l’astensione di un gruppo di lavoratori impedisca ad altri di effettuare la propria prestazione.

Nei casi in cui invece lo sciopero articolato abbia solo diminuito la convenienza per il datore di lavoro o reso più difficile l’utilizzazione, allora il rifiuto della prestazione di tali lavoratori non potrà trovare giustificazione e l’imprenditore sarà considerato in mora.

Il reato di serrata e la giurisprudenza costituzionale

Con la sentenza 29/1960 la Corte costituzionale abrogò il reato di serrata per fini contrattuali, cioè quella attuata sospendendo il lavoro al solo scopo di imporre ai dipendenti modificazioni dei patti stabiliti o una loro diversa applicazione.Secondo la Corte tale fattispecie di reato era in contrasto con l’ispirazione democratica della Costituzione, espressa dal principio della libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost.

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Perciò quando il fine dell’azione è contrattuale, essa va qualificata come espressione di una libertà di serrata, a differenza dello sciopero che va qualificato come diritto.A sua volta la libertà di serrata comporta la non perseguibilità penale del comportamento per mancanza di una norma incriminatrice.La Corte costituzionale con la sentenza 141/1967 affrontò anche il problema della legittimità costituzionale del reato di serrata per protesta, che consiste nella serrata compiuta soltanto per solidarietà con altri datori di lavoro ovvero soltanto per protesta.Con tale decisione la Corte ha affermato che la libertà di serrata opera solo nel quadro dei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori rimanendo estranei a questa sfera tutti quei comportamenti che non si collochino nell’ambito di tali rapporti.

Sciopero bianco e occupazione d’azienda

Sia nello sciopero bianco che nell’occupazione d’azienda, i lavoratori permangono sul posto di lavoro.Ma mentre nel primo caso ciò si verifica durante lo sciopero, senza che venga intralciata l’attività di gestione da parte dell’imprenditore, il secondo è caratterizzato proprio da questa finalità.In proposito è costante in giurisprudenza il riconoscimento dell’esperibilità dei mezzi di tutela del possesso.Sotto il profilo penale, viene invece in considerazione l’art. 508 c.p., intitolato alla arbitraria invasione ed occupazione di aziende agricole o industriali. La Corte costituzionale ha ritenuto legittimo l’art. 508 c.p. affermando che una cosa è lo sciopero ed altro è l’occupazione di azienda che costituirebbe un attentato alla libertà del lavoro.Inoltre nei casi concreti spesso i giudici di merito hanno rilevano l’inesistenza del dolo specifico costituito, come dice la norma, dal “solo scopo di impedire o turbare il normale svolgimento del lavoro”.Inoltre la stessa Corte costituzionale ha affermato che si è fuori dalla fattispecie di cui all’art. 508 c.p. se al momento dell’occupazione, lo svolgimento del lavoro sia già sospeso per effetto di una causa antecedente alla occupazione stessa: questo argomento esclude la punibilità dello sciopero bianco con permanenza sul posto di lavoro.

Il blocco delle merci

Col blocco delle merci i lavoratori mirano ad impedire che le merci esistenti nel magazzino della fabbrica siano portate fuori dalla stessa. Occorre distinguere 2 ipotesi:

1. Se i lavoratori non impediscono materialmente ai trasportatori di accedere alla fabbrica, tentando però di convincerli a sospendere la loro attività in solidarietà con gli scioperanti. Un simile comportamento è lecito; in caso di impedimento materiale all’attività dei trasportatori, sussiste una illiceità del comportamento.

2. Se il blocco viene attuato con violenze o minacce nei confronti di chi deve trasportare le merci fuori dai magazzini, sarà configurabile il reato di violenza privata.

Le forme di lotta sindacale con offerta della prestazione

Tra le forme di lotta sindacale con offerta della prestazione possono essere comprese:1. Rallentamento concertato della produzione: consiste nell’imprimere all’attività lavorativa un

ritmo più lento del normale.In questo caso i lavoratori prestano una diligenza inferiore a quella normale e ciò costituisce inadempimento, esposto alle sanzioni disciplinari e al risarcimento del danno o anche al licenziamento per notevole inadempimento.

2. Non collaborazione: consiste nel limitare l’attività lavorativa a ciò che è di stretto obbligo contrattuale, escludendo quindi lo svolgimento di prestazioni accessorie.

Per la non collaborazione deve dirsi che il contratto non obbliga solo a ciò che è in esso espressamente previsto, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo gli usi e l’equità.

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Pertanto se le prestazioni omesse venivano usualmente eseguite dai lavoratori, dovrebbero intendersi comprese nel contratto e quindi la loro omissione costituirebbe inadempimento.

3. Sciopero delle mansioni: i lavoratori rifiutano di svolgere alcuni compiti affidatigli;4. Ostruzionismo: consiste nell’applicazione pedante dei regolamenti.In tal caso può nascere una responsabilità giuridica solo quando l’ostruzionismo si risolve in una forma di abuso.

Il boicottaggio

Il boicottaggio è una forma di lotta sociale che si realizza quando, mediante propaganda o valendosi della forza di gruppi sociali, si inducono una o più persone a non stipulare patti di lavoro, e a non somministrare materie o strumenti necessari al lavoro, ovvero a non acquistare gli altrui prodotti agricoli o industriali.L’art. 507 c.p. che prende in considerazione il boicottaggio, è stato oggetto di pronuncia della Corte costituzionale affermando la legittimità costituzionale della norma stessa in quanto essa tutela beni protetti anche dalla Carta costituzionale: libertà di stipulare patti di lavoro, libertà di iniziativa economica, etc.

SCIOPERO

Definizione di sciopero: è una astensione collettiva dei lavoratori per fini di tutela di interessi comuni e collettivi. Lo sciopero è solo una species del genus lotta sindacale

EVOLUZIONE DELL’ISTITUTO

1. 1859 , codice penale sardo: REATO 2. 1889 , codice penale Zanardelli: LIBERTÀ

Tuttavia conteneva norme durissime di repressione dell’attività sindacale e della forme di lotta. La giurisprudenza di allora era incline a definire violente anche semplici manifestazioni di piazza. Era però un’ipotesi di inadempimento che portava al licenziamento. Dal punto di vista della libertà del lavoro c’era un non riconoscimento dello sciopero da parte dei datori di lavoro

3. 1930 , codice penale Rocco: REATO artt. 502 e ss. c.p. vigenteartt. 330 e ss. c.p. vigente (funzioni pubbliche)

4. 1948 , Costituzione DIRITTO Art. 40: lo sciopero è un diritto ma la norma è una soluzione di compromesso copiata dalla Costituzione francese in quanto vi sono gli interessi del padronato (impresa) e dei lavoratori e delle organizzazioni sindacaliFase particolarmente faticosa a causa della diversa idea di sciopero fra area cattolica / centro destra e l’area socialista / comunista

Il confronto parlamentare sul quale la costituzione aveva investito non riesce a dare le risposte richiesteLeggi sul diritto di sciopero:

300/1970 146/1990 => 83/2000 (sciopero dei servizio pubblici essenziali) Giurisprudenza che svolge un ruolo sostitutivo del legislatore nella determinazione dei

limiti di esercizio del diritto di sciopero. I giudici danno la risposta su come si utilizza questo diritto, disegnando così la materia dello sciopero rispetto da due punti di domanda:

1. COME si sciopera: Cassazione

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2. PERCHÉ si sciopera, i fini dello sciopero: Corte Costituzionale

Lunghezza degli scioperi: 1. Brevi, meno di una giornata2. Giornalieri3. Di durata, ad oltranza (non possibile nel settore pubblico, deve essere sempre indicata la

durata, quindi l’inizio dei servizi)I fini dello sciopero possono essere anche politiciTesi sulla natura dello sciopero:

1. Diritto potestativo, riconosciuto ad una parte del rapporto in quanto previsto nel contratto. La formula però non descrive bene il fenomeno

2. Diritti assoluti, che hanno un riconoscimento Costituzionale, della persona, o diritti assoluti di libertà (molto vicini alle libertà di ordine politico)

Titolarità del diritto di sciopero:1. Diritto individuale ad esercizio collettivo (si traduce nella organizzazione dello sciopero),

ciò serve anche per distinguere lo sciopero da altre forme di lotta. Se organizzato (dal sindacato) può essere fatto anche da una persona sola

2. Lavoratori, due leggi impediscono al personale militare e di polizia di scioperoÈ riconosciuto anche ai lavoratori subordinati pubblici e privati ed ai lavoratori autonomi: è stata riconosciuta una forma di sciopero anche ai benzinai, che sono lavoratori autonomi; degli avvocati

FINI DELLO SCIOPERO: CORTE COSTIZIONALEAntinomia ordinamentale evidente: art. 40 vs norme del codice penale del 1930 che riconoscevano lo sciopero come reato

Sentenze della Corte costituzionale:1. 29 del 1960 che afferma l’incostituzionalità dell’art. 502 c.p. del 1930 che considerava reato

lo sciopero anche a fini contrattuali (no sanzioni penali, no sanzioni civili / negoziali)Consentito ai fini contrattuali

2. 123 del 1962, art 503 c.p. vieta lo sciopero a fini non contrattuali (di solidarietà). La corte afferma che siamo parlando di un diritto assoluto di sciopero (no sanzioni penali, no sanzioni civili / negoziali)Consentito lo sciopero di solidarietà

3. 290 del 1974, art. 504, vieta lo sciopero a fini non contrattuali, ovvero lo sciopero politico. Dice, con sentenza di accoglimento parziale, manipolativa e interpretativa, due cose:o ECONOMICO-POLITICO, legittimo lo sciopero politico contro provvedimenti del

governo, è un diritto (no sanzioni penali, no sanzioni civili / negoziali) C onsentito lo sciopero economico-politico

o POLITICO, la corte interpreta:1. Politico in senso stretto, E’ UNA MERA LIBERTA’, non è coperto dall’art.

40 ma dalla protezione delle forme di manifestazione del pensiero dall’art. 3/2 Cost., che garantisce l’espressione del pensiero politico (non solo e non più ragionamento della Corte di tipo lavoristico)Non essendo un diritto nasce il problema del profilo della sanzioni di tipo civilistico. Il datore di lavoro conosce uno sciopero a proprie spese finalizzato per altri soggetti La Corte dice che possono essere legittime le sanzioni disciplinari. Oggi non accade più La sentenza è manipolativa di rigetto in quanto vi sono due situazioni in cui lo sciopero è vietato (l’art. 504 non viene abrogato):

o sciopero rivoluzionario (sciopero per l’eliminazione una delle due

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camere, del CSM, ecc.) è reato

o sciopero contro la sovranità del popolo (sciopero diretto a limitare l’esercizio di diritti in cui si esprime la sovranità popolare). Es. sciopero per impedire il voto: è reato MODALITÀ DI SCIOPERO: CASSAZIONE

Cambia il modo di scioperare, indire e realizzare gli scioperi in forma diversa da quanto fatto precedentemente: sciopero come astensione collettiva di tutti i lavoratori realizzata contestualmenteL’imprenditore subisce le conseguenze economiche dello sciopero, pur circoscritte al lucro cessante (l’azienda chiude, non si produce). Tuttavia a fronte di questa mancata attività lavorativa non viene corrisposta la retribuzione. Ai sindacati viene un’idea:SCIOPERO ARTICOLATO: è una forma anomala di sciopero, rompe lo schema dello sciopero come astensione collettiva di tutti nello stesso momento. Due dimensioni:

1. Tempo , sciopero a singhiozzo: si lavora un po’, si sciopera un po’, ecc.. Lo sciopero non è continuativo. Grande danno per l’impresa che deve tenere aperto, tenere in vita tutta l’organizzazione (energia elettrica) e non c’è la produzione con il dubbio, nel periodo di lavoro, se ha diritto alla retribuzione

2. Spazio , sciopero a scacchiera, sciopera il reparto A e l’F ma non il B e l’E. Alcuni reparti sì altri no. Massimizzazione del danno che si estende al danno emergente

E’ LEGITTIMO LO SCIOPERO ARTICOLATO?Anni 70/80: NO, la Corte all’inizio fa due ragionamenti:

1. Limiti interni, la corte dice che non è uno sciopero, non ricevono perciò protezione dell’ordinamento

2. Limiti esterni, bilanciamento dei sacrifici, anche se fosse possibile considerarlo sciopero, questo determina un danno alla produzione che non si limita alla mancata attività ma che determina un anno ulteriore per il datore di lavoro che deve tenere aperta l’azienda pur non lavorando in modo proficuo

1980: S Ì , sentenza nr. 711 della Cassazione: non esiste una nozione di sciopero che si possa stabilire a tavolino, dobbiamo considerare sciopero tutto ciò che nella società viene come tale consideratoConsentito lo sciopero articolato nel rispetto dei limiti esterni della produttività aziendale: lo sciopero articolato anomalo può compromettere la produzione (è nella natura di quel tipo di sciopero). Questo è legittimo! Anche se determina un danno ulteriore per il datore di lavoro

Limite finale per la Cassazione è quello della capacità produttiva dell’aziendaProprio sugli impianti a ciclo continuo la corte comincia a ritenere legittime le c.d. “comandate”, ovvero gruppi di lavoratori comandati dal datore di lavoro a rendere il loro lavoro. È legittima e concordata con i sindacati per far sopravvivere l’impresa a ciclo continuoLa Cassazione rimane però molto ferma sulla possibilità di considerare proficua l’attività dell’ora di lavoro dello scioperante o del lavoro reso nel reparto in quel momento interessato dallo sciopero a scacchiera: sono prestazioni non retribuibili a prescindere della loro proficuità oggettivaEffetto dello sciopero => non corresponsione della retribuzioneCrumiraggio indiretto:

Crumiraggio interno, sostituzione dei lavoratori scioperanti con altri spostati provvisoriamente

Crumiraggio esterno, sostituzione dei lavoratori scioperanti con altri assunti transitoriamente

Crumiraggio diretto: praticato dai lavoratori che non vogliono scioperareSciopero bianco: sciopero attuato senza contestuale abbandono del posto/luogo di lavoroModi attuativi dello sciopero

1. Richiesta di trattativa (eventuale)2. preavviso, solo se previsto da:

specifica normativa (al momento non esistente una legge generale che lo impone)

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un accordo collettivo (che generalmente lo prevede) una specifica situazione che renda l’astensione rischiosa per l’integrità delle persone

CAPITOLO XII: LO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI1. Lo sciopero degli addetti a funzioni o servizi pubblici essenziali e dei marittimi nella giurisprudenza costituzionale: l’astensione dal lavoro attuata da dipendenti incaricati di funzioni o di servizi pubblici essenziali è una tematica divenuta via via più rilevante con la progressiva estensione della sindacalizzazione fra i lavoratori espletanti funzioni rispondenti a compiti dello Stato, considerati classicamente prioritari (es. la sicurezza pubblica), ovvero espletanti servizi soddisfacenti a bisogni dell’individuo e della collettività ritenuti largamente primari o comunque indifferibili senza gravi disagi e costi (es. l’assistenza sanitaria, l’erogazione dell’energia elettrica, dei gas, dell’acqua, i trasporti), tematica questa affrontata dalla giurisprudenza costituzionale (v. il manuale per maggiori dettagli).

2. Lo sciopero nei servizi pubblici fra leggi specifiche ed autoregolamentazione: fino al giugno 1990 la legge non è mai intervenuta, ad eccezione di qualche norma episodica ed isolata, a disciplinare direttamente e puntualmente l’intera materia dello sciopero nei servizi pubblici, od anche solo nei servizi pubblici c.d. essenziali. Dall’altra parte, la debole efficacia giuridica dei codici di autoregolamentazione, richiamati dalla versione originaria della l. 146/1990, ha operato a vantaggio della contrattazione collettiva.

3. La legge 12 giugno 1990, n° 146 (come modificata dalla legge 11 aprile 2000, n° 83): la peculiarità propria della legge 146/1990 è quella di essere costruita e gestita con piena collaborazione delle confederazioni sindacali. Quel che si voleva, poi, era una regolamentazione coerente rispetto alla tradizione costituzionale e sindacale quale tradotta nella giurisprudenza della Corte e nella vicenda della autoregolamentazione.La legge 11 aprile 2000, n° 83, che ha modificato in più punti il testo della l. n° 146/1990, è intervenuta per ovviare a lacune e difficoltà interpretative emerse nei dieci anni di applicazione della disciplina; in particolare, rispetto all’impianto originario, risultano rafforzati i poteri della Commissione di garanzia, potenziato ed articolato in modo più compiuto il sistema sanzionatorio ed estesa esplicitamente la regolamentazione in tema di sciopero nei servizi pubblici essenziali alle astensioni dal lavoro poste in essere da lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori.Il criterio cardine su cui si basa la legge 146/1990 è quello del contemperamento fra l’esercizio del diritto di sciopero ed il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati; secondo alcuni, questo principio rappresenterebbe anche il fine ultimo perseguito dal legislatore; secondo un’altra opinione il contemperamento non costituirebbe il fine della legge, bensì uno strumento attraverso il quale essa raggiunge il suo reale obbiettivo, che è quello di garantire l’effettivo esercizio dei diritti della persona nel loro contenuto essenziale.Art. 1 comma 1° l. 146/1990 (nozione di servizio pubblico essenziale): “….quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà, ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione”. Al comma 2°, vengono poi elencati quelli che, in relazione ai vari diritti, debbono essere ritenuti servizi pubblici essenziali, previa definizione basata sulla lista tassativa dei diritti soddisfatti, e da una successiva elencazione esemplificativa dei servizi medesimi; di conseguenza, non vi possono essere servizi essenziali volti al godimento dei diritti che non siano menzionati nella lista (dei diritti); ma ce ne possono essere che non siano ricompresi nell’elencazione (dei servizi).Vi è solo un dato oggettivo che qualifica un servizio come essenziale: l’imprescindibilità del servizio per l’effettività dei diritti della persona costituzionalmente tutelati.

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4. Le regole da rispettare in caso di sciopero. L’individuazione delle prestazioni indispensabili:obblighi da rispettare qualora lo sciopero investa un servizio pubblico essenziale:A) Preavviso non inferiore a 10 giorni (art. 2, cc. 1° e 5°).B) Indicazione, con atto scritto, della durata, delle modalità di attuazione e delle motivazioni dellosciopero (art. 2, c. 1°).C) Misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili per garantire le finalità di cuial c. 2° dell’art. 1.La l. 146/1990 individua nei “soggetti che proclamano lo sciopero” chi è obbligato ai suddetti adempimenti.Né il preavviso né l’indicazione della durata sono richiesti “nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”. Per quanto riguarda la revoca dello sciopero, in linea con un orientamento della Commissione di Garanzia, è previsto che essa, qualora sorga spontaneamente dopo che sia stata data informazione all’utenza circa lo sciopero proclamato, costituisce forma sleale di azione sindacale, e che di conseguenza venga valutata dalla Commissione di garanzia ai fini dell’applicazione delle sanzioni collettive. Non costituisce peraltro revoca spontanea, quindi ingiustificata, quella effettuata per intervenuto accordo fra le parti o a seguito di richiesta della Commissione di garanzia e dell’autorità competente ad emanare l’ordinanza di precettazione.Non sono leciti scioperi ad oltranza, in virtù dell’obbligo di indicazione della durata: anzi, leamministrazioni e le imprese devono informare gli utenti delle “misure per la riattivazione dei servizi”, con l’ulteriore obbligo di “garantire la pronta riattivazione del servizio quando l’astensione dal lavoro sia terminata”.Intervalli soggettivi: divieti di reiterazione dello sciopero da parte delle associazioni che già vi abbiano fatto ricorso.Intervalli oggettivi: tesi ad impedire il ripetersi di scioperi in un certo ambito o settore, a prescindere dal soggetto proclamante.Inoltre, ai sensi dell’art. 2, c. 2°, i contratti e gli accordi collettivi ed i regolamenti di servizio devono indicare “intervalli minimi da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione di un altro”; procedure di raffreddamento e di conciliazione, previste dai contratti o dai regolamenti di servizio, sono obbligatorie per entrambe le parti e vanno esperite prima della proclamazione dello sciopero.L’obbligo di assicurare le prestazioni indispensabili grava sia sulle imprese e amministrazioni che erogano il servizio, sia sulle organizzazioni sindacali, sia sui lavoratori. L’art. 2, c. 2° l. 146/1990 si limita a prevedere che (le parti) possono disporre l’astensione dallo sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori tenuti alle prestazioni ed indicare, in tal caso, le modalità per l’individuazione dei lavoratori interessati, ovvero possono disporre forme di erogazione periodica; in questo senso l’art. 2, c. 2° fa luce sulla distinzione fra due grandi famiglie di servizi pubblici essenziali: i servizi che esigono che certe prestazioni siano comunque continuate rispettando certi standard di funzionamento, ed i servizi che richiedono che certe prestazioni siano erogate con intervalli periodici.

SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI - 274

Distinzione sostanziale dei lavoratori pubblici:1. lavoratori espletanti compiti dello stato (funzione giurisdizionale, sicurezza pubblica, ecc.)2. servizi pubblici essenziali ritenuti primari, non differibili senza gravi disagi (assistenza

sanitaria, energia elettrica, ecc.)È l’unica disciplina che pur avendo avuto in riconoscimento costituzionale fino al 1990 non aveva una regolamentazione

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La regolamentazione si concentra solo sui modi dello scioperoHa ricevuto un contributo importante dalla Corte Costituzionale (nel settore privato: non illiceità penale) 333 del C.P. che consideravano reato l’abbandono individuale di pubblico servizio e 330 abbandono collettivoLa Corte nel nr. 222 del 1976, si muove in due direzioni:

1. Riconoscimento del diritto di sciopero anche in capo a chi effettua servizi pubblici. Riconoscimento (partito da uno sciopero in un ospedale psichiatrico) tuttavia con la

2. garanzia di alcuni servizi (c.d. servizi pubblici essenziali) che consentano la tutela e la salvaguardia degli interessi di quel servizio

NORMATIVA DI RIFERIMENTO1. Codici di autoregolamentazione : con i quali le organizzazioni sindacali o gli enti deputati a

questi servizi, autodichiarano di voler rispettare tutta una serie di regole che non sono concordate ma liberamente date all’interno delle predette strutture. Debole efficacia giuridica

2. Legge 146/90 : è la prima grande legge concertata che regolamenta l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Scopo della legge: realizzare un bilanciamento: che garantisca titolarità ed esercizio del diritto di sciopero (art. 40 cost.) che garantisca anche l’esercizio dei diritti pubblici (tanti altri diritti anche più

importanti del diritto di sciopero)Stella polare è il CONTEMPERAMENTO: il diritto di sciopero deve essere compresso solo nella misura utile a garantire i servizi facendolo vivere con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati

3. Legge 83/2000 : modifica la legge 146/90. Ha ampliato la disciplina ed ora si applica anche ai piccoli imprenditori e ai lavoratori autonomi che esercitano un servizio pubblico essenziale (il segnale di sofferenza che ha portato alla legge sono stati scioperi di avvocati e tassisti)

(Lista tassativa dei DIRITTI TUTELATI che non si può estendere né da parte degli interpreti né da parte del giudice)

Articolo 1. legge 146/901. Ai fini della presente legge sono considerati servizi pubblici essenziali (non tutti vi rientrano infatti, ad es. l’erogazione del gas e dell’acqua sono regolamentati dal diritto privato), indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione.

(Lista esemplificativa dei SERVIZI TUTELATI )

2. Allo scopo di contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, di cui al comma 1, la presente legge dispone le regole da rispettare (norma politica e di principio, la legge mira all’effettività) e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare l'effettività, nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi, in particolare nei seguenti servizi e limitatamente all'insieme delle prestazioni individuate come indispensabili ai sensi dell'articolo 2:a) per quanto concerne la tutela della vita, della salute, della libertà e della sicurezza della persona, dell'ambiente e del patrimonio storico-artistico: la sanità; l'igiene pubblica; la protezione civile; la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e di quelli speciali, tossici e nocivi; le dogane, limitatamente al controllo su animali e su merci deperibili; l'approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni di prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi; l'amministrazione della giustizia, con particolare riferimento a provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione; i servizi di protezione ambientale e di vigilanza sui beni culturali;

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b) per quanto concerne la tutela della libertà di circolazione: i trasporti pubblici urbani ed extraurbani autoferrotranviari, ferroviari, aerei, aeroportuali e quelli marittimi limitatamente al collegamento con le isole;c) per quanto concerne l'assistenza e la previdenza sociale, nonché gli emolumenti retributivi o comunque quanto economicamente necessario al soddisfacimento delle necessità della vita attinenti a diritti della persona costituzionalmente garantiti: i servizi di erogazione dei relativi importi anche effettuati a mezzo del servizio bancario;d) per quanto riguarda l'istruzione: l'istruzione pubblica, con particolare riferimento all'esigenza di assicurare la continuità dei servizi degli asili nido, delle scuole materne e delle scuole elementari, nonché lo svolgimento degli scrutini finali e degli esami, e l'istruzione universitaria, con particolare riferimento agli esami conclusivi (TESI DI LAUREA) dei cicli di istruzione;e) per quanto riguarda la libertà di comunicazione: le poste, le telecomunicazioni e l'informazione radiotelevisiva pubblicaPRESCRIZIONI FONDAMENTALI :

1. PREAVVISO , che non può essere inferiore al 10 giorni. Nel preavviso deve essere indicato:

durata motivazioni modalità di svolgimento, a cui si collega l’obbligo degli enti di comunicare alla

collettività entro 5 giorni dell’effettuazione dello sciopero. Previsto dalla leggeNon occorre preavviso in caso di :

Sciopero per protesta in caso di incidenti sul lavoro Difesa ordinamento costituzionale

Va fatto: all’ente gestore del servizio, 10 gg. prima, il quale a sua volta lo comunica alla

collettività degli utenti entro 5 giorni All’autorità deputata a fare la precettazione, che a sua volta lo invia alla

commissione di garanzia2. DURATA , è vietato perciò lo sciopero ad oltranza. Legge 83/2000 ha stabilito che gli

accordi collettivi debbano introdurre delle c.d. “clausole di rarefazione” dello sciopero, sia dal punto di vista di un intervallo soggettivo (impedire che le stesse organizzazioni sindacali ripetano gli scioperi in un certo lasso di tempo) che intervallo oggettivo (impedire che troppi scioperi vengano a concentrarsi nello stesso momento e nello stesso servizio). La difficoltà degli scioperi dei servizi pubblici è proprio trovare lo spazio senza calpestare l’occupazione dell’agendaRevoca dello sciopero: prima si preavvisava arrivando a ridosso dello sciopero (nel frattempo l’effetto dannoso dello sciopero si è già prodotto) il tutto con la predeterminazione di annullare lo sciopero. Regolamentata la revoca ingiustificata considerata come comportamento sindacale scorretto (ciò dà la possibilità alla Commissione di garanzia di applicare sanzioni collettive)Non occorre preavviso in caso di :

Sciopero per protesta in caso di incidenti sul lavoro Difesa ordinamento costituzionale

3. PRESTAZIONI INDISPENSABILI , sono il cuore della disciplina per la garanzia dei servizi minimi indispensabili (= aliquote di servizi pubblici essenziali da offrire comunque ai cittadini)Ci sono servizi che possono essere diminuiti (es. il trasporto ferroviario) mentre altri non possono essere compressi (come il pronto soccorso, è possibile però farlo in altri reparti). La legge non può prevedere, ad es., quanti medici debbono rimanere in reparto al pronto

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soccorso pertanto il rinvio è al contratto collettivo. Chi determina le prestazioni indispensabili?: gli accordi o i contratti collettivi, quindi la fonte negozialeLa questione dell’efficacia, risolta dalla Corte costituzionale, deriva:

dalla legge (i lavoratori devono rispettare le prestazioni indispensabili quando esistono)

recepiti in ordini di servizio del datore di lavoro che è direttamente vincolante per lavoratore

5. La Commissione di garanzia: l’art. 12 l. n° 146/1990 assegna ai Presidenti delle due Camere il compito di designare i nove membri che andranno a costituire la Commissione di garanzia, scegliendoli fra “esperti in materia di diritto costituzionale, di diritto del lavoro e di relazioni industriali”. La Commissione di garanzia è investita di una pluralità di compiti – potenziati con le modifiche introdotte dalla l. n° 83/2000 – che attengono così alla fase di fissazione delle regole generali che le parti devono rispettare in caso di sciopero, della loro interpretazione o consultazione (poteri consultivi). Accanto a questi poteri consultivi le sono attribuiti poteri compositivi e poteri conformativi, riferiti al singolo conflitto, spesso accompagnati da poteri di accertamento, poteri sanzionatori e poteri di impulso della procedura di precettazione.1) La Commissione è investita della competenza a valutare i contratti e gli accordi raggiunti dalle parti per verificarne l’idoneità rispetto agli obbiettivi perseguiti dal legislatore.2) Qualora non valuti idonei i contratti o gli accordi, sulla base di specifica motivazione, laCommissione sottopone alle parti una proposta sull’insieme delle prestazioni, procedure e misure daconsiderare indispensabili; le parti devono pronunciarsi entro 15 giorni dalla notifica. Se non sipronunciano, verificata nei 20 giorni successivi l’indisponibilità delle parti a raggiungere un accordo, la Commissione formula una provvisoria regolamentazione delle prestazioni indispensabili, delle procedure di raffreddamento e di conciliazione e delle altre misure, fino al raggiungimento di un accordo valutato idoneo, per le parti, per il giudice ed anche, salvi gli adattamenti richiesti dalla situazione specifica, per l’autorità precettante.3) Altra attività della commissione è quella di promozione degli accordi.4) Alla Commissione sono riconosciuti poteri consultivi (pareri su questioni interpretative o applicative degli accordi).5) Lodo sul merito della controversia, che può essere emanato solo su richiesta congiunta delle parti.6) In caso di dissenso tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori su clausole specifiche concernenti l’individuazione o le modalità di effettuazione delle prestazioni indispensabili, che comunque valuti idonee, può indire una consultazione (referendum), di propria iniziativa o su richiesta delle organizzazioni che hanno preso parte alla trattativa o di un numero rilevante di lavoratori interessati.7) Alla C. spettano pure poteri conformativi, spesso accompagnati da poteri istruttori o di accertamento.8) La C. è titolare di poteri sanzionatori, cui si accompagnano specifici poteri di accertamento.9) Ha poteri di impulso in materia di precettazione.

6. Le sanzioni: la l. n° 146/1990 opera una radicale depenalizzazione, coll’abrogare quegli artt. 330 e 333 cod. pen., che avevano costituito la materia prima per l’elaborazione di tutta la giurisprudenza costituzionale in tema di sciopero nei servizi pubblici essenziali (art. 11). Ai sensi della nuova legge, i lavoratori che si astengono dal lavoro senza rispettare gli obblighi direttamente sanciti dalla legge o, richiesti della effettuazione delle prestazioni indispensabili, non prestino la loro consueta attività sono esposti a sanzioni disciplinari: sanzioni “proporzionate alla gravità dell’inflazione, con esclusione delle misure estintive del rapporto e di quelle che comportino mutamenti definitivi dello stesso” (art. 4 c. 1°). La loro applicazione spetta al datore di lavoro. A questo proposito, esistono due interpretazione degli artt. 4 e 13:

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A) Secondo la prima interpr., è compito esclusivo della Commissione di garanzia valutare icomportamenti anche dei singoli lavoratori (oltre che dei soggetti collettivi e dei responsabilidelle amministrazioni e imprese) e di decidere la comminazione delle sanzioni, senza margini diautonomia per il datore, che dovrebbe limitarsi ad applicarle pena l’irrogazione a suo carico disanzioni amministrative.B) Una seconda corrente di pensiero ritiene che la Commissione, valutati negativamente icomportamenti dei soggetti collettivi e delle amministrazioni o imprese, si limiti a prescrivere aldatore di lavoro di aprire a sua volta il procedimento disciplinare nei confronti dei lavoratori cheabbiano eventualmente realizzato comportamenti devianti; ma il datore rimane libero inconcreto, e nel rispetto del principio del contraddittorio posto dall’art. 7 St. lav., di sanzionare omeno i propri lavoratori.Inoltre la Commissione riveste un ruolo di primo piano con riguardo alle sanzioni a carico deiresponsabili degli enti gestori e delle organizzazioni sindacali; per quanto riguarda i primi, sonopreviste sanzioni amministrative pecuniarie, tenuto conto della gravità della violazione, dell’eventuale recidiva, del pregiudizio arrecato agli utenti. Per quanto riguarda invece le organizzazioni sindacali che violino le prescrizioni dell’art. 2 (preavviso, indicazione durata, ecc….), è prevista la sanzione della sospensione dei permessi sindacali retribuiti, e in alternativa quella dei contributi sindacali; inoltre le stesse organizzazioni possono essere escluse dalle trattative alle quali eventualmente partecipino per un periodo di due mesi dalla cessazione del comportamento.In seguito alle modifiche introdotte dalla l. 83/2000, è stata considerata l’ipotesi in cui la violazione sia perpetrata da un soggetto collettivo che non sia titolare dei diritti su cui incidono le sanzioni in parola, oppure non partecipi al tavolo contrattuale; in questo caso ricorre la sanzione amministrativapecuniaria sostitutiva.

Con la legge 146 nasce la Commissione di Garanzia che è un’autorità amministrativa indipendente che 9 membri nominati dai Presidenti delle due Camere. Ha una rilevanza centrale e preponderante che è stata valorizzata dalla riforma 83/2000 che ha potenziato le prerogative della CommissioneCOMPITI:

Valutazione degli accordi , devono valutare se gli accordi e i contratti collettivi sono idonei a garantire il contemperamento sciopero vs servizio pubblico. Qualora l’accordo non vi fosse o non fosse sufficiente effettua una proposta, se non accettata dalla parti, la commissione redige una provvisoria regolamentazione che ha efficacia vincolante inter partes e medio tempore (sino a che le parti non si mettono d’accordo) ovvero la legge trova il meccanismo per coprire il deficit pericoloso: sciopero senza accordo

Proposizione di referendum , per giungere un accordo Lodo , su richiesta delle parti la Commissione può emanare un lodo al quale le parti

dovranno adeguarsi Monitoraggio Potere di impulso nella precettazione Sanzioni , (sebbene non “spaventi più di tanto…”. Es. i ferrotranviari fecero sciopero da

oltranza ma le sanzioni che non possono giungere ali licenziamento, non hanno una grande influenza) previste dall’art. 4 della legge 146/90 ma introdotta dalla legge 83/2000Poteri sanzionatori, direttamente applicabili dalla Commissione di Garanzia nei confronti dei soggetti tenuti al rispetto dell’esercizio del diritto di sciopero:

1. Enti gestori dei servizi (quindi anche i dirigenti): sanzioni amministrative pecuniarie sino a 25.822,24 €

2. Organizzazioni sindacali, (alternativa – cumulativa): sospensione dei permessi trattenuta dei contributi sindacali che vanno alla collettività dei lavoratori

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esclusione dalle trattative sindacali3. Lavoratori

sanzioni disciplinari, potere (/dovere, il quale diviene un mero esecutore materiale della sanzione e viene spogliato del suo potere) tipico del datore di lavoro su prescrizione della Commissione di Garanzia che glielo ordina (solo la sanzione, non il tipo). La sanzione non può mai arrivare al licenziamento né dequalificazione

7. La precettazione speciale: la c.d. “precettazione speciale” può intervenire quando sussista “ilfondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmentetutelati, che potrebbe essere cagionato dall’interruzione o dalla alterazione del funzionamento deiservizi pubblici di cui all’art. 1. E’ necessario, dunque, un fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona indicati nell’art. 1; è comunque sufficiente che il pregiudizio sia potenziale: tocca all’autorità competente effettuare una valutazione di probabilità e potenzialitàdell’evento dannoso. Legittimato a precettare è il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato, se il conflitto ha rilevanza nazionale o interregionale, e negli altri casi il Prefetto. Oltre al potere d’impulso, alla Commissione è riconosciuto anche un potere propositivo.Il procedimento vede i Presidenti delle regioni invitare le parti a desistere dal comportamento,nell’esperimento di un tentativo di conciliazione da esaurire nel più breve tempo possibile, quindi, in caso di esito negativo, si conclude con l’ordinanza di precettazione, che deve essere adottata di norma 48 ore prima dell’inizio dello sciopero e deve specificare il periodo di tempo durante il quale le misure in essa contenute devono essere rispettate. L’ordinanza ha natura bidirezionale, poiché vincola sia gli enti gestori, sia i lavoratori. Il mancato rispetto dell’ordinanza di precettazione importa l’applicazione di sanzioni amministrative, di carattere pecuniario per i lavoratori e le organizzazioni sindacali, alla sospensione dell’incarico per i preposti al settore nell’ambito delle amministrazioni, degli enti e delle imprese erogatrici del servizio; i soggetti interessati possono promuovere ricorso contro l’ordinanza.

PRECETTAZIONE

Precettazione generale, presente un tempo, dava la possibilità di intervenire con la precettazione (rifiuti urbani, ecc.) Precettazione speciale , presente oggi e pensata appositamente per il servizi pubblici essenziali e indicata all’art. 8 della legge 146/90, che è una istituto di chiusura del sistema

Presupposti : qualora sussista un fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati

Doppia rete predisposta dalla legge: 1. Contrattazione collettiva2. Precettazione speciale

Interessa tutti e tre i soggetti sopra visti sebbene i diretti interessati siano i lavoratoriÈ un’ordinanza amministrativa impugnabile di fronte al TAR, deve operare almeno 48 ore prima della data e dell’ora di inizio dello scioperoAutorità deputate alla precettazione :

1. Sciopero nazionale: Presidente del Consiglio Ministro da lui delegato

2. Sciopero locale: Prefetto

Sciopero delle ferrovie e degli aerei: il cittadino viene limitato nel suo esercizio del diritto di circolare liberamente. In questo caso si può intervenire in quanto viene limitato un bene costituzionalmente tutelato:

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La precettazione non deve impedire totalmente lo sciopero (nel caso precedente tuttavia uno dei due scioperi dovrà essere rimandato)

Attenzione a creare dei limiti che comprimano il diritto di sciopero nella misura strettamente necessaria, ovvero deve essere comunque tutelato il diritto di sciopero

Procedura: l’autorità riceve delle segnalazioni dalla Commissione di Garanzia e prima di precettare:

1. Chiama le parti 2. Cerca con loro una soluzione concordata, conciliata, per evitare che la

precettazione provenga dall’alto senza condivisione con gli interessati3. Ipotesi:

accordo nessun accordo, autorità precettante che agisce in autonomia

Sanzioni: i lavoratori verranno nominativamente individuati e se l’ordinanza non viene rispettata ci sono:

Lavoratori e organizzazioni sindacali: sanzioni amministrative pecuniarie (prima del 90 erano penali)

Preposti delle amministrazioni: sospensione dell’incaricoLa precettazione

La L. 146/1990 ha introdotto una disciplina speciale della precettazione in materia di scioperi. La precettazione consiste in un provvedimento, più precisamente un’ordinanza, adottato da un organo del potere esecutivo: il Presidente del Consiglio se il conflitto ha rilevanza nazionale o interregionale, il Prefetto negli altri casi.Questo potere trova il suo presupposto nel fatto che lo sciopero provochi una interruzione di uno dei servizi pubblici essenziali e ciò a sua volta comporti fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati.Il pregiudizio deve essere grave ed imminente; deve cioè trattarsi di un danno consistente.

La precettazione: aspetti procedurali

Il Prefetto può procedere direttamente alla precettazione nei casi di necessità ed urgenza e deve informare la Commissione prima di adottare il provvedimento.La Commissione di garanzia ha il potere di segnalare alla autorità scioperi ed astensioni collettive che determinino un imminente pericolo ai diritti della persona; in tal caso la Commissione formula anche sua proposta in ordine alle misure da adottare.L’autorità non può emanare direttamente il provvedimento, ma deve invitare le parti a desistere e deve esperire un tentativo di conciliazione. Quando il tentativo dia esito negativo, adotta con ordinanza le misure necessarie a prevenire il pregiudizio ai diritti della persona.Il contenuto dell’ordinanza deve consistere nelle misure necessarie a prevenire il pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente garantiti e ne consegue che l’ordinanza può a tal fine sacrificare il diritto di sciopero solo nei limiti in cui sia necessario ad assicurare tali diritti dell’utenza.Il provvedimento deve essere emesso almeno 48 ore prima dell’inizio dell’astensione, salvo che non sia ancora in corso il tentativo di conciliazione o che vi siano ragioni di urgenza e viene portato a conoscenza dei destinatari.L’ordinanza può essere impugnata di fronte al T.A.R. entro 7 gg. ed il ricorso non sospende l’esecutività della precettazioni.L’inadempimento della ordinanza di precettazione è punito con sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità precettante e applicate dall’ispettorato del lavoro.

8. Le astensioni collettive dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori: la l. n°83/2000 ha introdotto numerose novità nella disciplina dello sciopero, e tra queste l’estensione deiprincipi che regolano l’esercizio del diritto di sciopero alle astensioni collettive dal lavoro di lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, che incidano sulla funzionalità dei servizi

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pubblici; si tratta di una grossa novità perché la l. n° 146/1990, nella sua originaria formulazione, era pensata e strutturata con riferimento unicamente allo sciopero dei lavoratori subordinati ed era difficilmente adattabile in via interpretativa ad astensioni dal lavoro di diversa natura. Non si tratta però di sciopero, bensì dell’esercizio di un diritto di libertà, riconducibile ad altre norme costituzionali, in particolare al diritto di associazione di cui all’art. 18 Cost. . Anche in questo caso vanno rispettate le regole poste dall’art. 2 l. 146/1990 (obbligo di preavviso, indicazione durata, ecc….); diversa è la fonte deputata all’individuazione di queste ultime: non un contratto collettivo, un codice di autoregolamentazione, che devono in ogni caso prevedere un termine di preavviso non inferiore a 10 giorni, l’indicazione della durata e delle motivazioni dell’astensione collettiva ed assicurare un livello di prestazioni compatibile con le finalità di garanzia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui all’art. 1.

Lo sciopero dei marittimi

Con la sentenza 124/1962 la Corte costituzionale affermò la illegittimità costituzionale dell’art. 1105 del codice della navigazione che prevede il reato di ammutinamento, configurato in modo da farvi rientrare anche lo sciopero, ove consiste nel rifiuto di obbedienza agli ordini del comandante, da parte di almeno 1/3 dell’equipaggio.La Corte così riconobbe ai marittimi il diritto di sciopero, ma affermò che ogni sospensione delle prestazioni di lavoro a bordo della nave dopo l’inizio del viaggio e durante il periodo della navigazione, comportava un pericolo per la sicurezza del patrimonio navigante e per l’integrità fisica delle persone.E quindi la Corte su tale premessa affermò l’impossibilità di far ricorso allo sciopero quando dall’astensione dal lavoro discendessero situazioni di pericolo per persone o cose.Tuttavia la giurisprudenza affermò la legittimità dello sciopero anche durante la navigazione laddove fosse garantito dal parte dei marittimi il funzionamento dei servizi essenziali e adottate tutte le misure idonee ad evitare rischi alla nave stessa e alle persone trasportate.

Lo sciopero politico

Lo sciopero politico in un primo momento venne considerato illegittimo perché non supportava un interesse economico-professionale dei lavoratori e perché le rivendicazioni avanzate dai lavoratori non potevano essere soddisfatte dal datore di lavoro.In dottrina tuttavia si affermò la necessità di distinguere tra sciopero politico in senso stretto, cioè finalizzato a far prevalere questa o quella scelta politica, e sciopero economico-politico, cioè diretto ad ottenere dalla pubblica autorità interventi che riguardino le condizioni socio-economiche dei lavoratori.In una serie di sentenze, la Corte costituzionale precisò che nel diritto di sciopero rientrano anche gli scioperi che ineriscono le rivendicazioni che abbiano ad oggetto i diritti sanciti dal titolo III Costituzione.Tali scioperi sono finalizzati a tutelare interessi di natura economica che possono essere soddisfatti solo con provvedimenti legislativi, ed anche se tali scioperi sono politici, con essi i partecipanti perseguono comunque un interesse economico.Neanche lo sciopero politico puro costituisce pur reato in quanto secondo la Corte costituzionale la repressione penale dello sciopero trovava il suo fondamento durante il regime fascista in una negazione di libertà, e nel mutato assetto costituzionale lo sciopero trova fondamento nei principi di libertà, in quanto mezzo per la partecipazione dei lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese.Lo sciopero non può essere penalmente soppresso, a meno che non sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale oppure si converta in strumento atto ad impedire l’esercizio di quei diritti nei quali si esprime la sovranità popolare.

Lo sciopero di solidarietà

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La Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimità anche del c.d. sciopero di solidarietà, il quale ricorre quando alcuni lavoratori scioperano senza avanzare una pretesa che influisca sul loro rapporto di lavoro, ma per solidarizzare con le rivendicazioni di altri gruppi.Affinchè tale forma di sciopero sia legittima è necessario che sussista una comunione di interessi tra i due gruppi di lavoratori.Secondo la Corte costituzionale, la sussistenza di una comunanza di interessi deve essere accertata dal giudice, ma ciò appare in contrasto col principio di autodeterminazione dell’interesse collettivo, il quale comporta che il gruppo sindacale sia libero di valutare l’esistenza di un interesse tale da giustificare lo sciopero.

Le c.d. forme anomale di sciopero

Deve distinguersi fra sciopero a singhiozzo e sciopero a scacchiera.Lo sciopero a singhiozzo è una astensione dal lavoro frazionata nel tempo in periodi brevi; Lo sciopero a scacchiera si ha quando l’astensione dal lavoro è effettuata in tempi diversi da differenti gruppi di lavoratori, le cui attività sono interdipendenti. Queste due forme di sciopero vengono anche dette sciopero articolato.Esse sono volte a produrre il massimo danno al datore di lavoro con la minima perdita di retribuzione per gli scioperanti.

Sciopero articolato e danno ingiusto

Sullo sciopero articolato, la giurisprudenza elaborò la teoria del c.d. danno ingiusto, con la quale si tracciava un limite alla legittimità dello sciopero articolato.In tal senso la giurisprudenza definiva la nozione di sciopero facendo riferimento al concetto di “totalità” intesa sia come contemporaneità dell’astensione al lavoro dei lavoratori sia come continuità temporale dell’astensione.Ricorrendo tali requisiti si aveva sciopero e al danno subito dal datore di lavoro corrispondeva la perdita della retribuzione da parte dei lavoratori.Al contrario in uno sciopero articolato tale corrispettività non ricorreva e ciò determinava che il danno per il datore di lavoro sia ingiusto.Tuttavia questa teoria era criticabile perché non dava elementi per determinare quantitativamente l’ingiustizia del danno.

Sciopero e responsabilità aquiliana

Secondo alcuni autori sui partecipanti allo sciopero grava l’obbligo di rispettare la sfera giuridica altrui, nella quale deve essere compreso anche l’interesse del datore di lavoro alla conservazione dell’organizzazione aziendale in vista della ripresa dell’attività produttiva.Secondo questa tesi, danno ingiusto sarebbe quello che lede l’interesse del datore di lavoro alla conservazione dell’organizzazione aziendale.In materia la Cassazione ha affermato che l’entità del danno in mancanza di una determinazione di legge in tal senso, non è elemento di qualificazione dello sciopero come legittimo o meno.

Il danno alla produttività e il danno alla produzione

Tra i beni che lo sciopero non deve ledere vi è la libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., la quale non deve essere intesa come libertà di realizzare profitto, ma in senso dinamico come attività imprenditoriale diretta a promuovere il diritto al lavoro dei cittadini.Quindi, secondo la Cassazione lo sciopero non deve causare danno alla produttività, cioè deve essere esercitato con modalità tali da non pregiudicare irreparabilmente la capacità produttiva dell’azienda, e cioè la possibilità dell’imprenditore di continuare a svolgere la sua iniziativa economica.Da parte degli scioperanti vi è il dovere di rispettare la capacità dell’organizzazione produttiva a riprendere a funzionare e non le capacità competitive dell’impresa sul mercato.

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Un caso particolare è quello degli impianti che non possono essere fermati, pena il deperimento del materiale.A tale problematica si è fatto luogo mediante le c.d. comandate, cioè attraverso accordi tra imprenditore e sindacati in forza dei quali una certa quantità di lavoratori continua a prestare le proprie opere per evitare che lo sciopero produca un danno alla produttività dell’impresa, ma con modalità tali da non far perdere efficacia all’azione di lotta.

Sciopero e servizi essenziali

Fino al 1990 la disciplina dello sciopero nei servizi essenziali era affidata agli artt. 330 e 331 c.p., che prevedevano i reati di abbandono collettivo ed individuale di un pubblico servizio.Una disciplina speciale che limitava il diritto di sciopero era stata introdotta per particolari categorie di lavoratori operanti in settori di estrema delicatezza (settore nucleare).Un divieto di scioperare era infine previsto per i militari e per il personale di Polizia.Il legislatore del 1990 ha lasciato inalterati tali divieti, abrogando le due disposizioni del codice penale e mutuando i principi fondamentali della legge dalle sentenze della Corte costituzionale. Tali principi sono i seguenti:

1. I servizi pubblici essenziali sono quelli funzionali all’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti;

2. In questi servizi il diritto di sciopero deve essere esercitato con modalità tali da consentire l’effettivo godimento di questi diritti;

3. Il diritto di sciopero e l’altro diritto coinvolto devono essere contemperati, individuando i servizi minimi che devono comunque essere erogati anche in corso di sciopero.

I servizi essenziali

La L. 146/90 ha introdotto limiti al diritto di sciopero nei servizi essenziali allo scopo di contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti costituzionalmente tutelati.L’art. 1 definisce servizi essenziali quelli volti a garantire i diritti della persona costituzionalmente garantiti. Essi sono: diritto alla vita, alla salute, alla libertà e sicurezza, all’assistenza sociale, etc.La legge per definire i servizi essenziali, utilizza un criterio teleologico nel senso che qualifica servizi essenziali quelli finalizzati a garantire certi diritti.In proposito il legislatore sottolinea che è irrilevante, ai fini della essenzialità del servizio, la natura giuridica del rapporto di lavoro, sia essa pubblica o privata.

L’astensione dal lavoro dei lavoratori autonomi

Nella legge 146/90 non mancavano elementi che indicassero la volontà del legislatore di estendere la normativa anche al di là dei confini del lavoro subordinato.In materia la Corte costituzionale aveva auspicato che la mancanza di regole sull’astensione dei lavoratori non subordinati venisse rimossa con un adeguato intervento legislativo.Quindi la Corte tramite tale auspicio aveva affermato di non qualificare come sciopero le astensioni dei lavoratori autonomi.La Corte tornò sull’argomento dichiarando incostituzionale l’art. 2 comma 1 e 5 della L.146/90, nella parte in cui non prevedeva anche per le astensioni dei lavoratori autonomi l’obbligo del preavviso e gli strumenti per assicurare le prestazioni indispensabili, laddove la loro astensione dal lavoro incidesse sulla funzionalità dei servizi pubblici.La legge 83/2000 ha colmato tale lacuna, prevedendo l’estensione dei limiti posti al diritto di sciopero anche all’astensione collettiva dalle prestazioni da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che incida sulla funzionalità dei servizi pubblici essenziali.

Il preavviso e l’obbligo di indicare la durata

In caso di sciopero nei servizi essenziali, la legge 146 indicava 3 limiti:

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1. L’obbligo del preavviso;2. L’indicazione della durata dello sciopero;3. Adottare misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili

La nuova legge ha integrato alcune previsioni della L. 146.L’art. 2 comma 2 L. 146 prescrive che, nei settori indicati dalla legge, i contratti collettivi prevedano procedure di conciliazione delle controversie in pendenza delle quali né i sindacati possono proclamare lo sciopero, né le amministrazioni o gli imprenditori possono adottare la misura controversa. Tale procedura però, proprio perché prevista dal contratto collettivo, vincola solo le organizzazioni che lo abbiano stipulato e per evitare ciò, la nuova legge disciplina essa stessa una procedura di conciliazione da applicare quando non sia applicabile quella contrattuale.Un primo limite al diritto di sciopero riguarda l’obbligo del preavviso, che minimo deve essere di 10 gg.Il preavviso serve per consentire alla amministrazione di predisporre le misure necessarie per l’erogazione delle prestazioni indispensabili e deve essere contenuto in una comunicazione scritta, la quale deve contenere anche durata e modalità dello sciopero, nonché le sue motivazioni.La comunicazione deve essere indirizzata alle imprese o all’amministrazione che eroga il servizio e all’autorità competenze alla precettazione, che a sua volta deve trasmettere la comunicazione alla commissione di garanzia.Inoltre le amministrazioni e le imprese hanno l’obbligo di comunicare all’utenza almeno con 5 gg. di anticipo l’inizio dello sciopero.In alcuni settori gli effetti negativi dello sciopero si determinano a prescindere dall’effettiva astensione grazie al c.d. effetto annuncio, in forza del quale ad es. il preavviso di uno sciopero nel settore aereo induce gli utenti a non viaggiare quel giorno.In questi casi chi promuove lo sciopero può danneggiare la controparte anche senza praticare l’astensione e quindi senza subire la decurtazione della retribuzione.In proposito la riforma del 2000 ha previsto che la revoca dello sciopero dopo che ne sia stata data informazione all’utenza, costituisce una forma sleale di azione sindacale soggetta a sanzione, laddove non sia giustificata o da una evoluzione della vertenza o da una richiesta in tal senso della commissione di garanzia.Le norme del preavviso, infine, non si applicano nei casi di scioperi in difesa dell’ordine costituzionale o di protesta per gravi lesioni dell’incolumità o della sicurezza dei lavoratori, fermo restando l’obbligo di garantire i servizi minimi.

Le prestazioni indispensabili

Nel caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali dovranno comunque assicurarsi alcune prestazioni indispensabili, la cui individuazione è affidata ai contratti collettivi stipulati tra le amministrazioni o le imprese erogatrici dei servizi e i sindacati dei lavoratori.Non avendo i lavoratori autonomi, i professionisti e i piccoli imprenditori una contrattazione collettiva, tale individuazione è rimessa ai codici di autoregolamentazione adottati dalle associazioni.Tali accordi devono individuare le prestazioni indispensabili che il servizio deve assicurare, le modalità di erogazione e possono disporre misure per stabilire le quote di lavoratori necessari perché si possano produrre le prestazioni indispensabili.Inoltre la L. 83/2000 aggiunge che gli accordi devono indicare anche gli intervalli minimi tra uno sciopero e l’altro, quando ciò sia necessario per evitare che lo svolgimento di scioperi successivi compromettano la continuità dei servizi pubblici.Le previsioni contrattuali circa le prestazioni indispensabili hanno efficacia sia per le amministrazioni pubbliche sia per le imprese private erogatrici di servizi pubblici. Infatti se così non fosse gli accordi sarebbero inutili, visto che le prestazioni indispensabili da erogare sono pur sempre prodotti dall’organizzazione di impresa e la funzionalità della stessa non potrebbe essere garantita se i sindacati e i lavoratori non fossero obbligati ad osservare le regole poste dall’accordo.In materia, la Corte costituzionale ha affermato tuttavia che l’obbligo dei lavoratori a prestare la propria opera nonostante lo sciopero non deriva dall’accordo, ma dal regolamento di servizio in quanto atto di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro.

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Tuttavia è da rilevare che i regolamenti di servizio sono richiamati solo per le amministrazioni pubbliche e non per le imprese private. A ben guardare, l’obbligo del contemperamento tra l’esercizio del diritto di sciopero e i diritti della persona costituzionalmente garantiti deriva non dall’accordo, ma direttamente dalla legge, e ancor prima, dal sistema costituzionale.Quindi l’accordo ha solo la funzione di precisare gli obblighi gravanti sui soggetti posti dalla legge.

La regolamentazione provvisoria disposta dalla Commissione di Garanzia

Al fine di valutare l’idoneità delle misure volte ad assicurare il contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, la L. 146/1990 ha istituito la Commissione di garanzia, la quale è un’autorità indipendente di derivazione parlamentare.Il più importante dei suoi compiti è valutare l’idoneità degli accordi a garantire il contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati.Se la valutazione è negativa, la Commissione formula una proposta sulla quale le parti devono pronunciarsi. Se la proposta non viene accettata, è la Commissione a disporre le regole di esercizio dello sciopero idonee a realizzare quel contemperamento.In tal caso la regolamentazione disposta dalla Commissione è qualificata dalla legge come provvisoria: infatti le parti possono in ogni momento farne cessare l’efficacia realizzando un accordo, il quale a sua volta deve essere valutato idoneo dalla stessa Commissione.

Le sanzioni

Gli artt. 4 e 13 L. 83/2000 dispongono che la Commissione ha il potere di valutare il comportamento delle parti di un conflitto sindacale.Tale potere è sottoposto a vincoli procedurali: l’apertura del procedimento può avvenire d’ufficio ovvero su istanza delle parti; deve essere notificata alle parti che hanno 30 gg. per presentare osservazioni.Decorso tale termine, la Commissione formula la propria valutazione e se valuta negativamente il comportamento, delibera le sanzioni indicando il termine entro cui la sua decisione deve essere eseguita. Nei confronti dei lavoratori che partecipano ad uno sciopero illegittimo possono essere comminate sanzioni disciplinari proporzionate alla gravità dell’infrazione, con l’esclusione del licenziamento.Il datore di lavoro è tenuto ad applicare la sanzione comminata dalla Commissione a pena di sanzione amministrativa pecuniaria.Inoltre le organizzazioni dei lavoratori che proclamino uno sciopero in violazione delle disposizioni di cui all’art. 2 (preavviso, comunicazione della durata, modalità etc). possono incorrere in 3 tipi di sanzioni: la sospensione dei permessi sindacali retribuiti; la mancata percezione dei contributi sindacali trattenuti sulla retribuzione; l’esclusione dalle trattative.Nel caso in cui queste sanzioni non vengano applicate, è prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria a carico di chi risponde legalmente per l’organizzazione.I dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche e i legali rappresentanti delle imprese che eroghino servizi pubblici essenziali sono soggetti a sanzioni amministrative pecuniarie quando non garantiscano le prestazioni indispensabili.Inoltre le associazioni dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori sono soggette a sanzioni amministrative pecuniarie in caso di violazione dei codici di autoregolamentazione o della regolamentazione provvisoria dettata dalla Commissione di garanzia.In tutti i casi è consentito ricorso contro le relative deliberazione innanzi al giudice del lavoro.

Le associazioni degli utenti

Le associazioni degli utenti possono agire in giudizio a tutela di interessi collettivi.

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Esse possono esprimere pareri alla Commissione di garanzia in sede di valutazione dell’idoneità delle prestazioni indispensabili e possono richiedere l’apertura del procedimento di applicazione delle sanzioni alla Commissione di garanzia.Inoltre si prevede che le stesse sono legittimate ad agire in giudizio in relazione a specifiche situazioni concernenti le astensioni dal lavoro nei servizi essenziali.Nei confronti delle organizzazioni sindacali l’azione è ammissibile quando lo sciopero sia stato revocato dopo la comunicazione all’utenza e quando venga effettuato nonostante la delibera di invito a differirlo da parte della Commissione di garanzia.Nei confronti delle amministrazioni e delle imprese, l’azione in giudizio è possibile qualora non vengano fornite adeguate informazioni e da ciò consegua un pregiudizio al diritto degli utenti di usufruire dei servizi pubblici .In entrambi i casi il provvedimento richiesto sarà finalizzato alla inibizione o alla eliminazione del comportamento dannoso.

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