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IRPET Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana Gli effetti derivanti dalla presenza/attività di imprese multinazionali LUCIA PISCITELLO Politecnico di Milano Relazione al convegno: “DELOCALIZZAZIONE PRODUTTIVA da problema a opportunità. Il caso dell’area fiorentina in una ricerca IRPET” Firenze, 27 gennaio 2006

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IRPET Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana

Gli effetti derivanti dalla presenza/attività di imprese multinazionali LUCIA PISCITELLO Politecnico di Milano Relazione al convegno: “DELOCALIZZAZIONE PRODUTTIVA da problema a opportunità. Il caso dell’area fiorentina in una ricerca IRPET” Firenze, 27 gennaio 2006

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1. INTRODUZIONE

La presenza e le attività delle imprese multinazionali (d’ora in avanti IMN) producono una molteplicità di effetti di tipo economico, sociale, politico, culturale, ambientale, ecc; nonostante da un lato, numerosi studi empirici abbiano tentato di individuare il segno della risultante di tali forze e, dall’altro, mass media e politici tendano a trarre conclusioni nette, quello che di certo si può dire è che non è facile trarre evidenze definitive.

Innanzitutto è necessario focalizzare l’attenzione sul soggetto di interesse: effetti su chi? A seconda che ci si riferisca alle imprese che effettuano l’investimento diretto estero (IDE), o alle imprese domestiche appartenenti allo stesso o ad altri settori nel paese di origine o di destinazione dell’IDE stesso, ai lavoratori ed ai fattori di produzione in genere delle diverse controparti, o addirittura ai due paesi coinvolti e/o a paesi terzi che rientrano indirettamente nelle strategie delle IMN, gli effetti andranno studiati in maniera differente.

Inoltre, a seconda che il paese considerato sia un paese sviluppato piuttosto che un paese in via di sviluppo; che l’IDE avvenga secondo una modalità di tipo greenfield piuttosto che si tratti invece di un’acquisizione o di una fusione; che l’orizzonte temporale su cui si valutano gli effetti sia di breve piuttosto che di medio/lungo termine, ed infine, a seconda della tecnica empirica utilizzata, tutte queste variabili contribuiscono a modificare l’impatto atteso di un’iniziativa di IDE.

In questa sede il campo di indagine concerne esclusivamente gli effetti economici. In particolare, si illustrano dapprima gli effetti indotti dall’IDE e dalla presenza di IMN sul paese di destinazione, e successivamente le conseguenze sul paese da cui origina la singola IMN.

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2. EFFETTI DELL’IDE SUL PAESE DI DESTINAZIONE

L’individuazione di un effetto netto sull’economia e sulle imprese del paese ospite derivante dalla presenza e dalle attività di IMN costituisce un obiettivo di primaria importanza, soprattutto per i governi (e non soltanto dei paesi in via di sviluppo) che, sulla base di tale risposta, devono valutare quanto debba essere dedicato all’attrazione ed all’integrazione delle IMN estere nel proprio tessuto socio-economico.

Intuitivamente, anche se influenzata da diverse variabili oltre che dall’unità di osservazione e dal livello di aggregazione scelto, la risposta dipende dal fatto che l’IDE, e la relativa presenza di un’IMN, generi o meno effetti complessivamente positivi. Tali effetti possono sostanzialmente assumere due diverse forme, a seconda che influenzino direttamente oppure indirettamente le imprese e gli altri attori domestici (si usa pertanto distinguere tra effetti “diretti”ed “indiretti”). • Effetti diretti Gli effetti diretti sono circoscritti e più facilmente identificabili (anche se non sempre altrettanto facilmente misurabili): nel caso di una iniziativa di tipo greenfield questi sono relativi al trasferimento netto di capitali nel paese ospite, alla creazione ex novo di capacità produttiva e dunque di posti di lavoro, al trasferimento di pratiche organizzative e skill manageriali superiori (si veda Barba Navaretti e Venables, 2004).

Qualora l’iniziativa sia di tipo merger e acquisition (M&A), cioè l’IMN acquisica un’impresa domestica già operante sul mercato, l’impatto diretto è più complesso da definire ma risulta comunque circoscritto nell’ambito dei confini dell’impresa target: diversi studi empirici hanno mostrato, anche nel caso delle imprese italiane oggetto di acquisizione da parte di soggetti esteri negli anni novanta (si veda Piscitello e Rabbiosi, 2005) come, se è vero che nel breve termine possano risentirsi gli effetti di ristrutturazioni e conseguenti tagli occupazionali, nel medio termine si verificano incrementi nella produttività e nella forza lavoro. • Effetti indiretti Al contrario, gli effetti indiretti prevedono una casistica molto più ampia: il punto di partenza consiste nel riconoscere se le IMN utilizzano tecnologie superiori e nel chiedersi se queste possano tracimare (il termine utilizzato in letteratura è “spill over”) investendo anche le altre imprese ed attori locali. Il concetto che sinteticamente raggruppa tali effetti è quello di esternalità, concetto che si riferisce ai benefici creati dalla presenza estera, e che non vengono appropriati né dall’IMN né dagli attori direttamente coinvolti nella stessa (es. lavoratori, fornitori, ecc), ma dalle altre imprese e attori che popolano il settore e/o il contesto locale su cui insiste l’iniziativa estera.

Nel caso in cui tali spillover/esternalità si verifichino, questo accade perché gli effetti della presenza di IDE e IMN si propagano sul contesto ospite tramite l’agire di meccanismi che vanno dall’imitazione dei concorrenti più efficienti, allo stimolo competitivo che innesca la ricerca di miglioramenti di efficienza, alla mobilità dei lavoratori e agli spinoff, alla creazione di relazioni (linkages) di tipo orizzontale e verticale da parte delle IMN estere con gli attori locali ed altre forme di cooperazione tra imprese.

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2.1 I meccanismi In particolare, seguendo la ben nota classificazione proposta da Blomström e Kokko nel 1998, è possibile riconoscere: - effetti positivi connessi a imitation e demonstration effect, per cui le imprese domestiche

tendono ad imitare (tramite reverse engineering, spionaggio industriale e/o contatti di natura informale, si veda Mansfield e Romeo, 1980) quelle estere che, per definizione, sono più efficienti e produttive1, oppure a competition effect, in base al quale le imprese domestiche sono stimolate da una sana competizione e ricercano dunque una maggiore efficienza. Gli effetti indotti dalla competizione possono tuttavia essere anche negativi qualora, come illustrato nel noto articolo di Aitken e Harrison del 1999, le aziende straniere distruggono la concorrenza locale (l’effetto è noto con il nome di market stealing effect). Gli esempi in proposito d’altronde non mancano: i produttori di bibite analcoliche di tutto il mondo sono stati travolti dall’arrivo di Coca-Cola e Pepsi sui loro mercati nazionali, e i produttori locali di gelati hanno sempre avuto la consapevolezza di non poter competere con i prodotti Unilever (marchio Algida, in Italia).

- Altri effetti positivi annoverano la mobilità dei lavoratori, e ancor più dei manager, tra le IMN estere e le imprese locali che possono pertanto beneficiare della maggior qualificazione e competenze professionali acquisite grazie ai programmi di formazione e addestramento seguiti all’interno della IMN.

- Infine, quale ultimo meccanismo, citiamo l’importante creazione di relazioni con le imprese locali o linkages, per usare la felice espressione di Rodriguez-Clare del 1996. Le IMN infatti possono entrare nella produzione di beni intermedi oppure nella produzione di beni finali. In entrambi casi, se da un lato si determina un effetto di competizione con gli operatori locali, dall’altro vengono costruite/indotte delle relazioni (linkages, appunto) sia con i fornitori sia con i clienti. Tali relazioni, a loro volta, inducono effetti positivi sugli attori domestici; difatti, la maggiore domanda di input originata dalla presenza di IMN, ne causa una riduzione dei prezzi, il che a sua volta riduce i costi (aumentando quindi la produttività) per tutte le imprese utilizzatrici degli stessi (e non soltanto per quelle estere). Inoltre, la domanda di input da parte delle IMN concerne probabilmente input qualificati, il che ne aumenta anche la varietà, a beneficio anche delle imprese domestiche. Gli effetti generati dalla presenza di IMN estere possono inoltre essere distinti a seconda che

investano lo stesso settore in cui opera l’IMN (spillovers intra-industry o orizzontali) oppure si propaghino lungo la filiera produttiva dell’IMN stessa (spillovers inter industry o verticali). In particolare, la maggior parte delle analisi empiriche (per una survey, si veda Gorg e Greenaway, 2002) testimonia effetti orizzontali prevalentemente negativi, dovuti al fatto che le IMN volutamente controllano l’ammontare di conoscenza che tracima a beneficio dei potenziali competitori, ed effetti verticali positivi, dovuti invece al desiderio di migliorare la produttività dei propri fornitori trasferendo loro conoscenze e tecnologie. Per tale ragione, soprattutto con riferimento agli IDE intrapresi nei paesi in via di sviluppo, infatti, gli investitori esteri sono soliti offrire ai propri fornitori assistenza tecnica, corsi di formazione e altri tipi di informazione.

1 E’ carino l’esempio citato in Alfaro e Rodriguez-Clare (2004) e ripreso anche da Castellani e Zanfei (2006) relativo ad un semplice accorgimento introdotto da un’IMN nell’ambito delle maquladoras in Honduras: offrendo la colazione in azienda prima del turno mattutino, si ottenne non solo la puntualità dei lavoratori ma anche un incremento della loro produttività. L’idea venne ripresa da altre imprese domestiche, causando pertanto un generale incremento di produttività.

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2.2 Gli effetti Gli effetti della presenza di IDE e IMN possono essere catturati tramite l’utilizzo di molteplici indicatori: l’impatto si propaga sulla quantità e sulla qualità della forza lavoro locale, sulla produttività delle imprese domestiche, sulla loro capacità innovativa e sulle loro performance in genere. Considerando le singole variabili, è possibile stendere lo schema seguente (per brevità non citiamo tutti i riferimenti empirici che tuttavia sono riportati estensivamente in Tab. 1). (1) Effetti sulla forza lavoro - evidenza empirica Esiste ormai ampia e concorde evidenza che le imprese multinazionali utilizzano tecnologie superiori, sono più produttive e, pertanto, pagano salari più elevati (si parla di wage premium) rispetto alle imprese locali (con riferimento al Regno Unito, diversi lavori empirici mostrano come i salari pagati dalle IMN estere siano tra il 3.4% ed il 7% superiori alla media del settore). Altre ragioni sono legate al fatto che un impiego in una IMN possa essere percepito come meno stabile di uno in un’impresa domestica, che risulta pertanto preferita; inoltre, poiché l’IMN investe in formazione e training, mira a ridurre il turnover e la conseguente perdita di competenze che andrebbero a beneficio delle altre imprese verso cui si rivolge il lavoratore; infine, salari più elevati sono altresì motivati dal desiderio di attrarre i lavoratori migliori.

Le analisi empiriche si sono assai prodigate al fine di capire se tali superiori livelli di salario inducano spillover positivi, nella forma di aumenti nel salario medio dell’intero paese e/o di simili incrementi anche nelle imprese domestiche, oppure negativi (caso quest’ultimo che si verifica se, ad esempio, le imprese estere drenano interamente la forza lavoro più qualificata, lasciando alle imprese domestiche soltanto i lavoratori meno qualificati). I risultati ottenuti sono piuttosto concordi nel ritenere che gli effetti siano più positivi che negativi, in considerazione anche del fatto che l’occupazione locale risente positivamente anche dei linkages verticali instaurati dall’IMN estera con i fornitori locali (che registrano aumenti nella domanda di input specializzati e dunque nella necessaria forza lavoro). (2) Effetti sulla produttività - evidenza empirica Se le conoscenze e le tecnologie superiori delle IMN vengono parzialmente disperse nel contesto locale, questo deve rispecchiarsi nell’aumento della produttività degli altri attori locali. Come detto, questo può verificarsi sia grazie alla mobilità del capitale umano (le IMN dedicano molte risorse al training della propria forza lavoro, così che i lavoratori che lasciano l’azienda beneficiano le altre imprese in cui questi vengono impiegati e/o le eventuali nuove imprese, nel caso di spinoff) sia in virtù delle interazioni sociali tra individui addetti agli stessi compiti, se pur in organizzazioni differenti.

Aumenti di produttività possono tuttavia anche essere determinati dai linkages orizzontali e verticali. Specificamente, la richiesta di input specializzati da parte dell’IMN innesca dei linkages verticali e stimola l’introduzione di nuove varietà di input; a sua volta, l’introduzione di tali input innesca aumenti di produttività negli utilizzatori degli stessi; inoltre, la produzione di una più vasta varietà di beni intermedi può a sua volta consentire alle imprese locali di ottenere un vantaggio comparato nella produzione di beni finali più sofisticati.

Agli effetti positivi determinati dalla creazione di linkages si sommano tuttavia altri effetti, connessi ad esempio all’aumentata competizione nel settore2 e dunque negativi nel caso di spillovers orizzontali, che determinano una risultante di forze il cui segno non è univoco.

2 Merita menzione a sé lo studio di Aitken e Harrison (1999) che, tramite un’analisi panel sul Venezuela, offrono quella che probabilmente è l’evidenza più robusta di spillover negativi sulla produttività delle imprese locali appartenenti allo stesso settore: l’aumento della quota di partecipazione estera in un settore riduce l’output delle imprese locali così come la loro produttività totale,

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A testimonianza di ciò, la determinazione degli effetti netti della presenza multinazionale sulla produttività delle imprese locali si è tradizionalmente rivelata piuttosto complicata, mostrando risultati contrapposti a seconda dell’unità di osservazione, della metodologia empirica e degli indicatori (produttività del lavoro e/o produttività totale dei fattori) utilizzati.

La più recente survey sul tema, di Lipsey e Sjöholm (2005), testimonia come i risultati empirici, tradizionalmente negativi siano principalmente imputabili a problemi metodologici. Risolti questi problemi (sostanzialmente tramite l’utilizzo di tecniche econometriche di tipo panel), vi è piena convergenza verso nitidi segnali positivi: Haskel, Pereira e Slaughter (2002) utilizzando un panel di stabilimenti manifatturieri per il periodo 1973-1992 trovano un effetto positivo e significativo della presenza di IDE sulla produttività degli stabilimenti domestici nel Regno Unito; analogamente Kneller e Yeaple (2003) trovano un deciso segno positivo nel caso degli Stati Uniti, tra il 1987 ed il 1996. Girma et al. (2001)confermano sui dati britannici l’esistenza di spillover, soprattutto in quei settori dove le imprese locali non mostrano gap tecnologici troppo ampi rispetto alle imprese estere (e sono pertanto in grado di assorbire gli spillover).

Gli spillover trovano terreno fertile quando il gap tecnologico tra imprese locali ed imprese estere non risulta eccessivo: in altre parole, le imprese locali devono essere in grado di assorbire quanto tracima dalle IMN in termini di conoscenze e tecnologie. L’evidenza empirica mostra infatti che gli spillover sono tanto maggiori quanto maggiore è il livello di R&S e l’istruzione della forza lavoro presso le imprese domestiche (si veda ad esempio Blalock e Gertler, 2002, sul caso dell’Indonesia); analogamente, gli spillover risultano più efficaci quando incontrano un ambiente competitivamente vivace (Sjöholm, 1999 e Blalock e Gertler, 2003).

Anche nel caso del nostro paese, Castellani e Zanfei (2005) hanno dimostrato una relazione tra presenza di IMN estere ed incremento nella produttività delle imprese locali appartenenti allo stesso settore che risulta negativa nel breve periodo ma diventa positiva nel medio-lungo termine.

(3) Effetti sulle esportazioni - evidenza empirica L’evidenza empirica è concorde sul fatto che l’impatto dell’IDE e della presenza di IMN estere sulle esportazioni delle imprese locali, sia dal punto di vista quantitativo, sia in termini di maggior varietà nel mix di prodotti e di mercati di destinazione, sia positivo. La presenza di imprese straniere consente agli imprenditori locali di acquisire conoscenza relativa ai mercati lontani, di valutare come funzionano i canali di distribuzione internazionale e, soprattutto, di accedere a estese reti produttive internazionali (worldwide production networks). In un recente lavoro applicato al caso UK, Kneller e Pisu (2005) mostrano che la decisione di esportare da parte di un’impresa britannica è positivamente influenzata dalla presenza di IMN estere nel settore e nella regione. (4) Effetti sulla crescita del paese ospite - evidenza empirica Un crescente ammontare di studi empirici, utilizzando i dati aggregati sui flussi di IDE, dimostra che questi accelerano la crescita del paese ospite (soprattutto nel caso di paesi in via di sviluppo) purché quest’ultimo disponga di un livello minimo di istruzione per il capitale umano (si veda Markusen e Venables, 1999).

sia nel breve che nel medio termine, soprattutto a detrimento delle piccole imprese domestiche, che risultano le più vulnerabili alla competizione estera.

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Baldwin, Braconier e Forslid (1999) utilizzando dati settoriali per 7 paesi OCSE mostrano che le IMN giocano effettivamente un ruolo primario nel determinare il tasso di crescita endogena soprattutto nel lungo termine. (5) Effetti sull’entrata di nuove imprese domestiche Questo aspetto è strettamente connesso alle relazioni (linkages) che le IMN intraprendono con i fornitori ed i clienti locali. Come visto, la riduzione dei prezzi degli input (indotta dall’aumento della domanda degli stessi) favorisce la riduzione dei costi (e dunque un aumento della produttività) per le imprese produttrici, siano queste straniere o domestiche. Pertanto, la presenza di IMN estere induce l’entrata di nuove imprese domestiche, sia quali produttrici di input sia quali produttrici di beni finali. L’evidenza più netta concerne il caso irlandese, in relazione al periodo 1972-1995, ed è stato affrontato in Gorg e Strobl (2005, 2002).

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3. EFFETTI DELL’IDE SUL PAESE DI ORIGINE

L’attenzione all’analisi dell’impatto dell’attività multinazionale delle imprese sul proprio paese di origine è più recente ma ha conosciuto soprattutto nell’ultimo decennio un forte impulso rispetto al passato. In particolare, la relazione tra l’attività produttiva all’estero delle imprese e l’occupazione interna al loro paese di origine è tra quelle che hanno suscitato maggiore interesse da parte degli studiosi.

Argomenti alquanto popolari sostengono la tesi secondo cui le imprese che stabiliscono o espandono la produzione all’estero, in paesi a basso costo del lavoro, tendono a sostituire lavoratori presso la casa-madre con lavoratori presso le affiliate localizzate nei paesi ospiti. In particolare, le imprese attuano investimenti di natura verticale, ovverosia destrutturano la propria catena del valore, riallocando le attività produttive a più alta intensità di lavoro unskilled sui mercati a più basso costo della manodopera. La conseguenza di un siffatto processo è il mutamento della tipologia della produzione domestica che vede aumentare l’intensità di capitale e/o di lavoro high-skilled. Inoltre, a parità di altre condizioni, l’effetto sul mercato domestico del lavoro sarà la caduta assoluta dell’occupazione. Tuttavia, la clausola del coeteris paribus è in questo caso del tutto fuori luogo, poiché quest’ultimo risultato può essere modificato dall’agire di vari altri effetti, anche più che compensativi. L’incremento di efficienza associata alla nuova struttura della catena del valore può migliorare la competitività della casa-madre, allargare la sua quota di mercato, in patria e non, agendo positivamente sulla produzione e sulla domanda domestica di lavoro. Inoltre, si possono instaurare complementarità tra produzione all’estero e produzione domestica, anche grazie ai flussi commerciali con l’estero, soprattutto qualora la presenza in loco agisca da fattore che facilita la penetrazione commerciale sui mercati esteri.

Quanto descritto è inoltre solo una parte della storia. La delocalizzazione verticale delle attività può avere effetti non solo e non tanto sull’occupazione presso la casa-madre dell’impresa investitrice o su altre sue affiliate, ma anche sul contesto di interazione di quest’ultima. In particolare, risultano interessate le relazioni di sub-fornitura e le esternalità generate localmente dalla domanda attivata dall’impresa multinazionale per inputs specializzati, quali beni, servizi, skills manageriali ed operativi (Rodriguez-Clare, 1996). Infatti, la produzione delle affiliate estere potrebbe indurre sull’occupazione domestica effetti sostitutivi, ad esempio nel caso essa provochi la cancellazione di precedenti relazioni di sub-fornitura at home e riduca la domanda locale di beni e servizi, oppure complementari, ad esempio grazie al rafforzamento delle esternalità generate dall’incremento della domanda locale di inputs specializzati, a sua volta dovuta all’eventuale miglioramento dell’innovatività e della competitività dell’impresa multinazionale.

In generale, come sintesi degli argomenti sopra svolti, l’interpretazione canonica prevede che, nel paese di origine dell’investimento, l’effetto dell’aumento della produzione all’estero in paesi a basso costo del lavoro sia nel senso della riduzione dell’intensità di lavoro della produzione. Nulla, invece, si può affermare sulle conseguenze in termini di livello assoluto dell’occupazione domestica.

Argomentazioni alquanto diverse vengono proposte dalla letteratura per gli IDE indirizzati verso i paesi avanzati (per una rassegna, Agarwal, 1997). In tal caso, gli investimenti riflettono principalmente strategie di crescita orizzontale e market-seeking. Vari meccanismi possono operare in questo caso nel senso di un aumento dell’intensità del lavoro della produzione, presso sia la casa-madre dell’impresa multinazionale, sia il contesto di interazione di quest’ultima nel

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paese di origine. In particolare, l’espansione sui grandi mercati internazionali implica un aumento dei compiti di supervisione, coordinamento e controllo delle attività disperse geograficamente, un’estensione qualitativa e quantitativa delle funzioni di R&S, di marketing ed in genere di attività che sono principalmente centralizzate presso la casa-madre (Blomström et al., 1997; Fors e Kokko, 1999). La conseguenza è un incremento del fabbisogno di lavoratori non direttamente impiegati in produzione e high-skilled (colletti bianchi e manager) presso gli insediamenti di origine dell’impresa multinazionale. Tale effetto potrà inoltre estendersi all’area economica di interazione della casa-madre, attraverso le esternalità generate da una rinnovata domanda di inputs specializzati e ad alto contenuto di lavoro qualificato. Infine, il livello assoluto dell’occupazione presso il paese di origine potrà essere incrementato grazie ad una serie di attività complementari indotte dall’IDE, più o meno compensative degli eventuali effetti di sostituzione tra produzione all’estero ed esportazioni dalla casa-madre.

Il caso di investimenti orizzontali verso paesi avanzati solleva tuttavia un’altra questione, che ci consente di introdurre la seconda categoria di effetti derivanti dall’attività delle IMN al paese di origine delle stesse. Si tratta infatti tipicamente di investimenti diretti che sostituiscono le precedenti esportazioni verso quel paese, con ricadute evidentemente negative sulla produzione (e dunque sull’occupazione) domestica. La relazione tra IDE ed esportazioni costituisce uno degli argomenti più trattati dalla letteratura che, tuttavia, non ha ancora raggiunto risposte conclusive: se prevalga una relazione di sostituibilità piuttosto che di complementarietà, risulta ancora materia di stimolanti analisi empiriche.

Dal punto di vista teorico, la relazione risulta piuttosto complessa, non è unidirezionale e, soprattutto, dipende dalla tipologia e dalle motivazioni sottostanti la singola iniziativa di IDE (Cantwell, 1994). Mentre infatti investimenti verticali (resource-based o export-platform) tendono a promuovere il commercio (in particolar modo le esportazioni dal paese ospite, ma anche se pur in misura minore quelle del paese di origine), al contrario investimenti di natura orizzontale (market-oriented o import-substituting) inducono effetti di natura sia trade-replacing sia trade-creating e non è facile individuare a priori quale di questi avrà la meglio. Sebbene l’effetto trade replacing sia quello più intuitivo, il commercio non risulta necessariamente rimpiazzato dalla produzione locale, in quanto possono generarsi anche effetti di tipo trade-creating per una serie di ragioni ed in un certo numero di modi: direttamente, se la parent company o i suoi fornitori domestici esportano componenti che verranno processati dall’affiliata estera, e altri prodotti complementari a quelli prodotti dalla sussidiaria che possano essere venduti in loco, oppure indirettamente, qualora la presenza dell’affiliata estera stimoli la domanda per altri prodotti provenienti dallo stesso paese (Lipsey e Weiss, 1984).

Il terzo tipo di investimenti diretto all’estero, cosiddetto rationalized o internationally integrated è quello che mostra la relazione più complessa con i flussi commerciali. Infatti, nella misura in cui realizza una divisione internazionale del lavoro risulta trade creating (in termini sia di import che di export) per entrambi i paesi coinvolti, ma l’effetto netto risulta assai difficile da individuare (anche in relazione al fatto che, come visto, le implicazioni in termini di trade sono assai diverse a seconda della diversa forma di integrazione internazionale: l’integrazione verticale, per definizione, è associata con intra-firm trade, mentre l’integrazione orizzontale può essere associata ad intra-firm trade se le affiliate sono responsabili della distribuzione oltre che della produzione in loco, ma non in caso contrario.

L’evidenza empirica mostra che la relazione è comunque generalmente una relazione di complementarità e, anche nel caso di investimenti orizzontali l’effetto positivo supera quello negativo (Blomstrom et al., 1997; Cantwell, 1994).

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(1) Effetti sulla forza lavoro - l’evidenza empirica Il vivace dibattito sull’impatto dell’attività multinazionale sulla forza lavoro si è principalmente focalizzato su tre aspetti (i riferimenti empirici sono riportati estensivamente in Tab. 2): (i) la natura sostitutiva o complementare della produzione delle affiliate estere nei confronti

della produzione della casa–madre e delle altre imprese domestiche (e.g. Frank e Freeman, 1978; Jordan e Vahlne, 1981; Glickman e Woodward, 1989; Blomström e Kokko, 1994; Krugman, 1994; Lawrence, 1994; 1996; Lipsey, 1994; Messerlin, 1995; Agarwal, 1996; Brainard e Riker, 1997). In questo caso, l’aspetto occupazione di interesse concerne i livelli assoluti (numero di addetti);

(ii) l’impatto delle attività industriali svolte all’estero sulla composizione dell’occupazione domestica (e.g. Slaughter, 2000; Head e Ries, 2002; Hansson, 2004) e sui differenziali salariali (e.g. Kravis e Lipsey, 1988). In tal caso, gli effetti riguardano lo skill upgrading; e

(iii) l’impatto delle attività industriali svolte all’estero sull’intensità di lavoro della produzione domestica (e.g. Blomström et al., 1997; Fors e Kokko, 1999; Lipsey, 1999).

La maggior parte della letteratura empirica esistente sui temi indicati è riferita al caso statunitense mentre l’evidenza proposta per il caso italiano è piuttosto sporadica, con l’avvio di alcuni studi esplorativi sulla delocalizzazione di attività da parte delle imprese italiane verso i paesi in via di sviluppo (Mutinelli e Piscitello 1997a, 1997b; Faini et al., 1998; Barba Navaretti et al., 1999; Barba Navaretti e Castellani, 2003; Bruno e Falzoni, 2003)

In particolare, con riferimento alle tre classi di effetti, le principali evidenze empiriche sono riportate di seguito:

(a) Impatto sui livelli assoluti di occupazione Gli studi condotti su questo argomento sono molteplici ma giungono a risultati univoci. Brainard e Riker (1997 - IMN americane), Braconier e Ekholm (2000 - IMN svedesi) e Konings e Murphy (2001 - MNE europee) mettono in evidenza una relazione di sostituibilità tra l’occupazione della casa-madre e delle affiliate estere quando vengono effettuati investimenti di tipo orizzontale, ovvero diretti verso paesi ad alta intensità di reddito. In particolare, dallo studio di Konings e Murphy (2001) su un campione di più di 1.200 IMN europee, si evince che ad una riduzione media di 10 punti percentuali dei costi del salario nelle consociate straniere è associata una riduzione media della forza lavoro presso la casa madre pari al 1,5-2%. Nel caso di investimenti verticali, invece, Bruno e Falzoni (2003) mostrano come, nel lungo periodo, possano prevalere effetti indiretti positivi determinati dagli incrementi di efficienza e, quindi, dei volumi produttivi. Ancora con riferimento al caso italiano, Barba Navaretti e Castellani (2003) dimostrano che, anche se l’internazionalizzazione ha causato una riduzione del numero di occupati nelle imprese che hanno aperto nuovi stabilimenti all’estero, tale riduzione non è così significativa e risulta comunque a volte inferiore di quella che avrebbero dovuto sostenere se non avessero investito all’estero. Gli Autori arrivano perciò ad affermare che gli investimenti esteri, anche se diretti verso i paesi in via di sviluppo e a basso costo del lavoro, sono paradossalmente una buona strategia per “salvaguardare” l’occupazione domestica. Come detto, il trasferimento di attività all’estero influisce anche sull’ambiente economico di riferimento dell’impresa, dando luogo ad una riorganizzazione dei rapporti di filiera. Il sistema locale e la filiera produttiva risentiranno positivamente dell’internazionalizzazione nel momento in cui, ad esempio, vengono salvaguardati i posti di lavoro delle imprese fornitrici domestiche che approvvigionano le affiliate straniere o le imprese straniere con cui si hanno rapporti di produzione. Inoltre, in seguito alla delocalizzazione (investimenti di tipo verticale), la filiera produttiva/sistema locale potrebbe posizionarsi su segmenti di mercato a maggiore valore aggiunto e a più alto grado di qualificazione con il conseguente sviluppo di

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un settore terziario collegato di qualità. Viceversa, il trasferimento di attività all’estero potrà determinare una riduzione degli occupati in determinati profili mansionistici a livello di filiera produttiva/sistema locale e la chiusura di imprese fornitrici. Inoltre, la delocalizzazione di attività produttive all’estero non comporta solo la riduzione degli ordinativi per i fornitori, ma implica un rischio meno evidente ma non meno significativo e cioè la perdita di occasioni di apprendimento e di crescita legate alla relazione in sé. La graduale sostituzione di piccole e medie imprese italiane con fornitori esteri è uno degli elementi su cui si concentra il recente dibattito economico sulla sopravvivenza dei distretti industriali e sulla riorganizzazione delle filiere produttive. Questo tipo di impatto si verifica prevalentemente nel caso in cui la delocalizzazione sia effettuata verso i paesi a basso costo del lavoro. Recente studi condotti da Savona e Schiattarella (2004; 2005), riferiti ai distretti industriali italiani operanti nei settori del made in Italy, mettono in evidenza come la delocalizzazione internazionale, intesa come investimento di tipo verticale, abbia un impatto significativo sulla crescita dell’occupazione nel settore dei servizi e, in particolare, dei servizi più tradizionali (commercio, trasporti e servizi finanziari). Una relazione inversa emerge invece nel caso dei servizi avanzati alle imprese (ingegneria, R&S, servizi informatici), che tendono ad essere internalizzati dalle imprese delocalizzatrici. (b) Impatto su skill upgrading Condurre attività produttive all’estero può richiedere e indurre uno skill upgrading3 delle mansioni a livello dell’impresa madre, cioè un aumento dei lavoratori qualificati (quelli che non si occupano direttamente della produzione, come ad esempio dirigenti e impiegati) sul totale dell’occupazione. In particolare, gli investimenti di tipo verticale dovrebbero determinare un aumento del livello medio di qualifica dei dipendenti nella casa madre poiché, in generale, le attività della sede principale dell’impresa sono a più alta intensità di qualificazione rispetto alle attività produttive. Inoltre, le sedi amministrative offrono alle consociate straniere servizi specializzati in aree altamente qualificate quali R&S, design, marketing, finanza, strategic management. L’analisi condotta da Head e Ries (2002) sulle IMN giapponesi conferma queste ipotesi: alla crescita dei livelli produttivi delle consociate straniere localizzate in paesi a basso costo del lavoro si associa un aumento della domanda di lavoro qualificato da parte della casa madre. Risultati simili sono ottenuti da Hansson (2004) per la Svezia: la delocalizazzione di attività produttive in Paesi a basso costo del lavoro e, in particolare, in quelli dell’Europa dell’Est, ha contribuito ad innalzare il livello medio di qualificazione della manodopera utilizzata dalle IMN domestiche. I risultati, tuttavia, cambiano in modo significativo quando gli autori considerano i dati a livello settoriale. Head e Ries, così come Slaughter (2000) per gli Stati Uniti, trovano che la produzione estera non ha effetto sull’intensità qualitativa domestica. Per il caso italiano, Falzoni e Grasseni (2003) hanno condotto un’analisi a livello di settore produttivo e dimostrano come il trasferimento di fasi produttive all’estero abbia contribuito allo skill upgrading delle imprese madri, indipendentemente dal paese di destinazione degli investimenti.

3 Nella letteratura lo skill upgrading è misurato come un aumento della quota salariale della forza lavoro qualificata (skilled) sul totale del costo dei salari per settore oppure come un aumento del numero degli occupati skilled sul totale dell’occupazione.

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Si evince, quindi, come i risultati delle analisi sull’impatto dell’attività delle IMN sulla qualità dell’occupazione siano inconcludenti e spesso contraddittori; molta ricerca deve essere ancora svolta, sia sul piano della teoria che dell’evidenza empirica. (c) Impatto su intensità di lavoro Come visto, gli studi relativi all’impatto dell’attività delle IMN sull’intensità di lavoro della produzione domestica (Blömstrom et al., 1997; Mariotti et al., 2003) dimostrano che la crescita dell’occupazione all’estero riduce l’intensità di lavoro della produzione domestica nel caso di investimenti indirizzati verso i paesi meno sviluppati e caratterizzati da basso costo del lavoro (investimenti verticali). L’impatto risulta viceversa positivo nel caso di investimenti indirizzati verso i paesi avanzati (investimenti orizzontali).

(2) Effetti sul commercio - l’evidenza empirica Questo punto rinvia alla nota questione circa la relazione complementare o sostitutiva tra IDE e commercio estero (Jordan e Vahlne, 1981; Aitken et al., 1994; Lawrence, 1994 e 1996; Lipsey, 1994; Messerlin, 1995; UNCTAD, 1996; WTO, 1996). Per il caso italiano, si veda la rassegna in Mori e Rolli (1998).

Anche in questo caso, la maggior parte di studi empirici concerne il caso statunitense, con particolare riferimento alla relazione tra attività internazionale delle imprese USA ed esportazioni statunitensi nello stesso settore e verso lo stesso paese di destinazione. In particolare: - Bergsten et al. (1978) analizzano la relazione tra IDE statunitensi ed esportazioni USA

utilizzando pooled cross section data disaggregate per settore e paese di destinazione, e trovano una correlazione positiva che tuttavia decresce all’aumentare del livello di investimento estero. La spiegazione risiede nel fatto che in prima battuta la produzione internazionale può sostituire le esportazioni domestiche di prodotti che sono assemblati localmente; tuttavia questo viene più che bilanciato da un incremento nelle esportazioni dei prodotti intermedi e di altri beni finali; nel lungo periodo, tuttavia, le affiliate estere imparano e sviluppano competenze locali che sono meno dipendenti dai legami e dalle forniture della casa madre.

- Analogamente, Lipsey e Weiss (1981) analizzando la relazione tra esportazioni USA e vendite delle affiliate statunitensi all’estero (regressioni cross-country per ciascun settore produttivo) trovano che l’attività delle affiliate USA tende a promuovere le esportazioni dagli USA ma ad influenzare negativamente le esportazioni da altri paesi, mentre l’attività delle affiliate non statunitensi promuovono le esportazioni da altri paesi terzi. La produzione internazionale viene interpretata come un mezzo tramite il quale le grandi imprese oligopolistiche competono per le quote di mercato e, pertanto, stimolano le esportazioni dal proprio paese di origine mentre influenzano negativamente le esportazioni da parte di altri paesi.

- Più recentemente Brainard (1997) ha testato e verificato una relazione positiva tra IDE in uscita (misurata dalle vendite delle affiliate estere di IMN statunitensi) e le esportazioni USA, su dati cross section al 1989 relativi a 63 settori e 27 paesi. Sono invece molto pochi gli studi condotti a livello di singola impresa, principalmente a

causa della difficoltà di reperimento dei dati. Tra questi, merita menzione quello di Lipsey e Weiss (1984) che analizza la relazione tra le esportazioni della parent company USA in un certo settore e le vendite della propria affiliata estera nello stesso settore, al 1970. In particolare, si osserva che la produzione internazionale era correlata positivamente alle esportazioni di beni finali dagli USA, e che il legame è ancora più forte nel caso di beni intermedi. In modo analogo,

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Mucchielli et al. (2000), con riferimento a 421 IMN francesi, ottengono un risultato positivo di complementarietà tra le esportazioni complessive e l’investimento diretto all’estero (misurato dal numero di addetti nelle affiliate estere), nell’anno 1993. Tuttavia, distinguendo tra commercio intra- ed inter-firm (cioè con le proprie affiliate, piuttosto che con altre imprese locali), essi concludono a favore di una forte complementarità nel caso di intra-firm trade, e di un effetto di sostituzione nel caso di inter-firm trade. Più recentemente, Head e Ries (2001), utilizzando un campione panel comprendente 932 IMN giapponesi lungo un periodo di 25 anni (1966-1990), trovano che le impresse che incrementano i propri investimenti esteri registrano anche incrementi nelle esportazioni.

In sostanza, dunque, produzione internazionale e commercio sembrano concorrere insieme: l’investimento estero amplia la quota di mercato dell’impresa, ne rafforza la capacità/potenzialità di apprendimento su contesti e mercati nuovi, rafforzandone così anche le potenzialità/performance esportative (Cantwell, 1994).

Va peraltro segnalato che anche la decisamente ridotta evidenza relativa alle altre forme di delocalizzazione della produzione mostra un impatto positivo sulle performance esportative delle imprese. L’evidenza proposta in Baldone et al. (2002), ad esempio, rivela come la delocalizzazione tramite traffico di perfezionamento passivo (TPP) consente alle imprese di ridurre i propri costi e di essere dunque più competitive anche sui mercati internazionali. (3) Effetti sulla produttività - l’evidenza empirica Le analisi empiriche sono in questo caso condotte a livello di impresa. In altre parole, un’impresa che diventa multinazionale, ottiene dei benefici in termini di produttività? La risposta a tale questione porta con sé numerosi problemi metodologici di non facile soluzione quali l’analisi della causalità (la maggiore produttività è un effetto oppure è la causa dell’internazionalizzazione? Le imprese multinazionali diventano più produttive, oppure è proprio perché sono più produttive che riescono a superare gli ostacoli per diventare multinazionale?) o la ricerca di un controffattuale adeguato (cosa sarebbe successo se l’impresa non fosse diventata multinazionale?). La ricerca in questo campo è ancora piuttosto lacunosa, soprattutto a causa della carenza di dati a livello di impresa e disponibili per stringhe temporali sufficientemente lunghe. I pochi studi esistenti (si veda il capitolo 9 in Barba Navaretti e Venables, 2004), tuttavia, evidenziano effetti più positivi che negativi.

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Tabella 1 EFFETTI SUL PAESE OSPITE (I = IMPRESA; J = SETTORE) – EVIDENZA EMPIRICA HOST Autori Paese/periodo IDE Variabili esplicative Segno (1) Effetti sulla forza lavoro Skill intensity Girma e Gorg (2003) UK/1980-94, (i) IDE-acquisizione IDE da USA (+) per skilled IDE da EU o altri Paesi (-) per unskilled; (+) per skilled settore (+) per unskilled in elettronica

acquired da EU firms;

Blonigen e Slaughter (1999) USA/ 1977-1994, (j) IDE Skill upgrading/salari IDE IN Impatto non significativo IDE IN giapponesi (-) IDE IN greenfield (-) Skill-biased technological change (SBTC) IDE IN Impatto non significativo Wages Feliciano e Lipsey (1999) USA/1987-1991 (j) IDE IDE Non sign. (settore

manifatturiero)

Figlio e Blonigen (1999) South Carolina/1980-1985 (county-level panel data)

IDE MNE

Local labour market (wage) MNE (+) Livello e distribuzione dei budgets del governo locale MNE (+) Driffield (1999) In direct employment effects UK/1986-1989; 1989-1992 IDE IDE, MNE (-), substitution Wages MNE (+) aumento dei salari Productivity (v.a.) Foreign employment (-) Taylor e Driffield (2002) Wage dispersion UK manufacturing/1983-1992 IDE IDE, MNE (+) Technology (+) Trade (+) (2) Effetti sulla produttività Total factor productivity (TFP) Altomonte e Pennings (2005) Romania/1995-2001, (j) IDE IDE-breve periodo (+) IDE-lungo periodo (aumento del no.

IDE nel settore e regione) (-) competition effect

settore (+) se no. limitato IDE Regione Non sign. Anno (+) verso (-)

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Tabella 1 EFFETTI SUL PAESE OSPITE (I = IMPRESA; J = SETTORE) – EVIDENZA EMPIRICA HOST Autori Paese/periodo IDE Variabili esplicative Segno Productivity domestic plants Aitken e Harrison (1999) Venezuela 1976-1989 Quota IDE nello stesso settore (-) Productivity domestic plants Haddard e Harrison (1993) Marocco/1985-1989 (i) IDE IDE nello stesso settore Non c’è evidenza di spillovers

positivi

Total factor productivity (TFP) Castellani e Zanfei (2005) Italia/ 1996-2000, (i) IDE MNE straniere (-) per le imprese italiane nello

stesso settore

Aumento dello stock in R&D (+) Aumento dello stock in non-R&D Non significativo Collaborazione MNE-imprese italiane

(stesso settore) (+)

Cooperazione tecnologica MNE_imprese italiane (stesso sett)

(+)

presenza MNE_ lungo periodo (+) presenza MNE_ breve periodo (-) MNE con attività innovative (R&D e

cooperazione tecnologica) (+)

Produttività (home e foreign affiliates) Fors (1997) Svezia/1965-70; 70-74; 74-78; 86-90, (i) IDE spesa in R&D -trasferimento

dall'impresa madre alle affiliate estere

(+)

trasferimento dalle affiliate dall’ host all'Home

(-)

trasferimento dalle affiliate dall’host all'Home - breve periodo

(+)

Produttività (home e foreign affiliates) Mansfield (1984) USA/chimica e petrolio, (i) IDE trasferimento dalle affiliate dall’host all'Home - breve periodo

(+)

trasferimento dalle affiliate dall’host all'Home - lungo periodo

(-) imitazione da parte delle imprese straniere

Productivity spillovers Haskel et al. (2002) UK manufacturing/ 1973-1992 (i) IDE; MNE TFP domestic firms MNE (+) Technological upgrading /productivity spillover (review) IDE maggiore productivity gap (+) technology transfer,

productivity spillover

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Tabella 1 EFFETTI SUL PAESE OSPITE (I = IMPRESA; J = SETTORE) – EVIDENZA EMPIRICA HOST Autori Paese/periodo IDE Variabili esplicative Segno Multinational’s linkage effect Rodriguez-Clare (1996) Modello teorico/backward e forward

linkages MNE in developing countries IDE MNE (+) per host country developed

IDE MNE che utilizzano tecnologie che adottano beni interrnedi

(+)

Alfaro e Rodriguez-Clare (2004) America Latina/1990s4 (i) MNE Multinationals’ linkage potential MNE (+) maggiore per le MNE; simile

per le MNE e le imprese locali in Messico

Technology spillover Blalock (2002) Indonesia/1988-1996 (i) IDE IDE (vertical supply chain) (+) Externalities-spillovers Bartelsman et al. (1994) USA/1958-1986, manufacturing

industry I-O tables Intermediate goods linkages (+) lungo periodo

Hubert e Pain (2000) UK manufacturing/1983-1992 (j) Technical progress MNE (+) Labour productivity MNE (+) Imports MNE (+) Domestic R&D expenditures MNE (+) In generale, spillovers MNE (non-EU countries) (++) Across-industry spillovers MNE (+) Customer linkages (+) breve periodo (3) Effetti sulle esportazioni minore productivity gap (+) absorptive capacity Export spillover Kneller e Pisu (2005) UK/1992-1999 IDE e export presenza di imprese locali negli stessi

regione e settore (+)

Orizzontali (intra.-industry) e verticali (inter-industry) spillovers

affiliate straniere export-oriented (+)

export da più anni (+) non exporters limitatamente presenza di MNE straniere (orizz e

verticali) (+) (i.e. orizz)

4 Brasile (1997-2000); Venezuela (1995-2000); Messico (1993-2000); Cile (1987-1999).

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Tabella 1 EFFETTI SUL PAESE OSPITE (I = IMPRESA; J = SETTORE) – EVIDENZA EMPIRICA HOST Autori Paese/periodo IDE Variabili esplicative Segno export MNE (+) presenza MNE (+) se MNE in downstream

industries

(4) Effetti sulla crescita Endogenous long-run growth rate (via Technological spillovers)

Baldwin et al. (1999) 9 Paesi OECD-sviluppati/1979-1991/ industria manifatturiera (j)

IDE - MNC R&D spending (+)

Labour productivity growth (crescita di v.a. per addetto) MAR (Marshall-Arrow-Romer), cioè intra-industry spillovers, non collegati agli IDE

(+)

Spillovers delle conoscenze Mariotti (2002)

Rassegna IDE (+)

(5) Effetti sull’entrata di nuove imprese domestiche Entry of indigenous firms Görg e Strobl (2002) Irlanda/1972-1995 (j, manifatturiero) IDE Foreign MNE (+), nel medesimo settore, in

particolare downstream

Età Non sign. Minimum efficient scale Non sign. Net growth rate Non sign. Dimensione del settore (-) Entry of indigenous firms Görg e Strobl (2005) (vedi sopra)

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Tabella 2 EFFETTI SUL PAESE DI ORIGINE (I = IMPRESA; J = SETTORE) – EVIDENZA EMPIRICA HOME Autori Paese/periodo IDE/outsourcing Variabili esplicative Segno (1) Effetti sulla forza lavoro (i) livelli assoluti occupazione i (manifatturiera) Blomstrom e Kokko (2000)/paper

descrittivo-rassegna Svezia (1986-1994) IDE

Baldwin (1995)/paper descrittivo-

rassegna

i (manifatturiera:tessile-abbigliamento, meccanica)

Barba Navaretti et al. (1999) Italia/1990-1997 IDE IDE (+) meccanica

(-) tessile-abbigliamento i (manifatturiera) Barba Navaretti e Castellani

(2003) Italia/1993-1998 IDE IDE Non sign.

j (industria/provincia) Federico e Minerva (2005) Italia/1996-2001 IDE IDE (+) Alto grado di specializzazione (-) IDE orizzontali (+) IDE verticali Non sign. IDE verso altri paesi5 Non sign. i (manifatturiera-made in Italy; campione di 102 imprese) - analisi qualitativa

Savona e Schiattarella (2005) Italia (Veneto)/1996-1998 Delocalizzazione internazionale (outsourcing)

Delocalizzazione internazionale Non sign.

i (manifatturiera)/differenze salariali Becker et al.(2004) Germania/1989-2001 IDE IDE (-) i (manifatturiera)/differenze salariali Becker et al. (2005) Germania/2000 e Svezia/1998 IDE IDE orizzontali (-) IDE verticali Da (-) nel breve periodo a (+) nel lungo j (manifatturiera)/differenze salariali Bruno e Falzoni (2003) USA/1982-1994 IDE IDE orizzontali (Europa e Nord America) (-) IDE verticali (America Latina) (-) breve periodo (+) lungo periodo i (manifatturiera)/differenze salariali Brainard e Riker (1997) USA/1983-1992 IDE IDE orizzontali (-)

5 Paesi di piccole dimensioni (i.e. Lussemburgo e Bermuda).

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Tabella 2 EFFETTI SUL PAESE DI ORIGINE (I = IMPRESA; J = SETTORE) – EVIDENZA EMPIRICA HOME Autori Paese/periodo IDE/outsourcing Variabili esplicative Segno i (manifatturiera)/differenze salariali Braconier e Ekholm (2000) Svezia/1970-1994 IDE IDE orizzontali (-) IDE verticali Non signif. i (manifatturiera)/differenze salariali Konings e Murphy (2001) Europa/1994-1998 IDE IDE orizzontali (-) IDE verticali (-) scarsamente sign. Province/Made in Italy Savona e Schiattarella (2004) Italia/1991-1996 Outsourcing Aumento addetti settore servizi Aumento degli occupati nel settore dei servizi

Outsourcing/provincia

(+)

- servizi tradizionali:trasporto, commercio, finanza, ...

Outsourcing/provincia

(++)

- per business services, ingegneria, R&S, software - servizi innovative

Outsourcing/provincia

(-)

(ii) intensità di lavoro i (manifatturiera) Blomstrom et al. (1997) Svezia (1970-1994) e USA

(1989) IDE IDE USA (in generale, produzione all’estero) (-)

IDE USA orizzontali (+) IDE USA verticali (-) IDE Svezia (in generale, produzione all’estero) (+) IDE Svezia orizzontali (-) IDE Svezia verticali (++) j (industria/regione) Mariotti S. et al., (2003) Italia (regione industriale)/

1985-1995 (breve periodo) IDE DELTA prod: variazione del v.a.prodotto nella

regione i (+)

DELTA PROD(2): tiene conto delle economie di scala

Non sign.

DELTA EMPL: variazione nel No. di addetti nelle affiliate straniere come proxy della variaz. Del v.a. prodotto all'estero dalle suddette affiliate

IDE orizzontali (ADV) (+) mono e pluri regionali

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Tabella 2 EFFETTI SUL PAESE DI ORIGINE (I = IMPRESA; J = SETTORE) – EVIDENZA EMPIRICA HOME Autori Paese/periodo IDE/outsourcing Variabili esplicative Segno

IDE vertic. (DEV_EAST) (-) mono-regionali (iii) skill upgrading J (manifatturiera) Slaughter (2000) USA/1977-1994 IDE IDE (no distinzione tra orizz. E vert.) Non sign. i (manifatturiera) Head e Ries (2002) Giappone/1965-1990 IDE IDE verticali (+) IDE orizzontali (-). j (manifatturiera) Giappone/1971-1989 IDE orizzontali Non sign. IDE verticali Non sign. i (manifatturiera) Hansson (2004) Svezia/1990-1997 IDE Spesa in R&S/quota v.a. (+) Changes in physical capital Non sign. Variazione v.a. (-) IDE orizzontali Non sign. IDE verticali (1993-97) (++) j (manifatturiera) IDE verticali (+), in non-OECD countries IDE orizzontali Non sign. Import da Paesi non OECD (+) Spesa in R&S/quota v.a. (+) Changes in physical capital Non sign. Riduzione della produzione at home (+) Aumento v.a. (-) J (manifatturiera) Falzoni e Grasseni (2003) Italia/1993-1997 IDE orizzontali (+) IDE verticali (+) i (manifatturiera-made in Italy; campione di 102 imprese) - analisi qualitativa

Savona e Schiattarella (2005) Italia (Veneto)/1996-1998 Delocalizzazione internazionale (outsourcing)

Delocalizzazione internazionale (+)

i (manifatturiera) Bernard e Jensen (1997) USA/1976-1987 Export Export (+) i (manifatturiera:tessile-abbigliamento, meccanica)

Barba Navaretti et al. (1999) Italia/1990-1997 IDE IDE (+)

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Tabella 2 EFFETTI SUL PAESE DI ORIGINE (I = IMPRESA; J = SETTORE) – EVIDENZA EMPIRICA HOME Autori Paese/periodo IDE/outsourcing Variabili esplicative Segno

j (manifatturiera) Feenstra e Hanson (1996) USA/1972-1990 Outsourcing Outsourcing (+) (n. di non production workers)

(leggermente (-) ) (salario annuale dei non production)

j (manifatturiera) Feenstra e Hanson (1999) USA/1979-1990 Outsourcing Outsourcing (+) Cambiamento tecnologico (spesa) (+) Feenstra e Hanson

(2001)/rassegna

j (manifatturiera) Strauss-Kahn (2003) Francia/1977-1993 Outsourcing Vertical specialization (+) Progresso tecnologico (+) j (manifatturiera: textile e non-electrical machinery)

Anderton e Breton (1999) UK/1970-1986 Outsourcing Outsourcing (+), riduzione low-skilled labour

Import dai paesi a basso costo del lavoro (+), riduzione low-skilled labour Import dai paesi industrializzati Non sign. j (manifatturiera) Geishecker (2005) Germania/1991-2000 Outsourcing Vertical outsourcing (+), riduzione low-skilled labour , almeno

nel breve periodo

j (manifatturiera) Helg e Tajoli (2004) Italia/1988-1996;

Germania/1993-1997 Outsourcing (TPP - traffico di perfezionamento passivo

Outsourcing (+) Italia

(-) Germania R&S Non sign. Italia; (+) per Germania Capital intensity (-) per Italia; (+) per Germania Production (-) per Italia; (+) per Germania j (manifatturiera) Hijzen et al. (2004) Gran Bretagna / 1982-1996 Outsourcing Outsourcing (-) per unskilled workers

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Tabella 2 EFFETTI SUL PAESE DI ORIGINE (I = IMPRESA; J = SETTORE) – EVIDENZA EMPIRICA HOME Autori Paese/periodo IDE/outsourcing Variabili esplicative Segno R&D activities (+) per skilled workers j (made in Italy- filiera) Schiattarella (1999) Italia/1997 Outsourcing Outsourcing (+) Analisi descrittiva (2) Effetti sulla Produttività i (manifatturiera)/TFP Falzoni e Grasseni (2005) Italia/1993-97 IDE IDE (per le imprese meno produttive) (-) non sign. Per Ide orizz in

Europa; o vert. In Asia e Est Europa

IDE orizzontali (per imprese con una produtt. alta)

(+)

IDE verticali (-) - non sign. per imprese con alta produtt.

Età (+) - non sign. per imprese presenti sui mercati esteri da più tempo

Numero di IDE (+) R&D (+), per le imprese con

maggiore produttività

Settore Non sign. j (manifatturiera)/labour productivity IDE orizzontali (per imprese con una produtt.

alta) (+)

IDE orizzontali (per imprese con una produtt. bassa)

Non sign.

IDE verticali (-) per Est Europa Età (+) R&D (+), per le imprese con

maggiore produttività

i (manifatturiera)/TFP, output growth (sales)

Barba Navaretti e Castellani (2003)

Italia/1993-98 IDE IDE (+)

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Tabella 2 EFFETTI SUL PAESE DI ORIGINE (I = IMPRESA; J = SETTORE) – EVIDENZA EMPIRICA HOME Autori Paese/periodo IDE/outsourcing Variabili esplicative Segno i (manifatturiera) Girma et al. (2004) Irlanda/2000 IDE Labour productivity IDE (+) Profitability IDE (+) j (tessile e abbigliamento)/ costo del lavoro per unità di prodotto in Italia

Baldone et al. (2002) Italia/1996-97 Outsourcing/TPP TPP - Est Europa (+)

i (manifatturiera) Debaere e Lee (2004) Sud Korea/1980-1999 IDE IDE orizzontali (+) Production upgrading IDE verticali (-) Productivity IDE orizzontali (-) IDE verticali (+)

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