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LA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA 17 Processo amministrativo CAPITOLO I LA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA L’istituto In termini generali, il processo amministrativo è quel procedimento giu- risdizionale, disciplinato dal Codice del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010, d’ora in avanti c.p.a.), finalizzato a tutelare gli interessi legittimi e i diritti soggettivi di soggetti privati (persone fisiche o enti collettivi) lesi o minacciati dalla condotta della pubblica amministrazione. La giurisdizione amministrativa è esercitata dai tribunali ammini- strativi regionali e dal Consiglio di Stato secondo le norme del D.Lgs. 104/2010 (Codice del processo amministrativo, d’ora in avanti anche c.p.a.). Sono organi di giurisdizione amministrativa di primo grado i tribunali amministrativi regionali e il Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la regione autonoma del Trentino-Alto Adige. Il Consiglio di Stato è l’organo di ultimo grado della giurisdizione am- ministrativa. Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi (art. 7, co. 1, c.p.a). Mentre l’art. 103 Cost. afferma che il giudice amministrativo ha giurisdizio- ne per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti sog- gettivi, l’art. 7 c.p.a. non riproduce il termine “anche”, per cui, in base al- l’art. 7 c.p.a., il giudice amministrativo può conoscere, tra l’altro, situazioni nelle quali si faccia questione esclusivamente di diritti soggettivi. Questa disposizione è in linea con il diritto vivente. Infatti, la Corte costituzionale ha più volte affermato che nella definizione dei confini della giurisdizione esclusiva (nella quale, cioè, il giudice amministrativo conosce anche diritti soggettivi) è necessario, in primo luogo, che la controversia involga situa- zioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse (Corte cost.. 204/2004). Inoltre, la Corte ha aggiunto che, se è è normalmente necessaria la sussistenza di un intreccio di posizioni giuridi- che nell’ambito del quale risulti difficile individuare i connotati identificati- vi delle singole situazioni soggettive, non può escludersi che la cognizione

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lA giurisDizioNe AMMiNisTrATiVA 17

processo amministrativo

capItolo I la gIurIsdIzIone ammInIstratIva

l’istitutoIn termini generali, il processo amministrativo è quel procedimento giu-

risdizionale, disciplinato dal Codice del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010, d’ora in avanti c.p.a.), finalizzato a tutelare gli interessi legittimi e i diritti soggettivi di soggetti privati (persone fisiche o enti collettivi) lesi o minacciati dalla condotta della pubblica amministrazione.

La giurisdizione amministrativa è esercitata dai tribunali ammini-strativi regionali e dal Consiglio di Stato secondo le norme del D.Lgs. 104/2010 (Codice del processo amministrativo, d’ora in avanti anche c.p.a.).

Sono organi di giurisdizione amministrativa di primo grado i tribunali amministrativi regionali e il Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la regione autonoma del Trentino-Alto Adige.

Il Consiglio di Stato è l’organo di ultimo grado della giurisdizione am-ministrativa.

Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi (art. 7, co. 1, c.p.a). Mentre l’art. 103 Cost. afferma che il giudice amministrativo ha giurisdizio-ne per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti sog-gettivi, l’art. 7 c.p.a. non riproduce il termine “anche”, per cui, in base al-l’art. 7 c.p.a., il giudice amministrativo può conoscere, tra l’altro, situazioni nelle quali si faccia questione esclusivamente di diritti soggettivi. Questa disposizione è in linea con il diritto vivente. Infatti, la Corte costituzionale ha più volte affermato che nella definizione dei confini della giurisdizione esclusiva (nella quale, cioè, il giudice amministrativo conosce anche diritti soggettivi) è necessario, in primo luogo, che la controversia involga situa-zioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse (Corte cost.. 204/2004). Inoltre, la Corte ha aggiunto che, se è è normalmente necessaria la sussistenza di un intreccio di posizioni giuridi-che nell’ambito del quale risulti difficile individuare i connotati identificati-vi delle singole situazioni soggettive, non può escludersi che la cognizione

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Tipologie di giurisdizione

Nozione ampia di p.a.

Atti sindacabili

del giudice amministrativo possa avere ad oggetto anche soltanto diritti soggettivi, purché l’amministrazione agisca come autorità e cioè attraver-so la spendita di poteri amministrativi che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi sia mediante moduli consensuali, sia infine mediante comportamenti (Corte cost. 259/2009 e 35/2010).

La giurisdizione amministrativa è connessa all’esercizio del potere della pubbliche amministrazioni, dove rientrano anche i “soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo” (per l’ampliamento del concetto di P.A. v. altresì l’art. 1 ter L. 241/1990).

Inoltre, il giudice amministrativo interviene in presenza di “provve-dimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche media-tamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni”. Si spiega così che “sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni” (art. 7, co. 4, c.p.a.), i casi di giurisdizione di merito sono indicati dalla legge e dall’art. 134 del Codice (art. 7, co. 6), gli “accordi” e i “comportamenti” rientrino nella sola giurisdizione esclusiva.

Se non esistono molte incertezze circa la riconduzione dell’attività con-sensuale (accordi) all’esercizio del potere autoritativo (art. 11 L. 241/1990), la questione dei “comportamenti” è sempre apparsa assai più delicata e complessa. La Corte costituzionale ha operato la distinzione – ora recepita dal Codice – tra controversie relative a “comportamenti collegati – anche “mediatamente” – all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere” e “comportamenti” posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto, per i quali è da ritenersi costituzionalmente illegittima la relativa devo-luzione alla giurisdizione esclusiva (Corte cost. 204/2004 e 191/2006).

Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico.

La giurisdizione amministrativa si articola in:– giurisdizione generale di legittimità. Sono attribuite alla giurisdi-

zione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie re-lative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma;

– giurisdizione esclusiva. Nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’art. 133 c.p.a., il giudice amministrativo conosce, anche ai fini risarcitori, delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi;

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Questioni pregiudiziali e incidentali

– giurisdizione estesa al merito. Il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie indicate dalla legge e dall’art. 134 c.p.a. Nell’esercizio di tale giurisdizione il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione.

Il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione, da-vanti al giudice amministrativo, di ogni forma di tutela degli interessi legit-timi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi.

Il giudice amministrativo, nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva, conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pre-giudiziali o incidentali relative a diritti la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (art. 8 c.p.a.).

Restano riservate all’autorità giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso.

Per quanto riguarda, infine, il difetto di giurisdizione, l’art. 9 D.Lgs. 104/2010, recependo i più recenti orientamenti delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 24883/2008 e n 3200/2010), prevede che il difetto di giuri-sdizione possa essere rilevato dal giudice, anche d’ufficio, solo in primo grado e che in appello e negli altri giudizi di impugnazione ciò sia possibile solo se il difetto di giurisdizione è dedotto con specifico motivo “avver-so il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione”, con la conseguenza che se la decisione di primo grado che ha esaminato il merito della controversia non viene impugnata per il profilo della giurisdizione, questa si consolida in capo al giudice amministrativo.

Inoltre, è stato codificato il principio, introdotto in via generale dal codice di procedura civile, della translatio iudicii, per cui quando la giu-risdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda, a condizione che il processo sia riproposto.

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poteri istruttori e decisori

giudice ordinario e amministrativo

orientamenti

1. Il sIstema della doppIa gIurIsdIzIone La giustizia amministrativa è organizzata secondo il sistema della dop-

pia giurisdizione.

Tale principio è enunciato dalla Costituzione (artt. 24, 103 e 113), la quale fonda il riparto delle controversie tra giudice ordinario e giudice am-ministrativo sulla causa petendi, ovvero sulla natura della situazione giuri-dica soggettiva lesa – diritto soggettivo e interesse legittimo –, con l’ecce-zione dei casi di giurisdizione esclusiva, nei quali al giudice amministrativo compete la cognizione “anche” dei diritti soggettivi (art. 103 Cost.).

Esistono inoltre giurisdizioni amministrative speciali come la Corte dei conti e il Tribunale superiore delle acque pubbliche.

Il tema del riparto delle giurisdizioni è stato a lungo oggetto di aggiu-stamenti normativi, di interventi creativi della giurisprudenza, di rifles-sioni dottrinali. Il punto di approdo di tale processo di sistemazione della materia è rappresentato attualmente dal Codice del processo amministra-tivo, il d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, il quale ha fondamentalmente mantenuto inalterati le caratteristiche e i limiti della giurisdizione del giudice ammini-strativo (dal criterio di riparto in base alla situazione giuridica soggettiva – previsto invero, come detto, dalla Costituzione – alla tutela risarcitoria dei danni causati dalla lesione dell’interesse legittimo, alla esclusione della giurisdizione sugli atti emanati dal Governo nell’esercizio del potere poli-tico, e così via).

2. la gIurIsdIzIone generale dI legIttImItà

La giurisdizione generale di legittimità è la giurisdizione, per così dire, “classica”, consistente nell’accertamento dell’illegittimità dell’atto ammi-nistrativo e nel suo conseguente annullamento.

A questo modello tradizionale si sono affiancati, nel corso del tempo, nuovi poteri decisori del giudice amministrativo, consistenti nella possibi-lità di pronunciare sentenze di condanna al risarcimento del danni e alla reintegrazione in forma specifica.

Il Codice del processo amministrativo, dopo aver sancito il principio generale secondo cui “la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto euro-peo” (art. 1), ha attribuito al giudice amministrativo:

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Azione di condanna contestuale a quella di annullamento

– ampi poteri istruttori. In base all’art. 63 c.p.a., il giudice può chie-dere chiarimenti o documenti, ammettere la prova testimoniale in forma scritta, ordinare l’esecuzione di una verificazione ovvero, se indispensabi-le, disporre una consulenza tecnica, disporre anche l’assunzione degli altri mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, esclusi l’interrogato-rio formale e il giuramento;

– ampi poteri decisori, essendo ammessa, quantomeno implicita-mente, la possibilità di emanare sentenze dichiarative e di accertamento, oltre che di condanna all’adozione di tutte le misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio (art. 34, co. 1, lett. c), c.p.a.).

L’art. 7, co. 4, c.p.a. , inoltre, comprende le controversie anche “relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma”, ri-solvendo la controversa questione della c.d. pregiudiziale amministrativa, sempreché venga rispettato il termine di decadenza di 120 giorni previsto dall’art. 30 c.p.a., il quale, tra l’altro, prevede il risarcimento del danno in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c..

Infine, l’art. 31 c.p.a., disciplinando l’azione avverso il silenzio, dà potere al giudice di pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio (in caso di attività vincolata) e di accertare delle nullità previste dalla legge.

2.1. l’azIone dI condanna pubblIcIstIca e l’azIone dIchIaratIva

A seguito dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo deve ammettersi, per il giudice amministrativo, anche in sede di giurisdi-zione generale di legittimità, l’emanazione di pronunce di tipo dichiarativo e di condanna (adempimento), laddove non vi osti la sussistenza di profili di discrezionalità amministrativa o tecnica (Cons. Stato, Ad. plen., 23 mar-zo 2011, n. 3).

Infatti, gli artt. 30, co. 1, e 34, lett. c), c.p.a. consentono al giudice am-ministrativo, nei limiti della domanda, di emanare sentenze di condanna “all’adozione di misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e disporre misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c.”

Il nuovo art. 34, lett. c), c.p.a., che si pone in stretta correlazione con il generale principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale amministrativa, prevede l’esercizio dell’azione di condanna al rilascio di un provvedimento contestualmente all’azione di annullamento, sancendo

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Azione dichiarativa

espressamente l’ingresso, nell’ordinamento processuale, dell’azione tipica di adempimento (c.d. condanna pubblicistica) nell’ottica della soddi-sfazione completa della posizione sostanziale di interesse legittimo di cui si chiede tutela, pur nel limite della necessaria contestualità con l’azione di annullamento, nonché dell’assenza di profili di discrezionalità ammini-strativa o tecnica.

Analoghe considerazioni valgono per l’azione dichiarativa, la quale, pur non trovando una sistematica collocazione in seno al Codice, al di fuori di previsioni specifiche (artt. 117 e 31 in tema di silenzio, 31 co. 4 in tema di nullità), deve ritenersi ugualmente ammissibile in sede di giurisdizione generale di legittimità in forza, oltre che del principio-cardine di effettività della tutela di cui all’art. 1 c.p.a., in base allo stesso principio di atipicità delle azioni giurisdizionali da tempo affermato in seno alla disciplina pro-cessualcivilistica, essendo l’accertamento della posizione sostanziale che si vuole far valere elemento proprio e comune di ogni azione di cognizione.

Ne consegue che, a fronte di un’attività vincolata, qual è ad esempio l’at-tività di rilascio di titoli abilitativi edilizi (Tar Emilia Romagna-Parma 17 giu-gno 2008, n. 314; Tar Liguria 16 febbraio 2008, n. 305), in quanto costituente un mero risultato dell’attività di controllo della conformità alla normativa urbanistico-edilizia, è possibile, contestualmente all’annullamento, se richie-sto dal ricorrente, l’accertamento (definitivo) della stessa fondatezza della pretesa a costruire, nell’ambito di un giudizio oramai avente ad oggetto il “rapporto” sostanziale dedotto ovvero la fondatezza della pretesa azionata, con soddisfazione completa della posizione sostanziale di interesse legitti-mo e senza più il limite costituito dal riesercizio del potere a seguito dell’an-nullamento giurisdizionale, proprio di un giudizio vertente sulla legittimità (formale) degli atti impugnati (Tar Puglia-Bari, 25 novembre 2011, n. 1807).

3. la gIurIsdIzIone dI merIto La giurisdizione di merito, estesa cioè alla valutazione dell’oppor-

tunità e della convenienza dell’atto, è eccezionale, e si esercita solo nelle controversie indicate dalla legge e dall’art. 134 c.p.a. In base a questa disposizione tali controversie hanno ad oggetto:

– l’attuazione delle pronunce giurisdizionali esecutive o del giudicato nell’ambito del giudizio di cui al Titolo I del Libro IV;

– gli atti e le operazioni in materia elettorale, attribuiti alla giurisdizio-ne amministrativa;

– le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdi-zione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità amministrative indipendenti;

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poteri esercitabili dal g.a.

sanzioni dell’Agcm

– le contestazioni sui confini degli enti territoriali; – il diniego di rilascio di nulla-osta cinematografico di cui all’art. 8 L.

161/1962.Il giudice amministrativo, nell’esercizio di tale giurisdizione, rispetto a

quella di legittimità, dispone di maggiori poteri decisori, che non si limitano all’annullamento dell’atto amministrativo impugnato, ma si estendono alla possibilità di sostituirsi all’amministrazione (art. 7, co. 6, c.p.a.) attraverso l’adozione di un nuovo atto, la modifica o la riforma di quello impugnato (art. 34, co. 1, lett. d) c.p.a.).

Ad esempio, in ordine alle sanzioni pecuniarie irrogate dall’Auto-rità garante della concorrenza e del mercato il giudice amministrativo dispone di poteri di sindacato nel merito, che consentono lo scrutinio di congruità e adeguatezza della sanzione all’illecito contestato e la ridetermi-nazione della sanzione stessa (Cons. Stato, VI, 27 ottobre 2011, n. 5785).

4. la gIurIsdIzIone esclusIva

Come accennato, in alcune materie previste dalla legge, nelle quali l’in-treccio di posizioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo è difficilmente districabile, le controversie sono riservate alla competenza esclusiva del giudice amministrativo.

L’ambito della giurisdizione esclusiva è stato definito da numerosi interventi normativi (artt. 33 e 34 D.Lgs. 80/1998, sostituiti dall’art. 7 L. 205/2000), e ridisegnato dalla giurisprudenza costituzionale, i cui principi sono stati recepiti dal Codice del processo amministrativo.

L’art. 133 elenca, in modo non tassativo (sono fatte salve le “ulteriori previsioni di legge”), le materie di giurisdizione esclusiva (v. fine capitolo).

Anche in sede di giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo spet-tano i poteri istruttori previsti dall’art. 63 c.p.a. e i poteri decisori indicati dall’art. 7 c.p.a. (“il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi”; “Il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi”).

Inoltre, l’art. 30, co. 2, c.p.a., dopo aver previsto, per la giurisdizione di legittimità e per le materie di giurisdizione esclusiva, che “può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’il-legittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria”, aggiunge che “nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti sogget-

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eccesso di delega

tivi” e, ancora, riferendosi ad entrambe le giurisdizioni che “sussistendo i presupposti previsti dall’art. 2058 c.c., può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica”.

4.1. la decapItazIone della gIurIsdIzIone esclusIva suglI attI della consob

La Corte costituzionale, con la sentenza 20 giugno 2012, n. 162, ha dichiarato dichiara l’illegittimità costituzionale delle norme del D.Lgs. 104/2010 che attribuivano alla giurisdizione esclusiva del giudice ammini-strativo le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob).

L’art. 44 L. 69/2009 contenente la delega al governo per il riassetto del processo davanti al giudice amministrativo, ne ha definito l’oggetto (conformemente a quanto previsto dall’art. 76 Cost.), ha indicato un tempo limitato e certo per l’esercizio della stessa e ha determinato i principi e i criteri direttivi, con indicazioni di contenuto idonee a circoscrivere la di-screzionalità del legislatore delegato che, in ogni caso, è sempre garantita quando l’elaborazione di testi legislativi complessi viene affidata al Gover-no nella forma della delega legislativa.

In particolare, la norma ha definito l’oggetto della delega nei seguenti termini: delega “per il riassetto del processo dinanzi ai Tribunali ammini-strativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vi-genti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele”. In riferimento ai principi e criteri direttivi, inoltre, ai fini che qui rilevano per l’esame della sollevata questione di illegittimità costituzio-nale, la delega specifica che il Governo deve “assicurare snellezza, concen-trazione ed effettività della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata del processo …; disciplinare le azioni e le funzioni del giudice: 1. Riordinando le norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministra-tivo anche rispetto alle altre giurisdizioni; 2. Riordinando i casi di giuri-sdizione estesa al merito”.

Quanto all’attuazione della delega, gli artt. 133, co. 1, lett. l), 134, co. 1, lett. c), e 135, co. 1, lett. c), D.Lgs. 104/2010, nella parte in cui attribui-scono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con cogni-zione estesa al merito, e alla competenza funzionale del Tar Lazio, sezione di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Consob, avevano ecceduto dai limiti stabiliti dalla legge-delega, con conseguente violazione dell’art. 76 Cost..

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orientamento della cassazione

La Corte costituzionale, infatti, ha sempre inquadrato in limiti rigoro-si l’esercizio, da parte del legislatore delegato, dei poteri innovativi della normativa vigente, non strettamente necessari in rapporto alla finalità di ricomposizione sistematica perseguita con l’operazione di riordino o rias-setto. La Corte ha sempre rimarcato che, a proposito di deleghe che abbia-no ad oggetto la revisione, il riordino e il riassetto di norme preesistenti, “l’introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente è … ammissibile soltanto nel caso in cui siano sta-biliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato”, poiché quest’ultimo non può innovare “al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega” (Corte cost. 8 ottobre 2010, n. 293), specificando che “per valutare se il legislatore abbia ecceduto i – più o meno ampi – margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega” (Corte cost. 21 giugno 2010, n. 230).

Questi principi, costantemente affermati dalla giurisprudenza costitu-zionale e ribaditi da ultimo nella sentenza 5 aprile 2012, n. 80, impongono, nel caso di deleghe per il riordino o il riassetto normativo, un’interpreta-zione restrittiva dei poteri del legislatore delegato, da intendersi in ogni caso come strettamente orientati e funzionali alle finalità esplicitate dalla legge di delega.

Alla luce di tali principi, Corte cost. 162/2012 ha ricordato che la delega contenuta nell’art. 44 cit. abilitava il legislatore delegato a intervenire, oltre che sul processo amministrativo, sulle azioni e le funzioni del giudice ammi-nistrativo anche rispetto alle altre giurisdizioni e in riferimento alla giurisdi-zione estesa al merito, ma sempre entro i limiti del riordino della normativa vigente; il che comporta di certo una capacità innovativa dell’ordinamento da parte del Governo delegato all’esercizio della funzione legislativa, da in-terpretarsi però in senso restrittivo e comunque rigorosamente funzionale al perseguimento delle finalità espresse dal legislatore delegante.

In base alla delega, il legislatore delegato avrebbe dovuto tenere conto della giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni supe-riori nell’assicurare la concentrazione delle tutele, secondo quanto pre-scritto dalla legge di delega (art. 44, co. 1 e 2, L. 69/2009).

Invece, attribuendo le controversie relative alle sanzioni inflitte dalla Consob alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (con la com-petenza funzionale del Tar Lazio, sede di Roma, e con cognizione estesa al merito) il legislatore delegato non ha tenuto conto della giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione formatasi sul punto.

La Cassazione, infatti, ha sempre precisato che la competenza a co-noscere le opposizioni avverso le sanzioni inflitte dalla Consob ai promotori finanziari, anche di tipo interdittivo, spetta all’autorità

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giudiziaria ordinaria, poiché anche tali sanzioni, non diversamente da quelle pecuniarie, devono essere applicate sulla base della gravità della violazione e tenuto conto dell’eventuale recidiva e quindi sulla base di criteri che non possono ritenersi espressione di discrezionalità ammini-strativa (Cass. S.U. 22 luglio 2004, n. 13703; 11 febbraio 2003, n. 1992).

La giurisprudenza della Cassazione, la quale esclude che l’irrogazione delle sanzioni da parte della Consob sia espressione di mera discrezionalità amministrativa, unitamente alla considerazione che tali sanzioni possono essere sia di natura pecuniaria, sia di tenore interdittivo (giungendo persino ad incidere sulla possibilità che il soggetto sanzionato continui ad esercitare l’attività intrapresa), impediva di giustificare, sul piano della legittimità co-stituzionale, l’intervento del legislatore delegato, il quale, incidendo profon-damente sul precedente assetto, aveva trasferito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative alle sanzioni inflitte dalla Consob, discostandosi dalla giurisprudenza della Cassazione. Di conseguen-za, limitatamente a simile attribuzione di giurisdizione, erano stati ecceduti i limiti della delega, con conseguente violazione dell’art. 76 Cost.

Per tali ragioni, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi gli artt. 133, co. 1, lett. l), 135, co. 1, lett. c), e 134, co. 1, lett. c), D.Lgs. 104/2012, nella parte in cui attribuivano alla giurisdizione esclusiva del giudice am-ministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del Tar Lazio, sede di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Consob.

5. affIdamento dI lavorI, servIzI e fornItureLa giurisdizione amministrativa sulle procedure di affidamento dei con-

tratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (art. 133, co. 1, lett. e), n. 1), c.p.a.) riguarda le controversie relative a procedure di affidamento di pub-blici lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti tenuti, nella scelta del con-traente, all’applicazione della normativa comunitaria o al rispetto dei proce-dimenti di evidenza pubblica previsti dalla disciplina di diritto interno.

Per giurisprudenza pacifica, questa giurisdizione si estende alle con-troversie relative al mancato utilizzo di una procedura di evidenza pubblica e all’utilizzo di una procedura negoziata o di una trattativa privata al di fuori dei casi consentiti dalla legge. In tali casi, la legitti-mazione e l’interesse a ricorrere vanno riconosciuti all’impresa del settore, ovvero al precedente affidatario del servizio, che contestino l’affidamento diretto senza gara.

La giurisdizione amministrativa esclusiva si estende alla sorte del con-tratto e al subentro nel contratto in corso (art. 224 D.Lgs. 163/2006; art. 133 c.p.a.) (Cons. Stato, VI, 12 dicembre 2011, n. 6492).

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Annullamento dell’affidamento diretto

Annullamento dell’aggiudicazione

Tra le controversie in materia di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture rientrano anche le controversie risarcitorie e quelle relative alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annulla-mento dell’aggiudicazione.

L’art. 121, co. 1, c.p.a. prevede, inoltre, che il giudice che annulla l’ag-giudicazione definitiva dichiara l’inefficacia del contratto:

a) se l’aggiudicazione definitiva è avvenuta senza previa pubblicazione del bando o avviso con cui si indice una gara nella Gazzetta ufficiale del-l’Unione europea o della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione è prescritta dal D.Lgs. 163/2006;

b) se l’aggiudicazione definitiva è avvenuta con procedura negoziata senza bando o con affidamento in economia fuori dai casi consentiti e questo abbia determinato l’omissione della pubblicità del bando o avviso con cui si indice una gara nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea o della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione è prescritta dal D.Lgs. 163/2006;

c) se il contratto è stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito dall’art. 11, co. 10, D.Lgs. 163/2006, qualora tale violazione abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e sempre che tale violazione, aggiungendo-si a vizi propri dell’aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento;

d) se il contratto è stato stipulato senza rispettare la sospensione ob-bligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione definitiva, ai sensi dell’art. 11, co. 10 ter, D.Lgs. 163/2006, qualora tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dell’aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ri-corrente di ottenere l’affidamento.

La ratio della norma risiede nell’esigenza di preservare i principi di trasparenza, pubblicità e concorrenza cui deve ispirarsi l’attività della pub-blica amministrazione in materia di appalti pubblici.

Così, se è previsto che la giurisdizione del giudice amministrativo ricorra quando si tratti di dichiarare l’inefficacia del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione (art. 133, co. 1, lett. e), alla stessa conclusione deve giungersi anche nella situazione, di gran lunga più grave, in cui l’inefficacia del contratto consegua all’annullamento di un affida-mento diretto, senza alcuna previsione di gara, in violazione delle norme comunitarie e nazionali in materia di contratti pubblici.

In questo contesto, riconoscere la giurisdizione del giudice civile sul contratto comporterebbe il duplice, pernicioso effetto di moltiplicare i pro-cedimenti e di porre le condizioni per un possibile conflitto di pronunce.

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ripetizione di indebito e

arricchimento senza causa

La conclusione cui deve necessariamente giungersi è, allora, che, se è vero che la norma non prevede testualmente il caso in esame, in quanto limita la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alle ipotesi di inefficacia del contratto conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione, è altrettanto vero che non ci si deve fermare al solo criterio ermeneutico testuale in quanto, in base all’art. 12 preleggi, questo deve essere integrato dal criterio della ratio legis. Ed è di tutta evidenza che si è in presenza della eadem ratio, che è quella di preservare i principi di trasparenza, pubblicità e concorrenza cui deve ispirarsi la pubblica amministrazione in materia di appalti pubblici.

Invero, il senso della disposizione è quello di attribuire al giu-dice amministrativo la cognizione piena di tutte le controversie conseguenti all’annullamento di un’aggiudicazione comunque in-tervenuta e, quindi, anche all’affidamento diretto posto in essere in violazione delle norme nazionali e comunitarie, per non essere stata disposta alcuna gara.

D’altra parte, sarebbe una contraddizione del sistema ammettere la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui una gara sia stata comunque effettuata e negarla in quello, di gran lunga più grave, di affida-mento diretto posto in essere dalla pubblica amministrazione con abuso delle funzioni pubbliche.

Pertanto, va affermata la giurisdizione esclusiva del giudice ammini-strativo sulla domanda di dichiarazione di inefficacia o nullità del contrat-to ai sensi dell’art. 244 D.Lgs. 163/2006.

A uguale conclusione deve pervenirsi in ordine alle domande di ripeti-zione di indebito o di arricchimento senza causa.

Ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. e), c.p.a. sono devolute alla giurisdizio-ne esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a proce-dure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di eviden-za pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, incluse quelle ri-sarcitorie, e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative.

Ora, l’affermazione della giurisdizione esclusiva del giudice ammini-strativo sulla domanda di dichiarazione di inefficacia o nullità del contrat-to postula, inevitabilmente, che le domande conseguenti a una tale de-claratoria debbano essere conosciute dallo stesso giudice al quale è riconosciuta la giurisdizione sul contratto. Le domande di ripetizio-ne di indebito o di arricchimento senza causa, infatti, si presentano come effetti restitutori conseguenti alla declaratoria di inefficacia (o

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organismi di diritto pubblico

nullità) de contratto di fornitura. E se le controversie di natura risar-citoria rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133 D.Lgs. 104/2010, a maggior ragione un tale riconosci-mento meritano quelle restitutorie che, non solo sono connesse, ma sono strettamente conseguenti alla declaratoria d’inefficacia del contratto.

D’altra parte, la soluzione del problema deriva da un evidente argo-mento logico: se la giurisdizione esclusiva si applica alle questioni legate da connessione indiretta ed eventuale alla declaratoria d’inefficacia del contratto, a maggior ragione deve applicarsi a quelle connesse direttamen-te, cioè conseguenti (Cass. S.U. 8 agosto 2012, n. 14260).

Per quanto riguarda, invece, la giurisdizione del giudice amministrati-vo nelle controversie relative alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, indette da organismi di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 244 D.Lgs. 163/2006 e, ora, dell’art. 133, lett. e), n. 1, c.p.a., non sussiste per gli appalti riguardanti tutte le attività svolte dai medesimi organismi (secondo la cosiddetta teoria del «contagio») e, in particolare, per gli appalti inerenti alle attività industriali o commerciali svolte in re-gime di libera concorrenza e accessibilità ai mercati, dovendo le regole di evidenza pubblica essere rigorosamente limitate alle attività volte a soddisfare bisogni generali di carattere non industriale o commer-ciale, in quanto direttamente interessate dall’esistenza di diritti speciali o esclusivi, dovendosi presumere che le residue attività del soggetto (di diritto privato), ancorché a partecipazione pubblica, vengano svolte nelle forme proprie del diritto comune.

Ad esempio, in una procedura di aggiudicazione di forniture di «po-stamat» da parte di poste italiane s.p.a., Cass. S.U. 29 maggio 2012, n. 8511 ha affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, trat-tandosi di un settore liberalizzato e aperto alla concorrenza.

5.1. modIfIche o deroghe al prezzo chIuso L’art. 244, co. 3, D.Lgs. 163/2006 demanda alla giurisdizione esclusiva

del giudice amministrativo, fra l’altro, le controversie relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei con-tratti ad esecuzione continuata, nonché quelle riguardanti i provvedimenti applicativi dell’adeguamento prezzi ai sensi del art. 133, co. 3 e 4, del citato decreto.

La formulazione dell’art. 244, co. 3, cit. trova la sua genesi nell’art. 6, co. 19, L. 537/1993 (come poi modificato dalla L. 724/1994), secondo il qua-le “le controversie derivanti dall’applicazione del presente articolo sono devolute alla giurisdizione, in via esclusiva, del giudice amministrativo”.

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Disciplina del prezzo chiuso

Tale disposizione era peraltro riferibile alla sola norma sostanziale dettata dall’art. 19, co. 4, L. 537/1993, riguardante i contratti ad esecuzione periodi-ca o continuata, rispetto ai quali fu disposto che dovessero contenere una clausola di revisione periodica del prezzo.

Detta ultima disposizione è stata successivamente travasata nell’art. 115 D.Lgs. 163/2006, mentre la prima norma sopra richiamata – quella sulla giurisdizione – è stata riformulata nel senso che una controversia derivante dall’applicazione del relativo articolo – la L. 537/1993 – era una “controversia relativa alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo “.

Al contrario, la disciplina del prezzo chiuso (e le relative modificazio-ni) ha un non coincidente ambito di applicazione, essendo attinente ai contratti di lavori pubblici, ed è riconducibile a un diverso ples-so normativo, essendo stata introdotta dalla L. 311/2006 (legge finanziaria 2005, art. 1, co. 550), che per l’appunto con l’inserimento dei commi da 4 bis a 4 septies ha operato un’integrazione dell’allora vigente art. 26 L. 109/1994.

Quest’ultima disciplina poi, non accompagnata da una regolamentazio-ne dei profili attinenti alla giurisdizione (che viceversa era stata contem-plata con riferimento alla revisione prezzi), è stata a sua volta trasfusa nell’art. 133, co. 1, lett. c), n. 2, D.Lgs. 163/2006), rispetto al quale la di-sposizione dell’art. 244 del citato decreto legislativo va interpretata come espressione della considerazione che le modifiche consentite al sistema del prezzo chiuso danno luogo ad una forma di revisione dello stesso, qua-le ulteriore strumento di tutela dell’originario equilibrio fra le concordate prestazioni contrattuali.

La disposizione sulla giurisdizione in tema di modifiche del prezzo chiuso, recuperata dalla formulazione della L. n. 537 del 1993, risulta dun-que riscritta sulla falsariga di quella già emanata a proposito della revi-sione prezzi, con la differenza, tuttavia, che mancando qui una clausola e dovendosi applicare solo una norma, il riferimento formale è limitato alle controversie “relative ai provvedimenti applicativi dell’ade-guamento dei prezzi ai sensi dell’art. 133, co. 3 e 4”.

Da quanto esposto si deduce dunque che:a) rappresenta una ragionevole interpretazione della disposizione di

deroga al prezzo chiuso la sua attrazione al regime della revisione del prez-zo anche per quanto concerne la disciplina processuale;

b) a identiche conclusioni deve pervenirsi ove si considerino l’identità della posizione delle due parti contraenti (committente e appaltatore) nelle due distinte (ma contigue, rappresentando la seconda una specificazione della prima) ipotesi della revisione e dell’adeguamento prezzi, nonchè l’ul-teriore circostanza consistente nel fatto che in entrambe le dette ipotesi i previsti meccanismi di adeguamento dell’originaria pattuizione in tema

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di corrispettivo risultano preordinate alla tutela dell’interesse pubblico, piuttosto che al soddisfacimento dell’interesse dell’appaltatore;

c) al contrario, appare inattendibile un’interpretazione dell’art. 244, comma 3, nel senso di attribuire una diversa e minore estensione dell’area della giurisdizione esclusiva in tema di controversie sulla deroga al prezzo chiuso, e ciò anche in quanto il parametro distintivo in tema di giurisdizio-ne è individuabile in ragione della diversità delle situazioni giuridiche da tutelare, e non già con riferimento alle differenti caratteristiche delle que-stioni sottoposte all’esame dell’organo giudicante.

D’altra parte, se si attribuissero alla giurisdizione del giudice ammini-strativo soltanto le controversie aventi ad oggetto la quantificazione del-l’adeguamento del prezzo, devolvendosi invece al giudice ordinario quelle attinenti al riconoscimento del diritto all’adeguamento, ciò comportereb-be la devoluzione al giudice ordinario di quelle liti in cui è più evidente l’interesse della pubblica amministrazione, in contrasto con i criteri di ragionevolezza e con i principi generali di ripartizione della giurisdizione fra giudice amministrativo e giudice ordinario.

Occorre evidenziare, inoltre, che un’eventuale diversità di disciplina sul piano della giurisdizione fra le controversie relative al quantum del-l’adeguamento e quelle concernenti l’an debeatur determinerebbe un inu-tile allungamento dei tempi di definizione del contenzioso (per la duplicità degli organi giudiziari deputati ad intervenire), indebolendo la posizione di tutela del cittadino di fronte alla pubblica amministrazione e finirebbe per ridimensionarne l’applicazione, fino a determinarne un sostanziale svuo-tamento, in quanto la disposizione risulterebbe correttamente evocabile soltanto nel caso di anticipata ricognizione di debito seguita da provve-dimenti applicativi non condivisi, e quindi in ipotesi marginali, se non del tutto residuali (Cass. S.U. 26 settembre 2011, n. 19567).

5.2. esclusIone dell’affIdamento dI appaltI pubblIcI dI servIzI

Che l’art. 133, co. 1, lett. c), c.p.a. non si riferisca all’affidamento di appalti pubblici di servizi, bensì all’affidamento di servizi pubblici, si desume dal confronto di tale previsione con quella contenuta nella succes-siva lett. e), n. 1, nella quale la giurisdizione del giudice amministrativo ha ad oggetto le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente, all’applicazione del diritto comunitario, nazionale o regionale, in materia di procedure di evidenza pubblica; pertanto, mentre in caso di affidamento di un servizio pubblico (recte, servizio al pubblico) la giurisdizione del giu-

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peculiarità del giudizio di ottemperanza

casi di sconfinamento

del g.a.

dice amministrativo si determina prescindendo dalla natura del soggetto affidante e della sussistenza di un dovere di seguire procedure di evidenza pubblica, nel caso di affidamento di un appalto pubblico di servizi la giu-risdizione si determina in applicazione dell’art. 133, co. 1, lett. e), c.p.a. (Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3892).

6. I lImItI dell’attIvItà del gIudIce ammInI-stratIvo

Al giudice amministrativo non è consentito invadere arbitrariamente il campo dell’attività riservata alla pubblica amministrazione attraverso l’esercizio di poteri di cognizione e di decisione non previsti dalla legge, con conseguente trapasso da una giurisdizione di legittimità a quella di merito.

Ciò può accadere, ad esempio, quando il giudice amministrativo (al di fuori dei casi eccezionali di giurisdizione estesa al merito) compia atti di valutazione dell’opportunità dell’atto impugnato, sostituendo propri criteri di valutazione a quelli discrezionali della pubblica amministrazione, o adotti decisioni finali interamente sostitutive delle determinazio-ni spettanti all’amministrazione medesima (Cass. S.U. 15 marzo 1999, n. 137).

In particolare, si è affermato che l’eccesso di potere giurisdizionale, denunciabile sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, ai sensi dell’art. 111, co. 8, Cost., è configurabile quando:

– l’indagine svolta dal giudice amministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, abbia valutato l’op-portunità e la convenienza dell’atto;

– la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’am-ministrazione, procedendo a un sindacato di merito che si manifesti in una pronuncia che abbia il contenuto sostanziale e l’esecutorietà stessa del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa (Cass. S.U. 22 dicembre 2003, n. 19664).

Ciò non vale, peraltro, per la giurisdizione di ottemperanza affidata al giudice amministrativo, che presenta caratteri del tutto peculiari, in virtù dei quali l’ingerenza del giudice nel merito dell’agire della pubbli-ca amministrazione è pienamente ammissibile. Infatti, al medesimo giudice amministrativo è in tal caso espressamente attribuito un potere di giurisdizione anche di merito (artt. 7, co. 6 e 134 D.Lgs. 104/2010), con possibilità sia di procedere alla “determinazione del contenuto del prov-vedimento amministrativo” ed alla “emanazione dello stesso in luogo

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dell’amministrazione” (art. 114, co. 4, lett. a), D.Lgs. 104/2010), sia di “so-stituirsi all’amministrazione” (art. 7, co. 6, cit.) nominando, ove occorra, un commissario ad acta (art. 114, co. 4, lett. d), cit.).

Un eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo, per invasione della sfera riservata al potere discrezionale della pubblica am-ministrazione, non potrebbe perciò essere certamente ravvisato nel fatto in sé che il giudice dell’ottemperanza, rilevata la violazione o l’elusione del giudicato amministrativo, abbia adottato (o ordinato di adottare) quei provvedimenti che l’amministrazione inadempiente avrebbe dovuto già essa stessa attuare. Proprio in questo risiede, infatti, la funzione de giudi-zio di ottemperanza che, in ossequio al principio dell’effettività della tutela giuridica e per soddisfare pienamente l’interesse sostanziale del soggetto ricorrente, non può arrestarsi di fronte ad adempimenti parziali, incom-pleti od elusivi del contenuto della decisione del giudice amministrativo (Cass. S.U. 19 agosto 2009, n. 18375).

Né a ciò è di ostacolo la circostanza che l’amministrazione alla qua-le è imputata la violazione o delusione del giudicato sia, come nel caso del Consiglio superiore della magistratura, un organo di rilevanza costituzionale (Corte cost. 15 settembre 1995, n. 435).

Ma se lo sconfinamento nel merito del giudice amministrativo, oltre i limiti della sua naturale giurisdizione di legittimità, è sindacabile dalla Cas-sazione, appare del tutto ragionevole dedurne che un analogo sindacato sia esercitabile anche nel caso in cui, essendo espressamente conferito al giudice amministrativo un potere di giurisdizione di merito, il giudice amministrativo ecceda il limite entro il quale quel potere gli compete, eser-citando una giurisdizione di merito in presenza di situazioni che avrebbero potuto dare adito solo alla normale giurisdizione di legittimità, e quindi all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi (Cass. S.U. 31 ottobre 2008, n. 26302; 19 luglio 2006, n. 16469), o che comunque non avrebbero potuto dare ingresso alla giurisdizione di merito.

Si ripropone l’identica tematica dell’invasione non consentita, ad opera del giudice, della sfera di attribuzioni riservata alla pubblica amministra-zione; né il potere integrativo del giudice dell’ottemperanza può sottrarsi ai limiti esterni della giurisdizione propria del giudice amministrativo quando la cognizione della questione controversa, la cui soluzione sia necessaria ai fini della verifica dell’esatto adempimento dell’amministrazione obbli-gata, risulti devoluta ad altro giudice in modo che soltanto questi possa provvedere al riguardo (Cass. S.U. 20 novembre 2003, n. 17633).

Anche in termini più generali, del resto, deve ormai essere considerata norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presuppo-sti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che da contenuto a quel potere, stabilendo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca; con la conseguenza che rientra nello schema

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estendibilità del sindacato della suprema corte

Diversi effetti del giudicato

amministrativo

logico del sindacato per violazione di legge per motivi inerenti alla giurisdi-zione, spettante alla Cassazione, l’operazione consistente nell’interpretare la norma attributiva di tutela e nel verificare se il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 111, co. 8, Cost. la abbia correttamente applicata (Cass. S.U. 23 dicembre 2008, n. 30254).

Naturalmente, questo non significa che il sindacato della Suprema corte possa estendersi a qualsiasi error in iudicando o in procedendo im-putato al giudice amministrativo nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme che disciplinano il giudizio di ottemperanza.

Per distinguere le fattispecie in cui il sindacato sui limiti di tale giu-risdizione è consentito da quelli in cui esso è inammissibile, deve aversi riguardo al petitum sostanziale e all’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (Cass. S.U. 25 giugno 2010, n. 15323), e risulta decisivo stabilire se ciò che viene in questione è il modo in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice am-ministrativo, oppure il fatto stesso che un tale potere, con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice non spettava.

La giurisdizione di ottemperanza è il mezzo attraverso il quale deve essere assicurato, grazie all’intervento del giudice, il pieno compimento di quell’attività che la pubblica amministrazione avrebbe dovuto svolgere conformandosi al precedente giudicato, ed è intuitivo che essa non pos-sa spingersi sino ad esiti che neppure all’agire spontaneo della medesima pubblica amministrazione sarebbero più ormai consentiti.

Occorre considerare, al riguardo, che il giudicato amministrativo non può essere valutato separatamente dalla fattispecie sulla quale incide: una cosa è il giudicato che tocca vicende chiuse, delle quali cioè l’intervento del giudice è destinato a segnare la conclusione, altra cosa è la sentenza che riapre una situazione che il provvedimento annullato aveva inteso de-finire, aprendo nuove prospettive per il futuro.

A questa diversa tipologia di situazioni corrisponde una diversità di effetti del giudicato amministrativo:

se si tratta di - situazioni orientate al passato, che il provvedi-mento annullato aveva definito, il giudicato pone termine alla vicenda;

se, viceversa, si tratta di - situazioni orientate al futuro, il giu-dicato accerta fatti e rapporti con riferimento alla data di adozione del provvedimento, e ciò pone il problema di stabilire se, o fino a qual pun-to, l’amministrazione debba tener conto di eventuali nuovi elementi di fatto e di diritto che la sentenza non aveva avuto né titolo né modo per considerare.Va sottolineato che spesso tali nuovi elementi non incidono sul giudi-

cato in quanto tale, ossia sulla situazione che la sentenza ha accertato or-mai intangibilmente, bensì sugli effetti ulteriori riferibili al giudicato

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medesimo e ad esso successivi (effetti che il vincitore vorrebbe trarre dal giudicato, ma che non ne derivano ex lege). Se la fattispecie si è esaurita, l’assetto dato è insensibile a qualunque modifica successiva al giudicato, ma se, invece, essa presuppone ulteriori sviluppi, è ben possibile che un fattore esterno, del tutto indipendente dal giudicato, la modifichi.

Quando, allora, si predica l’irrilevanza delle sopravvenienze di diritto o di fatto posteriori al giudicato (a differenza di quelle intervenute nelle more della definizione dei giudizio), che non possono ormai più incidere sull’assetto degli interessi cui il giudicato medesimo ha posto capo, e si sottolinea come il decorso del tempo non possa andare a scapito della parte incolpevole, occorre aggiungere che, ogni qual volta, tuttavia, siano intervenute in seguito circostanze per le quali non risulti ormai più pos-sibile fare quel che alla data del ricorso per ottemperanza si sarebbe even-tualmente potuto fare, o viceversa, tali circostanze saranno comunque immancabilmente destinate a riflettersi anche sugli effetti e sulla concreta attuabilità del precedente giudicato. Anche o per questa ragione, il legi-slatore ha ampliato l’area del possibile risarcimento del danno (che può, all’occorrenza, assumere i connotati del danno da perdita di chance), ricol-legandolo all’ipotesi della violazione o dell’elusione del giudicato.

Ne consegue, ad esempio, che il giudicato amministrativo formatosi su un provvedimento con il quale l’amministrazione abbia proceduto al conferimento di un incarico pubblico ha l’effetto di imporre alla medesima amministrazione di provvedere al rinnovo della relativa procedura, volta al conferimento di quell’incarico, ma solo se e fino a quando l’incarico sia ancora conferibile e la procedura sia ancora espletabile. Venuta meno tale condizione, cessa non solo l’obbligo, ma la possibilità stessa per l’ammi-nistrazione di provvedere in tal senso, fermo l’eventuale diritto al risar-cimento per chi abbia visto indebitamente frustrate le proprie legittime aspirazioni.

La possibilità di dar corso a un procedimento concorsuale “ora per allora”, al solo ipotetico fine del riconoscimento di un determinato trattamento di quiescenza del candidato che risulti vincitore, sposta radi-calmente l’asse dell’azione amministrativa e della tutela giurisdizionale ad essa relativa, perché un procedimento siffatto non potrebbe in alcun modo condurre all’effettivo conferimento dell’incarico di cui in precedenza si era discusso e che aveva costituito la ragione prima dell’atto amministra-tivo annullato. Né le conseguenze del giudicato di annullamento in termini di ottemperanza – quando non si tratti soltanto di ricostruire la carriera di un pubblico dipendente facendo retroagire a determinati fini gli effetti di un atto che lo riguardi, bensì di ipotizzare il compimento ad opera del-l’amministrazione di attività che non hanno più rispondenza nello scopo di pubblico interesse che è loro proprio – possono spingersi fino a implicare la necessità di svolgere un concorso virtuale, ormai sganciato dalla finalità

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il processo AMMiNisTrATiVo36

proposizione dell’azione di

condanna

del conferimento dell’incarico pubblico ed ipoteticamente destinato solo ad assicurare al vincitore un miglior trattamento di quiescenza.

Ciò trasformerebbe l’oggetto medesimo del giudizio di ottemperanza, indirizzato così ad un accertamento destinato a riflettersi su un diverso rapporto (in ipotesi, quello previdenziale), e ne determinerebbe il sostan-ziale snaturamento, dovendo esso invece essere prioritariamente preordi-nato alla realizzazione della causa tipica del provvedimento amministrati-vo cui la pubblica amministrazione sia vincolata dal precedente giudicato – o tutt’al più al risarcimento del danno, previsto dell’art. 112, co. 4 e 5, D.Lgs. 104/2010 – e non ridursi allo scopo di porre le premesse perché il soggetto possa eventualmente conseguire le utilità economiche connesse ad un superiore (ma affatto virtuale, perché ormai non più effettivamente conseguibile) inquadramento in organico.

Pertanto, la sentenza con cui il Consiglio di Stato, pronunciando su un ricorso per l’ottemperanza a un giudicato avente ad oggetto l’annullamento del conferimento di pubbliche funzioni a seguito di una procedura concor-suale non più ripetibile, ordini alla competente amministrazione di provve-dere ugualmente a rinnovare il procedimento (“ora per allora”), al solo fine di determinare le condizioni per l’eventuale accertamento di diritti azionabili dal ricorrente in altra sede e nei confronti di altra amministrazione, eccede i limiti entro i quali è consentito al giudice amministrativo l’esercizio della speciale giurisdizione di ottemperanza ed è soggetto al sindacato della Cas-sazione in punto di giurisdizione (Cass. S.U. 9 novembre 2011, n. 23302).

7. la pregIudIzIale ammInIstratIva Ai sensi dell’art. 30 c.p.a., l’azione di condanna può essere proposta

contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma.

La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.

Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento, la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, fino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.

Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti sog-gettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo.

In questo quadro, l’elaborazione delle condizioni, processuali e sostan-ziali, che governano la tutela risarcitoria degli interessi legittimi è stata al centro di un vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale.

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lA giurisDizioNe AMMiNisTrATiVA 37

pregiudizialità della domanda di annullamento

rapporto tra la domanda di annullamento e l’azione di danno

È stato, in particolare, oggetto di approfondita analisi il tema della pregiudizialità della domanda di annullamento rispetto all’azione di dan-no.

A favore della tesi dell’autonomia delle due azioni si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite la quale, con le ordinanze nn. 13659 e 13660 del 13 giugno 2006, rese in sede di regolamento di giurisdizione, ha affermato che la domanda di risarcimento può essere proposta davanti al giudice amministrativo anche in difetto della previa domanda di annullamento dell’atto lesivo, per cui una declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria motivata solo in ragione della mancata previa impugnazione dell’atto, concretizza diniego della giurisdizione sindacabile da parte della Corte di cassazione ex art. 360, co. 1, n. 1 e 362 c.p.c..

Tale conclusione è stata ribadita dalle Sezioni Unite con le sentenze 23 dicembre 2008, n. 30254, 6 settembre 2010, n. 19048 e 11 gennaio 2011, n. 405. Quest’ultima pronuncia ha peraltro puntualizzato che il diniego di giurisdizione che consente il sindacato della Cassazione è riscontrabile nelle sole ipotesi in cui il Consiglio di Stato neghi la tutela risarcitoria per il solo fatto della mancata impugnazione del provvedimento amministra-tivo e non anche in quelle in cui il giudice amministrativo pervenga ad una pronuncia sfavorevole di merito in ragione della valutazione in ordine all’assenza, in concreto, dei presupposti sostanziali all’uopo necessari (nel caso di specie, il Consiglio di Stato non aveva ravvisato l’illegittimità della statuizione amministrativa produttiva del danno).

Con la decisione dell’adunanza plenaria 22 ottobre 2007, n. 12, il Con-siglio di Stato ha, invece, confermato il principio della pregiudizialità della domanda di annullamento rispetto alla tutela risarcitoria, già espresso dall’adunanza plenaria con la decisione n. 4/2003.

La decisione di rimessione ha riepilogato gli argomenti posti a sostegno del permanere della pregiudizialità sulla base dei seguenti punti, relativi:

– alla stessa struttura del processo amministrativo e alla tutela in esso erogabile, dove, in armonia con gli art. 103 e 113, co. 3, Cost., sia nella giu-risdizione di legittimità, che in quella esclusiva, viene in considerazione in via primaria la tutela demolitoria e solo in via consequenziale ed eventuale quella risarcitoria;

– alla c.d. presunzione di legittimità dell’atto amministrativo e della connessa efficacia ed esecutorietà, che si consolida in caso di omessa im-pugnazione o di annullamento d’ufficio (L. 15/2005);

– all’articolazione della tutela sopra ricordata che, in entrambi i casi, riguarda la stessa illegittimità del provvedimento, con la conseguenza che il danno ingiusto non può essere configurato a fronte di un’illegittimità del provvedimento che, per l’assolutezza della citata presunzione è, de iure, irreclamabile;

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il processo AMMiNisTrATiVo38

cancellazione della pregiudiziale

amministrativa

– all’assenza della condizione essenziale dell’ingiustizia del danno, im-pedita dalla persistenza di un provvedimento inoppugnabile (o inutilmente impugnato);

– alla concreta equivalenza del giudicato che, rilevando l’inesistenza dell’appena ricordata condizione, dichiari l’improponibilità della domanda con il giudicato che, pronunciandosi nel merito, dichiari infondata – e que-sta volta con pronuncia inequivocabilmente sottratta a verifica ex art. 362 c.p.c. – la domanda per difetto della denunciata illegittimità;

– ai limiti del potere regolatore della Corte di cassazione (Cass. S.U. 19 gennaio 2007, n. 1139; 4 gennaio 2007, n. 13) che, secondo il correlato avvertimento della Corte costituzionale (sent. 12 marzo 2007, n. 77), «con la sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, co. 8, Cost., vincolare il Consiglio di Stato e la Corte dei conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione». Ad analogo principio, prosegue la corte, «si ispira l’art. 386 c.p.c. applicabile anche ai ricorsi proposti a norma dell’art. 362, co. 1, c.p.c., disponendo che la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda»;

– alla correlata verifica degli eventuali limiti dell’indirizzo della Corte di cassazione secondo cui l’inoppugnabilità dell’atto amministrativo, sic-come relativa agli interessi legittimi, non impedirebbe in nessun caso al giudice ordinario di disapplicarlo.

Secondo tale approccio interpretativo, l’applicazione del principio della pregiudizialità processuale conduce alla soluzione dell’inammis-sibilità della domanda risarcitoria non accompagnata o preceduta dalla sperimentazione del rimedio impugnatorio entro il prescritto termine decadenziale di sessanta giorni dalla piena conoscenza del prov-vedimento illegittimo foriero dell’effetto lesivo.

Sui termini dei dibattito ha inciso, ovviamente, la disciplina dettata dal D.Lgs. 104/2010 (Codice del processo amministrativo).

Come sopra evidenziato, l’art. 30 ha infatti previsto, ai fini che qui rilevano, che l’azione di condanna al risarcimento del danno può essere proposta in via autonoma (comma 1) entro il termine di decadenza di cen-toventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo (comma 3, primo periodo).

La norma, da leggere in combinazione con il disposto dell’art. 7, co. 4 – il cui inciso finale prevede la possibilità che le domande risarcitorie aventi ad oggetto il danno da lesione di interessi legittimi e di altri diritti patrimoniali consequenziali siano introdotte in via autonoma – sancisce,

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Tutela di condanna e tutela dichiarativa

dunque, l’autonomia, sul versante processuale, della domanda di risarcimento rispetto al rimedio impugnatorio.

Detta autonomia è confermata, per un verso, dall’art. 34, co. 2, secondo periodo, che considera il giudizio risarcitorio quale eccezione al generale divieto, per il giudice amministrativo, di conoscere della legittimità di atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento; e, per altro verso, dal comma 3 dello stesso art. 34, che consente l’accer-tamento dell’illegittimità a fini meramente risarcitori quando la pronuncia costitutiva di annullamento non risulti più utile per il ricorrente.

Questo reticolo di norme consacra, in termini netti, la reciproca au-tonomia processuale tra i diversi sistemi di tutela, con l’affrancazione del modello risarcitorio dalla logica della necessaria «ancillarità» e «sussidia-rietà» rispetto al paradigma caducatorio.

Il riconoscimento dell’autonomia, in punto di rito, della tutela risarci-toria si inserisce – in attuazione dei principî costituzionali e comunitari in materia di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale richiamati dal-l’art. 1 del codice oltre che dei criteri di delega fissati dall’art. 44 L. 69/2009 – in un ordito normativo che, portando a compimento un lungo e costante processo evolutivo tracciato dal legislatore e dalla giurisprudenza, amplia le tecniche di tutela dell’interesse legittimo mediante l’introduzione del principio di pluralità delle azioni.

Nel Codice del processo amministrativo si sono infatti aggiunte, alla tutela di annullamento, la tutela di condanna (risarcitoria e reintegratoria ex art. 30), la tutela dichiarativa (cfr. l’azione di nullità del provvedimento amministrativo ex art. 31, co. 4) e, nel rito in materia di silenzio-inadempi-mento, l’azione di condanna pubblicistica (azione di esatto adempimento) all’adozione del provvedimento, anche previo accertamento, nei casi con-sentiti, della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio (art. 31).

Deve, inoltre, rilevarsi che il legislatore, sia pure in maniera non espli-cita, ha ritenuto esperibile, anche in presenza di un provvedimento espres-so di rigetto, e sempre che non vi osti la sussistenza di profili di discrezio-nalità amministrativa e tecnica, l’azione di condanna volta ad ottenere l’adozione dell’atto amministrativo richiesto. Ciò è desumibile dal combinato disposto dell’art. 30, comma 1, che fa riferimento all’azione di condanna senza una tipizzazione dei relativi contenuti (sull’atipicità di detta azione si sofferma la relazione governativa di accompagnamento al codice) e dell’art. 34, co. 1, lett. c), laddove si stabilisce che la sentenza di condanna deve prescrivere l’adozione di misure idonee a tutelare la situazione soggettiva dedotta in giudizio (cfr., già con riguardo al quadro normativo anteriore, Cons. Stato, VI, 15 aprile 2010, n. 2139; 9 febbraio 2009, n. 717).

In definitiva, il disegno codicistico, in coerenza con il criterio di delega fissato dall’art. 44, L. 69/2009, ha superato la tradizionale limitazione della

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il processo AMMiNisTrATiVo40

Nozione sostanziale dell’interesse

legittimo

tutela dell’interesse legittimo al solo modello impugnatorio, ammettendo l’esperibilità di azioni tese al conseguimento di pronunce dichiarative, co-stitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa.

Di qui la trasformazione del giudizio amministrativo, ove non vi si frapponga l’ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali riservate alla pubblica amministrazione, da giudizio amministrativo sull’atto, teso a vagliarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata.

Alla stregua di tale dilatazione delle tecniche di protezione, viene con-fermata e potenziata la dimensione sostanziale dell’interesse legittimo in una con la centralità che il bene della vita assume nella struttura di detta situazione soggettiva.

Come osservato dalle sezioni unite nella citata sentenza 500/1999, l’in-teresse legittimo non rileva come situazione meramente proces-suale, ossia quale titolo di legittimazione per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo, né si risolve in un mero interesse alla legittimità dell’azione amministrativa in sé intesa, ma si rivela una posizione sostan-ziale, correlata in modo inscindibile a un interesse materiale del titolare a un bene della vita, la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddi-sfazione a seconda che si tratti di interesse oppositivo o pretensivo) può concretizzare un pregiudizio.

L’interesse legittimo va, quindi, inteso come la posizione di vantag-gio riservata a un soggetto in relazione ad un bene della vita in-teressato dall’esercizio del potere pubblicistico, che si compendia nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione o la difesa dell’interesse al bene.

Anche nei riguardi della situazione di interesse legittimo, l’interesse effettivo che l’ordinamento intende proteggere è quindi sempre l’interesse a un bene della vita che l’ordinamento, sulla base di scelte costituzional-mente orientate confluite nel disegno codicistico, protegge con tecniche di tutela e forme di protezione non più limitate alla demolizione del provvedi-mento ma miranti, ove possibile, alla soddisfazione completa della pretesa sostanziale.

In questo quadro normativo, sensibile all’esigenza di una piena prote-zione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, risulta coerente che la domanda risarcitoria, ove si limiti alla richiesta di ristoro patrimoniale senza mirare alla cancellazione de-gli effetti prodotti del provvedimento, sia proponibile in via autonoma ri-spetto all’azione impugnatoria e non si atteggi più a semplice corollario

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omessa impugnazione quale condotta negligente

di detto ultimo rimedio secondo una logica gerarchica che il codice del processo ha con chiarezza superato.

Va peraltro osservato che il codice, pur negando la sussistenza di una pregiudizialità di rito, ha mostrato di apprezzare, sul versante sostanziale, la rilevanza dell’omessa impugnazione come fatto valutabile al fine di escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di tempe-stiva reazione processuale nei confronti del provvedimento potenzialmen-te dannoso.

L’art. 30, co. 3 c.p.a. dispone, infatti, al secondo periodo, che nel de-terminare il risarcimento «il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarci-mento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligen-za, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti».

La disposizione, pur non evocando in modo esplicito il disposto del-l’art. 1227, co. 2, c.c., afferma che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. E tanto in una logica che vede l’omessa impugnazione non più come preclusione di rito ma come fatto da conside-rare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile.

Operando una ricognizione dei principi civilistici in tema di causalità giuridica e di principio di autoresponsabilità, il codice del processo am-ministrativo sancisce la regola secondo cui la tenuta, da parte del dan-neggiato, di una condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzio-ne di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa (secondo il criterio del «più probabilmente che non»: Cass. S.U. 11 gennaio 2008, n. 577; 12 marzo 2010, n. 6045), recide, in tutto o in parte, il nesso causale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili.

Di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, del-l’omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utiliz-zazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolida-zione di effetti dannosi.

Va aggiunto che la latitudine del generale riferimento ai mezzi di tutela e al comportamento complessivo consente di soppesare l’ipotetica inci-

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il processo AMMiNisTrATiVo42

denza eziologica non solo della mancata impugnazione del provvedimento dannoso ma anche dell’omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, quali la via dei ricorsi amministrativi e l’assun-zione di atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dell’autotutela ammi-nistrativa (c.d. invito all’autotutela).

Va, del pari, apprezzata l’omissione di ogni altro comportamento esi-gibile in quanto non eccedente la soglia del sacrificio significativo soppor-tabile anche dalla vittima di una condotta illecita alla stregua del canone di buona fede di cui all’art. 1175 e del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost..

La rilevanza sostanziale delle condotte negligenti è confermata anche dall’art. 124 c.p.a. e dell’art. 243 bis del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006).

La prima disposizione sancisce, al comma 2, che «la condotta proces-suale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la do-manda di cui al 1° comma» (ossia la domanda di conseguire l’aggiudica-zione e il contratto) «o non si è resa disponibile a subentrare nel contratto è valutata dal giudice ai sensi dell’art. 1227 c.c.».

Inoltre, l’art. 243 bis del Codice dei contratti pubblici, nel disciplinare l’istituto dell’informativa in ordine all’intento di proporre ricorso giuri-sdizionale, stabilisce, al comma 5, che l’omissione della comunicazione di cui al comma 1, finalizzata alla stimolazione dell’autotutela, costituisce comportamento valutabile ai sensi dell’art. 1227 c.c..

Dall’esame coordinato delle richiamate disposizioni si evince che il legislatore, se da un lato non ha recepito il modello della pregiudizialità processuale della domanda di annullamento rispetto a quella risarcitoria, dall’altro ha mostrato di apprezzare la rilevanza causale dell’omessa impu-gnazione tempestiva che abbia consentito la consolidazione dell’atto e dei suoi effetti dannosi.

In tal modo il codice ha suggellato un punto di equilibrio capace di superare i contrasti ermeneutici registratisi in subiecta materia tra le due giurisdizioni e, in parte, anche in seno ad ognuna di esse. Il legislatore, in definitiva, ha mostrato di non condividere la tesi della pregiudizialità pura di stampo processuale al pari di quella della totale autonomia dei due rimedi, approdando ad una soluzione che, non considerando l’omessa impugnazione quale sbarramento di rito, aprioristico ed astratto, valuta detta condotta come fatto concreto da apprezzare, nel quadro del compor-tamento complessivo delle parti, per escludere il risarcimento dei danni evitabili per effetto del ricorso per l’annullamento.

E tanto sulla scorta di una soluzione che conduce al rigetto, e non alla declaratoria di inammissibilità, della domanda avente ad oggetto danni che l’impugnazione, se proposta nel termine di decadenza, avrebbe consentito di scongiurare.

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lA giurisDizioNe AMMiNisTrATiVA 43

giurisprudenza europea

I principî affermati dal D.Lgs. 104/2010 – quello dell’assenza di una stretta pregiudiziale processuale e quello dell’operatività di una connes-sione sostanziale di tipo causale tra rimedio impugnatorio e azione risarci-toria – erano ricavabili anche dal quadro normativo vigente prima dell’en-trata in vigore del Codice del processo amministrativo.

La mancanza di una pregiudizialità di stretto rito è desumibile dall’au-tonomia, sul piano dell’oggetto e dell’effetto, dell’iniziativa impugnatoria rispetto al rimedio risarcitorio, tale da escludere che una sentenza che condanni al risarcimento del danno cagionato dal provvedimento si risol-va nella caducazione degli effetti dell’atto e, quindi, in una inammissibile elusione del termine decadenziale, con frustrazione dell’esigenza di cer-tezza dei rapporti giuridici amministrativi perseguita dalla previsione di detto termine.

Si consideri poi, a conferma della diversità e della non automatica so-vrapponibilità delle regole di validità del provvedimento rispetto a quelle di liceità del fatto, che il danno non è di norma cagionato dal provvedimento in sé inteso ma da un fatto, ossia da un comportamento, in seno al quale rileva-no anche le condotte precedenti e successive all’atto. In caso di fatto illecito non viene allora in rilievo una mera illegittimità del provvedimento in sé ma un’illiceità della condotta complessiva riguardo alla quale assume rilievo centrale il giudizio sintetico-comparativo di valore sull’ingiustizia del danno nonché la valutazione della rimproverabilità soggettiva del contegno.

In definitiva, nell’ambito di un giudizio risarcitorio relativo alla liceità dell’agere amministrativo, l’omessa impugnazione del provvedimento non può essere adeguatamente affrontata in termini processuali come con-dizione di ammissibilità della domanda per via dell’estensione analogica di un termine decadenziale previsto per l’impugnazione, termine per sua natura eccezionale e, quindi, sottoposto al rispetto di un canone di stretta interpretazione. Di tanto è consapevole lo stesso legislatore che, proprio nell’assunto della non estensibilità del termine decadenziale che governa il rimedio impugnatorio ad una domanda che ha un diverso oggetto e mira a produrre un diverso effetto, ha previsto, per il futuro, un autonomo ter-mine decadenziale per l’actio damni proposta a tutela di interessi legittimi, pari a centoventi giorni, a fronte del temine di prescrizione quinquennale sancito, in via generale, per i fatti illeciti, dall’art. 2947 c.c..

La mancata operatività di una pregiudizialità processuale si coniuga con la giurisprudenza europea, che considera la domanda di annulla-mento e quella di risarcimento rimedi autonomi, pur se esclude la favorevole valutazione della domanda risarcitoria quando mascheri un’or-mai tardiva azione di annullamento, così come nega la risarcibilità dei dan-ni che sarebbero stati evitati con la tempestiva impugnazione (Corte giust. 28 aprile 1971, causa 4/69, Lutticke; 2 dicembre 1971, causa 5/71, Actien-

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il processo AMMiNisTrATiVo44

Tecniche di tutela dell’interesse

legittimo

Zuckerfabrik; 4 ottobre 1979, cause riunite 241, 242, 245-250/78, DGV-Deut-sche Getreideverwertung).

La soluzione adottata dal diritto comunitario, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, nel senso dell’autonomia pro-cessuale delle due tecniche di protezione, assume un rilievo pregnan-te nel nostro ordinamento alla luce dell’art. 1 c.p.a., che richiama espressamente i principi della Costituzione e del diritto europeo volti ad assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva.

La soluzione è suffragata anche dall’evoluzione della legislazione na-zionale – registratasi già prima dal codice del processo amministrativo e da questo armonicamente portata a compimento – in ordine alle tecniche di tutela dell’interesse legittimo e al sistema delle invalidità nel diritto am-ministrativo.

La tesi della necessaria subordinazione della tutela risarcitoria alla tutela di annullamento è, infatti, non in linea con la tendenza legislativa volta a superare il modello dell’esclusività della tutela impugnatoria con la conseguente ammissione di tecniche di tutela dell’interesse legittimo an-che dichiarative (art. 21 septies L. 241/1990 in materia di azione di nullità) e di condanna (art. 2, co. 8, L. 241/1990 e art. 21 bis L. 1034/1971 in tema di azione nei confronti del silenzio non significativo).

Si deve, in particolare, osservare, a conferma del superamento della centralità della tutela di annullamento ove siano percorribili altre e più appropriate forme di tutela, che l’art. 21 octies, co. 2, L. 241/1990, sta-bilisce che il provvedimento amministrativo non è suscettibile di annullamento ove sia affetto da vizi procedimentali o formali che non abbiano influito sul contenuto dispositivo dell’atto finale.

Sullo stesso solco si pone l’art. 34, co. 3, c.p.a., il quale stabilisce che «quando nel corso del giudizio l’annullamento del provvedimento non ri-sulti più utile per il ricorrente il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse a fini risarcitori».

La disposizione consente che un’azione costitutiva di annullamen-to, non più supportata dal necessario interesse, sia convertita in un’azione meramente dichiarativa di accertamento dell’illegittimità, da far valere in un (anche successivo) giudizio di risarcimento.

Si recepisce, in sostanza, l’indirizzo ermeneutico secondo cui, a fronte di una domanda di annullamento inidonea a soddisfare l’interesse in forma specifica, la pronuncia deve limitarsi a un accertamento dell’illegittimità, senza esito di annullamento, ai soli fini della tutela risarcitoria invocabi-le con riguardo agli eventuali danni patiti per effetto dell’esecuzione del provvedimento impugnato.

In definitiva, l’evoluzione del diritto amministrativo, già nel sistema normativo anteriore al codice del processo amministrativo, si è orientata in

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Art. 1223 c.c.

senso opposto alla praticabilità di una soluzione rigidamente processuale che imponga la proposizione del ricorso di annullamento quale condizione per accedere alla tutela risarcitoria anche quando la sentenza costitutiva non sia, o non sia più, necessaria ed utile per soddisfare l’interesse sostan-ziale al bene della vita.

La soluzione esposta si pone in linea di continuità con il più recente orientamento interpretativo del Consiglio di Stato (Cons. Stato, VI, 19 giugno 2008, n. 3059; 3 febbraio 2009, n. 578; 3 novembre 2010, n. 7766), che ha spostato l’indagine sul rapporto tra azione di danno e domanda di annullamento dal terreno processuale al piano sostanziale, pervenendo alla condivisibile conclusione che la mancata promozione della domanda impugnatoria non pone un problema di ammissibilità dell’actio damni ma è idonea ad incidere sulla fondatezza della domanda risarcitoria.

8. I rapportI tra le varIe forme dI tutela L’adunanza plenaria n. 3/2011 ha individuato un temperamento al-

l’autonomia processuale delle tutele, cogliendo la dipendenza sostan-ziale, come fatto da apprezzare in concreto, tra rimedio impugnatorio e azione risarcitoria.

In questo quadro, le esigenze di preservazione della stabilità dei rap-porti pubblicistici e di prevenzione di comportamenti opportunistici, per-seguite dalla giurisprudenza con l’affermazione del principio della, pos-sono allora essere soddisfatte con l’applicazione delle norme di cui agli art. 1223 ss. c.c. in materia di causalità giuridica.

Assume rilievo, in particolare, il più volte citato disposto dell’art. 1227, co. 2, c.c. – norma applicabile anche in materia aquiliana per effetto del rinvio operato dall’art. 2056 c.c. – che, dando seguito a un principio già affermato dalla dottrina francese ottocentesca, considera non risarcibili i danni evitabili con un comportamento diligente del danneggiato.

L’adunanza plenaria n. 3/2011 reputa che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, co. 3, c.p.a., sia ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva dell’art. 1227 c.c..

Come è noto, le regole di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 1227 c.c. disciplinano i due diversi segmenti del nesso causale in materia di illecito civile:

– il comma 1, in combinato disposto con l’art. 1218 c.c., nell’affrontare il primo stadio della causalità (c.d. causalità materiale), inerente al rap-porto tra condotta illecita (o inadempitiva) e danno-evento, valorizza il concorso di colpa del danneggiato come fattore che limita il risarcimento

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il processo AMMiNisTrATiVo46

Art. 1227 c.c.

del danno-causato in parte dallo stesso danneggiato o dalle persone di cui questi risponde.

– il comma 2, invece, operando sui criteri di determinazione del danno-conseguenza ex art. 1223 c.c., regola il secondo stadio della causalità (c.d. causalità giuridica), relativo al nesso tra danno-evento (o evento-inadem-pimento contrattuale) alle conseguenze dannose da esso derivanti.

In questo quadro, la norma introduce un giudizio basato sulla c.d. causalità ipotetica, in forza del quale non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subìto se avesse serbato il comportamento collaborativo cui è tenuto, secondo correttezza. Si vuole, a questa stregua, circoscrivere il danno derivante dall’inadempimento entro i limiti che rap-presentano una diretta conseguenza dell’altrui colpa.

Sul piano teleologico, la prescrizione, espressione del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali, mira a prevenire comporta-menti opportunistici che intendano trarre occasione di lucro da situazioni che hanno leso in modo marginale gli interessi dei destinatari tanto da non averli indotti ad attivarsi in modo adeguato onde prevenire o controllare l’evolversi degli eventi (cfr., per ulteriori applicazioni del principio di cau-salità ipotetica, art. 1221, co. 1, e 1805, co. 2, c.c.).

L’art. 1227 c.c. costituisce, allora, un’applicazione del più generale principio di esclusione della responsabilità ogni volta in cui si provi, in base ad un giudizio ipotetico più che strettamente causale, che il danno prodottosi non rappresenta una perdita patrimoniale per il credito-re o per il danneggiato in quanto l’avrebbe egualmente subita o perché avrebbe potuto evitarla.

La giurisprudenza e la dottrina hanno nel tempo dilatato, in sede in-terpretativa, la portata e i confini dell’impegno cooperativo gravante sul creditore vittima di un altrui comportamento illecito.

Risulta così superato il tradizionale indirizzo restrittivo secondo il qua-le il canone della «diligenza» di cui all’art. 1227, co. 2, c.c. imporrebbe il mero obbligo (negativo) del creditore di astenersi da comportamenti volti ad aggravare il danno, mentre esulerebbe dallo spettro degli sforzi esigibili la tenuta di condotte di tipo positivo sostanziantisi in un facere.

La giurisprudenza più recente, muovendo dal presupposto che la disposi-zione in parola non è formula meramente ricognitiva dei principî che governa-no la causalità giuridica consacrati dall’art. 1223 c.c. ma costituisce autonoma espressione di una regola precettiva che fonda doveri comportamentali del creditore imperniati sul canone dell’autoresponsabilità, ha, infatti, adottato un’interpretazione estensiva ed evolutiva del comma 2 dell’art. 1227, secondo cui il creditore è gravato non soltanto da un obbligo negativo (astenersi dal-l’aggravare il danno), ma anche da un obbligo positivo (tenere quelle condotte, anche positive, esigibili, utili e possibili, rivolte a evitare o ridurre il danno).

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impugnazione tempestiva

soglia dell’apprezzabile sacrificio

Tale orientamento si fonda su una lettura dell’art. 1227, co. 2, c.c., alla luce delle clausole generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e, soprattutto, del principio di solidarietà sociale sancito dall’art. 2 Cost. Detto approccio ermeneutico è, quindi, ispirato da una lettura della struttura del rapporto obbligatorio in forza della quale, anche nella fase patologica dell’inadempimento, il creditore, ancorché vittima dell’illecito, è tenuto ad una condotta positiva (c.d. controazione) tesa ad evitare o a ridurre il danno.

Un limite all’obbligazione cooperativa e mitigatrice del creditore e agli sforzi in capo allo stesso esigibili è, peraltro, rappresentato dalla soglia del c.d. apprezzabile sacrificio: il danneggiato è tenuto ad agire diligen-temente per evitare l’aggravarsi del danno, ma non fino al punto di sa-crificare i propri rilevanti interessi personali e patrimoniali, attraverso il compimento di attività complesse, impegnative e rischiose. L’obbligo di cooperazione gravante sul creditore, espressione del dovere di correttezza nei rapporti fra gli obbligati, non comprende, pertanto, l’esplicazione di at-tività straordinarie o gravose attività, ossia un facere non corrispondente all’id quod plerumque accidit (Cass. 5 maggio 2010, n. 10895).

Resta allora da vedere se, nel novero dei comportamenti esigibili dal destinatario di un provvedimento lesivo, rientri, ai sensi dell’art. 1227, co. 2, c.c., anche la formulazione, nel termine di decadenza, della domanda di annullamento, qualora l’utilizzazione tempestiva di siffatto rimedio sarebbe stata idonea, secondo il ricordato paradigma della causalità ipotetica basa-ta sul giudizio probabilistico, ad evitare, in tutto o in parte, il pregiudizio.

Secondo l’orientamento interpretativo tradizionalmente prevalente, il comportamento operoso richiesto al creditore non comprenderebbe l’esperimento di un’azione giudiziaria, sia essa di cognizione o esecutiva, trattandosi di attività per definizione complessa e aleatoria, come tale non esigibile in quanto esplicativa di una mera facoltà, dall’esito non certo.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 3/2011, ha tuttavia disatteso questa tesi.

In linea di principio, va osservato che il principio dell’insindacabili-tà delle scelte giudiziarie è interessato da un graduale superamen-to da parte della giurisprudenza, propensa a sanzionare le condotte pro-cessualmente scorrette con gli strumenti del divieto dell’abuso del diritto, della clausola di buona fede e dell’exceptio doli generalis.

Va ricordata, al riguardo, Cass. S.U. 15 novembre 2007, n. 23726, che ha affermato il principio secondo cui il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario integra una condotta contraria alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere indero-gabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo ostativo all’esame della domanda.

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Tale pronuncia afferma la vigenza, nel nostro sistema, di un generale divieto di abuso di ogni posizione soggettiva che, ai sensi dell’art. 2 Cost. e dell’art. 1175 c.c., permea le condotte sostanziali al pari dei comportamen-ti processuali di esercizio del diritto.

A questa stregua, la disarticolazione, da parte del creditore, dell’unità sostanziale del rapporto (sia pure nella fase patologica della coazione al-l’adempimento), oltre a violare il generale dovere di correttezza e buona fede, in quanto attuata nel processo e tramite il processo, si risolve anche in abuso dello stesso ed in una violazione del canone del giusto processo. Viene così in rilievo una condotta che, pur formalmente conforme al para-digma normativo, disattende il limite modale che impone al titolare di ogni situazione soggettiva di non azionarla con strumenti, sostanziali e proces-suali, che infliggano all’interlocutore un sacrificio non comparativamente giustificato dal perseguimento di un lecito e ragionevole interesse.

Il divieto di abuso del diritto si applica anche in chiave processuale: il creditore deve evitare di esercitare un’azione con modalità tali da implicare un aggravio della sfera del debitore, sì che il divieto di abuso del diritto diviene anche divieto di abuso del processo.

Si giunge, così, all’elaborazione della figura dell’abuso del processo quale esercizio improprio, sul piano funzionale e modale, del potere di-screzionale della parte di scegliere le più convenienti strategie di difesa (Cass. 3 maggio 2010, n. 10634, che applica il principio del divieto di abuso del processo ai fini della liquidazione delle spese giudiziali).

Ai fini che qui interessano, assume particolare rilievo la circostanza che il divieto di abuso riguarda, oltre che la fase fisiologica del rapporto, anche quella patologica: il creditore, cioè, deve cooperare col debitore non solo per agevolare l’adempimento, ma anche per non aggravare la sua po-sizione una volta che si è verificata la violazione dell’impegno obbligatorio. E tanto si ricava proprio dal 2° comma dell’art. 1227 c.c., il quale impone a colui che abbia subìto l’inadempimento (o il fatto illecito) di porre in essere in base a buona fede anche comportamenti attivi, entro i limiti del sacrificio non apprezzabile, per evitare l’aggravamento del danno.

In definitiva, il divieto di tenere condotte contrarie a buona fede ha un ancoraggio costituzionale nel dettato dell’art. 2 Cost., costituisce canone di valutazione anche delle condotte processuali e opera anche nella fase patologica del rapporto obbligatorio.

Ora, se si considera che l’obbligo di cooperazione di cui al comma 2 dell’art. 1227 c.c. ha fondamento proprio nel canone di buona fede ex art. 1175 c.c. e, quindi, nel principio costituzionale di solidarietà, si deve concludere che anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini dell’esclu-sione o della mitigazione del danno, laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica, che le condotte attive trascurate non

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avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmen-te inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno.

Si deve allora preferire al tradizionale indirizzo che esclude, per de-finizione, la sincadabilità delle condotte processuali ai sensi del cpv. del-l’art. 1227 c.c., un più duttile criterio interpretativo che, in coerenza con le clausole generali in materia di correttezza, buona fede e solidarietà di cui la norma in esame è espressione, consenta la valutazione della condotta complessiva, anche processuale, del creditore, con riguardo alle specifici-tà del caso concreto.

Applicando detto criterio interpretativo, si deve allora ritenere che la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo possa essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell’ipo-tesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno (in questo senso, Cons. Stato, VI, 24 settembre 2010, n. 7124; 22 ottobre 2008 , n. 5183; V, 31dicembre 2007, n. 6908).

Si deve, infatti, considerare che il ricorso per annullamento finalizzato a rimuovere la fonte del danno, pur non essendo più l’unica tutela esperi-bile, è il mezzo di cui l’ordinamento processuale dota i soggetti lesi da un provvedimento illegittimo proprio per evitare che quest’ultimo produca conseguenze dannose. Ne deriva che l’utilizzo del rimedio appropriato co-niato dal legislatore proprio al fine di raggiungere gli obiettivi della tutela specifica delle posizioni incise e della prevenzione del danno possibile, costituisce, in linea di principio, condotta esigibile alla luce del dovere di solidale cooperazione di cui alla norma civilistica in esame.

Nella specie assume un ruolo decisivo la considerazione, di tipo com-parativo, che la tecnica di tutela di annullamento non implica costi ed impegno superiori a quelli richiesti per la tecnica di tutela risar-citoria, ma anzi si presenta più semplice e meno aleatoria nella misura in cui richiede il solo riscontro della presenza di un vizio di legittimità invali-dante senza postulare la dimostrazione degli altri elementi necessari ai fini risarcitori, quali l’elemento soggettivo, il duplice nesso eziologico nonché l’esistenza e la consistenza del danno risarcibile in base ai parametri di cui agli artt. 1223 ss. c.c.

Si deve allora reputare che la scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica che, grazie anche alle misure cautelari previste dall’ordina-mento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile. Detta omissione, apprezzata congiunta-mente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportuni-stico che vìola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio

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di autoresponsabilità cristallizzato dall’art. 1227, co. 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile.

A diversa conclusione si deve invece pervenire laddove la decisione di non fare leva sullo strumento impugnatorio sia frutto di un’opzione di-screzionale ragionevole e non sindacabile in quanto l’interesse all’annulla-mento oggettivamente non esista, sia venuto meno e, in generale, non sia adeguatamente suscettibile di soddisfazione. Si consideri, a titolo esem-plificativo:

– l’ipotesi in cui il provvedimento sia stato immediatamente eseguito producendo una modificazione di fatto irreversibile;

– l’ipotesi in cui i tempi tecnici del processo non consentano, ragio-nevolmente, di praticare, in modo efficiente, il rimedio della tutela ripri-stinatoria;

– l’ipotesi in cui, per effetto di specifica previsione di legge, il mezzo dell’annullamento non possa soddisfare, in termini reali, l’aspirazione al conseguimento del bene della vita desiderato.

Dette evenienze, ostative al soddisfacimento in natura della posizione azionata, possono maturare nel corso del giudizio in guisa da produrre la concentrazione in itinere della domanda sul solo profilo del risarcimento sulla base della regola giurisprudenziale prima ricordata, oggi canonizzata dall’art. 34, co. 3, c.p.a.

La soluzione esposta, che riprende indicazioni già fornite dalla Cas-sazione nelle ordinanze delle Sezioni Unite 13-6-2006, nn. 13659 e 13660, si pone in linea con l’indirizzo sostenuto dalla prevalente giurisprudenza comunitaria che, come sottolineato, pur ammettendo la proponibilità della domanda risarcitoria in via autonoma rispetto al rimedio impugnatorio, considera nel merito infondata la pretesa al ristoro dei danni che sarebbe-ro stati evitati mediante la tempestiva impugnazione dell’atto lesivo.

Si sancisce in questo modo un coordinamento, non processuale ma so-stanziale, tra il rimedio caducatorio e quello risarcitorio. In questi termini, come è stato efficacemente notato in dottrina, si può parlare di un coordi-namento delle tutele più che di un coordinamento delle azioni.

Vanno, infine, analizzati i profili processuali e probatori che con-notano l’applicazione al processo amministrativo della regula iuris sottesa all’art. 1227 c.c.

L’Adunanza plenaria n. 3/2011 ha richiamato l’orientamento già espres-so dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, VI, 22 ottobre 2008, n. 5183) in merito alla necessità di adattare l’applicazione della regola civili-stica alle peculiarità del processo amministrativo imperniato sul metodo acquisitivo che permea l’operatività del principio dispositivo (Cons. Stato, IV, 11 febbraio 2011, n. 924; v. oggi l’art. 63, co. 2, c.p.a.).

Si deve poi tenere conto della specificità del tema probatorio in esame, il quale investe in buona misura questioni di diritto – quelle relative all’indi-

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viduazione degli strumenti giuridici di tutela praticabili, al plausibile esito del ricorso per annullamento ed agli sbocchi degli ulteriori mezzi di tutela anche stragiudiziali – che soggiacciono al principio iura novit curia.

Si deve allora ritenere che, sulla base di principî già desumibili dal qua-dro normativo precedente ed oggi recepiti dall’art. 30, co. 3, c.p.a., il giudice amministrativo sia chiamato a valutare, senza necessità di eccezione di parte e acquisendo anche d’ufficio gli elementi di prova all’uopo necessari, se il presumibile esito del ricorso di annullamento e dell’utilizzazione degli altri strumenti di tutela avrebbe, secondo un giudizio di causalità ipotetica basato su una logica probabilistica che apprezzi il comportamento globale del ricorrente, evitando in tutto o in parte il danno.

Un rilievo significativo è destinato ad assumere l’utilizzo del mezzo di prova delle presunzioni ex artt. 2727 ss. c.c., che consente di valutare se l’apprezzamento dell’illegittimità dell’atto operato in sede risarcitoria avrebbe portato anche all’annullamento dello stesso – dato, questo, in li-nea generale presumibile, vista l’identità dell’oggetto delle valutazioni – in modo da impedire, alla luce anche delle misure provvisorie adottabili in corso di giudizio o ante causam, di mitigare o ridurre il danno.

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il processo AMMiNisTrATiVo52

MemoNote processuali

Ai sensi dell’art. 133 c.p.a., sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge, le controversie in materia di:

1) risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inos-servanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento am-ministrativo;

2) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o so-stitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche ammini-strazioni;

3) silenzio di cui all’art. 31, co. 1, 2 e 3, e provvedimenti espressi adottati in sede di verifica di segnalazione certificata, denuncia e dichiarazione di inizio attività, di cui all’art. 19, co. 6 ter, L. 241/1990;

4) determinazione e corresponsione dell’indennizzo dovuto in caso di revoca del provvedimento amministrativo;

5) nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elu-sione del giudicato;

6) diritto di accesso ai documenti amministrativi;7) applicazione dell’art. 20 L. 241/1990;8) atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici,

ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corri-spettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche;

9) pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedi-menti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affida-mento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazio-ni e ai servizi di pubblica utilità;

10) uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e con i gestori di pubblici servizi statali;

11) affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti co-munque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pub-blica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie

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e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative;

12) divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento ap-plicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi;

13) atti e provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia ur-banistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio, ferme restando le giurisdizioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa;

14) atti, provvedimenti, accordi e comportamenti riconducibili, anche me-diatamente, all’esercizio di un pubblico potere in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa;

15) decreti di espropriazione per causa di pubblica utilità delle invenzioni industriali;

16) rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico;17) provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti

ai rapporti di impiego privatizzati, adottati dalla Banca d’Italia, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dalla Commissione vigilanza fondi pensione, dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità della pubblica amministrazione, dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private;

18) provvedimenti in materia di comunicazioni elettroniche, compresi quel-li relativi all’imposizione di servitù, nonché i giudizi riguardanti l’assegnazione di diritti d’uso delle frequenze, la gara e le altre procedure di cui ai commi da 8-13 dell’art. 1 L. 220/2010;

19) sanzioni amministrative e provvedimenti adottati dall’organismo di regolazione competente in materia di infrastrutture ferroviarie;

20) produzione di energia, rigassificatori, gasdotti di importazione, centrali termoelettriche e infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti;

21) ordinanze e provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, co. 1, L. 225/1992, nonchè atti, provvedimenti e ordinanze emanati ai sensi dell’art. 5, co. 2 e 4, della mede-sima legge e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di

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il processo AMMiNisTrATiVo54

gestione del ciclo dei rifiuti;22) provvedimenti, anche contingibili ed urgenti, emanati dal Sindaco in

materia di ordine e sicurezza pubblica, di incolumità pubblica e di sicurezza urbana, di edilità e di polizia locale, d’igiene pubblica e dell’abitato;

23) provvedimenti relativi alla disciplina o al divieto dell’esercizio di indu-strie insalubri o pericolose;

24) atti e provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni in materia di danno all’ambiente, nonché avverso il silenzio inadempimento del Mini-stro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale, nonché le ordinanze ministeriali di ripristino ambientale e di risarcimento del danno ambientale;

25) applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari;

26) provvedimenti in materia di passaporti;27) interpretazione dei contratti aventi per oggetto i titoli di Stato o le leggi

relative ad essi o comunque sul debito pubblico;28) atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni spor-

tive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo;29) provvedimenti adottati dall’Agenzia nazionale di regolamentazione del

settore postale;30) provvedimenti dell’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza

in materia di acqua;31) provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 3, co. 2, D.Lgs.

149/2011;attività di rilevanza strategica nei settori della difesa e della sicurezza

nazionale e nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni.

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lA giurisDizioNe AMMiNisTrATiVA 55

FORMuLA

1) RicoRso al T.a.R. peR eccesso di poTeRe

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE . . .

RICORSODel sig. . . . residente a . . . via . . ., n. . . ., codice fiscale n. . . ., rap-

presentato e difeso come da mandato in calce al presente ricorso dall’av-vocato... con studio legale in . . . via . . . presso il quale elegge il proprio domicilio, che dichiara di voler ricevere le comunicazioni al numero di fax . . . o all’indirizzo di posta elettronica certificata . . ., ex art. 136, D.Lgs. 104/2010

CONTROl’amministrazione in persona del suo legale rappresentante pro tem-

pore per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale di . . . di assegnazione di aree Peep per i seguenti motivi

FATTOPremesso che il Consiglio Comunale con delibera procedeva ad as-

segnare un’area nel piano di zona alla cooperativa ai sensi dell’art. 35 della L. n. 865/1971;

– che il ricorrente procedeva ad impugnare la assegnazione con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica;

– che in accoglimento di detto ricorso la delibera veniva annullata con decisione . . .;

– che il Consiglio Comunale ha adottato delibera successiva in cui ha assegnato l’area de qua alla cooperativa nella stessa identica situazione precedente stante i vizi allora denunciati dal ricorrente.

DIRITTOLa delibera è illegittima per eccesso di potere per violazione del giu-

dicato.La delibera del Comune esercita il potere discrezionale dell’amministra-

zione per porre nel nulla l’assetto di interessi che discende dal giudicato cui la pubblica amministrazione deve attenersi. Il provvedimento dell’ammini-strazione deve essere obbligatoriamente reiterato sulla base di una nuova e diversa valutazione (Tar Emilia Romagna-Bologna 27-4-2005, n. 668).

La mancata valutazione degli interessi che sorreggono la nuova deli-bera costituisce un vero e proprio espediente per vanificare la decisione di accoglimento del ricorso.

Il difetto di motivazione in rapporto a una situazione che comporta un iter logico giuridico definito accoglimento del ricorso ovvero l’indica-

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il processo AMMiNisTrATiVo56

zione dei motivi che vi ostano realizza pienamente il vizio di eccesso di potere.

P. Q.M.si chiede l’annullamento della delibera.Si produce:1) delibera comunale di assegnazione;2) informativa al cliente; 3) . . .Con liquidazione dei compensi.Ai sensi dell’art. 13 D.P.R. 115/2002 si dichiara che il contributo do-

vuto è di euro . . .

…, lì . . .

Avv. . . .

Io sottoscritto . . . nato a . . . il . . . delego a rappresentarmi e difender-mi nel presente giudizio, con tutti i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. l’avvocato presso il cui studio eleggo domicilio.

Lì, . . .

Il ricorrente . . .Per autentica

Avv. . . .

RELAZIONE DI NOTIFICA

A richiesta del signor . . . io sottoscritto ufficiale giudiziario addetto al Tribunale di . . . certifico di aver notificato il suesteso atto al signor sindaco del comune di . . . e al Presidente della cooperativa assegnataria (controinteressato).