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CAPITOLO SECONDO

IL DOMINIO DI LUCKY LUCIANO

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1. Il Convegno di Palermo dovette valu-tare due elementi fondamentali iper la nuo-va organizzazione mafiosa nel contrabbandoe nel traffico degli stupefacenti: la rilut-tanza dei vecchi bosses della mafia del feu-do che erano arrivati all'urbanesimo <su'l-l'onda del boom edilizio e della speculazio-ne e l'esperienza che nel decennio prece-dente aveva avuto il suo centro propulsorein Lucky Luciano.

Lo stesso atteggiamento di sospetto e didiffidenza che intorno agli anni '30 ebberoi capi famiglia di « Cosa Nostra » verso iltraffico degli stupefacenti, pressati dalle nuo-ve leve — Bonanno, Luciano, Genovese —che si facevano sempre più pericolose edagguerrite, agitava, intorno alla metà deglianni '50 i patriarchi della mafia siciliana.

Gli stupefacenti non potevano entrare nel« giro » dell'organizzazione siciliana perché,come sosteneva il saggio Genco Russo, « trop-pi cani erano sullo stesso osso » e questo ge-nerava rivalità, conflitti, clamori, sensibiliz-zazione dell'opinione pubblica, alienazionedella simpatia delle « autorità ». E poi nonera mercé che interessava la Sicilia, né d'Ita-lia. Andare a cercare guai quando i grandiprofitti dell'edilizia, dei mercati e la gestionedi alcuni rackets rendevano bene, non erasaggio, né opportuno.

Ma l'esortazione contraria degli « america-ni » era pressante: la organizzazione non po-teva abbandonare un'iniziativa che aveva da-to enormi profitti e che aveva forza coagu-lante delle « famiglie » americane, e la par-te siciliana era necessaria per 'lo sviluppodel traffico e il rafforzamento del poteremafioso, che, in questo campo, .doveva farei conti con altre potenti organizzazioni inter-nazionali.

Chiusa la via di Cuba non rimaneva altro,per fare entrare la droga negli USA, chel'organizzazione siciliana, come base di ap-poggio e smistamento e come garanzia con-tro eventuali sofisticazioni del prodotto. Laripresa dei traffici marittimi ed aerei versoil Nord Atlantico e l'imponente massa diviaggiatori ed emigranti consentivano facil-mente, attraverso le mille escogitazioni del-la furbizia, di fare entrare forti quantitatividi eroina negli USA, ma alla sola condizioneche fosse efficiente la 'base di appoggio, cioèl'organizzazione mafiosa siciliana.

« La riunione dell'albergo delle Palme —scrive il giudice istnittorc Vigneri nella suasentenza del 31 gennaio 1966 — decise, nelquadro generale di programmi criminosi dicosa nostra, con l'avallo di Giuseppe GencoRusso, capo della mafia della Sicilia, di Lu-cania Salvatore, capo della famiglia Geno-vese, e di Santo Sorge, rappresentante delsindacato di « Cosa Nostra », la costituzionein Palermo di un gruppo operativo della fa-miglia Bonanno alle dirette dipendenze diFrancesco Garofalo con la partecipazionedella mafia 'di Partinico e di Castellamaredel Golfo, particolarmente collegata alla fa-miglia di John Priziola e del Bonanno qua-si interamente costituita da mafiosi origi-nari di tale località ».

« Rivelatore — dice ancora la sentenza —del collegamento tra le predette riunioni edel loro riferimento al traffico deilla droga,è anche il fatto che il Bonanno Giuseppe,il Bonventre Giovanni e il Galante Camilloparteciparono a ciascuna di esse e che pro-prio il Galante successivamente venne arre-stato assieme al Di Palermo Joseph pre-sente alla riunione di Binghamton, pro-prio per conspiracy e condannato nel 1962

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dalla Corte federale di New York ad annidi reclusione ».

Gli « sconosciuti » partecipanti al summitpalermitano dovevano senza dubbio rappre-sentare le nuove esigenze di espansione deitradizionali interessi mafiosi, perciò la loropresenza giocava un ruolo determinante perfare accogliere la posizione « americana ».

Questi « sconosciuti » saranno i protago-nisti delle successive vicende degli anni 60che si imperniarono proprio sugli interessidel traffico della droga e che vedranno scon-tri armati tra le fazioni (i Greco contro LaBarbera, questi contro Torretta), fino aquando, come succede nelle cose manose,non si stabilizzerà l'equilibrio a favore delpiù audace e del più forte, in questo caso iGreco, con qualche satellite sulla loro orbita.

Se si fossero conosciuti i nomi di quegliignoti personaggi, molte vicende degli annisuccessivi avrebbero avuto più facile spie-gazione e gli atti criminosi perpetrati avreb-bero potuto essere prevenuti o meglio com-battuti.

2. La necessità di espandere gli interessidell'organizzazione mafiosa ad un più razio-nale sfruttamento del filone del contrabban-do e della droga, era, poi, completata daidati acquisiti nel decennio precedente al1957, nel quale si erano mietuti a piene ma-ni profitti enormi, praticamente senza cor-rere alcun rischio.

In un Paese come l'Italia, che non cono-sceva il problema dell'uso e quindi dellospaccio degli stupefacenti, che non valutaval'importanza dei traffici illeciti ai fini diprevenire una criminalità sempre più spie-tata che traeva alimento dalla droga, pervia diretta od indiretta, uomini di grandeesperienza e di consumata abilità come LuckyLuciano, Adonis, Sorge, vi guazzavano a pro-prio agio. Non solo ma avevano gettato lereti per pescare quelle relazioni socialiche ipoi avrebbero avuto, come vedremo, lafunzione di 'scudo, molto robusto, per pro-teggere i protagonisti da azioni di disturbo,che prima timidamente, poi con maggiorvigore alcuni organi di polizia tentarono perfermare le ramificazioni di un'organizzazio-

ne del crimine che acquisterà, nel tempo,sempre maggiore pericolosità.

A questo fine si deve rilevare che l'azionedi aggancio con il « potere » ufficiale o no,non avviene, o avviene solo in parte, secon-do la vecchia prassi mafiosa cioè con quellamolteplicità di rapporti di « comparaggio »di do ut des, di servizi reciproci ed ami-chevoli, che sono nella tradizione siciliana,ma deve 'seguire altre vie, perché, dovendoattecchire in regioni diverse per costume ementalità dalla Sicilia, diversi devono esse-re i metodi.

Non è casuale perciò, che i tre « grandi »approdano in regioni strategicamente lonta-ne (Campania, Lazio, Lombardia) e vi siradicano 'Stabilmente, quando avrebbero po-tuto trovare ospitalità più calorosa e sicurain Sicilia.

C'è, quindi, una diversificazione di com-portamento nei rapporti col « potere » eduna estrema adattabilità dell'organizzazionemafiosa a situazioni e condizioni diverse daquelle tradizionali siciliane.

In Sicilia, il rapporto mafia-potere è riccodi sottintesi, di ammiccamenti e sfumatureche non hanno bisogno di esplicazioni, diuna reciprocità di rapporti ammantati sem-pre da grande rispetto verso « l'autorità ».Un ^mondo tradizionale che sa fare le cose,anche senza dirle.

Noi non sappiamo fino a che punto il Sin-daco di Palermo fosse a conoscenza dellemanifestazioni che, in occasione di un 'suoviaggio negli USA nel 1961, «Cosa Nostra»gli preparava.

Nel corso delle indagini del giudice istrut-tore Vigneri veniva rinvenuta nel domiciliodi Martinez Vincenzo, noto trafficante distupefacenti, una lettera con la quale un tale« Francesco » lo incaricava di recarsi all'ae-roporto di New York insieme con un gruppodi « ottimi cittadini » per -ricevere il Sin-daco, di preparare l'arrivo con un po' dipubblicià nel giornale e di pregare il « Pa-pavero » di invitare il Sindaco a qualche« schitticchio » (divertimento) così come eraavvenuto per altri eminenti cittadini. L'or-ganizzazione doveva affidare il compito dipreparare l'accoglienza amichevole e calo-rosa per il Sindaco ad Angelo Coffaro e ai

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Gambino. Il primo è conosciuto negli USAcome Frank Somma e segnalato dalla po-lizia americana quale associato alla « fami-glia » Gambino. Il suo nome lo ritroveremocome il solo dipendente della Società « Medi-terranean Metals S.p.A. », costituita a Pa-lermo nel 1961 da Santo Sorge, che nonsvolge alcuna attività, salvo quella di chie-dere un finanziamento di 2 miliardi e 700milioni alla Società finanziaria siciliana(So.Fi.S.) di proprietà della Regione.

Insomma, isiamo nel filone tradizionale,nel modo discreto ed accorto di capirsi tra« uomini di rispetto » ed « autorità ». Pro-babilmente il Sindaco di Palermo non avevacontrattato, né contattato per avere quellemanifestazioni calorose, ma quando le avràricevute vedrà « gli amici » che si .sono inte-ressati per onorarlo e tanto basta. Poi, ma-gari a distanza di tempo, gli arriverà qual-che segnalazione, fatta con molto rispetto,a favore di qualcuno, che merita anche con-siderazione.

Nell'agenda sequestrata a Magaddino Giu-seppe nel corso dell'istruttoria Vigneri erasegnato il seguente appunto: « Dottor Ca-logero Traina, ex sindaco di Caltanissetta,consigliere del Banco di Sicilia. Impegnarloa favore di Man'lio Rizzoni per la nomina aVice direttore generale ». Forse la personada raccomandare merita di occupare il po-sto, ma se ci arriva deve sapere di doveressere grato agli « amici ». Poi, a distanzadi tempo, vedrà che quella gratitudine esi-gerà delle contropartite, che prese a sé, cioèisolate dal complesso intreccio in cui simuovono, possono anche tranquillizzare lacoscienza di chi deve favorirle, perché nonrivelano niente di illecito; ma si tratta solodi un alibi.

Magaddino Giuseppe, per esempio avràsicuramente bisogno di un « amico » al po-sto di Vice direttore generale del Banco diSicilia, perché lavora molto e bene con lebanche.

È un grosso imprenditore edile, e fa muo-vere ingenti capitali tanto che nel quinquen-nio 1960-64 ha versato 'somme per lire 380milioni circa in conti correnti delle quattrobanche siciliane. Ed è anche « uomo di ri-spetto » perché figlio di Magaddino Gaspa-

re riconosciuto capo di una delle mafie piùpotenti, quella di Castellammare del Golfoe genero di Plaia Diego, altro notevole espo-nente mafioso.

Anche il ruolo che gli attribuisce il giudi-ce istruittore Vigneri rientra nella logica del-le « cointeressenze mafiose ». Egli — scrivein .sentenza — in seno all'associazione ma-nosa ha 'svolto un ruolo di copertura delleattività illecite del padre e del suocero con-sentendo a costoro di mimetizzare parte de-gli ingenti guadagni realizzati, dietro loschermo dei movimenti di denaro connessiall'attività di imprenditore edile.

Salvatore La Barbera appena pronunciaverbo ottiene dal municipio di Palermo lalicenza per la gestione di una pompa di ben-zina a favore di un suo amico Joe Imperiale(cfr. sentenza Vigneri, p. 72).

Ebbene, i « grandi » che rientrano in Ita-lia, rifiutano di vivere in Sicilia, coperti daquesta enorme ragnatela di complicità e sta-biliscono il proprio domicilio lontano, ingrandi città, nelle quali non solo non esistel'intreccio mafioso, ma è difficile iniziarnel'orditura perché non vi è un solo elementoidoneo, ambientale o personale, della tra-dizionale struttura mafiosa.

Il Sottocomitato della nostra Commissio-ne d'inchiesta ha potuto rilevare, nel corsodelle indagini compiute ed alla luce degliavvenimenti accaduti, che le scelte dei gran-di bosses rispondevano ad esigenze stra-tegiche precise, freddamente calcolate, esfuggirono del tutto, per circa un decennio,alla valutazione degli organi della sicurezzapubblica, malgrado nel frattempo fosseroaccaduti fatti di enorme rilevanza, per daregià contorni abbastanza significativi al di-segno criminoso della mafia.

Anzitutto vi era stato un profondo muta-mento negli interessi dell'organizzazione rna-fiosa americana rispetto a quella siciliana.

Pur conservando i tradizionali rapportidi reciproca assistenza « Cosa Nostra » sottola guida di Genovese e Luciano aveva allar-gato le azioni operative al traffico illecitodegli stupefacenti e, come è noto, alla dro-ga si accompagna, quasi sempre, il trafficodi valuta, dei preziosi, delle armi e la trat-ta delle bianche.

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L'organizzazione siciliana non era ancoraarrivata a tanto; la sua estensione era pe-netrata nel tessuto urbano ed in quello deimercati, ma non andava al di là del proprioterritorio tradizionale, cioè la Sicilia occi-dentale.

Se Luciano nel 1946 fosse rimasto a Paler-mo sarebbe 'Stato invischiato, malgrado lasua statura di boss, nel momento più tur-binoso e per lui meno opportuno, in avveni-menti di assestamento e di scelta del mon-do mafioso — il 'separatismo, in lotta con-tro il movimento contadino quando tentavala riscossa dal feudo, la alleanza monarchi-co-liberale dall'incerto avvenire — che perlui rappresentavano momenti di retroguar-dia, rispetto agli interessi di cui era portato-re. La difesa del feudo, delle sue arcaichestrutture e del suo crudele sfruttamento del-le masse, non solo non poteva interessareLuciano, ma rischiava di compromettere imovimenti che intendeva fare nelle giustedirezioni. Si sarebbe esposto ad un maggio-re controllo da parte delle forze di sicurez-za, ed avrebbe dovuto contrattare il suo pia-no con l'organizzazione locale che non eranelle condizioni di sostenerlo. Al massimoconsentirà, per preparare il terreno e perun doveroso atto di rispetto, di fare una so-cietà per la produzione e l'esportazione diconfetti con il vecchio patriarca della mafiasiciliana, Don Calogero Vizzini.

3. Quando nell'aprile del 1947 Lucianorientra in Italia, dopo la parentesi cubana,si trova nella condizione ideale per operarein un settore, quello della droga, nel quale luiè un esperto di fama internazionale, men-tre in Italia esiste — come «dirà Mr. Gofferyal Sottocomitato McClellan — « il vuotoassoluto ».

In questo vuoto trovano facile realizzazio-ne le prime tre direttrici cui si ispira Lu-ciano per l'impianto e lo 'sviluppo delle or-ganizzazioni mafiose del traffico del'la droga:

1) utilizzare i corrieri più sperimentatinegli USA;

2) prendere la droga in Italia là dovesi produce, attraverso contatti con 'gruppiindustriali del Nord;

3) preparare le basi per concentrare inItalia tutte le operazioni di acquisto dellaeroina e del suo avvio verso gli USA.

Il primo contatto di Luciano con l'Italia,nel febbraio 1946 in seguito alla oscuraespulsione dagli USA, dovette essere scon-volgente per il gangster siculo-americano.Un Paese distrutto con miserie e rovine do-vunque, trasporti, produzione, commerciosconvolti, non era il posto adatto .per qual-siasi operazione illecita che avesse come suofondamento l'accumulazione di .grandi pro-fitti. Perciò Luciano tenta l'avventura cuba-na: da Cuba, ove approda già nel giugno1946, dopo avere ottenuto dal Sindaco diVillabate (Palermo), Francesco D'Agati, no-to esponente mafioso, i documenti necessa-ri per l'espatrio, gli è più facile dirigere ivecchi interessi negli Stati Uniti. Ma il Go-verno americano che conosce la pericolositàdi Luciano vigila ed ottiene il suo rimpa-trio in Italia nell'aprile del 1947. È gioco-forza, quindi, guardare all'Italia e cercaredi organizzarsi.

Luciano non perde tempo: in un rapportoinviato, nell'agosto 1954, dall'agente ameri-cano dell'ufficio narcotici Charles Siragusaal Questore di Napoli dottor Giorgio Florida,così è scritto: « nel gennaio 1951 arrivati inEuropa con un incarico speciale. A quell'epo-ca ero in contatto e mi abboccavo con un al-tro confidente, certo C. P.

Quest'uomo mi disse di essere ottimoamico di Joe Pici; che Pici gli disse che egli(Pici) lavorava per Lucania alla direzione deltraffico di stupefacenti in Italia. La stessafonte mi fornì anche l'indicazione che du-rante il 1949 Joe Pici aveva fatto entrareclandestinamente una grande partita di eroi-na negli Stati Uniti, dove era a sua voltaentrato clandestinamente.

Pici ritornò poi in Italia, dove rimase ri-prendendo il traffico di stupefacenti sottola direzione di Lucania ».

L'affare Pici-Callace (i fatti sono riportatinella prima relazione del Sottocomitatoall'allegato 1, lettera a) viene scoperto dal-la Guardia di finanza nel 1950; Luciano vieneincluso nel rapporto di denunzia, ma ne esce

i indenne. Del resto l'anno prima (1949) era

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uscito ugualmente indenne -dall'affare Tru-pia: anzi la Questura di Roma lo aveva rim-patriato con foglio di via obbligatorio e dif-fidato a norma dell'articolo 157 della leggedi pubblica sicurezza, come un qualunqueladro di polli!

Così in poco più di due anni Luciano ave-va realizzato il suo primo obiettivo, traen-done una prima importante considerazione:in Italia praticamente non correva alcun ri-schio, salvo qualche seccatura come quelladi essere interrogato e diffidato.

Forse -reso audace dall'impunità, Lucianoriesce a manovrare l'« affare » Bonanno-Cala-scibetta (anch'esso riferito all'allegato A).Agli inizi del 1950 con estrema abilità,entra in contatto con ambienti industrialidel nord e vi rimane in dimestichezza. LaSocietà Schiapparelli, la Società SACI delcommendator Egidio Calascibetta, la RAM-SA, la SAICOM sono tutte imprese che godo-no largo credito negli ambienti finanziari mi-lanesi, ed i loro titolari sono amministratoriche intrattengono rapporti di amicizia e re-ciproca considerazione con Luciano, sonopersonaggi che « contano » nel mondo eco-nomico.

Il professor Guglielmo Bonomo, titolarealla cattedra di chimica dell'Università sta-tale di Milano e responsabile della SAICOMha avuto in un solo anno la disponibilitàdi 450 Kg. di eroina, un quantitativo enor-me e di enorme valore, una fonte preziosache Luciano utilizza, ai suoi scopi, fino al-l'esaurimento.

L'affare viene scoperto dal FiB.I. ima siconcluderà senza danno sia per Luciano cheper Calascibetta.

Charles Siragusa deponendo davanti allaCommissione senatoriale americana per i cri-mini definisce Luciano « il re degli spac-ciatori della droga o almeno membro 'della•famiglia reale » e preciserà in un rapportomemorandum all'Ufficio narcotici dell'8 .mag-gio 1954: « Ero arrivato a questa conclusio-ne dqpo le indagini svolte sul caso Pici-Cal-lace e sul caso Calascibetta ».

E gli organi di sicurezza italiani a qualeconclusione pervengono? Che provvedimentiadottano, sia di prevenzione che di repres-

sione, per controllare, limitare od impedireJe azioni criminose di cui Luciano è prota-gonista e grande regista?

Si riproduce, anche nei confronti di Lu-ciano, lo stesso fenomeno di scarsa sensi-bilità, di trascuratezza, di compiacenza chegià si è notato rispetto al modo di combat-tere l'organizzazione manosa in Sicilia inquegli anni.

È certo che il personaggio per la sua in-traprendenza e per la fama che lo precedenon può sfuggire all'attenzione degli orga-ni di polizia anche perché ciascuno di essi,seppure in modo disorganico, senza cioè sa-pere delle indagini che l'uno svolgeva adinsaputa dell'altro, si era imbattuto fin dal1949 nella losca attività del gangster. Peresempio nel 1949 la Questura di Genovaaveva arrestato Joe Pici in seguito alla sco-perta « di una prima ramificazione di traf-ficanti internazionali di stupefacenti » risa-lente a Luciano.

Charles Siragusa, che era stato in Italiafin dal 1951 ed aveva collaborato con gli or-gani italiani di polizia, nel rapporto memo-randum del 1954 così descrive la situazione:« Luciano non era mai sottoposto a vigilan-za 24 ore su 24 ore; risultava da ripetuteindagini da me condotte negli archivi dellapolizia italiana a Roma che le loro indaginisi limitavano a rapporti provenienti dallaQuestura di Napoli circa le sue partenze edi suoi ritorni, a rapporti occasionali fornitidalle Questure di altre città italiane, rela-tivi al fatto che Luciano aveva preso allog-gio in questo o in quell'albergo ».

Più oltre precisa che « il telefono di Lu-ciano non era stato sotto controllo e che leindagini della polizia italiana non si eranosvolte in modo approfondito, secondo i mieicriteri ed i miei metodi, e il fatto che Lu-ciano non fosse stato ancora incriminato pertraffico di droga non implicava necessaria-mente che non fosse attivamente impegnatoin quel traffico o in altre attività illegali ».

Malgrado la collaborazione con il detec-tive americano, la polizia italiana dovevaavere altre idee o era ispirata da altre con-siderazioni se è vero che nel 1950 rilasciòa Luciano il regolare passaporto, che — si

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deve notare — in quel periodo non venivadato con molta accondiscendenza a cittadi-ni incensurati; poi nel 1954 « dietro mioconsiglio — dice C. Siragusa — il Governoitaliano revocò il passaporto a Luciano »(dal volume Lucky Luciano, op. cit., pag. 466).

Nell'agosto 1954 Charles Siragusa si fa par-te diligente e .trasmette al Questore di Napoliil noto promemoria contenente tra l'altro•l'elenco di tutti gli arresti e le condanne su-bite da Luciano negli USA per sollecitarel'applicazione di qualche misura di sicu-rezza.

Là Questura di Napoli propone alla Pre-fettura di irrogare a Luciano l'ammonizionecon questa pittoresca motivazione: « Costi-tuisce un'attrazione per gli elementi dellamalavita locale e forestiera ed un motivodi scandalo per le persone dabbene che nonpotevano non notare l'atteggiamento di 'spa-valda sicurezza e la mancanza di una stabileattività lucrativa ».

•La misura di sicurezza viene adottata dal-la Prefettura, ma ovviamente non producealcun effetto, salvo forse quello idi servireda alibi per l'insipienza delle indagini.

Ma Siragusa non si arrende e paziente-mente aspetta due anni per inviare nell'ago-sto 1956 al dottor Guglielmo Ceraso dell'uf-ficio stranieri della Questura di Napoli co-pia del precedente documento con i relativiallegati. Non ha migliore fortuna, eppure leidee espresse sono molto chiare: « Invian-do Luciano — scrive — al confino, il Go-verno italiano potrebbe neutralizzare Luca-nia e le sue nefande attività criminali inter-nazionali. Sarebbe preferibile confinarlo peril periodo •massimo contemplato, e cioè 5anni ».

Uno scrittore americano, Joachin Joesten,scrivendo su Luciano (Dewey, Luciano ed io,riportato nel volume di Lino Jannuzzi e Fran-cesco Rosi, cit.) afferma:' «Luciano era an-che, come quasi tutti i boss della malavitaprotetto dalla mafia di origine italiana, mol-to difficile da cogliere con le mani nel sacco.Era, infatti, un autentico mago nel cancel-lare le proprie tracce e godeva di protezionea tutti o quasi tutti i livelli amministrativi ».

La Commissione non ha acquisito pro-ve specifiche per indicare collusioni a livel-

li pubblici, ma è certo che mancò da partedell'autorità pubblica un'attiva consapevo-lezza della pericolosità del fenomeno Lucia-no, trapiantato a Napoli, mancò da parte delpotere politico una qualunque volontà di per-seguire l'organizzazione mafiosa e quella pe-ricolosa proliferazione che si stava verifican-do in quegli anni con il rimpatrio di mafiosiindesiderabili dagli USA.

Le stesse compiacenze, i •medesimi atteg-giamenti di trascuratezza e di lassismo chegli organi di sicurezza avevano in Siciliaverso l'organizzazione manosa nel suo in-sieme, e verso i bosses in particolare, si ripetèpuntualmente a Napoli nei confronti di Lu-ciano, a Roma verso Coppola, a Milano ver-so Adonis. Quello che sembrava, quindi, ilrisultato di un certo ambiente siciliano, per-meato fin nelle sue radici da « aria mafio-sa », legato alle tradizioni di omertà e dipubblici silenzi che gli interessi che germi-nano dallo sfruttamento del feudo hanno poitramandato e consolidato, anche quando irapporti tra mafia e « potere » e tra (mafiae collettività hanno investito altri settoridi interesse economico, è in realtà un mododi instaurare « rapporti particolari » traboss e autorità, che reggono fino a quandoil primo manterrà quell'aria di perbenismoe di agiata tranquillità che è tipica di ogni« uomo di rispetto ».

Di Luciano uomo ricco, nessuno seppeniente nell'ambito dei pubblici poteri finoa quando Siragusa allegava al suo rapportoriservato del 1954 un foglio di « notizie eco-nomiche »: « possiede — diceva — senza fi-gurarne proprietario, un edificio sito in viaTasso, 484, Vomero, Napoli — Lucania pa-gò l'immobile 100 milioni di lire — occu-pa uno dei due appartamenti all'ultimo pia-no, lussuosamente arredati; ne risulta pro-prietario certo Carlo Scarfaio, ma in realtànon lo è. Lucania abita fin dal giugno 1952.Lucania possiede anche una proprietà aln. 184 di via Aurelia, a Santa Marinella,composta di 2.000 mq. Possiede anche 10.000mq. di terreno ed una piccola villa vicinoalla ferrovia a sud della via Aurelia ».

Nessuno seppe mai niente dei suoi contibancari e dei suoi rapporti finanziari in gè-

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nere, ohe pure dovevano essere la fonte idiogni efficace controllo.

Solo nell'ottobre 1961 il Nucleo di PoliziaTributaria iniziava accertamenti patrimonia-li nei confronti di Luciano che aveva inte-stato le sue proprietà immobiliari al fratel-lo Bartolo Lucania residente a New York.Tra l'altro accertava due strane comparte-cipazioni societarie che sarebbe 'Stato inte-ressante .se fossero state poste 'sotto control-lo in tempi opportuni, perché probabilmenteerano la copertura per iniziative di più va-sta portata, ma alla fine del 1961 qualche me-se prima della morte di Luciano, rivelavanoben poco.

Dal 1° settembre 1955 al 1° agosto 1956Luciano aveva gestito in Napoli un negozioper la vendita di apparecchi elettrodomesti-ci ed attrezzature sanitarie ed inoltre erarappresentante della Società AREME di Pia-cenza, non meglio identificata agli atti dellaCommissione.

Dal marzo 1956 era socio della SocietàFARM (fabbrica arredamenti metallici) consede in Napoli ed esercizio di vendita invia Domenico Saviano, insieme con tale DeFalco Vincenzo.

Nel corso di queste indagini, che si con-clusero con l'interrogatorio . di Luciano lamattina del 26 gennaio 1962 (morirà lo stes-so giorno per infarto), furono acquisiti ele-menti per individuare Frank Caruso, VincentMauro e Salvatore Maneri, tre trafficanti chein quell'epoca vivevano in Spagna sotto fal-so nome e che incontreremo sovente nelcorso della nostra esposizione, come anellidi congiungimento con Luciano nel trafficodella droga.

4. L'indifferenza al fenomeno, abbastan-za nuovo per l'Italia, di una criminalità ma-fiosa che si andava organizzando al di fuoridel vecchio ceppo mafioso agricolo sicilianoe al di là dei suoi confini, era di natura « po-litica ».

Cioè mancò nel potere politico queMa sen-sibilizzazione necessaria per trasfondere insede esecutiva impulsi di 'maggiore efficien-za. Se il Questore di Napoli trascurava lesegnalazioni di Charles Siragusa e addirit-tura concedeva il passaporto a Luciano è

perché sapeva che non doveva rendere con-to in sede centrale, o se rendeva conto nondoveva avere sorprese.

Nel 1958 l'ufficio narcotici degli USA chie-deva la collaborazione della guardia di fi-nanza per controllare Nick (Nicola) Gentileda anni sospettato di traffico di stupefacentiin collegamento con Luciano ed operante inItalia.

L'operazione traeva origine da un seque-stro che il 9 ottobre 1958 l'ufficio narcoticiaveva operato a New York nei confronti delcittadino americano Aronica Edoardo pro-veniente dall'Italia a bordo della nave « Giu-lio Cesare ». Erano stati trovati preziosi perun valore di 7.500 dollari provenienti da unfurto commesso nel 1951 alla gioielleria Car-tier di New York e fu sequestrata una let-tera del Gentile indirizzata: « personale peril caro amico " Cuniglieddu " » (piccolo co-niglio).

L'ufficio narcotici prepara una trappolaper il Gentile e pur non sapendo ancora chifosse il « cuniglieddu », utilizzando questonomignolo, invia un telegramma al Gentileannunciando l'arrivo a Roma all'Hotel Bo-ston di Gatti Nino che portava notizie degli« amici » americani.

Il 21 ottobre il presunto Gatti, cioè unagente dell'ufficio narcotici, arriva a Romae come convenuto incontra il Gentile. Il pri-mo problema da risolvere è conoscere chisi celasse dietro « cuniglieddu »; Gatti si mo-stra diffidente, tergiversa, chiede garanzie,soprattutto quella di riconoscere nel Gentileil mittente della lettera e l'amico di « cuni-glieddu ». Il Gentile, ormai pieno di fiducia,si confida: « cuniglieddu » è l'amico Joseph.Biondo e nella lettera riferiva le sue tra-versie in America per proteggere « gli ami-ci »: i suoi rapporti con la banda Giuliano;le sue relazioni con i trafficanti e la sua ami-cizia con Lucky Luciano in favore del qualeè dovuto intervenire in Italia per evitargliil confino.

Questa è la sola notizia che per eventualiprovvedimenti di prevenzione nei confrontidi Luciano si ritrova in un verbale di poli-zia italiana. Proveniva da una segnalazionedel Narcotic Bureau e meritava un maggioreapprofondimento, doveva mettere in sospet-

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to ed in allarme i ipiù tenaci investigatoriitaliani su Luciano, ma purtroppo non ebbeseguito alcuno. Si deve aggiungere che ilGentile era fonte .qualificata per fare affer-mazioni di questo genere occupando un li-vello elevato nell'organizzazione mafiosatanto che un suo figlio era fidanzato con lafiglia di Davi Pietro del quale abbiamo giàesaminato l'emblematico curriculum e chedal 1938 era residente in Italia, ed aveva ac-quisito importanti amicizie.

Questo senso di impotenza nei confrontidi Luciano si coglie anche in dichiarazioniufficiali. Il 1° settembre 1951 il giornale NewYork World-Telegram pubblicava un'inter-vista di Marco Francisci segretario delladelegazione italiana all'ONU nella quale siaffermava che certamente Luciano era ilcapo di una banda internazionale, ma gra-zie al suo denaro ed alla sua capacità dicorruzione, nonché al fatto di essere liberodi viaggiare, era molto difficile da control-lare.

Questo non vuoi dire, però, che mancanoiniziative singole, coraggiose anche se pocoefficaci. La Guardia di finanza che per pri-ma avvertì la pericolosità della nuova orga-nizzazione mafiosa fece buone operazioni an-che se la più importante di quel tempo— l'affare Bonomo-Calascibetta — fu ini-ziata dall'agente dell'F.B.I. Henry Manfredi.E il capitano Oliva fu allora, e continua adessere ancora oggi, uno dei più agguerritiagenti nella caccia ai trafficanti, ma comeSìragusa, inseguendo Luciano, fu sfortunatoperché sbagliato era il metodo di entrambi.Cercare di colpire Luciano nel cuore stessodella sua attività e sperare di trovarlo conl'eroina tra le mani era impresa difficile,quanto inutile. Robert Kennedy, Ministrodella giustizia negli Stati Uniti, inquadravaperfettamente il problema, quando dichia-rava alla Sottocommissione di inchiesta MeClellan: « Essere capaci di identificare uno diquesti delinquenti che stanno a capo di unsistema di sfruttamento è un fatto; ottene-re le prove atte ad incriminarlo ed a por-tarlo davanti ad un tribunale è un'altracosa ».

Il Commissario Murphy, uno specialistanella lotta contro i trafficanti, dichiarava

alla stessa Commissione: « Si prenda l'affa-re degli stupefacenti... le figure chiavi di es-so non si troverebbero mai a 'meno di unquarto di miglio da qualsiasi narcotico o daqualsiasi prova che potrebbe condurre alloro arresto » (Op. cit. pag. 23).

La stessa cosa accadrà molti anni dopo alquestore dottor Mangano, quando, per in-carico del Capo della Polizia Vicari, cercadi trovare ed arrestare Leggio attraverso ledichiarazioni di Frank Coppola. Malgradol'assedio continuo e l'uso di mezzi non sem-pre ortodossi, il dottor Mangano correrà in-vano inseguendo farfalle, ed incappando inaccuse gravi del vecchio boss, perché Cop-pola ovviamente non parlerà. Sarebbe statomolto più serio e più proficuo se le stesseenergie fossero state impiegate per cercaredi capire come e perché era avvenuta la im-ponente speculazione edilizia che non soloaveva arricchito Coppola, ma gli aveva for-nito uno strumento efficiente per coagulareattorno a sé una « cosca » che avrà granderilievo nelle operazioni dell'organizzazionemafiosa, negli anni successivi.

La Commissione d'inchiesta degli StatiUniti accerta, attraverso le dettagliate rela-zioni di Valachi, l'esistenza di regole precise,all'interno dell'organizzazione mafiosa, perproteggere il capo, leggi che sono parti es-senziali della tradizione mafiosa e della suaforza. Valevano negli Stati Uniti, ma anchein Italia, e valevano soprattutto per Lucia-no che era sempre il capo dei capi.

Nel combattere il fenomeno mafioso nonsolo bisogna conoscere queste regole, ma oc-corre preparare adeguate contromisure pertentare di superarle ed aggirarle, altrimentisi combatte contro i mulini a vento. Peresempio si è fatta molta confusione ed an-cora oggi le idee non appaiono sempre trop-po chiare a proposito della distinzione, cheè netta, tra criminalità mafiosa e criminalitàcomune, anche organizzata. Il Dipartimentodi giustizia degli USA condusse molti studie si avvalse di una larga esperienza acqui-sita dagli studiosi e specialisti criminologiper definire otto punti che caratterizzano laattività delittuosa mafiosa e la distinguonoda quella comune.

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Essi sono così riportati nel rapporto MeQlellan:

1) un congrue numero di uomini perogni « famiglia » con una 'scala gerarchicarigida;

2) il gruppo si impegna aggressivamen-te allo scopo di sovvertire il .processo -di or-dine con tentativi bene organizzati al finedi bloccare o altrimenti rendere inefficientile tre branche del nostro governo locale ofederale con forme varie di subornazione ocorruzione;

3) lo scopo (principale del gruppo è dicontrollare quelle categorie di delinquenzaa cui si riferisce con il termine « malavitaorganizzata »;

4) il gruppo finanzia un determinatonumero di operazioni di durata indefinita;

5) i membri in genere si impegnano inattività criminali affini, come principale sor-gente di reddito;

6) i capi e gli uomini di comando perlo più si occupano di progettare le attivitàcriminose dell'associazione e sono separati,in genere, dalle operazioni vere e proprieda due o più livelli esecutivi;

7) il gruppo commette assassinio ed al-tri atti di violenza contro coloro che forni-scono informazioni sul gruppo stesso eduserà gli stessi mezzi contro un estraneo chevoglia attentare alla sicurezza del gruppo;

8) per le sue operazioni è spesso asso-ciato con altri gruppi siciliani in altre cittàdi altri Stati (degli USA), o di altre nazioni.

All'interno di queste regole, che ovviamen-te sono adattabili a seconda delle circostanze,i tempi ed i luoghi, si sono schematizzateben otto misure per proteggere i capi:

1) l'isolamento: il capo non partecipamai alle operazioni delittuose; egli limita icontatti ad alcuni membri dell'organizzazio-ne ed evita con cura tutto quello che po-trebbe avere attinenz con l'operazione cri-minosa. « La più grande forza di Cosa No-sra è costituita dal principio che ne è intrin-seco e secondo il quale i capi debbono es-sere protetti ». L'assassinio di Giannini, incontatto con Luciano in Italia, è un classi-

co di questo principio e ci è noto nei det-tagli per le rivelazioni di Valachi: Lucianodall'Italia informa Genovese che Gianniniè un informatore; Genovese riferisce ad An-tony Strollo (Toni Bender) perché Gianninivenga assassinato; Strollo ne riferisce a Va-lachi che incarica due sicari dell'esecuzionedel delitto;

2) il rispetto: a seconda della posizio-ne, dell'attività e dell'età è dovuta una de-ferenza che viene infallibilmente osservata;

3) il cuscinetto: i capi non sono a con-tatto con i sottocapi, ma vi è sempre unapersona di fiducia del primo che funge daintermediario o cuscinetto tra il capo e tuttigli altri;

4) l'appuntamento: un capo non incon-tra quasi mai un gregario, anche per questio-ne urgente. Ordinariamente anche gli affaripiù importanti seguono lo stesso itinerario;

5) la seduta: sono riunioni in cui si di-scutono amichevolmente i problemi della« famiglia » o con « famiglia alleata ». I ca-pi non vi partecipano perché per i proble-mi vitali vi sono incontri di « vertice »;

6) il castigo: le punizioni all'internodella famiglia sono eseguite dai suoimembri;

7) la sparizione: quando viene decreta-to l'assassinio, la sentenza viene eseguita dauomini di fiducia e l'esecutore svanisce sen-za lasciare alcuna traccia, senza violenza,senza colpi di arma da fuoco, senza spargi-mento di sangue, senza clamore e senza cor-po del delitto. Così Valachi riferisce la deci-sione di Vito Genovese per la sparizione diTony Bender: « Vito mi disse che era lacosa migliore che poteva capitare a Tony ...e aggiunge: era molto ammalato e non po-teva fare una cosa come te o come me ...uno come lui non poteva avere tempo ... »;

8) il permesso: tutte le attività illecitedi una famiglia richiedono l'approvazionedel capo. Sono assolutamente proibiti i de-litti che attirano l'attenzione dell'opinionepubblica.

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Tenendo presenti queste « regole » è facilecapire quanto vana stia stata la lotta, volen-terosa e coraggiosa, che uomini come Siragu-sa od Oliva intrapresero contro Luciano. Inmancanza di una politica generale e coordi-nata per una lotta a fondo alla criminalitàmafiosa, l'attacco al boss non poteva averealtre conseguenze. Le assoluzioni dei capiche seguivano alle grandi operazioni che finoal 1965 furono intraprese per battere le or-ganizzazioni mafiose, furono il 'risultato, an-che quando i processi vennero celebrati fuoridella Sicilia, di queste deficienze. Tentare digiungere al « capo » per avere solide provecontro di lui, prescindendo dalle regole del« cuscinetto » e dai mille sotterfugi per di-fenderlo, non solo era del tutto vano, ma siprestava, come infatti avvenne negli USA, al-l'accusa di sensazionalismo e di ricerca sma-niosa di pubblicità.

Negli anni cinquanta l'opinione pubblicaitaliana non era molto sensibilizzata né alproblema della droga, né a quello del traf-fico clandestino legato alla mafia, quindi sipuò capire la scarsa incidenza che ebberole operazioni anti-droga, sia che fossero po-sitive, sia che si rivelassero completamentefallite nel determinare un preciso indirizzopolitico e di governo.

Negli USA, al contrario, i due problemierano cruciali e su di essi convergeva unalarghissima pubblicistica — giornalistica, li-braria, televisiva — che metteva a nudo spie-tatamente i retroscena più sconcertanti e cru-deli. L'affare Luciano, legato com'era alleoscure operazioni del suo rilascio sulla pa-rola ed agli intrighi .politaci che l'avevano pre-cedute e seguite, costituiva sempre una fonteinesauribile di notizie e curiosità. E tale ri-mase anche dopo il suo rimpatrio in Italia.Negli USA le sue operazioni in Italia si riper-cuotevano ancora più amplificate e non c'eragiornalista americano di passaggio che nonchiedesse — ed in genere otteneva — unaintervista. Ma al di là del sensazionismo,quando si arrivava al nocciolo della questio-ne, « perché Luciano non si colpiva », nonsolo le risposte erano imbarazzate, ma siacuivano i dissensi interni tra gli stessi orga-ni pubblici.

Un libro che fece molto scalpore negli USA« The Luciano Story » dei giornalisti Mr.Juster e Sid Feder, riportava questa notazio-ne: « Coin tutte le informazioni ottenute daisuoi luogotenenti, assistenti e soci, con tuttele notizie sull'attività della sua organizzazio-ne e i continui arresti e fermi, è davvero sor-prendente che non si sia mai scoperta unapista che conduca direttamente a Lucky Lu-ciano, una pista in grado di fornire prove taliche possano essere sostenute in tribunale. -Questo costituisce il maggior mistero di tut-ta la lunga e amara guerra contro il trafficodella droga e del terrore ».

In realtà se le misure rigorose dell'organiz-zazione mafiosa per la protezione dei capifunzionavano, era perché ad esse si aggiunge-vano altre due condizioni particolari, che fu-rono indispensabili perché quella prima fasedella organizzazione del contrabbando e deltraffico degli stupefacenti si dispiegasse conpieno successo: la grande città, Napoli perLuciano, Milano per Adonis, Roma per Cop-pola, e la mancanza di una politica di control-li e di isolamento nei confronti degli « inde-siderabili » che gli Stati Uniti avevano rimpa-triato in Italia. Napoli fece aumentare il « mi-stero » Luciano; Napoli offriva le occasionipiù varie per incontri con innocenti turisti,vecchi amici, rapporti conviviali che appari-vano — quando apparivano — del tutto in-nocenti ed occasionali, mentre probabilmen-te erano la fonte principale delle iniziativedelittuose legate alla droga: a Napoli, comein qualunque altra grande città, era facilemimetizzare, dietro la facciata di una vitasignorile e tranquilla, d canali economica at-traverso i quali si finanziavano le costosissi-me operazioni per l'acquisto della droga e delcontrabbando dei tabacchi. L'incontro appa-rentemente più innocente all'ippodromo diAgnano, abitualmente frequentato da Lucia-no, o sulla spiaggia di Santa Marìnella po-teva essere il canale o di un ordine o di unacommissione o di un movimento di capitali.

In queste condizioni trovavano ideali ap-plicazioni le due regole più importanti perproteggere i capi: l'isolamento degli organiesecutivi e il « cuscinetto », la separazione,

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cioè, da qualunque altro canale dell'organiz-zazione, che veniva a diretto contatto con lamercé scottante o con qualunque altra ope-razione delittuosa.

È facile immaginare quali sarebbero statele condizioni di Luciano, confinato in un pic-colo centro dell'entroterra, senza possibilitàdi contatti se non con la sfida di un controllofacile ed attento, senza possibilità — allora— .di comunicare con mezzi rapidi e veloci,privo delle occasioni di' utilizzare, se noncon grande rischio, canali economici sicuri.

Nell'isolamento, purché controllato, sareb-bero stati recisi i vincoli attraverso i qualil'organizzazione mafiosa si collega con il suoretroterra operativo e, probabilmente, sa-rebbero stati «resi 'inutilizzabili i crateri perla difesa del capo. Sfortunatamente la solu-zione non fu adottata, malgrado il suggeri-mento offerto da Charles Siragusa.

L'altra conduzione si riallacciava alla poli-tica generale dei rimpatriati. È stato accer-tato che i capi di « Cosa Nostra » importava-no in Italia l'organizzazione per il traffico de-gli stupefacenti, senza avvalersi localmentedella malavita, cosa che difficilmente accadeper la mafia, e senza richiedere il concorsodella organizzazione siciliana. Bastò mobilita-re la schiera ben affiatata degli « indesidera-bili » e tenere i rapporti con gli Stati Uniti.

Gli organi di polizia conoscevano bene siai nomi che i rapporti di affiatamento con ilcapo, eppure non furono adottati provvedi-menti e del tutto inefficienti o inesistenti fu-rono i controlli.

Il potere politico, poi, non solo non impo-stò nessun programma di salvaguardia dellasicurezza pubblica, non valutò i rischi di unaorganizzazione che avrebbe avuto enorme po-tere d'i espansione, ma quando pure era co-stretto a prendere in esame il problema lodeviava su un binario morto. Tra le moltecarte esaminate dal Sottocomitato, una dellepiù sorprendenti è l'appunto che il Gabinet-to del Ministero dell'interno preparava nel1951 per il Ministro: segnala con sbigotti-mento come mai il governo USA abbia po-tuto liberare Luciano pur essendo stato con-dannato a cinquanta anni di galera, perespellerlo e rimandarlo in Italia!

Mr. Siragusa nel suo rapporto-memoran-dum del 1954 elenca i « soci » di Luciano inItalia, che in realtà sono le sue pedine:

1) Giovanni Di Pietro, espulso dagli USAin seguito a condanna per spaccio di stupe-facenti;

2) Gaetano Chiofano, espulso dagli USA,abita ad Udine, senza 'regolare occupazione evisita sovente Luciano a Napoli;

3) Nicola Gentile, di Palermo, 'traffican-te internazionale, iscritto al n. 122 dell'elen-co del Narcotic Bureau;

4) Ralph Liguoni, espulso dagli USA, abi-tante a Roma;

5) Silvestre Cairollo, espulso dagli USA,implicato nel sequestro di Kg. 6 di eroina av-venuto ad Alcaimo il 12 marzo 1952;

6) Parigi Tortora, espulso dagli USA, abi-tante ad Acerra (Napoli);

7) Michele Spinelli, espulso dagli USA,abitante a Napoli;

8) Charles Carollo, espulso dagli USA,abitante a Palermo;

9) Dominick Petrello, espulso dagli USAe residente a Napoli, assassinato a New Yorknel 1954.

L'unico provvedimento che è risultatoadottato fu il confino nella sua città per DiPietro nel 1953.

Alla vigilia della morte, nell'ottobre 1961,la Guardia di finanza intraprende una appro-fondita operazione di ricerca e di controllosu Luciano ed accerta i contatti e le pedineche il « capo » ha mosso e con le quali si èsempre tenuto in contatto.

A parte gli incontri con Thomas Eboli nel1960, di cui parleremo, Luciano incontraBowne Charles, fermato in Sicilia nel giugno1961 e che avrebbe dovuto consegnare unaforte somma al « capo » per incarico di Tho-mas Marino, un uomo di « Cosa Nostra ».

Napolitano Aniello, detto Harry Nays, cit-tadino americano, cameriere a bordo dellaSS « Indipandence » faceva il corriere di va-luta da consegnare a Luciano.

Henry Rubino aveva un pied-à-terre aRoma — via Reno, 37 — che gli serviva diappoggio nei suoi frequenti viaggi negli USA.

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II personaggio era abbastanza noto, ma nonsuscitò alcun sospetto presso i nostra organidi polizia; in un rapporto del 1955, su infor-mazioni del FBI, fu ritenuto collegato algruppo di Anthony StroLlo, detto Tony Ben-der, e di Vincent Mauro per conto dei qualigestiva locali pubblici facenti parte idi unacatena di proprietà del gruppo Strallo-Mau-ro. Nel marzo 1962, qualche mese dopo lamorte di Luciano, rientrò in USA: anche lasua missione era finita.

5. — Dalla fine del 1950 e per circa un de-cennio operarono in Italia due « squadre » ditrafficanti di stupefacenti, identificate poi dauna brillante operazione della Guardia di fi-nanza del 1961, che si chiamerà « servizio Ca-neba », come « squadra Caneba » e « squadradi Salemi ». Questa operazione del NucleoCentrale di polizia tributaria della Guardiadi finanza, conclusasi con un rapporto allaMagistratura del 6 giugno 1961, fu il più serioed il più efficace intervento degli organi dellasicurezza pubblica in Italia nella lotta controla criminalità mafiosa, organizzata per i traf-fici illeciti, tanto che sd concluse nel 1967 conpesanti condanne inflitte dal tribunale diRoma nei confronti di tutti i trafficanti.

L'operazione colpì personaggi non di pri-mo piano dell'organizzazione manosa, ma ab-bastanza ragguardevoli, come i fratelli Ca-neba, che avevamo operato indisturbati peranni nel traffico degli stupefacenti, copertianche da etichette legittime come la costitu-zione di una società finanziaria per prestiti,stranamente costituita a Roma da individuidal passato turbinoso ed espulsi dagli StatiUniti e mai controllata nelle sue operazioni,per cui scarse ed indirette sono le notizie cheha potuto acquisire, nel corso delle proprieindagini, il Sottocomitato della nostra Com-missione d'inchiesta.

I fatti accertati' offrono, come in uno« spaccato », un quadro d'insieme dei metodiallora utilizzati nel traffico degli stupefacen-ti, ma non arrivano mai a superare con proveconcrete il « terzo » livello dell'organizzazio-ne, cioè il livello del « capo regime », mentresembrano lontani dalla possibilità di un col-legamento con il vertice vero e proprio, cioècon Luciano. Gli stessi limili dell'operazione

di polizia sono costituiti dalla mancanza diuna visione strategica che andasse oltre i fat-ti accertarti per impostare una nuova 'meto-dologia di lotta che potesse comprendere, senon fermare, i criteri operativi ed i collega-menti coi massimi livelli dell'organizzazione.

Se è difficile in sé arrivare ai vertici dellaorganizzazione, più che mai lo era allora, ver-so la fine degli anni 1950, quando veniva igno-rata l'esistenza di un vertice operativo. Laoperazione Caneba poteva essere una buonaoccasione per identificare uno di questi verti-ci, ma purtroppo mancavano gli strumentiadeguati ed un preciso indirizzo o volontàper operare in questo senso.

Robert Kennedy, ministro della giustizia,riferendo alla Commissione senatoriale d'in-chiesta degli Stati Uniti precisava: « esserecapaci di identificare uno di questi delinquen-ti che stanno a capo/li un sistema di sfrutta-mento è un fatto, ottenere le prove atte adincriminarlo ed a portarlo davanti ad un tri-bunale è tutta altra cosa ». Le stesse difficoltàesistevano ih Italia con la differenza che danoi non si arrivava neppure al primo dei dueelementi.

Nell'operazione Caneba l'organizzazionesembrava ruotasse attorno ,a due modestipersonaggi di « Cosa Nostra », Sarò Mogave-ro e Carmine Lo Cascio, tanto modesti chepresto cadranno nella rete del Narcotic Bu-reau: il Mogavero sarà arrestato nel 1953,mentre il personaggio più in vista, SalvatoreCaneba, sarà espulso dagli USA nel 1954.

Il primo viaggio del corriere, tale Salvato-re Rinaldi, arruolato per il traffico (sarà ar-restato in USA il 21 ottobre 1960), è abba-stanza indicativo della relativa semplicitàcon cui le operazioni di contrabbando veniva-no compiute agli inizi degli anni cinquantae del tortuoso giro dei collegamenti attra-verso i quali si staccano i diversi livelli ope-rativi e si chiudono completamente al terzolivello, cioè quello di « capitano » al massi-mo. Nel gennaio 1951 Rinaldi arriva in Ita-lia, proveniente dagli USA, con una cinturaimbottita di 50 mila dollari. A Roma prendealloggio all'albergo Regina ove si presentaun certo Totò esibendogli una tessera di ma-rittimo. Rinaldi consegna la cintura con idollari poi, dopo qualche giorno, si reca a Pa-

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lermo e prende alloggio all'albergo Sole,dove si trova anche Zizzo Salvatore, l'orga-nizzatore della cellula di Salemi, al quale laCommissione ha dedicato un profilo mono-grafico pubblicato con rapporto al Parlamen-to nel corso della V legislatura. Arriva an-che « Totò » che consegna al Rinaldi duebauli che questi riporta a New York perconsegnarli, a .sua volta, a Lo Cascio e Mo-gavero; contenevano in due scompartì se-greti ai lati Kg. 17 di eroina.

In altra occasione (1954), un altro corrie-re, tale Renna, imbarca per l'Italia una jeepe la riporta in USA carica di 31 Kg. di eroinache gli era stata consegnata dal Ganeba. Unaltro carriere è Matteo Palmeri, che ha giàconosciuto, nel 1947 a Salemi, Albert Agueciil quale si recava contìnuamente in Italiadove si trovava un suo « picciotto ». Agueciaveva presentato Rinaldi a Vincent Mauroe questo a sua volta l'aveva presentato a Pai-meri. Il giro dei « minori » così si salda manon va oltre il livello di Agueci, che è quellodi « capitano »; sarà poi assassinato in USAnel 1961 da Litrieo Agostino, un trafficanteche, come vedremo, è coìliegato a Santo Sorgee quindi a Luciano. Quando Pailmeri ebbe oc-casione di partecipare ad una riunione dopoun « carico » arrivato dall'Italia con la vali-gia di un emigrante, incontra Agueci, JoePapalia e Frank Caruso, che •— secondo quan-to egli testimoniò — « era trattato dagli altricon rispetto ».

Si scoprirà più tardi, nel corso dell'inchie-sta Vignerà, che proprio Caruso e VdncentMauro costituivano il punto di raccordo conLuciano. Vedremo più avanti che nel 1962,quando è già avviata la nuova fase dell'orga-nizzazione e la banda « Agueci-Palmeri-Ziz-zo » è già « bruciata », il « cuscinetto » di Lu-ciano, Vitaliti Rosario, si incontrerà in Spa-gina con alcuni cittadini statunitensi che sot-to falsi nomi sono in realtà Frank Caruso,Vincent Mauro e Maneri Salvatore « colle-gati » — dice il giudice Vigneri in sentenza —« al Lucania e ricercati dalla Polizia USA pertraffico di narcotici ». Il « servizio Caneba »,al di là dei suoi (limiti, è la prima vera fontedi notizie sicure sull'organizzazione esistentein Italia per il traffico degli stupefacenti e ri-

vela -fatti, notizie, circostanze che per laprima volta forniranno un quadro d'insie-me dei metodi, dei collegamenti, delle astu-zie che utilizza l'organizzazione maliosa percoprire la propria attività delittuosa.

Nell'aprile 1956, per esempio, Lo Casciodagli USA protesta con i Caneba per unapartita di mercé « non buona » e invia an-cora tramite il Rimaldi 115.000 dollari perl'acquisto di una nuova partita. I Caneba chevivevano a Roma sotto la copertura della So-cietà finanziaria per prestiti hanno impian-tato in un appartamento di Milano un at-trezzato laboratorio per l'analisi della drogae quando Lo Cascio fotrmula la sua protestasi recano a Milano per controllare i campio-ni della partita protestata.

Eppure Salvatore Caneba era stato espul-so dagli Stati Uniti qualche anno prima pro-prio perché segnalato come elemento perico-loso dedito al traffico degli stupefacenti. Sefosse esistita una politica di prevenzione con-tro la criminalità organizzata, sarebbe sitatosufficiente un minimo di controllo sugli in-dividui più esposti per stroncare un'attivitàdelinquenziale che negli anni successiviavrebbe mostrato tutta la sua bruitale ed in-comprimibile carica di nefasta espansione.

Infine dagli elementi del processo emerge-vano due dati significativi per valutare laimponenza degli interessi economici che era-no coinvolti 'nel traffico degli stupefacenti:

1) a metà degli anni cinquanta l'eroinaveniva pagata in Italia dall'acquirente di« Cosa Nostra » a 3.300 doli-ari il Kg.;

2) le partite accertate (ed il rapporto, ingenere, tra un carico scoperto e sequestratoe quelli che « passavano » è di 1 a 10) furonole seguenti: 17 Kg. nei due bauli del 1951;200 Kg. dal 1951 al 1954; 80 Kg. ritirati daPops Smìth nel 1954 per conto di Lo Cascioe Mogavero; 17 Kg. nel gennaio 1955 portatida Giuseppe Ruffino; 10 Kg. portati nel mag-gio 1960 da Palmeri; 10 Kg. sequestrati neldoppio fondo di un baule il 21 ottobre 1960all'atto dell'arresto negli USA di Rinaldi ePalmeri; 90 grammi sequestrati, insiemecon una forte somma, nell'abitazione del Ri-naldi il giorno stesso del 'suo arresto.

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6. — Frank Coppola, il singolare perso-naggio che ancora oggi, ultrasettarutenne,riempie le cronache dei giornali, rientrò inItalia nel marzo 1948, espulso — si disse —dagli USA, ma un tale provvedimento nonrisulta agli organi di polizia in Italia.

Nello stesso anno 1948 in agosto rientròclanidestinamenite negli USA, via Messico,perché richiamato, secondo quanto dichia-rato dallo stesso Coppola al giudice istrutto-re Vignerà, da Maria Frich, attivista del Par-tito democratico, al fine di sostenere nelleelezioni il governatore del Missouri, il can-didato democratico. Entra clandestinamen-te ma opera apertamente a Kansas City,

• « svolgendo » — dice Coppola — « con suc-cesso intensa attività elettorale »; finché sitrasferisce in Messico e vi rimane fino al1950, allorquando, fermato dalla polizia lo-cale, -viene rimpatriato in Italia.

Questi piimi due anni di soggiorno all'este-ro del Coppola sono circondati da grande ne-bulosità e forniscono dati contraddittori,tanto che ogni organo inquirente — Polizia,Carabinieri, Guardia di finanza — da unapropria versione, spesso non suffragata dariscontri obiettivi.

Gli unici dati certi sono due: 1) Coppola èfermato in Messico, a Tia Juana, nel 1950 edespulso viene estradato in Italia; 2) il 2 set-tembre 1949 acquista a Pomezia circa 50 et-tari di terreno.

In entrambe queste circostanze Coppola ri-ferirà al giudice Vigoeri che ©gli nel 1948 sistabilì prima a Partinico e poi a Tor San Lo-renzo, agro di Pomezia, e prima di partire(agosto 1948) per la sua missione elettoralenegli USA acquisito il terreno tramite il suoprocuratore Vito Vitale (nome che ricorreràdi frequente nella cronaca avventurosa diCoppola).

La nebulosità su questi primi due anni di« don Ciccio » fuori dagli Stati Uniti non ècausale, perché copre un piano di azionecriminoso che se fosse stato scoperto, o solointuito, avrebbe portato ad impostare unabattaglia contro l'organizzazione manosamoko più organica ed i cui effetti avrebberodecisamente influito sugli avvenimenti deglianni successivi.

Si diceva prima che un provvedimento diespulsione dagli USA non è mai stato acqui-sito dagli organi italiani di polizia, ed in ef-fetti non esiste. L'espatrio dagli Stati Unitifu volontario, anche se in conseguenza di unproceidimeruto intentato da quelle autoritàd'immigrazione. Il rientro in Italia passò deltutto inossenvato alle autorità italiane, siaperché allora non esisteva, come si è visto,alcuna politica verso il fenomeno dei mafio-si rimpatriati, sia perché Coppola non era— e non lo sarà mai — un capo, un boss. Èassurto sulla stampa verso la metà degli anni1960 a livello di primo piano, 'ma più per cla-more che per sostanza, un clamore al qualenon è stato estraneo, con 'molta compiacen-za, lo stesso Coppola, abituato da tempo allepublic relations.

Non era, certo, neppure un gregario: avevaalle spalle un passato tumultuoso, aveva eser-citato delicate funzioni di relazioni pubbli-che, specie verso autorità politiche ed ammi-nistrative, ed era collegato con la potente« famiglia » di Debroit, capeggiata da JohnPriziola, detto « Papa John ». Era, insemina,un capo-regime, forse qualcosa in più, collo-cabile al terzo livello, degli otto che forma-no la gerarchla manosa.

Il Federai Bureau of Investigation lo co-nosce con il n. 549933 come contrabbandiereinternazionale di narcotici e presunto sica-rio, qualifica questa che non si addice ad unvero capo.

Ed è proprio perché Coppola non è un« capo » che al suo arrivo in Italia subiscel'impatto con la « realtà » Lucania. Il « suogiro », i primi suoi contatti sono al di fuo-ri dell'organizzazione di Luciano, « uomini »di rispetto, ma non collegati, ancora al veroe solo capo: Vito Vitale (« Don Votone »), An-gelo Di Carlo (« II Capitano »), SalvatoreGreco i(« Totò il lungo »), al quale la Commis-sione ha dedicato nella V legislatura una bio-grafia, hanno un notevole peso all'internodella organizzazione o sono « giovani di bellesperanze » ina i loro interessi sono quellidella « seconda mafia », l'avvicinamento allacittà, il racket urbanistico, i mercati, nonancora la .droga e il contrabbando, ad ecce-zione del giovane Greco, ancora alle primearmi.

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Di tu'titi è solo il Coppola a conoscere il fi-lone aurifero che sta sfruttando Luciano:l'acquisto di enormi partite di eroina dalleindustrie farmaceutiche del Nord è senza ri-schio o quasi. L'« affare » ha avuto ©normerisonanza negli USA e l'impotenza e l'indif-ferenza del Governo italiano sono anche statedenunciate aU'ONU. Coppaia non dispera dientrare nel « giro » perché è abile, intrapren-dente ed esperto in pubbliche relazioni.Così, dopo la prima presa di contatto con unaparte dell'organizzazione siciliana, la mafiadi Partìnico e di Aicamo, che gli deve serviredi base di appoggio, coltiva le pubbliche re-lazioni con le « autorità » che gli possonofare da scudo.

Noe perde tempo e gli « amici » lo introdu-cono con malta sollecitudàne nel mondo checonta, quello politico-amministrativo. In unalettera del 15 marzo 1948 (lo stesso mese del-l'arrivo in Italia), intestata « Assemblea re-gionale siciliana » e firmata « G. RomanoBattaglia », un autorevole deputato regionale,si dice che dal « Cav. Stefano Marino » haappreso l'indirizzo del Coppola e le sue « be-nemerenze ». Il deputato si dichiara lieto efelice « se potrà avere 'l'occasione di incon-trarlo e di conoscerlo personalmente ». Il di-rettore de « II Giornale d'Italia » Santi Sa-varino con un suo cartoncino del 3 aprile1948 fa sapere non solo « del bel regalo rice-vuto » da don Giccio, ma comunica, di « nonavere avuto ancora risposta da Aitene ».

È da appena un mese in Itallia e don Ciccioaspetta già risposta dadl'estero, tramite unautorevole personaggio come Savanino!

Il Cav. Stefano Marino sopra menzionatoil 9 giugno 1948 fa avere un suo biglietto alCoppola perché sia presentato a Sua Eccel-lenza Turbacco, ed il 6 agosto 1948 su letteraintestata « Direzione provinciale delle po-ste » fa sapere al « Carissimo amico Coppo-la » che S. E. Orlando gli ha risposto e chea voce comunicherà « di quanto è oggetto lasua lettera ».

Una lettera a firma illeggibile su carta in-testata « Assemblea Costituente » è indiriz-zata al Coppola l'il luglio 1949 per ringra-ziare « dell'eccellente fusto di vino (ricevuto ».

Questa intensa attività di pubbliche rela-zioni dimostra che la itesi dai due anni (1948-

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1950) passati all'estero è una fandania, cheil Coppola ha voluto avallare per coprire ilsuo originario disegno,: condizionare Lucia-no per entrare nel giro della « droga facile »e prendere le distanze da avvenimenti che inquel periodo insanguinano la Sicilia e tur-bano profondamente il Paese, la rivolta diGiuliano contro i suoi vecchi alleati, mafia eseparatismo politico; le guerre cruente tracosche rivali.

Verso la metà del 1950 Coppola spedisceSerafino Mancuso a Milano per iniziare l'ope-razione di acquisto dalla droga.

Si sente abbastanza fonte, è nelle condizio-ni di « fabbricare » deputati e le sue .relazio-ni con un certo mondo politico dovrebberoaipringlli quelle porte che il mancato assensodi Luciano gli tiene sbarrate. Da una letteradal 13 aprile 1951 intestata « Camera dei de-putati » e firmata dall'onorevole Palazzoloapprendiamo che il « Carissimo don Ciccio »nell'udtimo .incontro all'Hotel delie Palmediceva giustamente che a Partinico occorrevaun deputato regionale giovane, svelto ed ami-co e a portata di mano degli « amici ».« L'amico Totò Motósi — scriveva l'onorevolePalazzolo — risponde a tutti questi requisitaed io ho deciso dd aiutarlo con tutte le mieforze. Se a Pairtinico mi aiutate lo faremodiventare deputato ».

Nell'interrogatorio che renderà al giudiceistruttoire il 6 agosto 1965 nel procedimentocontro Frank Garofalo ed altri imputati(compreso il Coppola), malgrado siamo pas-sati parecchi anni dai fatti e Lucky Lucianosia anche monto, Coppola terrà ferme anco-ra sia le favole dei due anni di assenza dal-l'Italia (1948-50), sia il rapporto con il mondopolitico ohe per lui costituisce un punto diforza all'interno della organizzazione che siè venuta formando dal vertice dell'Hotel del-le Palme del 1957.

« Faccio presente » — dice Coppola al giu-dice — « che già nel .1948, trovandomi casual-mente a Partimico proveniente dagli StatiUniti, dove ail'lora risiedevo, in occasione dellenozze di mia figlia Pierà, oggi maritata conGiuseppe Corso e residente a Roma, vennipregato da Sua Eccellenza Vittorio Emanue-le Orlando, a cui sono stato sempre devoto(devesi ricordare ohe da 22 anni precedenti

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il 1948 Coppola non ha più messo piede inItalia, dopo la sua emigrazione clandestinain USA), di propagandare e sostenere la can-didatura delll'onorevale Giovanni Palazzolo.

« Successivamente, dopo il mio trasferi-mento dagli USA in Italia e dopo che ho pre-so residenza in Ardea di Pomezia, sempre inoccasione di comizi, venni pregato dall'ono-revole, dico meglio, per sentimenti di devo-zione personale volli sostenere personalmen-te tira i mied simpatizzanti del collegio di Pa-lermo, Pairtinìiico e Monireale la candidaturadell'onorevole Bernardo Mattarella per laCamera dei deputati, dell'onorevole Santi Sa-varino prima e dell'onorevole Girolamo Mes-seri poi per il Senato della Repubblica e del-l'onorevole Carollo per l'Assemblea regiona-le siciliana.

« Un anno fa mi occupai anche di sostenerela candidatura dell'onorevole BartolomeoRomano che riuscì eletto assieme all'onore-vole Bernardo Mattarella. Come ho già dettomi .sono anche occupato sempre con esdito po-sitivo dell'elezione dell'onorevole SalvatoreAldisio. Ripeto ohe ho sostenuto la candida-tura idi castoro di mia libera volontà e senzaessere pregato da alcuni di essi ».

Coppola conclude la dichiarazione con unaallusione tipicamente manosa: « Me ne sonooccupato con convenzione perché avevo nu-merosi simpatizzanti, come prova il fatto chequando sostenni la candidatura dell'onorevo-le Bartolomeo Romano questi venne eletto,quando invece non potei occuparmene per-ché sostenevo altre candidature, egli nonriuscì ».

Vedremo poi nel corso della nostra espo-sizione come queste « simpatie » non richie-ste fossero alla base delle molte « stranezze »attraverso le quali si è formato e consolidatol'imponente patrimonio di Frank Coppola.

Se don Ciccio è coperto abbastanza benedai politici, non può restare scoperto versoi « poteri » dello Stato: è il classico gioco adintreccio dell'organizzazione manosa, i cuieffetti poi si constateranno nei « comporta-menti », cioè nell'azione quotidiana di pre-venzione e repressione che si manifesterà —quando la ragnatela sarà tutta intrecciata —con quegli episodi di incredibile incongnien-za, di scialbore burocratico, di permissivi-

smo compiacente che abbiamo risconitratonel curriculum Davi, che si ripetono inquello di Rosario Mancino, il cui profilo bio-grafico è stato già pubblicato nel corso dellaV Legislatura, e di molti altri. In un cartonci-no datato 24 aprile 1951 e intestato « Com-partimento Polizia stradale di Palermo — ilComandante — » firmato « Barbara » (identi-ficato con la lettera di cui appresso), si riferi-sce di aver ricevuto una lettera (probabil-mente per una raccomandazione) dall'onore-vole Palazzolo, « amico di Sceiba, e come taleavrebbe potuto farlo ritornare al comparti-mento di polizia stradale ». La lettera termi-na con molti saluti per « l'amico Coppola »presso la cui abitazione poi fu sequestrata,malgrado non fosse a lui diretta.

Il biglietto 18 maggio 1951 è intestato« Barbara dott. Giuseppe — Maggiore nelConpo guandie di Pubblica sicurezza ».

In poco più di due anni Coppola riesce acreare le tipiche basi dell'organizzazione ma-fiosa, prima di tentare di inserirsi nel gran-de « giro » del traffico internazionale. È un•intreccio di rapporti di tipo elettoralisticoed affaristico, una osmosi tra esponenti ma-fiosi ed esponenti politici attraverso la qualesi intravedono i reciproci condizionamenti',ma verso i quali il « potere » sarà completa-mente insensibile.

Il Capo della polizia, in un appunto per ilGabinetto del Miniisrtiro dell'interno del 3aprile 1952, riferendo sulle notizie apparse inun articolò di « Paese sera » del 3 marzo 1952,dal titolo « Oltre cento gangsters approdanoin Italia », così scrive: « Secondo quanto hariferito il questore di Palermo ... tutte lealtre notizie contenute in proposito nell'ar-ticolo, e particolarmente quelle riguardanti irapporti che il Coppola avrebbe con perso-nalità influenti o dell'alta burocrazia, nontrovano per ora conferma ».

In questi due anni l'orditura del Coppolasi perfeziona con la scelta della sua residen-za, che nel .tempo si dimostrerà non solo uncolossale affare speculativo, ma una vera po-sizione strategica importante. Le basi sonola 'mafia di Partinioo e di Alcamo, di centrooperativo sarà a Pomezia, vicino Roma e nonlontano da Napoli, sede dal « capo ».

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Ma Luciano ha arienlamenti diversi; puòconsentire a! Coppola di inserirsi nell'areadella speculazione edilizia, non in quella delladroga. Il nisuJtasto è quello che doveva essere,senza l'assenso del capo Coppaia deve abban-donare! Il consiglio è condiviso da John Pri-ziola e dal potente sindacato dii « CosaNostra ».

Ili primo ad avere sentore delle difficoltàdel Coppaia è Chanles Siragusa; ha un fidatoinformatore, intimo amico dell Coppola, chelo relaziona molto detlagliatarnente. Gli rirferisce che don Cicoio in più occasioni ha ten-tato di dimmischìaarsi nel traffico di stupefa-centi di Luciano, ma questi non consente dicondividere il moflopolio del racket di eroi-na. Don Ciccio si irrita e minaccia di uccide-re d tluogo.teinenti italiani di Luciano, o addi-rittura Luciano stesso (rapporto al MarcolicBureau dell'8 maggio 1954). Come è ovvionon succederà nulla, salvo l'arresto di Cop-pola.

Ma l'uomo è intraprendente e testardo, vi-goroso ed intelligente, qualità che successi-vamente saranno sottovalutate dal questoreMangano, nella sua inutile quanto stranaazione per « incastrare » Coppola.

Nel corso del 1950, « Frank tre dita » (al-tro nomignolo del Coppola) vuole ritentaree, non riuscendo ad inserirsi, decide di agireper proprio conto, con da collaborazione delgenero Corso Giuseppe, di Mancuso Serafi-no e Giuseppe, defila mafia di Alcamo, di Qua-rasano Raffaele.

Spedisce Mancuso Giuseppe a Milano, cheè di centro operativo per l'acquisto dell'eroi-na, ma il corriere trova più difficoltà ad ot-tenere i capitali necessari che ad acquistarela droga. In una lettera sequestrata a Coppo-la a (firma « Vincenzo » si comunica che ifratelli Mancuso sono pronti ai suoi ordiniper dare il via alle operazioni. Allo stesso« Vincenzo » si rivolge verso la fine del 1950il Mancuso Giuseppe par chiedere il denarooocom-enite per l'acquisto della « mercé ».Queste circostanze diimosbrano che l'azione ècondotta a livello artigianale, senza quellapreparazione e d'abbondanza di capitaili chesono caratteristiche delle grandi operazionimafiose. Se si pensa che, secondo le stimedella Guardia di finanza e del Narcotic Bu-

reau (rapporto del 15 maggio 1952), nell'an-no 1950 furono acquistati settecento chilo-grammi di stupefacenti e trasferiti in USA,è facile intendere l'imponenza dei capitali ne-cessairi per finanziare tutte 'le Casi dell'orga-nizzazione. Per queste prime operazioni, lerelazioni delle forze deMa sicurezza pubblicasono molto lacunose e confuse. Le azioni re-pressive vengono eseguite, quasi sempre susegnalazione del Narcotic Bureau, come nor-mali aziona di sequestro, J'una staccata dal-l'altra, senza la previsione di un disegno stra-tegico e soprattutto senza la più piccolaconoscenza di quello che si muove e si agitaall'in terno della società manosa.

Coppola pagherà presto la sua audacia edd fatti dimostreranno quanto egli sia lontanodalla posizione di « capo ».

Nei marzo 1952 Serafino Mancuso vienescoperto mentre spedisce ad Allcamo un baulecon falsi scompartì in cui sono celati Kg. 6di eroina. Le indagini approdano con ritmofebbrile a ricostruire l'intera storia, nellaquale il Coppola cade come un ingenuo,perché sia il baule che la « mercé » sono staticustoditi nella sua casa di Pomezia. Ad Al-camo sono arrestati i due fratelli Mamouso,Corso Giuseppe, Greco Salvatore, De CescoDemetrio, mentre Coppola si rende irreperi-bile. Verrà arrestato nel 1953 e sarà condan-nato, insieme ai Mancuso e al Corso, dal Tri-bunale di Trapani, ili 24 giugno 1955, a dueanni di reclusione per traffico di stupefacen-ti, mentre .tutti saranno assalti dall'imputa-zione di associazione a delinquere che, inve-ce, è il vero reato che sta alla base di tuttal'organizzazione e che, se utilizzato, avrebbeinferto colpi decisivi alila struttura mafiosa.

Si saprà dopo oltre dieci anni che l'opera-zione eseguita dalla Finanza su segnalazionedel Narcotic Bureau ha avuto una « soffia-ta » autorevole: quella di Luciano. L'episodioservirà di monito a quanti tentassero di in-trodursi autonomamente àn un settore chedeve essere governato con mano ferrea e ri-gorosa severità. Ed infatti non solo non visaranno tentativi, ma uomini di provataesperienza e di prestigiosa posizione al'in-terno dell'» onorata società », come MancinoRosario, del quaJe è stato pubblicato il prò-

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filo biografico, si assoggetteranno alle esigen-ze di Luciano, e avranno vita tranquilla.

Il problema si ripropone, come vedremo,con l'emergere dellla « nuova mafia », versola metà degli anni sessanta per la duplice,concomitante circostanza dell'affievolirsi delpotere di Luciano e dell'irrompere delle am-bizioni dei nuovi « picciotti » assurti a ran-go elevato, anche se alcuni non raggiungonoi livelli di « capi »: i due cugini Greco, Leggio,La Barbera, Alberti, Buscetta. Il summitdell'Hotel delle Palline di Palermo regoleràil nuovo corso nel traffico della droga e delcontrabbando, sul quale si attesterà in misu-ra prevalente la « terza generazione dellamafia ».

Un'ultima notiaziione su Coppola, che è dirilievo, pur se il fatto è -marginale, perchédimostra come nessuna delle prerogative oheproteggono i « capi » per lui abbia mai fun-zionato, e perciò il suo rango non raggiunsemai i massimi livelli dell'organizzazione.

Con verbale del 7 .maggio 1952 la Poliziatributaria di Roma lo accusa, con prove ab-bastanza serie, di illecito traffico di vaiuita indollari per un'ammontaire di dire 23.500.000.Nell'accertamento è dato rilievo all'acquistodella tenuta di Pomezia valutata in circa 40milioni, e ad un movimento sul c/c bancarioper lire 22 milioni.

L'iniziativa della Polizia tributaria pro-babilmente si ricollega a quella che ha datoinizio all'operazione antidroga, ed avrà avu-to il medesimo ispiratore e regista, per affie-volire le ardimentose aspirazioni di Coppola.Il fatto non avrà alcun seguito perché dopo5 anni con provvedimento del Ministro deltesoro del 15 maggio 1957 la pratica vienechiusa con l'archiviazione: Francesco PaoloCoppola è, frattanto, di nuovo libero ed èrientrato nei « ranghi », disciplinatamente.Questo gli consentirà di non avere più avven-ture pericolose e di fare buoni affari, comela lottizzazione di Pomezia sulla quale ritor-neremo per una breve, ma istruttiva inda-gine.

Il sequestro dell'eroina per « incastrare »Coppella suscitò qualche sospetto sulle sueorigini e sui rapporto con Luciano, ma siebbe un'eco solo sulla stampa, nel ricordatoarticolo del « Paese sera » del 3 marzo 1952.

Il fatto, pur non essendo di primaria im-portanza, forniva tuttavia qualche preziosaindicazione sui mondo chiuso della mafia esulla strategia ch'esso perseguiva in queglianni nel traffico della droga. Avrebbe aiutatoa capire se fosse stato collegato ad altri epi-sodi e coordinato con una diretta vigilanzasu Luciano quale era il ruolo che il « capodei capi » svolgeva in Itadia in stretti rap-porti con il « sindacato » americano ed avreb-be suggerito probabilmente i mezzi per neu-tralizzare Luciano e prevenire, almeno inparte, quella espansione dell'attività crimi-nosa che. caratterizzerà la « nuova mafia ».Purtroppo non si ebbe né collegamento nécoordinamento e quindi non si capì o nonsi volile capire.

L'appunto del Capo della polizia per ilGabinetto del Ministro dell'interno del 3aprile 1952 ancora oggi fa arrossire di stu-pore per la sua superficialità.

Dopo aver descritto l'operazione di seque-stro della droga « abilmen/te celata in unbaule a doppio fondo in possesso di certoMancuso Serafino, commerciante in Alca-mo (sic) e di certi Coppola Francesco Paoloe Lo Jaoono Pietro, latitanti », riferisce delviaggio compiuto da Luciano iil 24 marzo (ilsequestro è del 19 marzo) a Palermo allog-giando all'Hotel delle Palme e ripartendoneil giorno successivo dopo essersi incontratocon un cittadino italo-americano, tale AllessiUmberto, e con una hostess della LAI. « Con-trariamente » — scrive il Capo della polizia— « a quanto viene affermato dal giornalenon sono peraltro emersi elementi che con-fortino l'ipotesi di una relazione tra il seque-stro di Kg. 6 di eroina e il viaggio a Palermodi Luciano ».

Il 23 marzo, un giorno prima dell'arrivo diLuciano a Palermo nel vicolo -Vittorio Ema-nuele, si spara: è un cambia valuta clandesti-no, Baiamente Carrnelo, che viene a diver-bio « per rno.tivi di interesse con certo DaviPietro ed altri ».

« L'episodio » — dice il Capo della poli-zia — « non ha nessuna relazione con lapresenza a Palermo del Lucania, che vi giun-se il giorno successivo ».

Se il Capo della polizia avesse saputo chierano Davi Pietro, Lucky Luciano, Frank

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Coppo-la, Baiamonite Carmelo non avrebbeconsegnalo alla storia della mafia il più in-genuo documento che mai sia uscito da unpubblico ufficio. No>n c'è da sorprendersi se,con un simile 'responsabile per l'ordine e lasicurezza dello Stato, quegli anni siano statiper il nostro Paese tra i più sanguinosi dellaattività manosa.

7. — La 'strana fumosità con cui il Coppo-la ha voluto coprire i primi 2 anni (1948-50)di soggiorno in Italia, avallando la lunga lon-tananza per curare affari elettorali negli USA,deve nascondere ben altri elementi, soprat-tutto se si tiene conto dell'enorme differenzadi comportamenti tra lui e Linciamo in queglianni ruggenti. Coppola, Luciano o chiunquealtro di « Cosa Nostra » anche a livello infe-riore, approdava in Italia — e saranno pa-recchi — intorno al 1948 non poteva ignora-re le condizioni in cui operava in Sicilia lamafia. Sono gli anni furiosi e sanguinosi del-la banda Giuliano, l'eccidio di Portelk dellaGinestra è stato da poco consumato (1° mag-gio 1947), il numero degli assassina com-messi in Sicilia nel 1948 è altissimo, ben 498,malgrado un apparato di polizia enorme, madisorganico, insufficiente, corrotto nelle ge-rarchie, ed in pairte connivente.

Il blocco agrario ha utilizzato Giuliano ela 'sua banda per (fermare l'impetuoso movi-mento di riassetto democratico delle massecontadine che tendono allo spezzettamentodel feudo e a'11'abbattimento dal servaggioche nasce e prospera con il feudo. Ma toc-care il feudo vuoi dire toccare la mafia: daqui un collegamento tra potere mafioso ebanditismo che ha un prezzo elevatissdmodi sangue; dai 21 dicembre 1947 all'I 1 aprile1948, sono assassinati i sindacalisti, uominisemplici e coraggiosi, che sono l'espressionepiù nobile, le avanguardie coraggiose di que-sto grande movimento di riscatto: NicoloAzoti, Epifanie Li Puma, Placido Rizzotto,Calogero Cangelosi, Vincenzo Lo Jacono, Giu-seppe Cambria.

Luciano al suo arrivo in Italia scarta ognipossibilità di stabilirsi nella nativa Sicilia,così come esclude ogni possibile rapportocon le cosche mafiose siciliane e con gli in-

teressi che esse rappresentano, salvo qualchecontatto con i due uomini più rappresenta-tivi: Calogero Vizzini e Genco Russo.

Dopo il suo primo anno di soggiorno inItalia, che gli è servito per studiare la situa-zione generale in rapporto ai suoi interessibraidizionadi collegati ai traffici illeciti, la scel-ta è conforme alla natura ed alla statura del-l'uomo: non impantanarsi nella guerra, tu-multuosa e priva di avvenire, per la difesadi interessi agrasri, ma collegarsi con il norddel Paese e con alcuni ambienti industrialiche servono alla realizzazione dei suoi pro-grammi. È un salto di qualità, naturale perl'uomo che ha già scelto con l'assassinio delvecchio boss Masseria la strategia della nuo-va mafia americana come momento di inseri-mento nel « potere ».

La Sicilia non Io può interessare, afflittacom'è da una situazione politica instabile(un movimento separatista trionfante masterile, mancanza di un gruppo dirigenteomogeneo, movimento contadino e popolarein grande espansione) e da una rivalità tracosche mafiose. che, con l'occupazione allea-ta, sono emerse più inquiete e più affamateper riprendere il vecchio legame con il feudoe con il potere agrario parassitario basatosul piccolo, miserabile sfruttamento dei po-veri.

Lui ha già compiuto, dopo gli anni 30, lagrande opera di revisione di « Cosa Nostra »inserendo l'organizzazione nelle strutture dalpotere reale (sindacati, macchiine elettoralidei partiti, sottogoverno nella vita locale),centralizzando il comando operativo, elimi-nando la conflittualità dei gruppi rissosi eristabilendo l'« ordine ». Dovrebbe ricomin-ciaire 'in Sicilia da zero e non se la sente so-prattutto perché individua subito l'altro polodi sviluppo per la sua azione che più gli staa cuore: il traffico di stupefacenti.

Frank Coppola arriva 2 anni dopo in Ita-lia e sceglie esattamente il cammino opposto:approda in Sicilia e si collega subito allecosche manose di Partinico e di Alcamo, trale più potenti della Sicilia occidentale. Tro-va, però, una situazione diversa e in partenuova rispetto a quella vagliata da Lucianonell'anno precedente (1947): verso la metà

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del 1948 il separatismo rivela agli osservato-ri piiù attenti i segni della decadenza e dellaprossima estinzione, l'assedio delle forze dipolizia contro Giuliano diventa più rigido emolto duro. Chiunque è sospettato di soste-nere Giuliano è ainrestato, compresi i suoicongiunti; le oscure compiacenze che hannofavorito la spretata guerriglia del bandito,assicurandogli rifulgi e protezione, si vannolentamente diradando, tanto che Giuliano i'124 novembre 1948 indirizza ad parlamentariche ritiene di avere favorito con la sua azio-ne una lettera minacciosa: « onorevoli, que-ste donne che si trovano maltrattate in car-cere sappiate che hanno votato le vostre li-ste, perché speravano nel vostro senso di giu-stizia e soprattutto nelle vostre promesse.Nelle nostre zone non si è votato che per voie così noi abbiamo mantenuto le nostre pro-messe, adesso voi mantenete le vostre ».(GAVIN MAXWELL: Dagli amici mi guardiIddio. Milano, 1957, p. 130).

Le cosche manose che hanno appoggiatoGiuliano e il movimento separatista speran-do di consolidare, secondo gli impegni assun-ti dai gruppi agrani, un grande movimento didestra politica, ad momento delle nuove scel-te, proprio perché maturano nuovi interessae nuovi orientamenti, sono dilaniate o dasanguinose guerre intestine, come quellaLeggio-Navarra, o da profondi contrasti diorientamento. La mafia di Monreale, capeg-giata da Benedetto Minasela, collabora « leal-mente » col nuoro comandante della lottaal banditismo colonnello Luca, ma quelladi Borgetto, con il « capo » Domenico Miceli,non è d'accordo e crea difficoltà ed ostacoli.

E proprio Partinico dove è approdatoFirank Coppola riceve d'I primo colpo della ri-volta di Giuliano: cade assassinato il capo-mafia cavaliere Santo Flores. I fatti non sonomai casuali quando sviluppano avvenimentiche, a breve o medio termine, sono valuta-bili come un unico disegno per raggiungeredeterminati obiettivi. Non può essere casua-le il fatto che Frank Coppola, uscito volonta-riamente dagM USA e con urna conisistenite si-tuazione patrimoniale tanto che nel 1949 im-posterà con l'acquisto di Pomezia un colos-sale affare speculativo, approdi nella infuo-

cata Partinico; non è un caso che la potentecosca maliosa di Partinico sia la prima adimpostare un nuovo indirizzo nel rapportocon Giuliano, praticamente abbandonandolo,e paghi per prima, con la incomposta e san-guinosa riivoJjta del bandito, il prezzo del tra-dimento. E non è per caso die in poco menodi due anni dal 1948 la mafia siciliana ritrovinon solo una nuova armonia fra cosche furio-samente divise, ma imposti la nuova strate-gia della « seconda mafia », abbandoni ilfeudo, ormai poco produttivo e troppo espo-sto alle rivendicazioni dea contadini che han-no ritrovato una nuova coscienza di massa,tanto che nel 1950 sarà approvata dall'As-semblea regionale la legge di riforma agra-ria, e si indirizzi verso obiettivi nuovi e piùpromettenti: la speculazione edilizia, i mer-cati, il contrabbando.

È probabile che « Cosa Nostra » guaTdassecon sempre maggiore preoccupazione a quel-lo che accadeva in Sicilia intorno al 1948. Lasbornia separatista con l'ipotesi della Siciliainserita come una nuova stella nella bandie-ra americana era ormai passata; l'Italia ri-prendeva il cammino a fianco dell'America ei « pericoli » di svolta a sinistra erano sitatiscongiurati con la cacciata di comunisti esocialisti dal Governo. Nell'Isola erano di-venuti anacronistici non solo i rapporti conGiuliano, un bandito che si era montato latesta, e per giunta non faceva parte dell'or-ganizzazione mafiasa, ma de relazioni con ladestra politica monarchico-liberale, palese-mente rivelatasi priva di forze per consoli-dare il « potere » nella gestione degli interes-si siciliani.

Frank Coppola poteva essere l'uomo adat-to per preparare la difficile scelta: aveva tat-to e pazienza, d'esercizio delle 'pubbliche re-lazioni per lunghi anni lo aveva reso duttilee simpatico, aveva l'autorità necessaria, so-prattutto per delega, per comporre contrastie dare « consigli » di moderazione e pruden-za. Ed a questo compito Coppola si dedicòcon fervore ed energia negli anni 1948-50,anni che lo videro protagonista discreto diavvenimenti nuovi ed imponenti e sui quali sipuò argomentare solo a lume di logica, senza

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imbarcarsi in una impresa che sarebbe di-sperala come quella di ricercare prove e te-stimonianze.

Coppola tenterà sempre, MI ogni circostan-za e in tutti gli interrogatori cui sarà sotto-posto, di « coprire » questi due ainni, comepassati fuori da.lla Sicilia e contrariamentealla tradizione manosa del <$ poco parlare »sarà loquacissimo con i suoi racconti elet-torali in USA ed in Italia. Ed in verità questa

pista sviante, non solo è stata sempre accet-tata dagli organi inquirenti, ma ha ancheavuto i suoi effetti, soprattutto quello di co-pirire le radici da cui genmoglierà la « nuovamafia », della quale Coppola voleva essere ilgarante e la guida per il suo utile inserimen-to nell'organizzazione. Questa volta Lucianonon gli avrebbe sbarrato la strada né gliavrebbe fatto alitai scherzi come quelli delbaule di Alcamo.