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Introduzione In questo capitolo vengono prese in considerazione le disfunzioni dolorose e reversibili degli elementi che co- stituiscono l’apparato locomotore, secondo la scuola francese di Robert Maigne, al quale va il merito di aver codificato una sintesi semeiologica della maggior parte della patologia funzionale, suscettibile di trarre benefi- cio dalle manipolazioni vertebrali e articolari periferi- che. Le indicazioni delle manipolazioni vertebrali stan- no per essere validate, come, ad esempio, nelle lombal- gie comuni meccaniche. Le controindicazioni sono pre- cise e numerose e vanno rispettate rigorosamente per evitare le complicazioni, rare ma spesso gravissime, so- prattutto dopo manipolazioni cervicali. Per tutelare il paziente la legislazione francese riserva le manipolazio- ni vertebrali ai laureati in Medicina, i soli capaci di por- re preventivamente una diagnosi precisa. In Italia, ol- tre che in campo medico, le manipolazioni possono es- sere praticate dai chiropratici che esercitano la loro pro- fessione sotto la responsabilità dei medici, come preci- sa la circolare del 21/12/82 del Ministero della Sanità. Tuttavia, in questo capitolo, si ribadisce il concetto che la manipolazione è un atto medico non prescrivibile, nel quale l’improvvisazione non è possibile; solo una gran- de prudenza nella sua esecuzione e un notevole rigore nell’esame clinico permetteranno di evitare gli inciden- ti e un uso improprio. Dopo richiami anatomici e biomeccanici del rachi- de, viene descritto il segmento mobile come unità fun- zionale comprendente gli elementi che uniscono due ver- tebre adiacenti. L’obiettivo principale della trattazione è quello di cercare di comprendere, diagnosticare e trat- tare i dolori comuni d’origine vertebrale. A tale scopo si utilizza sistematicamente l’“esame segmentario codi- ficato” (Maigne), rigorosamente eseguito. L’esame minu- zioso, attraverso una palpazione attenta dei tessuti del metamero corrispondente a un segmento doloroso (pel- le, muscoli, inserzioni periostee), evidenzia delle pertur- bazioni della loro sensibilità e della loro consistenza igno- rate dal paziente, raggruppate nella “sindrome segmen- taria cellulo-teno-periosto-mialgica (CTM)” (Maigne). Il più delle volte il segmento doloroso non presenta all’esa- me alcuna lesione visibile. Si tratta di un “disturbo do- loroso intervertebrale minore” (DDIM) (Maigne), igno- rato dalla diagnostica per immagini, causa sconosciuta e frequente di dolori comuni. Il trattamento più effica- ce dei DDIM è manuale, in particolare la manipolazio- ne, a condizione che sia praticata secondo regole pre- cise e adatte a ciascun caso: la “regola del non dolore e il principio del movimento contrario” (Maigne). L’infil- trazione articolare o legamentosa e la terapia fisica so- no un utile completamento terapeutico. Inoltre, i con- sigli posturali e in certi casi l’utilizzo di collari e corset- ti funzionali sono elementi indispensabili alla preven- zione. Un’analisi più approfondita viene posta alla rie- ducazione: come prevenzione alle ricadute, si consiglia- no alcuni esercizi terapeutici che il paziente può esegui- re a domicilio, mentre nei casi cronicizzati, con uno sche- ma motorio patologico, viene progettata una riprogram- mazione sensomotoria (RSM) da eseguire ambulatoria- mente da un’équipe riabilitativa esperta (fisiatra, fisio- terapista, psicologo ecc.). Vengono illustrate le sindromi cliniche vertebrali più frequenti secondo Maigne, spesso non identificate, mal comprese, mal trattate, quali cefalee e dorsalgie di ori- gine cervicale, sindrome della cerniera dorsolombare e delle zone transizionali associate. Per quanto concerne le manipolazioni articolari pe- riferiche, vengono descritti l’esame clinico, le indicazio- ni, le controindicazioni e alcune manovre per le prin- cipali articolazioni. Un breve paragrafo è riservato alla disfunzione cranio-cervico-mandibolare. Generalità La Medicina Manuale è una disciplina medica (sezione della Medicina fisica e Riabilitazione) che si occupa del- la patologia funzionale dell’apparato locomotore, in par- ticolare del rachide. Studia le disfunzioni dolorose ar- ticolari, muscolari, nervose, di natura reversibile e le trat- ta con terapie manipolative proprie che si distinguono dalle altre terapie manuali (massaggi, mobilizzazioni, tec- niche neuromuscolari) per l’impulso manipolativo, il “thrust”, provocato alla fine di un movimento articola- re passivo. La Medicina Manuale permette, attraverso un esame clinico, la diagnosi precisa dei dolori comuni di origi- 713 La Medicina Manuale RENATO GATTO CAPITOLO 39

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Introduzione

In questo capitolo vengono prese in considerazione ledisfunzioni dolorose e reversibili degli elementi che co-stituiscono l’apparato locomotore, secondo la scuolafrancese di Robert Maigne, al quale va il merito di avercodificato una sintesi semeiologica della maggior partedella patologia funzionale, suscettibile di trarre benefi-cio dalle manipolazioni vertebrali e articolari periferi-che. Le indicazioni delle manipolazioni vertebrali stan-no per essere validate, come, ad esempio, nelle lombal-gie comuni meccaniche. Le controindicazioni sono pre-cise e numerose e vanno rispettate rigorosamente perevitare le complicazioni, rare ma spesso gravissime, so-prattutto dopo manipolazioni cervicali. Per tutelare ilpaziente la legislazione francese riserva le manipolazio-ni vertebrali ai laureati in Medicina, i soli capaci di por-re preventivamente una diagnosi precisa. In Italia, ol-tre che in campo medico, le manipolazioni possono es-sere praticate dai chiropratici che esercitano la loro pro-fessione sotto la responsabilità dei medici, come preci-sa la circolare del 21/12/82 del Ministero della Sanità.Tuttavia, in questo capitolo, si ribadisce il concetto chela manipolazione è un atto medico non prescrivibile, nelquale l’improvvisazione non è possibile; solo una gran-de prudenza nella sua esecuzione e un notevole rigorenell’esame clinico permetteranno di evitare gli inciden-ti e un uso improprio.

Dopo richiami anatomici e biomeccanici del rachi-de, viene descritto il segmento mobile come unità fun-zionale comprendente gli elementi che uniscono due ver-tebre adiacenti. L’obiettivo principale della trattazioneè quello di cercare di comprendere, diagnosticare e trat-tare i dolori comuni d’origine vertebrale. A tale scoposi utilizza sistematicamente l’“esame segmentario codi-ficato” (Maigne), rigorosamente eseguito. L’esame minu-zioso, attraverso una palpazione attenta dei tessuti delmetamero corrispondente a un segmento doloroso (pel-le, muscoli, inserzioni periostee), evidenzia delle pertur-bazioni della loro sensibilità e della loro consistenza igno-rate dal paziente, raggruppate nella “sindrome segmen-taria cellulo-teno-periosto-mialgica (CTM)” (Maigne). Ilpiù delle volte il segmento doloroso non presenta all’esa-me alcuna lesione visibile. Si tratta di un “disturbo do-loroso intervertebrale minore” (DDIM) (Maigne), igno-

rato dalla diagnostica per immagini, causa sconosciutae frequente di dolori comuni. Il trattamento più effica-ce dei DDIM è manuale, in particolare la manipolazio-ne, a condizione che sia praticata secondo regole pre-cise e adatte a ciascun caso: la “regola del non dolore eil principio del movimento contrario” (Maigne). L’infil-trazione articolare o legamentosa e la terapia fisica so-no un utile completamento terapeutico. Inoltre, i con-sigli posturali e in certi casi l’utilizzo di collari e corset-ti funzionali sono elementi indispensabili alla preven-zione. Un’analisi più approfondita viene posta alla rie-ducazione: come prevenzione alle ricadute, si consiglia-no alcuni esercizi terapeutici che il paziente può esegui-re a domicilio, mentre nei casi cronicizzati, con uno sche-ma motorio patologico, viene progettata una riprogram-mazione sensomotoria (RSM) da eseguire ambulatoria-mente da un’équipe riabilitativa esperta (fisiatra, fisio-terapista, psicologo ecc.).

Vengono illustrate le sindromi cliniche vertebrali piùfrequenti secondo Maigne, spesso non identificate, malcomprese, mal trattate, quali cefalee e dorsalgie di ori-gine cervicale, sindrome della cerniera dorsolombare edelle zone transizionali associate.

Per quanto concerne le manipolazioni articolari pe-riferiche, vengono descritti l’esame clinico, le indicazio-ni, le controindicazioni e alcune manovre per le prin-cipali articolazioni. Un breve paragrafo è riservato alladisfunzione cranio-cervico-mandibolare.

Generalità

La Medicina Manuale è una disciplina medica (sezionedella Medicina fisica e Riabilitazione) che si occupa del-la patologia funzionale dell’apparato locomotore, in par-ticolare del rachide. Studia le disfunzioni dolorose ar-ticolari, muscolari, nervose, di natura reversibile e le trat-ta con terapie manipolative proprie che si distinguonodalle altre terapie manuali (massaggi, mobilizzazioni, tec-niche neuromuscolari) per l’impulso manipolativo, il“thrust”, provocato alla fine di un movimento articola-re passivo.

La Medicina Manuale permette, attraverso un esameclinico, la diagnosi precisa dei dolori comuni di origi-

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ne vertebrale e il loro trattamento manuale, spesso inassociazione alla rieducazione muscolare, alla correzio-ne gestuale e posturale, alla riprogrammazione senso-motoria nei casi cronicizzati per l’instaurazione di unoschema motorio patologico (Gatto e Rovere, 2000a).

I dolori vertebrali “comuni” (funzionali o aspecifici)si distinguono da quelli “non comuni” con un’eziologiaspecifica su base anatomopatologica: affezioni extra- eintrarachidee, lesioni vertebrali di origine tumorale, in-fiammatoria, metabolica e traumatica.

Le cause di questi dolori sono di solito impropria-mente attribuite a:� patologie discali, pur essendo evidente il riscontro ra-

diografico di dischi danneggiati e completamente in-dolori;

� artrosi, fenomeno naturale dovuto principalmente al-l’invecchiamento e all’usura della cartilagine artico-lare che può facilitare le disfunzioni dolorose, ma nonè direttamente responsabile della sofferenza, salvo ra-re puntate infiammatorie;

� disturbi statici della colonna vertebrale: dorso curvodegli adolescenti e degli anziani, dorso piatto, iper-lordosi lombare, scoliosi, dismetria degli arti inferio-ri possono favorire l’insorgenza di disfunzioni inter-vertebrali, ma non sempre di per se stesse dolorose;

� disturbi psicosomatici, invocati ogniqualvolta non è pos-sibile spiegare un dolore vertebrale; i dolori di originepuramente psicosomatica sono rari; il fattore psichicopuò abbassare la soglia di tolleranza e rendere più sen-sibile e attiva una disfunzione intervertebrale che in unaltro individuo potrebbe passare inosservata.

Le tecniche manipolative utilizzate in Italia sono pre-valentemente di tipo osteopatico, a braccio lungo. Leindicazioni, invece, sono molto distanti dalle conside-razioni non scientifiche che prevalevano quando il dot-tor Andrew-Taylor Still, medico militare americano, fon-dò (1874) la sua teoria osteopatica, seguita venti an-ni dopo da David Daniel Palmer, inventore della chi-ropratica. Purtroppo si constata ancora oggi troppospesso, tra le pratiche non mediche, l’impiego sistema-tico di tecniche manipolative per restaurare un “flus-so di energia vitale” la cui disfunzione sarebbe all’ori-gine di rinofaringiti, di mestruazioni dolorose o di co-liti spastiche.

È merito di Maigne aver effettuato una sintesi seme-iologica della maggior parte delle affezioni suscettibili ditrarre beneficio dalle manipolazioni vertebrali. Fanno par-te di una medicina detta “ortopedica”, alla quale si ap-plica una terapia manuale. Le indicazioni sono in granparte validate, ad esempio le lombalgie comuni mecca-niche. Le controindicazioni sono precise, numerose e van-no rigorosamente rispettate per evitare le complicazio-ni, rare ma spesso gravissime. Il versante “osteopatico”della disciplina presenta a volte ben altri aspetti, lonta-ni dall’essere validati scientificamente (Maigne, 2004).

Tutti gli specialisti, fisiatri, reumatologi, medici spor-tivi, internisti, interessati all’apparato locomotore, dovreb-

bero essere padroni di queste tecniche per integrarle nelloro armamentario terapeutico allo stesso modo delle pre-scrizioni farmacologiche, delle tecniche infiltrative e ria-bilitative.

In Francia quattordici facoltà mediche rilasciano undiploma interuniversitario (DIU) nazionale. In Italia è pre-sente dal 1995 un “Corso di perfezionamento post-uni-versitario in Medicina Manuale” presso l’Università de-gli Studi di Siena e dal 2002 un “Master di II livello inMedicina Manuale” presso l’Università degli Studi di Ro-ma “La Sapienza”, entrambi della durata di un anno.

Le strutture di insegnamento post-universitario (Ac-cademia Italiana di Medicina Manuale, AIMM; sezionedi Medicina Manuale della Società Italiana di MedicinaFisica e Riabilitazione, SIMFER; Associazione Italiana perla Ricerca e l’Aggiornamento Scientifico, AIRAS) offro-no un perfezionamento, teorico e pratico, indispensa-bile per una buona pratica medica.

Definizioni delle terapie manuali

Tra le terapie manuali è soprattutto per le manipolazio-ni vertebrali che il termine Medicina Manuale deve farintendere che il trattamento può essere basato solo suuna diagnosi positiva e differenziale estremamente pre-cisa. Inoltre, anche se hanno effetti molto positivi e avolte anche insostituibili, non escludono affatto i trat-tamenti classici.

Le tecniche manuali di trattamento della cute, dei mu-scoli e dei tendini sono innumerevoli, i loro obiettivi ei loro meccanismi d’azione molto diversi. Possono es-sere totalmente passive o richiedere la collaborazione at-tiva del paziente. Comprendono le tecniche cutanee(massaggi), muscolari, miotensive, miofasciali, di dre-naggio linfatico ecc.

Altri trattamenti manuali sono indirizzati alle articola-zioni, e in particolare alle strutture che consentono la mo-bilità di un capo osseo in rapporto a quello adiacente.

La mobilizzazione attiva è l’atto compiuto dal pazien-te per portare l’articolazione fino ai suoi limiti funzio-nali o a quelli dettati dal dolore.

La mobilizzazione passiva è un atto diagnostico piùutile e preciso dell’osservazione del gesto del paziente:la decontrazione muscolare permette di andare oltre, fi-no ai limiti fisiologici imposti dall’elasticità degli elemen-ti capsulo-legamentosi. Può essere o non essere doloro-sa, a seconda che il gesto sia patologico o normale. Puòurtare contro un limite insuperabile quando un rimaneg-giamento osseo agisce da ostacolo. Di solito porta a unaresistenza elastica che può essere saggiata con piccoli mo-vimenti avanti e indietro: è la messa in tensione.

All’utilità diagnostica delle mobilizzazioni passive si ag-giunge un effetto terapeutico molto prezioso quando ven-gono ripetute lentamente secondo un protocollo preciso.

Alla fine della mobilizzazione passiva esiste anco-ra una possibilità di andare oltre nel movimento, per

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una piccolissima ampiezza, in modo molto breve: èla manipolazione articolare. Ad andare oltre si supe-rano i limiti anatomici e si può provocare una rottu-ra capsulo-legamentosa, una lussazione o una frattu-ra ossea.

La manipolazione si svolge in tre tempi successivi: po-sizionamento del paziente su un lettino adeguato, mes-sa in tensione del segmento vertebrale, impulso mani-polativo propriamente detto.

Le manipolazioni del rachide sono indirizzate a un’ar-ticolazione intervertebrale abbastanza omogenea sul pia-no funzionale, anche se anatomicamente eterogenea: ilsegmento mobile di Junghans, composto dal disco in-tervertebrale, dalle articolazioni posteriori e dai legamen-ti intervertebrali. Le caratteristiche di questa articolazio-ne risiedono nei suoi rapporti molto stretti con recetto-ri nervosi numerosi, assi neurologici importanti e, a li-vello cervicale, con arterie vitali per l’encefalo.

La manipolazione è, secondo Maigne, “una mobiliz-zazione passiva forzata che tende a portare gli elemen-ti di un’articolazione o di un insieme di articolazioni aldi là del loro gioco articolare possibile. Consiste pertan-to, a livello del rachide, quando le condizioni di que-st’ultima lo consentono e lo richiedono, nell’eseguire deimovimenti di rotazione, di latero-flessione, di flessioneo di estensione, isolati o combinati, che agiscono sul seg-mento vertebrale scelto”.

È un atto terapeutico che si effettua a un determina-to livello, in una direzione determinata. È sempre pre-ceduta dal posizionamento del paziente e dell’operato-re e iniziata con una mobilizzazione preparatoria chemette in tensione il segmento osteoarticolare desidera-to, al limite del suo gioco fisiologico. Consiste in un im-pulso breve, secco ma dolce e controllato, oltre questogioco fisiologico, direttamente o indirettamente, che nonsupera mai il limite anatomico oltre il quale compaio-no deterioramenti strutturali. Si accompagna, di solito,a un rumore caratteristico di schiocco.

Cenni storici

La medicina manuale è sicuramente vecchia come ilmondo: si trovano tracce in tutti i Paesi, in tutte le cul-ture e in tutte le epoche. Da sempre l’uomo ha ricerca-to sollievo attraverso l’uso delle proprie mani e la ma-nipolazione è diventata, nel tempo, strumento integran-te dell’arte del guarire (Houdeletk e De Mare, 1994).

Anassagora (500 a.C.), filosofo greco, scrive: “L’uomoè intelligente perché ha una mano” e non una zampa.

La pratica della manipolazione è conosciuta in Cinada tempo immemorabile e già dopo il XIII secolo a.C.si trovano testimonianze grafiche anteriori all’inizio del-la scrittura. Anche su antichi papiri dell’Egitto dei fa-raoni si trovano tracce di empirici egiziani che sanava-no slogature e lussazioni. Nella Grecia antica, Ippocra-te (460 a.C.), nel suo “Trattatto delle articolazioni”, de-

scrive manovre simili alle nostre manipolazioni dirette,praticate rigorosamente da medici.

Nell’antica Roma dei giochi e delle terme, medici spe-cialisti in ginnastica medica praticavano massaggi e ma-novre manipolative.

Galeno (II secolo d.C.), medico dei gladiatori, descri-ve con precisione la guarigione dello storico Pausania,affetto da turbe della sensibilità delle dita insorte dopoun trauma cervicale, attraverso il trattamento non del-le dita ma del rachide. Non si parla di manipolazionenel testo “De locis affectis”, ma è interessante il rilievodato dal medico al dolore di origine vertebrale: “Se lalesione è localizzata in una radice nervosa che provie-ne dal midollo spinale bisogna applicare i medicamen-ti sulla colonna vertebrale”. Consiglia, inoltre, l’esamedell’aspetto della cute e dei muscoli. La Medicina ara-ba erede della Medicina greca si serve ugualmente del-le manipolazioni. Nell’opera di Avicenna (XI secolo d.C.)si menzionano manovre con appoggio diretto delle ma-ni o per trazione, utilizzando corde e piani, al fine diridurre gibbosità della colonna.

Nel cosiddetto periodo europeo, vengono tradotte leopere di Ippocrate e di Galeno così come quelle arabe,ma la cultura conventuale, che fonde la religione con lamedicina e le impone di non uscire dai monasteri, de-termina un imbarbarimento della medicina manuale chediventa strumento dei barbieri.

Nel periodo rinascimentale, il francese Ambroise Pa-ré, dapprima barbiere-chirurgo e poi dottore-chirurgo,permette il recupero della pratica della medicina manua-le che altrimenti sarebbe stata esclusivo appannaggio de-gli empirici. Egli descrive, nel XVI capitolo del suo trat-tato sulle lussazioni, manovre di riduzione manuale digibbi, di lussazione del coccige e delle coste, che sonoutilizzate ancora oggi. Comunque, per un lungo perio-do, le manipolazioni rimangono appannaggio degli em-pirici (raddrizzaossa, aggiustaossi, mediconi), personag-gi ancora oggi presenti nelle nostre campagne che ripo-sizionano una “vertebra spostata” o un “nervo accaval-lato”, le cui azioni sono viste come un “dono” o espres-sione di un potere misterioso, ignorato e disprezzato dal-la medicina ufficiale.

Nel corso del XIX secolo alcuni medici cercano di re-cuperare questo patrimonio. È il caso, in Inghilterra, disir James Paget che sul British Medical Journal (1987)esorta: “Imparate a imitare ciò che è efficace e a evitareciò che è nocivo nella pratica dei guaritori..., la saggez-za è imparare dal nemico”. In Francia, l’ultimo rappre-sentante di una famosa famiglia di empirici, Etienne Bel-lon, spinto dal desiderio di diventare medico, porta ilbagaglio di esperienze dei suoi predecessori nella Socie-tà Francese di Osteopatia e il metodo di trattamento deitessuti molli che porta il suo nome: “La Bellonisazione”.Così pure in Scozia, Harisson, in Gran Bretagna, Riado-re, in Svezia, Ling, padre della ginnastica svedese, si in-teressano di manipolazioni vertebrali.

Negli Stati Uniti, nel 1874 Andrew-Taylor Still racco-glie un gran numero di tecniche manipolative, creando

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il primo vero metodo di trattamento manipolativo ver-tebrale: l’osteopatia. Still, pastore e medico allo stesso tem-po, che ha perduto la fiducia nella medicina ufficiale do-po la morte di tre dei suoi figli in una epidemia di me-ningite cerebrospinale, afferma l’esistenza di Dio che in-terviene nella creazione e la possibilità dell’uomo di di-fendersi naturalmente contro la malattia. La malattia èdisordine e l’osteopata, ristabilendo l’ordine, determine-rà la salute. Per mezzo della palpazione della colonna ver-tebrale, egli scopre la “lesione osteopatica” e le modifi-cazioni periarticolari locali, come contratture muscola-ri, ridotta mobilità, cute dolente. La lesione osteopaticaè definita come un’alterazione del rapporto anatomicotra le componenti articolari, una modificazione della nor-male motilità, associata o meno a turbe dei tessuti mol-li periarticolari (contrattura muscolare, piccola banda dipelle dolorosa). È fondamentale definire l’origine prima-ria della lesione osteopatica, cioè derivante dall’articola-zione, e quella secondaria, cioè di origine riflessa visce-rale termica o morale. Il trattamento è basato su mani-polazioni, mobilizzazioni e manovre sui tessuti molli. L’in-dicazione comprende tutte le malattie conosciute, dalsemplice cerume alla dissenteria, alla scarlattina, alle af-fezioni polmonari ecc. La manipolazione permette di nor-malizzare il drenaggio linfatico, la circolazione sangui-gna e la conduzione nervosa, ristabilendo così lo statodi salute. Nel 1892 Still crea il primo College a Kirksvil-le nel Missouri, ancora oggi scuola di osteopatia. Nel 1897viene riconosciuto ufficialmente il diploma di Dottore inOsteopatia (DO) ove oltre agli insegnamenti tradiziona-li di medicina, chirurgia e ostetricia si dà ampio spazioagli insegnamenti del maestro. Fortemente colpito nel1910 dal rapporto Flexner, riprende credito sotto la pre-sidenza di Roosevelt, trattato con la sua famiglia da unosteopata. Nel 1962 la AMM (American Medical Associa-tion) riconosce la corrispondenza tra DO e MD poichégli studi sono identici. Infatti il 70% dei DO viene im-piegato come generico e utilizza poco le tecniche tradi-zionali osteopatiche. Da questa scuola nascono alcunescuole dissidenti come quella di Sutherland o dell’osteo-patia craniale, teoria secondo la quale le ossa del craniohanno un movimento microscopico, chiamato movimen-to respiratorio primario, indipendente da quello cardia-co e respiratorio. Questa scuola, molto marginale in Fran-cia e negli Stati Uniti, ha un certo successo tra alcuni te-rapisti che si fregiano di un titolo in DO ottenuto conun corso di 20 giorni all’anno per 4 anni che, nei pro-grammi e negli intenti, nulla ha a che vedere con le scuo-le mediche osteopatiche di 7 anni. L’osteopatia è sicura-mente un metodo originale che è dovuto ritornare pernecessità a una medicina più ortodossa. Bisogna ricono-scere a Still il merito di aver messo le basi della patolo-gia meccanica vertebrale, il tutto in un contesto medicoglobale.

Circa 20 anni dopo Still, nel 1894, compare la chi-ropratica per opera di Daniel David Palmer, speziale emagnetizzatore. Si tratta di una osteopatia semplificatache attraverso un riaggiustamento delle vertebre “sublus-

sate” permette di prevenire e curare tutte le malattie (daldiabete alla sclerosi a placche, alla poliomielite, alla pel-vispondilite, all’eczema). Le vertebre spostate che ven-gono evidenziate tramite radiografie e una coppia ter-moelettrica, il neurocalorimetro, secondo i chiropraticideterminano un blocco dell’impuso nervoso e quindi unalterato funzionamento dell’organo. Ha beneficiato, fi-no al riconoscimento nel 1973 come terza professionesanitaria, di una intensa propaganda su giornali, radioe televisione. Esistono diverse scuole: quella fondata daPalmer nel 1896 a Daventport, dove si insegna che tut-te le malattie provengono da una sublussazione dell’atlan-te; quella di Saint-Louis dove si insegna, al contrario,che le lussazioni sacroiliache sono alla base di tutte lepatologie. Negli ultimi anni alcune scuole si sono evo-lute ma sono ancora lontane da un livello medico sod-disfacente.

Da quanto detto, il rapporto delle manipolazioni conla Medicina ufficiale è sempre stato difficile e bisognaaspettare l’inizio del XX secolo perché alcuni medici nefacciano una specializzazione.

In Europa, lo svizzero Otto Nagelli (1894) pubblicaun trattato sul suo originale metodo per la cura di sva-riate turbe nervose.

Alcuni chirurghi ortopedici inglesi impiegano que-ste tecniche, sotto anestesia, per il trattamento delle ri-gidità articolari.

Nel 1930 James B. Mennel utilizza tecniche osteopa-tiche per il trattamento della patologia vertebrale e ar-ticolare comune, cercando di precisarne le indicazionimediche ma senza proporre regole per il loro impiego.Il suo libro “Art and Science of joint manipulation” èl’unica opera medica seria sulle manipolazioni. Purtrop-po non propone regole per il loro impiego e pertantonon fa scuola.

In Inghilterra, E.F. Cyriax e in particolare il figlio Ja-mes (1969), che successe a Mennel a Londra al St. Tho-mas Hospital, utilizzano l’atto manipolativo dopo unatrazione che permette la reintegrazione del nucleo di-scale e la soppressione di ernie e protrusioni.

In Francia, Robert Lavezzari ha il merito di diffon-dere l’osteopatia nel 1920 e di fondare nel 1951 la So-cietà Francese di Osteopatia con Piedallu e Renoult. Egliutilizza le tecniche solo per il trattamento delle affezio-ni dolorose rachidee.

Ma è con Maigne che l’impiego della manipolazio-ne e, più in generale, della Medicina ortopedica si in-tegra con la Medicina scientifica ufficiale. Maigne, giàautodidatta, si reca nel 1949 con alcuni colleghi fran-cesi, tra cui R. Waghemacker, con cui lega una solidaamicizia, a Londra per un anno c/o un College di Osteo-patia, dove ha come docente un giovane professore diChicago, Myron Beal. Dopo aver imparato le tecnicheosteopatiche, abbandona il concetto di “lesione osteo-patica” per concentrare la sua attenzione sui segni cli-nici, locali o a distanza, derivati da una sofferenza seg-mentaria vertebrale, per poter stabilire se fosse dovutao meno a un “disturbo intervertebrale minore”. Nel 1959

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fonda con Waghemacker la Società Francese di Medi-cina Ortopedica e Terapia manuale. Al IV Congresso in-ternazionale di Medicina fisica (1964), le manipolazio-ni sono per la prima volta oggetto di una sezione spe-ciale e Maigne enuncia i principi del suo metodo e inparticolare la “regola del non dolore e del movimentocontrario”. Sotto la sua influenza nel 1969, a Parigi, vie-ne autorizzato dai presidi Milliez e Grossiord il primodiploma universitario di Medicina ortopedica e Tera-pia manuale, presso l’Università Parigi VI, Facoltà di Me-dicina Broussais-Hotel-Dieu. Nel 1971, a Monaco, du-rante il III Congresso FIMM, Maigne, come presiden-te, sceglie il tema “Le articolazioni interapofisarie po-steriori”. La scuola parigina di Maigne, ha fatto progre-dire notevolmente le conoscenze sulla patologia del ra-chide, soprattutto per quanto concerne la patologia co-mune e meccanica che può trarre vantaggio dalle ma-nipolazioni vertebrali. Ciò ha contribuito allo svilup-po di queste tecniche nel campo medico, in seno a nu-merose scuole universitarie e ha confortato i poteri pub-blici nell’idea, già ufficiale, che la manipolazione del ra-chide è un atto strettamente medico.

Il 1962 vede la creazione di una Federazione Inter-nazionale di Medicina Manuale (FIMM) che raggruppauna ventina di Paesi con ampia libertà di pensiero. Ne-gli USA l’analogo è dato dalla North American Academyof Manual Medicine (NAAMM) divenuta nel 1988 laNorth American Academy of Musculoskeletal Medici-ne, indipendentemente dalla formazione chiropratica,osteopatica iniziale.

In Italia, a Capri, dal 15 al 21 giugno 1964, su invi-to della SIMFER, si svolge il primo concreto e organi-co Corso di Medicina Manuale: Semeiotica, Diagnosti-ca e Terapia Manipolativa, tenuto da Harald Brodin del-l’Università di Lund e presidente della Società di Medi-cina Fisica e Riabilitazione svedese.

A Riva del Garda, nel dicembre 1966, si svolge il 1°Corso di aggiornamento, indetto dalla Sezione di Me-dicina Manuale della SIMFER, presidente I. Colombo.

Valobra, nel 1967, in qualità di direttore didattico del-la CRI, organizza a Torino il Convegno di Medicina Ma-nuale invitando R. Waghemacker, I. Colombo ed E. Ra-daelli.

Sempre Colombo, presidente della Sezione di Medi-cina Manuale della SIMFER, organizza, nel 1974, il I Cor-so Didattico di Medicina Manuale a Milano, con la col-laborazione di docenti francesi della scuola di Maignee di docenti italiani formati, per la maggior parte, allastessa scuola francese.

Nel 1995 inizia il I Corso di perfezionamento post-uni-versitario in Medicina Manuale c/o l’Università degli Stu-di di Siena, diretto da Bocchi, della durata di un anno.

Nel 2002 inizia il I Master di II livello in MedicinaManuale c/o l’Università degli Studi di di Roma “La Sa-pienza”, diretto da V. Santilli.

Nel 2004 inizia il I Corso di I livello: Manipolazionivertebrali-Medicina Manuale a Padova, organizzato dal-l’AIRAS.

Segmento mobile

È merito di Junghans, celebre per i suoi lavori sul rachi-de, in collaborazione con Schmorl, aver considerato glielementi di unione tra due vertebre adiacenti un tutt’uno,indissociabile nella funzione, chiamato “segmento mobi-le”, comprendente: il disco, le articolazioni interapofisa-rie e il sistema legamentoso di unione (Figura 39.1).

La colonna vertebrale è pertanto costituita da 23 seg-menti mobili, ciascuno rappresentante un’unità di mo-vimento del rachide. Bisogna inoltre tenere presenti i rap-porti stretti che esistono tra gli elementi costitutivi delsegmento mobile e il foro di coniugazione.

Qualsiasi disturbo meccanico di uno dei suoi elemen-ti viene risentito dagli altri, così come ogni movimentodi un tratto della colonna, esercita la sua influenza su-gli altri per mantenere la postura e l’equilibrio. Le cur-ve si influenzano reciprocamente: un’iperlordosi lomba-re può provocare un’ipercifosi dorsale e un’iperlordosicervicale. È chiaro che il segmento mobile cervicale èdiverso da quello dorsale, ma il principio resta lo stes-so. Un’eccezione evidente: le articolazioni occipito-atlan-toidea e atlanto-epistrofea non hanno il disco.

La nozione di segmento mobile come unità mecca-nica della colonna è estremamente comoda per spiega-re i rapporti meccanici tra i diversi elementi del rachi-de durante il movimento o in caso di conseguenze dilesioni a loro carico.

Tuttavia diventa insufficiente quando si considera chela colonna vertebrale svolge un complesso di funzioniautomatiche. Da tutti gli elementi che compongono que-sto segmento (articolazioni interapofisarie, muscoli, ten-dini, legamenti) partono messaggi propriocettivi indi-spensabili al mantenimento della postura e alla realiz-zazione dei movimenti.

Una variazione di posizione, di qualsiasi origine, pro-voca una differente distribuzione delle forze sui vari ele-menti e determina una nuova ripartizione delle contrazio-ni muscolari, mediate dalle informazioni propriocettive.Al ruolo principale dei recettori ripartiti nei muscoli e neitendini (organi di Golgi, fibre 1b) nella cinestesi, bisognaaggiungere il controllo e l’azione della corteccia cerebra-

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

717

FIGURA 39.1 Il segmento mobile di Junghans, visto di profilo.(Da: Maigne R. Medicina manuale. Torino: UTET, 1996)

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le. È pertanto infinita la complessità dei regolatori che par-tono e arrivano negli elementi del segmento mobile.

Sarebbe perciò estremamente semplicistico limitarsia considerare le lesioni vertebrali solo sul piano mecca-nico, tanto più che la colonna funziona sotto il segnodi totale automatismo. Qualsiasi sofferenza di uno di que-sti elementi ricchi di recettori nervosi comporta uno squi-librio nel funzionamento armonioso della colonna, pro-ducendo un circuito parassita di protezione locale, la cuicontrattura muscolare riflessa è l’elemento essenziale, per-ché contribuisce al mantenimento di certe disfunzioni,frequenti ma misconosciute nella Medicina tradiziona-le, perché non hanno alcuna evidenza nella diagnosti-ca per immagine. Maigne ha attirato l’attenzione sullaloro esistenza, sulla loro semiologia, sul loro ruolo nel-la maggior parte dei dolori comuni di origine vertebra-le, locoregionale o a distanza. Essi costituiscono uno deitemi essenziali di questo capitolo, cioè i “disturbi dolo-rosi intervertebrali minori” (DDIM) (Maigne, 2006).

Anatomia funzionale

La colonna vertebrale è una struttura mobile capace diadattarsi a posizioni estremamente varie. La flessibilitàsi unisce a una notevole resistenza, tenuto conto delleenormi sollecitazioni che gravano su ciascuno dei suoielementi. Una notevole precisione nell’adattamento almovimento contribuisce ad assicurare protezione e li-bero passaggio alle fragili strutture nervose e vascolariin essa contenute.

Se si eccettuano i primi due segmenti cervicali, i mo-vimenti intervertebrali avvengono per mezzo dei dischi.Se i dischi permettono la mobilità vertebrale, le artico-lazioni interapofisarie ne condizionano la direzione, for-mando la parte cinetica della colonna.

Il loro orientamento varia a seconda dei diversi trat-ti del rachide. Le articolazioni superiori guardano indie-tro e leggermente in fuori a livello cervicale, guardanocompletamente indietro a livello lombare. Rispetto al pia-no orizzontale presentano una inclinazione di 45° a li-vello cervicale, di 60° a livello dorsale e di 90° a livel-lo lombare (Figura 39.2).

La vertebra T12 è di conformazione dorsale per le suearticolazioni superiori e lombare per le inferiori. Essa èdetta “vertebra transizionale”. In certi soggetti gioca que-sto ruolo la T11 o la T10.

Le superfici articolari sono rivestite di cartilagine ericoperte da una capsula articolare densa, abbastanza ela-stica, come una cuffia.

Queste articolazioni hanno una membrana sinovia-le, delle formazioni “meniscoidi” e contengono un tes-suto adiposo semiliquido.

La capsula articolare è la parte più riccamente inner-vata del rachide, in terminazioni sia sensitive che pro-priocettive. Questa ricca innervazione corrisponde allanecessità di permettere all’apparato di sostegno prossi-male e distale di adattarsi alle numerose variazioni di ten-

sione e di pressione che il mantenimento dell’equilibrioimpone nelle diverse posizioni o durante gli sforzi.

Le parti elastiche delle capsule, molto solide ai loropoli superiori e inferiori, tendono a mantenere le fac-cette articolari a stretto contatto l’una con l’altra. Ognimovimento si compie contro la resistenza elastica del-la capsula e, non appena la forza mobilizzatrice cessa,le apofisi riprendono la loro posizione iniziale. Le for-ze elastiche delle capsule hanno un effetto stabilizzato-re sul rachide, senza aumentare le tensioni, come nel ca-so dell’azione degli apparati legamentoso e muscolare.

Le parti laterali delle capsule sono molto più debolie contengono poche fibre elastiche; il legamento giallone costituisce la parte anteriore.

Biomeccanica

Nei movimenti di flessione della colonna vertebrale sihanno:� leggero scivolamento indietro del nucleo discale;� divaricamento delle faccette articolari posteriori.

VOLUME II TECNICHE

718

90°

45°

60°

C

T

L

FIGURA 39.2 Orientamento delle faccette articolari sul piano sa-gittale. C: vertebra cervicale; T: vertebra toracica; L: vertebra lom-bare. (Da: Maigne R. Medicina manuale. Torino: UTET, 1996)

Page 7: cap39_valobra

Nei movimenti d’estensione si hanno:� scivolamento in avanti del nucleo;� scivolamento in convergenza delle faccette articola-

ri posteriori.

Nei movimenti di lateroflessione (ad esempio, destra)si hanno:� scivolamento del nucleo verso destra;� scivolamento in divergenza delle faccette articolari po-

steriori di destra;� scivolamento in convergenza delle faccette articola-

ri posteriori di sinistra.

Nei movimenti di rotazione un’apofisi trasversa si por-ta indietro, mentre l’altra va in avanti.

La colonna cervicale ha grande mobilità e notevoleresistenza, se si pensa alle sollecitudini cui è sottopostanel sostenere tutte le posizioni del capo.

Sul piano funzionale bisogna considerare due parti:� rachide cervicale superiore, formato dalle prime due

vertebre, che aggiusta con precisione la posizione delcapo nello spazio;

� rachide cervicale inferiore, formato dalle altre cinquevertebre, che è in grado di compiere due tipi di mo-vimenti, uno di flessoestensione e uno di laterofles-sione più rotazione.

Nell’articolazione occipito-atlantoidea (C0-C1) la fles-soestensione, movimento del sì, è il movimento essen-ziale. Non c’è possibilità di rotazione, mentre è possi-bile una leggera lateroflessione dell’ordine di 5-8°.

Nell’articolazione atlanto-epistrofea (C1-C2) la rota-zione, movimento del no, è il movimento essenziale. Es-so rappresenta la metà (35° per ciascun lato) della ro-tazione totale del rachide cervicale. Si accompagna a unalateroflessione nel senso opposto. Una leggera inclina-zione è possibile (5-6°).

Nel rachide cervicale inferiore la flessione e l’esten-sione sono libere. In questo movimento si ha un “cap-pottamento” della vertebra sul nucleo del disco sotto-stante, che non può prodursi se il disco è degenerato.La rotazione è ugualmente libera e si accompagna a unalateroflessione nello stesso senso.

Nel rachide dorsale l’altezza dei dischi è bassa in con-fronto a quella del corpi vertebrali, il che non è un buonelemento a favore di una grande mobilità. Ma la dispo-sizione delle articolazioni interapofisarie, concentriche coni corpi vertebrali, facilita il movimento, in particolare larotazione, pur essendo limitata dalla gabbia toracica.� Rotazione: 35° per ciascun lato; un po’ pronunciata,

comporta una rotazione nello stesso senso.� Lateroflessione: 20° per ciascun lato; un po’ pronun-

ciata, comporta una rotazione nello stesso senso.� 45° in totale.� Estensione: 25°.

Nel rachide lombare la flessoestensione è il movimen-to essenziale: 80-90° in totale; la lateroflessione globa-

le è 20-30°. La rotazione è praticamente nulla, blocca-ta dall’orientamento delle articolazioni.

Muscoli

I muscoli unisegmentari (interspinosi, intertrasversari,corti rotatori) del segmento mobile giocano un ruolo im-portante nel funzionamento del rachide malgrado il lo-ro piccolo taglio e la loro scarsa potenza. Pubblicazio-ni recenti (Maigne, 2006) attirano l’attenzione sulla ric-chezza in fusi neuromuscolari (fino a sei volte in più de-gli altri muscoli spinali). Questo dimostra il loro ruoloimportante nella propriocettività vertebrale.

I muscoli interspinosi si inseriscono su ciascun latodelle spinose di due vertebre adiacenti. Sono muscolimolto deboli, ma il loro ruolo è molto più importantedi quanto lascerebbe supporre la loro grandezza, comesuggerisce la loro ricchezza in fusi neuromuscolari.

I muscoli intertrasversari si inseriscono sulle apofisitraverse. Si dividono in:� fasci interni che costituiscono il muscolo intertrasver-

sario mediale e sono molto ricchi di fusi neuromu-scolari; sono innervati, come i muscoli interspinosie i muscoli rotatori, dalla branca posteriore del ner-vo spinale;

� fasci esterni che costituiscono il muscolo intertrasver-sario laterale; sono due e sono innervati dalla bran-ca anteriore secondo Bogduk (2005), che non li con-sidera come muscoli spinali veri; si dividono in dueparti: gli intertrasversari dorsali e gli intertrasversariventrali; possono essere considerati analoghi ai mu-scoli intercostali.

I muscoli rotatori costituiscono lo strato più profon-do della doccia paravertebrale, che è formata dalle apo-fisi spinose e trasverse e va dall’atlante al coccige. I cor-ti rotatori si inseriscono sulla trasversa e originano dal-la radice dell’apofisi spinosa della vertebra soprastante.I lunghi rotatori hanno lo stesso tragitto, ma originanodalla seconda vertebra soprastante. Questi sono dei pic-coli muscoli più sviluppati a livello dorsale che a livellocervicale e lombare. Questi muscoli di potenza molto de-bole per alcuni hanno un ruolo nei movimenti fini.

“Tutto ciò porta a credere che questi muscoli uniseg-mentari abbiano un ruolo importante nella disfunzionedolorosa segmentaria descritta sotto il nome di Distur-bo Doloroso Intervertebrale Minore” (Maigne, 1964).

È fondamentale nell’atteggiamento del capo la fisiolo-gia dei piccoli muscoli sottoccipitali definiti “regolatori”:� grande retto posteriore del capo;� piccolo retto posteriore del capo;� grande obliquo del capo;� piccolo obliquo del capo.

La contrazione unilaterale di questi muscoli determi-na l’inclinazione del capo; mentre la contrazione simul-tanea e bilaterale determina l’estensione della testa sulrachide cervicale superiore.

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

719

Page 8: cap39_valobra

Nervi spinali

L’innervazione dei costituenti del segmento mobile è as-sicurata dalla branca anteriore e dalla branca posterio-re del nervo rachideo, dal nervo sinuvertebrale e dal sim-patico.

Il nervo rachideo è misto, costituito da una radice mo-trice e da una sensitiva; è molto corto e si divide all’usci-ta del foro di coniugazione in due branche, l’una ante-riore, l’altra posteriore, tutte e due miste.

La branca anteriore è più voluminosa di quella po-steriore; forma i plessi cervicali, brachiali, lombari, sa-crali e fornisce i nervi intercostali. Innerva i muscoli, learticolazioni degli arti e la parte laterale (esterna) dei mu-scoli intertrasversari.

Innerva, attraverso i suoi rami cutanei, i dermatomianteriori e laterali del tronco e degli arti (Figura 39.3).

Dal dermatoma C4 si passa direttamente al dermatomaT2, in quanto quelli di C5, C6, C7, C8 e T1 mancantisono negli arti superiori.

Lo sclerotomo comprende l’innervazione sensitiva delperiostio, delle fasce, dei tendini e dell’apparato capsu-lolegamentoso.

Nella figura 39.4 sono rappresentate le zone cellu-lalgiche localizzate, unilaterali, dolorose alla manovra del“pincé-roulé” che sono determinate da dolore del seg-mento vertebrale corrispondente (Maigne). È importan-te segnalare la loro perfetta corrispondenza territorialecon quelle dei dermatomi anteriori. Ma la stessa cosa nonavviene per quanto concerne la rappresentazione più ra-ra dei dermatomi posteriori (Figura 39.5).

La branca posteriore (Lazorthes, 1971;1972) è più pic-cola della branca anteriore (circa un quarto di questa),a eccezione di quella del 2° nervo cervicale. Essa si di-

VOLUME II TECNICHE

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S1

L5

L4

L3

L2

L1

C8

C7 C7

C8

C6

C5C4

C3

C2

T1

T2

T12

T11

T2T3T4T5

T6T7

T8T9

T10

C2

C3

C4C5

T2

L3

S2 S3

S5S4

L1T12T11T10T9T8T7T6

T5T4T3

S2

S1

L4

L5

FIGURA 39.3 Rappresetazione schematica dei dermatomi. (Da: Maigne R. Medicina manuale. Torino: UTET, 1996)

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rige all’indietro circondando la parte inferiore del mas-siccio articolare posteriore. Innerva, attraverso numero-si rami, la capsula, i legamenti, i muscoli paravertebra-li e la pelle del dorso, dal vertice al coccige.

Il suo territorio di innervazione cutanea e muscola-re è spostato verso il basso in rapporto al livello di ori-gine. Ciascuna branca posteriore si divide in un ramoesterno e un ramo interno.

Al di sopra di T8, il primo è muscolare, il secondomuscolare e cutaneo. Al di sotto di T8, è il contrario. Alivello lombare, il ramo interno, a 1 cm dalla sua origi-ne, passa in un canale osteofibroso lungo 6 mm che l’ap-piattisce contro la radice dell’apofisi traversa. Poi passatra i fascio intermamillare e il fascio interstiloideo delmuscolo intertrasversario mediale interno.

Il ramo interno innerva le strutture che si trovano al-l’interno della linea delle articolazioni interspinose: i mu-

scoli interspinosi, trasversari, spinosi interni dell’ileoco-stale, la capsula articolare, il legamento giallo e il lega-mento sopra- e interspinoso.

Il ramo esterno innerva il muscolo ileocostale, la fa-scia spinosa, i muscoli intertrasversari mediali, mentrei laterali sono innervati dall’anteriore.

La branche posteriori di C1, L4, L5 sono esclusiva-mente motrici.

Il territorio cutaneo di queste branche posteriori sicolloca sempre al di sotto del loro livello di origine, aeccezione di C2 e C3. Lo spostamento aumenta progres-sivamente dall’alto in basso. La pelle della parte supe-riore delle natiche è innervata dalle branche posteriorioriginate dalla cerniera dorsolombare (Maigne). Inoltreil ramo cutaneo di T2 è più grosso di quelli vicini e co-pre un territorio che va da T5 all’acromion. I piani cu-tanei superiori glutei sono innervati dalle branche po-

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

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C1, C2, C3

C2

C3

C1, C2, C3

T12L1

C5C6C3C8T1

C3

C3

C4

T2

T3

T5

T5

T5

T5

T5

T5

C4

C5

C6

T11

T12, L1

L3

L2

L4

L5

FIGURA 39.4 Sindrome cellulo-periosto-mialgica vertebrale segmentaria (Maigne). Rappresentazione delle zone cellulalgiche dolen-ti al “pinzamento-rotolamento”, con la loro abituale corrispondenza segmentaria. A livello del cuoio capelluto, il “pinzamento-roto-lamento” viene sostituito con il “segno della frizione”. (Da: Maigne R. Medicina manuale. Torino: UTET, 1996)

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steriori di T2, L1 e L2. Quest’ultima riceve talvolta unramo cutaneo incostante nato da L3 (Maigne, 2001). Es-so non corrisponde alle mappe dei dermatomi general-mente proposte.

Il nervo sinuvertebrale ha l’aspetto di un grosso filoed è formato dall’unione di una radice spinale e di unaradice simpatica. La radice spinale proviene dal nervosubito dopo la sua uscita dal foro di coniugazione, dal-la sua branca posteriore o anteriore. L’altra esce dal ra-

mo comunicante bianco vicino, il più delle volte sotto-stante. Una volta costituito, si riporta all’indietro, pene-tra nel foro di coniugazione seguendo un tragitto ricor-rente davanti al nervo. La distribuzione dei suoi ramiterminali è segmentaria: al corpo vertebrale, alle lami-ne, al disco sottostante alla vertebra, al disco sottostan-te, al legamento comune posteriore, ai tessuti epidura-li, alla dura madre, al legamento comune anteriore e al-l’anello fibroso.

VOLUME II TECNICHE

722

L4

T8

C4

C

T

1

2

L

C

T

L

FIGURA 39.5 A. Branca posteriore del nervo spinale e articolazione interapofisaria, secondo Lazorthes. C: livello cervicale; T: livellotoracico; L: livello lombare. (Da: Maigne R. Medicina manuale. Torino: UTET, 1996) B. Innervazione dei muscoli intrinseci del rachi-de e della cute del dorso da parte delle branche posteriori dei nervi spinali, secondo Lazorthes. C: livello cervicale; T: livello toracico;L: livello lombare.

A B

Page 11: cap39_valobra

Il sistema simpatico interviene nel quadro dei dolo-ri riferiti, quali le false algie brachiali di origine cardia-ca: le afferenze dolorose arrivano attraverso il simpati-co al ganglio stellare, poi al midollo, dove anastomosicon fibre efferenti dell’arto superiore sono all’origine diuna falsa localizzazione del dolore. A volte vi può esse-re una diffusione degli stimoli a livello intramidollare (do-lori mandibolari di origine cardiaca). Talora la zona diriferimento del dolore è in funzione dell’esperienza al-gica del soggetto.

Il sistema simpatico interviene anche nei dolori cau-salgici, algodistrofici e in tutti i dolori dove esiste unaipersensibilità dei tessuti cutanei. In questi casi la cau-sa risiede in una ipersensibilità dei tessuti cutanei. Mail vero cervello vegetativo è l’ipotalamo moderato dallacorteccia cerebrale.

Recettori muscolari

Secondo Sherrington, il 40% delle fibre nervose desti-nate ai muscoli ha una funzione sensitiva. Localizzate neitessuti muscolari e tendinei, nella capsula e nei legamen-ti, queste terminazioni sensitive informano il midollo sul-la posizione e sul movimento dell’articolazione.

Si distinguono: i fusi neuromuscolari; gli organi ten-dinei di Golgi; le terminazioni libere.

I fusi neuromuscolari sono formazioni allungate, del-la grandezza di qualche mm, ripartite nei muscoli, piùo meno numero numerose, secondo la complessità difunzione del muscolo stesso. Sono composti da due par-ti e sono posti in parallelo con le fibre del muscolo. Ledue estremità sono costituite da fibre muscolari moltofini possedenti numerose placche motrici. La parte cen-trale (equatoriale) è puramente sensitiva. I fusi neuro-muscolari permettono ai muscoli di resistere alle varia-zioni di lunghezza, ruolo essenziale nel mantenimentodella postura.

Attraverso il circuito gamma si realizza il riflesso mio-tattico: lo stiramento passivo di un muscolo provoca lasua contrazione riflessa, che si accompagna a un rilas-samento del muscolo antagonista (legge dell’innervazio-ne reciproca). Questo riflesso dipende dall’attivazionedel fuso neuromuscolare, attivato dallo stiramento delmuscolo. Controlla costantemente il tono dei muscoliantigravitari e trova applicazione clinica nella percussio-ne dei riflessi osteotendinei.

Il riflesso miotattico inverso è un rilassamento che av-viene bruscamente dopo una resistenza iniziale in un mu-scolo che ha subìto uno stiramento forte e prolungato.È dovuto all’attivazione dei recettori di Golgi.

Il circuito di Renshaw esercita un effetto inibitore op-posto a quelli di facilitazione del circuito gamma. La suaazione facilita i movimenti di coordinazione fine.

La cellula gamma è sotto il controllo del sistema ner-voso centrale, che può avere su di essa un’azione inibi-trice o attivatrice. Il livello di sensibilità del sistema gam-ma può così modulare su ordine centrale, adattando la

sua sensibilità in funzione di questo o quel gesto o mo-vimento. Gli stati emotivi possono, pertanto, influenza-re questo sistema, portando, in alcuni casi, a una catti-va coordinazione dei muscoli troppo tesi e tensioni ec-cessive su un’articolazione.

Recettori tendinei

I recettori tendinei, od organi tendinei di Golgi, si tro-vano nei tendini a livello della giunzione muscoloten-dinea e nei setti aponeurotici intramuscolari. Questi re-cettori sono degli indicatori delle tensioni esercitate sultendine, per una contrazione del muscolo o per uno sti-ramento esercitato su di esso. Questi recettori sono inattività quasi permanente, ma vengono messi in giocosolo quando una forza sufficiente si oppone al musco-lo e il numero degli stimoli messi in gioco è direttamen-te proporzionale alla forza impegnata.

Questi stimoli, veicolati dalle fibre sensitive della bran-ca posteriore, raggiungono la radice posteriore e termi-nano a livello degli interneuroni inibitori (cellule di Ren-shaw). La loro eccitazione comporta un’inibizione chesi oppone all’aumento della tensione del muscolo; quan-do questa è troppo forte provoca un rilassamento mu-scolare e così facilita i muscoli antagonisti.

Le terminazioni nervose libere sono, nei muscoli e neitendini, generalmente associate ai vasi sanguigni. Essegiustificano il dolore provocato dal pinzamento dei mu-scoli o dei tendini.

Recettori articolari

Le strutture articolari e periarticolari sono provviste direcettori che informano il sistema nervoso centrale sul-le modificazioni fisiche di questi tessuti: movimento eposizione dell’articolazione, tensione esercitata sui ten-dini, lunghezza dei muscoli. Freeman e Wyke distinguo-no quattro categorie, ciascuna con proprietà specifiche,ma tutte con in comune la sensibilità alla tensione (Fi-gura 39.6).� Tipo I. Si trova essenzialmente nelle capsule artico-

lari ed è simile ai corpuscoli di Ruffini. È sensibilealla posizione dell’articolazione e alla rapidità del mo-vimento.

� Tipo II. Si trova nelle capsule articolari ed è similealle capsule di Pacini; è sensibile ai movimenti rapi-di a partire da qualsiasi posizione dell’articolazione.

� Tipo III. Si trova nei legamenti ed è simile agli organidi Golgi; la sua funzione non è ancora ben definita.

� Tipo IV. È rappresentato da plessi di fibre fini non mie-liniche, situate nella capsula, nei legamenti, nei cu-scinetti adiposi; non sono presenti nella membranasinoviale e sono considerati come i recettori del do-lore; una stimolazione sufficiente ad attivarli produ-ce una contrazione dei muscoli periarticolari che ten-dono a immobilizzare l’articolazione.

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

723

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Dolore di origine vertebrale

Il dolore è, tra tutti i motivi di consultazione medica, ilpiù frequentemente riscontrato nella patologia vertebra-le comune. È diversamente sentito, descritto e vissutoa seconda del paziente. Rappresenta il sintomo princi-pale di queste affezioni in cui la prognosi vitale non èmai in gioco e quella funzionale lo è raramente. Esso èla risultante di un processo complesso che implica fe-nomeni sensoriali centrali, affettivi ed emozionali asso-ciati (Box 39.1). Il dolore acuto è un sintomo di allar-me, mentre quello cronico può diventare una malattiapropriamente detta, senza rapporti con le lesioni obiet-tive iniziali.

Sul piano clinico pratico, il dolore di origine verte-brale può assumere tre aspetti:� dolore radicolare, provocato da un’aggressione subi-

ta dal nervo rachideo, risentito nel suo territorio, co-me nella sciatica, nella nevralgia crurale o nella ne-vralgia cervicobrachiale;

� dolore a topografia regionale: cervicalgia, dorsalgia,lombalgia;

� dolore risentito a distanza con carattere ingannevo-le (dolore irradiato o proiettato); in questo caso, l’ori-gine vertebrale non è evidente, spesso è completamen-te sconosciuta; il dolore è quindi attribuito a un’al-tra causa, il più delle volte d’origine psichica, ma es-so trova giovamento da un trattamento vertebrale ap-propriato.

Il merito di Maigne è di avere proposto una sintesisemeiologica che permette di identificare tali dolori edi trattarli efficacemente. Infatti, la pratica sistematicadell’“esame segmentario codificato”, la conoscenza del-la sindrome CTM, che riguarda modificazioni tessuta-li osservate nel territorio del metamero corrisponden-te al segmento vertebrale doloroso, e infine la nozionedi “disturbo doloroso intervertebrale minore”, mostra-no che segmenti privi di lesione obiettiva possono es-sere dolorosi e responsabili delle stesse perturbazionimetameriche, supporto di dolori comuni, come i seg-menti di cui la lesione è evidente alla diagnostica perimmagini.

Verranno qui descritti solo i dolori che hanno un’ori-gine meccanica o degenerativa. Sono pertanto esclusele rachialgie specifiche (non comuni): infiammatorie, in-fettive, maligne, metaboliche, traumatiche gravi, da cau-se rare, psicosomatiche, che tuttavia è importante saperriconoscere.

Classificazione del dolore dal punto di vista topografico

Dal punto di vista topografico (Gatto e Rovere, 2000a),il dolore si può distinguere in:� somatico localizzato;� proiettato (irradiato);� riferito.

VOLUME II TECNICHE

724

I tipo

II tipo

III tipo

IV tipo

FIGURA 39.6 Recettori articolari,secondo Wyke.

Page 13: cap39_valobra

Il dolore somatico corrisponde a una localizzazionealgica nello stesso punto in cui ha origine il messaggionocicettivo: le cervicalgie da DDIM ne sono un esem-pio. Si tratta di un’irritazione presente a livello dei no-cicettori articolari.

L’effetto analgesico delle manipolazioni, sovente im-mediato e duraturo, consiste, se eseguite nel senso li-bero dal dolore, nell’esaltare l’attività dei meccanocet-tori di II tipo, evitando la possibilità di stimolare i no-cicettori. Questo provoca un aumento della scarica af-

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

725

I messaggi nocicettivi partono dai recettori periferici eraggiungono il sistema nervoso centrale, percorrendo di-verse vie, con connessioni sinaptiche nel corno poste-riore del midollo spinale, nei nuclei del talamo e del tron-co cerebrale. Il primo “relais” è situato nel ganglio spinale che condu-ce al midollo l’insieme delle sensazioni dei tessuti del me-tamero. I neuroni dei gangli spinali sono messi in giocodall’eccitazione della loro estremità periferica sotto la di-pendenza di mediatori chimici liberati da una stimolazio-ne meccanica o termica sul territorio da essi innervato.Il secondo relais è collocato nel corno posteriore. Gli sti-moli nocicettivi sono trasmessi dalle fibre di piccolo ca-libro amieliniche. I neuroni che costituiscono questo re-lais sono classificati in sei lamine. La lamina I è la più su-perficiale, mentre le 4, 5, 6 sono le più profonde. Le la-mine 2 e 3 costituiscono la sostanza gelatinosa di Ro-lando. L’85% delle fibre assonali di questo secondo re-lais attraversa la linea mediana; il 15% rimane omola-terale.L’insieme di questi assoni costituisce il cordone antero-laterale del midollo, secondo relais del dolore (Figura39.7). Essi si dividono dapprima in due gruppi: il primoformato dal fascio neo-spino-talamico che termina neltalamo, il secondo formato dal fascio paleo-spino-tala-mico che, all’uscita del midollo, si dirige sia verso i nu-clei non specifici del talamo, sia verso i nuclei della so-stanza reticolare del tronco cerebrale. Il messaggio no-cicettivo si bilaterizza in questo nucleo.Il terzo relais è situato livello dell’encefalo, particolarmen-te nei centri che regolano il comportamento e l’attivitàneurovegetativa.A tutti i livelli, la trasmissione dei messaggi è sottopo-sta a controlli inibitori. Questi fanno intervenire dei mec-canismi di inibizione pre- e post-sinaptici e meccanismineurochimici legati alla secrezione di certi mediatori, siaa livello del midollo (controllo segmentario), sia a livel-lo dei centri superiori (controllo soprasegmentario). Nel-l’organizzazione nervosa l’essenziale non è tanto la tra-smissione degli stimoli, quanto il loro blocco; quando ildolore ha superato tutti i filtri e raggiunge i centri su-periori dell’encefalo, diventa immediatamente un’emo-zione. Il primo controllo si avvale del sistema del cancello (“ga-te control” di Melzack e Wall): le fibre di grosso calibro,che trasportano la sensibilità epicritica, inibiscono l’atti-vità delle fibre di piccolo calibro, che trasportano la sen-

sibilità dolorosa. È su questa osservazione che è basatol’effetto antalgico delle stimolazioni elettriche ripetutedei cordoni posteriori.Il secondo è un sistema soprasegmentario, capace di bloc-care per via discendente serotoninergica la trasmissionedegli stimoli nocicettivi a livello midollare.La comprensione dei controlli sopramidollari è progre-dita, con la scoperta dei recettori per gli oppioidi e del-le endorfine. Il controllo sopraspinale più generalmenteammesso è il controllo inibitore diffuso. Una stimolazio-ne dolorosa forte, avvenuta a distanza dal proprio recet-tore, provoca una potente inibizione dei neuroni noci-cettivi del corno dorsale, giustificando il vecchio detto:“un dolore scaccia l’altro”. In effetti un dolore acuto puòfar sparire un dolore cronico.

BOX 39.1 Le vie del dolore

Corteccia

Talamo

Sostanzareticolare

Midollospinale

A deltaC

Neuronidi I ordine

Neuronidi II ordine

Neuronidi III ordine

FIGURA 39.7 Rappresentazione schematica della via spino-ta-lamica diretta (linea tratteggiata) e della via spino-reticolo-ta-lamica (linea continua).

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ferente attraverso le fibre di grosso calibro A alfa e A be-ta, attivando i meccanismi di inibizione sulle fibre di pic-colo calibro dolorifiche A delta e C.

Il dolore proiettato (irradiato) corrisponde a un’irri-tazione diretta di una struttura nervosa, ad esempio unramo anteriore o posteriore del nervo spinale, in gradodi provocare un dolore avvertito a distanza nel territo-rio metamerico. Un esempio è il dolore da compressio-ne radicolare discale. Anche la sindrome (CTM) di Mai-gne potrebbe essere un dolore irradiato. La compres-sione nelle fibre nervose può limitarsi a modesti distur-bi trofici o causare anche obliterazioni dei vasi nervosi(con conseguente “neurite ischemica”), o addirittura por-tare alla demielinizzazione delle fibre che diventano iper-sensibili.

Il dolore riferito è più ingannevole e va riconosciu-to per la diagnosi differenziale con i dolori comuni diorigine vertebrale. In ciascun metamero delle corna po-steriori del midollo esiste una convergenza di influssi no-cicettivi provenienti da terminazioni differenti: cutanee,muscolari, articolari, viscerali. Una sollecitazione noci-cettiva di un viscere è riferita al territorio cutaneo in cuil’innervazione converge verso lo stesso metamero. I do-lori riferiti sono noti: il dolore che si localizza alla fac-cia mediale del braccio sinistro nell’infarto miocardico,la gonalgia nella coxopatia, le dorsalgie di origine pan-creatica, gastrica o colica (Figura 39.8).

Classificazione del dolore in funzione della causa

J.Y. Maigne nel 2001 ha proposto una nuova classifica-zione del dolore vertebrale in funzione della causa:� vertebrale;� neurofisiologico;� psicosociale.

Il primo gruppo “vertebrale” è rappresentato da do-lori che provengono veramente dal rachide, più preci-samente dal segmento mobile, il quale comprende glielementi che uniscono e articolano due vertebre fra lo-ro. Può essere dovuto a una lesione discale o articolareposteriore, a un legamento, a un nervo o a ogni altrastruttura legata alla colonna. Il dolore è localizzato inun territorio preciso, obbedisce a una schematizzazio-ne anatomica nella sua topografia, ed è meccanico o in-fiammatorio nel suo ritmo. La radiologia permette tal-volta di mostrare la lesione in causa. Ma anche quandonon può essere localizzata con certezza dagli esami, sap-piamo che esistono il DDIM e la sindrome segmentariaCTM da DDIM.

I trattamenti utili in questi casi sono: antinfiamma-tori, meccanici (manipolazioni vertebrali) o chirurgici.

Il secondo gruppo “neurofisiologico” è costituito dadolori che provengono non dalla colonna vertebrale,ma dal sistema nervoso centrale. L’anomalia responsa-bile risiede nelle vie nervose del dolore, sotto forma dimalfunzionamento dei relais midollari (corna posterio-ri) o encefalici (del tronco o della corteccia cerebrale)di queste vie. Questi relais, deputati a filtrare e modu-lare gli impulsi dolorosi, potrebbero, al contrario, cre-arli e accrescerli (fenomeno detto di “ipersensibilizza-zione”). Le cause di questi disordini non sono cono-sciute, ma l’ansia, la depressione, lo shock psicologi-co giocano un ruolo importante. Sono dolori diffusi ecronici, spesso permanenti. Sono solo influenzati dal-la fatica e dallo stress. Il dolore può diventare autono-mo divenendo fonte di disabilità. Un esempio è forni-to dalla fibromialgia. In questi casi è inutile continua-re gli esami e, mentre i trattamenti usuali sono ineffi-caci, è opportuna, invece, una presa in carico del pa-ziente con specifica farmacoterapia supportata, se ne-cessario, da adeguata psicoterapia.

Il terzo gruppo “psicosociale” è stato da qualche an-

VOLUME II TECNICHE

726

C4C4

C3

C5

C6

C5

D2

D2D2

D2

D1

3

34

45

56

67

78

8

9

9

10

10

11

11

12

12

L1

L1

L2

2

3

D1

FIGURA 39.8 Dolore riferito.

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no affrontato negli studi epidemiologici che hanno evi-denziato l’importanza dei fattori psicologici e sociali nel-le lombalgie croniche gravi e invalidanti, più raramen-te in alcune cervicalgie (sindrome da decondizionamen-to). Sono soprattutto legate a incidenti sul lavoro, allapresenza di conflitti medico-legali. Il dolore non è piùd’origine vertebrale in “senso stretto” ma è divenuto es-so stesso fonte di disabilità complessa. Il trattamento so-ciale, come la pensione anticipata, o il trattamento fisi-co, come il riallenamento allo sforzo e il reinserimentonel lavoro, sono i soli di una certa utilità.

Nel quadro della patologia vertebrale comune, è or-mai noto che lesioni evidenziabili attraverso la diagno-stica per immagini sono ben lungi dall’essere sempre re-sponsabili della sintomatologia accusata dal paziente. Alcontrario, spesso, un esame clinico attento permette dievidenziare, con manovre di pressione, segmenti verte-brali dolorosi (mentre gli altri restano indolori), che nonpresentano alcuna lesione rilevabile con le immagini,mentre determinano manifestazioni, frequente suppor-to di dolori proiettati ingannevoli nei tessuti del meta-mero corrispondente (pelle, muscoli, inserzioni tendi-nee). Questi segmenti vertebrali dolorosi possono diven-tare indolori talvolta istantaneamente dopo una mani-polazione, anche se essa non è il solo trattamento. Nel-lo stesso tempo spariscono le manifestazioni riflesse stra-namente ignorate e trascurate dalla letteratura e i dolo-ri che a esse sono legati.

Valutazione clinica

Per comprendere, diagnosticare e trattare i dolori co-muni di origine vertebrale, bisogna tenere presenti quat-tro punti principali: l’esame segmentario codificato, lasindrome segmentaria cellulo-teno-mialgica (CTM), ildisturbo doloroso intervertebrale minore (DDIM), la re-gola del non dolore e il principio del movimento con-trario.

Come in ogni patologia, l’esame vertebrale deve es-sere preceduto da un interrogatorio che permetta di pre-cisare il motivo della visita e di conoscere gli anteceden-ti del paziente. Si raccomanda di lasciare che il pazien-te parli liberamente, raccontando la sua storia alla suamaniera, ponendo ogni tanto qualche domanda per pre-cisare un dettaglio o per meglio chiarire un problema ogiudicare la sua preoccupazione maggiore.

Un esame fisico di routine alla ricerca dei movimen-ti limitati e soprattutto dolorosi completa l’interrogato-rio e permette di porre una diagnosi e di programmareo effettuare un trattamento appropriato.

Bisogna quindi praticare con attenzione l’esame ver-tebrale segmento per segmento alla ricerca di uno o piùsegmenti dolorosi che possono essere responsabili deidisturbi del paziente, così come delle manifestazioni cel-lulalgiche, tenoperiostee e mialgiche a topografia meta-merica corrispondente a questi segmenti dolorosi.

Esame segmentario codificato

Questo esame ha un’importanza fondamentale ed è uncompletamento indispensabile all’esame classico, par-ticolarmente in medicina manuale. Esso consiste nel sol-lecitare ciascun segmento vertebrale con manovre dipressione: indolori su un segmento normale, dolorosesu un segmento responsabile di dolori locali o irradia-ti. Nella maggior parte dei casi di dolore vertebrale co-mune di una determinata regione (cervicale, dorsale,lombare), un solo segmento di questo tratto è di soli-to responsabile e doloroso all’esame segmentario. Cia-scuna regione deve essere esaminata nella posizione ade-guata: con il paziente appoggiato sul ventre di traver-so al lettino per il rachide dorsale e lombare, supino eseduto per il rachide cervicale e il tratto alto del dor-so. L’esame segmentario codificato comporta quattromanovre:� pressione assiale sulla spinosa (Figura 39.9);� pressione laterale sulla spinosa (Figura 39.10);� pressione-frizione sui massicci articolari posteriori de-

stro e sinistro (Figure 39.11 e 39.12);� pressione sul legamento interspinoso (Figura 39.13).

La pressione assiale sulla spinosa, eseguita con il pol-pastrello del pollice e di preferenza con l’interposizio-ne dell’altro, è verticale verso il basso, ferma, lenta e man-tenuta per alcuni secondi.

La pressione laterale sulla spinosa è praticabile su tut-ti i livelli, salvo a livello cervicale dove è utilizzata solosu C7. La manovra, eseguita tangenzialmente alla pel-le, è lenta, progressiva e provoca un movimento di ro-tazione della vertebra sollecitata. La pressione deve es-sere esercitata sul versante laterale dell’apofisi spinosa.

Questa manovra può essere sensibilizzata dalla pres-sione laterale contrastata (Figure 39.14 e 39.15): man-tenendo con il pollice la pressione laterale nel senso do-loroso, si esercita contemporaneamente con l’altro pol-lice una contropressione sull’apofisi della vertebra sot-tostante, poi su quella sovrastante. Una di queste ma-novre accentua il dolore già provocato, precisando me-glio il segmento interessato.

La pressione-frizione delle articolazioni posteriori èuna manovra che ricerca la sofferenza segmentaria ver-tebrale attraverso il dolore articolare posteriore. Vienericercata con la palpazione eseguita con il polpastrellodell’indice o del medio che scivola, premendo e frizio-nando, lungo le docce paravertebrali dall’alto in bassoo viceversa, a 1 cm circa dalle apofisi spinose. All’altez-za della vertebra sofferente si percepisce una piccola zo-na in cui la consistenza dei tessuti superficiali è modi-ficata, dando l’impressione di un leggero edema localee di una tensione profonda dei tessuti. Questa zona cor-risponde alla proiezione dell’articolazione interapofisa-ria sottostante e ne esprime la sofferenza. Se si aumen-ta la pressione si provoca un vivo dolore locale che ri-corda al paziente il suo dolore abituale. Per la ricerca diquesto segno è utile posizionare il paziente prono, di tra-

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

727

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verso al lettino, per il rachide dorsale e lombare, supi-no per quello cervicale. Questo segno costante e preci-so è più facilmente riscontrabile a livello cervicale, do-ve ha un valore assoluto.

La pressione sul legamento interspinoso, eseguita conil polpastrello dell’indice o con l’anello di una chiave, èdolorosa nella sofferenza del segmento vertebrale inte-ressato.

Tutte le manovre dell’esame segmentario devono es-sere eseguite con una pressione misurata, progressiva-mente più insistente. L’esame deve essere lento, minu-zioso, ripetuto, comparativo con i segmenti vicini. Lapressione deve essere uguale da ciascun lato.

L’esame palpatorio attento dei tessuti (pelle, musco-li, inserzioni tenoperiostee) del metamero corrisponden-te al segmento doloroso costituisce la tappa seguente.

VOLUME II TECNICHE

728

FIGURA 39.9 Pressione assiale sulla spinosa. FIGURA 39.10 Pressione laterale sulla spinosa.

FIGURA 39.11 Pressione-frizione sull’articolazione interapofi-saria.

FIGURA 39.12 Ricerca del “punto” articolare posteriore per ilrachide cervicale.

FIGURA 39.13 Segno della “chiave”.

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Sindrome segmentaria cellulo-teno-mialgica

Sotto la definizione di sindrome segmentaria cellulo-te-no-mialgica (CTM) sono raggruppate le modificazionidella sensibilità e della consistenza dei tessuti che pos-sono essere messe in evidenza nel metamero corrispon-dente al segmento vertebrale doloroso.

La sindrome comprende:� dermocellulalgia in tutto o in parte dei piani cutanei

del dermatoma, rivelata dalla manovra del “pincé-rou-lé” che mette in evidenza un ispessimento e una vi-va sensibilità;

� cordoni mialgici induriti in certi muscoli del mioto-ma; questi cordoni presentano generalmente nel lo-ro centro un punto particolarmente sensibile alla pres-sione, il “punto grilletto”. La pressione su questo pun-to provoca o riproduce eventualmente un dolore a di-stanza abitualmente conosciuto dal paziente;

� ipersensibilità alla palpazione di tessuti dello sclero-tomo: inserzioni tenoperiostee, legamenti periartico-lari.

DermocellulalgiaÈ la manifestazione più frequentemente riscontrata a li-vello del tronco, dove essa rappresenta un elemento se-meiologico di primo ordine, soprattutto per quanto con-cerne le branche posteriori dei nervi rachidei. Essa è co-stituta da un ispessimento e da un vivo dolore della pli-ca cutanea alla manovra del “pincé-roulé” (Figura 39.16)su una zona limitata, generalmente in banda, unilaterale.

La tecnica del “pincé-roulé”, manovra chiave di que-sto esame, consiste nel pinzare una plica cutanea tra ilpollice e l’indice; mantenendo la pinza si fa rotolare len-tamente la plica tra le dita in un senso poi nell’altro.

Questa manovra deve essere dosata in modo da ri-sultare indolore sui piani cutanei normali; può essereestremamente dolorosa in certi soggetti. È raccomanda-bile eseguire più prove con pressioni progressive, com-parate con il lato opposto e con le zone vicine.

Cordoni mialgici induriti e punti grillettoIn certi muscoli del miotomo, una palpazione attenta per-mette di mettere in evidenza dei fasci muscolari duri,molto sensibili alla palpazione, a forma di cordoni, didiametro variabile da quello di un ago a quello di un si-garo, lunghi qualche centimetro (Figura 39.17). Essi pre-sentano generalmente nel loro centro un punto preciso,molto sensibile alla pressione. Lo stiramento attraversola palpazione trasversale (o perpendicolare) alle fibre mu-scolari provoca uno spasmo del muscolo percettibile evisibile. Lo stesso effetto si può ottenere attraverso il con-tatto di un ago con questo punto. La pressione su talepunto riproduce un dolore locoregionale o a distanza so-vente conosciuto dal paziente, da cui il nome: punto gril-letto o “trigger point”. L’infiltrazione di questo punto conqualche goccia di anestetico provoca all’inizio uno spa-smo e un vivo dolore, locale o irradiato, poi la rapidascomparsa per l’effetto dell’anestetico. La stessa iniezio-ne eseguita in una parte vicina del muscolo, a qualchemillimetro, non produce alcuna reazione.

Secondo Travell e Simons (1999) questi punti sonodovuti unicamente a una fatica eccessiva del muscolo,di origine diretta o posturale. Secondo Maigne, tale ori-gine è vera per certi casi, ma più frequentemente l’ori-

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

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FIGURA 39.14 Pressione laterale contrastata sul segmento so-vrastante.

FIGURA 39.15 Pressione laterale contrastata sul segmento sot-tostante.

FIGURA 39.16 Manovra “pincé-roulé” nella zona interscapolare.

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gine è vertebrale. In effetti, le due origini possono tal-volta coesistere. Nel caso di origine vertebrale, il segmen-to corrispondente è doloroso all’esame segmentario e ilpunto grilletto diventa indolore o inattivo dopo un trat-tamento vertebrale efficace (manipolazioni, infiltrazioni).

Questi cordoni mialgici risiedono negli stessi musco-li per un determinato segmento vertebrale e nella stes-sa parte di questo muscolo (Figura 39.18).

Il trattamento locale dei cordoni mialgici consiste instiramenti longitudinali eseguiti manualmente, con po-sture ed esercizi attivi; stiramenti trasversali e brevi, ag-ganciando il cordone con il polpastrello del pollice e ti-rando perpendicolarmente le sue fibre. Si può infine as-

sociare il trattamento dei punti grilletto: iniezione di li-docaina all’1% seguita da stiramenti, pressioni mante-nute per 90 secondi, ultrasuoni.

Ipersensibilità tenoperiosteaSi ritrova nel territorio dello sclerotomo, essenzialmentea livello delle inserzioni tenoperiostee o delle struttureperiarticolari (Figure 39.19 e 39.20). Si tratta talvolta diun dolore spontaneo sotto forma di una pseudotendini-te, ma spesso è una scoperta dell’esame. La sensibilità deltendine è messa in evidenza dalla contrazione del mu-scolo controresistenza o dalla palpazione comparativa. Es-sa diminuisce contemporaneamente con la comparsa ola diminuzione della sofferenza del segmento vertebraleresponsabile: in questi casi l’effetto della manipolazioneo dell’infiltrazione può essere quasi istantaneo.

L’importanza dello stress locale suscettibile di provo-care il dolore spontaneo è in proporzione inversa al gra-do di facilitazione vertebrale.

Il trattamento locale delle inserzioni tenoperiostee as-socia le infiltrazioni locali, i massaggi trasversali profon-di, l’elettroterapia.

Queste manifestazioni non sono necessariamente tut-te presenti nei dolori segmentari, ma raramente sono tut-ti assenti.

La conoscenza della sindrome CTM è di fondamen-tale importanza, non solo per comprendere e diagno-sticare i dolori vertebrali comuni, ma anche per apprez-zare l’efficacia di un gesto terapeutico come la manipo-lazione.

VOLUME II TECNICHE

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FIGURA 39.17 Palpazione dei cordoni mialgici del sottospinato.

FIGURA 39.18 Sindrome vertebrale segmentaria C6. Cellulalgia: faccia esterna del braccio e della parte superiore dell’avambraccio,regione interscapolare. Cordoni mialgici: sottospinato, bicipite, supinatore e grande pettorale. Inserzioni tenoperiostee: epicondili eapofisi stiloide radiale. (Da: Maigne R. Medicina manuale. Torino: UTET, 1996)

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Nel quadro dei dolori comuni, le cause di disfun-zione dolorosa del segmento vertebrale sono essenzial-mente:� il disturbo doloroso intervertebrale minore soprat-

tutto;� la “poussée” infiammatoria di artrosi articolare poste-

riore abbastanza frequente;� la lesione discale.

Le manifestazioni metameriche di questa sindromesono in generale unilaterali, dal lato articolare doloro-so all’esame segmentario e riguardano i piani cutanei, imuscoli e le inserzioni tenoperiostee. Esse possono es-sere attive e responsabili di dolori ingannevoli: pseudo-radicolari, periarticolari, pseudoarticolari, pseudovisce-rali; o inattive (latenti), semplice segno, ma importan-te elemento semeiologico. Una manifestazione rimastainattiva per parecchio tempo può diventare bruscamen-te attiva. Esistono altre manifestazioni ma non sono ap-prezzabili clinicamente: le sole eccezioni sono il meteo-rismo e la stitichezza nelle sofferenze da T11 a L1. Que-ste manifestazioni sono reversibili, ma con il tempo pos-sono organizzarsi e diventare autonome. In questi casinecessitano di un trattamento locale.

L’ipotesi fisiopatologica della sindrome CTM sembradovuta a una ipersensibilità generale dei tessuti del me-tamero, da perturbazione funzionale del segmento mo-bile vertebrale, che provocherebbe un bombardamentocontinuo del settore corrispondente del midollo attraver-so stimoli nocicettivi da essa generati e un’iperattività deineuroni che partono o arrivano a tale livello (Korr, Perl).

Disturbo doloroso intervertebrale minore o disfunzione dolorosa reversibile del segmento vertebrale

Il DDIM (Maigne, 2006) è un’irregolarità funzionale delsegmento vertebrale, di natura meccanica e riflessa, chelo rende doloroso a pressioni specifiche (esame segmen-tario codificato). È la conseguenza di sforzi, di falsi mo-

vimenti, di posture scorrette. Non è evidenziabile conla diagnostica per immagini e ha tendenza ad automan-tenersi. È reversibile nella quasi totalità dei casi attra-verso manipolazioni appropriate e può essere respon-sabile di dolori locali o a distanza, che spariscono quan-do il segmento interessato diviene indolore, spontanea-mente o in seguito a trattamento.

Il concetto di DDIM colma un vuoto evidente in pa-tologia vertebrale comune. Esso è ormai entrato nell’usocorrente, anche se talvolta utilizzato erroneamente; è vo-lutamente vago perché non si conosce ancora esattamen-te il suo meccanismo, ma mentre si può discutere sullasua denominazione, la sua realtà clinica è incontestabile.

I DDIM sono il denominatore comune di un gran nu-mero di dolori di origine vertebrale e si possono trova-re a tutti i livelli del rachide. La loro diagnosi è pura-mente clinica ed è basata su due tappe:� rivelare un segmento doloroso attraverso l’esame seg-

mentario codificato;� affermare la natura benigna e meccanica di questa sof-

ferenza segmentaria attraverso il contesto clinico e,se necessario, attraverso gli esami complementari.

I DDIM possono essere acuti o cronici; attivi (respon-sabili di dolori) o inattivi (presenti e dolorosi all’esame seg-mentario ma non responsabili di dolore per il paziente).

I DDIM acuti, conseguenti a falsi movimenti, a sfor-zi, si accompagnano a una netta contrattura muscolarelocale. Si tratta, in questi casi, di una piccola distorsio-ne senza lesione anatomica, che può trarre giovamentoimmediato da una manipolazione appropriata.

I DDIM cronici sono i più frequenti e nella maggiorparte dei casi si costituiscono senza fase acuta di par-tenza; evolvono senza “poussées” e i segni d’esame so-no costanti e presenti durante le fasi non dolorose, an-che se sono lunghe.

I DDIM attivi sono responsabili di dolori sia diretta-mente, sia attraverso manifestazioni cellulo-teno-perio-sto-mialgiche riflesse che determinano la sindrome CTM.

I DDIM inattivi sono dolorosi solo all’esame, ma nonprovocano spontaneamente alcun dolore e possono in

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

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FIGURA 39.19 Palpazione del tendine per bicipite. FIGURA 39.20 Palpazione dell’epicondilo.

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ogni momento diventare attivi. Nella pratica corrente,nel quadro dei dolori comuni, al di fuori dei DDIM, lasofferenza segmentaria può essere la conseguenza di una“poussée” infiammatoria di artrosi o di una lesione di-scale.

Ipotesi sul meccanismo dei DDIMLa maggior parte dei DDIM riscontrati nella clinica quo-tidiana si trova in segmenti vertebrali che sembrano in-denni da lesioni discali o articolari posteriori. Bisognatuttavia sottolineare che il rachide funziona in manie-ra strettamente automatica, pertanto non è indispensa-bile invocare l’esistenza di un elemento meccanico per-manente per spiegare un disfunzionamento segmenta-rio doloroso.

Il funzionamento automatico dei muscoli intrinsecidella colonna fa sì che non si possa agire volontariamen-te su questo o quel gruppo muscolare o su tale segmen-to vertebrale. Un movimento vertebrale è un movimen-to globale, che mette in gioco un numero importantedi fasci muscolari dalle inserzioni complesse, che de-vono funzionare in perfetta sinergia per ottenere una per-fetta ripartizione delle sollecitazioni nel segmento mo-bile in occasione di movimenti o di sforzi.

Dai recettori propriocettivi, di cui i legamenti, i mu-scoli (in modo particolare i piccoli muscoli unisegmen-tari, molto ricchi di fusi neuromuscolari) e la capsulaarticolare sono forniti, partono i messaggi che raggiun-gono il midollo. Se un segmento vertebrale diviene do-loroso, provoca una risposta dei muscoli, che tendonoa realizzare un blocco funzionale segmentario.

Clinicamente è possibile in certi soggetti palpare conl’estremità dell’indice la tensione dei muscoli interspi-nosi sotto forma di piccoli fasci sensibili, molto allun-gati, che possono formare una corona tesa tra due o tresegmenti.

Nei DDIM, sia i propriocettori tendinei e muscola-ri che inviano stimoli nocicettivi verso il segmento mi-dollare corrispondente, sia la ripetizione di queste ag-gressioni finiscono per creare uno stato di ipersensibi-lità del segmento midollare corrispondente, che provo-ca a sua volta una ipersensibilità dei tessuti del meta-mero, evidenziabile da una cellulalgia nel dermatoma,dai cordoni mialgici induriti (con o senza dei “punti gril-letto dolorosi”) in certi muscoli del miotomo e infineuna ipersensibilità delle inserzioni tenoperiostee. Tut-te queste manifestazioni CTM sono esse stesse sorgen-ti di stimoli nocicettivi, concorrendo a creare e a man-tenere questa ipersensibilità del segmento e dei tessu-ti del metamero, poiché, senza riposo assoluto della re-gione, il circuito doloroso, così creato, sarà continua-mente riattivato.

Questi fenomeni provocano un stracarico funziona-le a livello dei muscoli interessati, che diventano essistessi sorgenti di dolore, fino a quando, con il tempo,si instaurano delle reazioni periarticolari. Il meccanismosregolato ha sempre meno tendenza a normalizzarsispontaneamente.

Il concetto di DDIM colma un vuoto nella patologiadolorosa del rachide. Non solo fornisce un substrato me-dicalmente accettabile e clinicamente logico alle mani-polazioni; ma supera ampiamente il quadro di tale mez-zo terapeutico. Esso chiarisce un gran numero di dolo-ri vertebrali comuni, per i quali è possibile non solo da-re una spiegazione razionale, ma soprattutto proporreun trattamento che tiene conto delle sue origini e del-lo stato clinico e radiologico del paziente.

Valutazione strumentale

La valutazione strumentale dei dolori vertebrali comu-ni è possibile solo attraverso apparecchiature che pos-sano rilevare le disfunzioni dolorose e non l’anatomo-patologia dell’apparato locomotore: la termografia (Gat-to e Giusti, 1976; Gatto e Cossu, 2006) e l’esame elet-trodiagnostico della sensibilità con curve intensità/tem-po (Gatto, 1986) per lo studio delle dermocellulalgie;il bio-feedback elettromiografico computerizzato (Gat-to et al., 1988) per i cordoni mialgici; la valutazione iso-dinamica con isostation B 200 (Gatto et al., 1989) perlo studio del movimento della colonna vertebrale.

TermografiaLa termografia è una tecnica per la diagnostica non in-vasiva che analizza la distribuzione termica della cute.Confronti eseguiti con strumenti convenzionali (RM, TC,PET, radiografia ed ecografia) hanno confermato l’atten-dibilità delle indicazioni fornite attraverso questa me-todica particolarmente rapida ed economica.

La termografia è fra i primi strumenti diagnosticiscientifici; già Ippocrate nel VI sec. a.C. osserva la tem-peratura cutanea per individuare la sede e la natura dinumerose patologie; ma la prima versione strumentale,già valutata in passato, non ha fortuna sia per le tecno-logie non perfettamente adeguate, sia per difetti di com-prensione delle indicazioni. Questi strumenti avevanoconsentito di verificare interessanti correlazioni, ma ave-vano anche evidenziato una notevole difficoltà di inter-pretazione e una modesta affidabilità clinica. Tuttavia inquegli anni alcuni Autori affermarono che la termogra-fia era utile nell’80% dei casi di dolori vertebrali comu-ni (Gatto e Giusti, 1976).

Studi recenti (Gatto e Cossu, 2006) dimostrano chela teletermografia digitale ad alta risoluzione (Micene®)può essere considerata uno strumento diagnostico ric-co di informazioni ripetibili e confrontabili, nella “cel-lulalgia”, manifestazione cutanea dolorosa al “pincé-rou-lé” nel dermatoma del nervo spinale corrispondente alsegmento vertebrale sofferente, da disturbo doloroso in-tervertebrale minore o da “poussée” infiammatoria d’ar-trosi o da ernia discale.

Le variazioni di temperatura corrispondono alle va-riazioni circolatorie nell’area cutanea e non oltre. Le cau-se endogene di queste variazioni di temperatura sono

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generalmente dovute al sistema nervoso simpatico. Per-ciò il teletermogramma può essere interpretato come va-riazioni di resistenza cutanea o di variazioni nella pro-duzione di sudore. Pertanto la termografia elettronica ainfrarossi, se paragonata ad altri esami similari, risultasuperiore per dati temporali, spaziali e di convenienza.

La termografia può fornire alla medicina manuale unaconferma e una verifica della semeiotica manuale, an-

che in carenza di chiari segni per immagini diagnosti-che tradizionali. Può essere considerata un valido mez-zo di valutazione obiettiva dei risultati della terapia ma-nuale (Figure 39.21 e 39.22).

Infine, bisogna sottolineare il notevole interesse me-dico-legale rappresentato dalla iconografia termograficaa testimonianza di sindromi dolorose di origine vertebra-le non evidenziabili con la diagnostica per immagini.

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

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FIGURA 39.21 Termografia primadel trattamento manuale.

FIGURA 39.22 Termografia dopo iltrattamento manuale.

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Terapia

Trattamenti manuali

I trattamenti manuali comprendono:� manovre che agiscono direttamente sul rachide o sul-

le articolazioni periferiche mobilizzandole: manipo-lazioni, mobilizzazioni;

� manovre che agiscono direttamente sui muscoli o suilegamenti: stiramenti, massaggi di decontrazione mu-scolare, massaggi trasversali profondi dei tendini;

� manovre che riguardano i tessuti molli: piani cuta-nei e sottocutanei, muscoli, tendini, legamenti.

Manipolazioni vertebraliLa manipolazione è una mobilizzazione passiva forzatache comporta alla fine della corsa (messa in tensione)un breve impulso forzato, molto limitato in ampiezza;si accompagna abitualmente a un rumore caratteristicodi “crak” e tende a portare uno o più segmenti verte-brali o gli elementi di un’articolazione, al di là del lorogioco abituale, fino al limite del loro gioco anatomicopossibile e in una determinata direzione.

Si tratta pertanto di un atto medico preciso, le cuicoordinate sono determinate da un esame preliminaree la cui indicazione suppone una diagnosi medica benstabilita.

Bisogna tuttavia sottolineare, per evitare incompren-sioni, che con il termine “manipolazione” nella lettera-tura anglosassone si intende l’insieme delle tecniche ma-nuali (eccetto i massaggi) che, in questa trattazione, vie-ne differenziato in manipolazione (“thrust techniques”o “low amplitude, high velocity technique”) e in mobi-lizzazione (“articulatory technique”).

Essa comporta tre tempi:� messa in posizione del paziente e dell’operatore;� messa in tensione del segmento da trattare;� impulso manipolativo propriamente detto.

Immaginiamo un paziente disteso sul dorso, mentreil medico gli tiene la testa tra le mani (Figure 39.23 e39.24): questa è la “messa in posizione”. Poi il medicoimprime al collo una rotazione verso sinistra fino ad ave-re l’impressione di essere arrivato alla fine del massimomovimento possibile; insiste leggermente ed è la “mes-sa in tensione”. Se a partire da questo punto, con un pic-colo colpo secco e molto breve del polso destro, effet-tua un impulso che imprime un leggero movimento dirotazione supplementare, egli ha bruscamente l’impres-sione che una resistenza abbia ceduto e che il segmen-to vertebrale abbia eseguito qualche grado in più di mo-vimento. La caratteristica di questo impulso è che si ac-compagna a un rumore di crak. Questo movimento for-zato, secco, breve, unico, eseguito dalla messa in ten-sione, costituisce l’impulso manipolativo che caratteriz-za la “manipolazione”.

Questo gesto particolare deve essere perfettamentecontrollato dall’operatore e richiede, per essere ben ese-

guito, una certa esperienza, in quanto deve essere com-pletamente indolore dall’inizio alla fine.

Se, a partire dalla messa in tensione, l’operatore tor-na al suo punto di partenza e ricomincia più volte la stes-sa manovra con ritmo ed elasticità, esegue una serie di“mobilizzazioni” in rotazione sinistra. La mobilizzazio-ne è un movimento passivo generalmente ripetuto chenon comporta alcun impulso terminale.

Il rumore caratteristico (crak) che accompagna l’im-pulso manipolativo avviene, a livello vertebrale, nelle ar-ticolazioni posteriori ed è simile a quello che si provocacon le dita quando si separano bruscamente le superficiarticolari. Occorrono, perché si produca, certe condizio-ni di posizione e di direzione della trazione. Esso è do-vuto al fenomeno di cavitazione: si forma al momento diseparazione articolare una bolla di vuoto nel liquido si-noviale. I gas sciolti in esso vi precipitano bruscamente

VOLUME II TECNICHE

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FIGURA 39.23 Manipolazione cervicale.

L

M

TP

A

L A

1

2

3

FIGURA 39.24 Movimento attivo (A). Movimento passivo (P).Messa in tensione (T). Manipolazione propriamente detta o im-pulso manipolativo (M). Se questo impulso sorpassasse il limiteanatomico (LA), si verificherebbe una lussazione (L). (Da: MaigneR. Medicina manuale. Torino: UTET, 1996)

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provocando il rumore di crak. La bolla di vuoto vienequindi sostituita da una bolla di gas, che viene poi rias-sorbito nel liquido sinoviale. Quando l’articolazione tor-na allo stato normale e il gas è completamente riassorbi-to (15-20 min), si può ottenere un nuovo crak. Questorumore non è affatto la testimonianza di una manovra riu-scita o di qualcosa che si è rimesso a posto, ma l’artico-lazione che fa crak ha un comportamento diverso da quel-la che non lo fa: nel primo caso si ha all’inizio una certaresistenza all’allontanamento dei capi articolari, poi si pro-duce in maniera esplosiva, mentre nel secondo caso ini-zia presto e continua in modo progressivo.

L’azione sui meccanocettori è evidentemente diver-sa nelle due condizioni: nel caso con il crak si può ot-tenere un potente riflesso di inibizione.

DIFFERENTI TIPI DI MANIPOLAZIONI Le tecniche mani-polative si possono classificare in tre categorie: dirette,indirette, semi-indirette.

Le manipolazioni dirette (Figura 39.25) si praticano,con il paziente prono, attraverso il palmo della mano, ingenere il pisiforme. La forza esercitata viene applicata sul-la traversa o sulla spinosa. Essa è troppo spesso mal pra-ticata e in modo troppo brusco. Bisogna sempre agire ri-spettando i due tempi: una pressione lenta assicura lamessa in tensione, l’impulso la manipolazione. Una va-riante consiste nell’appoggiare lentamente e rilasciare bru-scamente. Queste tecniche non sono dosabili, sono spes-so sgradevoli, pericolose e offrono possibilità limitate.

Le manipolazioni indirette (Figura 39.26), al contra-rio delle precedenti, sono di una infinita varietà: pos-sono essere eseguite in tutti i sensi e su tutti i segmen-ti con una forza sempre dosabile. Esse danno anche lapossibilità di eseguire mobilizzazioni ripetute, progres-sive, e di analizzare la mobilità segmentaria. L’operato-re utilizza i bracci di leva naturali del corpo per agiresulla colonna vertebrale.

La precisione di queste tecniche può essere aumen-tata con le manipolazioni semi-indirette. In esse il mo-vimento globale è impresso a distanza dal punto da ma-nipolare, come in quelle indirette, ma l’operatore, me-diante pressioni e contropressioni applicate direttamen-te al segmento da trattare o a quello sottostante, puòottenere una localizzazione più precisa dell’effetto ma-nipolativo.

Nelle manipolazioni semi-indirette assistite la pres-sione locale viene esercitata nello stesso senso del mo-vimento (Figura 39.27).

Nelle semi-indirette contrastate si effettua invece unacontropressione che si oppone al movimento globale, aldi sotto dell’articolazione che si vuole sollecitare (Figu-ra 39.28).

REGOLA DEL NON DOLORE E PRINCIPIO DEL MOVIMEN-TO CONTRARIO In tutti i casi in cui il trattamento ma-nipolativo è indicato, esistono delle manovre utili, al-cune pericolose, altre indifferenti: si tratta, quindi, di tro-vare le prime ed evitare le altre.

Il sistema di applicazione delle manipolazioni, secon-do la scuola di Maigne, non è fondato sulla nozione dimotilità vertebrale segmentaria (ipomobilità) o di mal-posizione, ma su quella del dolore provocato dal movi-mento passivo applicato sul segmento vertebrale inte-ressato (esame segmentario codificato).

Il principio di base consiste nel forzare il movimen-to passivo indolore (non dolore), opposto al movimen-to passivo doloroso (movimento contrario).

In pratica, ogni segmento vertebrale può essere mos-so in sei direzioni: flessione, estensione, inclinazione de-stra e inclinazione sinistra, rotazione destra e rotazionesinistra. La manovra utile è quella che combina gli orien-tamenti liberi opposti a quelli dolorosi o bloccati; si puòcosì eseguire una successione di manovre unidireziona-li secondo ciascuna delle direzioni libere.

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

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FIGURA 39.25 Manipolazione diretta. FIGURA 39.26 Manipolazione indiretta.

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Questa regola di applicazione, proposta da Maignenel 1959, fondata su basi pragmatiche, verificata costan-temente dall’esperienza, trova la sua giustificazione fi-siologica attraverso l’azione favorevole della manipola-zione, sia sul riflesso d’inibizione (terminazioni del grup-po II dei fusi neuromuscolari) con l’allungamento bru-sco dei muscoli contratti, provocando un’inibizione deimotoneuroni e un rilasciamento muscolare, sia con lastimolazione dei meccanocettori (tipo II) e non dei no-cicettori articolari (tipo IV).

Il risultato dell’esame clinico viene riportato sulloschema a stella a sei raggi (Figura 39.29) che raffigura:con una, due o tre croci, a seconda dell’importanza, lalimitazione dolorosa; con una, due o tre barre, a secon-da dell’entità, la limitazione non dolorosa; con un cer-chio il passaggio doloroso.

La manipolazione utile in questi casi (se non ci so-no controindicazioni cliniche) si può eseguire sia conmanovre nelle direzioni libere opposte a quelle doloro-se e bloccate, sia con manovre che combinano questedirezioni.

Se tutti i sensi del movimento sono dolorosi, non è pos-sibile alcuna manipolazione, come abitualmente avvienenelle affezioni infettive, infiammatorie, tumorali, trauma-tiche. Tuttavia, la stessa situazione può succedere anchenelle affezioni comuni di origine meccanica, rappresen-tando una controindicazione tecnica alla manipolazione.

La manipolazione, come tutte le altre terapie, presup-pone una diagnosi preliminare e deve essere eseguita so-

lo dopo che si sia accertata l’origine meccanica della le-sione e siano state eliminate tutte le altre cause patolo-giche che costituiscono le controindicazioni cliniche altrattamento manipolativo. Oltre a ciò, per essere appli-cabile, occorre che:� lo stato del rachide e lo stato vascolare lo permettano;� sia tecnicamente possibile secondo la regola del non

dolore e del movimento contrario;� le prime sedute di applicazione diano un esito posi-

tivo.

VOLUME II TECNICHE

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FIGURA 39.27 Manipolazione semi-indiretta assistita. FIGURA 39.28 Manipolazione semi-indiretta contrastata.

FIGURA 39.29 Un tratto sulla barra della stella segnala una li-mitazione non dolorosa. A seconda dell’entità di questa limi-tazione, si segnano uno, due o tre tratti. Una crocetta indicauna limitazione dolorosa. A seconda dell’entità di questa limi-tazione, si segnano una, due o tre crocette. Un cerchio indicaun passaggio doloroso. (Da: Maigne R. Medicina manuale. To-rino: UTET, 1996)

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SEDUTA DI TRATTAMENTO Una volta stabilita la diagno-si premanipolativa, la seduta di trattamento compren-de tre fasi:� manovre di decontrazione muscolare generale e lo-

cale;� manovre di mobilizzazione orientate;� manovre di manipolazione (impulso) propriamente

dette.

Nella maggior parte dei casi, la prima manovra vie-ne eseguita nella direzione opposta a quella più blocca-ta e più dolorosa. Il risultato di questa prima manovraè stabilito sulla base di un nuovo test (schema a stella);in funzione di questo, una seconda manovra può esse-re eseguita con un altro orientamento libero come co-ordinata principale. Dopo un nuovo esame, può essereapplicata una terza manovra utilizzando eventualmen-te degli orientamenti che le manovre precedenti hannoliberato. Nella stessa seduta non è opportuno eseguirepiù di tre manipolazioni consecutive su un segmento ver-tebrale. Talvolta è preferibile eseguire mobilizzazioni ostiramenti manuali.

NUMERO E FREQUENZA DELLE SEDUTE Il numero del-le sedute può variare in media da una a tre, in certi ca-si cronici cinque o sei. Tutto è in funzione del caso trat-tato e dei risultati parziali ottenuti in ciascuna seduta.

In generale, se non si ha alcun miglioramento del do-lore spontaneo e dei segni di esame dopo tre sedute, èinutile proseguire.

La frequenza varia in funzione del caso, del modo piùo meno spinto, più o meno preciso, con cui l’operato-re esegue le sue manovre: una o due alla settimana.

Il dosaggio delle manovre e la frequenza delle sedu-te sono elementi molto importanti nel trattamento conmanipolazioni.

MECCANISMO D’AZIONE DELLE MANIPOLAZIONI Comeè già stato riferito nei cenni storici della medicina ma-nuale, numerosi Autori hanno cercato modelli interpre-tativi diversi in relazione alle conoscenze scientifiche del-l’epoca storica (Gatto e Rovere, 2000a).

Per Ippocrate, si “raddrizzano le curvature del rachi-de indotte da cause esterne”; per Still, si ristabilisce l’equi-librio premorboso del sistema osteo-muscolo-legamento-so e dell’apparato circolatorio e linfatico; per Palmer, si cor-regge la sublussazione vertebrale ripristinando il flusso dienergie tra cervello e organi periferici; per Mennel, si ri-stabilisce il “gioco articolare”; per Cyriax, si reintegra il nu-cleo discale e si sopprime ogni eventuale protrusione.

Ma è Maigne che, abbandonando il concetto di le-sione osteopatica, prendendo in considerazione i segniclinici locali e a distanza attraverso l’esame segmenta-rio e introducendo i concetti di DDIM e di sindrome seg-mentaria CTM, rende possibile un moderno modello in-terpretativo.

Nonostante questi e altri contributi interpretativi, laspiegazione del meccanismo d’azione delle manipolazio-

ni resta ancora fondato su basi ipotetiche. Sappiamo chespesso all’origine del disordine reversibile vi è un mo-vimento sbagliato e che la manipolazione è in grado dicorreggerne le conseguenze. Infatti, la maggior parte del-le scuole di Medicina Manuale, a livello internazionale,considera questi disordini meccanici reversibili una per-dita di motilità della vertebra interessata: la manipola-zione restaura il movimento fisiologico. Purtroppo que-sta perturbazione non è, salvo casi eccezionali, dimo-strata da esami radiografici. È percepita e analizzata daun sistema raffinato di palpazione la cui validità può es-sere messa in dubbio non dal fatto che le modificazio-ni dei tessuti siano reali, ma dall’interpretazione che neviene fatta dall’operatore.

Maigne giunge finalmente al concetto di DDIM, conil quale viene preso in considerazione soltanto il dolo-re del segmento che viene sollecitato da manovre pre-cise. Queste manovre sono indolori sugli altri segmen-ti. Quando la manipolazione ha un effetto positivo il seg-mento ritorna “normale” e il soggetto non risente piùdel dolore locale o a distanza.

La manipolazione, inquadrata in ambito riabilitativo,potrebbe agire attraverso effetti meccanici, riflessi e anal-gesici.

Effetti meccanici Gli effetti meccanici sono i primi aiquali si pensa e potrebbero derivare da un’azione diret-ta sul disco e/o sulle articolazioni interapofisarie.

Le lesioni discali modificano il funzionamento del seg-mento mobile, provocando spesso un sovraccarico sul-le articolazioni interipofisarie. Si può quindi immagina-re che delle lesioni intradiscali (incarcerazioni intradisca-li, mute esse stesse) possano provocare una disfunzionedolorosa delle articolazioni posteriori o creare una ten-sione anormale del legamento interspinoso. Questo po-trebbe essere il meccanismo di certi DDIM e spiegare l’ef-fetto della manipolazione che normalizzerebbe tempo-raneamente il funzionamento del segmento. Ma, il piùdelle volte, i DDIM sono situati su segmenti in cui i di-schi sono normali o assenti (cervicali superiori). Il ruo-lo delle lesioni discali riducibili può essere preso in con-siderazione solo in pochi casi di DDIM. La pressione in-tradiscale varia in due fasi successive nel corso di unamanipolazione vertebrale. Dapprima un avvicinamentodei corpi vertebrali adiacenti attribuito alla disposizioneobliqua delle fibre anulari messe in tensione dalla com-ponente rotatoria della manipolazione, con aumento del-la pressione intradiscale. La fase finale, caratterizzata dal-la trazione, si accompagna a un allontanamento di cor-pi vertebrali con diminuzione della pressione intradisca-le, inferiore al valore di partenza. Le variazioni di pres-sione indotte dalla manipolazione potrebbero avere unruolo favorevole di omogeneizzazione e di riduzione deipicchi di pressione intradiscali, considerati come una del-le cause della lombalgia posturale (Maigne, 2001).

A livello delle articolazioni posteriori, si entra in uncampo ancora più ipotetico rispetto alle lesioni discali.Sicuramente è a questo livello che nascono le perturba-

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zioni che vengono trattate efficacemente con la mani-polazione. Alcuni Autori hanno cercato nel “blocco ar-ticolare posteriore” la spiegazione dell’azione manipo-lativa. Negli anni 60, sulla base di lavori di Tondury eZukschwerdt, si pensava che a livello di tali articolazio-ni esistesse un piccolo menisco capace di bloccarsi. Inseguito, la scuola francese ha chiarito che a livello del-le articolazioni posteriori sono presenti pliche della cap-sula articolare con struttura meniscoide. L’efficacia deltrattamento manipolativo deriverebbe, in questi casi, dal-la possibilità di liberare le pieghe della capsula artico-lare incapsulate. L’effetto meccanico consiste, quindi, nelrestaurare una motilità normale in un’articolazione cheha perduto il suo gioco articolare (disfunzione articola-re), come del resto si potrebbe ottenere, con minore ef-ficacia, con le mobilizzazioni passive tradizionali.

Effetti riflessi Per spiegare l’insieme dei fenomeni osser-vati dopo una manipolazione vertebrale è necessario con-siderare anche un effetto riflesso. Ogni sofferenza deglielementi costituenti il segmento mobile, e in particola-re il legamento comune posteriore, le articolazioni inte-rapofisarie, il legamento interspinoso, i muscoli, compor-ta una reazione riflessa che tende a immobilizzare o a li-mitare i movimenti del segmento vertebrale. In questareazione riflessa, la contrattura muscolare è l’elementoessenziale. Una contrattura muscolare dolorosa segmen-taria può, in certe condizioni, perpetuarsi, mentre il ra-chide continua a funzionare in maniera strettamente au-tomatica. L’articolazione interapofisaria può rappresen-tare la causa iniziale di questa disfunzione, ma, anche senon lo è, può diventare la vittima. Inoltre, la contrattu-ra persistente affatica i muscoli motori del segmento chediventano, essi stessi, fonte di riflessi nocicettivi.

Bisogna anche ricordare i rapporti particolari esisten-ti tra i fasci muscolari del muscolo intertrasversario e irami interni ed esterni della branca posteriore del ner-vo rachideo. La branca posteriore fornisce, infatti, ramiper l’articolazione interapofisaria e rami che contempo-raneamente innervano e attraversano i fasci muscolari pa-ravertebrali. È quindi possibile che si crei un disturbocanalicolare del nervo da contrattura permanente di que-sti muscoli; senza contare che il ramo interno, a livellolombare, passa in un canale osteofibroso. Questo spie-ga anche la cellulalgia da sofferenza del ramo posterio-re. Questa modificazione cutanea è infatti la manifesta-zione più frequente e più precoce della sindrome CTM.

La disfunzione muscolare riflessa ha un ruolo essen-ziale nei disturbi vertebrali reversibili. In alcuni casi èsufficiente poter distendere un fascio muscolare contrat-to con mezzi manuali o anestetici locali per eliminareun dolore vertebrale acuto o cronico.

La manipolazione esercita anche una brusca trazio-ne su organi ricchi di recettori propriocettivi: tendini,legamenti, capsula articolare. Eseguita nel senso favo-revole, senza dolore, provoca un potente riflesso inibi-torio a livello midollare. Si tratta di una inibizione pre-sinaptica degli impulsi nocicettivi a livello delle corna

posteriori del midollo; questo riflesso agisce, però, so-lo se la manipolazione viene eseguita nel senso oppo-sto a quello doloroso, stimolando così solo i meccano-recettori corrispondenti e non i nocicettori che ripristi-nerebbero il circolo vizioso dolore-contrattura.

Effetti analgesici Uno degli aspetti più spettacolari del-la terapia manipolativa è l’azione analgesica, sovente im-mediata e duratura. Per spiegare questo fenomeno in mo-do razionale bisogna avvalersi delle moderne scoperteneurofisiologiche sul dolore.

Il DDIM è un dolore articolare meccanico che coin-volge la capsula delle articolazioni interapofisarie ver-tebrali, in conseguenza di posture viziate o obbligate,come si verifica in numerose occupazioni. Le manipo-lazioni vengono eseguite nel senso libero del dolore, evi-tando la possibilità di stimolare i nocicettori articolari,mentre viene esaltata l’attività dei meccanorecettori (IItipo). Questo provoca un aumento della scarica afferen-te attraverso le fibre di grosso calibro A alfa e A beta,attivando i meccanismi di inibizione sulle fibre lente dipiccolo calibro, dolorifiche A delta e C. A livello sopra-spinale, e in particolare nella corteccia cerebrale, le in-formazioni ricevute dalle fibre di grosso calibro sono re-sponsabili della produzione di endorfine che hanno unimportante ruolo antalgico. Le endorfine sarebbero al-la base dell’effetto antalgico che segue la manovra ma-nipolativa, e che perdura durante le ore successive.

Rimane ora da spiegare l’effetto analgesico sulla sin-drome CTM nel metamero corrispondente al segmentovertebrale doloroso. Queste modificazioni sensitive so-no riconducibili a un dolore irradiato (“projected pain”,“douleur rapportée”), provocato da un processo pato-logico localizzato nel decorso di un nervo periferico equindi con distribuzione metamerica. Upton e Mc Co-mas (1973) hanno dimostrato che compressioni sul tra-gitto di un nervo facilitano la presenza di una patolo-gia distale, “double crush syndrome”. Ad esempio, unasindrome del canale carpale che comprime la parte di-stale del nervo sarà più facilmente provocabile quantopiù gli assoni che costituiscono il nervo mediano sonoirritati o compressi nel loro tragitto prossimale. Gli Au-tori ipotizzano che un disturbo del flusso assonale pos-sa provocare alterazioni della funzione trofica del ner-vo. Una parte fondamentale della loro ipotesi è che lefibre nervose posseggano, normalmente, un “fattore disicurezza”che potrebbe essere ridotto da numerosi fat-tori meccanici (stiramento, pressione cronica sul nervo)o generali. Un meccanismo di questo tipo potrebbe gio-care un ruolo nella genesi delle manifestazioni della sin-drome CTM.

SCHEMA DEL MECCANISMO D’AZIONE Un possibile mec-canismo d’azione delle manipolazioni potrebbe esserecosì schematizzato (Gatto et al., 1991). Una causa mec-canica (falso movimento, postura scorretta ecc.) potreb-be provocare dolore articolare funzionale, contratturamuscolare riflessa con limitazione articolare. A livello ar-

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ticolare posteriore tale fenomeno può comportare com-pressione e relativa ischemia dei rami del nervo rachi-deo, con successiva neuropatia funzionale che si mani-festerebbe con la sindrome CTM. Questa neuropatia èsecondaria allo squilibrio tra gli stimoli propriocettiviprovenienti dalle fibre di grande diametro e gli stimolinocicettivi derivanti dalle fibre di piccolo diametro (“ga-te control” di Melzack e Wall).

Un movimento forzato, come la manipolazione cheporta bruscamente gli elementi articolari oltre il loro gio-co senza superare il limite del movimento anatomico,agisce direttamente sul dolore articolare attraverso la sti-molazione dei meccanorecettori e l’inibizione dei noci-cettori. Questo comporta il ripristino della normale am-piezza del movimento, la riduzione immediata della con-trattura muscolare e della compressione nervosa, la scom-parsa della sintomatologia dolorosa periferica con il ri-torno al fisiologico equilibrio tra afferenze tattili, pro-priocettive e afferenze dolorifiche.

CONTROINDICAZIONI E INCIDENTI È necessario distin-guere le controindicazioni cliniche e quelle tecniche del-le manipolazioni.

Controindicazioni cliniche o assolute sono tutte le af-fezioni tumorali, infettive, infiammatorie e le fratture delrachide; bisogna inoltre escludere dal trattamento i pa-zienti che presentano gravi osteoporosi, malformazionidella cerniera cervico-occipitale e soprattutto segni diinsufficienza vertebro-basilare.

Esistono, inoltre, controindicazioni tecniche: la ma-nipolazione è controindicata se la “regola del non do-lore” e il “principio del movimento contrario” non pos-sono essere applicati (perché l’esame premanipolativodimostra che non esistono almeno tre direzioni libereo indolori). Ci sono colonne sulle quali la manipolazio-ne sembra impossibile tanto sono rigide; in questi casisono più utili le mobilizzazioni. Il paziente ha paura del-le manipolazioni. Ultima, ma non meno importante, con-troindicazione è l’operatore non perfettamente padronedelle tecniche.

Le tecniche sono lunghe da assimilare, come i gestidel tennis o del golf, e l’operatore deve, dunque, nonsolo essere un medico esperto di patologia osteoartico-lare, ma anche possedere una buona abilità tecnica, perla quale ci vuole un lungo tempo di apprendimento. Inun anno di lavoro quotidiano è possibile apprendere so-lo le tecniche di base e applicarle in casi facili. È me-glio non manipolare che farlo male.

Esistono certamente dei rischi e quindi incidenti nel-la pratica manipolativa. Il controllo radiografico, un’ac-curata semeiotica premanipolativa e una corretta e scru-polosa tecnica manipolativa mettono al riparo da inci-denti che, in verità, con tali premesse, sono ecceziona-li. Nelle manipolazioni, infatti, bisogna soprattutto te-mere il manipolatore.

Gli incidenti drammatici, mortali o che lasciano gra-vissime menomazioni (lesioni midollari, trombosi ver-tebro-basilari, tetra- e paraplegie) sono dovuti a mano-

vre intempestive su rachidi che presentano metastasi,mielomatosi, gravissime osteoporosi, morbo di Pott, ma-lattie ematologiche e metaboliche. A livello cervicale, ma-novre imprudenti in presenza di insufficienza vertebro-basilare latente possono causare la sindrome di Wallem-berg (lesione dell’arteria cerebellare posteriore e inferio-re) con quadro clinico di lesione latero-bulbare. Dei sem-plici test di postura permettono di evitare gran parte diquesti incidenti, quando l’esame clinico non ha già ri-velato questo rischio.

Si possono distinguere:� incidenti gravi, che provocano una invalidità per un

periodo di tempo più o meno lungo, lasciando fre-quentemente degli esiti (ronzio, fratture vertebrali, pa-ralisi radicolari e plessiche);

� incidenti transitori senza gravità ma fastidiosi: cefa-lee, vertigini, lipotimie, ronzio e sordità temporanee,precordialgie, nausee e momentanee esacerbazioni deldolore.

VALUTAZIONE In letteratura sono valutate essenzialmen-te le manipolazioni vertebrali nel settore delle lombal-gie e delle cervicalgie meccaniche. Nelle rachialgie co-muni i criteri principali di valutazione sono: il dolore(spontaneo o provocato, locale o proiettato), l’ampiez-za dei movimenti del rachide, i punteggi funzionali, ilconsumo di farmaci.

Lavori clinici non controllati riportano risultati sod-disfacenti nel 60-95% dei casi: ogni Autore si basa sul-la sua esperienza e sulla sua valutazione soggettiva.

Lavori clinici controllati basati su una metodologiamoderna danno risultati promettenti, anche se l’effica-cia delle manipolazioni vertebrali non è stata ancora di-mostrata in maniera assoluta in tutte le eziologie di ra-chialgia meccanica. Ciò dipende dalla grande variabili-tà delle tecniche manipolative e alla non omogeneità del-le popolazioni di pazienti lombalgici o cervicalgici in-clusi negli studi scientifici.

Nelle cervicalgie subacute e croniche esisterebbe qual-che argomento scientifico che raccomanderebbe le ma-nipolazioni, la cui efficacia è leggermente superiore aquella di altre terapie manuali e fisiche abituali.

Nelle cefalee cervicali, qualche studio ha riportato ef-fetti più o meno favorevoli a breve termine.

La maggior parte delle linee guida delle lombalgie rac-comanda la pratica delle manipolazioni vertebrali nellafase acuta. Una recente revisione ne ha confermato l’uti-lità a breve termine nelle lombalgie acute recenti, comu-ni, meccaniche, senza conflitto discoradicolare, con unlivello di prova relativamente basso, ma significativo.

Nelle lombalgie croniche il livello di prova dell’effi-cacia a breve termine delle manipolazioni è più elevato.

LEGISLAZIONE La pratica delle manipolazioni vertebralicomporta, come si sa, rischi di incidenti per fortuna po-co numerosi ma talvolta drammatici. In questo caso la re-sponsabilità del medico non differisce dalle altre respon-sabilità mediche sul piano civile, penale e disciplinare.

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La legislazione relativa a chi deve praticare la mani-polazione varia da Paese a Paese, in Europa e nel restodel mondo.

In sei Paesi (Francia, Belgio, Lussenburgo, Olanda, Da-nimarca, Spagna) le manipolazioni sono considerate co-me un atto medico. In particolare, in Francia, il D.M.06/01/62 tuttora in vigore stabilisce espressamente che“possono essere praticate solamente dai dottori in Me-dicina i seguenti atti: ogni mobilizzazione forzata dellearticolazioni e riduzioni di dislocazioni ossee, ogni ma-nipolazione vertebrale e in generale ogni trattamento det-to di osteopatia, spondiloterapia (o vertebroterapia) e dichiropratica”.

In Inghilterra ogni persona non qualificata può eser-citare la professione medica a condizione di non usa-re il titolo di dottore in Medicina. Questa disposizio-ne spiega perché, in questo Paese, i chiropratici e gliosteopati hanno diritto di esercitare comunque al difuori del servizio sanitario nazionale (National HealthService).

In Germania la chiropratica viene eseguita da un Heil-pratiker, cioè da una persona che senza possedere il ti-tolo medico può praticare la medicina, ma che deve es-sere comunque iscritta in un apposito albo.

In Italia, oltre che in campo medico, le manipolazio-ni vertebrali possono essere praticate da chiropratici cheesercitino la loro professione sotto la responsabilità deimedici come precisa la circolare del 21/12/82 del Mini-stero della Sanità.

Ciascun Paese ha perfettamente il diritto di riservarecerti atti medici a una professione determinata in fun-zione della sua politica di sanità pubblica.

In conclusione, le manipolazioni sono atti medici, nonprescrivibili, nei quali l’improvvisazione non è possibi-le; solo una grande prudenza nella loro esecuzione e unnotevole rigore nell’esame clinico permetteranno di evi-tare gli incidenti e un uso improprio.

PRINCIPALI TECNICHE MANIPOLATIVE Le manovre chepermettono di realizzare una manipolazione sono innu-merevoli. Quelle descritte in questo capitolo sono di piùfacile acquisizione e permettono di risolvere la maggiorparte dei quadri clinici riscontrati in patologia vertebra-le comune.

Esistono molti parametri sui quali l’operatore può agi-re, che permettono di adattarsi al caso trattato, alla mor-fologia del paziente in funzione delle zone dolorose:� la posizione del malato: supino, prono, sul fianco, se-

duto normalmente e a cavallo, in piedi;� la posizione dell’operatore in piedi o seduto, in rap-

porto al paziente (di fronte, di dietro o di lato);� i punti di appoggio utilizzati: indice, pisiforme, ma-

no, avambraccio, ginocchio;� la loro localizzazione in rapporto al segmento da ma-

nipolare: a distanza, a contatto, entrambe insieme;� il senso dell’impulso manipolativo, postero-anteriore,

latero-laterale, podalico-cefalico;� l’utilizzo di accessori: asciugamano, cintura.

È necessario seguire un protocollo rigoroso. La ma-nipolazione non deve mai essere un gesto improvvisa-to, ma la meta di un iter, nel corso del quale ogni tap-pa è importante: messa in posizione del paziente, de-terminazione dei punti di appoggio, posizionamento del-l’operatore, localizzazione esatta del segmento da ma-nipolare, messa in tensione, impulso manipolativo.

L’apprendimento della manipolazione non può esse-re solo teorico, attraverso la lettura di riviste scientifi-che o libri. Queste tecniche si imparano eseguendole sot-to il controllo di un docente. L’acquisizione degli auto-matismi necessari per un buona esecuzione del gesto ma-nipolativo necessita di un lungo tirocinio.

Le principali tecniche manipolative sono le seguenti.1. Tecnica “mento libero”. Può essere utilizzata a tutti

i livelli del rachide cervicale, facendo variare il pun-to di applicazione. È una tecnica in rotazione, ma sipresta a tutte le combinazioni con flessione, esten-sione o lateroflessione (Figura 39.30).

2. Tecnica del “mento bloccato”. Questo movimento,reso molto potente dal blocco della testa, deve es-sere estremamente preciso e perfettamente control-lato dall’inizio alla fine (Figura 39.31). Una varian-te di tale tecnica è che l’impulso manipolativo vie-ne dato dal pollice, anziché dal bordo radiale del-l’indice, ed è utilizzata per il rachide cervicale su-periore e per la cerniera occipito-cervicale (Figura39.32).

3. Tecnica della “mano anteriore” di R. Maigne. Vie-ne eseguita con paziente seduto: l’operatore, postodal lato dove desidera eseguire la rotazione, collo-ca il dito medio a contatto della trasversa della ver-tebra sulla quale deve essere esercitata la manovra,mentre appoggia l’altra mano sulla regione fronto-parietale e porta il collo in rotazione massima (Fi-gura 39.33).

4. Per la giunzione cervico-dorsale si utilizzano preva-lentemente tre tecniche: la prima è in “decubito la-terale” con lateroflessione pura oppure associandouna flessione o una estensione (Figure 39.34 e39.35).

5. La seconda tecnica è in “appoggio laterale sulla spi-nosa” in posizione seduta.

6. La terza tecnica è quella del “mento perno” in posi-zione prona, sia con il contrappoggio sulla trasver-sa delle prime vertebre dorsali, con l’eminenza te-nar (Figura 39.36).

7. La tecnica in “appoggio epigastrico” si può eseguirein due posizioni: mani-nuca (Figura 39.37) e manoanteriore (Figura 39.38) con il paziente seduto perla regione medio dorsale e inferiore dorsale.

8. La tecnica “mano contro appoggio” con il pazientein decubito dorsale per il rachide dorsale superioree medio con posizione “mano-nuca” (Figura 39.39),per il rachide dorsale inferiore con posizione “a brac-cia incrociate” (Figura 39.40).

9. La tecnica del “paziente seduto a cavallo” è ideale perla rotazione della giunzione dorsolombare. Essa per-

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mette numerose combinazioni con flessione, esten-sione e lateroflessione (Figura 39.41).

10. La tecnica “spalla-bacino in cifosi” permette una ro-tazione del rachide lombosacrale in cifosi con il pa-ziente in decubito laterale (Figura 39.42), con la va-

riante dell’avambraccio che agisce da contrappoggio(Figura 39.43).

11. La tecnica “spalla-bacino in lordosi” permette una ro-tazione del rachide lombosacrale in lordosi con il pa-ziente in decubito laterale (Figura 39.44).

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FIGURA 39.30 Tecnica del “mento libero”. FIGURA 39.31 Tecnica del “mento bloccato”.

FIGURA 39.33 Tecnica della “mano anteriore”.

FIGURA 39.34 Tecnica della giunzione cervicodorsale in “decu-bito laterale”.

FIGURA 39.32 Manipolazione della cerniera occipitocervicale.

FIGURA 39.35 Tecnica della giunzione cervicodorsale in “decu-bito laterale”.

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FIGURA 39.36 Tecnica del “mento perno”.

FIGURA 39.41 Tecnica del “paziente seduto a cavallo”.

FIGURA 39.37 Tecnica in “appoggio epigastrico” in posizionemani-nuca.

FIGURA 39.38 Tecnica in “appoggio epigastrico” in posizionemano anteriore.

FIGURA 39.39 Tecnica “mano contro appoggio”.

FIGURA 39.40 Tecnica “mano contro appoggio” a braccia in-crociate.

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StiramentiLe manovre di stiramento hanno un grande interesse nel-la patologia dolorosa muscolotendinea. Possono esserestiramenti longitudinali, eseguiti secondo l’asse del mu-scolo o del tendine e stiramenti trasversali, eseguiti conuno o più dita che stirano le fibre muscolari o il tendi-ne con una forza generalmente perpendicolare alla lo-ro direzione, ma talvolta li incrociano a X.

Stiramenti longitudinali Consistono nel cercare di al-lungare un muscolo o un tendine manualmente, con po-sture o esercizi attivi. In ogni caso si tratta di manovrelente, progressive.

Stiramenti con azione manuale dell’operatore Tutti san-no che il trattamento più rapido del crampo dello spor-tivo è lo stiramento del muscolo colpito. Degli stiramen-ti simili possono essere utilizzati su tutti i muscoli o grup-pi muscolari che presentano dei cordoni mialgici, adat-tando le tecniche in funzione del caso.

A livello vertebrale, alcune tecniche di mobilizza-zione del trattamento premanipolativo possono esse-re utilizzate come tecniche di stiramento con un’azio-ne precisa su un determinato muscolo o gruppo mu-scolare. La messa in tensione è mantenuta per 5-10 se-

condi e può essere ripetuta più volte secondo lo stes-so principio.

Particolarmente utili sono gli stiramenti associati alraffreddamento della cute, come descritti da Travell, Men-nel e Simons nel trattamento dei “punti grilletto”. Spes-so questi punti mialgici corrispondono ai cordoni mial-gici della sindrome CTM. In questi casi bisogna primatrattare il rachide e quindi, per le forme che persisto-no, utilizzare il trattamento locale. Il medico procede astiramenti longitudinali progressivi, lenti e ripetuti delmuscolo interessato che è stato precedentemente raffred-dato con freon oppure con cloruro di etile. Il getto haun angolo di incidenza con la cute di 30° e una distan-za di 45 cm. Si praticano diverse irrorazioni lungo la di-rezione delle fibre. Secondo gli Autori, il raffreddamen-to produce una inibizione del tono muscolare.

Stiramenti trasversali Gli stiramenti trasversali sonomanovre di base del trattamento empirico. Si tratta distiramenti brevi, lenti, con una pressione costante co-me descritti da E. Bellon. Si aggancia il cordone mial-gico con il polpastrello del dito o delle dita attive e sitira perpendicolarmente alle sue fibre, come se si trat-tasse di una corda di strumento musicale. La manovraè facilitata se il cordone mialgico può essere stirato fi-

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

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FIGURA 39.43 Tecnica “avambraccio-bacino in cifosi”.FIGURA 39.42 Tecnica “spalla-bacino in cifosi”.

FIGURA 39.44 Tecnica “spalla-bacino in lordosi”.

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no a un rilievo osseo. Al termine del trattamento il cor-done è meno sensibile e meno teso che all’inizio, ma at-tenzione: se la manovra viene mal eseguita, si può ag-gravare la situazione.

Gli stiramenti interspinosi sul soggetto in piedi so-no realizzati con l’articolazione interfalangea distale ri-piegata del medio; questa, incollata contro la spinosa sot-tostante con un appoggio fermo, scivola lentamente ver-so l’alto contro la faccia laterale fino al suo bordo supe-riore dove la contorna e, con un movimento breve e sec-co, stira il legamento sopraspinoso, il legamento inter-spinoso (Figura 39.45) ed eventualmente il muscolo in-terspinoso (poco presente a livello dorsale).

Un altro tipo di stiramento è quello che si applicasui muscoli di un certo volume. Ad esempio, per i mu-scoli glutei che presentano dei cordoni mialgici, si po-ne il paziente in posizione prona e si agganciano conil pollice i fasci inferiori del muscolo interessato, par-tendo a livello dell’ischio ci si dirige verso la parte ester-na della fossa iliaca esterna (Figura 39.46). Questa ma-novra è indicata in certe sciatiche o lombalgie, soprat-tutto negli esiti.

Mobilizzazioni passiveLe mobilizzazioni passive sono la messa in movimentodi una o più articolazioni, grazie a una forza esterna alpaziente, fino alla messa in tensione, senza superare illimite fisiologico dell’articolazione stessa. Sono dei mo-vimenti lenti, insistiti, elastici, ben guidati da una ma-no ferma, con una presa forte e continua e soprattuttomolto ritmati.

Per essere efficace, la mobilizzazione passiva deve es-sere applicata al livello articolare desiderato, con un ge-sto preciso e sempre controllato, dopo un precedenteriscaldamento della regione, con l’aiuto di massaggi edi calore. È importante informare il paziente sulla ma-novra che verrà effettuata invitandolo a rimanere com-pletamente passivo.

Per l’applicazione delle manovre, è indispensabile ri-spettare la regola del non dolore e del principio del mo-vimento contrario, al fine di non stimolare reazioni do-lorose di origine recettoriale muscolare, articolare e cu-taneo. Tutte queste tecniche devono essere adattate e mo-dificate in funzione delle reazioni del paziente. Gene-ralmente sono effettuate nella stessa posizione e nella stes-sa direzione che si utilizzano per la manipolazione. Incaso di sintomatologia particolarmente acuta e di vec-chia data è consigliabile limitare il trattamento manua-le a questo stadio di mobilizzazione. In caso contrario,queste tecniche costituiscono un mezzo eccellente perfar prendere confidenza al paziente e per valutare le di-rezioni che verranno poi utilizzate durante la manipo-lazione.

Per il rachide queste mobilizzazioni sono orientate,dapprima globali, interessando in blocco tutta una re-gione, poi selettive, con tecniche semi-indirette che nonsi spingano oltre la messa in tensione, localizzando lespinte su di un livello intervertebrale preciso.

MassoterapiaNei dolori comuni di origine vertebrale, il massaggio per-mette di decontrarre i muscoli paravertebrali e di trat-tare le manifestazioni cellulo-teno-mialgiche di originelocale o di origine rachidea. Il massaggio è di difficileesecuzione e richiede da parte dell’operatore (in questocaso un medico) non soltanto destrezza, ma anche in-telligenza pratica e costante adattabilità. Questo non fa-cilita i lavori scientifici secondo i criteri attuali (medi-cina basata sulle evidenze). Le tecniche massoterapichepossono essere applicate prima o dopo il trattamento ma-nipolativo, ma possono essere utilizzate anche separa-tamente, in particolare, quando le manipolazioni sonocontroindicate.

In presenza di una contrattura dolorosa acuta dei mu-scoli paravertebrali, il massaggio è in grado di attenuar-la notevolmente e a volte di farla scomparire completa-

VOLUME II TECNICHE

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FIGURA 39.45 Stiramento trasversale del legamento interspi-noso.

FIGURA 39.46 Stiramento trasversale sul muscolo medio-glu-teo.

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mente, rompendo il circolo vizioso dolore-contrattura.Le manovre sedative sono sempre lente e progressive.La mano deve percepire le reazioni del muscolo per sco-prire la manovra più efficace. Si deve stabilire un veroe proprio “dialogo” tra la mano del medico e il musco-lo del paziente (Dolto, 1976). Vengono associate a unostiramento delle masse muscolari contratte e a una leg-gera mobilizzazione nel senso del non dolore.

Anche in presenza di un dolore vertebrale cronicosi evidenziano contratture dei muscoli paravertebrali,più o meno intense, estese e permanenti. In questi ca-si si utilizzano due tecniche: manovre di sfioramentoprofondo e continuo, parallelo alla linea delle spinosee manovre di stiramento trasversale (Figura 39.47) do-sate, lente, ritmate, progressive, adattate alla reazionedei muscoli.

Il massaggio è estremamente efficace nel trattamen-to degli infiltrati cellulalgici, dei cordoni mialgici, di cer-ti dolori tenoperiostei e legamentosi, manifestazioni del-la sindrome CTM. Il loro trattamento è giustificato so-lo dopo il trattamento vertebrale.

Le zone cellulalgiche vengono mobilizzate dolcemen-te, in massa, sui piani profondi, in tutte le direzioni, co-me se si volessero scollare. Queste manovre vengono se-guite da quelle di impastamento superficiale, che all’ini-zio è dolce, senza insistere troppo sulle zone e sui no-duli dolorosi, per diventare sempre più insistente edenergico anche sulle zone più dolorose. Le manovre piùutilizzate sono: plica rotolata, plica rotta, plica contra-stata (Figura 39.48), plica stirata, alternate con mano-vre sedative di sfioramento superficiale. Queste mano-vre cutanee, alternate a quelle che interessano i ventrimuscolari e le inserzioni tenoperiostee, sono molto uti-li negli arti.

Il trattamento dei cordoni mialgici utilizza manovredi sfioramento o impastamento profondo, alternando-le spesso a stiramenti. Non bisogna trattare direttamen-te la zona indurita più sensibile, ma avvicinarsi progres-

sivamente. Le manovre devono essere lente, progressi-ve, con avvicinamento graduale alla zona indurita piùsensibile. Non devono provocare intenso dolore che co-munque deve cessare non appena la mano smette la suaazione. Deve attenuarsi progressivamente nel corso del-la seduta: i pazienti spesso parlano di “dolore che fa be-ne”. Ritmo e pressione sono modulati secondo la rispo-sta del muscolo: i cordoni si “sciolgono” sotto le dita.Utili sono gli stiramenti e le posture. Nelle sedute suc-cessive i cordoni appariranno sempre meno dolenti, me-no duri e meno grossi. Se non sono influenzati da que-ste manovre è inutile insistere. Un’altra tecnica, per quan-to concerne i punti mialgici (“trigger points”), consistenel mantenere una pressione ferma e progressivamenteaccentuata per 90 secondi, con il pollice, o i due polli-ci sovrapposti, senza mai ridurre la pressione applicataper tutta la durata della manovra (Figura 39.49).

Questa tecnica è utile in certi casi acuti, ma può an-che essere impiegata in quelli cronici.

Si possono anche utilizzare delle pressioni più brevidi 5-10 secondi ripetute più volte al giorno, eseguite dalpaziente stesso.

Se i dolori tenoperiostei non rispondono completa-mente al trattamento manipolativo è necessario il trat-tamento locale con massaggio traverso profondo (MTP)descritto da Cyriax. Questo massaggio viene eseguito conle estremità delle dita, il pollice o il medio, rafforzatodall’indice appoggiato sopra (Figura 39.50). Per essereefficace, deve essere eseguito nel punto preciso della le-sione: il dito, perpendicolare ai piani cutanei, esercitadei movimenti di vai e vieni di corta ampiezza, perpen-dicolarmente alle fibre del legamento o del tendine, conuna pressione sufficiente e costante. Il dito deve sposta-re la pelle e contemporaneamente se stesso, senza sci-volare sulla cute. L’elemento trattato è quindi sottopo-sto a una pressione ferma e a una frizione trasversale.L’inizio del trattamento è doloroso, ma il dolore si atte-nua in generale nel corso della seduta.

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

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FIGURA 39.47 Manovre di stiramento trasversale. FIGURA 39.48 Manovra della plica contrastata.

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Infiltrazioni

Le infiltrazioni permettono di portare un anestetico lo-cale e/o un cortisonico a livello locale, sia questo un ner-vo, un’articolazione, una struttura periarticolare, unaguaina, una zona cutanea o un muscolo.

Infiltrazioni delle articolazioni interapofisarieSi utilizzano classicamente diverse tecniche per l’infiltra-zione del rachide come quelle epi- e intradurali, legamen-tose e articolari posteriori. Quest’ultima tecnica è la piùutile nel trattamento di un DDIM, sia quando la manipo-lazione è insufficiente, sia quando questa è controindica-ta, o quando vi è una “poussée” infiammatoria di artrosi.

L’infiltrazione delle articolazioni interapofisarie deveessere preceduta da un attento esame segmentario co-dificato al fine di ricercare il “punto articolare posterio-re” dolente, responsabile del DDIM. L’infiltrazione con0,5 mL di cortisonico, senza anestetico a livello cervi-cale, avviene perpendicolarmente alla pelle. Ottenuto ilcontatto osseo, si solleva di 1 mm l’ago, si aspira per ve-rificare l’assenza di sangue o di liquido cefalorachidia-no e quindi si inietta il farmaco. Meglio eseguire le in-filtrazioni sotto controllo radiologico.

Regione lombare Il paziente è coricato prono attraver-so il lettino, con cuscino sotto il ventre. Si utilizza unago smusso corto (60 mm, 8/10). Il punto di iniezioneè situato all’esterno della linea spinosa posteriore con di-stanze variabili da 1,5 a 2 cm dalla prima all’ultima lom-bare. Occorre iniettare dopo aspirazione, mirando allaparte esterna della capsula, dove essa è più lassa.

Giunzione dorsale e dorsolombare L’iniezione viene fat-ta perpendicolarmente, a 1 cm dalla linea mediana, conl’ago che incontrando il massiccio osseo inietta, a goc-cia a goccia, il cortisonico, seguendo il bordo articola-re, andando dall’interno verso l’esterno. Si mira così laparte esterna del massiccio.

Regione cervicale Il paziente è seduto sullo sgabello, conla testa posata sul tavolo. Il punto articolare posterioreè circa a 2 cm dalla linea mediana. Giunti al contattoosseo, si aspira e quindi si inietta il derivato cortisoni-co senza aggiunta di anestetico. Meglio utilizzare deri-vati cortisonici che possono essere iniettati nel liquidocefalorachidiano. L’effetto è quasi immediato dopo l’inie-zione.

Infiltrazione dei nervi rachideiSi possono distinguere le infiltrazioni del ramo anterio-re e quelle del ramo posteriore dei nervi rachidei.

Le infiltrazioni del ramo anteriore sono utili in po-chi casi. Occorre prestare attenzione ai casi nei quali laguaina del nervo si prolunga al di là del canale di co-niugazione con il rischio di una iniezione nel liquido ce-falorachidiano. Per i nervi cervicali, l’ago viene introdot-to a un dito trasverso dalla spinosa e quindi orientatoa seconda del livello. Per la quinta radice lombare, pa-ziente prono sul lettino, l’ago viene introdotto a 4 cmdalla linea mediana a livello del bordo inferiore dellaquinta vertebra lombare.

Le infiltrazioni del ramo posteriore (Figura 39.51)si realizzano automaticamente quando si inietta un pro-dotto a contatto dell’articolazione interapofisaria poi-ché quest’ultima ne è circondata. Se si vuole verificareil ruolo del ramo posteriore nella sindrome dolorosa èsufficiente iniettare qualche goccia di anestetico a livel-lo dell’articolazione posteriore. Il dermatomero corri-spondente diventa indolore e morbido alla manovra delpincé-roulé. Si inietta allora il derivato cortisonico. Ènecessario ricordare che l’iniezione dell’anestetico è daevitare a livello cervicale.

Infiltrazione dei punti mialgiciI cordoni mialgici induriti, sia come manifestazione del-la sindrome CTM, sia isolati e di causa locale, rispondo-no beneficamente alla infiltrazione locale con alcune goc-ce di procaina allo 0,5%. Se il cordone appartiene alla

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FIGURA 39.49 Pressione dei pollici sul punto mialgico. FIGURA 39.50 Massaggio traverso profondo.

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CTM è necessario manipolare il tratto rachideo respon-sabile. Il cordone deve essere isolato perfettamente e pin-zato tra le due dita durante l’iniezione. L’ago, introdot-to con angolo acuto, deposita alcune gocce di anesteti-co fin dal suo ingresso nel sottocute e quindi progressi-vamente all’interno del muscolo che reagisce con una con-trattura dolorosa, segno che si è raggiunto lo scopo. Siiniettano 0,5 mL di anestetico (Figura 39.52).

Incidenti da anestetici locali e inconvenienti delle infiltrazioni cortisonicheRaramente si verificano incidenti con anestesie locali, maè utile rammentare che esistono forme allergiche, par-ticolarmente agli esteri di procaina, e forme tossiche, co-me quelle con i derivati della lidocaina. È necessario in-terrompere immediatamente l’iniezione alla comparsa diangoscia, parestesie peribuccali e della lingua, sensazio-ni vertiginose. Possono verificarsi, raramente, casi dishock anafilattico e pertanto è utile avere a disposizio-ne un pallone Ambu, una soluzione macromolecolare,adrenalina e Valium®.

La diffusione verso il nevrasse è possibile poiché gliavvolgimenti meningei possono uscire dal foro di coniu-gazione per parecchi centimetri, le villosità aracnoideea volte costituiscono un’ernia attraverso la guaina du-rale perforandola e l’introduzione in un tronco nervo-so determina il diffondersi verso i centri rachidei. È per-tanto necessario ricordare l’iniezione a contatto osseo edopo aspirazione.

Le infiltrazioni con derivati cortisonici possono de-terminare reazioni locali immediate e ritardate (qualcheora). Le reazioni regrediscono nel giro di 24-48 ore ebeneficiano dell’applicazione del ghiaccio. In caso di in-filtrazione intrarticolare la complicanza più grave è l’ar-trite settica. Non si devono praticare infiltrazioni se viè emartro o in presenza di una protesi. Bisogna ricor-dare che i cortisonici sono responsabili di degrado del-le strutture articolari e periarticolari e il loro uso deveessere motivato.

Terapia fisica

L’impiego di agenti fisici naturali e artificiali è pratica co-mune in tutte le patologie dolorose di natura ortopedi-ca e neurologica.

Il ruolo di queste terapie è conosciuto e lo speciali-sta deve saperle utilizzare in modo corretto. La cono-scenza del DDIM e della sindrome CTM permette un lo-ro impiego razionale, poiché la loro scelta e la loro lo-calizzazione, in virtù di queste conoscenze, cambianoradicalmente. Ad esempio, risulterà completamente inef-ficace l’applicazione di elettroterapia in sede lombare inuna lombalgia di origine dorsolombare. In questo casol’elettrodo positivo dovrà essere applicato in sede dorso-lombare, mentre quello negativo a livello della cresta ilia-ca corrispondente.

Idroterapia e termoterapiaIl calore e il freddo rappresentano gli agenti fisici natu-rali da più tempo utilizzati per portare sollievo ai pa-zienti con dolori osteo-artro-muscolari.

L’idroterapia è particolarmente utilizzata in Paesi co-me la Francia e la Svezia con modalità specifiche e par-ticolari. All’ospedale Hôtel-Dieu di Parigi, il trattamen-to consiste nel fare seguire un bagno di calore con ri-poso in posizione coricata, a una doccia generale che in-

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C2

C3

C4

C5

C6

C7

D1

FIGURA 39.51 Infiltrazione del ramo posteriore di C6.

FIGURA 39.52 Infiltrazione dei cordoni mialgici del muscologluteo.

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sisterà maggiormente sulla zona colpita, tre volte la set-timana.

I bagni di calore sotto forma di raggi infrarossi pos-sono esser aperti o chiusi. In quest’ultimo caso il sog-getto è all’interno di una cassa dalla quale fuoriesce so-lo il capo. La temperatura raggiunta è di circa 60 °C.

La doccia scozzese è utile nelle sciatiche: doccia a get-to pieno a 39 °C da 6 a 8 minuti, seguita da doccia fred-da a 11 °C a getto nebulizzato per 30 secondi. I piedinon devono essere mai raffreddati. Il trattamento è con-troindicato nei soggetti troppo fragili, per coloro che han-no problemi di vene, che non sopportano il calore e pergli ipertesi di grado elevato.

La crioterapia, utilissima in tutte le patologie ove siriconosce la presenza di uno stato infiammatorio o diuna lesione traumatica, non ha, nel trattamento del do-lore articolare vertebrale, un impiego così frequente an-che per motivi culturali e per scarsa accettazione daparte del paziente. Utile è la borsa del ghiaccio da ap-plicarsi con interposizione di flanella o lana per pro-teggere la cute.

Il massaggio con ghiaccio, così utile in un grande nu-mero di affezioni muscolotendinee, merita di essere pro-vato in casi non responsivi agli altri trattamenti. Il pa-ziente lamenterà dapprima una sensazione dolorosa, quin-di una di anestesia. A questo punto si interrompe il trat-tamento per farlo seguire da caute mobilizzazioni. Il trat-tamento può essere utilizzato nelle forme ribelli perio-stio-mialgiche primitive o di origine vertebrale.

La nebulizzazione fredda è ugualmente interessantesotto forma di cloruro di etile e di freon.

Elettroterapia antalgicaIl trattamento delle algie di origine vertebrale e le ma-nifestazioni cellulo-periostio-mialgiche traggono innu-merevoli benefici dall’impiego dell’elettroterapia antal-gica soprattutto quando il trattamento manipolativo ècontroindicato.

Le onde corte magnetiche pulsate a bassa frequenza(da 10 a 25 Hz) sono particolarmente efficaci in caso diartrosi in fase infiammatoria. Particolarmente utili neltrattamento delle tendinalgie.

Le onde corte magnetiche pulsate ad alta frequenza(200 Hz) a effetto termico sono utili nei dolori artico-lari posteriori persistenti o nelle rigidità. Devono esse-re evitate a livello cervicale. Le onde corte continue ter-mogene nel caso di sciatica, di cruralgia o di nevralgiacervico-brachiale sono applicate da un’estremità all’al-tra del tragitto doloroso. È utile completare il trattamen-to con onde corte a bassa frequenza a livello rachideo.

Le onde cortissime o centimetriche sono efficaci neltrattamento delle cervico-scapulalgie ribelli post-trauma-tiche o in certi dolori glutei ribelli.

Le correnti di media frequenza hanno la loro indica-zione sfruttandone l’effetto puramente antalgico. Ancheper questa terapia è importante rispettare la distribuzio-ne metamerica e l’origine del dolore vertebrale.

La ionizzazione con un polo alla radice dell’arto e l’al-

tro all’estremità del tragitto doloroso permette di trat-tare bene le cellulalgie e le tendinalgie.

L’ultrasuonoterapia viene impiegata nel trattamentodella contrattura muscolare sfruttando la vibrazione mec-canica e l’azione del massaggio. Utilizzando l’emissionepulsata si elimina l’effetto calorico e con la bassa inten-sità è possibile agire sui cordoni mialgici senza deter-minare reazioni algiche. L’applicazione dovrà rispettarela topografia del disturbo e quindi si dovranno trattarei cordoni mialgici ma anche le zone all’origine del do-lore. Sono particolarmente sensibili anche le zone ten-dinalgiche.

La TENS vede la sua indicazione nel dolore cronico:l’applicazione viene effettuata ponendo un elettrodo incorrispondenza della zona dolorosa e un altro nella zo-na di irradiazione del dolore, oppure lungo i principa-li tronchi nervosi in corrispondenza metamerica con ildolore.

Corsetti e collari

Molti Autori considerano i corsetti inutili, se non danno-si, poiché indeboliscono la muscolatura, altri li conside-rano indispensabili. Da tutti è riconosciuto il ruolo prin-cipale: sostenere la muscolatura del tronco e in partico-lare quella addominale. Ma vi sono dei momenti in cuila rieducazione è impossibile e il busto può essere di aiu-to, soprattutto quando viene indossato per tempi brevi(alcuni giorni, o alcune ore al dì) e non è molto rigido.

Il corsetto deve essere prescritto unicamente ai pa-zienti che soffrono in carico e a quelli nei quali il dolo-re si accentua per la fatica. Deve essere indossato tem-poraneamente e rimosso appena possibile. In partico-lare è utile nei soggetti:� che escono da una crisi acuta e recuperano lenta-

mente; � troppo anziani che non possono sottoporsi alla rie-

ducazione;� con caratteristiche predisponenti quando sono sot-

toposti a dura prova (lunghi viaggi, stazione eretta pro-lungata).

I corsetti migliori, nel trattamento dei dolori verte-brali comuni, sono i supporti funzionali lombari con pe-lota dinamica segmentata. Sostengono la colonna ma nonimpediscono il movimento: possiedono una pelota cherappresenta un punto fisso sul sacro svolgendo, con lafascia anteriore, un sostegno addominale. Impongonoun basculamento anteriore con riduzione della lordosi.Sono leggeri, non danno sensazioni sgradevoli e man-tengono la temperatura a livello locale. Il corsetto agi-sce come un feedback positivo che costringe la colon-na a lavorare senza sollecitazioni nocive. L’indicazioneprincipale è nella lombalgia di origine lombosacrale,mentre nella forma di origine dorsolombare sono con-troindicati, in quanto, a volte, come tutti i busti, aggra-vano la sintomatologia dolorosa.

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Il trattamento di alcune forme di torcicollo acuto, cer-vicobrachialgie benigne e cervicalgie recidivanti posso-no beneficiare dell’impiego di un collare cervicale, pos-sibilmente costituito da una benda di panno di altez-za proporzionata alla lunghezza del collo, avvolta piùvolte intorno a esso. Questi collari forniscono una ri-duzione del movimento più attraverso un autocontrol-lo sensoriale che attraverso una restrizione meccanicaeffettiva.

Rieducazione

Proporre esercizi per la cura e la prevenzione del “maldi schiena” piuttosto che del “torcicollo” è da sempre unadelle attività principale dei riabilitatori. Diversi metodivengono proposti e tutti gli Autori assicurano di risol-vere il problema. Purtroppo spesso le aspettative nonvengono soddisfatte, non per la scarsa capacità dei pro-positori, ma per la complessità della materia.

Anche in questa sede, pertanto, l’Autore presenta al-cuni esercizi e alcune delle raccomandazioni che, in piùdi 30 anni anni di attività riabilitativa ambulatorialeospedaliera, ha prima sperimentato, poi proposto ai pa-zienti, affetti da dolori comuni di origine vertebrale, cer-to di non risolvere tutti i problemi, ma con la speran-za di aggiungere qualche riflessione alla soluzione delproblema.

La maggior parte dei dolori rachidei ha necessità diuna educazione posturale ben concepita.

È compito del medico specialista in Medicina fisicae Riabilitazione consigliare il letto, la sedia, le posturee le posizioni quando il paziente svolge le sue diverseattività professionali, domestiche e ludico-sportive.

È a tutti nota l’importanza dell’equilibrio muscolaree dei complessi sistemi di regolazione dei meccanismiarticolari. È pertanto impossibile recuperare un’artico-lazione trascurando il suo ambiente percettivo, le suepossibilità di controllo, la complessità degli elementi cheformano la sua unità funzionale.

Si è fatto largo il concetto di riprogrammazione sen-somotoria che permette di costruire lo schema motoriotenendo conto dell’aspetto recettoriale proprio- ed este-rocettivo. Il risveglio della percezione dello schema cor-poreo partendo dalle informazioni propriocettive dà almalato la possibilità di prevenire il dolore e più soven-te di evitarlo. Questa rieducazione è basata su reazionimuscolari e su stimoli di origine periferica (percezioniproprio- ed esterocettive) e non su reazioni a ordini mo-tori centrali di origine corticale. Invece di fare eseguireal paziente una serie di movimenti a partenza cortica-le, il rieducatore applica stimoli capaci di far scattare l’at-tività desiderata: facilitazione di gesti mediante la rea-zione a una spinta, una pressione o una trazione, sti-moli che riproducono in direzione e intensità quelli aiquali noi siamo sottoposti ogni giorno.

È la percezione della situazione che condiziona l’in-tensità della risposta e la sua localizzazione ai muscoli

interessati. Le possibili variabili sono date dal numero del-le sollecitazioni, dal numero dei muscoli sollecitati, dal-la durata dell’intensità, dalla frequenza degli stimoli.

Il vantaggio di questa tecnica è di differenziare le ca-ratteristiche funzionali dei muscoli fasici e tonici, ripro-grammando la loro cronometria di esecuzione nelle at-tività motrici. Le fibre rosse (toniche) predominano neimuscoli antigravitari e le bianche (fasiche) in quelli de-gli arti. La rieducazione dei muscoli fasici, rapidi e af-faticatili, si avvale di sollecitazioni intense brevi, a fre-quenza rapida, a ripetizioni poco ritmiche, simili alle at-tività dei muscoli degli arti: spostamenti segmentari digrande ampiezza, rapidi e violenti con attività alterna-te e periodi di riposo. Per i muscoli tonici, forti, lenti,inaffaticabili, invece, le sollecitazioni sono meno inten-se ma di lunga durata, riproducendo così gli effetti del-l’azione antigravitaria, tipica dei muscoli assiali (troncoe collo) che assicurano la stabilità.

Un esempio viene fornito dal conflitto meccanico ar-ticolare nello spazio sottoacromion-coracoideo duran-te l’elevazione dell’arto superiore secondario a numero-se patologie della spalla (Gatto et al., 1989). In questocaso è necessario rieducare con esercizi specifici l’atti-vità tonica dei muscoli gran pettorale, gran dorsale e sot-toscapolare che facilitano l’attività fasica dei muscoli so-vraspinoso e deltoide riducendo e progressivamente an-nullando tale conflitto articolare.

La rieducazione propriocettiva (Gatto e Bargero, 1984)è particolarmente indicata nei pazienti in cui la croni-cità del dolore è legata alla perdita del controllo postu-rale e gestuale di una determinata regione vertebrale; con-tribuisce in questi casi alla ricostruzione di un nuovoschema corporeo diventando così una vera riprogram-mazione sensomotoria.

Per il rachide lombare si utilizzano movimenti di op-posizione e controresistenza statica che fanno contrar-re i quadrati dei lombi, gli psoas, gli addominali, i tras-versi e i pelvi-trocanterici: inizialmente puramente sta-tici, in seguito con movimenti molto piccoli che aumen-tano gradualmente e progressivamente. Il paziente de-ve imparare a reagire e ad adattarsi per ristabilire l’equi-librio senza avvertire dolore. Questo aggiustamento po-sturale e propriocettivo permette un migliore adattamen-to del paziente nella gestualità quotidiana, professiona-le o sportiva.

Per il rachide cervicale si possono praticare delle con-trazioni statiche, controresistenza manuale (Figura39.53), con contrazioni e decontrazioni lente, indolorie con effetto antalgico. Possono coinvolgere gli esten-sori e i flessori della testa e del collo, i lateroflessori e irotatori.

Al termine dell’iter diagnostico e terapeutico il fisia-tra consiglia alcuni esercizi di mantenimento da esegui-re quotidianamente al domicilio. In caso di protrusio-ne o esiti di ernia discale è utile l’esercizio di McKenzieeseguito in posizione prona ove il paziente, mani sottole spalle, estende i gomiti alzando la parte alta del tron-co. Raggiunta la posizione di estensione massima la man-

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tiene alcuni secondi per poi ritornare alla posizione dipartenza. L’esercizio viene ripetuto più volte guadagnan-do di volta in volta qualche grado in estensione. Un al-tro esercizio utile per stimolare la contrazione dei mu-scoli addominali senza sovraccaricare la colonna verte-brale è quello eseguito in posizione supina, con le brac-cia lungo il corpo, le ginocchia piegate e i piedi appog-giati al suolo: � portare le ginocchia verso l’addome;� estendere le gambe verticalmente;� riportare le ginocchia verso l’addome;� tornare alla posizione di partenza.

Per il rachide cervicale si proprongono esercizi di fles-so-estensione sul piano sagittale e di rotazione destrae sinistra mantenendo la flessione del rachide cervica-le. Bisogna pertanto evitare il movimento di circondu-zione del capo che può provocare, nel passaggio esten-sione e rotazione, una sofferenza del ramo posterioredi C2 e un’ischemia dell’arteria vertebrale. Tutti questiesercizi devono sempre essere eseguiti senza provoca-re dolore.

Infine compito del fisiatra è quello di consigliare ecorreggere le posture utili alla prevenzione dei dolori ver-tebrali comuni nella vita lavorativa, professionale, do-mestica e sportiva.

In questi termini, la medicina manuale diviene par-te integrante e momento significativo della valutazionefunzionale e del programma riabilitativo per il pazien-te con sofferenza segmentaria vertebrale (Gatto et al.,2003).

Aspetti clinici dei dolori comuni di origine vertebrale

Ci sono dolori che abitualmente sono riconosciuti co-me di origine vertebrale: cervicalgie, dorsalgie e lombal-gie. Ma ce ne sono altri la cui origine vertebrale è rara-mente evocata, come le cefalee, o mai, come i dolori al-le articolazioni degli arti o i dolori pseudoviscerali.

Il DDIM e la sindrome CTM permettono di obietti-vare il ruolo del rachide in numerosi dolori comuni, siacome causa scatenante, sia come fattore di facilitazio-ne. Il trattamento manipolativo si occupa proprio di trat-tare questi disturbi. Si può frequentemente osservare lasommazione di due fattori, uno locale (sovente canali-colare) e uno vertebrale, nello scatenamento dei sinto-mi. Possono infine esistere delle associazioni di doloridiversi provenienti da uno stesso DDIM, come nella “sin-drome della cerniera dorsolombare” o provenienti da di-versi DDIM ciascuno situato a livello di una zona tran-sizionale, “sindrome delle zone transizionali associate”.

L’indicazione generale delle manipolazioni vertebra-li è rappresentata dal DDIM e dalle manifestazioni do-lorose della sindrome CTM, che spesso si accompagna,ma non sistematicamente.

Vengono quindi descritte le principali localizzazionidolorose da DDIM e sindromi CTM a essi correlate.

LombalgieLa lombalgia acuta ha contribuito molto alla reputazio-ne dei medici manipolatori, in quanto è spettacolare riu-scire ad alleviare istantaneamente, attraverso una mano-vra particolare, il dolore del soggetto piegato in due. Lametà delle lombalgie acute guarisce dopo la prima se-duta. Ma le lombalgie acute o croniche non provengo-no tutte dal rachide lombare inferiore. Ne è un esem-pio la lombalgia acuta di origine dorsolombare (D11-D12 o D12-L1), più frequente oltre i 40 anni, senza at-teggiamento antalgico, che rappresenta l’indicazione elet-tiva della manipolazione (Figura 39.54).

Nelle lombalgie croniche di origine lombare bassa,le manipolazioni rappresentano un trattamento spessoefficace anche quando i segni radiologici sono impor-tanti: discopatie, osteofitosi. Il risultato che esse appor-tano deve, naturalmente, essere consolidato da una rie-ducazione funzionale adeguata e dalle altre misure pre-ventive abituali. Nel caso della lombalgia di origine dor-solombare la rieducazione non risulta altrettanto effica-ce. Una volta ottenuto lo sblocco bisogna trattare un le-gamento interspinoso rimasto iperalgico o massaggiareuna zona cellulalgica persistente. Le sciatiche di recen-te o lunga durata, di media o moderata intesità, del gio-vane e dell’anziano, costituiscono una buona indicazio-ne alla manipolazione. Così come le cruralgie e le me-ralgie parestesiche.

CoccigodiniaLa manipolazione trova indicazione nelle coccigodiniedi origine meccanica secondarie a caduta, traumatismo,

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FIGURA 39.53 Esercizio di controresistenza manuale.

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parto, posizione seduta scorretta prolungata o di origi-ne psichica (decesso di un parente, divorzio ecc.).

La diagnosi è basata su un segno caratteristico del-l’affezione: dolore alla pressione sulla punta del coc-cige, accompagnato, a volte, sull’articolazione sacro-coc-cigea, da cordoni mialgici a livello delle inserzioni sa-cro-coccigee del muscolo grande gluteo e da un infil-trato dermocellulalgico paracoccigeo unilaterale.L’esplorazione rettale permette di palpare dei cordonimialgici dei muscoli elevatori dell’ano o del muscolopiriforme.

Il trattamento consiste (Maigne, 2006), con il pazien-te in posizione genupettorale, nell’introdurre l’indice nelretto con il polpastrello applicato contro la parte infe-riore della faccia anteriore del sacro e contro l’articola-zione sacrococcigea. Si chiede al paziente di allungarsiin posizione prona, mantenendo l’indice rigido, a gan-cio, per evitare di agire sull’estremità del coccige, men-tre si appoggia il palmo dell’altra mano sulla parte altadella faccia posteriore del sacro; con il braccio rigido eteso si aumenta progressivamente la pressione sul sacromantenendo per 10-30 secondi la contropressione ver-so l’alto dell’indice nel retto, senza agire sull’estensionedel coccige. Quando la manovra riesce bene, si perce-pisce una specie d’effetto ventosa e la punta del cocci-ge diventa indolore. Sono necessarie da 1 a 3 sedute,intervallate da 5 a 7 giorni.

DorsalgiaLe dorsalgie acute o croniche benigne sono spesso do-lori interscapolari, medio-dorsali di origine cervicale bas-

sa (Maigne). In tutti questi casi, si trovano sempre duesegni:� un punto doloroso paravertebrale a livello di T5-T6:

il punto cervicale del dorso;� una zona cellulalgica a livello T5-T6 da DDIM C5-C6,

C6-C7, C7-T1 con articolazione interapofisaria dolen-te dallo stesso lato della manifestazione cellulalgica.

Si tratta di un problema meccanico e, se la manipo-lazione è praticata a livello cervicale basso, si può otte-nere un risultato efficace e rapido. Il punto cervicale dor-sale può essere confuso con un dolore articolare poste-riore di T4-T5 o T5-T6. In questo caso la zona cellulal-gica, corrispondente alla branca posteriore di T5, è si-tuata più in basso, all’altezza di T9-T10 (Figura 39.55).

Le dorsalgie di origine dorsale sono meno comuni diquelle cervicali e spesso sono dovute a puntate infiam-matorie artrosiche o da cause muscolari (cordoni mial-gici, punti grilletto). I muscoli interessati più di frequen-te sono: muscolo elevatore della scapola, muscolo ileo-costale. Le mobilizzazioni sono spesso da preferire allamanipolazione, come le infiltrazioni con anestetico omiorilassante. Comunque la manipolazione deve esse-re eseguita con dolcezza e senza dolore.

La distorsione costale è un’affezione poco conosciu-ta ma non rara. Essa è più frequente a livello delle co-ste fluttuanti, sia dopo un traumatismo diretto, sia do-po un movimento veloce di rotazione del tronco. Si trat-ta di dolori toracici o lombari alti e laterali a volte mol-to persistenti. La pressione sulla costa verso il basso overso l’alto è dolorosa e riproduce il dolore abituale delpaziente.

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

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FIGURA 39.54 A. Lombalgia di origine lombosacrale con cor-doni mialgici dei muscoli glutei. B. Lombalgia bassa di originealta dorsolombare (Maigne) con infiltrato cellulalgico lombareo gluteo superiore. (Da: Maigne R. Medicina manuale. Torino:UTET, 1996)

T2

T3

T6

T7

T8

T9

T10

FIGURA 39.55 Punto cervicale dorsale (a sinistra) e dorsalgia dasofferenza di T5 (a destra).

A B

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CervicalgiaLa manipolazione può risultare un trattamento effica-ce per un certo numero di dolori cervicali acuti o cro-nici, per certe algie radicolari (nevralgia di Arnold, ne-vralgia cervico-brachiale). Tuttavia bisogna procederecon molta cautela nel manipolare questa regione pernon provocare incidenti legati a una insufficienza cir-colatoria vertebro-basilare. L’uso dei test di postura euna diagnosi corretta rendono questa eventualità ra-rissima.

Nel torcicollo acuto le manipolazioni danno talvoltaun risultato spettacolare. Ma il più delle volte sono con-troindicate, in questi casi vengono impiegate manovredi mobilizzazione dolce, lenta, progressiva, di massag-gio superficiale, digitopressione o, in alcuni casi, l’infil-trazione.

Il dolore cervicale cronico, provocato nella rotazio-ne o nell’iperestensione del collo, che è spesso legato adartrosi cervicale, è una delle indicazioni elettive delle ma-nipolazioni. Queste, eseguite dopo mobilizzazioni pre-cise, liberano il movimento e sopprimono il dolore.

Le manipolazioni sono indicate in certe nevralgie cer-vico-brachiali moderate e non accompagnate da un at-teggiamento antalgico marcato.

Cefalee di origine cervicaleL’aspetto più sconcertante dell’impiego delle manipola-zioni si ha in alcune affezioni per le quali il rachide cer-vicale non è abitualmente riconosciuto come causa: lecefalee, le vertigini, le sindromi disfunzionali dell’arti-colazione temporo-mandibolare. Le cefalee di origine cer-vicale sono di per sé unilaterali e vi è un dolore alla pal-pazione dell’articolazione C2-C3 dallo stesso lato. La lo-ro topografia è fissa nel corso delle differenti crisi, sem-pre a destra o a sinistra. Con il tempo potrà diventarebilaterale. Si distinguono tre forme di cefalee cervicali,ciascuna con una semeiotica propria, che possono es-sere isolate o associate (Figura 39.56).

� Forma occipitale. Può irradiarsi fino al vertice. La for-ma acuta costituisce la nevralgia di Arnold. Tipico èil “segno della frizione” doloroso del cuoio capellu-to che sostituisce la manovra del pinzamento e roto-lamento sul capo.

� Forma occipito-temporo-mascellare. Occupa la regio-ne retroauricolare, mastoidea e irradia verso il mascel-lare inferiore. Tipico è il “segno della frizione” (Mai-gne) del cuoio capelluto retroauricolare e quello delpinzamento e rotolamento dell’angolo della mandibo-la. Questa regione della cute è innervata dalla bran-ca anteriore di C2 e non dal muscolo trigemino.

� Forma sovraorbitaria. È la più frequente. Si accom-pagna al “segno del sopracciglio” (Maigne). Quest’areaè innervata dalla branca superiore del trigemino mal’origine C2-C3 del dolore è indubbia poiché l’inie-zione di anestetico nel massiccio articolare o la ma-nipolazione risolvono la sintomatologia. Questo si spie-ga poiché esistono delle connessioni tra il nucleo ge-latinoso del trigemino e quello delle prime radici cer-vicali. Curiosamente hanno un’origine cervicale bas-sa (C5-C6 o C6-C7) anche numerose pseudotendini-ti della spalla e più della metà delle epicondilalgie.

Con le stesse premesse semeiologiche e cliniche, ol-tre alle cefalee e alle dorsalgie di origine cervicale, Mai-gne descrive alcune sindromi vertebrali frequenti, spes-so non identificate, mal comprese e mal trattate: sindro-me cervicale superiore, sindrome della cerniera dorso-lombare, sindrome delle zone transizionali associate.

Sindrome cervicale superioreLa “sindrome cervicale superiore” comporta cefalee, di-sturbi dell’equilibrio, disturbi uditivi, visivi, faringo-la-ringei, vasomotori, psichici. Nell’esame del rachide cer-vicale è essenziale la messa in evidenza di una sofferen-za articolare posteriore di C2-C3 dallo stesso lato dei di-sturbi sopra citati, spesso da DDIM, talvolta da “pous-

VOLUME II TECNICHE

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FIGURA 39.56 I tre tipi di cefalea cervicale. A. Forma occipitale. B. Forma occipito-temporo-mascellare. C. Forma sovraorbitaria (lapiù frequente). Le tre forme possono associarsi. (Da: Maigne R. Medicina manuale. Torino: UTET, 1996)

A B C

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seé” infiammatorie d’artrosi. È utile la ricerca dallo stes-so lato del “segno del sopracciglio”, del “segno della fri-zione” a livello del cuoio capelluto e del dolore al “pen-cé-roulé” della cute dell’angolo della mandibola. Biso-gna inoltre ricercare i cordoni mialgici e i trigger pointsa livello dei muscoli: sterno-cleido-mastoideo, trapezio,sotto-occipitali, che giocano un ruolo importante nellemanifestazioni accusate dal paziente (pseudovertigini).Questi disturbi dell’equilibrio, in assenza di ogni altralesione, si spiegano con la perturbazione dei recettoriarticolari e muscolari molto numerosi a livello cervica-le superiore. Essi, indispensabili nel controllo dell’equi-librio e della postura, in caso di lesioni, inviano mes-saggi falsati ai centri che regolano l’equilibrio, soprat-tutto per quanto riguarda le articolazioni superiori. Men-tre l’irritazione di certi punti mialgici cervicali può pro-durre fenomeni simpatici, disturbi visivi e vestibolari(Travell e Simons, 1999). Il trattamento manuale (sti-ramenti trasversali, manovre di decontrazione musco-lare, manipolazione eseguita con la punta delle dita), contutte le precauzioni del caso, è spesso utile (Waghema-cker, 1972). Se la manipolazione è controindicata o in-sufficiente, si possono eseguire delle infiltrazioni corti-soniche nell’articolazione C2-C3 dolorosa. La rieduca-zione è poco utile nelle sindromi cervicali superiori acu-te, soprattutto se sono di origine traumatica: sembra cheessa possa mantenere l’irritazione articolare e, con la ri-petizione delle sedute, polarizza l’attenzione del pazien-te su questi problemi, in particolare nei postumi di trau-ma cervicale dove esiste un contenzioso medico-legale.Nei disturbi dell’equilibrio di origine propriocettiva cer-vicale cronica, può essere utile la riprogrammazione sen-somotoria attraverso esercizi che sollecitano l’accoppia-mento funzionale della propriocettività e della coordi-nazione oculo-vestibolo-cervicale:� mobilizzazione passiva del collo mentre lo sguardo

è fisso su un bersaglio;� movimenti attivi del rachide attraverso una visione

foveale del campo visivo;� sollecitazioni della mobilità cervicale in rapporto a

movimenti passivi e attivi del tronco mantenendo unamira fissa;

� inseguimento di un bersaglio mobile, utilizzando l’ac-coppiamento oculo-cervicale normale.

Sindrome della giunzione dorsolombare La “sindrome della giunzione dorsolombare” (GDL) è uninsieme di manifestazioni dolorose associate o isolate,dall’aspetto ingannevole, conseguenti alla sofferenza deisegmenti della giunzione dorsolombare: T2-L1, più ra-ramente T11-T12 o L1-L2, ma talvolta T10-T11 (Figu-ra 39.57), che si manifesta con:� lombalgia bassa (manifestazione più frequente, da in-

teressamento della branca posteriore);� dolori addominali bassi, pseudoviscerali o testicola-

ri (branca anteriore);� falso dolore dell’anca (ramo perforante laterale cuta-

neo originato dalla branca anteriore);

� pubalgia;� talvolta, disturbi funzionali digestivi (soprattutto me-

teorismo).

La radiografia, la TAC, la RM sono quasi sempre nor-mali, mentre la termografia può essere utile per eviden-ziare la dermocellulalgia (Gatto, 1986). Solo eccezional-mente si ha dolore nella regione responsabile; tuttaviastudi clinici, anatomici e terapeutici confermano la de-nominazione della sindrome dorsolombare. La giunzio-ne dorsolombare è una zona particolarmente sollecita-ta negli sforzi della vita quotidiana. D12 è una vertebradi transizione: le sue articolazioni superiori si compor-tano come quelle dorsali e le inferiori come quelle delrachide lombare. L’esame clinico evidenzia: � a livello vertebrale, le due manovre essenziali dell’esa-

me segmentario codificato (punto articolare posterio-re e pressione laterale sulla spinosa) sono doloroseda un solo lato, più frequentemente su T12-L1 e qual-che volta su T11-T12 o L1-L2;

� a distanza, le manifestazioni CTM sono unilaterali,situate dal lato del dolore articolare posteriore del seg-mento responsabile, nei territori della branca poste-riore, anteriore, perforante laterale;

� la ricerca del “punto di cresta posteriore” a 7-8 cmdalla linea mediana e del “punto di cresta laterale” al-la verticale del trocantere, che corrispondono allacompressione contro l’osso dei rami nervosi irritati.

Si possono ritrovare dei cordoni mialgici nella parteinferiore del muscolo retto dell’addome e un dolore te-no-periosteo sull’emipube.

Il trattamento della sindrome della giunzione dorso-lombare è anzitutto a livello vertebrale: mobilizzazioni emanipolazioni del segmento responsabile secondo la re-gola del non dolore e il principio del movimento contra-rio. L’infiltrazione articolare posteriore (anestetico e cor-tisone) può completare il risultato quando il trattamen-to manipolativo è insufficiente o controindicato. Le der-mocellulalgie possono essere trattate con infiltrazioni (ane-stetico diluito: lidocaina allo 0,5%) seguite da manovreprogressive di impastamento dei piani cutanei (“pincé-rou-lé”). I punti di cresta posteriore e laterale possono esse-re infiltrati (anestetico e cortisone) quando esiste un fe-nomeno canalicolare o un’irritazione residua a questo li-vello. Le precauzioni posturali sono sufficienti per evita-re le ricadute nei soggetti migliorati con il trattamento ma-nipolativo. Nei pazienti che recidivano o negli sportivi chesollecitano la giunzione dorsolombare in maniera ecces-siva è necessaria la rieducazione. Essa deve mirare a:� mobilizzare l’insieme della regione lombare, lottan-

do contro le rigidità e le contratture muscolari;� rinforzare i gruppi muscolari deboli e risvegliare la

propriocettività.

Sindrome delle zone transizionali associate La sindrome delle zone transizionali associate (ZTA) è uninsieme di sintomi e di dolori di origine vertebrale, si-

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

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tuati a diversi livelli, ma tutti dallo stesso lato, conseguen-za della presenza simultanea di DDIM localizzati sulle zo-ne transizionali (ZT) e delle manifestazioni CTM da es-si provocati. Le ZT sono quattro: occipitocervicale (OC),cervicodorsale (CD), dorsolombare (DL) e lombosacra-le (LS). Sul piano semeiologico la ZTA è caratterizzatadalla presenza di un DDIM su due o più ZT, ma tutti conil dolore articolare posteriore dallo stesso lato. Le mani-festazioni CTM determinate da queste sofferenze segmen-tarie sono anch’esse unilaterali e dallo stesso lato: pos-sono essere “attive”, responsabili dei dolori accusati dalpaziente, o “inattive”, semplici scoperte d’esame. Sul pia-no clinico il paziente si lamenta solo di una regione, mal’esame segmentario codificato rileverà delle altre ZT sof-ferenti, attraverso la presenza di un DDIM e delle mani-festazioni CTM inattive. Il quadro clinico più frequenteè caratterizzato dall’associazione di:� cefalea sopraorbitaria (ZTOC);� dorsalgia interscapolare (ZTCD);

� lombalgia bassa di origine dorsolombare (ZTDL) (Fi-gura 39.58) o di origine lombosacrale (ZTLS).

Sul piano fisiopatologico si ipotizzano i seguenti fat-tori:� il terreno: soggetto affaticato, ansioso, spasmofilico;� il movimento di torsione ripetuto in posizione seduta;� la lateralizzazione del soggetto (destro e sinistro);� le abitudini posturali giocano un ruolo frequente;� iperattività dell’emisfero dominante continua e poco

bilanciata dall’attività dell’emisfero controlaterale (ipo-tesi dell’Autore).

Sul piano terapeutico:� trattamento del DDIM principale con manipolazio-

ni vertebrali;� riconoscimento del fattore scatenante;� rieducazione per stabilizzare il risultato ed evitare le

recidive.

VOLUME II TECNICHE

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321

FIGURA 39.57 A. Le tre proiezioni dolorose della sindrome del-la giunzione dorsolombare (Maigne). 1. Posteriore: lombalgia.2. Anteriore: dolori pseudoviscerali, pubalgia. 3. Laterale: pseu-do-dolori dell’anca, pseudo-meralgia parestesica. Da notare cheil paziente non soffre mai a livello della giunzione dorsolomba-re. B. Rappresentazione schematica dei tre rami di divisione deinervi rachidei T12 e L1: branca anteriore (1); branca posteriore(2); ramo perforante laterale (3). (Da: Maigne R. Medicina ma-nuale. Torino: UTET, 1996)

A

2

13

B

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Manipolazioni e mobilizzazioni delle articolazioni periferiche

Le manipolazioni articolari periferiche sono state codi-ficate da circa cinquant’anni da McMennel, fisiatra ame-ricano, perfezionate da validi medici manuali francesi,quali Maigne, Waghemaker, Lesage, e italiani come Co-lombo, Radaelli, Gamba, Gatto.

Le cause del dolore articolare alcune volte vengonoevidenziate da certe condizioni patologiche (lesioni cap-sulari, legamentose o delle cartilagini di incrostazione),ma spesso non c’è una spiegazione soddisfacente riguar-do al perché o a dove sorge il dolore.

McMennel definisce questa condizione “disfunzio-ne articolare”, cioè la perdita di movimento del giocoarticolare. Secondo questo Autore, infatti, i movimen-ti attivi e passivi delle articolazioni degli arti sono sem-pre accompagnati da spostamenti e scivolamenti dei ca-pi articolari. L’insieme di tali movimenti molto picco-li, ma ben precisi per ampiezza e direzione e indipen-denti dall’azione dei muscoli volontari, viene definito“gioco articolare”. Dall’integrità e dalla buona funzio-nalità del gioco articolare dipende il facile e indolorecompimento dei comuni movimenti volontari delle ar-ticolazioni.

Maigne sostiene che, nell’esame articolare degli arti,l’interesse deve concentrarsi sullo studio dei “movimen-ti involontari” delle articolazioni. Ad esempio, nelle ar-ticolazioni interfalangee e metacarpo-falangee bisogna esa-minare il movimento laterale, il movimento di rotazio-ne e il movimento di separazione per trazione assiale.

La diagnosi di “disfunzione dolorosa articolare mino-re” (DDAM) (Maigne) è possibile attraverso un esameobiettivo razionalmente condotto.

Con l’ispezione si osservano il colore della cute, la

presenza o meno di tumefazioni, il trofismo cutaneo emuscolare.

Nell’esame funzionale di un’articolazione è necessariovalutare dapprima i movimenti attivi attraverso test fun-zionali globali di un intero complesso articolare, anoma-lie e deformità articolari, stati infiammatori ecc. Per le gros-se articolazioni si devono osservare i movimenti attivi an-tigravitari eseguiti velocemente, ripetuti e con accelera-zione. Occorre far ripetere i movimenti specifici che ag-gravano il dolore specie se sotto carico o controresisten-za. Bisogna valutare, infine, l’estremo grado di resisten-za dei tendini e se essi hanno aderenze con le guaine.

Con la palpazione si evidenziano: temperatura, con-sistenza, tensione e posizione delle varie strutture pe-riarticolari. Importante è anche la palpazione dei ten-dini e dei muscoli, durante il movimento attivo e pas-sivo e controresistenza per evidenziare “fasci muscola-ri induriti, tesi” ed eventuale dolorabilità delle loro in-serzioni. Questo test permette di differenziare sofferen-ze muscolari, tendinee e capsulari. I muscoli mobiliz-zatori e fissatori dell’articolazione sono esaminati valu-tando il loro grado di efficienza dinamica e di trofismo.

Durante l’esame è necessario tenere presenti alcuniprincipi fondamentali:� il paziente deve essere rilassato;� l’articolazione da esaminare deve essere protetta da

incauti movimenti dolorosi, che potrebbero portarea uno spasmo muscolare, compromettendo l’accura-tezza dell’esame;

� si deve esaminare un’articolazione alla volta;� bisogna esaminare ogni singolo movimento del gio-

co articolare;� in ogni singolo movimento articolare indotto passi-

vamente, è necessario applicare una forza stabilizzan-te e una forza mobilizzante.

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

755

FIGURA 39.58 La forma più frequente della sindro-me delle zone transizionali associa: lombalgia dellacresta (di origine DL); dorsalgia interscapolare (di ori-gine CD); cefalea il più sovente occipito-sopraorbita-ria (di origine CO). Sono unilaterali e si trovano tut-te dallo stesso lato. (Da: Maigne R. Medicina manua-le. Torino: UTET, 1996)

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Al termine dell’esame pre-manipolativo, si deve es-sere in grado di stabilire con precisione quali sono i mo-vimenti dolorosi e limitati. Solo così è possibile inizia-re un trattamento manipolativo, che, per essere effica-ce, deve anch’esso rispettare la regola del non dolore eil principio del movimento contrario. Con essa è pos-sibile scegliere la tecnica manipolativa più adatta in ognisingolo caso ed eseguirla nel senso opposto a quello deldolore e della limitazione articolare.

Indicazioni Le principali indicazioni delle manipolazio-ni e mobilizzazioni delle articolazioni periferiche sono:� traumi distorsivi non recenti;� immobilizzazioni;� processi degenerativi articolari in fase non acuta;� calcificazioni periarticolari post-traumatiche e post-

infiammatorie.

Controindicazioni Le principali controindicazioni del-le manipolazioni e mobilizzazioni delle articolazioni pe-riferiche sono:� processi infiammatori acuti e cronici;� artriti emofiliche;� tumori primitivi o secondari.

In conclusione, si può considerare la metodica mani-polativa degli arti un valido presidio del programma ria-bilitativo, in quanto riduce notevolmente il periodo di ina-bilità, con il rapido ripristino della funzionalità articolaree la scomparsa della sintomatologia dolorosa. Vengono de-scritte alcune manovre per le principali articolazioni.

SpallaArticolazione glenomerale L’operatore utilizza l’ome-ro come un pilone: con il paziente posizionato sul latosano, esegue con la testa omerale movimenti di scivo-lamento verso l’alto, il basso, in avanti, indietro, e tra-zionando l’omero con la stessa presa, allontana la testadalla glena. A questi si aggiungono dei movimenti di sti-ramento della capsula, sia nella stessa posizione, sia conil paziente seduto, con l’avambraccio dell’operatore sot-to l’ascella e spingendo con l’altra mano il braccio in ad-duzione (Figura 39.59). Questa manovra è potente e de-ve essere eseguita lentamente, dolcemente, senza pro-vocare dolore e ripetuta più volte.

Articolazione scapolotoracica Il paziente è coricato sulfianco: l’operatore blocca il bordo interno della scapo-la del paziente, mobilizza la scapola sulle coste e, secon-do la direzione data ai suoi movimenti, stira i diversi mu-scoli scapolotoracici.

GomitoManipolazione in iperestensione Si utilizza nei blocchianteriori o anterolaterali dell’articolazione omeroradia-le. Con l’avambraccio del paziente in supinazione, pol-lice sulla parte posteriore della testa radiale, spinta bre-ve e secca in estensione sul polso (Figura 39.60).

Manipolazione in adduzione Si utilizza nei blocchiesterni. Con avambraccio in estensione e supinazionecompleta, brusca spinta che esagera il movimento in ad-duzione.

Polso e manoBlocco del grande osso semilunare Paziente con brac-cio pendente e mano rilasciata. Il medico impugna frale sue mani il carpo, con il pollice che prende appog-gio a livello del punto dolente dorsale mentre gli indi-ci contrastano sulla faccia anteriore. L’operatore, men-tre sposta in avanti e indietro le ossa del carpo fra le suedita, esercita una brusca trazione verso il basso lungol’asse del braccio rilasciato (Figura 39.61).

Articolazione metacarpofalangea Una mano del medi-co afferra il polso del paziente mentre l’altra mano affer-ra tra indice e medio la falange prossimale. Un bruscomovimento in trazione rappresenta l’atto manipolativo.

GinocchioBlocco meniscale interno Con il paziente in posizionesupina, il medico fissa la parte inferiore del femore e ilpiede con l’altra, poi esegue:� una flessione del ginocchio con rotazione della gam-

ba (Figura 39.62);� un movimento di abduzione forzata mantenuto per

tutta la manovra, estendendo contemporaneamenteil ginocchio sulla coscia e ponendo la gamba in ro-tazione interna forzata;

� la manovra termina con la gamba del paziente este-sa, il ginocchio in abduzione e il piede in rotazioneinterna (Figura 39.63).

Blocco meniscale esterno La manovra è al contrario diquella per il menisco interno:� flessione con rotazione interna come partenza;� adduzione forzata mantenuta per tutta la manovra;� estensione più rotazione esterna del piede.

VOLUME II TECNICHE

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FIGURA 39.59 Allontanamento della testa omerale.

Page 45: cap39_valobra

Blocco tibioperoneale superiore Il medico blocca la te-sta del perone tra pollice e indice e saggia la direzionedolente sul piano sagittale. La manipolazione si effettuanel senso del non dolore:� spingendo la testa del perone in antepulsione (Figu-

ra 39.64);� spingendo la testa del perone in retropulsione.

Caviglia e piedeArticolazione astragalocalcaneare in trazione Il medi-co impugna con una mano il calcagno del paziente men-tre appoggia il gomito sulla coscia del paziente, l’altra ma-no aiuta la presa calcaneare. Aumentando la flessione delginocchio aumenta la forza di trazione sul calcagno.

Articolazione cuboidescafoide Paziente in decubito pro-no con arto inferiore ciondolante dal bordo del letto. Ma-nipolazione secca del medico che afferra il piede del pa-ziente appoggiando, sovrapposti, i pollici sul cuboide(Figura 39.65).

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

757

FIGURA 39.60 Manipolazione del gomito in estensione. FIGURA 39.61 Manipolazione del grande osso semilunare.

FIGURA 39.62 Manipolazione del menisco interno: fase iniziale. FIGURA 39.63 Manipolazione del menisco interno: fase finale.

FIGURA 39.64 Manipolazione tibioperoneale superiore in ante-pulsione.

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La disfunzione cranio-cervico-mandibolare

Parlare di disfunzione cranio-cervico-mandibolare(DCCM) in medicina manuale è diventato sempre piùattuale. Pertanto si è voluto riservare un breve paragra-fo a questa patologia della quale si parla molto e spessoa sproposito (Gatto e Rovere, 2000a). Tutto l’ambientemedico e non solo quello odontoiatrico è diventato estre-mamente sensibile alla soluzione delle problematiche ine-renti a questa patologia funzionale dell’apparato masti-catore.

Dal punto di vista storico è utile ricordare il lavorodi Costen che ha permesso di riconoscere una sindro-me fino al momento sconosciuta senza, tuttavia, propor-re alcuna soluzione, ma prendendo atto dell’associazio-ne dolore articolazione temporo-mandibolare (ATM),acufeni, vertigini.

Gli Autori francesi con la definizione di SADAM equelli anglosassoni con il termine “TMJ disfunction” han-no riconosciuto l’aspetto funzionale della patologia. Èda tutti riconosciuto che perfetta anatomia e relazioneocclusale possono “funzionare male”, mentre alterata ana-tomia e rapporti occlusali “patologici” (è forse oppor-tuno ricordare che alcune scuole di pensiero ortodon-tiche si basano su meri criteri estetici e in alcuni casi an-che razziali) possono non essere disfunzionali e pertan-to asintomatici. È evidente che il problema è comples-so e il sistema propriocettivo neuromuscolare gioca ilruolo principale nel determinismo della sintomatologia.

La DCCM è una sindrome caratterizzata da sintomi acarico dell’apparato stomatognatico (dolore e rumore del-l’ATM, dolore dei muscoli masticatori), dell’orecchio in-terno (acufeni, vertigine), del rachide cervicale (dolorenucale, parestesie craniali, cefalee) su base funzionale.

L’eziologia si basa su tre fattori strettamente connes-si tra di loro: disfunzione occlusale-articolare-muscola-re dell’apparato masticatorio; turbe a livello neuromu-scolare; turbe a livello psicocomportamentale, che deter-minano il complesso corteo sintomatologico descritto.

La relazione anatomica e funzionale tra il complessocranio-cervico-mandibolare fa sì che un’alterazione a ca-

rico di un sistema abbia immediate ripercussioni a ca-rico degli altri, soprattutto se agisce su un terreno resofertile da condizioni psicofisiche e ambientali. I circui-ti e le connessioni tra i nuclei delle prime radici cervi-cali e il nucleo discendente del nervo trigemino ben spie-gano l’insorgenza di una cefalea sovraorbitaria in pre-senza di DDIM cervicale alto; come DDIM cervicali al-ti condizionano la traiettoria mandibolare durante i mo-vimenti di apertura e chiusura. D’altro canto, un’altera-ta cinetica mandibolare, con coinvolgimento muscola-re, può causare disturbi a carico dell’orecchio interno(acufeni, vertigini) aggravati da contratture della musco-latura cervicale alta che, a questo livello, è anche un or-gano secondario dell’equilibrio.

È la ricchezza di recettori presenti nell’articolazionetemporo-mandibolare e nei muscoli masticatori che per-mette al SNC di recepire quelli che sono i disturbi cine-stesici da sofferenza dell’ATM, ma questi stessi risento-no di alterazioni dell’attività tonica posturale dei musco-li sottoccipitali. La ricca innervazione sensitiva della zo-na consente di spiegare la diffusione di disturbi algodi-strofici dell’apparato masticatore al rachide e viceversa.L’asimmetria di informazioni a livello segmentale e so-vrasegmentario consolida circuiti riverberanti che solo unintervento esterno determinato può interrompere.

La medicina manuale si inserisce bene, a questo pun-to, poiché può intervenire sul DDIM cervicale con l’at-to manipolativo che, da un lato, rende meglio studiabi-le, senza condizionamenti cervicali, la dinamica mandi-bolare da parte dello gnatologo e, dall’altro, può rappre-sentare una terapia risolutiva. Ma, soprattutto, come rie-ducatore può proporre esercizi propriocettivi che pos-sono consolidare nel tempo l’intervento manipolativo. Inmolti casi l’intervento odontoiatrico, attraverso l’appli-cazione in bocca di byte, ortottici o placche di svincolo,diventa inutile, oppure rappresenta un momento tera-peutico molto breve.

La diagnosi si basa sulla ricerca dei DDIM attivi e inat-tivi cervicali alti, palpazione dei muscoli masticatori conparticolare riguardo agli pterigoidei interni che possonoessere dolenti e contratti, ricerca di zone cellulalgiche del-

VOLUME II TECNICHE

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FIGURA 39.65 Manipolazione cuboide-scafoide.

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l’angolo mandibolare e della zona sovraorbitaria o in re-gione temporale, palpazione dell’ATM nei movimenti dichiusura, palpazione dei muscoli del viso (temporali, mas-seterini, sternocleidomastoidei) della regione cervicale uti-lizzando le manovre proprie dell’esame segmentario co-dificato.

Discussione e conclusioni

La Medicina Manuale trova il suo posto nell’ambito del-la Medicina Fisica e Riabilitazione: entrambe tendonoal ripristino della funzione, alla riduzione del dolore, tra-mite i mezzi più adeguati.

L’esame clinico per determinare la disfunzione dolo-rosa intervertebrale o articolare minore, richiesto per lamedicina manuale, è un approccio operativo che dovreb-be essere inserito nel routinario esame clinico fisiatricoed essere pertanto insegnato in tutte le Scuole di Spe-cializzazione in Medicina Fisica e Riabilitazione. Oltreai fisiatri, anche altri specialisti, reumatologi, medici del-lo sport, internisti interessati all’apparato locomotore do-vrebbero conoscere queste tecniche per integrarle, nelloro arsenale terapeutico, allo stesso titolo delle prescri-zioni farmacologiche e delle tecniche infiltrative.

Le manipolazioni vertebrali costituiscono uno dei trat-tamenti più importanti dei dolori meccanici comuni diorigine vertebrale, senza dubbio quello che ha dato luo-go alla più abbondante letteratura scientifica. La loro ef-ficacia è provata per i dolori lombari recenti, probabileper alcune cervicalgie, sciatiche e lombalgie croniche.Se resta ancora molto da sviluppare le ricerche per co-noscere meglio le loro indicazioni e il loro meccanismod’azione, il loro posto in patologia funzionale vertebra-le è oggi ben definito. Sembra importante, tenuto con-to della gravità di alcune complicazioni, che le manipo-lazioni vertebrali restino inquadrate in regole molto ri-gide e che, in ogni caso, il medico esperto e competen-te debba, tra gli altri trattamenti, effettuare lui stesso l’at-to manipolativo.

Le tecniche utilizzate nella patologia funzionale del-

l’apparato locomotore (mezzi fisici, massaggi, mobiliz-zazioni, manipolazioni ecc.) si integrano nei diversi mo-menti di uno scrupoloso programma riabilitativo, fina-lizzato ad assicurare, non solo il completo recupero fun-zionale, ma anche la stabilità degli elementi coinvolti dalprocesso patologico, educando il paziente anche postu-ralmente, garantendogli il ritorno precoce alle normaliattività della vita quotidiana esenti da frequenti recidi-ve sempre più difficilmente reversibili e controllabili alungo termine. L’utilizzo di esercizi specifici di stabiliz-zazione segmentaria dopo il trattamento manipolativoè da considerarsi valida risorsa riabilitativa nel mante-nimento e nel consolidamento dei risultati ottenuti do-po il trattamento con la medicina manuale. Inoltre, l’in-serimento della riprogrammazione sensomotoria offre alpaziente un approccio terapeutico combinato (cinesite-rapico, posturale, psicocomportamentale), fornendo stru-menti educativi inscindibili da un corretto stile di vita.

In questi termini, la medicina manuale diviene par-te integrante e momento significativo della valutazionefunzionale e del programma riabilitativo del paziente condisturbi dolorosi intervertebrali minori (DDIM) o distur-bi dolorosi articolari minori (DDAM).

Il paziente deve rimanere, comunque, la misura delprogetto riabilitativo, la partenza di ogni valutazione edi ogni programma di cura, la verifica dell’efficacia e del-l’efficienza finale.

Il fisiatra è lo specialista che non solo ha una forma-zione in linea con questo “approccio funzionale” versoil paziente, ma ha anche l’ulteriore vantaggio di lavora-re in stretta collaborazione, in équipe, con molte figu-re professionali sanitarie (fisioterapisti, terapisti occupa-zionali, psicologi ecc.) che mettono in atto gli interven-ti terapeutici discussi in questo capitolo.

Percorsi diagnostico-terapeutici

Nella figura 39.66 sono schematizzati i percorsi diagno-stico-terapeutici nella medicina manuale del rachide(Gatto e Rovere, 2000b).

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

759

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VOLUME II TECNICHE

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– Radiografia (frattura, tumore, osteomalacia)

– TC– RM (tumore, disciti, ernie discali,

anomalie anatomiche, organi interni)– Scintigrafia ossea (metastasi, stati

infiammatori)– MOC (osteoporosi) – Ecografia (tendiniti, lesioni muscolari,

organi interni)– Eco-Doppler (deficit vascolari)– Esami ematochimici

Esame di Medicina Manuale– esame della mobilità regionale– esame segmentario vertebrale– anormalità nella struttura

tessutale: cute, muscolo, tendine

– Impiego di analgesici, FANS, miorilassanti

– Infiltrazione– Massoterapia– Terapia fisica– Eventuale

manipolazione dopo 3-5 giorni

Sintomi soggettivi: dolore, fastidio, parestesie ecc.

ESAME GENERALE

Disfunzione segmentariavertebrale

Scomparsa dellasintomatologia dolorosa locale,

regionale e a distanza

Consigli posturali e gestuali.Rieducazione funzionale.Se recidiva: nuovo esame

di Medicina Manuale

Riduzione o persistenzadella sintomatologia

Peggioramento dellasintomatologia dolorosa

Rieducazione funzionale.Consigli posturali e gestuali.

Nuovo esamedi Medicina Manuale.

Manipolazioni: massimo 3a distanza di 1 settimana

Manipolazionesecondo la regola del non dolore

Indicazioni tecniche

No manipolazionediagnosi e

terapia adeguata

+

+

+

FIGURA 39.66 Percorsi diagnostico-terapeutici nella Medicina Manuale del rachide.

Page 49: cap39_valobra

CAPITOLO 39LA MEDICINA MANUALE

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1. La Medicina Manuale è una disciplina medica che si occupa della patologia funzionale del-l’apparato locomotore, in particolare del rachide.

2. Per segmento mobile si intende l’insieme degli elementi compresi tra due vertebre adia-centi, ed è indissociabile nella funzione.

3. L’esame segmentario codificato, perfettamente riproducibile, permette di identificare conprecisione il o i livelli dolorosi.

4. La sindrome segmentaria cellulo-teno-periosto-mialgica (CTM) è l’insieme delle manifesta-zioni cliniche riflesse determinate dal dolore del segmento vertebrale indipendentementedalla causa.

5. Il disturbo doloroso intervertebrale minore (DDIM) è una disfunzione dolorosa reversibi-le del segmento vertebrale.

6. La manipolazione è una mobilizzazione passiva forzata che tende a portare gli elementi diuna o più articolazioni al di là del loro gioco articolare possibile.

7. La regola del non dolore e il principio del movimento contrario sono le modalità di im-piego razionale ed efficace delle manipolazioni.

8. I consigli posturali, rigorosamente applicati, sono elementi essenziali della prevenzione.

9. La rieducazione è indicata nei casi in cui la cronicità del dolore è legata alla perdita delcontrollo posturale.

10. L’apprendimento delle tecniche manuali richiede pazienza, applicazione, modestia e unacerta attitudine.

Key

poin

ts

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