Cap7-AVVIAMENTO ALLO STUDIO DELLE POETICHE · tradizionalmente accolti tendenti a far coincidere il...

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AVVIAMENTO ALLO STUDIO DELLE POETICHE DEL BAROCCO LETTERARIO IN FRANCIA Pubblicato in Contributi dell’Istituto di Filologia Moderna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Serie francese, vol. V, Milano, Vita e Pensiero, 1968.

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AVVIAMENTO ALLO STUDIO DELLE POETICHE

DEL BAROCCO LETTERARIO IN FRANCIA

Pubblicato in Contributi dell’Istituto di Filologia Moderna dell’Università Cattolica del Sacro

Cuore, Serie francese, vol. V, Milano, Vita e Pensiero, 1968.

Un bilancio degli studi dedicati in questi ultimi venti anni alla letteratura francese del

XVII secolo registrerebbe, quale principale componente di rinnovamento critico, l’assunzione,

nella storiografia letteraria, del concetto di Barocco che, con la dissoluzione degli schemi

tradizionalmente accolti tendenti a far coincidere il Seicento francese con il regno di Luigi XIV

e questo col Classicismo1 ha consentito una nuova lettura dei testi degli autori già noti e la

riscoperta di altre, fin qui trascurate, voci della cultura di quel tempo.

Neppure la storiografia romantica cui si deve la prima seria azione di rottura nei

confronti della critica tradizionale e, attraverso l’opera di Sainte-Beuve e di Gautier2, il

tentativo più intelligente e fruttuoso di rivalutazione della poesia anteriore al Classicismo, era

stata in grado di portare a un così totale capovolgimento di valutazione e di classificazioni

quale si è verificato oggi, pur attra-

1 Cfr. F. SIMONE, La storia letteraria francese e la formazione e dissoluzione dello schema storiografico classico, in “ Rivista di letterature moderne e comparate ”, (1953), n. 11, pp. 5-22 e n. 13, pp. 169-73; e Per una storia della storiografia letteraria francese, Torino, Accademia delle Scienze, 1966; M. RAYMOND, Baroque et Renaissance poétique, Paris, Corti, 1956; M. BONFANTINI, Il problema del barocco e la storiografia letteraria del " Gran Secolo ", in La letteratura francese del XVII secolo, Napoli, E.S.I., 1964 (prima edizione 1955), pp. 17-120. Una recente messa a punto del problema si trova in Trois conférences sur le Baroque français, suppl. al fasc. III, anno VII (settembre-dicembre 1963) di « Studi francesi », in cui leggiamo oltre a una Presentazione di F. SIMONE, gli articoli di V. L. TAPIÉ (Le Baroque français), di J. ROUSSET (Le problème du Baroque littéraire français) e di O. DE MOURGUES (Poésie baroque, poésie classique). 2 La revisione storiografica dei romantici non è soltanto opera di questi due critici, ma è indubbio che il Tableau historique et critique de la Poésie française et du Théâtre français au XVI siècle del Sainte-Beuve, soprattutto per i capitoli finali, e gli articoli dedicati da Gautier ai Grotesques tra il 1834 e il 1835 (solo quello su Scarron è del 1844) rappresentano il contributo più sistematico e originale.

verso innegabili ripensamenti e incertezze; proprio perché troppo grande, nei romantici, era la

preoccupazione di alimentare una polemica anti-classica e prevalente la volontà di cercare, in

ogni modo, anticipatori e maestri per la loro poesia. L’ipoteca classica continuava così a

pesare, sia pure in modo indiretto, sul giudizio relativo al XVII secolo francese ed il concetto di

Barocco tardava ad acquistare, per la letteratura francese, quel significato storico che la

critica italiana gli attribuiva da tempo. Trasferito dalle arti figurative alla letteratura, rimaneva

una categoria eterna dello spirito umano, antitetica a quella classica, anche se finalmente

liberata da ogni implicazione negativa. È storia recente la sua difficile conquista della critica

d’oltr’alpe per la quale rinvio all’ottimo articolo di M. Raymond3 ove sono indicate le tappe più

importanti, le soluzioni più significative e le interpretazioni più acute che del problema Barocco

sono state proposte in questi ultimi anni. La discussione è ancora aperta, come ha dimostrato

il Congresso internazionale promosso dall’Accademia dei Lincei e dedicato al Barocco e alla

sua definizione anche in rapporto al Manierismo, al Preziosismo, al ‘Libertinage’4.

Credo tuttavia che si possa riconoscere, senza difficoltà, che la battaglia critica in favore del

Barocco letterario in Francia sia stata vinta, se non altro, sul terreno della sua pratica

adozione da parte dei critici di quella letteratura, i quali si trovano tutti concordi nell’attribuire al

Barocco, comunque se ne vogliano intendere i suoi rapporti con altri momenti storiografici,

alcune particolari componenti stilistiche e ispirative, secondo quei moduli di cui il Rousset5,

forse meglio di altri, ha saputo

3 M. RAYMOND, Le baroque littéraire français, « Studi francesi », n. 13, (gennaio-aprile 1963), pp. 23-39. 4 Manierismo, Barocco, Rococò. Concetti e termini, Convegno Internazionale, Roma, 21-24 aprile 1960. Accademia Nazionale dei Lincei, anno CCCLIX, 1962, Quaderno n. 52, pp. 419. 5 J. ROUSSET, La littérature de l’âge baroque en France, Circée et le paon, Paris, Corti, 1953. Impossibile menzionare tutti gli studi dedicati al Barocco francese a partire da questa data. Ricordiamo tra i principali: O. DE MOURGUES, Metaphysical, baroque and precieux poetry, Oxford, Clarendon Press, 1953; I. BUFFUM, Studies in the Baroque from Montaigne to Rotrou, New Haven, Yale Uni-versity Press, 1957; A. CIORANESCU, El Barroco o El Discobrimiento del Drama, Tenerife, Universidad de La Laguna, 1957.

mettere in luce l’incidenza caratterizzante nelle più diverse espressioni della letteratura

francese del Seicento. Proprio sulla base di queste premesse, si è assistito in questi anni al

fiorire di una numerosissima serie di studi, volti a verificare la presenza di accenti barocchi

negli autori più diversi e nelle tendenze letterarie più opposte del secolo XVII, con il risultato,

quarit’altri mai positivo, della riscoperta di quei testi che trovavano la loro più sicura validità

come testimonianza della poetica barocca e, d’altra parte, con la riduzione nei termini di

questa poetica di autori interpretati finora altrimenti6. Si pensi alle numerose ricerche dedicate

ai poeti protestanti della fine del Cinquecento, da D’Aubigné7 a Sponde8, alla rivalutazione dei

« grotesques », Théophile9, Saint-Amant10 e Cyrano11 in particolare, alla riscoperta del teatro

di Tristan12 o di quello di Rotrou13, e, parallelamente, alla nuova lettura di Corneille14

soprattutto delle sue prime

6 Cfr. J. MOREL, L’intérêt méthodologique de la notion de baroque littéraire, « Australian Journal of French Studies », a. I, n. 1 (gennaio 1964), pp. 11-22. 7 Vedi soprattutto: I. BUFFUM, Agrippa d’Aubigné’s Les tragiques: a study of the baroque style in poetry, New Haven, Yale University Press, 1951; G. FASANO, Per un’interpretazione dei « Tragiques », in Saggi e ricerche di Letteratura francese, V, Torino, Bottega d’Erasmo, 1965, pp. 77-100. 8 Di capitale importanza l’edizione dell’opera di Sponde curata dal Boase: J. DE SPONDE, Méditations avec un Essai de Poèmes chrétiens, Introduction d’A. Boase, Paris, Corti, 1954. 9 Théophile è stato senza dubbio il poeta più studiato in questi anni; l’opera principale a lui dedicata resta tuttavia la tesi di A. ADAM, Théophile de Viau et la libre pensée française en 1620, Paris, Droz, 1935. Per una storia della critica su Théophile vedasi: G. SABA, Théophile de Viau e la critica, Trieste, Istituto di Filologia Moderna dell’ Università, 1964. 10 Studi fondamentali sono quelli di F. GOURIER, Etude des oeuvres poétiques de Saint-Amant, Genève-Paris, Droz-Minard, 1961 e di J. LAGNY, Le poète Saint-Amant, Paris, Nizet, 1964. 11 Da segnalare tutta una serie di ricerche di L. Erba al quale dobbiamo l’edizione delle Lettres, (Milano, Scheiwiller, 1965); le monografie di G. MONGREDIEN, Cyrano de Bergerac, Paris, Berger-Levrault, 1964 e il recente suggestivo articolo di CH. LIGER, Les cinq envols de Cyrano, « Nouvelle Revue Française », agosto 1965, pp. 242-56 e settembre 1965, pp. 427-42. 12 D. DALLA VALLE, Il teatro di Tristan l’Hermite, Torino, Giappichelli, 1964. 13 F. ORLANDO, Rotrou della tragicommedia alle tragedia, Torino, Bottega d’Erasmo, 1963; S. VAN BAELEN, Rotrou. Le Héros tragique et la Révolte, Paris, Nizel, 1965. 14 Il rinnovamento degli studi su Corneille ha dato i suoi risultati più cospicui nelle opere di R. J. NELSON, Corneille His Heroes end their Worlds, Philadephia, 1963; P. S. YARROW, Corneille, London, Macmillan, 1963; S. DOUBROVSKY, Corneille et la dialectique du héros, Paris, Gallimard, 1963.

pièces, all’interpretazione barocca di Molière15 e La Rochefoucauld16 all’inserimento di Racine

tra Barocco e Classicismo17.

Se tutti questi studi testimoniano largamente della utilità che il concetto di Barocco ha

avuto per la sua azione stimolante nella critica letteraria francese, essi ci riconducono, proprio

per la varietà dei risultati che propongono, ad un problema di fondo, alla definizione cioè del

Barocco, non soltanto in termini stilistici, dialetticamente formulati in funzione anti-classica, ma

nel suo significato storico, come poetica di un momento sufficientemente determinato della

cultura europea, e per quel che ci riguarda, francese. In questo senso, infatti, il problema, che

aveva trovato sul piano europeo, nella pluralità delle sue manifestazioni artistiche la migliore

illustrazione, ha bisogno di essere ricondotto nei limiti più ristretti, ma più concreti della sola

esperienza letteraria in Francia, in un momento preciso. La visione più ampia, indispensabile

perché il concetto di Barocco, superando gli schemi propri alla critica letteraria francese

esercitasse la sua funzione di rottura e di stimolo, finisce col rivelarsi dannosa e sterile se non

si accompagna ad una verifica, per così dire, dal basso, nel corpo stesso di quella attività

letteraria che con tale etichetta si è portati oggi a definire; se non acquista, cioè, una

dimensione storica precisa e una fisionomia che la distingue dalle altre espressioni del

Barocco, proprie di altri paesi, o realizzate attraverso altre esperienze d’arte.

Già a voler andar oltre la scoperta di accenti barocchi nell’opera degli scrittori francesi

della fine del Cinquecento e del Seicento per indicare i limiti cronologici del fenomeno

barocco, s’incontrano le prime difficoltà. Se il termine a quo pare si possa ragionevolmente

fissare intorno all’ultimo quarto del secolo XVI che vede la morte di Ronsard, la pubblicazione

degli Essais e il radicale

15 Cfr. M. BONFANTINI, La comicità del Misantropo, ovvero Molière barocco, in La letteratura francese del XVII secolo, pp. 159-200. 16 Cfr. A. BRUZZI, 0sservazioni sul linguaggio di un moralista: Appunti per un La Rochefoucauld barocco, in Studi sul Barocco francese, Bologna, Patron, 1962, pp. 97-114. 17 PH. BUTLER, Baroque et Classicisme dans l’oeuvre de Racine, Paris, Nizet, 1959.

mutamento storico e sociale conseguente alle guerre di religione, di assai più difficile

identificazione è senza dubbio il termine ad quem. Sul piano storico, esso potrebbe coincidere

con l’inizio del regno di Luigi XIV, ma, sul piano letterario, qualora si continui ad intendere il

Classicismo come antitetico al Barocco, potrebbe essere situato anche prima, e, certamente

più tardi, invece, per chi voglia considerare Classicismo e Barocco, sviluppi paralleli di una

stessa evoluzione culturale, uscita dal Rinascimento.

In realtà, la confusione e l’incertezza sono possibili non soltanto perché nessuno

storico, per scrupoloso e acuto che sia, è mai in grado d’indicare con sicurezza quale degli

avvenimenti di un secolo debba considerarsi veramente determinante, tale cioè da far

compiere una svolta sensibile alla cultura e alla civiltà d’un paese, ma anche, e soprattutto nel

caso specifico che c’interessa, perché il concetto di Barocco resta ancora troppo vago, non

essendo confermato e sorretto da una sicura e netta coscienza di sé. Voglio dire che, mentre

esiste una presa di posizione teorica della dottrina classica e una coscienza della Rinascita

negli umanisti francesi, la poetica barocca pare risultare, per ora, più dalla riflessione critica

degli studiosi contemporanei su un certo tipo di produzione letteraria, che non dalla cosciente

e magari polemica affermazione di quegli scrittori e teorici che della cultura barocca furono i

protagonisti, della loro alterità e originalità rispetto alle precedenti esperienze letterarie.

Valga un esempio a confermare questa impressione, sostenibile soltanto a proposito

della letteratura francese. Nel volume dedicato a Momenti e problemi di Storia dell’estetica,

accanto alla sintesi tracciata da Franco Croce18 delle teorie del Barocco letterario italiano, ove

trovano posto poeti e dottrinari quali il Chiabrera, il Marino, il Tesauro, il Bartoli, leggiamo le

pagine dedicate da L. Anceschi alle poetiche barocche francesi. Quali sono

18 F. CROCE, Le poetiche del Barocco in Italia, in Momenti e Problemi di storia dell estetica, Milano, Marzorati, 1959, parte I, pp. 547-575. Per lo studio delle poetiche barocche in Italia si veda anche l’antologia Trattatisti e narratori del Seicento a cura di E. Raimondi, Riccardi, Milano, 1960.

gli autori che meglio rappresentano, secondo l’Anceschi, le poetiche barocche in Francia?

Montaigne e Pascal19; non già due letterati, ma due pensatori che, per certi aspetti, senza

dubbio, trovano posto in uno schema barocco ai due estremi di un’epoca che in tal modo ne

risulta determinata, ma che difficilmente potremmo considerare, almeno sul piano letterario,

autori di questo schema.

Sarebbe tuttavia assurdo pensare, per questo, che in un’epoca di accese discussioni

letterarie, dopo l’Abregé de l’art poétique di Ronsard, l’Art poétique di Vauquelin e fino a

Boileau, non esistono testi attraverso i quali sia possibile reperire l’affermarsi di una poetica

originale. Se così fosse ci sarebbe da dubitare dell’esistenza stessa del Barocco letterario in

Francia.

Anche nel campo specifico delle dottrine letterarie si impone dunque un ritorno alle

fonti, ritorno che deve attuarsi in modo diretto e senza preoccupazioni aprioristiche, la grande

difficoltà per un’ onesta lettura dei testi interessanti direttamente questo problema restando

quella stessa che hanno incontrato gli studiosi di Théophile o di Malherbe o di Saint-Amant: la

tentazione di vedere in ciascuno di questi autori i precursori del Classicismo o i continuatori

della poetica rinascimentale. Mentre non è la formation de la doctrine classique o il pre-

Classicismo20 che occorre studiare, ma le poetiche del Barocco letterario, se pur esistono,

così com’è stato giusto studiare il teatro di Tristan di per sé e non in funzione di quello di

Racine.

In questa ricerca, l’ostacolo più vistoso è senza dubbio rappresentato da Malherbe e

dalla sua dottrina, formulata proprio nel cuore dell’epoca che c’interessa. La re-

19 L. ANCESCHI, Le poetiche del Barocco letterario in Europa, in Momenti e Problemi ecc., pp. 435-546; cfr. per quanto riguarda la Francia la sezione IV, pp. 516-528. 20 Mentre non esitiamo a riconoscere all’opera di R. BRAY, La formation de la doctrine classique en France, Paris, Nizet, 1961 (prima edizione 1927) il grande merito di aver chiarito, nelle sue origini dottrinarie, i principi fondamentali del Classicismo francese, nutriamo qualche perplessità per quegli studi che tendono a giudicare la letteratura francese del primo Seicento in funzione del Classicismo. Cfr. ad esempio PH. MORCAY, Le préclassicisme français, éd. par P. Sage, Paris, Del Duca, 1962, ovvero J. TORTEL, Préclassicisme, Paris, Cahiers du Sud, 1952.

cente, ottima tesi del Fromilhague21 ha confermato pienamente, arricchendolo di molte

precisazioni e sfumature, lo schema che identifica nel poeta normanno il padre del

Classicismo e lo collega idealmente a Boileau per la sua opera di teorico della versificazione e

di grammatico. Non bisogna tuttavia dimenticare che proprio due autorevoli maestri del

Fromilhague, il Lebègue e l’Adam hanno messo in luce il barocchismo22 di molta parte del-

l’opera poetica di Malherbe del quale il volume di P. Ciureanu sull’italianismo del poeta ha

fornito ulteriore conferma e giustificazione23.

Lungi dal voler proporre aprioristicamente soluzioni che sarebbero certamente

affrettate, io credo che sia opportuno accettare la riconosciuta duplicità e l’apparente

incoerenza dell’attività letteraria di Malherbe, il coesistere di temi ed immagini tipicamente

barocchi (presenti non soltanto nelle giovanili Larines de St. Pierre) con una tecnica

espressiva già sorvegliata e rigida. Solo in tal modo si potrà dire di aver eliminato, all’inizio di

questa ricerca, ogni schema precostituito. Dovrà infatti essere risultato, e non premessa alla

nostra indagine, anche la spiegazione della presunta incoerenza malherbiana, la quale

potrebbe risultare molto meno prorfonda e meno eccezionale se vista nella prospettiva più

ampia della letteratura e delle dottrine letterarie del tempo.

Un esauriente studio delle poetiche barocche di cui qui abbiamo voluto rapidamente

indicare la necessità, richiede un’amplissima documentazione che raccolga non solo gli scritti

più esplicitamente teorici, trattati di retorica, arts poétiques, ecc. ma le prefazioni, le lettere

dedicatorie, le corrispondenze letterarie, ogni testo poetico o dottrinario attraverso il quale

prende forma il nuovo concetto di arte che i letterati del tempo elaborano o al quale

aderiscono, talvolta anche inconsapevolmente. La nostra ricerca è appena agli inizi: essa

pone degli interrogativi piuttosto che proporre delle soluzioni e ri-

21 R . FROMILHAGUE, Malherbe. Technique et création poétique, Paris, Colin. 1954. 22 Cfr. R. LEBÈGUE, La poésie française de 1560 à 1630, Paris, Socitété d’Edition d’Enseignement Supérieur, 1951, volI. 2, il, pp. 13-20 e 81-87; A. ADAM, Histoire de la Littérature française au XVII siècle, Paris, Domat, 1948-56, voll. 5, I, pp. 26-42. 23 P. CIUREANU, L’italianismo dì Malherbe, Genova, Tolozzi, 1962.

guarda prevalentemente, a causa della nostra più specifica esperienza di studio, il campo

della produzione poetica. Ma in quanto enuclea alcuni fondamentali principi, cui a nostro

avviso converrà fare riferimento nel successivo sviluppo del discorso critico, ci pare possa

contribuire a definire certi aspetti della poetica barocca in Francia che, per la loro originalità,

valgono a distinguere, anche sul piano teorico, la produzione letteraria del primo Seicento da

quella rinascimentale e dal Classicismo.

Il primo segno che permette di cogliere una coscienza critica della nuova poetica che

si viene affermando all’inizio del XVII secolo è, senza dubbio, rintracciabile in quei testi ove

più apertamente viene formulato il giudizio sulla produzione letteraria precedente. Dico

giudizio perché altra cosa è il continuarsi inconsapevole di alcuni moduli o temi poetici

tradizionali, altra cosa è il discutere la produzione letteraria precedente, oggettivandola come

diversa anche se non estranea. Per questo, mentre da un lato è riconoscibile la profonda

influenza che la poesia ronsardiana mantiene nell’elaborazione della lirica del primo

Seicento24 tutt’altre conclusioni ci offre lo studio della prima fortuna di Ronsard25. A pochi anni

dalla sua morte, e già prima di questa data, noi possiamo constatare quanto la sua dottrina e

il suo esempio siano ormai abbandonati e discussi.

Se si eccettuano alcuni fedelissimi, Régnier, Hardy, Mlle de Gournay, la cui

venerazione per il maestro appare ai più così démodée da diventare facile oggetto di scherno,

l’atteggiamento generale nei confronti della poesia cinquecentesca e di Ronsard è

prevalentemente negativo. La stessa Mlle de Gournay ce ne dà, a un tempo, la testimonianza

e le ragioni scrivendo:

24 Vedasi oltre la tesi fondamentale di M. RAYMOND, L’influence de Ronsard, Paris, Droz, 1927, voll. 2, il nostro Tradizione francese e influenza italiana nella lirica francese del primo Seicento, « Lettere Italiane », a. X, n. 4 (ottobre-dicembre 1958), pp. 431-454, ora raccolto in questo volume pp. 39-68. 25 Per la storia della fortuna di Ronsard nella critica francese cfr. CL. PICHOIS, La fortune française de Ronsard, poète de « génie », de sa mort à sa réhabilitation,« Annales de la Faculté des Lettres et Sciences Humaines d’Aix », XXXV, (1961), pp. 23-36. Anche il recente studio di R. A. KATZ. Ronsard’s French, Critics: 1585-1825, Genève. Droz, 1966, offre una copiosa documentazione la cui interpretazione, tuttavia, non ci trova sempre consenzienti.

Je sors d’un lieu, où j’ay veu ietter au vent les venerables cendres de Ronsard et des Poetes

ses contemporains autant qu’une impudence d’ignorans le peut faire [...] leur grand et general refrain butte sur leur langage allegans: On ne parle plus ainsi26.

La principale critica al poeta investe, dunque, il suo modo di esprimersi, giudicato

incomprensibile e lontano dal gusto dei contemporanei. La conferma ci viene da un altro

ronsardiano, il Du Perron, che pur non lesina le sue lodi al poeta:

Ronsard, à mon avis, estoit l’homme qui avoit le plus beau genie que Poete ait jamais eu, je dis de Virgile et d’Homère; c’est un esprit vrayment poëtique, prenez de luy quelque poëme que ce soit

ma, soggiunge,

…si j’avois pris une quantité de pièces de Ronsard et que je les eusse corrigées, je tes rendrois parfaictes en y ostant quelques rudesses27.

Ed altrove spiega meglio:

Ronsard avoit de la force mais point de politesse; j’avois envie il y a quelque temps de corriger les hymnes de Ronsard, car il n’y a point de doute que ce sont d’excellentes pieces et qu’estant refaictes en quelques endroits, elles seroient admirables, ce seroit leur redonner la vie28.

Se è vero l’aneddoto riferito da Racan29 secondo cui Malherbe avrebbe corretto tanto

drasticamente i versi di Ronsard da cancellarli quasi per intero, bisogna ammettere che, in

questa spietata critica al grande poeta, Malherbe non si trovava solo. Du Perron stesso ci ha

detto quali fossero le accuse più comunemcnte rivolte contro Ronsard: eccessiva rudesse e

mancanza di politesse. Nell’evoluzione della lingua, e del linguaggio poetico in particolare,

sono infatti la Corte e i circoli mondani che svolgono il ruolo principale e determinante. Dice

ancora MIle de Gournay:

26 Mlle DE GOURNAY, Deffense de la Poësie et du langage des Poetes in L’ombre, Paris, Libert, 1626, p. 565. Su Mlle de Gournay vedasi l’ottimo studio di M. H. ILSLEY, A daughter of the Renaissance, The Haegue, Mouton et C., 1963. 27 Perroniana, Genève, Columesium, 1667, p. 284. 28 Idem, p. 249. 29 H. DE RACAN, Vie de Malhterbe, in MALHERBE, Oeuvres, recueillies et annotées par L. Lalanne, Paris, Hachette, 1862-69, volI. 5, 1, p. LXXVII.

… les Courtisans de l’aygrette et de la moustache relevée, n’usent pas de ce mot ou de ceste phrase: refrain commun des Poetes modernes30. L’Art poétique de Laudun d’Aigaliers, pubblicata nei 1597, conferma la tendenza verso

una lingua purificata da ogni arcaismo, o termine dialettale, ed auspica la chiarezza

d’espressione, la dolcezza delle parole secondo il gusto dominante alla Corte in questi anni31.

Lo stesso Vauquelin de La Fresnaye, che pure può considerarsi il più ronsardiano dei teorici

del tempo, condanna i neologismi, il linguaggio oscuro, e critica quella ricerca di arricchimento

ad ogni costo del vocabolario poetico che era stato uno degli impegni programmatici più

insistiti della Pléiade32. Dello stesso tipo saranno, quasi vent’anni più tardi, le critiche rivolte a

Ronsard da Charles Sorel33, il quale rimprovera al poeta soprattutto i suoi errori di gusto.

Ma l’allontanamento dalle teorie della Pléiade appare ancora più radicale se si pensa

al giudizio solitamente negativo che viene dato su ogni forma di erudizione. Mlle de Gournay è

la sola a credere che il grande poeta debba staccarsi dal comune dei mortali proprio attra-

verso l’elaborazione di un linguaggio più scelto, più difficile, più colto34 L’atteggiamento diffuso

è per contro quello denunciato da Hardy:

L’excellence des Poëtes d’auiourd’huy consiste en la profession que faisoit Socrate (mais plus à propos qu’eux) de ne rien sçavoir; qu’ainsy ne soit, examinons la tyrannique reformation, que les principaux d’entre eux veulent faire et que les Arbitres sans passion, iugent apres, s’il est licite de détruire les principes d’une Science pour les reformer en perfection. Leur premiere censure condamne entierement les fictions, ainsy que superflues,

30 Mlle DE GOURNAY, op. cit., p. 583. 31 P. LAUDUN D’AIGALIERS, L’art poétique français, édition critique par J. Dedieu, Toulouse, au siège des Facultés libres, 1909, p. 137. 32 VAUQUELIN DE LA FRESNAY, L’art poëtique, texte conformé à l’édition de 1605 par G. Pellisier, Paris, Garnier, 1885, Ch. II, vv. 905-914. 33 CH. SOREL, Remarques, in Le Berger extravagant, Rouen, Osmont, 1646 (prima edizione 1628), p. 450. 34 « Vrayment ils [Ronsard e i suoi discepoli] n’eussent pas esté Poëtes excellens, ny Poëtes s’ils se fussent abbaissez au parler commun des hommes et si le commerce des hommes pouvoit eslever le sien iusques au leur : la Poësie ayant esté baptisée de tout temps non seulement Grandiloquentia, mais le langage des Dieux et non des hommes » Mlle DE GOURNAY, op. cit., p. 570.

au lieu qu’une infinité de belles conceptions s’y r’apportent et se fortifient en leur appuy: les Epitetes, les Patronimiques, la recherche des mots plus significatifs, et propres à l’expression d’une chose tout cela ne leur sert que leur pedanterie: les rythmes pour Iesquels ils font tant de bruit, ce sont eux qui les observent le moins, aussi se veulent-elles puiser dans une source plus profonde. Si bien que nostre langue pauvre d’elle-même devient totalement gueuse en passant par leur friperie et par l’alambic de ces timbres felez35. La pagina di Hardy, in cui poco più oltre ritroviamo i termini di propreté, politesse e

polissure, già notati in Du Perron, ci conduce innanzi nel discorso. La critica a Ronsard e alla

sua scuola non si riduce ad una questione di gusto, ma invese un diverso modo d’intendere la

poesia stessa, rifiutandone quel fondamento erudito che ora è giudicato inutile pedanteria.

Già Malherbe, a quanto testimonia Racan, non stimava affatto i poeti Greci, dei Latini

apprezzava solo Stazio36 e pur avendo tradotto Seneca,

…se soucioit fort peu d’être loué des gens de lettres qui entendoient les livres qu’iI avoit traduits, pourvu qu’il le fût à la Cour. Lo stesso Racan rivendicava alla propria poesia l’indipendenza da ogni ossequio alla

tradizione erudita e, poco preoccupandosi del giudizio di coloro che facevano professione di

letterati, proclamava che i suoi versi erano fatti per essere letti « dans le cabinet du Roi et

dans les ruelles des dames »37.

Analoga tendenza anti-erudita e modernista è riconoscibile nella maggior parte degli

autori in questo inizio di secolo, che appartengano o meno alla scuola malherbiana e si

chiamino Maynard o Théophile, Saint-Amant o Boisrobert38. Proprio del Boisrobert si ricorda

un discorso39 che aveva fatto grande scalpore per il modo irriverente con il quale il poeta vi

trattava i più famosi autori classici. Sicché quando Théophile scriverà la ben nota

affermazione d’indipendenza rispetto alla cultura tradizionale non farà che esprimere un

concetto profonda-

35 A. HARDY, Théâtre, Paris, Quesnel, 1626, volI. 3 ; III, Au Lecteur. 36 H. DE RACAN, op. cit., p LXX. 37 Idem, p. LXXX. 38 Cfr. A. ADAM, Histoire de la litt. fran., I, pp. 83-97. 39 Idem, p. 90.

mente meditato, ed accolto, ormai, dalla maggior parte degli scrittori del suo tempo:

Il faut écrire à la moderne; Demosthène et Virgile n’ont point écrit en notre temps et nous ne saurions écrire en leur siècle; leurs livres quand ils les firent étaient nouveaux et nous en faisons tous les jours des vieux40.

Ma vi è di più. L’affermazione della diversità insormontabile esistente tra il passato e il

presente, il carattere suranné che persino la poesia ronsardiana acquista per i moderni, non

sono soltanto il sintomo di una ricerca di originalità da parte di scrittori, insofferenti della pe-

sante eredità cinquecentesca e desiderosi di fare del nuovo ad ogni costo, come avviene, ad

esempio, per alcuni poeti italiani41, in questi stessi anni. Essa rivela il convincimento, assai più

profondo e radicato, che tale constatata diversità sia l’inevitabile conseguenza della raggiunta

maturità dei moderni e quindi della loro superiorità nel parallelo con gli antichi.

Già alcune osservazioni del Du Perron sono, in questo senso, rivelatrici. Egli scrive,

sempre a proposito di Ronsard:

…ses sonnets ne sont pas bien excellents, il faut que le sonnet concluë subtilement et qu’il paye son hoste. Il y a du Lyrique, ce n’estoit pas son faict que des sonnets, son esprit alloit plus haut. Ceux qui sont venus apres luy, s’y sont plus adonnez et ont mieux reussy aux choses d’amour que luy. Ceux qui se donnent à cette poësie il faut qu’ils aient esté enseignez au paravant pur d’autres, ils ne peuvent pas venir des premiers en une langue comme Ronsard42. Abbiamo sottolineato l’ultima frase perché ci pare racchiuda esemplarmente il più

nascosto pensiero del Du Perron: coloro che si cimentano per primi nella poesia non saranno

mai i migliori perché, anche in questo campo, esiste la possibilità, ed anzi la necessità, di un

progresso.

Rovesciando lo schema rinascimentale secondo cui gli antichi, proprio perché venuti per primi

dovevano essere

40 THÉOPHILE DE VIAU, Fragment d’une histoire comique, in Oeuvres completes par Alleaume, Paris, Bibliothèque Elzévirienne, 1856, voll. 2, II, pp. 11-13. 41 Cfr. F. CROCE, op. cit., p. 548 42 Perroniana, p. 285.

considerati i modelli da imitare, la superiorità dei moderni si afferma come conseguenza della

loro modernità:

Je dirai sans arrogance — scrive il d’Urfé nella prefazione alla Sylvanire — que nous voyons plus que les Anciens, car tout ainsi qu’un nain étant sur la tête d’un géant verra quoique plus petit, plus loin que ne fera ce grand colosse, de même ayant les inventions de ces grands Anciens, et pour ainsi dire étant sur leur tête, nous voyons sans doute plus avant qu’ils n’ont pas fait, et il nous est permis, sans les outrager, de changer et polir ce qu’ils ont inventé43. Sul piano letterario questa affermazione si traduce nei termini proferiti dal Bréval e

raccolti da Faret:

Notre langue ne s’est jamais eslevee au point où elle se trouve auiourd’huy. Elle a recueilly la succession de tous les siècles passez. Elle a fait le choix des tresors de celles qui l’ont precedez44. Non molto diverso era quanto aveva scritto Deimier nella prefazione alla sua

Académie de l’art poétique, proprio con lo scopo di sostenere la legittimità della sua opera:

Je suis bien aise qu’il se treuve quelques amis qui ne se plaisans qu’en leurs humeurs surannées, m’allegueront que puisque Ronsard, Peletier, Fontaine, avoyent faict des Arts poetiques, que c’estoit assez et qu’il s’en falloit rapporter a ceux la, sans se peiner d’en faire au iourd’huy un autre... Mais en m’alleguans ces raisons, ils feront voir leurs propos bien des-raisonnables. Car, comme toute personne de jugement sera de mon opinion, on sçait bien que l’on escrit au iourd’huy en Poësie d’une façon infiniement plus exacte et reglee que la plus grande partie de ce que ces Trois Autheurs nous en ont Iaissé par escrit à ce suject que si l’on se regloit à tout ce que ces escrivains en ont dit, ce seroit revenir à la faiblesse de l’enfance et ramener les Saturnales, où les maistres devenaient serviteurs45. Il testo è di estrema importanza perché riassume in un’unica formula quanto fin qui

siamo venuti analizzando e identificando: la radicata convinzione condivisa da ogni persona di

buon senso che la poesia moderna sia infinitamente più precisa e meglio regolata (cioè

stilisticamente più valida), sia della poesia ronsardiana, sia di quella

43 H. D’URFÉ, La Sylvanire, Paris, Fovet, 1627, Préface. 44 Lettre de M. le Marquis de Bréval à M. de Balzac sur l’Eloquence, in N. FARET, Recueil de lettres nouvelles, Paris, Toussaint du Bray, 1627, pp. 38-39. 45 P. DEIMIER, L’Académie de l’art poétique, Paris, J. de Bordeaulx, 1610, Préface.

precedente; l’affermazione del concetto di progresso, inteso come continuo e necessario

perché ineluttabile frutto del tempo.

Ora, appare chiaro come quest’ultima affermazione trovi la sua ragione d’essere piuttosto sul

piano del costume e della conoscenza che non sul piano più squisitamente letterario. È

significativo che, mentre per quanto riguarda la poesia e la lingua, noi raccogliamo soltanto

delle osservazioni generali e di principio, gli stessi critici e teorici, tanto restii a esemplificare in

concreto i loro convincimenti, siano invece in grado di indicare, con precisione, ie scoperte

scientifiche e conoscitive sulle quali si fonda l’asserito progresso dei tempi moderni. Anche

coloro che parlano ancora di Virgilio o di Omero con rispetto non esitano a dire di Aristotele:

…il est admirable en sa Métaphysique et en sa Logique, mais en sa Philosophie il a faict une infinité de fautes autant que de mots.46 e a ricordare, a chi ancora si affida alla sua autorità, quanto le recenti scoperte l’abbiano

definitivamente compromessa. Contro un aristotelico del suo tempo Chevreau scrive:

Comment ne s’est-il point souvenu de l’imprimerie, de la Boussole, de l’Artillerie, de la Poudre, de nos Horloges et de nos Montres sonnantes? N’a-t-il point sçeu que les Medecins et les Chimistes trouvent tous les jours des choses qui n’ont été connues ni des Grecs ni des Latin? Que par des Lunetes on a découvert quelques étoiles qui avoient été cachées aux yeux de l’Antiquité la plus éclairée ?47 Con il mito dell’ipse dixit cadeva anche il valore esemplare della produzione letteraria

dell’antichità.

La sotte antiquitez nous a laissé des fables Qu’un homme de bon sens ne croit point recevables48 scriveva Théophile, e proprio questa costatazione gli permetteva di affermare la profonda

diversità di sentire

46 Perroniana, p. 19. 47 U. CHEVREAU, Lettre à M. de La Mesnadière, in Œuvres meslée, La Haye, Moitiens, 1697, voll.2, I, p.349. 48 THEOPHILE, A M. du Fargis, in Œuvres poétiques, édition critique par J. Streicher, Première partie, Genève-Lille, Droz-Giard, 1951, p.80.

degli uomini d’oggi e il loro diritto ad esprimersi in forme nuove.

Nel 1629 Saint-Amant condannava apertamente ogni tipo di imitazione, perché

convinto che nessuna epoca o momento storico avesse rappresentato per la propria cc-

cezionalità un modello ineguagliabile di perfezione:

L’imagination, l’entendement et la memoire n’ont poinct de nation affectée et pourveu qu’on les veuilles cultiver avec quelque soin, elles portent du fruict indifferemment en toutes sortes de climats e spiegava: Je dy cecy pour certains gens à la vieille mode... Je le dy encore pour ceux qui au lieu d’essayer à faire quelque chose d’eux-mesmes, s’amusent non seulement à imiter mais à prendre laschement tout ce que l’on voit dans les autres autheurs49. Non tutti gli scrittori, è vero, sono per un così completo abbandono degli antichi e

dell’imitazione; quelli però che ancora ne parlano intendono il rapporto con la cultura antica in

un modo del tutto particolare. Non è più la meditata lettura di testi capaci di dare al poeta

moderno un insegnamento di bellezza, ma è la ricerca, nel patrimonio culturale del passato, di

singole immagini, di fiori retorici, secondo quel procedimento di cui il Marino ha saputo tanto

pittorescamente parlare50.

Scrive Colletet nel suo Discours de I’éloquence che è del 1636:

Il faut ressembler aux Abeilles qui de l’émail et de l’âme des fleurs composent si bien leur miel que l’on n’y remarque plus rien des choses qui l’ont formé51. L’immagine riprende alla lettera una frase di Montaigne52, ma, mentre presso l’autore degli

Essais permane

49 G. DE SAINT-AMANT, Oeuvres complètes par Ch. L. Livet, Paris, 1855. Bibliothèque Elzévirienne, 1855, volI. 2, Première partie, Advertissement au Lecteur, I, p. 13. 50G. B. MARINO, Lettera a C. Achillini de! gennaio 1620, in Epistolario a cura di A. Borzelli e F. Nicolini, Bari, Laterza, 1911-12, volI. 2, 1, p. 259. 51 G. C0LLETET, Discours de l’Eloquence, Paris, Sommaville, 1658, p. 42. 52 « Les abeilies piliotent deça delà les fleurs mais elles en font après le miel qui est tout leur ce n’est plus thym ny marjolaine; ainsy les pièces empruntées d’autruy [il poeta] les transforrmera et confondra pour en faire un ouvrage tout sien» (MONTAIGNE, Essais, Paris, Gallimard. Bibliothèque de la Pléiade, 1950. Livre I, chap. XXVI, p. 184).

il rispetto per la cultura classica, anche se è riconosciuta la necessità che lo studioso moderno

« face tout passer par l’estamine et ne loge rien en sa teste par simple autorité et à crédit », in

Colletet domina la preoccupazione di affermare che gli antichi rappresentano la prima età

dell’uomo e che, essendo l’arte paragonabile ad ogni altra scienza, «ses commencemens

sont faibles, mais ses progrès sont puissants »53. Da cui deriva, come inevitabile conclusione:

…si nous pouvons sçavoir les choses qu’ils [gli antichi ] ont sceuës, et les égaler en ce que nous les sçavons comme eux, nous pouvons aussi les surpasser en ce point, que nous sçavons des choses qui leur ont esté cachées, que le Temps nous a découvertes, et qu’il semble n’avoir reservées que pour nous. En effet come une longue expérience ne s’acquiert qu’avec un Iong usage, il est bien croyable que ces derniers siècles qui sont comme la vieillesse du temps, peuvent donner aux hommes des connaissances et des lumières que l’enfance du monde ne leur pouvoit pas donner encore54.

Nel confronto con gli antichi la posizione dei moderni risulta così chiaramente definita

secondo la felice formulazione dell’Ogier:

Il faut donc considerer non si une chose est ancienne, mais si elle est juste, ou raisonnable, et ne s’arrester point tellement aux bornes que nos Pères ont plantées que nous ne nous reservions la liberté de juger de ce qui est au delà et le courage d’aller plus avant, s’il nous est possible. Que si la defense aveugle que quelques uns rendent à l’authorité des Anciens eust esté en credit autresfois, les Arts et les Sciences seroient encore en leur enfance55.

Si conclude in questo modo, compiuto fino alle sue ultime conseguenze, il processo di

dissoluzione della dottrina rinascimentale, con il completo capovolgimento dei rapporti tra

cultura classica e cultura moderna. E’ questa conclusione sufficiente a caratterizzare una

poetica barocca? Certamente no. Il giudizio negativo su Ronsard che sarà poi ripreso da

Boileau è quello stesso che leggiamo in Guez de Balzac il quale vede nell’opera del poeta « la

matière et le commencement d’un poète plutôt

53 G. COLLETET, op.cit., p.37. 54 Idem, p. 47. 55 F. OGIER, Apologie pour M. de Balzac, Paris, Morlot, 1627, pp. 7-8.

qu’un poète achevé»56. Molto simile, anche se più meditata e sfumata, era la posizione di

Chapelain; il critico riconosceva a Ronsard la genialità e l’ardore di un autentico poeta, ma si

rammaricava che:

…ce beau naturel et cette imagination feconde ne se sont rencontrés dans un temps comme cettui-cy qui veut que l’on soit adjusté aussy bien que libre et dans lequel les Poètes sont réglés par le goust de la Cour plustost que la Cour par le goust des Poètes57. Alcune osservazioni e, soprattutto, la coscienza di una superiorità dei moderni rispetto agli

antichi si risolvono per i teorici del Classicismo nella convinzione di vivere l’apogeo della

cultura francese, come le stesse parole di Chapelain sembrano lasciar intendere. Il testo

citato dal Bréval sulla lingua, potrebbe stare accanto alle riflessioni del Vaugelas58 che

considera anch’egli come, a seguito di un costante progresso e raffinamento nel tempo, la

lingua sia oggi pervenuta alla sua massima perfezione. E, del resto, anche la necessità di

scrivere in un linguaggio comprensibile e accettabile da parte di un ambiente, privilegiato

soltanto socialmente, qual è l’ambiente di Corte o i salotti alla moda, troverà un suo sviluppo,

nella dottrina classica, col più ampio concetto di bienséance; mentre, ancora per Vaugelas «

le bon Usage c’est la façon de parler de la plus saine partie de la Cour »59 e si èvisto quale

peso abbia il gusto della Corte anche per Chapelain.

Ma i possibili sviluppi in senso classicistico, che le teorie letterarie del primo Seicento

potranno avere, non c’interessano quanto la costatazione, fin qui documentata, dell’esistenza

di un modo d’intendere l’arte che è e si vuole nuovo.

Ciò che conta, infatti, in questo inizio di secolo, così

56 G. DE BALZAC, Lettre à Chapelain da 20 août 1641,, in Oeuvres, Paris, Billaine, 1665, volI. 2, I, p. 856. 57 J. CHAPELAIN, Lettre à Balzac du 10 juin 1640, in Lettres, par Ph. Tamizey de Larroque, Paris, Imprimerie Nationale, 1880-93. voll.2, pp. 636-37. 58 VAUGELAS, Remarques sur la langue françoise utiles à ceux qui veulent bien parler et escrire, Paris, Camusat, 1647; à Monseigneur Seguier Chancelier de France. 59 Idem, Préface.

come l'Adam ha osservato a proposito di Malherbe60 è che si è verificata una rottura

importante, che sottoscrivono e alla quale concorrono quasi tutti i più autorevoli portavoce

della letteratura del tempo. Da ciò deriva una nuova poetica che per ora siamo riusciti a

definire soltanto negativamente, per tutto quanto essa rifiuta o mette in discussione, ma che

un maggior approfondimento delle dottrine professate ci permetterà dì identificare anche nei

suoi aspetti positivi più caratterizzanti.

Si è già detto come la presa di coscienza di una profonda diversità fra il tempo

presente e il passato, negli autori della prima metà del secolo, trovi il suo fondamento, non

soltanto nelle mutate esigenze del gusto del pubblico (la Corte in particolare), ma, soprattutto,

nel constatato divario tra il mondo moderno e quello antico, nell'affermazione di una

complessiva superiorità della civiltà contemporanea, raggiunta attraverso il costante

progredire delle conoscenze scientifiche, filosofiche, letterarie. Entrambe le componenti di

questa nuova poetica affondano le loro radici in un preciso contesto storico che si esprime

con caratteristiche proprie anche in altri campi della vita culturale del paese. Non è senza

significato che gli artefici della nuova dottrina poetica siano direttamente in contatto con gli

uomini che meglio rappresentano i più rivoluzionari indirizzi della cultura del tempo: che

Malherbe sia l'amico di Du Vair e di Peiresc, che Théophile sia un libertino, che Saint-Amant

sia un ammiratore di Galileo ecc.

Questa constatazione dimostra infatti, da un lato, che il modernismo letterario non è se

non un aspetto di quel più vasto movimento rinnovatore che investe e talvolta sconvolge

radicalmente la cultura tradizionale, dall'altro, che, se il modernismo è una delle componenti

del Barocco, questa corrente letteraria risulta, per ciò stesso, strettamente ancorata ad un

preciso momento della storia del pensiero e della scienza, a una civiltà particolare di cui

rappresenta, appunto, la traduzione ne in termini estetici. È quanto ci sarà subito consentito di

verificare attraverso un'altra osservazione generale.

60 A . ADAM., Hístoíre de la litt. Fran...,I, p. 29.

L'incontro tra i teorici dell'arte e i pensatori e gli scienziati del primo Seicento si

realizza, oltre che nel comune rifiuto della tradizione, nell'affermazione di libertà che è fiducia

nelle possibilità eterne dello spirito umano: libertà di ricerca e di sperimentazione per i filosofi

e gli scienziati, libertà d'invenzione nella creazione per il poeta. Tutta la gloria del moderno

poeta consiste nelle nouvelles inventions di cui è capace.

Scriveva Deimier:

Un bon Poéte doit se travailler de treuver en son esprit quel que heureuse et nouvelle conception sur le subject qu'il s'est proposé d'escrire61.

Tale novità si legittima sul piano naturale nella stessa essenza dell'uomo: ... puisque la Nature est tousiours tres feconde et admirable en la diversité des esprits et que chaque esprit a ses humeurs, son destin et ses fantaisies en particulier, ce n'est pas une chose qui repugne au naturel des hommes, d'avoir et de treuver parfois quelque nouvelle imagination pour exprimer l'image de ses désir62.

Deimier pone l'accento sull'individuo e sulla varietà del suo sentire e quindi del suo

poetare; Sant Amant perfezionerà questa tesi su di un piano più generale sostituendo

all'autorità della tradizione il giudizio razionale, la conformità al gusto e alle conoscenze del

proprio tempo:

J’y ai meslé - scrive a proposito del Moyse sauvé –des épisodes pour remplir la scène, s'il faut ainsi dire - et sans m'arrester tout-à-fait aux règles des anciens que je revère toutes fois et que je n'ignore pas, m'en faisant de toutes nouvelles à moy-mesme à cause de la nouveauté de l'invention, j'ay jugé que la seule raison me serait d'authorité assez puissante pour les soutenir car en effet, pourveu qu'une chose soit judicieuse et qu'elle convienne aux personnes, aux lieux et aux temps qu'im-porte qu'Aristote l'ait ou ne l'ait pas approuvée? Il s'est descouvert des estoiles en ces derniers siècles qui luy auraient faict dire d'autres choses iqu'il n'a dites, s'il les avait veues; et la philosophie de nos modernes ne demeure pas toujours d'accord avecque la sienne de tous ses principes et de toutes ses deffinitions63.

61 P.DEIMER, op.cit., p. 209. 62 Idem, p. 212. Per la posizione « modernista » di Deimier vedansi anche le pagine immediatamente precedenti. 63 SAINT AMANT, Préface au Moyse sauvé, in Oeuvres complètes, 11, p. 140.

Regole nuove per un genere nuovo: argomento princeps che Chapelain aveva

abilmente saputo mettere a frutto nella difesa dell’Adone del Marino, un poema nuovo

(epopea di pace) per il quale l’autore aveva il diritto di forgiarsi un proprio stile e delle regole

nuove64. Fino a che punto Chapelain fosse convinto di quanto diceva65 non è qui il caso di

approfondire; certo è, invece, che la libertà d’invenzione, almeno per Saint-Amant,

rappresenta la condizione necessaria a garantirgli la libertà nella scelta dei mezzi espressivi:

« parce qu’aymant la liberté comme je fais, je veux mesme avoir mes coudées franches dans

le langage »66.

Ora la libertà sarà tanto più grande e legittima quanto più l’arte si troverà svincolata

non soltanto dall’autorità della tradizione (ormai apertamente contestata), ma da ogni impegno

d’ordine morale e didattico.

Non stupirà, quindi, di vedere attribuire alla poesia, specie nei testi critici dei primi

decenni del secolo, il valore di un semplice divertissement. È’ la tesi del Castelvetro67 che

trova efficaci sostenitori in diversi teorici dell’inizio del Seicento: Laudun d’Aigaliers, per il

quale persino la tragedia ha uno scopo puramente ricreativo68; Deimier che dichiara

apertamente « le but du poète est la délectation et l’admiration que ses oeuvres doivent

apporter aux lecteurs »69; Ogier che nella prefazione al Tyr et Sidon di J. Schélandre

conferma: « La poésie... n’est faite que pour le plaisir et le divertissement »70. Più tardi

ancora, Faret portava il suffragio della propria autorità, e dell’ambiente letterario di cui è uno

dei più attivi rappresentanti, a questa tesi scrivendo: « faire des

64 J. CHAPELAIN, Préface de l’Adone du Marin, in Opuscules critiques par A. C. Hunter, Paris, Droz, 1936, p. 74 e soprattutto pp. 78-82. 65 Per il successivo sviluppo della dottrina poetica di Chapelain, si veda oltre alla introduzione di A. C. Hunter per la già citata edizione degli Opuscules, la introduzione di P. Ciureanu a J. CHAPELAIN, Lettere inedite a corrispondenti italiani, Genova, Di Stefano, 1964. 66 SAINT-AMANT, Préface du Passage de Gibraltar, in ed. cit., I, p. 285. 67 Sull’influenza dcl Castelvetro cfr. nel già citato studio del Bray le pp. 36-39 e 65-71. 68 LAUDUN D’AGALIERS, op. cit., p. 159. 69 P. DEIMIER, op. cit.. p. 583. 70 F. OGIER, Préface a J. SCHÉLANDRE, Tyr et Sidon, Paris, R. Estienne, 1626.

vers c’est un exercice plus agréable que nécessaire »71, e il Padre Camus aggiungeva:

Je dis comme Socrate de l’Amour (ainsi cet art est fort associé à ceste passion) que c’est l’occupation des gens de sejour et oyseux; car d’y donner des heures serieuses et de s’y attacher avec attention d’esprit et d’une occupation empressee, c’est chose que i’improuve plainement. C’est une invention recreative et ceux qui la font serieuse y rongent leurs ongles, y froncent le sourcil, ils se montrent ridicules de vouloir priser des fadaises72.

In questi stessi anni anche Chapelain si trova schierato tra i sostenitori di un’arte

svincolata da ogni impegno che non sia quello di divertire e di piacere. In una lettera a Guez

de Balzac del 1632, egli scrive: « l’avantage que la poësie apporte à la vie civile n’est autre

que le plaisir »73; e a Mlle de Gournay confida, a proposito della progettata Pucelle:

L’entreprise du poème héroique […]ce n’est qu’un divertissement pour moi […] je n’eus point d’autre but, lorsque je m’y lassai aller, que de me désennuyer et passer de mauvaises heures sur d’agréables objets, per concludere:

…je tiens qu’il faut traiter ce genre de poésie et tout autre comme une chose qui est d’ornement et non pas de nécessité, en faire un jeu, non pas un exercice74. Questa presa di posizione teorica trova conferma presso quasi tutti i poeti del tempo.

Lo stesso Malherbe più volte aveva sottolineato il carattere edonistico di ogni forma d’arte,

musica, pittura o poesia, le quali non servono che per il piacere delle orecchie o degli occhi, e

non aveva esitato a dichiarare che la poesia è soltanto un gioco nel quale il poeta non

raggiunge altro fine che il proprio divertimento, non essendo un buon poeta più utile allo stato

qu’un bon joueur de quilles75.

71 N. FARET, L’honneste homme ou l’art de plaire à la Cour, Paris, Toussaint du Bray, 1630, p. 63. 72 J. P. CAMUS, De la Poësie, in Les diversitez, Douai, M. Wyon, 1620, pp. 174-75. 73 J. CHAPELAIN, Lettre à M. de Balzac du 22 septembre 1622, in Lettres, I, p. 4. 74 Lettre à Mlle de Gournay du 10 décembre 1622, in Lettres, I, pp. 17-18. 75 RACAN, Vie de Malherbe, in ed. cit., I, p. LXVII.

Conforme alla teoria che vuole l’arte libera da ogni impegno è la felice immagine che ci

offre Théophile del proprio fantasticare poetico:

Je veux faire des vers qui ne soient pas contraincts Promener mon esprit par de petits dessains Chercher des lieux secrets où rien ne me deplaise, Mediter à loisir, resver tout à mon aise, Employer toute une heure à me mirer dans l’eau Ouyr comme en songeant la course d’un ruisseau Escrire dans les bois, m’interrompre, me taire, Composer un quatrain sans songer à le faire...76. Si è già detto di Saint-Amant. Nella Préface du Passage de Gibraltar, egli si era

espresso in modo ancora più esplicito:

Puisque selon l’opinion du plus grand et du plus judicieux de tous les philosophes, le principal but de la poésie doit estre de plaire […] je tiens pour maxime indoubitable que les plus gayes productions de ce bel art, qui laissant les espines aux sciences, ne se composent que de fleurs, doivent estre les plus recherchées et les plus chéries de tout le monde77.

E, più tardi, non aveva esitato a definire la seconda parte delle sue poesie « un recueil

de diversitez capricieuses »78 e a sottolineare, nella Epistre à Mons. le Duc de Montmar al

quale dedicava il suo Dernier recueil, il valore puramente ricreativo delle sue composizioni

poetiche79.

Dell’opinione di Saint-Amant è il d’Alibray, per il quale il solo scopo della poesia è di

divertire lo spirito e non di affaticarlo80. Sulle stesse posizioni vediamo allineato anche

Corneille, nella prefazione al Clitandre, nella Epître de la Suite du Menteur e persino nel

Discours du poeme dramatique ove ripetutamente indica quale unico scopo della propria arte

il divertimento81.

76 THÉOPHILE, Elegie à une Dame, in Œuvres poétiques, p. 12, vv. 139-146. 77 SAINT-AMANT, Préface du Passage de Gibraltar, in ed. cit., I, p. 284. 78 A M. Le Comte d’Harcourt, in ed. cit., I, p. 247. 79 A Mons. le Duc de Mortmar, in ed. cit., II, p. 10. 80 Cfr. A. ADAM, Histoire de la litt. fran., I, p. 382. 81 In Corneille il concetto edonistico dell’arte si accompagna sempre al rifiuto dell’autorità degli antichi. Cfr. CORNEILLE;, Clitandre, Préface, in Oeuvres, Paris, Hachette, 1862-68, volI. 12, I, pp. 262-63 e, soprattutto, Epître de la Suite du Menteur, in ed. cit., IV, p. 279; Discours du poème drammatique, in ed. cit., I, pp. 16-17.

Nato da una sentita esigenza di libertà, d’indipendenza per la creazione artistica,

questo modo d’intendere l’arte rischia però di degradarla a un livello di estrema superficialità,

come gioco di spiriti oziosi, passatempo per dilettanti. Un’affermazione di Cotin ci avverte di

questo pericolo:

Je croy davantage — egli scrive — que la Poësie peut ester le divertissement et le jeu, non pas le metier et la profession d’un excellent homme82.

Per fortuna, in quest’ultima estensione negativa alla quale l’equazione arte-

divertimento poteva condurre, Cotin si trova isolato. Verso la metà del secolo è già in atto,

infatti, una trasformazione della teoria sull’arte che interessa direttamente questo problema.

Nella Préface alla raccolta de Les Amours, Tristan, che pur giudica le proprie

composizioni « ouvrages faits seulement pour plaire », annunzia la volontà di scrivere versi di

altro tipo ed impegno « qui puissent plaire et profiter tout ensemble »83.

Per parte sua, Scudéry che nella prefazione a Lygdamon et Lidias deI 1631 aveva

dichiarato: « La poésie me tient lieu de divertissement agréable et non pas d’occupation

sérieuse »84, proclama, invece, nella prefazione all’Alaric: « Le Poète doict pour le moins

autant songer à l’utile qu’au delectable» e definisce il poeta un uomo colto e preparato che

merita tanta maggior lode quanto più è capace di scrivere opere ricche di sapere85.

In verità, una certa incertezza e incoerenza sussiste ancora, non solo fra gli scrittori,

ma anche presso i teorici dell’arte. Valga l’esempio del La Mesnardière, la cui Poëtique è del

1640.

La Poesie, est proprement celle Science agréable qui mesle les enseignemens parmi les recreations et la gravité des Preceptes avec la douceur du langage

82 CH. COTIN, Lettre à M. de la Poterie, in Œuvres galantes en prose et en vers, Paris, Loyson, 1663, p.471. 83 TRISTAN L’HERMITE, Les Plaintes d’Acante et autres oeuvres. ed. crit, par J. Madeleine, Paris, Cornély, 1909, Advertissement p. 101. 84 G. DE SCUDÉRY, Lygdamon et Lidias, Paris, Targa, 1631, Préface, p. 11. 85 G. DE SCUDÉRY, Alaric ou Rome Vaincue, La Haye, Ellinckhuysen, 1685, Préface.

afferma il La Mesnardière, ma nel contempo ci avverte che tale concetto di arte non è stato

accolto da molti poeti suoi contemporanei:

…ie ne puis assez m’étonner — egli scrive — de l’aveuglement des esprits qui veulent que cette Science n’ait pour obiet que le plaisir et qu’elle laisse l’instruction pour ne s’arrester qu’aux délices […] ces Iuges peu équitables ont pensé que la Poësie ne devoit pas être fort bonne à cause qu’elle étoit fort belle86.

Una conferma del carattere recente, e ancora non solidamente affermato, che ha

questa presa di posizione in favore dell’utile dulci, ci pare contenga anche una lettera

indirizzata dal Chevreau a Saint-Amant l’8 giugno 1656. L’elogio che il critico vi tributa al

poeta appare piuttosto insolito e la conclusione per lo meno equivoca:

Notre Michel de Montaigne — scrive Chevreau — eût été surpris de voir les dernieres productions de votre esprit: et il eût changé d’opinion, lui qui croioit que la Poësie n’étoit point plus agréable que quand le sujet en étoit folâtre. Il eût avoué que c’est de vous et de vos semblables que l’on a dit que les Poëtes étoient les Peres de la Sagesse, les interprêtes des Dieux; et plus encore les enfans de Dieu. Il sort de la chaleur et de la lumière dont vous avez animé votre Homme de bien et vous avez peint en deux façons pour l’Eternité. Si vous êtes ferme comme vous le dites, dans la resolution que vous avez prise de ne travailler à l’avenir que sur des Sujets de cette nature, ou le Parnasse n’aura point de fleurs, ou vous les ferez toutes entrer dans le Sanctuaire. Pour moi je tiens toûjours à la bagatelle; et présentement je fais plus d’état de six aumons et de six tulipes bien panachées que de toutes les fleurs de la Rhétorique87.

Si direbbe che Chevreau voglia con queste parole attribuire al poeta un merito che

raramente gli è stato riconosciuto e che il critico stesso non apprezza pienamente se non in

ossequio a un nuovo modo d’intendere la poesia. Il testo merita comunque di essere

sottolineato in quanto conferma quel mutamento di gusto e di dottrina che già la testimonianza

di Scudéry, di Tristan e di La Mesnardière aveva indicato e, nello stesso tempo, fissa i termini

cronologici approssimativi della poetica barocca, fecendo risalire a Montaigne il gusto per una

poesia

86 J. DE LA MESNADIÈRE, La Poëtique, Paris, Sommaville, 1640, Discours. 87 U. CHEVREAU, Lettre à Saint-Amant du 8 juin 1656, in ed. cit., I, 25.

agréable e folâtre88 e rivelando che, nell'epoca in cui Chevreau scrive la sua lettera a

Saint-Amant, salvo qualche eccezione tra le quali egli stesso si pone, i poeti tornano ad

essere les Peres de la Sagesse e les enfans de Dieu.

Non molti anni più tardi il rovesciamento di tendenza sarà pienamente realizzato; nel

Discours introduttivo alle opere di Malherbe il Godeau non solo si vede costretto a difendere

l'opera del poeta dagli attacchi di chi gli rimprovera di essersi troppo allontanato

dall'insegnamento degli antichi, ma dichiaratamente accetta e sostiene il fine didattico e

morale che ogni opera poetica deve perseguire:

La Poésie arrive à sa fin qui est d'instruire et de plaire, d'une façon toute particulière: car elle cache sous l'écorce de la Fable ceque les autres Sciences proposent à découvert, pour rendre les véritez qu'elle publie plus venerables par ce voile qui les couvre, et se donner entrée dans l'esprit avec moins de peine, par le contentement qu'il reçoit d'une fiction ingenieuse89.

Siamo ormai nella seconda metà del secolo e l'evoluzione delle teorie sull'arte ci ha

condotto alle soglie del Classicismo.

Indicare nel divertissement il fine unico della poesia significa porre in primo piano i

caratteri più estrinseci della creazione artistica, la varietà dei toni, la ricerca dell'effetto e della

sorpresa. Il poeta scrive per il lettore, un lettore spesso distratto, quasi incolto di cui deve sa-

persi guadagnare l'attenzione o almeno la curiosità oziosa. Presentando al pubblico nel 1609

il Nouvel recueil des plus beaux vers de ce temps, Toussaint Du Bray sottolinea il valore della

raccolta, sia per coloro che cerchino la varietà dell'invenzione, sia per chi ami le novità

secondo quel gusto del curioso che, soprattutto la Corte, pare desiderare in ogni cosa90. Da

parte di un editore il richiamo al gusto dei lettori, sollecitati nel loro interesse

88 Scriveva Montaigne dedicando a Mme de Grammont ventinove sonetti di E. de La Boetie: « moy je suis de ceux qui tiennent que la poësie ne rid point ailleurs, comme elle faict en un subject folâtre et desreglé » (Essais, ed. cit., Livre 1, ch. XXIX, p. 233). 89 Discours de M. Godeau evesque de Vence sur les oeuvres de M. de Malherbe, in MALHERBE, Les Poësies, Paris, Jolly, 1666. 90 F. LACHÈVRE, Bibliographie des Recueils collectifs publiés de 1591 à 1700, Paris, Leclerc, 1901-05, voll. 4, 1, p. 97.

dalla novità e dalla originalità che le pièces della raccolta presentano, non è sorprendente.

Ma la stessa indicazione troviamo nell'Advertissement au Lecteur che Saint-Amant

premette alla prima parte delle sue poesie, dove osserva:

Après avoir assemblé toutes les pièces que j'avois composées, j'y ay remarqué une diversité qui peut-estre ne sera pas trouvée desagréable91.

La varietà è strettamente connessa al piacere e l'immagine, spesso ripetuta di una

raccolta di poesie che è simile ad un bel prato fiorito e lo stesso paragone tra il poeta e la

natura che crea con generosità e profusione, confermano l'identità dei due concetti per

molti poeti del tempo92.

Ora, la varietà e l'efficacia che per suo mezzo si desidera conseguire, derivano sia

dalla novità dell'invenzione, sia dalla particolare cura con la quale si valorizza nella

espressione ogni originalità.

Un testo di Ogier su Balzac ci pare enunciare chiaramente questo significativo

corollario:

... les choses extraordinaires, exprimées en termes magnifiques ne persuadent pas seulement, mais elles estonnent les escoutans et le souverain Orateur ne mene pas seulement l'auditeur où bon luy semble, mais aussi le ravit et le ransporte hors de soy-mesme93. L'osservazione riguarda l'arte oratoria, ma potrebbe riferirsi senza difficoltà alla poesia,

specialmente là dove il critico trae alcune conclusioni sul modo con il quale lo scrittore deve

procedere per ottenere gli effetti desiderati di originalità e di sorpresa:

Il faut qu'il sorte quelquefois des chemins pour prenidre les routes, qu'on le perde de vue

pourveu qu'il ne s'égare pas, qu'il marche sur les précipices sans pour cela se precipiter. Cest-à-dire qu'il ait des mouvemens et des hardiesses qui ravissent le lecteur...94. e conclude: « Ou veut estre conduit avec artifice et non pas traisné avecque rudesse95 ».

91 SAINT-AMANT, 0euvres complètes, Première partie, Advertissement au Lecteur, I, p. 11. 92 Cfr. ancora F. LACHÈVRE, Op. Cit., I, pp. 6-7 e 56.

93 F. OGIER, Apologie pour M. de Balzac, cit., p. 71. 94 Idem, p. 81 95 Idem, p. 289.

Giudicando, secondo questi principi, la poesia epica, Marolles conferma: « Il faut

toûjours chercher la nouveauté pour surprendre agréablement96 » e indica in Saint-Amant il

poeta che meglio ha saputo realizzare, nella sua opera, l'ornamentazione più ricca e le

arditezze più generose. Proprio la poesia, infatti, consente ed esige tutti gli ornamenti tutte le

audacie:

On souffre au Caractère Poétique des profusions et des dépenses qui ne seroient pas souffertes au Caractère Oratoire, toutes sortes d'ornemens y peuvent entrer, il ne sçauroit avoir trop d'éclat, ny des façons trop curieuses et trop recherchées97.

E La Mesnardière precisa:

... les Descriptions fleuries, les Conceptions égayées et les Expressions magnifiques font ses charmes naturelles et ses graces essentielles98.

Come si vede alcuni termini ricorrenti in tutti questi testi, quali ornement, hardiesse,

curiosité, profusion, ravissement ecc., definiscono abbastanza chiaramente la poesia e l'arte

secondo le componenti tipiche della poetica barocca. Ma nello stesso tempo pongono in

primo piano il problema dell'arte come creazione. Fino a che punto, infatti, gli ornamenti, gli

effetti sorprendenti, le invenzioni curiose e ingegnose svincolano l'arte, non solo dagli antichi

modelli, già svalutati sul piano culturale e linguistico, ma dalla stessa imitazione della natura?

È questo un ulteriore sviluppo della poetica barocca che dobbiamo seguire cori molta

cautela in quanto esso non si presenta coerentemente in tutti i critici e gli scrittori della prima

metà del secolo, incapaci spesso di dare una risposta ad un problema che, solo raramente e

confusamente, si pongono.

Due momenti logici e talvolta cronologici ci pare caratterizzino la soluzione del

rapporto arte-natura nel primo Seicento. Da un lato, il rifiuto dell'autorità tradizionale si risolve,

come nel campo scientifico e filosofico,

96 MAROLLES, Traité du Poëme Epique, Paris, de Luyne, 1662, p. 120. 97 LE MOYNE, Hymnes de la Sagesse divine et de l'Amour divin avec un Discours de la Poësie, Paris, Cramoisy, 1641, p. 8. 98 LA MESNARDIÈRE, Op. cit., Discours.

così in quello dell'arte, in un ritorno alla natura, ritorno che, per la maggior parte degli scrittori,

giustifica l'affermazione d'indipendenza dai modelli tradizionali.

Si ricordi il testo di Deimier:

...puisque la Nature est toujours tros feconde et admirable en la diversité des esprits et que chaque esprit a ses humeurs, son destin et ses fantaisies en particulier, ce n'est pas une chose qui repugne au naturel des hommes d'avoir et de treuver parfois quelque nouvelle imagination pour exprimer l'image do ses desirs99.

Anche Godeau accoglie questa tesi:

Il me semble que c'est douter de la puissance de la Nature que de s'imaginer qu'elle ne puisse plus faire des miracles et d'une bonne mère que nous la devons croire, en faire une cruelle marâtre, de se persuader qu'elle n'a donné qu'eux Anciens les dispositions necessaires pour arriver à la perfection des Sciences100.

Il richiamo alla natura ha per entrambi i critici (e si noti che i due testi si pongono

cronologicamente all'inizio e alla fine dell'epoca che stiamo studiando) il significato di una

presa di coscienza dell'essenziale e non mai esaurita possibilità creativa dell'uomo. Da questa

affermazione si passa, quasi senza soluzione di continuità, al paragone della creazione del

poeta alla natura stessa così come lo esprime il Deimier:

... le Poëte doit estre en ses Poëmes comme la Nature en la production des fleurs101.

L'immagine sarà ripresa dal Colletet in una smagliante allegoria sull'arte:

De la main droite elle [la poesia] répand des hyacinthes des émeraudes et mille autres pierres précieuses; et de la gauche elle lance des traits. Son vêtement à fonds d'or est émaillé de diverses figures qui sont autant des brillantes lumières102,

che si conclude con l'atteso paragone:

... le bel Art de la Poësie qu'on peut si iustement appeler le plus précieux Tableau de la Nature puisqu'il ne subsiste que par l'imitation de ses ouvrages103.

99 P. DEIMIER, op. cit., p. 212. 100 GODEAU, Discours, in ed. cit. 101P. DEIMIER, op. cit., p. 252. 102 G. COLLETET, Discours de l'Eloquence, pp. 8-9. 103 Idem, p.16.

L'arte dunque, non è solo simile alla natura nelle sue creazioni, ma è, essa stessa,

imitazione della natura.

La poësie et la Peinture ont esté appelées soeurs à cause que ces deux arts ne sont rien autre chose qu'une imitation de la Nature et que d'autant qu'elles en approchent, d'autant elles sont voisines à la perfection qui leur est propre. La Poësie est une Peinture parlante104.

Già Valiquelin aveva scritto « Ce sont tableaux parlants que les vers bien écrits 105» l'

e dopo di lui Bréval, Scudéry, Cotin106 I' avevano ripreso l'immagine che anche Faret illustrerà,

dicendo:

Les mots sont comme la peinture qui n'a grace qu'en la representation qu'elle fait au vif des corps qui ont leur estre dans la nature107.

Eppure il concetto, apparentemente così limpido e così spesso ripetuto, rischia di

divenire equivoco, per la varietà di significati che si possono dare alla parola natura. Per

alcuni scrittori, i quali concordano nel riconoscere che l'arte è imitazione della natura, questa

non s'identifica unicamente con la sfera del sensibile, ma investe l'intelligibile e

l'immaginabile108, nel processo artistico assume perciò maggior rilievo l'intervento delle

facoltà intellettive dell'uomo grazie alle quali si realizza la traduzione della realtà nell'opera

poetica, attraverso la finzione. Questa sembra essere l'opinione del Colletet quando scrive:

La veritable Poësie n'est plus Poësie dès qu'elle est sans feinte. Or cette feinte n'est qu'une pure imitation du vray, puisque pour feindre les Poëtes doivent concevoir et se former en eux-mesmes l'image et la ressemblance de la choise qu'ils veulent imiter109.

104 GODEAU, Discours, in ed. cit. 105 VAUQUELIN, Art poétique, ch. 1, v. 226. 106 G. DE SCUDÉRY, Ibrahim ou l'illustre Bassa, Paris, Sommaville, 1641, Préface; COTIN, Traité de la poésie chrétienne, in Poésies chrétiennes, Paris, Le Petit, 1668, p. 3. 107 Lettre de M. de Bréval a M. de Balzac sur l'Eloquence, cit., p. 47. 108 Scrive il P. Le Moyne: « La Science ne seroit pas fort necessaire au Poëte, s'il n'avoit simplement à representer que le dehors des choses, comme le Sculpteur et le Peintre. Mais... l'Imaginable et l'Intellectuel luy doivent servir de Suiet aussi bien que le sensible» (cfr. op. cit., p. 29). 109 G. COLLETET, Discours de l'Eloquence, p. 17.

La natura diventa così mero supporto dell’arte cui spetta il compito di renderla più

efficace e più bella. Diceva il Deimier, che dell’invenzione aveva fatto il fulcro della sua

dottrina poetica:

L’Invention est une nouvelle Idée que l’esprit se forme sur la contemplation et image de quelque chose soit spirituelle ou corporelle, pour apres la representer parfaictement soit au moven de la parole de l’escriture, de la peinture ou d’autres humains artifices110.

Dalla contemplazione delle cose sensibili e dei fatti spirituali nasce « une nouvelle Idée

» , che sarà appunto il contenuto d’ogni espressione artistica. Ne risulterà un’arte che sarà di

tanto superiore alla natura quanto l’uomo come essere pensante è superiore alle cose pen-

sate. « L’art apporte la perfection aux parties où la nature manquait »111; per questo essa ha il

potere di commuovere gli animi più di quanto faccia solitamente la contemplazione della

natura.

Il vero poeta, secondo il Padre Le Moyne:

…doit travailler sur les Corps et sur les Esprits et mettre en oeuvre les choses qui sont et celIes qui peuvent estre. Il y a bien plus, il faut qu’iI corrige lcs défauts de la Nature et qu’il acheve ce qu’elle n’a fait qu’ébaucher; il faut qu’il se fasse luy-mesme un fonds d’Idées plus riches et plus belles que les siennes; il faut qu’il treuve des Estoiles où elle n’a mis que de l’obscurité; et que d’une Matiere commune et surannée il tire des formes précieuses et nouvelles112.

Il miglior rappresentante di questa dottrina poetica che ci sembra pienamente

corrispondere al Barocco così come lo si è inteso in Italia, nella letteratura e nelle arti

figurative, è Saint-Amant. Scrive di lui Marolles, dopo aver sottolineato che nell’arte occorre

soprattutto

« chercher de la nouveauté pour surprendre agréablement »:

...nostre Saint-Amant, par exemple, a vû des choses dans sa Solitude dans sa Nuit, dans sa

Matinée, dans sa Pluye et dans son Contemplateur que d’autres n’y eussent peut-estre

iamais apperceuës, ou qu’ils n’y eussent pas si bien veuës113.

110 P. DEIMIER, op.cit., p. 215. 111 Idem, Préface. 112 P. LE MOINE, op.cit., p. 29. 113 MAROLLES, op.cit., p. 121.

Ancora più acutamente Faret aveva notato:

Il fait toujours remarquer quelque nouveauté dans les choses qu’on a veues mille fois, et ce qui est particulièrernent à considerer en Iuy, c’est qu’il n’acheve jamais ces beaux portraits sans y donner un trait de maistre et sans y laisser un éguiIlon [sic]à la fin qui chatouille l’esprit long-temps après qu’il a esté piqué114.

Nell’attuazione di una dottrina poetica per la quale l’arte non soltanto deve gareggiare

con la natura, ma giunge a superarla, in ingegnosità e originalità, acquistano, infatti,

particolare valore i modi del linguaggio poetico.

Una male intesa concezione dell’arte barocca, contrapponendola dialetticamente al

rigore stilistico e formale del Classicismo, ha voluto mettere in luce un suo presunto carattere

di irregolarità, di negligenza stilistica, d’insofferenza a qualunque canone115. Alcuni testi,

ripetutamente citati, darebbero credito a questa convinzione, primi fra tutti i versi famosi della

Elégie à une Dame, giustamente considerati la più esplicita confessione di Théophile sulla

propria dottrina dell’arte:

Mon âme imaginant n’a point la patience De bien polir les vers et ranger la science: La règle me desplaist, j’écris confusement Jamais un bon esprit ne faict rien qu’aisement116.

Eppure queste parole, di per sé così chiare, non possono essere intese esattamente

se non vengono reinserite nel contesto cui appartengono e dal quale ricevono significato.

Esse fanno seguito all’invocazione alla Dama, alla quale il poeta riconosce la capacità di

giudicare rettamente e secondo ragione della creazione artistica:

Vous entendez le poids, le sens, la liaison Et n’avez en jugeant pour but que la raison117 e s’inscrivono nella recisa critica agli imitatori e ai discepoli pedissequi di Malherbe:

114 N. FARET, Préface à la Première partie des Oeuvres de Saint-Amant, in SAINT-AMANT, op. cit,. I, p. 9. 115 Cfr. D. MORNET, Histoire de la littérature française classique, Paris, Colin, 1950, pp. 19-24; P. MORÇAY, op. cit., pp. 8-11. 116 THOPHILE, Elégie à une Dame, in Oeuvres poétiques, I, p. 11, vv. 117-120. 117 IDEM, p. 9, vv. 67-68.

Imite qui voudra les merveilles d’autruy Malherbe a très bien fait, mais il a fait pour luy, Mille petits voleurs l’escorchent tout en vie; Quant à moy ces Iarcins ne me font point envie J’approuve que chacun escrive à sa façon J’ayme sa renommee et non pas sa leçon118…

Più che una critica a Malherbe (Malherbe a très bien fait... J’ayme sa renommee...)

bisogna vedere in questi versi, come giustamente ha osservato l’Adam119, un’affermazione

d’indipendenza e il rifiuto dell’imitazione: contro i discepoli del poeta così come contro i fedeli

imitatori degli antichi Théophile rivendica la propria libertà. Più oltre, infatti, dopo aver evocato

le gioie di un poetare libero, Théophile si dice pronto per un’opera di più ampio respiro ed

impegno, per la quale sia necessaria l’elaborazione di un nuovo, più alto linguaggio poetico:

Apres m’estre esgayé par ceste douce erreur Je veux qu’un grand dessain reschauffe ma fureur, Qu’une oeuvre de dix ans me tienne à la contraincte De quelque beau Poëme, En si haute entreprise où mon esprit l’engage,

Il faudroit inventer quelque nouveau langage Prendre un esprit nouveau, penser et dire mieux120...

Anche il più libero dei poeti del primo Seicento è dunque sensibile ai valori stilistici

dell’espressione artistica che sarà nuova, cioè adeguata allo spirito nuovo che la anima, ma

non per questo meno sorvegliata. Esiste un linguaggio ideale al quale Théophile vuole con-

formarsi e che nel Fragment d’une histoire comique definisce in termini inequivocabili:

Il faut que le discours soit ferme, que le sens y soit nature! et facile, le langage exprès et signifiant121... Quando poi noi passiamo dalla teoria alla pratica costatiamo, con il Lebègue122, che la

versificazione di

118 Idem, pp. 9-10, vv. 71-76. 119 A. ADAM, Théophile de Viau et la libre pensée française en 1620, Genève, Slatkine Reprints, 1965, p. 227. 120 THÉOPHILE, Elegie à une Dame, in ed. cit, 1, p. 12, vv. 147-50 e 153-55. 121 THÉOPHILE, Fragment d’une histoire comique, in Oeuvres complètes, Il, pp. 13-14. 122 R. LEBÉGUE, op.cit., II, pp. 112-117.

Théophile (non così la sua prosa) è più arcaica di quella di Malherbe, ma le sue odi

sembrano, per molti aspetti, aver accettato la lezione del poeta normanno, sia nei

procedimenti stilistici, sia nel felice adattamento dei ritmi e dei suoni al contenuto.

Il che significa (e l’esempio di Théophile ne rappresenta il caso limite) che, se, come

nelle precedenti pagine abbiamo ripetutamente rilevato, l’atteggiamento costante dei poeti e

dei teorici della prima metà del secolo è la ricerca di una originalità nell’invenzione, liberata

dalla tradizione del passato e persino, per alcuni, dall’imitazione della natura, mentre

parallelamente si fa luce la necessità per il poeta di servirsi di un linguaggio attuale, libero da

ogni peso erudito e capace di trovare immediata rispondenza presso un determinato

ambiente, non per questo si può affermare che l’originalità e la modernità siano state

realizzate col sacrificio dello stile, della forma espressiva, più consona, più esatta, più

raffinata.

Si rileggano le osservazioni del Du Perron e di Mlle de Gournay a proposito di

Ronsard; il rimprovero che i moderni poeti levano contro il migliore rappresentante della

poesia cinquecentesca riguarda la sua rudesse, la mancanza di polissure, di sufficiente

raffinamento linguistico e stilistico. Scrive Mlle de Gournay:

la perfection de la Poësie des nouveaux ouvriers consiste en la polissure simple et de plus taillée à leur mode123

ed in evidente polemica con questo modo d’intendere la poesia soggiunge:

Est-il rien de plus monstrueux que d’attacher la gloire et le triomphe de la Poësie, je ne dis pas encore à l’elocution qui certes est de grand poids en un Poëme (et laquelle ils ne sçavent pas cognoistre ny mesurer en sa vraye estenduë veu ce qu’ils reiettent et ce qu’ils acceptent, soit des mots ou des phrases) mais l’attacher, dis-je, en la ryme en la polissure et en la syntaxe, toute simple vulgaire et cruë de leur langage124?

Per parte sua Hardy conferma la tendenza, presso i poeti contemporanei, alla ricerca di «

une grande dou-

123 Mlle DE GOURNAY, Sur la version del Poëtes antiques, ou Des Metaphores,in L’ombre, ed. cit., p. 426 124 Idem, p. 438.

ceur de vers », « une liaison sans jours », « un choix de conceptions exprimées en bons

termes»125.

Una felice immagine di Garnier nell’Ode à Des Yvetaux sintetizza chiaramente i

termini con cui il nuovo modo di poetare si contrappone a quello di Ronsard e della sua

scuola:

…en Cour on n’aime plus Les vers Ronsardisez, que l’on dit superflus Et de la vieille guerre, Les bois et les forests y perdent leurs valleurs: On n’y veut qu’un parterre Sans feuilles et sans ombrages esmaillé de couleurs126.

La contrapposizione di una natura selvaggia e primitiva a una natura controllata e

ordinata dall’uomo « un parterre... esmaillé de couleurs» è sufficientemente eloquente; ma

fino a che punto quest’immagine e i giudizi di Hardy, di Du Perron, di Mlle de Gournay

rispondono alla reale situazione della poesia in questi anni?

Per Malherbe il problema è già stato chiarito dalle conclusioni proposte sia dall’Adam

che dal Lebègue: esiste un’apparente contraddizione tra l’opera del poeta e la sua dottrina

perché, come acutamente ha osservato il Lebègue:

Chez lui comme chez les poètes de la génération suivante, le Baroque et le Classicisme se compénètrent127.

Sono indice di questa coesistenza e compenetrazione da un lato la facture classique,

dall’altro l’enfasi, il gusto per l’antitesi e per la battuta talvolta sottile e ricercata.

Ma per gli altri poeti? Come conciliare il desiderio di novità, di originalità « les coudées

libres» di cui parla Saint-Amant, le « fantaisies » care a Théophile, con le forme espressive

rigidamente corrette cui l’immagine di Garnier ci fa pensare?

Per alcuni poeti, come Maynard e Racan, il discorso è semplice128: da buoni allievi di

Malherbe, essi ne hanno accettata pienamente la lezione stilistica e, pur avendo

125 A. HARDY, Théâtre, III, Au Lecteur. 126 CI. GARNIER, La Muse infortunée contre les froids amis du temps. Ode à Des Yveteaux, s. l., 1625, p.9. 127 R. LEBÈGUE, op. cit., II, 84. 128 Idem, pp. 94 e 124.

volentieri creato opere poetiche piene di concetti, di pointes, di immagini inusitate e

stupefacenti, le hanno racchiuse nell’armatura di un verso esemplarmente regolare.

Si è già detto dì Théophile; accanto alle citazioni già fatte converrà ricordare ancora i

versi dell’Ode à M. du Fargis, in cui il poeta fa consistere ìl proprio ideale poetico in

«conceptions bien exprimées », « paroles de choix bien mises, bien rimées » e loda una

versificazione che sia soprattutto dolce e scorrevole129.

Quanto a Saint-Amant, un più attento studio della sua opera poetica ha rivelato che

essa è assai meno irregolare di quanto hanno voluto giudicare alcuni suoi più antichi studiosi.

Le conclusioni deI recente volume di J. Lagny confermano ciò che l’Adam aveva già suggerito,

quando scriveva:

Il accepte la réforme de Malherbe, il ne s’y enferme pas... Il demande seulement pour l’imagination, pour la fantaisie le droit de se déployer dans les justes limites que la raison Ieur assigne130.

Sul piano teorico — se pur rifiuta le regole degli antichi «que je revère toutesfois et que

je n’ignore pas » —Saint-Arnant non nega la validità delle regole che tuttavia saranno regole

nuove, essendo nuova l’invenzione alla quale devono convenire. Per questo esse non

rispetteranno una mal intesa autorità della tradizione, ma la sola ragione che il poeta giudica

«une authorité assez puissante pour les soutenir »131.

L’attenzione di Saint-Amant ai problemi di stile trova larga testimonianza in tutta la

Préface au Moyse sauvé, con la lunga dissertazione su stile narrativo e stile descrittivo, con

l’accentuazione data al ritmo e alla cadenza del verso e al valore delle parole che devono

essere proprie, giuste, significative132.

Senza voler forzare i termini di queste testimonianze, ci pare, pertanto, che in tutta

onestà si possa ammettere, anche da parte dei poeti del primo Seicento, la volontà

129 THÉOPHILE, Ode à M. du Fargis, in Oeuvres poétiques, 1, p. 81, vv. 45-51.

130 A. ADAM, Histoire de la litt. fran., I, pp. 378-79. 131 SAINT AMANT, Préface au Moyse sauvé, in ed. cit., II, p. 140.

132 Idem, p. 147.

di rispettare i valori tecnici e formali dell’espressione artistica, proprio nel momento in cui tutte le

libertà sono permesse all’invenzione poetica.

Difficile impegno clic già il Gautier aveva sottolineato in alcuni dei suoi « grotesques»

(indubbiamente meno dotati di Théophile e Saint-Amant) quando aveva scritto, a proposito del

Padre Pierre de Saint-Louis:

Son detestable n’est jamais commun ni facile; c’est un detestable exquis, cosciencieux, admirablement soutenu d’un bout à l’autre. Il n’y a pas un seul vers faible dans tout le poëme (par vers faible j’entends vers raisonnable ou insignifiant)...133 E in Scalion de Virbluneau aveva osservato il valore che la tecnica poetica precisa e raffinata

assumeva per la cristallizzazione di temi e pensieri « surannés »:

Le sonnet est la goutte d’ambre qui tombe sur toutes ses pensées voltigeantes, qui les embrasse étroitement et nous les conserve embaumées à travers les siècles et les variations du langage134. Se poi, trascurando i poeti, noi passiamo ad esaminare i teorici dell’arte, vedremo come,

in essi, la volontà di contemperare la libertà della creazione artistica con una riflessione

razionale che si traduce in una precisa regola stilistica, sia costantemente ed esplicitamente

enunciata.

Scrive Deimier che ci ha dato prova di essere uno dei più completi ed ambiziosi teorici

dell’arte dei primi anni del secolo:

Poësie est un don de Nature, perfectionné de l’Art par lequel avec la plus grande bonté de langage on chante les affections et les louanges des Dieux et des hommes135.

Al dono di natura (la genialità, la fureur di cui parla Théophile) si accompagna l’arte, cioè

la riflessione stilistica, grazie alla quale è possibile reperire e fissare il miglior linguaggio. Questo

conciliarsi dell’ardore ispirativo con la tecnica espressiva è chiaramente indicato

133 Th. GAUTIER, le P. Pierre de Saint Louis, « La France Littéraire », t. XV, septembre 1834, p. 21. 134 Th. GAUTIER, Scalion de Virbluneau, « La France Littéraire », t. XI, février 1834, p.383. 135 P. DEIMER, op.cit., p.1.

come una delle maggiori necessità per il poeta, degno di tal nome, nella prefazione136 che il

Faret antepone alla edizione della prima parte delle poesie di Saint- Amant.

Son jugement et son imagination font un si juste temperament et sont d’une si parfaite intelligence que l’un n’entreprend rien sans le secours de l’autre.

Nell’opera di Saint-Amant tanto sono ardite e piacevoli le invenzioni poetiche, altrettanto

netti e vigorosi sono l’eloquio e l’armonia dei versi, sicché il poeta nulla ha a che vedere con

quegli ingegni spontanei e privi di riflessione che sembrano torrenti precipitosi, ma piuttosto

appartiene a quella categoria di artisti sommi che pur producendo molto:

…font regner l’ordre au milieu des belles matières et sont comme ces grands fleuves qui portent la fertilité dans les campagnes et l’abondance dans les villes.

Le esigenze stilistiche trovano ancora più ampio rilievo nell’Art poétique di Colletet e ne

La rhétorique française del Bary, due opere teoriche nelle quali si trovano riassunte molte delle

idee sull’arte che abbiamo fin qui cercato d’individuare, e già alcune anticipazioni della dottrina

classica.

Del Bary è l’affermazione della necessità di uno stile «pur, net, articulé, orné, bruyant et

pompeux », per il quale:

…on doit employer les définitions au lieu des mots simples, on doit preferer le pluriel au singulier, on doit finir ses mots par des Iettres dont le son est grave et éclatant, on doit user de grands mots, on doit affecter de grands adverbes, on doit se servir des superlatifs, on doit encherir sur les mots137.

Non è chi non veda come ben poche delle regole pratiche del Bary potrebbero essere

sottoscritte da Boileau. In realtà parlare di esigenze di stile, di regole per la struttura del verso o

per la rima, non significa accettare una dottrina classica: stile barocco non vuol dire

assenza di regole, ma regole conformi a un particolare concetto di arte per il quale, come

136 N. FARET, Préface à la première partie des œuvres de Saint-Amant, SAINT-AMANT, op. cit., p. 9. 137 R. BARY, La rhétorique française, nouvelle édition, Paris, le Petit, 1959, p. 265.

abbiamo indicato, la pompe,l]‘éclat, l’ornement sono elementi fondamentali da ottenersi appunto

con grandi parole, grandi avverbi, superlativi, espressioni caricate e insistite, perifrasi, così

come scrive il Bary.

Gli scritti teorici di Colletet, specie il Traitté de l’Epigramme e il Traitté du Sonnet,

confermano questo aspetto formale della poetica barocca.

Dice Colletet dell’epigramma che tutta la grazia di questo tipo di composizione consiste:

…au choix et en la nette fluidité des paroles, au tour et à la cadence des Vers, aux comparaisons propres et bien reduites, aux descriptions vives et fleuries, en ce je ne sais quoy qui luy donne tousjours de nouveaux agrémens138.

La scorrevolezza e l’armonia della versificazione si accompagnano dunque ad immagini

« fleuries » e a quei « nouveaux agrémens » che più chiaramente saranno definiti, in seguito,

come arguzie e sottigliezze d’idee.

Il poeta

…ne fera rien qui vaille ny qui frappe l’esprit si, après avoir rendu son Epigramme succinte, gracieuse et subtile dans la pensée et dans l’élocution rnesme il n’en tire enfin une conclusion artificieuse, surprenante ci dont la pointe vive et aiguë soit capable d’esmouvoir et d’eniever l’esprit du Lecteur139.

E Colletet conclude:

Une parole hardie, enchassée dans de beaux Vers comme un précieux diamant dans un riche chaton; une rencontre inspirée; une conclusion que l’on n’attend pas; une pointe d’esprit née sur le champs, propre aux lieux, aux actions et aux personnes presentes; en un mot tout ce qui excite le ris, ou l’admiration et qui fait avecque ioye et applaudissement escrier l’Auditeur, ou le Lecteur, ô que cela est beau! ô que cela est rare, tout cela dis-je, témoigne assez clairement le haut mente d’une noble et perçante Epigramme140.

Queste osservazioni acquistano tanto maggiore significato se si pensa che non si

riferiscono soltanto al genere poetico in questione, l’epigramma, il quale più di

ogni altro tipo di composizione poetica mira all’effetto sorprendente e pungente, ma si ritrovano

138 G. COLLETET, Traitté de l’Epigramme, Paris, Sommaville, 1658, p. 48. 139 ldem, p. 54. 140 ldem, pp. 68-69.

del tutto simili, anche a proposito del sonetto.

Di tutti gli autori di sonetti Colletet ammira, soprattutto, quelli che sono stati capaci di

mantenere viva l’attenzione del lettore, calcolando sapientemente gli effetti di sorpresa, grazie

ad un’abile strutturazione della pièce e all’uso astuto della pointe.

...de tous nos Poëtes, celuy-là selon mon goust, emportera le prix du Sonnet, qui dans le huitième Vers contentera de telle sorte son Lecteur qu’il semble que ce soit une production achevée; puis rencherissant sur tout ce qu’il aura dit couronnera son petit ouvrage d’une fin si heureuse et d’une pointe d’esprit d’autant plus surprenante qu’elle dira ce qui n’a iamais esté dit, ou l’exprimera d’une grace toute nouvelle141.

Ognuna delle parole di Colletet meriterebbe di essere sottolineata: ritroviamo

l’enrichissement, la pointe d’esprit, l’effetto di sorpresa, la novità. L’attenta ricerca stilistica

appare completamente subordinata alle esigenze della più raffinata dottrina barocca.

Dal concetto particolare di arte, intesa come divertissement sempre nuovo e originale,

tableau parlant della natura, ma più spesso ornamento e perfezionamento di questa, nasce

l’impegno stilistico.

Cotin in una lettera a Monsieur de La Poterie scrive:

J’ay tousiours crû qu’il fallait faire des vers parfaitement ou ne se pas mesler d’en faire. Tout ce qui n’est que pour le plaisir et les delices est mauvais, s’il n’est exquis142.

La vera poesia sono:

…les beaux vers, les riches expressions, les rimes heureuses, les pensées naturelles et naïfves, la facilité sans bassesse […] un certain air de faire plus penser que l’on ne dit […] les conclusions fines et surprenantes, et ie ne sçay quelle manière de dire des choses qu’il semble qu’on ne puisse et on n’ose iamais dire143.

Le definizioni di Cotin, oltre a confermare un modo d’intendere la poesia che è simile a

quello già sottoli-

neato in Bary e in Colletet, giustificano su di un piano nuovo, la ormai annosa polemica contro

141 G. COLLETET, Traitté du Sonnet, Paris, Sommaville, 1658, p. 56. Per la poetica di Colletet cfr. P. A. JANNINI, Verso il tempo della ragione, Milano, Viscontea,1965. 142 CH. COTIN, Lettre à Monsieur de La Poterie, in Oeuvres galantes en prose et en vers, p. 471. 143 CH. COTIN, Lettre à M. de la Moussaye, in ed. cit., p. 326.

l’antichità. Proprio perché la poesia è artificio e ricerca di mezzi stilistici sempre più raffinati e

consoni alle nuove invenzioni, essa non è patrimonio dci popoli primitivi, ma conquista delle

civiltà più evolute. Anticamente la poesia si riduceva ad un semplice ritmo secondo il quale le

parole venivano disposte nella frase, e a qualche espressione figurata che a mala pena la

distingueva dalla prosa144. Oggi noi sappiamo che le occorrono « des ornamens divers » « des

brillans et des feux »145.

Esiste un’intima coerenza nei testi che abbiamo presentato e che spesso si sono

commentati da sé in modo abbastanza convincente, una sorta di necessità logica per la quale

essi assumono significato nell’unità di una dottrina poetica.

Alcune soluzioni al problema dell’arte, che sono state qui indicate, possono

separatamente coincidere con quelle proposte da altre dottrine e in parte anticipare proprio i

principi del Classicismo146. Così si è detto per la critica a Ronsard, per l’esigenza di un’arte

consona a una società moderna e raffinata, così, a più forte ragione, si potrebbe dire per quanto

riguarda l’impegno stilistico.

Ma se guardiamo più da vicino le idee che sono state analizzate, ci rendiamo conto che

le somiglianze sono soltanto superficiali, perché le convinzioni di fondo che le determinano e le

giustificano, affondano le loro radici in un clima culturale assai diverso. La critica a Ronsard è

solo un aspetto di quella rottura con la tradizione che comporta soprattutto un giudizio negativo

sull’antichità e il rifiuto a considerare come esemplare la civiltà classica. Su questo punto il

divorzio tra i pensatori del primo Seicento e un Boileau è enorme: il concetto di progresso sul

quale poggia la dottrina poetica barocca avrà, proprio in Boileau, il suo più severo avversario

durante la querelle des anciens et des modernes147. Il concetto di arte

144 CH. COTIN, Lettre sur la Satyre et sur le Madrigal, in ed. cii., p. 459. 145 CH. COTIN, La vraye Poësie, in Oeuvres meslée, Paris, Sommaville, 1659, p. 67. 146 Cfr. J. TORTEL, Quelques constantes du lyrisme préclassique, in Préclassicisme français, cit., pp. 123-161. 147 Sarà Fontenelle a riprendere, invece, e quasi con le stesse parole, i temi della polemica contro la tradizione già formulati all’inizio del secolo. Cfr. B.

intesa come divertissement è senza dubbio barocco e contrasta, in pari tempo, con l’alta dignità

che i poeti del Rinascimento attribuiscono alla loro missione e con il rinnovato moralismo della

società francese durante il regno di Luigi XIV. Meno chiaro è forse il significato che assume la

soluzione del rapporto arte-natura. Da un lato il ritorno alla natura concorre a completare il

distacco dalla tradizione culturale libresca. Dall’altro, l’idea che l’arte non solo imiti la natura, ma

sia in grado di perfezionarla e di arricchirla con nuovi ornamenti, porta alla soggettivazione del

Bello, alla subordinazione della realtà a un’idea. Ciò può risolversi talora in una maggior

astrattezza, più spesso nella sostituzione del principio di verità con il principio di

verosimiglianza, come sarà appunto definito dalla dottrina classica. Sono le prospettive che i

teorici del primo Seicento aprono, ma che non propongono essi stessi, la loro soluzione del

rapporto arte-natura configurandosi soltanto come esigenza di libertà, in un concetto di arte che

è arricchimento, ornamentazione, talvolta esasperazione della realtà naturale. Resta tuttavia, e

va sottolineato, il carattere intellettualistico che tale processo di trasformazione della natura

comporta, per il quale il Barocco francese mi pare si caratterizzi anche nei confronti di altre

espressioni del Barocco letterario in Europa.

Si è detto, infine, dell’attenzione per i problemi stilistici, attenzione che ci riconduce a

Malherbe, al prestigio della sua dottrina e quindi ci avvia al Classicismo.

Anche questa indicazione per essere ben intesa non può essere tenuta separata da quel

concetto di arte, accolto dai teorici e dai poeti barocchi, che è gioco sempre nuovo, raffinato,

elaborato.

Se Barocco è concepire l’arte « comme un libre jeu d’esprit où les combinaisons les plus

arbitraires sont permises »148, se Barocco è ricerca di novità, di originalità nell’invenzione

poetica149 e, nello stesso tempo, spi-

FONTENELLE, Digression sur les Anciens et les Modernes, in Oeuvres, Paris, Bastien, l790-92, voll. 8, V, pp. 285-91. 148 A. ADAM, Baroque et préciosité, « Revue des Sciences Humaines », aprile-giugno 1949, p. 217. 149 G. MONGREDIEN, La préciosité, in Le Préclassicisme français, Paris, Cahiers du Sud, 1951, p. 163.

rito d’indipendenza e affermazione di libertà, se è « goût de l’image imprévue et forte, de la

trouvaille surprenante, de l’arabesque »150 che esige il più sorvegliato raffinamento stilistico,

tutto quanto ci hanno detto i teorici del primo Seicento conferma l’esistenza di una dottrina

barocca che si configura con le stesse caratteristiche che le sono state riconosciute nelle arti

figurative e nella letteratura di altri paesi d’Europa e s’inquadra in un momento storico e

culturale preciso.

Tra la fine del Cinquecento e il Seicento non assistiamo soltanto all’evoluzione dell’arte

secondo moduli che potremmo definire barocchi, ma riconosciamo l’affermarsi di una dottrina

poetica che di questa evoluzione è il supporto teorico e la coscienza critica.

Non tutti i problemi riguardanti la letteratura francese della prima metà del secolo XVII

hanno qui trovato una soluzione; alcuni, e non dei meno importanti, non sono stati neppure

affrontati. Sono rimasti fuori dal nostro discorso, tra l’altro la componente religiosa che pur è

così vivace e tipica della letteratura francese del tempo; né abbiamo parlato delle implicazioni

che la poetica barocca comporta nel campo della produzione teatrale. Ci pare tuttavia che l’uno

e l’altro aspetto della produzione letteraria del primo Seicento potranno trovare posto nello

schema che si è venuto configurando attraverso la nostra ricerca. Come si è detto nelle prime

pagine di questo lavoro, nostro unico scopo è stato di reperire ed indicare negli scritti teorici

della prima metà del XVII secolo alcuni principi per l’identificazione di una dottrina poetica che

successive ricerche riveleranno certamente più composita, più ricca e perciò più degna di

essere ulteriormente studiata.

150 TH. MAULNIER, Les derniers renaissants, « Revue universelle », aprile-dicembre 1941, p. 828.

INDICE GENERALE

Introduzione pag. 5

L’influenza italiana sulla lirica francese del primo Seicento: il problema critico pag. 15

Tradizione francese e influenza italiana pag. 39

Una testimonianza dimenticata sul soggiorno del marino a Parigi pag. 69

L’ “Orphée” di Tristan e l’”Orfeo” del Cavalier Marino pag. 79

La fortuna di Fulvio Testi nella Francia del secolo XVII pag. 97

L’immagine dello specchio in alcuni poeti italiani e francesi dell’età barocca pag. 125

Avviamento allo studio delle poetiche del Barocco letterario in Francia pag. 149