CAPITOLO PRIMO CONSIDERAZIONI...

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1 INDICE Premessa 5 CAPITOLO PRIMO CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE 1. Le obbligazioni alternative nel diritto romano e nella tradizione romanistica: dalla casistica alla sistemazione dogmatica 9 2. Il tipo «obbligazione alternativa» nell’interpretazione prevalente 12 3. L’assetto di interessi nell’obbligazione alternativa 20 4. Segue 23 CAPITOLO SECONDO LA NATURA GIURIDICA DELL’OBBLIGAZIONE ALTERNATIVA 1. Impostazione della questione 27 2. Esposizione e critica delle diverse teorie 29 2.1 Teorie dell’obbligazione unica 30 2.1.1 Teoria dell’obbligazione perfetta 30 2.1.2 Teoria della pendenza dell’obbligazione 33 2.1.3 Teorie intermedie 36 2.2 Teorie della pluralità di obbligazioni 39

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INDICE

Premessa 5

CAPITOLO PRIMO

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

1. Le obbligazioni alternative nel diritto romano e nella tradizione

romanistica: dalla casistica alla sistemazione dogmatica 9

2. Il tipo «obbligazione alternativa» nell’interpretazione prevalente 12

3. L’assetto di interessi nell’obbligazione alternativa 20

4. Segue 23

CAPITOLO SECONDO

LA NATURA GIURIDICA

DELL’OBBLIGAZIONE ALTERNATIVA

1. Impostazione della questione 27

2. Esposizione e critica delle diverse teorie 29

2.1 Teorie dell’obbligazione unica 30

2.1.1 Teoria dell’obbligazione perfetta 30

2.1.2 Teoria della pendenza dell’obbligazione 33

2.1.3 Teorie intermedie 36

2.2 Teorie della pluralità di obbligazioni 39

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2.2.1 Teoria delle obbligazioni condizionali 39

2.2.2 Teoria della pluralità di obbligazioni perfette 41

2.3 Teoria eclettica di Pescatore 45

3. Esegesi delle fonti 48

CAPITOLO TERZO

IL REGIME DELLA SCELTA

1. Regolamentazione del ius electionis 59

2. Segue: D. 31, 19 70

3. Esclusione di un cambiamento del regime della scelta in epoca

giustinianea 81

4. La rilevanza della scelta: nell’ipotesi di scelta espressamente deferita 84

5. Segue: nell’ipotesi di scelta rimessa ad un terzo 91

6. Il problema della trasmissibilità ereditaria 98

7. Regolamentazione del c.d. ius variandi 102

8. Segue: D. 16, 2, 22 108

CAPITOLO QUARTO

ADEMPIMENTO ED ESTINZIONE

DELL’OBBLIGAZIONE ALTERNATIVA

1. Adempimento parziale 111

2. Segue: in ipotesi di pluralità di debitori o creditori 124

3. Acceptilatio 128

4. Pactum de non petendo 133

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5. Contrarius consensus 136

6. Concursus causarum 138

7. Impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni 141

7.1 Caso fortuito o vis maior 143

7.2 Impossibilità imputabile al debitore 160

7.3 Impossibilità imputabile al creditore 172

Conclusioni 179

Bibliografia 185

Indice delle fonti 205

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PREMESSA

Mi pare opportuno premettere in limine al presente lavoro qualche cenno

sulla importanza dottrinale e pratica delle obbligazioni alternative poiché

l’esiguo numero di decisioni contenute nei repertori di giurisprudenza in

relazione all’istituto indagato potrebbe apparire ictu oculi indice di una

relativa scarsità di interesse che queste obbligazioni possono suscitare.

Ci è di conforto tuttavia, in questo lavoro, il copioso numero di frammenti

delle fonti romane in cui i giureconsulti risolvono molte questioni cui

queste obbligazioni, che non godettero fino alla Glossa di una

denominazione specifica, danno luogo.

Valery Giscard, che forse per primo in dottrina ha sostenuto la decadenza

dell’istituto del diritto romano rispetto alla moderna teoria generale del

diritto1, offre una spiegazione del fenomeno in chiave sociologica. Egli

afferma che l’utilizzo più frequente dell’obbligazione alternativa si

riallaccia all’istituto della schiavitù oggi scomparso, e proprio il mutato

modo di intendere le relazioni sociali sarebbe all’origine del progressivo

declino di un istituto che riveste un ruolo oramai marginale nella pratica

degli affari. Vi era, sostiene l’Autore, a Roma, una classe di individui

1 V. GISCARD, De l’obligation alternative, Dijon, 1888, 78. La scarsa rilevanza pratica della figura è stata sostenuta, tra gli altri, da M. PLANIOL, Traitè elementaire de Droit Civil, II, Paris, 1923, 231 e da A. COLIN-H. CAPITANT, Curso elemental de Derecho Civil , III, trad. sp., Madrid, 1924, 366. Nella dottrina italiana, più di recente, Breccia dalla scarsità di pronunce giurisprudenziali ha tratto «conferma (del)l’impressione che il fenomeno non trovi nella realtà una diffusione pari all’importanza che gli attribuirono nel passato gli studiosi». V. U. BRECCIA, Le obbligazioni, in Trattato Dir. Priv. a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1991, 229.

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oggetto di commercio come gli animali, ma, in quanto uomini, differenti

gli uni dagli altri per le loro qualità personali; riusciva quindi molto utile

stipulare delle obbligazioni la cui prestazione consisteva nel dare uno

schiavo da scegliersi fra alcuni determinati poiché questo permetteva al

creditore di procurarsi quello schiavo che, per le sue attitudini, gli era di

maggiore utilità.

Ora è innegabile che nella storia del diritto si assiste continuamente al

fenomeno di istituti giuridici che progressivamente decadono e

scompaiono con il venir meno di quelle relazioni tra gli uomini da cui

erano stati originati - e per le quali vivevano - e con il mutare delle

particolari condizioni ambientali cui devono necessariamente adattarsi; si

deve altresì ammettere che molti casi di obbligazioni alternative hanno

avuto per oggetto, nel diritto romano, la dazione di schiavi, come attestano

gli esempi delle fonti. Ciò che qui si intende negare è che questa uniformità

di esempi, nei quali si stipula Stichum aut Pamphilum, debba condurre

giocoforza a quella spiegazione e che la scomparsa dell’istituto della

schiavitù abbia potuto produrre un affievolimento della vitalità

dell’obbligazione alternativa. Infatti, se molti sono i frammenti dai quali

risulta una stipulazione o un legato che ha per oggetto Stichum aut

Pamphilum, non meno cospicui sono gli esempi in cui si parla di Stichum

aut decem (o di altre cose). Né, restando nel campo delle obbligazioni di

dare, si vede perché gli schiavi, e non tutte le altre cose che, a parità di

valore oggettivo, possono pur tuttavia dar luogo a diversi apprezzamenti

soggettivi, avrebbero dovuto formare oggetto di obbligazioni alternative.

Infine, occorre ricordare che se alcuni istituti sociali scompaiono, altri

prendono il loro posto, se bisogni ed interessi che diedero luogo a

determinati rapporti giuridici si affievoliscono, altri bisogni ed altri

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rapporti in loro luogo sorgono e si moltiplicano con l’intensificarsi delle

attività umane, sì che anzi possiamo dire che si è ampliato piuttosto che

ristretto il campo di applicazione delle obbligazioni alternative2. Vero è,

come è stato osservato, che «la maggiore parte delle obbligazioni

alternative, frequenti anzi che rare nella nostra pratica, le stipuliamo per lo

più senza accorgercene»; fra i numerosi esempi enumerati dalla dottrina

possiamo ricordare quello «del biglietto di viaggio circolare che autorizza

l’acquirente a seguire una o altra linea ferroviaria; di certe pensioni in

alberghi o trattorie dove per un prezzo fisso si ha diritto a scegliere… fra

più piatti segnati in lista per il pranzo; o del catalogo di un fornitore di

mobili che per un dato prezzo offre mobilio da ricoprire di stoffe di una o

di altra tinta»3 .

2 G. PESCATORE, Die Wahlschuldverhältnisse, München, 1905, 2 ss. Cit. in V. POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, 1915, 229. 3 V. POLACCO, Le obbligazioni, cit., 230. L’insospettata attualità dell’istituto è resa evidente dall’applicabilità a vari fenomeni della realtà contemporanea: «une personne achète une voiture qui est garantie pendant six mois, ou 3000 kilomètres. Une autre vend sa maison pour un prix de 250000 francs ou de 200000 francs, indexè sur le coût de la construction. Une autre encore souscrit des obligations remboursables en francs français ou en francs suisses.» Così M. J. GEBLER, Les obligations alternatives, in Revue trimestrielle de droit civil, 1969, 1. Passando brevemente in rassegna le ipotesi comunemente prospettate, si è in presenza di obbligazione alternativa nel caso di un biglietto teatrale per assistere ad uno dei due balletti (P. CENDON, L’esame di diritto privato, Milano, 1994, 133 e 434) o tot numeri di rappresentazioni ovvero nel caso del proprietario locatore che si riserva di dare al secondo o al terzo piano l’appartamento al conduttore (P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1996, 410). E ancora nell’ipotesi in cui il debitore si obbliga a concedere ipoteca o fideiussione (M. BIANCA, Diritto civile, 4, Milano, 1990, 124), di garanzia della autovettura per tre anni o per 100000 km o allo stesso prezzo per un’autovettura con cilindrata diversa o con ABS o aria condizionata o di colore diverso (B. INZITARI in M. BESSONE, a cura di, Istituzioni di diritto privato, Torino, 1996, 455).

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CAPITOLO PRIMO

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

1. Le obbligazioni alternative nel diritto romano e nella

tradizione romanistica: dalla casistica alla sistemazione

dogmatica

La materia dell’obbligazione alternativa è dominata da un’ampia

elaborazione dottrinale4, che «costituisce una tradizione romanistica», la

4Lo studio delle obbligazioni alternative, nei suoi aspetti generali, ha oggi apparentemente raggiunto risultati pressoché definitivi, grazie all’apporto di un’ampia, anche se non recentissima, letteratura. L’argomento ha trovato specifica trattazione in parecchi lavori della dottrina dell’ottocento, tra i quali risultano particolarmente significativi: M. A. J. DE BRASSIER, De causis alternativis, in Dissertatio Inauguralis, Heidelberg, 1821; G. F. PUCHTA, Pandekten § 221; K. L. ARNDTS, Pandekten § 203 e 579; K. A. VANGEROW, Pandekten, 3, § 569; B. WINDSCHEID, Pandette, trad. it. di C. Fadda e P. E. Bensa, II, Torino, 1887, § 255; 3, § 661; J. F. F. ARENDT, De vi ac potestate obligationis alternativae, in Dissertatio Inauguralis Berolini, Berlino, 1866; M. DE THIELMANN, De obligatione alternativa, in Dissertatio Inauguralis Berolini, Berlino, 1866; S. LINDHEIMER, De disiunctiva obligatione, in Dissertatio Inauguralis Berolini, Berlino, 1867; K. BERNSTEIN, Zur Lehre von alternativen Willen und den alternativen Rechtsgeschäften, 1. Der alternative Wille und die alternative Obligation, Berlino, 1878; ID., Die alternative Obligation im römischen und im modernen Recht, in Zeitschrift für vergleichende Rechtswissenschaft, 2, 1880, 392 ss.; G. PESCATORE, Die sogennante alternative Obligation, Marburg, 1880; G. CARNAZZA, Le obbligazioni alternative nel diritto romano e nel diritto civile italiano, Catania, 1893; V. SCIALOJA, Tribonianismi in materia di obbligazioni alternative e generiche, in BIDR, 11, 1898, 61 ss. (= in Studi giuridici, 2, Roma, 1934, 110 ss.); ID., Lezioni di diritto romano, 1898-99, 152 ss. L’interesse per l’argomento è stato considerevole anche nel novecento. Tra le trattazioni di carattere generale si vedano, per tutti, R. DE RUGGIERO, Le obbligazioni, Napoli, 1922, 97 ss.; C. LONGO, Corso di diritto romano. Le Obbligazioni (ambulatorie —

alternative — generiche — solidali — indivisibili), Milano, 1936, 21 ss.; E. ALBERTARIO,

Corso di diritto romano. Le obbligazioni. Parte generale, 1, Milano, 1936, 318 ss.; G. GROSSO, Obbligazioni. Contenuto e requisiti della prestazione. Obbligazioni alternative e generiche3, Torino, 1966, 161 ss.; M. TALAMANCA, s.v. Obbligazione (diritto romano), in Enc. Dir.,XXIX, Milano, 1979, 44 ss. Numerosi sono stati anche i contributi su aspetti specifici tra cui si vedano F. VASSALLI, Nuove osservazioni sulle obbligazioni alternative e generiche. Miscellanea critica di diritto romano (fasc. III), in Studi econ. e giur. Univ. di Cagliari, 1916 (in Studi Giuridici, 3. 1, Milano, 1960, 471 ss.); G.

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quale ha peraltro sovente solo «il punto di partenza nelle fonti, mentre il

punto di vista dei Romani viene costretto e soffocato in una

soprastruttura5».

Concetti, schemi e modelli che risultano da tale tradizione ed elaborazione

vengono senz’altro adottati anche nella trattazione romanistica6, ma

l’utilizzo delle categorie della moderna dogmatica nello studio e nella

didattica del diritto romano non può mettere in ombra l’architettura

eminentemente casistica del medesimo7.

In questo senso, nell’avvicinare il tema oggetto della presente indagine,

conviene innanzitutto svolgere una considerazione preliminare: il diritto

romano non conosce una teoria delle obbligazioni alternative. Né si

rinviene nelle fonti una «espressione tecnica astratta»8 atta a designare la

GROSSO, Note esegetiche in tema di obbligazioni alternative, in Scritti di diritto e di economia in onore di F. Mancaleoni, (Studi Sassaresi, XVI), 1938, 161 ss.; ID., Problemi costruttivi e sistematici dell’obbligazione alternativa nel diritto romano, in Riv. dir. comm., 38, 1940, 1, 224 ss.; ID., Note in tema di obbligazione generica, in Studi giuridici in memoria di F. Vassalli, Torino, 1960, 955ss. M.E. LUCIFREDI PETERLONGO, Intorno all’unità o pluralità di vincoli nell’obbligazione alternativa, in Ann. Fac. Giur. Univ. Perugia, 1942, 137 ss.; A. D’ORS PEREZ-PEIX, En torno a la llamada obligaciòn alternativa (Apostillas metodologicas de un romanista al articulo de un civilista), in Rev. Derecho Priv., XXVIII, 1944, 1 ss.; G. SCIASCIA, Sulla irretrattabilità della scelta nelle obbligazioni alternative e generiche, in Scritti in onore di C. Ferrini, Milano, 1947, 255 ss.; G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore alla conservazione degli oggetti promessi alternativamente, in SDHI, 25, 1959, 55 ss.; ID., Note sull’adempimento dell’obbligazione alternativa ritenuta dal debitore cumulativa o semplice, in Studi in onore di E. Betti, Milano, 1962, 263 ss. Un rinnovato interesse per l’istituto sembra peraltro testimoniato dalla recente pubblicazione di P. ZILIOTTO, Studi sulle obbligazioni alternative nel diritto romano, Padova, 2004. 5 G. GROSSO, Problemi, cit., 224. 6 Autorevoli esempi sono costituiti da alcuni corsi universitari dei nostri più grandi romanisti, da quello di P.Bonfante a quelli di R. De Ruggiero, di C. Longo e di E. Albertario. 7 Contro i rischi di tale impostazione mette in guardia Hernandez Gil rilevando il «fenomeno…(de) la penetracion en las categorias concretas del Derecho romano de conceptos y esquemas ajenos a el con lo cual la que pudiera denominarse concepcion romana pura aparece transformada y hasta desnaturalizada ». V. A. HERNANDEZ GIL, Naturaleza juridica de la obligacion alternativa, in Rev. Derecho Priv., XXVI, 1942 , 550. 8F. K. SAVIGNY, Le obbligazioni, trad. it. di G. Pacchioni, Torino, 1912, 363; A. HERNANDEZ GIL, Naturaleza juridica de la obligacion alternativa , cit., 549.

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suddetta figura: ancorchè in D. 13, 4, 2, 3 (Ulp. 27 ad ed.)9 compaia la

dizione «alternatio», - da cui è stata desunta la denominazione dell’istituto

in esame -, la stessa non assume tuttavia, in tale frammento, un significato

proprio10.

Vero è, come si è osservato11, che i Romani non hanno mai compiuto

un’opera astratta di definizione: la fenomenologia che noi riportiamo alla

categoria generale dell’obbligazione alternativa è stata elaborata dai

giuristi romani in modo casistico, con immediata aderenza alle

caratteristiche dell’atto creativo del vincolo giuridico12, considerando i vari

casi in cui le prestazioni venivano alternativamente dedotte

nell’obbligazione con riguardo alla stipulatio, al legato e al

fedecommesso, nonché, sia pure isolatamente, alla compravendita.

Tutta la materia è stata trattata con stretta aderenza all’applicazione

concreta, in rapporto a singole obbligazioni e alle singole ipotesi;

nondimeno la casistica delle fonti appare costantemente ispirata a «un

chiaro senso costruttivo e sistematico13».

Per questa ragione la liberazione della trattazione romanistica

dell’obbligazione alternativa dagli schemi che la tradizione ha sovrapposto

alla concezione romana e che vi ripugnano - liberazione auspicata già più

9 In una parte del frammento si legge infatti: «…et generaliter definit Scaevola petitorem electionem habere ubi petat, reum ubi solvat, scilicet ante petitionem. Proinde mixta,inquit,rerum alternatio locorum alternationi ex necessitate facit actoris electionem et in rem propter locum: alioquin tollis ei actionem, dum vis reservare reo optionem.» 10 Solo nei Basilici compare la locuzione ��� ��������� a designare stipulazioni alternative; di lì l’espressione entrerà nel lessico giuridico medioevale fino a confluire, con valenza ormai pienamente tecnica, nella Glossa. Cfr. A. D’ORS PEREZ-PEIX, En torno a la llamada obigacion alternativa, cit., 20 ; A. CRISTOBAL MONTES, Las obligaciones alternativas, Barcelona, 1992, 8; R. CECCHETTI, Le obbligazioni alternative, Padova, 1997, 135. 11 G. GROSSO,Obbligazioni, cit., 252. 12 M.TALAMANCA,Obbligazione, cit., 44. 13 G. GROSSO, Problemi, cit., 225.

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di un secolo fa da Pescatore14- non deve spingersi fino a negare un’unità

che deriva dal parallelismo tra le diverse fattispecie15: seguendo la sottile

ed accurata disamina e separazione di ipotesi operata dalla giurisprudenza

romana è possibile enucleare una categoria unitaria dell’obbligazione

alternativa come tipo individuato dal modo di determinazione della

prestazione. In tale indagine l’elemento esteriore dell’alternativa

designazione dell’oggetto (aut…aut…) non appare risolutivo, a

testimonianza della raffinatezza dei risultati raggiunti dalla elaborazione

dottrinale.

L’attività di individuazione dell’obbligazione alternativa come particolare

tipo che si configura in rapporto alla determinazione della prestazione

dovuta non può prescindere da un attento esame delle ipotesi descritte dalle

fonti: attraverso il raffronto di fattispecie che presentano analogie esteriori

i Romani segnano chiaramente i limiti in cui si può delineare una visione

unitaria e l’opposizione di diverse costruzioni.16

2. Il tipo «obbligazione alternativa» nell’interpretazione

prevalentente

14 Da ultimo nella premessa romanistica al suo volume Die Wahlschuldverhältnisse, München, 1905, 30 ss. Cfr. ID., Die sogennante, cit. 15 Va quindi respinta la tesi dello stesso giurista laddove stabilisce un’antitesi di costruzione fra l’ ipotesi di scelta spettante al debitore e quella di scelta deferita al creditore: v. infra , § 2. 16 G. GROSSO, Problemi, cit., 225; A. CRISTOBAL MONTES, Las obligaciones , cit.,8.

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L’espressione obligatio alternativa definisce un istituto che, sebbene

sconosciuto ai prudentes come categoria generale, «ha salde radici nel

diritto romano».17

La caratterizzazione della figura così come emerge dalle fonti, e soprattutto

la cristallizzazione della medesima nella tradizione giuridica, consentono

di descrivere l’obbligazione alternativa, o disgiuntiva, come «quella che

presenta due o più prestazioni18, dedotte però alternativamente,

disgiuntamente19, cioè in modo che in un momento successivo alla nascita

dell’obbligazione il vincolo finisca per cadere su di una sola prestazione, e

solo quest’ultima debba essere eseguita, cosicchè, con l’adempimento di

essa, l’obbligazione si estingua, rimanendo il debitore liberato».20

Nella fisionomia dell’istituto l’unicità dell’adempimento si compenetra con

la complessità oggettiva del vincolo obbligatorio, innervandone l’identità

tipica e determinando, sul versante dei rapporti reciproci, il confine con la

figura contigua dell’obbligazione cumulativa, in cui non una, bensì tutte le

prestazioni dedotte in obbligazione debbono reputarsi ugualmente

dovute21.

17 G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 164. 18 Quanto alla natura delle prestazioni - nelle fonti indicate sempre in numero di due (M. TALAMANCA, Obbligazione, cit., 44 nt.292) – lo spettro doveva verosimilmente essere piuttosto ampio, anche se la casistica romana, «e non senza fondamento nella pratica», ha «riguardo a cose» (G. GROSSO, Obbligazioni, cit. , 167 nt.5), alla cui stregua dovevano però essere considerate anche le somme di denaro, spesso previste in alternativa a cose (A. GORASSINI, Alternatività nell’oggetto della obbligazione. Delle obbligazioni alternative, Napoli, 1999, 151 nt.231). 19 Es.: «dare aut hominem Stichum aut centum». 20 R. CECCHETTI, Le obbligazioni, cit., 2. Cfr. altresì A. GIAQUINTO, Codice civile. Le obbligazioni, Commentario diretto da M. D’Amelio ed E. Finzi, Firenze, 1943; D. RUBINO, Delle obbligazioni. Commentario al codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna - Roma, 1961, 7; M. BIANCA, Diritto civile, 4, cit., 124. 21 Come osserva Polacco (Le obbligazioni, cit., 203), si avrebbe allora una sola obbligazione soltanto in apparenza, giacchè in sostanza le obbligazioni sarebbero tante quante sono gli oggetti, salvo il caso in cui questi utimi siano concepiti in guisa da formare un’unità inscindibile. A conforto dell’impostazione teorica adottata l’Autore richiama D. 45, 1, 29, pr., laddove Ulpiano, in tema di obbligazioni concluse verbis, asserisce: Scire debemus in stipulationibus tot esse stipulationes quot summae sunt, totque

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Dal punto di vista strutturale e tipologico, facendo leva sulla elasticità della

costruzione elaborata dai Romani in rapporto alla complessa e molteplice

varietà del reale nonchè sulla semplicità degli elementi con cui essi

operavano, occorre anzitutto isolare l’ipotesi normale e originaria

dell’obbligazione alternativa romana, nettamente prevalente nella pratica,

vale a dire quella in cui si devono alternativamente due prestazioni senza

che nulla sia detto in ordine alla scelta. In difetto di qualsivoglia direttiva

circa le modalità di individuazione della species singola idonea ad

estinguere l’obbligazione, è la stessa impostazione dogmatica del rapporto

a dettare, in via intuitiva, le regole che presiedono alla determinazione

della titolarità del ius eligendi e alla disciplina del suo esercizio. Posto che

l’obbligazione poteva venire adempiuta sia con la prestazione A che con la

prestazione B, alla giurisprudenza dovette sembrare quasi in re ipsa che ad

esercitare la scelta fosse il soggetto tenuto ad eseguire l’una o l’altra di

esse22.

esse stipulatoiones quot species sunt…Quamvis autem placuerit tot esse stipulationes quot summae, totque esse stipulationes quot res, tamen si pecuniam quis, quae in conspectu est, stipulatus sit, vel acervum pecuniae, non tot sint stipulationes quot nummorum corpora, sed una stipulatio, nam per singulos denarios singulas esse stipulationes absurdum est. Stipulationem quoque legatorum constat unam esse quamvis plura corpora sint, vel plura legata: sede et familiare vel omnium servorum stipulatio una est; at si quis illud et illud stipulatus sit, tot stipulationes sunt quot corpora. Avverte peraltro Polacco che la massima tot stipulationes quot res va intesa cum grano salis, non dovendosene trarre la conclusione che si sia in presenza di tante obbligazioni assolutamente distinte le une dalle altre, come se risultassero da cause e da titoli differenti. Diversamente, infatti, non si comprenderebbe, ad esempio, la regola per effetto della quale il creditore non può essere costretto a ricevere un pagamento parziale (enunciata nelle fonti anche con riferimento all’obbligazione alternativa: v. infra, cap. 4). 22 V. G. GROSSO, Note esegetiche in tema di obbligazioni alternative, cit., 557. La tesi secondo cui l’unica vera tipologia di obbligazione alternativa romana in epoca classica fosse quella strutturalmente semplice e con scelta del debitore risulta avvalorata da quella opinione (v. P. BONFANTE, Corso di diritto romano, IV. Le obbligazioni, Milano, 1979, 172 s.; ma sul punto cfr. anche M. TALAMANCA, Obbligazione, cit., 45, nt. 296 e G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 168 s.) che rileva come i testi che attribuiscono il diritto di scelta al creditore senza una espressa convenzione siano solo quelli relativi alla materia dei legati, in cui il creditore è il legatario e il debitore l’erede. La singolarità si spiegherebbe in ragione del fatto che nel diritto classico le quattro specie di legati si riducono a due, per vindicationem e per damnationem: «se nei legati per damnationem, la scelta spettava all’erede, nei legati alternativi per vindicationem, essa spettava

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La titolarità del ius eligendi si riallaccia dunque alla posizione di debitore

in quanto soggetto tenuto all’adempimento: secondo l’interpretazione

corrente23, tale regola non costituirebbe altro che un’applicazione

particolare del principio del «favor debitoris».

Che lo schema dianzi descritto costituisse il modello elementare e

«paradigmatico24» dell’obbligazione alternativa romana si deduce del resto

argomentando a contrario dal carattere eccezionale25 dell’eventualità che

la scelta fosse conferita al creditore. Tale convinzione risulta accreditata

dalla circostanza che l’operatività del deferimento al soggetto attivo del

rapporto fosse subordinata ad una esplicita manifestazione del consenso,

formalmente trasfusa nel regolamento negoziale predisposto dalle parti.

Il rapporto tra la «normalità» di una fattispecie e la «specialità» dell’altra

affiora in alcuni passi del Digesto:

D. 18, 1, 34, 6 (Paul. L. 3 ad ed. ):

Si emptio ita facta fuerit:

«Est mihi emptus Stichus aut Pamphilus» in potestate est venditoris quem

velit dare sicut in stipulationibus.

D. 18, 1, 25 (Ulp. L. 34 ad Sab. ):

Si ita distrahatur illa aut illa res, utram eliget venditor, haec erit empta.

naturalmente al legatario, in quanto l’oggetto da lui rivendicato, e quindi scelto, era senz’altro di sua proprietà» (P. BONFANTE, Corso, cit., 172; in altri termini la scelta competeva al legatario in quanto proprietario sia pure di beni in alternativa). La fusione dei due tipi di legato operata da Giustiniano ha fatto sì «che esista nel diritto giustinianeo un tipo di obbligazione alternativa con diritto di scelta rimesso al creditore». V. A. GORASSINI, Alternatività nell’oggetto della obbligazione. Delle obbligazioni alternative, cit., 153. Per la discussione di questa tesi v. peraltro infra, cap. 3. 23 C. LONGO, Le obbligazioni, cit., 47; R. CECCHETTI, Le obbligazioni, cit., 137. 24 P. ZILIOTTO, Studi, cit., 13. 25 V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1985, 415; R. CECCHETTI, Le obbligazioni, cit., 137; A. GORASSINI, Alternatività nell’oggetto della obbligazione, cit., 152.

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D. 23, 3, 46, 1 (Iul. L. 16 Dig. ):

Si debitori suo mulier nuptura ita dotem promisisset : «Quod mihi debes,

aut fundus Sempronianus doti tibi erit »: utrum mulier vellet, id in dote

erit.

D. 23, 3, 10, 6 ( Ulp. L. 34 ad Sab.):

Si res in dotem datae fuerint quamvis aestimatae; verum convenerit « ut

aut aestimatio aut res praestentur »: si quidem fuerit adiectum «utrum

mulier velit» ipsa eliget…; verum si ita fuerit adiectum utrum maritus velit,

ipsius erit electio; aut si nihil de electione adiciatur, electionem habebit

maritus utrum malit res offerre an praetium.

Laddove la scelta sia deferita in maniera espressa al creditore, la

determinazione del contenuto e degli effetti di essa viene in larga misura

affidata al tenore della formula che la attribuisce, la quale assume, in tal

guisa, la funzione di criterio-guida nell’interpretazione della volontà dei

contraenti. Così, ove la riserva sia operata nella forma del futuro semplice

(quem volam) la volontà deve intendersi come contemporanea

all’adempimento della prestazione, sì che il creditore potrebbe mutare

volontà fino a che non fosse pagato o non avesse dedotto l’obbligazione in

giudizio estinguendola per effetto della litis contestatio (D. 45, 1, 112, pr.:

(Stipulator)…donec iudicium dictet, mutandi potestatem habebit).

La scelta del creditore si esplica direttamente nel volere e nel chiedere uno

degli oggetti, il che tuttavia non importa l’idoneità della mera

dichiarazione di tale volontà, di per sé sola, a fissare l’obbligazione su un

oggetto; si tratta, infatti, sempre di «un momento per arrivare o al

pagamento o alla litis contestatio che estingue l’obbligazione26».

26 G. GROSSO, Problemi, cit., 226.

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In questo modo la scelta viene ad essere inerente alla struttura del rapporto

obbligatorio e in particolare alla posizione di creditore, in perfetta

simmetria con lo schema normale e originario dell’obbligazione

alternativa, ovvero, come si è detto, quello in cui si deve A o B senz’altra

aggiunta, in cui l’adempimento di una prestazione estingue l’obbligazione

alternativa senza che l’electio assuma un rilievo autonomo.

A conclusioni divergenti giunse Pescatore, il quale volle istituire una

fondamentale antitesi di costruzione fra le due fattispecie dianzi descritte,

scorgendo nel caso di scelta spettante al debitore un’unica obbligazione,

mentre in quello di deferimento della stessa al creditore una pluralità di

azioni concorrenti: chi avesse stipulato Stico o dieci a sua scelta avrebbe

avuto due azioni fra le quali vi sarebbe stata concorrenza elettiva.

Ma questa configurazione di una concorrenza elettiva di azioni, e la

contrapposizione di una pluralità di crediti all’unità di obbligazione che si

avrebbe nell’altra ipotesi, appare destituita di fondamento: «se è vero che i

Romani considerano qui la scelta come tale che si esplica nella richiesta

dell’uno oppure in quella dell’altro oggetto, nell’azione diretta all’uno od

all’altro, se solo la litis contestatio preclude la possibilità di mutare

voluntatem, non pare però questa un’applicazione della normale

concorrenza delle azioni, di cui altera electa altera consumitur». Sul punto

argomenta lucidamente Grosso: «Ove sta l’eadem res (fondamento della

consunzione processuale) tra il chiedere Stico e il chiedere dieci? Il

fondamento della efficacia della litis contestatio sta nel fatto che sia

chiedendo dieci sia chiedendo Stico si deduce l’obbligazione in giudizio;

sta cioè nella fondamentale unità della obbligazione, che avendo per

oggetto A o B, quello dei due voluto dal creditore, si fa valere in giudizio

col chiedere singolarmente uno dei due oggetti.» Nell’azione e nelle

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conseguenze processuali vi è un riflesso di un aspetto del rapporto

obbligatorio, che i Romani concepiscono anche qui come unico; la

domanda di un oggetto è l’espressione di quel velle che opera già nella

sfera del rapporto sostanziale. E in questo senso si spiega l’affermazione

del fr. 75 § 8 D. 45, 1 (Ulp. L. 22 ad ed.): cum ei liceat vel hominem

tantum vel decem tantum intendere sibi dari oportere, e quella del fr. 66 D.

3, 3 (Pap. L. 9 quaest.): facit ut res in iudicium deduca videatur, et

stipulationem consumit.27

Va da sé che quanto precede non esclude che le parti possano attribuire alla

dichiarazione di scelta l’attitudine a fissare l’obbligazione su uno degli

oggetti in essa dedotti. Chè anzi se, come detto, è la formula con cui il ius

eligendi viene deferito a calibrare il contenuto e gli effetti di quest’ultimo,

appare evidente come allo scopo sarà sufficiente adeguare il tenore della

clausola stessa. Ed infatti, coerentemente, nel fr. 112 pr. D. 45,1 Pomponio

ancora l’efficacia vincolante o meno della dichiarazione al tempo verbale

impiegato in seno al titolo costitutivo28.

D. 45, 1, 112, pr. (Pomp. 15 ad Quintum Mucium): si quis stipulatus sit

Stichum aut Pamphilum, utrum ipse vellet : quem elegerit, petet et is erit

solus in obligatione. An autem mutare voluntatem possit et ad alterius

petitionem transire, quaerentibus respiciendus erit sermo stipulationis,

utrumne talis sit, ‘quem voluero’ an ‘quem volam’ : nam si talis fuerit

‘quem voluero’ , cum semel elegerit, mutare voluntatem non poterit. Si

27 V. G. GROSSO, Problemi, cit., 227. 28 In questo senso G. CARNAZZA, Le obbligazioni, cit., 120 ss.; G. GROSSO, Note esegetiche in tema di obbligazioni alternative, cit., 164 ss.; ID., Obbligazioni, cit., 166 ss.; V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, cit., 415; M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo, 1989, 576, nt. 47. Contra: A. S. SCARCELLA, Studi sulle obbligazioni alternative, Messina , 2001, 50 ss.

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vero tractum habeat sermo illius et si talis ‘quem volam’, donec iudicium

dictet, mutandi potestatem habebit.

Raffrontato con la forma quem volam, il riferimento alla clausola quem

voluero colora di «una diversa sfumatura» la costruzione

dell’obbligazione, «se anche di per sé non importa già che essa esca da una

visione unitaria della obbligazione alternativa, che, sia pur distinta in

diversi tipi, con particolarità ad essi relative, emerge dal regime giuridico

che vi danno i Romani e dalla loro trattazione29». La peculiarità della

fattispecie in esame deriva dal fatto che l’electio del creditore deve

intendersi come elezione personale, ovvero come atto distinto cui è

subordinata l’esistenza dell’obbligazione. Di qui la configurazione del

rapporto obbligatorio come condizionale, nel senso di una condicio iuris

inerente alla determinazione dell’oggetto: si tratta della stessa costruzione

prospettata dai Romani per il caso in cui la scelta fra più prestazioni sia

affidata ad un terzo. Ipotesi, questa, che presenta caratteristiche proprie e

struttura autonoma, nettamente distinta da quella che si configura in

rapporto al caso di electio spettante al debitore e alla fattispecie parallela di

scelta attribuita al creditore con la formula quem volam.

Si tenga presente, peraltro, che per quanto concerne la tipologia della scelta

rimessa al terzo l’unico passo in materia è Gai., 2 verb. obl., D. 45, 1, 141,

130 che si limita ad affermare il carattere essenziale della scelta del terzo e

29 G. GROSSO, Problemi, cit., 227. 30 D. 45,1,141,1: Extranei quoque persona si comprehensa fuerit, veluti hoc modo: ‘utram earum Titius elegerit’, non aliter stipulator alterutrius petendae facultatem habet, quam si Titius elegerit.

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rispetto al problema della sua configurazione «è necessario esercitare l’ars

ignorandi»31.

Si può dunque tratteggiare una fondamentale contrapposizione fra la

costruzione di una obbligazione condizionale (che si configura allorquando

l’obbligazione si intende subordinata ad un atto di scelta personale del

creditore o di un terzo) e quella di una obbligazione alternativa (che poi

comprende ipotesi diverse).

La categoria dell’obbligazione alternativa, che risulta dal complesso di

ipotesi contrapposte a quelle in cui la scelta opera da condizione, viene

così ad essere caratterizzata dalla unità e attualità dell’obbligazione e dalla

determinazione dell’oggetto, determinazione alternativa, che fa sì che da

un lato l’oggetto appaia come indeterminato fra le più prestazioni dedotte

alternativamente, mentre dall’altro lato si può dire che tutte le prestazioni

sono in obligatione.

3. L’assetto di interessi nell’obbligazione alternativa

In realtà, al di là delle pur pregevoli analisi esistenti, ancor oggi

conosciamo ben poco dell’obbligazione alternativa romana, almeno sotto il

profilo degli interessi pratici perseguiti per mezzo di essa. Nelle fonti si

riscontrano non di rado asserzioni discordanti, che sembrano discendere

dai differenti principi di volta in volta applicati a tutela di differenti

interessi pratici. Antinomie troppo spesso risolte con la panacea della

31 M. TALAMANCA, Obbligazione, cit., 45, nt. 293; A. D’ORS PEREZ - PEIX, En torno a la llamada obligacion alternativa, cit., 20 nt. 69 richiama Cod. 6,43,3,1 per il caso di legato alternativo con scelta del terzo che se non sceglie entro un anno fa subentrare il legatario nel diritto di scelta.

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presunta interpolazione, risultando invero talvolta estremamente arduo

stabilire se siano da ascriversi alla mano di Triboniano o se debbano

piuttosto essere considerate proprie della dialettica assio-pratica32 della

giurisprudenza romana classica e dunque proprie della figura giuridica

indagata. Di certo in epoca classica sulle obbligazioni alternative

esistevano dei contrasti, alcuni espressamente evidenziati e risolti da

Giustiniano (ad es. cfr. C. 4,5,10 )33 e, tra questi, taluni probabilmente

radicali per la stessa concezione dogmatica della struttura fondante

dell’istituto34. L’esistenza di tali controversie non può meravigliare:

«trattatavasi infatti di un istituto mancante di qualsiasi regolamentazione

legislativa o edittale, che doveva essere costruito completamente dalla

dottrina».35

Ma anche per il diritto giustinianeo non sembra allo stato possibile

pervenire a risultati da considerare sufficientemente certi sul modo in cui

32 Una delle principali caratteristiche della giurisprudenza romana fra il II sec a. C. ed i primi decenni del III d. C. è infatti, com’è noto, quella di costituire un ius controversum. Sul punto cfr., per tutti, M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, soprattutto 31 ss. 33 C. 4,5,10 (Imp. Iustinianus A. Iuliano): Si quis servum certi nominis aut quandam solidorum quantitatem vel aliam rem promiserit et, cum licentia ei fuerat unum ex his solvendo liberari, utrumque per ignorantiam dependerit, dubitabatur, cuius rei datur a legibus ei repetitio, utrumne servi an pecuniae, et utrum stipulator an promissor habeat huius rei facultatem. 1. Et Ulpianus quidam electionem ipsi praestat qui utrumque accepit, ut hoc reddat quod sibi placuerit, et tam Marcellum quam Celsum sibi consonantes refert. Papinianus autem ipsi qui utrumque persolvit electionem donat, qui et antequam dependat ipse habet electionem quod velit praestare, et huiusmodi sententiae sublimissimum testem adducit Salvium Iulianum summae auctoritatis hominem et praetorii edicti ordinatorem. 2 Nobis haec decidentibus Iuliani Papimniani placet sententia, ut ipse habeat electionem recipiendi, qui et dandi habuit (a. 530). 34 Si vedano ad es. in relazione all’efficacia novatoria della stipulazione alternativa rispetto alle obbligazioni (rectius prestazioni) in essa dedotte le diverse opinioni di Ulpiano, Marcello e Celso rispetto a quelle di Nerazio e Paolo, opinioni che sembrano fondarsi sulla differente concezione della natura della stipulatio alternativa rispetto alla stipulatio semplice propugnata dai primi, in contrapposto all’opinione dei secondi: su ciò v. F. BONIFACIO, La stipulatio debiti alternativa, in Iura, I, 1950, 288 s. 35 G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore alla conservazione degli oggetti promessi alternativamente, cit., 55. Ma v. anche G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 170.

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fosse percepita nel reale vissuto l’obbligazione alternativa (e cioè quali

esigenze pratiche fosse preordinata a soddisfare con la sua struttura).

Così per quanto riguarda il problema dell’unità o pluralità del vincolo

obbligatorio, pur apparendo verosimile che tanto in epoca classica quanto

in epoca giustinianea si percepisse una obbligazione unica36, non è

possibile rinvenire una esplicita indicazione dai frammenti37, per cui

sembra tutto sommato molto più plausibile escludere che i giuristi romani

presupponessero una concezione unitaria come condizionante la soluzione

dei problemi pratici e ritenere tutta la problematica «un a posteriori

dell’interprete moderno rispetto alle soluzioni dei giuristi romani ed alla

terminologia da essi adoperata»38.

E si è addirittura giunti a profilare39 una necessaria differenziazione

dell’obbligazione alternativa romana in ragione della tipologia dell’atto

costitutivo che ne costituisce la fonte, distinguendosi tra il contratto

(principalmente la stipulazione) e il legato, e ulteriormente in caso di

elezione del debitore o del creditore.

Sembra più opportuno allora cercare di desumere dalle fonti esistenti le

ragioni pratiche delle soluzioni adottate perché, anche se apparentemente

divergenti, potrebbero comunque mirare a realizzare nei diversi casi le

medesime esigenze40. Non si può escludere, infatti, che i Romani, pur

36 V. in tal senso M .E. LUCIFREDI PETERLONGO, Intorno all’unità o pluralità di vincoli nell’obbligazione alternativa, in Ann. Fac. Giur. Un. Perugia, 1942, 137 ss. 37 Ma v., più ampiamente, cap. 2. 38 M. TALAMANCA, Obbligazione, cit., 47. «Le soluzioni adottate dai prudentes si mantengono, dunque, ad un livello asistematico, dove quelle prospettive che i commentatori moderni tenderanno ad irrigidire in strutture dogmatiche rappresentano alcuni tra i possibili referenti oggettivi delle decisioni prese» (ID., 48). 39A. D’ORS PEREZ-PEIX, En torno a la llamada obligacion alternativa, cit., 1 ss. 40 «E anche se fosse vero che i Romani conoscevano diverse e differenti figure di obbligazioni alternative non è detto che esse non potessero comunque avere una generale base comune, non strutturale ma assiopratica». Così A. GORASSINI, Alternatività nell’oggetto della obbligazione, cit., 156 nt. 249.

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conoscendo figure diverse di obbligazione alternativa, caratterizzate da

differente struttura, ammettessero per esse una generale base comune

assio-pratica41.

4. Segue

Tenendo presente la prospettiva indicata, potrebbe risultare pertanto

conveniente cercare di individuare, in via preliminare, le possibili ragioni

per cui nell’ordinamento giuridico romano si faceva ricorso a prestazioni

alternative e capire se per mezzo di esse si tutelavano precisi interessi.

Le fonti non rivelano in modo espresso la ratio posta a fondamento

dell’istituto e neppure gli studiosi si sono preoccupati di indicarne alcuna.

Eppure è difficile pensare che la sensibilità pragmatica che guidava il

modo di procedere dei giuristi romani42 non li conducesse a ponderare gli

interessi che si intendevano realizzare nei casi in cui l’oggetto

dell’obbligazione fosse alternativamente determinato.

E in effetti, come si cercherà di evidenziare procedendo all’esame delle

fonti romane in argomento, quando le parti o il testatore decidono di

ricorrere a prestazioni alternative lo fanno o perché, prevedendo una

41 Cfr. A. GORASSINI, Alternatività nell’oggetto della obbligazione, cit., 156; A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 17. 42 In proposito particolarmente efficace risulta la seguente osservazione di A. BURDESE (Note sull’interpretazione in diritto romano, in BIDR, 30, 1988, 195 s.): «Nell’assenza di elaborazione di un vero e proprio specifico metodo interpretativo da parte dei giuristi, a partire da quelli repubblicani, questi si avvalgono, di volta in volta, di argomenti logici, grammaticali, etimologici o fondati su giudizi di valore: si tratta di diversi punti di vista che possono venire presi in considerazione, in base ad un modo di procedere che è topico e non sistematico, e fatti prevalere, a seconda dei casi, l’uno rispetto all’altro, a fondamento della soluzione che in definitiva appaia la più ragionevole e opportuna, da raggiungersi tramite procedimenti intellettivi suscettibili di discussione. Di qui l’esistenza, in termini retorici, di un ius controversum accanto ad un ius receptum universalmente accolto».

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eventuale impossibilità originaria o sopravvenuta di una prestazione,

intendono ridurre il rischio che il creditore non venga soddisfatto, o perché

intendono agevolare l’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore

cui spetti la scelta e, nel caso di vendita, favorire la conclusione del

contratto43.

Vantaggi si possono dunque ritrarre da parte di entrambi i soggetti del

rapporto, ma l’interesse la cui tutela si appalesa prioritaria appare quello

del creditore44 all’acquisto di una delle due cose in alternativa.

Proprio facendo riferimento alla protezione da parte dei Romani di questo

fondamentale interesse Impallomeni45 è riuscito a dimostrare la sostanziale

genuinità di D. 40, 9, 5, 2 (Iul. 64 Dig.), D. 40, 9, 6 (Scaev. 16 quaest.)46 e

43 Cfr., in tal senso, A. D’ORS PEREZ-PEIX, En torno a la llmada obligacion alternativa, cit., 23. 44 La notazione è ricorrente soprattutto nella dottrina civilistica, che mette in relazione tale circostanza con l’ipotesi di sopravvenuta impossibilità di adempimento della prestazione, atteso che, in tal caso, la deduzione in obbligazione di una seconda prestazione «apporta al creditore il vanataggio di una maggiore probabilità di conseguire quanto gli sia dovuto, essendo improbabile (ancorché non sia da escludere) che divengano impossibili entrambe le prestazioni. Invero, soltanto in questo caso l’obbligazione si estingue». Così F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1959, 561. Similmente M. J. GEBLER (Les obligations, cit., 2) osserva che la funzione tradizionalmente esercitata dalla tipologia di obbligazioni in parola si esplica nel rafforzamento della garanzia del pagamento, soggiungendo che l’alternatività «offre l’image d’une sorte de solidarité réelle et objective, à l’instar de la solidarité personnelle et subjective». 45 Sull’obbligo del debitore, cit., 55 ss. 46 D. 40. 9. 5. 2. (Iul. 64 Digest.): Si Titius nihil ampliusmin bonis quam Stichum et Pamphilum habeat eosque stipulanti Maevio ita promiserit Stichum aut Pamphilum dare spondes?’ deinde, cum alium creditorem non haberet, Stichum manumiserit: libertas per legem Aeliam Sentiam rescinditur. Quamvis enim fuit in protestate Titii, ut Pamphilum daret, tam quamdiu eum non dederit, quia interim mori possit, non sine fraude stipulatoris Stichum manumisit. Quod si solum Pamphilum dare promisisset, non dubitarem, quin Stichus ad libertatem perveniret, quamvis similiter Pamphilus mori possit: multum enim interest, contineatur ipsa stipulatione is qui manumittitur, an extra obligationem sit. Nam et aui ob aureos quinque Stichum et Pamphilum pignori dederit, cum uterque eorum quinum aureorum sit, neuter manumitti potest: at si Stichum solum pignori dederit, Pamphilum non videtur in fraudem creditoris manumittere. D. 40 9. 6 (Scaev. 16 quaest).: Iulianus de eo loquitur, qui in substantia nihil aliud habeat; nam si habeat,quare non dicetur unum posse manumitti? Quia et uno mortuo solvendo est. Et uno manumisso solvendo est, nec adventicii casus computandi sint: alioquin et qui unum incertum ex servis suis promisit, neminem manumittet. Giuliano pone la questione se, agli effetti della legge Elia Senzia, debba considerarsi fraudolenta, e quindi nulla, la manomissione di uno dei due schiavi promessi alternativamente, allorché l’intero patrimonio del promettente sia limitato ai soli due

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D. 46, 3, 95,1 (Pap. 28 quaest.)47 e a chiarire il significato del dettato di D.

23, 5, 9,3 (Afric. 8 quaest.)48.

Tuttavia è importante precisare che nelle fonti romane la protezione del

suddetto interesse del creditore appare prevalente, e financo quasi

esclusiva, quando gli oggetti alternativamente dedotti in obbligazione

assumono all’incirca lo stesso valore 49; viceversa, allorquando la loro

stima è differente e la scelta spetta, come di regola, al debitore, anche la

possibilità riconosciuta a quest’ultimo di liberarsi prestando il bene di

minor valore sembra trovare protezione50.

In questa prospettiva le soluzioni adottate appaiono invero calibrate in

ragione delle peculiarità dei casi concreti, secondo canoni di opportunità,

congruità e adeguatezza. Coerentemente con siffatta logica si può

giustificare l’introduzione di regole in parte differenziate in considerazione

della struttura della singola fattispecie creativa del vincolo obbligatorio

alternativo, isolando, in particolare, per qualche aspetto, la materia dei

schiavi suddetti. Il quesito viene risolto affermativamente. «Entrambi gli schiavi…sono in obligatione; e data la possibilità che uno di essi muoia, prima di essere consegnato al creditore, la manomissione dell’altro si risolverebbe in danno del creditore medesimo, per l’evidente aumento del rischio di non venire soddisfatto… Il secondo testo, quello di Scevola, si limita a chiarire la fattispecie esaminata da Giuliano, confermandone implicitamente la soluzione … Viene messo appunto bene in chiaro che il debitore ha sì la facoltà di scelta, ma che questa deve essere esercitata con l’adempimento di una delle prestazioni; non invece concentrando l’obbligazione, con un atto arbitrario, indipendentemente dall’adempimento medesimo… Non può essere fatta questione se la decisione sia del tutto logica, dato che Giuliano qui vuole basarsi sull’equità». Così G. B. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 61 ss. 47 Su cui cfr. infra. 48 Su cui cfr. infra. 49 Più precisamente, lo stesso valore oggettivo. 50 Per un’applicazione di tali principi v. infra, cap. 4. «D’altra parte se l’obbligazione si deve ritenere alternativa sia quando si ha la deduzione di più prestazioni individuali, distinte, ciascuna con proprie caratteristiche, ma con uguale valore, sia quando le diverse prestazioni hanno valore differente, è evidente che la concorrenza alternativa di prestazioni di diverso valore con identificazione finale a parte debitoris impone la considerazione anche dell’interesse del debitore che si viene ad affiancare a quello del creditore ad acquistare comunque una delle due cose in alternativa». Così A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 20.

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legati alternativi51, in cui la soluzione dei problemi giuridici richiede il

contemperamento dei comuni interessi dell’erede e del legatario alla

proprietà dei beni del de cuius.

51 V. infra, cap. 3.

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CAPITOLO SECONDO

LA NATURA GIURIDICA

DELL’OBBLIGAZIONE ALTERNATIVA

1. Impostazione della questione

La costruzione giuridica dell’obbligazione alternativa presenta notevoli

difficoltà ed è stata oggetto di vivaci dibattiti soprattutto nella dottrina

tedesca di fine Ottocento. Per quanto non siano mancati autori che abbiano

considerata sterile o priva di interesse per il giurista l’indagine su questo

problema52, nondimeno le discussioni al riguardo hanno tardato a sopirsi,

costituendo terreno di confronto (e scontro53) scientifico fino alla metà del

secolo scorso.

Posto che l’essenza dell’obbligazione è riposta nel rapporto che lega il

debitore al creditore, ovvero nel vinculum iuris che costituisce

52V. ad es. H. FITTING, Die rechtliche Natur der Correalobligationen, Erlangen, 1859, 136 ss. In tempi meno lontani Alvaro D’Ors Perez-Peix ha scritto: «Creo sinceramente que esa disposición para estudiar la materia resulta del todo infructuosa. Al pensar así, creo que pienso en romanista. La naturaleza de los derechos no interesa; lo que interesa es su realización, su efectividad; no hay que construir teorias, sino analizar relaciones jurídicas» (v. A. D’ ORS PEREZ-PEIX, En torno a la llamada obligación alternativa, cit., 3). Secondo Angel Cristobal Montes la questione «suele aparejar muy pocas consecuencias positivas de cara al conocimiento y esplicación de las características fundamentales del instituto» e riflette «esa tendencia tan corriente en los juristas modernos, mediante el juego de un anacronismo al revés, de trasladar a los juristas romanos nuestras preocupaciones y exigencias dogmáticas» (v. A. CRISTOBAL MONTES, Las obligaciones, cit., 8 e 23). 53 Si può considerare esemplare la genesi del contributo di Alvaro D’Ors Perez-Peix apparso sul numero 28 della Revista de derecho privado del 1944 in polemica con l’opinione espressa da Antonio Hernandez Gil in un articolo pubblicato sulla stessa rivista due anni prima.

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l’obbligazione stessa54, si è dubitato dell’unità di quest’ultimo in quanto

riferito a una pluralità di oggetti (sia pure alternativamente promessi).

Il tema aveva già catturato l’attenzione degli interpreti che si erano dedicati

allo studio delle obbligazioni solidali55. In relazione ad esse i Romani

talvolta parlano di una obligatio, talaltra di plures obligationes: senza

pretendere di esaurire i termini della questione, mi pare che sia da

accogliere l’opinione56 di chi ha suggerito di correlare siffatta oscillazione

terminologica alla diversità di angolo visuale da cui è possibile muovere

nella qualificazione giuridica dell’istituto. L’obbligazione solidale sarebbe

dunque unica avuto riguardo all’unità della prestazione dovuta, e plurima

ove invece si consideri la pluralità degli obbligati (dal lato attivo o da

quello passivo del rapporto).

54 D. 44, 7, 3 pr. (Paul. 2 inst.): Obligationum substantia non in eo constitit, ut aliquod corpus nostrum, aut servitutem nostram faciat, sed ut aliud nobis obstringat ad dandum aliquid vel faciendum, vel praestandum. 55 La bibliografia è vasta; qui sarà sufficiente richiamare: P. BONFANTE, Le obbligazioni.Lezioni, Roma, 1919; ID., Il concetto unitario della solidarietà, in Scritti giuridici, III, Torino, 1921, 209 ss.; ID., La solidarietà classica delle obbligazioni indivisibili, ibidem, 368 ss.; ID., Solidarietà o mutua fideiussione?, in Scritti giuridici, IV, Roma, 1925, 568 ss.; G. SEGRÈ, Le obbligazioni solidali. Lezioni, 1921-1922 e 1922-1923, Torino, 1922 e 1924; C. LONGO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni, Milano, 1936; M. E. LUCIFREDI PETERLONGO, Intorno all’unità o pluralità di vincoli nella solidarietà contrattuale. Spunti ricostruttivi esegetico-dogmatici, Milano, 1941. Contro la tesi della Lucifredi Peterlongo, si vedano la recensione di Grosso in SDHI, 8, 1942, 327 s., nonché G. BRANCA, Unum debitum e plures obligationes, in Studi De Francisci, III, Milano, 1956, 157 e G. SACCONI, Studi sulle obbligazioni solidali da contratto in diritto romano, Milano, 1973 e letteratura ivi citata. 56V. G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 169. L’antinomia, evidente nelle fonti romane per ciò che riguarda l’obbligazione solidale - presentata talvolta come unica, talaltra come produttiva di una pluralità di vincoli -, è stata invece giustificata in prospettiva diacronica da M. E. LUCIFREDI PETERLONGO, Intorno all’unità o pluralità di vincoli nella solidarietà contrattuale, cit.

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Per quanto con caratteristiche diverse57, il problema dell’unità o della

pluralità del vincolo si riproduce altresì nel campo delle obbligazioni

alternative, ed anche qui, come nel settore delle obbligazioni solidali, in

ordine alla struttura dell’obbligazione si prospettano varie teorie che con le

loro astratte costruzioni intendono farsi interpreti della concezione romana

in materia. La dottrina è così divisa tra il concetto pluralistico e quello

unitario dell’obbligazione alternativa, e pur qui, data anche la presenza di

teorie intermedie, il problema è non poco intricato, sì da evocare la

memoria di quell’extricatio labyrinthi, di cui con singolare ma efficace

espressione parlava il Molineo58. Né la questione riveste solo interesse

teorico, giacché, a seconda che l’una o l’altra teoria venga accolta, diverse

conseguenze scaturiscono in relazione a singoli aspetti del rapporto59.

Al tentativo di ricostruire l’esatta configurazione dell’obbligazione

alternativa nel diritto romano tende il presente capitolo: dopo una compiuta

rassegna delle varie teorie che si sono contese il campo si procederà allo

studio esegetico delle fonti onde trarne conferme o smentite in ordine alla

congruità delle diverse costruzioni prospettate dalla dottrina.

2. Esposizione e critica delle diverse teorie

57 Non è possibile istituire un parallelismo fra il problema relativo alle obbligazioni solidali e quello relativo alle obbligazioni alternative «per il diverso elemento che essi toccano»: nel primo caso la questione si pone infatti in rapporto all’elemento soggettivo del rapporto, nel secondo essa scaturisce dalla considerazione della pluralità degli oggetti compresi nell’obbligazione. L’analogia non può che essere dunque puramente esteriore. Cfr. G. GROSSO,Obbligazioni, cit., 169. 58C. DUMOULIN, Extricatio labyrinthi dividui et individui, pars II, Parìs. 59 Per quanto riguarda il legato alternativo, ad es., v. le differenze messe in evidenza già da J. CUIACIUS, Opera, t. VII, Prati,1839, col. 1558. Cfr. C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 31. In generale v. G. CARNAZZA, Le obbligazioni alternative, cit., 17ss.

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Secondo la classificazione suggerita da Ferdinando Rocco60 e accolta

dall’unanime dottrina le molteplici teorie elaborate in rapporto alla natura

giuridica dell’obbligazione alternativa possono essere ricondotte a due

filoni fondamentali, distinguendo da un lato quelle che vedono

nell’alternativa un solo rapporto obbligatorio caratterizzato da un oggetto

duplice, dall’altro quelle che professano l’esistenza di una pluralità di

obbligazioni in numero pari alle cose che formano oggetto dell’alternativa.

Fra le teorie appartenenti al primo gruppo sussistono poi notevoli

differenze dipendenti dal diverso modo di concepire l’unico rapporto

obbligatorio, configurato talvolta come rapporto giuridico perfetto fin dal

momento della sua costituzione, talaltra come destinato a perfezionarsi

soltanto successivamente. Né maggiore omogeneità si riscontra nell’ambito

delle teorie riconducibili al secondo gruppo, essendo estremamente

variabili sia i criteri di identificazione dei singoli rapporti obbligatori sia le

relazioni intercorrenti tra questi ultimi.

Una considerazione a sé merita infine la c.d.«teoria eclettica» elaborata da

Pescatore, il quale ritiene che non possa ravvisarsi nell’alternativa sempre,

indefettibilmente, un’obbligazione unica piuttosto che una pluralità di

obbligazioni, asserendo invece la necessità di fare opera di distinzione per

giungere, a seconda dei casi, all’una o all’altra conclusione.

Si procederà dunque ora all’esposizione delle singole teorie che sono state

avanzate per spiegare la struttura delle obbligazioni alternative, cercando di

evidenziare di volta in volta gli aspetti più condivisibili, ma anche i limiti,

di ciascuna costruzione .

60 F. ROCCO, Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative. Contributo a una teoria delle obbligazioni a elementi indeterminati, in Riv. it. sc. giur., XL, 1905, 201 ss. e XLI, 1906, 33 ss.

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2.1 Teorie dell’obbligazione unica

2.1.1 Teoria dell’obbligazione perfetta

La teoria dell’obbligazione perfetta è la teoria comune e prevalente cui ha

aderito la maggioranza degli scrittori italiani e stranieri.61

Secondo tale dottrina il rapporto obbligatorio è uno solo ed è perfetto, cioè

ha in sé tutti gli elementi necessari per la sua esistenza ed efficacia

giuridica fin dal momento della sua costituzione; esso, come ogni altro

rapporto giuridico consta di un soggetto attivo (creditore), di un soggetto

passivo (debitore) e di un oggetto, il quale si caratterizza per la particolarità

di essere determinato alternativamente. La teoria trova la sua esplicazione,

se non la sua giustificazione, nel noto brocardo duae res in obligatione una

in solutione, il quale significherebbe appunto che due sono le prestazioni

dedotte in obbligazione, ma la solutio dell’una estingue integralmente il

rapporto giuridico, liberando il debitore dall’altra prestazione.

61 Aderiscono alla teoria fra i molti: G. CARNAZZA, Le obbligazioni alternative nel diritto romano e nel diritto civile italiano, cit., 32 ss.; V. POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile italiano. Corso di lezioni, Verona, 1898, 108 ss.; G. GIORGI, Teoria delle obbligazioni, IV, Firenze, 1899, 479 ss.; F. RICCI, Corso di diritto civile, VI, Torino, 1886, 185 ss. ; R. J. POTHIER, Traité des obligations nella raccolta dei suoi Traités du droit français, I, 62 ss. ; C. DEMOLOMBE, Cours de Code Napoleon, Traité des contrats et des obligations, III, 1 ss. ; V. HASENÖHRL, Das Oesterreichische Obligationenrecht, Erster Band (Wien 1892), 196 ss.; H. DERNBURG, Pandekten, II, § 27, nt.4: «die Obligation ist mit dem Contracte fertig und unsatz, alternativ, beide Schuldsobjecte» («l’obbligazione è già perfetta col contratto, ed abbraccia, alternativamente, ambedue gli oggetti del debito»); Lehrb d. Preussischen Privatrechts, 5 ed., Halle, 1897, II, § 29, 67 ss.; Das burg. Recht d. deutschen Reichs u. Preussens, II, Halle, 1899, § 43, 97; K. CROME, Die Grundlehren des französischen Obligationenrechts, Mannheim, 1894, 47 s.; GREIFFENHAGEN, Die alternative Obligation, 5 ss.; M. BERWIN, De vi ac potestate obliationis alternativae, 2 ss; .G. F. PUCHTA, Volresungen, II, § 225; UNGER. Oesterreichische Privatrecht, I, § 58; J. N. HERTIUS, Diss. De electione ex oblig. altern. debitori debita, Giessen, 1699.

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Questa ricostruzione non è stata tuttavia risparmiata dalle critiche, sia con

riguardo al concetto dell’originaria perfezione dell’obbligazione, sia in

relazione all’affermazione dell’unicità del rapporto obbligatorio.

Già il Dumoulin62 attaccando la massima duae res in obligatione una in

solutione, sostenendo che non due, ma soltanto una, fosse la cosa in

obligatione, veniva necessariamente a rifiutare la teoria della perfezione

perché il rapporto di credito non avrebbe potuto sorgere perfetto mancando

inizialmente di uno degli elementi essenziali - l’oggetto – il quale sarebbe

stato posto in luce da un fatto posteriore alla costituzione del rapporto

stesso, cioè dalla scelta.

Altri scrittori63 avversarono ancor più recisamente il concetto della

perfezione dell’obbligazione fin dal momento del suo sorgere, sostenendo

che esso non potesse accettarsi in nessun caso. Secondo questi autori o si

ammetteva che le prestazioni dedotte in alternativa fossero subito tutte in

obligatione e che solo in seguito, attraverso la scelta, si potesse stabilire

l’oggetto specifico dell’obbligazione; o si riconosceva che una soltanto

delle prestazioni alternativamente designate fosse in obligatione,

naturalmente non fin dal principio, ma egualmente a seguito di una

manifestazione di volontà atta a determinarla; o infine si ammetteva che

nessuna delle cose dedotte nell’alternativa fosse, prima della scelta, in

obligatione ed in quest’ultimo caso si doveva giocoforza concludere che

l’obbligazione mancava in origine dell’oggetto, cioè di uno dei suoi

requisiti essenziali.

62C. DUMOULIN, Extricatio labirinti dividui et individui, cit., 218. 63 In questo senso quasi tutti i sostenitori della teoria della pendenza: v., ad es., K.BERNSTEIN, Die alternative obligation im römischen und modernen Recht, in Zeitschrift für vergleichende Rechtswissenschaft, II, 1880, 392 ss.

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La tesi dell’unicità del rapporto obbligatorio ha trovato invece la ferma

opposizione – fra gli altri – di un autorevole scrittore come Ryck64.

L’Autore, osservando che l’oggetto, al pari del soggetto e della causa, è

segno dell’individualità dell’obbligazione, onde una pluralità di oggetti

rende necessaria una pluralità di obbligazioni, invoca a sostegno della

teoria della pluralità la nota massima romana «tot stipulationes quot

summae, quot res», argomento peraltro agevolmente superabile ove si

consideri che il giureconsulto sottintendeva evidentemente «debitae»: tante

sono le stipulazioni quante sono le cose dovute, chè altrimenti «la massima

dovrebbe ritenersi del tutto erronea, conducendo all’assurdo che nelle

obbligazioni generiche ad esempio siano tanti i rapporti obbligatori quanti

gli individui costituenti il genus»65.

2.1.2 Teoria della pendenza dell’obbligazione

Per i fautori della teoria della pendenza il rapporto di credito è uno solo,

come unico ne è l’oggetto, il quale però, latente al momento della

costituzione del rapporto, si determina soltanto con la prestazione.

Prima dell’esecuzione di quest’ultima, e dunque in attesa della

determinazione dell’oggetto, l’obbligazione è pendente, potendo ricevere il

crisma della perfezione solo nel momento stesso in cui si estingue.

La teoria così sommariamente illustrata è stata sostenuta per la prima volta

da un giurista medioevale, Bartolomeo Chesio66, e ad essa sembra abbiano

aderito Fitting e Bernstein.

64R. RYCK, Die Lehre von den Schuldverhältnissen nach gemeinem Deuschen Recht, II, Berlin, 1887, 208 ss. 65 F. ROCCO, Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative, cit., 40. 66 B. CHESIUS, Interpretationes juris, Florentia, 1659, lib. I, cap. 50, § 65 : «Et exsistimo in stipulatione generis et quoties unus ex genere debetur homo, non singulos homines esse in obligatione nec quidem eorum quemque sub conditione, si solutus fuerit...Idem dicimus de obligatione alternativa, in qua non utrumque, sed alterutrum debetur ; itaque dum

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In relazione alla natura giuridica dell’obbligazione alternativa, Fitting

infatti osserva: «Nelle cosiddette obbligazioni alternative è dapprima

indeterminato (in pendenti) quale fra più prestazioni è quella veramente

dovuta: soltanto mediante la scelta per parte del debitore o del creditore

essa si determina ed è tolta così l’incertezza»67.

L’Autore identifica quindi nella scelta, anziché nella prestazione della

cosa, il momento che rimuove l’incertezza sull’oggetto dell’obbligazione,

pur notando altrove che la scelta definitiva e obbligatoria avviene soltanto

mediante l’adempimento. Lascia poi insoluta la questione – che egli ritiene

oziosa – se si abbia a che fare con una obbligazione di esistenza certa, ma

di contenuto indeterminato, ovvero con più obbligazioni di contenuto

indeterminato, ovvero con più obbligazioni di contenuto determinato, ma

di esistenza ancora incerta.

Bernstein68 privilegia invece un approccio metodologico improntato

all’analisi della tradizione romanistica; in ordine alla struttura

dell’obbligazione alternativa, l’esame delle fonti - giusta l’opinione

dell’autore tedesco - evidenzia un orientamento non univoco da parte della

giurisprudenza romana. Quest’ultima sembra infatti oscillare tra due

diverse opinioni: quella per cui nessuno degli oggetti indicati

alternativamente dovrebbe intendersi, prima della scelta, in obligatione, e

quella secondo cui viceversa ambedue le prestazioni dovrebbero

alterutrum solvitur apparet id solvi, quod debetur .Nec tamen opus est id, quod solvitur, retrofingi in obligatione fuisse». Cfr. § 32: «ex solutione declarari quis fuerit in obligatione» ; § 67 : «nulla fit retroactatio» ; § 71: «unica res est in obligatione eaque incerta». 67H. FITTING, Die rechtliche Natur der Correalobligationen, cit., 136 ss. 68K.BERNSTEIN, Zur Lehre vom alternativen Willen und den alternativen Rechtsgeschäften, vol. I; Der alternative wille und die alternative Obligation, Berlino, 1878; ID., Die alternative Obligation im römischen und modernen Rechte, cit., 393 ss.

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considerarsi subito in obligatione, determinando poi l’electio la

concentrazione del rapporto su una sola di esse.

La rilevata divergenza di giudizio non può che riflettere, secondo

Bernstein, una diversa concezione in ordine al modo d’essere del rapporto

inteso, rispettivamente, come sottoposto a pendenza sospensiva o

risolutiva69. Si delinea così un’opzione teorica che, ove non fosse

opportunamente chiarito il concetto70 su cui fa leva, rischierebbe peraltro

di rimanere oscura. Appare dunque opportuno segnalare che, considerando

come elementi essenziali di ogni rapporto obbligatorio i soggetti, l’oggetto

e il vincolo71, soltanto qualora essi siano tutti determinati al momento della

costituzione del rapporto quest’ultimo può qualificarsi come perfetto,

dovendosi diversamente riconoscerne il carattere pendente. La pendenza,

poi, a seconda dell’elemento cui si riferisce si dovrà declinare,

rispettivamente, in soggettiva, oggettiva o sostanziale.

La dottrina dei rapporti pendenti ha suscitato non poche perplessità, in

primo luogo in rapporto al concetto di pendenza sostanziale: si è infatti

giustamente osservato che se l’indeterminatezza cade sul vincolo ad essere

posta in dubbio è l’esistenza stessa del rapporto, il quale si riduce quindi ad

un rapporto condizionale. Se invece l’indeterminatezza cade sui soggetti o

sull’oggetto, «o essa è assoluta, tale cioè da equivalere alla mancanza di

69 I Commentatori italiani dell’opera di Bernstein non ebbero ben chiaro quale delle due opinioni l’Autore accogliesse. Mentre infatti Rocco (Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative, cit., 201) riteneva che l’Autore tedesco condividesse la teoria della pendenza sospensiva, Marani Toro (Natura ed effetti delle obbligazioni alternative, in Riv. dir. civ., 1932, 7) era di opinione opposta. 70 Tratta ampiamente del concetto di pendenza - allora in auge - e delle sue varie forme R. RYCK nel citato lavoro: Die Lehre von den Schuldverhältnissen nach gemeinem deuschen Recht, II, Berlino, 1887, 132 ss. 71 Ogni rapporto obbligatorio consta di tre elementi essenziali: 1. il vincolo, che risulta a sua volta di due termini correlativi: un potere (Können), da una parte, e un obbligo (Müssen), dall’altra; 2. i soggetti (attivo e passivo); 3. l’oggetto, a cui il vincolo si riferisce. V. F. ROCCO, Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative, cit., 208 e R. CECCHETTI, Le obbligazioni alternative, cit., 70 s.

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uno di questi che sono suoi essenziali elementi, e il rapporto non sorgerà né

perfetto né pendente; o l’indeterminatezza non è assoluta, cioè i soggetti o

l’oggetto sono indeterminati, ma determinabili, e in tal caso…il rapporto

(non) sorgerà (pendente, bensì) completo e perfetto»72. Ma anche a voler

prescindere da tali rilievi non si vede come possa risultare proficua la

stessa applicazione della teoria in esame nel campo delle obbligazioni

alternative. La pendenza oggettiva, anzitutto, di cui si potrebbe parlare in

rapporto ad obbligazioni aventi ad oggetto più prestazioni designate

disgiuntivamente, presuppone l’indeterminatezza dell’oggetto, il quale nel

nostro caso è invece determinato, per quanto in via alternativa. Con

riguardo poi alla pendenza sospensiva basterà osservare che se prima della

scelta nessuna delle prestazioni è in obligatione l’obbligo, privo di

oggetto73, non potrà dirsi propriamente pendente, bensì del tutto

inesistente74. In rapporto alla pendenza risolutiva, infine, se tale

espressione vuole significare che pendente è il rapporto giuridico, essa

deve ritenersi affetta da un’insanabile contradictio in terminis, giacchè la

risolubilità del rapporto presuppone l’esistenza, per lo meno

interinalmente, di quest’ultimo75; qualora invece si intenda pendente non

già il rapporto, bensì la sua risoluzione, l’espressione appare impropria, in

72 F. ROCCO, Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative , cit., 209. 73 Per l’ipotesi di pendenza sospensiva si è concluso che si avrebbe la nascita di un rapporto obbligatorio privo di oggetto (che sarebbe pendente), e tale interpretazione sostanzialmente è l’unica ipotizzabile, anche se in altro punto Bernstein parla di una tale ipotesi come di un caso di «incertezza soggettiva». Commentando il pensiero dell’Autore tedesco, Marani Toro (Natura ed effetti delle obbligazioni alternative, cit., 8) osserva al riguardo: «Bernstein afferma che si tratta soltanto di una incertezza subbiettiva, tuttavia egli lascia entrare l’oggetto nella obbligazione soltanto nel momento della scelta, e non vediamo quindi quale altro significato potrebbero avere le sue parole se non quello di considerare l’obbligazione alternativa come un rapporto imperfetto, in pendenti, per la incertezza obbiettiva che lo accompagna fino al momento della concentrazione». 74 V. A. HERNANDEZ GIL, Naturaleza juridica de la obligación alternativa, cit., 62. 75 V. F. ROCCO, Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative, cit., 210. In senso analogo cfr. R. CECCHETTI, Le obbligazioni alternative, cit., 72.

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quanto la pendenza (risolutiva) definisce uno stato del rapporto mentre ciò

che «pende» sarebbe, nel nostro caso, un fatto (termine finale, condizione

risolutiva) estraneo al rapporto e in grado di determinarne l’estinzione.

2.1.3 Teorie intermedie

Un apporto abbastanza originale alla costruzione giuridica unitaria

dell’obbligazione alternativa viene da due teorie denominate «intermedie»

in virtù della loro collocazione equidistante dalle dottrine dell’obbligazione

perfetta e della pendenza dell’obbligazione.

Alla luce di tali teorie, elaborate autonomamente da Brinz e Windscheid, il

rapporto obbligatorio alternativo, lungi dal configurarsi identicamente in

ogni circostanza, può, di volta in volta, atteggiarsi a rapporto perfetto o

imperfetto (id est pendente).

Esigenze di chiarezza espositiva suggeriscono di esaminare partitamente le

dottrine degli autori menzionati, a cominciare da quella di Windscheid.

Questi sembra istituire una correlazione tra la titolarità del diritto di

scelta76 e la natura del rapporto alternativo, identificando nella perfezione

la cifra qualificante delle obbligazioni alternative con scelta del creditore in

76 «Il debitore deve prestare questa o quella cosa. Una cosa egli deve prestarla, non è indeterminato se, ma ciò che egli deve prestare. Se il creditore ha la scelta, si deve dire che ogni contenuto di prestazione è subito in obligatione, perché nulla impedisce al creditore di far valere subito la sua volontà, che gli venga appunto prestato questo contenuto. Diversamente, se la scelta compete al debitore: in questo caso non si può dire subito di alcun contenuto di prestazione, ma solo con la prestazione effettiva si manifesta il contenuto di prestazione dovuto. Dall’altro lato, è certo del pari vero che ogni contenuto di prestazione può essere quello effettivamente dovuto. Una conseguenza di ciò è che il debitore non è scevro da vincolo in relazione a nessuno di essi. Intanto si può anche in questo caso dir subito di ogni contenuto di prestazione che esso sia in obligatione». Così B. WINDSCHEID, Pandette, trad. it. di C. Fadda e P. E. Bensa, IV, Torino, 1887, 17 s. e nt. 5. Si noti che ad una lettura superficiale potrebbe sembrare che sia stato questo Autore a riprendere la distinzione, all’interno della figura delle obbligazioni alternative, disegnata da Pescatore. In realtà è vero il contrario, nel senso che quest’ultimo ha indicato espressamente Windscheid e Brinz come coloro che per primi compresero la necessità di operare alcune distinzioni all’interno della figura della «cosiddetta» obbligazione alternativa.

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quanto quest’ultimo può immediatamente indirizzare la sua volontà ad una

qualunque delle cose oggetto dell’alternativa, laddove invece in ipotesi di

scelta spettante al debitore l’oggetto non si determina che contestualmente

all’effettiva prestazione, da cui l’imperfezione dell’obbligazione.

In rapporto a tale teoria la critica77 ha maturato un giudizio piuttosto severo

rilevando, nel ragionamento del pandettista, un errore logico dal quale

discendono tanto la pretesa distinzione tra le due ipotesi dianzi prospettate

quanto la conseguente asserita diversità di natura del rapporto. L’errore si

evidenzia ripercorrendo brevemente i punti salienti del pensiero di

Windscheid: l’Autore afferma che l’oggetto dell’obbligazione può dirsi

determinato quando la scelta è riservata al creditore poiché nulla vieta a

quest’ultimo di manifestare subito la sua volontà in ordine al contenuto

della prestazione; logica premessa di tale convinzione è evidentemente

l’equiparazione sul piano concettuale tra la possibilità e l’effettività della

manifestazione di volontà. La confutazione di siffatta premessa non

presenta particolari difficoltà: la possibilità di manifestazione, finchè

rimane virtuale, è giuridicamente irrilevante, potendo assumere rilievo solo

allorchè si traduce in volontà manifestata.

Abbastanza simile, anche se esposta in forma più oscura78, è la teoria di

Brinz79, il cui ragionamento sembra ruotare attorno all’esistenza del ius

variandi e alla sua consumazione. Più precisamente, l’Autore parrebbe

distinguere tra l’ipotesi di obbligazione alternativa in cui il soggetto con

facoltà di scelta (come debitore fino alla prestazione, come creditore fino

alla contestazione della lite) può mutare la sua volontà, e quella in cui il

77 Esprimendo un giudizio lapidario I. MARANI TORO (Natura ed effetti delle obbligazioni alternative, cit., 9) ha ritenuto questa teoria «indegna» dell’acuto ingegno del celebre pandettista. 78 F.ROCCO, Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative, cit., 212. 79 A. BRINZ, Pandekten, II, Erlangen, 1887, § 242.

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medesimo è legato alla scelta una volta dichiarata, ammettendo la

perfezione del vincolo obbligatorio solo in quest’ultimo caso. Quando

infatti la prima dichiarazione è idonea ad estinguere il diritto di scelta,

l’incertezza sull’oggetto è temporanea e si risolve prima dell’estinzione del

rapporto; non così quando la scelta è revocabile: in tale circostanza la

perdurante incertezza sull’oggetto del rapporto induce ad escludere la

perfezione di quest’ultimo.

Si tratta peraltro di considerazioni non inoppugnabili dal momento che,

come ha osservato Ferdinando Rocco, «nel caso dell’esistenza dello ius

variandi, il momento in cui l’indeterminatezza cessa…vi è ed è quello

della prestazione di una delle cose: che questo momento coincida, cioè si

avveri contemporaneamente all’altro della estinzione dell’obbligazione, ciò

non significa punto che esso non esista»80.

2.2 Teorie della pluralità di obbligazioni

2.2.1 Teoria delle obbligazioni condizionali

Una dottrina invero piuttosto risalente ha inteso spiegare la struttura del

rapporto alternativo come plurima e condizionale81.

L’idea, in apparenza seducente, della presenza nell’obbligazione

alternativa di due obbligazioni condizionali è stata diversamente sostenuta

dagli scrittori: alcuni – e sono i più – hanno fatto riferimento a due 80 F. ROCCO, op. ult. cit., 213. 81 Va osservato che la tesi della condizionalità dell’obbligazione alternativa in sé sembrerebbe non essere sostenibile, dal momento che l’obbligazione condizionale è una obbligazione incerta nella sua esistenza, mentre nelle obbligazioni alternative il «se» del vinculum iuris non può essere messo in dubbio. La struttura condizionale può viceversa prospettarsi ipotizzando una pluralità di obbligazioni, così da riconoscere l’evento condizionale in uno dei due vincoli obbligatori rispetto all’altro.

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obbligazioni sottoposte a condizione sospensiva82, altri a due obbligazioni

sottoposte a condizione risolutiva83. Tanto nell’uno quanto nell’altro caso

le ipotesi prospettabili circa la condizionalità delle obbligazioni sono due:

o si ritiene che ciascuna obbligazione sia condizionata all’esistenza

dell’altra, ed allora il verificarsi della condizione per l’esistenza o la

risoluzione dell’una obbligazione è il non sorgere o il sorgere dell’altra; o

si ritiene che ciascuna delle obbligazioni sia condizionata all’esecuzione

dell’altra, ed allora il verificarsi della condizione per l’esistenza e la

risoluzione dell’una è il non eseguirsi o l’eseguirsi dell’altra.

Se si conviene con la prima opinione, si deve giocoforza escludere ogni

possibilità di coesistenza dei due rapporti obbligatori; al pensare

diversamente si giungerebbe infatti all’assurdo di negare l’esistenza di ogni

82 Alciato, Donello, Giphanio, Gotofredo, Ramos Del Manzano ed altri giuristi del passato considerano l’obbligazione alternativa come una obbligazione soggetta a condizione sospensiva. Il più esplicito in tal senso è Donello (Opera Omnia, Lucca, 1767, XI, col.440, n. 8) che, commentando D. 45, 1, 1, 5 (relativo alla difformità delle risposte nella stipulazione), afferma: « qui interrogatur de Sticho aut Pamphilo, de utroque quidem interrogatur, sed de unoquoque sub conditione si alterum non dederit». Alciato (Opera Omnia, Basilea, 1547, IV, col. 184, n. 21) invece è più cauto. Commentando D. 45, 1, 2, 1 in cui si fa riferimento ad obbligazioni che ammettono prestazioni parziali, ma che non si estinguono se non con la prestazione del tutto, menzionando le obbligazioni generiche e avvicinandole alle alternative, sostiene: Tam obligatio generis quam alternativa, habet in se tacitam condicionem, ut si unus non detur alius detur, et tam in una quam in altera nemo est in obligatione praecise, sed omnes, prout fingunt, sunt in obligatione sub condicione tacita si alius non detur… Come si vede l’Autore più che di una condizione vera e propria, o espressa, parla di una tacita condizione, o di qualche cosa simile alla condizione, come un altro commentatore, Duareno (cit. da Scuto, Teoria generale delle obbligazioni con riguardo al nuovo codice, Napoli, 1948, 249), che afferma: Stipulatio quasi sub conditione contracta intelligitur, ut Stichus detur, nisi detur Pamphilus. Gotofredo (Corpus Iuris Civilis, Colonia Allobrogorum, 1615, I, col. 1607) infine, in nota a D. 45, 1, 16, dove si afferma che l’obbligazione nasce semplice, qualora uno dei due oggetti sia già di proprietà del creditore, sostiene che ciò accade perché qui Stichum aut Pamphilum promittit, utrumque separatim promittere intelligitur sub ea condicione si alterum non dederit. L’Autore, oltre a parlare chiaramente di condizione, si segnala per il fatto che più degli altri accenna chiaramente ad una pluralità di obbligazioni. 83 La teoria della pluralità delle obbligazioni condizionate risolutivamente è stata sostenuta da J. P. MUTH, De obligatione alternativa, Berlino, 1867, 26 e da W. GIRTANNER, Die Bürgschaft nacht gemeinem Civilrechte, Jena, 1850, 75 s., entrambi cit. da F. ROCCO (Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative, cit., 214).

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obbligazione, in palese contrasto con il dato emergente dalla realtà dei

fatti.

Un po’ più articolata risulta la confutazione dell’altra opinione

astrattamente sostenibile: confutazione che deve essere peraltro circoscritta

alla condizionalità risolutiva, pena la totale inammissibilità dell’intera

ipotesi84. La delimitazione non è tuttavia sufficiente a sottrarre l’opinione

alle censure della critica: «per aversi due obbligazioni risolutivamente

condizionali occorre che vi sia la possibilità per ognuna e per tutte e due

che la condizione si avveri e eguale possibilità che la condizione non si

avveri. Quindi la possibilità che una delle obbligazioni si estingua, la

possibilità che si estinguano entrambe e la possibilità che non se ne

estingua nessuna». Invece precisamente questo non si verifica nella nostra

ipotesi in cui «abbiamo la possibilità che la condizione si avveri soltanto

per una delle obbligazioni, ma l’impossibilità che la condizione si avveri

per entrambe le obbligazioni ed egualmente la possibilità che la condizione

non si avveri soltanto per una delle due obbligazioni, ma l’impossibilità

che la condizione non si avveri per entrambe le obbligazioni. Quindi la

possibilità che una delle obbligazioni si estingua, ma l’impossibilità che si

estinguano entrambe o che non se ne estingua nessuna». In sostanza

ricorrono gli estremi della condizionalità di uno dei due rapporti

obbligatori, non di entrambi. Le due obbligazioni si trovano infatti in tale

relazione che «la condizionalità dell’una implica l’incondizionalità

dell’altra dal momento che se fossero per un momento solo entrambe

condizionali vi sarebbe, sia pure per un istante, la possibilità di doverle

entrambe soddisfare o di potersi esimere dal soddisfarne alcuna, il che non 84 Un fatto negativo di natura continuativa, cioè non circoscritto nel tempo, quale sarebbe la non esecuzione dell’altro obbligo, non può essere apposto come condizione sospensiva di un’obbligazione, giacchè sarebbe impossibile stabilire il momento dell’avveramento della condizione che potrebbe dirsi sempre e nello stesso tempo mai esistente.

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avviene nella obbligazione alternativa per la quale mai si potrà essere

obbligati alla doppia prestazione come mai ci si potrà esimere da ogni

prestazione».85

2.2.2 Teoria della pluralità di obbligazioni perfette

Completa il quadro delle dottrine pluralistiche la teoria delle obbligazioni

perfette sostenuta da Ryck86.

Se è vero che nell’obbligazione alternativa confluiscono tanti rapporti

obbligatori quante sono le cose alternativamente dovute, non bisogna però

dimenticare, secondo l’Autore, che tali rapporti non hanno vita autonoma e

indipendente gli uni dagli altri, bensì sono legati da particolari relazioni in

guisa tale che alla realizzazione e all’esecuzione di uno, non solo questo,

ma anche gli altri si estinguono. In altre parole con l’esecuzione di uno dei

rapporti obbligatori si risolve l’intera obbligazione; può dirsi cioè che

esista tra queste singole obbligazioni un certo reciproco legame di

«consunzione» (Consuntionverhältniss), per la cui ricostruzione sub specie

iuris Ryck ricorre al concetto di «modo».

L’addentellato principale per questa teoria sarebbe offerto da un passo del

commento edittale di Paolo riprodotto nelle Pandette:

D. 44, 7, 44 (Paul. 74 ad ed.): Modus obligationis est cum stipulamur

decem aut hominem; nam alterius solutio, totam obligationem interimit,

nec alter peti potest quamdiu utrumque est87.

85 Così F. ROCCO, Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative, cit., 216. 86 R. RYCK, Die Lehre von der Schuldverhältnisse nach gemeinen Deutschen Recht, II, cit., 205 ss. 87 Su questo testo, invocato da altri Autori a sostegno della teoria unitaria, v. oltre, § 3.

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I rapporti obbligatori dai quali risulta formata questa obbligazione

complessa sorgono assieme, e ad ogni rapporto va unita «questa

determinazione accessoria, questa “modalizzazione” di esso: che si debba

avere l’adempimento suo o l’adempimento dell’altro, che l’esecuzione

dell’uno escluda la esecuzione dell’altro»88.

Al riguardo la scelta lessicale del termine modus si rivela peraltro infelice e

foriera di equivoci: il lemma ha tanto nel diritto romano quanto in quello

vigente molteplici accezioni, ed indubbiamente il significato che Paolo

intendeva attribuire ad esso non era certo quello tecnico moderno di

«onere, peso imposto alla obbligazione»89. Tale significato era sconosciuto

ai giuristi classici, i quali all’uopo adoperavano circonlocuzioni o,

impropriamente, altri vocaboli: il concetto moderno di modus deriva,

infatti, dalla riflessione dei compilatori.

Appaiono dunque pienamente giustificate le perplessità da più parti

sollevate intorno alla reale proficuità del ricorso alla teoria del modus ai

fini della definizione della strutttura dell’obbligazione alternativa: un

concetto controverso e di dubbia portata qual è quello attorno al quale

ruota la dottrina in esame sembra, se non del tutto inidoneo allo scopo,

quantomeno di scarso ausilio sotto il profilo pratico.

Non paga di aver così dimostrato l’inadeguatezza della teoria in parola nel

lumeggiare la natura dell’obbligazione alternativa, la critica ha voluto

saggiare la coerenza con cui i passaggi del ragionamento di Ryck sono stati

saldati tra di loro riuscendo a identificare il punto vulnerabile, l’autentico

tallone d’Achille, della teoria nel momento dell’estinzione delle

obbligazioni modali. I rilievi attengono in particolare al problema

88 R. CECCHETTI, Le obbligazioni alternative, cit., 61. 89 F. ROCCO, Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative, cit., 218.

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dell’efficacia risolutiva esplicata dalla prestazione di una cosa nei confronti

dell’obbligazione di cui essa non forma oggetto: poiché infatti la

prestazione effettuata è una, soltanto di una obbligazione potremo dire, a

rigore, che si sia estinta per avvenuta esecuzione (pagamento in senso

lato). Con riferimento invece all’altra obbligazione, non avendo avuto

luogo adempimento, compensazione, novazione, né operando altra causa

estintiva c.d. «naturale», inerente cioè alla struttura di ogni obbligazione, si

dovrà necessariamente inferirne l’estinzione per una causa c.d.

«accidentale»90 - condizione risolutiva o termine risolutivo – vale a dire

per una di quelle determinazioni accessorie della volontà che hanno

l’efficacia di annullarla.

Ammessa dunque l’operatività del termine risolutivo o, in alternativa, della

condizione risolutiva, la scelta tra essi sembra obbligata, riferendosi il

termine a un avvenimento futuro, ma certo, carattere, quest’ultimo, che fa

senz’altro difetto al fatto dell’esecuzione di un’obbligazione rispetto

all’altra.

Rispetto alla prevedibile soluzione dell’alternativa poc’anzi prospettata si

potrebbe peraltro obiettare che nulla vieta di identificare nel «modo» una

determinazione accessoria della volontà avente virtù estintiva

dell’obbligazione. A una simile interpretazione osta tuttavia una

considerazione, svolta dallo stesso Ryck, che preclude la possibilità di

qualsiasi identificazione tra i concetti di «modo» e di «condizione»: se

quest’ultima «produce negazione, annullamento dell’efficacia giuridica

90 Mentre le cause estintive c.d. naturali ineriscono ad ogni obbligazione, quelle accidentali possono «essere o non essere nell’obbligazione»: si tratta di determinazioni accessorie della volontà che hanno l’efficacia di annullarla e cioè della condizione risolutiva e del termine risolutivo.

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dell’atto» - afferma l’Autore - «il primo agisce invece solo sull’intensità di

questa efficacia, non producendo che una modificazione di essa»91.

Si può forse concludere la panoramica sulle dottrine pluralistiche,

riportando le parole di Ferdinando Rocco: «L’errore dei sostenitori della

teoria della pluralità delle obbligazioni sta in ciò, nell’aver confuso la

prestazione, cioè il fatto…dovuto, cioè divenuto oggetto di un rapporto

obbligatorio, col fatto non ancora dovuto, non ancora oggetto del rapporto

obbligatorio: nella obbligazione alternativa, abbiamo bensì come possibili

prestazioni, cioè come possibili cose dovute, più fatti positivi o negativi

dell’uomo, ma la prestazione, cioè la cosa realmente dovuta è una e non

ancora determinata, per quanto determinabile». L’osservazione non sembra

tuttavia inoppugnabile, dato che di fatto elude il problema del rapporto,

nascente dal negozio costitutivo dell’obbligazione alternativa, quale

possibile «cornice» ove inserire le prestazioni alternativamente dovute.

2.3 Teoria eclettica di Pescatore

Un posto a sé, anche se connesso alle teorie precedenti, è occupato dalla

teoria cosiddetta «eclettica»92 elaborata da Pescatore, costruzione teorica

originale in quanto se per certi versi può essere ricondotta all’alveo delle

teorie pluralistiche, per altri se ne allontana, portando alle estreme

conseguenze - sulla base di spunti derivanti dalla tradizione romanistica -

91 I. MARANI TORO, Natura ed effetti delle obbligazioni alternative, cit., 11. 92 La denominazione, coniata da Ferdinando Rocco, ha avuto grande fortuna in dottrina. Pur uniformandosi a siffatta terminologia, essa è giudicata equivoca da Joaquin Rams Albesa (Las obligaciones alternativas, Madrid, 1982, 159) sulla base del rilievo che la teoria di Pescatore non fa leva sulla natura del vincolo bensì muove da una considerazione distinta degli effetti che si producono a seconda del soggetto titolare del diritto di scelta.

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alcune differenziazioni interne alla struttura delle obbligazioni alternative e

giungendo all’esito radicale di negare l’esistenza stessa di una categoria

unitaria di tali obbligazioni93.

L’Autore individua, dal punto di vista dogmatico, due fondamentali

tipologie di obbligazioni alternative a seconda che la scelta operi o meno

come condizione, salvo poi delineare, all’interno di queste ultime,

un’ulteriore distinzione in ragione della titolarità del diritto di scelta.

Esempi di obbligazioni alternative nelle quali la scelta funge da condizione

sarebbero costituiti da quelle contratte nella forma «se sceglierò» e da

quelle in cui l’electio è deferita ad un terzo. In questi casi l’Autore ritiene

che l’obbligazione non abbia una propria natura particolare, né quindi un

uno speciale regime giuridico, ma che essa sia una vera e propria

obbligazione condizionale e come tale vada disciplinata, dovendosi stimare

irrilevante ai fini della qualificazione giuridica del rapporto obbligatorio

sia la forma peculiare in cui compare la condizione – identificabile nella

«scelta» - sia la designazione alternativa (aut…aut) dell’oggetto.

Quanto all’altra categoria di obbligazioni alternative, in cui la scelta non

funge da condizione, la natura giuridica del rapporto dipende dalla

titolarità del diritto di scelta. Così, quando la scelta spetta al debitore, si

deve parlare più propriamente di «obbligazioni con contenuto

alternativamente determinato»; in esse - precisa l’Autore - «può dirsi

determinato in modo astratto che cosa sarà prestato, cioè in maniera tale

che l’obbligazione potrà dirsi adempiuta mediante la prestazione di una

93 G. PESCATORE, Die sogennante, cit., 69 s. V. anche ID., Wahlschuldverhältnisse, cit., 48-74, par. 7-9, e p. 2 dove l’Autore individua l’uso della obbligazione alternativa essenzialmente in funzione di un Versicherungsszweck, nel senso che in tal modo si intende garantire il creditore nell’ipotesi in cui una della prestazioni perisca o divenga impossibile. Sul punto v. A. DI MAJO – B. INZITARI, Obbligazioni alternative, in Enc. Dir., XXIX, Milano, 1979, 214.

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delle diverse, determinate e singole prestazioni previste, che vengono

quindi considerate come equivalenti per forza estintiva»94. In questo caso il

rapporto è evidentemente unico poiché il creditore non ha che una azione

da concepirsi in modo alternativo, e quindi un unico «apparato esecutivo»

(Zwangsapparat). Diversamente nel caso di obbligazione alternativa con

scelta accordata al creditore l’Autore ritiene che si abbia una «coesistenza

alternativa di più obbligazioni», cioè di più «ragioni di credito»,

equiparandosi sostanzialmente questo caso a quello del cosiddetto

«concorso elettivo di azioni» (quale per esempio si ha fra l’actio

redhibitoria e l’actio quanti minoris nella compravendita95 ).

In definitiva dall’esposizione della teoria di Pescatore si ricava che egli

ritiene l’obbligazione alternativa talvolta un’obbligazione di natura

condizionale, talaltra un’obbligazione unica e perfetta e talaltra infine una

obbligazione plurima ossia risultante da più rapporti obbligatori

alternativamente coesistenti.

I rilievi critici più puntuali nei confronti di tale impostazione, sia con

riguardo ai principi posti alla base di essa sia in rapporto alle conseguenze

che da essa si traggono, sono probabilmente quelli avanzati da Ryck96,

variamente accolti dagli scrittori successivi e sovente ripresi anche dalla

dottrina italiana97. L’Autore tedesco sottolinea che sostenere la tesi

dell’unicità o pluralità delle obbligazioni adottando come criterio

discretivo la scelta e l’azione significa attribuire alla prima una funzione

94 R. CECCHETTI, Le obbligazioni alternative, cit., 65; ma v. già F. ROCCO, Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative, cit., 221. 95 Secondo Pescatore si trovano nella medesima posizione giuridica il compratore che ha acquistato una cosa affetta da vizi occulti, il quale può chiedere o la rescissione della vendita o la restituzione di parte proporzionale del prezzo, e colui che contrae un’obbligazione con cui promette di dare a propria scelta o cento o il tal cavallo. 96 R. RYCK, Die Lehre von der Schuldverhältnisse, II, cit., 205 ss. 97 V. POLACCO, Le obbligazioni, cit., 205 s.; F. ROCCO, Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative, cit., 223 s.

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esorbitante: per quanto indispensabile per risolvere l’alternativa, essa non

può certo influire sull’essenza dell’obbligazione. A ragionare

diversamente, del resto, rileva Ryck, si finisce per seguire un processo

inverso rispetto a quello che deve essere osservato nell’indagare la natura

di un rapporto: sono infatti l’azione e il modo di esecuzione che si

determinano secondo la natura del diritto da far valere, e non viceversa,

come vorrebbe Pescatore.

3. Esegesi delle fonti

Nel citato lavoro “Die rechtliche Natur der Correalobligationen”, Fitting,

disconoscendo l’importanza del problema dell’unità o pluralità di vincoli

nell’obbligazione alternativa, scriveva, intorno alla metà dell’Ottocento,

che i giureconsulti romani adottavano l’uno o l’altro principio a seconda

delle particolarità del caso concreto. Espressione di un pensiero allora

senz’altro controcorrente, l’opinione dell’Autore tedesco sembrava ancora

a Carnazza98, a più di trent’anni di distanza, fare a pugni con «quella

precisione di criterii giuridici, quella logica rigorosa e quella chiarezza che

regnano sovrane nelle manifestazioni del potente ingegno» dei prudentes:

secondo l’Autore italiano la questione in parola, feconda di conseguenze

pratiche, doveva «apparire alla mente acuta dei giuristi romani», i quali

non avrebbero potuto risolverla così empiricamente.

Frutto di una coscienza finalmente più matura sembra la convinzione

espressa, all’alba del nuovo secolo, da Rocco99, secondo il quale l’opinione

98 G. CARNAZZA, Le obbligazioni alternative, cit., 17. 99 F. ROCCO, Su la natura giuridica delle obbligazioni alternative, cit., 34. All’impostazione mostra di aderire la dottrina più autorevole. Cfr., per tutti, G. GROSSO,

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di Fitting non è del tutto vera né del tutto falsa, dovendosi ritenere che i

giuristi romani «non abbiano fatto della natura giuridica delle obbligazioni

alternative…obietto speciale delle loro ricerche (e del resto i giureconsulti

romani non si sono mai preoccupati di trattare di proposito simili questioni

teoriche), ma che essi non abbiano mai dubitato dell’unicità

dell’obbligazione alternativa».

L’asserzione appare ancor oggi plausibile e trova puntuale conferma in una

nutrita serie di testi che, quantunque non parlino esplicitamente di un’unica

obbligazione, presentano sovente un costrutto manifestamente

incompatibile con il presupposto di una pluralità di obbligazioni.

D. 30, 84, 11 (Iul. 33 dig.): Si Titio Stichus aut Pamphilus, utrum eorum

malet, legatus est, deinde Pamphilum testator Titio donavit, Sticus in

obligatione remanet.

La concezione unitaria del rapporto obbligatorio alternativo affiora nel

testo giulianeo laddove il giurista fa uso della locuzione in obligatione.

L’unità del vincolo è poi ribadita dall’espressione remanet, dalla quale

risulta che l’obbligazione era una sin dal suo sorgere.

Analogo è il tenore di un passo del contemporaneo Pomponio:

D. 31, 11, 1 (Pomp. 7 ex Plaut.): ‘Sticum aut Pamphilum, utrum heres

meus volet, Titio dato, dum, utrum velit dare, eo die, quo testamentum

meum recitatum erit, dicat’. Si non dixerit heres, Pamphilum an Stichum

dare malit, perinde obligatum eum esse puto, ac si Stichum aut Pamphilum

Obbligazioni, cit., 170 ss.; M. TALAMANCA, «Alia causa» e «durior condicio» come limite dell’obbligazione dell’«adpromissor», in Studi in onore di G. Grosso, III, Torino, 1970, 192 ss.; ID., Obbligazioni, cit., 47e nt. 317.

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dare damnatus esset, utrum legatarius elegerit. Si dixerit se Stichum dare

velle, Sticho mortuo liberari eum: si ante diem legati cedentem alter

mortuus fuerit, alter qui supererit in obligatione manebit.

Anche qui il compito di proclamare l’unicità del rapporto alternativo - nel

caso di specie nascente da legato per damnationem – è affidato al sintagma

in obligatione e al verbo manebit, che riproduce sostanzialmente il remanet

giulianeo.

Orientamento non difforme manifesta il giurista adrianeo con riguardo

all’obbligazione alternativa nascente da atto inter vivos:

D. 45, 1, 112 pr. ( Pomp. 15 ad Quintum Mucium): Si quis stipulatus sit

Stichum aut Pamphilum, utrum ipse vellet: quem elegerit, petet et is erit

solus in obligatione.

La prospettiva non muta nella giurisprudenza tardo-classica:

D. 3, 3, 66 (Pap. 9 quaest.): Si is qui Stichum vel Damam, utrum eorum

ipse vellet, stipulatus est et ratum habeat, quod alterum procuratorio

nomine Titius petit: facit, ut res in iudicium deducta videatur, et

stipulationem consumit.

D. 44, 7, 44, 3 (Paul. 74 ad ed. ): Modus obligationis est, cum stipulamur

decem aut hominem: nam alterius solutio totam obligationem interemit nec

alter peti potest, utique quamdiu utrumque est.

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Nel primo frammento Papiniano afferma che, dedotta in giudizio

l’obbligazione alternativa, la richiesta, da parte del creditore, di uno dei

due oggetti determina la consumazione della stipulazione, cioè del vincolo,

che quindi è considerato unico.

La medesima concezione è altresì sottesa al passo successivo, escerpito dal

commento edittale di Paolo. Nel concetto paolino il rapporto alternativo si

caratterizza per la deduzione in obbligazione di più prestazioni, ma in guisa

tale che l’adempimento di una di esse estingue l’intero unico vincolo

(totam obligationem interimit): come è stato osservato, l’obbligazione

alternativa è qui considerata «una sola obbligazione particolarmente

configurata, o modalizzata, usando ‘modus’ in senso non tecnico»100.

L’espressione tota obligatio, poc’anzi segnalata, da cui si desume l’unicità

del vincolo, compare anche in un’altra decisione paolina:

D. 2, 14, 27, 6 (Paul. 3 ad ed.): Sed si stipulatus decem aut Stichum de

decem pactus sim et petam Stichum aut decem: exceptionem pacti conventi

in totum obstaturam: nam ut solutione et petitione et acceptilatione unius

rei tota obligatio solveretur, ita pacto quoque convento de una re non

petenda interposito totam obligationem summoveri.

La critica ritiene peraltro che nel passo testè riportato il brano in cui ricorre

tale terminologia sia interpolato; tuttavia, anche accogliendo questa tesi il

frammento non vede scemare la propria importanza ai fini della nostra

indagine, in quanto esso verrebbe in tal caso a provare che il principio

100 C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 24. Solo a prezzo di «storcere il testo», soggiunge l’Autore, si può asserire sulla base del frammento in esame che «v’è concorso di più obbligazioni nel senso che l’adempimento dell’una precluda il ricorso all’altra». Sul punto v. infra, § 2.2.2.

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dell’unicità dell’obbligazione alternativa era professato anche dal diritto

giustinianeo101.

In perfetta consonanza con l’opinione di Paolo, un altro giurista di età

severiana, Ulpiano, afferma:

D. 12, 6, 26, 13 (Ulp. lib. 26 ad ed.): Si decem aut Stichum stipulatus

solvam quinque, quaeritur, an possim condicere: quaestio ex hoc

descendit, an liberer in quinque: nam si liberor, cessat condictio, si non

liberor, erit condictio. Placuit autem, ut Celsus libro sexto et Marcellus

libro vicensimo digestorum scripsit, non peremi partem dimidiam

obligationis ideoque eum, qui quinque solvit, in pendenti habendum, an

liberaretur, petique ab eo posse reliqua quinque aut Stichum et, si

praestiterit residua quinque, videri eum et priora debita solvisse, si autem

Stichum praestitisset, quinque eum posse condicere quasi indebita.

Il maestro di Tiro osserva che, avendo stipulato dieci o Stico, con il

pagamento di cinque non si estingue per metà il rapporto obbligatorio:

101 Che Paolo consideri come unica l’obbligazione alternativa si desume ancora da altri testi: D. 18, 5, 4 ( 8 dig. Iuliani Paulus notat): Si emptio contracta sit togae puta aut lancis et pactus sit venditor, ne alterutrius emptio maneat, puto resolvi obligationem huius rei nomine dumtaxat; D. 45, 1, 76 pr. (Paul. 18 ad ed.): Si stipulatus fuerim ‘ illud aut illud, quod ego voluero’, haec electio personalis est, et ideo servo vel filio talis electio cohaeret: in heredes tamen transit obligatio et ante electionem mortuo stipulatore; D. 45, 1, 128 (Paul 10 quaest.):Si duo rei stipulandi ita extitissent, ut alter utiliter, alter inutiliter stipularetur, ei, qui non habet promissorem obligatum, non recte solvitur, quia non alterius nomine ei solvitur, sed suae obligationis, quae nulla est. Eadem ratione qui Stichum aut Pamphilum stipulatur, si in unum constiterit obligatio, quia alter stipulatoris erat, etiamsi desierit eius esse, non recte solvitur, quia utraque res ad obligationem ponitur, non ad solutionem. La concezione dell’unità del vincolo alternativo risulta assai chiaramente da tutti e tre questi frammenti di Paolo, nei quali si parla di un’obbligazione globale. Con riguardo in particolare a D. 45, 1, 128, generalmente ritenuto rimaneggiato, ove si volessero considerare sospetti anche i termini obligatio e obligationem in relazione al vincolo alternativo, dovrebbe qui reputarsi confermato, come già si è osservato, in rapporto a D. 2, 14, 27, 6, che per tutta l’epoca giustinianea ancora persiste il principio dell’unità del rapporto alternativo. Sul punto v. M. E. LUCIFREDI PETERLONGO, Intorno all’unità o pluralità di vincoli nell’obbligazione alternativa, cit., 144 s.

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l’utilizzo a questi effetti dell’espressione pars dimidia obligationis appare

indice sicuro di adesione da parte del giureconsulto alla concezione

unitaria.

Si considerino infine alcuni frammenti relativi al legato alternativo che,

nella loro perentorietà, dovrebbero dissipare ogni dubbio circa l’unità del

vincolo obbligatorio:

D.31, 27 (Cel. 34 dig.): Si illud aut illud legatum sit, unuum legatum est.

D. 31, 2 (Paul. 75 ad ed.): Quotiens nominatim plures res in legato

exprimuntur, plura legata sunt: si autem suppellex aut argentum aut

peculium aut instrumentum lagatum sit, unum legatum est.

D. 36, 2, 25 (Pap. 18 quaest.): Cum illud aut illud legetur, enumeratio

plurium rerum disiunctivo modo comprehensa plura legata non facit.

Questi testi vanno peraltro tenuti separati dagli altri, in quanto, data la loro

generica formulazione, non si esclude possano riferirsi soltanto a legati per

vindicationem. In verità dunque tali passi non costituiscono prove sicure

per la dimostrazione dell’unicità dell’obbligazione alternativa nel diritto

classico; attestano invece certamente la concezione unitaria per il diritto

giustinianeo, giacchè in età bizantina tutti i legati potevano spiegare

efficacia obbligatoria.

La nettezza del risultato che si ricava da questa cospicua serie di testi

sarebbe, secondo alcuni, oscurata dall’esistenza di due frammenti, nelle

Pandette, i quali, riferendosi – si suppone – ad ipotesi di legati alternativi e

dichiarando che in tal caso vi sarebbe duplicità di legati, mostrerebbero una

oscillazione della giurisprudenza romana nel concepire l’obbligazione

alternativa come unica o plurima. Questi testi, riguardando legati per

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vindicationem102 - legati cioè di proprietà che nell’età classica non davano

luogo ad un rapporto obbligatorio tra erede e legatario - non contraddicono

i risultati raggiunti sulla base della rassegna dei passi sopra esaminati, dai

quali in modo univoco sembra affiorare la concezione unitaria del diritto

classico. Essi potrebbero, invece, assumere rilievo in ordine alla

ricostruzione del pensiero giustinianeo, dal momento che, secondo

l’ordinamento giuridico dell’età bizantina, tutti i legati, comunque

formulati, generano obbligazione. In relazione a questo periodo, i passi,

che ora andremo ad esaminare, costituiscono un’antinomia rispetto agli

altri sopra ricordati103, che attestano una concezione unitaria.

D. 31, 8, 1 (Paul. 9 ad Plaut.): Si ita legatur: ‘Sempronio decem aut, si

noluerit, hominem Stichum lego’, hoc casu duo legata sunt, sed uni

contentus esse debet.

D. 30, 34, 14 (Ulp. 21 ad Sab.): Si ita Titio legetur: ‘fundum Seianum vel

usum fructum eius sibi habeto’, duo esse legata et arbitrio eius esse, an

velit usum fructum vindicare.

In effetti il tenore dei due frammenti sembrerebbe prima facie fornire

appoggio alla teoria che pretende di scorgere nelle fonti romane

un’oscillazione fra il concetto unitario e quello pluralistico

dell’obbligazione alternativa, oscillazione che parrebbe doversi desumere

dal raffronto dei testi riportati con le altri fonti in argomento. Come in tema

102 Come risulta dalle formule: lego, sibi habeto. 103 Mi riferisco, naturalmente, a D. 31, 27 (Cel. 34 dig.), D. 31, 2 (Paul. 75 ad ed.), D. 36, 2, 25 (Pap. 18 quaest.)

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di solidarietà104, anche per l’obbligazione alternativa vi è stato chi ha

voluto spiegare quello che si ritiene un contraddittorio linguaggio delle

fonti ricorrendo alla distinzione dei due momenti dell’obbligazione, il

debitum da un lato e la responsabilità dall’altro, precisamente affermando

che l’obbligazione alternativa è unica rispetto al vincolo, molteplice

rispetto al debitum105. Che in realtà l’asserita oscillazione di linguaggio

non sia sostanzialmente tale è stato da più parti dimostrato. Ad ogni modo

il tentativo di appianare la pretesa contraddizione facendo leva sulla

distinzione tra debitum e responsabilità si rivela fallace, in quanto nel

campo delle obbligazioni alternative le fonti non fanno parola di una

pluralità di debiti; al contrario, la terminologia adoperata relativamente

all’obbligazione alternativa mette in piena luce l’unicità del debitum,

dell’id quod debetur inerente all’obbligo alternativo.

Basta ricordare a tal fine l’attestazione di Scevola:

D. 16, 2, 22 (Scaev. 2 quaest.): Si debeas decem aut hominem, utrum

adversarius volet, ita compensatio huius debiti admittitur, si adversarius

palam dixisset, utrum voluisset.

E’ incerto il debitum nel suo contenuto, ma ne è indubbia l’unicità: il

richiamo alla distinzione tra il debitum e la responsabilità nell’obbligazione

alternativa non giova, dunque, a spiegare il linguaggio dei due testi.

Accogliendo il suggerimento di Carlo Longo106 conviene pertanto

riguardare più attentamente le fattispecie contemplate in D. 31, 8, 1 e D.

104 All’analogia che qualcuno ha ritenuto di poter istituire tra le obbligazioni solidali e quelle alternative si è già fatto cenno: v. infra, § 1 e nt. 52. 105 V. P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., 172. 106 C. LONGO, Corso di diritto romano cit., 29 s.

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30, 34, 14. Si noterà allora che, nel frammento paolino, il giurista ha cura

di sottolineare la specialità del caso (hoc casu) dimodochè la sua decisione

appare «dovuta alla particolarità della fattispecie, cioè alla circostanza che,

ad onta di una superficiale somiglianza della formula del legato alternativo,

il testatore, inserendo la condizione espressa si noluerit, aveva scisso le

disposizioni relative ai due oggetti; aveva, anche dal punto di vista

grammaticale, detto: ‘Sempronio decem (lego), aut, si noluerit, Stichum

lego’; aveva in altri termini fatto, non un legato alternativo, ma due legati:

il secondo, subordinato alla condizione che fosse preventivamente rifiutato

il primo». Il legatario non avrebbe avuto una vera e propria scelta, non

avrebbe cioè potuto chiedere indifferentemente l’una o l’altra cosa,

dovendo, per poter chiedere la seconda, preventivamente adempiere alla

condizione di rifiutare formalmente il primo legato107 108.

107 Un preciso precedente della spiegazione suggerita da Longo al passo si trova già nella Glossa, nella quale ad l. 31 D. 8, 1 si afferma: «Duo legata… Dic ergo, quia in unum tempus non possunt concurrere: nam necesse est primo ripudiari x quam petat Stichum». Analogamente J. CUIACIO, Opera, t. VII, Prati, 1839, col. 1760: «… Respondeo, notanda esse haec verba huius §. Hoc casu, quae significant alias unum legatum esse: ratio autem huius casus pendet ex his verbis si noluerit. Item, decem lego, quae quidem verba efficiunt, ut Stichus peti non possit nisi repudiata pecunia; cedit ergo dies pecuniae legatae primum: et illa repudiata tum cedit dies legati servi: duo sunt dies, duo ergo legata, unius legati duo dies, quibus cedat, esse non possunt. Sed, inquit, unico contentus esse debet, propter disjunctionem… Ratio quam attuli est evidens: nam si ponas testatorem non dixisse, aut si noluerit, sed ita legasse, pecuniam aut Stichum do lego, unus dies legati erit, atque adeo unum legatum alterutrius rei». Lo stesso Cuiacio così poi ulteriormente si esprime al riguardo (col. 1560): «Diximus, illud aut illud unum esse legatum, at d. l. 8 contrarium dicit: legavi Titio decem, aut, si noluerit, Stichum, duo, inquit, sunt legata, at uno debet esse contentus. Ratio est, quoniam dixit, si noluerit. Nam Stichus peti non potest antequam repudientur decem: itaque dies decem prius cedit, quam dies Stichi, id est, prius in eo est, ut possit repudiari priusque defertur, quod non sit in legato illud aut illud sine verbis, si noluerit. Tum enim unus est legati dies, unum legatum, una forma legati». 108 Come opportunamente si è rilevato la distinzione non è priva di importanza pratica, giacchè nel caso in cui oggetto del primo legato sia una cosa specifica, quando essa fosse perita fortuitamente prima di ogni decisione del legatario, questi si troverebbe nella impossibilità di rifiutare un legato già estinto; cioè non potrebbe adempiere alla condizione e perderebbe anche il secondo legato. V. C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 31 nonchè E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano, cit., 199.

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Considerazioni non dissimili possono essere svolte in relazione al testo

ulpianeo: anche in questo caso, infatti, la decisione si spiega in rapporto

alle particolarità del caso concreto. Secondo la descrizione che della

fattispecie ha offerto l’illustre romanista, «il testatore aveva dedotto nella

sua disposizione la proprietà piena del fondo o l’usufrutto dello stesso

fondo, a scelta. Ma, siccome il diritto al fondo si devolveva al legatario

(dies legati cedebat) al momento della morte del testatore, mentre il diritto

all’usufrutto sullo stesso fondo non si poteva acquistare che al momento

dell’adizione dell’eredità, la disposizione non poteva considerarsi come un

legato alternativo, non essendo concepibile che un legato riguardante la

stessa cosa si devolvesse in due momenti differenti». Che il testatore

avesse adoperato la formula usuale del legato alternativo «non poteva

significar nulla, se sostanzialmente la disposizione ripugnava

all’ammissibilità di un simile legato. In realtà egli aveva fatto due legati

aventi ciascuno il suo dies cedens. Apparentemente egli aveva lasciato

l’alternativa e la scelta tra due oggetti; effettivamente aveva lasciato

l’alternativa e la scelta tra due legati».

Alla stregua di questa interpretazione, avallata dalla dottrina prevalente, i

passi considerati non intaccano dunque neppure dal punto di vista della

dogmatica giustinianea il concetto unitario del legato alternativo e della

relativa obbligazione, così che l’esegesi sin qui condotta dimostrerebbe «la

verità della affermazione…secondo cui le fonti professano univocamente

il concetto dell’unità dell’obbligazione alternativa, e che la dottrina

pluralistica non trova in esse appoggio di sorta».

Rispetto a una presa di posizione così netta giova peraltro ribadire che,

quantunque con riguardo alle concettualizzazioni implicite nella

terminologia dei giuristi «sia del tutto prevalente quella nel senso

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dell’unica obbligazione»109, la questione non sembra essere mai stata

veramente affrontata dai prudentes, essendo attività estranea alla loro

attitudine di pensiero la sintesi astratta e generalizzante che l’indagine sulla

configurazione dell’obbligazione alternativa presuppone: in rapporto ad

essa l’elaborazione concettuale della dottrina romanistica risulta una

sovrastruttura moderna calata a posteriori sulle decisioni pratiche dei

giuristi romani110.

109 M. TALAMANCA, Obbligazioni, cit., 47 nt. 317. Cfr. anche M. E. LUCIFREDI PETERLONGO, Intorno all’unità o pluralità di vincoli nell’obbligazione alternativa, cit., 144 ss.; G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 169 ss. 110 V. M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 521.

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CAPITOLO TERZO

IL REGIME DELLA SCELTA

1. Regolamentazione del ius electionis

La designazione alternativa dell’oggetto dell’obbligazione - caratteristica

peculiare che, come abbiamo visto, consente di isolare la figura indagata

come tipica e differenziata111 - pone, come problema generale, quello del

rapporto tra siffatta modalità di individuazione della prestazione dovuta ed

il regime in genere dell’obligatio, in quanto possa essere toccato da questo

particolare aspetto strutturale.

In quest’ottica, importanza cruciale assume il tema della scelta, attorno al

quale ruota la soluzione di numerosi problemi in ordine alla spettanza,

all’esercizio e alla trasmissibilità – per menzionarne solo alcuni – del

diritto ad essa correlato.

Circa la spettanza della scelta, la casistica delle fonti prospetta, sia pure

con diversa frequenza, tre distinte fattispecie, a seconda che titolare del ius

eligendi sia il debitore, il creditore o un terzo.

Come si è in precedenza accennato112, sembra che i Romani abbiano

considerato come ipotesi normale quella in cui l’assetto d’interessi

predisposto dalle parti non prevedeva una speciale disciplina sul punto113; 111 Come è stato esattamente osservato, «la obbligazione alternativa è una figura complessa di obbligazione che ha modalità e caratteristiche che la distinguono da ogni altra. Essa non è riconducibile a nessun altro tipo». Così E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano: le obbligazioni, con particolare riguardo alle obbligazioni alternative, generiche, indivisibili, Milano, 1945, 203. 112 V. supra, cap. 1, § 2. 113 Così, con molta verisimiglianza, G. GROSSO, Obbligazioni, 168 e 190. Ciò non significa, però, che la categoria dell’obbligazione alternativa, in quanto configurabile per i

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in tal caso, come si è detto, la scelta doveva intendersi riconosciuta in capo

al debitore.

Questo regime è chiaramente attestato nel diritto classico come in quello

giustinianeo con riguardo all’emptio venditio, alla stipulatio, al legato e al

fedecommesso114. All’uopo giova richiamare l’insegnamento che si ritrae

da D. 13, 4, 2, 3 (Ulp. 27 ad ed.), laddove si riferisce il pensiero di

Scevola: …ea, quae tacitae insunt stipulationibus, semper in rei esse

potestate sed quid debeat, esse in eius arbitrio, an debeat, non esse, et ideo

cum quis Stichum aut Pamphilum promittit, eligere posse quod solvat,

quamdiu ambo vivant…

Il giurista dell’età degli Antonini, alla cui paternità va ascritta la decisione

riportata nel passo ulpianeo, dopo aver precisato che la scelta è inerente

alla struttura della stipulatio alternativa e che essa spetta al debitore,

chiarisce che è in arbitrio del debitore quid debeat, non an debeat.

In senso analogo depongono i seguenti testi:

Gai.4, 53 d: Causa plus petitur, veluti si quis in intentione tollat electionem

debitoris, quam is habet obligationis iure...115

Romani, si debba ritenere limitata al caso in cui la scelta spetti al debitore (così G. PESCATORE, Die sogennante, 77 ss. e 151 ss. cit. in M. TALAMANCA, Obbligazione, cit., 45 nt.294). 114 Cfr., per tutti, E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano: le obbligazioni, cit., 205 ss.; C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 50; G. GROSSO, I legati nel diritto romano, Torino, 1962, 267 ss.; ID. Obbligazioni, cit., 168 ss; M. TALAMANCA, Obbligazione, cit., 45. 115 Il passo citato si inserisce in un più ampio contesto (Gai. 4, 53) in cui Gaio illustra il regime della pluris petitio nel processo formulare. In particolare il giurista sta prendendo in considerazione la pluris petitio causa che, come egli stesso chiarisce, nel caso di obbligazione alternativa con scelta spettante al debitore si ha quando il creditore chiede in giudizio uno solo degli oggetti dedotti nell’obbligazione. Sul testo cfr., per tutti, G. SACCONI, La «pluris petitio» nel processo formulare. Contributo allo studio dell’oggetto del processo, Milano, 1977, soprattutto 141ss.

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Inst. 4, 6, 33 d : ...si quis ita stipulatus sit : «Hominem Stichum aut decem

aureos dare spondes ?», deinde alterutrum petat, veluti hominem tantum

aut decem tantum. Ideo autem plus petere intellegitur, quia in eo genere

stipulationis promissoris est electio...

D. 18, 1, 25, pr.(Ulp.34 ad Sab.) : Si ita distrahatur «illa aut illa res»,

utram eliget venditor, haec erit empta.

D.18, 1, 34, 6 (Paul. 33 ad ed.) : Si emptio ita facta fuerit: «est mihi emptus

Stichus aut Pamphilus», in potestate est venditoris, quem velit dare, sicut

in stipulationibus…

D. 23, 3, 10, 6 (Ulp. 34 ad Sab.): Si res in dotem datae fuerint aestimatae,

verum convenerit ut aut aestimatio aut res praestentur… si nihil de

electione adiciatur, electionem habebit maritus, utrum malit res offerre an

pretium earum: nam et cum illa aut illa res promittitur, rei electio est

utram praestet .116

D. 23, 3, 46, 1 (Iul. 16 dig.): Si debitori suo mulier nuptura ita dotem

promississet: «quod mihi debes aut fundus Sempronianus doti tibi erit»,

utrum mulier vellet, id in dote erit…117

Il promittente nella stipulatio, il venditore relativamente alla cosa venduta,

il marito riguardo alla dote da restituire, la donna che aveva costituito la

116 Siamo di fronte ad un caso di aestimatio dotis accompagnata da un patto in base al quale, se la scelta non era espressamente lasciata alla moglie, il marito avrebbe potuto scegliere se restituire la cosa o la stima . Sul testo cfr., per tutti, E. VOLTERRA, Diritto di famiglia, Bologna, 1946, 256; M. LAURIA, Matrimonio–Dote in diritto romano, Napoli, 1952, 144 s.; K. AYITER, Aestimatio dotis e compravendita come concetti di interpretazione tra i giuristi classici, in Annali Università di Ankara, 6, 1954-1955, 88 s.; A. BURDESE, Aestimatio dotis, in Studi in onore di E. Betti, 2, Milano,1962, 175. 117 Sul testo cfr., tra gli altri, G. G. ARCHI, La «pollicitatio» nel diritto romano, in Riv. It. Sc. Giur., n.s. 8, 3, 1933, ora in Scritti di diritto romano, 2, Milano, 1981, 1389.

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dote sono tutti debitori e, come tali, conformemente ai principi generali

dell’obbligazione118, titolari del diritto di scelta.

Debitore è anche l’erede a carico del quale sia stato disposto un legato per

damnationem o un fedecommesso, ed infatti Ulpiano in D. 30, 47, 3

afferma: Sed si Stichus aut Pamphilus legetur et alter ex his vel in fuga sit

vel apud hostes, dicendum erit praesentem praestari aut absentis

aestimationem: totiens enim electio est heredi committenda, quotiens

moram non est facturus legatario…, mentre in D. 30, 109, 1 (Afric. 6

quaest.) si legge: Heres, cuius fidei commissum erat, ut mihi fundum aut

centum daret, fundum Titio vendidit: cum electio ei relinquitur utrum malit

dandi… Indicazioni non dissimili si ricavano altresì da D. 31, 15 (Cel. 6

dig.), da D. 31, 19 (Cel. 80 dig.)119, e da D. 32, 21, 2 (Paul. 4 sent.).

La convinzione120, che si argomenta a contrario, secondo cui in epoca

classica la scelta sarebbe spettata al creditore soltanto in presenza di un

conferimento espresso, contenuto nell’atto costitutivo, appare dunque

corroborata da sicuri riferimenti testuali.

Vero è, peraltro, che le fonti in argomento non si possono reputare del tutto

univoche, atteso l’accoglimento, nei Digesta, di alcuni passi in cui, in

materia di legati, l’electio, nel silenzio delle parti, viene riservata al

118 Si richiama al proposito il principio «che vuole favorita la liberazione del debitore e limitata al minimo la sua obbligazione: poiché la facoltà di scegliere costituisce una facilitazione ed un vantaggio, essa deve competere all’obbligato ove non gli sia stata tolta per attribuirla ad altri». Cfr. E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano: le obbligazioni, cit., 205. Nello stesso senso G.GROSSO, Obbligazioni, cit., 168; P. BONFANTE, Corso di diritto romano. IV. Le obbligazioni, cit., 172. 119 Sulla cui esatta portata cfr. infra. 120 Si tratta di un’opinione «generalmente ammessa dai pandettisti e dai romanisti puri» (così C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 51) e accolta anche dai manuali, tra cui si vedano M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo, 1989, 576 e nt.46; M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, cit., 520; A. GUARINO, Diritto privato romano, Napoli, 2001, 798.

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legatario121. La patente incongruenza viene tuttavia giustificata

generalmente sostenendo che, nell’originale classico, i suddetti testi

avessero riguardo al legato per vindicationem122, in cui l’acquisto diretto

della proprietà da parte del legatario non avrebbe potuto condurre ad una

soluzione diversa123; nel caso di legato per damnationem, viceversa,

sarebbe stata confermata la regola classica della scelta spettante all’erede

(debitore).

Un mutamento di regime è stato ipotizzato solo per il diritto

giustinianeo124, in cui la fusione delle diverse figure classiche di legato125

condusse ad ammettere l’attitudine della medesima disposizione a titolo 121 Si tratta di D. 31, 19 (Cel. 80 dig.) , nella parte in cui è detto: Si is, cui legatus sit Stichus aut Pamphilus, cum Stichum sibi legatum putaret, vindicaverit, amplius mutandae vindicationes ius non habet…; D. 31, 23 (Marc. 30 dig.): «Lucio Titio fundum Seianum vel fructum fundi Seiani lego». Potest legatarius vel fundum vindicare vel fructum, quod facere non potest is cui tantum fundus legatus est ; D. 30, 34, 14 (Ulp. 21 ad Sab.): Si ita Titio legetur: «fundum Seianum vel usum fructum eius sibi habeto, duo esse legata et arbitrio eius esse, an velit usum fructum vindicare» e D. 30, 108, 2 (Afric. 2 quaest.) su cui v. infra. 122 Nel diritto classico vi erano quattro specie di legati, le quali essenzialmente si riducevano a due tipi: il legatum per vindicationem, che era il legato di proprietà, così detto appunto perché al legatario spettava immediatamente la vindicatio dell’oggetto; e il legato per damnationem, che era il legato di obbligazione o di credito, così detto perché l’erede era damnatus, cioè obbligato, ad eseguire la prestazione, a procacciarsi l’oggetto, se la prestazione consisteva nel lascito di una cosa e a trasmetterne nei debiti modi la proprietà. 123 L’attribuzione della scelta al legatario, da parte della giurisprudenza romana, nel legato di proprietà non turba «l’armonia del regime classico della scelta nell’obbligazione alternativa, perché il legato per vindicationem, non producendo obbligazione tra erede e legatario, rimaneva estraneo alla sfera dei rapporti obbligatori.Qui l’erede non era un debitore cui fosse applicabile il principio della minima obbligazione; né il legatario era un creditore; il legatario era un proprietario, e la scelta gli era attribuita perché, come proprietario, doveva esser libero di decidere quale degli oggetti volesse chiedere o rivendicare dall’erede». Così C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 51. 124 Ha a proposito osservato Carlo Longo (Corso di diritto romano, cit., 53) «che nelle Pandette furono accolti i testi relativi al vecchio legato per vindicationem nei quali la scelta è attribuita al legatario in considerazione del suo diritto di proprietà; legati che nel diritto giustinianeo si debbono intendere produttivi anche di un’obbligazione a carico dell’erede e quindi rispecchiano il regime che si vuole dare alla scelta nel caso di legato da cui nasce azione reale e azione personale». V. anche G. GROSSO, Efficacia diretta ed efficacia obbligatoria del legato, in Riv. trim. dir. proc. civ.VIII, 1954, 1ss. 125 Nel diritto giustinianeo venne abolita ogni distinzione fra legati mediante la L. 2 Cod. de form. et interp. subl. 2, 58: Nostra autem constitutio quam cum magna fecimus lucubratione… disposuit ut omnibus legatis una sit natura et quibuscumque verbis aliquid relictum sit, liceat legatariis id persequi non solum per actiones personales sed etiam per in rem et per hypotecariam.

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particolare a produrre effetti ad un tempo reali e obbligatori e pertanto, ove

ne sussistessero i presupposti sostanziali (e in tal caso vi sarebbe stata

concorrenza tra l’azione reale e quella personale), ad attribuire la scelta al

legatario126. L’electio è del resto dallo stesso Giustiniano (Inst. 2, 20, 22127)

espressamente accordata al legatario nei legati generici, strutturalmente

affini a quelli alternativi.

Conseguentemente, appare invece incoerente con il regime giustinianeo

l’inserimento nei Digesta dei testi originariamente pertinenti al legato per

damnationem, in cui rimane intatta la regola classica della spettanza della

scelta all’erede (debitore): una discrasia, questa, in grado di evocare i «tanti

pasticci fatti dai compilatori128», al cui novero essa pure dovrebbe essere

ascritta.

L’intera ricostruzione – che corrisponde sostanzialmente allo stato dell’arte

– si incardina, come si è avvertito fin dal principio, su di una certa

interpretazione di quei frammenti che in materia di successione

testamentaria, nel silenzio delle parti, riservano la scelta al legatario

creditore, interpretazione che li vorrebbe riferiti al legato per

vindicationem.

Va da sé che siffatta argomentazione riflette nulla più che un’ipotesi

congetturale, con tutti i limiti ad essa connaturati, e risulta pertanto

ampiamente perfettibile alla luce delle nuove acquisizioni della critica.

In particolare un rapido excursus relativo agli stadi che hanno scandito

l’evoluzione delle diverse forme di legato potrebbe forse aprire nuovi

126 La scelta, in epoca giustinianea, sarebbe dunque spettata all’erede solo qualora il legato non fosse stato idoneo alla trasmissione della proprietà. Cfr. G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 169. 127Inst. 2, 20, 22: Si generaliter servus vel alia res legetur, electio legatarii est, nisi aliud testator dixerit. 128 Ancora C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 54.

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orizzonti, offrendo spunti di riflessione originali, in grado di condurre a

riconsiderare l’impostazione generalmente adottata. In questa prospettiva

parrebbe potersi addirittura giungere ad ammettere che D. 30, 108, 2

(Afric. 2 quaest.) e D. 31, 19 (Cels. 18 dig.), pur attribuendo la scelta al

legatario, attingessero anche fattispecie di legato per damnationem129,

restaurandone così l’utilità ai fini della ricostruzione del regime della scelta

nell’obbligazione alternativa. Quanto invece a D. 31, 23 (Marc. 30 dig.) e

D. 30, 34, 14 (Ulp. 24 ad Sab.)130, per i quali è stato esattamente osservato

che si esula dal campo delle obbligazioni, va sottolineato, per inciso, che

«si tratta di ipotesi particolari»131, che non sembrano riferibili, nel testo

originario, neppure al legato alternativo per vindicationem.

Richiamando dunque, sia pure succintamente, nozioni ampiamente note,

vale la pena di rammentare che nel diritto classico il legato alternativo

disposto per damnationem, ovvero convertito in legato per damnationem

ex senatoconsulto Neroniano, poteva produrre soltanto effetti obbligatori e

in questo caso, come attestano le fonti che ad esso fanno riferimento132, la

scelta competeva al debitore. La stessa disciplina trovò poi applicazione, in

età giustinianea, nell’ipotesi in cui il legato, per l’alienità dell’oggetto

lasciato, poteva solo far nascere un’obbligazione133.

129 La tesi, corroborata da una diligente analisi esegetica, è coerentemente sviluppata da A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 27ss. 130 Per il testo v. supra, nt. 118. I due frammenti non assumono rilievo ai fini della configurazione del regime della scelta nelle obbligazioni alternative nascenti da legato in quanto, giusta la prevalente dottrina, non avrebbero ad oggetto ipotesi di legato alternativo, bensì una scelta alternativa tra due legati. 131 Così G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 169. 132 V. infra. 133 Nota testualmente Giuseppe Grosso (I legati nel diritto romano, cit., 270) che la scelta spettava all’erede «ove il legato anche nel diritto giustinianeo potesse produrre solo azione personale (D. 33, 6, 4; D. 33, 6, 3 pr.; cfr. D. 30, 26, 2 ; D. 32, 29, 1)». E’ evidente che i testi citati sono considerati dall’Autore «adattati dai Giustinianei» alla loro impostazione. Nello stesso senso, si veda ancora G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 169 e 249 nt.2. Ma già Contardo Ferrini (Teoria generale dei legati e dei fedecommessi, Milano, 1889, 279; Manuale di Pandette, Milano, 1908, 630 nt.), nel tentativo di conciliare la coesistenza nelle fonti giustinianee dei due diversi regimi classici della scelta dei legati alternativi per

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Tuttavia già in età classica poteva dirsi avviato il processo di fusione tra le

varie forme di legato, ancorché lo stato attuale delle nostre conoscenze non

ci consenta di fissarne con sufficiente precisione le tappe134. Lo stesso

senatoconsulto Neroniano, invero, pare abbia recepito sul piano normativo

la prassi di disporre lo stesso lascito in più forme, impiegate

contestualmente, soprattutto cumulando il genus per damnationem e quello

per vindicationem. In questi casi, attestati da fonti epigrafiche135 e

giuridiche136, «i prudentes ritenevano che entrambi i legati fossero efficaci

e concedevano al legatario la scelta fra la rei vindicatio e l’actio ex

testamento»137, salva l’ipotesi in cui non appartenendo l’oggetto al

testatore poteva riconoscersi la validità del solo legato obbligatorio.

damnationem e per vindicationem, osservava che la regola secondo cui il diritto di scelta spettava al legatario si applicava ogni qual volta insieme all’azione personale spettava la reivindicatio e che sebbene Giustiniano concedesse entrambe le azioni si poteva verificare il caso in cui non fosse possibile un immediato acquisto della proprietà. 134 In argomento, per tutti, P. VOCI, Diritto ereditario romano, 2. 1, Milano, 1967, 185. 135 Un esempio di utilizzazione contemporanea di più forme di legato si ha nel testamento di Dasumio (Fontes iuris Romani anteiustiniani, 3, 141, 1. 125): Quisquis mihi heres erit do lego damnasque esto dare… imp. Caesari Nervae Traiano… 136 Particolarmente esplicito in tal senso è D. 33, 7, 12, 43 (Ulp. 20 ad Sab.), nella parte in cui è detto: … Sed et ipse Papinianus eodem libro responsorum ait patrem mercatorem ac faeneratorem, qui duos filios totidemque filias heredes instituerat, ita legasse: «filiis maribus domum meam instructam do lego darique iubeo»: merces et pignora an contineatur, quaeri posse: sed facilem iudici voluntatis coniecturam fore ceteris patris facultatibus examinatis. Ugualmente significativo è anche D. 32, 30, 1(Labeo 2 poster. a Iavol. epitom.): Qui hortos publicos a re publica conductos habebat, eorum hortorum fructus usque ad lustrum, quo conducti essent, Aufidio legaverat et heredem eam conductionem eorum hortorum ei dare damnaverat sinereque uti eum et frui, respondi heredem teneri sinere frui: hoc amplius heredem mercedem quoque hortorum rei publicae praestaturum. Va inoltre notato che effetti al tempo stesso reali e obbligatori si avevano anche quando il testatore disponeva un lascito a titolo particolare adottando la forma del legato per vindicationem e quella del fedecommesso, dal momento che «ogni disposizione fedecommessaria non può attuarsi che in via obbligatoria» e che «sotto questo aspetto, il fedecommesso è strutturalmente analogo al legato di obbligazione» (così P. VOCI, Diritto ereditario romano, cit., 2. 1, 181). In tal senso depone il dettato di D. 34, 4, 30, pr. e § 4 (Scaev. 20 dig.): pr. Alumnae suae plura legaverat: quaedam ex his abstulit, quaedam ut praestarentur, ab erede suo petit, in quibus et viginti dari voluit his verbis: «hoc amplius do lego darique volo viginti auri libras» et adiecit: «fideique tuae, Atti, committo, ut in primis… 137 Così M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, cit., 743. Nello stesso senso si vedano C. FERRINI, Teoria generale dei legati e dei fedecommessi, 655 s.; V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1984, 568, e G. GROSSO (I

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In buona sostanza accadeva che da uno stesso legato, disposto con duplice

forma, potevano discendere effetti obbligatori ed effetti reali e in queste

circostanze la scelta veniva attribuita al legatario. Dunque, in epoca

classica, nel caso di legato alternativo o generico138 in cui gli effetti

obbligatori concorrevano con quelli reali - sempre pertanto nell’ambito

delle obbligazioni -, la scelta, nel silenzio delle parti, non spettava

all’erede.

Tutto ciò sarebbe comprovato da:

D. 30, 108, 2 (Afric. 2 quaest.): Cum homo Titio legatus esset, quaesitum

est, utrum arbitrium heredis est quem velit dandi an potius legatarii.

Respondi verius dici electionem eius esse, cui potestas sit qua actione uti

velit, id est legatarii.

Questo frammento è stato più volte sospettato di interpolazione139 o

perlomeno di essere stato abbreviato dai compilatori giustinianei140. Si legati nel diritto romano, cit., 106 ss.) che, dopo avere affermato che «i testi che ammettono questo concorso non presentano…un’enunciazione a priori impossibile», osserva anche che il loro dettato potrebbe essere frutto di una rielaborazione postclassico giustinianea. Hanno invece negato che, nel caso di legato disposto con duplice forma, il legatario avesse la possibilità di scegliere l’azione da esercitare G. SEGRE’, Note esegetiche sui legati, in Studi Scialoja, 1, cit., 245 ss.; P. CIAPESSONI, Sul Senatoconsulto Neroniano, in Studi in onore di P. Bonfante, 3, Milano, 1930, 699 ss.; R. PIAGET, Le Sénatus-Consulte Néronien, Losanna, 1936, 66 ss. Di contro sono però utilmente consultabili le puntuali osservazioni di A. MASI, D. 30, 33 e la duplicità di forma dei legati, in Archivio Giuridico, 154, 1958, 112 ss. 138 Con riguardo al regime della scelta è unanimemente affermato che esso era uguale nelle obbligazioni alternative e in quelle generiche. Di questo regime è infatti frequente una trattazione unica per entrambe le categorie di obbligazioni. In tal senso si veda, ad esempio, G. SCIASCIA, Sulla irretrattabilità della scelta nelle obbligazioni alternative e generiche, cit., 255 s., e, tra i manuali, M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, cit., 579, che con riguardo ai due tipi di obbligazioni afferma: «per certi aspetti…il regime era eguale: così, per quanto riguarda la facoltà di scelta…». 139 Cfr. E. LEVY – E. RABEL, Index Interpolationum quae in Iustiniani Digestis intesse dicuntur ad h.l. 140 In tal senso, ad esempio, Sciascia (Sulla irretrattabilità della scelta, cit., 259 s.), partendo dalla considerazione che il giurista stava cercando di dare una soluzione ad una discussione sulla spettanza del diritto di scelta nel legato per damnationem (così come si

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tratta di congetture che però, oltre ad essere controvertibili141, non

sembrano giovare realmente a chiarire la portata di esso, la quale, invero,

nell’attuale lezione del testo, appare in linea con la realtà prospettata dalle

fonti epigrafiche.

Nel passo in commento il giurista è chiamato a sviscerare il caso in cui sia

stato legato genericamente uno schiavo. In assenza di specifiche

indicazioni testuali è lecito supporre che all’uopo le parti avessero fatto

ricorso, congiuntamente, alla forma per damnationem e a quella per

vindicationem142: una quaestio, infatti, «non avrebbe avuto senso né se si

fosse trattato di legato per damnationem né di quello per vindicationem,

perché nel primo caso la scelta sarebbe spettata all’erede (debitore) e nel era già verificato per il legato per vindicationem), nata in seguito ad un avviato processo di fusione delle varie forme di legato, ha ipotizzato un riassunto della quaestio ad opera dei compilatori giustinianei. Hanno ritenuto il testo interpolato, tra gli altri, anche P. CIAPESSONI, Sul Senatoconsulto Neroniano, cit., 707 e lett. cit. nelle ntt. 193, 194 e 196, e R. PIAGET, Le Sénatus – Consulte Néronien, cit., 80 s. 141 Improbabile appare infatti la supposta (cfr. lett. cit. nelle ntt.precedenti) interpolazione dell’espressione qua actione uti velit, dal momento che, come ha notato anche Masi (D. 30, 33 e la duplicità di forma dei legati, cit., 118 s.), la stessa espressione ricorre, oltre che in D. 25, 2, 24 (Ulp. 5 regul.), in D. 30, 84, 13 di Giuliano (sui rapporti di Giuliano con Africano cfr. infra). Inoltre non «vedo il motivo per cui i compilatori avrebbero dovuto introdurre nel testo di Africano l’espressione anzidetta… quando il fatto che il legatario potesse scegliere l’azione da esercitare non aveva più alcuna importanza ai fini della spettanza della electio della cosa legata ; inoltre, mentre per loro era normale che il legatario avesse la scelta dell’azione, dall’ultima frase del testo tale spettanza è data come eventuale (vi si dice potestas sit e non potestas est)». Così A. MASI, op. e loc. ult. cit. Inevitabile sembra invece considerare l’id est legatarii un’addizione compilatoria. Cfr., nello stesso senso, già F. BALDUIN, Iustinianus sive de iure novo, Halae - Lipsiae, 1729, 83, ma anche L. PALAZZINI FINETTI, Storia della ricerca delle interpolazioni nel Corpus iuris giustinianeo, Milano, 1953, 489, e, tra gli altri, A. MASI, op. ult. cit., 123 nt. 104, e G. GROSSO, I legati nel diritto romano, cit., 109 e nt. 3. Contro quest’ultimo Agatina Stefania Scarcella (Studi, cit., 31) ha però osservato che l’id est legatarii «non ha certamente l’aria di una giustificazione della norma giustinianea. Una giustificazione infatti non viene normalmente introdotta da id est, che è un’espressione con valore perlopiù esplicativo». E’ dunque più plausibile pensare che i compilatori abbiano semplicemente avvertito l’esigenza di fare esplicito riferimento al legatario là dove il testo classico considerava il regime della scelta solo sul piano processuale, attraverso la scelta dell’azione. Sulle diverse ricostruzioni del frammento che sono state proposte e le critiche ad esse apportate è utilmente consultabile A. MASI, op. ult. cit., 108 ss. 142 Cfr. P. VOCI, Diritto ereditario romano, cit., 2, 335 nt.6; A. MASI, D. 30.33 e la duplicità di forma dei legati, cit., 119ss.; G. B. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 70.

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secondo al legatario (creditore)». Un simile interrogativo sembrerebbe

viceversa trovare piena ragion d’essere se e nella misura in cui da uno

stesso legato fossero discesi effetti obbligatori e reali, sui quali,

«trattandosi di un legato generico (ma sarebbe stata la stesa cosa per uno

alternativo143), (…) si innescava il problema della scelta144».

Nell’enucleare la soluzione, Africano, o più verosimilmente Giuliano145,

doveva tenere presente, da un lato, il fatto che trattandosi di obbligazione

alternativa nascente da legato, oltre al legatario, anche l’erede era

interessato alla proprietà dei beni del de cuius, e dall’altro, che l’originario

intendimento del testatore doveva essere (stato) quello di disporre un

legato per vindicationem, essendo la determinazione di accostarvi quello

obbligatorio preordinata principalmente ad assicurare il risultato pratico

auspicato, ovverosia che la cosa legata pervenisse al legatario146. Siffatte

143 Cfr. quanto già detto supra, nt. 81. Inoltre è interessante notare che proprio il testo in esame è citato da Marrone, nel suo manuale di Istituzioni (op. cit., 576 nt. 46), come esempio particolarmente probante di scelta spettante al legatario nei legati alternativi. 144 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 32. 145 E’ noto che Africano (su cui cfr., per tutti, oltre alle opere ormai classiche di P. KRÜGER, Geschichte der Quellen und Litteratur des römischen Rechts, Leipzig, 1888, 177 = Histoire des sources du droit romain, trad. fr. di Brissaud, Paris, 1894, 235; H. FITTING, Alter und Folge der Schriften römischer Juristen von Hadrian bis Alexander, Tübingen, 1908, rist. Osnabrück, 1965, 31 e W. KUNKEL, Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, Graz - Wien - Köln, 1967, 172, e F. CASAVOLA, Gellio, Favorino, Sesto Celio, in Giuristi adrianei, Napoli, 1980, 82 ss.), nei libri questionum, riferisce costantemente le opinioni del suo maestro Giuliano facendole precedere da verbi come putavit, existimavit, inquit, respondit, ecc. Anche nel frammento in esame ricorre il verbo respondere, ma questo invece che alla terza persona viene utilizzato alla prima, che potrebbe fare pensare a una risposta dello stesso Africano. L’utilizzazione del verbo alla prima persona deve comunque essere apparsa singolare anche a Masi (D. 30.33 e la duplicità di forma dei legati, cit., 119 ) e ad Impallomeni (Sull’obbligo del debitore, cit., 70) che hanno infatti proposto la correzione di respondi con respondit. Una possibile spiegazione potrebbe anche essere quella proposta da Krüger (Geschichte der Quellen und Litteratur, cit., 71 nt. 60, la cui opinione è accolta da L. DE SARLO, Alfeno Varo e i suoi Digesta, Milano, 1940, 7) che, con riferimento ai Digesta di Alfeno Varo, considera il respondi un errore di scrittura. Sui rapporti di dipendenza tra l’opera di Africano e quella di Giuliano, sono utilmente consultabili anche P. DE FRANCISCI, Storia, 2, Milano, 1941, 492, e P. FREZZA, Corso di storia del diritto romano, Roma, 1954, 387. 146 «Ed anche il legislatore nel prendere in considerazione i legati mirava a questa funzione sostanziale unitaria, Gai 2, 208 afferma che plerisque placuit, quantum ad hoc ius, quod lege Papia coniunctis constituitur, nihil interesse, utrum per vindicationem an

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considerazioni avrebbero pertanto condotto il giurista a ritenere che fosse

più corretto (verius) attribuire l’electio a colui al quale spettava la scelta

dell’azione147, cioè a dire al legatario: questi, infatti, a fronte della

concorrenza tra l’azione reale e quella personale, avrebbe probabilmente

optato per la rei vindicatio, con cui gli sarebbe spettato il diritto di

scelta148.

Si è osservato149 che saremmo in presenza di una decisione di natura

eccezionale, inidonea a invalidare la regola generale, per cui anche

Giuliano nei legati per damnationem sia alternativi che generici doveva

attribuire la scelta al debitore. Invero, ammesso pure che Giuliano (o forse

Africano150) attribuisse la scelta al debitore nei legati alternativi o generici

disposti unicamente per damnationem, nulla tuttavia consente di escludere

che nei legati alternativi o generici con effetti anche – ma non soltanto -

obbligatori la scelta potesse competere al legatario151.

2. Segue: D. 31, 19

Che l’opinione giulianea non costituisca realmente un unicum e non possa

pertanto collocarsi in qualche modo extra ordinem emerge peraltro da una

testimonianza celsina tradita attraverso D. 31, 19. Il frammento è stato in

larga misura negletto nello studio del regime della scelta nelle obbligazioni

per damnationem legatum sit». Così G. GROSSO, I legati nel diritto romano, cit., 94 nt. 2 147 In questo modo va tradotta la frase…cui potestas sit qua actione uti velit… 148 L’esperimento di un’azione reale, infatti, necessita la preventiva determinazione dell’oggetto. Cfr., per tutti, C. FERRINI, Teoria generale dei legati e dei fedecommessi, cit., 251. 149 G. B. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 70. 150 Cfr. supra nt. 142. 151 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 34.

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alternative, assumendosi che – al pari di quello di Africano – nell’originale

dizione classica la parte iniziale avesse riguardo ad un legato per

vindicationem152.

D. 31, 19 (Cel. 18 dig.): Si is, cui legatus sit Stichus aut Pamphilus, cum

Stichum sibi legatum putaret, vindicaverit, amplius mutandae vindicationis

ius non habet: tamquam si damnatus heres alterutrum dare Stichum

dederit, cum ignoret sibi permissum vel Pamphilum dare, nihil repetere

possit.

Celso prende in considerazione un legato alternativo di due schiavi, Stico o

Panfilo, e afferma che ove il legatario, ignorando l’alternatività del legato,

abbia rivendicato Stico o, nella stessa situazione, il debitore lo abbia

prestato, l’adempimento è definitivo. Vale la pena di sottolineare che ad

essere irretrattabile, nella fattispecie esaminata, non è la scelta, che in

realtà non è mai stata operata, a cagione dell’errore, bensì l’adempimento.

Elidendo il primo enunciato di cui si integra il testo in ragione del ritenuto

riferimento di esso al legato per vindicationem153, la dottrina ha

evidenziato un’antinomia nelle fonti con riguardo all’ipotesi, considerata

nel prosieguo, in cui il debitore, nella falsa credenza di dovere

semplicemente, abbia prestato per errore l’oggetto cui si riteneva

obbligato. Giuliano, infatti, nelle medesime circostanze, ammette il

debitore alla ripetizione dell’oggetto prestato:

152 Conseguentemente si ritiene che il testo esuli dal campo delle obbligazioni. In tal senso cfr., per tutti, G. GROSSO, I legati nel diritto romano, cit., 267; ID., Obbligazioni, cit., 168. Possibilista appare G.B.IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 67 nt.21. 153 La prima parte, infatti, come detto, viene trascurata sul presupposto che si tratti di legato per vindicationem, il quale non genera obbligazioni a carico dell’erede, importando acquisto diretto dell’oggetto legato al legatario e che quindi si esuli dal campo delle obbligazioni.

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D. 12, 6, 32, 3 (Iul. 10 dig.): Qui hominem generaliter promisit, similis est

ei, qui hominem aut decem debet: et ideo si, cum existimaret se Stichum

promississe, eum dederit, condicet, alium autem quemlibet dando liberari

poterit.

Nel tentativo di appianare siffatta divergenza giurisprudenziale, attestata

dalle fonti, sono state avanzate molteplici soluzioni, le quali, tuttavia, pur

nella diversità di forme e di contenuti, muovono dal comune postulato

secondo cui Celso avrebbe preso in esame due legati differenti, l’uno per

vindicationem e l’altro per damnationem. Tale assunto viene sovente

enunciato in maniera piuttosto apodittica, nonostante il testo non appaia

inappuntabile né ad una considerazione autonoma né dal punto di vista di

un suo inquadramento sistematico. Chè anzi, in quest’ottica, l’ipotesi che il

giurista stesse considerando un unico legato alternativo, erroneamente

ritenuto semplice, disposto cumulativamente per vindicationem e per

damnationem, da cui discendevano contestualmente effetti reali e

obbligatori – e, conseguentemente la duplice possibilità, prevista dallo

stesso frammento, sia che il debitore adempisse sia che, ancor prima, il

legatario rivendicasse una delle res – lungi dal risultare peregrina, è

apparsa più aderente al dettato del testo154, il quale non indica

espressamente la forma di legato adottata. Invero tale congettura,

difendendo l’appartenenza dell’intero frammento al terreno delle

obbligazioni, ha il merito di far luce sulla rilevata antinomia facendo leva

su un argomento difficilmente oppugnabile qual è quello dell’aderenza del

diritto alla prassi.

154 Così A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 35.

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Poco plausibile appare infatti la spiegazione del presunto contrasto

risalente alla Glossa e ripresa da De Ruggiero155, il quale, escludendo

l’assimilabilità delle fattispecie considerate dai frammenti di Giuliano e di

Celso, riferisce il sintagma qui hominem generaliter promisit, similis est ei,

qui hominem aut decem debeat all’obbligazione generica e riconduce alla

fenomenologia dell’obbligazione alternativa soltanto il caso esaminato dal

giurista proculiano. Invero, qualunque sia pur logico ragionamento al

riguardo156 finisce per dover fare i conti con l’esplicito riconoscimento

giulianeo, all’interno dello stesso testo, del diritto alla repetitio anche nel

caso di obbligazione alternativa.

Tiepida accoglienza ha trovato invece la tesi propugnata da Emilio

Albertario157 e da Carlo Longo158, i quali, in linea con quella che fu

l’opinione di Ascoli hanno contestato la genuinità del frammento di Celso.

Nell’originaria dizione del passo il giureconsulto, da un lato, avrebbe

escluso il ius mutandae vindicationis in capo al legatario per

vindicationem, dall’altro, volgendosi a considerare il legato per

damnationem, avrebbe accordato al debitore la repetitio dell’oggetto

prestato. I giustinianei, in conformità all’intervenuta abolizione delle

diverse tipologie di legato, avrebbero espunto dal frammento le differenze

di regime ivi contemplate, uniformando la soluzione della seconda parte

del testo alla prima e negando in ogni caso la ripetibilità. Dunque

155 Le obbligazioni, cit., 97ss. 156 Ad esempio è coerente l’osservazione che nell’obbligazione generica al debitore che ha erroneamente creduto di dovere una cosa determinata si deve consentire la ripetizione, perché quella data non era dovuta. Diversamente nell’obbligazione alternativa entrambi gli oggetti sono in obligatione, e quindi anche quello prestato per errore è dovuto. V. E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni. Parte generale, cit., 372. 157 Corso di diritto romano, cit., 374 ss. 158 Corso di diritto romano, cit., 71 ss.

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l’antinomia, estranea alle fonti classiche, «sarebbe stata creata, senza

volerlo, dai compilatori159».

Vero è, peraltro, che «la lettera del testo allude ancora troppo chiaramente

alla differente natura dei due legati, per poter pensare ad un intervento

compilatorio160». D’altro canto, a ciò si è replicato che «se effettivamente

il testo alludesse a due diversi legati con disciplina diversa riguardo alla

scelta, non solo si dovrebbe escludere qualsiasi intervento compilatorio,

ma non si giustificherebbe neppure il suo inserimento in sede materiae161».

Viceversa, tale collocazione topografica potrebbe acquistare un significato,

senza necessità di invocare un’alterazione del testo, qualificando il negozio

in origine posto in essere nel caso vagliato da Celso alla stregua di un

unico legato disposto cumulando la forma del legato per vindicationem con

quella del legato per damnationem, i cui effetti, ad un tempo reali e

obbligatori, conducevano a profilare un regime di scelta nella sostanza

analogo a quello giustinianeo.

159 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 37. 160 Così G. B. IMPALLOMENI, Note sull’adempimento dell’obbligazione alternativa, cit., 273. 161 Né con riguardo a questo testo sono accettabili le osservazioni che si fanno per giustificare l’inserimento nella compilazione sia dei testi che si considerano relativi al vecchio legato per vindicationem sia di quelli che si giudicano riguardanti il legato per damnationem. Con riguardo al vecchio legato per vindicationem, con scelta attribuita al legatario, si dice, infatti, che nel diritto giustinianeo un tale legato si deve intendere produttivo anche di obbligazione e quindi rispecchiante il regime che si attribuisce alla scelta quando da un legato nasce azione reale e personale. Ma un tale ragionamento potrebbe riuscire condivisibile per un testo in cui si faccia riferimento al solo legato per vindicationem e non anche per uno in cui, come in quello di Celso, la dottrina ritiene che si considerasse accanto al legato per vindicationem quello per damnationem. V. A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 37.

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E’ stato sostenuto molto autorevolmente162 che le diverse soluzioni di

Celso e di Giuliano non costituirebbero altro che una eco di una divergenza

di opinioni tra i due giuristi, attestata in C. 4, 5, 10163 sempre in materia di

obbligazione alternativa, in ordine alla spettanza della scelta della

prestazione da restituire nel caso in cui il debitore, ritenendo l’obbligazione

cumulativa, avesse eseguito entrambe le prestazioni. In questa prospettiva

è stato notato164, che Giuliano - muovendo dal presupposto «che soltanto

l’adempimento, compiuto con la consapevolezza di eleggere, estingue gli

effetti giuridici propri della natura alternativa dell’obbligazione, ivi

compresa la stessa facoltà di scelta» -, conserva la facoltà di elezione al

debitore circa la prestazione da restituire e gli concede la condictio in D.

12, 6, 32, 3, nel caso in cui, credendo l’obbligazione semplice, presti uno

degli oggetti. Celso, invece, nelle stesse circostanze, postulando, viceversa,

che all’adempimento comunque effettuato consegua l’estinzione

dell’obbligazione, sottrae al debitore la scelta della prestazione da restituire

e gli nega la condictio in D. 31, 19.

La tesi, che giustifica la soluzione offerta dal giurista proculiano in D. 31,

19 facendo leva sulla disputa fra giuristi riferita da Giustiniano, è stata di 162 G. B. IMPALLOMENI, Note sull’adempimento dell’obbligazione alternativa, cit., soprattutto 275 s.; G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 206 ss. Si vedano, nello stesso senso, K. BERNSTEIN, Zur Lehre vom alternativen Willen, cit., 61; G. PESCATORE, Die sogennante alternative Obligation, cit., 168 s.; I. VON KOSCHEMBAHR-LYSKOWSKI, Die condictio als Bereicherungsklage im Klassischen römischen Recht, 1, Weimar, 1903, 110 nt.5. 163 Imp. Iustinianus A. Iuliano pp.: Si quis servum certi nominis aut quandam solidorum quantitatem vel aliam rem promiserit et, cum licentia ei fuerat unum ex his solvendo liberari, utrumque per ignorantiam dependerit, dubitabatur, cuius rei datur a legibus ei repetitio,utrumne servi an pecuniae, et utrum stipulator an promissor habeat huius rei facultatem.l. Et Ulpianus quidem electionem ipsi praestat qui utrumque accepit, ut hoc reddat quod sibi placuerit, et tam Marcellum quam Celsum sibi consonantes refert. Papinianus autem ipsi qui utrumque persolvit electionem donat,qui et antequam dependat ipse habet electionem quod velit prestare, et huiusmodi sententiae sublimissimum testem adducit Salvium Iulianum summae auctoritatis hominem et praetorii edicti ordinatorem (a. 530). 164 G. B. IMPALLOMENI, Note sull’adempimento dell’obbligazione alternativa ritenuta dal debitore cumulativa o semplice, cit., 265 ss.

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recente avversata, ma l’argomentazione all’uopo addotta non pare in grado

di raggiungere lo scopo. Non sembra infatti potersi condividere l’opinione

secondo cui ove la decisione celsina165 si fosse ricollegata agli stessi

principi della controversia esposta in C. 4, 5, 10, in cui Giustiniano

accoglie la diversa opinione di Giuliano, di essa non sarebbe dovuta

residuare traccia alcuna nella compilazione166. Siffatta obiezione, di per sé

espressione di una visuale forse un po’ manichea, risulta infatti

agevolmente superabile sol che si rammenti, sic et simpliciter, come «ben

possano i giustinianei riportare nel Digesto testi non più attestanti la norma

vigente, ma rispecchianti il pensiero passato, che ancora si vuole

ricordare167», in armonia, del resto, con lo spirito tradizionalistico e la

reverentia erga antiquitatem che permeano la cultura antica.

Nondimeno il ragionamento articolato non preclude la possibilità di dare

ragione altrimenti della decisione celsina, in considerazione, in particolare,

della specifica tipologia dell’atto costitutivo del vincolo obbligatorio in

rapporto a quello preso in esame nel Codex. La controversia ricordata nella

costituzione imperiale ha riguardo, infatti, ad un’obbligazione alternativa

nascente da stipulatio, laddove la sententia del giurista adrianeo pertiene

alla materia successoria, la quale riposa su logiche e principi di natura

giocoforza differente. Così, dinanzi ad una disposizione mortis causa a

titolo particolare non è inverosimile che Celso abbia tenuto conto, nella

specie, del principio della irripetibilità del legato per damnationem

165 Per la diversa opinione di Celso si veda anche D. 12, 6. 26, 13 (Ulp. ad ed.): … Et putat natam esse quinque condictionem, quamvis utroque simul soluto mihi retinendi quod vellem arbitrium daretur. In proposito cfr. G. PESCATORE, Die sogenannte alternative Obligation, cit., 168. 166 In questo senso v. A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 39. A nostro credere, viceversa, la citazione di giuristi più risalenti, di sapore vagamente tralatizio, appare conforme al noto tradizionalismo che informa la coscienza giuridica degli antichi. 167 Così G. B. IMPALLOMENI, Note sull’adempimento dell’obbligazione alternativa, cit., 276.

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erroneamente adempiuto168. Al riguarto taluno ha obiettato che il giurista

adrianeo avrebbe equiparato la disciplina del legato per vindicationem a

quella del legato per damnationem, assimilazione che «non avrebbe avuto

giustificazione se la irretrattabilità della scelta fosse derivata, nelle due

fattispecie, da principi assolutamente diversi…»169. Se tuttavia si ipotizza

che Celso stesse considerando un unico legato disposto cumulativamente

per damnationem e per vindicationem, si può plausibilmente ritenere che il

giurista – considerando la duplicità di effetti del legato e tenendo presente

non solo la regola della irripetibilità della solutio ex legato alternativo170,

168 In senso analogo si vedano B. WINDSCHEID, Pandette, trad. it., 3, 552 nt. 7; A. B. SCHWARZ, Die Grundlage der condictio im Klassischen römischen Recht, Münster-Köln, 1952, 27 nt. 26, e M. TALAMANCA, Obbligazioni, cit., 46 nt. 302 , che ha osservato «E’ discutibile se l’irrepetibilità nel caso del legato per damnationem alternativo, di cui in Cels. 18 dig., D. 31. 19, rispecchi la controversia fra i giuristi ricordata da Giustiniano, perché la decisione comunque si giustifica in base all’irripetibilità della solutio ex legato». Le due diverse opinioni di Giuliano e di Celso sarebbero espressione di due diverse regole, una per il legato e l’altra per la stipulatio, secondo, tra gli altri, BUONAMICI, Recitatio solemnis prima ad I. 32 § 3 D. de cond. ind. et 19 D. de leg. I in Archivio giuridico, 63 (n.s. 4), e Recitatio solemnis seconda ad l. 32§ 3 D. de cond. ind. et 19 D. de leg. I, in Archivio giuridico, 69 (n. s. 10), 496 ss., la cui opinione è seguita da F. VASSALLI, Nuove osservazioni sulle obbligazioni altrernative e generiche, cit., 487 ss. 169 G. B. IMPALLOMENI, Note sull’adempimento dell’obbligazione alternativa, cit., 274. 170 Contro l’applicazione di questa regola al legato per damnationem alternativo è stato notato (E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni. Parte generale, cit., 373, e G. B. IMPALLOMENI, Note sull’adempimento dell’obbligazione alternativa, cit., 274 nt. 20) che essa si applica solo a quello semplice, perché l’irripetibilità sembrerebbe collegata nelle fonti alla regola dell’aggravamento della condemnatio adversus infitiantem, che stando a Gai. 4, 9 (quae per damnationem certa relicta sunt) ricorre solo quando si ha un legato per damnationem certum relictum, mentre secondo Giustiniano certum constitutum. Inst. 3, 27, 7: Ex quibusdam tamen causis repeti non potest, quod per errorem non debitum solutum sit. Sic namque definiverunt veteres: ex quibus causis infitiando lis crescit, ex his causis non debitum solutum repeti non posse, veluti ex lege Aquilia, item ex legato, quod veteres quidem in his legatis locum habere voluerunt, quae certa costituta per damnationem cuicumque fuerant legata: nostra autem constitutio cum unum naturam omnibus legatis et fideicommissis indulsit, huiusmodi augmentum in omnibus legatis et fideicommissis extendi voluit: sed non omnibus legatariis praebuit, sed tantummodo in his legatis et fideicommissis, quae sacrosanctis ecclesiis ceterisque venerabilibus locis, quae religionis vel pietatis intuitu honorificantur, derelicta sunt, quae si indebita solvantur, non repetuntur. Ebbene, notava già Vassalli (Nuove osservazioni sulle obbligazioni alternative e generiche, cit., 488) che per stabilire se la regola «ex quibus causis infitiando lis crescit, ex his causis non debitum solutum repeti non posse» si applicasse soltanto ai legati alternativi bisogna stabilire se «legati alternativi, come quello che Celso considera

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(Stichum aut Pamphilum heres meus dare damnas esto) siano legati certa constituta» o certa relicta. Secondo l’Autore (op. cit., 489), in seguito all’esame dei testi nei quali, in considerazione dell’intentio dell’azione, si parla di stipulatio certa, bisogna concludere che la stipulatio alternativa è una «stipulatio certa» e lo stesso vale per i legati, dal momento che Teofilo (3, 27, 7) ritiene che «le espressioni certa relicta, certa constituta debbano intendersi al modo stesso proprio della dottrina della stipulazione». Sebbene la conclusione sia plausibile, altri ritengono che la questione potrebbe essere diversamente impostata e che in parte avesse ragione lo stesso Vassalli, quando in un suo scritto precedente (Delle obbligazioni di genere in diritto romano, cit., 209) notava «che il certe di Gaio, come il certa delle Istituzioni non hanno nulla che fare colla determinazione specifica dell’oggetto del legato: qui non si pensa punto al certum corpus della cosa legata, ma solo all’esistenza certa del legato: già lo dimostra abbastanza la locuzione certa constituta, più ancora il certe relictae gaiano (L’avverbio, che è nel manoscritto, male si corregge da Huschke e da Studemund colla lezione: “leg. nom. quae per damn. Certa relicta sunt”)». Secondo Agatina Stefania Scarcella (Studi, cit., 41) delle conferme si possono ricavare da un’attenta rilettura del citato passo delle Istituzioni di Giustiniano. L’imperatore, infatti, dopo aver richiamato la regola che quanto è stato erroneamente pagato a titolo di legato non dà luogo a condictio, chiarisce che i veteres la limitavano a quae certa constituta per damnationem cuicumque fuerant legata, espressione che, ad avviso dell’Autrice, stando al seguito del testo, va intesa nel senso «che si doveva trattare di legati, ad esempio, disposti a favore di persone incerte. Perciò l’imperatore, nell’intento di dettare una disposizione a favore della Chiesa, dopo aver esteso la regola ad ogni tipo di legati e fedecommessi, come era normale dopo l’avvenuta parificazione, aggiunge, a conferma della disposizione classica, che non si doveva trattare di legati o fedecommessi disposti a favore di qualsiasi legatario, cioè dovevano essere in tal senso certi, a meno che si trattasse di legati e fedecommessi a favore di Chiese e altri luoghi sacri o pii». Questa interpretazione peraltro sarebbe «in perfetta armonia con il testo di Celso che non prevede alcuna limitazione». Sulla politica religiosa di Giustiniano ed in particolare sull’atteggiamento di favore assunto dallo stesso nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche cfr., per tutti, H. GELZER, Das Verhaltnis von Staat und Kirche in Byzanz, in Historische Zeitschrift, 86, 1901, 195 ss.; P. BATIFFOL, Regime byzantin et papautè, in Bulletin de la Societée nationale des antiquaires de France, 1928, 133 ss.; B. BIONDI, Giustiniano primo. Principe e legislatore cattolico, Milano, 1936, 117 ss.; M. VOIGT, Staat und Kirche von Konstantin dem Grossen bis zum Ende der Parolinerzeit, Berlin, 1936 , 44 ss. e 57 ss. ; A.B. SCHWARTZ, Zur Kirchenpolitik Justinians, in Sitzungsberichte der Baverischen Akademie der Wissenschaften, Philosophisch – historische Abt., 2, 1940, 32 ss. (= Gesammelte Schriften, 4, Berlin, 1960, 276 ss.); A. MARONGIU, Concezione della sovranità e assolutismo di Giustiniano e di Federico II, in Atti del Convegno internazionale di studi federiciani, Palermo, 1952, 31 ss.; H. J. DIESNER, Kirche und Staat im spätromischen Reich, Berlin 1964; J. MEYENDORFF, Justinian, the Empire and the Church, in Dumbarton Oaks papers, 22 1968, 43 ss.; PETRITAKIS, Interventions dynamiques de l’empereur de Byzance dans les affaires ecclesiastique, in Bizantina, 3, 1971, 135 ss.; P. G. CARON, Corso di storia dei rapporti fra Stato e Chiesa. I: Chiesa e Stato dall’avvento del Cristianesimo agli inizi della monarchia assoluta, Milano, 1981, 11 ss. ; ID. Natura giuridica del sistema dei rapporti fra Stato e Chiesa nell’impero romano e nell’impero bizantino, in Studi Sanfilippo, 2, Milano, 1982, 61 ss.; P. SINISCALCO, Il cammino di Cristo nell’impero romano, rist. Bari, 1987, 281 ss.; HÄRTEL, Einige Betrachtungen zur Religionspolitik Kaiser Justinians I anhand ausgewahlter Beispiele aus dem « Codex Iustinianus» und den «Novellen» Iustinians, in Eos, 79, 1991, 245; M. CLAUSS, Die �������� von Kirche und Staat zur Zeit Justinians, in Klassisches Altertum. Spätantike und frühes Christentum. Festschrift Lippold, Würzburg, 1993, 379 ss.

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ma anche la circostanza che se il legatario avesse fatto valere il suo diritto,

esperendo la rei vindicatio per un oggetto, anche se per errore, non sarebbe

più potuto tornare indietro – senza estendere la disciplina del legato per

damnationem a quella del legato per vindicationem, abbia stabilito che,

qualunque fosse l’effetto del legato che si fosse fatto valere, la rei

vindicatio o l’adempimento si dovevano considerare definitivi.

Ragionando in questi termini è lecito concludere che Celso abbia fissato la

diversa regola dell’irripetibilità dell’adempimento per ogni legato

alternativo, contemporaneamente reale e obbligatorio, erroneamente

ritenuto semplice. Questa soluzione, che non poteva non essere accolta dai

compilatori, atteso che il legato giustinianeo, a prescindere dalla forma

adottata, poteva produrre effetti reali oltre che obbligatori, va raccordata

con il disposto di

CI. 4, 5, 7 : Impp. Diocletianus et Maximianus AA. et CC. Dionysiae :

Fideicommissum vel legatum indebitum per errorem facti solutum repeti

posse explorati iuris est. S. V id. Sept. AA. conss.

La costituzione subordina esplicitamente l’ammissibilità della ripetizione

dei legati o fedecommessi indebitamente adempiuti al caso in cui ciò sia

avvenuto per effetto di un error facti171, escludendo in tal guisa dal proprio

171 Secondo l’opinione tradizionale l’esperimento della condictio presupponeva il concorso dell’idebito e dell’errore già in epoca classica. Si veda, per tutti, A. B. SCHWARZ, Die Grundlage der condictio im Klassischen römischen Recht, cit., 7 ss. Per la stessa epoca escludono invece la necessità dell’errore, S. SOLAZZI, L’errore nella «condictio indebiti», in Atti Accademia Nap., 59, 1939, 291 ss., ora in Scritti di diritto romano, 4, Napoli, 1963, 99 ss.; ID., Ancora dell’errore nella «condictio indebiti», in SDHI, 9, 1943, 55 ss. ora in Scritti di diritto romano, cit., 4, 405 ss.; ID., Le «condictiones» e l’errore, in Atti Accademia Napoli, 62, 1949, 69 ss. (ora in Scritti di diritto romano, 5, Napoli, 1972, 1 ss., e C. SANFILIPPO, Condictio indebiti. I. Il fondamento dell’obbligazione da indebito, Milano, 1943. In argomento si veda anche A.

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ambito di operatività l’ipotesi prevista da Celso: chi stima semplice un

legato disposto alternativamente incorre, nell’ottica giustinianea, in un

error iuris e non può ripetere l’adempimento. Questa asserzione risulta del

resto comprovata dalla circostanza che proprio con riguardo all’error in

negotio la dottrina bizantina applica «il principio della irrilevanza, ai fini

dell’invalidità, dell’ignorantia iuris»172. Dal momento in cui «l’errore sulla

natura del contratto si configura come error iuris e quindi come tale si

presenta irrilevante» si determina l’ulteriore conseguenza «che l’error in

negotio è sempre irrilevante - non invalidante -, allorchè il contraente

ritenga che il negozio che sta per porre in essere abbia conseguenze diverse

da quelle proprie della sua ��� . Un problema siffatto per il diritto

classico non si poneva minimamente173».

Se si accoglie dunque l’idea che Celso abbia considerato un unico legato

alternativo disposto cumulativamente per damnationem e per

vindicationem, giacchè questa ipotesi, come si è tentato di dimostrare,

sembrerebbe in grado di far luce sulla portata del testo e sul suo rapporto

GUARINO, L’obbligazione da indebito (1945), in Pagine di diritto romano, 6, 1995, 244 ss. 172 Così U. ZILLETTI, La dottrina dell’errore nella storia del diritto romano, Milano, 1961, 439. Particolarmente esplicito in tal senso è il dettato di Stephanus, sc. ad D. 12. I. 18 (hb. 2. 614 = Schelt.B IV. 1541) (testo cit. p. 439 di Zilletti, op. cit.) Trad. Hb.: Interrogatio. Quomodo autem fieri potest, ut qui quasi commodatum accepit, bona fide eam consumserit? Natura enim commodati haec est, ut in accipientem dominium non transferat. Stephani. Finge, eum putasse, dominium nummorum ad se translatum esse, et bona fide consumsisse, cum audiisset, ea, quae pondere , numero, mensura consistunt, in genere, non in specie functionem recipere, et solvi. Neque obstet tibi, quod ei, qui ius ignorat, non ignoscitur. Neque enim ei ignoscitur, quin imo convenitur, nec casu fortuito liberatur, ut in commodato. Stefano inizia anzitutto col commentare la parte di D. 12, 1, 18 in cui è prospettata l’ipotesi di chi dà del denaro a mutuo mentre l’accipiente intende riceverlo in comodato. In tal caso non sorge nessuno dei due negozi, ma il dans avrebbe potuto ripetere i nummi consumpti. Ebbene l’accipiens nel ritenere che come comodatario gli sia stata trasferita la proprietà commette un error sulla natura del contratto e questo errore è considerato dal giurista un errore di diritto, «del tutto irrilevante, tanto che l’accipiente…» (U. ZILLETTI, op. cit., 440). 173 Così ancora U. ZILLETTI, op. cit., 441.

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con altri frammenti dei Digesta, si finisce giocoforza per reintegrare il

passo in parola nell’alveo delle obbligazioni alternative. In questa

prospettiva, dal testo potrebbe così trarsi conferma - sia pure

indirettamente - di quanto pare potersi desumere dal frammento di

Africano precedentemente esaminato, vale a dire la regola secondo cui, in

epoca classica, quando la fonte dell’obbligazione era costituita da un legato

alternativo disposto con duplice forma, la scelta, nel silenzio delle parti,

poteva spettare al legatario.

3. Esclusione di un cambiamento del regime della scelta in

epoca giustinianea

Sulla scorta dell’esegesi condotta sui frammenti generalmente riferiti dalla

dottrina al legato alternativo classico per vindicationem - al fine di

giustificare in essi l’attribuzione della scelta al legatario - si profila dunque

l’ipotesi che essi prendessero in considerazione legati disposti con duplice

forma, da cui sorgeva sempre un’obbligazione a carico dell’erede con

scelta spettante al legatario (creditore).

Di qui l’esclusione, con riguardo all’obbligazione alternativa nascente da

legato, di un mutamento, per l’età giustinianea, del regime della scelta174,

per lo più viceversa prospettato175 per effetto del riconoscimento di

un’unica figura di legato in cui l’electio sarebbe potuta spettare al

legatario. L’abolizione della distinzione tra le varie forme di legato, in

epoca bizantina, avrebbe spezzato - si argomenta generalmente -

174 Cfr. quanto già detto supra. 175 In questo senso v. C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 50 ss.

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l’unitarietà della disciplina classica del ius eligendi, dando luogo ad una

dicotomia tra la regolamentazione degli atti inter vivos e quella degli atti

mortis causa.

Alla luce di quanto affiora dall’indagine condotta, la suddetta evoluzione,

in sè incontrovertibile, dovrebbe invece essere retrodatata: già in epoca

classica, infatti, nei casi in cui il legato alternativo era stato disposto con

duplice forma il diritto di elezione poteva spettare al creditore.

Anche anteriormente all’età giustinianea, dunque, il regolamento della

scelta probabilmente non era uniforme in ogni caso di obbligazione

alternativa.

Se infatti per le obbligazioni alternative nascenti da atto inter vivos tanto il

diritto classico quanto quello giustinianeo statuivano che, nel silenzio delle

parti, la scelta doveva ritenersi accordata al debitore, in materia di legati,

invece, per quanto si è detto, verosimilmente fin dall’età imperiale si

ammetteva che, pur in assenza di qualsivoglia previsione al riguardo,

l’electio potesse spettare anche al legatario. Ciò accadeva, in epoca

classica, allorquando dal legato discendevano effetti ad un tempo reali e

obbligatori, in virtù del cumulo tra la forma per vindicationem e quella per

damnationem; in epoca giustinianea, a prescindere dalla forma prescelta,

ormai irrilevante, ogniqualvolta l’oggetto lo consentiva. La scelta spettava,

viceversa, al debitore, in età classica, quando il legato era stato disposto

esclusivamente per damnationem176; in epoca giustinianea – in cui la forma

adottata, come più volte ricordato, non aveva più alcun rilievo – quando,

176 Si vedano in tal senso D. 30, 47, 3 (Ulp. 22 ad Sab.; 30, 109, 1 (Afric. 6 quaest.); 31,15 (Cel. 6 dig.); 32, 21, 2 (Paul. 4 sent.), e, per quanto riguarda il legato alternativo generico, anche D. 30, 71 pr. (Ulp. 51 ad ed.).; D. 33, 6, 4 ( Paul. 4 ad Sab.). Si tratta di testi che sono stati generalmente riferiti al legato per damnationem e in cui la scelta risulta esplicitamente lasciata all’erede. Cfr., per tutti, G. SCIASCIA, Sulla irretrattabilità della scelta, cit., 258 s., e G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 168 s. e 190 s.

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per l’alienità dell’oggetto lasciato o poiché si trattava di un legato di fare, il

legato era «incapace di proprietà»177.

Lo svolgimento storico del regime della scelta testè affacciato, e in

particolare la possibilità che, nelle obbligazioni alternative nascenti da

legato disposto con duplice forma, la titolarità del ius eligendi fosse

riconosciuta anche in capo al legatario, ancorché in difetto di un esplicito

conferimento, sembrano avvalorati dalla circostanza che i testi classici in

cui la scelta è espressamente deferita al creditore mediante un’apposita

clausola riguardano le obbligazioni alternative da atto inter vivos178 ovvero

quelle da legato con efficacia esclusivamente obbligatoria179. In questi casi,

infatti, spettando la scelta normalmente al debitore, non poteva non essere

richiesta un’espressa dichiarazione onde derogare al regime ordinario180.

177 Così C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 52. Nel legato alternativo giustinianeo infatti «la scelta spetta al legatario (creditore) tutte le volte che per la natura degli oggetti egli può a sua volta agire ex obligatione (azione personale) e in base al suo diritto di proprietà (azione reale)». 178 Cfr. D. 18, 1, 25 pr. (Ulp. 34 ad Sab.) ; 18, 1, 34, 6 (Paul. 33 ad ed.); 23, 3, 10, 6 (Ulp. 34 ad Sab.); 23, 3, 46, 1 (Iul. 16 dig.); 45, 1, 112 pr. (Pomp. 15 ad Quintum Mucium): v. supra, cap. 1, § 2. 179 Si vedano D. 30, 84, 11 (Iul. 33 dig.): Si Titio Stichus aut Pamphilus, utrum eorum malet, legatus est, deinde Pamphilum testator Titio donavit, Stichus in obligatione remanet; D. 34, 2, 38, 1 (Scaev. 3 resp.): Semproniae Piae hoc amplius coopertoria Taviana et tunicas tres cum palliolis quae elegerit dari volo; la questione esposta da Cic. in De inv. 2, 40, 116: Ex ambiguo…nascitur controversia, cum, quid senserit scriptor, obscurum est, quod scriptum deuas pluresve res significat, ad hunc modum: Pater familias, cum filium heredem faceret, vasorum argenteorum pondo centum uxori suae sic legavit: ‘Heres meus uxori meae vasorum argantorum pondo centum, quae volet (scil. uxor), dato’. Post mortem iius vasa magnifica et preziose caelata petit a filio mater. Ille se, quae ipse vellet, debere dicit... e il consiglio dallo stesso dato all’uxor, per dimostrare che le era stata attribuita la scelta dei vasa che le erano stati legati, di argomentare che non avrebbe avuto senso un’esplicita attribuzione all’erede della scelta che egli avrebbe dovuto avere anche in assenza dell’esplicito conferimento (De inv. 2, 41, 120): Permultum autem proficiet illud demonstrare, quemadmodum scripssisset, si id quod adversarius accipiat, fieri aut intelligi voluisset: ut in hac causa, in qua de vasis argenteis quaeritur, possit mulier dicere nihil attinuisse ascribi ‘quae volet’, si heredis volutati permitteret. Eo enim non ascripto nihil inesse dubitationis, quin heres, quae ipse vellet, daret. Amentiam igitur fuisse, cum heredi vellet cavere, id ascribere, quo non ascripto nihilominus heredi caveretur; Tit. Ulp. 24. 14. Cfr. anche D. 36, 2, 14 pr. e § 1 (Ulp. 24 ad Sab.) e, con riguardo al fedecommesso e dunque alla scelta lasciata al fedecommissario, D. 33, 5, 22 (Scaev. 17 dig.). 180 E riconoscere la scelta al creditore.

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D’altro lato, peraltro, alla stregua del ragionamento sin qui articolato

appare singolare la presenza nei Digesta di testi relativi al legato

alternativo per damnationem in cui la scelta è accordata espressamente

all’erede181. Tuttavia un’attenta lettura dei frammenti in parola, che hanno

sollecitato in dottrina molteplici riflessioni in ordine al principio

dell’efficacia contentrativa della dichiarazione di scelta che si ritiene ivi

enunciato - e di cui si tratterà ex professo più oltre -, evidenzia, come è

stato notato da Ferrini182, una sorta di simmetria, a livello sistematico, tra

la figura giuridica considerata e l’istituto del legatum optionis183. «Come

nel legatum optionis il testatore attribuisce al legatario una facoltà che già

gli competerebbe e si ricava da tale esplicita attribuzione una peculiare

estensione e intensità del suo diritto; così noi troviamo che in questo caso il

testatore attribuisce all’erede una facoltà ch’egli già avrebbe ed è giusto

ricavare da tale fatto analoga conseguenza. Per cui la scelta non è in questo

caso un atto implicito nella consegna e senza individuale importanza; ma è

un atto importante, che fissa irrevocabilmente l’ambito del diritto del

legatario e risponde al particolare invito del testatore». Ferrini ritiene

inoltre che la dictio dell’erede, per la sua importanza, si dovesse compiere

in modo solenne, davanti a testimoni. Siamo comunque di fronte ad un

caso particolare che non smentisce le regole generali.

4. La rilevanza della scelta: nell’ipotesi di scelta

espressamente deferita

181 Si tratta di D. 31, 11, 1 (Pomp. 7 ad Plaut.), e 30, 84, 9 (Iul. 33 dig.). Per i testi cfr. infra. 182 Teoria generale dei legati e dei fedecommessi, cit., 276 ss. 183 Sul legatum optionis è interessante consultare soprattutto C. FERRINI, Studi sul ‘legatum optionis’, in Memoriae del R. Istituto Lombardo, 17, 1885, 179 ss., ora in Opere, 4, Milano, 1930, 269 ss.

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Se il paradigma dell’obbligazione alternativa romana è rappresentato da

una stipulatio in cui la prestazione risulta alternativamente determinata

senza che circa la scelta sia detto alcunché, e in queste circostanze la

titolarità del diritto ad essa correlato, fintantoché l’electio risulti possibile,

è posta in capo al debitore, lo schema originario è stato poi modulato e

opportunamente adattato in relazione alle caratteristiche delle differenti

fattispecie cui la fenomenologia dell’istituto ha dato luogo nella pratica.

Invero, alla stregua dell’ipotesi ricostruttiva classica184, all’autonomia

privata non sarebbero stati lasciati ampi margini di esplicazione: le parti

avrebbero potuto soltanto introdurre una deroga al modello ordinario

conferendo la scelta al creditore. L’efficacia di detto deferimento sarebbe

stata peraltro subordinata a rigorose formalità, dovendo l’intendimento dei

contraenti manifestarsi in modo espresso e inequivoco attraverso una

clausola all’uopo inserita nell’atto costitutivo del rapporto.

Da ciò sarebbe derivata una sostanziale rigidità di regolamentazione, che

ha inevitabilmente alimentato la convinzione dell’eccezionalità del

conferimento del ius eligendi al soggetto attivo del rapporto.

Che l’ipotesi non avesse una rilevanza pratica apprezzabile è quanto si

evince del resto anche dall’esame di quei frammenti185 che, in materia di

successione testamentaria, nel silenzio delle parti, riservano la scelta al

legatario, e che pertanto la communis opinio ha ritenuto di poter

pretermettere nello studio dell’istituto, riferendoli al legato per

vindicationem, di per sé inidoneo a generare obbligazioni. L’esiguità delle

fonti in argomento nonchè il limitato ambito di operatività delle soluzioni

ivi profilate - circoscritto alle disposizioni mortis causa - lasciano supporre 184 Secondo una linea interpretativa largamente condivisa dalla manualistica e dalla letteratura che più specificamente si è occupata del tema, su cui v. infra e, più ampiamente, cap. 1 § 2. 185 Per i testi e l’esegesi v. supra nt. 118 e § 3.

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che la fattispecie - esattamente simmetrica rispetto al modulo normale e

originario - esercitasse nella prassi un ruolo piuttosto marginale.

Benché riferita ad un’ipotesi eccezionale e probabilmente di scarsa

applicazione, la disciplina all’uopo elaborata dalla giurisprudenza romana,

lungi dal rimanere ad uno stadio embrionale, presenta una sufficiente

articolazione, incardinata com’è sulla contrapposizione tra le formule

volam e voluero, con cui la scelta viene formalmente riservata al creditore.

L’interpretazione della clausola attributiva della scelta, lungi dall’esaurirsi

in uno sterile esercizio teorico, risulta foriera di rilevanti conseguenze

pratiche: soltanto laddove fosse stata conferita nella forma quod volam o

quod velim, l’electio sarebbe infatti risultata inerente alla qualità di

creditore, con conseguente ammissibilità dell’esercizio dello ius variandi

nonché della trasmissione del diritto ad essa correlato186. L’impiego della

formula quod voluero avrebbe viceversa incorporato «una volontà intesa

come anteriore, e tale da esaurirsi in un atto di scelta irretrattabile»187,

personale188 e dunque intrasmissibile». Giova richiamare il testo di

Pomponio, escerpito dai commentari ad Quintum Mucium, in cui si

affaccia detta contrapposizione tra le formule volam e voluero in ordine

alla facoltà di mutare la scelta:

D. 45, 1, 112 pr. (Pomp. 15 ad Quintum Mucium): Si quis stipulatus sit

Stichum aut Pamphilum, utrum ipse vellet: quem elegerit, petet et is erit

solus in obligatione. An autem mutare voluntatem possit et ad alterius

petitionem transire, quaerentibus respiciendus erit sermo stipulationis,

186 Su cui v. oltre. 187 Così G. GROSSO, Note esegetiche in tema di obbligazioni alternative, cit., 168. 188 Il rapporto che così si sarebbe venuto a configurare sarebbe stato, sempre a giudizio della stessa dottrina, analogo al caso di scelta affidata ad un terzo: v. supra, cap.1 §2.

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utrumne talis sit, ‘quem voluero’ an ‘quem volam’ : nam si talis fuerit

‘quem voluero’, cum semel elegerit, mutare voluntatem non poterit : si

vero tractum habeat sermo illius et si talis ‘quem volam’, donec iudicium

dictet, mutandi potestatem habebit.

Il giurista, dopo aver previsto il caso del creditore che si è riservato la

facultas eligendi e una volta chiarito che con la domanda giudiziale si

esercita l’elezione e la cosa scelta deve essere data, riferisce di una disputa

in ordine alla possibilità per il creditore, dopo aver richiesto giudizialmente

una cosa, di volgersi a domandarne un’altra. Al riguardo lo stesso

Pomponio - verosimilmente avendo presente l’impostazione del

contemporaneo Gaio, il quale proprio a proposito delle obbligazioni

alternative (Gai 4, 53d) insegna che itaque sicut ipsa stipulatio concepta

est, ita et intentio formulae concipi debet189 -, asserisce che la possibilità di

mutare volontà e dunque petitio190 dipende dal tenore della stipulazione cui

è collegata l’intentio dell’azione191. Infatti se nella stipulatio compare la

dizione «quello che avrò voluto» - cioè è adoperata un’espressione che

potrebbe fare pensare ad una richiesta stragiudiziale, ancorché il sintagma

an…ad alterius petitionem transire192 sembri sottolineare che si stava

affrontando il problema di un’eventuale variazione della volontà del

189 Cioè la pretesa della formula deve essere espressa così come lo fu la stessa stipulatio. Sulla necessità prospettata dai Romani di una corrispondenza tra intentio e stipulatio cfr., per tutti, G. PROVERA, Corrispondenze tra stipulatio ed intentio (Riflessioni su Gaio, 4 , 53 d), in Annali della facoltà giuridica di Camerino, 21, 2, 1995, 197 ss. 190 Come è già stato osservato (G. GROSSO, Problemi costruttivi e sistematici dell’obbligazione alternativa, cit., 226) a proposito del frammento in esame «la scelta del creditore qui si esplica direttamente nel volere e nel chiedere uno degli oggetti». 191 E’ interessante ricordare a proposito delle fonti in cui si affrontano questioni relative ai casi di scelta riservata al creditore che, come già osservava Giuseppe Grosso (Note esegetiche in tema di obbligazioni alternative, cit., 171), queste fonti usano un linguaggio che evidenzia come esse mirassero alla valutazione del regime pratico di questi rapporti. 192 Questa espressione ricorre solo nel testo in esame, ma il riferimento in essa alla petitio del creditore non lascia dubbi sulla sua valenza processuale.

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creditore nell’ambito processuale – al creditore, che abbia richiesto

giudizialmente una cosa, non è consentito passare alla domanda dell’altra;

diversamente, quando la stipulatio contiene la locuzione quod volam,

quest’ultimo potrà mutare volontà fino al momento della litis

contestatio193.

Nell’interpretazione corrente194 la decisione del giurista dell’età degli

Antonini rappresenta l’autentica chiave di volta della teorica

dell’obbligazione alternativa romana, scolpendo una fondamentale

opposizione tra la costruzione propria dell’istituto, che poi risulta articolato

in ipotesi diverse, e quella dell’obbligazione condizionale, che si configura

ogniqualvolta l’obbligazione si intende subordinata ad un atto di scelta

personale, sia esso del creditore – in virtù della riserva operata tramite la

clausola quod voluero – ovvero di un terzo195.

La solidità di tale impostazione potrebbe peraltro essere scalfita da taluni

rilievi di recente avanzati in dottrina196, diretti a dimostrare l’inconsistenza

della netta dicotomia comunemente desunta dal frammento di Pomponio.

A deporre in questo senso sarebbe in particolare la scansione del processo

formulare, in cui la possibilità di mutare volontà, ove ciò fosse stato

193 Sulla portata dell’espressione donec iudicium dictet e sul suo riferimento nel testo in esame alla litis contestatio cfr., per tutti, G. PUGLIESE, La «litis contestatio» nel processo formulare, in Scritti in onore di V. Scialoja, 4, Bologna, 1953, 384 s., ora in Scritti Pugliese, 1. Diritto romano, Napoli, 1985, 384 s.; ID., s. v. Iudicium, in NNDI, 9, Torino, 1963, 355 s. Pugliese, nel primo degli scritti citati (384 nt.48), dopo aver osservato che in D. 45. 1. 112 pr. «il creditore poteva mutare la scelta fino a che non avesse conclusa la l. c. relativamente a uno degli oggetti stipulati», soggiunge: «la conclusione della l. c. viene indicata con le parole ‘iudicium dictare’». In senso analogo si veda anche G. SACCONI, Studi sulla litis contestatio nel processo formulare, Napoli, 1982, 94 s. e ntt. 189 e 190. 194 Cfr., per tutti, G. CARNAZZA, Le obbligazioni alternative, cit., 120ss.; G. GROSSO, Note esegetiche in tema di obbligazioni alternative, cit., 164ss.; ID., Obbligazioni, cit., 166 s. e, tra i più recenti manuali, M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, cit., 576 nt. 47. 195 Su cui v. infra § 5. 196 V. A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 50 ss.

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ammesso in forza della formula quem volam, avrebbe incontrato forti

limitazioni dal punto di vista cronologico.

Pacifico che in nessun caso si sarebbe potuto parlare di scelta prima di aver

provveduto, in iure, alla fissazione della formula, nella cui intentio era

indicata la pretesa dell’attore, la differenza tra le due forme di

conferimento del ius eligendi si sarebbe potuta cogliere soltanto nel

modesto arco voltaico corrente tra la redazione della formula e la litis

contestatio. Nell’ipotesi di deferimento operato adottando la forma quem

voluero, infatti, il tenore dell’intentio conduceva alla contestazione ed

estinzione della lite sulla prestazione dedotta, cioè a dire quella voluta,

laddove la dizione quod volam faceva sì che il tenore dell’intentio

consentisse ancora un mutamento della scelta, conservando l’alternatività

dell’obbligazione fino al momento della litis contestatio197. Tale momento

era tuttavia, in verità, immediatamente contiguo alla redazione della

formula, la quale, una volta accordata dal magistrato all’attore che ne

aveva chiesto il rilascio (datio iudicii), veniva letta al convenuto, il quale vi

aderiva dichiarando di accipere iudicium 198.

Riguardata attraverso il prisma del processo, la distinzione tra le due

clausole attributive della scelta sarebbe dunque risultata piuttosto

evanescente, sì che la diversa configurazione, sotto il profilo strutturale,

delle fattispecie cui esse davano luogo, costituirebbe una forzatura, sul

piano della teoresi, sfornita di un adeguato sostrato ontologico.

197 Sul riferimento dell’espressione iudicium dictet alla litis contestatio cfr. quanto già detto supra, nt.190. 198 Come noto, sul fondamento dell’autorizzazione magistratuale racchiusa nel iudicium dare, gli atti rispettivamente consistenti nel iudicium dictare da parte dell’attore e nel iudicium accipere da parte del convenuto si compendiano nella litis contestatio, l’atto bilaterale con cui le parti litiganti, al termine del procedimento in iure, esprimono davanti a testimoni il loro accordo sul contesto della formula autorizzata dal magistrato, nella quale sono fissati i termini della controversia e i poteri del giudice designato. Cfr., per tutti, A. BURDESE, Manuale di diritto privato romano, Torino, 1993, 112 s.

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Una dichiarazione di scelta, infatti, in tanto «avrebbe potuto dare vita a

quel fenomeno giuridico oggi chiamato concentrazione199 in quanto la

durata della sua efficacia le avesse consentito di operare come momento

distinto nella vita dell’obbligazione alternativa», e «certo questo non

sarebbe stato possibile quando alla scelta compiuta deducendo in giudizio

l’obbligazione fosse seguita la litis contestatio200».

Con ciò sembra peraltro trarsi una conclusione che travalica i limiti

dell’argomentazione effettivamente svolta. Onde sgombrare il campo da

possibili equivoci, conviene innanzitutto rimarcare che il

ridimensionamento sotto il profilo cronologico dell’operatività pratica

della distinzione tra la formulazione delle clausole quod volam e quod

voluero opera su un piano diverso da quello della ricostruzione della

struttura delle fattispecie cui le stesse danno luogo.

In altri termini, svilendo, sul piano degli effetti, in rapporto ai tempi della

sequenza processuale, la rilevanza della dicotomia istituita dalle fonti, non

se ne elide l’esistenza, né, conseguentemente, si inficia la difformità

ricostruttiva che comunemente se ne fa discendere.

Si potrebbe poi soggiungere, incidentalmente, che siffatta congettura lascia

impregiudicata la questione, astrattamente prospettabile, della

configurabilità di un’autonomia dell’atto di scelta esercitato dal creditore e

di una sua efficacia al di fuori della dinamica processuale, come

antecedente dell’adempimento. La questione, in questa sede, può tuttavia

199 La non essenzialità della concentrazione per la configurazione dell’obbligazione alternativa è stata dimostrata da D’Ors Perez-Peix, En torno a la llamada obligaciòn alternativa, cit., 17 s. L’Autore nota che «tanto en el caso de pago como en el caso de litis contestatio, la doctrina moderna habla de ‘concentración’ de la obligación alternativa. En realidad no hay tal ‘concentración’; lo que hay es ‘extinción’ de la obligación. La obligación no se ‘concentra’ cuando el deudor paga o el acreedor reclama procesalmente, sino que se ‘extingue’. Y realmente, una vez extinguida, el sáber si se encontró o no se encontró ya no tiene interés, es una specie de autopsia sin finalidad practica y che confunde más que aclara en el terreno de la teoria». 200 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 55.

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essere soltanto impostata, rinunciando a venire ulteriormente approfondita,

giacchè rischierebbe di risultare oziosa, atteso che, attenendo alla fisiologia

del rapporto, non risulta essere stata oggetto di disamina da parte dei

giuristi romani. La terminologia adoperata dalle fonti romane evidenzia

infatti, coerentemente, la natura processuale del modo in cui la scelta

veniva operata201: né avrebbe potuto essere diversamente, attesa la genesi

delle soluzioni dei prudentes, le quali, lungi dal costituire il portato di una

mera attività di speculazione teorica, scaturivano dalla necessità concreta

di enucleare le regole operazionali in grado di guidare il giudice nella

definzione di singole vertenze.

Le riserve formulate nei confronti dell’ipotesi ricostruttiva classica

rimangono ad ogni modo ad uno stadio larvale, in attesa che

l’approfondimento degli studi ne solleciti nuovi ed ulteriori sviluppi.

5. Segue: nell’ipotesi di scelta rimessa ad un terzo

201 In tal senso depone sicuramente il dettato del summenzionato frammento di Pomponio, con riguardo al quale è stato notato da Impallomeni (Sull’obbligo del debitore, cit., 73 nt. 35) che «l’uso del verbo petere fa supporre che la dichiarazione di scelta, se attribuita al creditore, avvenisse durante il processo e non prima». Sempre a proposito del verbo petere, osserva, più in generale, Brutti (La problematica del dolo processuale nell’esperienza romana, 1, Milano, 1973, 6): «questo verbo indica - con una notevole precisione tecnica - l’esercizio dell’azione». Ulteriori argomenti a conforto dell’assunto che qui si sostiene si ritraggono altresì da D. 16, 2, 22 (Scaev. 2 quaest.): Si debeas decem aut hominem, utrum adversarius volet, ita compensatio huius debiti admittitur, si adversarius palam dixisset, utrum evoluisse; D. 3, 3, 66 (Pap. 9 quaest.): Si is qui Stichum vel Damam, utrum eorum ipse vellet, stipulatus est et ratum habeat, quod alterum procuratorio nomine Tituis petit: facit, ut res in iudicium deducta videtur, et stipulationem consumit; nonché D. 46, 3, 95 pr. (Pap. 28 quaest): ‘Stichum aut Pamphilum, utrum ego velim, dare spondes?’ Altero mortuo qui vivit solus petetur, nisi si mora facta sit in eo mortuo, quem petitor elegit: tunc enim perinde solus ille qui decessit praebetur, ac si solus in obligationem deductus fuisset. Su questi testi, nell’ottica che qui interessa, cfr. le osservazioni di G. B. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 84 e 93 nt. 89.

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Del pari poco frequente202, se non ancor più rara rispetto all’ipotesi di

conferimento del ius eligendi al creditore, doveva essere la prassi di

deferire la scelta ad un terzo.

Anche in questo caso il nodo principale attiene alla ricostruzione della

struttura della fattispecie, largamente controversa anche in ragione

dell’esiguità delle fonti in argomento. Al riguardo si tende per lo più ad

escludere tout court la configurabilità dell’obbligazione alternativa

tipica203; non manca peraltro qualche autorevole opinione dissonante204.

L’unico passo in materia è rappresentato da Gai. 2 verb. obl., D. 45, 1, 141:

Si servus aut filius familias ita stipulatus sit: ‘illam rem aut illam, utram

ego velim ?’, non pater dominusve, sed filius servusve destinare de

alterutra debet. 1. Extranei quoque persona si comprehensa fuerit, veluti

hoc modo. ‘utram earum Titius elegerit’, non aliter stipulator alterutrius

petendae facultatem habet, quam si Titius elegerit.

Nel principium, prendendo in considerazione l’ipotesi in cui il filius

familias o il servo abbiano concluso una stipulatio con prestazione

alternativamente determinata, al giurista preme soprattutto sottolineare che

la facoltà di scelta non spetta, rispettivamente, al pater familias o al

dominus, cioè a colui che acquista il credito, bensì allo stesso filius familias

o schiavo, i quali, ancorché abbiano perfezionato il negozio, risultano terzi

rispetto alle parti del rapporto obbligatorio.

202 V. G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 164. Il dato della modesta applicazione concreta è comunemente desunto dalla scarsa considerazione da parte delle fonti per l’ipotesi di scelta rimessa al terzo. 203 G. PESCATORE, Die sogennante, cit., 74 s.; G. GROSSO, Problemi, cit., 231; ID., Obbligazioni, cit. 167; P. ZILIOTTO, Studi, cit., 3 nt. 3. 204 V. M. TALAMANCA, Obbligazione, cit., 45 nt. 293.

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In virtù del comune denominatore del deferimento della scelta ad un terzo,

il § 1 accosta al caso testè esaminato quello in cui l’electio è rimessa ad un

estraneo. Gaio chiarisce che, in queste circostanze, il creditore può

domandare in sede giudiziale una delle due prestazioni, ovverosia quella

prescelta, solo una volta che il terzo abbia operato l’elezione.

Sulla scorta del pensiero del giurista classico la dottrina romanistica205

inclina generalmente ad escludere che la fattispecie in cui la scelta tra più

prestazioni sia affidata ad un terzo possa essere inquadrata, sotto il profilo

ricostruttivo, nella fenomenologia dell’obbligazione alternativa, ravvisando

in tale ipotesi una struttura «nettamente diversa da quella del tipo che si

configura in rapporto alla scelta spettante al debitore o al creditore206». La

scelta del terzo, infatti, «opera da condizione207», secondo l’insegnamento

che si ritiene di poter ritrarre da D. 45, 1, 141, 1. L’affidamento della scelta

ad un terzo, infatti, «non è un mezzo di sicuro esito», si argomenta, giacchè

questi potrebbe decedere anzitempo, prima di averla esercitata, ovvero

potrebbe non poterla o non volerla effettuare. Di qui l’eventualità che la

prestazione non possa determinarsi, mettendo «in forse la sussistenza

stessa dell’obbligazione208», che, proprio in quanto condizionata a che il

terzo operi la scelta, assumerebbe giocoforza carattere condizionale.

Ad avviso di taluni a detta configurazione potrebbero senz’altro essere

riportate le obbligazioni alternative da atto inter vivos209, mentre per quelle

205 In tal senso, si vedano, per tutti, G. PESCATORE, Die sogennante alternative Obligation, cit., 74 s.; S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, 2, Milano, 1928, 123 nt. 3; E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni. Parte generale, cit., 352 s.; C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 45; G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 164 s. 206 G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 164. 207 G. GROSSO, op. e loc. ult. cit. 208 C. LONGO, Corso di dirito romano, cit., 45; E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni, cit., 215. 209 Che nelle obbligazioni alternative da atto inter vivos la scelta del terzo sia condizionale tanto per i classici quanto per Giustiniano si desume dal disposto di D. 45, 1, 141, che in epoca giustinianea avrebbe avuto ancora valore positivo.

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da legato la scelta del terzo, condizionale in epoca classica, avrebbe potuto

essere sostituita dalla scelta del legatario nel diritto giustinianeo210. Altri,

invece, circoscrivono al diritto classico la strutturazione condizionale delle

obbligazioni alternative, ritenendo che il testo gaiano, confluito in D. 45, 1,

141, 1, nel diritto giustinianeo abbia ormai solo valore storico, «e che

norma regolatrice di qualunque obbligazione alternativa, anche derivante

da atto inter vivos, sia quella contenuta nella costituzione riformatrice di

Giustiniano in materia di obbligazione alternativa derivante da legati211»,

alla cui stregua, in difetto di scelta da parte del terzo, il ius eligendi è

esercitato dal legatario solo nell’ambito della materia successoria,

spettando in ogni altro caso al debitore. In tal guisa il legato alternativo

giustinianeo, con scelta rimessa ad un terzo non sarebbe mai stata

condizionale, essendosi provveduto ex lege a far sì che sia «in ogni caso

possibile determinare la prestazione, sopprimendo la possibilità della

pendenza212».

Vero è peraltro che in D. 45, 1,141, 1, Gaio si limita ad affermare il

carattere essenziale della scelta del terzo e non attesta in alcun modo che

210 Argomentando ex CI. 6. 43. 3. 1b. Imp. Iustinianus A. Demostheni pp.: Censemus itaque, si intra annale tempus ille qui eligere iussus est hoc facere supersederit vel minime potuerit vel quandocumque decesserit, ipsi legatario videri esse datam electionem, ita tamen, ut non optimum ex servis vel aliis rebus quicquam eligat, sed mediae aestimationis ne, dum legatarium satis esse fovendum extimamus, heredis commoda defraudentur. Per mezzo di questa costituzione Giustiniano dispone che, se il terzo non vuole o non può fare la scelta, o la potrae entro l’anno, essa passa al legatario. Per l’epoca anteriore, C. 6,43,3,1a (Imp. Iustinianus A. Demotheni pp.: Sed et si quis optionem servi vel alterius reireliquerit non ipsi legatario, sed quem Titius forte elegerit, Titius autem vel noluerit eligere vel morte fuerit praeventus, et in hac specie dubitabatur apud veteres, quid statuendum sit, utrumne legatum espira, an aliquid inducitur ei adiutorium, ut viri boni arbitratu procedat electio) attesta che soltanto con riferimento ad un’ipotesi particolare di legato di proprietà e solo da una parte della giurisprudenza si tentò di salvare il legato in caso di mancata scelta del terzo proponendo di considerare quest’ultima sostituibile con l’electio operata arbitrio boni viri. Così, per tutti, C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 45 ss. Segue la stessa impostazione anche G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 165. 211 Così E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni Parte generale, cit., 354. 212 E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni, cit., 216.

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l’obbligazione dovesse considerarsi condizionale213, come viceversa

voleva già Pescatore214. Nell’impostazione gaiana l’essenzialità della scelta

del terzo si proietta direttamente sul piano processuale: l’esercizio

dell’electio è funzionale alla domanda, in sede giudiziale, di una tra le due

prestazioni, e precisamente di quella prescelta dal terzo. Lo stipulante,

infatti – vi si legge - alterius petendae facultatem habet se ed in quanto

Tizio abbia effettuato la scelta, diversamente tale possibilità deve ritenersi

preclusa.

Quid iuris, dunque, nell’ipotesi in cui il terzo non effettui l’elezione? Delle

due l’una: o l’obbligazione è destinata a cadere, a cagione del mancato

avveramento della condizione, o, escludendo l’operatività della scelta del

terzo quale condicio iuris inerente alla determinazione dell’oggetto,

«l’obbligazione non cessa di esistere, ma il creditore potrà solo agire per

l’una o per l’altra prestazione che verrà scelta dal debitore215»216.

A conforto di un simile esito si adduce il dettato di D. 45, 1, 76 pr. (Paul.

18 ad ed.):

Si stipulatus fuerim ‘illud aut illud, quod ego voluero’, haec electio

personalis est, et ideo servo vel filio talis electio cohaeret: in heredem

tamen transit obligatio et ante electionem mortuo stipulatore.

L’ipotesi presa in esame nel frammento del diciottesimo libro del

commentario all’editto di Paolo è quella di una stipulatio con prestazione

213 M. TALAMANCA, Obbligazioni, cit., 45 nt. 293. 214 G. PESCATORE, Die sogennante, cit., 74 s. 215 Lo stesso Gaio sottolinea altrove (Gai IV. 53) che il creditore di un’obbligazione alternativa con scelta spettante al debitore non può chiedere una delle prestazioni, salvo incorrere in pluris petitio. Cfr., per tutti, A. BURDESE, Manuale, cit., 566. 216 Così A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 59.

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alternativamente determinata in cui lo stipulante si sia espressamente

riservato la facoltà di elezione. Il giurista severiano chiarisce che in questo

caso la scelta spetta personalmente allo stipulante, chiunque egli sia, e

pertanto anche qualora si tratti di un servo o di un figlio; tuttavia l’electio

non condiziona l’esistenza dell’obbligazione e se il creditore muore prima

di aver esercitato la scelta l’obbligazione si trasmette agli eredi.

La critica ha rilevato nel testo forti sconnessioni e ha tentato di liberarsene

in modo radicale217 o di eliminarne una parte218. Grosso219, invece, ha

ipotizzato un accorciamento del testo originario: Paolo avrebbe riferito la

personalità della scelta al creditore, subordinandovi l’esistenza

dell’obbligazione e ricollegandovi l’intrasmissibilità, quando la scelta fosse

stata deferita con la locuzione quod ego voluero; avrebbe poi richiamato, in

un discorso più ampio, l’ipotesi di stipulatio del servo o del figlio, che

potrebbe però anche essere stata frutto di un’interpolazione o di un

glossema, e infine alla prima ipotesi avrebbe contrapposto il caso in cui la

scelta fosse stata deferita al creditore con la locuzione quod volam, che

condurrebbe ad ammettere - nell’impostazione adottata dall’Autore -

l’inerenza della scelta alla qualità di creditore e quindi la trasmissibilità.

Diversamente opinando, Agatina Stefania Scarcella ha invece difeso la

coerenza del testo nella lezione pervenutaci, senza necessità di supporre

che esso abbia sopportatomanipolazioni: per affermare, infatti, come vuole

Grosso, che Paolo riferiva la personalità della scelta al creditore, non

sarebbe necessario, secondo l’Autrice, immaginare che il testo originario

217 Cfr., per tutti, G. BESELER, Miszellen, in ZSS, 45, 1925, 484, richiamato in G. GROSSO, Note esegetiche in tema di obbligazioni alternative, cit., 166. 218 Si vedano, tra gli altri, F. VASSALLI, Dies vel condicio, in BIDR, 27, 1915, 210 nt. 2; G. SCHERILLO, La trasmissibilità della stipulatio in faciendo, in BIDR, 1928, 82 s. 219 Note esegetiche in tema di obbligazioni alternative, cit., 167.

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fosse stato più ampio, così come il richiamo all’ipotesi di stipulatio del

servo o del figlio non richiederebbe un discorso più esteso220.

Il giurista dell’età dei Severi, assimilando l’ipotesi di deferimento della

scelta ad un terzo a quella di riserva della medesima al creditore si

proporrebbe semplicemente di sottolineare che la scelta spetta

personalmente allo stipulante che a sé l’ha riservata e quindi, a seconda dei

casi, al creditore221 o allo schiavo e al figlio, particolare figura di terzi, gli

ultimi due, rispetto alle parti del rapporto obbligatorio dagli stessi posto in

essere.

Il frammento non statuirebbe invece alcunché in ordine alla

intrasmissibilità della scelta positivamente deferita222: la trasmissibilità,

infatti, cui si fa riferimento nella chiusa, riguarderebbe l’obbligazione

ovverosia il credito, che alla morte del titolare si trasferisce ai suoi eredi223

in una con la facoltà di scelta, ove questa gli fosse stata espressamente

deferita. Quanto al caso di esplicito conferimento della scelta ad un terzo,

secondo l’Autrice si potrebbe congetturare che questi la potesse esercitare

anche dopo la trasmissione dell’obbligazione, fintantoché avesse potuto o

voluto farlo224. Dirimente, nell’interpretazione del testo, sarebbe

l’interpretazione dell’aggettivo personalis, che risulta impiegato nelle fonti

romane in varie accezioni. Riferito alla scelta, esso non la individuerebbe

220 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 60. 221 La parte iniziale del testo in cui si parla dello stipulante che si riserva espressamente la facoltà di scelta non lascia dubbi sul riferimento di essa al creditore. In senso analogo si veda Giuseppe Grosso (Note esegetiche in tema di obbligazioni alternative, cit., 167), che però giudica abbreviata la redazione del frammento che ci è giunta. 222 E’ a proposito opportuno notare che non esiste alcun testo in cui si affermi esplicitamente l’intrasmissibilità della scelta positivamente deferita. Nello stesso senso si veda M. TALAMANCA, Obbligazioni, cit., 45 nt. 299. 223 Sul riferimento del testo alla trasmissibilità attiva dell’obbligazione cfr. G. SCHERILLO, La trasmissibilità della stipulatio in faciendo, cit., 83. 224 E’ chiaro che, stando alle fonti di cui disponiamo, non si può parlare di trasmissibilità o intrasmissibilità della scelta del terzo; egli infatti non è titolare dell’obbligazione e pertanto la scelta che gli sia stata conferita non ne segue i movimenti.

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come «qualcosa di colui a cui è stata deferita», bensì come qualcosa che

inerisce alla qualità di creditore o, nel caso di terzo, a quest’ultimo, sia

pure solo in qualità di «sostituto del creditore o del suo erede», essendo

costoro gli unici a poter richiedere giudizialmente la prestazione»225.

Come si è già inteso avvertire, fronte di siffatte congetture sembra tuttavia

opportuno rimarcare il fatto che, in assenza di qualsivoglia riferimento

testuale esplicito, ogni prospettazione in ordine alla configurazione

strutturale dell’ipotesi di scelta deferita ad un terzo rischia di risultare

inevitabilmente arbitraria, sì che in merito a tale profilo sembra lecito

suggerire preferibilmente l’esercizio dell’ars ignorandi226.

6. Il problema della trasmissibilità ereditaria

Nell’intento di approfondire osservazioni in buona parte già svolte,

conviene ora affrontare il nodo della trasmissibilità ereditaria del ius

eligendi, onde accertare se ed in che misura la scelta, che, a seconda dei

casi, può essere attribuita al debitore, al creditore o ad un terzo, si trasmetta

agli eredi degli originari titolari allorchè questi decedano prima di averla

esercitata.

Nel caso di electio spettante al debitore i prudentes riferiscono la scelta

all’adempimento227 e, ammettendo l’inerenza di essa alla struttura 225 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 61. 226 In questo senso v. M. TALAMANCA, Obbligazioni, cit., 45 nt. 293. 227 Ideo cum quis Stchum aut Pamphilum promittit, eligere posse quod solvat,quamdiu ambo vivunt… si legge, infatti, in D. 13, 4. 2, 3 (Ulp. 27 ad ed.) e in D. 18, 1, 34, 6 (Paul. 33 ad ed.): Si emptio ita facta fuerit: «est mihi emptus Stichus aut Pamphilus», in potestate est venditoris, quem velit dare Si vedano nello stesso senso anche D. 23, 3, 10, 6 (Ulp. 31 ad Sab.); D.23, 3, 46, 1 (Iul. 16 dig.); D.30, 109, 1 (Africanus 2 quaest.); D. 31, 15 (Cel. 6 dig.); D. 31, 19 (Cel. 80 dig.); D. 46, 2, 8, 4 (Ulp. 46 ad Sab.); D. 46, 2, 26 (Cel. 3 dig.); Gai 4, 53 d; Inst. 4, 6, 33. In argomento cfr. soprattutto G. PESCATORE, Die wahlschuldverhältnisse, Monaco, 1905, 35.

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dell’obbligazione228, ne riconoscono la trasmissibilità agli eredi in una con

quest’ultima.

La stessa soluzione è attestata dalle fonti nell’ipotesi in cui la scelta sia

riservata al creditore: in quanto pertinente al credito ed estrinsecantesi nella

richiesta giudiziale di una delle prestazioni, essa si trasmette dal lato attivo

unitamente al rapporto obbligatorio.

Tutto ciò, del resto, costituisce diretta applicazione di principi generali: se

investito della scelta è il debitore o il creditore, la trasmissione deve

ammettersi in quanto, subentrando l’erede in locum et in ius defuncti, «è

ovvio che, come trapassa in lui il credito e il debito, così necessariamente

trapassi anche quella facoltà che in ordine al credito o al debito al defunto

spettava229».

All’uopo torna conto richiamare il già citato passo paolino escerpito dai

commentari edittali:

D. 45, 1, 76 pr. (Paul. 18 ad ed.): Si stipulatus fuerim ‘illud aut illud, quod

ego voluero’, haec electio personalis est, et ideo servo vel filio talis electio

cohaeret: in heredem tamen transit obligatio et ante electionem mortuo

stipulatore.

Se l’obbligazione in heredem transit, anche quando il creditore sia morto

prima di aver esercitato il diritto di scelta, significa «che essa passa tutta

quanta e così quale è, cioè col diritto di scelta»230. 228 In D. 13, 4, 2, 3 (per il testo cfr. supra), con riferimento alla scelta del debitore, si legge infatti: quae tacite insunt stipulationibus. Grosso (Obbligazioni, cit., 177) ha giustamente osservato che “la scelta non è che un momento attraverso il quale si individua la prestazione che estingue l’obbligazione, ma non vi assume un risalto autonomo”. 229 E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano: le obbligazioni, cit., 217. 230 Così ancora E. ALBERTARIO, op. ult. cit., 217. Diversamente Grosso (Obbligazioni, cit., 197), come si è accennato in precedenza, ritiene che il passo non costituisca che «un

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Altrove il giurista severiano ammette l’operatività della medesima regola

anche con riguardo alle obbligazioni alternative nascenti da legato:

D. 33, 5, 19 (Paul. 3 sent.):«Illud aut illud, utrum elegerit legatarius»:

nullo a legatario electo decedente eo post diem legati cedentem ad

heredem transmitti placuit.

Presuppone infine la trasmissibilità del credito, in una con il ius eligendi,

atteso che esso accede alla posizione di creditore, il passo ulpianeo

confluito in D. 30, 75, 3, in cui sembrano anche ammettersi la cessione del

credito alternativo e, contestualmente all’acquisto di esso, il passaggio

della scelta in capo al cessionario231.

D. 30, 75, 3 (Ulp. 5 disput.): Si quis ita stipulatus: «Stichum aut decem,

utrum ego velim» legaverit quod ei debebatur, tenebitur heres eius, ut

residuo di un discorso originario più complesso». L’ipotesi, presentata da Paolo con un si stipulatus fuerim e con l’affermazione che haec electio personalis est, non poteva, secondo l’Autore, «direttamente esplicarsi in un servo vel filio talis electio cohaeret… Solo con un più ampio discorso … (Paolo) poteva richiamare anche il caso di stipulatio del filius o del servo», né si può escludere «che si trattasse di una glossa o di un’interpolazione di una soluzione desunta da altri testi e inserita lì per giustificare l’affermazione, conservata, che haec electio personalis est». La personalità della scelta, giusta l’autorevole opinione, «doveva qui dunque esplicarsi nella intrasmissibilità. Ma la espressione haec electio personalis est parla per la individuazione di un’ipotesi, alla quale appunto Paolo doveva contrapporne un’altra, di cui serba l’eco l’ultima frase del passo; in cui cioè in heredes transit obligatio et ante electionem mortuo stipulatore. Ed allora, se consideriamo che l’ipotesi di electio personalis è data dalla locuzione quod ego voluero, siamo indotti a pensare che Paolo vi contrapponesse il caso in cui fosse detto quod volam o quod velim», parallelamente alla distinzione operata da Pomponio riguardo alla possibilità o meno di mutare voluntatem. Nel caso in cui la volontà del creditore «è intesa come contemporanea all’adempimento della prestazione, in cui la facoltà di scelta non si esaurisce in un unico atto di volizione, ma accompagna il credito fino alla sua estinzione, è più facile la costruzione di essa come senz’altro inerente alla posizione di creditore e assorbita in questa, in modo da ammetterne anche la trasmissibilità.» 231 V. G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 198.

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praestet legatario actionem electionem habituro, utrum Stichum an decem

persequi malit232.

Una difformità di regime è stata invece ipotizzata con riguardo al caso di

scelta rimessa ad un terzo: è infatti opinione diffusa233 che se quest’ultimo

muore senza averla esercitata personalmente essa non passa ai suoi eredi.

Ciò si giustifica generalmente valorizzando l’intuitus personae sotteso al

deferimento dell’electio, da parte del testatore o delle parti, ad un soggetto

determinato; vale tuttavia la pena di osservare che alla stessa conclusione

si potrebbe giungere muovendo dal rilievo che le fonti non prendono mai

in considerazione il diritto di scelta in via autonoma, disgiuntamente dal

reticolo del rapporto cui inerisce.

Ad essere oggetto di disamina da parte dei prudentes non è il problema

della trasmissibilità della scelta, bensì quello della trasmissibilità

dell’obbligazione, di cui il primo costituisce un semplice corollario.

232 Ulpiano afferma che, qualora il testatore, titolare di un credito alternativo con diritto di scelta, leghi il suddetto credito, l’erede è tenuto a cedere l’azione contro il debitore al legatario, al quale spetterà poi il diritto di scelta in ordine all’esperimento di tale azione in relazione all’una o all’altra prestazione. Per quel che riguarda il diritto classico, la forza probante di questo passo è stata revocata in dubbio, in quanto perlomeno l’ultima parte di esso (electionem…malit) è stata giudicata interpolata per ragioni formali, quali l’infinito futuro usato in funzione di apposizione (legatario…habituro) e il malle adoperato in luogo di velle, ben note predilezioni, l’una e l’altra, dello stile compilatorio (cfr. C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 57 ed E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano: le obbligazioni, cit., 218). Secondo Beseler (Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, 3, Tübingen, 1913, 173) il testo originario accordava la scelta al legatario, ma non parlava di cessione; a suo parere, l’erede stesso doveva agire contro il debitore per chiedere la prestazione che il legatario gli aveva dichiarato di preferire, trasmettendogli poi ciò che conseguiva. Il testo è stato appuntato anche da Vassalli (Dies vel condicio, cit., 210 nt. 2) e da Scherillo (La trasmissibilità della stipulatio in faciendo, cit., 83 s.): dal primo addirittura nel senso di affermare che Ulpiano considerava nullo il legato, dal secondo nel senso di aggiungervi la mentio heredis, richiesta dai classici per la trasmissibilità. Sostiene invece che il testo resista alla critica G. GROSSO, Note esegetiche in tema di obbligazioni alternative, cit., 168. Sul passo, considerato in rapporto con D. 45, 1, 76, pr., relativamente al problema della trasmissibilità ereditaria, è utilmente consultabile anche G. PESCATORE, Die sogenannte alternative Obligation, cit., 240 ss. 233 Cfr., per tutti, C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 44 ed E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano, Le obbligazioni. Parte generale, cit., 351 s.

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In questa prospettiva, la problematica relativa alla trasmissibilità del diritto

di scelta si innesta su quella, più generale, dell’esatta configurazione, dal

punto di vista strutturale, della obbligazione con prestazione

alternativamente determinata in cui la scelta fosse stata rimessa ad un

terzo. Se infatti si ritiene che l’electio del terzo condizionasse l’esistenza

dell’obbligazione, il mancato esercizio di essa avrebbe importato il venir

meno dell’intero rapporto, a cagione del mancato avveramento della

condizione. Viceversa, ove si escludesse, nelle medesime circostanze, la

condizionalità del rapporto obbligatorio, l’eventuale decesso del terzo

avrebbe costituito un evento irrilevante, attesa l’estraneità del soggetto a

cui era stata rimessa la scelta rispetto al vincolo, con la cui persistenza

avrebbero potuto interferire soltanto le vicende delle parti. In questo caso,

l’unica conseguenza della mancata scelta del terzo sarebbe stata,

verosimilmente, la necessità per il creditore di richiedere giudizialmente

entrambe le prestazioni alternative234 lasciando la scelta al debitore235.

7. Regolamentazione del c.d. ius variandi

Nel suo concreto dispiegarsi il tema della scelta si intreccia giocoforza con

quello dell’ammissibilità del cosiddetto ius variandi, il quale opera sul

piano degli effetti dell’esercizio del diritto di elezione.

In linea generale una dichiarazione unilaterale di scelta da parte di chi ad

essa ha diritto non vincola il dichiarante, salvo che dall’atto costitutivo

dell’obbligazione non risulti altrimenti. Corollario di questa regola è che

234 Non aliter stipulator alterutrius petendae facultatem habet, quam si Titius elegerit si legge in D. 45, 1, 141, 1 (Gai. 2 de verb. obl.) a proposito della scelta del terzo. 235 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 67.

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soltanto nel secondo caso la dichiarazione unilaterale fissa

irrevocabilmente la scelta e concentra l’obbligazione sull’oggetto

prescelto236.

D. 45, 1, 138, (Ven. 4 stip.): Cum pure stipulatus sum illud aut illud dari,

licebit tibi, quotiens voles, mutare voluntatem in eo quod praestaturus sis,

quia diversa causa est voluntatis expressae et eius quae inest.

In questo frammento Venuleio, prendendo in considerazione l’ipotesi

comune di una stipulatio conclusa pure237 - vale a dire senza alcuna

statuizione in ordine alla scelta238 -, ammette che il promittente possa

mutare i suoi propositi fino all’adempimento239.

236 V. C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 190 ss. 237 E la scelta sarebbe dunque spettata al debitore. 238 L’allusione del frammento alla mancata espressa statuizione in ordine alla scelta si desume chiaramente dall’espressione iniziale cum pure stipulatus sum… alla prima persona: v. C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 49. 239 In senso analogo, sia pure con sfumature diverse, cfr. già B. WINDSCHEID, Pandette, trad. it., 2, 20 nt. 9, e, tra gli altri, B. BIONDI, Successione testamentaria e donazione, Milano, 1955, 440 e G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 191. non trova generalmente accoglimento la diversa opinione di Impallomeni (Sull’obbligo del debitore, cit., 71 s.), il quale afferma: «nella fattispecie considerata, nel titolo non era stata espressamente attribuita la scelta al debitore, donde lo ius variandi; se ne potrebbe arguire a contrario che, ove fosse stata espressamente attribuita, a giudizio di Venuleio lo ius variandi sarebbe mancato». (ma v. infra). Inaccettabile è inoltre l’interpretazione di Sciascia (Sulla irretrattabilità della scelta nelle obbligazioni alternative e generiche, cit., 261) secondo cui il testo alluderebbe alle diverse modalità di manifestazione della volontà concentrativa, distinguendo a seconda che vi sia stata una dichiarazione (expressa voluntas) oppure una manifestazione tacita (quae inest) e ammettendo soltanto nel secondo caso lo ius poenitendi. Contro questa interpretazione non solo depone la traduzione del passo in questione di Tip. 43, 1, 138 (135):E �� ���� �� ������ ������� �����, �� ����� ���� ��������� �������� �� ���� ���. HEINBACH, Bas., 4, 316: Sed si nominatim electionem tibi servaveris, non potes, cum semel elegeris, voluntatem tuam mutare, (cfr. nello stesso senso G. B. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 72 nt. 34), ma anche e soprattutto la circostanza che il frammento in esame riconosce la possibilità di mutare la volontà al promittente di una stipulatio la cui conclusione si considera espressamente avvenuta pure, correlando così la disposizione alla configurazione del titolo e non invece alla diversa forma della manifestazione di volontà.

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Controversa è l’interpretazione del contenuto della voluntas espressa che,

come si desume a contrario dal testo, consentirebbe di derogare al regime

ordinario di revocabilità della scelta.

Raccordando il dettato del passo con una testimonianza giulianea

pervenutaci tramite D. 30, 84, 9 sembrerebbe lecito dedurre l’idoneità del

semplice conferimento espresso della scelta al debitore a determinare

l’irretrattabilità240della stessa.

D. 30, 84, 9 (Iul. 33dig.): «Stichum aut Pamphilum, utrum heres meus

volet, Titio dato». Si dixerit heres Stichum se velle dare, Sticho mortuo

liberabitur. Cum autem semel dixerit heres, utrum dare velit, mutare

sententiam non poterit241.

Il testatore ha disposto un legato per damnationem avente ad oggetto due

schiavi con diritto di scelta attribuito esplicitamente all’erede. In un’ipotesi

siffatta, chiarisce Giuliano, l’esercizio del ius eligendi mediante

dichiarazione dà luogo alla concentrazione dell’obbligazione.

Da più parti si è rilevata la singolarità della fattispecie descritta,

giudicandosi «apparentemente inutile e pleonastica242» l’attribuzione

espressa della scelta ad un soggetto – qual è l’onerato di un legato per

damnationem – a cui essa spetterebbe di diritto.

Nel tentativo di giustificare siffatta anomalia si è ipotizzato che il

deferimento esplicito imprimesse un carattere irretrattabile alla scelta,

240 In questo senso G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 53 ss., ma già prima di lui G. PESCATORE, Die sogenannte, cit., 180. 241 Nonostante il testatore nell’attribuire l’electio abbia adoperato il futuro semplice, - da cui dovrebbe dedursi la revocabilità della scelta - , Giuliano afferma che la dichiarazione unilaterale di scelta determina la concentrazione dell’obbligazione sull’oggetto prescelto, con la conseguenza che in caso di perimento di quest’ultimo l’erede sarà liberato. 242 G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 71.

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circoscritto per Giuliano all’ambito delle disposizioni mortis causa ed

esteso invece da Venuleio anche alla materia degli atti inter vivos243.

Calando la decisione giulianea nella dialettica giurisprudenziale romana, si

è ritenuto che il pensiero del giurista dell’età degli Antonini sarebbe invece

apparso «debole» a Pomponio, il quale, diversament opinando, avrebbe

stimato ad abundantiam l’attribuzione espressa dell’electio a colui che ne

sarebbe risultato titolare di diritto ed avrebbe conseguentemente escluso

che a tale circostanza conseguisse una particolare efficacia della

dichiarazione di scelta244.

La congettura muove dalla considerazione di un testo, conservato nelle

Pandette, in cui Pomponio considera una fattispecie analoga a quella

disaminata da Giuliano:

D. 31, 11, 1 (Pomp. 7 ex Plautio): «Stichum aut Pamphilum, utrum heres

meus volet, titio dato, dum, utrum velit dare, eo die, quo testamentum

meum recitatum erit, dicat». Si non dixerit heres, Pamphilum an Stichum

dare malit, perinde obligatum eum esse puto, ac si Stichum aut Pamphilum

dare damnatus esset, utrum lagatarius elegerit. Si dixerit se Stichum dare

velle, Sticho mortuo liberari eum: si ante diem legati cedentem alter

mortuus fuerit, alter qui supererit in obligatione manebit. Cum autem

243 Secondo Impallomeni (Sull’obbligo del debitore, cit., 71ss.) la motivazione che il giurista adduce a sostegno dell’ammissibilità del ius variandi «si fonda sul diverso regime che si avrebbe a seconda che la facoltà di scelta sia stabilita nel titolo (qui diversa causa est voluntatis expressae), oppure sia implicita, come derivante di diritto (et eius quae inest). Evidentemente, nella fattispecie considerata, nel titolo non era stata espressamente attribuita la scelta al debitore, donde lo ius variandi; se ne potrebbe arguire a contrario che, ove fosse stata espressamente, attribuita a giudizio di Venuleio lo ius variandi sarebbe mancato» 244 G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 72.

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semel dixerit heres, utrum dare velit, mutare sententiam non poterit. Et ita

et Iuliano placuit245.

In rapporto a D. 30, 84, 9 nel passo di Pomponio la disposizione

testamentaria appare più circostanziata e si fa espressa menzione della

dictio, da farsi al momento dell’apertura del testamento, menzione

viceversa assente nel passo giulianeo. Pomponio riconduce alla

dichiarazione dell’erede gli stessi effetti già evidenziati da Giuliano,

ovverosia la irrevocabilità della scelta e la definitiva liberazione in caso di

impossibilità sopravvenuta della prestazione prescelta, soggiungendo

peraltro un duplice ordine di considerazioni, che si riconnettono

direttamente alle peculiarità del caso esaminato. In primo luogo il giurista

precisa che se l’erede non dichiarerà la sua scelta nel giorno stabilito dal

testatore, egli perderà la possibilità di effettuarla, e lo si dovrà ritenere

alternativamente obbligato ad eseguire la prestazione scelta dal legatario-

creditore. In secondo luogo il giurista asserisce che se una delle prestazioni

diventa impossibile prima dell’apertura del testamento246, l’erede sarà

obbligato ad eseguire la prestazione ancora possibile, l’unica rimasta in

obbligazione.

In questa prospettiva Pomponio avrebbe dunque corretto in senso più

formalista la tesi di Giuliano: «così che, per riconoscere efficacia

concentrativa alla dictio, sarebbe stata da lui richiesta una esplicita

statuizione del titolo in questo senso»247. Tutto ciò sarebbe del resto

245 Qui è fatto obbligo esplicito all’erede di effettuare «la dichiarazione di scelta a data fissa; e il testo ne trae la logica conseguenza che, se l’erede la fa regolarmente, non può più variarla; se non la fa alla data fissata, decade dal diritto di scelta che passa al legatario». Così C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 88. 246 E dunque in un momento anteriore alla data fissata per la dichiarazione di scelta. 247 G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 72.

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comprovato da quanto lo stesso Pomponio asserisce in D. 45, 1, 112 pr.,

altrove già rammentato:

D. 45, 1, 112 pr. (Pomp. 15 ad Quintum Mucium): Si quis stipulatus sit

Stichum aut Pamphilum, utrum ipse vellet: quem elegerit, petet et is erit

solus in obligatione. An autem mutare voluntatem possit et ad alterius

petitionem transire, quaerentibus respiciendus erit sermo stipulationis,

utrumne talis sit, ‘quem voluero’ an ‘quem volam’ : nam si talis fuerit

‘quem voluero’, cum semel elegerit, mutare voluntatem non poterit : si

vero tractum habeat sermo illius et si talis ‘quem volam’, donec iudicium

dictet, mutandi potestatem habebit.

A proposito di una stipulazione alternativa, con scelta attribuita allo

stipulante, Pomponio distingue a seconda che il conferimento sia stato

operato impiegando il futuro volam o il futuro anteriore voluero, e solo nel

secondo caso ritiene l’elezione irretrattabile, dal che sembrerebbe potersi

desumere che egli considerasse definitiva la scelta soltanto allorquando il

titolo avesse in questo senso espressamente stabilito.

La congettura più accreditata in dottrina è tuttavia quella prospettata da

Longo248, il quale ritiene che il dettato di Giuliano ci sia giunto mutilo,

essendo stata soppressa, nell’ambito del riferimento alla disposizione

testamentaria, la clausola relativa alla dictio a data fissa ovvero contenente

un regolamento della dictio. A questa supposizione indurrebbe la

circostanza che Pomponio, nella chiusa di D. 31, 11, 1, invoca apertamente

l’opinione di Giuliano a favore della propria soluzione. Ipotizzando una

simile alterazione del testo di Giuliano, si perviene dunque alla

248C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 91 ss.

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conclusione che anche per quest’ultimo la semplice menzione dell’electio

dell’erede in seno all’atto costitutivo non fosse di per sé sufficiente a

rendere irrevocabile la sua dichiarazione di scelta, essendo all’uopo

necessaria una espressa volontà del testatore.

Aderendo a questa teoria non vi sarebbe pertanto bisogno di immaginare

che nell’impostazione di Venuleio l’espresso deferimento della scelta ne

importasse l’irretrattabilità, una volta che essa fosse stata manifestata. La

voluntas expressa cui egli fa riferimento non sarebbe, infatti, l’espressa

menzione, nel regolamento negoziale, della scelta del debitore, bensì «la

volontà espressa di voler vincolare il debitore a una sua dichiarazione di

scelta249».

8. Segue: D. 16, 2, 22

Le osservazioni svolte non risultano smentite dal dettato di

D. 16, 2, 22. (Scaev. 2 quaest.): Si debeas decem aut hominem, utrum

adversarius volet, ita compensatio huius debiti admittitur, si adversarius

palam dixisset utrum voluisset.

Questo testo, che ha probabilmente subìto rimaneggiamenti ad opera dei

commissari giustinianei, in conformità alla mutata configurazione della

compensazione250, doveva in origine riguardare l’ambito strettamente

249 P. ZILIOTTO, Studi, cit., 78. 250 Sulla compensazione cfr., per tutti, F. EISELE, Die compensation nach römischen und gemeinem Recht, Berlin 1876; C. APPLETON, Histoire de la compensation en droit romain, Paris 1895; P. KRETSCHMAR, Uber die Entwicklung der Kompensation in römischen Rechte, 1907; B. BIONDI, La compensazione nel diritto romano, Crotona,

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processuale, come si evince non solo dall’impiego del termine adversarius

che vi compare, ma anche dal riferimento all’istituto della compensazione,

che in diritto classico operava di regola nel processo e soltanto in alcuni

casi251. In quest’ottica si segnala generalmente la necessità di emendare il

passo, nella cui dizione originaria in luogo di palam si doveva leggere in

iure252 .

Nella cornice del processo la quaestio esaminata da Scevola si rivela in

tutta la sua delicatezza: un creditore di un’obbligazione alternativa cui il

diritto di elezione fosse stato conferito in virtù di una clausola formulata

con il futuro semplice, stando al tenore della disposizione contenuta

nell’atto costitutivo, avrebbe potuto, in qualità di convenuto, mutare la

scelta del controcredito alternativo da opporre in compensazione fino al

momento della litis contestatio. Ciò avrebbe però impedito la realizzazione

della compensazione, che, com’è noto, non poteva avere ad oggetto un

credito indeterminato: è per questo che il testo chiarisce che in tanto in

questo caso (huius debiti) sarebbe stata possibile la compensazione in

quanto il creditore convenuto avesse effettuato la sua scelta definitiva in

1927; S. SOLAZZI, La compensazione nel diritto romano, Napoli, 1950; H. KRELLER, Kritische Digestenexegesen zur «comp.», in Iura, 2, 1951, 82 ss., B. BIONDI, s. v. Compensazione. Diritto Romano, in NNDI, 3, Torino, 1957, 718 ss.; R. REZZONICO, Il procedimento di compensazione nel diritto romano classico, Basel, 1958; P. VAN.WARMELO, Le rescript de Marc’Aurèle à propos de la compensation, in Mélanges Lévy-Bruhl, Paris, 1959, 335 ss.; W. ROZWADOWSKI, Studi sulla compensazione nel diritto romano, in BIDR, 81, 1978, 71 ss. 251 Principalmente con riguardo alle azioni di buona fede, contro il bonorum emptor e contro l’argentarius. Il testo in esame attesta tuttavia che ai tempi di Scevola la compensazione era ammessa anche nei iudicia stricti iuris. In argomento cfr: W. ROZWADOWSKI, Studi sulla compensazione, cit., 117; G. B. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debit., cit., 93 nt. 89. 252 Cfr. in tal senso, per tutti, S. PEROZZI, Istituzioni, 2, Roma, 1928, 124 nt. 3; G. SCIASCIA, Sulla irretrattabilità della scelta nelle obbligazioni alternative e generiche, cit., 263 s.; F. EISELE, Die compensation, cit., 321; C. APPLETON, Histoire de la compensation, cit., 154; G. B. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 93 nt 89; G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 194; W. OSUCHOWSKI, Historyczny rozwój Kompensacji w praie rzymskim, Warszawa – Kraków, 1970, 55.

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iure. Essa infatti era necessaria per poter opporre in compensazione i

propri controcrediti attraverso l’indicazione, da parte del pretore,

nell’intentio della formula relativa all’azione, del saldo per cui l’attore

restava creditore253.

L’esegesi del testo conduce pertanto a concludere che esso «da un lato non

considera il caso di una scelta fatta dal creditore in un momento anteriore

alla fase giudiziale e non nega minimamente la possibilità di variarla; e

dall’altro lato nei riguardi dell’ipotesi di cui realmente si occupa, non dice

nulla di anormale, perché il convenuto in giudizio che per rendere

opponibile in compensazione un suo controcredito alternativo fa, come non

può a meno di fare, la scelta, deduce in iudicium l’obbligazione e consuma

con essa la sua scelta254».

253 E’ evidente che questa interpretazione presuppone, seguendo l’opinione generale (cfr. letteratura cit. supra, nt. 182), che il testo facesse riferimento alla compensazione dell’argentarius. Ma poiché condizione necessaria per l’operatività di tale tipo di compensazione era che i due crediti, dell’argentarius e del cliente, fossero omogenei e dunque necessariamente di cose fungibili (normalmente trattandosi di banchieri dovevano essere creditidi denaro, anche se in dottrina si è parlato pure di “conti correnti” bancari in natura, cfr. J. ANDREAU, Les comptes bancaires en nature, in Index, 15, 1987, 413 ss.), è stata proposta la sostituzione di in iure dixisset pecuniam velle al palam dixisset che si legge ora nel testo. Si veda, per tutti, C. APPLETON, Histoire de la compensation, cit., 154. In ogni caso non è da escludere che la compensazione potesse operare in questa ipotesi anche attraverso un’exceptio doli che presupponeva sempre l’avvenuta scelta, ma non l’omogeneità dei crediti. V. W. ROZWADOWSKI, Studi sulla compensazione, cit., 118 s.; M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, cit., 736. 254 C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 91.

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CAPITOLO QUARTO

ADEMPIMENTO ED ESTINZIONE

DELL’ OBBLIGAZIONE ALTERNATIVA

1. Adempimento parziale

Strettamente connessi al momento della scelta sono quelli

dell’adempimento e dell’estinzione del vincolo obbligatorio.

In diritto romano affinchè l’obbligazione alternativa possa dirsi estinta per

adempimento, il debitore deve prestare per intero l’uno o l’altro oggetto,

non potendo egli pretendere di soddisfare il suo obbligo eseguendo per

parti l’una o l’altra delle prestazioni disiunctivo modo comprese in

obligatione, con pregiudizio del creditore e contro il senso indubbio della

sua promessa o dell’obbligo imposto dal testatore.

Come ben ha messo in luce Grosso255, «tutto ciò non è che la esplicazione

della struttura della obbligazione; si tratta di un’obbligazione che il

debitore può adempiere sia coll’una sia coll’altra prestazione. Una

prestazione parziale non ha l’efficacia di concentrare l’obbligazione, come

non l’ha una dichiarazione di scelta256; se essa estinguesse pro parte

l’obbligazione, ne deriverebbe che il debitore potrebbe liberarsi con una

parte dell’altra prestazione».

255 G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 203. 256 Su cui si veda, più ampiamente, supra, cap. 3.

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Ma se questa affermazione trova perfetta concordanza delle fonti257, le

stesse sembrano invece attestare un disaccordo giurisprudenziale con

riguardo alle sorti della prestazione parziale, cioè a dire in relazione alla

ripetizione.

D. 45, 1, 2, 1 (Paul. 12 ad Sab.): Et harum omnium quaedam partium

praestationem recipiunt, veluti cum decem dari stipulamur: quaedam non

recipiunt, ut in his, quae natura divisionem non admittunt, veluti cum viam

iter actum stipulamur: quaedam partis quidem dationem natura recipiunt,

sed nisi tota dantur, stipulationi satis non fit, veluti cum hominem

generaliter stipulor aut lancem aut quodlibet vas: nam si Stichi pars258

soluta sit, nondum in ulla parte stipulationis liberatio nata est, sed aut

statim repeti potest aut in pendenti est, donec alius detur. Eiusdem

condicionis est haec stipulatio: ‘Stichum aut Pamphilum dari’?259

257 Più fonti depongono, infatti, chiaramente in tal senso, tra cui D. 45, 1, 2, 1 e 2 (Paul. 12 ad Sab.), nella parte in cui è detto:...sed nisi tota dantur, stipulationi satis non fit…§ 2. Ex his igitu stipulationibus ne heredes quidem pro parte solvendo liberari possunt, quamdiu non eandem rem omnes dederint...; D.12, 6, 26, 13 e 14. (Ulp. 26 ad ed.), (per il § 13 si veda la sua citazione nel testo) nel cui § 14 si legge: Idem ait et si duo heredes sint stipulatoris, non posse alteri quinque solutis alteri partem Stichi solvi: idem et si duo sint promissoris heredes, secundum quae liberatio non contingit, nisi aut utrique quina aut utrique partes Stichi fuerunt solutae; D. 45, 1, 85, 4. (Paul. 75 ad ed .) :Pro parte autem peti, solvi autem nisi totum non potest, veluti cum stipulatus sum hominem incertum: nam petitio eius scinditur, solvi vero nisi solidus non potest. Alioquin in diversis hominibus recte partes solventur, quod non potuit defunctus facere, nec quod stipulatus sum consequar. Idem iuris est, et si quis decem milia aut hominem promiserit; D. 31, 15 (Cel. 6 dig.) : Si quis duobus heredibus institutis ita legaverit: «Stichum aut decem heredes danto», non potest alter heredum quinque, alter partem Stichi dare, sed necesse est utrumque aut Stichum totum aut decem solvere. 258 Il riferimento all’adempimento con una parte di Stico va verosimilmente inteso nel senso che era stato parzialmente trasferito il diritto di cui lo schiavo era oggetto. 259 I sospetti di alterazione che riguardano questo frammento non sono tali da poter mettere in discussione la sua sostanza. Cfr. F. VASSALLI, Delle obbligazioni di genere in diritto romano, cit., 211 ss.; ID., Nuove osservazioni sulle obbligazioni alternative e generiche, cit., 490 ss.; S. SOLAZZI; L’estinzione dell’obbligazione, Napoli, 1931, 256; M.BRUTTI, La problematica del dolo processuale, 1, cit., 236 ss. e lett. cit. nella nt. 60. Sul testo si veda, da ultimo, anche R. ASTOLFI, I libri tres iuris civilis di Sabino, Padova, 2001, 49.

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D. 12, 6, 26, 13 (Ulp. 26 ad ed.): Si decem aut Stichum stipulatus solvam

quinque, quaeritur, an possim condicere: quaestio ex hoc descendit, an

liberer in quinque: nam si liberor, cessat condictio, si non liberor, erit

condictio. Placuit autem, ut Celsus libro sexto et Marcellus libro vicensimo

digestorum sripsit, non peremi partem dimidiam obligationis ideoque eum,

qui quinque solvit, in pendenti habendum, an liberaretur, petique ab eo

posse reliqua quinque aut Stichum et, si praestiterit residua quinque, videri

eum et priora debita solvisse, si autem Stichum praestitisset, quinque eum

posse condicere quasi indebita. Sic posterior solutio comprobabit, priora

quinque utrum debita an indebita solverentur. Sed et si post soluta quinque

et Stichus solvatur et malim ego habere quinque et Stichum reddere, an

sim audiendus, quaerit Celsus, et putat natam esse quinque condictionem,

quamvis utroque simul soluto mihi retinendi quod vellem arbitrium

daretur.

Nel primo frammento Paolo, dopo aver operato la distinzione tra le

stipulazioni a prestazione divisibile e quelle a prestazione indivisibile,

precisa che le prime, come ad esempio l’obbligazione da stipulatio avente

ad oggetto un dare, ammettono l’adempimento parziale, ciò che viceversa

non è consentito per quelle indivisibili natura, tra cui vanno annoverate le

servitù di passaggio. Il giureconsulto passa quindi a descrivere

l’indivisibilità delle obbligazioni generiche e di quelle alternative260,

asserendo che alcune stipulazioni ammettono natura che materialmente si

dia una parte della prestazione, senza che peraltro, in mancanza della

dazione dell’intero oggetto, possa ritenersi avvenuto l’adempimento della

stipulatio. In quest’ottica il giurista severiano, nel caso di adempimento

260 …eiusdem condicionis est haec stipulatio: ‘Stichum aut Pamphilum dari’...

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parziale di una delle prestazioni, riconosce al debitore la duplice possibilità

di ripetere immediatamente la prestazione parziale (statim repeti potest) o

di attendere per la ripetizione che un’altra prestazione venga effettuata (aut

in pendenti est261, donec alius detur), perché è chiaro che se ad essere

eseguita è la parte mancante della stessa specie non si avrà la ripetizione, la

quale viceversa spetterà nel caso di prestazione dell’altra specie.

L’alternativa prospettata, sul piano rimediale, da Paolo, non risulta invece

neppure adombrata nel testo del contemporaneo Ulpiano. Il passo, in

questo caso, ruota interamente attorno al problema dell’efficacia liberatoria

parziale di quanto prestato dal debitore. Dopo aver aver chiarito -

conformandosi, come egli espressamente precisa, all’opinione di Celso e

Marcello262 - che nel caso di pagamento parziale di una delle prestazioni

non peremi partem dimidiam obligationis, il giurista severiano asserisce

che la liberazione è in pendenti: se il debitore pagherà la parte residua della

prestazione non vi sarà margine per la ripetizione; se invece verrà eseguita

l’altra prestazione il debitore sarà liberato, e la prima prestazione parziale,

divenuta indebita, potrà essere ripetuta.

In definitiva, dunque, là dove Paolo, nel caso di esecuzione parziale,

ammette l’immediata esperibilità della condictio indebiti, per Ulpiano è

invece necessario attendere che, con l’integrale adempimento dell’altra

prestazione, sia acclarato che la prima solutio aveva ad oggetto un

indebito263.

261 Esatta appare l’osservazione di Solazzi (La pendenza dei diritti nelle fonti romane, in Scritti Scialoja, 4, 1953, 412, ora in Scritti di diritto romano, 5, Napoli, 1972, 438) secondo cui è preferibile tradurre le parole in pendenti est con «è pendente». 262 Ulpiano aderisce sostanzialmente all’orientamento di Paolo, il quale afferma: nondum in ulla parte stipulationis liberatio nata est, nel caso di adempimento parziale di una delle prestazioni. 263 Cfr., per tutti, F. VASSALLI, Nuove osservazioni sulle obbligazioni alternative e generiche, cit., 492 s., che sostiene la non genuinità delle affermazioni ulpianee, che precedentemente aveva invece mostrato di considerare autentiche (ID., Delle obbligazioni

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Numerosi sono stati i tentativi di comporre siffatta antinomia: alcuni autori

hanno cercato di dimostrarne il carattere meramente apparente affermando

o che Ulpiano non si sarebbe occupato di indebito264 o che Paolo non

avrebbe fatto altro «che riassumere i termini della quaestio espressa nel

testo ulpianeo265»; altri, invece, giudicando alterati entrambi i passi, hanno

sostenuto che il frammento paolino riportasse l’opinione classica mentre

quello di Ulpiano il pensiero giustinianeo266.

di genere in diritto romano , cit., 213 s.); E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Le obbligazioni. Parte generale, cit., 359; G. GROSSO, Obbligazioni , cit., 204 s. 264 Ed inoltre non avrebbe affrontato la questione con lo stesso rigore logico di Paolo. Cfr. F. VASSALLI, Delle obbligazioni di genere in diritto romano, cit., 212 ss., che si riallaccia nella sostanza alle opinioni di A. ERXLEBEN, Die Condictiones sine causa, 2, Leipzig, 1853, 201 ss.; e di G. PESCATORE, Die sogenannte alternative Obligation, cit., 161 ss.; ID., Die Wahlschuldverhältnisse, cit., 52 nt. 15. 265 Cfr. M. BRUTTI, La problematica del dolo processuale, cit., 204 nt.62. 266 Cfr., per tutti, E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano: le obbligazioni, cit., 220 ss.; G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 205 s., e per il testo di Paolo, C. ARNÒ, Le obbligazioni divisibili e indivisibili, Modena, 1901, 256 ss. Più precisamente, in rapporto al passo paolino molti in dottrina ritengono che la frase aut in pendenti est, donec alius detur sia una aggiunta dei compilatori, i quali però non avrebbero eliminato la frase precedente, contenente la soluzione classica (statim repeti potest): così soprattutto E. ALBERTARIO, Corso, cit., 59 ss.; C.LONGO, Corso, cit., 64 ss.. Nello stesso senso, ma in modo più sfumato, vedi anche G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 203 ss., secondo il quale “la frase aut in pendenti-detur risente certamente di un rimaneggiamento del passo, seppure non è interamente spuria. In ogni modo la soluzione di Paolo è chiara: egli ammette la condictio immediata”. Dalla differente interpretazione del parere di Paolo in D. 45, 1,2,1 discende poi la varietà di opinioni circa il modo di coordinare quel passo con il parere di Ulpiano ora in esame. La dottrina più risalente (H. DONELLUS, Commentarii de iure civili, vol. 10, Norimberga, 1827, § 20, 292 s.; K. A. VANGEROW, Lehrbuch der Pandekten, III, Marburg-Leipzig, 1869, § 567, nt. 2, 13) appianava ogni possibile incongruenza ipotizzando che Raolo prendesse in considerazione l’ipotesi in cui la prestazione parziale di uno schiavo fosse immediatamente seguita dalla prestazione integrale di un altro schiavo: solo in questo caso Paolo avrebbe accordato l’immediata condictio per la prestazione parziale; in assenza di una contestuale prestazione di un altro schiavo la sua soluzione sarebbe stata uguale a quella di Ulpiano (aut in pendenti est, donec alius detur). Già G. PESCATORE, Die sogenannte alternative Obligation, cit., 162 ss., riteneva però che tale interpretazione del testo di Paolo fosse arbitraria e che sia Paolo sia Ulpiano accordassero una condictio immediata per la ripetizione del pagamento parziale, salvo che il creditore avrebbe potuto opporre un diritto di ritenzione fino al momento della prestazione integrale. Egli considera decisivo, a dimostrazione dell’esistenza di un diritto di ritenzione una analogia con Ulp. D. 12, 6. 26, 4. All’opinione di Pescatore aderisce in un primo momento F. VASSALLI, Delle obbligazioni, cit., 213 ss., rilevando che il contrasto tra il testo di Ulpiano e quello di Paolo è solo apparente, salvo poi (ID., Miscellanea, cit., 493 s.) mostrarsi dell’idea che una divergenza fra i due testi non può negarsi, e che essa dipenderebbe dal rimaneggiamento subito dal testo ulpianeo, interpolato a partire da in pendenti habendum

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an liberaretur, di modo che in tale testo sarebbe contenuta la regola di diritto giustinianeo (Ulpiano avrebbe detto, come Paolo, che il debitore poteva ripetere immediatamente la prestazione parziale. Ciò sarebbe provato dalla risposta di Celso e Marcello alla quaestio sulla efficacia liberatoria di tale pagamento: non peremi partem dimidiam obligationis. Esclusa l’efficacia liberatoria del pagamento, la risposta non sarebbe potuta essere che una, e cioè che i cinque sarebbero pagati causa data, causa non secuta, e che quindi spetterebbe subito la condictio. Ma a questo punto comincerebbe l’interpolazione, con la frase in pendenti habendum an liberaretur, che contraddice il precedente non peremi partem dimidiam obligationis). E. ALBERTARIO, Corso, cit., 60 s., ipotizza l’interpolazione del testo ulpianeo da ideoque eo a solverentur (perché il pagamento parziale non è una solutio e siccome il debitore conserva la scelta fino alla solutio sarebbe naturale che la condictio spetti statim; inoltre perché con la frase petique a b eo posse reliquia quinque aut Stichum il testo verrebbe ad accordare la scelta al creditore mentre essa spettava al debitore; infine perché vari indizi formali mostrerebbero l’intervento dei compilatori: così l’ideoque; la concordanza si praestiterit-si autem praestitisset; le costruzioni eum in pendenti habendum an liberaretur, comprobabit an solverentur; l’espressione posterior solutio, mentrela prestazione dei primi cinque non è una solutio). Anche C. LONGO, Corso, cit., 65 s. ritiene giustinianea la soluzione di Ulp. D.12,6 26,13, ritenendo giustificati i dubbi di Albertario sotto il profilo formale e rilevando inoltre che Ulp. D. 12,6,26,13 dovrebbe prevalere su Paul. D. 45,1,2,1 che non si trova nella sedes materiae propria della condictio indebiti. Contro l’ipotesi che il testo di Ulpiano riferirebbe la soluzione accolta da giustiniano si veda G. IMPALLOMENI, Note, cit., 86 s., nt.13, il quale giustamente rileva che se i compilatori fossero effettivamente intervenuti sul testo, si sarebbero preoccupati di correggere anche la frase finale (quamvis utroque-arbitrium daretur) dove è affermata la regola respinta da Giustiniano in C. 4,5,10. Se ne deve dedurre, secondo l’a., che anche su questo punto vi sia stata una disputa fra i giuristi classici: Come albertario e longo, anche G. Grosso, Obbligazioni, cit., 203 ss. pensa che il testo di Ulpiano contenga la soluzione valida per il diritto giustinianeo, ma pensa altresì che la assai probabile alterazione di D. 12,6,26,13 sia consistita in un taglio del discorso di Ulpiano, il quale avrebbe riferito diverse opinioni giurisprudenziali, opponendo alla soluzione favorevole a una condictio immediata, la diversa soluzione di altri giuristi. Il taglio operato dai compilatori potrebbe allora spiegare anche l’aut in pendenti est, donec alius detur del testo do Paolo ( D. 45,1,2,1) “che nel suo stato attuale non risponde alle esigenze di un Ragionamento logico”, e che tutt’al più, secondo Grosso, si sarebbe potuto spiegare se paolo avesse detto che “l’effetto della prestazione era in pendenti per l’eventualità di successivo adempimento dell’altra parte della prestazione”. A questa idea è stato obiettato che la formulazione di Paolo potrebbe spiegarsi intendendo l’effetto della prestazione spiegarsi intendendo l’effetto della prestazione come pendente donec alius detur e che l’alternativa posta da Paolo altro non farebbe quindi che riassumere i termini della quaestio poi espressa nel testo ulpianeo (M. BRUTTI, La problematica, I, cit., 240, nt. 62). G. SEGRE’, Corso di diritto romano. Le obbligazioni divisibili e indivisibili. (Contributo alla dottrina dell’oggetto dell’obbligazione), Iª parte, Torino, 1932, 66, rilevato il conflitto fra le due soluzioni contenute nel testo di Paolo, e ritenendo quindi che una delle due non possa essere genuina, ritiene invece classica la seconda (aut in pendentiest, donec alius detur), la quale oltretutto è conforme a quella contenuta in Ulp. D. 12,6,26,13. C. FERRINI, voce Obbligazione, cit., 190 s., diversamente da tutti gli aa. finora citati, non ritiene che Paolo e Ulpiano siano partiti da un comune presupposto, secondo il quale la solutio parziale non sarebbe liberatoria. Secondo Ferrini, una antitesi sussiste tra il nondum in ulla parte stipulationis liberatio nata est di Paolo e l’in pendenti habendum an liberaretur di Ulpiano. Le due proposizioni esprimerebbero due diverse prospettive, ritenendo Paolo che con la prestazione parziale non si è fatto nulla, e Ulpiano invece che si è fatto qualcosa, ma non di definitivo. Da questi due diversi punti di vista sarebbe dunque naturale che Paolo deduca la ripetibilità immediata della prestazione parziale, salvo che il debitore preferisca lasciarla in pendenti, mentre Ulpiano, che ritiene pendente la liberatio, escluda la possibilità di una immediata

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La dottrina più recente267 si è invece mostrata poco incline a risolvere la

divergenza tra le soluzioni offerte nei due testi ipotizzandone il

rimaneggiamento bizantino, escludendo altresì che in essi si possa leggere

l’attestazione di due diverse opinioni268. Entrambi i giuristi, infatti,

partendo dal presupposto che la condictio, per essere esperita, richiede il

concorso dell’indebito e dell’errore269, stanno affrontando il problema della

ripetibilità della prestazione parziale, solo che, mentre Paolo perviene alla

soluzione in modo diretto e con rigore logico270, Ulpiano vi giunge in

modo più articolato. Per ambedue i giuristi sembra essere pacifico che il

pagamento parziale non estingue, nemmeno per una quota, l’obbligazione

e pertanto non importa proporzionalmente la liberazione del debitore, al

quale Paolo e Ulpiano accordano la possibilità di ripetere l’oggetto prestato

parzialmente, subordinando però l’ammissibilità della condictio indebiti

all’accertamento dell’errore da parte del debitore. Per Paolo, che esordisce

sostenendo la mancata liberazione parziale del debitore per passare subito

dopo a considerare i casi in cui vi è un indebito, la presenza di quest’ultimo

in concorso con l’errore risulta già evidente nel caso in cui il debitore,

dopo aver eseguito la prestazione parziale, richiede immediatamente la

ripetizione della prestazione parziale. Sull’espressione in pendenti che ricorre nei due testi vedi C. GIOFFREDI, ‘Pendenza’ e ‘sospensione’ dalle fonti romane alla dommatica odierna, in SDHI, 22, 1956, 118 s. e 122, che ne sottolinea il carattere non tecnico. 267 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 83. A favore della sostanziale genuinità del testo di Ulpiano cfr. già I.VON KOSCHEMBAHR - LYSKOWSKI, Die condictio als Bereicherungsklage im Klassischen römischen Recht, 1, Weimar, 1903, 111; E. NARDI, Studi sulla ritenzione in diritto romano, 1, Milano, 1947, 43 nt.1; A. B. SCHWARZ, Die Grundlage der condictio, cit., 27 s., 30, 33; M. BRUTTI, la problematica del dolo processuale, 1, cit., 239 s. 268In tal senso invece v. G. B. IMPALLOMENI, Note sull’adempimento dell’obbligazione alternativa, cit., 272 nt.13. 269 Secondo l’opinione tradizionale, che pare ancora la più attendibile, già in epoca classica per l’esperimento della condictio era richiesto il concorso dell’indebito e dell’errore. 270 Il perfetto rigore logico della decisione di Paolo è già stato evidenziato in dottrina. Cfr. supra nt.274.

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condictio271, per cui si dice che statim repeti potest. Se invece la richiesta

non è stata immediata, seguendo il ragionamento paolino, non vi sono

elementi per affermare che il debitore ha effettuato una prestazione

indebita per errore, potendo egli intendere la prestazione parziale come

anticipo di quella definitiva. La condictio pertanto rimane in pendenti

finchè l’errore non sia risultato definitivamente e cioè fino a quando il

debitore non abbia eseguito l’altra prestazione.

Diversa la scansione argomentativa nel passo ulpianeo: anziché collegare

subito l’esperibilità della condictio all’indebito, il giurista severiano si

sofferma preliminarmente sull’effetto liberatorio dell’adempimento

parziale. Invocando l’autorità di Celso e Marcello, Ulpiano esclude

l’operatività di detto effetto affermando che la liberazione del debitore

deve intendersi in pendenti, dipendendo dall’integrazione della prestazione

parzialmente già effettuata o dall’esecuzione dell’altra prestazione. In

quest’ultimo caso oltre alla liberazione del debitore si sarebbe avuta una

situazione di indebito per la prestazione già parzialmente effettuata, che

conseguentemente si sarebbe potuta ripetere. Di qui la constatazione di

Ulpiano sic posterior solutio comprobabit, priora quinque utrum debita an

indebita solverentur: è evidente, infatti, che l’eventuale esecuzione

dell’altra prestazione, piuttosto che il completamento di quella

parzialmente già eseguita, avrebbe costituito una prova inequivocabile del

concorso dell’errore e dell’indebito.

Dunque Ulpiano, «partendo dalla stessa premessa di Paolo, ma facendo un

discorso più ampio che lo porta a guardare l’ipotesi di adempimento

parziale unicamente sotto il profilo della liberazione del debitore, non può

271 Una richiesta immediata (statim) della condictio, infatti, non può non essere il risultato della consapevolezza di un errore commesso: ci si accorge di avere effettuato una prestazione non dovuta oppure non voluta e se ne richiede subito la restituzione.

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che ammettere la condictio solo quando il debitore ha eseguito l’altra

prestazione integralmente. Sic posterior solutio…si legge infatti nel testo,

cioè si usa un’espressione la cui formulazione evidenzia chiaramente come

fosse la situazione considerata a richiedere il differito esperimento della

condictio. Proprio perciò non è lecito escludere che il giurista ritenesse in

generale possibile272 anche l’immediata ripetizione della prestazione

parziale»273.

Che Ulpiano non escludesse l’alternativa possibilità, espressamente

ammessa da Paolo, o di ripetere statim la prestazione parziale o di ripeterla

dopo l’esecuzione dell’altra prestazione era del resto già stato intuito274: la

tesi testè illustrata ha però l’innegabile merito di argomentare tale assunto

restituendo la classicità del testo.

272 Cioè al di fuori della situazione considerata. 273 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 85. 274Già Vassalli (Nuove osservazioni sulle obbligazioni alternative generiche, cit., 493) aveva sottolineato come dalle prime proposizioni risultasse chiaro che Ulpiano, al pari di Paolo, doveva insegnare che, prestata parte di uno degli oggetti dell’alternativa, il debitore poteva immediatamente ripetere quanto pagato. E lo dimostra la risposta, a conforto della quale si invoca l’autorità di Celso e di Marcello, alla questione sulla efficacia liberatoria del pagamento parziale: pagati i cinque dei dieci alternativamente promessi, non si estingue per metà l’obbligazione (non peremi partem dimidiam obligationis). Se, dunque, si esclude ogni efficacia liberatoria del pagamento, secondo Vassalli «l’illazione per la questione proposta an possim ulla condicere non può essere che una: i cinque furono pagati “causa data, causa non secuta” e spetterà dunque, tosto, la relativa condictio». Ma a questo punto il ragionamento ulpianeo, fino ad allora dispiegato in maniera articolata e consequenziale, giusta l’autorevole opinione, si interrompeva, soggiungendosi, con brusca contraddizione: in pendenti habendum an liberaretur (cfr. non peremi partem dimidiam obligationis!). A sostegno dell’ipotesi interpolazionistica venivano addotte ragioni di carattere prevalentemente formale, tra cui anzitutto la presenza dell’avverbio ideo(que), giudicato insiticio in quanto avrebbe raccordato malamente lo sviluppo del pensiero. Superando le riserve formulate da Albertario (Corso di diritto romano: le obbligazioni, cit., 220 s.) in ordine alla classicità di D. 45, 1, 2, 1 Vassalli aveva invece sostenuto la genuinità del testo paolino che, collocato fuori dalla sedes materiae ben poteva essere sfuggito all’interpolazione, verosimilmente in quanto le parole aut in pendenti est, donec alius detur avrebbero mostrato «al molto affrettato esame del compilatore, un’apparente coincidenza con la sentenza del fr. 26 § 13 de cond. ind.» (Così F. VASSALLI, op.cit., 494 ).

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I passi riportati e le regole ivi enunciate circa la prestazione parziale

riguardano il caso di promessa alternativa in cui, in difetto di qualunque

statuizione in merito alla scelta, essa deve intendersi accordata al debitore.

Con riferimento invece all’ipotesi di scelta riservata al creditore, le fonti

sembrano ammettere la possibilità che egli agisca validamente chiedendo

pro parte una delle prestazioni:

D. 46, 8, 17 (Marc. 21 dig.): Cum debitore decem creditoris nomine

Titius275 egit: partem petitionis ratam habuit dominus. Dicendum est

obligationis partem consumptam, quemadmodum si decem stipulatus esset

aut exegisset creditorque non totum, sed partem gestae rei comprobasset.

Idcirco si ex stipulatu ‘decem aut Stichum utrum ego voluero’ absente me

Titius domino quimque petisset, insecuta ratihabitione recte actum videri.

Il frammento prende in considerazione l’ipotesi di ratifica parziale da parte

del creditore dell’operato di Titius (che aveva agito creditoris nomine) e

ne fa conseguire l’estinzione parziale dell’obbligazione. Tale effetto si

produce, naturalmente, a valle del riconoscimento della validità della

ratihabitio parziale, la quale soltanto può sanare la richiesta del

procuratore di una parte di una delle prestazioni alternativamente dedotte

in obbligazione.

In dottrina276 si ritiene di poter desumere dal testo che con la richiesta pro

parte di una delle prestazioni il creditore fissasse definitivamente la scelta

275 Ad avviso di Solazzi (Procuratori senza mandato, in RIL, 56, 1923, 740, ora in Scritti di diritto romano, 2, Napoli, 1957, 575 s.; Ancora procuratori senza mandato, in RIL, 57, 1924, 310, ora in Scritti di diritto romano, 2, cit., 614) il termine Titius avrebbe sostituito nel frammento «procurator». 276 Cfr., per tutti, C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 75; G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 206.

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su un oggetto277, di talchè il debitore avrebbe potuto adempiere solo con la

prestazione prescelta dal creditore. Vero è, peraltro, che il testo sembra

porre l’accento non sul significato da assegnare alla scelta - e dunque sul

suo carattere eventualmente definitivo - bensì sugli effetti che discendono

dal proiettarsi di quest’ultima sul piano processuale, attraverso la richiesta

di una parte della prestazione o nella ratifica della stessa. Nella fattispecie

in esame, in cui il creditore agisce in giudizio chiedendo pro parte una

delle prestazioni, ciò che sembra volersi mettere in rilievo è che con la litis

contestatio su quella parte si deduce parzialmente in giudizio

l’obbligazione, determinandone l’estinzione. In buona sostanza si darebbe

luogo, proporzionalmente, allo stesso effetto che senza limitazione è

previsto in

D. 3, 3, 66 (Pap. 9 quaest.): Si is qui Stichum vel Damam, utrum eorum

ipse vellet, stipulatus est et ratum habeat, quod alterum procuratorio

nomine Titius petit, facit, ut res in iudicium deducta videatur, et

stipulationem consumit278.

Una volta verificatasi l’estinzione parziale dell’obbligazione alternativa

con l’esecuzione pro parte di una delle prestazioni, si può ragionevolmente

ritenere che la completa estinzione del rapporto conseguisse all’esecuzione

277 La medesima dottrina giustifica tale conclusione sottolineando che Marcello riferisce di una stipulatio utrum voluero, in cui non era possibile mutare la scelta. Di contro peraltro si evidenzia (A. S. SCARCELLA, 88) che nel caso di specie si tratta di una precisazione irrilevante, come si evince dal confronto con D. 3, 3, 66 (per il testo cfr. infra),in cui si considera l’ipotesi di stipulazione alternativa con scelta riservata al creditore in virtù della formula utrum eorum ipse vellet. 278 Carlo Longo (Corso di diritto romano, cit., 75) osserva giustamente al proposito «che la deductio in iudicium (cioè la contestazione della lite), operata o ratificata dal creditore relativamente ad uno degli oggetti stipulati, stipulationem consumit (intendi: non riduce o trasforma in semplice l’obbligazione alternativa, ma la estingue per consumazione processuale…)».

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della parte restante della prestazione già parzialmente effettuata: questa

infatti sarebbe stata la soluzione più conforme alla struttura

dell’obbligazione alternativa279, anche se forse non l’unica possibile, atteso

che le fonti, in questo caso, non sembrano negare al debitore la possibilità

di adempiere con metà dell’altra prestazione280. Se un divieto infatti si può

configurare, esso riguarda il creditore, il quale non avrebbe potuto

pretendere dal debitore parte di una prestazione e parte di un’altra.

In tal senso depone chiaramente il dettato di

D. 30, 8, 2 (Pomp. 2 ad Sab.): Si ita legatum sit: «lecticarios octo aut pro

his in homines singulos certam pecuniam, utrum legatarius volet», non

potest legatarius partem servorum vindicare, pro parte nummos petere,

quia unum in alterutra causa legatum sit, quemadmodum si olei pondo

quinquaginta aut in singulas libras certum aes legatum sit: ne aliter

observantibus etiam uno homine legato diviso concedatur281. Nec interest,

divisa ea summa an iuncta ponatur: et certe octo servis aut pro omnibus

certa pecunia legata non posse invitum haeredem partem pecuniae, partem

mancipiorum debere.

Pomponio esclude espressamente la possibilità per il creditore che abbia

richiesto giudizialmente una parte dei servi, di pretendere successivamente

l’adempimento con parte del denaro; il debitore, infatti, non avrebbe potuto

279 Che di regola si estingue con l’esecuzione per intero dell’una o dell’altra prestazione. 280 V. C. FERRINI, Manuale di Pandette, Milano, 1953, 415; A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 90. 281 Il tratto «ne aliter…concedatur», giudicato interpolato da Beseler (Romanistische Studien, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, 10, 1930, 202 ss. ), senza l’indicazione di una precisa ragione, non si può espungere per il solo fatto che non risulta necessario per la comprensione del frammento. In questo senso cfr. M. BRETONE, Note minime su Celsus filius, in Labeo, 9, 1963, 337 nt. 22.

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essere indotto contro la sua volontà (invitum) a prestare partem pecuniae,

partem mancipiorum.

E precisamente la puntualizzazione contenuta nella parte finale del

frammento e volta ad escludere la configurabilità della situazione in esame

invitum heredem, cioè per scelta del creditore, ha offerto lo spunto

esegetico per una riflessione complessiva sul regime dell’obbligazione

alternativa. Si è infatti sostenuto, argomentando a contrario, che il

debitore, dopo essersi parzialmente liberato eseguendo parte della

prestazione richiesta, ove non gli fosse stata domandata la parte restante

della stessa avrebbe potuto liberamente adempiere con la metà di una delle

due prestazioni a sua scelta. La difformità di disciplina che discende dal

riconoscimento dell’efficacia estintiva dell’adempimento parziale nella

sola ipotesi di scelta spettante al creditore282 è stata giustificata in

considerazione dell’interesse fondamentale che i giuristi romani

intendevano proteggere con il ricorso all’obbligazione alternativa:

l’interesse (del creditore) all’acquisto di una delle due cose in alternativa

(fin tanto che era possibile). Nel caso, infatti, di scelta del debitore, detto

interesse avrebbe potuto essere compromesso da un’estinzione parziale

dell’obbligazione conseguente all’adempimento pro parte di una delle

prestazioni. Ciò, infatti, avrebbe comportato la concentrazione

dell’obbligazione su un oggetto, impedendo al creditore di godere di quella

diminuzione del rischio del perimento cui l’alternatività funzionalmente si

ricollega. Diversamente, quando la scelta spettava al creditore, cioè a colui

che aveva interesse all’acquisto di una delle due cose in alternativa, ed egli

avesse richiesto l’adempimento parziale di una delle prestazioni, sulla

282 L’efficacia estintiva dell’adempimento parziale deve invece essere esclusa quando l’electio è riservata al debitore, come è chiaramente emerso dall’esegesi condotta su D. 45, 1, 2, 1 (Paul. 12 ad Sab.) e 12, 6, 26, 13 (Ulp. ad ed. ).

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scorta delle fonti a nostra disposizione non sembra possibile escludere che

da ciò discendesse l’estinzione parziale dell’obbligazione e la perdita da

parte del creditore della facoltà di scelta. Poiché la scelta concretizzatasi

nella richiesta giudiziale non mirava alla concentrazione dell’obbligazione,

bensì all’estinzione, il creditore non avrebbe poi potuto pretendere che il

debitore per liberarsi adempisse parzialmente all’altra prestazione, potendo

quest’ultimo scegliere, fintantoché fosse stato possibile, se adempiere con

la parte restante della prestazione già parzialmente eseguita o con la

parziale esecuzione dell’altra prestazione283.

Come si vedrà, questa ipotesi interpretativa in tema di adempimento

parziale sembra trovare conforto nella (/sembra avvalorata/accreditata dalle

regole) disciplina dell’acceptilatio parziale.

2. Segue: in ipotesi di pluralità di debitori o creditori

L’obbligazione alternativa si estingue per pagamento quando sia adempiuta

l’una o l’altra delle prestazioni in essa dedotte: «l’obbligazione di dare

dieci o Stico sarà adempiuta colla dazione dei dieci o con quella di Stico,

ma non già col dare cinque e metà di Stico»284.

Questo elementare concetto si riflette, come si è visto, sia sul pagamento

del debitore che ha la scelta (cfr. D. 45, 1, 2, 1-2; D. 12, 6, 26, 13-14; D.

45, 1, 85, 4; D. 31, 15), sia sulla domanda del creditore cui quella sia

riservata (cfr. D. 30, 8, 2).

283 Così A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 92. 284 G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 202.

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Ma la regola per cui si deve prestare l’uno o l’altro oggetto per intero e

non si può efficacemente prestare parte dell’uno e parte dell’altro si applica

naturalmente anche in ipotesi di pluralità di debitori o creditori: in questi

casi, la prestazione divisibile potrà essere adempiuta pro rata dai diversi

debitori o verso i diversi creditori soltanto eseguendo pro parte la stessa

prestazione, così che sarà necessario «l’accordo (o la coincidenza) dei

debitori o, rispettivamente, dei creditori285».

Ciò è quanto si desume dai seguenti testi:

D. 31, 15 (Cels. 6 dig.): Si quis duobus heredibus institutis ita legaverit:

«Stichum aut decem heredes danto », non potest alter heredum quinque,

alter partem Stichi dare, sed necesse est utrumque aut Stichum totum aut

decem solvere.

D. 46, 3, 34, 1 e 10 (Iul. 30 dig.): si duo rei stipulandi hominem dari

stipulati fuerint et promissor utrique partes diversorum hominum dederit,

dubium non est, quin non liberetur, sed si eiusdem hominis partes utrique

dederit, liberatio contingit, quia obligatio communis efficiet, ut quod

duobus solutum est, uni solutum esse videatur, nam ex contrario cum duo

fideiussores hominem dari spoponderint, diversorum quidem hominum

partes dantes non liberantur: at si eiusdem hominis partes dederint,

liberantur.

Si decem aut hominem dari stipulatus fuero et duos fideiussores accepero

Titium et Maevium et Titius quinque solverit, non liberabitur, priusquam

285 Arg. D. 10, 2, 25, 17 (per il testo v. oltre): v. G. GROSSO, op.e loc. ult. cit.

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maevius quoque quinque solvat: quod si Maevius partem hominis solverti,

uterque obligatus remanebit286.

L’impossibilità di eseguire per partes importa difficoltà particolari

allorquando all’oggettiva complessità dell’obbligazione si salda quella

soggettiva. Se la scelta spettava al debitore, tali difficoltà non erano

insormontabili, giacchè «poteva sempre sopperire la discrezionalità

dell’officium iudicis indotta dall’intentio al quid quid facere dare

oportere287». Così, ad esempio, sarebbe avvenuto nel caso in cui uno dei

286 Nello stesso senso depone chiaramente anche la testimonianza di D. 12, 6, 26, 14 (Ulp. 26 ad ed.): Idem ait et si duo heredes sint stipulatoris, non posse alteri quinque solutis alteri partem Stichi solvi: idem et si duo sint promissoris heredes, secundum quae liberatio non contingit, nisi aut utrique quina aut utrique partes Stichi fuerunt solutae. 287 V. M. TALAMANCA, 46 nt. 301. La formulazione dell’intentio è peraltro dubbia. Stando a quanto asserisce Gaio nella parte finale di 4,53 d (itaque sicut ipsa stipulatio concepta est, ita et intentio formulae concipi debet), sembrerebbe che l’intentio dovesse essere concepita allo stesso modo della stipulatio, dovesse cioè essere formulata alternativamente, per ipotesi: Si paret Nm Nm Ao Ao decem aut Stichum dare oportere (cfr. anche I.4,6,33 d). L’idea parrebbe poi trovare conferma in alcuni testi, nei quali è descritta in termini di alternatività la pretesa del creditore. Così, ad esempio, come rileva G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 187, in D. 2,14,27,6 (Paul. 3 ad ed.): Sed si stipulatus decem aut Stichum de decem pactus sim et petam Stichum aut decem: exceptionem pacti conventi in totum obstaturam: …; ma anche in D. 12,6,26,13 (Ulp. 26 ad ed.), dove, nel caso in cui il debitore di dieci o Stico abbia pagato cinque, si stabilisce che il creditore può ab eo petere reliquia quinque aut Stichum. Sulla base di Ulp. 22 ad ed. D. 45, 1, 75, 8, testo nel quale Ulpiano si domanda se la stipulatio di dieci o Stico debba essere considerata una stipulatio certi o incerti, distinguendo a tale riguardo l’ipotesi in cui nella stipulatio lo stipulante abbia o meno riservato a sé la scelta, per concludere che lo stipulante, quando non si riserva la scelta, stipula un incertum, si potrebbe invece pensare che l’azione idonea a far valere la pretesa del creditore fosse una actio ex stipulatu incerti. Il passo è ritenuto interpolato da F. VASSALLI, Miscellanea critica di diritto romano (fascicolo III), [già in Studi economici e giuridici della regia università di Cagliari, 1916], ora in Studi giuridici, III, 1, Milano, 1960, 489, secondo il quale l’insegnamento per cui la stipulatio sarebbe certa nel solo caso di scelta del creditore non può derivare da un giurista classico. Vassalli ritiene infatti che “l’alternativa, indipendentemente dal fatto che la scelta sia riservata al creditore, è una ‘stipulatio certa’, dà luogo cioè a una formula ‘certa’: è confermato da Gaio, il quale, dopo aver avvertito, nella trattazione della plus petitio causa, che in caso di alternativa per evitare la plus petitio ‘sicut ipsa stipulatio concepta est, ita et intentio formulae concipi debet’, soggiunge: ‘Illud satis apparet in incertis formulis plus peti non posse, quia rell.’ (4,54)”. G. BESELER, in ZSS, 45, 1925, 434, ipotizza invece che l’enunciato conclusivo di Gai. 4,53 d (itaque sicut-concipi debet) costituisca una glossa dal contenuto non corretto: sarebbe infatti impossibile redigere l’intentio allo stesso modo della stipulatio per chi agisce con una actio ex stipulatu con formula incerta (quidquid). G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 187, ritenendo dubbia la congettura di Beseler e ardita l’ipotesi di interpolazione di Vassalli, pensa invece che i

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debitori noluerit consentire, ut praestetur, quem solvi omnibus

expediebat288 e il creditore avesse convenuto in giudizio i debitori, ipotesi

per cui D. 10, 2, 25, 17 statuisce: et ideo conventi a legatario iudicio pluris

damnati fuerint.

«Maggiori problemi poteva far insorgere il caso di scelta deferita a più

creditori», i quali avrebbero dovuto richiedere tutti la medesima

prestazione, ma in caso di disaccordo non si ha notizia, per il periodo

classico, del ricorso a mezzi coattivi per ottenere la concentrazione su una

sola prestazione289. D. 10, 2, 25, 17, che riguarda il legato generico, compilatori abbiano troncato il passo di ulpiano, secondo grosso, infatti, il riferimento di Ulpiano alla stipulatio incerti per il caso in cui la scelta sia del debitore non va necessariamente inteso nel senso che la pretesa debba esseree avanzata con actio ex stipulatu incerti, Ulpiano non avrebbe dubitato che nel caso di due prestazioni certe “l’intentio mirasse a illud aut illud. Si rilevi il modo in cui si afferma che, se lo stipulante si riserva la scelta, in ogni modo potest videri certum stipulatus, cum ei liceat vel hominem tantum vel decem tantum intendere sibi dari oportere. Parrebbe che nell’altro caso i dubbi dipendessero dal fatto che l’intentio era redatta alternativamente; e su questa base doveva svolgersi l’ulteriore ragionamento di Ulpiano, che i compilatori hanno troncato coll’affermazione: qui vero sibi electionem non constituit incertum stipulatur”. In senso analogo G. SACCONI, La «pluris petitio» nel processo formulare. Contributo allo studio dell’oggetto del processo, Milano, 1977, 146 ss.. l’a. inoltre ritiene infondata l’ipotesi di Beseler, perché nella frase sospetta Gaio afferma solo che il tenore dell’intentio deve corrispondere a quello della stipulatio, ma non qualifica come certa né l’intentio, né la stipulatio. Anche sotto il profilo della identificazione del contenuto della stpulatio, dunque, dovrebbe escludersi un contrasto di opinioni tra Gaio e Ulpiano. Un tale contrasto è invece ipotizzato da G. PROVERA, Corrispondenze tra stipulatio e intentio. (Riflessioni su Gaio, 4, 53d), in Annali Camerino, 21. II, Milano, 1955, 205 ss., secondo il quale Gaio, ponendo l’accento sul fatto che entrambe le prestazioni erano specificamente determinate (arg. Gai. D. 45, 1, 74), avrebbe concepito come certa la stipulatio alternativa e avrebbe superato la difficoltà rappresentata dalla scelta del debitore ammettendo che l’attore inserisse nell’intentio certa le due prestazioni alternative (che questo fosse il pensiero di Gaio sarebbe poi confermato dalla Parafrasi di Teofilo, 4,6,33d); Ulpiano, invece, sottolineando che al momento della pretesa era incerto quale prestazione sarebbe stata dovuta, avrebbe ritenuto incerta la stipulatio, e di conseguenza anche la relativa intentio. A favore dell’actio ex stipulatu incerti si vedano M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, cit., 520 (e ID., Elementi di diritto privato romano, Milano, 2001, 264); C. A. CANNATA, Corso di Istituzioni di diritto romano,II. 1, Torino, 2003, 212. 288 Cfr. D. 10, 2, 25, 17 (Paul. 23 ad ed.): Si incerto homine legato et postea defuncto legatario, aliquis ex heredibus legatarii non consentiendo impedierit legatum, is qui impedit hoc iudicio ceteris quanti intersit eorum damnabitur. Idem est, si e contrario unus ex heredibus, a quibus generaliter homo legatus est quem ipsi elegerint, noluerit consentire, ut praestetur quem solvi omnibus expediebat, et ideo conventi a legatario iudicio pluris damnati fuerint. 289 Solo con Giustiniano e nel caso di legatum optionis, per ottenere la scelta di una sola prestazione fu disposto, in C I. 6, 43, 3, 1, che rei iudicem fortunam esse, sortem etenim

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prevede soltanto la responsabilità del coheres legatarii dissenziente che

impediva/sce l’attuazione del legato, «ma un mezzo come il iudicium

familiae erciscundae non era sempre ipotizzabile»290.

3. Acceptilatio

Per quanto concerne le altre modalità di estinzione dell’obbligazione

adeguata attenzione merita anzitutto l’acceptilatio che, nella sua forma più

consueta di acceptilatio verbale291, rappresentava, come è noto, un modo

formale di estinzione delle obbligazioni nascenti verbis (cioè da stipulatio).

Essa si sostanziava in una attestazione di pagamento (quod ego tibi promisi

habesne acceptum? Habeo) che, in origine, doveva essere necessaria per

sciogliere le obbligazioni verbali, in ossequio al principio del contrarius

actus per il quale al fine di eliminare una situazione giuridica occorreva

adottare una forma simmetricamente corrispondente a quella con cui la

medesima situazione era stata posta in essere. In seguito, con il

riconoscimento e la valorizzazione, a scapito della forma, del risultato

sostanziale del pagamento, il quale venne ad assumere di per se stesso

efficacia liberatoria, l’acceptilatio si avviò ad essere configurata come atto

inter altercantes adhibendam, ut, quem sors praetulerit, is quidem habeat potestatem eligendi: in caso di discordia sarebbe dunque stata la sorte a decidere a chi sarebbe spettata la scelta. 290 M. TALAMANCA, Obbligazioni, cit., 46 nt. 301. 291 Sull’acceptilatio cfr., per tutti, S. SOLAZZI, L’estinzione della obbligazione, Napoli, 1931, 245 ss.; S. CUGIA, E�� ���� ��� �� �� ���� nella acceptilatio mutua interrogatio. Spunti bizantini sull’acceptilatio quale documento della quietanza dispositiva solenne, in Studi Bonolis, Milano, 1942, 247 ss.; A. GUARINO, Il problema dogmatico e storico del diritto singolare, in Annuario Diritto Comparato, 18, 1946, 58 ss, ora in Pagine di diritto romano, 6, Napoli, 1995, 56 ss.; D. LIEBS, «Contrarius actus», in Sympotica Wieacker, 1970, 111 ss.; C. KRAMPE, «An inutilis acceptilatio utile habeat pactum quaeritur», in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, 53, 1985, 3, ss.; S. A. MOLLA NEBOT, Extincion formal de las obligaciones verbales. La «acceptilatio», Madrid, 1993.

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contrario ormai ridotto a causa liberatoria non satisfattiva del creditore.

Essa aveva luogo quando il pagamento non era avvenuto, come remissione

formale di debito; di qui la definizione di imaginaria solutio, il cui effetto è

equiparato a quello della solutio, come risulta da D. 34, 3, 7, 1: acceptilatio

solutioni comparatur.

In rapporto all’obbligazione alternativa essa opera sostanzialmente come

l’adempimento, in quanto l’acceptilatio di una delle due cose

alternativamente dovute estingue l’obbligazione 292.

L’analogia così istituita sembra peraltro arrestarsi dinanzi alla soluzione

giulianea prospettata in D. 46, 4, 17 in tema di acceptilatio parziale:

D. 46, 4, 17 (Iul. 54 dig.): Qui hominem aut decem stipulatus est, si

quinque accepto fecerit, partem stipulationis peremit et petere quinque aut

partem hominis potest.

La decisione non sembra conforme ai principi sopra enunciati; considerato

che la communis opinio293 esclude l’idoneità della solutio parziale a

spiegare efficacia liberatoria la soluzione non può non apparire singolare. 292 Cfr. D. 2, 14, 27, 6 (Paul. 3 ad ed.): Sed si stipulatus decem aut Stichum de decem pactus sim et petam Sticum aut decem: exceptionem pacti conventi in totum obstaturam: nam ut solutione et petitione et acceptilatione unius rei tota obligatio solveretur, ita pacto quoque convento de una re non petenda interposito totam obligationem summoveri. Sed si id actum inter nos sit, ne decem mihi, sed Stichus praestetur , possum efficaciter de Sticho agere, nulla exceptione opponenda. Idem est et si de Sticho non petendo convenerit; D. 34, 3, 7, 1 (Ulp. 23 ad Sab.) in cui si legge: …quia acceptilatio solutioni comparatur, et quemadmodum, si Stichum solvisset, debitor liberaretur, ita et acceptilatione Stichi liberari; D. 46, 4, 13, 4 (Ulp. 50 ad Sab.): Si is, qui hominem stipulatus est, Stichum accepto tulerit Iulianus libro quinquagesimo quarto digastorum scripsit acceptilationem aliquid egisse tollisseque totam obligationem: quod enim invito stipulatori promissor solvere potest, id et acceptum latum liberationem pariet. 293Cfr., per tutti, F. VASSALLI, Delle obbligazioni di genere in diritto romano, cit., 212; ID., Nuove osservazioni sulle obbligazioni alternative e generiche, cit., 496 s.; A. GUARNIERI CITATI, Contributi alla dottrina della mora, in Annali Palermo, 11, 1923, 196 nt. 3: V. ARANGIO RUIZ, PSI.1182. Frammenti di Gaio, in Papiri greci e latini, 11, 1935, 49 ss., ora in Studi epigrafici e papirologici, 1974, 104; G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 209; M. TALAMANCA, Obbligazioni, cit., 46 nt. 304.

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Sulla base di D. 12, 6, 26, 13 (Ulp. 26 ad ed.), D. 45, 1, 2, 1 (Paul. 12 ad

Sab.) e D. 46, 3, 9, 1 (Ulp. 24 ad Sab.) è stato affermato che se il debitore,

a cui spetta la scelta tra due prestazioni, ne esegue parzialmente una, il

creditore gli potrà chiedere alternativamente o la parte restante della

prestazione già parzialmente adempiuta o l’altra prestazione e il debitore

potrà scegliere se integrare la prestazione eseguita o adempiere con l’altra e

in quest’ultimo caso, non avendo il pagamento parziale efficacia

liberatoria, condicere quanto già pagato.

Alla luce di queste premesse è stato osservato, con riguardo all’acceptilatio

di cinque, che Giuliano, nel frammento sopra riportato, avrebbe dovuto

dire: «il creditore chiede quinque aut hominem, e il debitore ha la facoltà

di liberarsi prestando i cinque o lo schiavo»294. Lo stato attuale del

frammento è stato pertanto giudicato alterato da Vassalli295, secondo cui

esso doveva originariamente esprimersi in altro senso: Qui hominem aut

decem stipulatus est, si quinque accepto fecerit partem stipulationis non

peremit et petere quinque aut hominem potest296.

Gli studi più recenti tendono peraltro a difendere la genuinità del testo, sia

pure sulla scorta di argomenti eterogenei. Ziliotto muove dal rifiuto del

tradizionale parallelismo che si istituisce tra solutio reale e solutio

immaginaria: se infatti in ipotesi di pagamento parziale occorre evitare che

il debitore possa liberarsi con due adempimenti parziali qualitativamnete

differenti, la cui somma non soddisfi l’interesse creditorio, diverso è il caso

in cui l’estinzione parziale dell’obbligaszione alternativa sia di natura non

294 Così G. GROSSO, loc. ult. cit. L’Autore osserva inoltre che «la soluzione per cui il debitore può liberarsi, non solo pagando gli altri cinque, ma anche prestando metà dello schiavo, non è neppure giustificata da ragioni di equità e di rispondenza alla presunta volontà delle parti». 295 Nuove osservazioni sulle obbligazioni alternative e generiche, cit., 497. 296 Nello stesso senso cfr. G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 209.

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satisfattiva. Ad avviso dell’Autrice non vi è ragione per negare una

estinzione parziale dell’obbligazione alternativa per effetto di acceptilatio

«posto che, estinta l’obbligazione per cinque o per mezzo Stico senza che

il creditore abbia ricevuto l’una o l’altra prestazione, il suo residuo

interesse creditorio potrà indifferentemente essere soddisfatto da una

prestazione di cinque o di metà Stico297».

Diversamente, Scarcella suggerisce di valutare il tenore del testo non

avendo a mente le disposizioni che escludono l’efficacia liberatoria della

solutio parziale nel caso di scelta del debitore, bensì tenendo presente che

nel caso di prestazione divisibile, quando la scelta spetta al creditore, come

nell’ipotesi prevista da D. 46, 4, 17, la solutio parziale estingue pro parte

l’obbligazione alternativa298.

Sia nel caso di solutio parziale che in quello di acceptilatio parziale di

un’obbligazione alternativa con scelta spettante al creditore la soluzione

prospettata dalle fonti appare del resto la più conforme alla natura del

rapporto, che, proprio in quanto volto al raggiungimento, in maniera più

certa rispetto all’obbligazione semplice, della soddisfazione del creditore,

non poteva, senza pregiudizio per lo stesso interesse di quest’ultimo, non

riconoscere efficacia giuridica alla sua volontà di accettare l’adempimento

parziale o di rimettere parzialmente il credito con l’intenzione di estinguere

appunto una parte dell’obbligazione. Con l’obbligazione alternativa i

giuristi romani miravano principalmente alla protezione dell’interesse del

soggetto attivo del rapporto all’acquisto di una delle due cose in alternativa

che, nel caso normale di scelta spettante al debitore, avrebbe potuto essere

frustrato da un adempimento parziale con efficacia parzialmente estintiva

297 P. ZILIOTTO, Studi, cit., 209. 298 Cfr. quanto già detto supra riguardo a D. 30, 8, 2.

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dell’obbligazione e conseguente concentrazione, perché il debitore avrebbe

ad esempio potuto legittimamente scegliere di adempiere eseguendo la

prestazione più facilmente deperibile. Invece, nel caso di scelta del

creditore, il suddetto interesse sarebbe risultato ugualmente protetto con

una solutio o acceptilatio parziale che, nell’ottica di tale soggetto, non

comportando concentrazione, poteva anche mirare ad agevolare

l’adempimento.

A sostegno di detta interpretazione si osserva che il pensiero di Giuliano

esposto nel frammento in esame collima con la concezione

dell’acceptilatio parziale che Ulpiano in D. 34, 3, 7 pr. attribuisce al

giurista adrianeo:

D. 34, 3, 7 pr.(Ulp. 23 ad Sab.): Non solum autem quod debetur remitti

potest, verum etiam pars eius vel pars obligationis, ut est apud Iulianum

tractatum libro trigesimo tertio digestorum.

E lo stesso giurista severiano in D. 46, 4, 13, 2 (Ulp. 50 ad Sab.) ribadisce:

…qui enim accepto facit, vel totum vel partem eius, quod stipulatus est…299

Argomenta, sul punto, Molla Nebot300: «Tal vez porque en èl se combinan

dos supuestos sobra los que separadamente existe contraposición de

criterios (como son la obligación alternativa y la liberación parcial), pero si

admitimos la aceptilación parcial, con todas las dificultades que entraña

299 Sul frammento, in relazione al concetto di pars in esso espresso, cfr. M. BRETONE, La nozione romana di usufrutto, 1, Napoli, 1962, 192 ss.; P. VOCI, Per la storia della novazione, in BIDR, 68, 1965, 175 ss.; S. TAFARO, “Pars rei” e “proprium quiddam”, in Labeo, 18, 1972, 199 nt. 25; C. BEDUSCHI, Fructus sine usu esse non potest. Contributo allo studio delle regulae iuris, in Studi Parmensi, 36, Milano, 1984, 54. 300 La «acceptilatio», cit., 144.

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compaginar un acto de liberación y la supervivencia de parte de la

obligación, no hay razón para que por misma abstracción juridica no

admitamos que la aceptilación parcial puede darse sobre la obligación

alternativa».

4. Pactum de non petendo

Altra forma di rimessione del debito301 è il pactum de non petendo, una

convenzione con cui il creditore si impegnava a non chiedere l’uno dei due

oggetti alternativamente compresi in obligatione.

Stabilire in quale caso ed in qual senso tale patto potesse all’uopo

funzionare è problema di non agevole soluzione, attesa l’esiguità delle

fonti in argomento: l’unico testo utile a renderci edotti sull’operatività del

pactum in rapporto all’obbligazione alternativa è infatti D. 2, 14, 27, 6.

D. 2, 14, 27, 6 (Paul. 3 ad ed.): Sed si stipulatus decem aut Stichum de

decem pactus sim et petam Stichum aut decem: exceptionem pacti conventi

in totum obstaturam: nam ut solutione et petitione et acceptilatione unius

rei tota obligatio solveretur, ita pacto quoque convento de una re non

petenda interposito totam obligationem summoveri. Sed si id actum inter

nos sit, ne decem mihi, sed Stichus praestetur, possum efficaciter de Sticho

agere, nulla exceptione opponenda. Idem est et si de Sticho non petendo

convenerit.

301 A differenza dell’acceptilatio, che è atto di rimessione estintivo ipso iure del rapporto obbligatorio, il pactum non estingueva il debito iure civili, ma generava un’exceptio che paralizzava l’azione del creditore. Sulla dicotomia tra i modi di estinzione ipso iure e quelli che operano per exceptionem cfr., per tutti, A. BURDESE, Manuale di diritto privato romano , Torino, 1993, 577 ss.

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Il tratto da nam ut solutione fino a nulla exceptione opponenda è espunto

come emblematico da Eisele-Krüger302; tuttavia anche ad emendare il

passo isolando tale brano la ricostruzione della soluzione contenuta nel

testo originario non risulta affatto agevole.

Il frammento paolino considera l’ipotesi normale di una stipulatio

alternativa in cui, in assenza di qualsiasi determinazione in ordine alla

scelta, essa deve intendersi accordata al debitore303 e affronta il problema

dell’efficacia di un patto, concluso in seno a tale stipulazione, con cui il

creditore abbia convenuto di non chiedere uno degli oggetti. Nel brano che

si congettura interpolato, il giureconsulto doveva quindi verosimilmente

spostare l’attenzione sulla fattispecie parallela di scelta deferita al

creditore304; i giustinianei avrebbero poi fatto opera di riassunto e

livellamento unificando la soluzione.

Ad ogni modo le maggiori difficoltà305 si dovevano presentare nell’ipotesi

di scelta spettante al debitore: il creditore, infatti, non avrebbe potuto

chiedere soltanto la prestazione in relazione alla quale il patto non era

302 I sospetti di interpolazione si alimentano di numerosi argomenti formali tra cui l’utilizzo dell’avverbio efficaciter e dell’ablativo assoluto in fine di periodo, alla greca: nulla exceptione opponenda. Decisive appaiono però le difficoltà di ordine sostanziale (su cui v. infra) cui il passo, nell’attuale versione, dà luogo e che la dottrina non ha mancato di rilevare. Cfr., per tutti, F. VASSALLI, Delle obbligazioni di genere in diritto romano, cit., 191; G. SEGRE’, Sull’efficacia del «pactum de non petendo», in Riv. dir. comm., 1, 1915, 1076 ss., ora in Scritti vari di diritto romano, Torino, 1952, 129 ss.; G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 211ss. 303 In senso conforme v. F. VASSALLI, Nuove osservazioni sulle obbligazioni alternative e generiche, cit., 495; C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 81; G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 211; J. RAMS ALBESA, Las obligaciones alternativas, cit., 62 e A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 99. Non ha raccolto consensi in dottrina la diversa opinione di Albertario (Corso di diritto romano: le obbligazioni, cit., 225). 304 Così congetturalmente G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 211. 305 Osserva infatti Grosso (Obbligazioni, cit., 210): «se la scelta spettava al creditore, la soluzione doveva essere semplice: se il creditore chiedeva la prestazione, che aveva pattuito di non chiedere , gli si opponeva l’exceptio pacti, la quale non si opponeva invece alla petitio dell’altra o di una delle altre prestazioni».

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operante senza incorrere nella pluris petitio. D’altro canto, se si riteneva

che il patto di non chiedere dieci – di cui all’esempio riportato da Paolo –

ostasse senz’altro all’azione diretta a chiedere Stichum aut decem, e si

accordava iure praetorio l’exceptio pacti conventi a tutela dell’affidamento

ricevuto col patto, «allora, per l’efficacia dell’exceptio nel processo

formulare, l’azione veniva paralizzata, e l’effetto del patto, nel diritto

classico, doveva essere quello che si legge attualmente nella prima

frase»306.

Ma questa soluzione, come ha riconosciuto Grosso, sarebbe stata

conseguenza di un’interpretazione rigorosa e formale delle espressioni

adoperate nel patto e dell’efficacia dell’exceptio nel regime formulare. Una

interpretazione più aderente alla presunta volontà delle parti avrebbe

dovuto portare ad intendere il patto piuttosto nel senso di rimettere

l’aggravio che l’alternatività determinava a carico del debitore

contestualmente alla correlativa riduzione per il soggetto attivo del

rapporto del rischio di perdita del credito per caso fortuito. E si noti –

soggiunge l’Autore – che il passo considerava proprio il «caso che si fosse

conchiuso il pactum de non petendo per i dieci, cioè per l’oggetto che non

poteva perire» (l’ipotesi inversa sarebbe stata aggiunta alla fine dai

compilatori). «Poiché un effetto in favore dell’attore (cioè quello che il

debitore perdesse la facoltà di prestare i dieci) non poteva essere

riconosciuto al patto (che del resto era concepito come pactum de non

petendo), ben poteva intendersi il patto come remissione per il caso che

l’obbligazione si concentrasse sui dieci. Ed allora all’azione diretta a

chiedere Stico o dieci, potendo essere prestato Stico, non si sarebbe dovuto

poter opporre l’exceptio. Ma, poiché il patto suonava nel senso di non

306 G. GROSSO, op. ult. cit., 211.

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chiedere i dieci, e poiché l’azione diretta a Stico o dieci conteneva la

richiesta dei dieci, come tali che erano in obligatione, …è ben probabile»

– secondo Grosso e come del resto già aveva congetturato Siber – «che

Paolo accordasse in ogni modo l’exceptio, affermando però che poteva

essere paralizzata da una replicatio, per il caso che Stico potesse essere

prestato (o anche, deve ritenersi, che fosse morto per colpa del debitore)».

Risulta chiara la trasformazione operata sul passo dai giustinianei: essi

impostano la questione puramente dal punto di vista dell’interpretazione

del patto, il quale viene equiparato alla solutio, alla petitio, all’acceptilatio

ed inteso nel senso di remissione totale, salvo che risulti la volontà di

concentrare l’obbligazione sull’altra prestazione, nel qual caso si potrà

chiedere quest’ultima.

5. Contrarius consensus

Sempre in tema di pacta adiecta una disciplina particolare trova

applicazione nell’ambito dei contratti consensuali. Di essa ci dà

testimonianza Paolo in

D. 18, 5, 4 (Paul. ad Iul. 8 dig.): Si emptio contracta sit togae puta aut

lancis, et pactus sit venditor, ne alterutrius emptio maneat, puto resolvi

obligationem huius rei nomine dumtaxat.

L’ipotesi considerata nel frammento è quella di una compravendita alla

quale, re adhuc integra, prima cioè che ne fosse stata intrapresa

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l’esecuzione, era stato aggiunto un patto307 mirante ad escludere

consensualmente l’alternatività dell’oggetto.

Come è stato ben osservato308, quello menzionato dal giurista severiano

non è un semplice pactum de non petendo, in grado di «fornire al debitore

soltanto la base per una eccezione (exceptio pacti conventi)» e quindi

inidoneo a «distruggere l’obbligazione nel senso rigoroso del termine»309;

si tratta piuttosto di una convenzione risolutoria capace di spiegare

efficacia iure civili, in virtù del principio per cui il vincolo si scioglie nello

stesso modo in cui è stato contratto, ovvero nel caso di specie, contrario

consensu310. L’ipotesi sembra essere presa in considerazione da Paolo

307Sull’inerenza dei patti ai bonae fidei iudicia cfr., per tutti, B. BIONDI, Iudicia bonae fidei, in Annali Palermo, 7, 1918, 3 ss.; A. STOLL, Die formose Vereinbarung der Aufhebung eines Vetragsverhältnisses im römischen Recht, in ZSS, 44, 1924, 1 ss.; G. GROSSO, l’efficacia dei patti nei bonae fidei iudicia, in Studi Urbinati, 1, 1927, 29 ss.; R. KNÜTEL, Die Inhärenz der exceptio pacti im bonae fidei iudicium, in ZSS, 84, 1967, 133 ss. 308 La congettura, risalente a De Ruggiero, è accolta dall’unanime dottrina: cfr., tra gli altri, E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano: le obbligazioni, cit., 222; G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 213; J. RAMS ALBESA, Las obligaciones alternativas, cit., 63. 309 V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, cit., 400. 310 Il contrarius consensus, quale convenzione diretta alla risoluzione dei contratti consensuali nel diritto romano, costituisce oggetto di una acuta monografia di Rolf Knütel: Contrarius consensus. Studien zur Vertragsaufhebung im römischen Recht, Köln – Graz, Böhlau, 1968. Il romanista, allievo di Kaser, già aveva pubblicato pressochè contemporaneamente, sulla Zeitschrift der Savigny Stiftung del 1967 (vol. LXXXIV, 133 ss.), un denso articolo su Die Inhärenz der exceptio pacti im bonae fidei iudicium: le due ricerche si presentano, almeno in parte, complementari. Nella prima l’Autore aveva sostenuto, soprattutto in opposizione alla contraria tesi a suo tempo prospettata da Grosso (L’efficacia dei patti nei «bonae fidei iudicia», in Studi Urbinati, 1, 1927, 29 ss. e 2, 1928, 1 ss. Efficacia dei patti nei «bonae fidei iudicia». Patti e contratti, Torino, 1928) e dallo stesso anche in seguito ripresa (Il sistema romano dei contratti, Torino, 1963, 178 ss.; Recensione a Knütel, Contrarius consensus, in SDHI, 34, 1968), la inerenza dell’exceptio pacti ai bonae fidei iudicia già per diritto classico. Nella successiva monografia, richiamandosi ai risultati di tale precedente ricerca e attraverso una penetrante revisione di tutta la materia relativa alla risoluzione dei contratti consensuali per contrarius consensus, l’Autore sviluppa la tesi, appena accennata in particolare da Kaser (Das römische Privatrecht, I, München, 1955, 537 s. e II, 202 s.), secondo cui, presupposto che la giurisprudenza classica abbia generalmente riconosciuto rilevanza al contrarius consensus senza necessità di ricorso alla proposizione formale di exceptio pacti in virtù della natura di buona fede dei giudizi instaurati sulla base dei contratti consensuali, già nel tardo diritto classico una dottrina di scuola sarebbe pervenuta a sussumere il contrarius consensus sotto l’antico principio del contrarius actus, afermandone quindi la operatività quale autonomo modo iure civili di risoluzione di detti contratti. V. A. BURDESE, Recensione a Knütel, Contrarius consensus, in Index, 2, 1971, 341 ss.

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soprattutto per chiarire che il patto non avrebbe determinato, nel caso di

mutamento dell’oggetto venduto311, la risoluzione definitiva del contratto e

la necessità di far ricorso ad una nuova conclusione, mirando tale

pattuizione esclusivamente alla trasformazione del rapporto contrattuale in

obbligazione semplice. La tesi pare suffragata dal raffronto con altri testi

ove sono prese in considerazione le modifiche di un altro elemento

essenziale della compravendita qual è il prezzo. Si fa riferimento, più

precisamente, a D. 18, 5, 3 (Paul. 33 ad ed.), D. 18, 5, 2 (Pomp. 24 ad Sab.)

D. 18, 1, 72 pr. (Paul. ad Pap. 10 quaest.) sulla cui base è stato osservato312

che il mutamento del prezzo re adhuc integra non costituirebbe un pactum

adiectum quanto piuttosto conclusione di un nuovo contratto sul

presupposto della risoluzione del precedente.

6. Concursus causarum

L’estinzione dell’obbligazione alternativa non sembra derivare invece dal

concursus causarum313, che ricorre quando il creditore ottiene la

311 Come invece in D. 18, 5, 3 (Paul. 33 ad ed.): Emptio et venditio sicut consensu contrahitur, ita contrario consensu resolvitur, antequam fuerit res secuta: ideoque quaesitum est, si emptor fideiussorem acceperit vel venditor stipulatus fuerit, an nuda voluntate resolvatur obligatio… 312 V. R. KNÜTEL, Contrarius consensus, cit., 80 ss. 313 Si tratta, com’è noto, di un modo di estinzione delle obbligazioni di cui è tuttora «controversa la ragione e di conseguenza l’estensione e lo sviluppo storico» (così S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, 2, Milano, 1928). In argomento si vedano, tra gli altri, a parte i lavori meno recenti di S. DI MARZO, Appunti sulla dottrina della causa lucrativa, in BIDR, 15, 1903, 91ss., e E. LEVY, Die Konkurrenz der Aktionem und Personen im klassischen römischen Recht, 1, Berlin, 1918, 453ss.; 2. 1, Weimar, 1962, 64ss., e le ricerche ormai classiche di C. FERRINI (Teoria generale dei legati e dei fedecommessi secondo il diritto romano con riguardo all’ attuale giurisprudenza, Milano, 1889, 606ss.; Intorno al ‘concursus causarum lucrativarum’, in RIL, 1891, 325ss., riprodotto in F. GLÜCK, Commentario alle Pandette, trad. it., 30-32, 2, Milano, 1901, 126ss. e ora anche in Opere, 3, Milano, 1929, 385ss.) e F. SCHULZ (Die Lehre vom ‘Concursus causarum’ im klassischen und justinianischen Recht, in ZSS, 38, 1917,

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prestazione che gli è dovuta dal debitore, anziché a titolo di pagamento «da

altri e per altra causa»314.

Si considerino due passi tratti dai Digesta di Giuliano:

D. 30, 82, 6 (Iul. 33 dig.): Cum mihi Stichus aut Pamphilus legati fuissent

duorum testamentis et Stichum ex altero testamento consecutus fuissem, ex

altero pamphilum petere possum, quia et si uno testamento Stichus aut

Pamphilus legati fuissent et Stichus ex causa lucrativa meus cactus fuisset,

nihilo minus Pamphilum petere possem.

D. 30, 84, 11 (Iul. 33 dig.): Si Titio Stichus aut Pamphilus, utrum eorum

malet, legatus est, deinde Pamphilum testator Titio donavit, Stichus in

obligatione remanet.

Da entrambi i frammenti si evince che, quando il creditore è divenuto

proprietario ad altro titolo lucrativo di uno degli oggetti dovuti,

l’obbligazione si concentra sull’altra prestazione.

Lo stesso effetto è contemplato dalle fonti anche nel caso in cui uno degli

oggetti dell’obbligazione sia pervenuto al creditore ex alia causa, cioè

indifferentemente a titolo lucrativo o oneroso:

D. 45, 1, 16 pr. (Pomp. 6 ad Sab.): Si Stichum aut Pamphilum mihi debeas

et alter ex eis meus factus sit ex aliqua causa, reliquum debetur mihi a te.

114ss.), i lavori su aspetti particolari del concursus causarum di H. ANKUM, ‘Concursus causarum’, in Seminarios Complutenses de Derecho Romano, 8, 1996, 57ss. riprodotto in Le concours des causes lucratives et oéreuses, in Mélanges Magdelain, Paris, 1998, 517 9ss., e R. VERSTEGEN, Un cas d’éviction après vente qui n’ en est pas un (D. 30, 84, 5 Julianus dig. 33), in Mélanges Sturm, 1, Liège, 1999, 517ss., e le monografie di S. PFEIL, Der ‘concurs duarum causarum’ im klassiscen römischen Recht, Frankfurt am Mein, 1998, e P. LAMBRINI, Il problema del concursus causarum, Padova, 2000. 314 D. DALLA - R. LAMBERTINI, Istituzioni di diritto romano, Torino, 1996, 439.

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In passato si è sostenuto che i passi citati attestassero la contrapposizione

fra due concezioni: il testo di Pomponio avrebbe fatto capo alla concezione

più antica, risalente ai principi dell’impossibilità sopravvenuta, quelli

giulianei avrebbero contenuto una limitazione alle cause lucrative.

Recentemente si è invece reputato più plausibile ipotizzare315 l’irrilevanza,

ai fini della concentrazione dell’obbligazione, del titolo, lucrativo od

oneroso, in base al quale il creditore aveva già acquistato una delle

prestazioni. Tale congettura appare più attendibile, poichè certamente

ispirata al principio secondo cui l’acquisto a qualsiasi titolo di una delle

prestazioni alternativamente dovute determina l’impossibilità di acquistare

una seconda volta lo stesso oggetto, cioè l’impossibilità sopravvenuta di

una delle prestazioni. La soluzione risulta pertanto pienamente conforme

alla regola in base alla quale, come si cercherà di chiarire tra breve, nelle

obbligazioni alternative la concentrazione è normalmente conseguenza

dell’impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni e non della scelta.

315 Cfr., P. LAMBRINI, Il problema del concursus causarum, cit., 21 e nt. 76. In tal senso, in verità, deporrebbero oltre i citati testi di Giuliano, se si riflette sul fatto che il giurista non sembra si stesse preoccupando della natura del titolo di acquisto di una delle due cose alternativamente dovute ma solo di precisare che nonostante il concorso di cause non si aveva estinzione dell’obbligazione ma solo la sua concentrazione, il citato testo di Pomponio e i seguenti frammenti: D. 45. 1. 128. Paul. 10. quaest.: … qui Stichum aut Pamphilum stipulatur, si in unum constiterit obligatio, quia alter stipulatoris erat, etiamsi desierit eius esse, non recte solvitur, quia utraque res ad obligationem ponitur, non ad solutionem; D. 46, 3, 72, 4. Marc. 20 dig.: Stichum aut Pamphilum stiplatus sum, cum esset meus Pamphilus: nec si meus esse desierit, liberabitur promissor Pamphilum dando: neutrum enim videtur in Pamphilo homine constitisse nec obligatio nec solutio. Sed ei, qui hominem dari stipulatus est, unum etiam ex his, qui tunc stipulatoris servi erant, dando promissor liberatur: vi quidem ipsa et hic ex his dari stipulatus est, qui eius non erant. Fingamus ita stipulatum: ‘hominem ex his, quos sempronius reliquit, dare spondes?’, cum tres Sempronius reliquisset, eorumque aliquem stipulatoris fuise: num mortuis duobus, qui alterius erant, supererit ulla obligatio, videamus. Et magis est deficere stipulationem, nisi ante mortem duorum desierit esse reliquus servus stipulatoris. Soprattutto per l’esegesi di questi ultimi due testi cfr. R. KNÜTEL, «In obligatione generis quid est in obligatione», in Studi Sanfilippo, 3, Milano, 1983, 351ss. e, in particolare, 358ss., 363ss.

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7. Impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni

Nella sistematica dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi

dall’adempimento una trattazione distinta merita infine la complessa

tematica dell’impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni316.

In rapporto all’istituto oggetto della nostra indagine detta problematica

assume particolare rilievo in quanto è probabilmente attraverso l’esame di

essa che con maggiore evidenza è possibile delineare una generale base

assiopratica317 delle diverse figure di obbligazione alternativa,

identificabile nel «comune sforzo giurisprudenziale di evitare la

concentrazione non fortuita dell’obbligazione, al fine di tutelare il

creditore318».

L’esempio tipico e più intuitivo di impossibilità cui fanno sovente

riferimento le fonti romane è costituito dal perimento dell’oggetto.

Secondo l’opinione corrente «dal punto di vista del diritto romano puro»

esso – non importa se dovuto a caso fortuito o a colpa di una delle parti –

«semplifica sempre l’obbligazione, cioè la concentra sempre sull’oggetto

superstite, salve le ragioni di risarcimento che nelle ipotesi di perimento

316 La materia dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione è esemplare, nella casistica giurisprudenziale romana, per ricchezza e brillantezza di soluzioni. Rams Albesa ne è stato affascinato al punto da giungere a indicare nella «disciplina romana de los riesgos» un modello di analisi logico-giuridica ancor oggi applicabile nel silenzio o nelle lacune della legge: «la disciplina de los riesgos …(es) la parte más desarrollada por los jurisconsultos romanos y en donde más brille su capacidad para el casuísmo deslumbrante …los códigos modernos han dado un trato bastante escaso y superficial a las obligaciones alternativas, sin duda porque en la época histórica de la codificación este instituto se encontraba en bastante desuso, y ante las grandes lagunas la disciplina romana de los riesgos puede ofrecer hoy, en base precisamente a su casuística, si no una fuente de directa aplicación, sí una pauta de análisis lógico- jurídico para la solución de situaciones de hecho, para las cuales las reglas codificadas no ofrecen suficiente respuesta o sólo nos ofrecen su silencio». Così J. RAMS ALBESA, Las obligaciones alternativas, cit., 70 s. 317 V. A. GORASSINI, Alternatività nell’oggetto della obbligazione, cit., 156. 318 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 113.

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colpevole possono sorgere a favore della parte che sia stata danneggiata

dall’atto colposo319».

Siffatta regola di irrilevanza dell’imputabilità dell’inadempimento320, che

ha giustificato in passato un approccio esegetico improntato al criterio

della titolarità del diritto di scelta321, è stata tuttavia di recente revocata in

dubbio. Riserve sono state altresì formulate nei confronti dell’idea, peraltro

molto autorevolmente sostenuta322, secondo cui nell’ipotesi di scelta

spettante al debitore, qualunque sia la causa dell’impossibilità

sopravvenuta di una delle prestazioni323, l’obbligazione, in età classica, si

concentra su quella residua324, mentre in epoca postclassica, se

l’impossibilità della prima prestazione non è imputabile al debitore, si

ammette quest’ultimo a pagare, ove lo preferisca, il controvalore della

319 C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 99. 320 Sull’imputabilità dell’inadempimento cfr., tra i lavori più recenti, G. MACCORMACK, «Culpa», in SDHI , 38, 1972, 123 ss.; MARGADANT, La responsabilidad objetiva en el derecho romano, in Juridica, 6, 1974, 261 ss.; T. MAYER-MALY, «De se queri debere»: «officia erga se» und Verschulden gegen sich selbst, in Festschrift Kaser zum 70. Geburtstag, München, 1976, 241 ss.; J. TRIANTAPHYLLOPOULOS, «De se queri», in Estudios en homenaje al Profesor J. Iglesias, 2, Madrid, 1988, 1065 ss., R. ROBAYE, Responsabilitè objective ou subjective en droit romain, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, 58, 1990, 345, ss.; G. MACCORMACK, «Dolus, culpa, custodia, diligentia»: criteria of liability or content of obligations, in Index , 22, 1994, 189 ss. Sull’impossibilità non imputabile sono invece utilmente consultabili, tra gli altri, A. DE MEDIO, Caso fortuito e forza maggiore in diritto romano, in BIDR, 20, 1908, 157 ss.; D. MEDICUS, Zur Funktion der Leistunsunmöglichkeit im römischem Recht, in ZSS, 86, 1969, 67 ss.; MUCIACCIA, L’elemento fortuito nel diritto romano e comune, in AG, 193, 1977, 63 ss.; A. TORRENT, «Factum debitoris, culpa debitoris, scientia debitoris», in Estudios juridicos en homenaje a Alvarez Suárez, 1978, 493 ss.; W. ERNST, Wandlungen des «vis maior». Begriffes in der Entwicklung der römischem Rechtewissenschaft, in Index, 22, 1994, 293 ss. 321 In tale prospettiva, fondamentale per procedere ad un corretto esame delle fonti sarebbe la considerazione separata dei casi in cui la scelta spetta al debitore rispetto a quelli in cui l’electio compete al creditore. 322 Cfr., per tutti, G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 216 ss.; M. TALAMANCA, Obbligazioni, cit., 46s. 323 Cioè sia che essa dipenda da fatto del debitore che da vis maior o casus fortuitus. 324 Il cui perimento successivo, in epoca classica, se è fortuito, estingue l’obbligazione.

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prima (aestimatio rei)325. Se invece la prima prestazione si rende

impossibile per colpa del debitore e successivamente la seconda diviene

impossibile per fatto a lui inimputabile, seguendo la medesima linea

interpretativa nel periodo postclassico il creditore può esercitare l’actio de

dolo allo scopo di ottenere una forma di ristoro. Nell’ipotesi di scelta del

creditore, si ha invece concentrazione in tutti i casi in cui l’impossibilità

non sia imputabile al debitore; diversamente il creditore potrà scegliere tra

l’aestimatio della prestazione resa impossibile e la prestazione ancora

possibile.

Ebbene, come si cercherà di evidenziare nel prosieguo, le fonti romane in

argomento, tenendo costantemente in considerazione soprattutto il

particolare interesse che, con il ricorso all’obbligazione alternativa, le parti

manifestavano per la soddisfazione del creditore, sembrano ricollegare

l’estinzione della scelta e, dunque, la concentrazione dell’obbligazione,

solo all’impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni per caso

fortuito o vis maior, mentre nei casi di impossibilità imputabile la

concentrazione dell’obbligazione viene ammessa solo nelle rare ipotesi in

cui gli interessi in gioco risulterebbero maggiormente lesi dalla sua

esclusione.

7.1 Caso fortuito o vis maior

Le opinioni sopra espresse non richiedono una precipua dimostrazione con

riguardo alla regola secondo cui il perimento fortuito di una delle

325 Ciò viene sostenuto anche nei manuali (cfr., per tutti, A. GUARINO , Diritto privato romano, cit., 798), che accolgono l’idea della non classicità di questa soluzione prospettata in D. 30, 47, 3.

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prestazioni, a prescindere dalla titolarità del diritto di scelta, concentra

sempre l’obbligazione sulla prestazione restante326 in virtù del noto

principio casum sentit dominus. In tal senso depone inequivocabilmente il

dettato di un numero cospicuo di frammenti, il cui sommario esame

consente di mettere in luce la particolare considerazione mostrata dai

prudentes per gli interessi perseguiti dalle parti attraverso il ricorso

all’obbligazione alternativa.

Viene anzitutto in rilievo un passo tratto dai Digesta di Giuliano:

D. 12, 6, 32 pr. (Iul. 10 dig.): Cum is qui Pamphilum aut Stichum debet

simul utrumque solverit, si posteaquam utrumque solverit, aut uterque aut

alter ex his desiit in rerum natura esse, nihil repetet: id enim remanebit in

soluto quod superest.

Il pensiero del giurista adrianeo si dispiega chiaramente: il debitore, cui

spetta la scelta, avendo prestato entrambi gli oggetti alternativamente

dedotti in obbligazione, in caso di perimento di uno di essi non può ripetere

l’oggetto superstite. Assai pertinente appare la precisazione, da parte di

Grosso327, che «qui l’effetto del perimento si considera con riguardo all’in

soluto esse rispetto alla precedente obbligazione alternativa, non con

riguardo all’obbligazione alternativa di restituire».

Soltanto al perimento fortuito della prestazione Giuliano ricollega però il

venir meno della scelta del debitore e la concentrazione dell’obbligazione;

qualora invece, come nel § 3328 dello stesso frammento, la concentrazione 326 Qualora poi tale prestazione divenga impossibile per causa non imputabile al debitore, purchè questi non sia in mora, l’obbligazione si estingue. 327 Obbligazioni, cit., 216 nt. 3. 328 D. 12, 6, 32, 3 (Iul. 10 dig.): Qui hominem generaliter promisit, similis est ei, qui hominem aut decem debet: et ideo si, cum existimaret se Stichum promisisse, eum dederit, condicet, alium autem quemlibet dando liberari poterit.

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dell’obbligazione derivi da una situazione che potrebbe risultare lesiva

dell’interesse del creditore all’adempimento, essa viene esclusa.

Elementi utili, nella prospettiva che qui interessa, si possono ricavare

altresì da una testimonianza ulpianea contenuta in

D. 13, 4, 2, 3 (Ulp. 27 ad ed.): Scaevola libro quinto decimo quaestionum

ait non utique ea, quae tacite insunt stipulationibus, semper in rei esse

potestate, sed quid debeat, esse in eius arbitrio, an debeat, non esse. Et

ideo cum quis Stichum aut Pamphilum promittit, eligere posse quod solvat,

quamdiu ambo vivunt: ceterum ubi alter decessit, extingui eius electionem,

ne sit in arbitrio eius, an debeat, dum non vult vivum prestare, quem solum

debet329.

Ulpiano, riferendo il pensiero di Scevola, intende chiarire che la facoltà di

scelta - da inserire nel novero degli elementi che ineriscono alla struttura

dell’obbligazione (quae tacite insunt stipulationibus) - non è sempre in

potestate debitoris: se la sua positiva sussistenza è infatti generalmente

predicabile in ordine alla determinazione del quid debeat, essa va invece

esclusa ogniqualvolta la scelta condizioni l’esistenza stessa

dell’obbligazione. Ne consegue che, promessi alternativamente due

schiavi, finchè ambedue sono in vita il debitore conserva la facoltà di

Un debitore che, ritenendo semplice un’obbligazione alternativa, ha prestato uno degli oggetti, credendo fosse l’unico dovuto, non perde facoltà di elezione (non si ha cioè concentrazione dell’obbligazione), perché, nell’ottica giulianea, la scelta, non essendo consapevole, non determina un effettivo adempimento, che è il solo scopo cui la stessa doveva mirare nell’obbligazione alternativa. Qui il giurista, come osserva Giambattista Impallomeni (Sull’obbligo del debitore, cit., 67), conservando al debitore la scelta, «tradisce la tendenza a volere conservare integra, nei suoi elementi, l’obbligazione alternativa». 329 Sospetta è stata giudicata la frase finale dum – debet. Cfr. S. SOLAZZI, «Vivus» umoristico nelle Pandette, in Studi Paoli, 1955, 677 (ora in Scritti di diritto romano, 5, Napoli, 1972, 603 ss.). La sua eventuale espunzione non altera comunque la sostanza del testo.

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scelta e può adempiere prestando quello che preferisce; qualora però uno di

essi muoia e la morte non sia imputabile a nessuna delle parti

l’obbligazione si concentra sullo schiavo superstite e la scelta non può più

essere esercitata. Il senso di siffatta soluzione viene esplicitato nella chiusa

del testo: se dopo la concentrazione dell’obbligazione il debitore avesse

ancora la scelta, essa si tradurrebbe nella possibilità di decidere se

adempiere o meno. La decisione di Scevola, riferita da Ulpiano, appare

dunque frutto di una profonda ragionevolezza pratica: se il debitore potesse

ancora esercitare la facoltà di elezione dopo la morte di uno dei due

schiavi, l’obbligo dell’adempimento verrebbe a dipendere dall’arbitrio del

promittente, che potrebbe scegliere l’oggetto perito e ritenersi in questo

modo liberato. Il che sarebbe evidentemente contrario allo spirito del

contratto330.

La concentrazione dell’obbligazione alternativa come effetto

dell’impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni per caso fortuito

risulta anche da

D. 18, 1, 34, 6 (Paul. 33 ad ed.): Si emptio ita facta fuerit: «est mihi emptus

Stichus aut Pamphilus», in potestate est venditoris, quem velit dare, sicut

in stipulationibus, sed uno mortuo qui superest dandus est: et ideo prioris

periculum ad venditorem, posterioris ad emptorem respicit. Sed et si

pariter decesserunt, pretium debebitur. Unus enim utique periculo

emptoris vixit. Idem dicendum est etiam, si emptoris fuit arbitrium quem

vellet habere, si modo hoc solum arbitrio eius commissum sit, ut quem

voluisset emptum haberet, non et illud, an amptum haberet.

330 In questo senso v. G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 58.

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Il frammento paolino, escerpito dal commento edittale, considera l’ipotesi

di una vendita alternativa di due schiavi, enunciando le regole relative al

rischio del perimento: fintantochè perdura l’alternatività dell’obbligazione,

il rischio della morte di uno dei servi è risentito dal venditore. Così,

qualora prima della consegna uno di essi deceda, l’obbligazione si

concentra giocoforza su quello superstite, e questo dovrà essere prestato.

Ove peraltro, in seguito, anche quest’ultimo dovesse morire (e parimenti

nell’ipotesi in cui entrambi fossero deceduti contemporaneamente) il

venditore sarebbe liberato; ma il compratore, in base al principio per cui

periculum est emptoris, dovrebbe corrispondere ugualmente il prezzo331.

La stessa disciplina viene quindi espressamente estesa all’ipotesi di

perimento fortuito di una delle prestazioni quando l’electio spetta al

creditore, in quanto a quest’ultimo è data la facoltà di scegliere uno dei due

servi, non di comprare o meno.

Il regime, chiaramente attestato nei testi riportati, è ancora deducibile da

D. 23, 5, 9, 2 (Afric. 8 quaest.): Quod si Stichum aut fundum debuit

maritus (sc. mulieri332) et quod debet, doti ei promissum sit, Sticho mortuo

fundum in dotem esse.

331 In senso analogo v. da ultimo, P. ZILIOTTO, Studi, cit., 69. L’interpretazione di questa parte del testo non è per la verità del tutto pacifica perché autori come Appleton (in Rev. Hist. Du droit, 1927, 228 ss.) hanno inteso il pariter decesserit come allusivo alla morte degli schiavi contemporaneamente, nelle medesime circostanze, e pertanto hanno escluso la possibilità di applicare la regola periculum est emptoris, ed inoltre non sono mancati i sospetti di interpolazione di Haymann (Textkritische Studien zum römischen Obligationenrecht, in ZSS, 1920, 41, 134 s.) e di Beseler (Romanistiche Studien, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, 8, 1928, 288 ss.), fondati peraltro per lo più su rilievi stilistici che già Arangio Ruiz non aveva giudicato probanti onde comprendere l’esatto pensiero di Paolo. Il romanista (La compravendita in diritto romano, 2, Napoli, 1963, 267s.) ha all’uopo giustamente osservato che avendo voluto un compratore acquistare appunto uno schiavo «il periculum incombeva secondo i principii su di lui: l’alternatività può far sì che uno dei due schiavi dedotti nell’obbligazione perisca per il venditore, ma non mai che ciò si verifichi per entrambi». 332 Cfr. G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 58 nt. 7. L’Autore ha suggerito l’integrazione del testo con il riferimento alla moglie tenendo presente il dettato

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Con ogni verosimiglianza Africano riferisce l’opinione del proprio maestro

Giuliano333. Nella fattispecie un marito, debitore con diritto di scelta, deve

alla moglie alternativamente un fondo o uno schiavo; la moglie dal canto

suo gli promette, mediante promissio dotis o, più probabilmente, mediante

dotis dictio334, di costituire in dote uno degli oggetti dovuti. Ebbene, se lo

schiavo muore concentrando l’obbligazione del marito sul fondo335, il

giurista conclude che quest’ultimo diventa dotale336.

Una diversa regola trova applicazione soltanto allorchè, in seguito a dotis

dictio, sorga a carico del marito «un’obbligazione alternativa di restituire

in futuro (alla fine del rapporto dotale) o il fondo Corneliano o il

Semproniano»337: in questo caso, considerato nel § 3 dello stesso

frammento338, viene esclusa la concentrazione dell’obbligazione anche

nell’eventualità di alienazione di uno dei fondi339.

del principium: Si marito debitori fundi id quod debet doti mulier promiserit, dotalem fundum effici. 333 V. G. IMPALLOMENI, op. ult. cit., 64. Al proposito si veda quanto già detto supra, cap. 3 § 1. 334 Il testo è stato giudicato interpolato nella parte in cui fa riferimento alla promissio sulla base della considerazione che è nulla la stipulazione avente ad oggetto una cosa dello stipulante. Inoltre è stata esclusa la possibilità di vedere nella stipulatio un’acceptilatio. Cfr. a proposito M. KASER, Die Wirkungen der ‘dotis dictio’, in SDHI, 17, 1951, 191, la cui opinione è accolta da G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 58 nt. 7. 335 Anche in questo caso l’impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni determina la concentrazione dell’obbligazione. 336 Occore qui richiamare «una nota regola in tema di dotis dictio: se il marito deve una determinata cosa alla moglie, se ella gliela promette in dote con il detto contratto, automaticamente quella stessa cosa viene costituita in dote». Così G. IMPALLOMENI, op. ult. cit., 64. 337 Così G. IMPALLOMENI, op. e loc. ult. cit. 338D. 23,5,9,3 (Afr.8 quaest.): His consequens esse ait, ut, si Cornelianum aut Sempronianum fundum debenti id quod debet doti promissum dictum sit, utrum eorum dotalem esse malit plane utrum velit, alienaturum: alterum alienari non posse. si tamen alienum rursus redimat, adhuc in eius potestate est, an eum, quem retinuisset, alienari velit. 339 Sul punto si veda l’ampia dimostrazione di G. IMPALLOMENI, op. ult. cit., 63 ss.

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Considerati unitariamente, i passi richiamati sembrano dunque avvalorare

l’opinione340 secondo cui «alla stregua della logica giuridica si deve dire

che, perito uno degli oggetti fortuitamente e concentratasi l’obbligazione

sull’oggetto superstite, questo solo può ormai venire in causa come

contenuto della prestazione da eseguirsi; e quindi, non solo il creditore che

aveva la scelta, deve accettarlo, ma anche il debitore, cui spettasse la

scelta, è tenuto a prestarlo, e non può pretendere di liberarsi altrimenti».

Tale è infatti la soluzione che affiora nei testi sopra citati, in uno341 dei

quali sembra anzi scolpito il carattere inderogabile dell’obbligo, in capo al

debitore, del pagamento dell’oggetto superstite342, mentre «gli altri

presuppongono indubbiamente tale obbligo, e ad ogni modo ignorano che

il debitore possa godere di un trattamento diverso».

Da siffatta impostazione diverge soltanto una decisione ulpianea attestata

in D. 30, 47, 3, da cui si desume che, perito fortuitamente uno degli

oggetti, il debitore - cui spetta la scelta - può anche liberarsi prestando, in

luogo dell’oggetto superstite, il prezzo (aestimatio) di quello perito.

D. 30, 47, 3 (Ulp. 22 ad Sab.): Sed si Stichus aut Pamphilus legetur et alter

ex vel in fuga sit vel apud hostes, dicendum erit praesentem praestari aut

absentis aestimationem: totiens enim electio est heredi committenda,

quotiens mora non est facturus lagatario. Qua ratione placuit et, si alter

decesserit, alterum omnimodo praestandum, fortassis vel mortui

pretium.Sed si ambo sint in fuga, non ita cavendum, ut, «si in potestate

340 C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 100. 341 Mi riferisco a D. 18, 1, 34, 6 (Paul. 33 ad ed.). 342 Ciò è quanto pare potersi desumere dalla costruzione sintattica della proposizione, che fa capo alla perifrastica passiva. V. anche C. LONGO, op. e loc. ult. cit.

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ambo redirent», sed «si vel alter» et «vel ipsum vel absentis aestimationem

praestandam».

Il giurista severiano prende in considerazione un legato alternativo con

effetti obbligatori (originariamente per damnationem) in cui sia attribuita

all’erede la scelta tra due schiavi, e spiega che se uno di questi ultimi è

fuggito o si trova presso il nemico (in territorio straniero)343, il debitore

può consegnare lo schiavo in suo possesso o l’aestimatio dell’assente: la

persistenza della scelta non può infatti giustificare un ritardo

nell’adempimento344, mettendo a rischio il soddisfacimento dell’interesse

del creditore. In applicazione del medesimo principio, se uno dei due

schiavi fosse deceduto, prosegue Ulpiano, l’erede dovrebbe prestare

quello vivo o l’aestimatio di quello defunto345. Infine, se entrambi fossero

in fuga, l’erede dovrebbe promettere di consegnare quello che fosse tornato

in suo possesso o l’aestimatio dell’altro.

343 Questa sembra l’ipotesi cui allude il testo impiegando l’espressione apud hostes, che è ad esempio diversa da servum qui in hostium potestate est che si rinviene in D. 30, 98 (Iul. 52 dig.) e da rem hostium contenuta in D. 30, 104, 2 (Iul. 1 ad Urs. Fer.): queste ultime infatti esprimono un’idea di appartenenza nel nostro frammento viceversa assente. In senso analogo v. G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 90. 344 Posto che il testo sembra alludere alla persistenza della scelta, se questa continuasse ad essere concessa tra i due schiavi, entrambi vivi, si darebbe la possibilità al debitore di scegliere quello assente e di ritardare giustificatamente l’adempimento. Non mi pare che il frammento intenda dire, come ha invece sostenuto G. IMPALLOMENI (op. e loc. ult. cit., 90), che l’erede non moroso può consegnare o lo schiavo in suo possesso o l’aestimatio di quello assente. 345 L’incertezza con cui la frase fortassis vel mortui pretium appare formulata è difficilmente spiegabile se attribuita ad un legislatore. Perciò sembra più probabile che si tratti del commento di un maestro postclassico. In senso analogo cfr., E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano: le obbligazioni, cit., 233. Di glossema parlava ad ogni modo già M. DE THIELMANN, De obligatione alternativa, cit., 55 s. Afferma invece l’origine giustinianea del sintagma V. SCIALOJA, Tribonianismi in materia di obbligazioni alternative e generiche, cit., 65 s., che comunque nota giustamente come essa contraddica in modo evidente le parole che la precedono. Sulla stessa linea v. C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 101: «nella seconda parte del testo, dopo l’affermazione assoluta: alterum omnimodo praestandum (…) la limitazione: fortassis vel mortui pretium (…) crea un costrutto contraddittorio e si rivela intrusa perché il giurista classico non aveva bisogno di scrivere omnimodo, per poi rimangiarselo».

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La critica interpolazionistica non ha risparmiato il passo in esame,

complice un dettato non del tutto lineare. L’interpretazione che si è

imposta raccogliendo i maggiori consensi è quella che vede come capofila

Vittorio Scialoja, il quale, giudicando interpolati i sintagmi aut absentis

aestimationem, fortassis vel mortui pretium, e et vel ipsum vel absentis

aestimationem praestandum, ha riconosciuto nel testo ulpianeo

l’attestazione della trasformazione, avvenuta in età giustinianea,

dell’obbligazione alternativa in facoltativa a seguito del perimento di uno

degli oggetti dedotti in obbligazione346.

Se questa è dunque l’opinione dominante347, non sono peraltro mancate

autorevoli voci dissonanti che abbiano negato la facoltà del debitore - a cui

spetti la scelta - di liberarsi pagando, anziché l’oggetto rimanente, la stima

dell’oggetto perito348. E vi è stato pure chi ha voluto limitare la portata

della suddetta facoltà, circoscrivendola all’ipotesi di obbligazione nascente

346 La nuova configurazione del rapporto fa sì che soltanto l’oggetto superstite rimanga in obligatione, ammettendosi però che possa venire in solutione anche il prezzo dell’oggetto perito: si concede cioè un solvere aliud pro alio a favore dell’erede, che può sostituire il valore alla cosa. 347 Il testo cioè, come si è detto, attesterebbe la trasformazione, in epoca postclassica o giustinianea, dell’obbligazione alternativa in facoltativa, in seguito all’impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni. Cfr., per tutti, V. SCIALOJA,Tribonianismi in materia di obbligazioni alternative, cit., 65; F. EISELE, Weitere Studien zum Texteder Digesten, in ZSS, 30, 1909, 145; L. MITTEIS, Nachtragsmiszelle, in ZSS, 1909, 508; E. RABEL, Grundzüge des römischen Privatrechts, 1915 rist. 1955, 125 nt. 1; E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano: le obbligazioni, cit., 233; C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 100 ss.; A. D’ORS PEREZ-PEIX, En torno a la llamada obligación alternativa, cit., 12; M. KASER, Das Römisches Privatrecht, 1, München, 1955, 413 nt. 6; G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore alla conservazione degli oggetti, cit., 90 s.; G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 219 s; B. BIONDI, Istituzioni di diritto romano, cit., 399; M. TALAMANCA, Obbligazioni, cit., 47 nt. 309; V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, cit., 416; J. IGLESIAS, Instituciones de derecho privado, Barcelona, rist. 1984, 396 nt. 27; A. GUARINO, Diritto privato romano, cit., 798; P. ZILIOTTO, Studi, cit., 43 nt.39. 348 Cfr., per tutti, G. PESCATORE, Die sogenannte alternative Obligation, cit., 201 ss. e letteratura ivi citata.

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da legato alternativo349 o al caso in cui la cosa perita non avesse un valore

inferiore a quella superstite350.

Una nuova ipotesi di ricostruzione critica dell’originaria dizione del testo è

stata recentemente affacciata da Scarcella351, la quale suggerisce di

espungere il solo sintagma fortassis vel mortui pretium352, «senza ulteriori

tagli»353.

Nella lezione classica del passo, così restaurata in via ipotetica, il

ragionamento articolato dal giurista ulpianeo pare dunque svilupparsi

lungo due direttrici, originate da altrettante situazioni fattuali: la morte

fortuita di uno degli schiavi, da un lato, e la fuga o la presenza apud hostes

del medesimo, dall’altro. Operata preliminarmente tale distinzione -

secondo un modus procedendi consueto per i giuristi romani, e del resto

coerente con un approccio casistico -, Ulpiano afferma l’applicabilità della

regola della concentrazione dell’obbligazione sulla prestazione restante in

seguito a perimento fortuito di uno degli oggetti alternativamente dovuti

soltanto nel caso di morte dello schiavo. E questo, sul presupposto che solo

in tale circostanza, e non anche in quella di fuga o di presenza in territorio 349 Cfr., per tutti, J. F. F. ARENDT, De vi ac potestate obligationis alternativae, cit., 10 ss.; R. J. POTHIER, Traité des obligations, Parigi, 1748, n. 250, 251. 350 Così, ad esempio, E. I. BEKKER, Zur Lehre vom Genuskauf, in Jahrbuch des gem. Rechts, 5, n. 17, 374. Lo stesso Carlo Longo (Corso di diritto romano, cit., 102), che pure condivide la tesi in parola, ha rilevato l’iniquità cui conduce il riconoscimento di una simile facoltà in capo al debitore: quando infatti la scelta spetta al creditore, nel caso di perimento fortuito dell’oggetto di maggior valore il creditore si deve accontentare della cosa meno preziosa, mentre il nuovo principio consentirebbe al debitore titolare della scelta di tenersi la cosa di maggior valore pagando al creditore la stima di quella di minor valore fortuitamente perita. Equità vorrebbe invece che ambedue le parti subissero la situazione creata del fortuito quale è, indipendentemente dal fatto che essa riesca loro più vantaggiosa o meno vantaggiosa. 351 V. A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 124ss. 352 Cfr. supra, nt. 308. Va inoltre osservato che mentre in principio e nella chiusa del frammento il concetto della valutazione dello schiavo assente confluisce, a livello linguistico, nel vocabolo aestimatio, nella parte centrale in riferimento all’ipotesi di perimento dello schiavo compare l’espressione mortui pretium. 353 Qualche dubbio sull’alterazione del testo di Ulpiano è stato avanzato anche da M. KASER, Das Römische Privatrecht, 1, München, 1971, 339 nt.25; ID., Das Römische Privatrecht, 2, München, 1975, 495 nt.10.

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straniero, si configura un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della

prestazione non imputabile. Le res apud hostes sono infatti res in rerum

natura354 ma non res extra commercium355, perciò i giuristi romani non

applicano ad esse il principio dell’impossibilità della prestazione e

continuano a considerare valide le reletive obbligazioni356. Ne discende che

laddove siano stati alternativamente legati due schiavi e uno di essi sia in

fuga o presso i nemici - come nel caso prospettato in D. 30, 47, 3 -, non si

verifica la concentrazione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta

di una delle prestazioni357 e pertanto la facoltà di elezione perdura in capo

al debitore358. 354 I giuristi usavano questa espressione per fare riferimento al mondo materiale (cfr. O. GRADENWITZ, Natur und Sklave bei der «naturalis obligatio», in Festschr. Schirmer, Königsberg, 1900, 149 ss.; E . RABEL, Origine de la règle: «Impossibilium nulla obligatio» , in Mèlanges Gèrardin, Paris, 1907, 494 s., ora in Gesammelte Aufsätze, 4, Tübingen, 1971, 126 s.; ID.,Unmöglichkeit der Leistung. Eine Kritische Studie zum Bürgerlichen Gesetzbuch, in Aus römischem und bürgerlichem Recht, Weimar, 1907, 24 s.) e tra le res in rerum natura includevano anche lo schiavo fatto prigioniero che si trova però “in un settore di tale rerum natura che i romani consideravano fuori della loro portata”. Così C. A. CANNATA, Appunti sulla impossibilità sopravvenuta e la ‘ culpa debitoris’ nelle obbligazioni da ‘stipulatio in dando’, in SDHI, 32, 1966, 82, in risposta agli interrogativi sollevati da U. RATTI, La rinascita della proprietà in tema di accensione, in Studi in onore di P. Bonfante, 1, Milano, 1930, 292 e nt. 62 . 355 Cfr., in tal senso, M. SARGENTI, Problemi della responsabilità contrattuale, in SDHI, 20, 1954, 184 s. e nt. 44, contro U. RATTI, Studi sulla captivitas, in Riv. It. Sc. Giur., 2, 1927, 40 nt. 1. Tra le res extra commercium si fanno normalmente rientrare le res religiosae o sacrae, le cose adibite a uso pubblico, l’ uomo libero e le parti di cosa composta. Cfr. Gai. 3, 97; D. 30, 41, 2. Ulp. 21 ad Sab.; D. 45, 1, 83, 5. Paul. 72 ad ed.; Inst. 3, 19, 2. «Il servo prigioniero del nemico non diventa res extra commercium; l’eventualità del postliminio importa una sospensione dell’obbligazione». Così S. SOLAZZI, Studi romanistici, in Riv. Ital. Sc. Giur., 3, 1949, 11 (ora in Scritti di diritto romano, 5, Napoli, 1972, 165). In argomento si vedano inoltre L. AMIRANTE, Appunti per la storia della «redemptio ab hostibus», in Labeo, 3, 1957, 2 ss. e 171 ss.; A. MAFFI, Ricerche sul ‘postliminium’, Milano, 1992; M. F. CURSI, La struttura del ‘postliminium’ nella repubblica e nel principato, Napoli, 1996. 356 Le fonti attestano infatti la possibilità che le res apud hostes fossero oggetto di negozi giuridici come il legato (D. 30, 104, 2. Iul.1 ad Urseium Ferocem), la stipulatio e la compravendita (D. 19, 1, 55. Pomp. 10 epistularum ). 357 «La situazione giuridica che si determinava con la prigionia era in sostanza una situazione di quiescenza, e la pretesa del creditore poteva essere fatta valere quando, col ritorno del servo ed in virtù del postliminio, si ristabiliva su di lui il potere del dominus». Così M. SARGENTI, Problemi della responsabilità contrattuale, cit., 185. 358 Lo stesso Scialoja (Tribonianismi in materia di obbligazioni alternative, cit., 64), che giudica il testo alterato nella parte in cui viene concessa al debitore la facoltà di liberarsi

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In mancanza di qualsiasi correttivo, ciò consentirebbe all’obbligato che

non fosse tanto malaccorto da non saper sfruttare la situazione a proprio

vantaggio, di scegliere legittimamente di prestare, tra i due schiavi dedotti

in obbligazione, quello assente, a pregiudizio dell’interesse del creditore.

Ove i poteri del debitore non fossero opportunamente limitati,

l’applicazione della regola poc’anzi enunciata condurrebbe pertanto a un

risultato patentemente iniquo, importando paradossalmente la liceità di un

ritardo dell’adempimento359. Ed è proprio nell’intento di stornare siffatta

deprecabile conseguenza che Ulpiano circoscrive l’esercizio della scelta

alla prestazione dello schiavo presente o, in alternativa, alla stima

dell’assente. Da questo angolo visuale, la facoltà accordata dal giurista

severiano, lungi dal «rompere ogni armonia logica e ogni equa

aspettativa360» consente viceversa di assicurare il soddisfacimento

dell’interesse del creditore a ricevere una delle prestazioni, il che

rappresenta - come più volte si è sottolineato -, lo scopo precipuo cui è

preordinato il modulo dell’obbligazione alternativa361.

con l’aestimatio, afferma che la «scelta compete al debitore tra due oggetti determinati, e finchè entrambi gli oggetti esistono e sono in obligatione, finchè cioè l’obbligazione alternativa sussiste». 359 L’obbligazione infatti diventa esigibile solo quando lo schiavo sia postiminio reversus o comunque, se in fuga, sia nuovamente reperibile. Cfr. supra, nt. 263. 360 Così V. SCIALOJA, Tribonianismi in materia di obbligazioni alternative, cit., 64. 361 Né si può obiettare che in tale caso si autorizza il debitore a solvere aliud pro alio senza il consenso del creditore (in base alle regole della datio in solutum, che nel testo in esame si configurerebbe come dato in solutum necessaria; cfr. E. NARDI, Radiografia dell’aliud pro alio consentiente creditore in solutum dare, in BIDR, 73, 1970, 66 nt. 23), perché in una tale situazione il consenso non sarebbe certo mancato. Dell’aestimatio di uno degli schiavi, infatti, il creditore di un’obbligazione alternativa si sarebbe dovuto accontentare anche nel caso in cui, pur essendo entrambi disponibili, l’adempimento del debitore fosse stato conseguente ad un processo, la cui condemnatio era in quanti ea res est (Cfr. M. KASER, ‘Quanti ea res est’, München, 1935, 86 ss.; P. VOCI, Risarcimento del danno e processo formulare, Milano, 1938, 33.); mentre se avesse agito per pretendere l’adempimento alternativo di una delle prestazioni, quando, come nella fattispecie in esame, una di esse non fosse stata momentaneamente esigibile, si sarebbe potuto vedere respingere l’azione con un’exceptio doli dal debitore che avesse reso nota la particolare situazione. Senza considerare poi il fatto che il creditore sarebbe potuto andare incontro ad un tale rischio senza volerlo, perché ad esempio ignaro della temporanea inesigibilità di una delle prestazioni. Un’ exceptio doli, inoltre, avrebbe potuto paralizzare l’azione del

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Né gli argomenti che precedono possono ritenersi infirmati in

considerazione della circostanza che Paolo in D. 46, 3, 98, 8362, nel caso

della stipulatio di dare un’area, di cui il promittente non sia dominus,

quando il proprietario vi costruisca un edificio, offre una soluzione «diretta

a convertire l’oggetto dell’obbligazione nella semplice aestimatio, ed a

permettere pertanto al debitore di liberarsi adempiendo con tale

prestazione»363, soluzione che viceversa non estende al caso del servus

captus ab hostibus.

Il raffronto tra il testo di Paolo e quello tratto dai commentari a Sabino di

Ulpiano non può dirsi in alcun modo probante, attesa la reciproca

irriducibilità delle fattispecie prese in esame dai due giuristi: lo schiavo

creditore anche nel caso in cui entrambi gli schiavi fossero in fuga, ma in questa ipotesi solo se il debitore, oltre a dichiarare la particolare situazione, avesse garantito anche con una cautio la prestazione di quello che fosse ritornato o l’aestimatio dell’assente. 362 Paul. 15 quaest.: Aream promisi alienam: in ea dominus insulam aedificavit: an stipulatio exstincta sit, quaesitum est. Respondi, si alienum hominem promisi et is a domino manumissus est, liberor. Nec admissum est, quod Celsus ait, si idem rursus lege aliqua servus effectus sit, peti eum posse: in perpetuum enim sublata obligatio restitui non potest, et si servus effectus sit, alius videtur esse. Nec simili argumento usus est, ut, si navem, quam tu promisisti, dominus dissolverit, deinde isdem tabulis compegerit, teneri te: hic enim eadem navis est, quam te daturum spopondisti, ut videatur magis obligatio cessare quam extincta esse. Homini autem manumissio simile fiet, si ea mente dissolutam esse navem posueris, ut in alios usus converterentur tabulae, deinde mutato consilio easdem compositas: alia enim videbitur esse posterior navis, sicut ille alius homo est. Non est his simile area, in qua aedificium positum est: non enim desiit in rerum natura esse. Immo et peti potest area et aestimatio eius solvi debebit: pars enim insulae area est et quidem maxima, cui etiam superficies cedit. Diversum dicemus, si servus promissus ab hostibus captus sit: hic interim peti non potest quasi ante diem, sed si redierit postliminio, recte tunc petetur: cessavit enim hic obligatio. Area autem extat, sicut cetera, ex quibus aedificium constitit. Denique lex duodecim tabularum tignum aedibus iunctum vindicari posse scit, sed interim id solvi prohibit pretiumque eius dari voluit. Questo lungo frammento delle quaestiones paoline, in cui vengono prese in considerazione ipotesi «con più o meno lievi divergenze l’una rispetto all’altra» (C. A. CANNATA, Appunti sulla impossibilità sopravvenuta, cit., 80 nt. 46), «è impostato sulla distinzione tra obligatio exstincta, verificantesi quando la res non sia più appropriabile o più non appartenga ad una determinata categoria di cose, e obligatio quae cessavit, verificantesi allorché, pur essendo ineseguibile la prestazione specifica, la res sia ancora identificabile». Così G. MELILLO (‘Tignum iunctum’, Napoli, 1964, 49) che, insieme a C. A. CANNATA (op. ult. cit., 78 nt. 41), ha anche respinto i sospetti di interpolazione avanzati da G. BESELER, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, 2, Tübingen, 1911, 17; ID. , ‘Et ideo – Declarare – Hic’, in ZSS, 51, 1931, 82; ID., Textkritische Studien, in ZSS, 53, 1933, 44. 363 C. A. CANNATA, Appunti sulla impossibilità sopravvenuta, cit., 81.

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apud hostes è infatti oggetto di un’obbligazione semplice, in un caso, e di

un’obbligazione alternativa, nell’altro. Ciò spiega la differente

regolamentazione: ancorché in ambedue i casi l’obbligazione non si

estingua, nel primo di essi la temporanea inesigibilità riguarda l’oggetto

unico dell’obbligazione e nessun interesse ostacola la prevista sospensione

della petitio del creditore, nella speranza - contemplata dal diritto stesso

con l’istituto del postliminio - che lo schiavo sia postliminio reversus.

Viceversa, quando l’oggetto inesigibile è solo uno dei due alternativamente

dedotti in obbligazione, la sospensione della petitio preclude al creditore la

possibilità di sollecitare l’adempimento con l’oggetto disponibile. In

quest’ottica ben si comprende allora il senso della decisione di Ulpiano:

convertendo l’oggetto dell’obbligazione temporaneamente non disponibile

nell’aestimatio, egli rimuove l’ostacolo di ordinane processuale testè

evidenziato, permettendo al creditore di agire per pretendere

l’adempimento.364.

364 Non si tratta d’altra parte dell’unico caso in cui Ulpiano ritiene opportuno il ricorso all’aestimatio nel caso di pratica impossibilità di prestare la cosa dovuta. Una testimonianza è offerta in D. 30, 71, 3 (Ulp. 51 ad ed.): Qui confitetur se quidem debere, iustam autem causam adfert, cur utique praestare non possit, audiendus est: ut puta si aliena res legata sit negetque dominum eam vendere vel immensum pretium eius rei petere adfirmet, aut, si, servum hereditarium neget se debere prestare, forte patrem suum vel matrem vel fratres naturales: aequissimum est enim concedi ei ex hac causa aestimationem officio iudicis prestare. Questo testo, liberato dalle interpolazioni indicate da E. ALBERTARIO (Conceptus pro iam nato habetur, in BIDR, 33, 1924, 68) e da G. DONATUTI (Dal regime dei verba al regime della voluntas, in BIDR, 34, 1925, 205 nt. 1) attesta che l’ erede, nel caso in cui sia stata legata per damnationem una res aliena e il dominus ponga ostacoli, anche insuperabili, alla realizzazione della volontà del testatore, non è liberato. «La condanna al pagamento dell’aestimatio è la naturale conseguenza della pratica impossibilità di prestare la cosa dovuta, e la sua limitazione, attuata mercè l’officium iudicis, per tenere conto della iusta causa a cui tale pratica impossibilità si ricollega, rappresenta un’elegante soluzione, suggerita dall’equità, che mostra come si sapesse nel diritto romano superare ed attenuare, senza rinnegarli, i principi fondamentali del ius civile». Così M. SARGENTI, Problemi della responsabilità contrattuale, cit., 190. Nella temperie interpolazionistica, giudica alterato il frammento in esame senza peraltro argomentare la propria tesi, G. BESELER, Miszellen, cit., 456.

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In altri termini, la soluzione ulpianea, all’apparenza anomala e inelegante,

sarebbe piuttosto «dettata da ragioni di utilità365», intendimento,

quest’ultimo, sotteso forse anche alla elaborazione della regola per cui

nell’ipotesi – considerata nella chiusa del passo – di fuga di entrambi gli

schiavi, l’erede avrebbe dovuto garantire, mercè la prestazione di una

cautio, la consegna di quello che fosse eventualmente tornato in suo

possesso ovvero l’aestimatio dell’altro.

Scardinando l’ipotesi interpolazionistica366, e dunque escludendo che il

passo in esame attesti la trasformazione dell’obbligazione alternativa in

un’obbligazione cum facultate alternativa del debitore, per effetto della

quale quest’ultimo avrebbe la facoltà di liberarsi prestando, in luogo

dell’oggetto rimanente, l’aestimatio di quello perito367, secondo una regola

di diritto giustinianeo, il testo non perde – nell’impostazione voluta – la

propria coerenza logica. La decisione ulpianea adombrerebbe l’esigenza,

avvertita dai prudentes, di garantire l’effettività della tutela dell’interesse

creditorio.

La regola, istituita fin dal principio, della correlazione tra l’impossibilità

inimputabile di una delle prestazioni e la concentrazione dell’obbligazione

non si può dunque reputare scalfita.

Né in senso opposto depone il dettato di

D. 45, 1, 105 (Iavol. 2 epistularum): Stipulatus sum Damam aut Erotem

servum dari: cum Damam dares, ego quo minus acciperem, in mora fui:

365 Così A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 130. 366 Giusta l’opinione riferita, come già si è detto, soltanto il sintagma fortassis vel mortui pretium andrebbe espunto in quanto insiticio. 367 G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 220. Quella sostenuta da Grosso è tuttavia oggi l’interpretazione largamente condivisa dalla dottrina che si è confrontata con il testo ulpianeo.

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mortuus est Dama: an putes me ex stipulatu actionem habere? Respondit:

secundum Massurii Sabini opinionem puto te ex stipulatu agere non posse:

nam is recte extimabat, si per debitorem mora non esset, quo minus id

quod debeat solveret, continuo eum debito liberari.

La fattispecie contemplata dal giurista classico è perspicua: il debitore ha

offerto uno degli schiavi alternativamente dovuti al creditore, il quale però

è in mora nel riceverlo; frattanto lo schiavo offerto perisce. Giavoleno si

interroga sulla possibilità per il creditore, in tal caso, di agire ex stipulatu:

ciò non è ammesso da Sabino368 - alla cui opinione il giurista mostra di

aderire – in considerazione dell’assenza di mora del debitore, per cui

l’obbligazione sarebbe estinta una volta perita per caso fortuito la

prestazione offerta.

L’accento posto dal giurista, nella formulazione della soluzione,

sull’assenza di mora del debitore (alludendo verosimilmente con ciò alla

sua offerta reale di una delle prestazioni), ha indotto, in passato, a stralciare

l’ultima parte del frammento369 come insiticia. Essa viceversa potrebbe

fornire qualche indicazione circa il significato da attribuire alla parte

iniziale del testo, e soprattutto potrebbe dare ragione del quesito che ivi si

prospetta. Tale interrogativo riflette probabilmente i termini della dialettica

giurisprudenziale in ordine all’attitudine dell’offerta di una delle

prestazioni alternativamente stipulate e della sua mancata accettazione da

368 Nelle opere di Giavoleno che ci sono pervenute Sabino risulta citato solo due volte: nel testo in esame e in D. 19, 2, 59. Iavol. 5 ex posterioribus Labeonis. In argomento cfr. L. AMIRANTE, Sabino postumo?, in Index, 21, 1993, 381ss.; è inoltre utilmente consultabile F. REINOSO BARBERO, ‘Definitio periculosa’: Javoleno o Labeon?, in BIDR, 90, 1987, 326 e 334. 369G. BESELER, Index Interpolationum ad h. l. Ha fatto inoltre «pensare che la concentrazione per il perimento non imputabile di una delle cose dovute non sia stata senz’altro ammesa pacificamente, che invece Sabino avrebbe affermato l’estinzione del debito, se il debitore non era in mora». Cfr. G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 218.

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parte del creditore (mora accipiendi) a determinare la concentrazione

dell’obbligazione alternativa e, nel caso di perimento fortuito della

prestazione offerta, la liberazione del debitore. Per Sabino e Giavoleno

sembrerebbe potersi concludere che la mora accipiendi determinava la

concentrazione iure civili dell’obbligazione; tuttavia non mancano

testimonianze, desumibili da altre fonti, che attestano l’operatività della

concentrazione, nella stessa situazione, soltanto iure praetorio. In questa

prospettiva può risultare proficuo il raffronto con un frammento dei

Digesta di un allievo di Giavoleno, Giuliano, attesa l’analogia tra le

fattispecie prese in considerazione nei due testi:

D. 30, 84, 3 (Iul. 33. dig.): Si cui homo legatus fuisset et per legatarium

stetisset, quo minus Stichum, cum heres tradere volebat, acciperet, mortuo

Sticho exceptio doli mali eredi proderit.

Ancorché riferito ad un’ipotesi di legato di genere, il passo consente di

trarre «argomento analogico per la disciplina dell’obbligazione

alternativa370».

Il caso è quello di un erede che ha offerto lo schiavo Stico al legatario, il

quale, non accettandolo, si è reso moroso. In queste circostanze, se Stico

dovesse morire, a fronte della pretesa della prestazione di un altro schiavo

da parte del legatario, a favore dell’erede sarebbe concessa un’exceptio

doli371.

La sententia giulianea, al pari del frammento di Giavoleno, insegna che la

concentrazione dell’obbligazione, oltre che dell’impossibilità sopravvenuta

370 G. IMPALLOMENI, Sull’ obbligo del debitore, cit., 67s. 371 Nel testo di Giuliano non si richiama espressamente la mora, ma non si può escludere il riferimento ad essa.

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di una delle prestazioni, poteva altresì essere effetto della mora accipiendi,

e ciò, per alcuni giuristi, già sul piano civile, mentre per Giuliano iure

praetorio. La mora del creditore viene così a delimitare i confini all’interno

dei quali gli interessi del medesimo possono trovare protezione. Si tratta di

«uno dei rarissimi casi in cui i giuristi romani, fuori dall’ipotesi di

impossibilità sopravvenuta della prestazione non imputabile, ammettono la

concentrazione dell’obbligazione e lo fanno in una situazione in cui,

essendo stato il creditore a determinarla, non può considerarsi leso il suo

fondamentale interesse all’adempimento. Quest’ultimo sarebbe stato infatti

garantito fintanto che si fosse escluso che la concentrazione potesse

derivare da atti volontari e unilaterali del debitore»372.

7.2 Impossibilità imputabile al debitore

Gli effetti giuridici dell’impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni

per fatto imputabile al debitore, allorchè la scelta spetti al creditore o

all’obbligato, sono illustrati in un tormentato373 testo di Papiniano:

372 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 134. 373 «Ricostruire il testo genuino della L. 95 § 1 de solut. 46. 3 non è…facile, perché la legge è tra le più intricate e contorte: ma è forse tanto più manifesto, che essa ha subito per opera dei compilatori un rimaneggiamento»: così V. SCIALOJA, Tribonianismi in materia di obbligazioni alternative e generiche, cit., 67. Le parole di Scialoja suonano emblematiche dello spirito di un’epoca e di un certo approccio metodologico; in altra direzione sembra orientata la critica più recente (v. G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 221 s.; A. WACKE, Sul concetto di ‘dolus’ nell’actio de dolo, in Iura, 28, 1977, 24 ss; A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 139), sulla scorta soprattutto delle penetranti osservazioni sviluppate da G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 86 ss., che ha escluso una rielaborazione sostanziale del testo. In precedenza la classicità della responsabilità de dolo del debitore alternativo, contemplata nel frammento in esame, era stata difesa da L. MITTEIS, Römisches Privatrecht bis auf die Zeit Diokletians, 1, Leipzig, 1908, 319 e S. RICCOBONO, Dal diritto romano classico al diritto moderno, Palermo, 1917, 615 e 619 nt. 1.

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D. 46, 3, 95 pr. e § 1 (Pap. 28 quaest.): ‘Stichum aut Pamphilum, utrum

ego velim, dare spondes?’ Altero mortuo qui vivit solus petetur, nisi si

mora facta sit in eo mortuo, quem petitor elegit: tunc enim perinde solus

ille qui decessit praebetur, ac si solus in obligationem deductus fuisset.

Quod si promissoris fuerit electio, defuncto altero qui superest aeque peti

poterit. Enimvero si facto debitoris alter sit mortuus, cum debitoris esset

electio, quamvis interim non alius peti possit, quam qui solvi etiam potest,

neque defuncti offerri aestimatio potest, si forte longe fuit vilior, quoniam

id pro petitore in poenam promissoris constitutum est, tamen, si et alter

servus postea sine culpa debitoris moriatur, nullo modo ex stipulatu agi

poterit, cum illo in tempore, quo moriebatur, non commiserit

stipulationem. Sane quoniam impunita non debent esse admissa, doli actio

non immerito desiderabitur: aliter quam in persona fideiussoris, qui

promissum hominem interfecit, quia tenetur ex stipulatu actione fideiussor,

quemadmodum tenebatur, si debitor sine herede decessisset.

Per cogliere l’esatta portata del frammento, in più punti non

immediatamente intelligibile e perciò da più parti sospettato di

interpolazione374, è anzitutto opportuno porre l’accento sul fatto che si

tratta di una quaestio, il cui stile, anche nella versione originale, doveva

verosimilmente riflettere una certa problematicità. Premesso ciò, prima di

escluderne a priori l’autenticità, non sembra vano tentare di proporre, sulla

base del dettato attuale, una possibile ricostruzione.

374Cfr., per tutti, J. T. SCHIRMER, Kurze Bemerkungen zu einzelnen Quellenstellen, in ZSS, 19, 1898, 362, che dubita della rispondenza del testo al linguaggio normalmente impiegato da Papiniano, e V. SCIALOJA, Tribonianismi in materia di obbligazioni alternative e generiche, cit., 63 ss. con lett. ivi cit.

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Papiniano considera gli effetti di una stipulazione alternativa avente ad

oggetto la consegna di due schiavi. Nel principium si vuole che la scelta

spetti al creditore: in tal caso, se uno dei due servi muore, l’obbligazione si

concentra su quello superstite, secondo i principi generali. Una diversa

soluzione è prospettabile soltanto nell’ipotesi in cui il creditore abbia già

richiesto giudizialmente375 uno degli schiavi376, il quale tuttavia, perisca

mentre il debitore è in mora: il promittente subirebbe allora gli effetti della

perpetuatio obligationis e, anziché essere liberato definitivamente a

seguito della morte dello schiavo, ne dovrebbe pagare l’aestimatio377.

Con una costruzione in buona parte speculare, caratterizzata dalla tensione

tra norma regolatrice del rapporto e patologia dello stesso, il § 1 esamina la

disciplina della fattispecie parallela di scelta spettante al debitore.

Enunciata la regola secondo cui morto uno degli schiavi l’obbligazione si

concentra sull’altro, Papiniano considera, in una forma verosimilmente

abbreviata rispetto all’originale378, l’ipotesi di impossibilità sopravvenuta

di una delle prestazioni per fatto imputabile al debitore. In tale circostanza

si può ragionevolmente ritenere che i prudentes abbiano avvertito

l’esigenza di tener conto del valore della prestazione resa impossibile dal

debitore, onde vagliare l’opportunità di ammetterlo a pagare l’aestimatio

375 In tal senso depone chiaramente l’espressione quem petitor elegit. 376 Nel testo si parla di scelta dello schiavo morto, ma è ovvia l’allusione allo schiavo ancora in vita, che poi sarebbe morto. Cfr. nello stesso senso G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 83. 377 Cioè l’equivalente in denaro corrispondente al valore di mercato dello schiavo. 378 Come ha osservato Impallomeni (Sull’obbligo del debitore, cit., 83), il testo, per buona parte, nella sostanza «sembra genuino: il rifacimento tende piuttosto ad abbreviare il dettato originale, e deve perciò essere attribuito, più che ai commissari, al rielaboratore postclassico delle quaestiones Papiniani». Sulle consistenti alterazioni subite, nel periodo postclassico, dalle quaestiones di Papiniano si vedano, per tutti, F. WIEACKER, Textstufen klassicher Juristen, Göttingen, 1960, 333ss., e F. SCHULZ, The postclassical edition of Papinian’s ‘libri quaestionum’, in Scritti in onore di C. Ferrini, 4, Milano, 1948, 254 ss.

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della prestazione divenuta impossibile qualora essa avesse un valore

notevolmente inferiore rispetto a quella restante.

Una eco delle dispute intorno a tale problema si può ravvisare nella

sententia papinianea laddove, considerando l’ipotesi in cui uno schiavo sia

morto per factum debitoris, il giurista sembra sceverare il caso di

perimento, per causa imputabile al debitore, dello schiavo longe vilior379,

escludendo che nella fattispecie si possa riconoscere all’obbligato la

facoltà di prestare l’aestimatio dell’oggetto perito. Né avrebbe potuto

essere altrimenti, dal momento che, come sembra doversi desumere dal

nostro frammento, tale possibilità veniva accordata pro petitore in poenam

promissoris.

Perito per fatto imputabile al debitore l’uno dei due schiavi

alternativamente dedotti in obbligazione, ben poteva accadere che

successivamente, per caso fortuito, pure quello superstite morisse. La

fattispecie, che non poteva sfuggire all’articolata disquisizione papinianea,

è contemplata nell’immediato prosieguo del frammento; al riguardo il

giurista afferma l’estinzione ex stipulatu dell’obbligazione380, ammettendo

peraltro l’esperibilità dell’actio doli381 contro il debitore qualora –

s’intende – questi non intenda pagare l’aestimatio dell’oggetto perito.

La classicità dell’azione di dolo contro l’obbligato alternativo è stata

contestata da Scialoja: la concessione di tale rimedio è apparsa

379 E’ interessante notare che questa espressione, generalmente giudicata sospetta insieme al periodo neque defuncti – constitutum est che la contiene, ricorre anche nella prima parte di D. 9, 2, 55, generalmente ritenuta genuina, su cui cfr., infra. 380 Ciò perché illo in tempore, quo moriebatur (s’intende il primo schiavo), non commiserit stipulationem. Se invece anche il perimento del secondo oggetto fosse stato imputabile al debitore, contro quest’ultimo sarebbe stata senz’altro esperibile l’azione contrattuale. 381 Osserva B. WINDSCHEID, Pandette, cit., 2, 23 nt. 14, che ove il rapporto obbligatorio fosse stato tutelato da un’azione di buona fede, questa probabilmente doveva ritenersi esperibile in luogo dell’actio doli .

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all’autorevole interprete «non ardita, ma addirittura inverosimile»382. In

effetti, in assenza di qualsiasi riferimento alla premeditazione

dell’uccisione dello schiavo, il tenore del testo sembrerebbe avallare il

rilievo che l’actio doli finirebbe per trovare applicazione anche qualora

l’impossibilità della prestazione fosse da attribuire alla semplice colpa del

debitore, il che sarebbe contrario ai principi classici in materia di dolo.

Tuttavia, come ha osservato Impallomeni383, il dolo che giustifica detta

azione non è da individuare nel comportamento del debitore che ha

provocato la morte di uno degli schiavi, «bensì nel suo contegno

successivo, per cui pretende la liberazione in una situazione che certo si

risolve in danno del creditore, e al formarsi della quale egli ha

contribuito»384.

382 V. SCIALOJA, Tribonianismi in materia di obbligazioni alternative e generiche, cit., 68. L’opinione è seguita, tra gli altri, da C. LONGO, Corso di diritto romano, cit., 112 e da E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano: le obbligazioni, cit., 234 s. Pur ritenendo discutibili le osservazioni di Scialoja, sulla genuinità del sintagma mantiene prudenti riserve S. SOLAZZI, Mora del convenuto con le azioni adiettizie e mora del fideiussore, in RISG, 61, 1919, 10 ss., ora in Scritti di diritto romano, 2, Napoli, 1957, 263 e nt. 17. 383 Sull’obbligo del debitore, cit., 89. 384 In senso analogo, v. A. WACKE, Sul concetto di ‘dolus’ nell’actio de dolo, cit., 25. L’Autore osserva infatti: «Se il debitore avesse deliberatamente ucciso Stico, non ci sarebbe alcun dubbio in merito all’esperibilità dell’actio de dolo: anche se avesse ben calcolato di poter ancora consegnare Panfilo, egli ha con ciò consapevolmente aggravato il rischio della morte naturale di quello; per tali motivi il suo comportamento confina con il moderno dolus eventualis. Ma, anche senza premeditazione, all’aumento del pericolo connesso con l’uccisione deliberata di Stico consegue che il debitore non può più far valere la successiva morte casuale di Panfilo con effetto liberatorio. La regola giuridica civilistica “Impossibilium nulla obligatio” la delimita il diritto pretorio mediante l’actio de dolo, così come la delimita nei casi classici di applicazione della perpetuatio obligationis, la finzione della sopravvivenza della cosa…finchè il debitore di un’obbligazione alternativa legittimato a scegliere non ha esercitato il suo diritto di scelta gli incombono, con riferimento ad ambedue gli oggetti della prestazione, doveri di custodia, alla cui violazione consegue che un successivo venir meno fortuito della prestazione rimasta ormai la sola possibile non lo libera più in base al diritto onorario, ma conduce all’actio de dolo». Non appaiono persuasive invece le argomentazioni addotte da Carlo Longo (Corso di diritto romano, cit., 112 s.) nel commentare il pensiero di Vittorio Scialoja: «Lo Scialoja ha infatti giustamente osservato che non si può attribuire al giureconsulto classico questa actio doli, perché essa è inverosimilmente mal scelta, dal momento che il debitore, quando distrusse il primo oggetto, non era sicuramente in dolo nei riguardi del creditore che sapeva di poter soddisfare a suo arbitrio con l’altro oggetto». Né sembra condivisibile l’analogo discorso di Schulz (Einführung in das Studium der Digesten, Tübingen 1916,

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Il testo si chiude con la contrapposizione tra la responsabilità de dolo del

debitore principale, che nasceva in caso di mancato pagamento

dell’aestimatio, e la responsabilità ex stipulatu del fideiussore; costui

sarebbe stato infatti tenuto contrattualmente allorchè avesse reso

impossibile la prestazione del debitore principale, uccidendo lo schiavo da

questi promesso. A questa ipotesi Papiniano equipara, sul piano del regime

della responsabilità, quella in cui il debitore sia morto senza eredi.

Quest’ultima parte del frammento è stata dai più stralciata come insiticia385

105 ) quando afferma che nel frammento in esame non si può parlare di dolo perché il debitore, distruggendo uno degli oggetti, intende adempiere con l’altro e non danneggiare il creditore. Nell’ipotesi prevista dal passo de quo, infatti, gli estremi del dolo si configurano in considerazione del fatto che il debitore che distrugge volontariamente e ingiustificatamente una delle prestazioni sa di danneggiare il creditore aumentando il rischio del perimento dell’oggetto. 385 La genuinità dell’ultima parte del frammento è stata esclusa, tra gli altri, da V. SCIALOJA, Tribonianismi in materia di obbligazioni alternative e generiche, cit., in particolare 65 e nt. 2, che si sofferma soprattutto su rilievi grammaticali; F. EISELE, Weitere Studien zum Texte der Digesten, cit., 145 s., che procede ad una serie di rilievi formali; B. BIONDI , La legittimazione processuale nelle azioni divisorie romane, in Annali Perugia , 3-4, 1913, 14; S. RICCOBONO, Dal diritto romano classico al diritto moderno, cit., 615; S. SOLAZZI, Mora del convenuto con le azioni adiettizie e mora del fideiussore, cit., 262 ss; F. HAYMANN, Textkritik. Studien zum römischen Obligationenrecht, in ZSS, 40, 1919, 308 nt.; F. SCADUTO, Contributo esegetico alla dottrina romana dell’eredità giacente, in Annali Palermo, 8, 1921, 39; E. GENZMER, Der subjektive Tatbestand des Schuldnerverzugs im klassischen römischen Recht, in ZSS, 44, 1924, 92 nt.; G. BESELER, Miscellanea, in ZSS, 45, 1925, 237 ss.; W. W. BUCKLAND, les limites de l’obligation du ‘fideiussor’ , in RHD, 7, 1928, 460; F. DESSERTEAUX, Quelques mots sur le fidéiusseur donné par un dèbiteur qui, plus tard, est deportè ou meurt sans, in héretier, in RHD, 7, 1929, 296, nt.; O. C. AUSIELLO, Il concetto dell’obbligazione romana nel ‘ius civile’ e nel ‘ius honorarium’, in Annali Camerino, 2, 1929, 107 s.; P. KOSCHAKER, Miszellen: zwei Digestenstellen, in ZSS, 49, 1929, 468; W. FLUME, Studien zur Akzessorietät der römischen Bürgschaftstipulationen, Weimar, 1932, 106, ss., 119 s., che ritiene il testo alterato solo formalmente; F. DE MARTINO, Le garanzie personali dell’obbligazione, 1, Roma, 1940, 122, s. 173 ss. G. PUGLIESE, Intorno all’impossibilità della prestazione causata dal ‘pater familias’ e dal fideiussore, in Studi in onore di U. E. Paoli, Firenze, 1956, 578 ss. Di contro, hanno sostenuto la classicità della parte in considerazione del nostro frammento, dapprima E. HUSCHKE, Gaius. Beiträge zur Kritik und zum Verständniss seiner Instituzionen, Leipzig, 1855, 80 s., che ha riferito il testo al fideiussor, mentre l’analoga ipotesi di D. 4, 3, 19 allo sponsor; in seguito anche E. I. BEKKER, Uber den Entwckelungsgang der Römischen Actionen , in ZSS, 15, 1893, 192, che non ha messo in discussione la genuinità del frammento, e A. PERNICE, Parerga, in ZSS, 19, 1898, 179 s., che, riprendendo la tesi di Huschke, ricollega le diverse disposizioni del nostro frammento e di D. 4, 3, 19, alle differenti forme di garanzia. Sempre riferendo il testo in

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soprattutto in considerazione del contrasto tra l’esposizione, ivi

contemplata, del fideiussor all’actio ex stipulatu e la possibilità -

riconosciuta dal giurista severiano nel libro 37° delle medesime

quaestiones386 - di perseguire il garante, che si sia reso responsabile del

perimento dell’oggetto dovuto, con l’actio de dolo. La chiusa costituisce

invece solo un’ulteriore conferma dell’abbreviazione387 subita

dall’originale classico in cui, conformemente allo stile delle quaestiones,

trovava probabilmente posto una discussione tra i giuristi dell’età di

Papiniano volta a valutare l’opportunità di concedere un’actio doli contro il

fideiussore388 di un’obbligazione alternativa389 piuttosto che un’azione esame al fideiussor, si pronunzia, sia pur con qualche dubbio, per la sua genuinità, P. BERETTA, Sulle formule di stipulazione fideiussoria e novativa, in Scritti in onore di C. Ferrini, pubblicati in occasione della sua beatificazione, 1, Milano, 1947, 85 nt.; considera classica l’ultima parte del frammento P. FREZZA (Le garanzie delle obbligazioni, 1, cit., 77 s.) che però propone la sostituzione di tenebatur con teneretur, osservando che «il testo discute di norme di diritto vigente, e un riferimento storico collocato in coda a tutta una lunga discussione di diritto vigente sarebbe stato stravagante, ed avrebbe tolto la base al confronto, istituito con il quemadmodum, fra due norme che non possono essere confrontate se non in quanto ambedue attualmente vigenti». 386 Il riferimento è al dettato di D. 4, 3, 19, su cui si veda, più ampiamente, infra. 387 V. G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 85; A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 142. 388 Nel tentativo di superare le divergenze testuali che generalmente sono state rilevate tra la parte finale di D. 46, 3, 95, 1 e D. 4, 3, 19, mentre una parte della dottrina ha ritenuto che il testo originale si riferisse allo sponsor (si vedano, per tutti, W. FLUME, Studien zur Akzessorietät, cit., 106 ss.; F. DE MARTINO, Le garanzie personali dell’obbligazione, cit., 122 s e 173 ss.) un’altra parte lo ha riferito al fideiussor (cfr., per tutti, E. HUSCHKE, Gaius, cit., 80 s.) e altri ancora hanno giudicato difficile decidere, sulla base degli elementi disponibili, per il riferimento allo sponsor o al fideiussor (così, ad esempio, P. FREZZA, Le garanzie delle obbligazioni, 1, cit., 77, e A. CENDERELLI, Le garanzie personali delle obbligazioni per debiti e crediti della eredità giacente, in SDHI, 30, 1964, 139 ). Escludendo che la parte finale del testo abbia subito alterazioni sostanziali, ritiene assai probabile che in essa si parlasse di fideiussor A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 142. Nello stesso senso, dopo aver manifestato qualche dubbio, propende P. FREZZA, op. e loc. ult. cit. 389 Questa parte del testo è stata generalmente riferita all’obbligazione semplice (cfr., per tutti, G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 88); tuttavia non vi è ragione di escludere che in tutto il frammento – e quindi anche in questa parte – si parlasse di obbligazione alternativa. Anzi supponendo ciò risulta più agevole la comprensione del significato del passo. Nè basta a far pensare che il fideiussore stesse garantendo un’obbligazione semplice l’espressione qui promissum hominem interfecit, perché molto simile al Si fideiussor promissum animal ante moram occiderit che si legge in D. 4, 3, 19, con riferimento ad un’obbligazione semplice. In entrambi i frammenti, infatti, con le citate espressioni non si voleva probabilmente richiamare l’attenzione sull’atto costitutivo

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contrattuale390. Il problema si profilava, in particolare, quando, dopo che il

fideiussore avesse reso impossibile per fatto proprio una delle due

prestazioni alternativamente dovute dal debitore principale, perisse per

caso fortuito391 pure l’oggetto rimasto, poiché, essendo il factum

dell’obbligazione, cioè sul fatto che era stato promesso uno schiavo o un animale, bensì sottolineare che ciò che aveva reso impossibile la prestazione era l’uccisione intenzionale dello schiavo o dell’animale, come sembra indicare l’uso dei verbi interficere e occidere. Certo nelle espressioni impiegate il riferimento all’atto costitutivo è implicito ma la loro genericità non induce necessariamente a concludere che in entrambi i casi si alludesse ad un’obbligazione semplice. Nella parte del passo che stiamo considerando, se si suppone un suo collegamento con quello precedente, è piuttosto plausibile pensare che si parlasse di uccisione di un servo promesso perché la situazione presa in considerazione continuava ad essere quella in cui una sola prestazione diventava impossibile per fatto imputabile mentre l’altra per casus fortuitus.V. A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 143. 390 P. FREZZA, Le garanzie delle obbligazioni, 1, cit., 91. Sul punto la dottrina ha rilevato come Papiniano, che aveva di fronte differenti soluzioni prospettate dai giuristi a lui contemporanei, sembri aderire in D. 46, 3, 95, 1 al pensiero di Paolo e di Marciano. Il primo riferisce alcune considerazioni di Pomponio in D. 45, 1, 91, 4 (Paul. 17 ad Plautium): Nunc videamus, in quibus personis haec constitutio locum habeat. Quae inspectio duplex est, ut primo quaeramus, quae personae efficiant perpetuam obligationem, deinde quibus eam producano. Utique autem principalis debitor perpatuat obligationem. Accessiones an perpetuent, dubium est. Pomponio perpetuare placet. Quare enim facto suo fideiussor suam obligationem tollat? Cuius sententia vera est: itaque perpetuatur obligatio tam ipsorum quam successorum eorum. Accessionibus quoque suis, id est fideiussoribus, perpetuant obligationem, quia in totam causam spoponderunt. Con riguardo a questo frammento P. FREZZA (Le garanzie delle obbligazioni, 1, cit., 89) ha osservato: «Le considerazioni di Pomponio riferite da Paolo s’intendono se si attribuisce a Pomponio l’intento di giustificare la responsabilità del garante come una implicazione della sua responsabilità contrattuale, contro l’altra possibilità…di configurare come dolo il fatto del fideiussor che, annullando la responsabilità del debitore principale, annulla anche la sua propria responsabilità; come vedremo subito, era stata proposta in questo caso l’actio doli. Pomponio mentre accettava dai sostenitori della responsabilità de dolo il rilievo della slealtà del comportamento del fideiussore che surrettiziamente annulla la sua responsabilità, si prospettava il vantaggio di agire contro il fideiussore con l’actio utilis ex stipulatu invece che con la actio doli: il vantaggio consisteva nella trasmissibilità agli eredi della responsabilità ex stipulatu di fronte alla limitazione della responsabilità degli eredi all’arricchimento nel caso dell’actio doli (cfr. D. IV, 3, 26): di qui il rilievo “itaque perpetuatur obligatio tam ipsorum quam successorum eorum”». Per il pensiero di Paolo si consideri anche D. 45, 1, 49 pr. (Paul. 37 ad ed.): Cum filius familias Stichum dari spoponderit et, cum per eum staret, quo minus daret, decessit Stichus, datur in patrem de peculio actio, quatenus maneret filius ex stipulatu obligatus. At si pater in mora fuit, non tenebitur filius, sed utilis actio in patrem danda est. Quae omnia et in fideiussoris persona dicuntur. Sulla stessa linea appare l’opinione di Marciano in D. 22, 1, 32, 5 (Marc. 4 regul.): Item si fideiussor solus moram fecerit, non tenetur, sicuti si Stichum promissum occiderit: sed utilis actio in hunc dabitur. 391 Se si ammette che nell’ultima parte del frammento il giurista prosegue il discorso avviato in precedenza, non vi è ragione per escludere che ci si trovi anche in questo caso dinanzi ad una situazione in cui una delle due cose alternativamente dovute era perita per caso fortuito e l’altra per fatto del fideiussore.

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fideiussoris valutato alla stregua di caso fortuito392, l’obbligato e,

conseguentemente, lo stesso garante sarebbero stati liberati. In queste

circostanze il pretore avrebbe certamente potuto accordare l’actio doli;

tuttavia l’esperimento di tale rimedio non sarebbe stato particolarmente

vantaggioso, soprattutto ove si consideri che la responsabilità de dolo si

trasmette agli eredi nei limiti dell’arricchimento, limitazione cui invece

non soggiace la responsabilità ex stipulatu.

Non è improbabile che considerazioni di tal fatta abbiano indotto

Papiniano ad ammettere l’esperibilità di un’utilis actio ex stipulatu393

contro il fideiussore che avesse ucciso uno dei due schiavi alternativamente

dovuti dal debitore principale. In questa prospettiva peraltro si

giustificherebbe anche «il confronto con la responsabilità del garante in

caso di morte senza eredi del reo principale…se si supponga che nell’uno

come nell’altro caso le due responsabilità venissero fatte valere con due

actiones ficticiae 394: nell’un caso con la fictio “si pareret reum dare facere

oportere”; nell’altro con la duplice fictio “si heres exstaret, tum, si pareret

eum dare facere oportere”»395. Nè al giurista severiano deve essere

sfuggito che la protezione dell’interesse del creditore rispetto al rischio del

perimento, assicurata dalla presenza in obligatione di due oggetti, si

392 «Il fideiussor risponde…per un’obbligazione non propria…e se procura, per dolo o colpa, l’impossibilità della prestazione, non ne risponde, perché il dovere di comportamento non grava su di lui…il fatto del fideiussore, come di qualsiasi terzo è valutato come caso fortuito». Così M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, cit., 575. 393 Ha ritenuto che l’actio ex stipulatu di D. 46, 3, 95, 1 fosse un’actio utilis, fondata sulla finzione per cui si considerava come non avvenuta la liberazione del fideiussore, F. K. SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, trad. it. di V. Scialoja, 5, Torino, 1893, 681 nt. In sintonia con questa interpretazione v., anche recentemente P. FREZZA Le garanzie delle obbligazioni, 1, cit., 90. 394 Sulle actiones ficticiae v., da ultimo, F. MERCOGLIANO, «Actiones ficticiae». Tipologie e datazione, Napoli, 2001. 395 Cfr. in tal senso, P. FREZZA, Le garanzie delle obbligazioni, 1, cit., 90, che segue il pensiero di S. RICCOBONO, Corso, Palermo, 1933-34, 474.

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rafforzava quando i medesimi erano dovuti da due persone diverse; la

condotta del fideiussore che avesse reso impossibile una delle prestazioni

sarebbe apparsa allora particolarmente lesiva396 e quindi riprovevole.

Appropriata sarebbe stata dunque la concessione di un’utilis actio ex

stipulatu che avrebbe assicurato una più efficace tutela.

L’interpretazione che qui si è offerta consente oltretutto di far quadrare la

soluzione prospettata nel nostro frammento con l’insegnamento che si trae

da

D. 4, 3, 19 (Pap. 37 quaest.): Si fideiussor promissum animal ante moram

occiderit, de dolo actionem reddi adversus eum oportere Neratius Priscus

et Iulianus responderunt, quoniam debitore liberato per consequentias ipse

quoque dimittitur.

Il fideiussore che uccide un animale oggetto dell’obbligazione da lui stesso

garantita prima che il debitore principale sia in mora determina la

liberazione di quest’ultimo per impossibilità sopravvenuta397 e,

conseguentemente, esclude l’esperibilità contra se dell’azione contrattuale.

L’iniquità di una simile soluzione non poteva però non urtare la sensibilità

della giurisprudenza romana, evidenziando la necessità di un

temperamento, che Nerazio e Giuliano – secondo quanto riferisce

396 In questo caso, infatti, come già si è evidenziato, si sarebbe verificata la concentrazione dell’obbligazione (il fatto del fideiussore è equiparato al casus fortuitus) ed eventualmente, qualora anche l’altra prestazione fosse divenuta impossibile per caso fortuito, l’estinzione dell’obbligazione. Il creditore, pertanto, titolare di un credito doppiamente garantito, in quanto tale dal punto di vista soggettivo ed oggettivo, si sarebbe trovato in una situazione peggiore del creditore il cui credito alternativo non fosse stato garantito da fideiussio. 397 Non essendo il debitore moroso non può infatti aver luogo la perpetuatio obligationis.

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Papiniano – individuano nell’esposizione del fideiussore all’actio de

dolo398 .

Il tenore di D. 4, 3, 19 si direbbe, prima facie, in contraddizione con D. 46,

3, 95, 1, poiché, in luogo dell’azione di dolo, quest’ultimo testo, come si è

visto, accorda l’azione contrattuale contro il fideiussore. La divergenza

testuale è stata variamente giustificata in dottrina: Flume la risolve

ipotizzando che Papiniano nel passo escerpito dal 28° libro delle

quaestiones si stesse occupando di una sponsio e non di una fideiussio399.

Riccobono400 e Solazzi401, viceversa, ritengono che per diritto classico il

garante, quand’anche fosse stato responsabile del perimento della cosa

dovuta dal debitore principale, in virtù della accessorietà della garanzia

sarebbe stato liberato con l’estinzione del debito principale, e ciò tanto nel

caso in cui il garante fosse stato uno sponsor (o fidepromissor) quanto nel

caso di un fideiussor. Per questa ragione, il pretore avrebbe accordato

contro il garante (sponsor, fidepromissor o fideiussor) una actio de dolo, e

non l’actio ex stipulatu di cui parla il testo: la soluzione classica sarebbe

cioè solo quella contenuta in D. 4,3,19. Secondo gli Autori la

contraddizione di Papiniano andrebbe pertanto risolta ipotizzando

l’interpolazione di D. 46, 3, 95, 1: Giustiniano, eliminando il contrasto fra

398 Sulla concessione nella fattispecie in considerazione dell’actio de dolo cfr. G. IMPALLOMENI, Sull’obbligo del debitore, cit., 84 ss.; A. WACKE, Kannte das Edikt eine in integrum restitutio propter dolum?, in ZSS, 88, 1971, 130; ID., Sul concetto di ‘dolus’ nell’actio de dolo, cit., 20; ID., Zum dolus-Begriff der actio de dolo, in RIDA, 27, 1980, 362 ss. 399 W. FLUME, Studien, cit., 105 ss. In sintonia con l’Autore di recente v. anche Paola Ziliotto (Studi, cit., 256), la quale ha sostenuto che «nonostante le incertezze della dottrina, è tuttavia possibile supporre che il contrasto di opinioni risalente a Papiniano possa essere effettivamente risolto ipotizzando che in D. 46,3,95,1, diversamente che in D. 4,3,19, il giurista si stesse occupando della responsabilità dello sponsor». 400 Dal diritto, cit., 615 ss. 401 Mora, cit., 263 s.

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ius civile e ius honorarium, avrebbe sostituito la menzione del rimedio

pretorio, facendo rispondere il garante ex stipulatu402.

Forse più empiricamente si potrebbe tuttavia osservare che tra le situazioni

vagliate nei due testi vi è simiglianza, ma non perfetta identità, attesa la

maggiore lesività, in rapporto agli interessi del creditore, della fattispecie

contemplata in D. 46, 3, 95, 1, in ragione degli scopi cui l’adozione dello

schema dell’alternatività risultava funzionale.

Il rafforzamento della garanzia dell’obbligazione, che discendeva

dall’impiego di tale schema, potrebbe infatti aver giustificato il

riconoscimento, sotto il profilo rimediale, di una tutela

corrispondentemente più intensa rispetto all’ipotesi in cui la garanzia

personale non si fosse saldata con quella “reale”, ammettendosi

402 Riccobono, che non aderisce all’ipotesi di interpolazione dell’actio doli contro il debitore alternativo suggerita da Scialoja, ricostruisce la parte del testo che si riferisce al fideiussor sostituendo aliter quam con sicut, ed eliminando la frase quia tenetur-decessisset. Ferma restando l’eliminazione di quest’ultima frase, Solazzi, più cauto in ordine alla genuinità dell’actio doli contro il debitore alternativo, e ammettendo che Papiniano possa quanto meno essersi posto il problema di una sua responsabilità, propone due ipotesi. Se Papiniano avesse ammesso l’actio doli contro il debitore alternativo, sarebbe necessario sostituire aliter quam con un’espressione analoga a quella proposta da Riccobono (sicut oppure non aliter quam). Se invece Papiniano avesse negato l’actio doli contro il debitore alternativo, il testo dovrebbe essere così ricostruito: de dolo actio non datur, aliter quam in persona fideiussoris qui promissum hominem interfecit (per l’interpolazione dell’ultima parte di Pap. D. 46, 3,95,1, dove si concede l’acti ex stipulatu contro il fideiussor, v. anche F. HAIMANN, textkritische Studien zum romischen Obligationenrecht, in ZSS, 40, 1919, 308, nt. 4; G. SCADUTO, Contributo esegetico alla dottrina romana dell’erdità giacente, in AUPA, 8, 1921, 39; C. AUSIELLO, Il concetto dell’obbligazione romana nel ‘ius civile’ e nel ‘ius honorarium’, in Annali Camerino, 2, 1929, 107 s.; F. EISELE, Weitere Studien, cit., 146; P. KOSCHAKER, in ZSS, 49 [ 1929], 469 ss.). Secondo Flume, l’ipotesi che l’actio ex stipulatu sia una innovazione giustinianea è inaccattabile, se non altro perché, come giustamente egli osserva, se i compilatori avessero davvero voluto sostituire consapevolmente la regola classica - che prevedeva la liberazione del garante e la correlativa actio de dolo contro il garante - con la responsabilità ex stpulatu del garante stesso, sarebbe a dir poco sorprendente che essi in Pap. D. 4,3,19 non si siano preoccupati di eliminare dal testo classico nemmeno la frase nella quale è detto espressamente che il garante è liberato a causa della liberazione del debitore principale (e cioè la motivazione della concessione dell’actio de dolo contro il garante: quondam debitore liberato per consequentias ipse quoque dimittitur). Ulteriori considerazioni contro l’ipotesi di Riccobono e Solazzzi in F. DE MARTINO, Le garanzie, cit., 166.

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conseguentemente l’esperibilità dell’actio ex stipulatu in luogo dell’actio

de dolo.

7.3 Impossibilità imputabile al creditore

La lunga dissertazione sin qui condotta intorno all’impossibilità

sopravvenuta di una delle prestazioni si chiude naturalmente con l’esame

dell’ipotesi di perimento dell’oggetto per causa imputabile al creditore. In

questa prospettiva assume rilievo un caso escerpito dal 22° libro delle

Quaestiones di Paolo:

D. 9, 2, 55 (Paul. 22 quaest.): Stichum aut Pamphilum promisi Titio, cum

Stichus esset decem milium, Pamphilus viginti: stipulator stichum ante

moram occidit: quaesitum est de actione legis Aquiliae, respondi: cum

viliorem occidisse proponitur, in hunc tractatum nihilum differt ab

extraneo creditor. Quanti igitur fiet aestimatio, utrum decem milium,

quanti fuit occisus, an quanti est, quem necesse habeo dare, id est quanti

mea interest? Et quid dicemus, si et Pamphilus decesserit sine mora? Iam

pretium Stichi minuetur, quoniam liberatus est promissor? Et sufficiet

fuisse pluris cum occideretur vel intra annum. Hac quidem ratione, etiamsi

post mortem Pamphili intra annum occidatur, pluris videbitur fuisse.

L’ipotesi al vaglio del giurista severiano è quella di una obbligazione

avente ad oggetto la consegna alternativamente di Stico, il cui valore è

stimato pari a 10000, o di Panfilo, che vale esattamente il doppio. La

scelta, in assenza di qualsiasi statuizione sul punto, deve intendersi

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accordata al debitore, al quale però viene precluso l’esercizio del diritto ad

essa correlato per fatto del creditore, che, ante moram403, uccide lo schiavo

di minor valore. E’ evidente che il debitore risenta un danno dall’atto

illecito: ci si interroga quindi sull’esperibilità dell’actio legis Aquiliae404 e

sul quantum del risarcimento che avrebbe potuto essere liquidato.

Quid iuris, poi, se lo schiavo superstite perisca sine mora? Anche in questo

caso il problema più spinoso concerne l’individuazione dei criteri che

presiedono alla determinazione dell’entità cui condannare il danneggiante.

Quantunque il passo sia ritenuto pressochè generalmente interpolato405,

nondimeno, a parere di taluni studiosi406, la visuale ivi espressa

403In mancanza di una precisazione volta a chiarire se si stesse facendo riferimento alla mora del debitore o a quella del creditore la dottrina pressochè unanime ritiene che Paolo alludesse alla mora del debitore. Cfr., per tutti, U. VON LÜBTOW, Untersuchungen zur lex Aquilia de damno iniuria dato, Berlino, 1971, 125, e G. VALDITARA, Superamento dell’aestimatio rei nella valutazione del danno aquiliano ed estensione della tutela ai non domini, Milano, 1992, 238. Diversamente G. IMPALLOMENI (Sull’obbligo del debitore, cit., 58 s.), seguito da A. S. SCARCELLA (Studi, cit., 149 nt. 202), sostiene che nel testo ci si riferisca alla mora del creditore, poichè mentre nel caso di mora del debitore la situazione non sarebbe cambiata, dovendo il creditore rispondere, anche in tal caso, per l’azione aquiliana, nell’ipotesi di mora del creditore, probabilmente, avendo egli ucciso lo schiavo che il debitore era pronto a consegnare, quest’ultimo non avrebbe subito alcun danno e sarebbero dunque mancati gli estremi per l’esperibilità dell’azione aquiliana. 404 Sulle problematiche relative alla lex Aquilia esiste una nutrita letteratura. Qui sarà sufficiente ricordare alcuni dei lavori più recenti rimandando alla bibliografia ivi citata per ulteriori ragguagli: G. VALDITARA, “Damnum iniuria datum”, in Derecho romano de obligaciones. Homenaje al Profesor Josè Luis Murga Gener, Madrid, 1994, 825 ss.; C. A. CANNATA, Sul testo originale della lex Aquilia: premesse e ricostruzioni del capo I, in SDHI, 57, 1992, 212 ss.; ID., Considerazioni sul testo e la portata originaria del secondo capo della “lex Aquilia”, in Index, 22, 1994, 151 ss., ID., Sul testo della lex Aquilia e la sua portata originaria, in La responsabilità civile da atto illecito nella prospettiva storico comparatistica, Torino, 1995, 33 ss.; F. M. DE ROBERTIS, Damnum iniuria datum, Bari, 2000; P. ZILIOTTO, L’imputazione del danno aquiliano. Tra iniuria e damnum corpore datum, Padova, 2000. 405 Cfr. G. BESELER, Beiträge, 3, cit., 62; ID., Romanistiche Studien, in ZSS, 50, 1930, 30; F. SCHULZ, Einführung in das Studium der Digesten, cit., 102; M. KASER, Quanti ea res est, cit., P. VOCI, Risarcimento e pena privata nel diritto romano classico, Milano, 1939, 72 s. e nt. 6; F. GERKE, Geschichtliche Entwicklung der Bemessung der Ansprüche aus der ‘lex Aquilia’, in SDHI, 23, 1957, 105 ss.; D. MEDICUS, Id quod interest, Köln – Graz, 1962, 242 nt 39; U. VON LÜBTOW, Untersuchungen zur lex Aquilia de damno iniuria dato, cit., 125 s. 406 Così, pure se in vario modo, M. KASER, op. e loc. ult. cit.; P. VOCI, op. e loc. ult cit.; F. H. LAWSON, Negligence in the Civil Law, Oxford, 1950, 135; U. WESEL, Rhetorische Statuslehere und Gesetzesauslegung der römischen Juristen, Köln-Berlin-

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corrisponde sostanzialmente a quella classica, soprattutto se si delimita il

campo d’indagine circoscrivendolo alla prima parte del frammento, quella

che va da Stichum a interest. Dalla sezione successiva407, giudicata dalla

communis opinio non genuina e solitamente neppure commentata, si ritiene

Bon-München, 1967, 53 nt 41; H. ANKUM, L’actio de pauperie et l’actio legis Aquiliae, in Studi in onore di C. Sanfilippo, 2, Milano, 1984, 50 e nt. 86. 407 Nella seconda parte di D. 9, 2, 55 si pone un ulteriore quesito relativo alla determinazione della stima quando successivamente Panfilo sia morto sine mora. Senonchè in questo modo, rompendosi l’unitarietà del discorso, si lascia il problema posto nella prima parte del frammento senza risposta, dilatandosi la trattazione con una serie ulteriore di domande che appesantiscono il testo e che pongono oltretutto una questione diversa da quella di cui ci si era occupati sino a quel momento. Importante è poi rilevare il cambiamento della forma verbale, dalla prima alla terza persona, che si attua nella seconda parte del testo e che lascia trasparire una mano diversa. Mentre infatti nell’esordio del passo paolino si imposta il discorso sulla base della identificazione di chi scrive con il promissor (Stichum aut Pamphilum promisi Titio) e si prosegue in coerente consequenzialità parlando di (servus) quem necesse habeo dare e di stima del “mio” interesse, la sezione seconda vede l’improvvisa rottura di questo stile unitario riferendo il discorso alla terza persona: quoniam liberatus est promissor, anziché quoniam liberatus sum. La presenza di “iam” nella frase che precede quella che va da et sufficiet a intra annum non appare poi appropriata. Se detto avverbio ha valore affermativo, si produce un contrasto di ordine logico con la frase successiva; se invece introduce una interrogativa, come qui sembrerebbe, non è usato correttamente, per cui Mommsen (Dig. ad h. l., nt.3) proponeva di sostituirlo con an. La seconda parte del frammento solleva perplessità pure sotto il profilo del contenuto. Si considera invero anche il caso in cui Panfilo fosse morto dopo l’uccisione di Stico. Una ipotesi siffatta è chiaramente presupposta dalla risposta contenuta nella frase et sufficiet-intra annum e segnatamente nelle parole et sufficiet fuisse pluris cum occideretur. Orbene, pare difficile che in età classica si potesse discutere un’ipotesi simile, posto che la stima aquiliana si volgeva sempre a calcolare il maggior valore nell’anno anteriore. Potrebbe poi sorgere qualche sospetto sulla stessa soluzione data all’ipotesi in cui Stico era stato ucciso dopo la morte di Panfilo. «L’illecito commesso dal creditore ha avuto l’effetto di liberare il reus promittendi senza produrre a quest’ultimo danno alcuno. Viene dunque a mancare lo stesso presupposto per l’applicazione del rimedio aquiliano. Non a caso in un altro passo di Paolo, D. 4, 3, 18, 5, il giurista sembra non concedesse l’azione ex lege Aquilia al debitore contro il terzo che aveva ucciso il servo, proprio perché il promissor, come nel caso di cui in D. 9, 2, 55, era stato liberato. Per giustificare la concessione di un’azione aquiliana in quest’ultimo testo occorrerebbe pensare che la stipulatio fosse con termine iniziale, così che il debitore potesse fare propri i frutti maturati nel frattempo. In questo caso, però, la locuzione et quid dicemus, si et Pamphilus decesserit sine mora, impostando il discorso in termini generali, non appare sufficientemente appropriata, risultando più adeguata, al posto di “sine mora”, l’espressione “ante diem solutionis” che i giuristi bizantini sentirono fra l’altro il bisogno di utilizzare, precisando significativamente il passo paolino, come testimonia il testo dei Basilici». Così G. VALDITARA, Superamento dell’aestimatio rei nella valutazione del danno aquiliano, cit., 241 s. Infine la frase finale hac quidem-videbitur fuisse introduce una chiarificazione che risulta inutile e dunque sovrabbondante se messa in relazione con la conclusione contenuta nel brano che va da et sufficiet a intra annum.

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infatti di non poter ricavare elementi affidanti per ricostruire il pensiero di

Paolo408.

Il problema dell’aestimatio viene sviscerato dal giurista attraverso una

serie di domande, ben coordinate tra loro, secondo uno schema che si

accorda con il tipo di opera in cui il frammento era contenuto, e cioè i libri

Quaestionum, i quali, come indica il nome stesso, si strutturavano attorno

ad una collezione di problemata provenienti dalla pratica, da dibattiti

giurisprudenziali oppure da lettere409. Questo impianto, articolato su una

successione di domande e risposte, «non appare invece confacente alle

necessità dei compilatori; appare però lecito pensare che essi, e

verosilmente già qualche maestro post-classico, abbiano continuato nello

schema impiegato da Paolo, per porre una serie di problemi ulteriori, come

sembra dimostrare l’ultima parte del frammento»410.

Trascorrendo dall’analisi dell’aspetto compositivo del passo a quella del

contenuto regolativo, va fin d’ora rilevato come l’interesse degli interpreti

si sia concentrato sui termini dell’alternativa, prospettata dal giureconsulto

in sede di valutazione del danno, tra la considerazione dell’id quod interest

come oggetto della stima aquiliana e la possibilità di commisurare

l’aestimatio al valore dello schiavo ucciso. Posta la verosimile genuinità di

quest’ultimo ipotetico termine della stima – con riguardo al quale compare

l’espressione milium, tipica di un testo classico, laddove i compilatori

avrebbero invece adoperato aurei – la critica si è confrontata sul significato

da attribuire all’alternativa sopra ricordata. L’interrogativo se avrebbe

potuto assumere un senso in epoca anteriore a quella severiana, quando

408 V., da ultimo, G. VALDITARA, Superamento dell’ aestimatio rei nella valutazione del danno aquiliano, cit., 240 e 245. 409F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, trad. it., Firenze, 1968, 429 s. 410 Così G. VALDITARA, Superamento dell’aestimatio rei nella valutazione del danno aquiliano, cit., 244.

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ancora il pretium rei, liquidabile con il rimedio aquiliano, si identificava

sostanzialmente con il pretium corporis, appare nel nostro caso

inconsistente in quanto riportato in un passo di un giurista tardo-classico

come Paolo: come ha persuasivamente dimostrato Valditara, l’estensione

del criterio di stima dei danni nel senso del calcolo diretto dell’interesse

dell’attore è infatti verosimilmente da ascrivere proprio all’iniziativa della

giurisprudenza dell’età dei Severi. L’Autore pertanto, dato per scontato

che, come riconosciuto dalla maggior parte della critica, la soluzione

attribuibile al giurista doveva contemplare la liquidazione di 20000411 e

cioè del danno realmente subito dal debitore, ventila la possibilità che la

questione fosse già stata affrontata in giurisprudenza e che vi fosse stato

qualche giureconsulto propenso a limitare la liquidazione al pretium

corporis.

411Cifra che risultava dal calcolo del prezzo di Stico aumentato di 10000 e cioè del vantaggio perduto, secondo il criterio del c.d. «prezzo formale», oppure valutando direttamente l’interesse del danneggiato, coincidente con il valore di Panfilo che si è costretti a perdere, che invece sarebbe stato trattenuto qualora fosse stato possibile alienare il servo ucciso. Con riguardo al criterio del «prezzo formale» occorre ricordare che se il pretium rei liquidabile con il rimedio aquiliano si sarebbe identificato, in origine, con il pretium corporis, alla fine del I sec. d. C. iniziò a farsi strada una interpretazione, più favorevole nei confronti del danneggiato, che intendeva il riferimento al pretium rei non come stima del puro valore di mercato del corpus, ma come calcolo anche di quei vantaggi che il possesso di quel bene garantiva o avrebbe garantito al suo dominus con ragionevole probabilità e che vennero considerati come causae corpori cohaerentes. Questa innovazione interpretativa introduceva così un concetto prima sconosciuto nel campo del danno aquiliano, quello della stima della utilitas o dell’interesse al bene. Il valore corrispondente a detto interesse non costituiva però ancora l’entità direttamente risarcibile, ma dava luogo al calcolo di una somma aggiuntiva che si andava ad unire al valore del corpus, nell’ambito di una aestimatio che si incentrava sempre sulla res danneggiata. Per il tramite di tale criterio, denominato come del «prezzo formale», entrava ad ogni modo in gioco per la prima volta nella storia del danno aquiliano, sia pur mediatamente, l’interesse del danneggiato. Sulle tappe dell’evoluzione interpretativa che ha segnato il passaggio dalla pura aestimatio del prezzo di mercato del bene all’id quod interest v. G. VALDITARA, Superamento dell’aestimatio rei nella valutazione del danno aquiliano, cit.

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Di altro avviso è Agatina Stefania Scarcella, la quale, se conviene sul fatto

che Paolo mirava al calcolo dell’interesse del danneggiato412, ritiene

peraltro che detto interesse potesse essere diversamente valutato in sede di

esperimento dell’actio legis Aquiliae in considerazione della «possibilità

ancora lasciata al debitore dell’obbligazione alternativa di scegliere tra lo

schiavo superstite e l’aestimatio di quello ucciso». In quest’ultimo caso

l’obbligato avrebbe potuto ottenere con l’actio legis Aquiliae il valore dello

stesso: «di soli decem milia infatti era stato il danno subito dal suo

patrimonio, in quanto lo schiavo Stico era dovuto». In questa prospettiva la

locuzione quanti fuit occisus, lungi dal riferirsi al pretium corporis dello

schiavo ucciso, si atteggia a «corretto termine di riferimento di

un’alternativa mirante comunque a tener conto dell’interesse del

danneggiato»413.

Una siffatta interpretazione presuppone, come poc’anzi si è detto, che il

debitore possa scegliere tra la corresponsione dell’aestimatio dello schiavo

perito e la consegna di quello superstite: decisiva è al riguardo l’esegesi

dell’espressione quem necesse habeo dare, che, riferita allo schiavo ancora

in vita, è generalmente intesa come sicuro indice dell’avvenuta

concentrazione dell’obbligazione414.

Dissentendo dall’opinione prevalente, secondo l’Autrice se si tiene

presente la circostanza che il giureconsulto inserisce tale inciso «dopo aver

considerato la possibilità di commisurare l’ammontare della condanna ex

actione legis Aquiliae al valore dello schiavo ucciso, la cui datio sarebbe

stata ormai possibile solo nell’equivalente in denaro, non è improbabile

412 V. G. VALDITARA, Superamento dell’aestimatio rei nella valutazione del danno aquiliano, cit., 245. 413 Così A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 154. 414 Cfr., per tutti, G. GROSSO, Obbligazioni, cit., 218.

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che con esso egli volesse più semplicemente attirare l’attenzione sul fatto

che stava parlando dell’ulteriore possibilità di rapportare l’aestimatio allo

schiavo superstite, cioè a colui che doveva necessariamente essere oggetto

della datio»415.

La complessità del significato che una simile interpretazione vorrebbe

attribuire al frammento sembra tuttavia forzare il tenore letterale di

quest’ultimo, appesantendone la portata attraverso inutili e artificiose

complicazioni sul piano concettuale e di pensiero, le quali sembrano

risultare più da ipotetiche elaborazioni in esso sottintese che da effettivi

riscontri testuali.

415 A. S. SCARCELLA, Studi, cit., 150 nt. 206.

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CONCLUSIONI

Le ultime riflessioni, affidate ad un pugno di pagine, si riallacciano

idealmente all’avvio della ricerca, là dove si era posto l’accento sul

carattere sostanzialmente a posteriori dell’attività di qualificazione

dell’istituto di cui il presente lavoro ha inteso lumeggiare la

fenomenologia.

Di contro all’avvertenza iniziale, l’impostazione prescelta potrebbe infatti

essere apparsa eccessivamente rigida e dogmatica, tanto da aver suscitato

l’impressione che lo spirito416 del diritto romano sia stato in qualche modo

tradito.

Conviene allora chiarire il senso e la portata che si assegnano

all’applicazione degli schemi e delle articolazioni espositive propri della

dogmatica moderna nello studio della materia oggetto dell’indagine, onde

giustificare la scelta di un approccio che potrebbe sembrare poco fedele

all’ottica romana, inserendosi piuttosto nel solco della tradizione

civilistica. E’ probabile che la ricerca abbia pagato lo scotto connaturato a

questa scelta offrendo forse un’immagine statica del fondamento e degli

svolgimenti dell’obbligazione alternativa, laddove i più recenti «studi»417,

prediligendo un’impostazione problematica piuttosto che sistematica,

416 Secondo Montesquieu (Lo spirito delle leggi, trad. it., I, Torino, 1952, 491) «molte cose guidano gli uomini: il clima, la religione, le leggi, le massime di governo, le tradizioni, i costumi, le usanze: donde si forma uno spirito generale, che ne è il risultato». Il motivo, con specifico riferimento alla nostra materia, dà il titolo ad un lavoro di Iglesias (Espiritu del Derecho romano, Madrid, 1980). 417 È questa la differente impostazione delle ricerche più recenti condotte sull’argomento da Scarcella e Ziliotto.

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parrebbero presentare una maggiore affinità con il metodo topico che guida

il pensiero dei giuristi romani nel suo dispiegarsi.

Vero è che il tentativo che ha preso forma in questo lavoro si presta ad

essere interpretato quale improbabile variazione moderna su temi storici,

con il pericolo di ridurre passato e presente sotto lo stesso comune

denominatore della mentalità moderna, nella ingenua pretesa di ritrovare

nel mondo giuridico romano istituti del diritto contemporaneo. Nondimeno

ritengo che alla sistematica e alla dogmatica non si possa abdicare del tutto

nello studio del diritto romano. E ciò almeno per un duplice ordine di

ragioni.

Come accennato fin dal principio418, e successivamente corroborato

attraverso l’esame della nutrita casistica offerta dalle fonti, va in primo

luogo osservato che l’istituto, ancorché sconosciuto alla giurisprudenza

come categoria generale, ha salde radici nel diritto romano. Né ciò può

destare meraviglia: è noto, infatti, come i prudentes non avessero il gusto

delle costruzioni astratte e come, in genere, la capacità teorizzatrice fosse

in loro di gran lunga inferiore al genio legislativo e all’intuito pratico.

Maestri insuperati nell’escogitare il criterio esatto per la composizione dei

più vari conflitti di interesse, essi non hanno mai avvertito nettamente il

bisogno di ripiegarsi sulla propria attività di legislatori e di consulenti, né

per riflettere sulla tecnica di tale attività né per cercare di inquadrare in un

sistema di principi generali le molteplici questioni particolari da loro

risolte. Nella ricerca delle soluzioni essi non sono soliti fare applicazione

consapevole di principi; sovente trovano la soluzione d’intuito e, in

apparenza, quasi per caso (vi è bensì, alla base di ogni decisione, un

418 V. supra cap.1, § 2.

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principio ispiratore che la illumina, ma questo, lungi dal venire enunciato,

resta nell’ombra, come latente nella subcoscienza del giurista).

Così avviene anche con riguardo alle obbligazioni alternative, sicchè è

facendo leva su una pluralità di elementi, quali il generale riconoscimento

del ius variandi, il principio dell’inefficienza concentrativa della

dichiarazione di scelta - salvo espressa manifestazione di volontà contraria

-, o ancora le regole in tema di estinzione dell’obbligazione, che

l’interprete può svelare la natura dell’istituto, assiologicamente indirizzata

alla realizzazione di un interesse specifico419, ovverosia quello del

creditore all’adempimento.

La protezione di detto interesse, che si sostanzia obiettivamente

nell’alternatività dell’oggetto dell’obbligazione - garanzia, di per sé, di

maggiori possibilità satisfattive -, si contempera poi di volta in volta con

altri principi, in considerazione, ad esempio, della condotta posta in essere

dall’avente diritto420, ovvero, più in generale, a livello strutturale, in

ragione della maggiore gravosità che ne discende per la posizione del

debitore421.

I giuristi rifuggono peraltro così dal risalire a formulazioni astratte come

dall’esporre le funzioni pratiche cui doveva essere preordinata la figura

dell’obbligazione alternativa.

Su questa strada del resto sospingeva i giureconsulti, oltre che la

particolare natura del pensiero romano422, anche l’intimo nesso tra diritto

419 A. GORASSINI, Alternatività nell’oggetto dell’obbligazione, cit., 162. 420 Si vedano, esemplificativamente, le regole in tema di impossibilità sopravvenuta imputabile al creditore. 421 In questa prospettiva si giustifica il riconoscimento, in assenza di qualsivoglia previsione al riguardo, della scelta al debitore, in ossequio al principio del favor debitoris. 422 Com’è noto, i giuristi romani si affidavano con preferenza alla forza creativa dell’intuizione, giungendo ad enucleare la giusta decisione in virtù di un’immediata comprensione che prescindeva da un argomentare razionale. Siffatta spontanea individuazione della decisione giusta si fondava sulla profonda compenetrazione tra il raffinato senso giuridico del reale e la pienezza appercettiva dell’esperienza. In questa

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privato e congegno processuale, per cui essi erano indotti a considerare

ogni rapporto giuridico con riguardo alla formula corrispondente: il che di

per sé escludeva le varie specie di generalizzazioni. Ma appunto perciò,

come è stato evidenziato, «il regolamento dei singoli rapporti risultava

semplice e chiaro: non avvolto, cioè, nella nebbia di astrazioni

pericolose423».

E siffatte osservazioni ci introducono, evocandolo, al secondo motivo della

scelta metodologica operata nel condurre la presente indagine.

Essa ha un fondamento storico - per quanto ciò possa apparire paradossale

nello studio di una materia che individua nella coscienza dell’esaurimento

della parabola del diritto romano come diritto vigente uno dei propri

postulati – e scaturisce dalla consapevolezza dell’impossibilità di fare

tabula rasa di secoli di tradizione, spogliandosi di una educazione

giuridica che attraverso quella imponente tradizione si è plasmata.

Vero è, infatti, che il compito della giusromanistica è unicamente quello di

ricercare la concezione romana degli istituti, ma la concezione positiva

romana non è qualcosa che le fonti ci offrano in forma compiutamente

elaborata, bensì qualcosa che occorre ricostruire con gli habitus della

nostra educazione, con le categorie della nostra mente; qualcosa che «ha

bisogno di essere vivificato della nostra stessa vita424». Non si tratta di prospettiva si spiega il dato che i motivi della decisioni adottate per i singoli casi sono sovente taciuti. Tale reticenza tuttavia non deve essere interpretata quale indice di un empirismo disancorato da qualsivoglia fondamento razionale; né tanto meno si deve ritenere che la motivazione venisse omessa in quanto ritenuta implicita, in considerazione del riferimento un complesso di valori comuni e condivisi e per questo rimessa al lettore. Piuttosto la soluzione prescelta si alimentava della autorità degli stessi giuristi, nella consapevolezza della loro sicura capacità cognitiva, o tutt’al più dell’autorità dei predecessori, nella misura in cui venivano citati. Sul punto non si può non rinviare, per la straordinaria chiarezza espositiva e la capacità di sintesi, alle limpide pagine di M. KASER, Sul metodo di individuazione del diritto attraverso la riflessione dei tecnici, in Diritto e storia (a cura di A. Corbino), Padova, 1995, 149ss. 423 V. S. DI MARZO, Le basi romanistiche del codice civile, Torino, 1950, 6. 424 E. BETTI, Educazione giuridica odierna e ricostruzione del diritto romano, in BIDR, XXXIX, 1931, 53. In tale saggio l’Autore riprende e sviluppa alcune considerazioni già

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disconoscere la storicità dell’oggetto, che viceversa costituisce patrimonio

tanto prezioso quanto acquisito, quanto piuttosto di riconoscere la storicità

del soggetto. In quest’ottica, invero, la dogmatica, lungi dal costituire

strumento di analisi artificioso e fallace, ci dà «occhi per vedere e per

costruire il fenomeno giuridico425».

Poco importa allora – vien fatto di pensare – che i giuristi romani non

abbiano mai adoperato la locuzione che noi usualmente impieghiamo al

cospetto del fenomeno che si riporta alla figura dell’obbligazione

alternativa426. L’essenziale è che nel diritto positivo romano classico ci sia

la cosa: vale a dire, il fatto, il rapporto, l’istituto, di cui noi non possiamo

davvero penetrare e spiegare a noi stessi l’essenza se non mercè quel

paradigma concettuale e quel nomen iuris di cui la dogmatica odierna ci

provvede.

E all’esito dell’indagine condotta mi pare che non si possa davvero

revocare in dubbio quanto dedotto in thesi nelle pagine introduttive, e cioè

che le soluzioni adottate dai prudentes in ipotesi di pluralità di oggetti

alternativamente compresi in obbligazione obbediscano a una logica

comune e determinata, istituzionale - direi -, ancorché non

istituzionalizzata.

svolte in Diritto romano e dogmatica odierna, in AG, XCIX, 1928, 129 ss. e C, 1928, 26 ss., contributi ora raccolti in Questioni di metodo, Como, 1997, 25 ss. 425 ID., Educazione giuridica odierna e ricostruzione del diritto romano, cit., 50. 426 V. supra, cap. 1, § 1.

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205

INDICE DELLE FONTI

A) FONTI LETTERARIE CICERO De inventione (edizione ACHARD, Les belles lettres, Paris, 1994) 2, 40, 116, 30, 48 pag. 83 nt. 176 2, 41, 120 Pag. 83 nt. 176

B) FONTI EPIGRAFICHE

NEGOTIA (in FIRA, vol. III) Quisquis mihi heres erit do lego damnasque esto dare… imp. Caesari Nervae Traiano (1.125)

pag. 141

C) FONTI GIURIDICHE

FONTI PREGIUSTINIANEE GAI INSTITUTIONES (Edizione DE ZULUETA, Oxford, 1946) 3, 97 pag. 153 nt. 352 4, 9 pag. 77 nt. 167 4, 53 pag. 60 nt. 112;

95 nt. 212; 126 nt.284

4, 53 d pagg. 60; 87; 87 nt. 186; 99 nt. 224; 126 nt. 284; 127 nt.284

4, 54 pag. 126 nt. 284

TITULI EX CORPORE ULPIANI (Edizione GIRARD – SENN, Textes de droit romain, Paris, 1967) 24, 14 pag. 83 nt. 176

FONTI GIUSTINIANEE

INSTITUTIONES (Edizione SCHRADER, Goldbach, 2001 - Neudruck der Ausgabe Berlin 1832). 2, 20, 22 pagg. 63; 64 nt.

124 3, 19, 2 pag. 153 nt. 352

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3, 27, 7 pag. 77 nt. 167 4, 6, 33 pag. 99 nt. 224 4, 6, 33 d pagg. 60; 126 nt.

284

CODEX (Edizione KRUEGER, Berlin, 1954). 2, 58, 2 pag. 63 nt. 122 4, 5, 7 pag. 79 4, 5, 10 pagg. 21; 21 nt.

30; 75; 76; 116 nt. 263

6, 43, 3, 1 pagg. 20 nt. 28; 127 nt. 285

6, 43, 3, 1 a pag. 94 nt. 207 6, 43, 3, 1 b pag. 94 nt. 207

DIGESTA (Editio maior, Goldbach, 2001– Neudruck der Ausgabe Berlin, 1868 – 1870). 2, 14, 27, 6 pagg. 5 nt. 98;

51; 126; 126 nt. 283; 129 nt. 289; 133

3, 3, 66 pagg. 18; 50;

91 nt.198; 121; 121 nt. 274

4, 3, 18, 5 pag. 174 nt. 404

4, 3, 19 pagg. 169; 170; 170 nt. 396; 171 nt. 399; 165 nt. 382, 166 nt. 383; 166 nt. 385; 166 nt. 386

8, 1, 31 pag. 56 nt. 104 9, 2, 55 pag. 163 nt.

376; 172; 174 nt. 404

10, 2, 25, 17 pagg. 125 nt. 282; 127 ; 127 nt. 285

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207

12, 1, 18 pag. 80 nt. 169 12, 6, 26, 4 pag. 115 nt.

263 12, 6, 26, 13 pagg. 52 ; 75

nt. 162 ; 112 nt. 254; 113; 116 nt. 263; 123 nt. 279; 124; 126 nt. 283; 130

12, 6, 26, 14 pagg. 112 nt. 254; 124; 126 nt. 283

12, 6, 32 pr. pag. 144 12, 6, 32, 3 pagg. 72; 75;

144 nt. 325 13, 4, 2, 3, pagg. 11; 60;

99 nt. 224; 99 nt. 225; 145

16, 2, 22 pagg. 55; 91 nt. 198; 108

18, 1, 25 pagg. 15; 83 nt. 175

18, 1, 25 pr. pag. 61 18, 1, 34, 6 pagg. 15; 61;

83 nt. 175; 99 nt. 224; 146; 149 nt. 338

18, 1, 72 pr. pag. 138 18, 5, 2 pag. 138 18, 5, 3 pag. 138; 138

nt. 308 18, 5, 4 pagg. 51 nt.

98; 136 19, 2, 59 pag. 158 nt.

365 19, 1, 55 pag. 153 nt.

353 22, 1, 32, 5 pag. 167 nt.

387 23, 3, 10, 6 pagg. 16; 61;

83 nt. 175; 99 nt. 224

23, 3, 46, 1 pagg. 16; 61; 83 nt. 175; 99 nt. 224

23, 5, 9, 2 pag. 147

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208

23, 5, 9, 3 pagg. 25; 148 nt. 335

25, 2, 24 pag. 68 nt. 138 30, 8, 2 pagg. 122;

124; 131 nt. 295

30, 26, 2 pag. 65 nt. 130 30, 33 pagg. 66 nt.

134; 67 nt. 138; 68 nt. 139; 69 nt. 142

30, 34, 14 .

pagg. 54; 55; 62 nt. 118 ; 65

30, 41, 2 pag. 153 nt. 352

30, 47, 3 pagg. 62 ; 82 nt. 173; 143 nt. 322; 149; 153

30, 71, pr. pag. 82 nt. 173 30, 71, 3 pag. 156 nt.

361 30, 75, 3 pag. 100; 101 30, 82, 6 pag. 139 30, 84, 3 pag. 159 30, 84, 9 pagg. 83 nt.

178; 104; 106 30, 84, 13 pag. 68 nt. 138 30, 98 pag. 150 nt.

340 30, 104, 2 pagg. 150 nt.

340; 153 nt. 353

30, 108, 2 pagg. 62 nt. 118; 64 ; 67

30, 109, 1 pagg. 62; 82 nt. 173; 99 nt. 224

31, 2 pagg. 53; 54 nt. 100

31, 8, 1 pagg. 54; 55 31, 11, 1 pagg. 49; 83

nt. 178; 105; 108

31, 15 pagg. 62; 82 nt. 173; 99 nt. 224; 112 nt. 254; 124; 125

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31, 19 pagg. 62; 62 nt. 118; 64; 70; 71; 75; 76 nt. 165; 99 nt. 224

31, 23 pagg. 62 nt. 118; 65

31, 27 pagg. 52; 54 nt. 100

32, 21, 2 pagg. 62; 82 nt. 173

32, 29, 1 pag. 65 nt. 130 32, 30, 1 pag. 66 nt. 133 33, 5, 19 pag. 100 33, 5, 22 pag. 83 nt. 176 33, 6, 3 pr. pag. 65 nt. 130 33, 6, 4 pag. 65 nt.

130; 82 nt. 173 33, 7, 12, 43 pag. 66 nt. 133 34, 2, 38, 1 pag. 83 nt.

176 34, 3, 7, 1 pagg. 129; 129

nt. 289 34, 3, 7 pr. pag. 132 34, 4, 30, pr. pag. 66 nt. 133 34, 4, 30, 4 pag. 66 nt. 133 36, 2, 14 pr. pag. 83 nt. 176 36, 2, 14, 1 36, 2, 25

pag. 83 nt. 176 pagg. 53; 54 nt. 100

38, 84, 11 pagg. 49; 83 nt. 176; 139

40, 9, 5, 2 pagg. 24; 24 nt. 43

40, 9, 6 pag. 24; 24 nt. 43

44, 7, 3 pr. pag. 28 nt. 51 44, 7, 44, 3 pag. 42; 50 45, 1, 2, 1 pagg. 39 nt.

79; 112; 112 nt. 254; 130

45, 1, 1, 5 pag. 39 nt. 79 45, 1, 2, 1 pagg. 115 nt.

263; 116 nt. 263; 119 nt. 271; 123 nt. 279; 124

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210

45, 1, 2, 2 pagg. 112 nt. 254; 124

45, 1, 16 pag. 40 nt. 79 45, 1, 16 pr. pag. 139 45, 1, 29 pr. pag. 13 nt. 18 45, 1, 49 pr. pag. 167 nt.

387 45, 1, 74 pag. 127 nt.

284 45, 1, 75, 8 pagg. 18; 126

nt. 283 45, 1, 76 pr. pagg. 51 nt.

98; 95; 99; 101 nt. 229

45, 1, 83, 5 pag. 153 nt. 352

45, 1, 85, 4 pagg. 112 nt. 254; 124

45, 1, 91, 4 pag. 167 nt. 387

45, 1, 105 pag. 157 45, 1, 112 pr. pagg. 16; 18;

50; 83 nt. 175; 86; 88 nt. 190; 107

45, 1, 128 pagg. 51 nt. 98; 140 nt. 312

45, 1, 138 pag. 103 45, 1, 141 pagg. 92 ; 94

nt. 206 45, 1, 141, 1 19; 19 nt. 27;

93; 94; 95; 102 nt. 231

46, 2, 8, 4 pag. 99 nt. 224 46, 2, 26 pag. 99 nt. 224 46, 3, 9, 1 pag. 130 46, 3, 34, 1 pag. 125 46, 3, 34, 10 pag. 124 46, 3, 72, 4 pag. 140 nt.

312 46, 3, 95, 1 pagg. 25; 161;

166 nt. 385; 167 nt. 387; 168 nt. 390; 170; 170 nt. 396; 171; 171

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211

nt. 399 46, 3, 95 pr. pag. 91 nt.

198; 161 46, 3, 98, 8 pag. 155 46, 4, 13, 2 pag. 132 46, 4, 13, 4 pag. 129 nt.

289 46, 4, 17 pagg. 129; 131 46, 8, 17 pag. 120

FONTI BIZANTINE

TEOPHILI INSTITUTIONUM PARAPHRASIS (Aalen 1967 - Neudruck der Ausgabe Berlin 1897). 3, 27, 3 pag. 77 nt. 167 4, 6, 33d pag. 127 nt. 284

BASILICORUM LIBRI LX A) Edizione SCHELTEMA – VAN DER WAL, Groningen – s’Gravenhage, 1969. B) Edizione HEIMBACH, Lipsiae, 1850. 4, 316 pag. 104 nt. 236 �������� . Librorum LX Basilicorum summarium. Edizione HOERMANN – SEIDL. Città del Vaticano, 1957. 43, 1, 138 pag. 104 nt. 236