Capitolo 6 – Teorie e modelli di crescita...

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Capitolo 6 – Teorie e modelli di crescita economica E’ opportuno fare precedere questa lezione e quelle che seguiranno da tre considerazioni. 1. Qui affronteremo dei modelli teorici che si riferiscono soprattutto al tentativo di spiegare la crescita economica, più che lo sviluppo . Questa riguarda in particolare i paesi ricchi, ma le teorie della crescita sono tuttora ampiamente utilizzate nell’analisi delle economie in via di sviluppo. In sostanza si ritiene che le cause che spiegano la crescita economica, il suo rallentamento o la sua accelerazione siano fondamentalmente simili per tutti i paesi, indipendentemente dal loro livelle di reddito pro capite. 2. In questa lezione analizzeremo dei modelli teorici, quindi delle astrazioni dalle condizioni concrete di determinati paesi, anche di quelli ricchi. Ciò può apparire complicato ma in realtà la teoria deve necessariamente semplificare realtà complesse e spesso differenti cercando gli elementi che più facilmente possono accomunare queste economie. Ad esempio la bassa crescita dell’Inghilterra nel dopoguerra potrebbe essere spiegata da fenomeni simili a quelli che spiegano la mancata crescita dell’Africa o il rallentamento della crescita in America Latina. Ovviamente questi modelli di crescita sono assai numerosi; qui presenteremo solo quelli più noti e che hanno avuto e ancora hanno una rilevanza per le politiche economiche spesso adottate per favorire la crescita economica. Infine con questa lezione si possono incontrare alcune difficoltà legate al fatto che i modelli che esamineremo sono spesso caratterizzati da un certo grado di formalizzazione matematica e a volte da una certa complessità di ragionamento. Questa in realtà non è molto elevata se il lettore ha un certa consuetudine con la stessa, ma possiamo supporre che non sia così per tutti i nostri studenti; d’altra parte vi è un problema di rigore formale a cui non è utile rinunciare. Come già sottolineato, questi modelli sono spesso alla base di politiche più o meno ortodosse di stabilizzazione economica, suggerite ai PVS da alcune organizzazioni Internazionali, e vanno perciò presentate e studiate con attenzione. In questo capitolo presenteremo tre principali teorie della crescita; due di origine keynesiana, quella di Harrod e Domar e di Kaldor e Pasinetti, e una di tipo neoclassico, quella di Solow. Questi modelli sono stati originariamente introdotti per spiegare i fenomeno di crescita nei paesi avanzati. Verrà inoltre presentato il modello di Lewis, che ha la caratteristica di individuare due settori all’interno dell’economia e che è stato pensato per paesi in via di sviluppo. 6.1. Harrod e i neo-keynesiani Harrod (1939) (Domar 1946) Crescita economica, saggio di risparmio e efficiente uso del capitale Harrod, un economista di Oxford, propone il suo modello nel 1939 in piena epoca keynesiana, successivamente alla grande depressione del 1929-32 e si preoccupa quindi di spiegare perché le economie crescano di più o di meno, e soprattutto come mai vi possano essere gravi fenomeni di instabilità economica introduce. Vengono messi in luce i legami fra crescita ed investimenti sia nel breve che nel lungo periodo; gli investimenti sono la grandezza chiave per la comprensione dell’andamento dell’economia. Il contesto è quello keynesiano ovvero l'economia è solitamente in uno stato di disequilibrio, spesso caratterizzato da disoccupazione , il che genera insoddisfazione. Questa condizione spinge gli agenti a ricercare lo sviluppo economico: se tutti fossero soddisfatti nessuno interverrebbe per cambiare le cose; è l'insoddisfazione che porta al mutamento.

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Capitolo 6 – Teorie e modelli di crescita economica E’ opportuno fare precedere questa lezione e quelle che seguiranno da tre considerazioni. 1. Qui affronteremo dei modelli teorici che si riferiscono soprattutto al tentativo di spiegare

la crescita economica, più che lo sviluppo. Questa riguarda in particolare i paesi ricchi, ma le teorie della crescita sono tuttora ampiamente utilizzate nell’analisi delle economie in via di sviluppo. In sostanza si ritiene che le cause che spiegano la crescita economica, il suo rallentamento o la sua accelerazione siano fondamentalmente simili per tutti i paesi, indipendentemente dal loro livelle di reddito pro capite.

2. In questa lezione analizzeremo dei modelli teorici, quindi delle astrazioni dalle condizioni concrete di determinati paesi, anche di quelli ricchi. Ciò può apparire complicato ma in realtà la teoria deve necessariamente semplificare realtà complesse e spesso differenti cercando gli elementi che più facilmente possono accomunare queste economie. Ad esempio la bassa crescita dell’Inghilterra nel dopoguerra potrebbe essere spiegata da fenomeni simili a quelli che spiegano la mancata crescita dell’Africa o il rallentamento della crescita in America Latina. Ovviamente questi modelli di crescita sono assai numerosi; qui presenteremo solo quelli più noti e che hanno avuto e ancora hanno una rilevanza per le politiche economiche spesso adottate per favorire la crescita economica.

Infine con questa lezione si possono incontrare alcune difficoltà legate al fatto che i modelli che esamineremo sono spesso caratterizzati da un certo grado di formalizzazione matematica e a volte da una certa complessità di ragionamento. Questa in realtà non è molto elevata se il lettore ha un certa consuetudine con la stessa, ma possiamo supporre che non sia così per tutti i nostri studenti; d’altra parte vi è un problema di rigore formale a cui non è utile rinunciare. Come già sottolineato, questi modelli sono spesso alla base di politiche più o meno ortodosse di stabilizzazione economica, suggerite ai PVS da alcune organizzazioni Internazionali, e vanno perciò presentate e studiate con attenzione. In questo capitolo presenteremo tre principali teorie della crescita; due di origine keynesiana, quella di Harrod e Domar e di Kaldor e Pasinetti, e una di tipo neoclassico, quella di Solow. Questi modelli sono stati originariamente introdotti per spiegare i fenomeno di crescita nei paesi avanzati. Verrà inoltre presentato il modello di Lewis, che ha la caratteristica di individuare due settori all’interno dell’economia e che è stato pensato per paesi in via di sviluppo. 6.1. Harrod e i neo-keynesiani Harrod (1939) (Domar 1946) Crescita economica, saggio di risparmio e efficiente uso del capitale

Harrod, un economista di Oxford, propone il suo modello nel 1939 in piena epoca keynesiana, successivamente alla grande depressione del 1929-32 e si preoccupa quindi di spiegare perché le economie crescano di più o di meno, e soprattutto come mai vi possano essere gravi fenomeni di instabilità economica introduce. Vengono messi in luce i legami fra crescita ed investimenti sia nel breve che nel lungo periodo; gli investimenti sono la grandezza chiave per la comprensione dell’andamento dell’economia.

Il contesto è quello keynesiano ovvero l'economia è solitamente in uno stato di disequilibrio, spesso caratterizzato da disoccupazione, il che genera insoddisfazione. Questa condizione spinge gli agenti a ricercare lo sviluppo economico: se tutti fossero soddisfatti nessuno interverrebbe per cambiare le cose; è l'insoddisfazione che porta al mutamento.

Keynes infatti aveva già evidenziato le difficoltà di avere un livello di investimenti sufficiente a generare una domanda effettiva pari alla capacità produttiva esistente (analisi di Breve Periodo).

Gli interventi considerati da Keynes sono relativi agli investimenti in quanto questi sono la parte dinamica e quindi più importante della domanda aggregata, e quindi della spesa, in un sistema economico. Se si trascurano gli scambi con l’estero (siamo in economia chiusa) e il ruolo dello stato, la spesa complessiva è data dalla somma di consumi ed investimenti

C+I

ed è questa a determinare quanto verrà prodotto e quindi il reddito Y. Vale quindi la condizione

C+I=Y .

Ma spesso gli invstimenti sono insufficienti a creare occupazione, mentre è necessario che questi ultimi siano tali da impiegare tutti i risparmi in modo da far raggiungere al sistema l’equilibrio. Avremo dunque la seguente condizione:

I=S

Tuttavia gli investimenti sono determinati dalle aspettative degli imprenditori, in quanto costoro devono investire oggi pensando a quale sarà la domanda aggregata futura che consentirà loro di vendere con successo tutta la produzione ottenuta con il nuovo capitale (cioè gli I)

La crescita economica,a sua volta, dipende dal processo di accumulazione di capitale, cioè dall’investimento ed è quindi anch’essa regolata dalle aspettative degli imprenditori. Per questo motivo il processo è considerato instabile. Si originano quindi i noti cicli economici.

Harrod vuole appunto dimostrare come le stesse forze che determinano la crescita rendano a loro volta il sistema instabile e si interroga sulla difficoltà di autoregolazione del sistema economico.

Analiticamente si considera una funzione di produzione del tipo Y = F(K,L) ove Y è l'output ovvero la produzione, K è il capitale impiegato ed L è il lavoro.(Per

ora non ci preoccupiamo dei problemi legati alla misurazione di K). Si suppone che: - non ci sia piena occupazione del lavoro e quindi c’è lavoro in abbondanza; di conseguenza

la quantità di output dipende dalla quantità di K disponibile; - non sia possibile sostituire il lavoro (L) con il capitale (K) o viceversa, ovvero la

tecnologia sarà a coefficienti fissi perché nella produzione capitale e lavoro si combinano in proporzioni fisse.

Siano poi:

• gY

Y

Y

YY

t

tt =∆=−+ 1 Il saggio di crescita è quindi definito come variazione nel tempo

del reddito.

• I = ∆K L’investimento è uguale alla variazione del capitale nel tempo, fra un determinato periodo e il successivo. Il simbolo ∆ indica l’incremento di una grandezza.

• sV

S = Il saggio di risparmio o propensione marginale al risparmio, supposto

costante

• vV

K = Il rapporto capitale-prodotto, che nel modello viene supposto costante

rappresenta un indice della tecnologia, in quanto indica la quantità di capitale necessaria per ottenere un aumento della produzione. Questo indice viene dato

esogenamente. Di conseguenza v

1 indicherà le unità di output ottenute per unità di

capitale impiegato. E’ quindi una misura della produttività del capitale.

Infine spesso si suppone che Y

Kv

Y

K

∆∆==

Questo è il cosiddetto ICOR, Incremental Capital Output Ratio , che indica di quanto va aumentato lo stock di capitale per aumentare la produzione di un’unità. La condizione di equilibrio del sistema economico sarà data dall'uguaglianza tra risparmi ed investimenti (in questo caso le aspettative saranno sempre corrette), ovvero

S=I (1)

L’aumento di output dipende dall’aumento di capitale, cioè dall’aumento della capacità produttiva, quindi possiamo scrivere:

v

KY

∆=∆ dato che Y

Kv

∆∆=

o anche YvK ∆=∆

da cui YvI ∆= e per la (1) e ricordando la definizione di S si avrà

YvsY ∆=

v

s

Y

Y =∆ quindi

v

sgw = (2)

dove gw rappresenta il "tasso di crescita garantito", ovvero quel saggio di crescita che fa in modo che i risparmi siano tutti investiti e che la domanda di beni e servizi del sistema sia uguale alla capacità produttiva programmata dagli imprenditori. In ogni periodo il sistema cresce "in equilibrio" ad un tasso gw che deve necessariamente essere costante, dato che sia s che v sono considerati costanti. Questa ipotesi, d’altra parte, è abbastanza realistica dato che sia s che v sono grandezze che nella realtà non hanno un campo di variazione esteso e possono quindi essere considerate relativamente costanti.

Quindi, secondo Harrod, in corrispondenza di gw esiste un solo livello d'investimenti che garantisca l'equilibrio sul mercato dei beni. Vediamo un esempio numerico:

v = 4

Y

Ss = =0.2 (risparmio il 20% di Y)

g = 0.05 (5%) K* è lo stock di capitale obiettivo K è lo stock di capitale effettivo Supponiamo che il mio reddito al tempo 0 sia 1000. Decido quanto investire in base alle mie aspettative sulla domanda futura: maggiori investimenti si aggiungono allo stock di capitale K esistente per produrre di più in futuro. Prevedendo la domanda futura attesa, prevedo la variazione di Y; dato un certo v so di quanto devo aumentare il mio capitale (poiché ∆Y = ∆K/v). Per aumentare gli investimenti occorre risparmiare: in equilibrio avrò S = I (le mie aspettative saranno sempre corrette e la domanda futura attesa sarà pari a quella che effettivamente si realizzerà) )(L’esempio numerico è tratto da Cozzi Zamagni, Economia Politica, il Mulino 1989). Y K* I = S = 0.2Y K

t0 1000 4000 200 t1 1050 4200 210 4200 t2 1102.5 4410 … 4410

Poiché il risparmio è pari a 200, ho un incremento di investimento di 200. Quindi il capitale effettivo K nel periodo successivo sarà pari a 4200. Con tale stock di capitale produrrò 1050 (poiché ∆Y = ∆K/v). Se nel periodo futuro dovrò produrre 1050, il capitale obiettivo sarà proprio 4200. Dal lato dell’offerta il ciclo sarà Yt => St =>Kt+1; dal lato della domanda avremo ∆I => ∆Y => ∆K. E così via negli ulteriori periodi futuri. In sintesi, secondo la formula di Harrod il tasso di crescita del PIL è tanto più alto: - quanto più è elevato è il saggio di risparmio, s; - quanto più elevata è la produttività del capitale, cioè v è basso. Abbiamo quindi alcune indicazioni di politica economica: - incentivare il risparmio - accedere a tecniche più efficienti L’instabilità

Non è detto che gli imprenditori con i loro investimenti mantengano l'economia sul sentiero di crescita individuato da gw in quanto essi non conoscono, ex-ante, la domanda aggregata futura ( ricordiamo il ruolo delle aspettative);ovvero, la domanda prevista non sarà necessariamente uguale a quella che si verificherà effettivamente, ossia potrebbe essere che:

Yt+1*≠Yt+1

Viene ora introdotta nel modello una variabile incognita. Per vedere quindi il

problema del mantenimento della crescita si analizzeranno i casi in cui l'uguaglianza tra Yt+1* e Yt+1, non si verifica.

L'essenza della teoria dinamica sta nell'instabilità della crescita che deriva dal fatto che gli investimenti desiderati, It+1*: questi possono essere uguali solo per caso a quelli che sarebbero effettivamente richiesti (e quindi giustificati), It+1, se si conoscesse la domanda futura reale, Yt+1. L’incertezza che caratterizza le decisioni degli imprenditori fa sì che se I≠S allora si hanno processi cumulativi di squilibrio (g≠ gw) ed il sistema si allontana sempre di più dal sentiero di crescita di equilibrio garantito. In particolare l'analisi di Harrod si basa su due proposizioni:

1) se gli investimenti desiderati e realizzati sono diversi da quelli giustificati tutte le relazioni saranno caratterizzate da disuguaglianze: i tassi di crescita g ≠ gw saranno caratterizzati da I ≠ S; Yt+1*≠ Yt+1;

2) il comportamento degli imprenditori fa sì che se I ≠ S allora si hanno processi cumulativi di squilibrio (g ≠ gw) ed il sistema si allontana sempre di più dal sentiero di equilibrio garantito.

La condizioni che determinano l'equilibrio sul mercato dei beni sono molto rigide in contrapposizione all'indeterminatezza delle decisioni d'investimento. L'equilibrio dinamico gw non è stabile, ovvero lo sviluppo in equilibrio è come una ‘lama di coltello’: una volta fuori dall'equilibrio si tende ad allontanarsi, e non ci si ritorna se non per puro caso. Lo stato normale dell’economia è quindi uno stato di disequilibrio. Tale modello di equilibrio non riesce a spiegare endogenamente il ciclo economico. Consideriamo nuovamente l’esempio numerico precedente. Supponiamo di investire ex-ante 20 (anziché la quantità di equilibrio pari a 10): I > S. Se al tempo t1 gli investimenti sono superiori al 210 cosa succede a Y? Y K* I = S = 0.2Y K

t0 1000 4000 200 t1 1100 4400 220 4200 t2

Poiché il ciclo dal lato della domanda è ∆I => ∆Y => ∆K, vediamo che l’aumento di 10 unità degli investimenti porta, attraverso il meccanismo del moltiplicatore ad una crescita eccessiva di Y (ho una domanda che non riesco a soddisfare) ed un conseguente stock di capitale desiderato K* = 4400 > K = 4200. Per cercare di chiudere questo divario l’unico modo è aumentare la capacità produttiva investendo ancora di più; ma ciò comporta un ulteriore gap fra K effettivo e K desiderato. Si esce dal sentiero di crescita di equilibrio e si ha una fase inflazionistica del ciclo (perché c’è un deficit di capacità produttiva) che non tende a correggersi, ma anzi si autoalimenta. Se invece è I < S avremo: Y K* I = S = 0.2Y K

t0 1000 4000 200 t1 1025 4100 205 4200 t2

Poiché non c’è sufficiente domanda effettiva, si investe di meno: si ha una fase di depressione.

Inoltre, in questo modello l'unica forma di progresso tecnico compatibile con il

mantenimento dell'equilibrio, sarebbe quello ad un saggio costante perché ogni variazione provocherebbe un disequilibrio piuttosto che la tendenza verso gw. Questo sistema, in pratica, cresce "in dimensione" ma non si sviluppa.

E’ importante sottolineare che l’instabilità di cui si parla deve essere intesa come instabilità economica che dipende dalle difficoltà di coordinare le decisioni individuali delle imprese sugli investimenti, con gli effetti aggregati che queste decisioni comportano.

Il contributo di Domar. L’approccio di Harrod come quello di Keynes sembra concentrarsi soprattutto sugli

squilibri fra I ed S nel breve periodo, quando cioè la dotazione di capitale non varia in modo significativo, diciamo fra un ciclo produttivo e il successivo.

Nel 1946 Domar, esamina gli effetti dell’investimento sulla crescita, passando dall’analisi del breve periodo (BP) a quella del lungo periodo (LP). Domar giunge alle stesse conclusioni di Harrod partendo però da ipotesi di comportamento che Harrod non aveva fatto e dalla distinzione tra le condizioni di equilibrio. Vengono infatti introdotte funzioni di risparmio e di investimento considerando che gli investimenti hanno un duplice effetto sul sistema economico: determinare il livello della domanda che occupa la capacità produttiva esistente (Y) e incrementare la capacità produttiva (P). In particolare i due effetti saranno:

1. Effetto moltiplicatore Yt+1 -Yt = s

1(It+1 - It)

2. Incremento di capacità produttiva Pt+1 - Pt = v

1It

Il primo effetto, quello del moltiplicatore, indica cioè che la variazione dell’attività produttiva (Yt+1-Yt) è determinata dalla variazione degli investimenti (It+1-It), data la propensione al risparmio (s). La seconda relazione, invece, indica la variazione nel tempo della capacità produttiva, cioè l’accumulazione. Il problema di Domar diventa quindi quello di verificare non solo che esista un sentiero temporale degli investimenti, ma che questo sia in grado di mantenere costantemente la piena occupazione della capacità produttiva. Sia Yt+1 -Yt = Pt+1 - Pt la condizione di equilibrio

quindi si avrà v

s

I

II

t

tt =−+ 1

Si ottiene così il tasso di crescita di equilibrio con riferimento agli investimenti. La condizione indica cioè qual è il tasso di crescita del prodotto e quello del capitale che occorre per avere costantemente (nel lungo periodo) l’uguaglianza fra domanda effettiva e capacità produttiva. Questo risultato coincide con quello di Harrod anche se la definizione di equilibrio di Domar appare più rigorosa. Nello stesso tempo però Domar non approfondisce l'instabilità in senso harrodiano e per lui lo squilibrio deriva dalla differenza tra reddito effettivo e capacità produttiva.

Importante E’ opinione largamente condivisa fra gli studiosi dello sviluppo e nelle istituzioni internazionali che un elevato saggio di risparmio, quindi un alto valore di s, sia una condizione necessaria per avere una buona crescita economica. Questo si riflette anche nelle politiche che vengono suggerite e anche nei cosiddetti Programmi di Aggiustamento Strutturale del Fondo Monetario Internazionale. Il tasso naturale di crescita

Il saggio di sviluppo garantito e quello effettivo si concentrano sulla relazione fra capitale, K, e reddito, Y, non considerano invece l'occupazione, in quanto questa non sembra essere una variabile che influisce sulle decisioni d'investimento. Ma la crescita della popolazione può anche limitare la crescita economica del sistema, ed è per questo motivo che si introduce il concetto di tasso naturale di crescita: si riferisce alla crescita possibile dato l'aumento della popolazione e del progresso tecnico, essendo quest’ultimo descritto dalla variazione, π, della produttività del lavoro, p, intesa come

rapporto fra reddito e occupati, L

Y (p =

L

Y).

In dettaglio, possiamo scrivere la funzione di produzione di lungo periodo come segue:

Y0 = poNo (3) ove N è il numero di lavoratori e p produttività del lavoro al tempo 0. Se produttività e occupazione aumentano fra il tempo 0 e il tempo 1, passando rispettivamente a N1= N0+∆N e p1= p0+∆p il reddito sarà:

Y1 = N1 p1 =(p0+∆p)(N0+∆N) (4) Sottraendo la (3) dalla (4) e poi dividendo per i rispettivi valori al tempo 0, si può vedere che il tasso di crescita può essere approssimato dalla seguente espressione:

000

01

N

N

p

p

Y

YY ∆+∆

=− cioè:

Gn = π+n

dove Gn è il tasso naturale di crescita, n è il tasso di crescita della popolazione (se cambia il tasso di occupazione, cioè se varia la popolazione attiva, avremo un n diverso; occorre inoltre tener conto dei flussi migratori) e π è il tasso di crescita della produttività del lavoro (indicatore del progresso tecnico). Gn, non è il tasso di crescita di piena occupazione, ma solo quel tasso che permette alla quota di disoccupati di rimanere costante, ed è comunque il massimo tasso di crescita possibile, data la quota di disoccupazione esistente. E’ quindi incluso il caso in cui si parta da una situazione di piena occupazione che verrebbe mantenuta: in tal caso ovviamente l’economia non può crescere più rapidamente di Gn in quanto mancherebbe la forza lavoro. Ciò corrisponde al caso in cui si verifichi l'uguaglianza:

nGv

sgg nw +==== π (5)

ovvero, il caso di crescita in equilibrio di piena occupazione. Questa uguaglianza prende il nome di Golden Rule. La crescita ‘squilibrata’ Secondo Harrod questo potrebbe avvenire solo per puro caso poiché è difficile che le quattro grandezze, s v n π, abbiano valori tali da garantire nw Gg = e non ci sono forze nel sistema che conducono spontaneamente a questa uguaglianza. Inoltre se g ≠ gw non è detto che g → Gn in quanto il processo cumulativo di squilibrio fa sì che fuori dal sentiero garantito il sentiero effettivo non converga verso alcun saggio stabile. Se gw >>>> Gn il tasso garantito non potrà essere mantenuto perché mancherà forza lavoro e si avrà quindi g < gw, cioè una crescita inferiore a quella potenziale generata dalla limitazione della forza lavoro. Se gw <<<< Gn il sistema può crescere al saggio garantito, le aspettative degli imprenditori sono sempre realizzate, ma c'è disoccupazione perché la forza lavoro cresce più del saggio garantito. Harrod non si pone il problema di trovare meccanismi che consentano di assicurare l'uguaglianza tra saggio garantito e saggio naturale, ma altri autori si sono posti questo problema, proprio per superare il ‘pessimismo’ implicito nel modello di Harrod e consentire alle teorie di indicare le condizioni di un processo di crescita economica in assenza di disoccupazione. Diversi filoni della teoria economica si sono concentrati su diverse variabili per mostrare che si può giungere alla convergenza fra gw e Gn. In altre parole ci si è chiesti se era possibile trovare una grandezza che si potesse considerare variabile dipendente. Tra le quattro variabili s, v, n e π, due sono considerate tendenzialmente costanti nel senso che le loro varizioni si avvertono solo nel lungo periodo:

n, tasso di crescita della popolazione, cambia molto lentamente. π, tasso di crescita della produttività del lavoro,si può collegare all’istruzione ed al

livello di ricerca & sviluppo: anch’esso ha a che vedere con fenomeni di lungo periodo. Tuttavia dal 1986 si sviluppano le teorie di crescita endogena che considerano questa variabile dipendente dalle altre. Le possibili variazioni di s e v vengono invece prese in considerazione rispettivamente dalla scuola keynesiana e da quella neoclassica. I keynesiani pensano che si possa agire su s e quindi questa sia la variabile che si modifica i modo da condurre all’uguaglianza nell’equazione (5). Ad esempio si può aumentare s con l’intervento dello stato e quindi, ad esempio, con una maggiore tassazione, o con una ridistribuzione del reddito a premiare i risparmiatori[Kaldor 1961]

I neoclassici invece ritengono che nel breve periodo si debba intervenire su Y

Kv = , e quindi v

diventa la variabile che si modifica attraverso meccanismi automatici al fine di ottenere nw Gg = .

Questi autori ritengono che sia possibile sostituire K con L mantenendo fisso Y (con L↑ e K↓ si ha v↓ e π↑ e si ritrova quindi l'uguaglianza (5): in sostanza, grazie alla scelta di tecnologie

ad alto impiego di lavoro e bassa capitalizzazione, o viceversa, è possibile modificare L

K e

Y

K.[Solow 1956]

I modelli neo-keynesiani di Kaldor e Pasinetti Per illustrare i modelli keynesiani è interessante proporre il modello di Kaldor poi ripreso da Pasinetti. Questi autori si sono occupati delle relazioni esistenti tra decisioni d'investimento e distribuzione del reddito tenendo conto anche dell'occupazione. Innanzitutto Kaldor , partendo dalle ipotesi ce la somma di salari, W, e profitti Π. Y = W + Π Di conseguenza la determinazione del risparmio sarà:

Π+= πsWsS w (6) Dove sw ed sπ sono propensioni al risparmio diverse a seconda che si considerino i percettori di salario o i percettori di profitti. La propensione media del sistema sarà:

( )Y

sWss

w Π+= π

con l'ipotesi che sw<sπ, ovvero che il saggio di risparmio di coloro che ottengono un reddito come profitto sia maggiore di quello di coloro che hanno redditi da lavoro dipendente. Si può quindi concludere che attraverso la ridistribuzione del reddito tra capitalisti e lavoratori, si può modificare s e quindi ottenere l’uguaglianza (5). Cosa lega la propensione media al risparmio del sistema ai saggi specifici? Possiamo scrivere:

Π+

==Y

sY

Ws

Y

Ss w π

che non è altro che la media ponderata delle quote di W e di Π sul mercato. Si avrà quindi:

Π+

Π−=

Π+

Π−Y

sY

ssY

sY

s www ππ1

da cui

( ) ( )( ) Υ

Π=−−

Π−+=w

www

ss

ss

Yssss

ππ

Attraverso variazioni della distribuzione del reddito

ΠY

che varia, a sua volta, al variare

della produttività del lavoro, si giungerà al saggio di risparmio medio di equilibrio che chiameremo s*. Ipotizziamo adesso di essere nella situazione in cui Gn > gw

Allora sarà anche:

v

s < ( )n+π ⇒ s < ( )vn+π

In questa situazione, l’offerta di lavoro cresce più rapidamente della capacità di assorbimento della domanda. In altre parole, non c’è risparmio sufficiente per avere quel k in grado di

assorbire il lavoro. I salari quindi crescono meno della produttività, il rapporto Y

Π aumenta e

il saggio di risparmio medio, s , aumenta anch’esso. Se ipotizziamo sw =0, allora avremo che:

Ys

s

v

S Π==π

• sπ = 1 caso classico dell’accumulazione (Smith) • sπ < 1 non tutti i profitti vengono risparmiati ( perché, ad esempio, ci

sono dividendi da distribuire). E’ il caso Keynesiano perché sono gli imprenditori a decidere quanto investire! L’accumulazione non è più determinata dall’offerta ( come nel caso classico), ma dipende dalle decisioni degli imprenditori. Non è detto quindi che il saggio medio di risparmio venga sostenuto.

Proviamo adesso ad esprimere il saggio di profitto come:

K

Y

YKr

Π=Π=

Se tutte le grandezze sono in equilibrio, allora :

**

*

Π=K

Y

Yr

dove

πs

s

Y

**

=

Π e

=

*

*1

vK

Y

Avremo quindi:

Wgsv

s

sr

ππ

11*

** ==

E’ questa la relazione che lega fra di loro saggio di profitto e saggio di crescita . Inoltre:

• se sπ =1 ⇒ wgv

sr ==

*

**

• se sπ < 1 ⇒ wgsv

s

sr

ππ

11*

** ==

Sarà quindi gw ad influenzare r. Infatti, se gli imprenditori sono pessimisti, investiranno poco, l’effetto del moltiplicatore sarà basso e i profitti degli imprenditori saranno più bassi. Le scelte degli imprenditori determinano, a loro volta, i profitti.

Ricordiamo che nel modello keynesiano gli investimenti sono una variabile indipendente, guidata dalle scelte degli imprenditori e supponiamo I=S, ricordando inoltre che W=Y-Π possiamo modificare la (6) nel modo seguente:

( )[ ]Y

sYs

Y

I w Π+Π−= π da cui si ottiene:

( )Y

sssY

Iww

Π−−= π e infine supponendo sw = 0

Y

I

sY π

1=Π (7).

In sostanza la (7) ci dice che S=I=Π, cioè come per i classici solo gli imprenditori/capitalisti accumulano e accumulano, cioè investono, tutti i profitti che ottengono. In queste condizioni si ha un risultato curioso: a parità di sπ quanto più i capitalisti investono tanto più è elevata la loro quota di reddito, quindi si

avvantaggiano nella distribuzione. Al contrario a parità di saggio di investimento Y

I,

se i capitalisti aumentano il loro saggio di risparmio la quota dei profitti sul reddito diminuisce. Quindi ai capitalisti conviene investire molto e risparmiare poco. Senza entrare ulteriormente nei dettagli vale la pena di sottolineare che in questo modello la capacità di crescita dell’economia e la distribuzione del reddito dipendono prevalentemente da quello che fanno i capitalisti.

I risultati di Kaldor sono stati poi ripresi da Pasinetti che evidenzia come essi valgano anche nel caso in cui anche i lavoratori risparmiano, e in cui il loro risparmio va remunerato quindi i profitti vanno divisi tra capitalisti e lavoratori. Anche in questo caso il saggio di crescita dipende solo dal saggio di profitto e dalla propensione al risparmio dei capitalisti. 62. L’approccio neoclassico

Rispetto ai modelli di Harrod e Domar, il modello di Solow rappresenta lo spostamento di prospettiva neoclassico. I modelli keynesiani vengono abbandonati in quanto le ipotesi sono state considerate non sufficientemente generali e realistiche. In particolare i neoclassici suppongono che la tecnologia non sia fissa, ma vi sia una sostituibilità fra K ed L che fa variare anche v.

Quindi la soluzione neoclassica del modello di Harrod, proposta da Solow, prevede l'endogeneizzazione della variabile v. Per Solow in particolare, è possibile la crescita in piena occupazione perché nel lungo periodo vi è sostituibilità fra K e L e le imprese scelgono la tecnologia, facendo variare di volta in volta v, in base al prezzo relativo dei due fattori L e K: il prezzo del capitale è il saggio di profitto ed il prezzo del lavoro è il saggio di salario. Le

imprese per minimizzare i costi o massimizzare i profitti (potendo scegliere L

K) devono

decidere, in base al prezzo relativo, tecniche “capital intensive” oppure tecniche “labour intensive”. Si avrà quindi una tecnologia a coefficienti variabili che incorpora un insieme di modi produttivi. Dividendo per L la funzione di produzione di tipo Cobb-Douglas Y = F(K,L), essa può essere scritta come:

=L

YF(K/L, 1)

si suppone che sia caratterizzata da rendimenti di scala costanti [ se moltiplico ciascun fattore per lo stesso scalare, anche il prodotto viene moltiplicato per lo stesso fattore es. τY=f(τK, τL)]e produttività marginali decrescenti nei due fattori. E’ una funzione crescente con concavità verso il basso e parte dall’origine. Ciò significa che è una funzione omogenea (i.e. non ha termine noto): senza input infatti, non c’è produzione. E’ una funzione continua, lineare (la somma dei coefficienti è uguale a 1) e differenziabile ( è possibile calcolare la derivata parziale in tutti i punti) del tipo:

Y = A (Kα L1-α) dove A è il progresso tecnico esogeno ed il coefficiente a cui elevo i due fattori è strettamente < 1 (ciò significa che ogni fattore può essere infinitesimo, ma ci deve essere). La funzione è rappresentata nella Figura 6.2.1

Figura 6.2.1

P’

0

P

Y/L

K/L

1/v

k1 k* k2

Qual è il significato della produttività marginale di tale funzione, cioè della retta tangente nel punto P? In equilibrio di libera concorrenza il prodotto marginale indica il saggio di profitto e le imprese accumulano capitale in base ad esso. α è la quota sul PIL dei profitti, mentre 1- α è quella dei salari. Calcoliamo la produttività marginale rispetto al capitale:

αα

αα

α −−

=∂∂

=

11

1

LAKK

Y

LAKY

poiché Kα -1 = Kα /K

K

Y

K

Y

LK

KA

K

Y

α

α αα

=∂∂

=∂∂ −1

Se l’equilibrio è concorrenziale, le imprese impiegano capitale fino a che la produttività marginale del capitale è maggiore o uguale al saggio di interesse r. In equilibrio di libera concorrenza avremo:

K

Y

K

Yr α=

∂∂=

La quota dei profitti sul reddito sarà per definizione:

YY

KK

Y

rK Π=

Π

==α

Sulla base di una funzione di produzione di questo tipo e con i dati di contabilità nazionale si può calcolare il valore di α in equilibrio anno per anno. In questo modo non si ha solo un modello teorico, ma è possibile stimarlo nel caso concreto. Il saggio di profitto è l’angolo della tangente alla funzione di produzione nel punto P. Portando la tangente sull’asse delle ordinate, si divide il segmento Pk*(prodotto per addetto) in due parti: quella superiore indica i profitti per addetto, quella inferiore la quota salari per addetto sul reddito. Avremo:

wL

wL

LL

Y ==Π−

Dato un punto P sulla funzione di produzione si trova il valore di 1/v e quindi di v come quello dell’angolo sotteso alla retta che congiunge P con l’origine degli assi. Infatti

vK

Y

L

KL

Y1==

Lungo l’asse delle ascisse descriviamo le varie tecniche a seconda del valore di k = L

K. Date

le ipotesi che caratterizzano la funzione di produzione neoclassica di Solow - e che non è il caso qui di approfondire - esisterà quindi un punto k* ,ovvero una data tecnica a cui sarà associato un valore di v compatibile con i valori dati di s e di n.

In assenza di progresso tecnico essendo π=0, Gn = n, la condizione di uguaglianza fra

saggio garantito e saggio naturale è nv

s =

L’obiettivo desiderato sarà quindi n

sv =*

Questa è una condizione di equilibrio di piena occupazione, le imprese possono scegliere la

tecnologia, cioè k e quindi L

K, e ciò facendo modificano l'intersezione P e quindi il valore

dell’angolo v

1 fino a che v diventa proprio quello che soddisfa la condizione di crescita con

piena occupazione. Il sistema tende verso un equilibrio di pieno impiego. Nel modello di Solow il raggiungimento della crescita equilibrata di pieno impiego avviene grazie alla variazione dei prezzi dei fattori. L’equilibrio si raggiunge sempre (almeno nel caso della funzione Cobb Douglas) contrariamente a quanto succedeva nel modello di Harrod-Domar, nel quale solo per caso ci si trovava in crescita equilibrata (equilibrio del tipo “knife-edge”). Supponiamo che v* sia quello che corrisponde a k*. Supponiamo che il tasso di crescita di lungo periodo sia più elevato di quello garantito, gw < Gn, e che il sistema utilizzi la tecnologia corrispondente a k2> k*. In questo caso avremo quindi:

ns

vn

sv

vvvv

1

**

11

>

>

>

<

Poiché v/s = 1/ gw e 1/n =1/ Gn allora sarà:

nw

nw

Gg

Gg

<

> 11

In questo caso nel breve periodo l’offerta di lavoro cresce più rapidamente della domanda di lavoro (aumenta la disoccupazione), perché ad esempio la popolazione cresce molto rapidamente. Allora si dovrebbe avere una riduzione del saggio di salario il che renderebbe più conveniente di passare a tecniche con più lavoro e meno capitale. Quindi k si porta verso

k*, che corrisponde al caso nv

s = ossia si ha gw= Gn

Per k1<k* si avrà il caso simmetrico. Gli imprenditori sono ora in grado di domandare più lavoro e quindi i salari tendono ad aumentare. Si scelgono allora tecniche più capital intensive e ci si sposta a destra. La soluzione di equilibrio k* è quindi anche stabile (P è punto di equilibrio stabile). L’aggiustamento parte quindi da una situazione di squilibrio che genera segnali sui prezzi e comporta, a sua volta, scelte precise degli imprenditori che modificheranno di conseguenza l’utilizzo dei due fattori K ed L.

Quando arrivo all’equilibrio stabile, cosa succede? Pur procedendo con l’accumulazione, non ci si muove oltre il punto P; P infatti è lo stato stazionario nel lungo periodo. Il PIL procapite

non si muove, ma g non è nullo; L

Y non varia più perché Y cresce esattamente nella misura in

cui cresce L. L’economia cresce quindi al tasso n.. Il tasso naturale di crescita, n, è un limite per il tasso garantito di crescita. Potremo avere equilibri lungo tutta la curva, ma esisterà un unico punto detto di stato stazionario (Steady State) nel quale avremo g=n. Anche s influisce sul livello dello stato stazionario: v* infatti dipende da s a quindi anche

l’inclinazione della retta (pari a v

1).

Man mano che ci si sposta lungo la curva, diminuiscono g ed r: ci si muove, ma si rallenta pian piano fino a P, punto in cui cessa l’accumulazione del capitale o è minima per il solo rimpiazzo degli ammortamenti. Come leggere questo modello? Se sull’asse delle ordinate mettiamo il PIL in dollari, possiamo suddividere i paesi in ricchi e poveri: i paesi in basso (con una minore dotazione di capitale per addetto e un minor reddito procapite) hanno un tasso di crescita g più alto rispetto ai paesi più ricchi. In equilibrio di stato stazionario i due tipi di paesi (ricchi e poveri) avranno lo stesso punto di equilibrio sulla funzione di produzione (dove la tangente è la stessa e i saggi di profitto sono uguali): Il gap fra ricchi e poveri dovrebbe perciò chiudersi e si avrebbe quindi convergenza nel livello del PIL pro capite). Questo meccanismo funziona se la tecnologia è uguale per tutti e i mercati dei fattori sono liberi (la funzione di produzione è uguale per tutti). Si ha convergenza nello stato stazionario dove ci si blocca e i profitti non vengono più reinvestiti: la funzione va via asintoticamente piatta (la crescita cessa, al limite diventa 0). Con progresso tecnico la funzione di produzione si sposta verso l’alto (funzione di produzione tratteggiata nella figura I.4-1): Y = (1+π) F(K/L,1) e la condizione di equilibrio diventa:

( )π+=

n

sv

cioè π+== nv

sg

ma il meccanismo di convergenza verso la posizione di crescita di piena occupazione è simile al caso precedente. (Se n fosse nullo, si avrebbe un tasso di crescita g che aumenta grazie a π, con effetti però simili a quelli dell’aumento di n). Ora però la crescita in condizioni di piena occupazione prevede che tutte le grandezze Y, K, L, crescano allo stesso saggio, quello della produttività (NB: π è il tasso di crescita della produttività del lavoro, non la produttività del lavoro). E i salari devono aumentare anch’essi come la produttività del lavoro, e la distribuzione del reddito fra salari e profitti resta invariata. Cosa succede allo stato stazionario? Il progresso tecnico è esogeno, cioè se aumenta π la curva si sposta verso l’alto (sulla nuova funzione di produzione). Il processo di convergenza porterà ad un punto di equilibrio P’. E’ questo un punto di equilibrio stabile? Ossia, il punto di equilibrio dove valgono le seguenti condizioni gw = Gn

nv

s += π

è un punto di equilibrio di stato stazionario?

Consideriamo di essere nel caso in cui: Gn < gw

Ossia:

n+π>v

s

Per ottenere l’equilibrio, ci aspetteremmo di avere una diminuzione dei salari, w. In realtà questo non sarà necessario in quanto π>0. Non si dovrà infatti più guardare al movimento assoluto di w, ma piuttosto alla variazione di questi ultimi in relazione a quella della produttività del lavoro. Quello che conta infatti, non sono più le variazioni in aumento o in diminuzione di w, ma come w stesso varia rispetto alla produttività del lavoro. Come ci si muove da P a P’?. In P si origina un π>0 che ha un impatto direttamente sulla produttività del lavoro. Se i salari, w, non si aggiustano immediatamente , essendo aumentato il saggio di profitto, aumentano gli investimenti e la quantità di capitale in quanto risulta più

redditizio investire. Quindi L

K aumenta e ci si sposterà sull’asse delle ascisse verso destra

fino a quando g = gw = Gn. r diminuisce fino al punto P’ dove il saggio di profitto ha los teso valore che aveva prima in P . Anche in questo caso se abbiamo un paese ricco ed uno povero si arriva alla condizione in cui non si investe più scegliendo tra un paese e l’altro non essendoci più alcuna differenza nei saggi di profitto. Nel nuovo punto P’ abbiamo:

r Y

K costanti

L (popolazione) aumenta al tasso n

vL

Y

L

KLL aumentano al tasso π

Y K aumentano al tasso (n + π) Ci si sposta dunque da P a P’ poiché arriva nel paese un’innovazione tecnologica (π > 0); se ogni anno π aumenta, si sposta man mano lo stato stazionario, sostenendo la crescita economica (g dipende infatti da n + π). Alla fine è π che spiega la crescita economica in un contesto di paesi ricchi, mentre in paesi poveri anche n ha un ruolo importante (ma n diminuisce man mano che aumenta la ricchezza). Siccome π dovrebbe essere uguale e disponibile per tutti, si ha ancora convergenza. Concludendo: in presenza di progresso tecnico, la funzione di produzione si sposta verso l’alto e il meccanismo di convergenza si verifica allo stesso modo del caso in cui non viene considerato il progresso tecnico. Lo stato stazionario dipenderà stavolta non solo da n ma anche da π. 6.3 Il problema della convergenza fra paesi ‘ricchi’ e ‘poveri’ Un’implicazione importante del modello di Solow è quella per cui man mano che il sistema

accumula più capitale per lavoratore, L

K aumenta, il PIL pro capite,

L

Y, aumenta meno che

proporzionalmente a causa delle ipotesi sulla forma della funzione di produzione. In sostanza

vi sono rendimenti decrescenti nei singoli fattori, per cui aumentando il capitale il suo prodotto marginale diminuisce. In sostanza più un paese accumula capitale e più diventa ricco. Ma man mano crescerà meno rapidamente , il capitale renderà sempre meno e la crescita economica perderà forza. Solo il progresso tecnico, che è completamente esogeno, può far aumentare il PIL pro capite, innalzando la curva. La funzione di produzione neoclassica implica che paesi con reddito pro capite più basso e minor capitale hanno potenzialmente tassi di crescita più elevati, se la tecnologia e il progresso tecnico sono disponibili allo steso modo per tutti i paesi. Vediamo più dettagliatamente che cosa significa stato stazionario e qual è il tasso di crescita del PIL procapite in P e P’. Consideriamo un certo periodo di tempo: Yn = Y0 (1 + g)n

dove g è il tasso di crescita implicito quando conosco il valore iniziale Y0 e finale Yn. ( )gnYYn ++= 1lnlnln 0

E’ questa una funzione lineare che può essere stimata rispetto ad un punto di partenza e ad un tasso di crescita. Studiamo i due grafici seguenti(si veda Ray 1998): Figura 6.2.2

0 t

0 t

ln (PIL/L)

ln Y

P

P’

λ

P

P’

λ

n

n

Nel primo grafico non abbiamo l’angolo n poiché abbiamo considerato il PIL procapite (PIL/L). Nel secondo grafico abbiamo semplicemente il PIL. Siamo partiti dal punto P con un certo livello di reddito Y: nel tempo questo è cresciuto. Si è arrivati ad un punto P’, più alto, dopo un certo numero di anni n. In entrambi i grafici le rette sono parallele poiché i due punti sono stati stazionari. Se ci muoviamo da P a P’ possiamo notare che cambia il livello della variabile sull’asse delle ordinate: c’è stato un salto da un livello di stato stazionario all’altro, con uno stesso tasso di crescita del PIL n in stato stazionario, ma con un diverso livello di PIL. Gli angoli λ sono uguali in entrambi i grafici. E’ importante distinguere tra livello di stato stazionario e movimento tra stati stazionari: nel passaggio da un livello all’altro si compie una traversa, che è un movimento di breve periodo rispetto al livello di stato stazionario. Si cresce ad un tasso superiore rispetto a quello di crescita della popolazione. Uno stato stazionario è quel livello del PIL procapite a cui l’economia continua a crescere, ma solo al tasso di crescita della popolazione (l’accumulazione si ha solo a livello di rimpiazzo del capitale consumato): non è una crescita nulla. Ci si sposta solo se l’accumulazione porta progresso tecnico (aumenta λ) ed è questo l’unico modo per fare una traversa tra due stadi di stato stazionario. In P’ è aumentato il livello di PIL, ma come dinamica di crescita (g) non è cambiato molto. Il modello di Solow prevede che, a prescindere dalle condizioni economiche iniziali di ciascun sistema, la tendenza di lungo periodo verso l'equilibrio (k*) sia inevitabile(Fig. 6.2.1). Queste condizioni iniziali di crescita del reddito possono essere sia peggiori che migliori rispetto allo stato di equilibrio, ma inevitabilmente i tassi di crescita del reddito rispettivamente aumenteranno o diminuiranno fino al raggiungimento dell'equilibrio. Quindi i paesi più poveri dovrebbero crescere più rapidamente di quelli ricchi, in quanto

hanno rapporti L

K più bassi e nel lungo periodo tutti i paesi dovrebbero avere identico reddito

pro capite, L

Y.

In sostanza implicita nell’analisi di Solow è la conseguenza che si deve verificare il ‘catching up’, cioè si deve chiudere il ‘gap’ fra ricchi e poveri. Perché non si può evitare lo stato stazionario? A causa della forma della funzione di produzione (prodotti marginali decrescenti del capitale e degli altri fattori): il tasso di profitto

Kr

Π= tende ad abbassarsi.

In un modello senza moneta e senza aspettative (aspettative realizzate): Π = S S = I (il risparmio non viene tesaurizzato) I = ∆K

K

Kr

∆= (è la sorgente con cui si fa nuova accumulazione)

La forma della funzione di produzione è quella che mi garantisce l’equilibrio, ma è anche quella per cui il tasso di profitto tende ad annullarsi. La crescita infatti è spiegata solo con λ esogeno. Questo modello implica dunque convergenza non condizionata di tutti i paesi verso un certo stato stazionario e verso un certo tasso di crescita. Graficamente:

Figura 6.2.3

t La retta nera al centro indica il sentiero di stato stazionario (è lo stesso per tutto il mondo). Per comprendere meglio il significato di convergenza non condizionata consideriamo due paesi: uno molto povero come il Ruanda (retta blu inferiore), l’altro più ricco come la Svizzera (retta rossa superiore). Il primo parte molto in basso e cresce fortissimamente all’inizio. Il secondo cresce più lentamente. Tale convergenza non dipende dalle condizioni di partenza Y0: è una convergenza assoluta (prima o poi tutti i paesi avranno lo stesso PIL procapite e lo stesso livello di crescita in stato stazionario). E’ un’ipotesi implicita del modello, poiché la tecnologia è libera (λ è indipendente dalle condizioni iniziali e, senza brevetti, è uguale per tutti) e la popolazione può muoversi ovunque. E’ stata introdotta anche un’idea di convergenza più debole: convergenza condizionata o condizionale in cui contano in parte le condizioni iniziali . t

lnY

lnY

I due paesi precedenti hanno in questo caso due stati stazionari diversi per il livello del reddito. C’è comunque una forma di convergenza. Due paesi che partono da livelli di reddito simili possono convergere verso lo stato stazionario più alto o più basso nel grafico. Non si sa a priori quale sarà la traiettoria dei paesi intermedi: la teoria non dice quali sono le condizioni per una convergenza o l’altra (si ha un fascio di rette di stato stazionario). Per saperlo dovrei stimare l’equazione:

( )gnYYn ++= 1lnlnln 0

Quindi la convergenza non è altro che una relazione di proporzionalità inversa tra il tasso di crescita del reddito e il livello iniziale del reddito pro capite. Quindi le forti ipotesi di questa costruzione prevedono che eventualmente tutti i paesi si assesteranno sullo stesso tasso di crescita. E’ chiaro che per almeno molti PVS questa implicazione del modello di Solow non si è verificata. Sono stati fatti diversi studi empirici e la convergenza assoluta non è stata confermata. Il modello di Solow rimane tuttavia un punto fondamentale della teoria economica della crescita neoclassica e non è mai stato del tutto abbandonato, ma solo integrato. 6.4 Il modello di Lewis: crescita con offerta illimitata di lavoro. La ricerca di possibilità per lo sviluppo è stata perseguita da moltissimi studiosi che si sono concentrati sulle possibilità di accumulazione del capitale da parte di un paese. Infatti, una teoria dello sviluppo deve spiegare come una comunità che risparmia per esempio il 4-5% arrivi volontariamente a risparmiare il 12-15%. Ovvero da che cosa è indotta l'accumulazione di capitale. In genere ciò è attribuito al fatto che i redditi dei risparmiatori aumentano relativamente al reddito totale, ovvero la distribuzione dei reddito è alterata a favore delle classi che risparmiano. In particolare, uno dei modelli che cerca di dare una spiegazione a questo processo di accumulazione è il modello di Lewis. Partendo dalla considerazione che sia possibile la contemporanea esistenza di diversi stadi di sviluppo in uno stesso paese, modelli economici come quello di Lewis del 1954 poi formalizzato da Fei e Ranis nel 1963, analizzano questo dualismo. Si ricerca un sistema applicabile a quei paesi in via di sviluppo per i quali, secondo gli autori, non valgono i presupposti dell'economia neoclassica o keynesiana.

Si parte dal presupposto di una disponibilità infinita di mano d'opera (per esempio derivante da un eccesso della natalità sulla mortalità), a salari di sussistenza e si determina la distribuzione e l'aumento del reddito.

Si consideri il caso di un'economia chiusa. Avendo, come abbiamo già detto illimitata

disponibilità di mano d'opera i vincoli allo sviluppo saranno il capitale e le risorse naturali. Si hanno due settori: il settore capitalista ove si impiega un tipo di capitale - che può essere accumulato - riproducibile ed in cui i guadagni, derivanti dall’utilizzo di quest’ultimo, vanno ai capitalisti (pensiamo ad esempio ai capitalisti che affittano il loro capitale ai contadini). Il settore di sussistenza (generalmente identificato con il settore agricolo), invece, è quello ove non si impiega un tipo di capitale riproducibile ma esclusivamente quello che viene consumato nei processi produttivi (pensiamo a forme di produzione di auto consumo). In questo settore c'è sempre surplus di forza lavoro e il rendimento per lavoratore è più basso rispetto a quello del settore capitalistico in quanto non reso fruttifero dal capitale (per questo è stato chiamato “improduttivo”). Il capitale non è distribuito in maniera uniforme in tutta l'economia e all'aumentare del capitale disponibile, la forza lavoro può passare dal settore di sussistenza a quello capitalistico e il suo rendimento per lavoratore aumenta con il passaggio da un settore all’altro.

Nel settore tradizionale il salario dipende dalla pura sussistenza dei lavoratori, mentre nel settore capitalista è più elevato, ma mantiene comunque una relazione con ciò che i lavoratori possono guadagnare al di fuori del settore capitalista. Questo modo di determinare il salario, dovuto alla segmentazione del mercato del lavoro, diciamo campagna-città, rende conveniente per i capitalisti che il salario nel settore di sussistenza resti basso mantenendo bassa la produttività dei suoi lavoratori ( non c’è ad esempio interesse a diffondere tra i contadini la conoscenza di nuove tecniche), in modo che anche il salario nel settore capitalista non aumenti. Secondo Lewis una caratteristica essenziale del settore tradizionale è quella per cui il prodotto marginale del lavoro può essere trascurabile, nullo o addirittura negativo (dando luogo così al fenomeno della disoccupazione “mascherata”). Questo fatto dipende dalla forte crescita demografica (eccesso di natalità sulla mortalità) e dalla tecnologia spesso rudimentale utilizzata, per cui vi è un eccesso di lavoratori rispetto, ad esempio, alle terre coltivabili con il tipo di capitale esistente. Questo fa si che dopo una certa quantità di lavoro, ad esempio A, aumentando il numero di lavoratori impiegati nel settore tradizionale, il prodotto del lavoratore addizionale, o prodotto marginale, diminuisca, vedi Figura 6.3.1. Da un certo punto B in poi il lavoratore aggiuntivo produce meno del salario di sussistenza OS. Addirittura può succedere che dal punto C i lavoratori che vengono impiegati non aggiungano nulla al prodotto totale, ma addirittura sottraggano produzione, intralciando gli altri lavoratori. Il prodotto totale è dato dall’area sottesa dalla curva del prodotto marginale. Si noti che nella teoria economica i casi in cui il salario è superiore al prodotto marginale del lavoro indicano l’esistenza di disoccupazione nascosta. Cioè alcuni lavoratori sono occupati anche se il loro costo, il salario, è superiore al loro prodotto. Pensiamo ad esempio ad una situazione tipica del lavoro famigliare in cui alcuni membri della famiglia o tribù risultano occupati anche se l’apporto aggiuntivo di output può essere nullo a causa di un codice di comportamento etico che impone di assumere, ad esempio, il maggior numero possibile di mano d’opera. Figura 6.3.1 Settore tradizionale S

O

Nel settore capitalista invece, i lavoratori vengono impiegati solo fino a che il loro prodotto marginale eguaglia il salario OW. Converrà per cui impiegare la quantità di lavoro N’, cioè lavoratori aggiuntivi fino al punto P’. Infatti, il tipo di capitalista che è fautore dell’espansione economica, non si comporterà come quello che, nel settore di sussistenza, tratta i suoi dipendenti come servi, ma risponderà ad una logica commerciale di massimizzazione del profitto.

Numero di lavoratori

Prodotto Marginale

A

B

C

Figura 6.3.2 Settore capitalista W S O

Date queste premesse, si può generare un processo di espansione economica la cui chiave sarà la misura in cui il profitto del settore capitalista viene reinvestito nello stesso settore creando così sempre maggiore capitale. Il settore capitalistico quindi si espande e richiede mano d'opera addizionale, proveniente dal settore di sussistenza.

Con l’accumulazione di capitale si ha un aumento della produttività marginale del lavoro e quindi lo spostamento della curva verso l’alto e a destra .L'espansione economica è rappresentata graficamente dalla traslazione della funzione di produzione nella Figura 6.3.2.

Il nuovo punto di equilibrio sarà P” con un aumento di occupazione nel settore capitalista pari a N”-N’. Questi lavoratori arrivano dal settore tradizionale, dove però, secondo Lewis, non vi è perdita di produzione perché questi lavoratori avevano prodotto marginale nullo.

In teoria il processo si arresterà nel momento in cui non si avrà più eccedenza di mano d'opera nel settore tradizionale e quando S arriva a coincidere con W. Quindi secondo Lewis si può accelerare il processo di accumulazione del capitale e di crescita sfruttando il dualismo esistente nel mercato del lavoro. Infatti in questo caso all'aumentare della domanda di lavoro, non essendoci scarsità di offerta, non aumentano i salari.

Secondo Lewis, l'arretratezza di molti paesi in via di sviluppo è determinata primariamente dal fatto che il settore capitalista è caratterizzato dall’esistenza di capitalisti troppo piccoli, che risparmiano poco e non accumulano, non assorbendo così mano d’opera dal settore tradizionale. Nel caso dell'economia aperta, per mantenere le condizioni che secondo Lewis favoriscono lo sviluppo, è possibile favorire l'immigrazione di lavoratori non qualificati che provengono da settori di sussistenza di altri paesi, oppure esportare i capitali verso paesi ove si paga la mano d'opera al salario di sostentamento. Il modello di Lewis ha suscitato notevoli critiche a causa principalmente delle forti ipotesi sulla base delle quali il processo di sviluppo ha luogo. Lewis ipotizza infatti che: 1. La produttività marginale del lavoro nel settore tradizionale debba tendere a zero,; la

diminuzione quindi di occupazione in questo settore non ha effetto netto sulla produzione

Prodotto Marginale

N' N'' Forza lavoro per unità di terra

P’ P”

totale. Tuttavia il concetto di produzione del singolo non ha senso nel settore agricolo, si ha la produttività sociale.

2. il salario è l’unico elemento di costo quando invece nei processi produttivi vi sono vari inputs.

Inoltre lo sviluppo tecnologico è caratterizzato dallo spostamento omotetico della curva del prodotto marginale, in modo cioè che tutte le curve sono parallele tra di loro, Figura 6.3.3 A. Questo di fatto implica che la struttura e qualità del capitale non cambia, si usa sempre la stessa tecnologia solo in modo più efficiente. Ma se vi è una modificazione della struttura del capitale come si può vedere dalla Figura 6.3.3 B non è detto che il nuovo punto di equilibrio implichi un aumento di occupazione e questo non è stato previsto dal modello di Lewis.

Figura 6.3.3 A B Politiche di Lewis - Tassazione sull’agricoltura: si può diminuire il reddito dell’agricoltura per rendere possibile il trasferimento di lavoratori all’industria. La produttività marginale del lavoro è maggiore dei salari industriali: si devono considerare i differenziali di produttività tra i due settori. Con le tasse si possono spostare lavoratori da un settore all’altro: la produttività e la redditività del lavoro applicato in agricoltura diminuiscono e questo porta una diminuzione dell’offerta di prodotti agricoli; aumentano quindi i prezzi di tali prodotti e varia la quota dei consumi a favore dei prodotti industriali; aumenta il differenziale a favore dei salari industriali e si favorisce il trasferimento. - Sussidi: possiamo distinguere tra sussidi al consumo (il governo compra a prezzi di mercato i prodotti agricoli e li rivende a prezzi inferiori: in questo modo si scoraggia la produttività agricola e non aumentano i prezzi dei beni industriali) e sussidi alla produzione (ad esempio la Politica Agricola Comunitaria: si tratta di sussidiare gli input della produzione agricola per abbassarne i costi) - Tassi di cambio: occorre distinguere tra beni commerciabili (nel mercato internazionale) e beni non commerciabili (per l’autoconsumo nel mercato interno). Una moneta forte favorisce il mercato interno: se ci si lega ad una moneta forte è meno oneroso procurarsi tecnologia e

Tecnologia Costante

Tecnologia variabile

beni capitali e quindi favorire la crescita. Occorre però anche esportare per pagare le importazioni. Se tale legame non è sostenibile bisogna svalutare. - Dazi/Import substitution L’approccio di Kaldor Un altro modello che analizza il dualismo tra settore agricolo ed industriale è il modello di Kaldor (1967) con il quale l'autore vuole dimostrare come un processo di crescita economica sia possibile solo attraverso l'industrializzazione in quanto il settore agricolo da solo non è in grado di innestare il processo di crescita. Il consumo dei prodotti agricoli e dei beni primari in genere ha un andamento decrescente rispetto al reddito, cioè al crescere del reddito una quota minore di esso è spesa nell’acquisto di beni dell’agricoltura. La domanda di beni industriali è invece caratterizzata da una dinamica crescente, ovvero un bene industriale (Figura 6.3.4). Figura 6.3.4 Inoltre l'agricoltura, sia per limiti fisici che per motivi di carattere tecnologico non ha una grossa capacità di espansione e quindi non può assorbire una quantità crescente di mano d'opera. L'agricoltura deve produrre sovrappiù da impiegare nel settore industriale, i beni salario. Però il settore agricolo deve essere efficiente, altrimenti i beni salario diventano più costosi, aumentano i prezzi, quindi i salari e diminuiscono i profitti. Quindi la supremazia del settore industriale viene raggiunta solo se aumenta la produttività del settore agricolo, ovvero se si ha una crescita equilibrata a vantaggio di entrambi i settori. Tuttavia ciò non si è verificato in alcun paese in via di sviluppo in quanto lo sfruttamento delle risorse primarie non è stato finalizzato all'accumulazione del capitale in agricoltura ed al miglioramento delle tecnologie. Bibliografia • Debraj Ray, Development Economics, Princeton University Press, Princeton, New Jersey

1998 (capitolo 3) • Nardozzi G., voce "Crescita", in Dizionario di economia politica, Boringhieri, • Harrod R.F., 1939, "An Essay in Dynamic Theory" Economic Journal (marzo) • Domar E., 1946 "Capital Expansion, Rate of Growth and Employment" , Econometrica

(aprile). • Kaldor N., 1967, Problems of industrialization in underdeveloped countries • Lewis W.A., 1954, Economic development with unlimited supplies of labour, Manchester

School 22 (maggio) pp.139-191. • Solow R., 1956, "A Contribution to the Theory of Economic Growth" Quarterly Journal of

Economics 50 : pp.65-94.

Domanda di beni agricoli

Domanda di beni industriali

In italiano • Kaldor N., Problemi di industrializzazione nei paesi in via di sviluppo, in Jossa B.,(a cura

di) Economia de sottosviluppo, Il Mulino, Bologna 1973 (pp. 49-59) • Lewis W.A., Sviluppo economico con disponibilità illimitate di mano d'opera in Agarwala

A.N., Singh S.P. (a cura di), L'economia dei paesi sottosviluppati, Feltrinelli, Milano 1966 (pp.369-420).