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1 Capitolo 1 L’ARBITRATO RITUALE ED IRRITUALE 1.1 Differenze normative tra arbitrato rituale 1 e arbitrato irrituale 2 . 1 Vastissima e risalente è la bibliografia in tema di arbitrato. La dottrina, infatti, ha incominciato ad occuparsi dell’istituto sin dalla fine del XIX secolo, di tal che si ritiene opportuno indicare qui di seguito le opere più importanti o dei maggiori autori, che cronologicamente hanno esaminato il fenomeno arbitrale, secondo l’elencazione che risulta dalle voci enciclopediche sulla figura de qua. Per gli aspetti più particolari si rimanda tuttavia alle note a piè di pagina ed alla bibliografia generale a fine opera. Per la conoscenza della dottrina italiana sul Codice di Procedura Civile del 1865, il tutto fino all’anno 1937: CARNACINI e VASETTI, in Nuovo Digesto Italiano, voce Arbitri, Torino, 1937, vol. I., Pag. 648 e seguenti; per la dottrina sul vecchio Codice dal 1937 al 1942: Opere di carattere generale: REDENTI, Profili pratici del diritto processuale civile, 2° ediz., Milano, 1939, pagg. 189- 201; Monografie: BARBARESCHI, Gli Arbitrati , Milano, 1937. Articoli, note, scritti minori vari: BARBARESCHI, Arbitrato amichevole compositore, che giudica secondo diritto , Riv. Ital. Sc. Comm., 1937, 316; ANDRIOLI, L’indivisibilità del lodo arbitrale , ibid., 1939, II, 249; Id., Arbitrato e arbitraggio nei trasferimenti coattivi, in Foro Italiano , 1940, I, 814; Sul vigente Codice di Procedura Civile: Opere di carattere generale: ANDRIOLI, Commento al Codice di Procedura Civile, 2° ediz., Napoli, 1947, vol. III, pag. 526- 582; CALAMANDREI, Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1944, vol. II, pag. 172- 179; CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, 5° ediz., Roma, 1956, vol. I, pagg. 63-68, vol. II, pagg. 230-237; JAEGER, Diritto processuale civile, 2° ediz., Torino, 1943, pag. 73- 75, 817-831; Id., Corso di diritto processuale civile, Milano, 1956, pagg. 511-529; REDENTI, Diritto processuale Civile, 2° ediz., Milano, 1954, vol. III, pagg. 445-487; SATTA, Diritto processuale civile, 5° ediz., Padova, 1957, pagg. 631-644; Monografie: VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema del processo civile, Napoli, 1953; Rassegne di giurisprudenza: FAZZALARI, Arbitrato, in Riv. Dir. Proc., 1946, II, 190; VECCHIONE, Arbitrato, in Riv. dir. Proc., 1957, 141; rassegna di giurisprudenza sul Cod. di Proc. Civ., diretta da V. Andrioli, Milano, 1955, vol. IV., pagg. 379-487; T. CARNACINI, voce Arbitrato rituale, in Nuovissimo Digesto Italiano, pagg. 874 e seguenti. 2 P. BONFANTE, Dei compromessi e lodi stabiliti fra industriali come vincolativi dei loro rapporti, ma esecutivi nel senso e nelle forme dei giudizi, in Riv. Diritto Comm., 1905, II, 45 e ss.; Scritti giuridici vari, III, 319 e ss.; A. ROCCO, La Sentenza civile, Torino, 1906, pag. 45-46; F. CARNELUTTI, Arbitrato Estero , in Riv. Dir. Comm., 1916, I, 374 e ss.; Studi di diritto proc., Padova, 1925, vol. I, pag. 3 e ss.; Id., Arbitri e arbitratori, in Riv. Dir. Proc., 1924, I, 121 e ss.; A.

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1

Capitolo 1

L’ARBITRATO RITUALE ED IRRITUALE

1.1

Differenze normative tra arbitrato rituale1 e arbitrato irrituale2.

1 Vastissima e risalente è la bibliografia in tema di arbitrato. La dottrina, infatti, ha incominciato ad occuparsi dell’istituto sin dalla fine del XIX secolo, di tal che si ritiene opportuno indicare qui di seguito le opere più importanti o dei maggiori autori, che cronologicamente hanno esaminato il fenomeno arbitrale, secondo l’elencazione che risulta dalle voci enciclopediche sulla figura de qua. Per gli aspetti più particolari si rimanda tuttavia alle note a piè di pagina ed alla bibliografia generale a fine opera. Per la conoscenza della dottrina italiana sul Codice di Procedura Civile del 1865, il tutto fino all’anno 1937: CARNACINI e VASETTI, in Nuovo Digesto Italiano, voce Arbitri, Torino, 1937, vol. I., Pag. 648 e seguenti; per la dottrina sul vecchio Codice dal 1937 al 1942: Opere di carattere generale: REDENTI, Profili pratici del diritto processuale civile, 2° ediz., Milano, 1939, pagg. 189- 201; Monografie: BARBARESCHI, Gli Arbitrati, Milano, 1937. Articoli, note, scritti minori vari: BARBARESCHI, Arbitrato amichevole compositore, che giudica secondo diritto , Riv. Ital. Sc. Comm., 1937, 316; ANDRIOLI, L’indivisibilità del lodo arbitrale , ibid., 1939, II, 249; Id., Arbitrato e arbitraggio nei trasferimenti coattivi, in Foro Italiano , 1940, I, 814; Sul vigente Codice di Procedura Civile: Opere di carattere generale: ANDRIOLI, Commento al Codice di Procedura Civile, 2° ediz., Napoli, 1947, vol. III, pag. 526-582; CALAMANDREI, Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1944, vol. II, pag. 172-179; CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, 5° ediz., Roma, 1956, vol. I, pagg. 63-68, vol. II, pagg. 230-237; JAEGER, Diritto processuale civile, 2° ediz., Torino, 1943, pag. 73-75, 817-831; Id., Corso di diritto processuale civile, Milano, 1956, pagg. 511-529; REDENTI, Diritto processuale Civile, 2° ediz., Milano, 1954, vol. III, pagg. 445-487; SATTA, Diritto processuale civile, 5° ediz., Padova, 1957, pagg. 631-644; Monografie: VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema del processo civile, Napoli, 1953; Rassegne di giurisprudenza: FAZZALARI, Arbitrato, in Riv. Dir. Proc., 1946, II, 190; VECCHIONE, Arbitrato, in Riv. dir. Proc., 1957, 141; rassegna di giurisprudenza sul Cod. di Proc. Civ., diretta da V. Andrioli, Milano, 1955, vol. IV., pagg. 379-487; T. CARNACINI, voce Arbitrato rituale, in Nuovissimo Digesto Italiano, pagg. 874 e seguenti. 2 P. BONFANTE, Dei compromessi e lodi stabiliti fra industriali come vincolativi dei loro rapporti, ma esecutivi nel senso e nelle forme dei giudizi, in Riv. Diritto Comm., 1905, II, 45 e ss.; Scritti giuridici vari, III, 319 e ss.; A. ROCCO, La Sentenza civile, Torino, 1906, pag. 45-46; F. CARNELUTTI, Arbitrato Estero , in Riv. Dir. Comm., 1916, I, 374 e ss.; Studi di diritto proc., Padova, 1925, vol. I, pag. 3 e ss.; Id., Arbitri e arbitratori, in Riv. Dir. Proc., 1924, I, 121 e ss.; A.

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Per inquadrare sistematicamente il problema che qui interessa,

risulta imprescindibile esaminare, oltre le cause che hanno originato la

figura dell’arbitrato irrituale e quindi gli interessi giurid ici che esso

sottende, gli istituti cui esso si correla ed in primis l’arbitrato rituale.

Questi due istituti vengono, infatti, esaminati dalla letteratura giuridica

sempre in correlazione, proprio per la loro specularità sistematica, che

ne impone l’esame congiunto.

Difatti, l’arbitrato irrituale non può essere correttamente inteso

se non in relazione a quello rituale, soprattutto ove si consideri anche

SCIALOJA, Gli Arbitrati liberi, in Riv. Dir. Comm., 1922, I, 496 e ss.; Scritti in onore di Marghieri, Napoli, 1922; E.T. LIEBMAN, Sul tema degli arbitrati liberi, in Riv. diritto proc. civ., 1927, II, 89 e ss.; T. ASCARELLI, Arbitri e Arbitratori. Gli arbitrati liberi, ibid. 1929, I, 308 e ss.; Studi in tema di contratti, Milano 1952, pag. 205 e ss.; G. CHIOVENDA, Istituzioni di dir. proc. civ., 2° ediz., 4° ristampa, Napoli, 1950, vol. I, pag. 70; S. SATTA, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, Milano, 1931, pag. 110 e seguenti; Id., Diritto Processuale civile, 5° ediz., Padova, 1957, pagg. 623-633; M. GIORGIANNI, Il negozio di accertamento , Milano, 1939, pag. 29, 88 e ss.; E. REDENTI, Profili Pratici Del Dir. Proc. Civ., 2° Ediz., Milano, 1939, Pag. 130 E Seguenti, 197 e seguenti, Id., Diritto processuale civile, 2° ediz., Milano, 1954, vol. III, pag. 489 e ss.; R. VECCHIONE, Questioni sulla disciplina dell’arbitrato, in Giur. Ital., 1953, IV, 1 e ss.; Id., Il biancosegno nell’arbitrato irrituale, Temi, 1953, 7 e ss.; Id., Perizia contrattuale, arbitrato irrituale e arbitraggio , in Foro Pad., 1953, I, 405 e ss.; Id., Arbitrato rituale e arbitrato irrituale nelle controversie di lavoro , in Foro Pad., 1954, I, 1029 e ss.; Id., Arbitrato rituale e arbitrato irrituale nelle controversie relative alla esclusione del socio, in Dir. Fall., 1954, II, 534 e ss.; F. CARRESI, La transazione, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, Torino, 1954, vol. IX, tomo 3°, pag. 19-20, 55 e ss.; F. SANTORO PASSARELLI, Negozio e giudizio, in Riv. Trim. Dir. e proc. Civ., 1956, 1157 e ss.; M. VASETTI, voce Arbitrato Irrituale, in Nuovissimo Dig. Italiano, vol. I, tomo I, 1958, pag. 846 e ss.; T. CARNACINI, voce Arbitrato rituale, in Nuovissimo Dig. Italiano, vol. I, tomo I, 1958, pag. 874 e ss.; E. FAZZALARI, Arbitrato, in Enc. Dir., XXXVI, Milano, 1987, pagg. 287 e ss. Id., Arbitrato, in Enc. Dir. Agg., II, 1998, pagg.71 e ss.; BIAMONTI, L., voce Arbitrato, in Enc. Dir., II, Milano, 1958, pagg. 893 ss.; F. GALGANO, Diritto Civile e Commerciale, vol. II, Tomo I, Padova, 1996, pagg. 206 e ss.; F. GAZZONI, Manuale di Diritto Privato , Napoli, 2000, pagg. 1249 e ss. e op. cit., 2004, 1251 ss.; C. MANDRIOLI, Diritto Processuale Civile, vol. III, Torino, 2002 pagg. 433 e ss.; G. MONTELEONE, Diritto Processuale Civile, Padova, 2000 pagg. 815 e ss.

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il processo di graduale avvicinamento e omologazione che la dottrina

(seguita in parte dalla giurisprudenza) sta operando tra le due figure.

L’arbitrato, generalmente inteso, è, infatti, uno strumento

giuridico-processuale, attraverso il quale i titolari di diritti soggettivi

liberamente disponibili, possono giungere alla risoluzione delle

controversie insorte tra essi senza fare ricorso al giudice ordinario, e,

quindi, in luogo del processo di cognizione 3 - 4.

Il legislatore prende in considerazione e prevede solo la figura

dell’arbitrato rituale, occupandosene espressamente agli artt. 806 e

seguenti del c.p.c., il quale assume carattere di istituto pubblicistico,

qualora siano rispettati le forme previste dalla legge processuale, non

sussistano vizi di nullità ed il lodo acquisti valore di cosa giudicata 5.

L’arbitrato così detto irrituale o libero è una figura atipica,

diversa dall’arbitrato di cui al codice di procedura civile, non prevista

3 G. MONTELEONE, Diritto Processuale Civile, Padova, 2000, pag. 815, il quale si colloca tra gli autori che riconducono la funzione dell’istituto generalmente inteso, ad una affine a quella del processo di cognizione, anche se alternativa ad esso. Ciò viene evidenziato dall’Autore anche nella collocazione sistematica che, nell’op.cit., attribuisce all’istituto dell’arbitrato, dopo i modi con cui si può pervenire ad una decisione su una lite e non insieme ai procedimenti speciali (ove invece è collocato l’arbitrato dal legislatore), che, secondo il Nostro, obbediscono a forme e finalità eterogenee e del tutto diverse. 4 Il presupposto della controversia su di una situazione giuridica sostanziale e dell’attività di privati costituiscono l’ubi consistam della categoria secondo il FAZZALARI in op. cit., 287 ss., il quale ritiene che tali elementi sono ciò che consentono di porre sullo stesso piano l’arbitrato libero e quello irrituale. L’arbitrato, infatti, afferma l’A., presuppone la controversia, ciò che vuol dire che esso si incardina sulla esistenza di contrastanti pretese giuridiche, sulla lamentata lesione di posizioni giuridiche soggettive che si assumono già istituite.

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dalla legge, nata dalla prassi commerciale, la cui validità non è messa

in discussione, ma la cui struttura e disciplina varia fortemente in

relazione alle diverse pattuizioni delle parti ed agli interessi che le

stesse hanno con essa voluto soddisfare6.

L’arbitrato irrituale è, infatti, un fenomeno inventato dalla

prassi allo scopo di eludere le formalità proprie dell’arbitrato rituale.

In sostanza, esso rappresenta “la composizione di una vertenza

che, nel suo momento formativo, presenta taluni caratteri del giudizio

ed il cui concreto contenuto è determinato dall’arbitro o dagli arbitri,

ai quali le parti avevano in precedenza affidato il compito di

comporre, con un giudizio in contraddittorio, per lo più equitativo, la

loro controversia, dando talora al giudizio la forma della transazione7.

La statuizione finale non ha natura ed efficacia di sentenza, ma i

caratteri propri di un libero accordo contrattuale, che è il frutto di un

mandato ad accertare o a transigere e la sua decisione vale tra le parti,

5 BIAMONTI, L., Arbitrato, cit., pagg. 893 ss. 6 GALGANO, F., Diritto civile e commerciale, vol. II, tomo I, Padova, 1993, pag. 206. 7 C. MANDRIOLI , Diritto processuale civile, vol. III, Torino, pag. 433-434.

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a seconda della volontà espressa, come negozio di accertamento o

transazione8.

Le parti, servendosi di tale istituto sul piano del solo diritto

delle obbligazioni, pattuiscono preventivamente di adottare, come se

fosse il frutto di un accordo tra loro, quella determinazione che uno o

più terzi, investiti della risoluzione della controversia, emaneranno

sulla base di quanto previsto nella clausola contrattuale (detta,

appunto, arbitrale o compromissoria9), che prevede tale potere10.

Da ciò deriva che l’arbitrato irrituale non ha efficacia di titolo

esecutivo, dato che non condanna, limitandosi, invece, a disporre sul

piano ed in forma negoziali, tanto ciò è vero che lo si ritiene

impugnabile per incapacità delle parti, errore, violenza, dolo o eccesso

di potere con riguardo ai limiti del mandato11-12.

La manifestazione di volontà delle parti si può estrinsecare, e di

fatto sovente si estrinseca, nell’esprimere il pieno intendimento di

considerare come propria la determinazione del terzo, col sistema del

8 In tal senso, GAZZONI, F., Manuale di diritto privato, op. cit., pag. 1249, il quale ribadisce la natura non giurisdizionale, ma piuttosto contrattuale dell’arbitrato irrituale. 9 Sul valore, la forma e gli effetti di questa clausola vedi amplius più avanti, anche in nota. 10 BIAMONTI, L., Arbitrato, op. cit., pagg. 935 e ss. 11 GAZZONI, F., Manuale di diritto privato, op. cit., pag. 1249, il quale richiama Cass. 13 marzo 1988, n. 2741, in G.I. 1999, 1610.

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cosiddetto “biancosegno”13, cioè un foglio in bianco munito della

sottoscrizione delle parti e consegnato agli arbitri, sul quale questi

stenderanno il testo dell’accordo.

In questo caso, il contenuto contrattuale apparirà anche

esternamente, espresso dalla diretta volontà dei contraenti, in quanto,

come detto, la scrittura si presenta all’esterno come negozio stipulato

dalle stesse parti14.

Alcuni autori15 considerano il “biancosegno” come una variante

dell’arbitrato irrituale, osservando che, mentre, nel comune arbitrato

irrituale, l’oggetto della volontà dei contraenti si desume per

relationem dal fatto giuridico altrui, nel biancosegno il giudizio degli

12 Ma per un esame di questa problematica, che costituisce il thema di questa indagine, si veda il Cap. II, ove le critiche e l’impostazione della più recente dottrina e giurisprudenza. 13 Cass. 8 agosto 1990, n. 8010, in Giust. Civ. mass., 1990, fasc. 8, “Il lodo per biancosegno configura un arbitrato irrituale, caratterizzato dal fatto che le parti conferiscono ad arbitri l’incarico di determinare il contenuto sostanziale di un accordo per la composizione di una lite tra loro insorta, sostituendosi ad esse nel fissare un regolamento negoziale da trascrivere su fogli preventivamente firmati in bianco e, quindi, destinati ad assumere, anche da un punto di vista formale, il valore di una loro diretta manifestazione di volontà. Ne consegue che detto lodo è impugnabile solo per vizi che possano vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale (errore, violenza, dolo, incapacità delle parti che hanno conferito l’incarico o dell’arbitro stesso) e, in particolare, che l’errore rilevante è solo quello attinente alla formazione della volontà degli arbitri e ricorrente quando questi abbiano avuto una falsa rappresentazione della realtà per non aver preso visione degli elementi della controversia o per averne supposti altri inesistenti ovvero per aver dato come contestati fatti pacifici o viceversa; mentre è preclusa ogni impugnativa per errori di giudizio, sia in ordine alla valutazione delle prove che in riferimento all’idoneità della decisione adottata a comporre la controversia”. 14 BIAMONTI, L., Arbitrato, op. cit., pagg. 893 ss. 15 GALGANO, F., Diritto civile e commerciale, op. cit., pag. 209.

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arbitri si presenta, a seguito del riempimento del foglio, come oggetto

immediato della dichiarazione di volontà dei contraenti16.

Altra autorevole dottrina, però, ritiene, forse preferibilmente,

che il c.d. arbitrato per biancosegno, caratterizzato dalla consegna agli

arbitri di questo foglio sottoscritto in bianco con l’autorizzazione a

riempirlo, costituisca una delle due possibili forme sotto cui può

venire in rilievo l’arbitrato irrituale e non una sua variante17. La

questione tuttavia è meramente terminologica, non avendo

conseguenze pratiche in punto di fattispecie e di disciplina. Essa, però,

consente di meglio inquadrare la fattispecie dell’arbitrato irrituale,

che, essendo una fattispecie atipica, per ritenersi ammissibile, deve

essere esaminata nelle sue estrinsecazioni concrete, le quali sono

appunto il c.d. biancosegno e quello, normalmente ricorrente, del

16 L’Autore richiamato nella nota precedente, esamina così le problematiche connesse all’eventuale abuso da parte dell’arbitro o degli arbitri, del foglio firmato in bianco ed in particolare le questioni relative alla sorte dell’atto così posto in essere. Infatti, questo sarebbe un evidente caso di divergenza tra quanto voluto dalle parti e quanto invece dichiarato, dato che si può dire voluto dalle stesse solo ciò che è conforme al patto di riempimento che accede alla consegna del biancosegno. Il problema così, secondo l’A., risulta difficilmente risolvibile in maniera sistematicamente accettabile in virtù delle norme positive, non potendosi parlare di nullità per mancanza del consenso ovvero di violenza fisica. Questo sembra uno di quei casi, per la soluzione dei quali occorre rimeditare il sistema codicistico fondato sulla disciplina dell’errore. 17 F. GAZZONI, Manuale di Diritto Privato , Milano, 2000, pagg. 1249 e ss, per il quale “anche in tal caso (nel caso del biancosegno), è ravvisabile un mandato, con la particolarità che, esteriormente, si determina una unificazione tra mandato e pronuncia dell’arbitro mentre la preventiva sottoscrizione sta ad attestare la volontà di attribuire il potere dell’arbitro mandatario e di accettarne il lodo, costituendo quindi essa l’anticipata predeterminazione di uno degli elementi della complessa fattispecie in itinere, cioè della formazione progressiva del consenso”.

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mandato ad emettere una pronuncia con un atto separato (c.d. lodo

irrituale), il cui contenuto pur presentandosi sul piano esteriore come

distinto dal mandato stesso, i privati contraenti si sono già impegnati a

considerare come vincolante e quindi ad osservare18.

Il problema dell’arbitrato irrituale si può ritenere affrontato per

la prima volta da una importante sentenza della Cassazione torinese

del 27 dicembre 190419, che riconobbe la piena validità dell’arbitrato

irrituale, considerandolo una forma di risoluzione convenzionale delle

liti, attuata a mezzo di terzi, anziché direttamente tra le parti, ed

avente la stessa efficacia di un contratto tra queste concluso.

La dottrina, invece, si è sempre mostrata discorde prima

sull’ammissibilità stessa dell’istituto e successivamente sulla sua

qualificazione giuridica. Ciò è, del resto, facilmente spiegabile ove si

18 F. GAZZONI, op. cit., pag. 1249. 19 Cass. Torino, 27 dicembre 1904, in Riv. Dir. comm ., 1905, II, 45 ss.: «Si comprende che, allorquando le parti scelgano la via giudiziale, sia pure quella del procedimento arbitramente che appartiene all’ordine dei giudizi non meno che quella del procedimento innanzi ai magistrati, debbono sottostare alle forme ed alla norme stabilite dalla legge di procedura, e che il responso degli arbitri, che è una vera sentenza, debba andar soggetto, ai mezzi di impugnativa contro i quali la legge non ammette una preventiva rinunzia. Ma quando le parti scelgono la via del componimento amichevole ancorché per mezzo di terze persone di comune fiducia, le norme di procedura più non sono applicabili, perché non si fa luogo ad un vero e proprio giudizio contenzioso ed il responso dei probiviri non è una sentenza e non può avere altro valore che quello di una risoluzione contrattuale, contro cui sarebbero sempre proponibili dinanzi all’autorità giudiziaria, come contro ogni altra specie di convenzione, tutte le eccezioni che potessero sorgere dalla mancanza dei requisiti necessari alla validità di un contratto, non mai eccezioni derivanti da mancanza delle formalità procedurali» (come espressamente richiamata in BIAMONTI, L., op. cit. pagg. 935 e ss.).

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consideri l’origine prettamente pratica e commerciale dell’istituto, non

legato, come l’arbitrato rituale, a rigorose forme processuali, e quindi

utile per evitare le maggiori lungaggini ed oneri, connessi ai giudizi

civili20. Si deve, allora, cercare di fornire un quadro, necessariamente

sintetico, dei vari filoni dottrinali sul problema dell’inquadramento

dell’arbitrato irrituale nel diritto italiano, dato che, all’evolversi delle

stesse, è corrisposto il mutare dell’impostazione giurisdizionale 21; ciò

non per il valore storico che le stesse hanno, ma per il contributo che

esse hanno fornito all’attuale posizione della cultura giuridica

sull’istituto.

E’ stato il Mortara22 il primo autore a riconoscere alle parti, in

virtù del principio della libertà contrattuale, la facoltà di deferire le

controversie alla decisione di terzi, configurando, in caso di rifiuto di

una delle parti di conformarsi al decisum, l’obbligo del risarcimento

del danno e la possibilità dell’esecuzione forzata. Con ciò, però, si

veniva a negare l’efficacia vincolante del lodo arbitrale, essendo

20 BIAMONTI, L., op. cit. pagg. 935 e ss, secondo l’A., a tale scopo, le parti possono solo adoperare la propria autonomia privata, in virtù della facoltà conferita dall’ordinamento ai privati di porre in essere negozi capaci di produrre effetti giuridici, purché tendenti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 c.c.), senza poter derogare alle norme di diritto pubblico che regolano il procedimento arbitrale e pretendendo che poi il lodo abbia la stessa efficacia di quello rituale. 21 BIAMONTI, L., op. cit. pagg. 935 e ss. e VASETTI, op. cit., pagg. 860 e ss.

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necessario ricorrere al giudizio ordinario che le parti avevano invece

voluto evitare.

I sostenitori della teoria contrattualistica pura dell’arbitrato, A.

Rocco e Satta23, ritenuto il carattere contrattuale dello stesso arbitrato

rituale, e quindi la sua natura obbligatoria, ammisero l’efficacia

vincolante dei lodi irrituali. Ma, ciò che non era pacifico era proprio la

premessa e cioè la natura contrattuale dell’arbitrato.

Sostenendo il punto di vista giurisdizionale, invece, secondo

Bonfante24, dato che la legge disciplina l’arbitrato secondo un modulo

atto a riconoscergli determinati effetti di tipo giurisdizionale, se ne

può dedurre, a contrariis, che i privati possono regolare rapporti

analoghi secondo il diritto delle obbligazioni, ammettendo così la

piena legittimità di un arbitrato svincolato dalle forme del Codice di

Procedura Civile. Questo, conseguentemente, avrà l’effetto non già di

imporsi alle parti con la forza della sentenza e quindi di assurgere alla

22 MORTARA, Commentario del Codice e delle leggi di Procedura Civile, 3° ediz., Milano, 1899, vol. III, pag. 42. 23 ROCCO, A., La sentenza civile, Torino, 1906, pagg. 45-46 e SATTA, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, Milano, 1931, spec. pag. 169 e ss. 24 BONFANTE, Dei compromessi e dei lodi stabiliti fra industriale come vincolanti dei loro rapporti e degli arbitraggi (Annali dell’Ist. di scienze giuridiche, econ., pol. e soc. dell’Un. di Messina), Messina, 1931-32, pag. 78 e seguenti.

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qualità di titolo esecutivo, ma semplicemente di obbligarle

contrattualmente25.

Carnelutti26, però, ha contestato tale argomentazione, ritenendo

ammissibile l’arbitrato irrituale in virtù del principio della libertà delle

contrattazioni27 solo per la risoluzione di controversie economiche28-29.

Dalla premessa secondo cui tra sentenza e contratto vi è differenza

solo di struttura, non di funzione, essendo le parti vincolate al precetto

della sentenza come viene dalla stessa accertato e che si manifesta

nell’autorità del giudicato, così come sono vincolate a quanto pattuito

in contratto, che ha forza di legge tra le parti (art. 1372 c.c.)30,

l’Autore evidenzia l’importanza del carattere imperativo del lodo tra

25 M. VASETTI, voce Arbitrato Irrituale, in Nuovissimo Dig. Italiano, pag. 849 e BIAMONTI, L., op. cit. pagg. 935 e ss. 26 CARNELUTTI, Arbitrato estero , in Riv. Dir. Comm ., 1916, I, 392 e ss. 27 «La libertà delle convenzioni, intesa come principio giuridico, anziché come principio politico, esiste in quanto è riconosciuta dalla legge: essa è l’espressione di quel tanto di autonomia che un determinato ordine giuridico concede alle parti nel regolare i propri rapporti», onde, come rileva il Vasetti, nella sua voce Arbitrato Irrituale, in Nuov. Dig. Ital., quell’autonomia cessa di essere rilevante ove non si manifesti nelle forme imperative segnate dalla legge. 28 Questa obiezione, che ha fortemente influenzato l’elaborazione dottrinale successiva, corrispondeva alla necessità della pratica commerciale, come evidenziava l’uso del c.d. “biancosegno”. 29 Ma vedi Cass. 10 maggio 1999, n. 4622, in Foro it., 1999, I, 2903, “Il campo di applicazione dell'arbitrato irrituale non va necessariamente circoscritto alle controversie di natura economica, con esclusione di quelle giuridiche, ben potendo le clausole di previsione dello stesso riferirsi anche a questioni attinenti alla validità od esistenza del contratto. (Alla stregua di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione della Corte di merito che aveva ritenuto che la clausola compromissoria in discussione nella fattispecie, apposta ad un contratto di assicurazione, avesse avuto ad oggetto, nella intenzione delle parti, non solo le eventuali contestazioni in ordine alla liquidazione del danno, ma anche l'an delle pretese fondate sul contratto stesso). 30 “Quando Bonfante parla di esecutorietà come caratteristica della pronuncia giurisdizionale, non può intendere che l’imperatività (cioè obbligatorietà), che non presenta alcuna differenza dalla

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le parti, deducendone, di conseguenza, che tale carattere non può

prescindere dalle forme previste dalla legge. Ne deriva perciò che

l’arbitrato irrituale risulta ammissibile solo per la risoluzione di

controversie economiche31.

Antonio Scialoja32, invece, ribadendo che il diritto privato

riconosce alle parti di deferire la risoluzione delle controversie in cui

siano incorse ad altri soggetti privati e che le relative successive

pronunce hanno il valore obbligatorio derivante dalla loro natura

contrattuale, afferma la rilevanza del principio della libertà delle

convenzioni, individuando il centro dell’indagine nei limiti che

l’ordinamento pone ai poteri di decisione degli arbitri irrituali33.

L’autore si chiede, cioè, se sia di spettanza esclusiva dello Stato il

potere di risoluzione delle controversie. La risposta negativa si impone

sol anche per legittimare l’ormai penetrante espansione dell’istituto

imperatività (obbligatorietà) del contratto”, così BIAMONTI, L., op. cit. pagg. 935 e ss., commentando la tesi del CARNELUTTI. 31 BIAMONTI, L., op. cit. pag. 938. 32 SCIALOJA, A., Gli Arbitrati liberi, in Riv. dir. comm., 1922, I, 513. 33 Contro questa ricostruzione, lo SRAFFA (Compromessi e lodi stabiliti tra industriali senza le forme dei giudizi, in Riv. Dir. Comm ., 1907, I, pagg. 429 e ss.) ha obiettato che “il dirimere le controversie è riservato allo Stato” e che “dirimere le controversie vuol dire giudicare, non dichiarare esecutivo un giudizio privato”. Scialoja ha, a sua volta, obiettato che lo Stato detiene il monopolio dell’attuazione del diritto obiettivo, non della risoluzione delle controversie. Da qui ne deduce che se gli arbitri privati decidono secondo equità, il loro lodo risulta ammissibile. Vedi M. VASETTI, op. cit., pag. 850.

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nella vita commerciale34. Si veniva, così, ad aprire la strada per il

pieno e definitivo riconoscimento dell’arbitrato irrituale.

Per Betti35, con l’ammettere l’arbitrato irrituale nelle

controversie giuridiche, si aggirerebbe la legge, la quale predispone

gli strumenti giuridici idonei a produrre quegli effetti che le parti

vogliono ottenere senza sottostare agli oneri procedurali dalla stessa

previsti.

Per altri ancora, invece, nei compromessi irrituali verrebbe

meno la stessa controversia36.

Secondo Ascarelli37, che precisa l’intuizioni dello Scialoja, le

parti possono considerare una controversia giuridica, come economica

e quindi risolverla con un negozio giuridico, accertativo dei relativi

diritti ed obblighi. L’Autore, perciò, riconduce la fattispecie alla figura

del negozio di accertamento, con il quale le parti accertano il rapporto

giuridico esistente tra le parti, differenziandosi dalla transazione

siccome mancante del requisito dell’aliquid datum aliquid retentum.

34 BIAMONTI, L., op. cit., pag. 939. 35 BETTI, Diritto Processuale Civile Italiano , 2° ediz., Roma, 1936, pagg. 42-43. 36 Come rileva giustamente M. VASETTI, questa tesi risulta inconciliabile con quella del CARNELUTTI, per il quale l’accordo tra le parti non elimina il contrasto, ma crea solo un mezzo per eliminarlo, ribadendo la propria concezione dell’arbitro quale giudice, ammissibile solo in controversie di tipo economico e non giuridico.

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D’altra parte, come ha rilevato Giorgianni38, anche se gli effetti

che le parti conseguono utilizzando l’arbitrato irrituale o il negozio di

accertamento coincidono, esistono in ogni caso differenze di struttura

e funzione39. Il negozio di accertamento è, come ogni contratto

regolativo degli interessi delle parti, frutto della diretta volontà delle

stesse e del loro potere di disposizione; l’arbitrato irrituale deriva,

invece, dalla dichiarazione del terzo nominato dalle parti. E poi,

mentre col negozio di accertamento si fissa la situazione giuridica

incerta tra le parti, con l’arbitrato irrituale si risolve una

controversia40.

Numerosi rimangono gli interventi della dottrina al riguardo,

configurandosi varie e differenti posizioni41 - 42, in ordine non solo agli

37 ASCARELLI, T., Arbitri ed arbitratori. Gli arbitrati liberi , in Nuovissimo Digesto, vol. I, Tomo II, 1929, 308 e ss.; Id., Studi in tema di contratti, Milano 1952, pag. 205 e ss.. 38 GIORGIANNI, Il negozio di accertamento, Milano, 1939, pag. 28, 88 e ss. 39 M. VASETTI, op. cit., pag. 853. 40 F. GALGANO, Diritto Civile e Commerciale, op. cit., 206 ss. 41 A titolo meramente indicativo si pensi ancora alle elaborazioni di importantissimi Autori quali, ANDRIOLI (per il quale, Efficacia del chirografo d’avaria nel tempo, in Riv. Dir. Nav., 1939, II, 284 e ss.; Id., Arbitrato ed arbitraggio nei trasferimenti coattivi , in Foro Ital., 1940, I, 815; CORRADO, Il negozio di accertamento , Torino, 1942; SANTORO-PASSARELLI, Negozio e giudizio, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1956, pagg. 1157 e ss. 42 Degna di rilievo è altresì la posizione del FAZZALARI, I processi arbitrali nell’ordinamento italiano, in Riv. Dir. Proc., 1968, 464 ss., secondo il quale il rilievo per cui il giudizio è prerogativa dello Stato o degli arbitri da esso investiti (cioè quelli rituali), è un preconcetto, in quanto, secondo l’A., proprio il riconoscimento dell’arbitrato dei privati, ai sensi degli artt. 806 e ss., dimostra come l’ordinamento contempla la possibilità del giudizio ad opere del terzo, nell’ambito dell’autonomia privata. Anzi, sembra appropriato al riguardo, riportare le stesse parole dell’A.: “Che questa (NdA: l’autonomia privata) poi disponga di strumenti per cui può fare emergere il giudizio nell’ordinamento sotto le spoglie del contratto non è circostanza che contrasti

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aspetti strutturali dell’arbitrato irrituale, con i connessi problemi di-

stintivi con le figure dell’arbitraggio e del negozio di accertamento,

ma anche in ordine alla stessa ammissibilità dell’istituto, che, tuttavia,

adesso è ritenuta assolutamente pacifica.

Sembra opportuno richiamare quella tesi dottrinale, variamente

accolta in giurisprudenza, che ricostruisce la figura dell’arbitrato

irrituale considerandola in relazione al contratto di transazione e più

precisamente all’arbitraggio nella transazione43. Rimane, tuttavia,

con l’assetto dello Stato, le cui esigenze sono tutte scontate in ciò: che lo Stato ha più a monte contemplato quella possibilità di giudizio; che, più a valle, o il dictum dell’arbitro è di quelli che acquistano efficacia pari alla sentenza, e allora vuol dire che un qualche controllo lo Stato lo ha esercitato (in sede di omologazione); o è di quelli che acquistano soltanto efficacia ex contractu , e allora vuol dire che lo Stato avrà sempre modo e tempo, ove insorga conflitto, d’intervenire sul contratto per mano del giudice. Il che salvaguarda tutte le finalità dello Stato, senza bisogno di postulare, oltre alla marcata prevalenza, nel nostro ordinamento, della vera e propria giurisdizione, l’esclusività di quest’ultima”. Da quanto detto, Fazzalari desume un solo vincolo, quello del rispetto del contraddittorio e cioè, secondo le stesse parole dell’A., “dell’attuazione di un minimo di processualità”, in modo che le parti possono far sentire le proprie ragioni. Fazzalari arriva addirittura ad affermare che le clausole che prevedono tale procedimento processuale, si possa ritenere da inserire automaticamente nel contratto ex art. 1339 c.c., costituendo un presupposto di legittimazione del potere dell’arbitro, senza il quale l’atto finale dell’arbitro deve considerarsi nullo. Alla base dell’arbitrato libero, vi è, infatti, una fattispecie negoziale “atipica” e “complessa”. Atipica, perché, da una parte, le parti con essa deferiscono la controversia alla cognizione dell’arbitro, e, dall’altra, ne recepiscono il dictum come contenuto della loro volontà negoziale. In questa prospettiva, allora, l’atipicità dell’arbitrato irrituale deve intendersi nel senso che esso nasce, in virtù dell’art. 1322 c.c., dall’autonomia contrattuale privata al di fuori degli schemi nominati, e si differenzia, perciò solo, dal compromesso su cui si incardina l’arbitrato rituale. Complessa perché contiene una parte abdicativa, comportando, con l’intesa di deferire la lite all’arbitro, la sospensione della garanzia giurisdizionale ed una parte formativa, in cui la relatio è fatta al giudizio del terzo. 43 BIAMONTI, L., op. cit. pag. 939 ; FURNO, Appunti in tema di arbitramento ed arbitrato, in Riv. dir. proc. civ., 1929, I, 137 ss, che ricostruisce l’arbitrato irrituale come contratto col quale le parti attribuiscono all’arbitro il potere di decidere, in via di accomodamento transattivo, di questioni controverse relative ad un rapporto già in precedenza concluso. Di tal che la distinzione tra arbitrato irrituale ed arbitraggio ex art. 1349 c.c. si appunterebbe in ciò, che mentre nel primo si hanno per presupposti due rapporti contrattuali, uno preesistente e non pacifico fra le parti, l’altro successivo di natura transattiva, il secondo, invece, presuppone un solo rapporto, già concluso, ma

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insuperabile l’obiezione della mancanza nel caso dell’arbitrato

irrituale, dei requisiti postulati dall’art. 1965 c.c. per la configurazione

di una transazione: aliquid datum aliquid retentum.

Al fine di meglio comprendere, l’istituto dell’arbitrato irrituale è

indispensabile esaminare le figure giuridiche cui esso maggiormente si

correla, e particolarmente, come detto, quella dell’arbitrato rituale o

proprio, senza però trascurare taluni altri istituti che vengono in rilievo

per questo thema.

Dalle disposizioni normative richiamate si ricava che l’arbitrato

rituale è qualificabile come l’istituto regolato dal codice, avente ad

oggetto l’esame e la decisione delle controversie affidate al giudizio di

arbitri privati44, ovvero anche un vero e proprio giudizio - di diritto o

di equità, così come di diritto o di equità può essere il giudizio

ordinario - che gli interessati affidano ad uno o più arbitri attraverso

un negozio giuridico (compromesso o clausola compromissoria) 45.

Secondo alcuni autori, l’arbitrato rituale ha valore

giurisdizionale, così come risulta regolato dalle disposizioni del

incompleto siccome mancante di un elemento. E così, allora, ad esempio, il “biancosegno” non sarebbe altro che una transazione in bianco. 44 Così espressamente definisce l’arbitrato rituale, BIAMONTI, L., Arbitrato, cit., pagg. 893 ss.

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Codice di Procedura Civile46. Gli arbitri rituali, in questa prospettiva,

attingerebbero la loro potestà decisoria nella legge e non nella volontà

delle parti, di cui non sarebbero mandatari.

Altri, invece, attribuiscono all’istituto natura contrattuale47.

Sono questi i due poli delle posizioni dottrinali cui è possibile

ricondurre la letteratura giuridica in materia di arbitrato rituale,

letteratura giuridica che, ancora oggi, dopo più di un secolo di

dibattito, non è giunta ad una posizione pacifica ed unitaria, in ordine

al problema della configurazione giuridica della natura dell’arbitrato

(rituale o irrituale che sia). Ciò, possiamo rilevare, deve essere anche

collegato alla variabilità e disomogeneità dei modelli pattizi delle

parti, spesso equivoci e non ben definiti, dando così buon gioco alle

più disparate posizioni dottrinali.

In tema di arbitrato rituale, sulla scorta del dettato normativo, è

opportuno distinguere il compromesso dalla clausola compromissoria.

Il primo, infatti, è un contratto di diritto privato che produce tra

le parti effetti processuali, nel senso che obbliga le stesse a portare la

45 Così invece definisce l’arbitrato rituale C. MANDRIOLI, Diritto processuale Civile, vol. III, op. cit., pag. 436. 46 GAZZONI, F., Manuale di diritto privato, op. cit., pag. 1250. 47 FAZZALARI, op. cit.,464 ss.

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controversia, nel compromesso evidenziata, non innanzi l’Autorità

giudiziaria ordinaria, ma innanzi ad un collegio arbitrale, in virtù

dell’espresso dettato dell’art. 806 c.p.c. per il quale “le parti possono

far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte”.

Questa pattuizione è sottoposta dal codice a precisi oneri

formali, data l’importanza della decisione circa la rinuncia alla tutela

apprestata dalla giurisdizione ordinaria. A tal fine, il compromesso

deve, a pena di nullità, essere fatto per iscritto 48 e deve contenere la

determinazione dell’oggetto della controversia (art. 807 c.p.c.) e la

nomina degli arbitri, ovvero il numero degli stessi ed il modo per

nominarli (art. 809, 1° c.). Tale contratto ha effetti processuali, ed,

essendo stipulato dopo l’insorgere della lite, ha contenuto specifico e

limitato all’ambito della lite stessa49.

48 Cass. 23 febbraio 1999, n. 1541, in Giust. civ. Mass. 1999, 386: “Il requisito della forma scritta "ad substantiam" richiesto per la validità del compromesso e della clausola compromissoria non postula che la volontà negoziale sia indefettibilmente espressa in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo, per converso, realizzarsi anche quando la seconda sottoscrizione sia contenuta in un documento separato, purché inscindibilmente collegato al primo (nella specie, in forza di una convenzione stipulata in esecuzione di una delibera di giunta tra un comune ed un professionista, quest'ultimo aveva redatto il progetto affidatogli e, all'esito dell'inadempimento dell'ente ai propri obblighi di pagamento, aveva promosso procedimento arbitrale in forza della clausola compromissoria contenuta nella convenzione medesima, che recava, peraltro, la sua sola firma, poiché soltanto successivamente il sindaco, con lettera raccomandata personalmente sottoscritta, gli aveva comunicato l'approvazione tutoria della delibera, invitandolo a consegnare al più presto l'elaborato previsto dalla convenzione. La S.C., nel ritenere l'inscindibile collegamento tra la lettera sottoscritta dal sindaco e la convenzione "de qua", ha ritenuto legittima l'instaurazione del giudizio arbitrale, sancendo il principio di diritto di cui in massima)”. 49 GAZZONI, F., Manuale di diritto privato, op. cit., pag. 1251.

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Diversa è la clausola compromissoria, espressamente prevista e

disciplinata dall’art. 808 c.p.c., a mente del quale “le parti, nel

contratto che stipulano o in un atto separato, possono stabilire che le

controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri,

purché si tratti di controversie che possono formare oggetto di

compromesso”. Essa, ha pur sempre, come il compromesso, efficacia

processuale50, ma, di regola, ambito più ampio abbracciando tutte le

liti che potrebbero insorgere con riguardo all’interpretazione o

all’esecuzione del contratto cui inerisce.

Per quanto riguarda la forma di questa pattuizione l’art. 808

richiama la forma prevista dall’art. 807, primo comma per il

compromesso (e cioè la forma scritta a pena di nullità) 51. Il terzo

comma dell’art. 808 stabilisce che la validità della clausola

compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al

contratto al quale si riferisce; tuttavia, il potere di stipulare il contratto

50 GAZZONI, F., Manuale di diritto privato, op. cit., pag. 1251. 51 Cass. 15 novembre 1997, n. 11318, in Giust. Civ. mass., 1997, 2181, “L’art. 808, primo comma, c.p.c. stabilisce che la clausola compromissoria deve risultare, a pena di nullità da atto scritto, del quale non sono idonee ad integrare gli estremi le eventuali memorie dei difensori delle parti dell’instaurato giudizio arbitrale, contenenti una dichiarazione di volontà intesa alla trasformazione della clausola di arbitrato libero in quella di arbitrato rituale, non essendo detti difensori muniti di procura a richiedere una modifica della clausola de qua”; ma anche Cass. 24 settembre 1996, n. 8407, in Giust. Civ. mass ., 1996, 1303, “Il requisito della forma scritta della clausola compromissoria deve ritenersi soddisfatto anche quando il documento negoziale rinvii, facendolo

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comprende il potere di convenire la clausola compromissoria.

Secondo la giurisprudenza, la clausola compromissoria, pur essendo

inserita in un negozio giuridico, a differenza del compromesso che,

come si è detto, è esso stesso un contratto, non ha natura accessoria,

ma ha propria individualità ed autonomia52 - 53 - 54. Essa costituisce una

autonoma dichiarazione di volontà distinta dalla causa del negozio

sostanziale, ed ad esso non accessoria55.

Differenza tra compromesso e clausola compromissoria 56 -57.

Per meglio evidenziare le differenze tra il compromesso e la clausola

proprio, al patto incluso in altro contratto intervenuto per iscritto tra le medesime parti, pur senza riproporlo materialmente”. 52 Cass. 26 giugno 1992, n. 8028, in Giust. Civ. mass., 1992, fasc. 6, “La clausola non è un patto accessorio del contratto nel quale è inserita, ma ha propria individualità ed autonomia, nettamente distinta da quella del contratto cui accede. Da ciò consegue, per un verso, che ad essa non si estendono le cause di invalidità del negozio sostanziale, per altro verso, che rientrano nella sua sfera di operatività anche le controversie che insorgono dopo la cessazione del contratto, quando siano indipendenti da fatti pregressi”. 53 Cass. 30 agosto 1995, n. 9162, in Giust. Civ. mass., 1995, 1570, “La clausola compromissoria ha carattere autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce, con la conseguenza che il potere di stipularla non può considerarsi compreso nelle facoltà necessarie per l’espletamento del mandato, che il rappresentato abbia conferito al proprio rappresentante”. 54 Tale autonomia rispetto al contratto che contiene la clausola compromissoria, ha rilevanza anche in ordine all’invalidità dello stesso contratto, che non comporta quella della clausola. Vedi Cass. 12 marzo 1990, n. 2011, in Giust. Civ. mass., 1990, fasc. 3, “L’Eventuale invalidità di un negozio giuridico, non si estende alla clausola compromissoria che vi accede potendo rientrare nella competenza arbitrale la stessa cognizione delle cause di nullità o annullabilità di quel negozio”. 55 Di conseguenza, rileva GAZZONI, op. cit., pag. 1251, la clausola compromissoria non è necessariamente colpita dai vizi che riguardano il contratto e i vizi per la sua validità vanno determinati in maniera indipendente, come risulta espressamente dall’art. 808, 3° comma c.p.c.. La clausola, però, ed ovviamente, è funzionalmente collegata al negozio sostanziale cui si riferisce, trovando in esso la sua ragion d’essere. 56 PUNZI, C., voce Arbitrato, in Enc. Trecc., 1988, pagg. 1-57. 57 La loro interpretazione deve essere effettuata, coerentemente con la loro natura, sulla base delle regole poste dagli artt. 1362 e ss. cod. civ., tra le quali è l’indagine sulla comune intenzione delle parti, che può essere desunta aliunde, senza, quindi, limitarsi al senso letterale delle parole, così

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compromissoria si riportano le parole del Redenti: «La clausola

compromissoria differisce dal compromesso in quanto non demanda a

posteriori agli arbitri la decisione di controversie già sorte,

identificabili e identificate come tali, bensì stabilisce a priori (cioè

preventivamente ed in ipotesi) che viene demandata ad arbitri,

nominati o nominandi, la decisione di eventuali controversie che

potranno nascere (forse che sì, forse che no) da un certo contratto

(principale) fra le parti»58.

In altre parole, mentre il compromesso è un contratto ad effetti

processuali, stipulato dopo l’insorgere della lite, con contenuto

specificamente predeterminato in relazione all’oggetto dedotto nel

contratto stesso, la clausola compromissoria ha carattere generale, in

quanto pattuita prima dell’insorgere della lite (cioè nell’eventualità

che essa sorga)59.

PUNZI, C., op. cit., pag. 14 che richiama Cass. 13 marzo 1981, n. 642 in Foro It. Mass., 1970, 212. 58 REDENTI, Diritto processuale civile, 2' ediz., III, Milano, 1954, 461. Alla suddetta distinzione si richiama anche BIAMONTI, L., op. cit., pag. 905-906, il quale ne deduce che la clausola compromissoria non può qualificarsi contratto preliminare, contrapposto al compromesso quale contratto definitivo, così come invece A. Rocco. 59 F. GAZZONI, Manuale di Diritto privato, op. cit., pagg. 1251.

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L’arbitrato rituale, così, lato sensu inteso, pur essendo gestito da

“privati”, è un istituto che può avere rilevanza pubblicistica al pari del

processo civile ordinario.

Ulteriormente è necessario evidenziare la profonda differenza

che sussiste tra arbitrato, rituale o irrituale, ed altri istituti, quali, in

primis, l’arbitraggio 60 - 61 - 62. E’ questo il caso espressamente previsto

60 Cass. 29 luglio 1995, n. 8289, in Giust. Civ. mass., 1995, 1445, “La differenza tra arbitrato ed arbitraggio deve essere ricercata nel contenuto del mandato conferito dalle parti al terzo (o ai terzi) perché, mentre nell’arbitrato le parti demandano agli arbitri il compito di risolvere divergenze insorte in ordine ad un rapporto precostituito in tutti i suoi elementi, mediante l’esplicazione di una funzione essenzialmente giurisdizionale, in guisa che la decisione sia destinata ad acquisire efficacia simile a quella della sentenza del giudice (arbitrato rituale), oppure mediante la formazione, sul piano negoziale, di un nuovo rapporto riconducibile esclusivamente alla volontà dei mandanti, senza l’osservanza, per la natura non contenziosa dell’incarico, delle norme contenute negli artt. 806 e seguenti c.p.c. (arbitrato così detto libero), nell’arbitraggio, invece, le parti demandano ad altro soggetto la determinazione, in loro vece, del contenuto di un contratto già concluso ma non completo, in modo che l’arbitratore, con la propria attività volitiva ed autonoma, concorre all’integrazione ed alla formazione del contenuto del negozio stesso”. 61 Ma M. VASETTI, voce Arbitrato Irrituale, in Nuovissimo Dig. Italiano, pag. 864, ricostruendo la figura dell’arbitrato irrituale quale arbitraggio applicato ad un negozio transattivo mediante il quale le parti hanno eliminato la lite, riducendola ad un semplice conflitto di interessi, ed identificando l’arbitrato irrituale con l’arbitratore che dà al negozio quel contenuto che le parti hanno rimesso alla sua determinazione, al contrario, arriva ad identificare le due figure. L’A., infatti, afferma che tanto nell’arbitrato irrituale che nell’arbitraggio vi è la determinazione di un terzo che non risolve una controversia, in veste di giudice, ma integra un negozio giuridico. Secondo il Vasetti, le due figure si differenziano è solo la situazione preesistente sulla quale esse operano, dato che mentre l’arbitraggio presuppone un solo ed unico rapporto contrattuale, già concluso tra le parti e quindi per loro pacifico, anche se incompleto, che il terzo arbitratore è chiamato a completare con la determinazione ex se dell’oggetto del contratto, l’arbitrato irrituale, invece, presuppone due rapporti, uno dei quali preesistente, perfetto in ogni suo elemento, ma non pacifico tra le parti, l’altro, successivo, di natura transattiva, incompleta per la mancanza di un elemento che sarà determinato dall’arbitro. Questa ricostruzione non risulta accettabile come si vedrà nel testo e risulta del resto oramai abbandonata dalla dottrina recente maggioritaria, così come anche dalla stessa giurisprudenza che riconduce la differenza tra i due istituti al contenuto contrattuale. Vedi, in questo senso, BIAMONTI, L., op. cit. pagg. 935 e ss., il quale, sulla scorta del resto di quanto ormai espressamente previsto dal Codice Civile all’art. 1349, nel caso dell’arbitraggio, al terzo arbitratore venga demandato il compito non di risolvere una controversia, ma determinare, con attività di carattere volitivo ed autonomo, il contenuto di un contratto di cui le parti abbiano lasciato indeterminato qualche elemento. 62 Tribunale Terni, 23 gennaio 1999, in Rass. Giur. Umbra , 1999, 435, “Ricorre la figura dell'arbitraggio quando le parti conferiscono ad un terzo (arbitratore) l'incarico di determinare, di

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dall’art. 1349 c.c., per le ipotesi di contratto con oggetto non

determinato, ma determinabile63 - 64.

A tal proposito, si è correttamente posto in evidenza che mentre,

come si è visto, con l’arbitrato libero, le parti deferiscono ad uno o più

arbitri la definizione di controversie che possono insorgere circa

l’interpretazione, l’applicazione o l’esecuzione del contratto,

vincolandosi ad osservare la decisione (il lodo) che sarà da essi

adottata; con l’arbitraggio, le parti deferiscono ad un terzo (detto

appunto arbitratore) la determinazione dell’oggetto del contratto, il

quale perciò risulta ancora in formazione, essendo mancante di uno

dei suoi elementi essenziali (appunto, l’oggetto). Da quanto detto,

risultano già evidenti i tratti differenziali tra gli istituti, che si possono

ricondurre a due elementi connessi: la diversità di presupposti e la

diversità di funzione65?66.

regola secondo equità, uno degli elementi del negozio in formazione, non ancora perfezionato per la mancanza di quell'elemento, cioè l'incarico di svolgere un'attività' da cui esula qualsiasi contenuto decisorio su questioni controverse, mentre con l'arbitrato rituale e con quello irrituale le parti tendono a conseguire, quali protagoniste di un conflitto, un giudizio decisorio sullo stesso”. 63 GALGANO, F., Diritto civile e commerciale, op. cit, pag. 206. 64 GAZZONI, F., Manuale di diritto privato, op. cit., pagg. 1249 e ss.. 65 PUNZI, C., voce Arbitrato, op. cit., pagg. 1-57. 66 Cass. sent. n. 1788 del 3 ottobre 1970, in Mass. Foro It ., 1970; Ibidem, Cass. sent. n. 2949 del 29 aprile 1983: “ricorre la figura dell’arbitraggio quando le parti conferiscono ad un terzo (arbitratore) l’incarico di determinare, di regola secondo equità, uno degli elementi del negozio in formazione, non ancora perfezionato per la mancanza di quell’elemento, cioè l’incarico di svolgere un’attività di cui esula qualsiasi contenuto decisorio su questioni controverse, laddove con l’arbitrato rituale e con quello irrituale, le parti tendono a conseguire, quali protagoniste di un

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Quanto alla diversità di presupposti, si nota che l’arbitrato,

anche quello libero, opera rispetto a rapporti perfetti, ma controversi,

mentre l’arbitraggio rispetto a rapporti in formazione e che

necessitano di completamento o, con più precisione, rispetto a

contratti già conclusi ma incompleti. Da questa diversità di

presupposti discende inevitabilmente e conseguentemente una

diversità di funzioni, in quanto l’arbitrato è finalizzato a risolvere la

controversia insorta, mentre l’arbitraggio ha la funzione di integrare il

contratto, determinando qualche elemento del negozio non definito

dalle parti.

Occorre poi prendere in considerazione la differenza tra

arbitrato e perizia contrattuale 67?68?69, riconosciuta dalla

conflitto, un giudizio decisorio sullo stesso, con la sola differenza che, mentre con il primo (arbitrato rituale) esse vogliono giungervi adottando il procedimento previsto dal codice di rito, con il secondo (arbitrato irrituale) vi giungono impegnandosi a far proprio il regolamento della controversia che gli arbitri liberi, conformemente al mandato ricevuto, hanno adottato”. 67 Ma nella prassi indicati anche come perizia arbitrale, perizia stragiudiziale, arbitraggio tecnico, arbitrato tecnico, ecc. 68 Cass. 21 maggio 1999, n. 4954, in Foro Padano, 2000, I, 136, con nota di CURTI, “Si ha arbitrato irrituale o libero quando la volontà delle parti e' diretta a conferire all'arbitro (o agli arbitri) il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici, mediante una composizione amichevole, conciliante o transattiva, o mediante un negozio di mero accertamento, riconducibili alla volontà delle parti e da valere come contratti conclusi dalle stesse, poiché queste si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Si ha, invece, perizia contrattuale quando le parti devolvono al terzo, o ai terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, non già la risoluzione di una controversia giuridica, ma la formulazione di un apprezzamento tecnico che preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva. La distinzione tra arbitrato irrituale e perizia contrattuale (come quella tra detti istituti e l'arbitrato rituale) va ricercata con riguardo al

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giurisprudenza come figura autonoma e distinta rispetto all’arbitrato

irrituale, anche se vi è discordia circa la differenziazione di essa con

l’arbitraggio vero e proprio.

Secondo una definizione70, la perizia arbitrale71 ricorrerebbe

allorché le parti interessate incaricano una o più persone di loro

fiducia a procedere, unicamente in base alla loro competenza tecnica,

escluso quindi ogni criterio discretivo72 - 73, ad una constatazione o

accertamento di fatto, assumendo perciò l’impegno di accettare quanto

risulterà determinato con le suddette operazioni.

Tuttavia, la figura si è andata allargando nel tempo, inglobando

aspetti che prima erano da essa sicuramente esclusi, come la redazione

di un progetto tecnico o la determinazione di più elementi di un

contratto. Di tal che la giurisprudenza è stata indotta ad affermare che,

contenuto obiettivo del compromesso ed alla volontà delle parti. La relativa indagine, pertanto, trattandosi di quaestio facti e quaestio voluntatis,rientra esclusivamente nei poteri del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in Cassazione, se motivato congruamente e immune da errori di diritto”. 69 PUNZI, C., voce Arbitrato, op. cit,. pagg. 1-57. 70 M. VASETTI, op. cit., pag. 864. 71 Cass. 13 aprile 1999, n. 3609, in Giust. Civ. mass., 1999, 829, “In tema di arbitrato irrituale e di perizia contrattuale, l'indagine diretta a stabilire se l'arbitro si sia mantenuto o meno nei limiti dell'incarico ricevuto si risolve nell'individuazione dell'estensione e dei limiti del mandato conferito, tramite la determinazione dell'effettiva volontà dei mandanti, e, quindi, in un accertamento riservato al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se condotto nel rispetto dei criteri di ermeneutica contrattuale e correttamente motivato.”. 72 Il compito degli arbitri “tecnici” sarà così di computo, calcolo, rilievo, di accertamento contabile.

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mentre, “si ha arbitrato quando si richiede il giudizio su una

controversia che implichi l’uso di un potere giurisdizionale, sia pure

esercitato con prudente arbitrio e col criterio discretivo degli

incaricati, si ha, invece, perizia contrattuale quando si richiede

soltanto una constatazione di fatto ovvero l’accertamento o la

determinazione di un elemento contrattuale in base alla competenza

tecnica delle persone all’uopo incaricate” 74. Ne è derivata, in tal

modo, una nozione opaca e poco definitiva nei suoi aspetti strutturali,

a volte difficilmente distinguibile dall’arbitrato irrituale o

dall’arbitraggio, in uno poi con la stessa imprecisione terminologica

con cui l’istituto viene indicato, utilizzando spesso sinonimi del

diverso arbitraggio, tanto che si è arrivati a negare l’esistenza della

figura, affermandosi che, in realtà, essa si identifichi ora nell’arbitrato

irrituale ora nell’arbitraggio. Tale confusione permane ancora nella

giurisprudenza, recentemente la Corte di Cassazione75 ha rilevato che,

se le parti hanno pattuito di scegliere gli arbitri nell’ ambito di una

determinata cerchia tecnico-professionale, ci troviamo di fronte a un

73 Un significato analogo attribuisce il BIAMONTI, L., op. cit. pagg. 935 e ss., alla nozione di perizia contrattuale, allorché la determinazione del terzo venga operata attraverso un mero accertamento tecnico, dal quale resta escluso ogni apprezzamento di carattere discrezionale. 74 Cass. 19 luglio 1952, n. 2270, riportata in Rep.Giur.Ital., 1952, 135, 102.

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elemento che fa pendere la soluzione della questione interpretativa in

favore della perizia contrattuale. L’affermazione è del tutto coerente

con l’idea che della perizia contrattuale esprime frequentemente la

stessa Corte suprema, dicendo che si ha “perizia contrattuale quando

le parti devolvono al terzo, o ai terzi, scelti per la loro particolare

competenza tecnica non già la risoluzione di una controversia

giuridica, ma la formazione di un apprezzamento tecnico che

preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione

della loro determinazione volitiva”76. Ma questa idea è, per un verso,

inesatta e, per altro verso, comunque insufficiente. A tutt’oggi

possiamo dire che la perizia contrattuale è un fenomeno sociale che è

nato e vive in riferimento ad alcuni casi ormai divenuti tipici77.

Dall’analisi di questi casi si possono trarre alcune caratteristiche

costanti, in virtù delle quali si può affermare che con la stipulazione di

un patto per perizia contrattuale le parti vogliono che un terzo, con

75 Cass. 15 maggio 2003, n.7516, in Giustizia Civile, 2003, fasc.11, pagg.2364-2369. 76 Cass. 21 maggio 1999 n. 4954, in Foro pad., 2000, I, 136. Cfr. anche Cass. 18 febbraio 1998, n.1721, in Giust. Civ. mass., 1998, 367. 77 I gruppi di casi sono essenzialmente quattro. Si tratta di ipotesi in cui si affida al terzo l’accertamento: 1) della conformità della prestazione compiuta alla prestazione pattuita, senza alcuna considerazione delle conseguenze giuridiche;; 2) nell’ambito di polizze assicurative di danni o infortuni, dell’ammontare del danno causato e/o del nesso causale tra un dato comportamento e l’evento dannoso; 3) della violazione di una norma di legge o contratto; 4) dell’eventuale modifica di situazioni presupposte in un contratto di durata al fine della rinegoziazione. V. BOVE, La perizia arbitrale, Torino 2001, 1 ss.

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esclusione della giurisdizione statale, risolva, in modo per esse

vincolante, una questione (di fatto e/o di diritto) rilevante nell’ ambito

di una controversia giuridica relativa ad un rapporto preesistente78,

questione per la cui soluzione sono necessarie, essenzialmente,

conoscenze non giuridiche, legate ad una certa scienza o tecnica od

anche a determinate prassi commerciali. Con ciò la perizia

contrattuale ha una sua particolarità strutturale e funzionale, nonché

una sua specifica utilità pratica. La particolarità sta nel fatto che al

terzo è devoluta solo la decisione di una “questione” di particolare

pregnanza tecnica e non l’intera controversia giuridica79. Quindi il

fatto che i contraenti abbiano inteso scegliere gli arbitri in un certo

ambito professionale può avere un peso, ma di per sé solo è poco

significativo per far propendere in favore della perizia contrattuale. Né

è condivisibile l’affermazione del Supremo Collegio, quando sostiene

78 Quindi la perizia arbitrale non partecipa alla formazione dei rapporti, in altri termini essa no è un arbitraggio. 79 Cass., III sezione, 4 settembre 2003, n. 12880: "Si ha perizia contrattuale quando le parti devolvono al terzo, o ai terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, la formulazione di un apprezzamento tecnico che preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro detreminazione volitiva", con nota di BATTELLI, in Giurisprudenza Italiana , 2003, 1857 ss.

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che la perizia contrattuale è fenomeno più affine all’arbitrato libero

che non all’arbitrato rituale80.

Ulteriori problematiche sorgono in ordine al tema dei rapporti

tra l’arbitrato e le altre forme non giurisdizionali di risoluzione delle

controversie, le c.d. ADR (Alternative Dispute Resolution)81. Siffatta

categoria è probabilmente assimilabile a quella dei c.d. “equivalenti

giurisdizionali”82, elaborata dalla dottrina italiana. Tali strumenti

alternativi sono posti su un arco delimitato da un lato dallo strumento

tipico di autocomposizione – o composizione diretta – della

controversia, che è la transazione, e dall’altro da quello tipico di

eterocomposizione, che è l’arbitrato. In una posizione intermedia fra

questi due strumenti si colloca la conciliazione: essa è diversa

dall’arbitrato, perché costituisce uno strumento di composizione

diretta della lite ad opera delle stesse parti, nella quale la soluzione

della controversia non è rimessa al giudizio e alla decisione di un terzo

80 BOVE, Su alcuni problemi di interpretazione e di qualificazione giuridica tra arbitrato rituale, arbitrato libero e perizia contrattuale, in Giustizia civile, 2003, fasc.11, pagg. 2364-2369, pt I. 81 E’ difficile fornire una esatta delimitazione della categoria delle ADR, data la mancanza di una definizione normativa di ADR, non solo a livello di convenzioni internazionali, ma anche di legislazione nazionale dei paesi di common law nei quali il fenomeno è nato ed è maggiormente diffuso. Un interessante tentativo definitorio si rinviene oggi nel Libro Verde che la Commissione europea ha pubblicato in data 19 aprile 2002 (Com (2002) 196), nonché nel correlato Parere del Comitato economico e sociale europeo, pubblicato in data 8 aprile 2003.

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arbitro; ma è altresì diversa dalla transazione, perché se quest’ultima

si perfeziona con il mero incontro della volontà delle parti, lontano

dagli occhi più o meno discreti dei terzi, la conciliazione, viceversa,

richiede ancora l’incontro della volontà delle parti, ma con la presenza

e l’intervento di un terzo, il conciliatore, il quale, valutate le

contrapposte posizioni delle parti e individuata la giusta composizione

della controversia, su questa basi offre alle parti il suo consilium e

provoca il concilium, ossia l’aggregazione e l’incontro delle loro

volontà, pervenendosi così alla conciliazione. Per cui, si può

sottolineare che, se l’arbitrato costituisce un modo di risolvere le

controversie attraverso una decisione vincolante, pronunciata all’esito

di un giudizio, con la conciliazione, invece, le parti chiedono ad un

terzo o a un Collegio di prestare loro assistenza affinché esse possano

raggiungere una definizione amichevole della lite, senza tuttavia che

detto terzo o detto Collegio, anche nelle ipotesi di conciliazione

82 Tale categoria, nella quale far confluire arbitrato, rinuncia, riconoscimento, conciliazione e transazione, è stata proposta da CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, 5° ediz., I, Roma, 1956, 60.

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svolgentesi in sede contenziosa davanti ad un magistrato, abbiano

l’autorità di imporre alle parti una soluzione vincolante83.

I dubbi84 prospettati e le incertezze riguardanti la ricostruzione

dogmatica dell’ istituto si riverberano, inevitabilmente, nella soluzione

di importanti questioni ad esso connesse: ad esempio, la vessatorietà

ex art. 1341 c.c. della clausola compromissoria per arbitrato irrituale,

negata, com’ è noto da una costante giurisprudenza, in contrasto con

la prevalente dottrina; le regole procedurali necessariamente operanti

nell’ arbitrato libero (imparzialità dell’ arbitro, rispetto del principio

del contraddittorio, obbligo di motivare il lodo); l’ambito del

successivo controllo giudiziario, con riguardo al quale, come si sa, una

ferma giurisprudenza esclude la rilevanza degli errori di giudizio e di

diritto in cui siano incorsi gli arbitri irrituali; la compatibilità tra tutela

cautelare ed arbitrato libero.

Il carattere sfuggente della figura in esame è inoltre acuito dalla

circostanza che all’ arbitrato libero il legislatore – manifestando una

certa ritrosia - diversamente da quanto si è verificato per l’arbitrato

83 PUNZI, Relazioni fra l’arbitrato e le altre forme non giurisdizionali di soluzione delle liti, in Riv. Arb ., 2003, fasc. 3, pagg. 385-410. 84 MARINELLI, La natura dell’arbitrato irrituale: profili comparatistici e processuali, Torino, 2002, pagg.4-6.

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rituale, previsto e regolato dal c.p.c., non ha mai dedicato attenzione in

tema di disciplina generale del fenomeno arbitrale, ma solo alcuni

accenni in legislazioni speciali (art. 619 c. nav. concernente il

chirografo d’avaria; in materia di lavoro gli artt. 412-ter e 412-quater

c.p.c.; in materia sportiva, l’ art. 4 quinto comma della legge 23 marzo

1981, n. 91).

E’ poi, corrente – non solo tra gli studiosi italiani, ma anche tra

quelli stranieri - l’ affermazione che l’arbitrato irrituale costituisca una

peculiarità, un’esclusiva dell’ ordinamento italiano. In realtà, il

desiderio di approfondire tale profilo ha evidenziato come questa

communis opinio debba essere rimeditata, in quanto la figura

dell’arbitrato libero o negoziale sembra essere presente in vari

ordinamenti giuridici stranieri, la cui prassi ben conosce, seppur

variamente denominandoli, fenomeni che, al pari dell’arbitrato

irrituale italiano, sono figure alternative all’arbitrato disciplinato dai

vari codici di procedura, e che compongono stragiudizialmente una

controversia civile su un piano puramente contrattuale o negoziale.

Così nell’ambito degli ordinamenti germanici (Germania,

Austria e Svizzera), assai frequente è il ricorso allo

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“Schiedsgutachten” (perizia arbitrale), con cui le parti compongono

stragiudizialmente la controversia esistente su un piano elusivamente

contrattuale; in via alternativa quindi – quanto ad effetti e disciplina -

all’arbitrato disciplinato dai rispettivi codici processuali.

Anche nell’ordinamento francese ed in quello belga, malgrado

la sostanziale ostilità della dottrina e giurisprudenza verso l’arbitrato

libero, questa figura, ad una più attenta indagine, vive sotto le spoglie

della “expertise irrevocable ou obligatoire ou conventionelle”

(perizia irrevocabile od obbligatoria o convenzionale). Con la clausola

d’expertise le parti del contratto s’impegnano a far risolvere le

controversie nascenti dal medesimo da uno o più experts, in via

puramente negoziale ed alternativa alla giurisdizione ordinaria e

all’arbitrato disciplinato, rispettivamente, dal code du procedure e dal

code judiciaire.

In Olanda, accanto all’ arbitrato previsto dal codice di

procedura, dottrina e giurisprudenza – a datare da una celebre

decisione della Suprema Corte olandese del 1924 - ammettono

pacificamente il “bindend advies” (parere vincolante); il quale è un

contratto atipico con cui le parti risolvono negozialmente la

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controversia esistente sulla base di un parere (advies) che esse

affidano ad un terzo di comune fiducia e s’impegnano

preventivamente ad accettare come vincolante.

Non solo. Anche negli ordinamenti di common law, accanto

all’arbitrato (funzionalmente) giurisdizionale – qui denominato

“voluntary arbitration” - la prassi ben conosce figure corrispondenti a

quello che, negli ordinamenti di civil law, è l’arbitrato irrituale o

libero. Si tratta della “valuation” (negli Usa più frequentemente

denominata “appreisal”) e soprattutto della “certification”.

Alla luce di tutto questo, dal punto di vista del diritto positivo,

si impongono delle osservazioni di carattere generale.

In primis, che qualunque specie di arbitrato trova la sua fonte in

un atto di autonomia privata85. Sembrano infatti prevalere le vedute

85 MONTELEONE, G., Il nuovo regime giuridico dei lodi arbitrali rituali, in Riv. dir. proc., 1985, pagg. 552 e ss., il quale rileva come tale affermazione secondo cui “qualunque forma di arbitrato trova la sua fonte in un atto di autonomia soggettiva”, fosse già risalente al CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1935, pagg. 70 e ss.; al FAZZALARI, Istituzioni di diritto processuale , 3° ediz., Padova, 1983, 321-323; ed al SATTA, Meditazioni sull’arbitrato, in Quaderni del diritto e del processo civile, III, Padova, 1970, 3 e ss.; Id., Commentario al Codice di procedura civile, IV, 2, Milano, 1971, 162 e ss. Cass. 26 novembre 1999, n. 13174, in Giust.civ.Mass. 1999, 2354: “Qualunque sia la natura, privatistica o pubblicistica, dell'arbitrato rituale, tra i contendenti e gli arbitri si perfeziona, con l'accettazione dell'incarico da parte di questi, un contratto di diritto privato, riconducibile al contratto d'opera intellettuale, dal quale deriva l'obbligo in via solidale dei contendenti di corrispondere il compenso per l'opera prestata, rimanendo ininfluente, a tali effetti, il carattere unilaterale della devoluzione effettiva della controversia agli arbitri”.

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che propugnano la natura privatistica dell’arbitrato, che scorgono in

esso un processo privato86.

Anche l’arbitrato rituale costituisce una manifestazione del

potere originario che hanno le parti di autodeterminarsi, una

manifestazione di libertà soggettiva, un compromesso consapevole

delle parti. Niente potrà mai eliminare tale manifestazione della

volontà individuale, perché niente potrà mai impedire a dei soggetti in

contrasto tra loro di risolvere con strumenti privati la controversia

insorta87 - 88.

86 FAZZALARI, voce Arbitrato, in Enc. Dir. Agg., 1998, pagg. 81 e ss. 87 LAUDISA, L., Arbitrato Rituale e libero: ragioni del distinguere, in Riv. Arbitrato, 1998, 211 e ss. 88 Cass. 13 aprile 2001, n. 5527, in Commentario al Codice di Proc. Civ., annotato con la giurisprudenza, La Tribuna, 2002, pag. 2056 (art. 806 c.p.c.): “L’arbitrato rituale, come quello irrituale, ha natura privata, configurandosi sempre la devoluzione della controversia ad arbitri come rinuncia all’azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato e come opzione per la soluzione della controversia sul piano privatistico, secondo il dictum di soggetti privati; pertanto, la distinzione tra arbitrato rituale ed arbitrato irrituale non può imperniarsi sul rilievo che nel primo le parti abbiano demandato alle parti una funzione sostitutiva di quella del giudice; la differenza va, invece, ravvisata nel fatto che, nell’arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., con l’osservanza del regime formale del procedimento arbitrale; nell’arbitrato irrituale esse intendono affidare all’a rbitrato la soluzione di controversie solo attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà”. Ma si consideri anche, Ibidem, Cass. civ., sez. I, 3 maggio 2000, n. 5505: “La differenza tra arbitrato rituale ed irrituale va ricondotta alla dicotomia giudizio - contratto, nel senso che con l’arbitrato rituale si demanda agli arbitri l’esercizio di un potere decisorio alternativo e sostitutivo rispetto a quello del giudice ordinario, che si concretizza in una pronuncia avente efficacia corrispondente a quella della sentenza, mentre con l’arbitrato libero le parti incaricano gli arbitri di eliminare la controversia mediante un procedimento che mira alla formazione di un risultato a carattere negoziale, vincolante nei confronti delle parti stesse”.

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Ciò del resto ha la sua rilevanza in ordine alla legittimità

costituzionale dell’istituto89.

Entrambe le figure di arbitrato mirano sicuramente alla

risoluzione di una controversia giuridica e sicuramente si presentano

come attività di privati e non di pubblico potere, senz’altro dunque

forme di una giustizia privata autonomamente efficace, in una visione

dunque non più necessariamente statalista della giurisdizione.

Ciò emerge ancor più dopo le novelle l. n. 28 del 1983 e l. n. 25

del 1994, che restituiscono all’istituto dell’arbitrato la sua limpida

fisionomia privatistica. E’, infatti, venuta meno la necessità – prima

imposta ad substantiam actus – del deposito del lodo presso il

tribunale, per l’omologazione: ora lo svolgimento dell’arbitrato

innanzi ad arbitro (privo di poteri d’imperio) mette capo ad una di lui

volizione che svolge immediata efficacia nel patrimonio dei litiganti

in virtù della sua pregressa investitura da parte loro, e dunque sul

piano della loro autonomia di diritto privato (cioè ad essi largita

dall’ordinamento statuale)90.

89 MONTELEONE, G., op. cit., pag. 559. 90 FAZZALARI, Arbitrato, cit., pagg.82 e ss, 1998.

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Però se unico è il genere “arbitrato”, diverse sono le specie che

esistono in base al diritto positivo; due figure che, nonostante siano

finalizzate al medesimo obiettivo, mantengono le loro differenze91.

Infatti, da un canto non si può certo vietare al legislatore di prendere

atto del fenomeno, e cioè della volontà delle parti in contesa di

giungere per via arbitrale e di compromesso alla soluzione della lite, e

di fornire alle stesse uno strumento formale nel quale incanalare la

propria autonoma determinazione. Il legislatore, nel fare ciò, impone

alle parti degli oneri e degli obblighi, attribuendo in compenso all’atto

conclusivo del giudizio arbitrale speciali e determinati effetti giuridici,

predisponendo di conseguenza appositi mezzi di tutela giurisdizionale

verso di esso. Nel caso in cui le parti lo desiderano, scelgono tale

91 M. VASETTI, op. cit., pagg. 856 e ss, addirittura, afferma che non soltanto occorre tener distinte le due figure giuridiche, ma che occorre collocarle su piani completamente diversi, in corrispondenza della loro diversità di natura e di struttura, qualunque sia la posizione assunta in ordine alla natura giuridica dell’arbitrato rituale e sulla configurazione giuridica di quello irrituale. Infatti, afferma l’A., il primo è un istituto da collocarsi in ogni caso nel campo del processo, in quanto, pur avendo origine su un terreno privato, culmina in un atto dal valore giurisdizionale; il secondo, invece, è da collocarsi interamente nel campo del diritto sostanziale. Perciò, continua il VASETTI, si ha arbitrato rituale allorché le parti incaricano una o più persone di risolvere determinate controversie, che siano insorte o possano insorgere tra loro, con i poteri e gli obblighi propri della funzione giurisdizionale, ossia una pronuncia che sia l’espressione di di un giudizio sulle opposte pretese, formulato in base alle risultanza dei mezzi probatori e destinata ad acquisire una efficacia pari a quella del giudice; si ha invece arbitrato irrituale allorché le parti conferiscono al terzo o ai terzi l’incarico di comporre il loro contrasto attuando una soluzione negoziale e più specificatamente transattiva, che, in forza della previa accettazione fattane, vincola le parti allo stesso modo che se fosse fatta tra loro. Perciò tanto l’uno quanto l’altro presuppongono una controversia da risolvere, ma questo è solo ciò che gli istituti hanno in comune, essendo profondamente diverso, secondo l’A., tutto il resto. Questa posizione risulta ad oggi obsoleta per

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forma di arbitrato, che, essendo soggetto a particolare disciplina

giuridica processuale, viene chiamato appunto “rituale”, senza che

tuttavia possa venire snaturata l’origine dell’istituto che poggia

sempre sulla volontà degli interessati. Esse, per ottenere un esito

immediatamente efficace ai loro fini, senza un ulteriore intervento

statale e dunque per ottenere un atto paragonabile negli effetti alla

sentenza del giudice togato, hanno a disposizione l’apposito strumento

dell’arbitrato rituale92.

Dall’altro canto, non si può impedire alle parti, che in ogni caso,

intendono giungere per via arbitrale alla soluzione della lite, di

discostarsi dal modello predisposto dalle norme processuali.

Sebbene, l’esperienza si è, poi, incaricata di dimostrare che

quello “irrituale” è un arbitrato – alla stessa stregua del “rituale”- e

non un arbitraggio: ha per oggetto la controversia su di un preesistente

rapporto giuridico; è un processo, stante la imprescindibile

gli sviluppi legislativi e dottrinali che si sono avuti in materia come si avrà modo di evidenziare in particolare nel corso del cap. II. 92 MONTELEONE, G., op.cit., pag. 560.

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partecipazione dei litiganti, in contraddittorio, alla fase di

(ri)cognizione dei presupposti del lodo93.

L’arbitrato irrituale è processo che, al pari di quello rituale,

s’instaura e si svolge sul piano dell’autonomia di diritto privato. Ma a

differenza del rituale, esso non ha prospettiva di potenziamento del

suo risultato da parte dello Stato-giudice: il che riproduce, per uno

spiegabilissimo ricorso storico, la caratteristica originaria

dell’arbitrato, ed esige di riconoscere a questa specie, sul piano

teorico, l’importanza che ad essa spetta e il merito di aver imposto la

rivisitazione dell’arbitrato rituale e il suo affrancamento dalla servitù

giuspubblicistica94.

Proprio a partire dalla comune struttura processuale e dalla

comune natura privata delle due specie, emerge per l’arbitrato irrituale

– in luogo dell’impostazione ancorata all’arbitraggio e, suo tramite, al

contratto per relationem (delle parti all’arbitro) - un assetto del tutto

diverso e più coerente. Ormai, la disciplina dell’arbitrato irrituale può

e deve rifarsi a quella dell’arbitrato rituale: la quale ultima, ancorchè

inserita nel codice di rito (art. 806 ss.), appartiene all’area del diritto

93 FAZZALARI, I processi arbitrali nell’ordinamento italiano, in Riv. Dir. Proc., 1968, 468, ed ora CARPI, Il procedimento nell’arbitrato irrituale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, 389 ss.

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privato (con la sola esclusione della parte, schiettamente pubblicistica,

relativa all’omologazione del lodo, ed al rito delle impugnazioni del

medesimo) e si estende, perciò, naturaliter all’arbitrato non rituale95.

Nonostante lo sforzo di “procedimentalizzazione” dell’arbitrato

libero, molti autori e la stessa giurisprudenza96, rimangono ancora

fermi sulla natura puramente negoziale dello stesso, riconducendolo

all’art.1322 c.c., alle norme sul mandato e sulla transazione, secondo

uno schema in tutto o in parte contrattuale97. Essi rimarcano quelle

differenze tra i due istituti che attengono sia al procedimento sia agli

strumenti di tutela giudiziaria e considerano il lodo irrituale

impugnabile soltanto in via d’azione per quei motivi che

94 FAZZALARI, Arbitrato, cit., 83, 1998. 95 Cass. 7 giugno 1985, n. 3394, in Foro it., 1985, I, 1959 ss., ha affermato, sviluppando una linea ben presente in altre decisioni (Cass., 3 maggio 1984, n. 2680, in Foro it., 1984, I, 1836), che “i principi esposti, elaborati segnatamente in relazione all’arbitrato rituale, sono parimenti validi per l’arbitrato irrituale, essendo anche questo – indipendentemente dal più generale scoloramento della linea di demarcazione tra la funzione pratica dei due is tituti – finalizzato alla giusta composizione (negoziale) di un conflitto tra interessi contrapposti e reclamando perciò, anch’esso indefettibilmente il concorso della volontà dei rispettivi portatori nella designazione degli arbitri…e l’imparzialità di quest’ultimi”. La giusta composizione è decisione in processo non giurisdizionale, non certo transazione. L’idea di giustizia implica l’attribuzione di diritti, indipendentemente dalla presenza della forza esecutiva nella decisione; CARPI, Il procedimento cit. 1991, 394. Vedi anche Trib. Venezia (ord.), 29 novembre 1989, in Foro it., 1990, I, c. 731 e in Giur. It., 1991, I, 2, c. 44 ss.; amplius in cap.II. 96 Corte d’Appello di Milano 20 novembre 2002 n. 2994, in Riv. Arb . 2003, 773 ss.; Ibidem Cass. 8 agosto 2001 n. 10935; Cass. 17 gennaio 2001 n. 562; Cass. 28 giugno 2000 n. 8788, in Giust. Civ. mass., 2000, 1424; Cass. 22 febbraio 1999 n. 1476, in Gius, 1999, 1137; Cass. 6 dicembre 1997 n. 12429 in Riv. Arb ., 1998, 284; Cass. 21 maggio 1996 n. 4688, in Riv. Arb., 1997, 61 ss., con nota di LAUDISA ; Cass. 4 ottobre 1994 n. 8046, in Corr. giur., 1994, 1328 ss., con nota di CARBONE ; Cass. 8 febbraio 1998, n. 1341, in Mass. Giur. Lav., 1998, 709, con nota di CECCHELLA ; Trib. di Milano 7 novembre 1998, in Giur. comm., 1991, II, 825, con nota di TURANO.

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rappresentano i vizi tipici dei negozi giuridici98, con adattamenti di

rilievo per quanto concerne l’errore. In particolare per quanto attiene a

quest’ultimo, la giurisprudenza ritiene che l’impugnazione possa

esprimersi soltanto se esso consiste in una “alterata percezione o in

una falsa rappresentazione”, con esclusione, quindi, dell’errore di

giudizio99.

Tale restrizione dell’ambito dei motivi d’impugnazione del lodo

libero a quelli di annullabilità del contratto ha costituito e costituisce,

secondo Fazzalari, uno dei più insidiosi frutti della infondata

distinzione fra “giurisdizionalità” dell’arbitrato rituale e

“contrattualità” di quello irrituale. Varrebbe, invece, quanto

all’invalidità dell’arbitrato irrituale – da sottoporre al giudice di primo

grado, secondo l’ordinario rito – la tipologia dei vizi articolati

dall’art. 829 c.p.c., la quale appartiene anch’essa alla disciplina

privatistica: è a tali vizi che l’azione contro il lodo si collega.

97 BOVE, Note in tema di arbitrato libero , in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, 687 ss.; RUBINO SAMMARTANO, Il diritto dell’arbitrato, Padova, 2002, 72 ss. 98 Ossia incapacità, errore, violenza, dolo, esorbitanza dal mandato: cfr. Cass. 8 agosto 1990, n. 8010, in Foro it., 1990, 435. 99 Cass. 18 gennaio 1993, n. 579; Cass. 28 novembre 1992, n. 12725, in Foro it., 1993, I, 408; Cass.26 gennaio 1988, n.664, in Giust. Civ. mass., 1988, 756; Cass. 9 agosto 1985, n. 440, in Giust. Civ. mass., 1985, 1034. Circa il dolo, la Suprema Corte suole ritenere che soltanto ove esso sussista il lodo sia impugnabile per iniquità manifesta (cfr. Cass. 29 agosto 1995, n. 9070, in giust. Civ. mass.,1995, 1553; Cass. 19 agosto 1992, n. 9654, in Giust. Civ. mass., 1992, fasc. 8-9; Cass.

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Mentre il lodo rituale, impugnabile direttamente in Corte di

appello (art. 828 c.p.c.), è soggetto a specifica impugnazione ed al

relativo termine, quello libero è controvertibile in prime cure senza

limiti di tempo (salvo quelli delle prescrizioni del diritto, che possono

essere fatti valere in giudizio). Perciò, mentre il lodo rituale non

ancora omologato diventa definitivo per preclusione dell’impugnativa

a termine spirato, quello irrituale rimane aperto all’azione giudiziaria

volta a farne valere l’invalidità.

Mentre, di regola, la invalidità del lodo rituale può esser fatta

valere nonostante qualsiasi rinuncia preventiva, nell’arbitrato irrituale

le parti possono impegnarsi preventivamente a non far valere

eventuali invalidità.

Ancora, si ritiene che i vizi che importano contro il lodo rituale

l’impiego della revocazione possano farsi valere anche contro il lodo

irrituale, sempre mediante l’azione innanzi al giudice di primo grado:

sono altrettanti vizi che, essendo tipici del “giudizio”, si aggiungono –

ancora, nell’ambito della disciplina comune al “giudizio privato” ,

rituale o libero (artt. 806 ss. c.p.c.) – a quelli di cui all’art. 829.

28 ottobre 1986, n. 6311, in Giust. Civ. mass., 1986, fasc. 10), nel che è implicita l’applicazione dell’art. 1349 c.c., che riguarda l’arbitraggio. Vedi, amplius, in II cap.

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La opposizione di terzo, in quanto suppone la esecutività e/o il

passaggio in giudicato, non è applicabile al lodo irrituale, privo

com’esso è di esecutività e di definitività. Peraltro, il terzo dispone

contro tale lodo – come contro l’altrui condotta che pregiudichi il di

lui diritto – delle azioni ordinarie: così di quella di rivendica, di

accertamento del proprio diritto, dell’azione revocatoria, dell’azione

di nullità100.

Alla luce di tutto questo, e al di là di tali contrapposte posizioni,

non bisogna, però, dimenticare che le differenze tra i due tipi di

arbitrato permangono e che attraverso il processo arbitrale disciplinato

dal codice di procedura civile, le parti in contesa possono giungere

alla risoluzione della lite tramite una decisione alla quale

l’ordinamento riconosce qualità ed effetti propri della sentenza del

giudice ordinario.

Nel preesistente sistema legislativo, tali effetti venivano

attribuiti al lodo in seguito al deposito ed all’omologazione della

decisione arbitrale, ma, in seguito alla legge 9 febbraio del 1983 n. 28

e alla legge 5 gennaio 1994 n. 25 il lodo acquista, sin dalla data

100 FAZZALARI, Arbitrato cit, 1998, 71 ss.

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dell’ultima sottoscrizione, l’efficacia decisoria propria dell’atto

giurisdizionale, non trasformandosi in sentenza, cioè in un atto

formalmente giurisdizionale, ma acquistando gradualmente alcune

qualità ed alcuni effetti che la legge attribuisce ad esso, proprio perché

rituale, ad eccezione soltanto dell’efficacia esecutiva e dell’idoneità

all’iscrizione di ipoteca e alla trascrizione, che dipende da un ulteriore

intervento da parte del tribunale (artt. 823 e 825 c.p.c.).

Effetti, e bene evidenziare, che non si rinvengono in quello

irrituale, proprio perché è la legge che non glieli attribuisce.

Dunque, anche se non si può certo dubitare della natura

negoziale di qualsiasi specie di arbitrato, espressione di una non

derogabile autonomia privata, grazie alla quale i soggetti possono

decidere di assoggettare ad arbitri la soluzione di una lite già sorta o

che potrebbe sorgere, è sufficiente la volontà “a monte” delle parti per

attribuire al lodo arbitrale effetti diversi, sia sul piano, come abbiamo

già detto, dell’impugnazione della decisione, sia sul piano della

capacità del lodo ad incidere sul rapporto controverso a prescindere da

qualsiasi ulteriore intervento della giurisdizione ordinaria.

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In sostanza, i compromettenti che preferiscono la riservatezza

propria dell’atto privato e confidanti nella spontanea osservanza del

dictum degli arbitri, opteranno quasi certamente per l’arbitrato

irrituale, mentre negli altri casi le parti sceglieranno l’arbitrato come

disciplinato dal codice di procedura civile.

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1.2

Interpretazione della clausola compromissoria

Un breve accenno è doveroso circa la questione

dell’interpretazione della clausola compromissoria, in quanto solo da

una corretta interpretazione di questa è possibile desumere l’effettiva

volontà delle parti in ordine all’uno o all’altro tipo di arbitrato.

Distinguere nei singoli casi quando ricorra l’una o l’altra forma

di arbitrato, non è operazione sempre facile.

Affermare se le parti, con il compromesso o con la clausola

compromissoria abbiano voluto dare vita ad un arbitrato rituale o

irrituale, è un esercizio che va condotto in stretto ossequio alle regole

di ermeneutica contrattuale, interpretando quale sia stata la loro

concorde volontà101.

Sulla questione, secondo l’indirizzo prevalente della Suprema

Corte102, nell’interpretare una convenzione arbitrale, si dovrà scegliere

a favore dell’arbitrato rituale quando le parti abbiano inteso affidare

agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, ed a favore

101 Così oramai la prevalente dottrina e la giurisprudenza. Vedi GAZZONI, F., Manuale di diritto privato, op. cit., pag. 1249. 102 Cass. 28 giugno 2000, n. 8788, in Giust. Civ. mass, 2000, 1424; Cass. 29 novembre 2000, n. 15292, in Giust. Civ. mass., 2000, 2459; Cass. 23 giugno 1998, n. 6248, in Giust. Civ. mass.,

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dell’arbitrato irrituale quando esse, le parti, abbiano inteso demandare

agli arbitri la risoluzione di determinate controversie in via puramente

negoziale, mediante un negozio d’accertamento, dovendosi in ogni

caso propendere, nel caso in cui residuino dubbi sull’effettiva volontà

dei contraenti, per l’irritualità dell’arbitrato, atteso che l’arbitrato

rituale, introducendo una deroga alla competenza del giudice

ordinario, ha natura eccezionale103.

Tale attività ermeneutica circa la natura dell’arbitrato,

presuppone l’esame e la valutazione diretta del patto compromissorio

nella sua interezza e non avendo esclusivo riguardo all’uso delle

espressioni usate singolarmente104?�105?�106.

1998, 1386; Cass. 24 luglio 1997 n. 6928, in Giust. Civ. mass.,1997, 1267. In senso diverso Cass. 13 aprile 2001, n.5527, in Giust. Civ. mass., 2001, 786. 103 Cass. 23 giugno 1998, n. 6248, in Giust. Civ. mass., 1998, 386, “In tema di interpretazione di una clausola compromissoria, il carattere rituale ovvero irrituale dell’arbitrato in essa previsto va desunto con riguardo alla volontà delle parti, ricostruita secondo le ordinarie regole di ermeneutica contrattuale, ricorrendo la fattispecie dell’arbitrato rituale quando sia stata demandata agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, integrandosi, per converso, l’ipotesi dell’arbitrato libero quando il collegio arbitrale sia stato investito della soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio di accertamento ovvero strumento conciliativi o transattivi. Tale attività ermeneutica circa la natura dell’arbitrato presuppone in sede di legittimità, l’esame e la valutazione diretta del patto compromissorio da parte della Corte, che non può limitarsi al mero controllo formale della decisione del giudice del merito, incidendo la soluzione della questione dedotta sul problema processuale dell’ammissibilità stessa dell’impugnazione del lodo per nullità dinanzi al giudice di appello, ovvero della sua eventuale impugnabilità dinanzi al Tribunale per vizi negoziali. Il permanere del dubbio interpretativo circa la effettiva volontà dei contraenti, impone, come corretta opzione interpretativa, la dichiarazione della irritualità dell’arbitrato, tenuto conto del carattere del tutto eccezionale dell’arbitrato rituale, introduttivo, pur sempre, di una deroga alla competenza del giudice ordinario”. Ma vedi pagg. 53-54. 104 Cass. 26 Maggio 1989 n. 2538, in Giust. Civ. mass., 1989, fasc. 5, “L’interpretazione della clausola compromissoria deve essere compiuta avendo riguardo alla comune intenzione delle parti,

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In ogni caso, affermano le Sezioni Unite della Corte di

Cassazione107, comportando il deferimento di una controversia al

giudizio degli arbitri, una deroga alla giurisdizione del giudice

ordinario, la clausola compromissoria deve essere espressa in modo

chiaro ed univoco108, con riguardo alla precisa determinazione

che può desumersi anche aliunde e non va limitata al significato letterale delle parole, non avendo questo valore decisivo e determinante”. 105 Cass. 5 settembre 1992, n. 10240, in Giust. Civ. mass. , 1992, fasc. 8-9, “Al fine di determinare se una determinata clausola compromissoria configuri arbitrato rituale o irrituale - ciò che comporta esame diretto degli atti anche da parte della Corte di Cassazione ove la relativa questione incida su problemi processuali costituenti l’oggetto del giudizio di legittimità, quale quello della competenza o dell’ammissibilità dell’impugnazione del lodo per nullità o della tempestività della eccezione di arbitrato e della proponibilità della domanda al giudice ordinario - deve aversi riguardo all’effettiva volontà delle parti desumibile dall’intero contesto della pattuizione e non dall’una o dall’altra delle espressioni utilizzate singolarmente, con la conseguenza che correttamente il giudice del merito riconosce la sussistenza dell’arbitrato irrituale quando le parti non si siano limitate a sancire il potere arbitrale di decidere pro bono et aequo , ma abbiano altresì precisato il valore della decisione degli arbitri come convezionale ed equivalente ad un regolamento fra esse medesime concordato ed abbiano altresì stabilito la disciplina del procedimento arbitrale mediante rinvio ad una fonte regolamentare approntata da terzi (nella specie, al regolamento arbitrale dell’Associazione Granaria di Milano), la quale contenga disposizioni caratteristiche della natura irrituale dell’arbitrato disciplinato”. 106 Cass. 24 luglio 1997, n. 6928, in Giust. Civ. mass., 1997, 1267, “Al fine di accertare se una determinata clausola compromissoria prefiguri un arbitrato rituale o irrituale deve aversi riguardo all’effettiva volontà delle parti, desumibile dall’intero contesto della pattuizione e non dall’uno o dall’altra delle espressioni usate singolarmente, ricorrendo la prima ipotesi (arbitrato rituale) quando le parti abbiano conferito ad uno o più terzi l’incarico di risolvere determinate o determinabili controversie che siano insorte o possano insorgere tra loro, mentre ricorre la seconda (arbitrato irrituale) allorché al terzo o ai terzi sia affidato il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici mediante una composizione amichevole, conciliativa o transattiva o con un negozio di accertamento. Ove all’esito dell’indagine permanga incertezza sulla qualificazione dell’arbitrato, essa deve essere risolta nel senso che le parti abbiano inteso prevedere un arbitrato irrituale”. Ma anche Cass. 27 febbraio 1991, n. 2132, in Giust. Civ. mass., 1991, fasc. 2, “Poiché il deferimento di una controversia al giudice arbitrale comporta una deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria, con conseguente sottrazione delle parti al giudice naturale, nel caso in cui l’interpretazione della clausola compromissoria, da condursi con i normali criteri di ermeneutica contrattuale, lasci sussistere dei dubbi, deve essere preferita la cognizione del giudice ordinario”. 107 Cass., SS.UU., 28 luglio 1998, n. 7398, in Giust. Civ., I, 1999, 2760. 108 Collegio Arbitrale, reso in Treviso, il 13 febbraio 2002, in Riv. Arb ., 2003, 115,: “In caso di dubbia interpretazione della clausola compromissoria circa la natura rituale o irrituale della procedura arbitrale da essa contemplata, la soluzione deve fondarsi esclusivamente sulla verifica di quanto le parti hanno stabilito in punto di omologazione del lodo”.

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dell’oggetto delle future controversie e, in caso di dubbio in ordine

all’interpretazione della portata della clausola compromissoria, deve

preferirsi una interpretazione restrittiva109 di essa e affermativa della

giurisdizione ordinaria, con l’esclusione della eventuale estensione del

deferimento agli arbitri di controversie relative a contratti collegati a

quello contenente la clausola compromissoria.

A questo punto è senz’altro lecito porsi una domanda: come si

fa a scoprire l’effettiva volontà delle parti?

Escluso che possano essere interrogate sul punto, giacché

assume rilevanza la loro volontà precedente ormai oggettivizzata nella

pattuizione scritta, è chiaro che la ricerca deve essere fatta sulle parole

da loro stesse usate nella clausola110. Però, proprio su questo aspetto,

nascono le questioni che hanno prodotto pronunce spesso contrastanti

delle Corti.

a) Così costituisce sicuro indice del volere delle parti di dar vita

ad un arbitrato irrituale, l’impegno che esse assumono di accettare la

109 Vedi anche Cass. 26 maggio 1989, n. 2538, in Giust. Civ. mass., 1989, fasc. 5, “Poiché il deferimento delle controversie ad arbitri implica eccezionale sottrazione delle stesse alla funzione giurisdizionale dei giudici ordinari, l’interpretazione della clausola compromissoria deve essere compiuta in senso restrittivo, avendo riguardo alla comune intenzione delle parti, che può desumersi anche aliunde e non va limitata al significato letterale delle parole, non avente valore decisivo e determinante”. 110 M. VASETTI, voce Arbitrato Irrituale, op. cit., pag. 858.

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determinazione degli arbitri come espressione della loro stessa

volontà, con la fondamentale osservazione che tale impegno non deve

confondersi con la promessa, che si presenta come clausola di stile in

qualsiasi compromesso, di sottoporsi alla sentenza dell’arbitro.

b) La semplice circostanza che le parti abbiano previsto la non

impugnabilità del lodo, non può essere indice dell’esistenza dell’una o

dell’altra forma di arbitrato 111; infatti, l’espressione “il lodo non sarà

impugnabile” deve essere letta ed interpretata alla luce dell’art. 829

secondo comma c.p.c., in previsione di un giudizio di equità (questo il

tenore della norma: “L’impugnazione per nullità è altresì ammessa se

gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo

che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o

avessero dichiarato il lodo non impugnabile”).

c) La giurisprudenza non è per nulla concorde sul valore da dare

all’espressione “amichevole compositore”112, con cui le parti abbiano

qualificato l’arbitro da nominare. Mentre, a volte si è ritenuto che tale

111 M. VASETTI, op. cit., pag. 859. 112 Vedi anche M. VASETTI, op. cit., pag. 888, il quale conclude, appunto, che l’espressione è equivoca e non basta, in mancanza di altri elementi ricavati dall’indagine sulla volontà delle parti,a far ritenere che queste abbiano voluto un arbitrato irrituale.

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appellativo valga a testimoniare l’esistenza di un arbitrato irrituale113,

più spesso è stato affermato che l’espressione è di per sé

irrilevante114?115, potendo le parti autorizzare anche l’arbitro rituale a

decidere secondo equità e quindi come amichevole compositore (tale

potere, ex art. 822 c.p.c, può, infatti, essere attribuito adoperando

qualsiasi espressione).

d) Rilevante è, invece, nel senso della natura rituale

dell’arbitrato, l’uso di espressioni proprie del procedimento

giurisdizionale116, quali il deferimento agli arbitri della risoluzione di

113 Cass. 21 maggio 1955, n. 1510, in Giust. Civ. mass., 1955, 689. 114 Cass. 14 aprile 1992, n. 4528, in Giust. Civ. mass., 1992, fasc. 4, “Nell’indagine rivolta ad individuare l’effettiva volontà delle parti in ordine a clausola compromissoria per stabilire la ricorrenza di un arbitrato rituale ovvero libero, non è elemento decisivo il conferimento agli arbitri del potere di decidere come amichevoli compositori, potendo le parti autorizzare anche gli arbitri rituali a decidere secondo equità, e perciò come amichevoli compositori. Rilevante è, invece, nel senso della natura rituale dell’arbitrato, l’uso, nella clausola compromissoria, di espressioni proprie del procedimento giurisdizionale, quali il deferimento agli arbitri della definizione di tutte le controversie che possono sorgere da un determinato contratto, nonché, in sede di investitura del collegio arbitrale, il tenore delle stesse richieste delle parti, ove ne presuppongano poteri giurisdizionali, e la mancata previsione di modalità della decisione, come la dispensa dall’obbligo del deposito del lodo e la utilizzazione di fogli preventivamente firmati in bianco dalle parti, incompatibili con la natura rituale dell’arbitrato”. 115 Lodo Arbitrale 2 agosto 1999, PQM 1999, f. 2, 61: “Il giudizio "secondo equità", previsto dalla clausola compromissoria, riguarda solo il merito del lodo e non anche le regole del procedimento stabilite per l'arbitrato rituale. L'espressione "amichevole compositore" e' solo connessa alla richiesta di un giudizio secondo equità.”. 116 Cassazione civile sez. I, 1 febbraio 1999, n. 833, in Giust. civ. 1999, I, 3034: “Ai fini della determinazione della natura rituale o irrituale dell'arbitrato, sono significativi e rilevanti gli elementi testuali che depongono nel senso della giurisdizionalita' dell'attività' demandata all'arbitro, i quali si rinvengono nelle espressioni terminologiche congruenti all'esercizio del "giudicare", e al risultato di un "giudizio", in ordine ad una "controversia", non potendo essere decisivi, nel senso della esclusione della natura rituale dell'arbitrato, ne' il conferimento agli arbitri del compito di decidere secondo equità ovvero in veste di amichevoli compositori, ne' la preventiva qualificazione della decisione arbitrale come inappellabile, ne' la previsione di esonero degli arbitri da formalità di procedura. Vedi anche lodo non definitivo reso in Salerno il 25 giugno 2001, in Riv. Arb ., 2003, pagg. 525 ss.: “La circostanza che le parti abbiano espressamente

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tutte le controversie che possono sorgere da un determinato contratto,

nonché, in sede di investitura del collegio arbitrale, il tenore delle

stesse richieste delle parti ove ne presuppongano poteri

giurisdizionali, e la mancata previsione di modalità della decisione,

come la dispensa dall’obbligo del deposito del lodo e l’utilizzazione di

fogli preventivamente firmati in bianco dalle parti, incompatibili con

la natura rituale dell’arbitrato117.

e) Ancora, risulta essere irrilevante la previsione dell’ “esonero

degli arbitri dalle norme di procedura”118, giacché tale tipo di

pattuizione è implicitamente permessa anche nell’arbitrato rituale

dall’art. 816, secondo e terzo comma c.p.c..

f) Più discutibile è il caso in cui gli arbitri vengono dispensati

dal deposito del lodo nella cancelleria del Tribunale, cui è subordinata

devoluto agli arbitri, nel precisare i termini della clausola compromissoria ed i poteri loro conferiti, il potere di decisione di ogni e qualsiasi controversia nascente da un contratto, appare determinante ai fini della qualificazione dell’arbitrato come rituale, in quanto lascia chiaramente intendere la volontà dei contraenti di assoggettare le controversie ad un tipo di soluzione equiparabile a quella giurisdizionale, destinata ad acquistare efficacia simile a quella di una sentenza, non assimilabile a quella di composizione amichevole o negoziale. Ai fini della qualificazione dell’arbitrato come rituale, costituiscono elementi di valutazione anche il testuale riferimento alla ritualità del modo di procedere del collegio, nonché la condotta processuale delle parti. 117 Ancora Cass. 14 aprile 1992, n. 4528, cit., per la quale, amplius, vedi la nota precedente; App. Venezia 2 maggio, 1955, in Foro it., 1956. 908. 118 Cass. 3 maggio 2000, n. 5505, in Commentario al Codice di Proc. Civ., La Tribuna, 2002, pag. 2056 (art. 806 c.p.c.): “Non sono elementi decisivi, al fine di escludere la natura rituale dell’arbitrato, nè il conferimento agli arbitri della potestà di decidere secondo equità o in veste di amichevoli compositori, nè la previsione di esonero degli arbitri da formalità di procedura, dovendosi valorizzare, al contrario, espressioni terminologiche congruenti con l’attività del

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la possibilità che il lodo acquisti efficacia di sentenza con il decreto

del giudice. Anche in questi casi, non si può scartare a priori la natura

rituale dell’arbitrato 119, dovendosi prendere sempre in considerazione

tutti gli altri elementi risultanti dal patto compromissorio. Infatti, di

per sè sola, la clausola di esclusione del deposito del lodo non ha

valore decisivo ai fini della definizione dell’arbitrato come irrituale,

potendo solo concorrere ad orientare l’interprete per l’ipotesi del lodo

irrituale allorché gli altri elementi desumibili dal testo depongano

anch’essi in tal senso.

g) Lo stesso può dirsi anche per le clausole con le quali si

stabilisce che gli arbitri devono comunicare il lodo alle parti. Secondo

un’interpretazione giurisprudenziale120, questo genere di pattuizione

deporrebbero per l’opzione irrituale, ma, anche in questo caso, è

preferibile ritenere necessaria una più approfondita indagine sul

complesso delle pattuizioni, prima di concludere in un senso o

nell’altro121.

giudicare e con il risultato di un giudizio in ordine ad una controversia, chiaramente compatibili con la previsione di un arbitrato rituale. 119 M. VASETTI, op. cit. pag. 859. 120 M. VASETTI, op. cit. pag. 859. 121 VECCHIONE, L’arbitrato nel sistema del processo civile, Napoli, 1953

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h) Rilevanti ai fini dell’interpretazione della natura giuridica

della clausola compromissoria, sono anche le clausola di

inimpugnabilità o inappellabilità del lodo122. Esse, infatti, concorrono

a caratterizzare l’arbitrato come irrituale, scolpendone l’impegno delle

parti di accettare il responso degli arbitri come espressione mediata

della propria stessa volontà123; tuttavia, simili pattuizioni non sono

neanche estranee alla disciplina dell’arbitrato rituale, di tal che

neanche, in questo caso, si dispone di un indice ben definito per

ritenere sussistente un arbitrato di un tipo o dell’altro.

Occorre, in ogni caso, ricordare che la giurisprudenza di

legittimità fornisce all’interprete una “norma ermeneutica di

chiusura”, affermando che, ove all’esito dell’indagine permanga

incertezza sulla qualificazione dell’arbitrato, l’incertezza medesima va

122 Cass. 1 febbraio 1999, n. 833, in Foro it., 1999, I, 455, “In tema di arbitrato irrituale, non possono essere ritenuti elementi decisivi alla legittima configurabilità dell'istituto (onde escludere la sussistenza della diversa figura dell'arbitrato rituale) ne' il conferimento agli arbitri della potestà di decidere secondo equità, ovvero in veste di amichevoli compositori (non essendo tale specificazione del criterio di definizione della controversia incompatibile con l'arbitrato rituale, nel quale ben possono gli arbitri essere investiti dell'esercizio di poteri equitativi), ne' la preventiva attribuzione alla pronuncia arbitrale del carattere della inappellabilità (carattere ipotizzabile anche con riferimento al lodo da arbitrato rituale, ex art. 829 c.p.c., con il solo effetto della esclusione della deducibilità dell’error in iudicando), ne' la previsione di esonero degli arbitri da "formalità di procedura" (previsione non incompatibile con l'istituto dell'arbitrato rituale, giusta disposto dell'art. 816 c.p.c.), dovendosi, per converso, valorizzare, ai fini di una corretta lettura della volontà delle parti compromesse in arbitri, espressioni terminologiche (quali quelle ricorrenti nel caso di specie) congruenti con l'attività' del “giudicare" e con il risultato di un "giudizio" in ordine ad una "controversia" (specie se concernente questioni schiettamente giuridiche e non tecniche), compatibili, cioè, con la previsione di un arbitrato rituale”. 123 Cass. 7 dicembre 1950, n. 2687, in Giust. Civ. mass., 1950, 459.

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risolta nel senso che le parti abbiano inteso prevedere un arbitrato

libero, dato il carattere, come abbiamo già in precedenza detto, pur

sempre eccezionale dell’arbitrato rituale introduttivo di una deroga

alla competenza del giudice ordinario124-125. Anche se, su questo

punto, sarebbe bene che la nostra Corte suprema assumesse una decisa

inversione di tendenza. L’affermazione, sempre riportata dalla

giurisprudenza, per cui si deve intendere come residuale, e quindi in

caso di dubbio da non preferire, la volontà delle parti in favore

dell’arbitrato rituale, in quanto questo, quale deroga alla competenza

del giudice ordinario, sarebbe un fenomeno eccezionale, appare

francamente del tutto incomprensibile. E’ vero che il patto

compromissorio rituale è un contratto processuale, quindi un contratto

che opera a livello di presupposti processuali, ancorché sembri più

124 Cass. 15 maggio 2003, n. 7516, in Giustizia civile, 2003, fasc. 11, pagg. 2364-2369; Tribunale di Rimini, 28 marzo 2003, in Giurisprudenza Italiana 2004, 1655, con nota di BARBIANI, anche qui si afferma in dubio pro arbitrato irrituale; Cass. 17 gennaio 2001 n. 562; Cass. 8 agosto 2001, n. 10935; Cass. 4 aprile 2002, n. 4841 , ibidem, 2002, I, 1212; Cass. 22 febbraio 1999; Cass. 10 giugno 1998 n. 5717; Cass. nn. 2315/90; 268/84. 125 Al riguardo si può altresì evidenziare come tale indagine circa l’individuazione della natura giuridica dell’arbitrato stipulato tra le parti, venga qualificata dalla giurisprudenza come questio facti, rimessa quindi all’apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in Cassazione, salvo i casi di vizi logici, difetto di motivazione o errore di diritto. Tuttavia, come ha rilevato la dottrina e come, del resto, ritiene la stessa S.C., la suddetta indagine richiede necessariamente l’impiego di operazioni ermeneutiche delicate, in cui l’apprezzamento di fatto è così intimamente connesso con l’applicazione del diritto, da rendere in pratica difficile separare i due aspetti valutativi. Ciò, come si è visto, ha portato spesso la giurisprudenza della Corte di Cassazione ad esaminare, per potersi pronunciare in diritto, tutti gli elementi che hanno formato oggetto di valutazione da parte del giudice del merito, rifacendo ex novo il processo logico di interpretazione della volontà delle parti. Vedi M. VASETTI, op. cit. pag. 859

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corretto dire che esso riguarda, non tanto la competenza, quanto la

giurisdizione, perché optando per la via arbitrale tracciata dagli artt.

806 e ss. c.p.c., le parti propriamente scelgono una diversa

giurisdizione, quella privata, escludendo la giurisdizione statale126. Ma

non si vede il motivo per cui da tale qualificazione dovrebbe derivare

l’eccezionalità della scelta delle parti, al punto da far escludere una

volontà in tal senso a favore della volontà di scegliere l’arbitrato

libero, il quale, tuttavia, resta un modo per escludere il giudice statale

dalla decisione di una determinata controversia. Inoltre, si deve

rilevare come, se un dubbio residua sul tipo di arbitrato che le parti

abbiano voluto, esso non può che risolversi in favore dell’arbitrato

rituale, per il semplice fatto che questa, alla luce del diritto vigente,

appare in ogni caso come la scelta, se così si può dire, “più

tranquillizzante”. Ciò perché, comunque, l’arbitrato rituale è

disciplinato esplicitamente dalla legge, per cui è certo che esso si

svolge in un certo modo, assistito da precise e certe garanzie, interne

ed esterne. Mentre l’arbitrato irrituale è uno strumento che, se da un

lato, può fornire ai litiganti una decisione più stabile, dall’altro appare

126 BOVE, Il patto compromissorio rituale, in Riv. Dir. Civ., 2002, 403 ss.

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meno garantista, sia rispetto allo svolgimento dell’attività che porta ad

essa sia rispetto alla carenza di importanti effetti accessori, come

quello dell’efficacia esecutiva127.

L’importanza della distinzione risiede proprio nelle

conseguenze pratiche che di volta in volta discenderanno dai singoli

patti compromissori128.

127 BOVE, Su alcuni problemi di interpretazione e di qualificazione giuridica tra arbitrato rituale, arbitrato libero e perizia contrattuale, in Giustizia civile, 2003, fasc.11, pagg. 2364-2369. 128 «Questa diversa efficacia si sostanza in ciò, che il lodo rituale omologato ha l’efficacia di una sentenza esecutiva, il lodo irrituale ha l’efficacia di un contratto, con la conseguenza che, mentre il primo, ove non sia eseguito spontaneamente legittima la parte vittoriosa all’esecuzione forzata, il secondo obbliga la parte che vuol farlo valere a rivolgersi al giudice ordinario, o promovendo un regolare giudizio di cognizione per ottenere una sentenza che condanni la parte riluttante all’adempimento, o facendo ricorso, nei casi consentiti dalla legge, al procedimento di ingiunzione» così espressamente M. VASETTI, op. cit. pag. 857. Ma visione ormai superata, amplius capitolo III.