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CAPITOLO IV. Processi di progettazione, gestione e valutazione delle istituzioni scolastiche di Laura Barbirato 1. Il ruolo del Dirigente scolastico 1.1. La “managerialità scolastica” Da almeno vent’anni la funzione ed il ruolo del dirigente scolastico sono fatti oggetto di discussioni in relazione al cambiamento radicale della mission della scuola, dalla dimensione eilitaria a quella di massa prima, dalla scuola amministrata a quella dell’autonomia poi. La riflessione sul ruolo del dirigente scolastico interessa l’intera Europa: una prospettiva comune disegna il dirigente scolastico come una figura che deve saper coniugare, nell’esercizio delle diverse funzioni che gli sono richieste, la componente propriamente organizzativa della gestione con quella “educazionale”, che garantisce all’organizzazione la fedeltà al suo mandato istituzionale. Competenza gestionale insieme a cultura pedagogica, senza la quale l’organizzazione smarrisce il suo senso, sono le dimensioni della “managerialità scolastica”, che presenta una sua specificità non facilmente assimilabile ad altre. Il ruolo del dirigente esige di coniugare queste due dimensioni nell’infinita articolazione degli impegni contingenti, senza perdere di vista la responsabilità fondamentale di cui è investito, in altre parole governare l’insieme delle azioni che definiscono l’offerta formativa, la sua organizzazione in rapporto ai diversi utenti e ai loro bisogni, anche a proposito del contesto sociale ed economico in cui la scuola opera. È possibile valutare il risultato della “managerialità scolastica” in cui si sostanzia l’attività dirigenziale? Certo è impresa non facile, tante volte tentata e non ancora definita in modo convincente. Nelle professioni artigiane, il risultato di sostanzia in un prodotto concreto, che si vede e si tocca, ma anche in altre professioni, più propriamente intellettuali, è possibile un giudizio di valore basato su criteri condivisibili. Nel dirigere una scuola invece è impossibile non sbagliare, anche quando si agisce per il meglio, e difficilmente i diversi fruitori, che pure continuamente sottopongono a giudizio le azioni dirigenziali, saranno d’accordo nella loro valutazione. Personale amministrativo, collaboratori scolastici, docenti, rappresentanti sindacali, studenti, genitori, agenzie esterne, mondo del lavoro, associazioni…: tutti chiedono risultati, comportamenti, decisioni. Ciascuno poi giudica con il suo metro e sulla base di aspettative proprie. Se il dirigente cerca di “accontentare” gli uni, cercando nel contempo di non scontentare gli altri, non potrà comunque non apparire, a seconda dei casi, burocrate, populista,

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CAPITOLO IV. Processi di progettazione, gestione e valutazione delle

istituzioni scolastiche di Laura Barbirato

1. Il ruolo del Dirigente scolastico

1.1. La “managerialità scolastica” Da almeno vent’anni la funzione ed il ruolo del dirigente scolastico sono fatti oggetto di discussioni in relazione al cambiamento radicale della mission della scuola, dalla dimensione eilitaria a quella di massa prima, dalla scuola amministrata a quella dell’autonomia poi.

La riflessione sul ruolo del dirigente scolastico interessa l’intera Europa: una prospettiva comune disegna il dirigente scolastico come una figura che deve saper coniugare, nell’esercizio delle diverse funzioni che gli sono richieste, la componente propriamente organizzativa della gestione con quella “educazionale”, che garantisce all’organizzazione la fedeltà al suo mandato istituzionale. Competenza gestionale insieme a cultura pedagogica, senza la quale l’organizzazione smarrisce il suo senso, sono le dimensioni della “managerialità scolastica”, che presenta una sua specificità non facilmente assimilabile ad altre.

Il ruolo del dirigente esige di coniugare queste due dimensioni nell’infinita articolazione degli impegni contingenti, senza perdere di vista la responsabilità fondamentale di cui è investito, in altre parole governare l’insieme delle azioni che definiscono l’offerta formativa, la sua organizzazione in rapporto ai diversi utenti e ai loro bisogni, anche a proposito del contesto sociale ed economico in cui la scuola opera.

È possibile valutare il risultato della “managerialità scolastica” in cui si sostanzia l’attività dirigenziale? Certo è impresa non facile, tante volte tentata e non ancora definita in modo convincente. Nelle professioni artigiane, il risultato di sostanzia in un prodotto concreto, che si vede e si tocca, ma anche in altre professioni, più propriamente intellettuali, è possibile un giudizio di valore basato su criteri condivisibili. Nel dirigere una scuola invece è impossibile non sbagliare, anche quando si agisce per il meglio, e difficilmente i diversi fruitori, che pure continuamente sottopongono a giudizio le azioni dirigenziali, saranno d’accordo nella loro valutazione. Personale amministrativo, collaboratori scolastici, docenti, rappresentanti sindacali, studenti, genitori, agenzie esterne, mondo del lavoro, associazioni…: tutti chiedono risultati, comportamenti, decisioni. Ciascuno poi giudica con il suo metro e sulla base di aspettative proprie. Se il dirigente cerca di “accontentare” gli uni, cercando nel contempo di non scontentare gli altri, non potrà comunque non apparire, a seconda dei casi, burocrate, populista,

superficiale, persecutorio … e così via. Facilmente questa strada porta in breve all’impressione, condivisa da tutti gli interlocutori, di debolezza e incapacità. Parimenti, prendere decisioni senza ascoltare nessuno non è garanzia di successo: i problemi vanno compresi e le persone ascoltate; l’autoreferenzialità è ad alto rischio di insuccesso.

La soluzione è scegliere una via chiara e sostenerla consapevolmente: la partecipazione e il consenso sono elementi fondamentali per dirigere una scuola, ma non si misurano con la popolarità, bensì con la stima che si guadagna colui che antepone il servizio pubblico alle convenienze temporanee. Il servizio pubblico scolastico ha come fine la formazione delle giovani generazioni, ed è proprio questo il “risultato” a cui deve tendere ogni azione del dirigente.

Comunque lo si consideri, il processo di valutazione dei risultati prodotti dall’azione dirigenziale esige strumenti molteplici e diversificati, che fermino il flusso ininterrotto e vitale di un agire che si dispiega su vari fronti e i cui esiti si realizzano, nella maggior parte dei casi, in tempi lunghi. Connettere le azioni ai risultati può non essere scontato, non solo a causa della latenza inevitabile quando si agisce su traiettorie di ampio respiro, che rendono complessa la ricostruzione dei nessi causali, ma anche a causa dell’intreccio delle dinamiche dirette ma soprattutto indirette sulle quali il dirigente agisce.

1.2 L’efficacia dell’azione dirigenziale Quando un dirigente scolastico può dirsi efficace? Quali elementi devono caratterizzare la sua azione perché possa adeguatamente assolvere al suo ruolo, incrociando le risorse a disposizione con le esigenze e le legittime aspettative degli utenti, del personale scolastico, del territorio? Si tratta di una propensione personale, oppure l’efficacia dell’azione dirigenziale può dipendere da un disegno consapevole, da una visione nobilmente “politica” della scuola e del territorio su cui opera? Certamente una risposta non è né facile né univoca: lo testimoniano anche i tanti tentativi di “misurare” la qualità dell’azione dirigenziale e gli altrettanto frequenti abbandoni.

L’efficacia, ovvero la capacità di produrre “risultati” di valore, si connette al senso di responsabilità con cui si svolge un compito; alla consapevolezza degli obiettivi e delle rispettive priorità, delle conseguenti scelte e decisioni; all’appropriatezza delle conoscenze utilizzate nelle diverse circostanze; alle risorse umane e strumentali a disposizione. Si tratta dunque, a pieno titolo, di una competenza, anzi, di una rosa di competenze, nella misura in cui occorre tradurre operativamente un insieme di abilità e conoscenze, per arrivare a produrre i risultati attesi.

Il tutto però si colloca nel contesto di un ruolo, quello dirigenziale, in cui ai livelli di responsabilità diretta non corrisponde la possibilità di esercitare un potere che non sia “discrezionale”, inevitabilmente interfacciato con vincoli normativi e procedurali e limitato dagli ampi margini di autonomia di cui gode il personale scolastico, in primis i docenti. Per non parlare dei nodi problematici

costituiti dalle emergenze quotidiane, che piegano l’azione dirigenziale sulla cura del qui ed ora, nel tentativo incessante di risolvere micro e macro criticità che avviliscono la traiettoria del pensiero progettuale costringendolo all’asfissia di un fiato inevitabilmente corto.

Sono così tanti i parametri da considerare che riesce davvero difficile pensare alla valutazione dell’operato del dirigente scolastico, il quale è chiamato ad organizzare l’attività scolastica secondo criteri di efficienza ed efficacia formative (Art. 25 del D.L. 165/2001). La valutazione andrà evidentemente curvata sui risultati, pensati ad ampio raggio e dispiegati su diversi fronti, pur se l’efficacia prioritaria è quella riconducibile all’azione formativa dell’istruzione, mandato specifico dell’Istituzione scolastica, ovvero sull’obiettivo prioritario di produrre una formazione di qualità.

1.3 L’ azione dirigenziale rispetto ai risultati prodotti Il dirigente conduce la propria scuola lungo una rotta che dipende in buona misura dall’efficacia delle sue azioni, ma su cui non incide direttamente che in piccola parte, essendo di natura indiretta la gran parte dei processi che promuove e mette in atto.

Genitori, mercato del lavoro, gruppi sociali, istituzioni, premono sulla scuola e chiedono di rendicontare i risultati ottenuti e di questi risultati è responsabile il dirigente. Ma di quali risultati stiamo parlando? Certamente i primi e prioritari sono gli esiti di apprendimento degli studenti, sempre più incerti di fronte alle sfide della globalizzazione, dell’arrembaggio delle nuove tecnologie, del confronto pressante con i dati OCSE-PISA, che restituiscono dati non proprio soddisfacenti per i nostri studenti, soprattutto nel settore scientifico.

E se la scuola è un contesto sociale, la vita sociale degli studenti è il principio unificatore della loro educazione e del loro sviluppo, quindi gli esiti di apprendimento contemplano anche quelli di integrazione sociale, laddove la soddisfazione del “merito” non deve penalizzare gli “immeritevoli”, ma riconoscere a ciascuno il suo valore, al di là di numeri, voti, graduatorie.

Data questa premessa, potremmo concludere che la misura dell’efficacia del dirigente è il successo formativo degli alunni, tutti gli alunni, nel quadro di un miglioramento continuo della scuola. La valutazione del dirigente e quella dell’istituzione che dirige sono le due facce della stessa medaglia. Ogni azione del dirigente va collegata a questo obiettivo finale, guardandosi dal rischio, molto presente data la complessità dei fenomeni da governare, di far prevalere l’attenzione sul funzionamento della macchina piuttosto che sul suo immateriale “prodotto”: la formazione e lo sviluppo degli studenti. Il ruolo dirigenziale è sollecitato verso derive burocratiche dalle quali occorre guardarsi con attenzione, privilegiando l’esercizio di una solida leadership educativa.

1.4 Le direzioni di intervento dell’azione dirigenziale Quali processi dovrebbe quindi attivare il dirigente, al fine di produrre risultati di

qualità? Potremmo indicare alcune direzioni d’azione, premettendo che, prima di tutto,

sia il dirigente stesso a valorizzare l’efficacia della propria azione, affermando o recuperando una posizione di centralità nel sistema educativo-didattico della scuola.

Innanzi tutto al dirigente si richiede di saper sostenere e favorire una visione dell’apprendimento partecipata e attiva, orientata alla ricerca. Questo richiede elevati livelli di professionalità del personale e dell’organizzazione nel suo insieme, che deve crescere e apprendere proprio come gli studenti. Al dirigente compete la guida di questa crescita dell’organizzazione scolastica, assicurando un ambiente di apprendimento sicuro, confortevole, funzionale per tutti, bambini, ragazzi e adulti. Ciò significa prestare attenzione alle procedure organizzative e alla gestione delle risorse umane, strutturali e strumentali, fissando obiettivi e standard di qualità, aspettative e risultati attesi, da condividere con tutta la comunità scolastica, le famiglie e gli attori territoriali.

La condivisione fa la differenza: non esiste risultato di qualità dell’azione dirigenziale che non abbia il suo fine e la sua sostanza nella crescita della scuola: è impossibile separare la valutazione dell’istituzione da quella del suo dirigente. In quest’ottica riveste un ruolo centrale comunicazione, che deve raggiungere tutti ma anche dare voce ad ogni componente, comprese le famiglie, che in questo momento storico-antropologico vivono una condizione di difficoltà e che spesso riversano sulla scuola forti criticità.

La gestione dei flussi comunicativi rappresenta una delle chiavi determinanti del successo gestionale ed organizzativo, non soltanto per catalizzare e riunire tutti i membri dell’organizzazione nel segno di obiettivi ed ideali comuni, ma anche per garantire visibilità, motivazione, senso di appartenenza e di protagonismo a ciascuna componente.

Inoltre occorre sottolineare che nessun dirigente, sia pubblico o privato, può conseguire risultati di rilievo indipendentemente dalla collaborazione e dall’impegno di chi lo affianca: gestire un’organizzazione complessa esige la capacità di individuare collaboratori di valore (costruire uno staff dirigenziale efficiente) e costruire un tessuto vivo di scambio che permetta di raggiungere e coinvolgere ogni livello ed articolazione organizzativa.

Le azioni del dirigente sono, per la sua condizione apicale, sotto osservazione sempre e comunque: per questo è importante che siano ispirate ad un ideale codice deontologico (integrità, imparzialità, trasparenza). Il dirigente è anche, sempre e comunque, un modello: le sue condotte costituiscono un esempio per tutto il personale scolastico e, in buona misura, anche per i soggetti esterni.

1.5 Le linee portanti dell’attività professionale del dirigente Nella molteplicità dei fronti di impegno del dirigente scolastico, esiste il rischio di farsi travolgere dalle cose piuttosto che contribuire ad orientarle. Occorre trovare il punto di riferimento, il baricentro delle diverse azioni che giorno per giorno si è

chiamati a svolgere. Questo riferimento non può che essere il Piano dell’Offerta Formativa (oggi il

PTOF, con estensione triennale). L’elaborazione e la gestione del PTOF sono processi fondativi dell’organizzazione scolastica autonoma: sulla base di questo documento, dei valori delineati, degli obiettivi individuati, dei diversi ruoli e livelli di responsabilità, tutta la comunità scolastica si muove (dirigente, docenti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario).

La prima e fondamentale linea portante dell’azione dirigenziale è quindi tenere la bussola del PTOF nella guida e nel governo della scuola. Prima della svolta dell’autonomia, l’azione del capo di istituto si limitava ad una oculata (e prudente) applicazione di norme ed indicazioni ricevute dall’autorità gerarchicamente superiore, con margini modesti di discrezionalità. Ora invece si tratta di assumere un forte potere di iniziativa su molteplici fronti, quelli che più incidono sulla promozione del successo formativo degli studenti e sull’innovazione della scuola.

Tale iniziativa del dirigente tanto più è condivisa tanto più ha prospettive di successo: dirigere le scuole è oggi più complesso perché occorre coinvol-gere tutto il personale (in primis i docenti) in un movimento comune in direzione degli obiettivi indicati. Coinvolgere non è imporre, ma far crescere collegialmente un consenso che non può non basarsi sul governo del sistema di relazioni interno alle persone che sostanziano l’organizzazione scolastica. L’Autonomia, moltiplicando i compiti e le responsabilità, ha comportato la crescita delle strutture intermedie e delle funzioni svolte dai docenti nell’organizzazione: attraverso queste strutture va gestito il cambiamento, che passa attraverso la collegialità.

Il ruolo del dirigente è quindi meno gerarchico rispetto a quanto accadeva prima dell’Autonomia, quando il ruolo direttivo si sostanziava nel fare da interprete ed esecutore della volontà dell’amministrazione scolastica. Meno gerarchico, ma molto più influente nella determinazione delle strategie della scuola, del comportamento professionale degli operatori, dell’azione della scuola nel contesto territoriale.

Possiamo così sintetizzare gli ambiti fondamentali nei quali si esercita l’azione strategica del dirigente:

Il governo dei curricoli formativi

La guida dei processi di formazione

La guida dell’assetto organizzativo

La gestione e la conduzione dell’autovalutazione di istituto

1.5.1 Il governo dei curricoli formativi Le Indicazioni Nazionali vanno tradotte in curricoli efficaci per consentire agli studenti il conseguimento delle competenze culturali e professionali di base; il che si traduce per la scuola in un complesso lavoro di progettazione e programmazione che deve essere sostenuto e promosso dal dirigente. Inoltre la verticalizzazione delle istituzioni scolastiche di base impone la realizzazione di curricoli continui e quindi la sintonizzazione di docenti appartenenti a diversi gradi

di scuola, con diversi linguaggi ed esperienze, su un comune percorso di pianificazione didattica ed educativa. Aggiungiamo la possibilità di destinare una quota dell’orario curricolare (15% del monte orario delle discipline) al curricolo locale, di organizzare la didattica in maniera modulare, di strutturare la classe in modo flessibile… Tutto questo richiede una regia attenta e vigile, in quanto questo è il cuore della mission della scuola.

1.5.2 La guida dei processi di formazione Arricchimento, formazione e sviluppo professionale del personale della scuola (docenti, ma non solo), col relativo riconoscimento di valore, ruoli e funzioni, rappresentano il volano dell’innovazione scolastica. L’ambiente di formazione vede la ricerca didattico-disciplinare come momento fondante della progettazione e gestione dei curricoli, con l’obiettivo di realizzare un servizio sempre più efficace ed adeguato al contesto territoriale. Questo forse è il settore in cui maggiormente si dispiegano le doti di cultura professionale e leadership educativa del dirigente, la sua capacità di influenzare, stimolare, motivare le persone a crescere professionalmente.

1.5.3 La guida dell’assetto organizzativo L’Autonomia scolastica ha comportato uno sviluppo delle funzioni intermedie, a vari livelli di responsabilità, al fine di gestire compiutamente le azioni previste dal Piano dell’Offerta Formativa. L’Autonomia allentando i rapporti gerarchici in favore di un assetto organizzativo di tipo professionale, fondato sulla cooperazione e sulla condivisione di obiettivi comuni, ha reso necessaria la costruzione di un solido telaio organizzativo. Il coordinamento dei dipartimenti disciplinari e dei gruppi di lavoro, per il presidio di aree strategiche del POF, per la gestione dei rapporti con l’esterno (comunità locali, associazioni, mondo del lavoro…), rappresentano i nodi di questa rete organizzativa, basata sulla conoscenza condivisa e sulla diffusione della comunicazione. Una struttura solida ma flessibile che spetta al dirigente guidare perché si interfacci opportunamente con l’ambiente formativo. Individuare le persone adatte a ricoprire ruoli di responsabilità, sollecitare il supporto collegiale, affinché non vengano mai vissute come emanazione del dirigente, ma come espressione della comunità scolastica, realizzare un costante dialogo anche con il settore amministrativo, tecnico e ausiliario, permette al dirigente di alleggerirsi da funzioni assorbenti a favore di altre vitali per la mission della scuola.

1.5.4 La gestione e la conduzione dell’autovalutazione di istituto La capacità dell’organizzazione scolastica di darsi degli obiettivi, leggere i propri processi, individuare azioni da intraprendere per perseguire gli scopi individuati come prioritari, autovalutare gli esiti e riprogettare di conseguenza, è forse la più rilevante dal punto di vista strategico.

Tutte queste operazioni esigono la regia del dirigente scolastico, il

coinvolgimento della struttura organizzativa, la ricaduta sull’intera comunità scolastica. L’elaborazione del RAV (Rapporto di Autovalutazione) e del conseguente PdM (Piano di miglioramento) sostanziano anche a livello documentale un processo a spirale che, attraverso l’autovalutazione, ricerca il miglioramento continuo.

In quanto responsabile dei risultati dell’istituzione scolastica, il dirigente esprime appieno il proprio ruolo proprio nel gestire i processi autovalutativi, attraverso i quali realizza i propri obiettivi professionali: migliorare gli esiti di apprendimento degli studenti e perseguire l’innovazione dell’istituzione scolastica.

2. Autonomia scolastica, assunzione di responsabilità sui risultati, valutazione

Il decreto legislativo 29 del 1993 ha ridisegnato la dirigenza amministrativa attribuendo ai dirigenti pubblici la responsabilità del risultato dell’attività svolta dagli uffici cui sono preposti e quindi della concreta realizzazione dei programmi loro affidati, nonché dei risultati complessivi della gestione tecnica, finanziaria e amministrativa.

Tale disciplina normativa riguarda anche i dirigenti scolastici, in quanto dirigenti pubblici, dei quali viene definito un nuovo profilo nel passaggio dal ruolo direttivo al ruolo dirigenziale.

L’art. 25 del D. L.vo 165/2001, al comma 1 così recita: Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell’istituzione, ne ha legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali, è responsabile dei risultati del servizio. L’attribuzione ai Capi d'Istituto (Direttori Didattici e Presidi) dello status dirigenziale va assunto quale profilo giuridico - istituzionale che ne connota oggi, rispetto al passato, l'espletamento delle funzioni e il connesso regime delle responsabilità.

La qualifica dirigenziale è stata sancita dal comma 16 dell'art. 21 della legge 59/97 e successivamente declinata, nei suoi contenuti specifici, dal D.L.vo 6 marzo 1998, n° 59, integralmente recepito negli artt. 25 e 29 del D.L.vo 30 marzo 2001, n° 165 "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche".

La scelta non è stata casuale. La norma, infatti, è stata inserita in un contesto legislativo, la legge 59/97, ("legge Bassanini") che ha sancito l’introduzione nel nostro ordinamento dell'autonomia "organizzativa, didattica, di ricerca e sviluppo" riconosciuta alle istituzioni scolastiche, insieme all'estensione generalizzata della personalità giuridica a tutte le scuole che ne erano sprovviste.

Si è trattato di una svolta necessaria, alla luce dei complessi e rapidissimi cambiamenti economici e sociali che hanno progressivamente fatto crescere le attese dei cittadini nei confronti dei pubblici servizi in generale e dei sistemi scolastici nello specifico, chiamando a responsabilità tutto il personale della scuola che ha a che fare con gli esiti del servizio, in primis il dirigente. Il processo di autonomia, avviato con il D.P.R.275/1999 e oggi ancora in fase di

completamento con la Legge n. 107/2015, pone la scuola in una trama complessa di rapporti e rende necessario mettere in moto un controllo, una valutazione degli obiettivi strategici individuati, delle azioni e dei vari processi attraverso i quali la scuola propone la sua offerta formativa e realizza la sua funzione sociale.

Autonomia e assunzione di responsabilità sui risultati sono dunque due processi complementari e la valutazione rappresenta la logica e irrinunciabile chiusura del cerchio.

3. La responsabilità di risultato: come si declina per il dirigente scolastico

Il comma 16 dell’art. 21 della L. n° 59/97 delinea, dunque, un profilo dirigenziale coerente con le prerogative politico-istituzionali e tecnico-professionali di un particolare “organo” dell’Amministrazione periferica, preposto ad un’istituzione erogatrice di un pubblico servizio definito “essenziale” – l’istruzione. Un servizio, quello scolastico, caratterizzato da una specifica norma di diritto del nostro ordinamento (L. 146/90), la libertà d’insegnamento, costituzionalmente garantita, e quindi dall’autonomia professionale dei docenti, nonché dalla presenza di organi collegiali di partecipazione dotati di competenze propositive, consultive e deliberanti e in quanto tali comunque coinvolti e corresponsabili nei processi decisionali e nelle procedure di governo delle istituzioni stesse.

Si tratta di connotazioni istituzionali e ordinamentali estranee a tutte le altre figure dirigenziali operanti nelle pubbliche amministrazioni e che incidono profondamente sulla concreta libertà di esplicare la responsabilità dirigenziale, in quanto limitano la possibilità di esercitare un potere diretto e spostano invece il baricentro dell’azione dirigenziale sulla promozione e facilitazione di processi in gran parte indiretti, che richiedono fasi di confronto e negoziazione.

BOX: LE ARTICOLAZIONI DEI “POTERI” NELLA SCUOLA Separazione dei poteri di gestione e di indirizzo (Decreto 286/2000, conseguenza dell’attribuzione dell’Autonomia alle istituzioni scolastiche)

ORGANISMI POTERI

CONSIGLIO DI ISTITUTO POTERE DI INDIRIZZO

DIRIGENTE SCOLASTICO POTERE DI GESTIONE

COLLEGIO DEI DOCENTI DETERMINAZIONI EDUCATIVE, METODOLOGICHE, DIDATTICHE

DIRETTORE S.G.A. GESTIONE AMMINISTRATIVA SU DIRETTI VA DEL DS

I contenuti e le specificità della qualifica dirigenziale sono stati individuati come detto, nel Decreto Legislativo n. 59, del marzo 1998 e sono così riassumibili:

(Art. 25/bis – Dirigenti delle istituzioni scolastiche) Sono inquadrati in ruoli di dimensione regionale; Rispondono in ordine ai risultati, a norma dell’art. 20 del D.L.vo 29/93 (ora: art. 21 D.L.vo 165/2001- Responsabilità dirigenziale), che sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni, sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all’amministrazione stessa.

Alle tre responsabilità (penale, civile e amministrativa) già presenti nel profilo del direttore didattico/preside, la qualifica dirigenziale attribuisce altre due responsabilità, quella dirigenziale e quella disciplinare. La responsabilità dirigenziale si sostanzia di fatto proprio nella responsabilità di risultato. Infatti è tipicamente in capo al dirigente la responsabilità di raggiungere gli obiettivi cui la propria azione mira, nella realizzazione del proprio mandato istituzionale. Alla responsabilità di risultato si lega direttamente la valutazione dell’operato del dirigente da parte del diretto organismo superiore, l’Ufficio Scolastico Regionale. A ben vedere, tutte le diverse responsabilità poste in capo al dirigente scolastico risultano interconnesse; tra tutte la responsabilità di risultato rappresenta il nucleo centrale, il “core” del ruolo dirigenziale.

In base al Decreto n° 59 del 1998, trasfuso poi nell'articolo n° 25 del Decreto 165 del 2001, per raggiungere i risultati il dirigente deve realizzare le condizioni 1. per il pieno esercizio della libertà di insegnamento 2. per l'esercizio della libertà di scelta delle famiglie 3. per il diritto all'apprendimento degli alunni, cioè il diritto al successo

formativo. Il dettato normativo tratteggia quindi il ritratto di un dirigente che, lungi

dall’essere un mero burocrate, si definisce piuttosto come un esperto di organizzazione, di didattica, di pedagogia e di educazione. La direzione, il coordinamento e la valorizzazione delle risorse umane, sono gli strumenti qualificanti di tale attività, che, benché vengano sanciti giuridicamente gli autonomi poteri del dirigente, si esercitano nel rispetto delle competenze degli organi collegiali.

Proprio la specificità di queste funzioni ha fatto sorgere alcuni interrogativi. Quali sono i soggetti deputati a fissare gli obiettivi e i criteri di valutazione del

dirigente scolastico? Possono questi obiettivi essere fissati in astratto, al di fuori della puntuale considerazione del contesto in cui le azioni si dipanano? Quali limiti incontra il dirigente scolastico nell’esercizio dei suoi poteri, soprattutto in relazione alla riconosciuta libertà di insegnamento e alle competenze degli organi collegiali? Si tratta di questioni che attengono alla radice stessa della responsabilità dirigenziale e che hanno a lungo movimentato il percorso di definizione della valutazione del dirigente scolastico fino all’odierno punto di arrivo.

4. La responsabilità di risultato nel CCNL del dirigente scolastico

Nel CCNL dei dirigenti scolastici (15 luglio 2010, quadriennio normativo 2006-2009, bienni economici 2006/7 e 2008//9) si precisa la specificità della condizione del dirigente, rispetto alla responsabilità di risultato e alla relativa procedura di valutazione: “I dirigenti scolastici rispondono in ordine ai risultati, tenendo conto delle competenze spettanti nell'assetto funzionale proprio delle istituzioni scolastiche” (art. 27, comma 1).

La valutazione è affidata, secondo l’art. 25, I comma, del D.L.vo 165 del 2001, in conformità con la natura regionale del ruolo dirigenziale e tenuto conto della specificità delle funzioni, ad “un nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all’amministrazione stessa”. Al comma 2 si indicano gli strumenti che l'Amministrazione, in base ai propri ordinamenti, privilegia per giungere a definire la valutazione dei dirigenti, ovvero, per quanto possibile, l'utilizzazione di “dati oggettivi - meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dai dirigenti, in relazione ai programmi e obiettivi da perseguire correlati alle risorse umane, finanziarie e strumentali effettivamente rese disponibili”

Il comma 3 precisa: “Le prestazioni, le competenze organizzative dei dirigenti scolastici e il livello di conseguimento degli obiettivi assegnati sono valutati con i sistemi, le procedure e le garanzie individuate in attuazione del comma 2 sulla base anche dei risultati del controllo di gestione”. Il profilo quindi è a tutto tondo: competenze organizzative e conseguimento di obiettivi che l’Amministrazione assegna al Dirigente e sul raggiungimento dei quali valuta, applicando criteri che “dovranno tener conto in modo esplicito della correlazione delle direttive impartite, degli obiettivi da perseguire e delle risorse umane, finanziarie e strumentali effettivamente poste a disposizione degli stessi dirigenti, sono oggetto di informazione preventiva, seguita, a richiesta, da concertazione”. Dunque si prevede che i criteri di cui l’Amministrazione si dovrà servire per valutare i risultati ottenuti dal dirigente debbano essere “concertati” almeno in parte, in relazione alla specificità di ciascuna istituzione scolastica, del suo contesto territoriale e sociale, delle caratteristiche del Piano dell’offerta formativa (comma 4); inoltre si sottolinea

nuovamente come l’operato del dirigente debba ispirarsi a due obiettivi basilari: assicurare le condizioni per il pieno esercizio della libertà di insegnamento e della concreta realizzazione del diritto di apprendimento.

5. Conclusioni

Il contraltare dell’Autonomia è necessariamente la responsabilità che devono assumersi le istituzioni scolastiche nei confronti della qualità del servizio reso all’utenza. La normativa infatti, introduce contestualmente l’obbligo dell’autovalutazione di istituto per le scuole autonome, cui si correla la valutazione del dirigente, che risponde della gestione dell’istituzione cui è preposto.

Si è detto che la responsabilità di risultato del dirigente scolastico si sostanzia nella qualità degli esiti di apprendimento degli studenti, terminale di ogni azione organizzativa - diretta e indiretta - e quindi nella capacità delle singole scuole di creare “valore aggiunto”.

Ricerche internazionali confermano l’esistenza di una significativa relazione tra i processi organizzativi e gestionali e gli esiti scolastici degli studenti, benché questa relazione sia difficilmente analizzabile in termini lineari di rapporto causa-effetto.

D’altra parte l’autovalutazione delle istituzioni scolastiche, secondo la trac- cia di analisi proposta dal Ministero attraverso lo strumento del RAV (Rapporto di Autovalutazione di Istituto) individua, tra le aree di processo sulle quali le scuole devono agire per attivare il miglioramento, proprio quelle che sono si specifica attribuzione del dirigente scolastico: le pratiche gestionali ed organizzative, intese sotto il profilo dell’orientamento strategico e dell’organizzazione della scuola; lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse umane, declinata nei termini di formazione, valorizzazione delle competenze, collaborazione tra gli insegnanti; l’integrazione con il territorio; i rapporti con le famiglie.

Si tratta di altrettante direzioni di azione capaci di influire in modo determinante sul funzionamento dell’istituzione scolastica, sulla qualità delle relazioni e dei processi realizzati e quindi sugli esiti prodotti, in termini di qualità dell’offerta formativa della scuola.

Come leggere e valutare le azioni dirigenziali, considerando la specificità del contesto scolastico e collegandole agli esiti prodotti sulla qualità del servizio; come tradurle in indicatori “misurabili”, riconoscendone il valore, è questione di indubbia difficoltà, che è oggetto di dibattito anche a livello internazionale e che, a partire dagli anni 2000, ha portato alla proposta di diversi tentativi e modelli valutativi, nessuno dei quali è risultato pienamente soddisfacente. Ad oggi assistiamo al rilancio del tema, alla luce delle indicazioni della Legge 107/15, con la predisposizione di un nuovo modello. Sarà un punto d’arrivo o ancora una volta una tappa intermedia? Ci si augura che la questione trovi finalmente una soluzione, perché una dirigenza non valutata non è legittimata a valutare il proprio personale, non è credibile, si presenta “nuda” davanti alle rivendicazioni che da tante parte

premono su di essa, non può rivendicare quei poteri decisionali che ad oggi appaiono molto annacquati rispetto a quelli in capo ad altre figure della dirigenza pubblica. Il LIBRO da Noi realizzato sostiene lo studio di quanti intendono partecipare alla Preparazione al Concorso a Dirigente realizzata dal Cidi di Milano; il testo è rivolto agli iscritti dell'Associazione, pertanto non è consentito un uso a terzi, anche solo per memorizzazioni parziali.