L’arbitrato estero

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ARACNE Vol. I Arbitrato estero e giurisdizione italiana L’arbitrato estero e l’ordinamento processuale italiano Antonio Briguglio

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ARACNE

Vol. IArbitrato estero e

giurisdizione italiana

L’arbitrato esteroe l’ordinamento

processuale italiano

Antonio Briguglio

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I edizione: ottobre 2004

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INDICE SOMMARIO

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

CAPITOLO PRIMOIL GIUDICE ITALIANO E LA QUALIFICAZIONE

DELL’ARBITRATO ESTERO

1. L’arbitrato esterocome concetto normativo di diritto interno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

2. La discriminazione fra arbitrato interno ed arbitrato esterosecondo l’ordinamento italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

3. La qualificazione dell’arbitratofra determinazione della sede, sua indicazione nel lodo,e determinazione non ancora avvenuta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

4. Divergenze tra volontà delle partie fissazione (o indicazione) della sede ad opera degli arbitri . . . . . . . . . . . 30

5. Individuazione della nazionalità d’originedell’arbitrato estero dal punto di vista dell’ordinamento italiano . . . . . . . . 37

CAPITOLO SECONDOIL RICONOSCIMENTO DELL’ACCORDO COMPROMISSORIO PER ARBITRATO ESTERO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

Sezione ICondizioni ed effetti del riconoscimento: incidenza della normativa interna

2. Legge n. 218/1995 sul diritto internazionale privato:coordinamento sistematico con la Convenzione di New York. . . . . . . . . . . 49

3. Svolgimenti relativi ai vari profili di verificadelle condizioni di riconoscimento: a) validità formale . . . . . . . . . . . . . . . 52

4. Segue: b) capacità delle parti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 545. Segue: c) compromettibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 556. Segue: insussistenza di altri limiti di ordine pubblico

al riconoscimento dell’accordo compromissorio per arbitrato esterodiversi dalla incompromettibilità o indisponibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64

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7. Segue: d) individuazione della controversia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 658. Segue: e) validità extraformale ed efficacia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 689. Disciplina comunitaria ed interna delle clausole abusive

nei contratti con i consumatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7110. Altri complessi normativi: a) normative di “embargo”;

b) nuova disciplina dell’arbitrato in materia di opere pubbliche;c) nuova disciplina dell’arbitrato in materia societaria;d)legge fallimentare; e) disciplina del riconoscimentoe della esecuzione delle sentenze straniere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80

Sezione IIIl regime processuale della eccezione fondata

su accordo compromissorio per arbitrato estero.

11. Regime processuale della eccezione e Convenzione di New York . . . . . . . 9912. Eccezione di difetto di giurisdizione

e proponibilità del regolamento preventivo;fondamenti normativi e concettuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100

13. Rilievo su istanza di parte o d’ufficio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10314. Tendenziale estraneità, rispetto al regime della eccezione, degli elementi

della valutazione prognostica sulla riconoscibilità del lodo esteroe dell’effetto sospensivo (piuttosto che immediatamente declinatorio);accoglimento della eccezionee successiva declinatoria da parte degli arbitri esteri . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106

15. Effetto sospensivo particolare derivante dalla interferenzadella Convenzione di Ginevra del 1961 sul regime processualedella eccezione di accordo compromissorio per arbitrato estero . . . . . . . . 110

16. Arbitrato estero e litispendenza internazionale(art. 7, c. 1° l. n. 218/1995); arbitrato estero e pregiudizialità internazionale(art. 7, c. 3° l. n. 218/1995) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112

Sezione IIIRegime dell’eccezione, nuove tendenze giurisprudenziali

ed ulteriori implicazioni

17. La rivoluzione delle Sezioni Unite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11418. Critica al nuovo orientamento: in relazione alla qualificazione

della eccezione di arbitrato interno come eccezione di meritoed alla inammissibilità del regolamento di competenzaavverso la sentenza che decide su di essa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116

19. Segue: in relazione alla qualificazione dell’eccezione di arbitrato esterocome eccezione di merito ed alla inammissibilitàdel regolamento di giurisdizione sulla relativa questione . . . . . . . . . . . . . . . . 131

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20. Dalla critica al completamento ricostruttivo del regime processualedel riconoscimento dell’accordo compromissorio per arbitrato estero:ancora sul regolamento di giurisdizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141

21. Segue: l’esame della eccezione fondata su accordo per arbitrato estero el’“ordine delle questioni”; non necessità di un titolo di giurisdizioneper l’esame di quella eccezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144

22. Segue: questione relativa all’accordo per arbitrato esterocome oggetto di “causa” pregiudiziale o autonoma;tendenziale negazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157

23. L’eccezione di arbitrato interno e l’eccezione di arbitrato estero:prospettive future di unificazione del regime processualesotto il segno del difetto di giurisdizione del giudice statuale . . . . . . . . . . 163

CAPITOLO TERZOESERCIZIO DELLA GIURISDIZIONE ORDINARIA COMPATIBILE

E FUNZIONALE RISPETTO A QUELLA ARBITRALEED ARBITRATO ESTERO

1. Giurisdizione statuale e arbitrato: incompatibilità,compatibilità per indifferenza, compatibilità funzionale. . . . . . . . . . . . . . . 167

2. Funzioni di ausilio e controllo giudiziale ed arbitrato estero:inquadramento generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170

3. Segue: errore o divergenza (fra giurisdizione italiana e straniera)sulla qualificazione della nazionalità dell’arbitrato;conseguenze riguardo a: a) costituzione dell’organo arbitrale;b) omologazione; c) impugnazione del lodo;d) liquidazione del compenso agli arbitri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173

4. Segue: ancora sui rapporti tra funzioni giudiziali incidentisulla costituzione dell’organo arbitralee determinazione della sede (e della nazionalità) dell’arbitrato . . . . . . . . . 182

CAPITOLO QUARTO TUTELA CAUTELARE ED ARBITRATO ESTERO

1. Tutela cautelare nell’ordinamento italianoed arbitrato estero: premesse sistematiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193

2. Il problema extravagante della istruzione preventiva italianafunzionale all’arbitrato estero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203

3. Giurisdizione italiana in materia cautelare ed arbitrato estero . . . . . . . . . . 2144. Competenza cautelare ed arbitrato estero: la ricostruzione prevalente

della disciplina uniforme ex artt. 669 bis e ss. c.p.c.. . . . . . . . . . . . . . . . . . 226

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5. Segue: una ricostruzione alternativa implicante la tendenziale indifferenzatra accordo compromissorio per arbitrato interno e per arbitrato esteroin relazione alla competenza cautelare ante causam . . . . . . . . . . . . 228

6. Segue: ...ed in relazione alla competenza cautelare in corso di causa . . . . 2367. Inefficacia del provvedimento cautelare

per mancata instaurazione del giudizio arbitrale estero;(cenni alla trascrizione della domanda d’arbitrato ed alla interruzionedella prescrizione in caso di arbitrato estero o amministrato). . . . . . . . . . . 245

8. Inefficacia del provvedimento cautelare per estinzione del giudizioarbitrale estero o sua conclusione senza pronuncia di merito . . . . . . . . . . . . . 261

9. Inefficacia del provvedimento cautelare a seguito della emanazionedi lodo estero o del suo annullamento nel Paese di origine,ed in caso di litispendenza fra giudizio ordinario italiano ed arbitrale estero;(cenni alla modifica e revoca del provvedimento cautelare italianoin pendenza di giudizio di merito affidato ad arbitri esteri) . . . . . . . . . . . . 265

10. Inefficacia del provvedimento cautelareper mancata richiesta di exequatur del lodo esteroo per rigetto della richiesta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 276

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Premessa

In un precedente volume (L’arbitrato estero. Il sistema delle con-venzioni internazionali, Padova, 1999) si è delineata la koiné del-l’arbitrato estero: quel sistema convenzionale sovranazionale imper-niato sulla Convenzione di New York del 1958 che disciplina in modo uniforme la circolazione transnazionale dell’accordo compromissorio e del lodo.

Ciò che in questo ed in successivo saggio si intende affrontare è l’analisi di rapporti fra l’arbitrato estero ed il nostro sistema pro-cessuale; in altre parole: il trattamento dell’arbitrato estero nell’ordi-namento processuale italiano.

Il presente volume I è dedicato alle interferenze fra l’esercizio del-la giurisdizione statuale italiana e l’arbitrato estero. Vi trova anzitutto posto, riconsiderato sotto la lente della nostra disciplina processuale, uno dei due tradizionali topics largamente influenzati dal sistema con-venzionale: il riconoscimento dell’accordo compromissorio per arbi-trato estero, e qui dunque la sua concretizzazione nelle dinamiche del processo civile italiano.

Ma non solo. Si dà esercizio di giurisdizione statuale in vario mo-do funzionale rispetto all’arbitrato e per ciò stesso compatibile con l’accordo compromissorio: se ne vedranno limiti e interazioni rispetto all’arbitrato estero. Ed in specie si dirà di quella giurisdizione funzio-nale in un senso del tutto particolare che è la giurisdizione cautelare, e del suo rapportarsi all’arbitrato non italiano.

Il volume II sarà destinato per intero, e sempre dal punto di vista dell’ordinamento italiano, all’altro dei due profili a forte caratteriz-zazione sovranazionale: Il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi este-ri.

Roma, settembre 2004

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CAPITOLO PRIMO

IL GIUDICE ITALIANO E LA QUALIFICAZIONE DELL’ARBITRATO ESTERO

SOMMARIO: 1. L’arbitrato estero come concetto normativo di diritto interno. – 2. La discriminazione fra arbitrato interno ed arbitrato estero secondo l’ordinamento i-taliano. – 3. La qualificazione dell’arbitrato fra determinazione della sede, sua indi-cazione nel lodo, e determinazione non ancora avvenuta. – 4. Divergenze tra volontà delle parti e fissazione (o indicazione) della sede ad opera degli arbitri. – 5. Indivi-duazione della nazionalità d’origine dell’arbitrato estero dal punto di vista dell’or-dinamento italiano.

1. L’arbitrato estero come concetto normativo di diritto interno. Che l’arbitrato estero come concetto normativo possa trovare una

definizione compiuta esplicita o implicita in ciascun ordinamento na-zionale è scontato. Almeno quanto è scontato che ciascun ordinamento nazionale delimita l’ambito di applicazione della propria disciplina ar-bitrale, definendo o se non altro consentendo di individuare la nozione di arbitrato interno, e perciò di riflesso il criterio distintivo fra arbitra-to interno ed estero e la nozione di arbitrato estero1.

Ciò non vuol dire affatto che in ogni ordinamento nazionale qual-siasi delle disposizioni normative che riguardano genericamente l’arbitrato, e non specificamente l’arbitrato estero2, si applichi solo ed

1 Questa sequenza corrisponde all’ipotesi limite in cui la risposta dell’ordi-

namento nazionale sia più oscura e carente di definizioni normative espresse e in senso proprio; ed è, come fra breve vedremo proprio il caso del nostro ordinamento. Altre ve ne sono, ed in numero sempre maggiore, in cui la sequenza è mutata dalla presenza di un’esplicita definizione di arbitrato estero o di arbitrato interno o di en-trambi (vedi al § 2, nota 24, nonché subito oltre alla nota 3).

2 Esempi di codeste, nel nostro ordinamento, sono gli artt. 839–840, ovvero l’art. 669 novies, c. 4° c.p.c.

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esclusivamente all’arbitrato che quell’ordinamento consideri come in-terno3.

Ma vi è un nucleo essenziale e largamente prevalente di disciplina — quella che attiene alla regolamentazione inderogabile del proce-dimento, alla previsione dell’originaria efficacia dell’arbitrato e del suo prodotto, il lodo, nonché alla stabilità e al controllo impugnatorio di questo — che in ogni ordinamento corrisponde al solo arbitrato in-terno4.

Stando così le cose, e considerando per il momento la sola mol-teplicità degli ordinamenti nazionali, l’unica possibile definizione u-niversalmente valida sembra quella da cui si è partiti nel volume che ha preceduto il presente: “L’arbitrato estero è l’arbitrato che, dal punto di osservazione di un ordinamento nazionale determinato, è previsto e regolato complessivamente, originariamente e direttamente da un or-dinamento diverso”5.

Questa definizione per così dire universale, tuttavia, è ictu oculi una definizione puramente generica; quasi tautologica e autorefe-renziale (l’arbitrato estero è l’arbitrato non nazionale6) essa non con-sentirebbe da sola di discriminare l’arbitrato estero da quello interno dal punto di vista di nessun ordinamento.

Poiché l’argomento che trattiamo ha conosciuto nella storia mo-derna degli istituti e delle norme la benemerita invadenza della le-gislazione sovranazionale culminata e imperniata nella Convenzione di New York del 1958, verrebbe subito fatto di chiedersi se in questo

3 Ipotesi di applicazione invariata di una disposizione in caso di arbitrato interno o

estero si riscontrano anche nell’ordinamento italiano, e saranno evocate nel presente volume. Per rendere più chiaro il discorso si consideri ad esempio l’art. 669 quinquies c.p.c. (almeno nella interpretazione che né sarà proposta infra, cap. IV, § 5).

4 Sicché — a seconda dei casi — la definizione normativa di arbitrato interno, se espressa, vale a delimitare l’ambito di applicabilità di quella disciplina, o vicever-sa ove quella espressa definizione normativa manchi

5 Cfr. BRIGUGLIO, L’arbitrato estero. Il sistema delle convenzioni interna-zionali, Padova, 1999, 1.

6 Sul perché questo predicato “non nazionale” possa, in linea di larga massima, ancora attualmente significare solo “proveniente” da un (altro) ordinamento na-zionale e non già totalmente a–nazionale, sulle limitatissime eccezioni a tale quadro, e sull’atteggiamento neutro della Convenzione di New York a riguardo, v. BRI-GUGLIO, L’arbitrato estero, cit., 17 ss. e 94.

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sistema convenzionale e in particolare nella Convenzione di New York sia rinvenibile una definizione, o siano rinvenibili elementi per una definizione di arbitrato estero quasi altrettanto uniforme — valida cioè per tutti gli ordinamenti degli Stati parte della Convenzione — e che sia però specifica ed esaustiva; un criterio discriminante comune, fra arbitrato interno e arbitrato estero, che si sostituisca in tutti quegli ordinamenti nazionali ad ogni altro possibile.

Per come sì diffusamente esposto nel volume precedente7, però, la Convenzione di New York non si allontana sostanzialmente dal livello puramente generico della definizione di cui sopra, accettando tran-quillamente di essere integrata dalla nozione di arbitrato estero che ciascun giudice chiamato ad applicare la Convenzione riscontra nel proprio ordinamento. Dopo aver apparentemente abbozzato un criterio specifico (art. I: la Convenzione si applica alle sentenze arbitrali “ren-dues sur le territorie d’un Etat autre que celui où la reconnaissance et l’exécution sont demandées”), o meglio una somma di possibili criteri8 specifici (quelli variamente afferenti alla localizzazione geografica9), la Convenzione propone un criterio generico (v. sempre l’art. I: ovve-ro si applica alle sentenze “qui ne sont pas considérées comme senten-ces nationales” nello Stato richiesto); criterio mediante il quale evi-dentemente si ritorna, dal punto di vista della Convenzione, alla tauto-logia (l’arbitrato estero è l’arbitrato che secondo un ordinamento dato non è nazionale), si vanifica l’abbozzo di ogni altro criterio, si rinvia a quelli, potenzialmente svariati, stabiliti dagli ordinamenti interni. Altri elementi testuali e sistematici interni alla Convenzione sono nello stesso senso, mentre solo apparenti sono quelli contrari10.

In definitiva: una nozione specifica ed esaustiva di arbitrato estero, o se si vuole il completamento della nozione universale generica ed autoreferenziale da cui muove la Convenzione di New York, è ricava-bile, in via esplicita o implicita, solo in ciascun ordinamento interno e

7 L’arbitrato estero, cit., 91 ss., 222 ss. 8 Ed anche ciò è sintomatico della sostanziale intenzione di non adottare in real-

tà alcun criterio specifico. 9 “Rendues sur le territoire” può significare emanate all’estero, ed in particolare

deliberate o sottoscritte all’estero, ovvero rese all’esito di procedimento instaurato, o effettivamente o prevalentemente svoltosi, o con sede formale all’estero.

10 Cfr. BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, 215 ss. nonché 210.

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dal punto di vista di ciascun ordinamento. Ma è ovvio allora che tale nozione specifica ed esaustiva potrà essere diversa a seconda del-l’ordinamento considerato. Altrettanto ovvio è che la ricostruzione compiuta del concetto normativo di arbitrato estero secondo l’or-dinamento italiano trovi posto nel capitolo iniziale di una indagine sul “trattamento” dell’arbitrato estero nel nostro sistema processuale.

Poteva essere diversamente; almeno in teoria, perché in concreto la cosa era pressoché inimmaginabile ed avrebbe dato luogo allora, e darebbe luogo ancora oggi, a complicazioni notevoli. La Convenzione di New York avrebbe potuto contenere una nozione autonoma esau-stiva di arbitrato estero11. E questa nozione, in virtù della nostra ratifi-ca erga omnes della Convenzione12, sarebbe stata applicata dal giudice italiano in ogni caso.

Viceversa la nozione specifica ed esaustiva di arbitrato estero è ri-cavabile per intero dalla nostra legge interna e si adopera vuoi per cir-coscrivere l’ambito applicativo della Convenzione di New York, o di disposizioni che a essa fanno riferimento esplicito (ad es. l’art. IX del-la Convenzione di Ginevra del 196113) o implicita (ad esempio gli artt. 839–840 c.p.c. o le norme processuali attraverso cui si concretizza il riconoscimento dell’accordo compromissorio per arbitrato estero im-posto dall’art. II della Convenzione di New York14), vuoi quando si tratti di applicare altre disposizioni interne che quella nozione presup-pongono (ad es. quelle scritte nella disciplina uniforme del procedi-mento cautelare15, o l’art. 4, c. 2° della legge sul diritto internazionale privato del 1995 per quel tanto che esso non è assorbito dall’art. II del-la Convenzione16), ovvero si tratti di limitare l’applicazione di disposi-

11 Come ad esempio — ma in ben altro contesto e con ben altra portata e conse-

guenze — la Convenzione di Ginevra del 1961 contiene una nozione autonoma e-saustiva di arbitrato commerciale internazionale.

12 Ratifica cioè senza apposizione della “riserva di reciprocità” (che rende ap-plicabile la Convenzione ai soli lodi, ed arbitrati, provenienti da altri Stati parte.

13 V. BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, cit., 218 ss. 14 Infra, cap. II. 15 Infra, cap IV. 16 Supra, cap. II, § § 2 ss.

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zioni che presuppongono la sola contrapposta nozione di arbitrato in-terno17.

Sul piano dell’armonia astratta la Convenzione di New York è dunque un sistema normativo che non definisce compiutamente il proprio ambito di applicazione, eterointegrato in proposito da altri si-stemi non coordinati fra loro: le norme della Convenzione di New York si applicano o non si applicano nei vari sistemi nazionali a se-conda delle definizioni di arbitrato estero da essi adottate e non coor-dinate né dalla Convenzione né da altro strumento uniforme.

Ma questa disarmonia risulta sostanzialmente innocua sul piano funzionale e della finalità fondamentale della Convenzione: favorire la circolazione e l’effettività transnazionale dei lodi arbitrali. Se l’ordi-namento nazionale A considera interno, piuttosto che estero, il lodo X sebbene esso sia considerato a sua volta interno anche dall’ordi-namento B (tipica situazione che non potrebbe mai verificarsi se la Convenzione di New York contenesse e impartisse uniformemente una nozione specifica ed esaustiva di arbitrato estero), ebbene la circo-lazione transnazionale e la effettività del lodo X non sarà verosimil-mente diminuita dal fatto che in nessuno di quei due Paesi il lodo ri-ceverà la tutela della Convenzione. La stessa Convenzione (arg. ex art. III) assume infatti — e la cosa è altresì sostanzialmente vera — che il trattamento del lodo interno nei vari ordinamenti nazionali sia semmai più favorevole di quello che in essi riceverebbe il lodo estero se non vi fosse la Convenzione, e per lo meno altrettanto favorevole di quello del lodo estero che si giovi della Convenzione.

Vi è però altra e parallela disarmonica anch’essa allo stato inevita-bile, ma più rilevante sul piano pratico e della funzionalità della Con-venzione.

Se quest’ultima avesse fornito una nozione specifica ed esaustiva di arbitrato estero avrebbe non solo uniformato la distinzione fra arbi-trato interno e arbitrato estero dal punto di vista di ciascun ordinamen-to nazionale, ma contemporaneamente e per ciò stesso avrebbe uni-formato il criterio di individuazione dell’ordinamento di provenienza dell’arbitrato e del lodo estero. Viceversa anche questo criterio di in-dividuazione va riscontrato volta per volta ponendosi dal punto di vi-

17 Infra, cap III, § § 2 ss.

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sta di un determinato ordinamento nazionale. La disarmonia sta in ciò: che dall’individuazione dell’ordinamento di provenienza dell’arbitrato e del lodo estero dipende in alcuni casi la stessa applicabilità o meno della Convenzione di New York (allorché operi la riserva di reciproci-tà e la Convenzione si applichi solo se l’arbitrato e il lodo provengono da altro Stato contraente18); e in ogni caso l’individuazione del-l’ordinamento di provenienza dell’arbitrato e del lodo influenza la concreta applicazione di alcune norme19 della Convenzione (o meglio del sistema convenzionale nel suo complesso dovendosi considerare in proposito anche la Convenzione di Ginevra sull’arbitrato commerciale internazionale del 1961). Insomma: applicare la Convenzione di New York presuppone, o può presupporre, individuare l’ordinamento na-zionale di originaria provenienza del lodo, ma anche a quest’ultimo riguardo la Convenzione di New York finisce col rinviare al punto di vista non necessariamente coordinato e dunque potenzialmente diver-so dei singoli ordinamenti interni.

Le disfunzioni pratiche conseguenti sono rare ma di maggior mo-mento, se non forse in assoluto e sul piano delle potenzialità comples-sive di circolazione dei lodi20, almeno sul piano dei conflitti fra le de-cisioni sui lodi che possono a loro volta derivare da conflitti triangola-ri sulla individuazione dell’ordinamento di appartenenza: il lodo X è considerato come interno sia dall’ordinamento A che dall’ordina-mento B; è considerato dall’ordinamento C come estero e proveniente dall’ordinamento A; è annullato dall’ordinamento B senza che ciò osti

18 V. specificamente BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, cit., 77 s. e 91 ss. 19 V. per le puntuali indicazioni oltre, al § 5. 20 La situazione possibile — lodo X qualificato come interno sia dall’ordi-

namento del Paese A che dall’ordinamento del Paese B, ed al quale il giudice del Paese C si rifiuti, in nome della “riserva di reciprocità”, di applicare la Convenzione di New York perché lo qualifica, dal suo punto di vista, come proveniente dal Paese A non parte della Convenzione — non danneggia sul piano complessivo, e per così dire probabilistico, la circolazione transnazionale del lodo rispetto a quanto acca-drebbe se la stessa Convenzione di New York imponesse ad ogni giudice nazionale il criterio per la individuazione del Paese di provenienza del lodo (mantenendo al contempo la riserva di reciprocità). Sarebbe infatti ben possibile che anche attraver-so quel criterio uniforme il giudice dello Stato C individui nello Stato A quello di provenienza del lodo X e ad esso pertanto non applichi la Convenzione di New York.

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al suo riconoscimento in base alla Convenzione di New York nell’or-dinamento C21; ma la sentenza di annullamento resa nell’ordinamento B è riconosciuta nello Stato C prima che sia richiesto il riconoscimen-to del lodo; e via seguitando22.

Per quel che ora importa va comunque osservato che attiene alle incombenze preliminari di chi si accinge ad analizzare il trattamento dell’arbitrato estero nel nostro ordinamento processuale23 non solo sta-bilire quale sia secondo il nostro ordinamento il criterio di distinzione fra arbitrato interno e arbitrato estero, ma anche stabilire come, dal punto di vista del nostro ordinamento, si individui, quando occorra, l’ordinamento straniero di originaria provenienza dell’arbitrato.

Due risultati che la Convenzione di New York avrebbe, se avesse potuto, raggiunto entrambi, e imposto uniformemente, con un unico input normativo; e che dal punto di vista del nostro ordinamento sono raggiungibili con percorsi diversificati e solo parzialmente collegati.

2. La discriminazione fra arbitrato interno ed arbitrato estero secon-do l’ordinamento italiano.

La lex fori determina dunque la distinzione fra arbitrato di diritto

italiano (puramente domestico, o internazionale ai sensi degli artt. 832 ss. c.p.c.) e l’arbitrato estero, e somministra al giudice italiano24 i crite-ri idonei a qualificare come estero l’arbitrato25, e perciò il lodo che ne scaturisca, ovvero a qualificare l’accordo compromissorio che quel-l’arbitrato preveda come “accordo compromissorio per arbitrato este-

21 Perché appunto il giudice dello Stato C non lo considererebbe annullato nel

Paese di provenienza, ai fini della applicazione della ragione ostativa ex art. V, c. 1° lett. e della Convenzione.

22 Situazioni conflittuali, appunto, che il sistema delle convenzioni interna-zionali in materia di arbitrato estero non risolve, e la cui soluzione va ricercata dal punto di vista degli ordinamenti interni, sia pure ponendo mente ad esigenze di effet-tività ed allo spirito complessivo di quel sistema.

23 E a entrambi tali incombenze preliminari, saranno dedicati in sequenza i pa-ragrafi successivi.

24 Sui criteri qualificatori adoperabili dagli arbitri v. oltre, § 5. 25 V. in proposito già Cass. 27 febbraio 1979, n. 1273 in Giust. civ., 1979; I,

967, nonché di recente PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, Padova, 2000, 283.

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ro”. Da tale qualificazione derivano le note conseguenze applicative che si sono sintetizzate nel paragrafo precedente.

L’ordinamento italiano, pur facendo non indifferente uso nor-mativo della nozione di arbitrato estero e delle derivate locuzioni ver-bali, non contempla, a differenza di altri26, alcuna definizione esplicita e diretta di arbitrato e lodo estero.

Per la verità non contempla neppure una definizione esplicita di arbitrato e lodo nazionale, dalla quale l’altra sia ricavabile con specu-lare immediatezza.

2.1. Nonostante l’abrogazione degli artt. 800 e 824 c.p.c., vi sono

comunque elementi sistematici sufficientemente univoci onde con-fermare il criterio della localizzazione geografica come principale27, pur se non assolutamente decisivo, ai fini della distinzione fra arbitra-to interno ed arbitrato estero28. Tali elementi additano nella sede dell’arbitrato (e non più nel luogo di pronuncia del lodo come si evin-ceva dall’abrogato art. 824 nonché ellitticamente dall’abrogato art. 800) in territorio italiano la condizione necessaria affinché un arbitrato possa considerarsi apparentemente al nostro ordinamento (v. artt. 816, c. 1°, n. 5; 825, c. 2°; 828, c. 1°; 831, c. 4°). Poiché altrimenti — se cioè la sede dell’arbitrato è all’estero — non sarà possibile individuare alcun giudice italiano competente per la impugnazione del lodo, né dunque questo sarà impugnabile innanzi alla giurisdizione statuale ita-liana, e neppure sarà possibile individuare un giudice italiano compe-tente per l’omologazione del lodo ex art. 825, sicché al lodo non potrà

26 V. ad esempio gli artt. 1 e 5 della legge svedese sul riconoscimento dei lodi

arbitrali stranieri del 1929; gli artt. 1074 e 1075 del codice di rito olandese; gli artt. 1 e 46 della recente legge spagnola sull’arbitrato del 23 dicembre 2003, n. 60; il §1069 in correlazione con il §1025 (che definisce espressamente la nozione di arbitrato in-terno) della 780 germanica dopo la novella del 22 dicembre 1997.

27 Su cui v. già VIGORITI, Recenti sviluppi in tema di riconoscimento ad ese-cuzione dei lodi stranieri in Italia, in Giust. civ., 1987, II, 279 ss..

28 Su tale distinzione v. in precedenza MARMO, Arbitrato, Enc. Dir., II, Mila-no, 1958, 966; RICCI E.F., La nozione di arbitrato estero, Riv. dir. proc., 1961, 606; FOIS, Arbitrato, Noviss. Dig. It. App., I, Torino, 1980, 353 ss.

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attribuirsi nemmeno la efficacia prevista dagli artt. 823, c. ult. e 82529 1995.

Parallelamente l’art. 823, c. 2°, n. 6 stabilisce oggi che la sotto-scrizione del lodo può avvenire “anche all’estero”; e del pari all’estero può avvenire la sua deliberazione, visto che nulla in contrario è previ-sto e che lo stesso art. 823 impone in proposito il solo requisito della conferenza personale; requisito derogato oltretutto, quanto all’ar-bitrato internazionale di diritto italiano, dall’art. 83730 che consente espressamente la conferenza videotelefonia e rende perciò ulterior-mente verosimile che un lodo italiano sia deliberate in tutto o in parte dall’estero. Risulta così definitivamente tramontato il rilievo diretto, ai fini della distinzione fra arbitrato interno ed arbitrato estero, del luogo di pronuncia del lodo, considerato secondo qualsivoglia dei suoi due momenti, deliberazione o sottoscrizione; elemento questo che non è in proposito del tutto tramontato nel panorama comparatistico31, ma è certamente, quale criterio geografico, assai primitivo ed ormai larga-mente soppiantato, come è accaduto nel nostro sistema, da quello più raffinato della sede formale dell’arbitrato32.

Regola cardine è dunque che un arbitrato o almeno un arbitrato ri-tuale può considerarsi italiano33 solo se avente sede formale in Italia; o specularmene: un arbitrato avente sede all’estero è un arbitrato estero; salvo il caso ipotetico di un arbitrato irrituale voluto determinatamente come tale dalle parti e come tale intenzionalmente e palesemente in-cardinato dalle parti nell’ordinamento italiano34, per il quale arbitrato

29 In arg. cfr. RICCI E.F., in AA.VV., Legge 5 gennaio 1994, n. 25, a cura di

Tarzia, Luzzatto e Ricci, Padova, 1995, 84 ss. 30 In proposito v. se vuoi BRIGUGLIO, La nuova disciplina dell’arbitrato in-

ternazionale, in Giust. civ., 1994, II, 102 ss. 31 Per riferimenti cfr. RICCI E.F., Il lodo arbitrale con nazionalità plurima:

rapporti tra il Brasile e alcuni Stati europei, in Riv. arb. 1999, 649 ss. 32 Vale la disposizione di legge straniera citata supra alla nota 24. 33 Se puramente domestico ovvero £internazionale”, nel senso dell’art. 832

c.p.c. e per gli effetti delle successive disposizioni del codice integrative o derogato-rie rispetto agli artt. 806-831, è poi questione diversa in nessun modo incisiva sull’originaria “appartenenza”dell’arbitrato all’ordinamento italiano.

34 Per ciò stesso che il nomem e la sostanza del fenomeno sono intrinsecamente proprie della nostra cultura giuridica e del nostro sistema, e nonostante tutti gli sforzi comparatistici non riscontrabili in termini davvero equivalenti all’estero, se in un ac-

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irrituale non sembra sussistere alcuna necessità cogente di sede in Ita-lia35.

2.2 Quando qui si dice “sede formale” lo si dice anzitutto perché

la cennata normativa del codice di rito si riferisce alla sede dell’ar-bitrato, e ne ha anzi introdotto la nozione, con esclusiva funzione di collegamento discriminante all’ordinamento italiano da un lato, e dall’altro al foro territoriale competente, all’interno di questo, per le funzioni giudiziarie collaterali rispetto all’arbitrato. In secondo luogo e correlativamente si discorre di “sede formale” perché nessuna dispo-sizione impone agli arbitri e/o alle parti lo svolgimento del complesso o di uno o più segmenti del giudizio arbitrale presso la sede dell’arbitrato per come stabilita ex art. 816, c. 1°, c.p.c.; perché una ta-le imposizione sarebbe velleitaria, scomoda e contraria all’anti-formalismo che connota l’arbitrato; e perché nessun opposto indizio può desumersi a contrario dal fatto che l’art. 823 c.p.c. autorizza oggi espressamente la sottoscrizione del lodo (e cioè proprio un particolare segmento del giudizio arbitrale) all’estero, visto che quella pre-cisazione è per così dire rivolta al passato, vale a dire a sgombrare gli equivoci derivanti da un passato normativo nell’ambito del quale si ri-teneva che la sottoscrizione del lodo italiano dovesse avvenire nel ter-ritorio della Repubblica36.

cordo compromissorio vi è scritto in italiano “arbitrato irrituale” e si tratta davvero di un arbitrato non rituale, si può star certi che le parti vogliono un arbitrato di diritto italiano.

35 Della questione ci si è occupati in dettaglio, per ragioni inerenti alla struttura di quel volume, in L’arbitrato estero, cit., 289 ss., cui pertanto si rinvia.

36 Di tutto ciò si è occasionalmente dubitato, prospettando l’idea (cfr. LA CHI-NA, L’arbitrato – Il sistema e l’esperienza, Milano, 1995, 158 e RUFFINI, Sede dell’arbitrato e nazionalità del lodo, in Corr. Giur., 2000, 1497 ss.) secondo cui la scelta della sede (formale) dell’arbitrato (in Italia), compiuta ai sensi dell’art. 816 c.p.c., imporrebbe ivi, tendenzialmente, il necessario svolgimento di tutto il proce-dimento arbitrale, compresa la deliberazione del lodo ed esclusa solo la sua sotto-scrizione. La giurisprudenza — intervenendo sporadicamente ma puntualmente in tema di qualificazione del carattere estero o nazionale dell’arbitrato ai fini dell’ap-plicazione o meno degli artt. 839–840 — ha avuto modo si sgombrare il capo anche da tale dubbio. Proposta opposizione ex art. 840 avverso il decreto con il quale il presidente della Corte d’appello di Milano aveva dichiarato efficace ex art. 839 un

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In definitiva: lo svolgimento concreto del giudizio arbitrale al-l’estero non può di per sé far dubitare del carattere nazionale di un ar-bitrato con sede formale in Italia, e reciprocamente lo svolgimento concreto in Italia non può di per sé attrarre al nostro ordinamento un arbitrato la cui sede formale sia stata fissata all’estero.

Queste puntualizzazioni sul connotato “formale” della scelta della sede ex art. 816, c. 1°, c.p.c. hanno un’ulteriore valenza sistematica che consente di completare il quadro circa la discriminazione fra arbi-trato interno ed arbitrato estero.

un lodo redatto in lingua francese, datato “Paris, le 18 décembre 1995” e pronuncia-to da arbitri designati secondo il Regolamento della Camera di Commercio Interna-zionale, e sostenendo gli opponenti la natura interna del lodo soprattutto a motivo della collazione in Italia della sede effettiva della procedura, la Corte d’appello mi-lanese (24 marzo 1998 in Riv. arb., 2000, 81 ss., con approfondita nota di BRAM-BILLA, Riflessioni sulla sede dell’arbitrato) afferma invece, giustamente che “la natura nazionale o estera dell’arbitrato va individuata ricercando la comune inten-zione delle parti” e che “la sede dell’arbitrato è quella voluta dalle parti ed indicata come tale dagli arbitri anche prescindendo dal luogo ove realmente questi si siano riuniti”. La pronuncia milanese è stata poi confermata, ed in termini ancor più peren-tori, dalla S.C. con sentenza del 18 febbraio 2000, n. 1808, in Corr. Giur., 2000, 1497 ss., con nota parzialmente critica di RUFFINI, Sede dell’arbitrato cit. Quest’ultimo A. ritiene appunto, di conserva con l’idea di partenza, che nonostante la indicazione della sede formale in Italia, un lodo emanato a seguito di procedimen-to svoltosi all’estero e soprattutto all’estero deliberato potrebbe essere comunque considerato straniero, e viceversa. Nonostante l’impegno argomentativo, queste tesi sono manifestatamene inaccoglibili perché contrarie ed elementari esigenze del-l’arbitrato internazionale (gli arbitri internazionali non potrebbero più modulare la effettiva localizzazione della loro attività secondo concrete convenienze e comodità e anche nell’interesse delle parti, se non a prezzo di ingenerare pericolosissime con-fusioni), nonché a quelle della certezza giuridica (la individuazione del lodo come italiano o estero, la quale dovrebbe risultare il più possibile rapida e obiettiva, fini-rebbe col dipendere da complesse ed incerte valutazioni: quid se in un arbitrato con sede in Milano gli arbitri avessero assunto le testimonianze a Buenos Aires e delibe-rato nello studio svizzero del presidente?). Che poi gli arbitri di un arbitrato con sede formale in Italia non possano pretendere, senza giustificazione funzionale, o assenso delle parti, di deliberare, a spese di queste, distesi a bordo piscina dell’Hyatt di Bali, è un’altra storia ed involge il rapporto contrattuale parti-arbitri (e per l’appunto il di-ritto al rimborso delle spese), non certo profili di nullità o di determinazione della nazionalità del lodo.

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Visto il carattere “formale” della sede cui il nostro sistema si rife-risce come elemento cardine di quella discriminazione, emerge37 che il criterio distintivo adottato, come ormai da molti altri, anche dal nostro legislatore è sì un criterio geografico, e tuttavia fortemente imparenta-to con quello — pur esso occasionalmente riscontrabile nel panorama internazionale — imperniato sul riscontro della sola volontà delle par-ti: queste, o per esse gli arbitri, determinando la sede in Italia (pura-mente formale e non necessariamente condizionante la concreta loca-lizzazione della attività arbitrale) scelgono un ordinamento di origina-ria appartenenza dell’arbitrato, e non, per mere ragioni contingenti, un luogo di effettivo svolgimento dal quale discenda poi automatica im-pronta di nazionalità38.

Il criterio della sede formale così inteso sembra dunque offrire i vantaggi in termini di oggettività di ogni criterio “geografico”, atte-nuando però gli svantaggi in termini di accidentalità ed imprevedibili-tà che altri criteri geografici, imperniati sul luogo di pronuncia del lo-do, palesano.

2.3. Così ragionando può trarsi39 argomento favorevole alla idea40,

secondo cui la sede in Italia è condizione necessaria ma a rigore non sufficiente per la determinazione della nazionalità italiana del-l’arbitrato, di guisa che la volontà delle parti, purché esplicita ed ine-quivoca, possa radicare l’arbitrato in ordinamento estero che lo con-senta, nonostante la fissazione di sede in Italia41.

37 Come emerge de resto dalle due pronunzie citate alla nota precedente. 38 In questa prospettiva v. già LUZZATTO, L’arbitrato internazionale ed i lodi

stranieri nella nuova disciplina legislativa italiana, in Riv. dir. intern. priv .proc.,1994, 257 ss. spec. 264.

39 E dovrebbe trarsi anche dalle sentenze citate alla nota 34. 40 Che ho già prospettato, all’indomani della novella del 1994, in BRIGUGLIO,

FAZZALARI, MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, 279 ss.

41 L’ipotesi è notevolmente remota ma non assurda sul piano pratico. Si pensi a una sede arbitrale stabilita in Italia con valenza non solo e non tanto formale bensì soprattutto effettiva, per ragioni puramente logistiche e di ospitabilità nella momen-tanea “inagibilità” di altri paesi prossimi di là dall’Adriatico, ovvero per ragioni di vicinanza con luoghi o cose o situazioni meritevoli di accertamento da parte degli arbitri; un arbitrato che tuttavia le parti per motivi di neutralità (una di esse è per e-

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Il nostro ordinamento non è infatti fra quelli per i quali la sede “in-terna” dell’arbitrato, e in particolare di quello internazionale, compor-ta invariabilmente la applicazione della relativa disciplina nazionale, ivi compresa la impugnabilità del lodo innanzi ai giudici statuali (v. invece gli artt. 176, c. 1°, e 191 della legge federale svizzera sul diritto internazionale privato del 1987).

Vi è spazio teorico42 perciò per l’ipotesi di un arbitrato con sede in Italia e che tuttavia le parti, o per esse gli arbitri a ciò delegati, abbia-no inequivocamente — poiché vi è certo, connessa alla localizzazione in Italia, una forte presunzione nel senso della appartenenza dell’arbitrato al nostro ordinamento — voluto incardinare in ordina-mento diverso dal nostro43.

La c.d. “indeclinabilità della nazionalità dell’arbitrato” va insom-ma intesa e accettata nel limitato senso che le parti non possono svin-colare parzialmente l’arbitrato con sede in Italia dall’ordinamento ita-liano per quel tanto che la sua disciplina è inderogabile. Non possono ad esempio rinunciare a priori e totalmente alla impugnazione del lo-do innanzi al giudice italiano (visto che il nostro ordinamento consen-te di rinunciare a priori solo al motivo di impugnazione previsto dall’art. 829, c. 2°, c.p.c.); e un accordo compromissorio che fissi la sede in Italia e al contempo dichiari improponibile qualsiasi impugna-zione innanzi al giudice italiano non è — in mancanza di altri elementi — un accordo mediante il quale le parti vogliono un arbitrato non ita-liano sebbene localizzato in Italia, bensì un accordo per arbitrato ita-

sempio italiana) abbiano inteso chiaramente svincolare dall’ordinamento italiano e soprattutto dalla sua giurisdizione impugnatoria.

42 Lo ammettono LUZZATTO, in AA.VV., Legge 5 gennaio, c.t., 197-198, ed ora FAZZALARI, L’arbitrato, Torino, 1997, 13.

Lo nega PUNZI, ora in Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., II, 281 ss. 43 Per riferimenti a sistemi che specularmente ammettono o ammettevano (come

nel caso della Germania, almeno secondo la prevalente dottrina – cfr. SCHLOSSER, Das Recht des internationalen Schiedsgerichsbarkeit, Tübingen, 1989, 569 ss. - e prima della novella del 1997 già richiamata sopra alla nota 24) la possibilità di un arbitrato nazionale svolgentesi all’estero, cfr. BRIGUGLIO, Appunti sulla distinzio-ne fra arbitrato interno ed arbitrato estero, in Riv. arb., 1991, 346–347. Sulla piena compatibilità di tale situazione con la Convenzione di New York, v. da ultimo e per tutti BERNARDINI, L’arbitrato internazionale, Milano, 2000, 148.

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liano contenente una pattuizione di rinuncia inefficace secondo il dirit-to italiano.

È ben possibile però che le parti, pur prevedendo, per loro ragioni, la sede in Italia svincolino, ma allora totalmente e con manifestazione di volontà inequivoca, l’arbitrato ed il lodo dall’originaria appartenen-za all’ordinamento italiano. Negare anche in astratto questa remota possibilità44 significherebbe contraddire la stessa privatezza del-l’arbitrato, quasi che lo svolgimento di un arbitrato estero in Italia fos-se attività in qualche modo sospetta.

3. La qualificazione dell’arbitrato fra determinazione della sede, sua indicazione nel lodo, e determinazione non ancora avvenuta.

Dal quadro sopra delineato risulta evidente la ratio della severa

prescrizione, essa pure introdotta dalla novella del 1994, e risultante dal combinato disposto fra artt. 823, c. 2°, n. 5, e 829, c. 1°, n. 5, c.p.c., secondo cui il lodo rituale italiano deve contenere a pena di nul-lità la indicazione della sede dell’arbitrato.

L’indicazione della sede giova a rendere possibile ed inequivoca, di regola sulla base del solo lodo, la sua qualificazione come interno o meno, e nel primo caso a rendere possibile ed inequivoca la individua-zione del giudice italiano territorialmente competente per le funzioni omologatorie, correttive o impugnatorie previste dagli artt. 825, 826 e 828 ss.

3.1. Se tale è lo scopo, sembra tutt’altro che eretico opinare che la

nullità del lodo per mancata indicazione della sede sia sanata, in base al principio generale stabilito dall’art. 156, c. 3°, c.p.c., e per raggiun-gimento dello scopo, quando la sede come fattore di determinazione della nazionalità dell’arbitrato o di collegamento al foro competente sia con ragionevole certezza evincibile dal lodo o aliunde e nessun ra-gionevole dubbio sia insorto né potesse insorgere circa l’appartenenza

44 Così FAZZALARI, in BRIGUGLIO, FAZZALARI, MARENGO, La nuova

disciplina, cit., 107, ove appunto il riferimento, incisivamente esposto, alla “indecli-nabilità della nazionalità dell’arbitrato”. Vedi invece, successivamente, in L’arbi-trato, lc.ult.cit.

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dell’arbitrato all’ordinamento italiano e la individuazione del giudice territorialmente competente.

Questa soluzione attenuerebbe sostanzialmente il rigore di quella previsione di nullità formale che a moltissimi è parso eccessivo. Su piano parallelo, si è collocata la prospettiva, anch’essa tutt’altro che pacifica, della correggibilità alla stregua di errore materiale della man-cata indicazione nel lodo della sede pur regolarmente fissata 45.

Quanto specificatamente alla nullità in discorso ed alla sua “sana-toria”, l’attuale orientamento generale della Suprema Corte — governato dalla notissima pronuncia delle Sezioni Unite n. 527 del 3 agosto 2000, sulla natura privata ed alternativa rispetto alla giurisdizione statuale dell’arbitrato46, non è certo favorevole alla estensione del principio ex art. 156, c. 3°, c.p.c. dal giudizio ordinario a quello arbitrale. E infatti tale estensione, nei termini sopra sintetizzati, è stata espressamente rifiutata dalla recente Cass. 8 aprile 2004, n. 6951 e proprio ed esplicitamente sulla scorta della precedente pronuncia delle Sezioni Unite.

Tuttavia, con la sentenza del 200447, la Suprema Corte addita altra strada salvifica di portata pratica in larga misura, pur se non del tutto, equivalente: prima di dichiarare la nullità del lodo per la mancata in-dicazione della sede, occorre verificare (e occorre che la Corte di Ap-pello compiutamente e ineccepibilmente sul piano motivazionale veri-fichi) se davvero quell’indicazione è mancata; se cioè essa, sebbene non esplicita, non sia ricostruibile per via interpretativa e mediante corretta applicazione dei canoni previsti dagli artt. 1362 ss. c.c.; appli-cabili quest’ultimi anche al lodo, attesa sempre la sua natura di atto privato che sarebbe stata proclamata dalle Sezioni Unite48.

45 Cfr. soprattutto DELLA PIETRA, in AA.VV., a cura di Verde, Diritto del-

l’arbitrato rituale, Torino, 2000, 152 ss. 46 Si avrà occasione, e soprattutto a partire dal capitolo successivo, di ritornare

approfonditamente su tale pronuncia, sulla sua “fortuna” e su altre sue filiazioni giu-risprudenziali.

47 Limitatamente anticipata da Cass. n. 14172 del 2000. 48 Ma qui davvero vien fatto di osservare che i canoni ermeneutici ex art. 1362

ss. sono, salvi taluni aspetti peculiari, canoni di logica interpretativa generale appli-cabili, mutato quel che si deve, al lodo anche ove lo si considerasse più che per la sua natura (ovvia) di atto di privati, per la sua funzione di decisione di controversia

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3.2. È ovvio comunque che la indicazione della sede dell’arbitrato è imposta a pena di nullità del lodo dal nostro diritto, e non riguarda per definizione il lodo estero, la cui validità formale risponderà ai pa-rametri del diritto straniero implicato. Il lodo — se scaturente da un arbitrato la cui sede sia stata effettivamente determinata — sarà senz’altro qualificato come estero dal giudice italiano sulla base di tale effettiva determinazione della sede. Mentre la mancata indicazione di essa nel testo del lodo non influirà minimamente, sul piano giuridico, su tale qualificazione. Ché altrimenti dovrebbe pervenirsi all’assurdo secondo cui ogni lodo in cui non sia indicata la sede dell’arbitrato è estero, sicché oltretutto nessun spazio residuerebbe per la sanzione di nullità prevista dal nostro diritto (visto che non si darebbe mai un lodo italiano mancante della indicazione della sede). Discorso in parte di-verso riguarda ovviamente il caso in cui la sede dell’arbitrato non sia stata neppure determinata o non sia stata compiutamente determinata. Se ne dirà subito oltre, nonché al paragrafo successivo.

Qui vi è da aggiungere che anche la semplice mancata indicazio-ne, nel lodo, della sede tuttavia determinata, se non condiziona giuri-dicamente la discriminazione in discorso, potrebbe però indurre sul piano fattuale in errori di qualificazione.

Le conseguenze pratiche di tali errori, e in particolare quelli del giudice italiano della omologazione o della impugnazione, e le riper-cussioni sul versante “straniero” saranno esaminate in generale nel cap. III. Quanto in particolare ai possibili errori da mancata indicazio-

e per i suoi effetti sostanzialmente equivalenti a quelli di una sentenza (l’una cosa indubitabilmente, l’altra a mio avviso, non negate daqlle Sezioni Unite con la pro-nuncia n. 527/2000). Ma anche così applicati quei canoni servirebbero egregiamente a salvare il lodo della nullità per (apparente) mancata indicazione della sede, e sa-rebbero senz’altro serviti a tale scopo in quel caso: lodo relativo ad immobile loca-lizzato ad Ischia, reso fra parti napoletane e localizzate in Napoli, da arbitri napole-tani e localizzati a Napoli, deliberato e sottoscritto in Napoli, con indicazione del luogo della deliberazione in varia misura riferibile in realtà alla sede formale dell’arbitrato, sede formale a suo tempo espressamente determinata dagli arbitri in Napoli. Cosa volete che fosse questo arbitrato che spandeva da ogni poro effluvi partenopei: milanese? o finlandese? Ciò nondimeno la Corte d’Appello — manco a dirlo di Napoli — aveva annullato il lodo per mancata indicazione della sede, senza compiere nessuno sforzo salvifico. La Suprema Corte ha fatto ragionevole giustizia di tale atteggiamento con la pronuncia cennata nel testo.

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ne della sede, l’interprete deve comunque cercare di limitarli al mas-simo. Perciò, ad esempio, se è probabilmente eccessivo ritenere che il giudice della omologazione possa estendere il controllo di regolarità formale del lodo alla verifica della indicazione in esso della sede dell’arbitrato e negare altrimenti la omologazione, è però senz’altro plausibile pretendere che chi proponga l’istanza ex art. 825 c.p.c. di-mostri, attraverso la indicazione contenuta nel lodo o altrimenti attra-verso la produzione dell’atto da cui risulta la fissazione della sede49, che questa era stabilita nel territorio della Repubblica, non essendo al-trimenti possibile al giudice della omologazione verificare uno dei fondamentali presupposti per la stessa applicazione dell’art. 825, che cioè il lodo sia italiano.

Analogo onere dovrebbe considerarsi imposto a chi proponga im-pugnazione ex artt. 828 ss. c.p.c.: essa pure da dichiararsi inammissi-bile ove il lodo non sia italiano. Il problema sarà per altro di regola as-sorbito in concreto da ciò che la Corte d’appello, oltre ad avere a di-sposizione l’accordo compromissorio, acquisisce per prassi i verbali arbitrali (eventualmente contenenti la determinazione della sede).

Quanto all’istante ex art. 839 c.p.c. gli si può certamente imporre — se il lodo che egli assume essere estero e per il quale chieda, inau-dita altera parte, l’exequatur, reca l’indicazione della sede del-l’arbitrato in Italia — di dimostrare, a pena di inammissibilità della i-stanza sommaria, che le parti hanno in realtà inequivocamente voluto radicare l’arbitrato in un ordinamento straniero, sì da vincere la sem-plice presunzione di appartenenza dell’arbitrato e del lodo all’ordi-namento italiano50.

Se il lodo non reca indicazione di sede, invece, qualsiasi soluzione rigorosa e tranchante sarebbe impropria e contraria a buon senso. Se l’istante alleghi e provi l’avvenuta fissazione della sede all’estero (ov-vero la comune intenzione delle parti di radicare, nonostante la fissa-zione della sede in Italia, l’arbitrato in un ordinamento di origine stra-niero) nulla quaestio: il giudice italiano considererà senz’altro ammis-

49 Atto che potrebbe, ma potrebbe anche non, coincidere con l’accordo com-

promissorio, la cui produzione è imposta espressamente dall’art. 825. 50 Tutto ciò, ovviamente, se sono vere le considerazioni svolte a conclusione del

paragrafo precedente.

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sibile la richiesta di exequatur. In caso contrario, e cioè ove quella al-legazione e quella prova non vi siano, sarebbe assurdo tanto conside-rare sempre l’istanza inammissibile (il lodo è italiano perché l’istante non ha dimostrato che esso sia straniero: ma potrebbe trattarsi, riguar-do alla sede, di una prova puramente negativa — che essa non è stata fissata in Italia — visto che non è detto che l’ordinamento straniero di originaria appartenenza dell’arbitrato imponga la specifica determina-zione di una sede dell’arbitrato), quanto considerare sempre l’istanza ammissibile (il lodo è straniero sol perché non vi è indicata la sede dell’arbitrato: ma, come si è già osservato, potrebbe ben trattarsi di un lodo italiano semplicemente viziato della mancata indicazione). Credo invece che il presidente della Corte d’appello adito ex art. 839 possa in primo luogo — e ad instar di quanto è dato nel procedimento monito-rio su cui quello in discorso è notoriamente modellato — sollecitare all’istante una integrazione documentale riguardo alla avvenuta fissa-zione della sede all’estero, ed in difetto o, a seconda dei casi, perfino alternativamente e da subito valutare prima facie in base ad elementi diversi dalla sede se il lodo sia estero o interno, lasciandosi eventual-mente guidare dalla condotta processuale dell’istante che, sollecitato, non abbia prodotto nulla, e rinviando alla successiva fase in contrad-dittorio (art. 840 c.p.c.) ogni verifica funditus.

Giusto per esemplificare: di fronte ad un lodo vergato in ottimo i-taliano, da arbitri tutti italiani, fra parti italiane, sottoscritto in Italia ed avente ad oggetto controversia esclusivamente collegata con il territo-rio italiano (e il va sans dire anche di fronte a qualcosa di ben meno appariscente quanto ad italianità) sarebbe oltre i limiti del ridicolo una sollecitazione all’istante di documentare che la sede dell’arbitrato è fissata all’estero visto che essa non è indicata nel lodo: quest’ultimo, ai fini della domanda ex art. 839, va da subito considerato interno e l’istanza dichiarata inammissibile. E così pure, di fronte ad un lodo scritto in lingua straniera tra una parte italiana e una straniera51, non recante alcun cenno all’“arbitrato rituale” o agli artt. 806 ss. c.p.c., il presidente della Corte d’appello può anche risparmiarsi ogni ulteriore indagine, sebbene il lodo non rechi indicazione di sede e nessuno gli

51 Sì che possa presumersi che una scelta neutrale riguardo al radicamento ori-

ginario dell’arbitrato sia ricaduta su Paese terzo.

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abbia provato che la sede non è stata fissata in Italia, ed ammettere senz’altro l’istanza ex art. 839, salvo ovviamente il possibile riesame approfondito della questione nella fase a contraddittorio pieno ex art. 840.

3.3. Le difficoltà che si è appena cercato di razionalizzare e supe-

rare derivano in buona misura da una situazione, almeno secondo il nostro diritto, patologica: la mancata indicazione nel lodo di una sede dell’arbitrato già determinata; altre e più gravi patologie, coinvolgenti il particolare profilo della discrasia fra volontà delle parti e determina-zioni arbitrali in ordine alla sede, saranno esaminate nel paragrafo successivo.

Può darsi però che per il giudice italiano l’esigenza di qualificare l’arbitrato come interno o estero si prospetti ben prima della conclu-sione del procedimento arbitrale e della emanazione del lodo, o addi-rittura di fronte ad eccezione fondata su accordo compromissorio e quando il procedimento arbitrale non è iniziato. Sarà allora tutt’altro che patologico e anzi in varia misura normale che la sede dell’ar-bitrato non sia stata ancora nemmeno determinata.

La soluzione alle conseguenti difficoltà in punto di qualificazione dell’arbitrato dipende dall’ambito processuale e dalla specifica finalità della qualificazione, e andrà perciò affrontata volta per volta nei capi-toli successivi.

Qui possono tracciarsi due direttive di metodo. a) Momentaneamente assente o incerto l’elemento della sede del-

l’arbitrato, il giudice italiano cui spetta la qualificazione avrà per lo meno a disposizione quanto risulta dall’accordo compromissorio, vale a dire dall’elemento principe di quella autonomia privata dalla quale dovrebbe discendere anche il radicamento nazionale dell’arbitrato. Dall’accordo compromissorio e dalle circostanze a esso afferenti, o da altri e successivi elementi, il giudice potrà desumere dati più o meno univoci o presuntivi nel senso che l’arbitrato in corso, o preconizzato dall’accordo, sia stato voluto come originariamente appartenente al-l’ordinamento italiano o meno (a solo titolo di esempio: il riferimento all’arbitrato rituale, o agli artt. 806 ss. c.p.c.; il riferimento parimenti esplicito alla legge o all’ordinamento processuale italiano o straniero; a certe condizioni la nazionalità delle parti, la lingua e/o il contenuto

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del contratto; la previsione di pattuizioni compromissorie incompatibi-li con gli art. 806 ss. c.p.c. ecc.). Né vi sarà in ciò una contraddizione, bensì solo un completamento e una razionalizzazione rispetto al dato positivo di solare evidenza secondo cui il discrimien fra arbitrato in-terno ed arbitrato estero si gioca essenzialmente sull’elemento della sede dell’arbitrato. La ricostruzione induttiva in discorso conduce in-fatti, in definitiva, o alla dimostrazione che la comune intenzione delle parti è nel senso di radicare o non radicare l’arbitrato in Italia, ed allo-ra questa comune intenzione si impone anche agli arbitri al momento in cui essi, non avendovi provveduto le parti, siano chiamati a fissare la sede dell’arbitrato; ovvero alla dimostrazione che verosimilmente gli arbitri (o chi per loro52), lasciati in ciò del tutto liberi dalle parti, ri-solveranno di radicare o non radicare l’arbitrato nell’ordinamento ita-liano e perciò di fissare o non fissare in Italia la sede dell’arbitrato 53.

b) Il criterio residuale — in dubio pro arbitrato estero ovvero in dubio pro arbitrato interno — non è unico e monolitico, ma va appun-to prescelto in prospettiva funzionale ed in base alle situazioni proces-suali ed alla finalità processuale in ordine alla quale deve qualificarsi l’arbitrato.

4. Divergenze tra volontà delle parti e fissazione (o indicazione) della sede ad opera degli arbitri.

Ben altrimenti patologica, ma altresì verosimilmente più rara può

dirsi la divergenza tra la volontà delle parti già espressa compromisso-riamente in ordine al radicamento nazionale dell’arbitrato e la fissa-zione della sede ad opera degli arbitri.

52 Un organismo di amministrazione dell’arbitrato. 53 Ad esempio: di fronte a un accordo compromissorio fra una parte italiana ed

una svedese, che non fissi la sede dell’arbitrato, non prospetti alcun indizio di radi-camento dell’arbitrato in Italia, neppure dal limitato punto di vista del collegamento oggettivo con il territorio italiano del contratto e delle potenziali liti, e che preveda la nomina del terzo arbitro a opera dei due coarbitri di intesa ovvero di un organismo di arbitrato amministrativo, è fortemente verosimile che il terzo arbitro sarà di na-zionalità neutrale e che la sede sarà poi fissata in Paese neutrale, e che dunque l’arbitrato sia estero.

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Il grado e le conseguenze di tale divergenza dipenderanno dalla specificità della determinazione compromissoria.

4.1. a) Conviene prendere le mosse dalla ipotesi davvero limite e

quasi di scuola: la volontà compromissoria54 fissa la sede nel territorio della Repubblica e determina una specifica località, in modo utile cioè anche alla individuazione delle competenze territoriali per le funzioni ausiliarie e di controllo del lodo; gli arbitri, ciò nonostante, fissano a loro volta la sede dell’arbitrato all’estero e come tale la indicano nel lodo.

A prescindere da ciò che potrà opinare un giudice straniero, non credo vi siano ragioni per considerare l’arbitrato ed il lodo come esteri piuttosto che italiani, una volta dimostrato, nel giudizio in cui ciò rile-vi55, che la sede era stata effettivamente e compiutamente determinata dalle parti. L’art. 816, c. 1°, è inequivoco nello stabilire la assoluta prevalenza della fissazione ad opera delle parti e la mera sussidiarietà della determinazione arbitrale; la quale è dunque, nel caso in esame, tamquam non esset.

Ciò esclude che il lodo sia invalidabile ex art. 829, c. 1°, n. 4, visto che l’eccesso di potere arbitrale rispetto alla volontà compromissoria è rimasto senza effetto.

Non è esclusa invece l’impugnazione ex art. 829, c. 1°, n. 5, per vizio relativo all’indicazione della sede. Ma qualche àncora di salvez-za è possibile soprattutto a misura che resti fermo o addirittura si in-crementi il trend giurisprudenziale elastico e permissivo di fronte alla improvvida severità apparente dell’art. 823, c. 2°, n. 556. Ad esempio ove gli arbitri abbiano determinato, a verbale della prima riunione o successivamente, la sede all’estero in spregio alla volontà delle parti, ma il lodo non contenga alcuna espressa indicazione di sede, vi sarà

54 Si rammenti che per volontà compromissoria in ordine alla fissazione della

sede, rilevante ex art. 816, deve intendersi anche quella espressa dalle parti, purché in forma scritta, dopo e separatamente rispetto alla stipula dell’accordo compromis-sorio vero e proprio, e da considerarsi perciò integrativo-novativa del medesimo.

55 E, dunque, sia pendente l’arbitrato, sia soprattutto in fase post–arbitrale (omo-logazione, impugnazione davanti alla Corte d’appello, riconoscimento ed esecuzione ex artt. 839–840 c.p.c.

56 V. supra, § 3.1.

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un apprezzabile spazio di salvezza (limitato in qualche modo dal con-trasto fra determinazione di parte e determinazione arbitrale) grazie a quella ragionevole elasticità che consente il riscontro del requisito ex art. 823, c. 2°, n. 5, attraverso l’interpretazione del lodo condotta se-condo i canoni della interpretazione negoziale. La menzione testuale, nel lodo, della clausola compromissoria contenente espressa fissazione della sede può senz’altro giovare al caso; e così — con minor sicurez-za — anche la semplice relatio del lodo alla clausola; o perfino — e qui saremmo quasi al confine della elasticità — l’accordo compromis-sorio in quanto tale, siccome atto esterno al lodo ma dimostrativo di “comportamento anteriore” rilevante in via ermeneutica ex art. 1362, c. 2°, c.c.57.

Questa prospettiva di interpretazione quasi a ogni costo salvifica58 del lodo potrebbe essere adottata anche ove gli arbitri, oltre a fissare la sede all’estero in spregio alla volontà compromissoria, la abbiamo e-spressamente indicata nel lodo. E sarebbe così disinnescata la nullità derivante dal fatto che un’indicazione radicalmente erronea della sede equivale ad una mancata indicazione: proprio perciò, anzi, ammesso che si riesca, attraverso il riferimento all’accordo compromissorio, a

57 Si è anzi qui al confine della adoperabilità dei criteri di ermeneutica negoziale

rispetto al lodo pur considerato come atto di privati; perché il “comportamento” in questione (quale corrispondente all’accordo compromissorio) sarebbe delle parti e non degli arbitri, i quali soltanto sono i privati che hanno posto in essere l’atto da in-terpretare. Insomma il criterio ermeneutico in discorso sarebbe di quelli certamente non estensibili al lodo (a differenza di altri ex art. 1362 ss. c.c.) ove, pur non conte-standone la sua natura privata, si desse peso ai suoi effetti perequati agli effetti di sentenza. Occorrerebbe invece considerare il lodo sotto ogni profilo come un atto privato, ed anzi come atto trium personarum che si immedesima nell’accordo com-promissorio e lo completa (piuttosto che solo fondarsi su di esso). Questa riedizione del “biancosegno” mi parrebbe tuttavia eccessiva perfino come risultato dalla nuova impostazione “privatistica” della Suprema Corte (supra, § 3.1.). Fortunatamente, pe-rò, la via di salvezza “ermeneutica” dalla nullità per mancata indicazione della sede, che passa attraverso la sola esistenza di un accordo compromissorio contenere la fis-sazione della sede, è alternativa all’altra poco prima indicata nel testo, e passante in-vece per la relatio operata dal lodo ad un tale accordo compromissorio; e quest’ultima, più agevole teoricamente, sarà sempre percorribile visto che la indica-zione dell’accordo compromissorio è requisito indefettibile del lodo (se manca quel-la niente vi sarà da salvare perché il lodo sarà nullo per tali motivi).

58 Ma il motivo di buon senso è evidente.

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ricondurre per via interpretativa al lodo una indicazione della sede rea-le, l’indicazione espressa della sede fittizia, e stabilita inefficacemente dagli arbitri, dovrebbe cedere in base al principio ermeneutico di con-servazione stabilito dall’art. 1367 c.c.

Che se poi invece, mutando registro, ma non direzione, rispetto al trend giurisprudenziale in discorso, potesse operare per la nullità da mancata o erronea indicazione della sede la sanatoria per raggiungi-mento dello scopo, in virtù della applicazione estensiva o analogica dell’art. 156, c. 3°, c.p.c. 59, lo scopo (e cioè nessuna incertezza sulla nazionalità del lodo e sulla sede dell’arbitrato attraverso cui individua-re la Corte d’appello competente per la impugnazione) sarebbe da considerarsi senz’altro raggiunto una volta che il lodo fosse impugna-to davanti alla Corte d’appello della sede stabilita dalle parti 60.

4.2. b) Nell’ipotesi opposta — sede dell’arbitrato fissata determi-

natamente dalle parti all’estero, arbitri che la fissino e lodo che la in-dichi in Italia — prevarrà sempre, per il giudice italiano, la determina-zione pattizia. Se è vero che il nostro sistema impernia essenzialmente sulla fissazione della sede formale il discrimen fra arbitrato interno ed arbitrato estero, la prevalenza della fissazione di parte su quella arbi-trale vale ad ogni effetto e in ogni caso, e dunque anche nel caso in-verso a quello esaminato sub a). Inoltre la volontà compromissoria di

59 Si tratta della prospettiva di recente scartata — per adottare in suo luogo la

redenzione del lodo attraverso l’interpretazione negoziale — da Cass. n. 6951/2004, perché troppo “giurisdizionalistica” (supra, § 3.1.).

60 Qualsiasi altra Corte d’appello dovrebbe infatti, nel nostro caso, reputarsi in-competente, visto che il lodo non reca indicazione di sede, o reca una indicazione di sede illegittimamente fissata dagli arbitri all’estero.

Maggiori problemi, invece, vi sarebbero ove gli arbitri avessero disatteso non la determinazione di nazionalità, già esplicitata compromissoriamente dalle parti, ma la sola determinazione della sede nell’ambito del territorio italiano, fissandola in Roma piuttosto che in Milano come stabilito dalle parti. Vie di salvezza del lodo nondime-no possibili, con qualche sforzo, alla stregua di questo si è illustrato nel testo: Corte d’appello di Roma incompetente perché la “sede dell’arbitrato” ai sensi dell’art. 828, c. 1° è quella davvero indicata dalle parti, indicazione a ogni effetto prevalente su quella arbitraria… degli arbitri; lodo dunque non annullabile per eccesso di potere arbitrale neppure della Corte d’appello di Milano (competente) e forse — qui è lo sforzo maggiore — redimibile anche dal vizio di erronea indicazione della sede.

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localizzare l’arbitrato all’estero quanto alla sede formale sarà il più delle volte chiaro indice di immedesimazione, voluto sempre dalle parti, di quell’arbitrato nell’ordinamento straniero. Quando pure, dun-que, dal ristretto punto di vista della sede formale si considerasse pre-valente la successiva fissazione in Italia ad opera degli arbitri, avrem-mo un esempio di arbitrato con sede in Italia ma che le parti hanno vo-luto estero61.

Il lodo insomma dovrà considerarsi estero; inammissibile la sua impugnazione ex artt. 828 ss. c.p.c. o la richiesta di sua omologazione; esperibile invece il procedimento di exequatur ex artt. 839–840.

4.3. c) Altra discrasia fra volontà compromissoria e determinazio-

ne arbitrale può aversi quando la prima abbia genericamente fissato in Italia la sede dell’arbitrato senza specificazione di località (utile alla individuazione della competenza territoriale per le funzioni giudiziali inerenti all’arbitrato), e gli arbitri, ai quali sarebbe affidata ex art. 816, c. 1° c.p.c., quella determinazione integrativa, non vi provvedano; sic-ché il lodo al più recherà la generica indicazione della “sede in Ita-lia”62.

Si è sostenuto63 che una fissazione solo della sede in Italia sia irri-levante ai fini del collegamento fra l’arbitrato e il lodo e l’or-dinamento italiano, sicché nel caso in discorso 64 l’arbitrato e il lodo

61 Vedi il § 2.3. 62 L’indicazione nel lodo di una località all’interno del territorio nazionale do-

vrebbe invece assorbire ed evitare ogni problema anche ove costituente essa stessa un rimedio dell’ultim’ora alla mancata specificazione arbitrale della sede.

Bisogna infatti senz’altro aderire a quell’orientamento che consente la fissazio-ne arbitrale della sede anche al di là della “prima riunione” nonostante l’apparente restrizione imposta dall’art. 816, c. 1° (cfr. RICCI E.F. in AA.VV., a cura di Tarzia, Luzzatto e Ricci, Legge 5 gennaio 1994, n. 25, cit. 96, DELLA PIETRA, op. ult. cit.,138; ma vedi — per altro nient’affatto perspicua — Cass. 18 febbraio 2000, n. 1808); senza dire che la indicazione specifica nel lodo, piuttosto che integrare di per sé fissazione in extremis, potrebbe corrispondere ad una fissazione già precedente-mente operata dagli arbitri per fatti concludenti.

63 RICCI E.F., La nozione di lodo straniero, dopo la legge n. 25 del 1994, in Riv. dir. proc., 1995, cit. 337.

64 Come del resto in quello in cui nessuna discrasia si riscontri fra volontà com-promissoria e determinazione arbitrale circa la sede, ma quest’ultima determinazio-

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dovrebbero fatalmente essere considerati esteri, questione diversa es-sendo quella della regolarità dell’uno e dell’altro secondo una disci-plina arbitrale straniera. Ma quale poi? visto che potrebbe mancare ed anzi di regola mancherà qualsivoglia collegamento fattuale con un qualsiasi ordinamento straniero? In realtà la tesi — sebbene acutamen-te ed argomentatamente prospettata — non convince. Non vi è ragione di lasciare l’arbitrato ed il suo prodotto nel limbo, né di respingerlo ol-tre i confini virtuali dell’ordinamento italiano quando le parti hanno espressamente voluto inserirlo entro quei confini. In fin dei conti l’autonomia privata e le sue determinazioni meritano nell’arbitrato un riconoscimento sostanziale e financo oltranzista. Qui l’unico possibile motivo per privare della sua valenza quella scelta di autonomia privata nel senso del radicamento italiano dell’arbitrato starebbe semmai nel sottrarre il lodo alla impugnazione ex art. 829, c. 1°, n. 5, per difettosa indicazione della sede65. Ma lo si affiderebbe allora appunto ad un in-certissimo radicamento in qualche altro ordinamento nazionale66 e al conseguentemente incerto destino del riconoscimento ed esecuzione ai sensi della Convenzione di New York67.

E inoltre: il lodo in discorso potrebbe anche non essere impugnato. E sarebbe davvero singolare negare ad un simile lodo, nella sostanza e per come hanno voluto le parti italiano, l’efficacia vincolante ex art. 823, u.c. ormai perequabile, visto l’inutile scadere dei termini di im-pugnazione, a quella della sentenza passata in giudicato, o negargli la omologazione.

Certo, se si opina come qui si suggerisce, occorrerà farsi carico del problema della individuazione dei giudici statuali competenti in fase post–arbitrale rispetto a tale lodo “italiano”, vale a dire per la sua im-

ne, del tutto libera ex art. 816, c. 1° c.p.c., si sia comunque arrestata alla indicazione generica del territorio italiano.

65 Nel senso che il lodo, nel caso in discorso, è senz’altro italiano ma è nullo ex art. 829, c. 1° n. 5, v. DELLA PIETRA, op. ult. cit.,135.

66 È verosimile che l’intera vicenda arbitrale si svolga in Italia riferibile sotto ogni aspetto all’Italia, e che pertanto nessun altro ordinamento nazionale sia disposto a considerare come proprio l’arbitrato.

67 Sulle difficoltà di circolazione ai sensi della Convenzione di New York di un lodo di incerta o imperscrutabile provenienza nazionale v. BRIGUGLIO, L’arbitrato estero, cit., 94 e 222 ss.

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pugnazione (e correzione) e per la sua omologazione68. Credo che in proposito possa soccorrere l’individuazione della competenza attra-verso il concetto di sede effettiva; sede effettiva cui può ragionevol-mente estendersi una tantum la locuzione “sede dell’arbitrato” adope-rata dalle disposizioni sulla competenza in questione (art. 825, c. 2° e 828, c. 1°); sede effettiva che andrà verificata con riguardo al luogo di esclusivo o prevalente svolgimento della attività arbitrale69.

Può la “sede effettiva”, oltre a consentire, nel particolarissimo ca-so in esame, la individuazione del giudice territorialmente competente per la impugnazione, evitare al lodo la invalidazione ex art. 829, c. 1°, n. 5 per incompleta indicazione della sede ?

Se si ragiona — come si seguita a ritenere possibile e come però allo stato la Cassazione rifiuta — in termini di sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo, sì: la nazionalità del lodo non sarebbe dubbia accogliendosi le precedenti considerazioni, e la sede effettiva avrebbe consentito l’individuazione del giudice competente per la im-pugnazione.

Se si ragiona invece — come oggi la Cassazione propone — in termini di interpretazione negoziale salvifica, è ben difficile. Perché nessuno dei percorsi, pur arditi, segnalati dianzi sub a) sarà percorribi-le ove la sede (“effettiva” appunto) sia ricavabile solo dai fatti e non dall’accordo compromissorio.

4.4. d) Un forte impulso semplificatorio — non obliabile allorché

si tratta di un elemento formale come la sede dell’arbitrato e di ipotesi fortunatamente remote — induce ad assimilare70 a quello descritto sub

68 La competenza per le funzioni giudiziarie ausiliarie in fase arbitrale è meno problematica, o meglio essa si stabilirà come accade in ogni altro caso in cui la sede non sia stata ancora specificamente determinata e come il legislatore stesso apposi-tamente prefigura (cfr. l’art. 810, c. 2° c.p.c., e v. comunque a riguardo infra, cap. III, § 4).

69 Non vi è alcuna contraddizione, se non apparente, con l’affermazione, soste-nuta al § 2, del connotato formale della sede dell’arbitrato secondo il nostro attuale ordinamento. Una cosa è dire che nel contrasto fra sede formale e sede effettiva dell’arbitrato prevale sempre la sede formale; altra cosa, ben compatibile con la pri-ma, è sostenere che in mancanza di determinazione di una sede formale specifica possa darsi ingresso alla rilevanza della sede effettiva.

70 Nonostante le differenze empiriche riscontrabili.