Cap7 - oscillatori

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308 CAPITOLO 7 OSCILLATORI 7.1 Introduzione Un'altra classe di circuiti non lineari che ci si propone di trattare è quella degli oscillatori sinusoidali o, meglio, quasi sinusoidali, poiché non forniscono mai una sinusoide perfetta in uscita. Un oscillatore viene definito come circuito autonomo , in quanto non prevede la necessità di un segnale di ingresso. Il segnale d'uscita viene generato solamente grazie al circuito stesso, che ovviamente conterrà una sorgente di energia, tipicamente una batteria. La proprietà fondamentale di un oscillatore, che sta alla base del suo funzionamento, è costituita dall'instabilità, ossia, l'oscillatore basa il suo principio sulla presenza di una soluzione stazionaria instabile. In generale, tuttavia, questo tipo di circuiti presenta due soluzioni: una stazionaria instabile ed una a regime periodico stabile. Al fine di richiamare alcuni concetti legati alla stabilità, si ricorda che la presenza di poli complessi coniugati a parte reale positiva identifica una situazione di instabilità del circuito. Se, per esempio, si considera una coppia di poli a parte reale positiva, nel dominio del tempo si avrà una sinusoide che cresce con un inviluppo di tipo esponenziale, solitamente denominata segnale cisoidale, come mostrato in figura 1: fig. 1 E' ovvio che ad un certo punto entrerà in gioco un fenomeno che limiterà l'ampiezza del segnale cisoidale. Tale fenomeno. In alcuni casi, può anche generare la rottura del dispositivo. Al fine di studiare il comportamento del segnale e il suo andamento, si potrà considerare inizialmente un modello per piccoli segnali, caratterizzato da una funzione di trasferimento, che preveda l'utilizzo della trasformata di Laplace. Tale modello rimarrà valido fintantoché il comportamento del dispositivo potrà essere considerato lineare. Nel momento in cui il segnale diverge e si entra in regime di grandi segnali, il modello utilizzato perde di significato. Sarà necessaria, allora, l'applicazione di un

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Oscillatori

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CAPITOLO 7

OSCILLATORI 7.1 Introduzione Un'altra classe di circuiti non lineari che ci si propone di trattare è quella degli oscillatori sinusoidali o, meglio, quasi sinusoidali, poiché non forniscono mai una sinusoide perfetta in uscita. Un oscillatore viene definito come circuito autonomo, in quanto non prevede la necessità di un segnale di ingresso. Il segnale d'uscita viene generato solamente grazie al circuito stesso, che ovviamente conterrà una sorgente di energia, tipicamente una batteria. La proprietà fondamentale di un oscillatore, che sta alla base del suo funzionamento, è costituita dall'instabilità, ossia, l'oscillatore basa il suo principio sulla presenza di una soluzione stazionaria instabile. In generale, tuttavia, questo tipo di circuiti presenta due soluzioni: una stazionaria instabile ed una a regime periodico stabile. Al fine di richiamare alcuni concetti legati alla stabilità, si ricorda che la presenza di poli complessi coniugati a parte reale positiva identifica una situazione di instabilità del circuito. Se, per esempio, si considera una coppia di poli a parte reale positiva, nel dominio del tempo si avrà una sinusoide che cresce con un inviluppo di tipo esponenziale, solitamente denominata segnale cisoidale, come mostrato in figura 1:

fig. 1 E' ovvio che ad un certo punto entrerà in gioco un fenomeno che limiterà l'ampiezza del segnale cisoidale. Tale fenomeno. In alcuni casi, può anche generare la rottura del dispositivo. Al fine di studiare il comportamento del segnale e il suo andamento, si potrà considerare inizialmente un modello per piccoli segnali, caratterizzato da una funzione di trasferimento, che preveda l'utilizzo della trasformata di Laplace. Tale modello rimarrà valido fintantoché il comportamento del dispositivo potrà essere considerato lineare. Nel momento in cui il segnale diverge e si entra in regime di grandi segnali, il modello utilizzato perde di significato. Sarà necessaria, allora, l'applicazione di un

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modello che tenga conto della non linearità del dispositivo, perché è proprio quest'ultima la responsabile del fenomeno della limitazione d'ampiezza del segnale. Si considererà, a tale scopo, un modello non lineare che introdurrà la compressione di guadagno, la quale consentirà di giungere ad una stabilizzazione dell'ampiezza dell'oscillazione, fornendo una soluzione periodica stabile, cioè, con ampiezza e frequenza costanti. Tutto ciò fa capire come lo studio degli oscillatori risulti piuttosto complesso rispetto a quello dei circuiti lineari, in quanto la non linearità fa parte del comportamento intrinseco del circuito, senza il quale non sarebbe possibile determinare l'ampiezza della soluzione. La complessità di studio risulta addirittura maggiore rispetto a quella dei circuiti di potenza, infatti, mentre per quest'ultimi era possibile trascurare gli effetti di memoria, per gli oscillatori gli effetti reattivi (memoria) risultano fondamentali e determinano la frequenza dell'oscillazione. Le equazioni differenziali di tipo non lineare che identificano tali circuiti nel dominio del tempo, risultano troppo difficili da risolvere analiticamente e sarà, così, necessario ricorrere ad opportune semplificazioni, allo scopo di studiare al meglio tali circuiti. 7.2 Schema di principio di un oscillatore e condizione di innesco Esistono varie soluzioni per rappresentare lo schema di un oscillatore, tuttavia, quella più comunemente adottata prevede di considerare un amplificatore retroazionato positivamente, come viene riportato in figura 1:

Si

B(p)

A(p) S-Si

Su

S

fig. 1 In tale rappresentazione si considera S come un generico segnale e (p = σ + jω) come variabile complessa nel dominio di Laplace. Se si considera la funzione di trasferimento del circuito di figura 1, si ottiene:

)()(1)()(

)(pBpA

pBpAS

SpH

i

u

−−

== (1)

il cui denominatore prende il nome di equazione caratteristica e i cui zeri consentono di studiare la stabilità del sistema in esame, cioè:

1)()( 0)()(1 =⇒=− pBpApBpA (2)

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Si osserva che si sarebbe potuta ottenere la (2) anche considerando una diversa variabile d'uscita, come ad esempio S, perché la stabilità è del tutto indipendente da tale scelta. Si supponga, ora, che il circuito abbia almeno una coppia di poli complessi coniugati a parte reale positiva: la risposta del sistema divergerà e si avrà un andamento cisoidale delle grandezze elettriche del circuito. In questo caso, il comportamento del sistema prescinde completamente dall'ingresso e, quindi, si potrà fare a meno di quest'ultimo. Si pensi anche che la perturbazione necessaria per la nascita dell’andamento cisoidale può essere infinitesima e quindi per “l’innesco” non servirà la presenza di un segnale di ingresso ma basterà la semplice presenza di rumore, inevitabile in un qualsiasi circuito. Si potrà, così, fare riferimento allo schema di figura 2:

Su B(p) A(p)

fig. 2

S

Quest'ultimo modello perde di significato nel momento in cui si termina lo studio della stabilità, in quanto può solo segnalare un andamento divergente ad infinito dei segnali in gioco, cosa peraltro poco interessante, in quanto priva di fondamento reale. Per poter sapere, dunque, cosa accade nella realtà a regime, si dovrà ricorrere ad un modello non lineare. Il problema, ora, è quello di scegliere in maniera adeguata il modello non lineare che meglio rappresenta il sistema, data l'esistenza di un'infinità di schemi reali che, con un'opportuna scelta dei segnali, possono rappresentare la cascata di due blocchi come in figura 2. Sarà, quindi, necessario fare un'ipotesi sulla struttura del circuito non lineare di partenza. Innanzitutto, si potranno richiedere le seguenti specifiche: 1. Lo schema non lineare introdotto dovrà essere semplice e facile da studiare 2. Lo schema non lineare dovrà corrispondere al migliore schema di realizzazione per

un oscillatore, quello cioè a cui esso dovrebbe tendere Da tali ipotesi, come sarà più chiaro in seguito, lo schema di un oscillatore sarà costituito da due blocchi, di cui uno non lineare privo di effetti di memoria, descritto dalla funzione algebrica F[S(t)] e uno lineare dinamico, cioè con effetti di memoria; in tale modo è possibile scindere gli effetti legati alla linearità da quelli legati alla memoria. Tale schema risulta semplice e facilmente studiabile e si vedrà essere lo schema che identifica la migliore realizzazione per un oscillatore. Dal punto di vista grafico, quanto detto è rappresentato in figura 3:

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Su

B(p)

F[S(t)]

fig. 3

S

All'interno del blocco non lineare sarà contenuta una sorgente di energia, tipicamente una batteria, dei transistors, amplificatori e le opportune reti di polarizzazione del circuito stesso. Il primo blocco F[S(t)], essendo un blocco non lineare, ma privo di effetti reattivi, potrà essere studiato con un modello a transcaratteristica e, quindi, si avrà:

[ ])( tSFS u = (3) dove F rappresenta proprio la transcaratteristica. Se si linearizza la (3), nell'intorno del punto di riposo, si può scrivere:

0

0

ASF

S

=∂∂

(4)

che definisce il comportamento a piccolo segnale del blocco, in particolare, la (4) rappresenterà un guadagno di tensione, se il blocco è un amplificatore di tensione, una transconduttanza, se il blocco è un transistore bipolare o ancora una transresistenza ecc.…, a seconda delle variabili d'ingresso e d'uscita scelte. Nota la (4), dunque, è possibile scrivere l'equazione caratteristica, che sarà:

1)(0 =pBA (5) Dallo studio della (5) si potranno determinare i poli complessi coniugati a parte reale positiva, che determinano l'instabilità. Lo studio condotto fino ad ora, rientrando nell'ambito dei piccoli segnali, non ha creato grosse difficoltà. Dovendo, ora, porsi in regime di grandi segnali, sarà necessario scegliere quale, tra Su ed S, sia il segnale sinusoidale di interesse. Essendo F[S(t)] non lineare e B(p) lineare, se Su fosse sinusoidale dovrebbe esserlo anche S, vista la linearità di B, ma ciò è in contraddizione con il fatto che F[S(t)] è non lineare; dunque, l'unica scelta possibile è che S sia il segnale sinusoidale di interesse. Il segnale Su, allora, potrà essere non sinusoidale, in virtù del fatto che il blocco B può avere caratteristiche di selettività tali da garantire in uscita una sinusoide, anche se al suo ingresso il segnale può essere costituito da una serie di sinusoidi. Perciò, in base all'ipotesi sopracitata, si può scrivere:

)cos()( 00 tSStS M ω+= (6)

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Il segnale d'uscita, invece, vale

[ ])cos()( 00 tSSFtS Mu ω+= (7)

Il segnale Su è periodico e, come noto, si può pensare di rappresentarlo mediante uno sviluppo in serie di Fourier. Dato che l'eccitazione espressa dalla (6) è una funzione pari e periodica, si può dimostrare che l'uscita Su risulta anch'essa pari, periodica e con il medesimo periodo di S(t). E' per tale motivo che Su(t) può essere sviluppata in serie di soli coseni, ossia:

∑∞

=

+=1

00 )cos()(k

ukuu tkSStS ω (8)

dove

[ ]

[ ] dttktSSFT

S

dttSSFT

S

T

Muk

T

Mu

⋅+=

+=

0000

0000

)cos()cos(2

)cos(1

ωω

ω

con k ≥ 1 (9)

Per quanto riguarda il blocco lineare B(p), esso riceve in ingresso Su(t) e fornisce in uscita S(t). Utilizzando la sovrapposizione degli effetti, cosa possibile per la linearità di B(p), si può scrivere:

∑∞

=

∠++=1

00000 ))(cos()()(k

uku kBtkSkBSBtS ωωω (10)

che ci permette di avere gli elementi per esprimere le condizioni sotto le quali può nascere una sinusoide. Il segnale S(t) ottenuto, dovrà essere uguale a quello espresso dalla (6). Da ciò si deduce che il blocco B(p) dovrà essere selettivo, poiché riceve in ingresso una serie di sinusoidi a frequenza multipla di ω0 e fa uscire solamente la sinusoide alla frequenza ω0 di oscillazione. Per tale motivo, nel caso ideale si avrà:

0)( 0 =ωkB per 2≥k (11)

Dalla rete di retroazione selettiva, dunque, dovrà uscire solo il termine sinusoidale. È chiaro che la (11) non potrà mai essere realizzata in realtà, poiché il filtro risulterebbe perfettamente selettivo. In pratica, allora, la (11) può essere modificata nel seguente modo:

)()( 00 ωω BkB << per 2≥k (12)

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ossia, le sinusoidi dovranno essere molto attenuate rispetto al termine utile, rappresentato dalla componente fondamentale a frequenza ω0. Vista la selettività del filtro, allora, l'uscita diventerà:

))(cos()()0()( 00100 ωωω BtSBSBtS uu ∠++= (13) Se, ora, si impone la condizione di uguaglianza per la componente continua, si ottiene:

00 )0( uSBS = (14) Dal momento che le componenti continue, in generale, sono facili da eliminare, ciò che solitamente si preferisce fare è prendere un filtro (passa banda) che abbia B(0) = 0, non preoccupandosi troppo dell'influenza della componente continua e in modo tale da avere S0 = 0, qualunque sia il valore medio di Su0. La condizione di uguaglianza più interessante, invece, è quella che si ottiene alla frequenza di oscillazione f0, ossia:

=−=⇒=∠

==⇒=∠

10100

10100

)()( )(

)()( 0)(

uuM

uuM

SBSBSB

SBSBSB

ωωπω

ωωω (15)

in cui le ultime uguaglianze derivano dalle seguenti implicazioni:

−=⇒⇒=∠

=⇒⇒=∠

)( negativo reale )( 0)(

)( positivo reale )( 0)(

0000

0000

ωωω

ωωω

B)B(ùBB

B)B(ùBB (16)

Indipendentemente dal fatto che l'argomento sia 0 o π, dunque, l'espressione di SM è la stessa e può essere scritta come:

MM

Mu

M

u SBS

SSS

S

S ˆ)(

1),(

0

011 ⇒==ω

(17)

che prende anche il nome di funzione descrittiva, reale in questo caso perché il blocco non lineare è puramente algebrico1. Si sono trovate, allora, due condizioni sul blocco B: la prima impone che esso sia un blocco selettivo, la seconda vuole che la funzione di trasferimento del blocco B di retroazione sia reale alla frequenza di oscillazione, come espresso dalle (16). Il blocco B, inoltre, potrà essere reale positivo o negativo, a seconda che il blocco diretto sia non invertente o invertente, perché il segnale in uscita dovrà poter essere in fase con quello d'ingresso. Se il blocco diretto, quindi, introduce una rotazione di 180°, l'argomento di B dovrà essere π, in modo tale da fornire i restanti 180° di rotazione per tornare a 0. Se il blocco diretto non inverte, invece, l'argomento di B dovrà essere anch'esso nullo, al fine di non fornire alcuna inversione. Osservando la (17), si nota che Su1 rappresenta l'ampiezza della prima componente sinusoidale in uscita al blocco

1 Se così non fosse, ossia in presenza di dinamica del blocco non lineare, la funzione descrittiva sarebbe complessa.

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non lineare F ed è funzione di S0 ed SM, come evidenzia la seconda delle (9). La (17), dunque rappresenta un'equazione non lineare, poiché Su1 dipende in maniera non

lineare da SM, la cui soluzione è proprio l'ampiezza dell'oscillazione MS del segnale sinusoidale S. Alla (17), poi, deve essere associata l'espressione che consente di determinare la frequenza dell'oscillazione che, dovendo essere B reale, sarà:

{ } 00 0)(Im ωω ⇒=B (18) Imponendo, dunque, le condizioni di funzionamento dell'oscillatore, si ricavano le due equazioni, (17) e (18), la prima delle quali esprime una sorta di guadagno (non è un vero e proprio guadagno poiché si è in condizioni non lineari), costituito dal rapporto tra l’ampiezza della prima armonica in uscita al blocco non lineare e l’ampiezza del segnale sinusoidale in ingresso a tale blocco. La (17), in sostanza, dice che il "guadagno" introdotto dal blocco diretto deve compensare l'attenuazione introdotta dal blocco di retroazione. In tal modo, come il segnale deve tornare ad avere la stessa rotazione di 360°, così anche l'ampiezza deve ritornare ad essere quella d'ingresso al blocco amplificatore. Facendo, impropriamente, la seguente posizione:

AS

SSS

M

Mu =),( 01

e sostituendola nella (17), si ottiene:

1)( 0 =⋅ ωBA (19) che prende il nome di criterio di BARKHAUSEN, che è spesso citato in molti libri di testo, ma in cui, tuttavia, è importante ricordare che A non rappresenta assolutamente il guadagno a piccolo segnale, in quanto è funzione dell’ampiezza del segnale. Si vuole, ora, fornire un'interpretazione grafica della (17), ricordando che non è possibile prescindere dalla non linearità per studiare l'ampiezza della sinusoide dell'oscillatore, nonostante si consideri la non linearità algebrica, in prima approssimazione. Avendo eliminato tutte le armoniche diverse dalla fondamentale, si può pensare di usare l'espressione (17) per descrivere il blocco di amplificazione e, dal punto di vista grafico, si è soliti rappresentare come in figura 4 sistemi debolmente non lineari o fortemente non lineari, ma seguiti da un filtro selettivo:

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MS

)(11

00 ωBB=

M

u

S

S 1

MS

0A

fig. 4 Osservando la figura 4, si nota che per ampiezze piccole (SM → 0), si ha il guadagno a piccolo segnale, indicato con A0 e questo è ovvio, dal momento che al tendere a zero del segnale il circuito costituito dal blocco F[S(t)] diventa lineare. Da un punto di vista qualitativo, poi, si osserva che, fintantoché i segnali non crescono molto, il guadagno rimane costante, poiché il comportamento del circuito rimane lineare. Mano a mano, invece, che l'ampiezza dei segnali aumenta, entra in gioco la compressione di guadagno, che fa calare il guadagno stesso e che consente di ottenere una soluzione altrimenti irraggiungibile2. L'intersezione tra la retta SM = 1/ B0 e la funzione

decsrittiva rappresentata, fornisce il valore di MS , che rappresenta l'ampiezza dell'oscillazione. Un altro modo di rappresentare graficamente la relazione espressa dalla (17) è quello mostrato in figura 5, dove in ordinata viene posto Su1:

MS MS

fig. 5

Mu SB

S0

1

1=

MMuu SSSSS ⋅= ),( 011

1uS

α

da cui

linearenon funzione ),(

lineare filtro 1

011

0

1

⇒=

⇒=

MuM

u

M

u

SSSSS

BSS

2 Le rette, senza non linearità, non avrebbero mai un punto d'incontro, se non all'infinito.

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Dall'analisi dei grafici di figura 4 e 5, si ricava in modo empirico un'altra condizione, basata sul criterio di Bode, che consente lo studio della stabilità in modo più semplice e che prende il nome di condizione di innesco. In particolare, affinché esista tale soluzione, dovrà essere:

)(1

00 ωB

A >

da cui la condizione d'innesco

1)( 00 >⋅ ωBA (20)

La (20) si collega direttamente al criterio di Bode, poiché ω0 rappresenta la frequenza a cui la rotazione di fase è di 360°, mentre il guadagno d'anello deve essere maggiore di uno per avere un comportamento instabile; la (20), quindi, rappresenta lo studio della stabilità nel dominio ω, che è sicuramente più comodo da svolgere rispetto a quello nel dominio di Laplace; si ricorda che la (20) è corretta a patto che i due blocchi siano entrambi stabili, come già discusso. Ciò significa che il guadagno ad anello aperto deve essere stabile, pena il decadimento della validità del criterio di Bode o di Nyquist. La (20) può essere considerata la terza equazione che garantisce che l'oscillatore si inneschi e parta da solo. È da notare, tuttavia, che la (20) è una condizione sufficiente ma non necessaria ad avere un comportamento oscillatorio, poiché la funzione descrittiva potrebbe essere del tipo mostrato in figura 6:

Su1

SM SMB

1/B0

A periodico stabile

B instabile

fig. 6 Nella realtà, infatti, si può avere anche un oscillatore con innesco non spontaneo o cosiddetto duro. Nel caso di figura 6, infatti, la condizione d'innesco non è verificata, poiché la (20) non è soddisfatta. La soluzione stazionaria, allora, in assenza di segnale risulta stabile ed è quella identificata dal punto A. Esiste, tuttavia, un'altra soluzione, che è instabile ed è rappresentata dal punto B. Una perturbazione piccola, allora, non è sufficiente ad innescare l'oscillazione, ma se l'ampiezza del segnale d'ingresso è abbastanza grande da far toccare la soluzione instabile B, l'oscillatore si innesca e raggiunge la soluzione stabile in A. Questo tipo di comportamento viene detto innesco duro e la funzione descrittiva che lo rappresenta è caratteristica degli oscillatori realizzati con amplificatori in classe C. In questo contesto, si osservi che la transcaratteristica, che lega una IC istantanea ad

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una VBE istantanea e la funzione descrittiva, che lega l'ampiezza del segnale sinusoidale d'ingresso alla ampiezza della prima armonica del segnale d'uscita, sono ben diverse e vengono messe a confronto in figura 7:

IC1

VBE1

fig. 7

VBE

IC

Funzione descrittiva

Transcaratteristica

L’andamneto qualitativo della figura a destra si giustifica così: finché l’ampiezza della sinusoide in ingresso risulta più piccola della soglia, essendo il classe C polarizzato sottosoglia, l'uscita sarà nulla; nel momento in cui la sinusoide interessa il tratto lineare, si inizierà ad avere una corrente d'uscita, la cui componente sinusoidale dovrà essere calcolata tramite un integrale (coefficiente della serie di Fourier); tuttavia, quanto più crescerà l'ampiezza del segnale d'ingresso VBE(t) tanto più aumenterà l'ampiezza della fondamentale in uscita. Quando, infine, l'ampiezza della sinusoide d'ingresso arriverà a toccare la zona di saturazione, l'ampiezza della prima armonica di IC inizierà a calare, fino a diventare un'onda quadra di ampiezza costante e, quindi, indipendente da ulteriori variazioni di VBE(t). 7.3 Applicazioni pratiche Se si fa riferimento ad una situazione in cui i segnali S ed Su rappresentano delle tensioni, un modo per realizzare la rete di retroazione selettiva è quello di figura 1:

Vu

R

C L V

fig. 1 in cui Vu rappresenta la grandezza in uscita al blocco non lineare algebrico, mentre V è il termine sinusoidale che nasce dal filtraggio. La pulsazione alla quale la rete di figura 1 diventa puramente reale è la seguente:

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LC

10 =ω (1)

da cui risulta

1)( 0 =ωB (2)

La (1) e la (2) sono espressioni ricavate in seguito al calcolo della funzione di trasferimento della rete e all'applicazione della (18) del paragrafo precedente. Essendo la condizione espressa dalla (1) la classica condizione di risonanza, nel circuito di figura 1, la rete LC diventa un aperto e si ottiene il noto andamento selettivo. Tutto ciò fornisce già un'indicazione sul tipo di blocco non lineare che è necessario inserire per realizzare un oscillatore, poiché essendo B(ω0) = 1 positivo, non si introduce alcuna rotazione di fase, quindi, nemmeno l'amplificatore dovrà introdurre uno sfasamento. La scelta, allora, sarà quella di un amplificatore non invertente e, dovendo essere verificata la condizione di innesco data dalla (20), si dovrà avere anche un guadagno positivo, ossia:

10 >A

Lo studio finora svolto è stato fatto supponendo di poter descrivere il comportamento dei due blocchi in modo indipendente l’uno dall’altro. In sostanza, non si sono tenuti in conto gli effetti di carico che si manifestano in una connessione in cascata, ritenendo invariata la funzione di trasferimento B(ω) e la caratteristica dell’amplificatore anche dopo aver connesso i blocchi tra di loro. In uno schema a blocchi tale problema non si pone, ma in una realizzazione circuitale pratica, tutte le considerazioni svolte sono valide solamente se l'impedenza d'ingresso dell’amplificatore è elevata, al limite infinita (circuito aperto), in modo da non caricare la funzione di trasferimento B(ω) che, altrimenti, verrebbe modificata dall'impedenza d'ingresso dell'amplificatore. Allo stesso tempo, l'impedenza d'uscita dell'amplificatore dovrà essere molto piccola, al fine di non risentire del carico da parte del blocco B(ω). Lo studio che riguarda l'interazione e l'influenza reciproca di due oggetti è strettamente legato alle caratteristiche di qualità di un progetto, che è tanto migliore, quanto più è garantito che la connessione in cascata non sia motivo di reciproca influenza. Nel caso in esame, dunque, è necessario far sì che la funzione di retroazione non carichi l'amplificatore, così come l'amplificatore non deve vedere le sue caratteristiche modificate dalla funzione di retroazione. L'amplificatore che si dovrà realizzare, allora, per essere retroazionato dalla rete in questione, dovrà avere impedenza d'uscita molto bassa e impedenza d'ingresso molto alta e il dispositivo che più rispecchia queste caratteristiche è l'operazionale, ossia conviene utilizzare un amplificatore realizzato come in figura:

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Vu

R

C L

V

R1

R2

fig. 2 che rappresenta, dunque, un amplificatore non invertente realizzato con un'operazionale, a guadagno maggiore di uno e retroazionato da una rete RLC selettiva, della quale è nota la pulsazione di risonanza e, quindi, la frequenza di oscillazione. La condizione d'innesco, allora, è verificata se vale:

1111)(1

20 >⋅

+⇒>⋅

RR

BA ω

da cui si ricava

111

2 >

+

RR

(3)

che, in questo particolare caso, è sempre verificata, data l'idealità dei componenti. Se si fossero tenute in conto, infatti, anche le resistenze parassite serie dell'induttore o le resistenze parallelo delle capacità, la presenza delle perdite avrebbe reso la condizione d'innesco più fisica e meno facilmente verificabile. È possibile, ora, impostare il calcolo dell'ampiezza di V(t), sapendo che la Vu(t) sarà una forma d'onda distorta, mentre V(t) sarà sinusoidale. L'ideale, ovviamente, sarebbe avere una Vu(t) sinusoidale, poiché in uscita dall'operazionale si avrebbero livelli di tensione più alti, ed il segnale risulterebbe meglio prelevabile. Per l'analisi di V(t) si devono fare gli stessi ragionamenti svolti in precedenza, considerando la transcaratteristica dell'amplificatore evidenziata in figura 3:

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Vu

+vM

-vM

V

fig. 3 in cui, sino alla saturazione si ha un guadagno pari a (1 + R2/R1) e, successivamente, si arriva a toccare la regione di saturazione positiva o negativa. La figura 3, altro non rappresenta che la nota funzione F[V(t)], dalla quale è possibile dedurre la funzione descrittiva ricavando la prima armonica di Vu(t) e graficandola in funzione dell'ampiezza VM di V(t). Tale procedimento richiede il calcolo, per via analitica o numerica, del coefficiente di Fourier della prima armonica secondo quanto visto in precedenza. Senza intraprendere i calcoli, per semplicità, possiamo comunque ricavare l’andamento qualitativo della funzione descrittiva. In particolare, rappresentiamo i valori normalizzati di Vu1 e VM rispetto al valore massimo di uscita vM, come evidenziato in figura 4:

M

u

vV 1

M

M

v

V

1

21

1

RR

+

1

armonica a 3ωω0

A

fig. 4

π4

Finché la sinusoide d'ingresso rimane nel tratto lineare, l'ampiezza della sinusoide di uscita è proporzionale a quella d'ingresso. La funzione descrittiva, dunque, avrà un andamento lineare sino a Vu1 = vM, cioè, sino a Vu1 / vM = 1, mentre sull'asse delle ascisse si avrà:

VRR

+=

1

21uV (4)

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e tale relazione è valida anche per le ampiezze delle sinusoidi, ossia:

MVRR

+=

1

21u1V (5)

Quando Vu1 = vM si ottiene

1

21

2

1

11

RRv

VV

RR

M

MM

+=⇒

+= v M (6)

che identifica il valore sull'asse delle ascisse corrispondente al punto A di figura 4. Da tale punto in poi, ci si aspetta ovviamente la presenza di armoniche e, per la simmetria della transcaratteristica, che è una funzione non lineare dispari, saranno presenti solo le armoniche dispari. Comparirà, dunque, l'armonica a 3ω0 mentre la prima armonica, al crescere dell’ampiezza dell’ingresso, tenderà ad un valore costante. Quando la tensione V, infatti, è molto grande, la tensione di uscita Vu diventerà un'onda quadra e la Vu1, per VM → ∞, tende a diventare la prima armonica di un'onda quadra, cioè:

MV vM π

4V u1 = → →∞ (7)

da cui, (Vu1 / vM) tende a (4 / π = 1,27) per VM → ∞.

Vu

+ vM

- vM

t

fig. 5 Per ricavare l'ampiezza dell'oscillazione si deve mettere a sistema la funzione descrittiva con la retta Vu1/VM=1/B(ω0), ottenendo l'ampiezza MV , come evidenzia il grafico di figura 6:

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M

u

vV 1

M

M

v

V

1

21

1

RR

+

1 A

fig. 6

MV

1.27 ( )0

1 1

ωBVV

M

u =

Da quanto visto si deduce che, pur avendo fatto grosse semplificazioni trascurando gli effetti reattivi dell'operazionale e supponendo la rete B(ω) perfettamente selettiva, il problema rimane abbastanza complesso e scomodo da risolvere a causa della necessità intrinseca di considerare la non linearità. Come si può notare in figura 6, se l'intersezione avviene in una zona in cui il guadagno è schiacciato, in uscita si avrà un'onda quadra. Ciònonostante, la rete selettiva consente di ottenere un segnale V sinusoidale; è chiaro, tuttavia, che ciò sarà possibile solo grazie ad un ottimo filtro selettivo e questo crea seri problemi, dal momento che gli induttori sono realizzati in modo economico solo sopra alcune decine/centinaia di KHz. Se si vogliono realizzare oscillatori per frequenze più basse (frequenze audio fino a 20 KHz), non è più possibile (conveniente) utilizzare reti selettive e si dovrà agire diversamente. Un altro aspetto importante riguarda la stabilità dell’ampiezza dell’oscillazione. Se l'operazionale opera in forte saturazione, la tensione di uscita dipende fondamentalmente dall'alimentazione e, dunque, stabilizzando quest'ultima, si riesce anche a stabilizzare l'ampiezza della tensione d'uscita. Da questo punto di vista, è conveniente, quindi, lavorare con un amplificatore di tipo switching, che opera ad alta distorsione e fornisce un elevato rendimento, mentre una buona sinusoide potrà essere estratta tramite la rete selettiva. Tutto ciò, purtroppo, vale per frequenze non troppo basse; in caso contrario, si è costretti a ricorrere a reti filtranti di tipo R e C, non molto selettive. Una rete usata è quella di figura 7, che prende il nome di ponte di Wien:

Vu

V

R

C

C

R

fig. 7 Lo schema circuitale di un oscillatore a ponte di Wien è quello di figura 8:

Page 16: Cap7 - oscillatori

323

Vu

R

C R

V

R1

R2

fig. 8

C

Questo circuito è formato da un amplificatore operazionale non invertente. La sua trascurabile impedenza d'uscita, unita a quella assai elevata (teoricamente infinita) d'ingresso e a due cellule RC, una serie l'altra parallelo, provoca l'innesco delle oscillazioni. Il funzionamento del circuito si basa sul fatto che, attraverso il ramo equilibrato del ponte, ramo formato appunto dalle due celle RC, si verifica una controreazione positiva tra l'uscita dell'operazionale e il suo ingresso non invertente. Poiché l'ampiezza e la fase del segnale di retroazione sono funzioni della frequenza, esiste un solo valore di questa in coincidenza del quale lo sfasamento risulta nullo. Tale frequenza è quella di oscillazione, dato che la tensione tra gli ingressi, invertente e non invertente, è in fase con quella d'uscita, infatti, l'altro ramo del ponte non presenta nessun componente reattivo che possa variare la sua impedenza in funzione della frequenza. Il valore della frequenza prodotta dall'oscillatore di Wien risponde alla seguente equazione:

RC1

=0 ω (8)

da cui si ricava anche

31

) =0 B( ω (9)

mentre la condizione di innesco è garantita dalla disuguaglianza:

231131

11)1

2

1

2

1

2 >⇒>

+⇒>⋅

+⇒>⋅

RR

RR

RR

B(A 00 ω

Page 17: Cap7 - oscillatori

324

Si ricava, inoltre, che B(3ω0) = 1/4, a dimostrazione del fatto che il filtro non è molto selettivo e, dunque, la V non sarà una buona sinusoide, a meno che non si utilizzi un qualche altro accorgimento per mantenere la distorsione bassa3. Questo circuito permette la realizzazione di oscillatori la cui frequenza può variare da pochi Hertz fino a qualche MHz. Un'altra possibilità è quella di utilizzare oscillatori con reti a sfasamento, detti Phase Shifter, che producono, per opera di tre celle RC, uno sfasamento addizionale di 180° a quello introdotto dall'amplificatore operazionale, ottenendo i seguenti risultati:

RC6

1=0 ω (10)

e ancora

291

) −=0 B( ω (11)

In questo caso, dunque, serve un amplificatore operazionale invertente, poiché B(ω0) è negativa, per cui lo schema generale sarà quello di figura 9:

Vu

V R

R2

fig. 9

R

C C C

R

L'oscillatore a sfasamento, allora, consiste in un amplificatore operazionale alla cui uscita si accoppiano tre celle RC collegate in cascata formate ognuna da un resistore R e da un condensatore C; l'uscita dell'ultima cella viene riportata all'ingresso invertente dell'operazionale. Quest'ultimo sfasa di 180° il segnale presente all'ingresso invertente e la rete di resistori e condensatori (rete sfasatrice) introduce un ulteriore sfasamento, affinché il segnale di ritorno abbia la stessa fase di quello applicato all'ingresso invertente. A questa specifica frequenza, la variazione di fase sarà complessivamente di 360°, dato che il segnale, attraversando l'operazionale e le celle di sfasamento e quindi tornando all'ingresso invertente, ha subito due sfasamenti di 180° ciascuno. Lo sfasamento di 360° (che equivale a 0°), si verifica soltanto alla frequenza di

3 E' da notare che, per come sono fatte le transcaratteristiche, 3ω0 rappresenta la pulsazione alla quale si presenta la prima armonica di disturbo.

Page 18: Cap7 - oscillatori

325

oscillazione del circuito, visto che l'innesco è appunto provocato dal fatto che il segnale d'uscita viene riportato in fase all'ingresso. È da notare, inoltre, che lo schema circuitale della rete sfasatrice funziona bene con un operazionale la cui impedenza d'uscita sia talmente bassa, da considerare elevatissima qualsiasi resistenza d'ingresso del blocco a valle. Se, ad esempio, si sostituisse all'operazionale un dispositivo amplificatore realizzato con un FET a svuotamento, i risultati non sarebbero altrettanto soddisfacenti:

Vu

RS

fig. 10

R

C C

R R

RD

VDD

CS

C

Il FET, in questo caso, è un dispositivo normally on, con una tensione di soglia negativa. Per la polarizzazione si può fare riferimento alla seguente figura:

fig. 11

ID

VGS VT

Dove la caratteristica ID (FET in saturazione) è del tipo:

[ ] 2

2

DI TGS VV −= β (12)

mentre la retta di carico è la seguente:

Page 19: Cap7 - oscillatori

326

GSSVR−=DSI (13) La (12) e la (13), messe a sistema (vedi figura), consentono di fissare la polarizzazione. È da ricordare che il transistore FET ha un'impedenza d'ingresso elevata e, quindi, la sua capacità di ingresso non riesce a caricare la rete a sfasamento. Per quanto riguarda il guadagno del blocco attivo (amplificatore a FET), una scelta opportuna può essere quella di far sì che il carico (rete di sfasamento) si senta il meno possibile. È opportuno, in questo contesto, ricordare lo schema circuitale del modello equivalente a piccolo segnale del transistor:

fig. 12

iD

vGS gm vGS

(che conferma le conclusioni sopracitate per quanto concerne l'impedenza d'ingresso del FET). Per avere, dunque, un valore di A0 pari a quello a “vuoto”:

Dm Rg=0A (14) dovrà essere verificata la disuguaglianza

inD ZR << (15)

dove Zin rappresenta l'impedenza d'ingresso della rete a sfasamento. Tale condizione è sicuramente verificata per l'operazionale, poiché per quest'ultimo è RD (RO) ≅ 0. Nel caso in questione, sapendo che l'impedenza associata alla capacità C diventa:

RCRC

CZ C 6

61

00 ===

ω (16)

basterà che il valore della resistenza R sia abbastanza elevato per garantire la (15). L'impiego di questi circuiti fa sorgere il problema di dover avere in uscita buone sinusoidi senza l'utilizzo di induttanze. A tale scopo, dunque, si deve agire sulla non linearità, in modo tale che il blocco non lineare non operi in condizioni di non linearità troppo spinte e in modo che il segnale Su non sia troppo distorto, ottenendo delle buone sinusoidi anche con filtri non eccessivamente selettivi. Meritano di essere menzionati anche altri tipi di oscillatori, come gli oscillatori a T e a doppia T, di cui si fornisce uno schema in figura 13:

Page 20: Cap7 - oscillatori

327

Vu

R1

R2

+

-

OPAMP

RETE

fig. 13 dove le reti a T o doppia T sono realizzate nel modo mostrato in figura 14:

fig. 14

rete a T rete a doppiaT R

R

L

C C C C

R R

R1 C1

L'oscillatore a T si basa sullo stesso principio di funzionamento di quello a ponte di Wien; la differenza sta nel fatto che la rete che determina la frequenza di oscillazione è formata da due condensatori (C), due resistenze (R ed R1) e un'induttanza montati a forma di T, come mostrato in figura 14. In questo oscillatore la controreazione positiva avviene sull'ingresso non invertente dell'operazionale mediante R1 ed R2. Anche in questo caso, la distorsione del segnale è minima, però viene assicurata una maggiore selettività e una migliore stabilità. L'oscillatore a doppia T, infine, presenta caratteristiche più o meno simili alle precedenti, infatti, anch'esso si basa sul principio di funzionamento del ponte di Wien. Anche qui la frequenza di oscillazione viene determinata dalla rete di retroazione, che nella fattispecie è formata da tre condensatori, due di valore C e uno di valore C1 e tre resistori, due di valore R e uno di valore R1, montati come due T sovrapposte, da cui il nome dell'oscillatore. Questo circuito, a differenza del precedente, non utilizza alcuna induttanza, con i ben noti vantaggi che ne derivano. La controreazione positiva viene stabilita dai resistori R1 ed R2, che riportano il segnale d'uscita all'ingresso non invertente dell'amplificatore operazionale. I vantaggi del doppio T sono la stabilità e la discreta selettività. Lo schema a blocchi dell'oscillatore, fornito in figura 1, in cui si evidenziano i due blocchi, uno lineare reattivo e l'altro non lineare e non reattivo, rappresenta, tutto sommato, il modo migliore per realizzare tali circuiti, in quanto la frequenza di

Page 21: Cap7 - oscillatori

328

oscillazione dipende esclusivamente dal blocco lineare reattivo, come espresso dalla relazione (18). Ciò, tuttavia, vale soltanto se il blocco attivo non presenta effetti reattivi, altrimenti la pulsazione ω0 comincia a dipendere anche dagli elementi del blocco attivo. Questi ultimi, d'altra parte, dipendono a loro volta dalla temperatura, invecchiamento, polarizzazione e dalla dispersione del processo, per cui qualora si volesse, ad esempio, cambiare il componente, ci si ritroverebbe con una diversa ω0. È opportuno, dunque, che la frequenza di oscillazione sia fissata dalla rete passiva. L'ampiezza dell'oscillazione, invece, per essere calcolata richiede necessariamente la presenza della non linearità del blocco attivo, ossia, la compressione di guadagno e dovrà dipendere da tale blocco. Anche l'ampiezza, dunque, non sarà costante, ma dipenderà dalle caratteristiche del blocco attivo, quali la polarizzazione, l'invecchiamento dei componenti ecc… Riassumendo, si vuole che l'oscillazione sia stabile sia in frequenza che in ampiezza, tuttavia, mentre per il primo caso la stabilità dipende da un blocco reattivo e, quindi, è possibile ottenere un buon risultato, per quanto riguarda l'ampiezza è più difficile ottenere un'oscillaizone stabile, poiché essa è fissata dalla compressione di guadagno. Uno degli accorgimenti più comuni per rendere le prestazioni del blocco attivo e MV

indipendenti dai suoi parametri consiste nell'utilizzo della retroazione. Quando è possibile, allora, si cerca di lavorare con amplificatori il cui blocco diretto sia retroazionato negativamente. La retroazione, comunque, è utile fino ad un certo punto, poiché seppure sia vero che garantisce la stabilità delle prestazioni a piccolo segnale, tuttavia, quando i segnali crescono, data la natura dell'oscillazione, subentra il fenomeno della compressione di guadagno e le proprietà della retroazione, che dipendono da un guadagno elevato, vengono ad essere meno garantite proprio per la riduzione del guadagno. Un modo alternativo di procedere, dunque, considerando lo schema circuitale con l'operazionale, è quello di far lavorare l'amplificatore in condizioni di forte saturazione (classe S); in questo caso, infatti, essendo le ampiezze dei segnali molto grandi, l'uscita è sostanzialmente un'onda quadra, la cui caratteristica viene a dipendere solamente dalla tensione di alimentazione opportunamente stabilizzata. Dal punto di vista grafico il risultato è dato in figura 15:

M

u

vV 1

M

M

vV

1

21

1

RR

+

1

armonica a 3ωω0

A

fig. 15

π4

Page 22: Cap7 - oscillatori

329

Lo svantaggio di questo modo di procedere deriva dal fatto che, in uscita dal blocco attivo, ci si ritrova un segnale fortemente distorto, che impone la scelta di un filtro selettivo molto buono, in grado di recuperare la sinusoide. Ad alte frequenza, quindi, dove l'uso degli induttori o, comunque, di componenti discreti non crea problemi, è possibile realizzare filtri molto selettivi, ma se si utilizzano degli oscillatori di tipo RC, come la rete di Wien, data la loro scarsa selettività si otterrà un oscillatore tutt'altro che sinusoidale. In quest'ultimo caso, far lavorare l'operazionale in una situazione di forte saturazione significa ottenere in uscita un segnale oscillatorio, ma lontano dall'essere una sinusoide. La condizione necessaria affinché un oscillatore RC possa generare una sinusoide abbastanza pura, dunque, è che esso non lavori mai in regime di forte saturazione e ciò si ottiene considerando la retta 1/B(ω0) il più inclinata possibile. Come si nota in figura 15, infatti, più le rette che descrivono la rete di retroazione sono inclinate, più le armoniche calano e i segnali saranno meno distorti, nonché più facili da filtrare. Lavorare con basse distorsioni, tuttavia, può causare due grossi problemi: il primo dovuto al fatto che, se la retta 1/B0 raggiunge una pendenza simile a quella della funzione descrittiva, le variazioni dei componenti potrebbero far passare da una condizione di innesco ad una condizione in cui non è più possibile l'innesco (si ricorda che l’innesco si ha quando la pendenza del blocco diretto è maggiore di quella del blocco di retroazione). Il secondo problema, invece, deriva dall'intersezione identificata dal punto A in figura 15, poiché la compressione di guadagno risulta essere molto scarsa, dal momento che la caratteristica ha appena iniziato a piegare. In particolare, la soluzione corrispondente al punto A risulta essere molto più sensibile a variazioni delle caratteristiche di quanto non avvenga, invece, in una situazione di forte compressione di guadagno ed alimentazione stabilizzata, com'è stato spiegato in precedenza. Per riuscire a lavorare in condizioni di distorsione non troppo elevate, è opportuno far sì che la non linearità, come la compressione di guadagno, entri in gioco gradatamente e non in modo brusco. È utile, dunque, cercare delle caratteristiche che consentano l'intervento graduale della non linearità, in modo tale che l'intersezione con la rete di retroazione fornisca delle prestazioni migliori in termini di distorsione e, quindi, di successivo filtraggio. Se, quindi, si considerano oscillatori di tipo RC, l'obiettivo principale è quello di cercare una caratteristica più dolce possibile, ad esempio come quella a tratteggio di figura 16:

Vu

+vM

-vM

fig. 16

Vi

Page 23: Cap7 - oscillatori

330

in cui l'intervento della non linearità è più graduale, garantendo una soluzione a regime meno distorta e dove, pur continuando a lavorare in condizioni di forte saturazione, è consentito operare in zone a cui corrispondevano, in precedenza, armoniche molto più elevate. Dal punto di vista circuitale, quanto appena detto può essere realizzato nel modo seguente:

Vu

R1

R2

fig. 17

Vi

R3

Fintantoché i diodi Zener non conducono, la caratteristica indica che

+=

1

21RR

VV iu (17)

e ciò avviene per

∗≤ ii VV (18) come evidenziato in figura 18:

Vu

fig. 18

Vi ∗

iV

∗− iV 1

21R

R+

1

32 //1

R

RR+

Quando la tensione (Vu - Vi) ai capi degli Zener supera la tensione di Zener VZ (trascurando la caduta diretta sui diodi stessi, che è dell'ordine di 0.5÷0.6V, rispetto a

Page 24: Cap7 - oscillatori

331

qualche Volt della tensione inversa di Zener), la coppia di diodi entra in conduzione e la resistenza R3 diventa in parallelo con la R2. Per tensioni, invece, tali per cui vale

∗> ii VV (19) la tensione d'uscita diventa

+=

1

32 //1

RRR

VV iu (20)

Ciò comporta un abbassamento della pendenza della caratteristica, essendo il parallelo di R2 ed R3 minore della sola R2. Chiaramente, essendo la caratteristica simmetrica, quanto detto vale anche per il quadrante negativo. Procedendo in modo analogo, è possibile ottenere una caratteristica sagomata lineare a tratti inserendo altri diodi e opportune resistenze. Per ottenere il valore di V * è necessario considerare la relazione seguente:

Ziu VVV >− (21) Sostituendo, ora, la (17) nella (21) si ricava:

Zii VVRR

V >−

+

1

21 (22)

da cui

∗=⋅>⇒>⋅ iZiZi VRR

VVVRR

V2

1

1

2 (23)

Quello finora descritto, dunque, è un primo metodo per ottenere una caratteristica che si presta ad una buona stabilizzazione dell'ampiezza senza introdurre una non linearità troppo brusca. Un altro modo che consente di pervenire allo stesso risultato è quello di ricorrere ad elementi resistivi, la cui resistenza dipende dalla temperatura (termistori). A tal fine si consideri lo schema non invertente di figura 19:

Vu

R1

R2

fig. 19 Vi

NTC

PTC

Page 25: Cap7 - oscillatori

332

in questo caso la tensione d'uscita vale quanto espresso nella (17). Per ottenere una caratteristica che comprima in maniera più graduale, si può agire utilizzando dei termistori al posto delle resistenze R1 ed R2, come evidenziato nei riquadri a tratteggio in figura 19. Le resistenze NTC (Coefficiente di Temperatura Negativo) e le resistenze PTC (Coefficiente di Temperatura Positivo) presentano un valore ohmico che dipende dalla tenperatura alla quale sono sottoposti. L'NTC è un componente a resistenza non lineare costituito da semiconduttori a elevato coefficiente di temperatura negativo, vale a dire che la loro resistenza diminuisce all'aumentare della temperatura (∂R /∂T < 0). Questi termistori sono formati da ossidi semiconduttori del tipo Fe2 O3, la cui resistenza intrinseca è molto elevata. La variazione della resistenza con la temperatura segue la seguente legge:

T

B

eAR ⋅= (24) dove A è la resistenza che presenta il termistore ad una temperatura infinitamente grande; B è una costante calcolata a partire dal valore della resistenza a due temperature differenti:

( )

−=

21

21

11

lnln

TT

RRB (25)

in cui R1 ed R2 sono i valori della resistenza alla temperatura T1 e T2. Come si può osservare, la legge di variazione del termistore NTC è di tipo esponenziale. Uno dei fattori che definiscono una resistenza NTC è il suo coefficiente di temperatura, definito nel seguente modo:

dTdR

Ra ⋅= 1

(26)

sostituendo la (24) nella (26) si ricava

12

2

10 −⋅

−= K

TB

a o% (27)

Le resistenze NTC si presentano sul mercato con forme diverse: cilindriche, come un comune resistore; a forma di disco, come i condensatori; in ampolle di vetro, e così via. Le applicazioni più comuni delle resistenze NTC sono: misurazione, regolazione e compensazione di temperatura, stabilizzazione di tensione, circuiti di protezione e così via. Per quanto riguarda la resistenza PTC, invece, essa è formata da semiconduttori a coefficiente di temperatura positivo; la sua caratteristica tipica è l'aumento del valore resistivo al crescere della temperatura e viceversa (∂R /∂T > 0). Il materiale utilizzato per la sua costruzione è il titanato di bario (BaTiO3). Le resistenze PTC, a differenza dei termistori NTC, si comportano in modo diverso a seconda della temperatura alla quale sono sottoposti, essendo influenzati dal punto di Curie. Si possono individuare tre zone di funzionamento, come evidenziato in figura 20:

Page 26: Cap7 - oscillatori

333

• Zona I: prima di un certo margine dal Punto di Curie, nella quale il coefficiente di

temperatura è lievemente negativo. • Zona II: attorno al Punto di Curie, dove si utilizzano e si sfruttano le sue

caratteristiche come PTC, dato che in questa zona il coefficiente di temperatura è positivo e rispetta la seguente legge di variazione:

T

B

eEAR ⋅+= (28) dove R è il valore ohmico della resistenza PTC alla temperatura T; A,B ed E sono le costanti caratteristiche di ogni resistenza PTC; T è la temperatura alla quale si trova il termistore PTC, considerando però che la temperatura applicabile si trova all'interno dei valori T1 e T2 vicini al Punto di Curie, per cui:

21 TTT << (29) • Zona III: a partire da T2, dove il coefficiente di temperatura torna ad un valore

negativo. In generale, ad un Punto di Curie basso corrisponde un coefficiente di temperatura basso e viceversa. Un parametro caratteristico delle resistenze PTC è la temperatura di commutazione, che è quella alla quale la resistenza PTC presenta una resistenza di valore doppio rispetto a quella che presenta alla temperatura ambiente di 25°C; questa temperatura porta nella zona 2, dove il componente si comporta come resistenza PTC; nelle zone 1 e 3, invece, il PTC si comporta come un NTC. I termistori PTC sono buoni dispositivi di protezione, dato che possono limitare l'intensità della corrente che passa attraverso di loro quando la temperatura supera un determinato valore. In figura 21 si riporta un grafico che mostra le principali differenze di comportamento tra un termistore PTC ed NTC:

Page 27: Cap7 - oscillatori

334

Per ottenere gli scopi prefissati, dunque, è sufficiente sostituire ad R1 un PTC oppure ad R2 un NTC, come evidenziato in figura 19. Se, dunque, aumenta l'ampiezza dei segnali, in assenza del PTC il guadagno inizierebbe a comprimere solo una volta raggiunta la saturazione; se, invece, R1 è sostituita da un PTC, all'aumentare dei segnale aumenta la corrente sulla stessa R1 e la potenza su essa dissipata. Quest'ultima, la cui espressione è pari a:

2111 effIRP = (30)

aumenta di conseguenza, facendo a sua volta crescere la temperatura e, quindi, il valore di R1. In sostanza, un aumento dell'ampiezza dei segnali genera un aumento di R1, che essendo a denominatore, fa calare il guadagno creando una reazione opposta alla causa che l'ha generata. Il termistore, allora, è un dispositivo che tende a stabilizzare molto bene l'ampiezza, arrivando ad ottenere delle tensioni quasi sinusoidali anche in uscita ad operazionali, con tutti i vantaggi che ne derivano. È da notare, tuttavia, che tutto ciò accade perché R1 dipende solamente dalla potenza dissipata o, meglio, dal valore efficace della corrente, che è un integrale sul tempo e non dipende assolutamente dalla potenza istantanea; se così non fosse, il valore di R1 seguirebbe pari pari le variazioni del segnale e sarebbe del tutto inutile. È opportuno, poi, che le resistenze in gioco lavorino a temperature elevate (qualche centinaio di °C) anche con potenze dissipate ragionevoli, in modo tale che una qualsiasi variazione della temperatura ambiente non influisca troppo sulle prestazioni dell'amplificatore. Finora si sono considerati oscillatori il cui schema circuitale prevedeva un operazionale come blocco diretto. Salendo con la frequenza, tuttavia (f >100KHz), si è visto che gli operazionali diventano poco adatti, poiché a tali frequenze non è più possibile realizzare amplificatori con elevato guadagno e, inoltre, gli effetti reattivi dei componenti non sono più controllabili e, tantomeno, trascurabili, diventando limitativi nei confronti delle prestazioni dell'amplificatore e sulla frequenza che si riesce ad ottenere. Un singolo transistor, a scapito delle prestazioni in termini di potenza rispetto ad un amplificatore, è invece il sostituto più adatto a lavorare a frequenze più elevate, essendo i suoi elementi reattivi molto più contenuti e meglio controllabili. La realizzazione di un amplificatore complesso, poi, tramite una cascata di dispositivi, produrrebbe anche un problema di riduzione di banda non poco grave.

Page 28: Cap7 - oscillatori

335

7.4 Oscillatori a 3 punti Un possibile schema circuitale che si presta a descrivere in maniera generale la struttura di un oscillatore, senza specificare la natura dell'amplificatore di tensione è il seguente:

Vu B V V + - F[ V ]

fig. 1 in cui si riconosce il blocco di retroazione B e l'amplificatore non lineare F[V]. Generalmente, essendo i dispositivi elettronici dei generatori di corrente controllati, è preferibile ragionare con un blocco costituito da un generatore di corrente, modificando lo schema di figura 1 in modo tale da essere più adatto allo studio di oscillatori con dispositivi:

Vu B V V F[ V ]

fig. 2

Iu

R1

in cui compare il generatore di corrente controllato, che meglio schematizza il comportamento di un dispositivo elettronico e la rete B, che dovrà avere delle proprietà selettive sulla corrente di uscita Iu, che è distorta. La caratteristica di B, allora, dovrà legare una corrente ad una tensione e, poiché la Iu è la risposta ad un blocco non lineare, l'unica grandezza che può essere una sinusoide è la tensione V. La rete B, allora, dovrà avere delle proprietà selettive di transimpedenza, poiché dovrà trasformare una corrente distorta Iu in una tensione V sinusoidale. La rete B può essere realizzata in deversi modi, tuttavia, nel caso di un oscillatore che si basa su un singolo transistore, viene realizzata con una rete a ΠΠ di impedenze, come mostrato in figura 3:

Page 29: Cap7 - oscillatori

336

Z3

fig. 3

Z2 Z1

Tali oscillatori prendono il nome di oscillatori a 3 punti, data la struttura a tre nodi della rete B. La transimpedenza può essere scritta come:

321

21

1 ZZZZZ

IV

IV

Buu ++

−=== (1)

in cui, essendo la Iu distorta, è ovviamente considerata la prima componente armonica Iu1 che interessa avere in uscita. Si può dimostrare che è possibile operare con un π-impedenze puramente reattivo, cioè, senza perdite, dal momento che è inutile perdere potenza sulla rete selettiva dell'oscillatore che deve essere un semplice filtro. Le impedenze della (1), quindi, sono pure reattanze, ossia, si suppone che:

332211 jxZjxZjxZ === (2) Un'altra ipotesi che rende la trattazione più semplice è quella che prevede di tenere conto almeno di un effetto parassita del transistor, poiché un'idealizzazione eccessiva genera delle singolarità matematiche. A tale scopo, si consideri, in ingresso al transistor di figura 2, una resistenza finita R1, che può essere pensata in parallelo a Z1, ossia:

111 // RjxZ = (3) La condizione di esistenza dell'oscillazione, allora, diventa la seguente:

][11 Mu VFI = (4) dove VM e Iu1 rappresentano le prime armoniche della tensione V e della corrente Iu, da cui:

21

11

321

11

21

3211 ][

jxRjx

Rjx

jxjxRjx

Rjx

ZZZZZ

VVF

M

M

⋅+⋅

+++⋅

−=++−= (5)

e, dopo facili passaggi, si ricava:

Page 30: Cap7 - oscillatori

337

( ) ( )211

32132111 ][xxR

xxxxxxjRV

VF

M

M

⋅⋅+−++= (6)

che permette di ottenere alcune informazioni su come deve essere realizzata la rete di reattanze. Avendo trascurato gli effetti reattivi del dispositivo, infatti, la B(ω0) deve essere reale alla frequenza di oscillazione, da cui si ricava la prima condizione:

( ){ } 00Im 3210 =++⇒= xxxB ω (7) che consente di fissare/calcolare la frequenza di oscillazione. Se la somma, allora, delle reattanze deve essere nulla, ovviamente, le jx non potranno avere tutte lo stesso segno e, quindi, non saranno tutte induttanze o tutte capacità, ma potranno essere 2L e 1C oppure 2C e 1L. La (6), infine, diventa:

( )211

3211 ][xxRxxx

VVF

M

M

⋅⋅+−= (8)

e, poiché dalla (7) si ottiene

132 xxx −=+ (9) sostituendo la (9) nella (8) si ricava l'altra equazione che, con l'uso della funzione descrittiva, consente di calcolare l'ampiezza dell'oscillazione:

21

11 ][xR

xV

VF

M

M = (10)

che è un'equazione non lineare, poiché F è una funzione non lineare di VM. La (10) consente di ottenere un'ulteriore informazione sulla natura di x1 e x2: se, infatti, F1 e VM hanno lo stesso segno, allora, lo hanno anche x1 e x2 e, dunque, saranno o due induttanze o due capacità; viceversa, se F1 e VM sono discordi, lo saranno anche x1 e x2 e, quindi, saranno indifferentemente una capacità e una induttanza. L'ultima condizione da verificare è quella d'innesco, ossia:

( ) 100 >ωBA (11) dove A0 rappresenta la linearizzazione della funzione F1[V], in formule:

VI

A u

∂∂=0 (12)

che, dunque, è la transconduttanza gm del dispositivo, per cui la condizione d'innesco diventa:

Page 31: Cap7 - oscillatori

338

11

21 >⋅x

xRg m (13)

Se si fosse considerato un transistore ideale, si sarebbe ottenuto R1 = ∞, rendendo sempre verificata la (13). Si può notare, inoltre, che se gli effetti reattivi dell'amplificatore sono trascurabili, allora, anche la tensione Vu è sinusoidale e, infatti, risulta:

( ) 1

2

1

2

32

2

32

2

32

2

xx

jxjx

xxjjx

jxjxjx

zzz

VV u −=−=

+=

+=

+= (14)

ossia, si ottiene un rapporto tra due reattanze, a dimostrazione del fatto che è presente una relazione lineare tra Vu e V, perciò se V è sinusoidale lo sarà anche Vu. Ciò fornisce dei grossi vantaggi, perché è possibile prelevare la sinusoide all'uscita del transistor, dove generalmente i livelli di corrente e tensione sono migliori. A questo punto, si possiedono tutti gli elementi per costruire il circuito, tenendo presente che la rete a π-impedenze può assumere due sole possibili configurazioni:

L1

L2

C

rete di HARTLEY

fig. 4.a

C1

C2

L

rete di COLPITTS

fig. 4.b Calcolando la funzione di trasferimento di ciascuna rete e andando a vedere dove si annulla la parte immaginaria, si ottiene, rispettivamente:

( )21

21

0

21

0

11

CCCC

LCLL

+

=+

= ωω (15)

Si vuole, ora, vedere com'è possibile realizzare un oscillatore con, ad esempio, un transistore bipolare:

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339

V

fig. 5

Iu L

C2 C1

retroazione

in cui si sono sostituiti ai blocchi dello schema generale di un oscillatore le corrispondenti realizzazioni circuitali. Si può notare che la relazione Iu-V è positiva e, quindi, date le considerazioni svolte nei riguardi della relazione espressa dalla (10), x1 e x2 dovranno essere reattanze dello stesso tipo, come evidenziato in figura 5. Qualora, invece, si fosse riscontrata una relazione Iu-V negativa, con versi delle frecce concordi, ad esempio, allora le reattanze sarebbero dovute risultare diverse. Uno schema circuitale più realistico, che tenga conto anche della polarizzazione e di una batteria, senza la quale l'oscillazione non potrebbe esistere, è quello di figura 6, detto oscillatore di COLPITTS:

fig. 6

VCC

L

C2 C1

DCB

in cui la resistenza di emettitore è utile a stabilizzare la polarizzazione. Si nota l'inserimento di un blocco DC, il cui scopo è quello di recuperare un grado di libertà che, altrimenti, si sarebbe perso. Nello schema di figura 6, infatti, la tensione VBC risulterebbe nulla, senza DCB e questo costringerebbe il transistore a lavorare con una VBE ≅ VCE, ossia, in saturazione, con grosse limitazioni sulla possibilità di innesco e sull’ampiezza dell’oscillazione. Un altro possibile schema è quello definito oscillatore di HARTLEY; utilizziamo questa volta come esempio un transistore MOSFET a svuotamento (depletion o normally on), ossia a soglia negativa:

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340

fig. 7

VDD

CS

L2

DCB

C

RS L1

Si nota ancora la presenza del DCB, che impedisce all'induttanza di cortocircuitare la tensione VDS del MOS, cosa che, altrimenti, renderebbe impossibile l'innesco. Il DCB, infatti, risulta un aperto in continua e un corto alla frequenza di oscillazione. Lo schema di figura 7 è, ovviamente, molto semplificato e, in un caso più concreto, si dovrebbero tenere in conto anche gli elementi parassiti del circuito, nonché il fatto che il transistore MOSFET ha degli effetti reattivi tutt'altro che trascurabili, specialmente a frequenze elevate. In realtà, la topologia dell'oscillatore a tre punti presenta un grosso vantaggio per quanto riguarda l'ipotesi di trascurare gli effetti reattivi, poiché le capacità di giunzione del MOSFET si vengono a trovare in parallelo con gli elementi reattivi della rete di retroazione e non creerebbero grosse difficoltà qualora si volesse tenerne conto nei calcoli. Il problema maggiore, tuttavia, è dovuto al fatto che tali capacità, essendo associate a un dispositivo attivo, sono di natura non lineare e, quindi, risentono notevolmente delle variazioni di temperatura, dell'invecchiamento, della dispersione dei parametri e, in generale, da tutto ciò che riguarda la parte attiva. Ci si ritrova, dunque, nella spiacevole situazione in cui non è solo la rete di retroazione ad influenzare la frequenza di oscillazione, ma in qualche modo intervengono anche gli elementi reattivi della parte attiva, i quali, essendo meno stabili, meno definibili o valutabili, complicano molto lo studio ed il progetto. Si pensi, ad esempio, alla conseguenza diretta che tale problema può avere sulla rotazione di fase: se, infatti, l'elemento attivo non è più descritto da una relazione puramente algebrica, la variazione di fase non sarà più 0° o 180°, ma potrà assumere un valore qualsiasi. Se, quindi, nel blocco diretto iniziano a comparire elementi reattivi, per cui lo sfasamento introdotto diventa un certo α , la rete di retroazione dovrà introdurre una rotazione di (360°- α). Ciò significa che l'oscillatore oscillerà a quella frequenza per cui l'argomento di B(ω0) compensa lo sfasamento introdotto dal blocco attivo. Poiché, dunque, α può variare in funzione della temperatura, allora, anche la frequenza di oscillazione varierà con la temperatura e, da ciò, ne deriva che la compensazione di fase (∆fase) introdotta dalla retroazione diventa anch'essa variabile. La soluzione al problema può essere quella di considerare un blocco di retroazione con una caratteristica di fase molto ripida al variare della frequenza, cosicchè eventuali

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variazioni della rotazione di fase dovute al blocco attivo, non si riflettano in forti variazioni della frequenza di oscillazione, come si nota in figura 8:

f0

fig. 8

f

B(ω )

Gli oggetti che consentono tutto ciò si dicono risonatori e sono descrivibili nel modo mostrato in figura 9:

fig. 10

C L R

la cui configurazione, dunque, è in parallelo, in modo tale da avere un'impedenza il cui argomento varia molto velocemente con la frequenza. L'espressione dell'impedenza, allora, sarà del tipo:

−+

=

ωω

ωω 0

0

1 jQ

RZ con

LC

10 =ω (16)

dove Q è definito fattore di merito o qualità e vale:

GC

Qω= oppure

LR

= (17)

Muovendosi in un intorno piccolo di ω0, è possibile scrivere il seguente sviluppo:

( ) ( )( )0000

0

ωωωωωω

ωω −′+≅− ff (18)

da cui, sviluppando i calcoli a secondo membro, si ricava

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342

( ) ( )00

002

0

0

0

0

0

2210

ωω

ωωω

ωωωω

ωωω

ωω ∆

=−

=−

++≅− (19)

Sostituendo la (19) nella (16) si ottiene, infine:

α

ωω

−=

∆+=

0

21 jQ

RZ (20)

calcolando, ora, l'argomento di Z, si ha:

αω

ω−=

∆−=

0

2arctgarg

QZ (21)

Se, dunque, il blocco attivo ha introdotto una rotazione di fase pari ad α , l'impedenza della rete di retroazione deve essere tale da compensare tale rotazione, da cui l'ultima uguaglianza della (21). Esplicitando, ora, la (21) rispetto al parametro di interesse, si ottiene:

αω

ωtg

Q21

0

=∆ (22)

da cui si nota quanto volevasi dimostrare, ossia, che α è una quantità variabile; tuttavia, se si inserisce un risuonatore con fattore di merito Q molto elevato, la variazione di α non si riflette sulla frequenza di oscillazione. Dalla (22), allora, si evince che più è elevato il fattore di merito Q, minore è la variazione di frequenza. Se si utilizzano risuonatori di tipo elettrico (LC), è impossibile ottenere valori di Q = 100 oppure Q = 1000, a causa delle perdite di R,C ed L. 7.5 Oscillatori al quarzo Le problematiche sopracitate portano ad utilizzare risuonatori di tipo elettromeccanico come il quarzo, la cui definizione chimica è biossido di silicio (SiO2) e il cui simbolo circuitale è il seguente:

fig. 1 Tale materiale ha la proprietà di deformarsi meccanicamente quando è sottoposto ad una tensione elettrica e, viceversa, è in grado di generare una tensione elettrica quando è sottoposto ad uno sforzo meccanico. Nelle applicazioni elettroniche, tuttavia, non si possono usare i cristalli di quarzo così come risultano cristallizzati in natura, infatti, quelli dei quali facciamo normale utilizzo sono stati tagliati in pezzi o lamine di diversa forma e dimensione, per conferire loro determinate proprietà. La lamina di

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quarzo può essere di forma circolare o rettangolare e presenta sulle due facce rivestimenti metallici uniti elettricamente ai terminali di collegamento mediante due fili conduttori, come illustrato in figura 2.a e 2.b:

Questa lamina di quarzo, grazie alle sue proprietà piezoelettriche, realizza la funzione principale del componente. La lamina presenta un effetto piezoelettrico e pertanto, quando viene applicata una tensione elettrica tra le sue due facce parallele, subisce una deformazione meccanica. Eliminando questa tensione, la lamina riprende la sua forma originale però, per raggiungerla, passerà attraverso una serie di stati intermedi con un regime oscillatorio, perché nel primo ritorno sorpasserà la forma primitiva, a causa della sua inerzia meccanica, deformandosi in senso contrario e tornando poi indietro, ma non fino alla deformazione originale: questo movimento oscillatorio, evidenziato in figura 3, si smorzerà a poco a poco, fino ad annullarsi:

La frequenza alla quale si produce questo fenomeno è fissa e dipende esclusivamente dal quarzo: può, infatti, essere considerata la sua frequenza naturale di oscillazione. Se invece di una tensione continua, viene applicata al quarzo una tensione variabile con frequenza uguale a quella propria della lamina, in modo da farla entrare in risonanza, verranno considerevolmente rinforzate le vibrazioni proprie del quarzo, producendo in tal modo un'oscillazione continua e stabilizzata, dato che il fenomeno si manifesta alla frequenza di risonanza propria del quarzo. Questa risonanza scompare quando la frequenza della tensione di eccitazione è diversa, di un certo numero di Hertz, da quella propria del quarzo, annullandone l'oscillazione. La frequenza di risonanza dei cristalli dipende sia dalle dimensioni della piastrina sia dal modo di vibrazione. La gamma delle frequenze di risonanza ottenibili dai quarzi è ampio, da 400Hz fino a 125MHz. Ad una maggior dimensione della piastrina

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corrisponde una minor frequenza di risonanza. In quanto al limite superiore delle frequenza, resta limitato dallo spessore minimo che si può meccanicamente ricavare senza pericolo di rompersi in regime di funzionamento. In un cristallo di quarzo, la vibrazione può avvenire in tre modi diversi: flessorio, longitudinale e trasversale, come mostrato in figura 4:

La vibrazione flessoria consiste in un movimento di curvatura e inarcatura; la vibrazione longitudinale avviene tramite uno spostamento in larghezza delle dimensioni della piastrina, partendo dal centro, mentre la vibrazione trasversale, che è la più complessa, consiste nello spostamento dei due piani paralleli della piastrina in senso opposto, pur conservando entrambi il loro parallelismo. Le vibrazioni della materia cristallina possono dare luogo ad oscillazioni a frequenza fondamentale oppure a frequenze armoniche della fondamentale. Ogni modo di vibrazione produce una gamma di frequenze ben distinta: ØØ Modo flessorio: da 0.4 a 100 KHz ØØ Modo longitudinale: da 40 a 15000 KHz ØØ Modo trasversale: da 100 a 125000 KHz Una delle caratteristiche più importanti del quarzo è il suo perfetto accoppiamento meccanico, che ne permette l'uso nei circuiti elettronici. Un altro parametro molto importante è l'elevato fattore di qualità Q. La stabilità di un oscillatore dipende direttamente dal fattore di qualità del circuito risonante. In questo caso dipende dal cristallo di quarzo che, avendo un fattore di qualità elevato, permette di realizzare oscillatori molto stabili. Il Q di un circuito risonante viene determinato nei punti in cui la banda passante scende a -3dB rispetto al valore massimo. Matematicamente viene ricavato dal rapporto tra la sua reattanza e la sua resistenza. In prossimità della frequenza di risonanza, la reattanza induttiva diventa uguale alla reattanza capacitiva e le due quantità si annullano a vicenda per formare una resistenza pura. In tale situazione, solo la resistenza del circuito si oppone al flusso della corrente. Quando la resistenza è elevata il Q risulta basso e viceversa.

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345

Le perdite nei circuiti risonanti di tipo induttanza-condensatore sono dovute alla resistenza del conduttore che forma la bobina. Il Q che si può ottenere con i circuiti LC difficilmente supera un valore di 400, mentre si considera normale un valore compreso tra 40 e 100. Al contrario, le perdite nei quarzi sono dovute alla loro struttura interna, al montaggio meccanico e al fattore di ammortizzazione provocato dall'aria che circonda il cristallo, l'insieme delle perdite è molto piccolo rispetto a quello dei circuiti LC, pertanto il Q dei cristalli dei quarzo risulta relativamente elevato, variando tra 10000 e oltre 1 milione. Il comportamento elettrico del quarzo può essere analizzato osservando il suo circuito equivalente di figura 5:

fig. 5

CV LV RV

Cm

capacità della superficie metallizzata

terminale di collegamento

terminale di collegamento

equivalente elettrico della vibrazione

in cui si notano due rami collegati in parallelo, uniti a loro volta ai terminali di connessione. In uno di questi rami è inserito un condensatore, che rappresenta la capacità tra le due facce metallizzate della lamina, nonché la somma delle capacità parassite che possono apparire tra i due terminali di uscita. Nell'altro ramo esiste una rete, formata da una bobina, un condensatore ed una resistenza, che rappresenta l'equivalente elettrico del circuito meccanico risonante. Il quarzo può operare secondo due diversi modi: la risonanza in serie e la risonanza in parallelo, le cui espressioni di frequenza sono le seguenti:

mV

mVV

P

VV

S

CCCC

L

fCL

f

+

==π

π2

1

2

1 (1)

In realtà, di solito si ha che Cm >> CV, per cui

VV

PCL

fπ2

1≅ (2)

e le due frequenze di risonanza tendono ad essere uguali. Si osservi il grafico della reattanza di figura 6:

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346

fig. 6

fS fP

X

ω

induttivo

solitamente, il quarzo viene utilizzato in corrispondenza della regione cerchiata a tratteggio, dove il comportamento è di tipo induttivo, dato che la reattanza è induttiva. Tale dispositivo viene, quindi, inserito al posto dell'induttanza nell'oscillatore di Colpitts e ciò da luogo ad un altro oscillatore che prende il nome di oscillatore di PIERCE. Le frequenze risultanti da questi modi di funzionamento sono diverse; al momento della progettazione del quarzo, viene data la preferenza ad una di esse, con lo scopo di favorire il modo scelto nei confronti dell'altro. Scegliendo un cristallo che funzioni soltanto in risonanza serie, sarà necessario tener conto della resistenza serie equivalente del circuito. Nella risonanza in parallelo, invece, bisognerà tener conto anche della capacità propria del quarzo. In figura 7 viene data una rappresentazione dell'ampiezza del segnale prodotto dalla vibrazione della piastrina di quarzo in funzione della frequenza:

In alcuni modelli di quarzo, soprattutto in quelli predisposti per funzionare ad alte frequenze, non si utilizza l'oscillazione meccanica fondamentale della lamina, ma si fa in modo che questa funzioni su una serie di frequenze maggiori e multiple della fondamentale: si possono così trovare tipi di quarzi che funzionano in terza, quinta e

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persino settima armonica (3, 5 oppure 7 volte la frequenza naturale di oscillazione), raggiungendo frequenze anche di centinaia di MHz. Con lo sviluppo delle tecniche digitali, il cristallo di quarzo è stato man mano sostituito dai sintetizzatori di frequenza. Ma, anche per tale circuito, è necessario un oscillatore ad alta stabilità quarzato. Pertanto i cristalli di quarzo continuano ad essere indispensabili nell'industria delle telecomunicazioni (e non solo) e verranno utilizzati ancora a lungo. Sopra i 100 MHz è possibile sfruttare ancora l'effetto piezoelettrico per degli oscillatori che vengono definiti SAW (Surface Acustic Wave: oscillatori ad onda acustica superficiale). Il meccanismo di funzionamento di questa classe di oscillatori è simile a quello del quarzo: la differenza fondamentale sta nel fatto che l'onda acustica superficiale ha una velocità maggiore rispetto a quella di volume sfruttata dai quarzi. Salendo ancora in frequenza, è opportuno fare un breve cenno ai risonatori dielettrici DR, che, sostanzialmente, riproducono l'equivalente di una cavità risonante meccanica e vengono realizzati con materiali ad altissima costante dielettrica (40÷50), accostati ad una microstriscia nel modo schematizzato in figura 8:

microstriscia

cilindretto

fig. 8 il cui equivalente circuitale è una struttura del tipo mostrato in figura 9:

fig. 9

C L R L

in cui si riconosce un trasformatore ideale con un determinato rapporto spire e la rete RLC dell'oscillatore. Un'altra necessità importante nell'impiego degli oscillatori, è quella di poter accordare gli oscillatori stessi. È pur vero, infatti, che si cerca di ottenere degli oscillatori che abbiano una frequenza stabile desiderata, tuttavia, è anche necessario poter sintonizzare la frequenza a piacimento, allo scopo, ad esempio, di realizzare un circuito in grado di servire diversi canali trasmissivi, senza dover impiegare un oscillatore per ciascuno di essi. Ciò potrebbe essere realizzato meccanicamente variando, ad esempio, il valore dell'induttanza tramite la lunghezza delle spire oppure variando il valore di una capacità aumentando la distanza fra le sue armature. Tuttavia, se fosse possibile ottenere lo stesso risultato adottando una soluzione elettrica, sarebbe preferibile. A tale scopo si utilizza un componente detto varactor o varicap che, in sostanza, è una capacità variabile in funzione della tensione e che si realizza sfruttando la regione svuotata di un diodo. È noto, infatti, che all'aumentare della tensione inversa,

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aumenta la regione svuotata e contemporaneamente cala la capacità e viceversa. Controllando, dunque, la tensione di polarizzazione di un diodo, si riesce a modificare bene la sua capacità e, ovviamente, per non dissipare e poter vedere solo l'effetto capacitivo e non rettificante conduttivo, il diodo dovrà essere polarizzato in inversa. Inserendo, allora, il varicap nello schema circuitale al posto di una delle capacità, si ottiene:

fig. 10

VC RFC DCB

continua (DC)

radiofrequenza (RF)

VC

in cui, polarizzando tramite l'RFC il varicap, si riesce a variarne il valore. L'introduzione del varactor consente di ottenere quello che viene solitamente chiamato VCO (Voltage Controlled Oscillator).