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UNIVERSIT ` A DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA FACOLT ` A DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI DIPARTIMENTO DI FISICA TESI DI LAUREA SPECIALISTICA IN SCIENZE DELL’UNIVERSO Caratterizzazione Fisica dell’Asteroide 4 Vesta Obiettivo della Missione Spaziale Dawn Relatore interno: Ch.mo Prof. Roberto Buonanno Relatore esterno: Dott. Elisabetta Dotto Laureando: Laura Fratto ANNO ACCADEMICO 2005-2006

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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATAFACOLTA DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

DIPARTIMENTO DI FISICA

TESI DI LAUREA SPECIALISTICA INSCIENZE DELL’UNIVERSO

Caratterizzazione Fisicadell’Asteroide 4 Vesta

Obiettivo della Missione Spaziale Dawn

Relatore interno: Ch.mo Prof. Roberto Buonanno

Relatore esterno: Dott. Elisabetta Dotto

Laureando: Laura Fratto

ANNO ACCADEMICO 2005-2006

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Alla mia famiglia

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“...ha stampate in copertina,a grandi caratteri che ispirano fiducia,

le parole NON FATEVI PRENDERE DAL PANICO”

Guida Galattica per Autostoppisti

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Indice

1 Introduzione 3

2 I corpi minori del Sistema Solare 52.1 Generalita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52.2 Collisioni e famiglie dinamiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92.3 Classificazione tassonomica degli asteroidi . . . . . . . . . . . . 102.4 Asteroidi e analoghi meteoritici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132.5 Lo space weathering . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

3 L’asteroide 4 Vesta 193.1 Caratteristiche fisiche e dinamiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 193.2 La relazione Vesta-vestoidi-HED . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

3.2.1 Le meteoriti HED . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203.2.2 Lo spettro di Vesta e delle HED . . . . . . . . . . . . . . 213.2.3 I vestoidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 283.2.4 Il problema dello space weathering . . . . . . . . . . . . 323.2.5 L’asteroide 1459 Magnya . . . . . . . . . . . . . . . . . . 353.2.6 NA011 e Ibitira . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

3.3 Storia geologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 363.4 Immagini di Vesta dall’HST . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

3.4.1 Dati del 1994 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373.4.2 Dati del 1996 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

3.5 Mappe litologica e geologica della superficie . . . . . . . . . . . 433.6 La missione Dawn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

4 Acquisizione e riduzione dati 494.1 Telescopio e strumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

4.1.1 NACO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 504.2 Osservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 534.3 Immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

4.3.1 Preriduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 564.3.2 Deconvoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

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4.4 Spettri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 684.4.1 Riduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70

5 Interpretazione dei risultati 765.1 Immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

5.1.1 Misura dell’angolo di aspetto . . . . . . . . . . . . . . . 765.1.2 Misura delle dimensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 795.1.3 Misura delle longitudini . . . . . . . . . . . . . . . . . . 815.1.4 Caratteristiche superficiali . . . . . . . . . . . . . . . . . 82

5.2 Spettri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 865.2.1 Composizione dei pirosseni (BI vs BII e BAR) . . . . . . 865.2.2 Confronto con le meteoriti . . . . . . . . . . . . . . . . . 93

6 Conclusioni 99

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Capitolo 1

Introduzione

Lo studio dei corpi minori del Sistema Solare e importante poiche ci offre lapossibilita di investigare materiale poco processato, al fine di ottenere indi-cazioni utili sulla natura della nebula protoplanetaria, alle varie distanze dalSole, e sulla formazione e le prime fasi di evoluzione del Sistema Solare.In particolare questo lavoro di tesi e rivolto allo studio approfondito dell’a-steroide 4 Vesta, obiettivo della missione spaziale Dawn che verra lanciata nelGiugno 2007. Questo asteroide e il secondo piu grande, sia in dimensione chein massa, della Cintura Principale posta tra Marte e Giove ed e un oggettodel tutto peculiare in quanto costituisce l’unico esempio, sinora conosciuto,di asteroide differenziato. Osservazioni da Terra, modelli e misure di densitahanno infatti mostrato che esso e composto da una crosta basaltica, un man-tello esposto in un grande cratere da impatto e un nucleo metallico. La suastruttura quindi e del tutto simile a quella dei pianeti terrestri, sebbene lasua dimensione sia molto piu piccola (Rmedio = 266 ± 12km). Questo oggettopotrebbe quindi essere considerato il piu piccolo tra i pianeti terrestri.Inoltre 4 Vesta e uno dei pochi asteroidi per cui si e riusciti a trovare un collega-mento completo con una famiglia dinamica, alcuni oggetti della popolazionedei NEO (Near Earth Objects) e alcune meteoriti. Quindi ulteriori informazionicirca la sua storia evolutiva e composizione possono essere ottenute dallo stu-dio nei laboratori dei campioni di meteoriti ad esso collegati.Infine, poiche la storia geologica di Vesta ha avuto luogo nei primi 10 milionidi anni di vita del Sistema Solare, lo studio di questo asteroide e molto impor-tante anche per capire le prime differenziazioni dei corpi avvenute durante laformazione del Sistema stesso.Al fine di migliorare la conoscenza delle caratteristiche fisiche di Vesta, nelcorso del presente lavoro sono stati analizzati immagini e spettri acquisiti uti-lizzando tecniche di ottica adattiva con il telescopio VLT (Very Large Tele-scope presso l’ESO (European Southern Observatory). Queste osservazioni siinseriscono nei progetti internazionali di studio degli obiettivi della missione

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Dawn. La conoscenza dettagliata delle caratteristiche superficiali degli oggettiche verranno visitati da una missione spaziale e infatti molto importante perla corretta progettazione delle operazioni di avvicinamento e delle proceduredi osservazione da eseguire durante il sorvolo. Inoltre il confronto tra i risul-tati ottenuti e i dati acquisiti “in situ” permette la calibrazione assoluta deimetodi di indagine basati sulle osservazioni da Terra, che sono necessari perlo studio delle caratteristiche degli asteroidi che non verranno mai studiati dauna missione spaziale.In questa tesi, dopo aver fornito nel secondo Capitolo una panoramica intro-duttiva sulle conoscenze attuali dei corpi minori del Sistema Solare, si presenta,nel terzo Capitolo, una descrizione completa dell’asteroide 4 Vesta. La primaparte tratta delle caratteristiche fisiche e dinamiche dell’asteroide, e successi-vamente della connessione, gia accennata, tra Vesta, la sua famiglia dinamicae le meteoriti; segue una descrizione geologica della superficie ottenuta tramiteimmagini e spettri disponibili in letteratura. Il Capitolo si conclude con unabreve descrizione della missione Dawn.Nel quarto Capitolo, dopo una breve introduzione sul telescopio VLT e suglistrumenti utilizzati (sistema di ottica adattiva NAOS-CONICA) per l’acqui-sizione dei dati analizzati in questo lavoro di tesi, si passa a descrivere il pro-cedimento di acquisizione e riduzione dei dati. Viene presentata separatamentela riduzione delle immagini e degli spettri. Nella riduzione delle prime si e datoparticolare risalto alle tecniche di deconvoluzione.Infine, nel quinto Capitolo, viene descritta l’analisi e l’interpretazione dei datiin studio. Il Capitolo e diviso in due sezioni in cui si analizzano separatamentele immagini e gli spettri. L’analisi delle immagini e stata eseguita confrontandoi risultati con immagini dell’asteroide acquisite dall’HST (Hubble Space Tele-scope) nel 1994 e nel 1997. Le principali strutture superficiali identificate sonol’Olbers Regio e una zona circolare scura ad una longitudine di circa 62◦. Nelleimmagini analizzate e inoltre evidente il profilo del grande cratere al polo Suddi Vesta, identificato per la prima volta da HST. Per i dati di spettroscopiaci si e concentrati sull’analisi della regione prossima al polo Nord. E stataeseguita l’analisi delle bande spettroscopiche e sono stati effettuati confronticon spettri di meteoriti. E stata evidenziata una maggior presenza di pirossenia basso contenuto di calcio sulla porzione analizzata della superficie di Vesta.Un maggior contenuto di olivine e stato individuato nell’emisfero Est. Dalconfronto con le meteoriti e risultato inoltre evidente l’assenza di processi diinvecchiamento della superficie (space weathering).

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Capitolo 2

I corpi minori del SistemaSolare

Lo studio dei corpi minori del Sistema Solare e importante per investigare iprocessi che hanno guidato la formazione e le prime fasi di evoluzione di pianetie satelliti. Infatti solo in alcuni asteroidi, meteoriti e oggetti transnettuniani,si puo trovare del materiale primordiale che non e stato modificato da processigeologici come la differenziazione, l’erosione o il metamorfismo. Questi proces-si, infatti, quando si verificano su un corpo, tendono a cancellare la sua storiaprecedente.In particolare la Cintura Principale di asteroidi (MB, Main Belt) e quanto esopravvissuto dell’originale popolazione di planetesimi in orbite comprese traMarte e Giove. Perturbazioni gravitazionali e collisioni catastrofiche hannomodificato la popolazione originale, producendo una perdita di massa di pro-porzioni ancora non conosciute.L’analisi della composizione degli asteroidi puo fornire vincoli sulla conoscen-za dell’evoluzione collisionale dei planetesimi e sulla sopravvivenza dei loroframmenti.

2.1 Generalita

La struttura generale della distribuzione dei corpi minori e la loro evoluzionedinamica e collegata alle risonanze orbitali con i pianeti che possono essere didue tipi: di moto medio e secolari.Si ha una risonanza di moto medio quando i periodi orbitali di due corpi sonolegati tra loro da rapporti numerici semplici. Questo rapporto numerico co-munemente fornisce la designazione di una risonanza di questo tipo.Si ha invece una risonanza secolare tra due corpi quando le loro precessioni del-l’argomento del perielio (rotazione dell’orbita sul suo piano) o delle longitudinidel nodo (rotazione del piano orbitale intorno al polo dell’eclittica) presentano

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un periodo uguale.Le risonanze perturbano in modo forte e cumulativo le orbite e possono averesia l’effetto dinamico di “svuotare” alcune regioni del Sistema Solare che quellodi stabilizzare la configurazione di alcuni gruppi di corpi minori.

A seconda delle caratteristiche orbitali, i corpi minori vengono distinti indiversi “gruppi dinamici”:

• Oggetti della Nube di Oort: la Nube di Oort e una regione sferica checirconda il Sistema Solare estendendosi fino a ∼ 100000UA. Contienemilioni di corpi minori e si ritiene sia il serbatoio da cui provengono lecomete di lungo periodo.

• Transnettuniani: i TNO (Trans Neptunian Object) sono oggetti consemiasse maggiore dell’orbita a ≥ 30UA, situati quindi oltre l’orbita diNettuno. Questi oggetti vengono ulteriormente suddivisi in:

– Risonanti: corpi in risonanza orbitale con Nettuno.

– Kuiper Belt Object (KBO): oggetti appartenenti alla Cintura diKuiper, estesa tra 30 e 50UA dal Sole, non legati a nessuna riso-nanza orbitale con Nettuno.

– Scatterati: oggetti espulsi oltre la cintura di Kuiper (oltre 50UA dalSole) in seguito ad incontri ravvicinati con Nettuno. Presentanoorbite fortemente ellittiche.

• Comete di lungo e corto periodo: le comete di lungo periodo sonocorpi ad alta inclinazione provenienti dalla Nube di Oort ed immessisu orbite piu interne a causa di collisioni o perturbazioni gravitazionali.Presentano un periodo orbitale P > 200 anni. Le comete di corto periodoprovengono invece dalla Cintura di Kuiper e sono caratterizzate da unperiodo P < 200 anni e da inclinazioni inferiori rispetto alle comete dilungo periodo.

• Centauri: sono definiti Centauri gli oggetti con semiasse maggiore com-preso nell’intervallo 5.4UA < a < 30UA, situati cioe tra le orbite diGiove e Nettuno. Le loro orbite sono caotiche1, caratterizzate da untempo di vita medio piuttosto breve, dell’ordine di 106 − 107 anni. Si

1Si definisce caotico il moto di un corpo quando, per condizioni iniziali molto si-mili, si ottengono orbite con parametri orbitali che divergono esponenzialmente su tem-pi scala dell’ordine del coefficiente di Lyapunov [Nobili 1989]. Tale coefficiente e definitocome limt→+∞γ(t)/t, dove γ(t) = log ν(t)

ν0, in cui ν(t) e la soluzione delle equazioni del

moto relativo, linearizzate intorno al moto in esame con la condizione iniziale ν(0) = ν0

[Milani et al. 1992].

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ritiene siano oggetti provenienti dalla cintura di Kuiper, perturbati gra-vitazionalmente da Nettuno.

• Troiani: gli asteroidi in risonanza 1 : 1 con un pianeta, posizionati neipunti lagrangiani L4 e L5 (quelli che lo precedono e seguono di 60◦),sono definiti Troiani di quel pianeta. Inizialmente si conoscevano solo iTroiani di Giove, ad oggi si conoscono anche 6 Troiani di Marte (con ca-talogazione ancora dubbia) e 4 di Nettuno. Si pensa dunque che possanoesistere asteroidi Troiani anche sulle orbite di altri pianeti, in particolarmodo Saturno e Urano.

• Asteroidi della Cintura Principale: gli asteroidi sono piccoli corpi,composti da materiale non volatile roccioso o metallico, che seguonoorbite indipendenti intorno al Sole. La maggior parte degli asteroidiconosciuti orbita tra 2.2 e 3.3UA, nella Cintura Principale situata traMarte e Giove. In questa regione non si e riuscito a formare unpianeta dall’aggregazione di planetesimi poiche le perturbazioni causatedal protogiove hanno provocato un incremento delle velocita relative deiplanetesimi, impedendo il meccanismo di accumulazione che e possibilesolo in presenza di urti a bassa velocita.L’istogramma di Figura 2.1 mostra la distribuzione degli asteroidi infunzione del semiasse maggiore a. I bordi della MB sono definiti dallerisonanze di moto medio 4 : 1 e 2 : 1 con Giove. Le risonanze orbitali conGiove sono inoltre responsabili della creazione di zone prive di oggetti,denominate lacune di Kirkwood, corrispondenti alle risonanze di motomedio 3 : 1, 5 : 2 e 7 : 3. Al di fuori della MB le risonanze hanno inveceprovocato addensamenti di asteroidi, come gli Hilda e Thule collocatirispettivamente in corrispondenza delle risonanze 3 : 2 e 4 : 3 (Figura2.1).Il quadro generale dell’azione dei meccanismi di risonanza sugli asteroidipuo essere cosı delineato ([Wisdom 1983],[Wisdom 1987]):

– Sia le risonanze di moto medio che alcune risonanze secolari au-mentano notevolmente l’eccentricita dell’orbita degli asteroidi suuna scala temporale dell’ordine del milione di anni.

– Tale incremento dell’eccentricita e molto regolare nel caso dellerisonanze secolari, mentre nel caso delle risonanze di moto medio(soprattutto la 3:1 e 5:2 con Giove) risulta estremamente irregolare.

– L’aumento del valore dell’eccentricita comporta la trasformazionedelle orbite da quasi circolari a fortemente ellittiche e cio puo farsı che, talvolta, le nuove orbite attraversino quelle dei pianeti piuinterni, Terra compresa.

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Figura 2.1. Istogramma della densita numerica degli asteroidi in fun-zione della distanza eliocentrica (semiasse maggiore dell’orbita degliasteroidi). Sono indicate nella scala i semiasse maggiori di Terra,Marte e Giove e le distanze eliocentriche di alcune risonanze di motomedio con Giove.

– Il passaggio ravvicinato accanto ai pianeti e un efficiente mecca-nismo dinamico in grado di “estrarre” un asteroide dalla sua orbitarisonante.

La sovrapposizione di risonanze differenti, incontri ravvicinati e collisionipuo rendere caotica l’orbita di un asteroide.In [Wisdom 1983] e [Wisdom 1987] si e cercato di risolvere analiticamentel’effetto delle risonanze sulla distribuzione degli asteroidi, ottenendo or-bite quasi-periodiche in corrispondenza della risonanza con Giove 3 : 2,e orbite caotiche in corrispondenza delle risonanze 3 : 1 e 2 : 1.

• Mars Crossers: per convenzione rientrano in questo gruppo tutti glioggetti con perielio 1.3UA < q < 1.666UA (non necessariamente inter-secanti l’orbita di Marte).

• Near Earth Objects (NEO): sono definiti NEO tutti gli asteroidi ele comete la cui orbita possiede un perielio inferiore a 1.3UA. I NEO aloro volta sono classificati in quattro sottogruppi a seconda dei valori delsemiasse maggiore a, dell’afelio Q e del perielio q, Figura 2.2:

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Figura 2.2. Orbite degli asteroidi (1862) Apollo, (1221) Amor e(2062) Aten, proiettate sul piano dell’eclittica e raffigurate insieme aquella terrestre.

– Amor: a > 1UA e 1.017 < q < 1.3UA. Si trovano all’esternodell’orbita terrestre.

– Apollo: a > 1UA e q < 1.017UA (pari all’afelio terrestre). Possonointersecare l’orbita terrestre.

– Aten: a < 1UA e Q > 0, 983UA (pari al perielio terrestre). Possonoattraversare l’orbita terrestre.

– Inner Earth Objects (IEO): a < 1 e Q < 0.983. Hanno orbitecompletamente interne a quella terrestre. Ad oggi se ne conosconosolo 5.

2.2 Collisioni e famiglie dinamiche

Le collisioni costituiscono uno dei processi piu importanti nell’evoluzione delSistema Solare. Esse modificano i parametri orbitali dei singoli oggetti e pos-sono provocarne la frammentazione in corpi via via piu piccoli. Una possibileconseguenza di questo fenomeno fra gli asteroidi e la creazione di famiglie di-namiche, costituite da corpi con parametri orbitali molto simili, prodotti dauna rottura parziale o totale di un corpo genitore. Una volta riconosciuta lapresenza di una di queste famiglie, e possibile calcolare le velocita di eiezionedei suoi membri in base alle differenze tra i parametri delle loro orbite e dell’or-bita dedotta per il corpo genitore. Le velocita di eiezione possono raggiungerediverse centinaia di m · s−1 e puo accadere che parte dei frammenti originatidalla collisione possa raggiungere le vicine risonanze orbitali, e possa essereimmessa su orbite piu vicine al Sole. Di conseguenza lo studio delle famigliedinamiche di asteroidi fornisce importanti informazioni sui processi che hannoguidato la distruzione collisionale di grandi corpi, sul tasso di diffusione or-

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bitale nella MB, sul tempo di vita collisionale degli asteroidi in funzione delladimensione, sulla storia e sulla composizione dei corpi genitori.

2.3 Classificazione tassonomica degli asteroidi

La tassonomia e la classificazione di oggetti in categorie ordinate ed e usa-ta in varie forme in tutti i campi delle scienze naturali. Una classificazionepuo essere basata su una singola proprieta o su una combinazione di proprietadegli oggetti. La classificazione tassonomica nel caso degli asteoroidi raggrup-pa oggetti con caratteristiche spettroscopiche simili.Dal 1970 diversi gruppi di ricercatori hanno diviso la popolazione degli aste-roidi in varie classi tassonomiche, definite sulla base delle caratteristiche deglispettri nel visibile e vicino infrarosso. Combinando spettrofotometria a ban-da stretta con misure di albedo 2 ed osservazioni polarimetriche e radar, in[Chapman et al. 1975] e stata proposta la prima nomenclatura tassonomicabasata su un sistema di lettere: C per gli oggetti carbonacei scuri, S per quellirocciosi o “silicatici” e U per quelli che non rientravano nelle due principalicategorie.Ancora oggi la tassonomia piu usata e quella proposta da [Tholen 1984], chee una estensione logica del precedente sistema di Chapman. Questa classifi-cazione e ricavata utilizzando i colori spettrofotometrici a larga banda (0.3 −1.1µm) ottenuti durante l’ECAS (Eight Color Asteroid Survey) [Zellner at al.1985] includendo anche misure di albedo nella definizione dei confini di alcuneclassi. La tassonomia di Tholen comprende 14 classi, ciascuna identificata conuna lettera. Oltre alle due classi di [Chapman et al. 1975], S e C, che sonoanche le piu densamente popolate, esistono nove gruppi di oggetti, contrasse-gnati dalle lettere A, B, D, F, G, Q, R, T e V. Vengono considerate poi altretre classi, identificate dalle lettere E, M e P, che non mostrano bande spettralinella risoluzione dei dati di ECAS e che sono state separate in base ai valoridell’albedo. Altre lettere utilizzate nella tassonomia di Tholen sono la I, perindicare dei dati inconsistenti, la U, per spettri inusuali, la X, per indicare unospettro appartenente alle classi E, M, o P ma per cui non e disponibile unamisura dell’albedo. Designazioni multiple sono possibili in caso di incertez-za. In Tabella 2.1 sono riassunte le caratteristiche spettroscopiche delle varieclassi tassonomiche individuate da [Tholen 1984] e in Figura 2.3 sono mostratispettri di asteroidi tipici appartenenti alle varie classi tassonomiche.

Nel corso degli anni sono state proposte numerose tassonomie alternative(ad es. [Bell et al. 1989] e [Bus et al. 2002b]), che hanno utilizzato insiemi didati piu estesi o algoritmi di classificazione diversi, ma che per la maggior parte

2Viene definito albedo di un corpo il rapporto tra il flusso solare incidente e il flussoriflesso.

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Tabella 2.1. Caratteristiche spettrali delle varie classitassonomiche.

Tipi Albedo Spettri ditassonomici riflettanza

C 0.03 − 0.07 Piuttosto piatto con bande di assorbimentonell’UV e talvolta a 3µm.

B 0.04 − 0.08 Analogo al tipo C ma leggermente piubrillante e neutro in colore.

F 0.03 − 0.06 Piatto (colore neutro) senzaassorbimento nell’UV.

G 0.05 − 0.09 Analogo al tipo C ma piu brillantee con assorbimento minore nell’UV.

P 0.02 − 0.06 Lineare e appena arrossato, analogoal tipo M ma con bassa albedo.

D 0.02 − 0.05 Piu rosso del tipo P, soprattuttoverso i 0.6µm; albedo molto bassa.

T 0.04 − 0.11 Arrossato soprattutto a piu basse lunghezzed’onda; intermedio tra il tipo D e il tipo S.

S 0.10 − 0.22 Arrossato al di sotto di 0.7µm; assorbimentodebole o moderato in prossimita di 1 e 2µm.

M 0.10 − 0.18 Lineare e leggermente arrossato (come il tipo P)ma con albedo moderata.

E 0.25 − 0.60 Lineare, piatto o leggermente arrossato.

A 0.13 − 0.40 Forti assorbimenti nell’UV e in prossimitadi 1.1µm prodotti dalle olivine.

Q moderata Come il tipo S ma con assorbimenti piumarcati.

R moderatamente Come il tipo S ma con assorbimenti piualta marcati (prodotti dalle olivine).

V moderatamente Come il tipo S ma con assorbimenti piualta marcati (prodotti dai pirosseni) e una banda

aggiuntiva a 0.55µm.

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Figura 2.3. Spettri di asteroidi rappresentativi delle varie classitassonomiche. Fonte: [Gaffey 1997]

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confermano la tassonomia di Tholen.Sebbene nessuna interpretazione minerologica sia inclusa tra i parametri utiliz-zati nelle varie procedure di classificazione, si ritiene che asteroidi aventi carat-teristiche spettroscopiche simili abbiano un’analoga composizione ed abbianosubito una simile evoluzione termica o dinamica, mentre oggetti appartenentia classi differenti debbano avere differenze reali nella composizione.

2.4 Asteroidi e analoghi meteoritici

Prima delle missioni Apollo era opinione corrente che le meteoriti provenis-sero dalla Luna, dai NEO o da comete che avevano perso la loro componentevolatile nel corso di ripetuti passaggi in prossimita del Sole. Solamente negliultimi decenni si e potuto dimostrare, grazie a prove di natura geochimica epetrologica ([Lipschutz et al. 1989]), che la quasi totalita delle meteoriti e diorigine asteroidale. I meccanismi con cui e possibile questo trasporto di mate-ria sono le collisioni, le risonanze e i conseguenti moti caotici degli asteroidi.Lo studio della composizione degli asteroidi puo permettere l’identificazionedi potenziali corpi genitori di gruppi di meteoriti o oggetti che hanno avutoun’evoluzione simile. Studi spettroscopici hanno permesso l’identificazione dianaloghi asteroidali per la maggior parte delle specie meteoritiche, tra cui siricordano: l’asteroide 4 Vesta per il gruppo delle meteoriti HED (Howarditi,Eucriti, Diogeniti), gli asteroidi del gruppo C per le condriti carbonacee (inparticolare i gruppi CI e CM), gli asteroidi di tipo S per le condriti ordinarie(OC).Se e vero che gli asteroidi della MB sono le principali sorgenti di meteoriti,devono pero necessariamente esistere degli effetti di selezione. C’e infatti unagrande discrepanza tra la varieta dei tipi asteroidali nella MB e la varieta deitipi meteoritici, ed appare evidente che le meteoriti forniscono un campione diminerali incompleto rispetto a quello costituito dalla popolazione sorgente: daqui l’importanza di identificare specie di meteoriti rare e anomale.D’altro canto, lo studio delle eta di esposizione ai raggi cosmici indica la pre-senza di gruppi discreti di meteoriti caratterizzati da eta differenti. Questo faipotizzare che il flusso di meteoriti che ha investito la Terra non sia stato con-tinuo ma sia stato caratterizzato, in epoche ben definite, dalla distruzione dialcuni oggetti, presumibilmente posizionati vicino a una regione di risonanzadella MB o in orbite vicino alla Terra.

2.5 Lo space weathering

La connessione tra asteroidi e meteoriti e pero ancora oggi oggetto di studio,in quanto non per tutte le classi di meteoriti sono stati individuati gli asteroidi

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Figura 2.4. Confronto tra gli spettri di un tipico asteroide S dellaMB (15) e di una condrite ordinaria (LL5).

genitori.Un grande passo in avanti e stato compiuto da [Binzel et al. 1996] e [Binzelet al. 2002], che per primi hanno affrontato questo problema, consideran-do l’effetto dei processi di “invecchiamento” sulle superfici degli asteroidi efornendo una possibile spiegazione del cosiddetto paradosso delle condriti or-dinarie. Sino ad allora, infatti, non si riusciva a spiegare la ragione per cui,nonostante si ritenesse che gli asteroidi di tipo S (la classe piu popolata dellaMB) fossero i piu probabili corpi genitori delle condriti ordinarie (il campionepiu numeroso tra le meteoriti), queste due classi di oggetti mostrassero spettrisimili ma non identici (Figura 2.4). In [Binzel et al. 1996] si e pero notato che iNEO di tipo S presentano proprieta spettrali che spaziano tra quelle delle con-driti ordinarie e quelle degli asteoridi di tipo S della MB (Figura 2.5). Vennequindi proposto che l’intervallo di variazione spettrale fosse dovuto a processidi “invecchiamento” delle superfici o space weathering.

I processi di space weathering, per la prima volta studiati sul suolo lunare([Pieters et al.1993]), coinvolgono i corpi del Sistema Solare che non sono pro-tetti da un’atmosfera o da una magnetosfera. La causa di questo “invecchia-mento” e il bombardamento continuo con raggi cosmici energetici, ioni delvento solare e particelle di polvere interplanetaria (micrometeoriti). Questoprocesso cambia le proprieta spettrali delle superfici dei corpi con effetti diver-si a seconda della loro composizione e della distanza dal Sole. Sulle superficiricche di silicati (come gli asteroidi di tipo S) l’effetto dello space weathering

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Figura 2.5. Spettri di NEO di tipo S sovrapposti a uno spettrotipico di un asteroide di tipo S della MB e di una condrite ordinariaH6. Fonte: [Binzel et al. 1996]

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Figura 2.6. Variazione dei parametri spettrali e dell’albedo inpresenza di space weathering per corpi ricchi di silicati. Fonte:[Doressondiram et al. 1998]

consiste in un progressivo abbassamento dell’albedo, un arrossamento (au-mento della pendenza) degli spettri di riflettanza nell’intervallo di lunghezzed’onda del UV-Vis-NIR e una diminuzione della profondita della banda a 1µm,(Figura 2.6).

Di conseguenza i NEO con spettri piu rossi, simili allo spettro tipico degliasteroidi S della MB (Figura 2.5), avrebbero superfici piu vecchie, mentre quel-li con spettri vicini a quello delle OC sarebbero caratterizzati da superfici piugiovani, forse ringiovanite dagli stessi eventi che hanno prodotto il rilascio dellemeteoriti OC sulla Terra.[Binzel et al. 2002] hanno inoltre evidenziato una relazione tra la dimensionedei NEO di tipo S e la loro pendenza spettrale: i NEO piu piccoli sembranoavere spettri piu simili a quelli delle OC, mentre i NEO di dimensione via viamaggiore sembrano avere spettri sempre piu somiglianti a quelli degli asteroidi

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Figura 2.7. Spettro di riflettanza della meteorite Epinal prima (a)e dopo (d) l’irraggiamento con un flusso di ioni (1.7 · 1016Ar++cm−2)a 60keV , comparato con gli spettri di alcuni NEO. Gli spettri sononormalizzati a 0.7µm. Fonte: [Strazzulla et al. 2005].

di tipo S della MB.Negli ultimi anni gli effetti dello space weathering sono stati studiati per inter-pretare i dati osservativi di numerosi corpi del Sistema Solare e per giustificarele differenze spettrali fra asteroidi appartenenti a famiglie dinamiche e tra aste-roidi e meteoriti.Diversi esperimenti di laboratorio sono stati condotti allo scopo di simulare l’ef-fetto di vari agenti invecchianti (microimpatti, radiazione solare, raggi cosmici)sulle superfici dei corpi privi di atmosfera. Ad esempio [Strazzulla et al. 2005]hanno simulato l’effetto del bombardamento da parte delle particelle pesantidel vento solare, irradiando un campione della condrite ordinaria Epinal conun flusso di ioni di Ar++ a 60keV . Hanno cosı prodotto un arrossamento dellospettro di riflettanza nell’intervallo 0.3 − 2.67µm. Come mostrato in Figu-ra 2.7, gli spettri dei NEO di classe S spaziano all’interno dell’intervallo divariazione esistente tra lo spettro della Epinal prima e dopo l’irraggiamento.Considerando il flusso e l’energia degli ioni pesanti presenti nel vento solare,si e ottenuto che il tempo necessario al processo reale di space weathering perprodurre sulla superficie degli asteroidi gli stessi effetti trovati in laboratorio,e di 104−106anni. Un tempo scala cosı breve implica che gli asteroidi caratte-rizzati da spettri di riflettanza meno rossi debbano essere oggetti molto giovani,oppure che le loro superfici siano state recentemente ringiovanite.

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Studi analoghi condotti con ioni leggeri (H+ e He+) hanno prodotto so-lamente variazioni minime nello spettro delle OC, implicando che l’efficienzadell’irradiazione cresce con la massa degli ioni impiegati ([Hapke 2001]).

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Capitolo 3

L’asteroide 4 Vesta

3.1 Caratteristiche fisiche e dinamiche

L’asteroide 4 Vesta fu scoperto da Olbers il 29 Marzo 1807.Vesta orbita intorno al Sole a una distanza eliocentrica media a = 2.36UA conun’eccentricita di e = 0.097 e un’inclinazione di sin i = 0.112. La sua rotazionee in verso antiorario (progrado) con periodo P = 5.342h. La sua curva di lucee composta da un solo minimo e un solo massimo implicando la presenza diun emisfero scuro e uno chiaro ([Gaffey 1997]).Vesta puo essere descritto come un ellissoide triassiale con raggi di 289, 280 e229 km, tutti con un errore di ±5km [Thomas et al. 1997b]. Il raggio medio edi 266±12km e il suo volume uguale a V ∼ 7.88±0.87 ·107km3. Le deviazionida un forma ellissoidale sono di circa 15 − 20km. La piu grande rientranzasuperficiale e un vasto cratere al Polo Sud, profondo circa 13km e con un dia-metro di circa 460km con un picco centrale e un bordo rialzato.Un’altra caratteristica rilevante della superficie di Vesta e una regione ap-prossimativamente circolare, di circa 200km di diametro, con albedo piu bassarispetto alle regioni che la circondano (l’albedo media e ∼ 0.4), la cui originenon e ancora conosciuta, chiamata Olbers Regio in onore dello scopritore del-l’asteroide.Sulla base di immagini dell’HST, in [Thomas et al. 1997b] e stato propostoun sistema di meridiani centrato su questa regione. Tale sistema ha il punto0◦ al centro dell’Olbers Regio, mentre in coordinate inerziali la posizione delprimo meridiano e data dall’angolo W misurato verso Est nel piano equatoria-le dell’asteroide dalla sua intersezione con il piano di riferimento (l’equatoreterrestre). Considerando un periodo di rotazione di 0.2225887 giorni, il primomeridiano dell’asteroide e cosı definito:

W = 287◦ + 1617 · 360◦ · d/0.2225887 (3.1)

dove d e il numero di giorni dall’epoca standard (2451545.0; 2000 Gennaio

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1.5). Le coordinate (ascensione retta e declinazione) del polo di Vesta sonoα0 = 301◦ e δ0 = 41◦. Le longitudini sono misurate verso Ovest, in accordocon la convenzione IAU per i rotatori progradi.La massa di Vesta e stata calcolata recentemente da [Kovacevic 2005] sullabase delle perturbazioni gravitazionali dovute agli incontri ravvicinati con icorpi minori 3057 Malaren, 5205 1988CU7, 8331 Dawkins e 21225 1995GQ1.Il risultato ottenuto e di M = 1.28 ± 0.01 · 10−10M�. Utilizzando il volumeda [Thomas et al. 1997b] e la massa da [Kovacevic 2005] si ottiene una den-sita media di ρ = 3.250 ± 380g/cm3. Vesta e quindi il secondo oggetto piumassivo tra gli asteroidi della MB, dopo Cerere, e questo implica che possaavere un’importante influenza gravitazionale sulle orbite di molti altri corpidel Sistema Solare ([Kovacevic 2005]).Confrontando la densita di Vesta con quella di altri asteroidi e rocce e con-siderando che, basandosi sulle abbondanze cosmiche degli elementi, la maggiorparte dei pianeti rocciosi e delle rocce deve essere composta da una combi-nazione di olivine1, pirosseni2, feldspati3 e ferro, si puo dire che questo a-steroide e composto circa dall’86% di rocce e dal 14% di ferro. Vesta quindirappresenta un caso del tutto peculiare in quanto costituisce l’unico esempiodi asteroide differenziato e praticamente intatto con una crosta basaltica4, unmantello di rocce ultramafiche5 (pirosseni, ricchi di olivine) e un nucleo di fer-ro, che lo rende in tutto simile in struttura a un pianeta terrestre sebbene didimensione piu piccola.Poiche questo asteroide non ha atmosfera, acqua o venti che modificano lecaratteristiche superficiali, gli unici agenti in grado di alterare la sua superficiesono gli impatti meteoritici (di cui una prova e l’esistenza del grande cratereal polo Sud) e lo space weathering.

3.2 La relazione Vesta-vestoidi-HED

3.2.1 Le meteoriti HED

Le meteoriti howarditi, eucriti, diogeniti (HED) sono rocce ignee ricche dipirosseni che compongono circa il 6% dei campioni di meteoriti ritrovate sulla

1(Fe,Mg)2SiO42(Mg,Fe,Na,Ca,Mn)2Si2O63(K,Na)AlSi3O8, CaAl2Si2O84Il basalto e una roccia vulcanica comune grigia o nera.5In geologia i minerali e le rocce mafiche sono minerali silicatici, magmi, e rocce ignee

vulcaniche che hanno concentrazioni abbastanza alte di elementi pesanti. Il termine e unacombinazione delle parole magnesio e ferro.

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Terra.Le piu importanti caratteristiche mineralogiche delle meteoriti HED sono:

- Eucriti: acondriti basaltiche formate da un rapido raffreddamento dimagma. Contengono i pirosseni con piu alto contenuto di ferro.

- Diogeniti: ortopirosseni con il piu alto contenuto di magnesio. Si sonoformate da un lento raffreddamento del magma sotto la superficie.

- Howarditi: miscele ricompattate (brecce) di frammenti di eucriti ediogeniti.

Ci sono prove evidenti del fatto che le meteoriti HED derivino da uno stessocorpo genitore, tra cui:

• stessa composizione isotopica di ossigeno;

• somiglianze in mineralogia e composizione (in particolare nel rapportoFe/Mn);

• l’esistenza di rocce intermedie tra le diogeniti e le eucriti che implicache rocce superficiali di un corpo si siano frammentate e riaccumulatemescolandosi.

3.2.2 Lo spettro di Vesta e delle HED

Lo spettro di Vesta e caratterizzato da due bande a ∼ 1 e ∼ 2µm e da unabanda meno evidente a 1.2 − 1.3µm. Le prime due bande vengono attribuitealla presenza di pirosseni e variano in lunghezza d’onda e forma a seconda del-la struttura e dell’esatta composizione del materiale presente sulla superficiedell’asteroide. Si ritiene, invece, che la banda a 1.2 − 1.3µm sia dovuta alplagioclasio feldspato.La relazione tra le meteoriti HED e Vesta e stata inizialmente stabilita da[McCord et al. 1970] esclusivamente sulla base delle somiglianze spettroscopi-che. Esempi di spettri di riflettanza tipici di diogeniti, eucriti e howarditisono mostrati in Figura 3.1. Da questa Figura si puo notare che le diogeniti,con i loro pirosseni piu ricchi di magnesio, hanno bande di assorbimento alunghezze d’onda piu corte di quelle delle eucriti, a piu alto contenuto di fer-ro. Le howarditi, che come detto precedentemente sono una combinazione didiogeniti e eucriti, mostrano spettri con i minimi delle bande di assorbimentoin una posizione intermedia rispetto ai due componenti. La banda spettrale diassorbimento a 5065A negli spettri e indicativa della presenza di augite6 riccadi calcio.

6Minerale mafico del gruppo dei pirosseni. Formula chimica:(Ca,Na)(Mg,Fe,Al)(Al, Si)2O6

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Figura 3.1. Spettri di riflettanza di laboratorio di esempi tipici dihowarditi, eucriti e diogeniti (HED). A destra: gli stessi spettri conla parte nel visibile espansa. Tutti gli spettri sono acquisiti a unarisoluzione spettrale di 5nm. Fonte: [Pieters et al. 2005]

Un modo efficace per analizzare questi spettri e l’analisi dei rapporti dellearee delle bande a 1 e 2µm, che variano a seconda delle percentuali di mineralipresenti in una miscela di olivine e ortopirosseni, [Gaffey et al. 2002]. Per ipirosseni con basso contenuto di calcio, comuni su Vesta, entrambe le bandesono prominenti. Gli spettri delle olivine, invece, non mostrano la banda a2µm e hanno una banda di assorbimento piu larga attorno a 1µm. Cosı, inuna miscela di olivine e ortopirosseni, il rapporto delle aree delle bande decresceall’aumentare del contenuto di olivine. Recenti studi hanno pero dimostratoche i rapporti delle aree delle bande possono essere alterati anche da altriparametri tra cui la dimensione dei grani, la temperatura, lo space weatheringe la diversita dei minerali ([Ueda et al. 2002]).La Figura 3.2 mostra i primi dati spettroscopici ottenuti per Vesta da [McCordet al. 1970]. Da questa Figura si evince la somiglianza in composizione del-l’asteroide con alcune acondriti basaltiche (es: le eucriti) e si nota inoltre cheesso presenta le tipiche bande di assorbimento dei pirosseni a basso contenutodi calcio ([McCord et al. 1970]).

Dall’analisi degli spettri nel visibile e vicino infrarosso (Figura 3.3) si puodire che la superficie di Vesta e composta da una miscela di pirosseni e plagio-clasi, con un rapporto dei primi sui secondi di 1.5 − 2. Questa composizionee consistente con una superficie ricoperta da una combinazione di eucriti e

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Figura 3.2. Misure di laboratorio della riflettivita spettrale del-l’eucrite Nuevo Laredo (linea continua) e dati di Vesta da telescopio.I cerchi pieni rappresentano i dati ottenuti a Cerro Tololo, Cile, nelDicembre 1968; i cerchi vuoti i dati ottenuti a Mount Wilson, Cali-fornia, nell’Ottobre 1968. Questo confronto suggerisce che Vesta siaricoperta da materiale tipo eucriti. Fonte: [McCord et al. 1970]

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Figura 3.3. Spettro medio composto di Vesta ottenuto dai program-mi SMASS (Small Main Belt Asteroid Spectroscopic Survey) di Binzelet al. Fonte: [Pieters et al. 2005]

howarditi, e cio suggerisce, come gia detto, che si tratti di un oggetto differen-ziato, intatto e con crosta basaltica.Nelle Figure 3.4 e 3.5 lo spettro di Vesta viene messo a confronto con quelli dialcune meteoriti HED.

Acqua su Vesta. [Hasegawa et al. 2003] hanno pubblicato uno spettro chemostra una banda di assorbimento a 3µm. Questa caratteristica spettrosco-pica su corpi rocciosi senza atmosfera e nelle meteoriti e di solito associata allapresenza di OH e H2O. Questo sembra quindi indicare che, sebbene le mete-oriti HED siano anidre, piccole quantita di acqua siano esistite sulla superficiedi Vesta. Secondo [Hasegawa et al. 2003] la banda a 3µm e pero debole e nonuniformemente distribuita e quindi potrebbe essere dovuta a concentrazionilocali di acqua, causate ad esempio dall’impatto di piccoli corpi carbonacei,ricchi di minerali idrati. Le osservazioni da Terra a 3µm sono pero di diffi-cile interpretazione a causa della presenza dell’atmosfera terrestre e cio ponedelle incertezze sui risultati ottenuti. Un riassunto delle osservazioni in questaparte dello spettro e mostrato in Figura 3.6 in funzione della longitudine del-l’asteroide. Sebbene ci siano delle variazioni regolari con la longitudine, nonsi puo distinguere quali di esse siano dovute a componenti idrate e quali adaltri fattori. Quindi i dati ad oggi disponibili non sono sufficienti per risolvereil problema. Per avere una risposta definitiva bisognera nel prossimo futuro

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Figura 3.4. In alto: spettro di riflettanza medio di Vesta da osser-vazioni del 13-14 Gennaio (quadrati) e 18-20 Febbraio (cerchi), 1981.Lo spettro e stato normalizzato a 0.56µm. In basso: spettri di ri-flettanza di un’eucrite (Bereba, con un offset verticale di +0.5) e diuna diogenite (Shalka). Le profonde bande di assorbimento a 1µme 2µm sono dovute ai pirosseni e forniscono una prova dell’analo-gia tra la composizione di Vesta e quella delle meteoriti HED. Fonte:[Gaffey 1997]

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Figura 3.5. Spettri di riflettanza dell’asteroide 4 Vesta (quadrativuoti) e spettri delle meteoriti HED (linee continue). Gli spettri sononormalizzati a 1.2µm e traslati di 0.5 l’uno dall’altro. Le due linee ver-ticali intorno a 0.93µm e a 1.97µm indicano i centri delle due maggioribande di assorbimento di Vesta. Fonte: [Hiroi et al. 1994]

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Figura 3.6. Variazioni dello spettro di Vesta vicino la banda a 3µmin funzione della longitudine. Le variazioni del rapporto 2.95/2.50µmsono indicative del contenuto d’acqua, ma possono essere dovute an-che a variazioni nella pendenza del continuo. Tutte le osservazioni,comunque, sono consistenti con l’intervallo di valori ottenuto perle HED (che, essendo rocce ignee non contengono acqua). Fonte:[Rivkin et al. 2006]

acquisire e analizzare spettri di Vesta nella regione critica 2.5−2.9µm (con mi-sure dallo spazio), ottenere spettri delle meteoriti HED nella regione dei 3µm,e analizzare nuovamente i dati gia acquisiti rimuovendo piu efficacemente ilcontributo dell’atmosfera terrestre.

Olivine su Vesta. La dimensione del cratere al Polo Sud (460km di diametro,13km di profondita) implica che il materiale sia stato scavato per decine di kmnell’interno dell’asteroide. La maggioranza dei modelli sinora pubblicati per lasimulazione della struttura degli asteroidi differenziati include un mantello ric-co di olivine. Sebbene l’olivina sia una fase minore osservata in alcune meteoritidiogeniti, e stata trovata una sola di queste meteoriti, NWA1877 (NorthwestAfrica 1877), ricca di olivine (ne e composta per il 45%). La composizione di

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NWA1877 presenta inoltre percentuali di cromite7, il che suggerisce che essapossa provenire da un mantello primitivo.[Gaffey 1997] ha eseguito uno studio dettagliato di spettri di Vesta acquisi-ti in corrispondenza di diverse fasi rotazionali, analizzando quattro diversiparametri: la posizione della banda a 1µm rispetto alla banda a 2µm, il rap-porto delle aree delle bande, l’intensita della banda a 1.2−1.3µm e le variazionidi colore rotazionali. Gli spettri di Vesta acquisiti da [Gaffey 1997] sono tuttidominati dai pirosseni, ma una parte del corpo e leggermente, ma inequivoca-bilmente, differente. La Figura 3.7 mostra piccole variazioni nei rapporti dellearee delle bande a 1µm e 2µm. I risultati ottenuti indicano la presenza di unaregione localizzata di olivine centrata vicino la fase rotazionale 0.758. Questaregione, se composta di olivina, dovrebbe occupare il ∼ 10% della superficie,e corrisponderebbe quindi ad una macchia di pura olivina di diametro pari acirca 150 km. L’area interessata potrebbe anche essere piu grande se le olivinefossero combinate con altre fasi. Sembra plausibile che questa regione rap-presenti un bacino da impatto e/o contenga del materiale eiettato provenientedal mantello e portato in superficie dalla collisione. I risultati sono prometten-ti, ma ulteriori osservazioni sono indispensabili per stabilire definitivamente laposizione e la quantita di olivine presenti su Vesta, considerando che, comegia detto, [Ueda et al. 2002] suggeriscono che i rapporti delle aree delle bandedi assorbimento, che definiscono le percentuali di olivine e pirosseni, possonoanche dipendere dalle caratteristiche fisiche del materiale presente in superficiee dall’effetto dello space weathering.

3.2.3 I vestoidi

Per molto tempo uno dei principali problemi nel modellizzare l’origine dellemeteoriti HED da Vesta e stata la difficolta dinamica di far arrivare nelle re-gioni piu interne del Sistema Solare i detriti degli impatti su questo asteroide.Infatti la distanza di Vesta dalle regioni di risonanza e tale che i frammentiprodotti da una collisione non riescono a raggiungere le zone di risonanza equindi ad acquisire orbite caotiche in grado di farli arrivare nel Sistema Solareinterno.La scoperta ([Binzel et al. 1993]) di asteroidi appartenenti alla MB con dia-metri D < 10km, composizione superficiale simile a Vesta (basaltica) e parame-tri orbitali simili, tali da costituire una piccola famiglia collocata tra l’asteroidee le maggiori risonanze dinamiche, e stata quindi un’importante prova in favoredel collegamento Vesta-HED. Gli asteroidi di questa piccola famiglia vengono

7Spinello (MgAl2O4) contenente cromo.8In [Gaffey 1997] la fase rotazionale e calcolata considerando il periodo di Vesta uguale

a 5.34213 ore e ponendo la fase rotazionale 0.00 alle 12 UT del 13 Gennaio 1981.

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Figura 3.7. I rapporti delle aree delle bande di Vesta in funzionedella fase rotazionale. Le singole misure sono mostrate come cerchivuoti, mentre i quadrati sono le medie di 5 punti. Il rapporto decrescedi circa il 10−15% vicino alla fase rotazionale 0.75. Il rapporto mediodelle aree delle bande di questi dati (∼ 2) e piu basso del rapportodelle aree delle bande dello spettro medio (∼ 2.74 ± 0.09). Questacaratteristica puo essere spiegata ([Ueda et al. 2002]) con un aumentodel contenuto di olivine, con una minore dimensione dei grani e/ocon variazioni dovute a una diversa efficienza dei processi di spaceweathering. Fonte: [Gaffey 1997]

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Figura 3.8. Spettri di riflettanza di Vesta, dei vestoidi e di Ma-gnya, un asteroide di tipo V della MB. Vesta mostra un continuonotevolmente piu piatto e bande di assorbimento piu deboli. Fonte:[Pieters et al. 2005]

chiamati vestoidi.Attualmente si conoscono circa 40 vestoidi situati a circa 2.5UA, nella lacunadi Kirkwood definita dalla risonanza 3 : 1 con Giove. Lo spettro di riflettanzadi Vesta, gli spettri di alcuni vestoidi e di un asteroide di tipo V della CinturaPrincipale sono mostrati in Figura 3.8, mentre la distribuzione dei vestoidiattualmente identificati e mostrata in Figura 3.9.

Studi di modelli dinamici dimostrano che i vestoidi possono essere stati e-iettati da Vesta in seguito a grandi impatti ([Melosh 1984] e [Asphaug 1997]).Inoltre la presenza del grande cratere da impatto al polo Sud e di molte pic-cole depressioni di diametri di ∼ 150−160km costituisce la prova di un’intensaattivita collisionale da cui questi asteoridi possono aver avuto origine. Infineil volume del grande cratere al polo Sud, che e circa l’1% di quello di Vesta,suggerisce che il materiale eiettato sia stato sufficiente a produrre i vestoidinoti.A seguito di successive collisioni, frammenti di questi vestoidi possono esserearrivati in una regione di risonanza e immessi quindi su orbite piu interne acausa di effetti dinamici. Come gia detto le risonanze di moto medio e secolaricon i pianeti possono, infatti, modificare i parametri orbitali degli asteroidi,facendo sı che essi subiscano incontri ravvicinati o collisioni con altri corpi

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Figura 3.9. Parametri orbitali di Vesta (+), dei vestoidi (×), diMagnya (M) e degli asteroidi della MB (puntini). In basso sonoindicate le principali risonanze di moto medio con Giove. Fonte:[Pieters et al. 2005]

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e possano essere immessi su orbite caotiche piu vicine al Sole. Questo e ilmeccanismo con il quale si pensa che le meteoriti HED possano essere statetrasportate dalle orbite dei vestoidi fino alle zone in cui e avvenuto il rilasciosulla Terra. Questo scenario ha trovato conferma nella recente scoperta didue NEO di tipo V, 3361 Orpheus e 5143 Heracles con diametri compresi tra1− 4km, che potrebbero essere i corpi genitori di alcune delle meteoriti HED.Mediante simulazioni dinamiche [Migliorini et al. 1997] hanno mostrato che ilmeccanismo piu efficace per il trasporto di NEO di tipo V sulle loro attualiorbite e la risonanza secolare ν6. Questo fornisce un’ulteriore conferma che ivestoidi provengono da Vesta.Dalla Figura 3.8 si nota, tuttavia, che i vestoidi non mostrano esattamente lestesse caratteristiche spettrali di Vesta: questi hanno bande di assorbimentopiu profonde di Vesta e presentano un continuo, dal visibile a 1.6µm, consi-derevolmente piu rosso. Sulla base delle lunghezze d’onda delle bande primariedei pirosseni, la mineralogia di Vesta e dei vestoidi al primo ordine e simile,poiche entrambi presentano rocce di tipo basaltico. Tuttavia non ci sono dubbiche la superficie di Vesta e abbastanza diversa da quella dei suoi parenti piupiccoli. Non si sa ancora se queste differenze siano dovute a proprieta fisichee/o differenze di struttura, o variazioni composizionali che implicano sorgentidifferenti di materiale o processi ambientali che hanno alterato i materiali su-perficiali. Una possibile spiegazione e che i vestoidi derivino da strati diversidi Vesta.

3.2.4 Il problema dello space weathering

Una questione ancora non risolta del collegamento Vesta-HED sono gli aspetticorrelati allo space weathering. Lo space weathering, infatti, dovrebbe far ar-rossare gli spettri degli asteroidi di tipo V e ridurne la banda a 1µm, rendendolidiversi da quelli delle meteoriti HED, analogamente a quanto avviene per gliasteroidi di tipo S e le condriti ordinarie. Non si riesce quindi a spiegare lagrandissima somiglianza tra gli spettri di Vesta e delle HED. Infatti le bande diassorbimento delle meteoriti HED e degli asteroidi di tipo V sono abbastanzasimili per posizione in lunghezza d’onda, forma e pendenza. Questo implica chele superfici di Vesta e dei vestoidi sono direttamente confrontabili ai campionidelle HED e che quindi hanno sperimentato poco, se non nessuno, “invecchia-mento” dovuto al bombardamento da parte di raggi cosmici, vento solare emicrometeoriti. Se gli eventi collisionali fossero i responsabili del ringiovani-mento della superficie, questi dovrebbero essere avvenuti recentemente. Inoltrepoiche sia Vesta che i vestoidi mostrano materiale non alterato in superficie,l’evento di “ringiovanimento” dovrebbe essere avvenuto contemporaneamentesia su Vesta che sulla sua famiglia e potrebbe essere collegato alla formazione

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stessa dei vestoidi. Questo, pero, e inconsistente con i modelli collisionali chedatano a 1 · 109 anni fa la formazione del grande cratere nel polo Sud di Ve-sta e dei vestoidi. Inoltre, da un punto di vista strettamente collisionale, laformazione dei vestoidi in tempi piu recenti diventa sempre meno probabile acausa della rarita di impatti giganti sufficienti a formare il cratere a Sud diVesta e i vestoidi.Una possibile alternativa e che le superfici di Vesta e della sua famiglia dina-mica siano antiche, come suggerito dai modelli, ma i processi di space weath-ering per qualche ragione non agiscano. Una possibilita per la mancanza dispace weathering e suggerita in [Vernazza et al. 2006], dove alcuni spettri diVesta vengono confrontati con quelli dell’eucrite Bereba non irradiata e ir-radiata in laboratorio con due diversi flussi di ioni di Ar. L’irraggiamentodi ioni pesanti sullo spettro della meteorite Bereba produce una progressivadiminuzione dell’albedo, un aumento della pendenza e una diminuzione dellaprofondita della banda a 1µm (Figura 3.10a). In [Vernazza et al. 2006] sonostati confrontati anche gli spettri dei mari lunari con quelli di Vesta poichela composizione mineralogica e molto simile (pirosseni, plagioclasi e olivine).Da Figura 3.10b si nota come lo spettro di Vesta approssima meglio lo spettrodella meteorite Bereba non irradiata, mentre lo spettro dei mari lunari e piusimile allo spettro della meteorite Bereba irradiata. Si puo quindi dedurre chesui mari lunari e attivo un processo di space weathering non presente su Vesta,indipendentemente dalla composizione chimica delle superfici.Avendo escluso la possibilita di eventi collisionali che abbiano portato in su-perficie materiale non alterato in tempi recenti, in [Vernazza et al. 2006] estata analizzata la possibilita che Vesta sia avvolta da un debole campo ma-gnetico residuo, sufficiente a proteggere la superficie dal bombardamento delleparticelle del vento solare. I dati disponibili non permettono pero di stabilirese si tratti di un campo magnetico globale di circa 0.2µT , che produrrebbe unamagnetosfera di raggio doppio a quello di Vesta, o piuttosto di vari blocchi dimagnetizzazione uniforme all’interno della crosta, che richiederebbero intensitapiu alte di campi superficiali e produrrebbero una serie di “magnetosfere” diforma irregolare sulla crosta. In quest’ultimo caso le particelle del vento solareriuscirebbero a raggiungere la superficie attraverso una serie di “cuspidi” chedelimitano il confine tra una magnetosfera e l’altra.Anche studi geochimici e paleomagnetici delle meteoriti HED suggeriscono cheVesta abbia formato un nucleo metallico e generato un campo magnetico in-terno ([Righter et al. 1997]). Le eucriti e le diogeniti sembrano, infatti, essersisolidificate in un campo magnetico dell’ordine dei 10µT .D’altro canto e stato dimostrato che per generare un campo globale da unacrosta o un mantello magnetizzato dentro una dinamo, c’e bisogno di unospessore della crosta non uniforme ([Aharonson et al. 2004]) e questo e esat-tamente il caso di Vesta, data la presenza del grande cratere al polo Sud.

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Figura 3.10. a) Spettri di riflettanza nel Vis-NIR della meteoriteBereba prima e dopo l’irraggiamento con due differenti flussi di Ar++.b) Spettro di riflettanza iniziale di Bereba (1) e spettro ottenuto con ilpiu alto flusso di ioni, normalizzati a 0.7µm e confrontati con gli spettridi Vesta e di un piccolo mare lunare. Fonte: [Vernazza et al. 2006]

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Se quindi l’attuale polo di rotazione fosse stato anche il polo magnetico du-rante le prime fasi di vita dell’asteroide, dovrebbe essere presente un campodipolare globale residuo.

3.2.5 L’asteroide 1459 Magnya

Negli ultimi anni, con l’aumento della sensibilita degli strumenti, e stato pos-sibile esplorare in maggior dettaglio le caratteristiche fisiche dei corpi minoridel Sistema Solare e sono stati identificati nuovi casi particolari.Ad esempio, un piccolo asteroide basaltico, Magnya, e stato individuato ([Laz-zaro et al. 2000]) nella parte esterna della MB (a = 3.15UA, e = 0.24, i = 17◦),lontano da Vesta, dalla parte opposta delle maggiori risonanze (vedi Figura3.9).Le bande dei pirosseni di Magnya si trovano a lunghezze d’onda piu corte diquelle di Vesta, implicando una composizione di pirosseni ad alto contenuto dimagnesio (Figura 3.8).Magnya e l’unico asteroide conosciuto con superficie basaltica, non collegatodinamicamente con Vesta. Infatti questo asteroide non puo essere un fram-mento di Vesta perche la sua posizione richiede una velocita di eiezione troppoalta.Si pensa che questo oggetto, di diametro D = 30km, sia un frammento diun grande asteroide differenziato che e stato distrutto e che doveva avere unacrosta basaltica molto spessa (almeno 30km). Cosı Magnya e attualmentela principale prova che deve essere esistito nella MB almeno un altro corpobasaltico e probabilmente differenziato.Tuttavia, poiche l’efficienza di eiezione dei frammenti da questo corpo (situatoa 3.15UA) alla Terra e minore rispetto a quella di Vesta e dei vestoidi, Magnyanon puo essere considerato una possibile alternativa a Vesta per l’origine dellemeteoriti HED.

3.2.6 NA011 e Ibitira

Il miglioramento della strumentazione nei laboratori e analisi piu dettagliate ea piu alta precisione hanno portato alla scoperta di oggetti peculiari anche trale meteoriti HED. Infatti recentemente si e visto che due meteoriti basaltiche,la Northwest Africa 011 (NA011) e Ibitira, classificate come eucriti, hannovalori degli isotopi dell’O che differiscono molto dalla famiglia principale delleHED.Per la meteorite Ibitira esistono molti parametri geochimici aggiuntivi chesuggeriscono che il suo corpo genitore deve essere diverso da quello delle HED.La NA011, in passato classificata come eucrite, e altamente metamorfizzatae presenta un rapporto FeO/MnO di pirosseni considerevolmente piu alto

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(∼ 65) di quello delle eucriti ordinarie (≤ 40). Studi recenti, tra cui misuredegli isotopi dell’O, suggeriscono che e un nuovo tipo di acondrite basaltica conun corpo genitore diverso da quello delle HED ma simile a Vesta per quantoriguarda la dimensione e l’evoluzione.Il corpo genitore di queste due meteoriti basaltiche non e stato ancora indivi-duato.

3.3 Storia geologica

[Righter et al. 1997] hanno ricostruito la storia geologica di Vesta sulla basedi dati fisici e chimici delle meteoriti HED, sviluppando un modello che tieneconto della formazione di tutti i sottogruppi di meteoriti rinvenute sulla Terra.Ci sono evidenze geochimiche che Vesta ha sperimentato un alto (o anche com-pleto) grado di fusione che ha portato alla formazione del nucleo. Le fasi diaccrezione, differenziazione e formazione del nucleo in Vesta hanno avuto luogonei primi 5− 15 · 106 anni di vita del Sistema Solare ([Keil 2002]). Come pos-sibili fonti di calore per provocare la fusione e stato proposto un riscaldamentoindotto risultante da un intenso flusso di vento solare durante la fase di T-Tauri,nelle prime fasi di vita del Sole, o, in alternativa, il riscaldamento dovuto aldecadimento dell’isotopo 26Al (T1/2 = 7 · 105anni). In generale l’ipotesi piuaccreditata e la seconda ([Keil 2002]). Le altre fasi della formazione di Vestae delle meteoriti HED sono riassunte di seguito e rappresentate nella Figura3.11:

1. Vesta e ricoperto da un oceano di magma e nel mantello si ha un equi-librio tra metalli e silicati. I metalli affondano verso il centro di Vestae vengono rapidamente isolati dall’oceano di magma per mezzo dellacristallizzazione delle olivine (Figura 3.11a).

2. L’oceano di magma si raffredda. I forti movimenti convettivi presentiproducono una cristallizzazione in equilibrio (Figura 3.11b). Man manoche i cristalli si formano rimangono sospesi nell’oceano di magma. Lacristallizzazione in equilibrio procede fino a una frazione di solidificazionedell’∼ 80% (Figura 3.11c). A questo punto, la poltiglia viscosa solida-liquida sviluppa una convezione a un frequenza talmente bassa che nonpuo evitare la segregazione gravitazionale del magma dai silicati soli-di, ovvero il magma liquido rimane intrappolato dentro una matrice dicristalli.

3. Il magma liquido residuo viene espulso tramite eruzioni sulla superficiee, a seguito di una successiva cristallizzazione, si formano le eucriti delgruppo principale. Nello strato piu superficiale, al di sotto delle eucriti

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del gruppo principale, si formano dei cumulati cristallini, che formano lediogeniti (Figura 3.11d).

4. La cristallizzazione completa avviene entro 2 · 107 anni dopo T0.

5. Successivi impatti e craterizzazioni producono il materiale che e statotrovato sulla Terra sotto forma di meteoriti HED. Una profondita dipenetrazione di almeno 15km e consistente sia con il campionamento dimateriali eucritici e di strati superficiali composti da diogeniti, che con imodelli fisici delle dimensioni dei corpi impattanti.

3.4 Immagini di Vesta dall’HST

3.4.1 Dati del 1994

Tra il 28 Novembre e il 13 Dicembre sono state acquisite dalla WFPC2 (WideField Planetary Camera 2) dell’HST 56 immagini dell’asteroide 4 Vesta. Le os-servazioni sono state condotte in corrispondenza ad una latitudine sub-terrestredi circa 16◦N, il che ha permesso la copertura della superficie dell’asteroide dal-la latitudine 48◦N a 16◦S. Queste immagini sono state acquisite con quattrofiltri: i filtri F673N (centrato a 0.673µm) e F439W (centrato a 0.439µm) hannopermesso una misura della pendenza della banda di assorbimento nell’ultravio-letto, mentre i filtri F594N (0.953µm) e F1042M (1.042µm) hanno fornito mi-sure della profondita e dell’ampiezza della banda vicino a 1µm. Tutte le osser-vazioni sono riportate in [Zellner et al. 1997], Tabella 1. I risultati ricavati daqueste immagini (forma, vettore di rotazione, interpretazione delle caratteristi-che superficiali) sono descritti in [Binzel et al. 1997] e [Thomas et al. 1997b].In Figura 3.12 sono riportate le 24 immagini ottenute con il filtro (F673N). Daqueste immagini si nota che la superficie dell’asteroide non sembra essere omo-genea, ma presenta variazioni locali di colore del 10−20%, [Binzel et al. 1997].Si deduce, inoltre, la forma non sferica di Vesta. Nelle Figure 3.12 (dalla malla r) si vede chiaramente la rotazione dell’asteroide. La Figura 3.12m mostraun disco uniforme e abbastanza scuro, mentre la 3.12n mostra una macchiascura che inizia ad emergere dal lato sinistro. La macchia scura e chiaramentevisibile nella 3.12o e si “muove” lungo il disco in tutte e tre le immagini dellariga successiva (Figura 3.12p, 3.12q, 3.12r). Questa macchia e quella che estata definita l’Olbers Regio (∼ 200km di diametro).

3.4.2 Dati del 1996

Nel Maggio 1996 sono state acquisite 78 immagini di Vesta dalla WFPC2 del-l’HST attraverso 5 filtri. E stata cosı ottenuta la copertura totale dell’emisfero

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Figura 3.11. Diagramma schematico che mostra le fasi della storiadi raffreddamento e cristallizzazione di Vesta. (a) Un oceano di mag-ma permette la separazione efficiente di metalli-silicati. (b) Cristal-lizzazione in equilibrio e convezione dell’oceano di magma fino a unafrazione di massa liquida di ∼ 20%; notare la sottile crosta esterna.(c) L’oceano diventa troppo viscoso e la convezione si interrompe; nesegue la segregazione gravitazionale. (d) Il magma liquido residuo(gruppo principale delle eucriti) e forzato ad andare in superficie men-tre i cristalli sono accumulati in profondita (in superficie si formanole diogeniti). Il liquido eucritico che rimane isolato in camere mag-matiche produce i basalti evoluti. Successivi impatti possono penetrarela crosta basaltica fino alla profondita delle diogeniti piu superficiali.Frammentazioni e riaccumulazioni di rocce in superficie produrrannole howarditi. Fonte: [Righter et al. 1997]

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Figura 3.12. 24 immagini acquisite con la WFPC2 dell’HST con ilfiltro F673N. All’interno di ogni riga le immagini sono acquisite conuna distanza temporale di 9 min circa, che corrispondono a ∼ 10◦

di rotazione. Il Nord e in alto e la rotazione prograda di Vesta eevidenziata dal movimento da sinistra a destra delle caratteristichelungo il disco. La piu evidente caratteristica con albedo bassa e l’OlbersRegio centrata nell’ immagine p. Fonte: [Zellner et al. 1997]

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Figura 3.13. Immagini dell’asteroide 4 Vesta ottenute dalla WF-PC2 dell’HST nel 1996. Le immagini sono acquisite attraverso il filtroF673N. Il polo Sud di Vesta e in alto. Le immagini sono disposte inbase alla longitudine da sinistra a destra e dall’alto verso il basso, ri-velando la rotazione delle caratteristiche con albedo diversa dal fondo.Fonte: [Thomas et al. 1997a]

Sud e per la prima volta e stato visto il cratere al polo Sud di Vesta con piccocentrale e bordo esterno (Figura 3.13).

Sulla base di queste immagini sono stati condotti ([Thomas et al. 1997a])studi topografici che hanno permesso di ricavare l’altezza delle diverse zonesuperficiali di Vesta (Figura 3.14). La piu grande depressione e il cratere delpolo Sud con un diametro di ∼ 460km. Sono state inoltre identificate moltealtre depressioni, interpretate come crateri. La piu grande di queste ha undiametro di ∼ 160km, e profonda ∼ 6km ed e situata a 20◦N, 70◦O. Una terzadepressione e larga ∼ 150km, profonda 8km e ha coordinate 10◦N, 270◦O (laposizione e il diametro di questa caratteristica corrispondono alla regione riccadi olivine presente nella mappa litologica di Figura 3.18).

Dai dati topografici di Vesta ottenuti dall’HST e stato generato un modellotridimensionale dell’asteroide (Figura 3.15). Anche da questa ricostruzione echiaramente visibile il cratere al polo Sud. Le altre caratteristiche superficialisul modello sono spurie e non sono rappresentative delle reali variazioni diluminosita dell’asteroide.

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Figura 3.14. (A) Proiezione cilindrica a falsi colori delle altezzedinamiche sull’asteroide 4 Vesta, misurate al di sopra e al di sot-to del livello di superficie medio. (B) La soluzione delle altezze di-namiche e proiettata sulla forma di Vesta e rappresentata con di-versi angoli d’aspetto (angolo tra l’asse di rotazione dell’asteroide ela direzione dell’osservatore), guardando da 33◦S e da 33◦N a quat-tro differenti longitudini separate di 90◦. Il Sud e in alto. Fonte:[Thomas et al. 1997a].

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Figura 3.15. Tre visioni dell’asteroide 4 Vesta. La prima immaginesulla sinistra e una delle immagini acquisite nel Maggio 1996 dalla WF-PC2 dell’HST, la figura al centro e una delle mappe di elevazione a falsicolori ([Thomas et al. 1997a]), mentre a destra e riportato il modellotridimensionale dell’asteroide ottenuto dai dati topografici dell’HST.Fonte: [http://www-spc.igpp.ucla.edu/dawn/background.html].

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3.5 Mappe litologica e geologica della superfi-

cie

Dall’interpretazione degli spettri di Vesta nel V-NIR ottenuti da telescopi po-sizionati a Terra, [Gaffey 1997] ha prodotto una mappa schematica delle mag-giori unita litologiche della superficie di Vesta. Nel produrre questa mappasono state utilizzate sezioni discrete circolari, basandosi sull’assunzione plau-sibile che gli impatti siano stati il piu importante processo geologico sullasuperficie di questo asteroide. L’area delle unita geologiche distinte e suffi-ciente per ottenere, in presenza di una litologia singola e pura, le variazionispettroscopiche osservate a diverse fasi rotazionali. Le aree in questione an-drebbero ingrandite se si considerasse una composizione superficiale costituitada miscele di diversi componenti.Come gia detto nel Paragrafo 3.1, la curva di luce richiede un emisfero scuro euno chiaro. In generale la superficie di Vesta e scura con varie regioni di altaalbedo concentrate su un emisfero. Sono evidenti almeno tre distinte litologie,una regione di olivine circondata forse da un alone di diogeniti, una regione dieucriti a basso contenuto di calcio e una o piu regioni di diogeniti. La regionedelle olivine e non polare mentre una delle regioni di diogeniti si trova nellevicinanze del polo Sud. [Gaffey 1997] ha posizionato nella sua mappa litolo-gica il primo meridiano al centro dell’unita delle olivine (“Leslie” region). LaFigura 3.16 mostra due versioni schematiche della mappa delle unita superfi-ciali che soddisfano i vincoli spettroscopici individuati. Poiche gli assemblaggieucritici di bassa albedo dovrebbero indicare una superficie antica e per lo piuintatta, e probabile che le unita non eucritiche a piu alta albedo rappresentinoregioni scavate nella crosta piu profonda e nel mantello superiore da impattirelativamente recenti.

Un’altra mappa geologica e stata ottenuta da [Binzel et al. 1997] utilizzan-do 56 immagini dall’HST dell’asteoride 4 Vesta nei quattro filtri indicati nelParagrafo 3.4.1. Anche in questo caso e stata confermata la dicotomia tra idue emisferi dell’asteroide. La diversita geologica di Vesta e ben caratterizzatadalla pendenza della parte blu dello spettro, dalla presenza e profondita dellabanda a 1µm, e dalla presenza e profondita di ogni altra banda di assorbi-mento a lunghezze d’onda oltre 1µm. Nella costruzione della mappa geologicadi [Binzel et al. 1997], questi parametri sono stati associati ai colori standardrosso, verde e blu (RGB). Il colore blu e indicativo del rapporto tra le ri-flettanze normalizzate dei filtri a 0.673µm e 0.439µm, dove un colore piu bluindica una pendenza piu ripida (valore piu basso della riflettanza a 0.439µm).Il rosso e stato assegnato al rapporto tra i filtri a 0.673µm e 0.953µm, doveuna banda di assorbimento piu profonda (valore piu basso della riflettanza a0.953µm) corrisponde a un colore piu rosso nella mappa. Il verde infine indicala profondita dell’assorbimento oltre 1µm misurato dal rapporto tra i filtri a

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Figura 3.16. Due possibili mappe delle piu importanti unita lito-logiche presenti sulla superficie di Vesta, ottenute supponendo che l’a-steroide abbia una forma sferica. Le posizioni delle varie unita sonoben vincolate in longitudine, ma non in latitudine. Le unita sono di-segnate con forme circolari per analogia con le caratteristiche dovuteagli impatti, ma in realta le forme reali non sono determinate. Inoltrei loro bordi sono rappresentati come netti, mentre dovrebbero esserepiu smussati. Questa analisi e basata su dati acquisiti in corrispon-denza ad una latitudine sub-terrestre di ∼ 25◦S su Vesta, cosicche laregione polare Nord non e osservata. La mappa in alto posiziona lamaggior parte delle unita vicino all’equatore, mentre la mappa in bassoposiziona la zona ricca di diogeniti separata, alla latitudine di ∼ 40◦Se alla stessa longitudine dell’unita delle olivine. Il senso di rotazionee da sinistra a destra. La linea di longitudine zero passa attraversola regione delle olivine. Per l’unita ricca di olivine (probabilmenteuna grande cratere da impatto o una zona di accumulazione del ma-teriale eiettato) e stato proposto il nome di “Leslie region”. Fonte:[Gaffey 1997]

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0.673µm e 1.042µm. Le componenti R, G e B sono combinate in una singolamappa a falsi colori, mostrata in Figura 3.17.

Per confrontare la mappa litologica di Figura 3.16 con la mappa di Figura3.17, in Figura 3.18 e riportata la mappa litologica di [Gaffey 1997] con la stessascala e lo stesso sistema di coordinate della mappa di [Binzel et al. 1997].

Dal confronto delle due mappe (Figure 3.17 e 3.18) si vede che le unitadelle olivine, delle diogeniti e delle eucriti a basso contenuto di calcio sonoapprossimativamente nel centro delle regioni giallo/rosse nell’emisfero Est dellamappa geologica. Inoltre si nota che la latitudine della regione di diogenite adOvest dovrebbe essere piu vicina all’equatore di quanto mostrato nella mappalitologica.Dalla Figura 3.17 si nota inoltre che unita gialle/rosse dominano l’emisferoEst (corrispondenza con una banda di assorbimento a 1µm piu profonda epiu stretta), mentre unita verdi sono presenti nell’emisfero Ovest (consistenticon una banda di assorbimento a 1µm piu superficiale e larga). Tutto cioe consistente con un emisfero Ovest litologicamente uniforme, composto perla maggior parte da pirosseni ricchi di ferro e relativamente ricchi di calcio,consistenti con la composizione delle eucriti, e un emisfero Est con componentimineralogiche aggiuntive, composte da pirosseni ricchi di magnesio e poveri dicalcio, simili alle diogeniti, con alcune unita contenenti una grande percentualedi olivine. Sono inoltre presenti differenze spettrali su piccola scala (ad es.le zone segnalate con una lettera nella Figura 3.17), tra cui la caratteristicadominante e la gia citata Olbers Regio.

3.6 La missione Dawn

Vesta e uno degli obiettivi della missione spaziale Dawn, alla quale collaboranoNASA, UCLA, ORBITAL, LANL, MPS, DLR, ASI e INAF. Il nome di questamissione deriva dal fatto che e stata progettata per studiare gli oggetti presentiall’“alba” del Sistema Solare. Questa missione e stata approvata nel Dicembre2001 per essere lanciata nel Giugno 2006. Problemi tecnici hanno ritardato ladata del lancio al 20 Giugno 2007. Gli obiettivi di questa missione sono:

• Caratterizzare le condizioni e i processi dei primi istanti di vita del Si-stema Solare tramite l’investigazione dei 2 piu grandi protopianeti rimastipraticamente intatti dalla loro formazione, Cerere e Vesta. Tramite undettagliato studio della geofisica, mineralogia e geochimica di questi a-steroidi verranno fornite nuove conoscenze sull’accrezione, il riscaldamen-to, la fusione e la differenziazione di piccoli oggetti delle dimensioni degliasteroidi da cui, tramite processi di accrezione, si sono formati i pianetiterrestri.

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Figura 3.17. In alto. Mappa geologica di Vesta con falsi colo-ri costruita dalle osservazioni dell’HST. Sono indicate la dimensioneeffettiva di un pixel WFPC2 e la scala in km. Al centro. Come nel-l’immagine in alto, ma le lettere indicano regioni rappresentative delladiversita delle unita osservate: l’ordine alfabetico indica profonditacrescenti nella banda a 1µm. In basso. Spettri a quattro punti dellediverse regioni, che mostrano gli intervalli delle riflettanze relative e levariazioni in profondita della banda a 1µm. Fonte: [Binzel et al. 1997]

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Figura 3.18. Nelle due versioni della mappa litologica di[Gaffey 1997] e riportato l’intervallo di latitudine per le immagini diVesta acquisite con l’HST nel 1994. La mappa litologica e stata con-vertita alle stesse coordinate longitudinali e disegnata alla stessa scaladella mappa di colori dell’HST. Fonte: [Binzel et al. 1997]

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Figura 3.19. Traiettoria base della missione Dawn. Le linee trat-teggiate rappresentano le orbite di Marte, Vesta e Cerere. Fonte:[http://dawn.jpl.nasa.gov]

• Caratterizzare Cerere e Vesta tramite la determinazione di dimensioni,forma, rotazione, massa, densita, albedo, morfologia superficiale, com-posizione superficiale del campo magnetico e interazioni con il ventosolare.

• Determinare il ruolo dell’acqua nell’evoluzione degli asteroidi.

Gli strumenti a bordo di Dawn includono camere con capacita multispet-trale, uno spettrometro imaging dal visibile al vicino infrarosso, uno spet-trometro a raggi gamma e strumenti radio. In Figura 3.19 viene riportata latraiettoria base di questa missione. Come mostrato in questa Figura il satelliteentrera in orbita intorno ai suoi obiettivi. In particolare studiera Vesta per 6mesi dall’Ottobre 2011 all’Aprile 2012.

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Capitolo 4

Acquisizione e riduzione dati

Nel corso di questo lavoro di tesi sono stati ridotti e analizzati immagini espettri di Vesta acquisiti al telescopio ESO-VLT con lo strumento NACO nellenotti del 16-17 Gennaio 2006 dalla Dott. Sonia Fornasier dell’Universita diPadova. Queste osservazioni sono state condotte nell’ambito di una collabo-razione internazionale organizzata al fine di avere informazioni dettagliate sullecaratteristiche fisiche di Vesta prima del suo incontro con la missione spazialeDawn. Con l’acquisizione, la riduzione e l’analisi di queste osservazioni, ci sipropone di:

• studiare le caratteristiche superficiali di Vesta;

• investigare il possibile collegamento tra la composizione superficiale diVesta e gli spettri di laboratorio di meteoriti acondriti basaltiche HED;

• verificare le differenze in composizione sulla superficie dell’asteroide.

Queste informazioni saranno di ausilio nella progettazione e realizzazionedella missione Dawn perche consentiranno una piu accurata messa a punto delletecniche e metodologie di indagine da utilizzare durante il sorvolo. Inoltre, ilconfronto fra i risultati ottenuti e le informazioni acquisite “in situ” dalla sondaspaziale consentira la calibrazione delle tecniche di riduzione ed interpretazionedei dati ottenuti da Terra, che sono fondamentali per studiare in dettaglio gliasteroidi che non verranno mai visitati da missioni spaziali.

4.1 Telescopio e strumenti

Il Very Large Telescope (VLT), situato a Cerro Paranal, e il piu importantesito ESO (European Southern Observatory) per le osservazioni nel visibile enel vicino infrarosso. I quattro telescopi con diametro D = 8.2m possonofunzionare separatamente o come interferometri combinando coerentemente

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Tabella 4.1. Principali modalita di osservazione e parametri delsistema NAOS-CONICA.

Prestazioni 40% di Strehl Ratio in K con condizioni atmosferiche medie edell’ottica adattiva con una stella guida di V = 10mag o K = 6mag

Imaging Filtri a banda stretta e larga nell’intervallo dilunghezza d’onda 1 − 5.0µm con un campo di vista tra

14 − 56” e scale tra 13 − 54mas/pixel.Fabry-Perot e Imaging simultaneo differenziale.

Coronografia Maschere di occultazione di vari diametri+ maschere di fase a 4 quadranti.

Spettroscopia Spettroscopia con long slit o senza fenditura,con 4 grism di potere risolvente tra 400 − 1500.

Polarimetria Imaging con un prisma Wollaston o griglie di fili.

la luce proveniente da ciascuno di essi (Very Large Telescope Interferometer,VLTI).

4.1.1 NACO

I dati analizzati nel corso del presente lavoro sono stati acquisiti utilizzandoil telescopio UT4 (YEPUN) equipaggiato con lo strumento NACO. L’acro-nimo NACO indica gli strumenti NAOS (Nasmyth Adaptive Optics System) eCONICA (High-Resolution Near IR Camera) installati sul fuoco Nasmyth Bdel telescopio UT4. NACO fornisce osservazioni corrette tramite un sistema diottica adattiva in diverse modalita nell’intervallo di lunghezze d’onda 1−5µm.In Tabella 4.1 sono riportate le principali modalita di osservazione e i parametridel sistema NAOS-CONICA.

Turbolenza atmosferica e ottica adattiva

Il VLT ha una risoluzione data dal limite di diffrazione di λ/D = 0.057arcsec aλ = 2.2µm. La turbolenza atmosferica riduce la risoluzione a λ/r0 ≈ 0.7arcsec,dove r0 e il parametro di Fried che e il diametro delle fluttuazioni dell’atmosferae dipende dalla lunghezza d’onda tramite la relazione r0 ∝ λ6/5. Per condizioniosservative medie, r0 e tipicamente dell’ordine di 60cm a 2.2µm. Il tempo dicorrelazione della turbolenza, τ0, e collegato a r0 e alla velocita del vento vw.Se vw = 10m/s, il tempo di correlazione e 60ms a λ = 2.2µm. Sia r0 che τ0

sono parametri critici. Valori piu alti di tali parametri indicano condizioni piustabili dell’atmosfera e quindi migliori prestazioni di NAOS.

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Figura 4.1. Schema del funzionamento di un sistema di otticaadattiva. Fonte: [Ageorges et al. 2005].

Una tecnica efficace per correggere gli effetti degradanti della turbolenza at-mosferica e la correzione in tempo reale del fronte d’onda (WF) eseguitatramite l’ottica adattiva (AO).In Figura 4.1 e mostrato il funzionamento schematico di un sistema di otticaadattiva: il sensore di fronte d’onda (WFS) misura le distorsioni del WF chevengono poi elaborate in tempo reale da un computer (RTC). L’RTC control-la uno specchio di tip-tilt e uno specchio deformabile (DM) per correggere ledistorsioni. Il DM e uno specchio piano e sottile montato su un gruppo diattuatori piezoelettrici che lo deformano.

Un sistema di ottica adattiva lavora in modo iterativo. Il DM rende pianoil WF entrante e il WFS misura l’errore residuo del WF. Il sensore di fronted’onda utilizzato da NAOS e uno Shack-Hartmann. Esso consiste in un sistemadi lenti che campionano il WF incidente nel piano focale. Ogni lente formaun’immagine della stella guida e la disposizione delle singole immagini fornisceuna stima della pendenza del WF su quella lente. Una buona caratteristica diquesto WFS e che funziona con luce bianca, con oggetti estesi e sorgenti moltodeboli.Grazie alla buona correzione del fronte d’onda eseguita dall’ottica adattiva,

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Figura 4.2. Treno ottico di NAOS. Fonte: [Ageorges et al. 2005].

e possibile acquisire immagini con tempi di esposizione molto piu lunghi diτ0. Uno dei principali parametri che caratterizza la qualita di un’immagineacquisita con l’ottica adattiva e lo Strehl Ratio (SR), che corrisponde allaquantita di luce contenuta in un nucleo limitato dalla diffrazione rispetto alflusso totale.Le prestazioni di un sistema AO sono direttamente collegate al numero dilenti nel WFS, al numero di attuatori dietro il DM e alla frequenza con laquale vengono calcolati, elaborati e corretti gli errori del WF. Esse sono inoltrecollegate alle condizioni osservative tramite i parametri τ0 e r0, alla luminositadella stella guida e alla distanza tra l’oggetto d’interesse e la stella guida. Incaso di buone condizioni e di una stella guida vicina e luminosa, la correzionee buona e la PSF risultante e molto vicina al limite di diffrazione. Una buonacorrezione in banda K corrisponde tipicamente a uno SR > 30%. A lunghezzed’onda piu corte (in particolar modo nella banda J) o in condizioni atmosferichesfavorevoli o di stella guida distante e debole, la correzione risulta soltantoparziale e il rapporto SR e di qualche percento.

NAOS

NAOS e un sistema di ottica adattiva che lavora con una stella guida laser eoggetti estesi. Uno schema del cammino ottico di NAOS e mostrato in Figura4.2. Lo specchio piano di tip-tilt compensa le inclinazioni maggiori del fronted’onda, che sono i principali disturbi generati dalla turbolenza atmosferica.Lo specchio deformabile, che contiene 185 attuatori, corregge le aberrazioni diordine piu alto, includendo quelle statiche strumentali.

CONICA

CONICA e uno strumento di imaging e uno spettrografo che utilizza il segnaleproveniente da NAOS. E in grado di eseguire osservazioni di imaging, spet-

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Tabella 4.2. Rivelatore di CONICA.

Tipo Dimensione Dimensione Corrente di dark Intervallo di Efficienzarivelatore (pixel) pixel (µm) (ADUs−1pixel−1) lunghezze d’onda (µm) quanticaAladdin 3 1024 × 1024 27 0.05 − 0.15 0.8 − 5.5 0.8 − 0.9

Tabella 4.3. Dati acquisiti. Strumento VLT + NACO.

Modalita Data e ora Filtro e/o Numero Tempo esposizione Camera Sigla1

di osservazione inizio osservazioni grism immagini di ogni immagine (s)(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7)

Imaging 2006-01-17T02:02:49.900 J 5 0.36 S13 16J1Imaging 2006-01-17T02:06:53.331 H 5 0.36 S13 16H1Imaging 2006-01-17T02:12:37.873 Ks 5 0.50 S13 16Ks1Imaging 2006-01-17T03:03:20.674 J 5 0.40 S13 16J2

Spettroscopia 2006-01-17T04:14:25.427 4 SJ 4 2.50 S54Spettroscopia 2006-01-17T04:17:43.820 4 SHK 4 2.50 S54

Imaging 2006-01-17T04:28:39.918 J 5 0.36 S13 16J3Imaging 2006-01-17T04:32:34.798 H 5 0.36 S13 16H2Imaging 2006-01-17T04:36:54.872 Ks 5 0.40 S13 16Ks2

Spettroscopia 2006-01-17T05:15:11.360 4 SJ 4 2.50 S54Spettroscopia 2006-01-17T05:18:30.459 4 SHK 4 2.50 S54

Imaging 2006-01-18T01:54:13.156 J 5 0.40 S13 17J1Imaging 2006-01-18T01:57:57.962 H 5 0.40 S13 17H1Imaging 2006-01-18T02:01:38.427 Ks 5 0.50 S13 17Ks1

Spettroscopia 2006-01-18T02:35:16.713 4 SJ 4 3.50 S54Spettroscopia 2006-01-18T02:39:10.173 4 SHK 4 3.50 S54

Imaging 2006-01-18T03:04:18.034 J 5 0.40 S13 17J2Imaging 2006-01-18T03:08:08.586 H 5 0.35 S13 17H2Imaging 2006-01-18T03:11:24.804 Ks 5 0.50 S13 17Ks2

Spettroscopia 2006-01-18T03:32:20.596 4 SJ 4 2.50 S54Spettroscopia 2006-01-18T03:35:57.829 4 SHK 4 2.50 S54

1 Le sigle indicano l’immagine risultante dalla combinazione delle singole immagini e si riferiscono alla Figura4.5.

troscopia long slit, coronografia, e polarimetria. In Figura 4.3 e mostrato unoschema dello strumento. Una descrizione dettagliata di tutte le modalita diosservazione di CONICA e disponibile in [Ageorges et al. 2005].

Il rivelatore utilizzato in CONICA e un SBCR (Santa Barbara ResearchCenter) InSb Aladdin 3. Le principali proprieta di questo rivelatore sonoriassunte in Tabella 4.2

4.2 Osservazioni

In Tabella 4.3 sono riportati in dettaglio i dati analizzati nel corso del presentelavoro di tesi e la disposizione del telescopio utilizzata per l’acquisizione.

In totale sono state acquisite 65 immagini con la camera S13 (scala 13.27

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Figura 4.3. Schema di CONICA. Fonte: [Ageorges et al. 2005].

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Tabella 4.4. Filtri a banda larga utilizzati per l’acquisizione delleimmagini.

Nome λc (µm) FWHM (µm) massimo di trasmissioneJ 1.27 0.25 78%H 1.66 0.33 77%Ks 2.19 0.35 70%

Tabella 4.5. Modalita spettroscopiche utilizzate per l’acquisizione.Il nome della modalita e composto dalla camera, dal numero del grisme dal filtro.

Nome della Dominio spettrale Ordine Scala spaziale Dispersione lineare Dimensione Risoluzionemodalita (µm) (mas/pixel) (nm/pixel) slit

(1) (2) (3) (4) (5) (6) (7)S54 4 SJ1 0.91 − 1.40 1 54 2.00 86masX40arcsec 400

S54 4 SHK2 1.30 − 2.60 1 54 1.94 86masX40arcsec 550

1Si puo vedere anche la luce del secondo ordine ma non contamina il primo ordine.2SJ e SHK sono speciali filtri a banda larga per le applicazioni spettroscopiche. Essi coprono rispettivamenteun intervallo di lunghezze d’onda piu largo dei filtri standard J-, H-, Ks-.

mas/pixel, FOV 14X14arcsec) e i filtri J, H, Ks. Le proprieta dei filtriutilizzati sono riportati in Tabella 4.4.

Per quanto riguarda la spettroscopia, nel corso delle due notti osservativesono stati acquisiti 76 spettri con la camera S54, il grism 4 e i filtri SJ eSHK. In Tabella 4.5 sono riportate le proprieta delle modalita spettroscopicheutilizzate.

In ciascuna delle due notti di osservazione sono stati acquisite anche 5immagini e 4 spettri di due analoghi solari, le stelle Hip02907 e Hip03687,immagini di calibrazione, dark e flat, e, per la spettroscopia, lampade per lacalibrazione in lunghezza d’onda.

4.3 Immagini

La tecnica di riduzione utilizzata per le immagini acquisite con l’ottica adattivasi divide in preriduzione e deconvoluzione. Nella fase di preriduzione vienecalcolato il Master Dark, che e poi sottratto alle immagini scientifiche, e ilMaster Flat Field, per cui esse vengono divise. La fase di deconvoluzionepermette di correggere le immagini dalle aberrazioni indotte dall’ottica deltelescopio e dalle perturbazioni atmosferiche non corrette dall’ottica adattiva([Carry 2005]).

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4.3.1 Preriduzione

Dark

Le immagini di dark sono necessarie per rimuovere il rumore elettronico deltelescopio e avere una stima del RON (Read Out Noise). Queste immaginisono state acquisite alla fine di ogni notte di osservazione per ogni assetto deltelescopio e tempo di esposizione utilizzato. Considerando che per ottenereun Master Dark sono necessarie tre immagini di dark grezze, in totale sonostate acquisite 27 immagini di dark per la prima notte e 15 per la seconda. Lapreriduzione di questi dati e stata effettuata utilizzando la procedura conicapdark di Eclipse (libreria C che permette di ridurre i dati acquisiti dai telescopiESO) che esegue tre passi differenti:

1. calcolo della mediana di 3 dark grezzi che hanno lo stesso tempo di espo-sizione, la stessa camera e la stessa modalita di lettura (produzione delMaster Dark);

2. calcolo del RON;

3. costruzione delle mappe dei pixel caldi e freddi.

Flat Field

I flat field servono per correggere la differenza di guadagno fra pixel e pixel.Nella prima notte osservativa sono stati acquisiti 18 twilight flat (flat ottenutial tramonto) grezzi per i filtri H e Ks e 7 per il filtro J, utilizzando la cameraS13 e tempi di esposizione uguali a 20.00s per i filtri Ks e J e 6.00s per il filtroH.Nel corso delle due notti di osservazione sono stati inoltre acquisiti flat conlampade alogene. Tuttavia, da una preriduzione eseguita con le procedureautomatiche di Eclipse, si e visto che i twilight flat fornivano risultati migliorie si e percio deciso di utilizzare questi per calibrare le immagini scientifiche siadella prima che della seconda notte di osservazione, considerate le condizioniestremamente stabili del sito osservativo durante le due notti.Per la composizione dei singoli flat e stata utilizzata una procedura IDL scrittadal Dott. Stephane Erard, dell’Osservatorio di Parigi, adattata ai dati inanalisi. Gli input richiesti sono l’elenco dei twilight flat acquisiti con lo stessofiltro e il Master Dark corrispondente (con lo stesso assetto del telescopio etempo di esposizione). Vengono riportati schematicamente i passi di questaprocedura:

• controllo del tempo di esposizione e del filtro dall’header di ciascunaimmagine;

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• creazione di una mappa dei bad pixel;

• sottrazione del Master Dark e correzione per i bad pixel;

• prima normalizzazione: divisione per la media;

• mediana dei singoli flat;

• normalizzazione finale;

• salvataggio su un file .fits del Master Flat Field.

Calibrazione e composizione delle immagini

Per ogni assetto del telescopio sono state acquisite 5 immagini di Vesta (vediTabella 4.3) leggermente traslate l’una dall’altra. Questa tecnica di osser-vazione, chiamata jitter o microscanning, e tipica delle osservazioni nell’IRperche permette un’efficace sottrazione del contributo del cielo1.Un’acquisizione tipica in modalita jitter si ottiene prendendo la prima im-magine centrata nel punto d’interesse e le altre leggermente traslate di unaquantita maggiore delle dimensioni dell’oggetto ma non piu grande di una pic-cola porzione della dimensione della camera. Dalla combinazione di questeimmagini e possibile ricavare le variazioni del cielo e quindi dividere il segnaledella sorgente da quello del fondo.La calibrazione e composizione delle immagini e stata eseguita per mezzo dialcune procedure IDL sviluppate dal Dott. Stephane Erard e adattate ai datiin studio. Come input vengono richieste le 5 immagini grezze e il Master Darke il Master Flat Field corrispondenti. Di seguito e riassunto schematicamenteil procedimento utilizzato:

• controllo del filtro e del tempo di esposizione di ciascuna immagine;

• sottrazione del Master Dark, divisione per il Master Flat Field e cor-rezione per i bad pixel;

• calcolo del baricentro;

• correzione del baricentro utilizzando l’offset della traslazione letto nel-l’header delle immagini;

• posizionamento al centro dell’oggetto (identificato dal baricentro) e taglioopportuno dell’immagine;

1Uno dei problemi principali delle osservazioni nell’IR e la grande variabilita e ilcontributo non trascurabile del cielo per lunghe esposizioni.

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• aggiustamento manuale e interattivo del centro delle 5 immagini in mododa centrare piu precisamente l’oggetto in studio in ciascuna immagine;

• mediana delle immagini;

• salvataggio su un file .fits delle immagini finali.

In Figura 4.4A si puo vedere il risultato finale di questo processo sullaprima immagine della notte 16 nel filtro Ks.In totale sono state ottenute 13 immagini di Vesta, di cui 5 nel filtro J e 4 perciascuno dei filtri H e Ks.

PSF

Lo stesso procedimento di calibrazione e combinazione utilizzato per le imma-gini di Vesta e stato applicato per ridurre le immagini dei due analoghi solari,Hip02907 e Hip03687. Si e ottenuta cosı un’immagine per ciascuno di essi inogni notte che costituisce la PSF (Point Spread Function) necessaria per ilprocedimento di deconvoluzione.

4.3.2 Deconvoluzione

Il passo successivo della riduzione, trattandosi di dati acquisiti con uno stru-mento di ottica adattiva, e la deconvoluzione delle immagini. Per fare cio sonostate applicate diverse tecniche di deconvoluzione che hanno fornito progres-sivamente risultati migliori. Di seguito verra riportata una panoramica dellevarie tecniche sperimentate, partendo dall’algoritmo di massima verosimiglian-za sviluppato da [Lucy 1974] di cui le altre tecniche sono successive rifiniture.In tutti i casi come PSF sono state utilizzate le immagini degli analoghi solari.

L’algoritmo Richardson-Lucy (RL)

Considerando immagini nell’infrarosso acquisite da Terra, si definisce O(x, y)la distribuzione reale bidimensionale delle intensita dell’oggetto, dove x e ysono due coordinate ortogonali. I dati misurati D(x, y), dopo le correzioni peril dark e il flat field, assumono l’aspetto di una convoluzione:

D(x, y) =∫ ∫

H(x−u, y−v)O(u, v)dudv + N(x, y) = (H∗O)(x, y) + N(x, y)

(4.1)dove ∗ indica la convoluzione bidimensionale, H(x, y) e la PSF e N(x, y)

rappresenta un rumore aggiuntivo.A questo punto viene adottata una rappresentazione discreta del segnale, adesempio si considera una matrice bidimensionale, S = {s}. La distribuzione

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reale delle intensita O(x, y) puo essere espressa come O = {Os}s∈S o equi-valentemente O = O(i, j) con (i, j) ∈ Z2. La convoluzione discreta tra He O produce l’immagine I = H ∗ O, dove la PSF puo essere scritta come :H = {Hsr} con {Hsr} = Hsr = Hr−s per ciascuna coppia (r, s) ∈ S (equi-valente all’espressione H(x − u, y − v) nell’Equazione 4.1). A questo punto idati osservati, D = {Ds}s ∈ S, in cui e presente anche il rumore, si ottengonoapplicando a I una distribuzione poissoniana. Riassumendo:

O −→ I = H ∗O (convoluzione) −→ D = Poisson(H ∗O) (rumore) (4.2)

La base dell’algoritmo RL e la massimizzazione della verosimiglianza del-l’immagine originale O, che puo essere scritta come:

P (D/O) = P (D/I) =∏r∈S

exp{−(H ∗ Or)} [(H ∗ O)r]Dr

Dr!(4.3)

Il logaritmo della massima verosimiglianza, L = log P (D/O), puo essereespresso come:

L =∑r∈S

{−(H ∗ O)r + Dr log(H ∗ O)r − log(Dr!)} (4.4)

dove il prodotto di convoluzione puo essere espanso in:

(H ∗ O)r =∑s∈S

HsrOs (4.5)

Il principio di massima verosimiglianza permette di trovare l’insieme divariabili {Os} che soddisfano:

∂L

∂Os

= − ∑r∈S

Hsr +∑r∈S

DrHsr

(H ∗ O)r

= 0 ∀s ∈ S (4.6)

Assumendo come vincolo che la PSF sia normalizzata, ovvero

∑s∈S

Hsr = 1 ∀r ∈ S (4.7)

l’Equazione 4.6 diventa:

1 =∑r∈S

DrHsr

(H ∗ O)r

∀s ∈ S. (4.8)

Questo insieme di equazioni esatte costituisce il punto di partenza dell’al-goritmo che pulisce le immagini ed esegue la deconvoluzione (Restoration Al-gorithm, RA). Moltiplicando per Os ciascuna delle Equazioni 4.8 con s fissatosi ottiene:

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Os =∑r∈S

DrHsrOs

(H ∗ O)r

∀s ∈ S. (4.9)

che puo essere scritta con la seguente formula iterativa:

O(n+1)s =

∑r∈S

DrHsrO(n)s

(H ∗ O)(n)r

∀s ∈ S. (4.10)

Questa formula puo essere scritta in modo piu conciso come:

O(n+1) = O(n)[

D

H ∗ O(n)

]∗ HT ∀n ≥ 1 (4.11)

dove HT e la matrice trasposta di H e O(1) e il punto di partenza delleiterazioni.

Nelle successive citazioni ci si riferira a questo schema iterativo utilizzandol’espressione:

O(n+1) = RL(O(n)), n ≥ 1. (4.12)

Nella riduzione dei dati eseguita nel corso del presente lavoro, inizialmentee stato applicato questo algoritmo, implementato nella funzione iterativamax likelihood di IDL. Questa funzione richiede come input le immagini diVesta e dell’analogo a cui e gia stata applicata la preriduzione e come vin-coli l’integrale della PSF uguale all’unita e il fondo cielo uguale a zero. Ilrisultato dell’applicazione di questa deconvoluzione alla prima immagine dellaprima notte nel filtro Ks e riportato in Figura 4.4B, dove si nota chiaramenteche l’immagine non e deconvoluta bene, in quanto e presente ancora un fortecontributo dell’alone e i bordi dell’asteroide non sono netti. Si potrebbe pen-sare che cio e dovuto al basso numero di iterazioni dell’algoritmo, tuttavia estato verificato che un numero elevato di iterazioni introduce nell’immaginecaratteristiche spurie rendendola inutilizzabile per analisi successive.

Metodo Bratsolis o algoritmo FPR

Il problema principale dell’algoritmo RL e che non converge al massimo asso-luto perche negli RA e necessaria una conoscenza a priori che non e contenutanel modello di massima verosimiglianza. Inoltre e possibile che dati non com-patibili possano causare singolarita nel processo di deconvoluzione.L’idea di base della maggior parte degli algoritmi di regolarizzazione2 e l’in-clusione nella deconvoluzione di una conoscenza a priori dell’oggetto. L’algo-ritmo di regolarizzazione FPR (Flux-Preserving Regularization) proposto da

2Gli algoritmi di regolarizzazione permettono di risolvere problemi mal posti includendoinformazioni aggiuntive riguardo alla soluzione.

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[Bratsolis et al. 2001] supera questi problemi scegliendo tra le possibili imma-gini un’immagine smussata che approssima i dati.Lo schema iterativo dell’Equazione 4.10 in questo nuovo algoritmo viene quindimodificato nel modo seguente:

O(n+1) = (1 − λ)RL(O(n)) + λT (O(n)) ∀n ≥ 1, (4.13)

dove T e un operatore di regolarizzazione che conserva il flusso totale e λe una costante positiva compresa tra 0 e 1.Come operatore T si puo scegliere un qualunque filtro di convoluzione associatoa una matrice normalizzata R, ad esempio un filtro gaussiano o piu semplice-mente un filtro medio sui primi vicini. Quindi l’algoritmo FPR puo esserescritto come:

O(n+1) = (1 − λ)(O(n))[

D

H ∗ O(n)

]∗ HT + λR ∗ O(n) ∀n ≥ 1, (4.14)

cosı ad ogni passo l’intensita di ogni pixel dipende in maniera regolarizzatada quella dei suoi primi vicini, in accordo con il valore del parametro λ (perλ = 0 l’algoritmo FPR diventa l’algoritmo RL). La positivita e conservata se0 ≤ λ ≤ 1. Il criterio di convergenza di questo algoritmo e:

∑s∈W | O(n+1)

s − O(n)s |

| W | < ε (4.15)

dove W e una regione dell’immagine con dimensioni tali da contenerel’intera regione dell’oggetto in studio.

Nel corso del presente lavoro, e stato quindi scritto un programma IDL ingrado di applicare questo algoritmo alle immagini ESO-VLT di Vesta. Comeoperatore T e stato scelto un filtro medio tra i primi 4 o i primi 8 vicini. Gliinput richiesti dal programma sono:

• l’immagine di Vesta risultante dal processo di preriduzione;

• la PSF (immagine dell’analogo solare risultante dal processo di pre-riduzione);

• il valore del parametro di regolarizzazione λ;

• il numero dei primi vicini da considerare (4 o 8) nell’operatore T ;

• il valore della precisione che si vuole raggiungere, ε;

L’algoritmo prevede i seguenti passi:

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Figura 4.4. Prove di deconvoluzione della prima immagine di Vestanel filtro Ks acquisita nella notte del 16 Gennaio 2006. A. Risultato deiprocessi di preriduzione (sottrazione del dark, divisione per il flat field ecombinazione delle 5 immagini grezze) B. Deconvoluzione utilizzandol’algoritmo RL. Dalla C. alla F. deconvoluzione tramite l’algoritmoFPR con i seguenti parametri: C. v = 4, λ = 0.5, ε = 0.01, i = 253;D. v = 8, λ = 0.5, ε = 0.01, i = 214; E.v = 8, λ = 0.25, ε = 0.005,i = 299; F.v = 8, λ = 0.6, ε = 0.005, i = 230.

• taglio delle immagini in modo da avere dimensioni pari a una potenza di2 (ne consegue un aumento della velocita di calcolo);

• normalizzazione della PSF (integrale della PSF uguale all’unita);

• calcolo dell’area della regione contenente l’oggetto in studio (W );

• applicazione dell’Equazione 4.14;

• controllo della convergenza (Equazione 4.15);

• salvataggio dell’immagine deconvoluta.

In Figura 4.4C, 4.4D, 4.4E, 4.4F vengono mostrati i risultati ottenuti conla deconvoluzione FPR per la prima immagine della prima notte nel filtro Ksal variare del numero dei vicini (v), del parametro di regolarizzazione (λ) edella precisione fissata per la convergenza (ε); viene anche indicato il numerodelle iterazioni necessarie a raggiungere la precisione richiesta (i).

Dalla Figura 4.4 si nota che:

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• all’aumentare della precisione da raggiungere (ε), il numero di iterazioniaumenta (osservazione ovvia, ma utile per verificare il funzionamentodell’algoritmo e del codice IDL);

• al diminuire del numero dei vicini sono necessarie piu iterazioni per rag-giungere la convergenza e il risultato ha i bordi piu netti ma l’internopiu scuro (caratteristiche spurie introdotte dall’algoritmo);

• all’aumentare del parametro di regolarizzazione λ le immagini finali sonopiu smussate e presentano meno artefatti, ma i bordi sono poco defini-ti. Quindi una scelta di λ troppo grande impedisce una deconvoluzionetotale;

• di conseguenza al diminuire di λ i bordi sono migliori ma emergonocaratteristiche spurie;

• in generale a un bordo piu netto corrisponde l’aumento della presenza dicaratteristiche di albedo non reali.

• il bordo chiaro e il centro scuro fanno pensare al fatto che l’algoritmosommi tutta la luce dell’alone sul bordo.

I risultati ottenuti non sono stati considerati ancora soddisfacenti in quan-to non si e riusciti ad ottenere simultaneamente un’immagine con bordi nettie priva di artefatti sulla superficie del corpo. Sia la presenza di bordi nondefiniti, indice del fatto che il procedimento ha lasciato parte dell’alone nondeconvoluto, che la presenza di eccessive caratteristiche spurie non permet-tono un utilizzo scientifico delle immagini, in quanto non si possono ottenereinformazioni utili sulla composizione e struttura della superficie dell’oggetto inesame.

MISTRAL

L’algoritmo MISTRAL (Myopic Iterative STep-preserving Restoration ALgo-rithm) e una procedura innovativa, ottimizzata per la deconvoluzione di oggettiestesi come pianeti e asteroidi, sviluppata da un gruppo di scienziati dell’ON-ERA (Office National d’Etudes et de Recherches Aerospatiales). Questo meto-do considera una somma di rumore elettronico e fotonico, utilizza un algoritmodi regolarizzazione che conserva i bordi e, se utilizzato in maniera “miope”, va-luta iterativamente sia l’oggetto che la PSF.Piu in dettaglio e mantenendo i simboli precedentemente utilizzati, l’algoritmosi propone di trovare l’oggetto O che minimizza il criterio:

J(O) = Ji(O) + Jo(O) (4.16)

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dove Ji = − ln p(D | O) e il negativo del logaritmo della verosimiglianzae Jo = ln p(O) e il termine di regolarizzazione (p(O) e una densita di proba-bilita). Se non viene utilizzata nessuna conoscenza a priori, che e equivalentea considerare costante il termine p(O), si ritorna al classico algoritmo RL.Questo algoritmo considera un modello gaussiano e non stazionario per il ru-more, che e una buona approssimazione di una combinazione di rumore fotonicoe elettronico. Questo implica che:

Ji(O) =∑l,m

1

2σ2(l,m)[D(l,m) − (O ∗ H)(l,m)]2 (4.17)

dove σ2(l,m) = σ2ph +σ2

det e la somma delle varianze dei rumori fotonico edelettronico, che possono essere stimate dall’immagine D.

Come conoscenza a priori viene considerata una funzione di regolarizzazioneche conserva i bordi, quadratica per piccoli gradienti e lineare per gradientipiu grandi. La parte quadratica assicura un buono smussamento dei piccoligradienti (dati ad esempio dal rumore) mentre la parte lineare elimina glisvantaggi dei grandi gradienti (dati ad esempio dai bordi). In particolarel’algoritmo MISTRAL utilizza la seguente funzione di regolarizzazione:

Jo = µδ2∑l,m

φ(∇O(l,m)/δ), (4.18)

dove

φ(x) =| x | − ln(1+ | x |) (4.19)

e ∇O(l,m) = [∇xO(l,m)2 +∇yO(l,m)2] indicando con ∇xO e ∇yO rispet-tivamente i gradienti dell’oggetto lungo x e y.Questa funzione dipende da due parametri: l’iperparametro globale µ che cor-risponde al peso da dare all’informazione a priori, e l’iperparametro di sogliaδ che definisce il comportamento di Jo per ciascun pixel (l,m), quadratico per∇O(l,m) < δ o lineare per ∇O(l,m) > δ. I valori di questi due iperparametrivengono regolati a mano a seconda del livello del rumore e della strutturadell’oggetto. Nel fare cio bisogna tenere conto del fatto che gli iperparametrihanno una sensibilita logaritmica, ovvero per notare delle differenze bisognaaumentarli o diminuirli almeno di un fattore 10. Bisogna inoltre considerareche la convergenza e piu rapida all’aumentare dei valori degli iperparametri,quindi e consigliabile partire da valori elevati e abbassarli di volta in volta.Un’altra importante informazione a priori da utilizzare e il fatto che la mappadelle intensita dell’oggetto e costituita da valori positivi. Per utilizzare questainformazione e sufficiente applicare un vincolo di positivita durante il meccani-smo di deconvoluzione. Questo vincolo puo essere implementato in vari modi,

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per esempio con una riparametrizzazione dell’oggetto o una modifica della di-stribuzione di probabilita a priori. Il metodo piu efficiente (piu veloce e chenon introduce minimi locali) consiste nel minimizzare il criterio 4.16 diretta-mente sotto il vincolo di positivita.Nel corso del presente lavoro di tesi MISTRAL ha fornito i risultati migliorioperando in modalita classica, tuttavia per completezza si descrive anche il fun-zionamento di base dell’algoritmo in modalita “miope”. La modalita “miope”permette una stima congiunta dell’oggetto e della PSF partendo dall’immagineacquisita e da qualche misura imprecisa della PSF.Il criterio 4.16 viene modificato in:

J(O,H) = Ji(O,H) + Jo(O) + Jh(H) (4.20)

Partendo da un H fissata si trova l’oggetto O che minimizza il criterio 4.20,utilizzando poi l’oggetto O calcolato si cerca l’H che minimizza il criterio e cosıvia in modo iterativo, ottenendo una stima congiunta della PSF e dell’oggetto.Come conoscenza a priori, la PSF viene considerata un processo stocasticogaussiano, essendo la media temporale di un grande numero di PSF con untempo di esposizione piccolo. Assumendo inoltre che la differenza tra la PSFe la sua media e stazionaria, Jh(H) e dato da:

Jh(H) =1

2

∑f

| H(f) − Hm(f) |2Sh(f)

(4.21)

dove Hm = E[H] e la media della funzione di trasferimento e Sh = E[|H(f) − Hm(f) |2] e la densita spettrale di potenza (PSD). In pratica la PSFmedia e la sua PSD sono stimate sostituendo nelle loro definizioni i valori attesi(E[·]) da una media di immagini differenti di una stella. Questa stella deveessere posizionata in una regione dove il seeing e lo stesso di quello presentedurante l’osservazione dell’oggetto scientifico.Informazioni e descrizioni piu dettagliate di questo algoritmo si possono trovarein [Mugnier et al. 2004], [Conan et al. 2000a] e [Conan et al. 2000b].Nel corso del presente lavoro, per la riduzione dei dati e stata utilizzata unaversione IDL dell’algoritmo MISTRAL gentilmente fornita dal Dott. LaurentM. Mugnier dell’ONERA, che e stata poi inserita in un programma IDL ge-nerico per la deconvoluzione dei dati in studio. Gli input principali richiesti daMISTRAL sono:

• immagine da deconvolvere a cui e gia stata applicata la preriduzione.Possibilmente la dimensione di quest’immagine deve essere pari a potenzedi 2;

• PSF (o, nel caso “miope”, punto di partenza della PSF);

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• valore dell’iperparametro di regolarizzazione globale, µ, Equazione 4.18(se non specificato viene posto uguale a 1.0);

• valore dell’iperparametro di soglia, δ, Equazione 4.18 (se non specificatoviene posto uguale a 1.0);

• scelta tra deconvoluzione classica o “miope”;

• massimo numero di iterazioni, nbit, se il criterio di convergenza non esoddisfatto (se non specificato nbit = 100000);

• parametro di convergenza che indica la precisione che si vuole raggiungere(se non specificato ε = 1.0e − 5);

• attivazione del criterio di positivita.

Nella riduzione dei dati ESO-VLT di Vesta sono state provate numerosescelte dei parametri descritti, mantenendo fisso solamente il parametro di con-vergenza. Per trovare i valori dei due iperparametri che producessero i risul-tati migliori sono state eseguite molte prove. In generale si e osservato chevalori troppo bassi dell’iperparametro µ producono immagini molto rumorose,mentre valori troppo alti rendono le immagini troppo smussate. Per quantoriguarda il valore dell’iperparametro di soglia, valori troppo alti produconocaratteristiche anulari spurie (la conservazione dei bordi e meno efficiente),mentre valori troppo bassi non delineano bene i bordi. Come per gli altrialgoritmi, all’aumento della nitidezza dei bordi corrisponde un aumento dicaratteristiche spurie interne, tuttavia variando i parametri si puo arrivare abuoni compromessi. Si e inoltre notato che l’applicazione del criterio di posi-tivita migliora molto la deconvoluzione. In tutte le immagini, dopo varie provecon tutte e quattro le PSF disponibili, si e scelto di usare la PSF relativa al-la stella Hip02907 che fornisce i risultati migliori. Sono state inoltre eseguiteprove di deconvoluzione in modalita “miope” che, come gia detto, non hannofornito buoni risultati in quanto le immagini risultanti presentavano un alonemolto accentuato e caratteristiche spurie anulari su tutta la superficie del cor-po. Il fallimento della modalita “miope” e dovuto al fatto che il criterio 4.20e convesso per O fissata H e per H fissato O, ma non lo e nell’intero spaziodei parametri, quindi probabilmente le immagini di partenza sono lontane dalminimo globale e cio provoca dei problemi di convergenza.I risultati ottenuti sono riportati in Figura 4.5. Le immagini vengono identifi-cate dal numero del giorno di osservazione, dal filtro utilizzato e da un numeroprogressivo che le ordina temporalmente (Tabella 4.3).

Dalla Figura 4.5 si nota chiaramente il miglioramento ottenuto rispettoalla Figura 4.4, sia per quanto riguarda le caratteristiche superficiali che la ni-tidezza dei bordi. Ad ogni colonna corrispondono immagini ottenute a circa la

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Figura 4.5. Risultati della deconvoluzione con MISTRAL delle im-magini di Vesta acquisite nelle notti osservative 16 e 17 Gennaio 2006.Sulla prima riga sono presenti le immagini acquisite con il filtro J, sul-la seconda con il filtro H e sulla terza con il filtro Ks. In ogni riga leimmagini sono posizionate in ordine cronologico.

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stessa longitudine e acquisite con filtri diversi. La differenza temporale tra laprima e la seconda colonna e di ∼ 1h, tra le seconda e la terza di ∼ 1h25min.Considerando che il periodo di Vesta e uguale a P = 5.342h, e che tra laterza e la quarta colonna e trascorso un intervallo di tempo pari a 21h24min,Vesta nelle due immagini e circa nella stessa posizione. Infine tra la quarta ela quinta colonna sono passate circa 1h10min. Le zone di bassa albedo evi-denti nelle immagini non sono artefatti dovuti alla deconvoluzione poiche sonopresenti in tutte le immagini della stessa colonna al variare dei filtri. Per quan-to riguarda l’immagine 17J1 e in parte le 16H2 e 17H1 non e stato possibileeliminare completamente l’alone senza introdurre caratteristiche spurie sullasuperficie dell’oggetto. Il procedimento di deconvoluzione non ha quindi datobuoni risultati, probabilmente a causa di problemi sopraggiunti al momentodell’acquisizione dei dati.

4.4 Spettri

La spettroscopia nell’IR prevede l’acquisizione di spettri tramite cicli ABBA.Per ottenere uno spettro di un oggetto si acquisiscono sequenze di 4 spettri,mantenendo invariato il tempo delle esposizioni, in due posizioni A e B, nel-l’ordine ABBA.Nel corso del presente lavoro ci si e concentrati sull’analisi della regione alpolo Nord di Vesta. Sono stati ridotti 4 spettri J e 4 spettri HK dei 19 ac-quisiti durante le osservazioni. Gli spettri analizzati corrispondono tutti circaalla stessa latitudine dell’asteroide ma sono stati ottenuti in diverse fasi dirotazione e con diversi angoli di posizionamento della fenditura (PA). Ognispettro e stato ottenuto da un unico ciclo ABBA. In Tabella 4.6 sono riportatele longitudini di Vesta al momento delle acquisizioni degli spettri, calcolate conlo stesso procedimento utilizzato per il calcolo delle longitudini nelle immagini(vedi Paragrafo 5.1.3), e l’angolo di posizionamento della fenditura. In Figu-ra 4.6 la posizione della fenditura al momento dell’acquisizione degli spettrie stata sovrapposta all’immagine di Vesta che, tra quelle di Figura 4.5, ha lalongitudine centrale piu vicina. Confrontando le longitudini degli spettri conquelle delle immagini (Tabelle 4.6 e 5.2) si puo capire la rotazione effettiva diVesta al momento delle acquisizioni degli spettri. Per identificare i 4 spettri instudio si utilizza come notazione il numero della notte di osservazione in cui estato acquisito lo spettro, seguito da una lettera in ordine alfabetico.

Considerando i valori delle longitudini e dell’angolo di posizionamento dellafenditura, si puo notare che gli spettri della prima notte sono stati acquisitiprevalentemente nell’emisfero Ovest, mentre gli spettri della seconda notte siriferiscono all’emisfero Est di Vesta.

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Tabella 4.6. Longitudini sub-terrestri del centro di Vestanegli spettri in studio e angolo di posizionamento della fendituranell’acquisizione degli spettri.

Immagine αast δast JD LHST PA(hh : mm : ss) (dd : mm : ss) (gradi) (gradi)

16A 06:54:34.27 23:40:35.8 2453752.67847 62.63 -3116B 06:54:31.55 23:40:46.9 2453752.72014 130.556 017A 06:53:35.83 23:44:25.2 2453753.60972 128.377 -2017B 06:53:32.69 23:44:37.1 2453753.65903 209.245 -20

Figura 4.6. Posizioni delle fenditure con le quali sono stati acquisitigli spettri sovrapposte alle immagini di Vesta con la longitudine piuvicina.

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Come gia detto, nel corso delle notti di osservazione, oltre agli spettri di Vesta,sono stati acquisiti flat field spettroscopici, lampade per la calibrazione inlunghezza d’onda e uno spettro per ciascuna notte di due analoghi solari,Hip02907 e Hip03687, osservati a massa d’aria simile a quella di Vesta.

4.4.1 Riduzione

Per la riduzione degli spettri si e utilizzato il software IRAF unito al softwareMIDAS per il calcolo del flat field spettroscopico. Si riportano schematica-mente le varie fasi delle riduzione:

1. Taglio delle immagini. Questa operazione e importante per aumentarela velocita delle varie operazioni di riduzione e per togliere le parti esternedei frame che in generale sono quelle piu rumorose. Per quanto riguardail filtro SJ, questa operazione e necessaria poiche negli spettri acquisiti epresente anche il secondo ordine, che deve essere tolto per non inficiarele calibrazioni successive. Partendo da matrici 1024 × 1024 pixel, leimmagini risultanti in SJ hanno come estremi in x 250 e 980 pixel ein y 1 e 400, quelle in SHK comprendono i pixel da 360 a 880 in x e da200 a 990 in y.

2. Eliminazione dei bad pixel. L’eliminazione dei pixel caldi e stataeseguita tramite l’applicazione della procedura IRAF cosmicrays che per-mette di eliminare i pixel isolati con un valore superiore alla media. In-vertendo le immagini e applicando nuovamente questa procedura sonostati eliminati anche i pixel morti.

3. Calcolo del Master Flat Field spettroscopico. I flat field spettro-scopici sono stati acquisiti di mattina con una lampada alogena. Per ogniassetto del telescopio utilizzato nella precedente notte di osservazione,sono state acquisite tre immagini con la lampada accesa (flat on) alter-nate a tre immagini con la lampada spenta (flat off). Per ottenere ilMaster flat field, e stata inizialmente sottratta la media dei flat off dallamedia dei flat on, ottenendo un flat medio. Per la normalizzazione delflat field e stato utilizzato il software MIDAS, con il quale e stata calco-lata una media, m, in direzione spaziale del flat medio, il quale e statopoi diviso per m. Si e ottenuto cosı un flat field medio normalizzato,chiamato Master Flat Field.

4. Sottrazione del cielo. Nella spettroscopia IR e necessaria un’efficacesottrazione del cielo. Per ottenerla si sottrae il primo spettro in posizioneB (B1) dal primo spettro in posizione A (A1), e il secondo spettro inposizione A (A2) dal secondo spettro in posizione B (B2). I risultati

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vengono poi invertiti, ottenendo cosı da 4 spettri iniziali 4 spettri finalisenza alcuna perdita di informazione.

5. Divisione per il Master Flat Field. Gli spettri ottenuti nel passoprecedente vengono divisi per il Master Flat Field calcolato nel punto 3.

6. Combinazione degli spettri. Viene calcolato lo spostamento dei 4spettri rispetto al primo (preso come riferimento). I frame vengonoquindi traslati dello spostamento ottenuto e sommati.

7. Identificazione della lampada di calibrazione. Gli spettri dellelampade spettroscopiche sono state acquisite di mattina utilizzando unalampada penray all’Ar. Per ogni disposizione del telescopio usata nellanotte di osservazione, e stata acquisita un’immagine a lampada acce-sa e un’immagine a lampada spenta. Per ottenere la calibrazione finale,bisogna sottrarre l’immagine a lampada spenta da quella a lampada acce-sa e identificare le varie righe tramite un confronto con una lampada giacalibrata disponibile in rete [http://www.eso.org/instrument/naco].

8. Calibrazione in lunghezza d’onda dello spettro. Tramite il co-mando transform di IRAF e possibile, utilizzando la calibrazione dellalampada ottenuta nel passo precedente, calibrare in lunghezza d’onda lospettro di Vesta gia combinato.

9. Estrazione dello spettro. Questa operazione si esegue tramite la pro-cedura interattiva apall di IRAF. L’apertura per l’estrazione e fissata acirca 3 − 4 volte la FWHM della gaussiana che approssima lo spettrolungo una riga centrale.

10. Riduzione degli spettri dell’analogo solare. Per l’analogo solaresi eseguono gli stessi passi eseguiti per la riduzione degli spettri di Ve-sta, utilizzando lo stesso Master Flat Field e la stessa calibrazione dellalampada spettroscopica.

11. Divisione dello spettro di Vesta per quello dell’analogo. La di-visione dello spettro di un asteroide per uno spettro di tipo solare servea rimuovere il contributo predominante della luce riflessa del Sole. Nelfar cio si preferisce utilizzare gli spettri degli analoghi solari acquisitidurante le notti di osservazione, invece di uno spettro sintetico del Sole,per non introdurre errori dovuti alle diverse condizioni di acquisizionedei dati.

Per il filtro SJ si sono ottenuti spettri da ∼ 10000A a ∼ 13500A e per ilfiltro SHK da 14000A a 24900A. Per avere poi una visione globale dello spettrodi Vesta dal Vis all’IR, si sono considerati i dati nel Vis (4220− 10066A) della

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Figura 4.7. Primo spettro globale di Vesta ottenuto nella notte del16 Gennaio (16A).

SMASS (Small Main-belt Asteroid Spectroscopic Survey) disponibili nel sito[http://smass.mit.edu/smass1]. Gli spettri ottenuti sono stati quindi norma-lizzati alla lunghezza d’onda ∼ 7000A e presentati graficamente in uno spettroglobale nelle Figure 4.7, 4.8, 4.9 e 4.10. Nelle Figure sono state rimosse le zonemolto rumorose dovute al contributo delle bande atmosferiche.

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Figura 4.8. Secondo spettro globale di Vesta ottenuto nella nottedel 16 Gennaio (16B).

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Figura 4.9. Primo spettro globale di Vesta ottenuto nella notte del17 Gennaio (17A).

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Figura 4.10. Secondo spettro globale di Vesta ottenuto nella nottedel 17 Gennaio (17B).

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Capitolo 5

Interpretazione dei risultati

5.1 Immagini

5.1.1 Misura dell’angolo di aspetto

La prima operazione effettuata per poter eseguire l’analisi delle immagini ESO-VLT e studiare le caratteristiche superficiali di Vesta, e consistita nello stabilirela posizione dell’asteroide e del suo asse di rotazione rispetto alla Terra almomento delle osservazioni.La geometria di vista alla quale gli asteroidi vengono osservati e definita datre angoli (Figura 5.1):

• Angolo di aspetto (ξ), l’angolo tra l’asse di rotazione dell’asteroide e lalinea di vista dell’osservatore;

• Angolo di fase (α), l’angolo tra la linea di vista e il Sole;

• Obliquita, l’angolo tra i due piani definiti da ξ e da α (o il complementaredi questo).

Per la misura dell’angolo di aspetto e stato eseguito il seguente procedi-mento:

• Dal sito [http://ssd.jpl.nasa.gov/horizons.cgi] sono state ricavate le co-ordinate cartesiane di Vesta rispetto all’osservatorio di Cerro Paranal neigiorni delle osservazioni, con un intervallo di 10min l’una dall’altra, nelsistema J2000 (vettore x vesta).

• E stato poi calcolato il versore della posizione di Vesta (ogni 10min),ver vesta, tramite le seguenti formule:

r vesta =√

x vesta(1)2 + x vesta(2)2 + x vesta(3)2 (5.1)

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Figura 5.1. Descrizione grafica dell’angolo di aspetto, dell’angolo difase e dell’obliquita.

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ver vesta = x vesta/r vesta;

• Considerando che le coordinate del polo di rotazione sono αp = 301◦ eδp = 41◦, si e calcolato il versore che dal centro di Vesta punta al poloSud dell’asteroide, xp:

1. conversione in radianti dell’ascensione retta e della declinazione :

αp = αp · π/180 δp = δp · π/180;

2. calcolo delle coordinate del versore del polo di Vesta:

xp(1) = cos(αp) cos(δp) (5.2)

xp(2) = sin(αp) cos(δp)

xp(3) = sin(δp)

• Infine si e eseguito il prodotto scalare tra i versori ver vesta e xp, otte-nendo l’angolo d’aspetto ξ:

ξ = arccos(ver vesta(1) · xp(1) + ver vesta(2) · xp(2) +

+ ver vesta(3) · xp(3)) · 180/π (5.3)

L’angolo d’aspetto risultante da questo procedimento e ξ = 113.3◦. Poicheper ξ = 0◦ si ha un allineamento dei due versori con conseguente visione delpolo Sud, per ξ = 90◦ si sta vedendo in direzione dell’equatore e per ξ = 180◦

si vede il polo Nord di Vesta, il risultato ottenuto implica che nelle immaginisi riesce a vedere il polo Nord di Vesta con un’inclinazione di circa 66.7◦ versol’osservatore.Poiche non e pero disponibile una misura dell’obliquita non si puo identificarene rappresentare la direzione esatta dell’asse. Comunque, considerando chenelle immagini di Vesta (Figura 4.5) in basso a sinistra sembra essere visibileun grande cratere, si puo dedurre che l’obliquita non deve essere elevata e cheil Nord e in alto. Per le successive analisi e inoltre importante notare chenell’acquisizione delle immagini l’Est si trova a sinistra.

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Figura 5.2. Bordi e assi delle immagini di Vesta ottenute nelleosservazioni ESO-VLT del 16 e 17 Gennaio 2006.

5.1.2 Misura delle dimensioni

Come passo successivo, sulle immagini sono stati tracciati due assi perpendi-colari, ipotizzando l’obliquita dell’asse di rotazione dalla posizione del cratereal polo Sud. Si e quindi passati a fare una stima delle dimensioni di Ve-sta. Questo fornisce anche un’indicazione indiretta sulla bonta del processo dideconvoluzione. E infatti evidente che se le dimensioni risultanti sono mag-giori di quelle reali il procedimento di riduzione ha lasciato parte dell’alonenon deconvoluto, se invece risultano minori e stato tagliato parte del discodell’asteroide.

La stima delle dimensioni e stata eseguita considerando il diametro in pixelmisurato tra i punti in cui gli assi tracciati intersecano il contorno di Vesta(Figura 5.2). Definendo le coordinate dei punti in cui l’asse di rotazione in-terseca il contorno di Vesta (x1, y1) e (x2, y2), la misura del diametro e datada:

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Tabella 5.1. Misure delle dimensioni di Vesta nelle immaginianalizzate.

Vesta I punto II punto I punto II punto D1E−O D2

N−S Raggio Raggio

asse E-O asse E-O asse N-S asse N-S (pixel) (pixel) E-O (km) N-S (km)16J1 (95, 141.5) (158.5, 112.5) (116.5, 105.5) (138, 156.5) 70 56 264 ± 14 211 ± 1416H1 (90.5, 137) (160, 106.5) (115, 98) (139, 155.5) 76 63 286 ± 14 237 ± 1416Ks1 (94.5, 141.5) (158.5, 112) (116.5, 104) (139, 158) 71 59 267 ± 14 222 ± 1416J2 (96, 141) (158.5, 112.5) (116, 105.5) (138, 157) 69 56 260 ± 14 211 ± 1416J3 (98, 140) (156, 113.5) (117, 106) (136.5, 154.5) 64 53 241 ± 14 200 ± 1416H2 (94, 140.5) (160, 110.5) (116, 101) (140, 159.5) 73 64 275 ± 14 241 ± 1416Ks2 (97, 139.5) (159, 110) (117.5, 101) (140, 156.5) 69 60 260 ± 14 226 ± 1417H1 (93, 140) (160, 111.5) (115, 100) (139, 157.5) 73 62 275 ± 14 233 ± 1417Ks1 (94, 140) (160.5, 109.5) (117, 100) (141, 156.5) 73 62 275 ± 14 233 ± 1417J2 (91.5, 141) (161, 110) (115, 102) (138, 159) 74 62 279 ± 14 233 ± 1417H2 (95, 141.5) (160.5, 111) (116, 102.5) (140, 160) 72 63 271 ± 14 237 ± 1417Ks2 (92.5, 141.5) (159.5, 111) (116.5, 102.5) (139.5, 158.5) 72 61 271 ± 14 230 ± 14

1 Diamtero Est-Ovest2 Diametro Nord-Sud

D(pixel) =√

(x2 − x1)2 + (y2 − y1)2 (5.4)

da cui, il raggio in km e pari a:

r(km) = d · tan(D(pixel)/4 · 13.27 ∗ 10−3

206265) (5.5)

con d(km) = 1.565 ∗ 149597870.691km, distanza dell’asteroide dalla Terraal momento dell’osservazione. Da notare che il diametro in pixel e diviso per 4invece che per 2 per considerare il fatto che le immagini analizzate sono binnatedi un fattore 2 e che la scala della camera utilizzata nell’acquisizione dei datie di 13.27mas/pixel.In Tabella 5.1 sono riportati i dati ottenuti. Gli errori sono stati calcolaticonsiderando un errore di ±4pixel nella misura del diametro in pixel (perciascun punto di contatto tra gli assi e i bordi viene considerato un erroredi 2pixel, poiche le immagini sono binnate). L’immagine 17J1 non e statautilizzata nella misura delle dimensioni poiche, come gia detto, la procedura dideconvoluzione non ha dato buoni risultati probabilmente a causa di problemisopraggiunti al momento dell’acquisizione dei dati.

Le immagini ottenute nella stessa geometria di vista secondo la Figura4.5 danno valori dei raggi Est-Ovest e Nord-Sud consistenti entro gli errori.L’unica eccezione e costituita dall’immagine 16H2 che pero mostra un deboleresiduo dell’alone che non e stato rimosso per evitare di introdurre caratteri-stiche spurie all’interno del disco.L’ordine di grandezza delle dimensioni calcolate appare comunque in buonaccordo con le dimensioni conosciute di Vesta (289± 5km, 280± 5km e 229±

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5km, con un raggio medio di 258± 12km e asse minore corrispondente all’assedi rotazione (N-S)), tenendo conto del fatto che l’angolo di aspetto al momentodelle osservazioni non era a 90◦ e che l’obliquita e sconosciuta.Con lo stesso procedimento sono state misurate anche le dimensioni delle duestrutture osservate nelle immagini analizzate.

5.1.3 Misura delle longitudini

Per fare un confronto delle caratteristiche superficiali delle immagini analiz-zate nel corso del presente lavoro con quelle dell’HST, bisogna infine calcolarele longitudini sub-terrestri al centro dell’asteroide. Il sistema di riferimentoutilizzato e quello proposto da [Thomas et al. 1997b] (punto 0◦ al centro del-la Olbers Regio, longitudini Ovest). Per il calcolo delle longitudini e statautilizzata la seguente formula da [Drummond et al. 1998]:

LHST = 291.8 + 360(JD − JD0)/0.2225887 − k (5.6)

dove

k = arcsin[sin αp cos ζ − sin δast

sin ζ cos δp

] se sin(αp − αast) < 0, k = 180 − k.

(5.7)ζ = arccos [sin δp sin δast + cos δp cos δast cos(αp − αast)]

con:

• JD, giorno giuliano al momento delle osservazioni;

• JD0, giorno giuliano di riferimento (JD0 = 2451545, Gennaio, 1.5, 2000);

• [αast, δast], ascensione retta e declinazione dell’asteroide al momento del-l’osservazione;

• [αp, δp], ascensione retta e declinazione del polo di Vesta ([301◦, 41◦]);

• 0.2225887, periodo siderale di Vesta.

Naturalmente alla longitudine ottenuta dall’Equazione 5.6 vanno sottrattii gradi corrispondenti ai giri completi eseguiti dall’asteroide nell’arco di tempo(JD − JD0). In Tabella 5.2 sono riportati i valori di αast, δast e JD per leimmagini in studio e i risultati ottenuti per le longitudini.

Dalle longitudini calcolate si capisce quali parti degli emisferi di Vesta sonovisibili in ciascuna immagine. Ricordando che nei dati acquisiti il Nord e inalto e l’Est a sinistra si puo dire che:

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Tabella 5.2. Longitudini sub-terrestri del centro di Vesta nelleimmagini in studio.

Immagine αast δast JD k Numero LHST

(hh : mm : ss) (dd : mm : ss) (gradi) giri (gradi)16J1 06:54:40.18 23:40:14.3 2453752.58623 -61.4268 9918 274.4216H1 06:54:39.95 23:40:15.2 2453752.58903 -61.4235 9918 279.26816Ks1 06:54:39.73 23:40:16.1 2453752.59296 -61.4203 9918 284.11716J2 06:54:37.45 23:40:24.8 2453752.62826 -61.3873 9918 342.30816J3 06:54:33.59 23:40:39.3 2453752.687 -61.3315 9919 77.67516H2 06:54:33.36 23:40:40.2 2453752.6902 -61.3282 9919 82.52416Ks2 06:54:33.14 23:40:41.0 2453752.69319 -61.3250 9919 87.37217J1 06:53:37.85 23:44:17.5 2453753.58015 -61.4055 9923 82.02717H1 06:53:37.62 23:44:18.3 2453753.58274 -61.4021 9923 85.25817Ks1 06:53:37.62 23:44:18.3 2453753.58525 -61.4021 9923 90.1117J2 06:53:34.71 23:44:29.5 2453753.62884 -61.3601 9923 159.61417H2 06:53:34.49 23:44:30.3 2453753.63144 -61.3570 9923 164.46317Ks2 06:53:34.49 23:44:30.3 2453753.6337 -61.3570 9923 167.697

• nelle immagini 16J1, 16H1, 16Ks1 la rotazione di Vesta permette divedere praticamente tutto l’emisfero Est;

• in 16J1 si ha la longitudine 0◦ a ∼ 20◦ a destra del centro, con l’emisferoEst a sinistra e l’emisfero Ovest a destra;

• in 16J3, 16H2, 16Ks2 e 17J1, 17H1, 17Ks1 le longitudini confermano ilfatto che si tratta di immagini posizionate tutte circa nella stessa faserotazionale, centrata nell’emisfero Ovest;

• infine in 17J3 e 17H2, 17Ks2 l’emisfero Ovest si trova a sinistra e per∼ 20◦ a destra e l’emisfero Est nella restante parte di destra.

5.1.4 Caratteristiche superficiali

In Figura 5.3 sono raffigurate le immagini deconvolute, con i contorni cor-rispondenti alle zone di pari intensita e le longitudini individuate. In questasezione, oltre ad individuare tutte le caratteristiche superficiali visibili nelle im-magini ottenute, viene anche eseguito un confronto con le immagini di Vestadel 1994 e del 1997 acquisite con l’HST. Per chiarezza riportiamo nuovamentequeste immagini nella Figura 5.4, dove sono state indicate anche le longitu-dini centrali di Vesta al momento dell’osservazione (da [Zellner et al. 1997] e[Thomas et al. 1997a]) e l’orientamento delle coordinate.

In generale si vede che si ha la stessa forma e le stesse zone di diversa albedoper immagini acquisite con filtri diversi ma in tempi vicini. Questo confermache le variazioni di albedo presenti non sono caratteristiche spurie introdottedal processo di deconvoluzione. In base a questa affermazione, nell’analizzare

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Figura 5.3. Immagini di Vesta acquisite da VLT-NACO (Gen-naio 2006) e deconvolute con MISTRAL. Sopra ogni immaginedell’asteroide e riportata la longitudine centrale.

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Figura 5.4. Immagini di Vesta acquisite dall’HST. A sinistra:immagini del 1994, Nord in alto, Est a destra. A destra: im-magini del 1997, Sud in alto, Est a sinistra. Sopra ogni ogget-to e riportata la longitudine centrale. Fonti: [Zellner et al. 1997] e[Thomas et al. 1997a]

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le singole immagini sono stati raggruppati i dati relativi a fasi rotazionali diVesta simili, acquisiti con filtri diversi.

Di seguito vengono analizzate le principali caratteristiche superficiali osser-vate nelle diverse immagini:

• 16J1, 16H1, 16Ks1: in questi dati e presente una zona scura in al-to a sinistra. Se questa fosse una caratteristica reale, in base alla ro-tazione di Vesta, bisognerebbe ritrovarla a destra nelle immagini 17J2,17H2, 17Ks2. Poiche cio non e verificato, probabilmente questa zonascura e semplicemente un’ombra dovuta al fatto che il Sole, al momentodelle osservazioni, si trovava in basso a destra (a Ovest nell’immagine).L’analogo di queste immagini nei dati di Vesta dell’HST del 1994 si hanell’immagine j1 di Figura 5.4. Anche in questo caso si ha una carat-teristica scura in alto a destra che non ha poi riscontri nelle immaginisuccessive o precedenti. Poiche il Sole e in basso a sinistra, anche questamacchia potrebbe essere causata da un effetto d’ombra. Nelle due figurele forme dell’asteroide sono consistenti. Per quanto riguarda invece i datidell’HST del 1997, si ha una corrispondenza con l’immagine p2 di Figura5.4. La forma di Vesta sembra essere consistente con quella trovata neidati ESO-VLT. In questo caso la macchia scura osservata nelle immagini16J1, 16H1 e 16Ks1 non e visibile e questo sembra confermare la teoriainiziale che questa caratteristica e in realta solo un effetto d’ombra.

• 16J2: in questa immagine la caratteristica piu notevole e l’Olbers Regio,posizionata in basso a destra. Cio e confermato, oltre che dalla longitu-dine, anche dal fatto che nelle immagini o1 e p1 di Figura 5.4 e presentela stessa zona scura identificata da [Zellner et al. 1997] come la OlbersRegio. Non si ha invece un’immagine equivalente nei dati del 1997. Estata eseguita la misura delle dimensioni di questa caratteristica appli-cando la tecnica descritta nel Paragrafo 5.1.2, che ha dato come risultatoD ∼ 180km, in accordo con le dimensioni della Olbers Regio.

• 16J3, 16H2, 16Ks2, 17H1, 17Ks1: in tutte queste immagini e pre-sente una zona di bassa albedo in basso a sinistra. E stata misurata ladimensione di questa regione il cui raggio medio e risultato di ∼ 82km.Questa zona e presente anche nelle immagini del 1997 (in alto a sini-stra in d2 di Figura 5.4) e, seppure leggermente piu in alto, anche nelleimmagini acquisite nel 1994 (v1, w1, x1 di Figura 5.4). Nelle immagini17J2, 17H2, 17Ks2 la posizione di questa zona scura in alto a sinistrae consistente con lo spostamento dovuto alla rotazione di Vesta. Tuttocio fa pensare effettivamente che questa sia una caratteristica reale dellasuperficie. Le forma di Vesta ottenuta dai dati ESO-VLT e leggermentediversa da quella risultante dai dati HST del 1994, in quanto nelle no-

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stre immagini l’asteroide appare piu sferico e meno irregolare. Questedifferenze sono probabilmente dovute alle diverse geometrie di vista allequali i dati sono stati acquisiti dall’ HST e da Terra.

• 17J2, 17H2, 17Ks2: come gia detto, in questi dati e presente una zonascura in alto a destra consistente con la caratteristica individuata nelleimmagini analizzate nel punto precedente. Inoltre questo abbassamentodell’albedo si nota anche nei dati corrispondenti dell’HST (immagini c1e g2 di Figura 5.4). In tal caso la differenza principale tra i dati ESO-VLT e quelli HST sta nella forma dell’asteroide che appare piu regolare esferica nelle immagini dell’HST. Probabilmente anche questo e spiegabilecon differenze nella geometria di vista.

Purtroppo dai dati analizzati nel corso del presente lavoro non si riesce adindividuare la rotazione di Vesta con il movimento delle caratteristiche superfi-ciali, come invece e possibile per i dati dell’HST. Questo perche si hanno pocheimmagini distanziate l’una dall’altra di almeno un’ora. Anche la dicotomia tragli emisferi non e particolarmente visibile sempre a causa del fatto che si han-no a disposizione pochi dati e bisogna considerare anche l’effetto del Sole. Laregione piu chiara delle olivine, identificata da [Gaffey 1997], sarebbe visibilesolo in 16J1, 16H1, 16Ks1, ma l’ombra del Sole non permette di riconoscerla.E comunque evidente che con strumenti da Terra, utilizzando l’ottica adattivae un buon algoritmo di deconvoluzione, sono stati ottenuti risultati di ottimaqualita, confrontabili con quelli ottenuti con l’HST.

5.2 Spettri

5.2.1 Composizione dei pirosseni (BI vs BII e BAR)

Per l’analisi degli spettri ottenuti nel corso del presente lavoro e stato applicatoil metodo suggerito da [Gaffey et al. 2002] che prevede la riparametrizzazionedello spettro in funzione delle aree e delle posizioni delle bande a 1µm e 2µm(d’ora in avanti per riferirsi a queste bande si utilizzeranno rispettivamente isimboli BI e BII).Per calcolare le posizioni e le aree delle due bande nei 4 spettri in studio estata sviluppata una procedura IDL che esegue i seguenti passi:

• Divisione dello spettro in due intervalli di lunghezza d’onda definiti inmodo tale da includere i massimi relativi che delimitano la bande diassorbimento a 1 e 2µm. D’ora in avanti tutte le operazioni vengonoeseguite indipendentemente nei due intervalli dello spettro.

• Approssimazione con un polinomio di grado n dello spettro nei dueintervalli precedentemente fissati (n e un input del programma).

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Tabella 5.3. Risultati ottenuti per le posizioni e le aree delle bandenegli spettri in esame.

spettro n1 n12 n23 λ4minBI (A) λ5

minBII (A) BAR16A 6 6 4 9203.00 19626.8 3.6016B 6 5 4 9244.00 19626.8 3.4617A 6 5 6 9244.00 19832.2 1.7717B 6 6 6 9304.00 19910.7 1.80

1 grado del primo polinomio utilizzato per il fit2 grado del secondo polinomio utilizzato per il fit di BI3 grado del secondo polinomio utilizzato per il fit di BII4 lunghezza d’onda del minimo di BI5 lunghezza d’onda del minimo di BII

• Calcolo dei due massimi di ciascun polinomio.

• Determinazione delle tangenti ai massimi (fin qui vedi Figura 5.5).

• Sottrazione del continuo, rappresentato dalle due tangenti ai massimi,allo spettro di Vesta.

• Approssimazione con un nuovo polinomio (di grado n1 o n2 a secondadell’intervallo in studio) dello spettro di Vesta risultante.

• Calcolo dei minimi dei nuovi polinomi che rappresentano la posizionedelle bande.

• Calcolo dell’area delle bande, definite dai massimi trovati in precedenza,negli spettri a cui e stato sottratto il continuo (fin qui vedi Figura 5.6).

• Calcolo del rapporto tra l’area di BII e l’area di BI (BAR, Band AreaRatio).

I risultati ottenuti per ciascuno spettro sono riportati in Tabella 5.3.

Per investigare la composizione dei pirosseni negli spettri analizzati, rispet-to al contenuto molare di Ca (Wo) e al contenuto molare di Fe (Fs), sono stateutilizzate le seguenti formule empiriche da [Gaffey et al. 2002]:

Wo(±3) = 347.9λminBI(µm) − 313.6 (Fs < 10; Wo∼5−35 esclusi) (5.8)

Wo(±3) = 456.2λminBI(µm) − 416.9(Fs = 10 − 25; Wo∼10−25esclusi)(5.9)

Wo(±4) = 418.9λminBI(µm) − 380.9 (Fs = 25 − 30) (5.10)

Fs(±5) = 268.2λminBII(µm) − 483.7 (Wo < 11) (5.11)

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Figura 5.5. Fit delle bande con due polinomi e visualizzazione delletangenti per lo spettro 17B (riportato come esempio).

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Figura 5.6. Fit delle bande con continuo sottratto e definizionedell’area di banda per lo spettro 17B (riportato come esempio).

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Fs(±5) = 57.5λminBII(µm) − 72.7 (Wo = 11 − 30; Fs<25 esclusi) (5.12)

Fs(±4) =−12.9λminBII(µm) + 45.9 (Wo = 30 − 45) (5.13)

Fs(±4) =−118.0λminBII(µm) + 278.5 (Wo > 45) (5.14)

Gli intervalli esclusi nelle calibrazioni di Wo e Fs rappresentano compo-sizioni non presenti tra i minerali naturali. I valori tra parentesi indicanol’intervallo di composizione per cui la singola equazione e applicabile. Poicheinoltre il contenuto di Ca e Fe non e conosciuto a priori, queste equazioni sonoapplicate in modo iterativo. E importante infine ricordare che queste cali-brazioni assumono la presenza di un singolo pirossene, e potrebbero fallire sepiu di un tipo di pirossene e presente.Ad esempio, a partire dalle caratteristiche spettroscopiche dello spettro 16A,sono stati ottenuti Wo = 5 e Fs = 43. Infatti considerando che λminBI =0.9203µm e applicando l’Equazione 5.8 e stato ottenuto un valore inizialeWo = 7. E stata quindi applicata la Formula 5.11 per calcolare il contenutodi Fs e, considerando che λminBII = 1.96268µm, e stato ottenuto Fs = 43.Quindi per calcolare il contenuto di Wo consistente con il contenuto di Fs, estata utilizzata l’Equazione 5.10, che ha dato come risultato finale Wo = 5,compatibile con l’intervallo di validita della formula utilizzata per il calcolo diFs.Questo procedimento e stato applicato a tutti gli spettri analizzati. I risultatiottenuti sono riportati in Tabella 5.4.Dal rapporto delle aree delle bande e stata inoltre calcolata l’abbondanzarelativa tra olivine e pirosseni. Questa e definita come ([Gaffey et al. 2002])1:

Opx

Opx + Ol= (0.417 · BAR) + 0.052 (5.15)

L’applicazione di questa equazione ai dati in analisi ha fornito i risultatimostrati in Tabella 5.4.

In Figura 5.7 e riportata la posizione del centro di BI in funzione dellaposizione del centro di BII negli spettri ottenuti a VLT, confrontati con leposizioni dei centri di banda degli spettri pubblicati da [Vernazza et al. 2005]e [Gaffey 1997], e con le regioni corrispondenti alle eucriti e alle diogeniti. InFigura 5.8 e invece riportato l’andamento del centro di BI in funzione delBAR dei dati in esame confrontati con i risultati di [Vernazza et al. 2005] econ le regioni corrispondenti alle olivine (OL), le condriti ordinarie (OC) e leacondriti basaltiche (BA).

Dai risultati mostrati nelle Tabelle 5.3 e 5.4 e nelle Figure 5.7 e 5.8 si evinceche:

1Questa formula e valida per un’abbondanza relativa di ortopirosseni tra 10% e 90%

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Tabella 5.4. Composizione dei pirosseni negli spettri in esame.

spettro Wo Fs Opx/(Opx + Ol)16A 5 43 1.5516B 6 43 1.5017A 6 48 0.7917B 9 50 0.80

Figura 5.7. Posizione dei centri banda per i quattro spettri in analisiconfrontati con quelle degli spettri studiati in [Vernazza et al. 2005],con la regione ottenuta dalle osservazioni di Vesta in [Gaffey 1997] econ le regioni corrispondenti degli assemblaggi di acondriti basaltichedi eucriti e diogeniti.

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Figura 5.8. Valore del BAR rispetto alla posizione del centro diBI. Le regioni rappresentate corrispondono a assemblaggi di puraolivina (OL), alle condriti ordinarie (OC) e alle condriti basaltiche(BA). Vengono inoltre riportati per confronto i risultati ottenuti da[Vernazza et al. 2005].

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• Le differenze maggiori nelle posizioni della banda si hanno per BII.Questo e spiegabile dal fatto che fino a 10066A gli spettri presentano glistessi valori (da [http://smass.mit.edu/smass1]);

• La composizione dei pirosseni (Wo e Fs) e consistente con quella trova-ta da [Vernazza et al. 2005]. I valori ottenuti dimostrano che gli or-topirosseni (pirosseni a basso contenuto di Ca) sono dominanti rispettoai clinopirosseni (ad alto contenuto di Ca).

• In Figura 5.7 i dati, consistenti con le misure di [Vernazza et al. 2005],sono posizionati nella regione di transizione tra le diogeniti e le eucriti.

• I valori dei BAR dimostrano che per gli spettri della prima notte la per-centuale di ortopirossene in una mistura di olivine-ortopirosseni e mag-giore del 90%, fuori quindi dal limite di validita delle calibrazioni. Questocomporta che il contenuto di olivine e praticamente trascurabile. Neglispettri della seconda notte, invece, la percentuale di ortopirossene e dicirca l’80%, entro i limiti di validita e consistente con un contenuto, pic-colo ma rilevante, di olivine. Questi ultimi dati, in Figura 5.8, cadononella regione delle acondriti basaltiche (consistenti dunque con un con-tenuto elevato di ortopirosseni). Considerando che, come gia detto, glispettri della prima notte sono acquisiti nell’emisfero Ovest, mentre quel-li della seconda nell’emisfero Est, tutto cio e consistente con le mappelitologiche e geologiche di Vesta ([Gaffey 1997] e [Binzel et al. 1997]) se-condo le quali nell’emisfero Est ci sono vari crateri ricoperti da olivineportate in superficie dagli impatti.

5.2.2 Confronto con le meteoriti

Per indagare l’effetto dello space weathering sugli spettri analizzati e stato ese-guito un confronto con gli spettri della meteorite eucritica Bereba, prima edopo l’irraggiamento, pubblicati da [Vernazza et al. 2006].Gli esperimenti di irraggiamento sono stati condotti all’Osservatorio di Cata-nia, utilizzando ioni di Ar++ con un’energia di 400keV (piu alta di quella degliioni di Ar del vento solare) in modo da accelerare il processo. Sono stati uti-lizzati ioni di Ar++ invece di protoni a 1keV , piu abbondanti nel vento solare,perche, come discusso in [Brunetto et al. 2005], gli effetti dell’irraggiamentosono molto piu rilevanti con gli ioni pesanti piuttosto che con i protoni.La meteorite Bereba e stata scelta in quanto il suo spettro di riflettanza emolto simile a quello di Vesta. Le due bande intorno a 0.9µm e 2µm nel suospettro sono dovute ai pirosseni, mentre l’andamento intorno a 1.3µm e dovu-to ai plagioclasi. L’irraggiamento ha prodotto un progressivo inscurimentodei campioni di meteorite, e un progressivo arrossamento dello spettro (flusso

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Figura 5.9. Confronto dello spettro di Vesta 16A con gli spettri dellameteorite Bereba non irradiata e irradiata con flussi diversi di ioni diAr++.

piu elevato a lunghezze d’onda maggiori). La pendenza spettrale nella regionedella prima banda e aumentata, mentre la profondita di entrambe le bandespettrali e diminuita.Nelle Figure da 5.9 a 5.12 gli spettri di Vesta analizzati durante questo lavoro ditesi sono confrontati con gli spettri della meteorite Bereba non irradiata e irra-diata con due diversi flussi di ioni. Tutti gli spettri sono normalizzati a 0.7µmper permettere un migliore confronto con i risultati di [Vernazza et al. 2006](Figura 3.10 di questa tesi).

Nelle Figure 5.9 e 5.10, relative agli spettri della prima notte, appare evi-dente che si ha un’approssimazione migliore con lo spettro della meteorite Bere-ba non irradiata, a conferma di quanto ipotizzato da [Vernazza et al. 2006],secondo il quale su Vesta non sono attivi processi di space weathering.Nelle Figure 5.11 e 5.12 questo confronto e piu complicato, in quanto le bandesono bene approssimate dallo spettro della meteorite Bereba non irradiata, mail massimo dello spettro di Vesta presenta un flusso maggiore. Il confronto fra

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Figura 5.10. Confronto dello spettro di Vesta 16B con gli spettridella meteorite Bereba non irradiata e irradiata con flussi diversi diioni di Ar++.

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Figura 5.11. Confronto dello spettro di Vesta 17A con gli spettridella meteorite Bereba non irradiata e irradiata con flussi diversi diioni di Ar++.

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Figura 5.12. Confronto dello spettro di Vesta 17B con gli spettridella meteorite Bereba non irradiata e irradiata con flussi diversi diioni di Ar++.

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gli spettri mostra comunque un buon accordo fra lo spettro di Vesta e quellodella meteorite non irradiata negli intervalli di lunghezza d’onda 0.4 − 1.1µme 1.6− 2.4µm. Il massimo a ∼ 1.3µm con flusso piu elevato negli spettri dellaseconda notte potrebbe essere spiegato dal maggior contenuto di olivine sullasuperficie.I risultati ottenuti sembrano quindi confermare l’assenza di un’attivita di spaceweathering sulla superficie di Vesta. Escludendo un improbabile ringiovani-mento della superficie dovuto a eventi collisionali recenti, sembra confermatal’idea, suggerita da [Vernazza et al. 2006], dell’esistenza di un campo magneti-co residuo in grado di proteggere la superficie dell’asteroide da vento solare,microimpatti e raggi cosmici.

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Capitolo 6

Conclusioni

In questo lavoro di tesi sono stati ridotti e analizzati immagini e spettri dell’a-steroide 4 Vesta acquisiti dal telescopio VLT con lo strumento di ottica adattivaNACO.L’importanza di questo asteroide risiede nel fatto che, oltre ad essere il secondopiu grande in massa e dimensione della Cintura Principale, costituisce l’unicoesempio di asteroide differenziato e praticamente intatto.Un ulteriore motivo d’interesse per lo studio di questo asteroide e il suo col-legamento con la famiglia dinamica (i vestoidi), la popolazione dei NEO (siconoscono due NEO di tipo spettrale V) e le meteoriti (le HED). E importanteconsiderare che un collegamento completo di questo tipo e alquanto difficile datrovare nella popolazione dei corpi minori.Per tutti questi motivi Vesta e stato scelto come obiettivo, assieme a Cerere,della missione spaziale Dawn il cui lancio e previsto nel Giugno 2007. Dawnorbitera intorno a Vesta per sei mesi, dall’Ottobre 2011 all’Aprile 2012, rac-cogliendo dati che permetteranno una caratterizzazione fisica e chimica det-tagliata della superficie di questo asteroide e consentiranno un’accurata mo-dellizzazione del suo interno e del suo campo magnetico, se presente.I risultati ottenuti sulla base delle osservazioni ESO-VLT ed analizzate nelcorso del presente lavoro sono piuttosto incoraggianti: solo sulla base di datiacquisiti da Terra e stato possibile descrivere la morfologia globale di Vestaed ottenere informazioni sulla composizione e sulle strutture presenti sulla suasuperficie.Il confronto tra i risultati ottenuti e i dati acquisiti “in situ” consentira lacalibrazione assoluta delle tecniche di analisi che sono necessarie per lo studiodegli oggetti che non verranno mai visitati da sonde interplanetarie.L’attivita condotta durante lo svolgimento di questo lavoro di tesi ha riguarda-to la riduzione di immagini e spettri.

• Per quanto riguarda le immagini:

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- Sono state ridotte e analizzate 13 immagini di Vesta corrispondentia varie fasi rotazionali nei filtri J, H e Ks.

- La preriduzione e stata eseguita adattando ai dati in analisi proce-dure IDL gia esistenti.

- Per la deconvoluzione sono stati applicati e sperimentati vari algorit-mi: Richardson-Lucy (RL), Flux-Preserving Regularization (FPR)e Myopic Iterative STep-preserving Restoration ALgorithm (MIS-TRAL).

- E stato calcolato l’angolo di aspetto dell’asteroide al momento delleosservazioni.

- Sono state valutate le dimensioni Nord-Sud e Est-Ovest di Vestanelle varie immagini.

- Sono state calcolate le longitudini centrali delle varie immagini.

- Sono state analizzate le caratteristiche superficiali identificate nellevarie immagini e confrontate con quelle presenti nei dati acquisitinel 1994 e nel 1997 dall’HST.

Dall’attivita svolta sulle tecniche di deconvoluzione e possibile affermareche tra i vari algoritmi di deconvoluzione utilizzati il migliore, per lariduzione di immagini di oggetti estesi, risulta essere l’algoritmo MIS-TRAL, sviluppato da un gruppo di scienziati dell’ONERA. Il piu grandevantaggio di questo algoritmo rispetto ai metodi classici (RL, FPR) edi evitare, per mezzo della conservazione dei bordi, sia l’amplificazionedel rumore che la creazione di artefatti superficiali. Inoltre, il confrontocon immagini acquisite dall’HST ha mostrato come gli strumenti di ot-tica adattiva combinati con un buon algoritmo di deconvoluzione sonoin grado di fornire dati di ottima qualita che possono costituire una va-lida alternativa alle osservazioni da telescopi spaziali. Con l’aumentaree il perfezionarsi degli strumenti di ottica adattiva, le tecniche di decon-voluzione assumeranno un’importanza sempre crescente ed e per questoimportante studiare l’efficienza delle singole tecniche su specifici gruppidi dati.

• Per quanto riguarda gli spettri:

- Sono stati ridotti e analizzati 4 spettri in J e 4 spettri in HK acquisitia circa la stessa latitudine di Vesta, vicino al polo Nord, ma a fasirotazionali diverse.

- La riduzione e stata eseguita tramite il software IRAF unito alsoftware MIDAS per il calcolo del flat field spettroscopico.

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- Gli spettri sono stati riparametrizzati in funzione delle posizioni deicentri delle bande di assorbimento a 1 e 2µm e del rapporto dellearee delle bande tramite una procedura IDL appositamente scritta.

- E stata ottenuta la composizione dei pirosseni (percentuali di calcioe di ferro) presenti sulla superficie dell’asteroide.

- E stata calcolata la percentuale di olivine presenti sulla superficiedi Vesta.

- E stato eseguito un confronto tra i valori ottenuti e quelli presentiin letteratura.

- Sono stati confrontati gli spettri di Vesta con quelli della mete-orite eucritica Bereba irradiata con flussi diversi di ioni Ar++ e nonirradiata.

I risultati ottenuti nel corso del presente lavoro in parte confermano e inparte ampliano le conoscenze gia esistenti su Vesta:

• Le dimensioni Est-Ovest e Nord-Sud misurate sulla base delle immaginianalizzate sono risultate consistenti con le dimensioni di Vesta ottenutesulla base dei dati acquisiti con l’HST.

• Le principali caratteristiche superficiali identificate dalle immagini sonostate l’Olbers Regio e una zona circolare piu scura appartenente all’emi-sfero Ovest (centrata alla longitudine di ∼ 62◦), di raggio ∼ 82km. Einoltre visibile il profilo del cratere al polo Sud.

• La composizione (percentuali di calcio e ferro) dei pirosseni ottenuta haconfermato una maggiore presenza di pirosseni a basso contenuto di Casulla porzione di superficie analizzata.

• I valori del rapporto delle aree delle bande hanno confermato la dicotomiatra i due emisferi di Vesta, rivelando un maggiore contenuto di olivinenell’emisfero Est, probabilmente dovuto a materiale esposto in crateri daimpatto.

• Il confronto degli spettri con quelli della meteorite Bereba, irradiata onon irradiata, ha confermato l’assenza di processi di space weatheringsul suolo di Vesta. Questo potrebbe essere dovuto alla presenza di uncampo magnetico in grado di proteggere la superficie dell’asteroide dalvento solare, i raggi cosmici e i microimpatti.

Ulteriori osservazioni sono comunque indispensabili per risolvere gli inter-rogativi ancora aperti circa la presenza di acqua, la quantita di olivine su-perficiali su Vesta e soprattutto circa l’esistenza del campo magnetico. Per

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confermare questo ultimo punto sara necessario attendere le misure che ver-ranno eseguite dalla missione Dawn. Se la presenza del campo magnetico suVesta venisse confermata, si tratterebbe della prima individuazione indirettadi magnetismo attraverso l’analisi delle caratteristiche spettroscopiche. Questoaprirebbe la strada a nuove tecniche di caratterizzazione degli asteroidi.

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Ringraziamenti

Il primo ringraziamento va ai miei relatori Elisabetta Dotto e Roberto Buonan-no che mi hanno guidato scientificamente e sostenuto durante lo svolgimentodi questo lavoro di tesi.Un particolare grazie va inoltre al Dott. Stephane Erard, alla Dott. SoniaFornasier e al Dott. Alessandro Rossi per l’aiuto in fase di riduzione e analisidati.Ringrazio inoltre i Dott. Laurent M. Mugnier e Thierry Fusco per avermi gen-tilmente fornito l’algoritmo di deconvoluzione MISTRAL con i relativi tutoriale articoli di spiegazione e il Dott. Rosario Brunetto che ha messo a mia dis-posizione gli spettri della meteorite Bereba.Ringrazio tutti gli amici dell’Osservatorio Astronomico di Roma, in particolareFiore De Luise, Davide Perna e Elisa Nichelli che sono stati sempre presenti edisponibili durante questo lavoro di tesi.Ringrazio i Prof. Fausto Vagnetti e Francesco Berrilli che piu da vicino mihanno seguito durante questo corso di studi.Ringrazio tutti gli amici che ho conosciuto all’universita, in particolare il mio“compagno di banco” Alessandro e il mio “compagno di esami” Flavio.Ringrazio tutto l’oratorio, che ha accompagnato questi anni di studio fra svagoe impegni.Ringrazio poi con tutto il cuore la mia famiglia, i miei genitori e Elisa, Nico-letta e Lorenzo che mi sono sempre stati vicini, consigliandomi e aiutandominei momenti di difficolta.Il grazie piu importante va al mio fidanzato Matteo, sempre al mio fianco, dalprimo esame di analisi fino all’ultima riga di questa tesi.

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