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Rev. 25.VII.2017 SCHEMA CONSTITUTIONIS DOGMATICÆ DE ECCLESIA * CAPUT I DE ECCLESIÆ MILITANTIS NATURA 1. [ Prologus: Dei Patris consilium ]. Æternus Unigeniti Pater, cum. 2. [ Consilii Patris per Filium executio ]. Cum igitur. 3. [ dd ]. 4. [ dd ]. 5. [ sd ]. 6. [ i ]. f. 7. [ j ]. lkj NOTÆ 1. * Textus Patribus distributus est in congregatione generali XXV. die 23 nov. 1962. Cf. Sacrosanctum Œcumenicum Concilium Vaticanum Secundum, Schemata Constitutionum et Decretorum de quibus disceptabitur in Concilii sessionibus, Series secunda: De Ecclesia et de B. Maria Virgine, Typis Polyglottis Vaticanis 1962. In voluminis initio legitur: "Ss.mus Dominus Noster Ioannes Pp. XXIII, in audientia hac die infrascripto impertita, statuere dignatus est ut hæc Constitutionum et Decretorum schemata, in Concilio Œcumenico Vaticano secundo discutienda, ad eiusdem Concilii Patres transmittantur. Ex Ædibus Vaticanis, die x mensis novembris anno MCMLXII Hamletus Ioannes Cicognani a publicis Ecclesiæ negotiis Notæ, quæ singulis schematum capitibus adiciuntur, schematum partem non habent; sed a Commissionibus præparatoriis ideo exaratæ sunt, ut Patribus schemata pervestigantibus exstent subsidio. Verba autem, initio singulorum numerorum characteribus cursivis inter uncas [] posita, in redactione definitiva tollentur". Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II Volumen I, Periodus prima, Pars IV, Congregationes Generales XXXI-XXXVI pp. 12 – 91

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Rev. 25.VII.2017

SCHEMA CONSTITUTIONIS DOGMATICÆDE ECCLESIA *

CAPUT IDE ECCLESIÆ MILITANTIS NATURA

1. [Prologus: Dei Patris consilium]. Æternus Unigeniti Pater, cum.

2. [Consilii Patris per Filium executio]. Cum igitur.

3. [dd].

4. [dd].

5. [sd].

6. [i]. f.

7. [j]. lkj

NOTÆ

1.

* Textus Patribus distributus est in congregatione generali XXV. die 23 nov. 1962. Cf. Sacrosanctum Œcumenicum Concilium Vaticanum Secundum, Schemata Constitutionum et Decretorum de quibus disceptabitur in Concilii sessionibus, Series secunda: De Ecclesia et de B. Maria Virgine, Typis Polyglottis Vaticanis 1962.In voluminis initio legitur: "Ss.mus Dominus Noster Ioannes Pp. XXIII, in audientia hac die infrascripto impertita, statuere dignatus est ut hæc Constitutionum et Decretorum schemata, in Concilio Œcumenico Vaticano secundo discutienda, ad eiusdem Concilii Patres transmittantur.Ex Ædibus Vaticanis, die x mensis novembris anno MCMLXIIHamletus Ioannes Cicognania publicis Ecclesiæ negotiisNotæ, quæ singulis schematum capitibus adiciuntur, schematum partem non habent; sed a Commissionibus præparatoriis ideo exaratæ sunt, ut Patribus schemata pervestigantibus exstent subsidio. Verba autem, initio singulorum numerorum characteribus cursivis inter uncas [] posita, in redactione definitiva tollentur".

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CAPUT IIDE MEMBRIS ECCLESIÆ MILITANTIS EIUSDEMQUE

NECESSITATE AD SALUTEM

8. [j].

9. [j].

10. [j].

NOTÆ

1. Cf

Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani IIVolumen I, Periodus prima, Pars IV, Congregationes Generales XXXI-XXXVI

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CAPUT IIIDE EPISCOPATU

UT SUPREMO GRADU SACRAMENTI ORDINIS ET DE SACERDOTIO

11. [x].

12. [x].

NOTÆ

1. C

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CAPUT IVDE EPISCOPIS RESIDENTIALIBUS

13. [x].

14. [x].

15. [x].

16. [x].

NOTÆ

1. C

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CAPUT VDE STATIBUS EVANGELICÆ ACQUIRENDÆ PERFECTIONIS

17. [x].

18. [x].

19. [x].

NOTÆ

1. C

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CAPUT VIDE LAICIS

20. [x].

21. [x].

22. [x].

23. [x].

24. [x].

25. [x].

26. [x].

27. [x].

NOTÆ

1. C

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CAPUT VIIDE ECCLESIÆ MAGISTERIO

28. [x].

29. [x].

30. [x].

31. [x].

32. [x].

33. [x].

34. [x].

35. [x].

NOTÆ

1. C

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CAPUT VIIIDE AUCTORITATE

ET OBŒDIENTIA IN ECCLESIA

36. [x].

37. [x].

38. [x].

39. [x].

NOTÆ

1. C

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CAPITOLO IXDELLE RELAZIONI TRA LA CHIESA E LO STATO

40. [Principio: La distinzione tra la Chiesa e la Società civile e la subordinazione del fine della società al fine della Chiesa]. L’uomo, destinato da Dio ad un fine sovrannaturale, ha bisogno sia della Chiesa che della Società civile per raggiungere la piena perfezione. Alla società civile, cui l’uomo appartiene in forza della sua natura sociale, compete infatti dedicarsi ai beni terrestri per promuovere condizioni che permettano ai cittadini di raggiungere la perfezione, veramente degna dell'uomo, e di poter trascorrere, anche qui in terra, “una vita calma e tranquilla” (cf. 1 Tim. 2, 2). La Chiesa [invece], nella quale è necessario che l’uomo venga incorporato in forza della sua vocazione sovrannaturale, è stata fondata da Dio affinché, estendendosi sempre di più, conduca i fedeli al loro fine sempiterno per mezzo della dottrina, dei sacramenti, della preghiera e delle leggi 1. Ciascuna di queste società è dotata delle facoltà necessarie per svolgere correttamente la propria missione; ciascuna di esse è anche perfetta, cioè suprema nel proprio ordinamento e perciò non soggetta all'altra, nonché munita di potere legislativo, giudiziario ed esecutivo 2. La distinzione tra queste due città, come la tradizione ha costantemente insegnato, si fonda sulle parole del Signore: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt. 22, 21).Dato che di fatto ambedue le società esercitano la propria autorità verso le stesse persone, e non raramente verso gli stessi oggetti, benché rimangano del tutto distinte, non possono ignorarsi a vicenda, anzi è indubbiamente opportuno che procedano in armonia, affinché esse non prosperino meno dei propri membri comuni 3.Il Sacro Sinodo, volendo insegnare quali relazioni debbano vigere tra le due autorità secondo la natura di ciascuna di esse, dichiara innanzitutto che vada fermamente sostenuto che sia la Chiesa, sia la Società civile sono costituite per l’utilità dell’uomo 4; tuttavia, la felicità temporale, che l’Autorità civile deve curare, non serve affatto all’uomo, se perde l’anima sua (v. Mt. 16, 26; Mc. 8, 36; Lc. 9,25). Perciò il fine della Società civile non deve mai essere ricercato se viene escluso o leso il fine ultimo [dell ’uomo] 5, cioè la salvezza eterna.

41. [Dell’autorità della Chiesa e dei suoi limiti, nonché dei doveri della Chiesa verso l'Autorità civile]. Poiché dunque l’autorità della Chiesa si estende a tutte le cose con cui si ottiene la salvezza eterna degli uomini, quelle che si riferiscono soltanto alla felicità temporale sono invece poste come tali sotto l’autorità civile. Perciò la Chiesa non cura le cose temporali, se non nella misura in cui sono ordinate al fine

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sovrannaturale. In quelle cose che invece sono ordinate sia al fine della Chiesa che a quello della Società, come il matrimonio, l’educazione dei bambini e altre di questo genere, i diritti dell’Autorità civile vanno esercitati in modo da non ledere, secondo il giudizio della Chiesa, i beni superiori di ordine sovrannaturale. Invece, in altre cose temporali che, fatta salva la legge divina, si possono rettamente ottenere o eseguire in vari modi, la Chiesa non si intromette in nessun modo. Custode del proprio diritto, osservantissima di quello altrui, la Chiesa non ritiene che appartenga ad essa decidere quale forma di Stato sia da preferire o con quali istituzioni di Stato delle nazioni si gestiscano meglio le cose cristiane. Delle varie forme di Stato non ne disapprova nessuna, purché la religione e la disciplina dei costumi sia salva 6. Così come la Chiesa non rinuncia alla propria libertà, così non impedisce all’Autorità civile di usare liberamente i propri diritti e leggi 7.I governanti delle nazioni non possono ignorare quanto bene la Chiesa procuri alla Società civile adempiendo la sua missione 8. La Chiesa stessa coopera infatti affinché per la virtù e la pietà cristiana i cittadini siano buoni; e se questi sono tali quali la dottrina cristiana prescrive, la salute dello Stato sarà indubbiamente grande, come afferma Agostino 9. Ai cittadini impone anche di obbedire ai legittimi provvedimenti legislativi, “non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza” (Rom. 13, 5) 10. Avverte inoltre coloro ai quali è affidata la gestione dello Stato di esercitare il proprio compito non per brama di potere, ma per il bene dei cittadini, come conviene a chi ha da rendere conto a Dio (v. Ebr. 13, 17) dell’autorità che gli è stata conferita per volere divino 11. Inculca infine l’osservanza delle leggi sia naturali, sia sovrannaturali, che compongono l'intero ordinamento civile sia tra cittadini, sia tra stranieri, secondo norme volte alla pace e alla giustizia 12.

42. [I doveri religiosi dell’Autorità civile]. Lo stesso bene della Società esige che l’Autorità civile non si comporti con indifferenza verso la religione. Essendo stata istituita da Dio per aiutare gli uomini ad acquisire la perfezione umana, non deve soltanto dare ai suoi membri la possibilità di procurarsi beni temporali, materiali o umani che siano, ma anche aiutarli affinché possano più facilmente avere accesso ai beni spirituali necessari per vivere religiosamente la vita umana. Tra questi beni nessuno è più apprezzabile del conoscere e riconoscere Dio, e di adempiere i doveri dovutiGli: sono infatti il fondamento di tutte le virtù, private nonché pubbliche 13.I doveri verso Dio vanno resi alla alla divina Maestà non soltanto dai singoli cittadini, ma anche da parte dell’Autorità civile che negli atti pubblici agisce in persona della Società civile. Dio è infatti l’autore della Società civile e la fonte di tutti i beni che per mezzo di questa si giungono

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in ogni suo membro. Benché in questo ordine voluto da Cristo, il culto liturgico spetti soltanto alla vera Chiesa di Dio, tuttavia anche la comunità civile deve in qualche modo sociale rendere culto a Dio 14. Perciò, vista la sua natura, allora massimamente eccellerà se, nel procurare il bene comune, quest'ultima custodisca fedelmente le leggi di Dio, stabilite dalla divina Maestà per questa economia di salvezza. Questo esige innanzitutto che, concessa la piena libertà alla Chiesa, vengano escluse dalla legislazione, dal governo e dall’azione pubblica tutte le cose che secondo la Chiesa impediscono il conseguimento del fine eterno; si intenda anzi che la vita sia più facile, se è basata su principi cristiani e conduce alla vita eterna 15.

43. [Un principio generale d’applicazione]. Così come nessun’uomo può rendere culto a Dio come stabilito da Cristo, se non gli è chiaro che Dio ha parlato per mezzo di Gesù Cristo 16, e ancor meno se ignora la missione salvifica della Chiesa, così anche la Società civile non è obbligata a farlo prima che la Rivelazione sia stata accettata dai cittadini e dall’Autorità civile, in quanto rappresentante del popolo. Perciò la Chiesa ha sempre riconosciuto che saranno diverse le vicendevoli relazioni tra le due autorità a vantaggio delle rispettive città secondo la misura in cui l’Autorità civile, che fa le veci del popolo, conosce Cristo e la Chiesa da Lui fondata. Si conceda poi ai cittadini, per il bene della comunità stessa, la piena libertà di scegliere che la vita civile venga informata dai principii cattolici, in modo che, secondo le parole di San Gregorio Magno “la via dei cieli sia più largamente estesa” 17.

44. [Conclusione]. Il Santo Sinodo, pur riconoscendo che i principi della relazione reciproca tra l’Autorità ecclesiastica e l’Autorità civile non vadano applicati se non con il regime sopra esposto, non può tuttavia permettere che [questi principi] vengano oscurati da un falso laicismo, nemmeno con la scusa del bene comune. Questi principi si fondano infatti sui diritti assolutamente fermi di Dio, sull’immutabile costituzione e missione della Chiesa, nonché sulla natura sociale dell’uomo, che rimane sempre la stessa per tutti i tempi, e determina il fine essenziale della stessa società civile, nonostante le diversità dei governi politici e altre vicissitudine delle cose umane 18.

NOTE

1) Leone XIII, Lettera enciclica Immortale Dei, 1 novembre 1885; ASS 18 (1885) p. 166: Denz. 1866;Pio IX, Lettera enciclica Etsi multa luctuosa, 21 novembre 1873: ASS 7 (1872) p. 471: Denz. 1841.

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2) Benedetto XIV, Lettera Ad assiduas, 4 marzo 1755: Bollario di Benedetto XIV tomo IV Roma 1758, p. 163;Pio VI, Costituzione Auctorem fidei, 28 agosto 1794: Denz. 1505;Pio IX, Lettera enciclica Quanta cura, 8 dicembre 1864: ASS 3 (1867) pp. 164-165: Denz. 1697-1698;id., Syllabus, 8 dicembre 1864, prop. 19: ASS 3 (1867) p. 170; prop 20: ibid., p. 171; prop 54: ibid. p. 174: Denz. 1719, 1720, 1754;Leone XIII, Lettera enciclica Immortale Dei, l. c. p. 174: Denz. 1869;CIC: Ci sono molti canoni nei quali la natura della Chiesa come società perfetta è supposta, quali i can. 109, 120, 121, 265, 1160, 1322, § 2, 1495, § 1, 1496, 2214, § 1, 2390;Pio XI, Lettera enciclica Ubi arcano, 23 dicembre 1922: AAS 14 (1922) pp. 697 ss.;Nella Lettera enciclica Quas primas, 11 dicembre 1925: AAS 17 (1925) pp. 604 ss.: Denz. 2197;Nella Lettera enciclica Divinus illius Magistri; 31 dicembre 1929: AAS 22 (1930), pp. 52-53: Denz. 2203;Pio XII, Allocuzione Ad Sacram Romanam Rotam, 2 ottobre 1944: AAS 36 (1944) p. 289;Id., Allocuzione Ad Sacram Romanam Rotam, 29 ottobre 1944: AAS 39 (1947) p. 495;Id., Allocuzione Iis qui interfuerunt Conventui X internationali de Scientiis Historicis, 7 settembre 1955: AAS 47 (1955) p. 677.

3) Della necessaria concordia tra le due società:Gregorio XVI, Lettera enciclica Mirari vos, 15 agosto 1832: AAS 4 (1868) p. 344: Denz. 1615;Pio IX, Lettera enciclica Quanta cura, l. c. p. 161: Denz. 1688;Id. Syllabus, 8 dicembre 1864, prop. 55: ibid., p. 174: Denz. 1755;Leone XIII, Lettera enciclica Immortale Dei, l. c. pp. 166, 173: Denz. 1866-1867;Id. Lettera enciclica Libertas præstantissimum, 20 giugno 1888: AAS 20 (1887), pp. 603 e 611;Pio X, Lettera enciclica Vehementer Nos, 11 febbraio 1906: ASS 39 (1906) pp. 12-13: Denz. 1995;Id. Lettera enciclica Pascendi, 8 settembre 1907: AAS 40 (1907), pp. 614-615: Denz. 2092;Pio XI, Lettera enciclica Divini illud Magistri, l. c. pp. 55-56: Denz. 2205;Pio XII, Allocuzione Ad Populum Romanum, 20 febbraio 1949: AAS 41 (1949) pp. 75-76;Id. Allocuzione Conventui I universali de catholico laico apostolatu, 14 ottobre 1951: AAS 43 (1951), p. 785;

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Id. Allocuzione Sociis Sodalitatis Scriptorum Ephemeridum exterarum Nationum in Urbe degentibus, 12 maggio 1953: AAS 45 (1953), p. 399 s.;Id., Allocuzione Conventui X internationali de Scientiis Historicis, l. c. p. 679: In questa allocuzione Pio XII si riferisce esplicitamente alla dottrina di Leone XIII citando le encicliche Diuturnum illud, Immortale Dei e Sapientiæ christianæ.Quando gli ambasciatori delle nazioni estere porgevano le proprie lettere di accreditamento, Pio XII ricordava sempre più spesso questa concordia necessaria. Così ad esempio: All'ambasciatore dell'Italia, 7 dicembre 1939: AAS 31 (1939) p. 705; all'ambasciatore della Romania, 15 novembre 1940: AAS 32 (1940) p. 501; all'ambasciatore dell'Argentina, 22 novembre 1941: AAS 33 (1941) p. 503; all'ambasciatore della Francia, 10 maggio 1945: AAS 37 (1945) p. 147; all'ambasciatore della Repubblica del Cile, 29 gennaio 1952: AAS 44 (1952) p. 185.

4) Leone XIII, Lettera enciclica Sapientiæ christianæ, 10 gennaio 1890: ASS 22 (1889/90) p. 385;Pio XI, Lettera enciclica Divini Redemptoris, 19 marzo 1937: AAS 29 (1937) p. 79.Pio XII, Lettera enciclica Summi Pontificatus, 20 ottobre 1939: AAS 31 (1939) p. 433;Id., Nuntius Radiophonicus, 24 dicembre 1941: AAS 34 (1942) pp. 12, 14;Id., Allocuzione Em.mis Cardinalibus recenter creatis, 20 febbraio 1946: AAS 38 (1946) pp. 145 ss.Id., Allocuzione Iis qui interfuerunt Conventui I Internationali de Hispathologia Systematis nervorum, 13 settembre 1952: AAS 44 (1952) p. 786.Questa dottrina della Chiesa è esplicitamente proposta da Pio XI, Ai predicatori del tempo Quaresimale.: Civiltà Cattolica, 78, vol I (1927), pp. 554-555;Pio XII, Lettera enciclica Mystici Corporis, 29 giugno 1943: AAS 35 (1943) pp. 222 ss.

5) Leone XIII, Lettera enciclica Immortale Dei, l. c. p. 164: “È necessario dunque che la società civile, istituita per l’utilità comune, nel perseguire la prosperità dello Stato provveda a che i cittadini, nel loro cammino verso la conquista di quel sommo e immutabile bene al quale naturalmente tendono, non solo non vengano in alcun modo ostacolati, ma siano favoriti con ogni opportunità”;Id., Lettera enciclica Libertas præstantissimum, l. c. p. 595;S. Pio X, Lettera enciclica Vehementer Nos, 11 febbraio 1906: ASS 39 (1906) p. 5: Della legge francese che separa lo Stato dalla Chiesa scrive: “… limita infatti l'azione dello Stato alla sola ricerca della prosperità

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pubblica in questa vita, cioè alla causa prossima delle società politiche; e non si occupa in nessun modo, come di cose estranee, della loro causa più profonda che è la beatitudine eterna, preparata per l'uomo alla fine di questa vita così breve. Al contrario, come l'ordine presente delle cose mutevoli è subordinato alla conquista di quel bene supremo e assoluto, così è vero che è opportuno che il potere civile non ostacoli questa conquista, ma anzi aiuti a compierla”;Pio XII, Lettera enciclica Summi Pontificatus, 20 ottobre 1939: AAS 31 (1939) p. 433: tra i fini dello Stato mette: “aiuti i cittadini a raggiungere il fine supremo che gli è destinato”;Giovanni XXIII, Lettera enciclica Grata recordatio, 26 settembre 1959: AAS 51 (1959) p. 676.

6) Leone XIII, Lettera enciclica Sapientiæ christianæ: l. c. p. 396.

7) L'articolo primo del Clero Gallicano fu dichiarato illegittimo dalla Costituzione Inter multiplices di Alessandro VIII, 4 agosto 1690: Denz. 1322; nuovamente condannato nella Costituzione Auctorem fidei, 28 agosto 1794, tra gli errori del conciliabolo di Pistoia da Pio VI: Denz. 1598-1599;Pio IX, Condanna della proposizione di Giovanni Nepote Nuytz Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851: Pii IX P. M. Acta, parte I, vol. I, p. 287, che si trova nel Syllabus, 8 dicembre 1864, prop. 24: ASS 3 (1867) p. 171: Denz. 1724; Leone XIII, Lettera enciclica Immortale Dei, 1 novembre 1885: ASS 18 (1885-86) pp. 166-167: Denz. 1866: “Pertanto tutto ciò che nelle cose umane è in qualche modo sacro, tutto ciò che riguardi la salvezza delle anime o il culto di Dio, che sia tale per sua natura o che tale appaia per il fine a cui si riferisce, tutto ciò cade sotto l’autorità e il giudizio della Chiesa”, riferito da Pio XII nell'Allocuzione Iis qui interfuerunt Conventui X Internationali de Scientiis Historicis, l. c. pp. 677-678.Compete perciò alla Chiesa il diritto di giudicare sotto l'aspetto religioso le leggi civili: Leone XIII, Lettera enciclica Sapientiæ Christianæ, l. c. p. 397.Nella lettera scritta dal Card. Merry del Val ad Em.mum Cardinalem Sevin, Lugdunensem Archiepiscopum, nell'occasione del Congresso dei Giuristi Cattolici, tenutosi nell'anno 1913 su questa materia, si raccomanda l'opera di Tarquinio, Cavagnis e Billot: AAS 5 (1913) p. 559.Pio XI, Lettera enciclica Ubi arcano, 23 dicembre 1922: AAS 14 (1922) p. 698;Pio XII, Allocuzione Cardinalibus et Episcopis, 2 novembre 1954: AAS 46 (1954) pp. 671-673;

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Nell'Allocuzione Sociis Sodalitatis Scriptorum Ephemeridum exterarum Nationum in Urbe degentibus, 12 maggio 1953: AAS 45 (1953) p. 400.

8) I sommi Pontefici hanno, sin dal tempo della rivoluzione in Francia, spesso insegnato i pericoli che incombono sulla società per la negligenza della religione e della legge di Cristo.Si citano ad esempio:Pio VI, Allocuzione In Consistorio, 29 marzo 1790. Vengono citati: S. Agostino, Epist. Ad Marc. 138, 15: PL 33, 532 e Contra Faustum, 21, 14: PL 42, 398;In Epist. Ad Ludovicum XVI, 17 agosto 1790;Gregorio XVI, Lettera enciclica Mirari vos, 15 agosto 1832: ASS 4 (1868) p. 343, con citazione di S. Agostino In Ps. 124, 7: PL 37, 1654; Pio IX, Lettera enciclica Quanta cura, 8 dicembre 1864: ASS 3 (1867) pp. 166-167.Negli schemi preparatori del Concilio Vaticano [MANSI 51, 545 ss.]: la virtù e la pietà fanno buoni i cittadini; il dovere di obbedienza civile si fonda nell'autorità divina; insegna ai principi di meglio ordinare il governo non al proprio vantaggio, ma al bene comune.Leone XIII, Lettera enciclica Diuturnum illud, 29 jun. 1881: ASS 14 (1881) pp. 3-14, dove [p. 13] viene citato S. Agostino De moribus Ecclesiæ, I, 30: PL 32, 1336;Nella Lettera enciclica Cum multa sint, 8 dicembre 1882: AAS 15 (1882) p. 242:“Infatti, dove la religione viene soppressa, è inevitabile che vacilli la solidità di quei principi che sono il fondamento della salute pubblica, che ricevono grande vigore dalla religione e che consistono soprattutto nel governare con giustizia e moderazione, nell’ubbidire per coscienza del proprio dovere, nel domare con la virtù la cupidigia, nel dare a ciascuno il suo, nel rispettare i beni altrui”.Id. Lettera enciclica Nobilissima Gallorum gens, 8 febbraio 1884: ASS 16 (1883), pp. 242-243;Id. Lettera enciclica Humanum genus, 20 apr. 1884: Ibid. pp. 417-433;Id. Lettera enciclica Au milieu des sollicitudes, 16 febbraio 1892: ASS 24 (1891-92), p. 520;Id. Lettera enciclica Caritatis, 19 marzo 1894: ASS 26 (1893-1894), p. 525;Id. Ep. Apost. Præclara gratulationis, 20 giugno 1894: ASS 26 (1893-1894), p. 715;Id. Epist. Longinqua oceani, 6 gennaio 1895: ASS 27 (1894-1895), p. 389;Id. Lettera enciclica Tametsi futura, 1 novembre 1900: ASS 33 (1900-01), pp. 283-285;

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S. Pio X. Lettera enciclica Iucunda sane, 12 marzo 1904: ASS 36 (1903-04), p. 520;Benedetto XV, Lettera enciclica Ad Beatissimi, 1 novembre 1914: ASS 6 (1914), pp. 567-568 et 571;Id. Epist. Anno iam exeunte, a R. P. Joseph Hiss, Superiore Generale della Società di Maria, 7 marzo 1917: ASS 9 (1917), p. 172;Pio XI, Lettera enciclica Ubi arcano, l. c. pp. 683 et 687;Id. Lettera enciclica Quas primas, 11 dicembre 1925: ASS 17 (1925), pp. 604-605;Pio XII, Lettera enciclica Summi Pontificatus, 20 ottobre 1939: AAS 31 (1939) pp. 423-424;Id. Allocuzione Puellis ab Actione Catholica ex Italiæ diœcesibus, 6 ottobre 1940: AAS 32 (1940) p. 411;Id. Allocuzione Adulescentibus ab Actione Catholica ex Italiæ diœcesibus, 10 novembre 1940: ibid. pp. 495-496;Giovanni XXIII, Lettera enciclica Ad Petri cathedram, 29 giugno 1959: AAS 51 (1959) pp. 528 et 529: “Deve aversi anzi per certo, che allorquando vengono negletti o conculcati i sacrosanti diritti di Dio e della religione, presto o tardi vacillano e crollano i fondamenti stessi dell’umana convivenza. Lo notava già saggiamente il Nostro predecessore di f.m. Leone XIII: «Vien di conseguenza... che si estenua il vigore della legge e si indebolisce ogni autorità, se si ripudia quella eterna e sovrana ragione che è l’autorità di Dio che comanda il bene e vieta il male». [Epist. Exeunte iam anno, 25 dicembre 1888: ASS 21 (1888) p. 327] Vi si accorda la sentenza di Cicerone: «Voi, o pontefici... con la religione cingete di difese la città più efficacemente che non con le mura» [De nat. deor. III, 40]”

9) S. Agostino, Epist ad Marcellinum, 138, 15: PL 33, 532: “pertanto coloro che affermano che la dottrina del Cristo è nemica dello Stato, ci diano un tale esercito, quale la dottrina di Cristo volle che fossero i soldati: ci diano tali provinciali, tali mariti, tali spose, tali genitori, tali figli, tali padroni, tali servi, tali re, tali giudici, infine tali contribuenti e tali esattori del fisco, quali prescrive che siano la dottrina cristiana, e poi osino chiamarla nemica dello Stato e non esitino piuttosto a confessare che, se essa fosse osservata, sarebbe la potente salvezza dello Stato”.

10) V. anche Tit. 3, 1; 1 Pt. 2, 13-15.

11) V. anche Sap. 6, 4-6; Rom. 13, 1.

12) Pio XII, Nuntius Radiophonicus, 24 dicembre 1942: AAS 35 (1943) p. 10.

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13) Leone XIII, Lettera enciclica Libertas præstantissimum, 20 giugno 1888: ASS 20 (1887) p. 603: “Infatti la stessa natura prescrive che ai cittadini siano dati mezzi e opportunità per condurre una vita onesta, cioè conforme alla legge di Dio, poiché Dio è il principio della rettitudine e della giustizia e quindi è inconcepibile che lo Stato ignori quelle stesse leggi o che possa fondare una convivenza ad esse ostile. Inoltre coloro che governano i popoli hanno il dovere verso la comunità di provvedere non solo al benessere e ai beni materiali, ma soprattutto ai beni spirituali con la sapienza delle leggi”;Id. Lettera enciclica Sapientiæ Christianæ, 10 gennaio 1890: AAS 22 (1889-1890) p. 385;Id. Lettera enciclica Au milieu des sollicitudes, 16 febbraio 1892: AAS 24 (1891-1892) p. 520;

14) Leone XIII, Lettera enciclica Humanum genus, 20 apr. 1884: AAS 16 (1883) p. 427: “E veramente la società del genere umano, a cui siamo stati fatti da natura, fu istituita da Dio autore della natura medesima, e da Lui deriva come da fonte e principio tutta quella perenne copia di beni senza numero, ond'essa abbonda. Come dunque la voce stessa di natura impone a ciascuno di noi di onorare con religiosa pietà Iddio, perché abbiamo da Lui ricevuto la vita e i beni che l'accompagnano; così per la ragione medesima debbono fare popoli e Stati”;Id. Lettera enciclica Immortale Dei, 1 novembre 1885: ASS 18 (1885) p. 163;Id. Lettera enciclica Libertas præstantissimum, l. c. p. 604: “Perciò è necessario che la società civile, proprio in quanto società, riconosca Dio come padre e creatore suo proprio, e che tema e veneri il suo potere e la sua sovranità”;Id. Lettera enciclica Au milieu des sollicitudes, l. c. p. 520;Pio X, Lettera enciclica Vehementer Nos, 11 febbraio 1906: ASS 39 (1906) p. 5: “… [Dio] è anche il fondatore delle società umane e conserva nella vita tanto loro che noi, individui isolati. Perciò noi gli dobbiamo non soltanto un culto privato, ma anche un culto sociale e onori pubblici”;Id. Allocuzione tenuta in Concistoro, 21 febbraio 1906: ibid. pp. 30-31: “Orbene, Dio non è solo signore e dominatore dell'uomo in quanto individuo, ma anche delle nazioni e delle società: perciò occorre che le nazioni stesse e chi le governa lo conosca, lo veneri e gli renda culto anche pubblicamente”;Pio XI, Lettera enciclica Quas primas, l. c. p. 609;Pio XII, Lettera enciclica Mediator Dei, 20 novembre 1947: AAS 39 (1947) pp. 525 ss.

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15) V. i riferimenti indicati supra nella nota 5, ai quali vanno aggiunti i seguenti: Pio VII, Lettera enciclica Diu satis, 15 maggio 1800: Bullarii Rom. Continuatio, t. XI, pp. 21 ss.;Pio IX, Lettera enciclica Quanta cura, 8 dicembre 1864: AAS 3 (1867-68) p. 166;Pio XI, Lettera enciclica Ad salutem, 20 aprile 1930: AAS 22 (1930) pp. 219 et 220.

16) Pio IX, Lettera enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846: Denz. 1637.

17) S. Gregorio M., Epist. 65, ad Mauricium: PL 77, 663.Della condizione qui indicata affinché si possa applicare la dottrina cattolica, v. Taparelli D'Azeglio, Essai théorique du droit naturel, ed. 4, Paris-Leipzig-Tournai, tomo I, pp. 388-390.

18 Molti scrittori dei nostri giorni hanno insegnato che i principi qui esposti non siano che norme contingenti date dai Sommi Pontefici in relazione a circostanze concomitanti non più in vigore:Pio VI, a Girolamo Maria, Arcivescovo di Bordeaux, 10 luglio 1790: “I suoi [del re] doveri verso Dio sono certamente immutabili, e non si possono per nessun motivo dissimulare; anche se abbia in mente di ritornare a compierli immutati quando saranno cambiati i tempi tanto cattivi”.Non si può dubitare che Leone XIII volesse trasmettere come immutabile la dottrina “de constitutione christiana civitatum” per mezzo della Lettera enciclica Immortale Dei. Infatti propone questa dottrina come fondata nella rivelazione e conforme alla ragione naturale.I successori di Leone XIII insegnarono che la sua dottrina era immutabile in quanto fondata nei seguenti tre principi: i diritti di Dio, la natura sociale dell'uomo, dalla quale scaturisce il fine essenziale dello Stato, e la natura immutabile della Chiesa.S. Pio X, Epist. Notre charge apostolique, 25 agosto 1910 [condanna del Sillon]: AAS 2 (1910) pp. 612, 625, 627;Benedetto XV, Lettera Anno iam exeunte, al R.P. Joseph Hiss, Superiore Generale della Società di Maria, 7 marzo 1917: AAS 9 (1917) pp. 171-175;Pio XI, Lettera enciclica Divini illius Magistri, 31 dicembre 1929: AAS 22 (1930) pp. 65-66: “Tutto ciò che abbiamo detto finora ... riposa sul fondamento saldissimo ed immutabile della dottrina cattolica de Civitatum constitutione christiana, così egregiamente esposta dal Nostro

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Predecessore Leone XIII, segnatamente nelle Encicliche Immortale Dei e Sapientiae christianae”.Alle parole citate della Lettera Immortale Dei che espongono la distinzione tra i due poteri e la loro relazione, nonché la potestà indiretta della Chiesa, aggiunge: “Chiunque ricusasse di ammettere questi principi e quindi di applicarli alla educazione, verrebbe necessariamente a negare che Cristo ha fondato la sua Chiesa per la salvezza eterna degli uomini, e a sostenere che la società civile e lo Stato non siano soggetti a Dio e alla sua legge naturale e divina. Il che è evidentemente empio, contrario alla sana ragione …”;Lettre de la Secrétairerie d'Etat à M. Duthoit, 12 luglio 1933; Ed. Bonne Presse, tomo X, p. 241;Id. Lettera enciclica Divini Redemptoris, 19 marzo 1937: AAS 29 (1937) p. 81;Pio XII, Lettera enciclica Summi Pontificatus, 20 ottobre 1939: AAS 31 (1939) pp. 432-433: “La sovranità civile è stata voluta dal Creatore, come sapientemente insegna il Nostro grande predecessore Leone XIII nell'enciclica Immortale Dei, affinché regolasse la vita sociale secondo le prescrizioni di un ordine immutabile nei suoi princìpi universali, rendesse più agevole alla persona umana, nell'ordine temporale, il conseguimento della perfezione fisica, intellettuale e morale e l'aiutasse a raggiungere il fine soprannaturale”;Id., Allocuzione alla Sacra Rota romana, 6 ottobre 1946: AAS 38 (1946) p. 393; Id., Allocuzione alla Sacra Rota romana, 29 ottobre 1947: AAS 39 (1947) p. 495;Id., Allocuzione Iis qui interfuerunt Conventui X Internationali de Scientiis Historicis, 7 settembre 1955: AAS 47 (1955) pp. 677-678: “Leone XIII ha rinchiuso, per così dire, in una formula la natura propria di queste relazioni, delle quali fa una relazione luminosa nelle sue encicliche Diuturnum illud [1881], Immortale Dei [1885] e Sapientiæ christianæ [1890]”.Dell'opposizione tra il laicismo odierno e la dottrina cristiana, Giovanni XXIII insegna quanto segue, Lettera enciclica Grata recordatio, 26 settembre 1959: AAS 51 (1959) p. 677: “È inoltre da ricordare che si sono oggi diffuse posizioni filosofiche e atteggiamenti pratici assolutamente inconciliabili con la fede cristiana. Noi continueremo, con serenità, precisione e fermezza, ad affermare tale inconciliabilità. Ma Dio ha fatto sanabili gli uomini e le nazioni! (cf. Sap 1,14). E perciò confidiamo che, messi da parte gli aridi postulati di un pensiero cristallizzato e di un'azione penetrata di laicismo e di materialismo, si faccia tesoro di quella sana dottrina, che ogni giorno di più è convalidata dall'esperienza, e si cerchino gli opportuni rimedi. Ora questa dottrina

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conclama che Dio è autore della vita e delle sue leggi: che è vindice dei diritti e della dignità della persona umana; di conseguenza che Dio è «nostra salvezza e redenzione!». [ex sacra liturgia]”.

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CAPITOLO XDELLA NECESSITÀ CHE LA CHIESA ANNUNCI IL VANGELO A

TUTTE LE GENTI E SU TUTTA LA TERRA

45. [Exsistentia et fundamentum muneris]. Dominum noster Iesus Christus, qui de semetipso testatus est: "Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur" (Lc. 12, 49), cum ex hoc mundo reversurus esset ad Patrem, Apostolis. ut omnibus gentibus Evangelium prædicarent, mandatum dedit dicens: "Euntes in mundum universum prædicate Evangelium omni creaturæ" (Mc. 16, 15). Apostoli autem hoc mandatum experiebantur et agnoscebant ut veram necessitatem sibi impositam. Ait enim Apostolus: "Si evangelizavero, non est mihi gloria, necessitas enim mihi incumbit; væ enim mihi si non evangelizavero" (1 Cor. 9, .16). Maximum illud et sanctissimum munus eorum terrestri vita non erat terminandum, sed usque ad finem sæculorum ab Ecclesia perpetuandum; 1 et reapse ad illam capitalem Ecclesiæ missionem refertur, qua verum Dei cultum in fide viva et caritate usque ad extremas terræ partes propagat omnesque homines participes facit Redemptionis Christi, ut ad sempiternam perveniant beatitatem. 2 Officium autem Evangelii omnibus gentibus annuntiandi et ius illud exercendi ab ipso iure nativo Christi derivatur, sollemniter dicentis: "Data est mihi omnis potestas in cælo et in terra. Euntes ergo docete omnes gentes" (Mt. 28, 19).

46. [Natura muneris]. Officium illud, cum sit Ecclesiæ a suo divino Fundatore collatum, est originis divinæ. Ut ex ipsis verbis Christi patet, extenditur ad omnes homines omnesque universi orbis terrarum partes: 3

debet enim Ecclesia opus Christi perenne reddere, qui pro totius mundi salute descendit de cælo et incarnatus est. Ubicumque igitur terrarum Ecclesia, independenter a quavis humana potestate, ius inalienabile habet præcones evangelicos mittendi, 4 communitates christianas stabilendi, homines sibi incorporandi per baptismum in eosque sibi subditos suam exercendi potestatem tam docendi quam regendi et sanctificandi. 5

Quare adimpletioni huius missionis Ecclesiæ pro toto mundo divinitus collatæ nulla communitas civilis sese legitime opponere posse existimet. 6

Doctrina enim catholica nihil continet, quod non sit rationi naturali summe congruens, dignitati humanæ maxime conveniens, et vitam hominum tam individualem quam socialem ita perficiens, ut vices si reapse spiritu Christi imbuti bono communi dent operam, id in civitate sint, quod in corpore sano est anima. 7 Multo minus societas civilis exercitium huius missionis a se im,pediri posse arbitretur, ut sibi

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commoda procuret tem,poralia. Sic enim transeundum est per bona temporalia, ut non amittantur æterna. 8

Nec solum a vero, sed etiam a bono proprii populi sui aberrant, qui putent prædicationi evangelicæ opponi posse iustum legitimumque desiderium vera ea beneficia tuendi, quæ veluti per sacram hereditatem peculiares cuiusvis nationis notas proprietatesque constituunt. Etenim in formis humanæ civilisque vitæ cuivis genti propriis, in moribus a maioribus receptis necnon in Institutis translaticiis, evangelica lex non respuit nisi ea quæ sunt rationi naturali legique divinæ contraria. Quidquid veri, quidquid boni, quidquid honesti ac pulchri habet unaquæque natio ex propria indole proprioque ingenio, Ecclesia præcipit ut servetur, et pro munere suo ad altiorem ordinem evehit. 9

Ius evangelicæ prædicationis a se alienari Ecclesia nec tolerare, nec umquam ab eo decedere potest: missionem enim suam capitalem non adimpleret, a Deo Salvatore glorificando deficeret, hominesque ordinariis salutis mediis privaret. Civilibus ergo societatibus, si impedire conantur quominus libere exerceat suum ius et officium sanctissimum, Ecclesia non cedere potest sed usque ad sanguinem resistere debet, cum Apostolis dicens: "Obœdire oportet Deo magis quam hominibus" (Act. 5, 29).

Quare Sancta Synodus ius Ecclesiæ Evangelium annuntiandi omnibus gentibus ubique terrarum necnon omnibus præbendi auxilia salutis, ante faciem omnium populorum sollemniter proclamat, omnesque qui potestatem super populos exercent monet ut Ecclesiæ plenæ libertati huius muneris adimplendi non sese opponant, sed potius in gentibus Providentia divina sibi concreditis eius exercitio faveant.

47. [Quibus et quomodo conveniat potestas et officium Evangelium prædicandi]. 10 Cura Christi Evangelium annuntiandi ubique terrarum ad corpus Pastorum simul cum Christi Vicario pertinet, quibus omnibus in commune Christus mandatum dedit imponendo commune officium. 11 Omnes ergo Episcopi, et non solum Episcopi et Vicarii Apostolici in missionibus degentes, simul cum suo Capite huius apostolici muneris fidem annuntiandi omnibus gentibus sint solliciti. 12 Attamen quod Apostolis omnibus eorumque successoribus mandabatur, id principaliter Petro eiusque successoribus, Romanis Pontificibus incumbit, quibus Dominus gregis sui universitatem concredidit. Ipsi ergo Romano Pontifici competit ius supremum, absolutum et universale fidei præcones in totum orbem terrarum mittendi eiusque officium est omni sollertia niti, ut Ecclesia ubique dilatetur hominesque universi Redemptionis Christi

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participes fiant. 13 Singuli autem Episcopi non tantum ius et officium habent omnibus suis viribus procurandi ut infideles in suo territorio degentes evangelizentur, 14 sed etiam, sollicitudine illa qua bonum Ecclesiæ universalis in propriis diœcesibus promovere tenentur, vocationes missionales foveant, neve desinant ex toto corde opera illa missionalia provehere quibus tam spiritualibus quam temporalibus evangelizationis universalis necessitatibus providetur. 15 Sacerdotes vero tam sæculares quam regulares, religiosi et religiosæ, fidelesque omnes a Sacra Hierarchia mandato instrui possunt ut unusquisque suo modo adiutricem operam ad adimplendum supremum illud Ecclesiæ munus conferat. Omnes enim ut membra Corporis Christi mystici, eius incremento pro viribus subministrare debent (cf. Eph. 4, 16; Col. 2, 19). 16

Religio et caritas insuper ab omnibus catholicis instanter postulant, ut, Deo grati pro pretiosissimo fidei dono accepto, nullam umquam opportunitatem prætermittant illud cum aliis communicandi 17 atque orationibus, eleemosynis aliisque mediis eos adiuvandi 18 qui operam dant mandato adimplendo Domini Nostri Iesu Christi, qui Ecclesiæ semper aderit ne deficiat umquam in Evangelio omnibus gentibus annuntiando iuxta promissum divinum: "Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem sæculi" (Mt. 28, 20).

NOTE

1. C

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CAPITOLO XIDELL ECUMENISMO

48. [Introduzione]. Poiché la Chiesa venne fondata da Cristo come uno ed unico segno innalzato tra le nazioni, affinché fosse un unico e singolare istituto salvifico, niente può mai violare la sua unità dall'interno.Tuttavia, nel corso dei secoli, sono sorte separazioni dalla Chiesa Cattolica che in qualche modo oscurano la manifestazione della sua indefettibile unità davanti al mondo. 1

Il Sacro Sinodo, che si duole sommamente di tali separazioni, dichiara che non vada omesso nulla che possa contribuire a ricostituire l'unità di tutti i cristiani: affinché la volontà di Cristo, per mezzo della quale tutti i membri della Chiesa sono uno in Lui, si estenda a tutti quelli che si gloriano del Suo nome in modo che la vera fede venga più efficacemente annunciata a coloro che non sono ancora cristiani.Ciò è infatti tanto più urgente nei nostri tempi, in quanto anche le stesse comunità separate dei cristiani, per disposizione della divina Provvidenza, in modo più pressante aspirano all'unità di tutti.

49. [Dei vincoli esistenti e dell'unità desiderata da Cristo]. 2 La Chiesa Cattolica riconosce i vincoli che uniscono a lei i fratelli separati, innanzitutti quelli dei riti orientali, segue con materno amore 3 tutti quelli che sono rinati nel battesimo (v. Tit. 3, 5), e che insieme con lei confessano lo stesso Cristo Dio e Salvatore e davanti al mondo rendono testimonianza a Cristo, sommamente se partecipano del vero corpo e sangue di Cristo.Tuttavia, tali mutui vincoli di unione, anche se eucaristici, non possono fondare quella unità che Cristo ha ordinato vigesse tra tutti i battezzati e che sia la Sacra Scrittura, sia la veneranda Tradizione della Chiesa mostrano così chiaramente.Infatti, sin dall'inizio lo stesso culto eucaristico veniva così intimamente collegato con la professione della vera fede trasmessa dagli Apostoli che si diceva che tutti i fedeli perseveravano insieme nella dottrina degli Apostoli e nella comunione, nella frazione del pane e nelle preghiere (v. At. 2, 42).Sin dalla sua origine la Chiesa ha considerato l'Eucaristia come il compimento dell'unità nella fede e nella comunione e come segno e fonte della sua unità davanti all'intero mondo; per questo motivo affermò, di fronte alle sfide degli scismatici ed eretici, la necessità di questo tipo di unità tra tutti i cristiani così da ammettere al culto eucaristico soltanto coloro che in comunione con un Vescovo unito con la Sede Romana professassero la fede una, vera ed integra. 4

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Infatti, soltanto in questo modo la communione eucaristica è segno di quella perfetta unità di tutta la Chiesa, che San Paolo presentava dicendo: "Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane" (1 Cor. 10, 17 gr.).

50. [Dell'atteggiamento della Chiesa Cattolica verso i singoli cristiani separati]. La Chiesa Cattolica sa anche che i cristiani separati sono realmente privati di molti mezzi di salvezza, e che la manifestazione del segno dell'unità levato tra le genti viene oscurata dalla loro separazione, volge con carità materna lo sguardo su ciascuno di loro e li invita amorevolmente a sé. 5

Perciò il Sacro Sinodo approva e invita a promuovere quelle imprese dei cattolici che illuminino i fratelli separati in merito alla dottrina e alla vita della Chiesa, in modo che vengano ad essa attratti anche individualmente.

51. [Dell'atteggiamento della Chiesa Cattolica verso le communità cristiane separate]. I cristiani separati trovano incitamenti per aderire all'unità della Chiesa, non solo come individui singoli, ma anche uniti tra di loro nelle proprie comunità. In queste ci sono infatti alcuni elementi della Chiesa, in primo luogo la Sacra Scrittura e i Sacramenti, che in quanto mezzi e segni efficaci dell'unità possono condurre alla mutua unione in Cristo e che per la loro stessa natura, in quanto beni propri della Chiesa di Cristo, spingono all'unità cattolica. 6

Tuttavia, fino a quando tali comunità custodiranno questi elementi in modo da isolarli dalla pienezza della Rivelazione, fintanto dànno di fatto motivo alla divisione dell'eredità di Cristo.Se dunque il Sacro Sinodo non nega che questi elementi custoditi dalle comunità [separate] possano essere salvifici e produrre frutti di vita spirituale cristiana anche lì, tuttavia insegna fermamente che la pienezza della Rivelazione è stata consegnata da Cristo alla sola Chiesa Cattolica, che non può essere divisa, 7 e che di conseguenza va riconosciuta da tutti i cristiani in essa.Il Sacro Sinodo esorta perciò tutti i fedeli a mostrare sempre di più ai fratelli separati, in parola ed esempio, che la pienezza della Rivelazione è conservata vera e pura nella sola Chiesa Cattolica, in maniera che quando i nostri fratelli saranno nuovamente congiunti a noi, possiedano anche insieme con noi la pienezza dell'eredità di Cristo. 8

52. [Dell’atteggiamento della Chiesa Cattolica verso il movimento ecumenico al di fuori della Chiesa]. Il S. Sinodo riconosce con gioia che in molte parti della terra e presso molte comunità separate dalla Cattedra di San Pietro sia sorto un cd. movimento ecumenico, che

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avrebbe lo scopo di fare ritornare all’unità tutti quelli che credono in Cristo Signore. Tanto più segue con animo benevolente quegli sforzi ecumenici, quanto più manifestamente scorge in essi che è presente l’afflato divino. 9

Tale manifestazione di unità deve tuttavia, per essere conforme alla volontà di Cristo, venire formata precisamente secondo la volontà dello stesso Cristo nell’unità della fede, della comunione nei sacramenti e del governo. Per questo motivo, coloro i quali intendono ubbidire di tutto cuore alla volontà di Cristo e crescere nell’ordine dell’”ecumenicità”, devono sotto la guida dello Spirito di Cristo avvicinarsi sempre di più a quella Chiesa che, sebbene sia la casa di Dio una ed indivisibile, tuttavia possiede diverse dimore su tutta la terra, nell’unità della fede, del governo e della comunione sotto l’unico Vicario di Cristo.Il Sacro Sinodo, riconoscendo che la via per restituire l’unità di tutti i cristiani sia difficilissima da percorrere fino in fondo per diversi motivi, raccomanda con grande affetto alla preghiera dei fedeli gli sforzi sinceri dei cristiani disidenti svolti a superare le separazioni.

53. [Del fine del movimento ecumenico nel seno della Chiesa Cattolica e dei pericoli da evitare]. Il Sacro Sinodo gioisce inoltre del fatto che di questi giorni anche nella Chiesa Cattolica si sviluppi lo stesso movimento ecumenico, che non solo intende aiutare i cristiani separati che cercano l’unità sinceramente con la preghiera, ma che si adopera anche col lavoro teologico e pastorale affinché la Chiesa appaia più chiara di giorno in giorno come la casa paterna di tutti i cristiani, 10 e le comunità separate possano trovare più facilmente la via alla vera unità.Il Sacro Sinodo avverte nondimeno tutti i fedeli che in questo grave lavoro occorre molta prudenza, affinché agitati da uno zelo in qualche modo apostolico, ma non secondo scienza, non si espongano al pericolo dell’indifferentismo o del cd. interconfessionalismo, e non finiscano, per mezzo del citato modo di procedere, di nuocere più che servire alla causa proposta. 11

Per questo motivo [il Sacro Sinodo] raccomanda il movimento ecumenico ai Vescovi di tutta la terra, affinché lo promuovano abilmente e governino prudentemente sotto la guida della Sede Apostolica.

54. [Della communio in sacris liturgica]. 12 Nelle comunità separate dalla Chiesa talvolta si conferiscono validamente Sacramenti oltre al battesimo, e può accadere che i figli della Chiesa giustamente possano e debbano chiederne l’amministrazione dai ministri separati ; inoltre, la pia Madre Chiesa desidera sommamente rendere partecipi i fratelli separati, per quanto possa ed essi ne abbiano bisogno, dei molti beni che Cristo affidò alla sua unica Sposa: 13 infatti, in quanto legittimamente battezzati,

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ed inoltre in buona fede, sono di per sé capaci di ricevere utilmente altri Sacramenti; 14 dato anche che infatti la Chiesa, benché a malincuore, tollera i matrimoni misti, nei quali i contraenti, la parte cattolica e la parte battezzata non cattolica, sono i ministri del Sacramento: per questo motivo non bisogna dire che ogni forma di assistenza attiva, vale a dire quella in cui cristiani dissidenti partecipano in qualche modo attivo nella liturgia cattolica oppure quando i cattolici in simile modo assistono attivamente alla liturgia dei fratelli separati, sia intrinsicamente cattiva, anche se tale partecipazione per gravi ragioni è da vietare. Per questo motivo la Chiesa ha il diritto e il dovere di stabilire leggi in materia di communio in sacris per il bene sia dei figli della Chiesa, sia di coloro che da essa sono dolorosamente separati.Il principale ostacolo alla communione liturgica tra i cattolici e i fratelli separati è la natura della communio in sacris che unisce tra di loro gli stessi membri della Chiesa. La communione dei membri della Chiesa tra di loro nel culto sacro è infatti un dono dello stesso Cristo, dato alla sua unica Chiesa, per mezzo del quale si compie l'unione nella fede e nella communione sotto l'unico supremo pastore, e che appare come un segno di quella unità nella verità e nella carità per cui la Chiesa è Corpo mistico di Cristo e già qui sulla terra è una figura ed un inizio dell'unità in Cristo in cielo.Poiché nello stesso culto sacro liturgico, compiuto dai ministri in nome di Cristo e per conto della Chiesa, la comunità dei fedeli confessa la fede della Chiesa (v. At. 2, 42), l'assistenza attiva nei riti liturgici in sé deve essere considerata in qualche modo una professione di fede. Pertanto, l'assistenza attiva dei cristiani dissidenti, vuoi allo stesso culto della Chiesa in generale, vuoi, in particolare, alla ricezione dei sacramenti, non è in generale ammissibile, in quanto intrinsecamente è contraria all'unità della fede e della comunione ed estrinsecamente oscura il segno dell'unità del Corpo di Cristo. Da questi difetti scaturiscono quindi di solito i pericoli dell'indifferentismo religioso, dell'interconfessionalismo o degli scandali.Da ciò consegue che l'assistenza attiva dei cristiani separati nello stesso culto della Chiesa si può ammettere soltanto per motivi gravi e dopo aver rimosso ogni pericolo; innanzitutto bisogna in proporzione a quanto sia grave la necessità o grande l'utilità spirituale [per i cristiani separati] discernere se e a quali condizioni la Chiesa può assistere con i sacramenti coloro che si sono allontanati da Essa non con un atto proprio.La stessa dottrina inviolabile dell'unità della Chiesa vieta in generale anche l'assistenza attiva dei cattolici ai sacri riti delle comunità separate.Inoltre, non è soltanto quando un cattolico assiste al culto di una comunità separata e lo approva interiormente che il suo atto è

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intrinsecamente cattivo, e perciò mai permissibile, ma lo è anche quando il cattolico – senza tale approvazione interiore – osa ricevere un sacramento putativo nelle comunità che non confezionano validamente Sacramenti. Poiché tale rito offende la verità cattolica, tale ricezione va quindi detta intrinsecamente cattiva e perciò non è mai permessa; per questo qualsiasi assistenza attiva dei cattolici a tali riti non è ammissibile in quanto tale.Anzi, anche nelle comunità dove si confezionano validamente i Sacramenti, la communicatio in sacris è vietata per la natura stessa delle cose. Infatti, nella misura in cui il culto reso da queste comunità è separato dal culto della Chiesa, non porta alla perfezione nell'unità, contraddice l'unità del segno che Cristo ha dato alla Chiesa nello stesso culto e non viene reso legittimamente. Non bisogna neppure trascurare il fatto che l'assistenza attiva nei riti liturgici delle comunità separate, anche se non vi è consenso alcuno all'errore, tuttavia significa per sua stessa natura l'assenso alla fede di tali comunità e che per questo motivo è regolarmente causa di scandalo e dà adito a pericolo per la fede. Perciò e in tali circostanze, qualsiasi assistenza attiva dei cattolici in tale culto, anche escludendo la ricezione dei Sacramenti, può venire permessa soltanto per motivi gravi, e dopo aver preso misure di precauzione per evitare lo scandalo e il pericolo della corruzione della fede o dell'indifferentismo nonché ottenuto il permesso dall'autorità legittima.Dove invece urge un’estrema necessità spirituale, o per lo meno una grande utilità, si può ammettere che i sacramenti vengano ricevuti e richiesti dal ministro di una tale comunità separata, se sono soddisfatte le condizioni appena esposte. Si tratta infatti di Sacramenti propri della Chiesa che vengono offerti in un rito oggettivamente vero; perciò, chi li riceve non aderisce necessariamente per lo stesso fatto [di riceverli] all’errore proprio di tale comunità.Se però a un rito di per sé oggettivamente vero si sommano preghiere liturgiche che invece sono false, oppure una predicazione che non è corretta, si è in presenza di casi dai quali difficilissimamente potranno venire rimossi i pericoli della corruzione della fede, dell’indifferentismo o dello scandalo.Le condizioni che si devono porre per la liceità [della communio in sacris] sono infine diverse a seconda della natura di ciascun Sacramento. La mera presenza di cristiani separati nei nostri riti liturgici è del tutto lecita, anzi desiderata, mentre dall'altra parte i cattolici per un motivo ragionevole ed avendo rimosso i pericoli, possono essere meramente presenti ai riti di comunità separate.Quanto invero concerne i sacramentali, le preghiere, i luoghi sacri, i funerali e altre simili cose, per le quali la stessa dottrina dell’unità della Chiesa di per sé non esige il divieto di partecipazione, la Chiesa prescrive

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ciò che è utile alle anime, sia dei cattolici che dei cristiani dissidenti, secondo le necessità delle circostanze del luogo e del tempo.In conseguenza, la vera partecipazione ai sacri riti non si può affatto considerare come un mezzo di cui avvalersi in modo generale per poter restituire l’unità di tutti i cristiani nell’unica Chiesa di Cristo. Non si esclude tuttavia una qualche manifestazione religiosa della nostra consapevolezza dei molteplici rapporti che abbiamo con i cristiani separati, fatti salvi i principi suesposti, e con l’approvazione dei Presuli secondo le circostanze del luogo e del tempo.

55. [Della cooperazione tra i cattolici e i cristiani separati]. Quando si tratta del modo e dei mezzi con i quali con sforzi comuni si difendono alcuni principi della religione cristiana o anche del diritto naturale, si instaura un giusto ordine sociale, si soccorrono i cittadini poveri con assistenza economica o culturale, i cattolici possono cooperare con i cristiani separati e qualvolta devono anche farlo. 15

Tale cooperazione non serve soltanto al bene della famiglia umana, ma può anche dare un vero aiuto efficace al superamento di vicendevoli sospetti e pregiudizi.Affinché ciò possa verificarsi senza pericolo spirituale, il Sacro Sinodo ricorda tuttavia ai cattolici di considerare la divina Rivelazione e la dottrina della Chiesa, particolarmente in materia sociale, 16 e di intraprendere ogni loro impresa di tale tipo coll'approvazione e sotto la vigilanza dell'autorità ecclesiastica.In conclusione, è necessario che l'eccellente opera della restaurazione dell'unità di tutti i cristiani nell'unica vera fede e nell'unica Chiesa ottenga un proprio posto nella cura delle anime di giorno in giorno maggiore. Tutti i fedeli insieme con i fratelli separati implorino con insistenza questa unione da Dio, e siano convinti che non vi sia niente di più efficace al fine di rendere agevole ai cristiani separati di riconoscere ed abbracciare l'unica Chiesa di Cristo se non la fede dei cattolici comprovata da onesti costumi. 17

NOTE

1. V. l'Istruzione della Sacra Congregazione del Sant'Uffizio Ecclesia Catholica, 20 dicembre 1949: AAS 42 (1959) p. 144.

2. I motivi per proporre il par. 2 in questo modo sono i seguenti:1) Per quanto riguarda gli Orientali ortodossi dissidenti. Questi

considerano infatti il culto eucaristico come centro di tutta la religione. Oggi, abbandonando in termini generali il concetto della struttura democratica della Chiesa ("sobornost"), i teologi ortodossi insistono

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principalmente su elementi cattolici, innanzitutto anche sulla dottrina del culto eucaristico quale "koinonia". Sotto la guida innanzitutto del Prof. Afanassief molti teologi ortodossi distinguono tra un’ecclesiologia universalista (i.e. un’ecclesiologia che prospetta una Chiesa unica ed universale, organizzata in modo giuridico e gerarchico – come nella Chiesa Cattolica) ed un’ecclesiologia eucaristica (i.e. un’ecclesiologia delle Chiese particolari, non subordinate autoritativamente per diritto divino – come nella Chiesa Ortodossa). Pare per questo motivo utilissimo indicare come anche la Chiesa Cattolica inizi da un’ecclesiologia eucaristica che è al tempo stesso universalista. V. N. AFANASSIEF, N. KOULOMZINE, J. MEYENDORFF, A. SCHMEMANN, La primauté de Pierre dans l’Eglise Orthodoxe, Neuchâtel 1960.

2) Per quanto riguarda i Protestanti appartenenti ad una “Chiesa alta” ("High Church", "Haute Eglise", "Hochkirchliche Richtung"): Questi sono tutti concordi nel considerare la "koinonia" eucaristica come un segno dell’unità della fede e della comunione ecclesiale; infatti ammettono generalmente la successione apostolica, l’unità della comunione ecclesiale sotto il Papa invece in nessun modo. V. E. ABBOT, Catholicity: A study in the Conflict of Christian Traditions in the West, being a Report presented to H. Gr. the Archbishop of Canterbury, London 1947; M. THURIAN, L'Eucharistie, Neuchâtel-Paris 1959; H. ASMUSSEN und W. STAEHLIN, Die Katholizität der Kirche, Stuttgart 1957.

3) Per quanto riguarda i puri Luterani riformati: Questi considerano in generale il culto – innanzitutto il culto eucaristico – come un segno dell’unità della Chiesa che richiede l’unità della professione della fede, ma non della comunione ecclesiale. V. W. ELERT, Abendmahl und Kirchengemeinschaft in der alten Kirche, hauptsächlich des Ostens, Berlin 1954: P. ALTHAUS, Die Christliche Wahrheit, Gütersloh 1952, pp. 507-527.

4) Nel “Consiglio Ecumenico delle Chiese” si desidera l’unità della dottrina e un modo pratico di agire in merito all’intercomunione, in quanto la diversità di opinione inerisce intimamente al problema dell’unità della Chiesa: per questo motivo sarà utile indicare il fondamento dogmatico e biblico del segno dell’unità esibito nello stesso culto.

5) Neanche tutti i Cattolici sembrano avere esaminato la relazione esseniale tra comunione ecclesiale e comunione eucaristica; da ciò conseguono le opinioni meno lodevoli sia dell’unità e l’unicità della Chiesa, sia dell’unità e l’unicità del culto.

3) V. GIOVANNI XXIII, Lettera enciclica Ad Petri cathedram, 29 giugno 1959: AAS 51 (1959) p. 515.

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4) V. HERTLING S.I. Communio und Primat, in: "Xenia Piana SS.mo D.no Nostro Pio Papæ XII dicata" (Miscellanea Hist. Pontif., edita dalla facoltà di storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana. Roma 1943, vol. VII, pp. 1-48, specialmente pp, 27-34); v. anche: G. BARDY, La Théologie de l'Eglise de S. Clément de Rome à S. Irénée, Parigi 1945 e dal lato protestante: W. ELERT, Abendmahl und Kirchengemeinschaft in der alten Kirche, hauptsächlich des Ostens, Berlin 1954, pp. 113-121.

5) Cf. GIOVANNI XXIII, Lettera enciclica Ad Petri cathedram, 29 giugno 1959: AAS 51 (1959) p. 515 e p. 517.

6) V. in quanto alle comunità orientali dissidenti:Cf. GIOVANNI XXIII, Lettera enciclica Ad Petri cathedram, 29 giugno 1959: AAS 51 (1959) p. 515;V. anche J. GRIBOMBONT, O.S.B., Du Sacrament de l'Eglise et de ses réalisations imparfaties, in: Irénikon 22 (1949) pp. 356-357.Qualunque sia effettivamente la natura di tale comunità separata, è certo che tradizionalmente il nome "Chiesa" viene spesso e costantemente attribuito alle comunità orientali: v. i seguenti documenti della Chiesa:

1074-1075: GREGORIO VII parla della "Chiesa Costantinopolitana" (PL 148, 385-387) e di "Chiesa orientale" (PL 148, 399-400).1095: URBANO II elenca tra i fini della spedizione della Sacra Croce la "liberazione delle Chiese degli orientali" (così VILLEY, La Croisade, p. 81).1215: CONC. LATERANENSE IV parla della "Chiesa dei Greci" (MANSI 22, 989). Così anche GREGORIO IX (MANSI 23, 58, A, C, E e 59, B e C).1274: CONC. DI LIONE. II: Anche se qui non si tratta delle Chiese orientali finora separate, ha il suo valore quanto viene detto in fine della professione di fede di Michele Paleologo: "La sua piena potestà è tuttavia così costituita, che ammette le altre chiese a condividere la sua sollecitudine: per questo motivo la stessa Chiesa Romana ha onorato molte chiese, particolarmenten quelle patriarcali, con diversi privilegi, benché restino sempre salve le sue prerogative, sia nei Concilii generali, sia in qualsiasi altra occasione" (MANSI 24, 70 A s.).1439: CONC. DI FIRENZE.: Nella Bolla Lætentur cæli, 6 luglio 1439 si legge: "... perché distrutta la muraglia che separava la chiesa d'occidente da quella d'oriente".1848: PIO IX, In Suprema, così recita: "se la stessa unità di questa Santa e Apostolica Chiesa possa trovarsi nella grande divisione delle vostre Chiese " (Pii IX P. M. Acta, vol. I, p. 85).

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1867: PIO IX, nell'allocuzione in Concistoro circa Patriarchatum Ciliciæ Armenorum, 12 luglio 1867, osserva che lo scisma di oriente "divise e separò già da allora miseramente le stesse Chiese dall'unità cattolica ... sebbene effettivamente alcune di tali Chiese sono ritornate all'unità cattolica …": ASS 3 (1867) p. 345.1868: PIO IX. La lettera apostolica Arcano divinæ Providentiæ porta il titolo: "A tutti i Vescovi delle Chiese di Rito orientale non in comunione con la Sede Apostolica". Anche in alcune altre occasioni nella lettera tali comunità separate vengono chiamate "Chiese": ASS 4 (1868) pp. 129-131.1894: LEONE XIII, la lettera enciclica Præclara gratulationis parla delle "Chiese orientali" e dice "una volta reintegrata l’unità con Noi, sarebbero per certo mirabili la dignità e la gloria che per dono divino ricadrebbero sulle vostre Chiese": Leonenis XIII P. M. Acta, 14 (1894) p. 202.1898: Leone XIII, lettera Apostolica Cum divini Pastoris, la quale ha il seguente titolo: "Lettera apostolica sull'erezione dell'Arciconfraternita per le preghiere ed opere pie oer il ritorno delle Chiese dissidenti all'unità cattolica …": Leonenis XIII P. M. Acta 18 (1898) p. 49.1907: La Sacra Congregazione per le indulgenze dice: "Per impetrare la desiderata unione tra la Chiesa Cattolica e le Chiese da lei dissidenti".1912: S. Pio X. La Cost. Apost. Tradita ab antiquis così recita: "la pace della Chiesa greca con quella latina": AAS 4 (1912) p. 610.1920: Benedetto XV nella Lettera enciclica Spiritus Paraclitus dice: " Voglia Dio che questo appello sia inteso soprattutto dalle Chiese Orientali, che ormai da troppo tempo sono ostili alla Cattedra di Pietro ": AAS 12 (1920) p. 421.1924: Pio XI, "delle dottrine e degli istituti delle Chiese d'Oriente": AAS 16 (1924) p. 491.1928: Pio XI nella lettera enciclica Mortalium animos parla dell'azione degli acattolici "operante [...] alla riunione delle Chiese cristiane" (qui però il termine "Chiesa" pare usato piuttosto in senso sociologico): AAS 20 (1928) p. 91944: Pio XII, nella lettera enciclica Orientalis Ecclesiæ decus, chiama le molte comunità orientali separate "Chiese orientali": AAS 36 (1944) pp. 129 ss.1945: Pio XII. La lettera enciclica Orientales omnes Ecclesias tratta delle comunità separate (risulta da AAS 38 [1946] p. 33) che a volte vengono chiamate "società" (p. 59), a volte "Chiese" v. g. p. 56: "all'unione con la chiesa dissidente"; inoltre: AAS 38 (1946) pp. 35, 36, 42, 45, 46, 47, 48.1953: Pio XII, lettera enciclica Orientales Ecclesias: AAS 45 (1953) p. 5: si tratta delle comunità separate. V. sulla materia di questa nota innanzitutto: CONGAR, Chrétiens désunis, pp. 381-382, con complemento in: Irénikon, 23 (1950) pp. 22-24.

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7) GIOVANNI XXIII, lettera enciclica Ad Petri cathedram, 29 giugno 1959: AAS 51 (1959) p. 515 et p. 511; v. anche: Allocuzione dello stesso Sommo Pontefice nell'occasione dell'Ora santa" nella Basilica Vaticana, 5 giugno 1959: L'Osserv. Rom. 7 giugno 1959; l'Allocuzione dello stesso S. Pontif. ai moderatori diocesani dell'Azione Cattolica Italiana: L'Osserv. Rom. 10-11 agosto 1959; la lettera Enciclica dello stesso Sommo Pontefice Grata recordatio, 26 settembre 1959: AAS 51 (1959) pp. 677-678.

8) V. S. AGOSTINO, Miscellanea Agostiniana, t. I, Sermones (Morin), p. 575: "Non gli dico: Signore (dì) al mio fratello di dividere con me l'eredità; ma dico, Signore, dì al mio fratello di tenere insieme con me l'eredità". Inoltre: Sermo ad Cæsareensis Ecclesiæ plebem, n. 5 PL 43, 694: "Entrai in possesso dell'eredità: soprattutto perché questa eredità non è la terra che fu data ai figli di Giacobbe. Ai figli di Israele fu data la terra: quanto più numerosi erano quelli che la possedevano, tanto più si riduceva. La nostra eredità si chiama pace. Nel testamento leggo: Vi do la mia pace, vi lascio la mia pace (Gv. 14, 27). Assieme teniamo ciò che non può essere diviso. Non viene ristretta da un grande numero di possessori, per quanti ne possano venire".

9) Istruzione della Sacra Congregazione del Sant'Uffizio Ecclesia Catholica, l. c., p. 142.

10) GIOVANNI XXIII, Lettera enciclica Ad Petri cathedram, l. c. pp. 510-511.

11) Istruzione della Sacra Congregazione del Sant'Uffizio Ecclesia Catholica, l. c., p. 144.

12) V. MARTINUS V, Const. Ad evitanda scandala, a. 1418 adottata nel Concilio di Costanza (MANSI 27, 1192-1193: v. in merito a questa costituzione: SUAREZ, Disput., De Censuris, disp. IX, sect. II, ed. Vives, Parisiis 1866, t. XXIII, pp. 262-270; F. CAPPELLO, De Censuris, ed. 4, Roma 1950, p. 133). Per quanto riguarda quasi tutti i documenti dei tempi passati v.: "Verbali delle Conferenze Patriarcali sullo stato delle Chiese Orientali e delle adunanze della Commissione Cardinalizia del promuovere la riunione delle Chiese dissidenti, tenute alla presenza del S. P. Leone XIII (1894-1902) con note illustrative e documenti (pro manoscritto)", Tip. Pol. Vat. 1945, pp. 537-637 (de Communicatione in Sacris); inoltre: MARCO DELLA PIETRA, O.F.M., Collectio Rescriptorum præsertim S. S. Congreg. S. Officii et de Prop. Fide, a. 1933, conservata

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in S. Congr. pro Eccl. Orient., prot. 38/29. A questi documenti va innanzitutto aggiunto: Decreto della Sacra Congregazione del Sant’Uffizio sui sacramenti da amministrare a determinate condizione ad alunni, figli di “Ortodossi” nelle scuole cattolica, , edito l’anno 1957.Insoltre attengono alla materia secondo il CIC specialmente i seguenti canoni: 731, 2; 1258, 1; 2259; 2260; 2261; 2262; 2263; 2267; 2238, 2; 2316 e 2314, 1, n. 1.Richiedono la revisione delle prescrizioni della Curia Romana in merito alle relazioni con gli acattolici e specialmente una mitigaione in quanto alla communictio in sacris con gli “Ortodossi” orientali più di 60 Vescovi dalle regioni orientali e due Superiori generali di ordini religiosi. Contro il falso e pericloso “irenismo ecumenico” hanno espresso il loro voto 6 Vescovi armeni e alcuni altri. Della communicatio in sacris non dice invece niente S. E. Card. Agagianian con i suoi 8 Vescovi armeni. (v. Acta et Documenta Conc. Vat. II apparando, Ser. I, Vol. II, Pars. IV, pp. 394-400 et Pars IV passim).Una mitigazione delle prescrizioni in merito alla communicatio in sacris è richiesta anche dal Pontificio Istituto di Studi Orientali (v. Acta et Documenta …, Ser. I, Vol. IV, Pars I, p. 158 sqq.).

13) LEONE XIII, Lettera enciclica Satis cognitum: ASS 28 (1895-96) p. 712.

14) V. P. GASPARRI, Tract. canonicus de SS. Eucharistia, t. II. Parigi 1897, p. 354: "I seguaci di Cristo battezzati sono per diritto divino in sé capaci di ricevere la sacra comunione. Ma ... la Chiesa ... vieta che ad alcuni, benché capaci per diritto divino, venga offerta la sacra comunione".

15) Istruzione della Sacra Congregazione del Sant'Uffizio Ecclesia Catholica: l. c. p. 145.

16) Ibid.

17) Ibid., pp. 146-147.

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