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CAPITOLO XII. T EORIA INTRALINGUISTICA E EVOLUZIONE DEL SISTEMA NERVOSO 12.1. La realtà dei fenomeni intralinguistici Vorrei, alla fine di questo libro, trarre alcune conclusioni sui problemi posti dalla teoria intralinguistica, e dal tipo di esempi che ne ho dato. Come ho precisato nei capitoli iniziali, i fenomeni intralinguistici indicano un’area di studio estremamente ampia, di cui non è facile definire i confini, e di cui è importante, dapprima, accertare l’effettiva esistenza e significatività. Nel libro mi è sembrato perciò necessario introdurre molte procedure o criteri che garantissero la reale esistenza di questi fenomeni e ne permettessero un primo inquadramento: come lo stesso lettore avrà constatato, i fenomeni intralinguistici sono però così numerosi e vari da non consentire, allo stato attuale di questa ricerca, una definizione veramente completa dei tipi di processi esplorabili. Ma, come spero, alcuni criteri d’analisi appaiono utilizzabili con una certa evidenza, e la ridondanza e ripetitività delle forme strutturali trovate dovrebbe persuadere della convenienza a ritenere fondata l’ipotesi di una mente intralinguistica che coopera con la mente ordinaria nel generare il testo, in particolare quello poetico: tra tutti i metodi, quello statistico è la garanzia più semplice di una tensione mentale specifica volta all’uso intenzionale delle strutture intralinguistiche. Come ho cercato sempre di chiarire nel corso del libro, la procedura statistica degli pseudotesti - o quella della improbabilità dei fenomeni permutativi di rango elevato - ha però come scopo solo l’accertamento pregiudiziale dell’esistenza di almeno una classe di fenomeni combinatori rari, qui dimostrati per la prima volta, che possano convincere della loro reale esistenza: il vero criterio dimostrativo è semantico-tematico, cioè di tipo qualitativo, e riguarda la possibilità di esplorare aspetti del testo altrimenti non evidenziabili. Quest’ultimo criterio è stato presentato da più punti di vista, comprensivo dell’analisi delle varianti e della continuità tematica inter- testuale, e non ha giustificazione se non

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CAPITOLO XII

CAPITOLO XII. Teoria intralinguistica e evoluzione del sistema nervoso

12.1. La realtà dei fenomeni intralinguistici

Vorrei, alla fine di questo libro, trarre alcune conclusioni sui problemi posti dalla teoria intralinguistica, e dal tipo di esempi che ne ho dato. Come ho precisato nei capitoli iniziali, i fenomeni intralinguistici indicano un’area di studio estremamente ampia, di cui non è facile definire i confini, e di cui è importante, dapprima, accertare l’effettiva esistenza e significatività. Nel libro mi è sembrato perciò necessario introdurre molte procedure o criteri che garantissero la reale esistenza di questi fenomeni e ne permettessero un primo inquadramento: come lo stesso lettore avrà constatato, i fenomeni intralinguistici sono però così numerosi e vari da non consentire, allo stato attuale di questa ricerca, una definizione veramente completa dei tipi di processi esplorabili. Ma, come spero, alcuni criteri d’analisi appaiono utilizzabili con una certa evidenza, e la ridondanza e ripetitività delle forme strutturali trovate dovrebbe persuadere della convenienza a ritenere fondata l’ipotesi di una mente intralinguistica che coopera con la mente ordinaria nel generare il testo, in particolare quello poetico: tra tutti i metodi, quello statistico è la garanzia più semplice di una tensione mentale specifica volta all’uso intenzionale delle strutture intralinguistiche.

Come ho cercato sempre di chiarire nel corso del libro, la procedura statistica degli pseudotesti - o quella della improbabilità dei fenomeni permutativi di rango elevato - ha però come scopo solo l’accertamento pregiudiziale dell’esistenza di almeno una classe di fenomeni combinatori rari, qui dimostrati per la prima volta, che possano convincere della loro reale esistenza: il vero criterio dimostrativo è semantico-tematico, cioè di tipo qualitativo, e riguarda la possibilità di esplorare aspetti del testo altrimenti non evidenziabili. Quest’ultimo criterio è stato presentato da più punti di vista, comprensivo dell’analisi delle varianti e della continuità tematica inter-testuale, e non ha giustificazione se non rispetto al tipo di domanda che in genere il linguista si pone di fronte al testo poetico: quale siano le caratteristiche che lo differenziano dal testo ordinario, e che non hanno spiegazioni evidenti nel solo ordine formale ricercato dal poeta. La risposta a questa domanda è data in questa teoria dalla straordinaria densità delle strutture formali-semantiche intralinguistiche.

La teoria intralinguistica è, da quest’ultimo punto di vista, oggettivamente ampia, e conviene indicarne i temi fondamentali, iniziando da quelli più certi, per arrivare poi a quelli più incerti e problematici.

12.2. Livelli interpretativi dei fenomeni intralinguistici

1. L’aspetto più dimostrabile della teoria intralinguistica è, come appena detto, la rarità di alcune densità anagrammatiche, rilevabili in alcuni casi sia nell’intero testo, sia in particolari tratti dell’enunciato, come ad esempio l’inizio o la fine del primo verso. Queste elevate densità già pongono un problema importante per il linguista, anche senza la particolare interpretazione che se ne può dare dal punto di vista generativo, perché riguardano l’usuale concezione dell’assonanza, dell’allitterazione, dell’organizzazione timbrica. Gli anagrammi sono presenti comunemente, per solo motivi combinatori, in un testo, ma non sono evidentemente percepibili: la loro numerosità, anche solo casuale, è però la fonte di legami di continuità che operano nel piano acustico, e che andrebbero quindi considerati nel sistema delle ripetizioni foniche. L’anagramma è infatti la ripetizione, pur ricombinata, di un’intera sequenza, e ciò suggerisce che l’organizzazione delle risonanze acustiche comprenda in modo naturale la sua cooperazione con tutti gli altri effetti conosciuti. Quando però si può dimostrare la rara densità e intenzionalità degli anagrammi, i legami di continuità da essi indotti appaiono in questo caso specifici rispetto a quelli solo allitterativi o timbrici.

In un’ipotesi semplificante, gli anagrammi potrebbero venire interpretati solo come indicatori di una maggior ridondanza degli elementi fonici-grafemici del sistema lessematico. Sia che lo si consideri come processo primario, che sollecita la mente ad una maggiore attenzione ai fenomeni di continuità degli anagrammi, sia che lo si ritenga un effetto secondario indotto da un controllo combinatorio, risulterebbe però in ogni caso evidente che fonte di studio significativa del testo è innanzitutto la matrice fonetica e grafemica del lessico, che attrae la mente a una sua potenziale testura sintagmatica, e in cui l’anagramma ha un ruolo importante, non più trascurabile.

2. L’attenzione inconscia che la mente poetica pone all’organizzazione formale degli anagrammi è però, in molti casi, molto evidente, e tale da suggerire ipotesi meno semplici. La matrice fonetico-grafemica ha infatti aspetti strutturali in genere complessi, e non riconducibili a soli effetti combinatori di densità generalizzata. Non solo si hanno densità in luoghi dell’enunciato facilmente interpretabili dal punto di vista formale-generativo, come la fine del primo verso o della fine testo, ma anche densità a cavallo dei versi che indicano come il processo di versificazione tenda ad accentuare l’attenzione inconscia all’utilizzo in senso formale-strutturale del dispositivo anagrammatico. Poiché questo fenomeno è inconscio, ma tipicamente qualitativo, è l’altro elemento che, in alcuni casi, può essere ritenuto certo, e dimostrabile con lo studio accurato dell’apparato formale: esso sposta l’interpretazione dei fenomeni anagrammatici tipicamente verso l’aspetto strutturale e generativo, e a diversi livelli.

Di questi il più semplice è un’ampliamento dell’ipotesi del punto precedente: la tensione combinatoria formale è un effetto particolare della matrice fonetico-grafemica che si organizza in dipendenza dell’apparato formale del testo. Essa non è di per se stessa prioritaria, ma conseguente all’ordine formale che il poeta ricerca coscientemente, e deriva quindi solo da un contributo superficiale della matrice fonetico-grafemica dell’enunciato. L’aspetto formalizzato del flusso anagrammatico non è pertanto necessariamente semantico, ma un effetto di amplificazione e risonanza dell’attenzione ritmica e timbrica che il poeta dispone sul sistema formale del testo. Questa considerazione cautelativa è, ad esempio, utile per i testi lunghi, in cui l’organizzazione semantica non è sempre riconducibile all’organizzazione formale: ma può anche essere riferita a quei testi brevi in cui, tavolta, il sistema formale del flusso non è adeguabile con semplicità al sistema semantico.

3. Molti aspetti strutturali del flusso anagrammatico non appaiono però riducibili a questa sola ipotesi. Un livello interpretativo adeguato alla tipica complessità delle tensioni formali anagrammatiche suggerisce come prioritaria una predominante cooperazione tra piano intralinguistico e grammaticale. Il processo ideativo può essere supposto, in questi casi tipici, già all’origine fortemente influenzato dalle relazioni che il sistema intralinguistico può inaugurare nel sistema formale e semantico. In genere depongono a favore di questo livello le contemporanee influenze di parole incluse o sovraincluse, che indicano non più tensioni solo combinatorie, ma chiaramente semantiche, e a loro volta cooperanti con quelle anagrammatiche. Ho spiegato nel libro i molti motivi che spingono a ritenere vantaggiosa questa ipotesi: essi hanno come riferimento sia un criterio di economia nelle forme generative, sia il problema teorico dell’instabilità del segno, negli aspetti linguistici e neurologici. Credo che l’analisi di alcuni testi possa persuadere come questo livello interpretativo indichi talvolta delle soluzioni chiarificatrici alla loro comprensione, che giustificano l’ampiezza delle procedure e dei criteri utilizzati. La teoria intralinguistica può forse offrire, per lo studio del testo poetico, alcuni modelli di analisi innovativi, che definiscono le forme strutturali affrontabili in questo livello come quelle meglio confrontabili con gli altri tipi di analisi conosciute.

4. Livelli più elevati riguardano, tipicamente, gli aspetti generativi del testo, che trascendono il solo problema dell’interpretazione. La coerenza del testo, semantica e tematica, diviene l’oggetto di studio privilegiato della teoria intralinguistica. L’apparato formale, nelle due componenti, grammaticale e intralinguistica, può venir ritenuto, in questo tipo di analisi, un sistema generatore di per se stesso potenzialmente autonomo: questo aspetto strutturante è alla base della teoria esposta nel capitolo V sulla cooperazione tra instabilità neurologica del segno e formalizzazione della frammentazione dell’enunciato in poesia. L’interazione tra i diversi aspetti strutturali e generativi concettualizza il testo come un processo estremamente complesso, in cui sottili demarcazioni nelle priorità di queste funzioni ampliano la comprensione alle forme strutturali profonde, e alle grandi diversità che testi in apparenza simili possono avere nella cooperazione grammaticale e intralinguistica.

5. Livelli più problematici sono quelli qui mostrati per ultimi nel libro: gli aspetti logico-matematici, le influenze generative confrontabili tra testo in poesia e in prosa, le funzioni oniriche latenti nell’enunciato poetico e ordinario, tutti temi riferibili alla coordinazione più complessa del processo ideativo e ai suoi possibili rapporti con funzioni anche non linguistiche della mente. Questi aspetti più problematici toccano il tema della organizzazione presemiotica della mente, e delle disconnessioni funzionali della mente linguistica e pre-linguistica, oltre che i rapporti tra linguaggio ordinario e linguaggio psicotico.

12.3. Gli aspetti pratici della teoria intralinguistica

Molti temi si intrecciano, perciò, nella teoria intralinguistica, da quelli più attinenti all’analisi del testo poetico, a quelli che affrontano problemi relativi all’organizzazione della mente linguistica e non linguistica. Essi non hanno, necessariamente, lo stesso tipo di fruibilità, né richiedono lo stesso tipo di impegno nell’avvicinarsi alla teoria.

Ad esempio la possibilità di accedere, attraverso lo studio di fenomeni anche minimi di riorganizzazione semica, ai livelli profondi della generatività linguistica e pre-linguistica, riguarda i fondamenti della teoria neurologica del segno. Essi hanno importanza nella prospettiva di un chiarimento dei fenomeni di disfunzione linguistica e, come accennerò in seguito, dei rapporti tra origine del linguaggio, disturbo psichico e generatività linguistica. Questa grande area offre la possibilità di porre domande specifiche sulla natura strutturale dell’inconscio linguistico e non linguistico che vertono su problemi di particolare interesse psicoanalitico, utili a definire meglio alcuni criteri di analisi letteraria.

Tutti questi temi suggeriscono, comunque, una naturale priorità dello studio del testo poetico, in cui la possibilità di esplorare e definire i principali fenomeni ha maggiori riscontri: in un certo senso lo studio del testo poetico può essere ritenuto, negli aspetti più comprensibili e semplici, una parte autonoma della teoria intralinguistica, riguardando una molteplicità di processi, qualitativi e quantitativi, il cui significato è inquadrabile naturalmente in forme ideative che preorganizzano il testo. Ne ricordo le più importanti:

-Le densità anagrammatiche, in tratti significativi (l’inizio, la fine del primo verso, la fine del testo), e negli aspetti semantici, tematici, formali, statistici.

-L’organizzazione delle linee di concatenamento di anagrammi, e il loro significato di indirizzamento tematico e formale.

-Lo studio delle reti semantiche intralinguistiche, e i loro rapporti con le metafore e i simboli del testo.

-La cooperazione tra piano intralinguistico e grammaticale, negli aspetti formali, semantici e tematici.

Questi aspetti della teoria intralinguistica hanno un rilievo soprattutto pratico:

1. Le relazioni intralinguistiche sono visibili, ed evidenziano in modo spesso semplice il lavoro che sul testo il poeta compie scegliendo alcune parole, o mutandole, o disponendole in modo diverso. Il rapporto, quasi fisico, che si instaura col testo esplorandone la componente intralinguistica obbliga ad un’attenzione amplificata, che avvicina alle sue risonanze. In un certo senso l’astrazione mentale, verso cui guida il testo, viene corretta da questo tipo di osservazione ravvicinata, che tende a destrutturare la lettura abitudinaria: ciò crea un campo associativo molto più libero del consueto, che rivela l’ampiezza del contesto lessicale che sostiene i percorsi grammaticali. Ma le reti intralinguistiche non inducono a percorsi associativi liberi, bensì guidati da relazioni interpretabili come strutturali: questa particolare obbligatorietà stimola continuamente a riflessioni aderenti ai significanti del testo, cioè alla costituzione più tipica dell’apparato formale ed espressivo della poesia.

2. Alcuni temi classici dell’interpretazione, quali il rapporto forma-contenuto, possono assumere, per questo aspetto pratico di fruizione del testo, un chiarimento spesso semplice, dovuto all’evidenza con cui alcuni fenomeni si presentano all’intuizione. Le teorizzazioni della scuola di Praga, e le concettualizzazioni sulla autoriflessività del significante dovute a Jakobson, acquistano una risonanza particolare: tutte le relazioni intralinguistiche sono, di fatto, possibili formalizzazioni delle forze autoriflessive del significante nel sistema globale del testo; esse, però, assumono un aspetto più semplice di quanto ci si potrebbe attendere da enunciazioni astratte, essendo motivate, in genere, da una ridondanza strutturale. L’ipotesi di una rilevante funzione dell’anagramma o della rete intralessicale corrisponde alla ricerca di Saussure, pur con le precisazioni fatte nel primo capitolo; essa però dipende dal significato dei fenomeni intralinguistici, utilizzabili solo in aderenza al testo, cui riconducono per la necessità di esplorarne la realtà ed efficacia.

3. Ha perciò un importante aspetto pratico, soprattutto, lo studio semantico del testo. La comprensione del processo di significazione ha come tracce gli anagrammi, o le linee di concatenamento, o le inclusioni lessicali: ognuno di questi fenomeni è potenzialmente produttivo di senso, costituendo il contesto autoreferenziale della stabilità semantica non grammaticale. Benché l’ampiezza di questa rete associativa possa apparire poco fruibile, proprio essa ha un importante significato pratico: rivela in genere il difficile equilibrio che il poeta può trovare tra forma mentale e forma espressiva, e che solo l’esame accurato del testo può chiarire. La difficoltà del poeta a produrre un testo, dipende, secondo la teoria intralinguistica, da questa difficoltà a semiotizzare il sistema combinatorio e intralessicale, di cui si ha un riflesso importante durante lo studio semantico del testo. Le procedure e i criteri d’analisi proposti nel libro sono semplificazioni ritenute simili a quelle, mentali, del poeta, che di volta in volta deve scegliere le forme strutturali più idonee alla stabilità del senso.

4. Ha una grande evidenza pratica, infine, il rapporto tra apparato semantico e formale. Lo studio formale intralinguistico del testo è un aspetto spesso rivelatore dell’adeguamento delle forme mentali a un tipo di ordine interno sovrapposto con molta libertà a quello visibile. Le tensioni formali intralinguistiche sono eminentemente a servizio di quelle semantiche, ma sono meno prevedibili di esse: nel rapporto tra i due tipi di tensioni si intuiscono, di volta in volta, le costrizioni con cui il poeta si è confrontato, e gli scopi che si è proposto, dovendo egli adeguare la tensione mentale a un ordine molteplice, che la materialità combinatoria dell’enunciato consente solo sotto alcune condizioni formali.

12.4. Teoria intralinguistica e teorie della lingua e del testo poetico

Tutti questi aspetti di studio intralinguistico del testo hanno il pregio di poter essere, innanzitutto, descrittivi, e di costituire gradualmente la competenza che permette di intuire, come accennato all’inizio del libro, la possibile validità della procedura d’analisi intralinguistica. Essa si forma, quando appare persuasiva, in una sorta di consonanza associativa col testo, che si arricchisce del senso della scoperta e della preziosità del lavoro fatto dal poeta, e che incoraggia ad affrontare le difficoltà del metodo, e a vagliarne la rispondenza pratica al problema della comprensione semantica e formale. Questo aspetto pratico dell’analisi intralinguistica avvicina, in genere, ad alcuni temi teorici dello studio della lingua, proponendo corrispondenze tra problemi affrontati diversamente, che possono segnalare anch’essi significati utili nell’arricchire la concezione del testo poetico.

1. Le relazioni intralinguistiche, come si è visto, appaiono di difficile comprensione solo se si interpretano le funzioni grammaticali e sintattiche come l’unico dispositivo in grado di porre un ordine nelle connessioni semantiche del lessico. Le funzioni intralinguistiche, che operano come vincoli suppletivi, sono perciò facilmente interpretabili come equivalenti a marche connotative e denotative, realizzate direttamente in un sistema di segni ausiliari. Le parole incluse e sovraincluse, implicando in un significante più relazioni semantiche, sono assimilabili alle marche connotative; le relazioni anagrammatiche sono più complesse, sottintendendo legami tra parti diverse del testo, e appaiono di tipo denotativo e grammaticale.

La natura problematica delle relazioni intralinguistiche si manifesta inoltre nel confronto con il campo morfologico delle lingue: il significante è infatti analizzabile in costituenti più elementari, senza che compaiano regole formali. Gli anagrammi, per la loro indirizzabilità sono interpretabili come relazioni di tipo flessivo; in alcuni sistemi anagrammatici assai coerenti i gruppi di fonemi si differenziano assumendo valenze semantiche e logiche, divenendo potenzialmente equivalenti a radicali stabili. L’utilità di queste considerazioni è nel poter interpretare il testo, soprattutto quello breve, come un sistema di elementi radicali e flessivi, la cui struttura a indirizzi (gli anagrammi e le linee di concatenamento) acquisisce, nella linearizzazione, caratteristiche grammaticali e sintattiche. Fenomeni complessi come la diacronia e la sincronia sembrano condensarsi nel testo breve, ma con funzioni di ordinamento temporale che possono venire invertite, e in più punti contemporaneamente.

2. Il lavoro metodico di confronto tra sistemi intralinguistici e grammaticali comporta un’attenzione alla formalizzazione e spazializzazione del testo che si riflette nei rapporti tra funzioni intralinguistiche e le distinzioni dei segni in simboli, icone e indici, dovute a Peirce. I segni intralinguistici, in generale, accentuano nel testo poetico sia le caratteristiche metaforiche e simboliche dei segni ordinari, sia i loro latenti aspetti percettivi acustici e scritturali: l’influenza indicale è assai evidente nelle rime semantiche, e in certe disposizioni figurali, che compongono le parole come veri oggetti, in ordini sottilmente iconici. Problemi simili si hanno quando si confrontano le funzioni dei pronomi, dei deittici, dei riferimenti anaforici grammaticali, con quelle delle rilessicalizzazioni intralinguistiche o dei legami anagrammatici, in cui la precisione anaforica può essere massima. Soprattutto le analogie tra attività pronominali e proprietà indicali, deittiche e anaforiche dell’anagramma vi evidenziano nel modo migliore la sua ampia funzione strutturale, che nella mente si forma come richiamo acustico-grafemico associativo: l’anagramma appare assimilabile a un predicato grammaticale libero, con valenza indicale e iconica nel sistema formale visivo e prevalente valenza indicale in quello acustico.

3. La natura dei vincoli intralinguistici si riflette in molte considerazioni teoriche conosciute sui processi di semiosi in poesia. Oltre ai precedenti richiami alle teorizzazioni di Saussure, e della scuola di Praga, appaiono temi connaturati al significato delle funzioni intralinguistiche la nozione di «etimologia poetica» di Jakobson, le osservazioni di Empson su identità semantiche, identità di suoni e relazioni semantiche ambigue, e quelle di Tynjanov, Mukarovsky e Frye sul ruolo delle funzioni contestuali, autonome e centripete delle relazioni di significazione poetiche. Soprattutto quelle di Jakobson sulla funzione poetica (l’enunciato è considerato come avente un valore intrinseco, autoriflessivo) sono applicabili al significante intralinguistico, organizzato da una funzione semiotica interna alla sua costituzione materiale. Allo stesso modo i livelli di agrammaticalizzazione e anagrammatismo dei fenomeni di desegmentazione intralinguistica richiamano gli studi di Jakobson sulle afasie e sulla organizzazione neurologica del linguaggio. Come ho già fatto osservare, gli effetti di desegmentazione sono assimilabili agli «insiemi significanti minimi» di J. Kristeva, in cui si destruttura il segno formando una rete di connessioni a gerarchia variabile. È possibile inquadrare tutte queste concezioni, dal punto di vista intralinguistico, nei processi di autolimitazione formale del sistema dei significanti e di contrazione della rete di predicazioni ordinarie, di cui la rima classica è l’effetto più visibile.

4. Punto focale di una generalizzazione teorica dei fenomeni intralinguistici appare, in questi riferimenti, l’ampliamento della concezione della rima tradizionale. Nel quadro seguente sono indicati i legami formali intralinguistici assimilabili alla rima, nel confronto tra quelli tipici in poesia, e quelli, pur limitati, visti in prosa.

La legge generale che trapela nel confronto è semplice: il permanere di una identità nel mutamento formale è il supporto di una differenziazione semantica, che può radicalizzarsi fino alla binarietà. Sono identità un segmento uguale nella rima tradizionale, una parola nella rilessicalizzazione, un sistema di lettere comuni nell’anagramma, un’identità permutativa tra anagrammi diversi: esse appaiono avere qui lo stesso significato di particelle connettivanti grammaticali, che implicano tra le parole una cooperazione testuale da cui estrarre differenze semantiche. Sono dunque interpretabili come forme concrete di astrazioni logiche della predicazione ordinaria, che come quelle consentono la continuità semantica tra punti diversi del testo, ma affidata alle potenzialità formali del significante. Tutto il sistema di legami che, nella lingua comune, è a fondamento dei rinvii anaforici, e cioè i pronomi, i deittici, le marche grammaticali e sintattiche, confluisce perciò in questo quadro di equivalenze formali, che ha nella rima tradizionale il centro visibile.

12.5. Strutture formali, contrazione semantica, interpretazione

La ricchezza dei riferimenti teorici e strutturali richiamati dall’analisi intralinguistica, di cui qui ho dato una breve esemplificazione, in genere fa riflettere sull’aspetto più importante del testo poetico, la sua individualità strutturale e formale, che non è riducibile né a un unico tipo di processo, né a un modello descrivibile compiutamente, se non sotto alcune ipotesi utili a tipi di studi particolari. La varietà dei fenomeni appare attribuibile, dal punto di vista intralinguistico, alla natura del processo combinatorio, che investe non solo le forme strutturali del significante, ma le procedure mentali: è difficile poter dire se quel testo, così come si manifesta all’analisi, è l’unica forma strutturalmente adeguata al suo contenuto, ma nei testi poetici riconosciuti come importanti si avverte che l’equilibrio tocca una sorta di unicità. Essa non appartiene, però, come ho spesso sottilineato, alla struttura riconoscibile del testo, di cui pure questo tipo di analisi sottolinea ragioni formali e semantiche, ma alla organizzazione mentale che ne individua l’unicità nell’intero sistema delle relazioni rintracciabili.

Questa particolare ricchezza trascende la semplice analisi del testo e la rete della contestualizzazione, culturale e teorica, cui esso attrae, suggerendo alcuni motivi importanti della riconosciuta difficoltà ad interpretare, in genere, il messaggio poetico.

La grande contrazione semantica che dà origine, secondo questa teoria, a un testo poetico, non consente infatti di localizzarne il senso in un segmento ben individuato dell’enunciato. Il suo significato si ricostruisce attraverso una riverberazione continua del sistema lessicale e intralessicale, che ripristina nuovamente l’intreccio di relazioni originarie. La rete semantica definisce tendenzialmente questo stato associativo come un unico concetto, sovradeterminato dal testo, di cui l’intera lunghezza dell’enunciato è il significante.

Questo processo non si riproduce interamente nel destinatario del testo: l’abitudine a localizzare il senso nella successione delle parole, e in sequenze brevi (quali si hanno nei versi), destruttura necessariamente questo tipo di rete unitaria, producendo reti semantiche più libere; proprio esse danno luogo alle molte possibilità d’interpretazione del testo. La dispersione semantica della rete è però, in questo modello, solo in parte libera, perché contenuta comunque dai suoi vincoli formali assai rigidi. Secondo questa teoria il sistema formale è più importante del contenuto semantico effettivamente colto nel messaggio poetico. Le reti semantiche potenziali vengono ricomposte, in modo più o meno parziale, dalle stesse legge formali che le hanno prodotte all’origine: ma queste operano anche, per il destinatario, nel suo sistema semantico personale, soggettivo, in cui le regole formali del testo riorganizzano, inconsapevolmente, reti semantiche più idiosincratiche e affetti attratti nella partecipazione di nuclei strutturali mobilitati in profondità dalle tensioni del testo.

In questo modo il sistema formale può diventare, nella soggettività, generatore esso stesso di una rete poetica che risuona nelle affinità o nelle differenze personali, ciascuna portatrice di una forza specifica che l’individuo può attribuire al testo. La ricchezza straordinaria delle strutture formali costituisce perciò il riferimento intuitivo della selezione con cui il singolo predispone la sua esperienza all’accoglimento della tensione semantica: questa ampiezza satura l’adattamento personale possibile alle forze costrittive formali, consentendo una reale libertà nella fruizione del testo.

Secondo questo modello, le funzioni estetiche riguardano una generalità di tipi, di cui quello poetico intralinguistico, esplorato e descritto qui in dettaglio, è solo il più complesso e esemplificativo. Volendo rappresentare schematicamente la diversità tra l’uso ordinario e l’uso estetico del segno nell’enunciato, potremmo raffigurarla nell’entità del legami semantici non grammaticali che la rete acustica e grafemica è in grado di mantenere senza dispersione, e che fa da fonte generativa del processo di fruizione e interiorizzazione della densità semantica del segno:

Le funzioni estetiche concernono pertanto, nel linguaggio letterario, l’intera varietà di relazioni non grammaticali interne all’enunciato (allitterazioni, assonanze, ritmi prosodici): le loro strutture formali possono essere supposte più libere, o addirittura indeterminate, in confronto a quelle esplorate in questo lavoro, ma appaiono doversi riferire comunque a una capacità, innata linguisticamente, di porre relazioni nella materialità del segno, utilizzabili come supporto semantico di tutti i segni caratterizzabili come estetici, e capaci di indurre ampie riflessività semantiche nel destinatario del messaggio.

Tutti i processi di segnalazione sovrasegmentaria - non solo intralinguistici - appaiono quindi in grado, secondo queste osservazioni, di indurre relazioni di densità semantica affidate alla natura materiale dell’enunciato. In questi casi il segno estetico evidenzia al massimo l’originaria concretezza nascosta nell’astrazione del processo semiotico, e l’equilibrio cui la mente può tendere nel ricostruire nell’enunciato la simmetria strutturale tra associabilità dei significati e dei significanti.

12.6. La stabilità della forma mentale del testo poetico

Lo studio di tutti questi aspetti, quando appare soddisfacente, risponde perciò al quesito di come funzioni, all’atto pratico, il testo poetico: esso allora conferma, pur con un criterio di studio particolare, le indicazioni delle scuole funzionaliste, ma anche le molte osservazioni di carattere più generale sull’importanza della struttura fonetico-articolatoria nei processi di significazione. La soluzione qui data è dunque particolare, anche se in un quadro di fenomeni che, per la loro possibilità di descrizione, incoraggia a esplorarne tipici aspetti strutturali: l’intreccio il più possibile unitario della cooperazione intralinguistica e grammaticale.

Diversi sono, invece, gli aspetti teorici che vertono sul perché le funzioni intralinguistiche possano avere tanta importanza nel testo poetico; e perché esista un testo che è possibile definire come poetico. Come il lettore ricorderà, ho proposto nel capitolo V una teoria il più possibile unitaria per dare una risposta a questo tipo di domanda. In essa ho però distinto due diversi processi strutturali, che sottintendono una gerarchia nei loro livelli esplicativi e quindi nella chiarificazione che essi possono dare al fenomeno globale del testo poetico.

1. La prima di esse è di carattere generale e riguarda la spiegazione che ho ritenuto più semplice delle grandi forze generative inconsce dei fenomeni intralinguistici, e cioè la loro origine dalla instabilità strutturale del segno ordinario nel sistema nervoso: l’ampiezza delle funzioni che normalmente organizzano il segno comportano anche l’autonomia di molte attività neurologiche del significante durante l’ideazione, le cui nuove forme di cooperazione stabile producono i fenomeni intralinguistici nell’enunciato. L’utilità di poter riferire a eventi neurologici l’intenzionalità inconscia ha in questo libro soprattutto il significato, come più volte detto, di un criterio di economia: non si hanno, da questo particolare punto di vista teorico, due diversi tipi di segno, ma solo due diversi aspetti strutturali del suo manifestarsi nel linguaggio, entrambi riferibili al problema della sua instabilità, che nei fenomeni intralinguistici ha una particolare soluzione formale.

La domanda sul perché i fenomeni intralinguistici siano così rilevanti in poesia ha perciò come spiegazione preliminare la semplificazione che il processo generativo mentale può attuare durante la ricerca di legami semantici particolarmente coerenti, come si può supporre accada nell’ideazione del testo poetico. Coerenza testuale non grammaticale e densità semantica intralinguistica rinviano dunque alla coerenza del piano generativo inconscio, che è più facilmente comprensibile se si suppongono ampie autonomie funzionali già di norma cooperanti con quelle conscie. Negli scopi del libro questo aspetto della teoria ha quindi soprattutto come intento la possibile chiarificazione della intenzionalità generativa inconscia: essa, pur essendo ricostruibile con la sola descrizione dei fenomeni nel testo, acquista un significato più semplice se si può comprendere come il processo mentale ideativo interagisca con le iscrizioni materiali dei significanti. Questo punto di vista, neurologico, spiega anche perché il testo possa essere, come si intuisce all’analisi, una trascrizione posticipata di molti microeventi generativi, la cui gerarchizzazione preorganizza il testo. La pari complessità dei fenomeni rilevabili in prosa suggerisce, inoltre, processi simili di più ampio interesse. Questi sono i motivi per cui, nelle pagine seguenti, mi è apparso utile introdurre altre osservazioni strutturali sulla natura neurologica del segno, che possono dare un quadro più generale della natura di questi fenomeni funzionali.

2. La seconda spiegazione della natura del testo poetico non riguarda solo il significato neurologico dei fenomeni intralinguistici, ma il tipo di processo globale che si può supporre porti ad adottare come enunciato tipico una particolare forma frammentata di testo, la versificazione. Nella teoria ho proposto la cooperazione di diversi fenomeni intralinguistici latenti, per soli motivi casuali, nel testo ordinario:

-La presenza di densità anagrammatiche in ogni inizio e fine di testo.

-Processi di linee di flusso convergenti verso la fine testo.

-Il parallelismo verticale anagrammatico avente funzione ritmica.

Secondo questo modello, il testo poetico è, nella sua struttura globale, una funzione latente del testo ordinario: la tensione mentale generativa che può mutare il segno in intralinguistico ha in questo sistema di fenomeni combinatori il dispositivo naturale pronto ad accoglierne e a amplificarne le proprietà semantiche e formali. Quando l’enunciato decade dal suo ordine lineare, la frammentazione induce automaticamente l’instabilità del segno ordinario, comportando la maggior stabilità dei segni intralinguistici: questi allora diventano predominanti, assumendo le proprietà del segno ordinario. Esse riguardano, come si è visto, tutti gli aspetti formali-percettivi del testo, di cui evidenziano le caratteristiche iconiche e indicali, oltre che quelle grammaticali. Le proprietà descritte in questo capitolo nei paragrafi 12.4 e 12.5 sono appunto funzioni che trapassano dal segno ordinario a quello intralinguistico nel mutare dei processi che ora cooperano alla nuova forma del testo. Regolatore dell’intera trasformazione è il sistema ritmico, il cui ordine percettivo-acustico rende coeso il piano intralinguistico.

Come ho precisato nel capitolo V, questa teoria ha anch’essa una giustificazione di tipo economico: essa suppone non due processi generativi diversi per il testo ordinario e poetico, ma la latenza di quello poetico nel testo ordinario. Questa pre-struttura, di origine combinatoria, riduce la complessità del processo generativo, dovendo il poeta solo adeguare ad essa la particolare tensione ideativa che vuole riversare nel testo. In un certo senso questo modello riassume l’intera teoria intralinguistica, cui dà un particolare significato rispetto alla natura misteriosa della forma testuale poetica. Non vi è una spiegazione di tipo formale, secondo questa teoria, all’ordinamento non lineare in poesia, ma piuttosto una giustificazione di tipo mentale, riferibile alla diversa stabilità che alcuni processi semantici possono raggiungere nelle strutture nervose quando essi appartengono anche a uno spazio percettivo strutturato visivamente e acusticamente. La mente linguistica, con tutta evidenza, è predisposta a questo tipo di stabilità, che ha la sua concretizzazione nel dispositivo del testo poetico, e può ripristinarlo come una forma naturale, tipica.

La cooperazione dei due diversi processi strutturali indicati in questi due punti - le funzioni neurologiche intralinguistiche del segno ordinario e quelle del testo poetico latenti in ogni testo - fornisce il modello di spiegazione più generale del perché il testo poetico abbia questa sua singolare struttura. Questo modello non è più descrittivo, come quello che ha per scopo la raccolta del materiale intralinguistico, e non potrebbe avere una spiegazione senza la teoria neurologica del segno: è, quindi, anche una teoria della mente linguistica, che ha una sua giustificazione solo nella possibile unità restituita a fenomeni strutturali diversi.

12.7. I processi complessi dei fenomeni intralinguistici

La trattazione della teoria intralinguistica potrebbe arrestarsi su queste ultime osservazioni, che riassumono da un punto di vista unitario l’origine e l’organizzazione del testo poetico. Ma l’esposizione sarebbe per alcuni aspetti incompleta, perché mancherebbe una riflessione su alcuni fenomeni intralinguistici di interesse particolare.

Essi sono inquadrabili in due tipi: il primo copre un’ampia area di stati mentali interpretabili come onirici, il secondo quella, ancora provvisoria, dei fenomeni generativi del testo in prosa. In un certo senso essi indicano una tensione complementare, gli uni mostrando la massima indipendenza del segno intralinguistico dall’organizzazione semantica cosciente, grammaticale, gli altri evidenziandone comunque la massima cooperazione con l’organizzione grammaticale e sintattica. Nel primo tipo compaiono fenomeni equivalenti a veri stati allucinatori, o isterici (ad esempio nel «Mar delle blatte») o interpretabili come fantasie sessuali (in Foscolo, Ungaretti, e ancora in Landolfi); essi, peraltro, spiegano anche lo sviluppo narrativo, indicando come possano avere una funzione direttamente generativa del testo. L’importanza di parole come «nato-nata» è ad esempio emblematica di questo diverso ruolo funzionale, che può essere sia affettivo-allucinatorio, sia narrativo: in Leopardi o Calvino questa concretezza ha addirittura come sostegno l’astrazione del controllo logico-matematico.

Lo stato onirico che può preorganizzare il testo è stato assimilato, per quanto detto nel capitolo VII, al sogno: le funzioni neurologiche del segno ordinario vengono mantenute nei tipici fenomeni intralinguistici, ma la mancanza di percezione cosciente di questi processi può renderle particolarmente attive nella mente, in cui possono presentificare stati della memoria neurologica, una volta realistici; in questo spazio virtuale che si accompagna alla organizzazione semantica ordinaria si svolgono perciò importanti riorganizzazioni ideative, la cui compiutezza corrisponde ad alcuni soddisfacimenti tipici del sogno, ma riferibili anche ad aspetti diversi, di coerenza semantica. Questo tipo di problemi, come ho accennato in precedenza, introduce all’aspetto potenzialmente psicotico del linguaggio, di cui il segno intralinguistico può essere interpretato come un tramite alla comprensione di un’ampia classe di disturbi mentali. Altri fenomeni, infine, indicano nuclei somato-sensoriali o accessi a stati ideativi non verbali, ma visuali-ideografici - anch’essi comunque con valenza narrativa e generativa -, che segnalano altri processi rappresentabili intralinguisticamente alla mente, o parzialmente assenti dal suo controllo.

Per spiegare la maggiore complessità di questi fenomeni avanzerò ora alcune ipotesi particolari sul segno linguistico, che hanno ancora come scopo il possibile chiarimento della sua instabilità strutturale.

12.8. Instabilità del segno ed evoluzione

L’ampia funzionalità del segno intralinguistico potrebbe trovare una spiegazione più precisa dei suoi rapporti con il segno ordinario, adottando un punto di vista più generale di quello fin qui esposto, di tipo genetico-evolutivo: esso riguarda la possibilità di interpretare le proprietà di entrambi i tipi di segni, e quindi la loro cooperazione, come effetti di una instabilità più profonda del sistema nervoso, strettamente connessa all’origine del linguaggio nella specie umana; l’instabilità, cioè, non sarebbe specifica dei segni, ma deriverebbe dalle stesse caratteristiche dello sviluppo che porta il sistema nervoso animale ad acquisire proprietà linguistiche. Secondo questa concezione l’instabilità del segno non è una disfunzione della stabilità, ma più esattamente una proprietà inerente ad alcuni processi evolutivi che a causa di una crescente instabilità portano alla modificazione del cervello animale in umano, rendendolo idoneo all’acquisi-zione del linguaggio.

Presento questa teorizzazione in una forma semplificata rispetto all’entità dei processi genetico-evolutivi che, in un quadro più ampio, possono giustificarne altre implicazioni nelle funzioni del linguaggio, e a cui rinvio in lavori successivi.

Due sono i principali motivi strutturali che possono spiegare la nascita del segno linguistico da una crescente instabilità del cervello lungo l’evoluzione: uno di questi è la limitata quantità d’informazione del codice genetico umano, aumentata molto poco rispetto alla grande sviluppo cerebrale, l’altro il progressivo rallentamento nella maturazione del sistema nervoso, che caratterizza particolarmente la specie umana. Il primo è comunemente ritenuto responsabile dell’indeterminatezza e ridondanza delle nuove reti nervose, che consentono una loro maggiore plasticità; l’altro è ritenuto responsabile di una generale posticipazione dello sviluppo delle reti, ciò che consente, prima del loro completarsi, di modificarne le funzioni con l’apprendimento. Plasticità delle reti e loro lento sviluppo caratterizzano perciò il cervello umano, che nella sua dotazione genetica non è sostanzialmente dissimile da quello del cervello animale, di cui eredita l’intera organizzazione strutturale delle funzioni cerebrali. Dei due processi, quello di rallentamento nello sviluppo globale è il più semplice per spiegare come possa avere origine il segno linguistico dalla crescente instabilità delle strutture nervose.

12.9. L’origine del segno dalla immaturità cerebrale

Riconsideriamo, infatti, la descrizione cerebrale del segno fatta nel capitolo V. Il significante dipende da proprietà acustiche, visive e articolatorie, codificabili in alcune zone corticali; il significato da proprietà semiche e logico-spaziali, distribuite in modo meno definito in aree corticali e sottocorticali. Il significato vi appare come un rete di costituenti semici elementari: ho introdotto questa descrizione, non usuale come l’altra, per la convenienza a trattare, in questa teoria, alcune funzioni semantiche come eventi neurologici concreti, di cui ho dato alcuni esempi nel cap.XI. Il segno, in questo modello, è un sistema di strutture interconnesse da vie nervose, i cui segnali vi inducono la cooperazione di diverse forme combinatorie: le codificazioni del significante fanno corrispondere a una parola l’attivarsi di reti aventi funzione semica, e viceversa le configurazioni di attività semiche fanno corrispondere a un significato una parola. I segni equivalgono perciò a segnali stabili nelle vie di conduzione, fissati nell’apprendimento linguistico. Spiego ora perché l’origine di questa potenzialità combinatoria possa essere, appunto, riferita al rallentamento della maturazione nervosa nel cervello della specie umana.

Le reti che possono assumere per noi la funzione di segni, deriverebbero semplicemente dall’indeterminazione e ridondanza di alcune delle precedenti strutture cerebrali animali, che l’evoluzione lascia gradualmente libere:

Le aree che oggi interpretiamo come linguistiche non sarebbero dunque che le trasformazioni dei nuclei nervosi che una volta accoglievano, insieme ad altri nuclei, corticali e sottocorticali, reti associative più determinate, ricche di connessioni nell’intero sistema percettivo e sensoriale. Lungo l’evoluzione il rallentamento nello sviluppo rende fluide molte di queste vie nervose, che la ridondanza cerebrale mette a disposizione dei mutamenti genetici e dell’interazione con l’ambiente.

Questo processo diventa massimo nell’uomo e riguarda il drastico cambiamento, e il conseguente vantaggio evolutivo, che l’ampia ridondanza e la grande immaturità nervosa comportano: la rete cerebrale, ricca di potenziali connessioni, è plastica e instabile, ma può appunto venire ancora irrigidita dalle nuove reti dei segni, che modificano e ampliano quelle precedenti, con un tipo di mutazione non più genetico, ma culturale. I segni diventano reti suppletive della indeterminazione originaria, in cui inducono una stabilità sostitutiva di quella filogeneticamente più antica; la stabilità, però, si forma nella dipendenza di un’ampia instabilità, di cui può conservare molte tracce strutturali. Queste, perciò, permangono nell’organizzazione profonda dei segni del linguaggio.

Questa concettualizzazione, che qui ho presentato nella forma più semplice, permette le ultime riflessioni utili alla comprensione dei fenomeni intralinguistici e dei loro rapporti con i segni ordinari.

12.10. La tensione rappresentativa allucinatoria e funzionale del segno

1. La prima di esse riguarda, in generale, la natura funzionale della struttura rappresentativa del segno, già presentata nel capitolo V. Per come si forma nell’apprendimento linguistico, il segno è una ricodificazione di attività nervose che, nella loro origine, non sono linguistiche, ma inerenti alle proprietà degli oggetti e delle loro relazioni, analizzabili e memorizzabili in varie parti del cervello. Il segno linguistico, che ne è una ricodificazione, opera perciò in una sorta di convivenza funzionale con questi stati in origine rappresentativi: oggetti e segni sono isomorfi in alcuni dei legami che possono formarsi nelle loro codificazioni. Ciò spiega la possibilità dei segni di descrivere oggetti e relazioni tra gli oggetti: ma questa concettualizzazione sottintende soprattutto che alcune proprietà delle reti nervose che codificano gli oggetti, rese disponibili dal liberarsi delle caratteristiche rigide delle reti antiche, entrano a far parte a tutti gli effetti del segno. Il segno è, potenzialmente, una parte funzionale dell’oggetto o del sistema delle relazioni che ne dipendono, e che la memoria nervosa conserva disponibile nelle codificazioni, ma è anche, contemporaneamente, una parte funzionale della stessa rete nervosa, le cui caratteristiche entrano a far parte del segno.

2. Per questi motivi i segni concretizzano uno spazio fenomenico che non sarebbe corretto definire solo rappresentativo. Il testo poetico, e con esso i fenomeni intralinguistici, rivelerebbero più esattamente come la mente disponga ancora dello spazio combinatorio originario per completare quegli aspetti funzionali dei segni che si dimostrano insufficienti allo scopo rappresentativo a causa delle caratteristiche stesse delle codificazioni nella rete nervosa. Il testo poetico nasce, da questo punto di vista, per l’inadeguatezza dei segni alla restituzione completa della tensione rappresentativa: perciò il poeta è costretto a inventare nuove categorie di segni, di cui quelli intralinguistici sono i più evidenti, e a servirsene, a loro volta, in forme combinatorie. Essi esplorano la grande instabilità che permane nelle codificazioni tra i segni e gli oggetti: i segni intralinguistici, che sono particolari stati di cooperazione dei segni ordinari, sono equivalenti a reti innovative del rapporto segno-oggetto, che hanno come scopo la riorganizzazione delle loro proprietà all’origine realistiche e funzionali.

L’aspetto allucinatorio del testo non descrive che in parte la complessità del processo: questo, più propriamente, è volto alla sostituzione di uno spazio rappresentativo con uno realistico, ma ricostruito mediante alcune proprietà delle reti nervose. La forza del testo è dunque più di uno stato onirico: essa è, nella sua origine mentale, una realtà assegnabile a forme oggettuali inesistenti nello spazio fenomenico. Questo aspetto riguarda tipicamente la poesia, ma si estende a coprire tutti gli enunciati narrativi.

3. Lo spazio fenomenico del segno è, in questa concettualizzazione, denso di proprietà semantiche, inerenti alla natura combinatoria della codificazione nervosa. Esso tende ad essere coesteso semanticamente, riguardando stati semici appartenenti necessariamente a più segni, a cui la codificazione rinvia continuamente: questo aspetto strutturale può essere interpretato come l’organizzatore più profondo del passaggio dalla instabilità alla stabilità, che rende potenzialmente innovativa la lingua del testo. I segni sono solo le tracce della presenza di uno stato mentale combinatorio che non è accoglibile interamente da alcuna delle codificazioni già raggiunte dalla mente. Solo le fonti semantiche originarie hanno allora statuto di realtà, e ciò fonda la libertà tramite cui il poeta può riorganizzare, ancora combinatoriamente, i segni della lingua.

Quasi tutti i fenomeni intralinguistici più problematici acquistano un più realistico significato da questo punto di vista generativo. L’influenza semantica di parole come «nato-nate» non avrebbe una spiegazione adeguata senza riferirla a una forza intenzionale all’origine non segnica, ma mentale, che esplora una realtà affettiva antecedente qualsiasi cooperazione semantica. L’organizzazione invertita dei nuclei generativi di «Pianto Antico» o de «Il mar delle blatte» è meglio definibile rispetto a questo spazio combinatorio destrutturabile da forze primarie non linguistiche, che a tensioni generative solo semantiche: nel racconto di Landolfi la struttura del nucleo iniziale segnala fin dove, secondo questo modello teorico, il segno intralinguistico può essere interpretato come una traccia di stati funzionali non linguistici.

Le proprietà singolari di questi processi combinatori, soprattutto quando attingono ad aspetti strutturali del segno di origine pre-semiotica, suggeriscono l’utilità di considerare i fenomeni intralinguistici come tracce reali del salto evolutivo dal cervello animale al cervello umano. Si può riflettere che la fisicità con cui l’organizzazione del segno ripristina le fonti originarie della codificazione spiega la concretezza con cui la mente infantile tratta dapprima il segno, identificato con l’oggetto: questa concretizzazione, che riguarda l’aspetto realistico con cui la mente poetica o letteraria può trattare il segno, concerne anche l’uso del segno nelle malattie mentali, come la psicosi o la schizofrenia, come accennerò tra poco.

4. Più in generale, questo modello indica come le radici concrete del segno siano latenti anche quando esso diviene astratto e regolato grammaticalmente. Il suo sviluppo da reti nervose immature ha aspetti che contraddicono la libertà combinatoria, e che appaiono importanti per comprendere alcuni limiti naturali all’astrazione: la rete corticale, al crescere della competenza linguistica che differenzia i segni, contemporaneamente matura anche lungo le linee filogenetiche originarie. Il segno, in questo modello, per quanto determinato da un apprendimento specifico, che fissa le attività semantiche del suo significato, si modifica anche per la maturazione progressiva, autonoma, del sistema nervoso. Il segno è uno stato funzionale che convive non solo con gli stati di altri segni, ma si confronta anche con lo sviluppo naturale della rete nervosa, che si accresce lungo le direzioni dell’antica stabilità filogenetica.

Il segno perciò solo in apparenza è dipendente unicamente dal contesto culturale. Le tracce di una origine filogenetica si manifestano in molti fenomeni intralinguistici rivelatori dell’organizzazione pre-semiotica, come le influenze di campi semici elementari, quali la luce, il calore, il tatto, o di nuclei sessuali, in stati della percezione o identificatori. Alcuni fenomeni, per il permanere di ampie strutture arcaiche, sembrano attingere naturalmente a uno statuto di tipo simbolico: in quattro testi, di Carducci, Montale, Calvino, Landolfi, il sole è, nel suo arco diurno, il referente linguistico inconscio del rapporto vita-morte, secondo un simbolismo ricorrente nella cultura. Questo esempio di struttura simbolica ridondante appare, plausibilmente, l’eredità di una memoria ambientale determinante per la sopravvivenza animale, che la mente umana utilizza inconsapevolmente nel linguaggio: i segni se ne servono in questo caso come forma innata generativa, ricombinabile in più testi, i quali non sono rispetto ad essa interamente liberi. In questo contrasto si situa il limite alla significazione astratta del segno, che i fenomeni intralinguistici permettono talvolta di evidenziare, suggerendone una chiara origine nell’evoluzione del sistema nervoso.

12.11. Matrice combinatoria e proprietà oggettuali e mentali

A conclusione di questa ultime riflessioni teoriche, lo schema del segno del paragrafo 5.2 potrebbe meglio essere definito come una rete combinatoria non omogenea, libera nei livelli corticali più recenti, assai meno in quelli sottocorticali, antichi evolutivamente. La struttura componenziale del significato è raffigurabile come una griglia di unità semantiche associabili da vie nervose, i cui stati possono divenire, nel progressivo differenziarsi dei segni, gradualmente binari:

La rete semica corrispondente a una parola è ripristinata dalla corteccia tramite segnali che giungono sulle reti elementari della matrice combinatoria semantica. Non tutte le reti elementari di un segno sono necessariamente riattivate dai segnali corticali, essendo anche connesse tra loro da vie nervose già determinate evolutivamente, che contribuiscono all’organizzazione unitaria della rete semica. Le linee tratteggiate indicano altre vie possibili che si propagano dalle reti elementari, costituendo l’organizzazione semantica fluida di un segno. Ogni rete elementare è un centro associativo potenziale della matrice semantica, nei vari livelli corticali e sottocorticali.

Questa descrizione, pur nella sua approssimazione, appare sufficientemente rappresentativa della natura instabile del segno: esso equivarrebbe appunto, secondo la concezione di Saussure, solo a un debole ritaglio nella «massa amorfa del pensiero», ritradotto in questo modello nella momentanea fissità degli stati possibili di una astratta matrice; ma riprodurrebbe anche, per la sua natura associativa, la ricorsività semiotica messa in evidenza da Peirce. Di questa struttura possiamo seguire ancora alcuni significati semplici, utili alla comprensione dei fenomeni studiati.

La matrice combinatoria è immersa nella ridondanza della rete cerebrale, di cui costituisce una sorta di referenza globale di tutti gli stati in essa differenziabili. Poiché le reti che la costituiscono sono depositarie di informazioni e programmi, i segni sono, all’atto pratico, organizzazioni di molti sottosistemi non omogenei, situati in parti del cervello diversamente specializzate. Una parte funzionale di tutti i segni è, in questo modello, situata nella zona nervosa che detiene il controllo delle programmazioni più complesse, i lobi anteriori; altre parti si radicano nelle memorie rappresentative degli oggetti.

Volendo utilizzare una distinzione forse utile, il segno è una unità suddivisibile in due principali parti della matrice: una fa capo ai programmi ideativi, l’altra all’isomorfismo funzionale dell’oggetto:

Faccio riflettere che solo la seconda parte della matrice, in questo modello, è semiotizzabile: la prima è solo l’organizzatore del dinamismo del segno nella semiotizzazione già raggiunta. Usualmente, perciò, definiamo questa prima parte come mente linguistica e la seconda come struttura componenziale semica dei segni.

Benché questa distinzione sia vantaggiosa, essa non si adatta bene a questo modello, che ne mostra la forte e importante interdipendenza: la mente linguistica e il segno formano una tendenziale unità, dovuta alla struttura originaria della loro cooperazione; il segno è, nella concettualizzazione di questa matrice, una estensione di funzioni della mente linguistica, non separabile da essa, e per questo motivo dotato di larghe autonomie generative. Mente linguistica e segno, inoltre, non rappresentano l’intera funzionalità della mente umana, ma solo quella che si forma nel cervello quando l’apprendimento della lingua ne determina l’emergere graduale dalla combinatoria disponibile. Il processo di apprendimento differenzia, nello sviluppo umano, quattro parti di questa matrice, tutte tra loro interconnesse, che potrebbero così essere rappresentate:

La mente linguistica è embricata nelle funzioni della mente, pur distinguendosi da essa; ugualmente il segno è embricato nelle funzioni dell’oggetto, pur essendone una ricodificazione, e una parte strutturalmente diversa. In questa duplice diffenziazione l’originario rapporto mente-oggetto viene perciò sostituito nell’evoluzione dal rapporto tra mente linguistica e segno.

Alcuni processi di riorganizzazione semica, o del flusso del fascio semantico, ricostruibili in alcuni testi acquistano un chiaro significato genetico-evolutivo solo nel movimento combinatorio che la mente linguistica può operare nei segni di questa matrice: linearizzandoli nel tempo, modifica il campo semantico secondo la ricostruzione adeguata a un nuovo ordine. La mente non interviene più, per raggiungere il suo scopo, sugli oggetti reali: una sua rappresentanza funzionale, la mente linguistica modifica, ora, stati semantici.

Il suo oggetto è, come possiamo vedere, direttamente il campo semiotico ricombinabile, e cioè il fascio semantico dei segnali che percorrono la matrice: importante strumento della ricombinazione è, oltre il segno ordinario, il segno intralinguistico.

12.12. Stati mentali, segni linguistici e segni intralinguistici

Produrre un testo è dunque, per la mente umana, una riesplorazione molto profonda di stati inerenti alle proprietà dei segni, solo in parte riferibili a una reale esperienza d’apprendimento. Il segno linguistico appare potenzialmente ricco di per se stesso, potendo attingere a radici del significato connaturate geneticamente alla stessa mente: le sue proprietà semiotiche sono sia culturali, sia innate, in un difficile equilibrio, mutevole per ciascun individuo e qualsiasi contesto storico. La libertà associativa nella matrice non è omogenea ed equivale a forme diverse di stabilità che i segni possono indurvi nella rete di connessioni: ciò comporta tipi diversi di riflessione logica o semiotica che la mente può attuare con la sua parte linguistica.

Poiché il segno è una struttura solo in parte definita, essendo molte sue funzioni instabili e implicate in legami associativi con altri segni, le regole grammaticali e sintattiche soddisfano alla necessità, in questo modello, di adeguare continuamente queste funzioni ai processi ideativi. Esse operano una «scansione» delle proprietà semiotiche della matrice, imponendo vincoli graduali alla fluidità semantica, con controlli di diversa ampiezza (relazioni sintagmatiche brevi, frasi, periodi). Nel grande processo di coordinamento si situano le funzioni intralinguistiche di maggior complessità viste in poesia e in prosa.

Esse rendono palesi le relazioni che, poi vincolate con più accuratezza nel campo grammaticale, si formano incessantemente nelle transizioni delle strutture profonde dei segni: raggruppamenti di attività semiche comuni a più segni equivalgono, per la mente, a identità strutturali momentaneamente stabili, utilizzabili per fissare, come tracce di una memoria ausiliaria, percorrenze di senso importanti, poi riorganizzabili grammaticalmente. In poesia questo tipo di flusso identificatorio è la principale tensione generativa, ma in prosa esso può, evidentemente, sussistere come importante modulazione della significazione.

L’identità tra alcune funzioni dei segni può venire rappresentata direttamente nelle compenetrazioni tra significanti; la relazione della deissi e dell’anafora può venire affidata al sistema associativo intralinguistico (ad esempio come per la relazione «p-OMERI-ggio → AVAMBRACCIO»); rilessicalizzazioni del tipo «MESTI-CIECO → CIECO-GIOIA», e altre più complesse, indicano trasformazioni semiche ottenute dall’insieme delle funzioni del segno, raggruppabili in sottoinsiemi, e riproiettabili in altri stati linguistici stabili. La maggior utilizzazione di queste proprietà associative della matrice si ha, in poesia, con gli anagrammi, che mantengono tutti i tipi di identità funzionale delle parti del segno tramite il dispositivo combinatorio del significante.

I possibili raggruppamenti significato-significante equivalgono alle forme strutturali indicate nel riquadro del paragrafo 12.4, di cui la più evidente, come spesso sottolineato, è la rima, e la più astratta è quella ordinale permutativa. Ma il più semplice raggruppamento strutturale appare l’inversione di ampi sistemi di semi, così facilmente rintracciabile nel processo generativo di molti testi poetici: i segnali che percorrono la matrice controllano la loro binarietà, e si può perciò supporre che, nella instabilità del processo ideativo, un unico segnale possa rapidamente unificare la fluttuazione dei suoi stati binari, in una generale partizione preliminare del senso da cui poi riorganizzare altri processi di raggruppamento e riorganizzazione semica.

12.13. La soglia semiotica. Poesia e sogno

Credo che queste considerazioni possano mettere in rilievo l’utilità di concettualizzare i fenomeni intralinguistici per mezzo di una matrice neurologica del segno. L’attenzione alle sue proprietà combinatorie indirizza infatti alla comprensione di aspetti anche generali del linguaggio, che vertono su nascoste continuità o trasformazioni semantiche di potenziale interesse per la linguistica testuale. I processi che ho mostrato, soprattutto, attraggono verso aspetti semantici del pensiero verbale e pre-verbale che possono essere interpretati in un riferimento concreto, spesso utile a rintracciarne altre forme strutturali. Tutti questi fenomeni suggeriscono perciò quanto sia ampio il repertorio di codificazioni di cui la mente può servirsi inconsciamente.

Alcuni fenomeni, in particolare, vertono su aspetti strutturali dell’Inconscio di interesse psicoanalitico. Ne accenno brevemente riservando a lavori successivi la trattazione completa dello sviluppo della mente che, rispetto a questa concezione evolutiva del segno, è più strettamente riferibile a problemi inerenti alla teoria psicoanalitica.

1. Come accennato in precedenza, alcuni fenomeni intralinguistici presentano analogie con processi di tipo isterico o psicotico. La loro importanza consiste dunque nell’evidenziare, nella lingua, stati mentali interpretabili contemporaneamente come astratti e concreti: ciò segnala, con molta semplicità, come sia esigua la distanza, nell’attività del pensiero linguistico, tra funzioni percettivo-sensoriali di tipo neurologico o loro ricategorizzazioni in aspetti più astratti, mentali.

Gli elementi del segno riferibili alle radici neurologiche del corpo indicano pertanto la più presumibile area mentale inconscia, potenzialmente di tipo isterico, in cui può permanere confinata, in attività non più semantiche, una rappresentanza funzionale del corpo. La destrutturazione del significante appare, invece, la fonte più semplice della significazione inconscia di tipo psicotico o schizofrenico, che la mente può rendere definitivamente agrammaticale, a difesa di processi semantici disgregati. Queste due aree-limite segnalate dai fenomeni intralinguistici sottintendono perciò gli accessi inconsci che la mente, embricata con la mente linguistica e intralinguistica, può disporre comunemente nella semiotizzazione, ma che possono anche venire sottratti definitivamente alla competenza linguistica.

I fenomeni intralinguistici, dunque, rendono attenti sia alla somiglianza, sia alla differenza tra significazione ordinaria e patologica, e ai loro riflessi nel linguaggio: essi suggeriscono come la prima comprenda le funzioni della seconda, che può essere ricondotta in livelli più astratti, mentre la seconda ne concretizza solo gli accessi elementari. I processi intralinguistici non sono però confrontabili interamente con quelli sintomatici, ma di essi mostrano il tipo più plausibile di struttura che l’organizzazione della lingua può rendere disponibile al disordine psichico.

2. Soprattutto, questi fenomeni indicano alcune proprietà della soglia semiotica della lingua che appaiono necessariamente di competenza sia della linguistica sia della psicoanalisi: i segni hanno infatti radici in strutture innate, pre-semiotiche, di origine percettivo-sensoriale e (secondo una terminologia classica) pulsionale. Tramite la soglia semiotica, pertanto, cooperano le funzioni generali della mente con quelle divenute di pertinenza della mente linguistica: la mente ha bisogno della sua rappresentanza linguistica per esplorarsi, ma la mente linguistica ha bisogno della globalità della mente per attingere alla soglia semiotica.

In questa area di transizione possiamo perciò situare gli aspetti dell’inconscio psicoanalitico rintracciabili comunemente nella lingua: essi riguardano sia le funzioni superficiali di questa soglia che già hanno una risonanza strutturale segnica, sia quelle più profonde, presemiotiche, che possono avere grandi riflessi nelle attività della mente pur senza accesso alla mente linguistica. Soprattutto per questo secondo aspetto la teoria intralinguistica può dare un contributo alla conoscenza delle reali forze inconsce che organizzano le radici della soglia semiotica nel pensiero linguistico e non linguistico, permettendo di distinguerne gli aspetti tipicamente psiconalitici.

Nell’analisi letteraria, ad esempio, la significatività simbolica di queste forze non appare riconducibile ai soli riflessi della tensione pre-semiotica pulsionale. Le soluzioni rintracciate nei testi qui analizzati riguardano, in genere, la cooperazione di più processi: un’ampia concertazione costituisce perciò la semiotizzazione con cui la mente linguistica risolve il problema dell’accesso alla soglia pre-semiotica, e della sua simbolizzazione onirica e allucinatoria.

3. Queste riflessioni permettono perciò di definire meglio l’effettiva area di competenza di alcune teorie psicoanalitiche interessate ai problemi linguistici e della stessa teoria intralinguistica. La teoria intralinguistica è, innanzitutto, un’estensione dei lavori di Freud sulla intenzionalità inconscia di fenomeni come i lapsus, i giochi verbali, le condensazioni lessicali tipiche dei sogni: per questo motivo permane una fondamentale equivalenza tra teoria del sogno e teoria intralinguistica. Altri studiosi della psicoanalisi hanno però sviluppato teorie attinenti al tipo di problemi qui trattati.

Molti lavori di Fornari sulle funzioni coinemiche trovano riscontro nei processi primari del segno qui messi in luce. Gli aspetti logici-matematici (comprensivi dei processi astratti permutativi) dei fenomeni intralinguistici possono essere riferiti a molte strutture bi-logiche studiate da Matte-Blanco. La teorizzazione di Lacan sulla fondamentale barriera tra significato e significante (S/s) e sulla «vacillazione» della catena significante verte su alcuni degli aspetti strutturali della matrice combinatoria del segno di questa teoria. Più complesso il rapporto tra la teoria intralinguistica e quella di Bion: la formazione del pensiero ha luogo a partire da elementi da lui definiti β e α. Gli elementi β rappresentano «la primissima matrice dalla quale si può supporre sorgano i pensieri. Essa partecipa nella qualità di oggetto inanimato e oggetto psichico, senza alcuna distinzione tra i due. I pensieri sono cose, le cose sono pensieri; ed hanno personalità»; gli elementi β si trasformano successivamente in α come lavoro mentale sui dati percettivi. La teoria del segno qui proposta è radicata in funzioni assimilabili a elementi β, e la loro semiotizzazione può essere ricondotta alla trasformazione in α.

Queste semplici osservazioni sono solo indicative dei rapporti tra teoria intralinguistica e teorie psicoanalitiche, la cui trattazione completa esula da queste pagine, ma evidenziano il nodo teorico che accomuna lo studio semiotico della lingua e la comprensione degli aspetti inconsci del linguaggio: esso concerne la possibilità di definire con accuratezza l’area di transizione tra soglia semiotica e presemiotica, per accedere alla stessa struttura inconscia della mente non linguistica. La teoria intralinguistica, come abbiamo visto, permette di evidenziarne molti aspetti funzionali, concreti e astratti, secondo alcuni principi di coerenza e sovradeterminazione semantica e strutturale.

4. Queste ultime osservazioni riconducono al punto spesso sottolineato in questo lavoro, il rapporto tra sovradeterminazione nel sogno e in poesia, ora estendibile a quello più generale tra sogno e linguaggio. Esso riflette l’aspetto più semplice con cui possiamo interpretare l’attività coerente della mente linguistica nella continua esplorazione delle sue radici presemiotiche che questa teoria permette di evidenziare. La fluidità di questa area funzionale instabile muove incessantemente le fonti semiche del segno secondo alcuni principi di economia semantica e strutturale; la lingua, descrivendo il mondo, esplora perciò contemporaneamente le risonanze e gli echi degli accessi primari alla vita sotterranea, profonda, che la semiosi cerca di ritradurre in segni adeguati alla realtà mentale.

Questa continua ricerca di aderenza dell’attività semantica alle specifiche funzioni profonde del segno, radicate oltre questa soglia, costituisce l’attività onirica della lingua, che in poesia ha la sua maggior compiutezza: essa comporta funzioni concrete e astratte, che permeano di senso il segno, soprattutto dove esso non è cosciente. In un breve percorso lineare, in un testo o in un enunciato, la mente può perciò portare a una sotterranea cooperazione sistemi e funzioni, che moltiplicano relazioni e trasformazioni, realtà oggettuali e fantasie inconsce, strutture rigide testuali e stati onirici di varia intensità e fluidità. Questa appare dunque la complessa organizzazione della mente linguistica, che si avvale delle funzioni della mente intralinguistica per generare con coerenza il linguaggio e per indurvi importanti stati onirici:

Potremmo dire, parafrasando Freud, che come il sogno protegge il sonno, l’attività onirica latente del linguaggio protegge naturalmente il pensiero, e consente alla mente, anche da sveglia, una sua attività restaurativa. Contemporaneamente tale processo protegge dalla realtà, e segna quindi una subordinazione di questa alle leggi interne del pensiero linguistico. Questa dipendenza, secondo le precedenti osservazioni, appare un principio intrinseco evolutivo, che testimonia di un progresso nel controllo della realtà, ma anche di un suo limite, dato dalle proprietà interne alla struttura della lingua. L’equilibrio che la mente cerca a questo limite è, come possiamo vedere, la fonte stessa del testo poetico, nel quale produce i principi generativi e formali studiati nel libro.

12.4. Il segno come microtesto instabile

Le iniziali osservazioni sulla instabilità del segno trovano qui una loro conclusione. Le funzioni intralinguistiche ne sono uno strumento rivelatore che può ampliarne il campo di studio in molte direzioni. Nel libro mi è sembrato opportuno mostrarne la validità in un tipo di esplorazione privilegiata, l’analisi del testo poetico, di cui può proporre e dimostrare soluzioni specifiche con diversi criteri. Ma, come ho detto più volte, la teoria intralinguistica risulterebbe poco comprensibile se non fosse possibile radicarla nella più ampia teoria della lingua ordinaria, e in una generale teoria del segno. L’instabilità dello sviluppo nervoso che dà origine al segno permane, secondo l’ultimo modello indicato, a fondamento della sua instabilità, e come sua più precisa spiegazione.

Idealmente, la concezione del segno qui proposta è volta a comprendere la referenza intrapsichica degli enunciati complessi, di cui il testo poetico è solo l’esempio che offre migliori garanzie di studio. Strutturalmente il segno può essere definito come una funzione instabile della mente linguistica, potendo variare la sua cooperazione nel processo di flusso semantico, di cui può saturare più livelli contemporaneamente. L’ampiezza dei suoi legami associativi, e la sua interna riflessività semiotica tra i vari livelli (fino alle radici presemiotiche), suggerisce di trattarlo spesso come un testo contratto, solo provvisoriamente assunto dalla mente come un indicatore verbale. Come forma mentale esso appare piuttosto simile a un testo non ancora semiotizzato, e questa particolare concezione lo differenzia dal comune segno lessicale, che ne attualizza solo alcune strutture nell’enunciato: appare, anche, assimilabile ad una microteoria semantica per il tipo di significazione strutturale da cui dipende nella intera matrice nervosa.

Poter trattare un segno lessicale come un microtesto o una microteoria può sembrare azzardato: ma appare plausibile quando si rifletta alla grande ampiezza degli stati fluidi, sospesi associativamente su un significato, che la mente accoglie durante l’elaborazione di pensieri particolarmente complessi. Sono interpretabili chiaramente come microtesti alcune condensazioni intralinguistiche (come «qu-ESTASI-epe», o «L’ÉVIER-GÉLÉ-vivace»): ciò consente di supporre che il segno verbale operi con un’ampia varietà di dinamiche semiche, proiettate solo in parte nell’enunciato. Poiché il segno è una parte della mente linguistica, esso ne condensa i vertici osservativi e normativi: per questo motivo alcuni segni sono, indipendentemente dal loro utilizzo lessicale, valori assoluti della mente.

Fa da sfondo a questa teoria una teoria neurofisiologica, e ciò può suscitare alcune perplessità o diffidenze. Il sistema nervoso è però il referente ovvio del linguaggio, e le domande che in questa epoca ci poniamo sul cervello possono giustificare il tentativo di dare una possibile descrizione strutturale di alcuni processi riferibili al segno: le sue proprietà risultano ampliate dall’attenzione che possiamo porre alle interazioni nervose che concorrono alla pronunzia o alla scrittura. La matrice è, ovviamente, solo uno schema di riferimento provvisorio: essa, però, potrebbe attrarre al suo studio, nei molti aspetti che la riguardano, logici, semantici, psicoanalitici.

Secondo la teoria evolutiva che dà origine a questa concezione, il linguaggio risulta interpretabile come una funzione solo in alcuni aspetti innovativa del cervello, includendone necessariamente le caratteristiche precedenti: essa deriva da uno sviluppo naturale del sistema nervoso, giustificabile senza far ricorso ad un radicale cambiamento del patrimonio genetico originario. La convinzione che il linguaggio debba essere spiegato in termini evolutivi è implicita nella nostra cultura, ma poco accettata dalla nostra soggettività, che assegna alla capacità linguistica la principale differenza tra noi e il mondo vivente che ci ha preceduto. Questa teoria ne mette in evidenza soprattutto un punto poco conosciuto, la distanza minima che può separare la dotazione sensoriale primaria della mente da un processo linguistico conscio. Questa distanza minima può accentuare l’attenzione, viceversa, alla funzione astratta del linguaggio.

Astrattezza e concretezza appaiono peculiarità del linguaggio, e di esse appare dunque potersi fare carico compiutamente la mente che ho definito intralinguistica. Questi due aspetti risultano perciò meno differenti osservandone le trasformazioni naturali che inconsciamente la mente intralinguistica può predisporre nell’organizzazione della lingua.

La variabilità di questo processo, contemporaneamente, appare far parte della disponibilità alla ricchezza espressiva e alla completezza delle forme di pensiero concepibili dalla mente: questa disponibilità permette di non rimanere prigionieri di quella sua parte che non può servirsi del linguaggio, o che se ne serve nei suoi elementi primari, senza poterli restituire ai processi di significazione della lingua. All’esplorazione della libertà che la lingua può consentire all’uomo, e alle verità affettive che la poesia può rivelargli, è dedicato questo libro.

� J.J. KATZ e J.A. FODOR, The Structure of Language, Prentice-Hall, Englewood Cliffs 1964; J.J. KATZ e P.M. POSTAL, An Integrated Theory of Linguistic Descriptions, M.LT. Press, Cambrid�ge (Mass.) 1964; CH. FILLMORE e T.D. LANGENDOEN, Studies in Linguistic Semantics, Holt, New York 1971.

� È quanto accade, per il mottetto di Montale «Perché tardi», per i gruppi OR e TO. Per la trattazione completa di questo problema rinvio al mio precedente libro Le strutture anagrammati�che della poesia, cit.

� CH.S. PEIRCE, The Icon, Index and Symbol, in Collected Papers, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1931-1958 (trad. it. parziale in CH.S. PEIRCE, Semiotica. I fondamenti della semiotica cognitiva, Einaudi, Torino 1980).

� Cfr. P. ZUMTHOR, Carmina figurata, cit.; G. POZZI, Gli artifici figurati del linguaggio poeti�co e l’iconismo, cit.

� L. TESNIÈRE, Eléments de syntaxe structurale, cit.; H. HIZ, Referentials, in «Semiotica», n. 2, 1969. Cfr. anche W.V. QUINE, Logic as a source of syntactical insights, trad. fr. in «Langages», n. 2, 1966; ID., Word and Object, 1960 (trad. it. Parola e oggetto, Il Saggiatore, Milano 1970).

� R. JAKOBSON, Du réalisme artistique, in T. Todorov (a cura di), Théorie de la littérature, cit.

� W. EMPSON, Seven Types of Ambiguity, cit.

� J. TYNJANOV, Problema stichotvornogo jazyka, 1924 (trad. it. Il problema del linguaggio poetico, Il Saggiatore, Milano 1968). J. MUKAŘOVSKỲ, Sémiologie et Littérature, in «Poétique», 3, 1970. N. FRYE, Anatomy of Criticism, 1957 (trad. it. Anatomia della critica, Einaudi, Torino 1969).

� R. JAKOBSON, Il farsi e il disfarsi del linguaggio, cit.

� J. KRISTEVA, (, cit.

� Riprendo dalla nota 31 del cap. I la citazione da Ju. M. Lotman «... la parola tende ad allargare le sue frontiere, a trasformare l’intero testo in tutto indivisibile, in un’unica parola».

� Poiché l’informazione è proporzionale alla lunghezza del filamento di DNA è sufficiente confrontare, nelle varie specie, i rispettivi pesi molecolari: per la Drosofila esso vale 0.08 pico�grammi, per il topo 2.5, per l’uomo 2.8. L’informazione genetica cresce di circa 30 volte nel con�fronto tra un tipico insetto e i vertebrati: essa poi rimane stazionaria nella linea evolutiva che porta alla scimmia e poi all’uomo. Cfr. P. OMODEO, Lezioni di Biologia, Cortina, Padova 1974.

� Il rallentamento nella maturazione è un particolare aspetto funzionale definito come neo�tenia: il fenomeno per cui alcuni animali possono divenire adulti e sessualmente maturi pur con�servando alcune caratteristiche embrionali e larvali. L’ipotesi neotenica per l’uomo è stata propo�sta per la prima volta da L. BOLK, Das problem der Menschwerdung, Fischer, Jena 1926. Cfr. M.F.A. MONTAGU, Time, morphology and neoteny in the evolution of man, in M.F.A. Montagu (a cura di) Culture and the evolution of man, Oxford University Press, Oxford 1962. Per il pro�blema più generale dei rapporti tra ontogenesi e filogenesi, cfr. S. GOULD, Ontogeny ami phyloge�ny, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1977.

� Oltre al binarismo di Jakobson, discusso nel cap.V, l’organizzazione combinatoria della matrice soddisfa ai due sistemi, sintagmatico e paradigmatico, della lingua. Per R. JAKOBSON, Sag�gi di linguistica generale, cit., l’uso di qualsiasi unità linguistica si attua nel confronto tra unità simili (sostituibili, paradigmatiche) e nel rapporto con unità coesistenti (sintagmatiche). Gli ele�menti della matrice comuni a più segni definiscono gli assi paradigmatici, e le reti associative tra più segni quelli sintagmatici: il binarismo ne organizza i sistemi per identità e opposizione.

� F. DE SAUSSURE, Cours, cit.

� CH.S. PEIRCE, Collected Papers, cito Per una discussione adeguata della semiosi illimitata in Peirce cfr. U. Eco, Trattato di semiotica generale, cit.

� Sulla problematicità di una localizzazione della mente, cfr. la sintesi di A.R. LURIJA, Le funzioni corticali superiori nell’uomo, cit.; sugli aspetti processuali, cfr. G:A. MILLER, E. GALAN�TER, K.H. PRIBRAM, Piani e struttura del comportamento, cit.

� Poiché la semiotizzazione dipende dai legami supplementari del reticolo condizionale, la rete combinatoria appare utile per concettualizzare le «semantiche a istruzioni». Cfr. H. PUT�NAM, Mind, Language and Reality, Cambridge University Press, London-Cambridge, 1975; F. NEUBAUER e J. S. PETOFI, Word Semantics, Lexicon Systems, and Text Interpretation, in H. J. Eik�meyer e H. Rieser (a cura di), Words, Worlds, and Contexts, De Gruyter, Berlin 1981. La matrice infatti può essere immaginata come una rete di legami implicazionali tra le attività parziali di un segno e quelle di altri segni, che si formano tramite i due sistemi del contenuto e del lessico

� Questa distinzione corrisponde a quella, in Peirce, tra Oggetto Dinamico e Oggetto Im�mediato. Per Peirce (cfr. CH.S. PEIRCE, Collected Papers, cit.) l’Oggetto Dinamico è ciò che moti�va il processo di significazione: il segno, però, non ne rappresenta che in parte gli aspetti dinami�ci, perché l’espressione linguistica presentifica solo un Oggetto Immediato, il contenuto del se�gno. L’Oggetto Dinamico corrisponde, in questo modello, all’intera struttura non linguistica del�l’oggetto, che fa da referente mentale, nella codificazione nervosa, del segno: l’Oggetto Imme�diato corrisponde al contenuto semiotizzato del segno, la cui attività di semiosi illimitata dipende dalle funzioni associative mantenute dagli elementi componenziali della matrice.

� W.D. DRESSLER, Einführung in die Texlinguistik, 1972 (trad. it. Introduzione alla linguisti�ca del testo, Officina, Roma 1974); M.E. Conte (a cura di), La linguistica testuale, cit.; T.A. VAN DIJK, Some Aspects of Text Grammar. A Study in Theoretical Linguistics and Poetics, Mouton, The Hague-Paris 1972.

� F. DEUTSCH, E.V. SEMRAD, Survey of Freud’s writings on the conversion symptom, in F. Deutsch (a cura di), On the mysterious leap from the mind to the body, lnternational Universities Press, New York 1959; J. O. WISDOM, A Methodological Approach to the Problem of Hysteria, «lnternational Journal of Psychoanalysis», 43, 1961. Cfr. anche E. GADDINI, Il problema mente-corpo e la psicoanalisi, in M. Bertini e C. Violani (a cura di), Cervello e Sogno, Feltrinelli, Milano 1982

� Cfr. H. SEARLES, Collected papers on schizophrenia and related subjects. Selected papers, 1965 (trad. it. Scritti sulla schizofrenia, Boringhieri, Torino 1975); P.M. PAO, Schizophrenic Disor�ders, 1979 (trad. it. Disturbi schizofrenici, Cortina, Milano 1984); F. TUSTIN, Autistic barriers in neurotic patients, Karnac Books, London 1986.

� F. FORNARI, Simbolo e codice, Feltrinelli, Milano 1976; ID., I fondamenti di una teoria psicoanalitica del linguaggio, Boringhieri, Torino 1979; ID., Il codice vivente, Boringhieri, Torino 1981.

� I. MATTE-BLANCO, The Unconscious as Infinite Sets. An Essays in Bi-Logic, 1975 (trad. it. L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica, Einaudi, Torino 1981

� J. LACAN, Ecrits, Paris 1966 (trad. it. Scritti, Einaudi, Torino 1975). Per alcuni aspetti del�la sostituibilità di un significante con un altro significante (assimilabile alla struttura del signifi�cante intralinguistico) cfr. anche J. LAPLANCHE e S. LECLAIRE, L’inconscient, une étude psychanaly�tique, «L’Inconscient», (VI ColI. de Bonneval), Desclée de Brouwer, 1966, e la relativa discussio�ne in A. RIFFLET-LEMAIRE, Jaques Lacan, 1970 (trad. it. Introduzione a Jaques Lacan, Astrolabio, Roma 1972).

� W. R. BION, Elements of Psychoanalysis, 1963 (trad. it. Gli elementi della psicoanalisi, Ar�mando, Roma 1976); ID., Transformations: Ch’ange rom Larning to Growth, 1965 (trad. it. Trasfor�mazioni. Il passaggio dall’apprendimento alla crescita, Armando, Roma 1979).

� S. FREUD, Die Traumdeutung, 1900 (trad. it. L’interpretazione dei sogni, in Opere, voI. IlI, Boringhieri, Torino 1966).

� Sull’importanza dei processi onirico-simili nella veglia cfr. M. BERTINI, Sonno, veglia, son�no e dinamica della conoscenza, in Cervello e sogno, cit.; cfr. anche S. MOLINARI, Processi mentali durante il sonno, in «Ricerche di psicologia», IV, 16, 1980, e ID., Formazione del sogno, modello tonico-fasico e problema mente-corpo, in Cervello e sogno, cit.