Cap III Materiali elettrodici e tecniche elettrochimiche...

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Elettrochimica dei materiali e dei nanosistemi 2013/2014 M. L. Foresti Cap. III – Materiali elettrodici e tecniche elettrochimiche di base 1 MATERIALI ELETTRODICI 1 Nel capitolo precedente si è visto come nella regione di transizione tra un conduttore metallico ed una soluzione elettrolitica esista un doppio strato. Di conseguenza all’interfase metallo/soluzione esiste una differenza di potenziale ∆φ anche in assenza di una carica creata sulla superficie metallica da una ddp applicata dall’esterno all’interfase. Vedremo più avanti come il doppio strato sia stato rappresentato nel tempo da modelli sempre più dettagliati, mentre in questo capitolo esaminiamo alcuni dei materiali utilizzati come elettrodi. Classificazione dei conduttori L’elettrificazione della regione interfasale è tanto più pronunciata se le due fasi sono costituite da conduttori elettrici. In questo caso infatti esistono delle vere e proprie cariche elettriche (elettroni, ioni) mobili, per cui la realizzazione degli accumuli nella regione interfasale è più facile. Un dispositivo elettrochimico è costituito da una serie di fasi conduttrici, di cui almeno una costituita da un conduttore di seconda specie. Nella sua rappresentazione più schematica si può pensare ad un conduttore ionico interposto tra due conduttori elettronici. I conduttori elettrici sono appunto di due specie, a seconda del tipo di cariche elettriche dotate di mobilità: conduttori elettronici (I specie), per i quali le uniche cariche elettriche in grado di muoversi sono gli elettroni (appartengono a questa specie i metalli, i semiconduttori e composti del carbonio come la grafite, il glassy carbon, il diamante opportunamente drogato, ma anche alcuni materiali polimerici); conduttori ionici (II specie), nei quali le cariche elettriche mobili sono gli ioni, generalmente sia positivi che negativi (appartengono a questa specie le soluzioni elettrolitiche, i cristalli ionici, gli elettroliti fusi, in particolare i cosiddetti liquidi ionici, gli elettroliti polimerici). Come già detto l’interfaccia tra un conduttore elettronico ed un conduttore ionico costituisce un elettrodo. Oltre all’esistenza di una separazione di cariche e perciò di un doppio strato, la caratteristica fondamentale è che un trasferimento di carica attraverso l’interfaccia è inevitabilmente accompagnato da un processo redox. Infatti le uniche cariche elettriche che possono attraversare l’interfaccia sono gli elettroni, ma, mentre nel conduttore elettronico gli elettroni sono liberi e ospitati in 1 Prof. Armando Gennaro Appunti di Elettrochimica deimaterialiper il Corso di Laurea Magistrale in Scienza dei Materiali – Università di Padova

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Elettrochimica dei materiali e dei nanosistemi 2013/2014 M. L. Foresti Cap. III – Materiali elettrodici e tecniche elettrochimiche di base

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MATERIALI ELETTRODICI 1 Nel capitolo precedente si è visto come nella regione di transizione tra un

conduttore metallico ed una soluzione elettrolitica esista un doppio strato. Di conseguenza all’interfase metallo/soluzione esiste una differenza di potenziale ∆φ anche in assenza di una carica creata sulla superficie metallica da una ddp applicata dall’esterno all’interfase.

Vedremo più avanti come il doppio strato sia stato rappresentato nel tempo da modelli sempre più dettagliati, mentre in questo capitolo esaminiamo alcuni dei materiali utilizzati come elettrodi.

Classificazione dei conduttori L’elettrificazione della regione interfasale è tanto più pronunciata se le

due fasi sono costituite da conduttori elettrici. In questo caso infatti esistono delle vere e proprie cariche elettriche (elettroni, ioni) mobili, per cui la realizzazione degli accumuli nella regione interfasale è più facile. Un dispositivo elettrochimico è costituito da una serie di fasi conduttrici, di cui almeno una costituita da un conduttore di seconda specie. Nella sua rappresentazione più schematica si può pensare ad un conduttore ionico interposto tra due conduttori elettronici.

I conduttori elettrici sono appunto di due specie, a seconda del tipo di cariche elettriche dotate di mobilità: conduttori elettronici (I specie), per i quali le uniche cariche elettriche in grado di muoversi sono gli elettroni (appartengono a questa specie i metalli, i semiconduttori e composti del carbonio come la grafite, il glassy carbon, il diamante opportunamente drogato, ma anche alcuni materiali polimerici); conduttori ionici (II specie), nei quali le cariche elettriche mobili sono gli ioni, generalmente sia positivi che negativi (appartengono a questa specie le soluzioni elettrolitiche, i cristalli ionici, gli elettroliti fusi, in particolare i cosiddetti liquidi ionici, gli elettroliti polimerici).

Come già detto l’interfaccia tra un conduttore elettronico ed un conduttore ionico costituisce un elettrodo. Oltre all’esistenza di una separazione di cariche e perciò di un doppio strato, la caratteristica fondamentale è che un trasferimento di carica attraverso l’interfaccia è inevitabilmente accompagnato da un processo redox. Infatti le uniche cariche elettriche che possono attraversare l’interfaccia sono gli elettroni, ma, mentre nel conduttore elettronico gli elettroni sono liberi e ospitati in

1 Prof. Armando Gennaro Appunti di Elettrochimica deimaterialiper il Corso di Laurea Magistrale in Scienza dei Materiali – Università di Padova

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modo sostanzialmente indifferente, cioè il conduttore si comporta come un serbatoio di elettroni dal quale possono tranquillamente entrare ed uscire, nel conduttore ionico gli elettroni non sono liberi, ma sono allocati su un qualche orbitale di una qualche specie chimica. Ciò significa che, quando un elettrone attraversa l’interfaccia dal conduttore elettronico a quello ionico deve finire sull’orbitale di una qualche specie chimica, ma questo costituisce un processo di riduzione di tale specie chimica. Viceversa, quando un elettrone attraversa la predetta interfaccia dal conduttore ionico a quello elettronico, deve uscire da un orbitale di una qualche specie chimica che, perciò, si ossida. Quindi un elettrodo è sede potenziale di processi di ossidoriduzione.

Nelle più comuni tecniche elettrochimiche vengono utilizzati metalli quali Hg, Au, Pt, Ag, Cu, nonché conduttori a base di carbonio.

Conduttori elettronici Le proprietà dei conduttori elettronici sono descritti dalla teoria delle

bande. I livelli energetici di atomi isolati hanno valori ben definiti e gli elettroni riempiono questi livelli in accordo con le leggi della quantomeccanica. Quando gli atomi non sono più isolati, ma aggregati tra loro, vi è un’interazione tra gli orbitali atomici dei singoli atomi con formazione di orbitali molecolari e di nuovi livelli energetici, differenti da quelli degli atomi isolati. Quando l’insieme di atomi aggregati giunge a formare un reticolo cristallino i livelli energetici originati dagli orbitali molecolari si combinano in bande energetiche di ampiezza finita, all’interno delle quali è collocato un numero molto grande di orbitali, i cui livelli energetici sono naturalmente discreti, ma il salto energetico tra un orbitale e l’altro è estremamente piccolo, dato il grandissimo numero di orbitali confinati in un intervallo di energia limitato. Le bande sono tra loro separate da un salto energetico (gap) che non contiene livelli energetici. Ogni singolo livello energetico in una certa banda può contenere al massimo due elettroni. I conduttori elettronici, come ad esempio i metalli, mettono in comune gli elettroni di valenza per la costituzione del reticolo cristallino. Gli elettroni di valenza occupano gli orbitali atomici di tipo s e p, nei quali si trovano 1, 2 o 3 elettroni a seconda del Gruppo. Gli orbitali atomici che ospitano gli elettroni di valenza danno origine a due bande: la banda di valenza, costituita dagli orbitali ad energia minore, la banda di conduzione, costituita dagli orbitali molecolari ad energia maggiore.

Il numero di elettroni di valenza può essere inferiore a quello che può essere ospitato nell’insieme degli orbitali della banda di valenza, per cui la banda è occupata solo parzialmente. Anche quando la banda di valenza

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fosse completamente piena, essa risulta comunque parzialmente sovrapposta alla banda di conduzione vuota. In questa situazione gli elettroni della banda di valenza sono estremamente “mobili”, perché hanno a disposizione un numero elevatissimo di orbitali nella stessa banda ai quali possono accedere liberamente, dato che il salto energetico tra un orbitale ed un altro è largamente inferiore all’energia cinetica kBT (kB = costante di Boltzman).

Nei materiali non metallici i livelli energetici della banda a più bassa energia sono completamente occupati e quelli della banda a energia superiore sono completamente vuoti, ma tra le due bande vi è un ampio intervallo energetico. Per trasferire un elettrone dal livello energetico più alto della banda inferiore completamente piena (banda di valenza) a quello più basso della banda superiore completamente vuota (banda di conduzione) occorre una elevata quantità di energia (band gap, Eg) rispetto all’energia cinetica kBT. Per tale motivo gli elettroni non sono in grado di passare da una banda all’altra; d’altra parte, essendo tutti occupati gli orbitali della banda di conduzione, gli elettroni non sono in grado di muoversi attraverso il materiale perché sono confinati nel proprio orbitale: la sostanza viene definita isolante. Alcuni materiali presentano una differenza energetica relativamente piccola tra la banda di valenza piena e quella di conduzione vuota, per cui è possibile eccitare facilmente alcuni elettroni e trasferirli quindi dalla banda piena a quella vuota. In questa situazione si liberano degli orbitali nella banda di valenza, che consentono una certa mobilità agli altri elettroni e, d’altra parte, gli elettroni finiti nella banda di conduzione sono diventati mobili, data la grande disponibilità di orbitali vuoti in quella banda: la sostanza in questo caso viene definita semiconduttore

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(a) Quando N elettroni occupano una banda di N orbitali , essa risulta semi piena e gli elettroni prossimi al livello di Fermi (in cima ai livelli completi) risultano mobili (metallo)

(b) Quando la banda è completa e la differenza energetica tra le due bande è elevata gli elettroni non possono passare dalla banda di valenza a quella di conduzione (isolante).

(c) Quando l’intervallo energetico interbanda è piccolo o comunque paragonabile a kBT gli elettroni posso passare da una banda ad un'altra purché abbiano energia sufficiente (semiconduttore).

Conduttori a base di carbonio L’impiego di materiali a base di carbonio in elettrochimica è molto

diffuso per una serie di proprietà che li rendono particolarmente pregevoli e versatili. Tra le principali proprietà di carattere generale va ricordato il basso costo degli stessi, che è, ovviamente, un aspetto rilevante, ma altrettanto importante è la sostanziale inerzia chimica; il C è infatti stabile all’aria (salvo non raggiungere alte temperature alle quali avviene la combustione), quindi estremamente maneggevole, ed è stabile nei confronti di moltissime sostanze chimiche.

Le forme allotropiche del C sono diverse; tra queste, com’è noto, due sono le più familiari: la grafite ed il diamante. Oltre a queste a partire dagli anni ’80 sono state scoperte nuove forme quali i fullereni, i nanotubi di carbonio e ancora più recentemente (2004) la grafite bidimensionale (grafene). Queste forme rientrano nel campo dei nanomateriali ed oltre alla conducibilità elettronica presentano caratteristiche peculiari.

Le forme del carbonio che ci interessano in particolare sono quelle

corrispondenti alle ibridazioni sp3 e sp2. Nell’ibridazione sp3 l’orbitale s e i tre orbitali p si combinano

matematicamente dando luogo a quattro orbitali atomici equivalenti orientati nello spazio secondo i vertici di un tetraedro regolare.

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Nell'ibridazione sp2 un orbitale di tipo s si combina linearmente con due orbitali di tipo p. Ne risultano tre orbitali ibridi sp2 che giacciono sullo stesso piano in modo che i loro assi formino tra loro angoli di 120°. I rimanenti orbitali p di ogni atomo di carbonio sono perpendicolari al piano e paralleli fra loro. Ciò permette il fenomeno della delocalizzazione degli elettroni, così che la molecola può essere rappresentata con una nuvola elettronica estesa sopra e sotto al piano individuato dagli atomi di carbonio.

Nel diamante gli atomi di C sono ibridati sp3, per cui tutti e quattro gli

elettroni sono impegnati in altrettanti legami σ con gli atomi di C adiacenti. Non essendoci elettroni liberi, il diamante è un ottimo isolante elettrico.

E’ possibile rendere conduttore il diamante drogandolo con boro (1000-5000 ppm) e realizzando il cosiddetto BDD (Boron Doped Diamond), che è un materiale pregevole per diverse applicazioni elettrochimiche, sia per la sua straordinaria inerzia chimica, ma anche per la possibilità di realizzare processi di ossidazione molto spinti (denominati Advanced Electrochemical Oxidation Processes, AEOPs), che trovano particolare applicazione nei trattamenti elettrochimici di reflui industriali, quando i normali processi di depurazione non risultano efficaci.

Il drogaggio del diamante con boro produce la sostituzione di un certo numero di atomi di C, nella struttura tetraedrica, con B, che ha tre elettroni esterni anziché quattro. Se la quantità di drogante non è eccessiva, il B sostituisce il C senza modificare la struttura tetraedrica del diamante (cioè anche il B è ibridato sp3, ma uno dei quattro ibridi è vuoto). Ciò implica che un atomo di C adiacente conserva un elettrone spaiato, dato che il corrispondente ibrido del B è vuoto, cioè l’orbitale σ che si forma ha un solo elettrone ed è quindi in grado di ricevere un altro elettrone da un orbitale σ vicino. In altre parole, la banda di valenza è parzialmente vuota il che consente una discreta mobilità degli elettroni e, di conseguenza, una buona conducibilità elettrica.

Nella grafite si hanno atomi di carbonio ibridati sp2 che si legano tra

loro in modo planare, costituendo un grafene, cioè un insieme di esagoni adiacenti disposti su un piano. L’insieme degli elettroni pz costituisce una nuvola π delocalizzata sull’intero piano di grafene. Se il grafene è costituito da n atomi di C, gli n orbitali atomici pz formeranno n/2 orbitali π di legame ed altrettanti di antilegame: si ha cioè una banda di valenza (di orbitali π) piena ed una

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banda di conduzione (di orbitali π *) vuota, che consente una notevole mobilità agli elettroni presenti nella banda di valenza, anche se si tratta di una mobilità bidimensionale, cioè tangenziale al piano del grafene, mentre è nulla lungo la direzione ortogonale al piano del grafene.

Una grafite perfettamente cristallizzata (ad esempio la cosiddetta

HOPG, highly oriented pyrolitic graphite) è costituita da un insieme di grafeni paralleli per cui manifesta una sensibile anisotropia per la conducibilità elettrica: buon conduttore nelle direzioni parallele ai piani, isolante nella direzione ortogonale ai piani grafenici.

Come si può osservare nelle figure, i piani di grafite sono sfalsati in modo tale che un atomo di C di un piano (cioè un vertice dei tre esagoni adiacenti) corrisponda al centro degli esagoni dei due piani grafenici vicini (quello sopra e quello sotto), mentre corrisponde esattamente alla posizione di un altro atomo di C nel grafene successivo, con una alternanza continua.

La distanza tra due piani di grafite è abbastanza grande (3.7 Å), tanto da consentire l’intercalazione di atomi di Li (più precisamente ioni Li+), le cui dimensioni sono sensibilmente minori (il raggio ionico di Li è infatti 1.45 Å). Questa importantissima proprietà è alla base della realizzazione delle pile al litio, in particolare delle cosiddette pile a Li-ione. La figura mostra Li + intercalato tra piani di grafite (max stechiometria LiC6).

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Gli elettrodi di grafite, salvo casi specifici, come la HOPG (Highly

Oriented Pyrolytic Graphite o Highly Ordered Pyrolytic Graphite) sono policristallini, cioè costituiti da un insieme di microcristalli orientati in tutte le direzioni dello spazio per cui sono praticamente isotropi, cioè manifestano la stessa conducibilità elettrica in tutte le direzioni.

Un altro tipo di elettrodi a base di C è quello di carbone vetroso (Glassy

Carbon, GC, che non va confuso con il carbonio amorfo, che pure esiste in commercio). Si tratta di carbonio ottenuto per trattamento termico ad alta temperatura (3000 °C) di sostanze organiche, in particolare polimeri, come cellulosa o resine fenoliche, per cui prima della carbonizzazione si può scegliere la forma che si desidera (i primi prodotti di GC erano infatti dei crogioli, particolarmente utili per la loro inerzia chimica e resistenza ad alte temperature). In realtà il GC non è costituito esclusivamente da atomi di C, come la grafite (salvo, ovviamente, qualche impurezza), poiché il trattamento termico porta ad una parziale ossidazione degli atomi di C con formazione di gruppi funzionali di varia natura. La Tabella seguente mostra la composizione di un GC commerciale, ottenuta mediante analisi XPS della superficie, che riflette però la composizione media della massa del carbone vetroso, dato che la superficie è stata rinnovata molte volte per abrasione meccanica e dava sempre, più o meno, la stessa composizione:

C grafitico 72.3 % C fenolico (C-OH) 16.6 % C carbonilico (C=O) 4.1 % C carbossilico (COOH) 3.0 % Carbossili + Esteri (COOH + COOR) 4.1 %

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Grado di funzionalizzazione 27.8%

Nonostante la parziale funzionalizzazione il GC conserva una notevole inerzia chimica, per cui si presta bene come materiale elettrodico. L’ibridazione del C nel GC è stata oggetto di intenso dibattito che, alla fine, ha concluso che si tratta di ibridazione sp2. Peraltro è stato recentemente riportato che potrebbe trattarsi di una struttura di tipo fullerenico.

Grafene: il carbonio in due dimensioni Nel grafene, gli elettroni seguono una legge di dispersione lineare e si

muovono come particelle relativistiche senza massa, cosa che comporta proprietà elettroniche peculiari. Di fatto il grafene rappresenta il primo materiale a due dimensioni ed apre nuove prospettive per l’elettronica basata sul carbonio in quanto stabilisce un ponte tra la fisica della materia condensata e la quanto-elettrodinamica.

Il grafene è il “building block” di base per i materiali grafitici di qualsiasi dimensionalità: può essere avvolto per formare i fullereni a zero dimensioni (0D), arrotolato per formare i nanotubi ad una dimensione (1D) o impacchettati per formare la grafite tridimensionale (3D).

Il grafene (o grafite 2D) viene utilizzato in modo puramente accademico

per spiegare le proprietà dei vari materiali basati sul carbonio. Da un punto di vista teorico è stato studiato per più di 60 anni, ma si è ritenuto a lungo che non potesse esistere allo stato libero.

In pratica il grafene è uno strato di carbonio dello spessore di un atomo (0.35 nm), che sconfigge le leggi della fisica. Infatti, in sostanza il grafene è una membrana cristallina bi-dimensionale che dovrebbe venire distrutta

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istantaneamente dal calore. Nella pratica, invece, ora è stato provato che può esistere, grazie al fatto che non giace ferma, immobile, ma mantiene un quasi impercettibile movimento ondulatorio, effetto che le dà una terza dimensione e la forza di restare una cosa sola anziché andare in mille pezzi.

Le possibili applicazioni sono previste nel campo dell’elettronica a causa dell’elevata mobilità dei portatori di carica. Tuttavia l’applicazione più immediata potrebbe essere nel campo dei materiali compositi, ad esempio la polvere di grafene potrebbe essere utilizzata per l’ottenimento di plastiche conduttive a bassissimo contenuto di grafene. Ancora, polvere di grafene potrebbe sostituire le nano fibre di carbonio usate nel campo delle batterie aumentandone il rendimento. Per quest’uso sono stati considerati anche i nanotubi di carbonio, ma la polvere di grafene potrebbe essere prodotta in modo più economico. Analogamente la polvere di grafene potrebbe sostituire i nanotubi di carbonio utilizzati nella sensoristica, e così via.

Fullereni

Nel 1985 è stata scoperta una classe nuova ed inaspettata di molecole: i fullereni. Il fullerene è una struttura sferica composta da pentagoni ed esagoni di carbonio. I fullereni sono considerati strutture quantiche a 0 dimensioni. Subito dopo la loro scoperta, si era ipotizzato che i fullereni fossero caratterizzati da un carattere aromatico estremamente stabile. Invece, contrariamente alle aspettative, si è trovato che i fullereni sono molto reattivi, e di conseguenza intorno ad essi si è sviluppata una forte attività di ricerca, tanto da poter ritenere possibile la nascita di una nuova

branca della chimica interamente dedicata ai fullereni analogamente a quanto avvenuto per lo sviluppo della chimica organica aromatica a partire dalla scoperta del benzene nell’Ottocento.

Il più piccolo fullerene possibile è il C20, formato da 20 pentagoni e nessun esagono. Tuttavia questo tipo di struttura

ha forti tensioni interne perché la forma di ogni molecola di carbonio è fortemente non planare. Dato che le tensioni interne delle molecole si accumulano intorno ai pentagoni che sono i responsabili della chiusura, le strutture che non hanno pentagoni contigui (con un lato in comune) sono particolarmente stabili. Le forme più piccole in cui si realizza questa

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condizione sono quelle del C60 e del C70. Il più piccolo fullerene stabile, ed anche il più studiato, è il C60 che è costituito da 12 pentagoni e 20 esagoni, con ciascun pentagono circondato da cinque esagoni. Questa rappresenta la molecola più simmetrica possibile, essendo “la più rotonda”. Il C60 è una singola molecola con diametro di circa 7 angstroms, e allo stato solido forma cristalli di fullerite di struttura cubica a facce centrate con una distanza interatomica di 14.17Å.

Molte applicazioni del C60 sono basate sulla sua elevata capacità di accettare elettroni. Inoltre C60 è in grado di formare composti le cui proprietà elettroniche passano da quelle degli isolanti, a quelle dei semiconduttori e dei metalli, fino ad arrivare alla superconduzione. I fullereni sono perciò promettenti materiali elettronici e candidati ideali per dispositivi molecolari e supramolecolari.

Nella figura2 viene schematizzata la formazione del C60 a partire dal

grafene:

Quando in un grafene (B) viene introdotto un difetto costituito da un sito pentagonale (C), si comincia ad osservare un accartocciamento, che si accentua se si aggiunge un secondo pentagono (D), ed un terzo pentagono porta alla formazione di una sorta di coppa. L’aggiunta di 12 pentagoni permette la chiusura del foglio di grafene a formare una struttura simile ad una gabbia, ad esempio il C60 (A) o uno dei suoi omologhi superiori o inferiori.

2 F. Cataldo, Carbon 40(2002)157-162

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Nanotubi di carbonio Un nanotubo di carbonio (carbon nano tube, CNT) è un piano di grafene,

che si avvolge a cilindro saldando le due estremità lungo le quali gli atomi di C sono reattivi, avendo un elettrone spaiato. Le estremità del nanotubo sono chiuse da 2 calotte sferiche di C60.

Esistono modi diversi di arrotolamento del piano di grafite per cui la struttura dei nanotubi risulta diversa e, conseguentemente, diverse risultano le proprietà chimico-fisiche.

Come si può osservare

nella figura, l’asse di rotazione nei tre nanotubi è diverso per cui si ottengono non soltanto una diversa configurazione della distribuzione degli atomi di C rispetto all’asse del tubo, ma anche una diversa capacità di curvatura della superficie laterale. La stessa figura mostra che i nanotubi sono chiusi alle estremità. Poiché gli atomi terminali che si hanno in un nanotubo aperto, hanno proprietà chimiche molto interessanti, si provvede a tagliare i nanotubi in modo da realizzare dei tubi aperti per le svariate applicazioni nelle quali vengono impiegati.

Peraltro, a seconda del tipo di arrotolamento la configurazione dei C terminali è sensibilmente diversa.

La struttura di un nanotubo può essere specificata da un vettore (n,m)

che definisce il modo in cui il foglio di grafene viene arrotolato. Ad esempio per produrre il nano tubo di indici (6,3), il foglio è arrotolato in modo che l’atomo di indici (0,0) si sovrapponga con l’atomo di indici (6,3) . Si può vedere dalla figura che m = 0 per tutti i nanotubi zigzag, mentre m = n per i nanotubi armchair.

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Esistono nanotubi costituiti da una singola superficie, cioè formati da un

unico piano di grafite (Single Walled Nano Tube, SWNT) e nanotubi costituiti da più tubi concentrici, cioè da più piani grafitici arrotolati (Multi Walled Nano Tube, MWNT).

(n,n) armchair

(n,0) zigzag

(n,m) chiral

achiral

(n,0)

(n,m)

(n,n)

Asse di

rotazione

Ch

a1 a2

Ch = n a1 + m a2

vettore chirale

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Il diametro di un nanotubo varia da 0.4 nm a 3 nm per un SWNT, mentre

può variare da 1.4 nm a 100 nm per un MWNT; la lunghezza può essere anche di diverse centinaia di nm.

Si tratta di materiali con caratteristiche estremamente versatili e

importanti, • ottima conducibilità termica • buona conducibilità elettrica • superconduttività a temperature relativamente alte • elevata resistenza e buona elasticità.

L’importanza dei nanotubi di carbonio è legata al fatto che queste nanostrutture possono esibire un comportamento metallico o semiconduttivo, a seconda della struttura geometrica che li caratterizza.

I nanotubi metallici possono essere utilmente impiegati nella realizzazione di interconnessioni nanometriche tra dispositivi, consentendo di risolvere le problematiche legate alla miniaturizzazione dei circuiti.

metallic SWNT

(10,10) (17,0)

semiconducting SWNT

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Inoltre, queste nanostrutture sono potenzialmente in grado di sopportare densità di corrente molto più elevate di quelle trasportate dalle attuali interconnessioni in rame, nonché di consentire un’ottima conduzione del calore.

I CNTs hanno un comportamento elettrochimico sensibilmente diverso dagli altri carbo-elettrodi. Essi sono caratterizzati da due distinti tipi di atomi di C: quelli sulla superficie laterale e quelli terminali. Mentre i primi si comportano come gli atomi di C planari della grafite (ad esempio di una HOPG, High Orientated Pyrolytic Graphite), i secondi si comportano come gli atomi terminali di una HOPG: la loro insaturazione li rende più reattivi. Pur avendo una configurazione simile alla HOPG i CNTs esercitano un rilevante ruolo elettrocatalitico; sono in grado cioè di facilitare i processi di trasferimento elettronico (TE) verso diversi substrati. Questa accelerazione del TE viene imputata a due fattori: (i) un migliore contatto (bagnabilità) con il substrato grazie alla porosità del materiale elettrodico; (ii) la struttura elettronica superficiale sensibilmente diversa, infatti la superficie non è planare, ma cilindrica per cui si hanno delle distorsioni dei legami, oltre a possibili difetti topologici. Alcuni dati sperimentali tenderebbero però ad attribuire un ruolo preminente agli atomi di C terminali e, probabilmente, anche alla loro capacità di trasformazione chimica (ad esempio con formazione di gruppi carbossilici).

Una metodologia di funzionalizzazione dei CNTs consiste nel formare dei nanocompositi di opportuni metalli (o ossidi metallici) e CNTs, i quali si prestano particolarmente bene come supporti per catalizzatori metallici, grazie alle specifiche proprietà, in particolare all’elevata area superficiale. Ad esempio elettrodi a nanocompositi ottenuti con nanoparticelle di Pt e CNTs possono essere utilizzati come sensori elettrochimici. L’elevata area superficiale favorisce il trasporto di massa per cui il responso amperometrico è esaltato aumentando così la sensibilità nei confronti dei substrati.

Conduttori polimerici I polimeri sono molecole composte da un elevato numero di unità (dette

monomeri) che si ripetono più o meno regolarmente Un polimero conduttore è un polimero organico che oltre alle proprietà meccaniche caratteristiche di un materiale polimerico convenzionale possiede proprietà elettriche e ottiche che ne favoriscono l'impiego in varie applicazioni quali la schermatura di campi elettromagnetici, sensori, finestre intelligenti, elettrodi per batterie ricaricabili, display elettrochimici ecc.

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Lo studio dei polimeri conduttori è iniziato a partire dalla scoperta che un polimero dall'aspetto argenteo, il poliacetilene, esposto ai vapori di bromo o iodio mostrava un aumento rilevante della sua conducibilità elettrica. Questo processo di “drogaggio” permetteva la transizione semiconduttore-metallo della sua conducibilità elettrica in modo simile a quanto già noto per i semiconduttori inorganici. Il modello teorico interpretativo delle proprietà elettriche e degli effetti del "drogaggio" del polimero è simile al modello a "bande di energia" sviluppato negli anni '50 per i solidi inorganici, utile a classificarli dal punto di vista della loro conducibilità elettrica, come isolanti semiconduttori e conduttori (metalli).

Esistono diversi polimeri organici che presentano valori di conducibilità

specifica (elettronica) anche molto elevata, confrontabile con quella dei metalli, come si può vedere nella figura in cui sono riportate le conducibilità specifiche di alcuni conduttori elettronici.

In realtà il meccanismo della conduzione elettronica può essere abbastanza diverso a seconda del tipo di polimero e del suo trattamento. La possibilità di avere una buona conducibilità elettronica nei polimeri organici può essere realizzata infatti con tre diverse metodologie:

• polimeri redox, • materiali con ionomeri caricati, • polimeri conduttori elettronici. In figura sono riportate le conducibilità specifiche di alcuni conduttori

elettronici.

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I polimeri redox contengono un gruppo redox attaccato, ad intervalli regolari, alla catena polimerica, ad esempio un gruppo ferrocenile, che può assumere sia la forma ridotta (in questo caso ferrocene) che ossidata (ferricinio). Il movimento macroscopico di elettroni avviene attraverso la modifica dello stato redox dei gruppi in questione; un elettrone può cioè passare da un

Fe(II) di un ferrocene ad un Fe(III) di un ferricinio vicino. Naturalmente la quantità di gruppi nello stato ridotto (Red) e di quelli nello stato ossidato (Ox) dipende dal potenziale applicato al polimero. E’ abbastanza facile intuire che quando il potenziale è vicino al suo valore standard, si ha la massima conducibilità elettrica poiché si ha la massima concentrazione di entrambe le forme. Viceversa ad un potenziale al quale fosse presente solo una delle due forme, il polimero si comporterebbe da isolante.

I materiali con ionomeri caricati sono costituiti da polimeri che contengono nella propria catena delle unità monomeriche con una carica elettrica positiva o negativa (ionomeri) ovviamente bilanciata da un controione libero.

Per diventare conduttori elettronici è necessario che gli ionomeri

inglobino una coppia redox, con carica complessiva opposta a quella dello ionomero, in sostituzione del controione. In queste condizioni il movimento macroscopico di elettroni avviene poi con lo stesso meccanismo dei

Polivinilferrocene

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polimeri redox. Ad esempio la polivinilpiridina può produrre facilmente ionomeri per trattamento con HCl, formando il corrispondente cloridrato: la piridina protonata costituisce lo ionomero (positivo) la cui carica è controbilanciata dal Cl-. Questi ionomeri sono in grado di inglobare una coppia redox che abbia una carica complessiva negativa come, ad esempio [Fe(CN)6]

3- (in questo caso ci vogliono tre ionomeri per saturare la carica del ferricianuro); si ha cioè lo scambio tra tre controioni Cl- del polimero ed il ferricianuro presente nella soluzione nella quale il polimero viene introdotto. Un esempio di segno opposto può essere costituito dal Nafion, un polisolfonato (X- rappresenta SO3

-) quindi con ionomeri di carica negativa (il controione è Na+ o H+), che può inglobare una coppia redox a base di [Ru(NH3)6]

3+. Anche in questo caso sono coinvolti tre ionomeri per ogni coppia redox inglobata.

Indubbiamente il caso più interessante di polimeri conduttori elettronici riguarda le poliolefine coniugate, cioè il caso di polimeri con una serie doppi legami coniugati (intercalati da legami semplici).

In questo caso si raggiungono valori elevati di conducibilità elettronica,

grazie al fatto che il sistema coniugato realizza la delocalizzazione degli elettroni π, che sono quindi in grado di muoversi facilmente lungo il polimero. Il problema si pone ovviamente quando gli elettroni devono

Nafion (X=SO3-)

(CF2- CF2)x (CF2- CF2)y

O

CF2

C F CF2-CF2

CF3

XM+

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passare da una catena ad un’altra, che rappresenta il rate determining step per il trasporto di cariche elettriche. Infatti il polimero neutro non ha conducibilità e in pratica si realizza una situazione simile a quella di un semiconduttore, con la banda di valenza piena ed il band gap elevato. Per rendere conduttore il polimero è necessario renderlo carico, ad esempio ossidandolo. Per ogni doppio legame che viene ossidato si forma un radicale catione che costituisce un polarone.

I polimeri conduttori elettronici vengono impiegati come tali in diversi dispositivi (cioè come materiali elettrodici al posto dei metalli), come nell’elettrocatalisi, grazie al fatto che la sintesi organica consente di “aggiustare” la superficie di tali materiali elettrodici potendo attaccare al polimero qualsiasi gruppo funzionale (cioè qualsiasi catalizzatore).

La prima applicazione di massa dei polimeri conduttori è nella preparazione di batterie ricaricabili (anche per i telefonini): i polimeri conduttori (polipirrolo, polianiline) sono usati come elettrodi, in quanto affiancano all'ottima conducibilità facilità di sagomazione, resitenza meccanica ed elevata ciclabilità (ovvero risposta uniforme nei cicli di carica/scarica). Anche il settore della preparazione di circuiti elettronici lascia intravedere grandi possibilità per il futuro (i polimeri conduttori possono avere resistenza inferiore a quella dei metalli, quindi scaldare meno, e soprattutto sono più facilmente sagomabili e filmabili, per cui è facile prevedere una spinta verso l'ulteriore miniaturizzazione dei dispositivi elettronici).

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MONOCRISTALLI Molte reazioni eterogenee sono influenzate dalla struttura delle

superfici. In elettrochimica, l’importanza di usare monocristalli è legata al fatto che i più importanti parametri interfasali dipendono dall’orientazione cristallografica del metallo usato come elettrodo: il potenziale di carica zero, ad esempio, è strettamente legato a proprietà superficiali quali il lavoro di estrazione dell’elettrone e l’energia superficiale. Nella pratica le superfici policristalline presentano molte sfaccettature e bordi di grano. Di conseguenza le loro proprietà superficiali dipendono dalla distribuzione delle varie orientazioni cristallografiche, che a loro volta dipendono da come la superficie metallica è stata preparata.

Cenni di cristallografia Un cristallo è un solido in cui gli atomi sono disposti in modo

regolare tale da formare un reticolo tridimensionale, ovvero da un reticolo che ripete nelle tre direzioni spaziali la cella elementare. Per lo più i solidi sono policristallini, ovvero sono costituiti da piccoli cristalli singoli ognuno dei quali costituisce un grano.

I grani sono generalmente orientati in modo casuale l’uni rispetto all’altro e sono separati da zone ben distinte, i “bordi”, nei quali si può verificare una struttura disordinata simile a quella di un liquido, o anche quel tipo di difetto cristallino che è la dislocazione. La diversa struttura del bordo rispetto al grano che lo determina può influenzare in grado diverso molte delle proprietà del solido.

Quando la periodicità con cui gli atomi sono disposti nel reticolo si estende a tutto il volume del solido considerato, si ha un monocristallo.

Cristalli metallici In genere le strutture metalliche sono

relativamente semplici e caratterizzate da una grande densità di atomi e da un elevato grado di simmetria. Infatti le forze che legano gli atomi in un cristallo metallico non sono direzionali, per cui ogni atomo tende a circondarsi del maggior numero possibile di

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altri atomi. E’ allora possibile assimilare ogni atomo ad una sfera di raggio pari al raggio atomico.

Molti dei metalli utilizzati come elettrodo nello studio dell’interfase metallo/soluzione (Au, Ag, Pt, Cu) cristallizzano nel sistema cubico a facce centrate in cui la cella elementare è costituita da un cubo con un atomo ad ogni vertice ed un atomo situato al centro di ogni lato.

Ogni punto di un reticolo cristallino viene individuato in riferimento degli assi cristallografici, cioè ad una terna di assi che nel sistema cubico

sono ortogonali tra loro. Un qualsiasi piano che tagli in cristallo determina una distribuzione superficiale di atomi che corrisponde ad una faccia ben precisa. Per la notazione delle facce vengono generalmente usati gli indici di Miller: per ogni cristallo viene scelta una faccia di riferimento (faccia fondamentale) che tagli tutti e tre gli assi di riferimento staccando rispettivamente i segmenti a, b, c. Qualsiasi faccia staccherà tre segmenti a’, b’, c’ e potrà essere individuata

attraverso i parametri h, k, l tali che:

':

':

'::

c

c

b

b

a

alkh =

I valori h, k, l vengono chiamati indici di una faccia e scritti tra parentesi, (h,k,l) rappresentano il simbolo della faccia. Tutti i piani paralleli hanno gli stessi indici. Gli indici espressi con segno negativo si riferiscono a facce che incontrano gli assi cristallografici sul lato negativo. Nel sistema cubico a facce centrate la faccia fondamentale è la (111), cioè quella che stacca tre segmenti unitari. In questo caso gli indici di una faccia qualsiasi si determinano prendendo il reciproco dei segmenti staccati sugli assi cristallografici e riducendoli ai tre numeri interi più piccoli che presentano lo stesso rapporto. Se una faccia incontra solo l’asse x ed è parallela agli assi y e z, il suo simbolo sarà (100):

∞∞= 1

:1

:1

10:0:1

z

y

x

y b b’

c

c

a

a’

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Le facce che rivestono maggiore interesse da un punto di vista elettrochimico sono la (100), la (111) e la (110):

Gli indici racchiusi in parentesi graffa indicano una famiglia di facce equivalenti. Ad esempio, le sei facce del cubo costituiscono la famiglia {100}, ovvero:

{ } 100010001001010100100 +++++= Analogamente ci sono 12 facce che costituiscono la famiglia {110} e

8 che costituiscono la {111}. Nel caso di metalli puri tutte queste facce hanno la stessa configurazione atomica, cosa che permette di utilizzare indifferentemente le parentesi tonde o graffe.

L’insieme di più facce che si incontrano secondo spigoli paralleli tra loro si chiama zona; le facce risultano quindi parallele ad una stessa retta chiamata asse di zona. Le zone importanti di un cristallo sono quelle a cui appartengono molte serie di piani densamente popolati.

Simmetria Uno degli aspetti più evidenti della struttura del cristallo è il ripetersi

regolare di elementi come facce, spigoli e vertici. E’ cioè possibile ricoprire un elemento cristallografico con un altro elemento fisicamente identico per inversione intorno ad un punto (centro di simmetria), per riflessione rispetto ad un piano (piano di simmetria) o per rotazione intorno ad un asse (asse di simmetria. Dell’asse occorre anche specificare il numero di volte che si ottiene il ricoprimento di un elemento ruotando il cristallo di 360°si hanno così assi binari, ternari, quaternari e senari di simmetria. Per il cubo che possiede un elevato grado di simmetria si possono facilmente riconoscere un centro, 4 assi ternari, 3 assi quaternari, 6 assi binari e 6 piani di simmetria:

(100) (111)

(110)

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Proiezione stereografica Per ottenere una rappresentazione convenzionale e sintetica degli

elementi di simmetria di un cristallo si ricorre a vari tipi di proiezioni, di cui la più usata è quella stereografica. Nella proiezione stereografica ogni faccia viene rappresentata da un punto che non ha dimensioni né sviluppo, ma che è in grado di mostrare le relazioni angolari rispetto agli altri punti della proiezione. Si immagini di inserire un cristallo all’interno di una sfera e di trasportare le facce parallelamente a loro stesse fino ad essere tangenti alla sfera. Avremo così una serie di punti sulla sfera che sono i poli delle singole facce:

Si scelga poi un piano di proiezione (generalmente il piano

equatoriale) e si uniscano tutti i poli dell’emisfero nord con il polo sud. Questi segmenti incontreranno il piano equatoriale in una serie di punti

Asse quaternario

Asse ternario

Asse binario

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che costituiscono la proiezione stereografica delle facce dell’emisfero nord del cristallo.

Per facilitare la misura degli angoli

esistenti tra i punti nella proiezione stereografica si adopera il reticolo di Wulff in cui lo spazio bidimensionale è diviso in modo da corrispondere ad angoli nello spazio tridimensionale. L’angolo tra due punti qualsiasi viene misurato facendo coincidere il centro della proiezione con il punto centrale del reticolo di Wulff, portando i punti sulla stessa meridiana e misurando la loro differenza in latitudine.

reticolo di Wulff

proiezione stereografica del reticolo cubico a facce centrate

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Avendo a che fare con metalli puri che sono caratterizzati da un elevato grado di simmetria, è possibile semplificare la proiezione stereografica utilizzando un singolo triangolo, ai cui vertici sono poste le tre facce di maggiore importanza, e cioè la (100), la (111) e la (110):

Fig. 5 Struttura delle superfici monocristalline

Se si immagina di tagliare un monocristallo lungo una faccia determinata si ottiene un piano in cui gli atomi metallici sono disposti secondo la simmetria propria di quel piano. Ad esempio immaginando di tagliare un monocristallo lungo la faccia (100) si ottiene una distribuzione in cui gli atomi metallici a contatto tra di loro occupano i vertici di un quadrato (quadrato a tratteggio). Il piano (100) risulta dal susseguirsi di tre celle elementari in entrambe le direzioni orizzontale e verticale. Le linee tratteggiate indicano gli atomi che appartengono a 2 celle contigue.

La cella elementare di un piano cristallino è individuata dalla figura geometrica più piccola che può essere spostata in entrambe le direzioni parallelamente a se stessa. Perciò, la cella elementare del piano (100) è proprio la cella quadrata corrispondente alla cella tratteggiata. In modo analogo si possono individuare i piani (111) e (110)

a

b

c

x

y

z

piano (100)

(111)

(332)

(221)

(331)

(110)

(211)

(311)

(100)

(310) (210) (320)

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E’ da notare che nel piano (111) gli atomi a contatto sono disposti ai vertici di un triangolo. Tuttavia il triangolo non è una figura che possa essere spostata parallelamente a se stessa ricoprendosi esattamente. Perciò la cella elementare del piano (111) deriva dall’abbinamento di due triangoli ed è perciò un rombo. E’ poi evidente che il piano (110) è costituito da filari atomici distinti separati tra di loro. Tra i due filari si intravedono gli atomi del piano sottostante:

celle superficiali

(111)

(100)

(110)

piano (111)

piano(110)

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Esaminando il piano (110) in prospettiva si può vedere che gli atomi del filare superiore formano con il piano sottostante una sorta di gradino la cui struttura atomica è costituita da atomi fortemente impacchettati. La struttura corrispondente di questo gradino è perciò quella del piano (111).

Le figure riportate sopra indicano che le facce più compatte sono la (111) e la (100), mentre la faccia (110) deve essere considerata una faccia a gradini ed ha perciò una struttura molto meno compatta. Notazione di Lang per le facce ad alti indici di Miller La struttura atomica di facce ad alti indici di Miller è composta da terrazze separate da gradini. La notazione proposta da Lang per queste facce ha la forma n(htktl t) - (hsksls) dove (htktl t) e (hsksls) sono rispettivamente gli indici di Miller della terrazza e del gradino ed n indica il numero di atomi corrispondente alla larghezza della terrazza. La notazione risulta chiara se si considera che le facce non equivalenti di un metallo possono essere raggruppate in zone. Come già detto, una zona è l’insieme di più facce che si intersecano tutte intorno ad una stessa retta chiamata asse di zona. Prendendo come riferimento le facce a più bassi indici di Miller, e cioè la (100), la (111) e la (110), possiamo individuare tre diverse zone aventi come assi di zona le rette di intersezione tra la (100) e la (110), tra la (111) e la (110) e tra la (100) e la (111) (Fig. 22).

a

b

c

xy

z

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Ciascuna di queste zone è costituita dalle infinite facce che si individuano con un piano ideale che, ruotando intorno al relativo asse di zona, passa dalla posizione della faccia iniziale a quella finale tra le due facce a bassi indici di Miller che delimitano la zona. Poiché le facce (100), (111) e (110) sono quelle a più alta densità atomica superficiale, è abbastanza evidente che le facce intermedie delle tre zone così individuate sono caratterizzate da terrazze con una larghezza di due o più atomi nonché di gradini di altezza monoatomica che separano le terrazze tra di loro. Inoltre passando gradualmente dalla faccia iniziale a quella finale di una data zona, si incontrano prima facce aventi ampie terrazze con geometria della faccia iniziale e gradini con geometria della faccia finale, per poi passare a facce aventi ampie terrazze con geometria della faccia finale e gradini con geometria della faccia iniziale. In questo passaggio si incontra un punto di inversione, costituito dalla faccia intermedia che può essere considerata indifferentemente come costituita da terrazze biatomiche della faccia iniziale e gradini monoatomici della faccia finale oppure viceversa. Il punto di inversione per la zona che va dalla faccia (100) alla (111) è costituito dalla faccia (311), mentre quello per la zona che va dalla faccia (100) alla (110) è costituito dalla faccia (210). Fa eccezione la zona che va dalla faccia (111) alla (110), in cui non c’è un vero punto di inversione. Infatti la faccia (110), che come si è visto è la più rugosa a livello atomico,

Asse di zona [100][110]

Asse di zona [100][111]

Asse di zona [100][111]

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può essere essa stessa considerata costituita da terrazze biatomiche (111) e scalini ancora (111).

corrispondenza tra indici di Miller e notazione di Lang.

10(100)-(111)=(19,1,1)

(111)

(332)= 6(111)-(111)

(221)=4(111)-(111)

(331) =3(111)-(111)

oppure 2(110)-(111)

(110)=2(111)-(111)

3(111)-(100)=(211)

2(111)-(100) oppure

2(100)-(111)=(311)

(100)

(310)=

3(100)-(110)

(210)=

2(110)-(100)

oppure

2(100)-(110)

(320)=3(110)-

(554)=10(111)-(111)

(551)=3(110)-(111)

(10,1,0)=

10(100)-(110)

3(100)-(111)=(511)

4(111)-(100)=(533)

6(111)-(100)=(755)

7(111)-(100=(433)

10(111)-(100)=(11,9,9)

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TECNICHE ELETTROCHIMICHE Le tecniche di indagine possono essere grossolanamente suddivise

in statiche e dinamiche. I metodi statici implicano misure di ddp a i=0 e sono perciò

condotte in condizioni di equilibrio nelle quali si applica l’equazione di Nernst. Sebbene le misure potenziometriche siano di grande importanza pratica (ad esempio per la misura del pH, pM ecc.) esse non permettono di ricavare indicazioni circa la cinetica del processo. La misura del potenziale con il metodo potenziometrico viene fatta ad esempio immergendo l’elettrodo in una soluzione contenente forma ossidata e forma ridotta. La forza elettromotrice (fem) della pila che si ottiene chiudendo il circuito con un altro elettrodo di riferimento varierà al variare del rapporto tra forma ossidata e forma ridotta. Le due forme tuttavia devono essere entrambe presenti e devono avere concentrazioni confrontabili.

Di gran lunga più importanti sono le tecniche dinamiche con le quali il sistema viene in qualche modo perturbato forzando il potenziale dell’elettrodo di lavoro (considerato come variabile indipendente) ad un valore voluto e misurando la corrente (variabile dipendente) come funzione del tempo. In alternativa si può controllare la corrente (variabile indipendente) e misurare il potenziale dell’elettrodo di lavoro (variabile dipendente) sempre come funzione del tempo.

Noi prenderemo in considerazione i metodi a potenziale controllato.

Metodi a potenziale controllato Il potenziale dell’elettrodo viene forzato ad un certo valore, che

può essere costante o variare nel tempo in modo predeterminato. La corrente viene perciò misurata come funzione del tempo o del potenziale.

Nei metodi che tratteremo, l’elettrodo è un microelettrodo ed il volume di soluzione è sufficientemente grande da far sì che il passaggio di corrente in soluzione non alteri la concentrazione massiva delle specie elettroattive (altrimenti si avrebbe l’elettrolisi ad esaurimento).

Il sistema sperimentale di base è costituito da un generatore di funzione, da un potenziostato e dalla cella di misura. Il generatore di funzione permette di variare nel tempo il potenziale dell’elettrodo di lavoro con un andamento programmato, invece il potenziostato è lo strumento che controlla il potenziale tra elettrodo di lavoro e

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controelettrodo, aggiustando continuamente il potenziale dell’elettrodo di lavoro in modo da tenere costante la differenza di potenziale tra elettrodo di lavoro e riferimento (quest’ultima ddp viene misurata con un circuito ad alta impedenza per evitare che ci sia un passaggio di corrente tra lavoro e riferimento).

Perturbazione di un equilibrio elettrochimico Un sistema elettrochimico in equilibrio può essere perturbato in

vari modi. Ad esempio si può variare il potenziale applicato rispetto al valore di equilibrio espresso dall'equazione di Nernst e misurare la corrente che fluisce in seguito a questa variazione. La variazione del potenziale può essere effettuata in molti modi. Si può così :

� effettuare un brusco salto di

potenziale dal valore di equilibrio Eeq ad un diverso valore E che viene poi mantenuto costante (metodo potenziostatico)

� variare il potenziale applicato in modo lineare nel tempo fino ad un valore finale Ef e poi tornare al potenziale iniziale bruscamente (voltammetria a scansione lineare di potenziale)

E(t)

Eeq

tempo

Eeq

Eeq

Eeq

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� tornare al potenziale iniziale attraverso una scansione lineare in senso opposto (voltammetria ciclica),

� sovrapporre al potenziale finale costante E un segnale sinusoidale dell' ampiezza di 5 ÷ 10 mV (metodo di impedenza faradica).

Qualunque sia il metodo usato per perturbare l'equilibrio del sistema elettrochimico, il passaggio di corrente attraverso la soluzione che separa i due elettrodi determina una variazione del potenziale elettrico all'interno della soluzione stessa. Infatti la soluzione è un conduttore di seconda specie che obbedisce alle leggi di Ohm, per cui il passaggio di una corrente i attraverso una porzione di soluzione di resistenza R determina ai capi di questa porzione una differenza di potenziale elettrico pari ad iR. Questo significa che quando c’è un passaggio di corrente neppure la massa della soluzione è più perfettamente omogenea. La situazione è ancora più drammatica nelle vicinanze di uno qualsiasi dei due elettrodi su cui hanno luogo rispettivamente la reazione di elettroriduzione e quella di elettroossidazione.

Consideriamo ad esempio uno dei due elettrodi ed ammettiamo che su di esso proceda il processo :

O + ne → R dove O ed R sono

rispettivamente la forma ossidata e quella ridotta. Il passaggio di corrente determinerà un graduale impoverimento della soluzione adiacente all'elettrodo nella forma O ed un graduale arricchimento nella forma R, impoverimento ed arricchimento che si estenderanno a distanze progressivamente maggiori dalla superficie dell’elettrodo con il crescere del tempo di elettrolisi.

La figura mostra il profilo di concentrazione di O e di R che si

produce in seguito ad un salto di potenziale, per tempi progressivamente crescenti misurati a partire dall'istante del salto. Da notare che generalmente l'elettrolisi non è spinta mai a tempi talmente lunghi da alterare la concentrazione dei reagenti nella massa della soluzione, per

x

c

cO*

cR*

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cui possiamo continuare a riferirci ad una concentrazione "massiva" dei reagenti costante nel tempo durante l'intero periodo di elettrolisi.

All’altro elettrodo si avrà una analoga alterazione della concentrazione delle specie coinvolte nel processo anodico e di conseguenza una variazione della differenza di potenziale attraverso entrambe le interfasi metallo/soluzione relative ai due elettrodi. Ma come si è già detto, solo la differenza di potenziale E tra i morsetti dell'intera cella è sperimentalmente misurabile, così come le sue variazioni. Tuttavia se queste variazioni si concentrano solo su una delle due interfasi metallo/soluzione, saremo in grado di conoscere anche le "variazioni di differenza di potenziale" che si producono a quella interfase, mentre ciò non sarà possibile se le variazioni di E si ripartiscono in modo sconosciuto e non misurabile attraverso le interfasi dei due elettrodi. D'altra parte, nello studio della cinetica di un processo elettrodico si è in genere interessati a ciò che avviene ad un singolo elettrodo che perciò viene chiamato “elettrodo di lavoro” a prescindere che esso funzioni da anodo o da catodo. La natura del processo elettrodico che si manifesta sull'altro elettrodo non ha in genere alcuna importanza e ciò che si richiede è che la differenza di potenziale attraverso questo elettrodo si mantenga costante durante l'intero periodo di elettrolisi. Trasporto di massa in soluzione

Una volta visto come focalizzare da un punto di vista sperimentale

la nostra attenzione sul solo elettrodo di lavoro e sul solo processo elettrodico che su di esso si manifesta, vediamo di esaminare più da vicino gli effetti della perturbazione apportata al nostro sistema elettrochimico. Un processo elettrodico è una reazione eterogenea che comporta il trasporto delle specie reagenti verso la superficie elettrodica e l'allontanamento dei prodotti dalla stessa superficie. Il trasporto di materia può procedere attraverso tre meccanismi solo apparentemente distinti:

� Migrazione: gli ioni in soluzione si muovono per effetto di un

campo elettrico (cioè un gradiente di potenziale elettrico) � Diffusione: la specie in soluzione si muove sotto l’azione di un

gradiente di concentrazione. Come si è già visto è lo stesso verificarsi della reazione elettrodica a produrre un impoverimento della concentrazione del reagente che si trova in vicinanza dell’elettrodo. Ovviamente la diffusione non risente della carica delle particelle, cioè a differenza della migrazione che si ha solo per specie cariche, la diffusione può avvenire anche per specie neutre.

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� Convezione: moto della soluzione prodotto da agitazione forzata oppure da gradienti di temperatura o di pressione creatisi in seno alla soluzione stessa.

È evidente che mentre il moto convettivo corrisponde ad un moto

di insieme di molecole di soluto e solvente e può essere evitato mantenendo in quiete la soluzione, sia il moto migratorio che quello diffusivo corrispondono ad un moto di molecole di soluto relativamente a quelle di solvente e possono essere raggruppati nello stesso trattamento matematico se si pensa che parlare di gradiente di potenziale elettrico e gradiente di concentrazione equivale a parlare di gradiente di potenziale elettrochimico. Infatti:

φµµ FzcRT iiii ++= ln0 All’equilibrio iµ è costante all’interno di una fase o di fasi

contigue, nel caso in cui la specie sia presente in entrambe le fasi. In condizioni di non equilibrio invece iµ non è costante e la specie si muove sotto l’azione della forza:

F i = - grad µ i

(il segno negativo tiene conto del fatto che la specie tende a

spostarsi da punti a potenziale elettrochimico maggiore verso punti a potenziale elettrochimico minore, e più precisamente nella direzione e verso in cui diminuisce con la massima velocità) e limitandosi a considerare solo il moto lungo l’asse x (che potremo far coincidere con la direzione perpendicolare all’elettrodo):

dx

dF i

iµ−=

Sebbene per una specie carica i due contributi, diffusivo e

migratorio, risultino inscindibili, si possono realizzare condizioni sperimentali tali da poter trascurare l’uno o l’altro termine. Perciò nell’uso delle principali tecniche elettrochimiche si cerca in genere di evitare contributi migratori e convettivi, e di conseguenza si cerca di far sì che il rifornimento della specie reagente all’elettrodo avvenga per diffusione. Per minimizzare il contributo migratorio basterà aggiungere un elettrolita di supporto, cioè un elettrolita inerte da un punto di vista

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elettrochimico, il cui solo ruolo sia quello di ridurre la resistenza della soluzione. In altre parole, se si aggiunge un elettrolita elettroinattivo in forte eccesso rispetto ad una specie i-esima elettroattiva (per es. 100:1) la corrente in soluzione sarà trasportata quasi interamente dagli ioni dell’elettrolita di supporto. La corrente trasportata in soluzione dalla specie i-esima sarà invece una frazione piccolissima. Per minimizzare i moti convettivi basterà operare in condizioni in cui la soluzione non venga soggetta ad agitazione.

Per la diffusione si applicano le leggi di Fick:

x

iii x

cD)x(

∂∂−=Φ I legge di Fick

Φι è il flusso della specie i alla superficie

dell’elettrodo, ovvero il numero di moli che attraversano l’unità di superficie posta perpendicolarmente alla direzione del moto alla distanza x nell’unità di tempo e Di rappresenta il coefficiente di diffusione che, esprimendo Φ in moli cm-2 s-1 e c in moli cm-3, risulta espresso in cm2 s-1.

Il segno meno tiene conto del fatto che il moto procede nella

direzione contraria a quella dell’asse x. L’uso delle derivate parziali tiene conto del fatto

che il gradiente di concentrazione generalmente varia nel tempo, cioè la concentrazione non è solo funzione di x ma anche di t. Consideriamo infatti il processo O + e → R. Nel tempo il gradiente di concentrazione diminuisce perché altra sostanza arriva all’elettrodo, mentre per t=0 la concentrazione alla superficie dell’elettrodo è uguale a quella nella massa della soluzione *

Oc . Nella derivazione delle equazioni che forniscono la corrente

occorre perciò stabilire come varia la concentrazione alla superficie dell’elettrodo nel tempo:

2

i2

i x

cD

t

c

∂∂=

∂∂

II legge di Fick.

1

cm2

x

cR oppure cO

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35

VOLTAMMETRIA Con il termine “voltammetria” si intende genericamente una misura di corrente in funzione del potenziale applicato che viene fatto variare gradualmente nell’intervallo in cui si vuole osservare un qualche processo elettrochimico. La forma del voltammogramma è diversa a seconda che la misura di corrente sia effettuata in modo da prescindere dalla inevitabile dipendenza dal tempo.

Infatti, come vedremo, la corrente è proporzionale al gradiente di concentrazione che diminuisce nel tempo:

La dipendenza dal tempo della corrente può essere di fatto

eliminata in modi diversi. Principalmente si può: � effettuare la misura della corrente ai vari potenziali allo stesso

tempo dall’inizio dell’elettrolisi (cioè si applica un potenziale e si aspetta sempre lo stesso tempo per effettuare la misura)

� utilizzare un elettrodo rotante che mantiene costante il profilo di concentrazione

� utilizzare un elettrodo ad area crescente quale l’elettrodo a goccia di mercurio, ed in questo caso la tecnica voltammetrica prende il nome di polarografia. Nella polarografia ogni goccia viene fatta crescere a potenziale costante e la corrente aumenta proporzionalmente all’area della goccia fornendo delle oscillazioni tipiche, la cui ampiezza dipende dal potenziale applicato. Per eliminare la dipendenza dal tempo della corrente basta prenderne il valore medio (ovvero il valore medio dell’oscillazione) a quel potenziale.

Invece la dipendenza dal tempo è presa in considerazione nella “voltammetria a scansione lineare di potenziale”, o nella “voltammetria ciclica”, che prevede una scansione di potenziale di ritorno al potenziale iniziale.

x

c

cO*

t

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36

Curva voltammetrica reversibile Consideriamo un processo elettrodico globale del tipo

O+ne→R, dove tutti gli stadi elementari eterogenei sia chimici che elettrochimici sono in quasi equilibrio. In questo caso gli unici stadi lenti sono rappresentati dalla diffusione di O verso l'elettrodo e da quella di R via dall'elettrodo. Questa situazione è quella di un processo reversibile che richiede la soluzione delle due equazioni differenziali di diffusione relative ad entrambe le specie O ed R:

2

2

x

cD

t

c ii

∂∂

=∂∂

con i=O,R (1)

Ciascuna delle due equazioni differenziali diffusionali di eqn.(1) richiede una integrazione della concentrazione ci rispetto al tempo e due integrazioni successive rispetto alla distanza x. L’integrazione rispetto al tempo richiede che venga specificata una condizione iniziale, e cioè l’andamento della concentrazione con la distanza x dalla superficie dell’elettrodo al tempo t=0. Le due integrazioni rispetto alla distanza richiedono invece che vengano specificate due condizioni al contorno, e cioè due relazioni che devono essere soddisfatte dalla concentrazione e/o dalle sue derivate ai confini della regione spaziale.

Normalmente la condizione iniziale esprime semplicemente l’uniformità della concentrazione (e cioè la sua costanza al variare della distanza) al tempo t=0, che corrisponde all’inizio del processo di elettrolisi:

ci =ci* per t = 0 x ≥ 0 (2) Inoltre, una delle due condizioni al contorno si riferisce ad una

distanza infinita (x→∞) dalla superficie dell’elettrodo ed esprime il fatto che per x=∞, la concentrazione della specie i si mantiene costante nel tempo, e perciò uguale a quella iniziale, ci*:

ci =ci* per t ≥ 0 x → ∞ (3)

Quando vale quest’ultima condizione al contorno, la diffusione

viene detta semiinfinita, in quanto ha luogo nell’intero semispazio tra

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x=0 ed x=∞. Questo significa che l’alterazione nella concentrazione della specie i che diffonde rimane limitata ad una zona ristretta in vicinanza dell’elettrodo, senza mai giungere a lambire le pareti della cella di elettrolisi. Nella pratica, se l’elettrolisi si protrae oltre alcune decine di secondi, la regione in cui si estende l’alterazione delle concentrazioni è già sufficientemente ampia da determinare degli apprezzabili gradienti di densità della soluzione; questi, a loro volta, innescano dei moti convettivi difficilmente valutabili, che si sovrappongono a quelli puramente diffusivi espressi dall’eqn.(1). La seconda condizione al contorno dipende dal particolare problema diffusionale che si considera. In assenza della condizione iniziale e delle due condizioni al contorno il problema diffusionale è chiaramente indefinito.

Ammettiamo che tanto la forma ossidata che quella ridotta siano presenti nella massa della soluzione, ed indichiamo con cO* e cR* le corrispondenti concentrazioni massive. In questo caso le due condizioni iniziali e due delle quattro condizioni al contorno richieste per la soluzione del sistema delle due equazioni differenziali di eqn. (1) sono espresse dalle eqn.(2) e (3):

cO =cO* per x ≥ 0 ; t = 0

x → ∞ ; t ≥ 0 cR =cR* per x ≥ 0 ; t = 0

x → ∞ ; t ≥ 0 Le altre due condizioni al contorno devono esprimere due relazioni tra le concentrazioni cO e cR e/o le loro derivate alla superficie dell’elettrodo, x=0.

Naturalmente quando si parla di concentrazioni alla superficie dell’elettrodo si intendono comunque le concentrazioni al confine esterno dello strato diffuso. Infatti il campo elettrico generato all’interno della soluzione dalla caduta ohmica è enormemente inferiore a quello che sussiste, anche in condizioni di equilibrio, in quella parte della regione interfasale più prossima alla superficie elettrodica. Ciò permette di continuare a distinguere la regione interfasale (e cioè il cosiddetto doppio strato, il cui spessore va da circa 100 Å per soluzioni 10-3 M di un elettrolita uni-univalente a circa 3 Å per soluzioni 1M) dalla fase soluzione, anche se quest’ultima non è più perfettamente omogenea a causa del passaggio di corrente. Viceversa già dopo un millisecondo dall'inizio dell'elettrolisi, lo strato di soluzione adiacente alla superficie

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38

dell'elettrodo entro il quale si risente apprezzabilmente dell'impoverimento di O e dell'arricchimento di R ha uno spessore dell'ordine di 104 Å , e quindi di diversi ordini di grandezza superiore allo spessore del doppio strato. Questo strato, che prende nome di "strato di diffusione", cresce inoltre rapidamente con il tempo t misurato dall'inizio dell'elettrolisi, raggiungendo valori dell'ordine di 5x105 Å per t=1 s.

Noi abbiamo già ammesso che il processo elettrodico in esame sia

controllato esclusivamente dalla diffusione. Perciò, possiamo applicare la condizione di equilibrio (e cioè l'equazione di Nernst) all'intero processo elettrodico. Indicando con O e R queste concentrazioni, potremo perciò scrivere l’equazione di Nernst nella seguente forma esponenziale:

−=RT

EEnF

c

c

R

O )(exp 0 (4)

Questa rappresenta la terza delle quattro condizioni al contorno

richieste per la soluzione del problema diffusionale. L’ultima condizione al contorno richiesta impone che il flusso

diffusionale della forma ossidata O alla superficie dell’elettrodo risulti costantemente uguale in valore assoluto ma di segno opposto al flusso

φφφφ0

φφφφ(x

Parte compatta Parte diffusa

del doppio strato

OHP Strato di diffusione

d x

c(x)

φφφφd ci

Confine dello strato diffuso

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della forma ridotta R alla superficie dell’elettrodo. Questa è la condizione di stazionarietà necessaria a garantire che non si verifichi accumulo né di O né di R alla superficie dell’elettrodo durante l’elettrolisi:

∂∂−=

∂∂

x

cD

x

cD R

RO

O (5)

dove DO e DR esprimono i coefficienti di diffusione di O e di R; il

segno negativo al secondo membro tiene conto del fatto che il flusso diffusivo di O e quello di R sono rivolti in senso opposto.

Facciamo adesso l'ulteriore ammissione che l'elettrolisi venga condotta a potenziale applicato E costante, e cioè in condizioni potenziostatiche. La condizione al contorno di eqn.(4) afferma che in

questo caso il rapporto RO cc / tra le concentrazioni di O e di R per x=0 rimane costante durante l’elettrolisi. La condizione al contorno di eqn.(3) afferma inoltre che il numero di moli di O che giungono sulla superficie dell’elettrodo nell’unità di tempo è uguale al numero di moli di R che se allontanano nella stessa unità di tempo, o viceversa; ciò significa che la somma del numero di moli di O e di R alla superficie dell’elettrodo rimane immutata durante l’elettrolisi, e cioè che

( )RO cc + è costante nel tempo. Poiché sia la somma che il rapporto delle concentrazioni di O e di R alla superficie dell’elettrodo rimangono costanti nel tempo, devono essere ovviamente costanti nel tempo

tanto Oc che Rc . In questo caso il problema diffusionale si semplifica

ulteriormente, in quanto le due equazioni differenziali di eqn.(1) possono essere risolte separatamente, anziché combinate in un sistema di due equazioni differenziali. Basterà infatti risolvere singolarmente ciascuna di queste due equazioni differenziali con la relativa condizione iniziale (eqn.2), la relativa condizione al contorno per x→∞ (eqn.3), nonché la condizione al contorno per x=0 che esprime la costanza nel tempo della concentrazione della specie i (con i=O,R) alla superficie dell’elettrodo:

tcc ii cos== per x = 0 ; t ≥ 0 La soluzione di questa equazione differenziale si effettua tramite le

trasformate di Laplace. La prima integrazione, di cui ci limitiamo a

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40

riportare i risultati, fornisce il flusso della specie i per x=0, e cioè alla superficie dell’elettrodo, in funzione del tempo:

i

iii cc

x

c

δ−

=

∂∂ *

con tDii πδ = (i=O,R) (6)

la figura mostra il profilo di concentrazione della forma ossidata O

come si ricava in seguito ad una seconda integrazione dell'equazione differenziale che esprime la seconda legge di Fick, per diversi tempi di elettrolisi t e nel caso particolare in cui la concentrazione i alla superficie dell’elettrodo sia uguale a zero.

Come si vede dalle linee a tratteggio in figura, la quantità δi misura

la distanza dalla superficie dell'elettrodo corrispondente al punto di intersezione della tangente al profilo di concentrazione per x=0 con il segmento orizzontale che individua il valore massivo ci* della concentrazione della specie i che diffonde verso l’elettrodo. In questo senso δi fornisce una misura dello spessore della regione cui si estende l'impoverimento del reagente e l'arricchimento del prodotto dell’elettrolisi e perciò viene chiamato spessore dello strato di diffusione. Secondo l'eqn.(6) l'impoverimento del reagente si propaga nella soluzione con una velocità proporzionale a t1/2 qualora la sua concentrazione alla superficie dell'elettrodo sia mantenuta costante nel tempo (ed ovviamente minore di quella massiva ci*).

Introducendo il risultato di eqn.(6) nella condizione al contorno

di eqn.(5), è possibile giungere all’espressione della corrente dovuta al processo elettrodico in funzione del potenziale applicato effettuando

x

c

cO

δδδδi

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41

soltanto delle manipolazioni algebriche. Infatti, la corrente che fluisce attraverso l’elettrodo è proporzionale al numero di moli di O che raggiungono la superficie dell'elettrodo per diffusione nell’unità di tempo nel caso di elettroriduzione, o a quelle che se ne allontanano nel caso di elettroossidazione. La costante di proporzionalità è ovviamente data dalla carica associata alla riduzione di una mole di O ad R, e cioè nF, moltiplicata per l’area A della superficie elettrodica. In base alla prima legge di Fick potremo perciò esprimere la corrente i come segue:

0=

∂∂

−=x

OO x

cnFADi

Combinando questa equazione con la condizione al contorno di

eqn.(5) e con l’eqn.(6) si ottiene:

=−

−=

∂∂

−== O

OOO

x

OO

ccnFAD

x

cnFADi

δ

*

0

R

RRR

x

RR

ccnFAD

x

cnFAD

δ−=

∂∂=

=

*

0

(7)

I segni tengono conto della convenzione che considera positiva la corrente di ossidazione. Va tuttavia notato che molti testi riportano la convenzione opposta, che risulta più comoda in polarografia perché i processi studiati su elettrodo di mercurio sono generalmente quelli di riduzione.

Dall’eqn. (7) risulta evidente che la corrente catodica non può superare il limite massimo che si raggiunge quando la forma ossidata O si trasforma totalmente ed istantaneamente nella corrispondente forma ridotta R non appena raggiunge la superficie dell’elettrodo, ovvero

quando Oc =0. In questo caso la corrente catodica raggiunge il suo valore limite massimo:

O

OOcd

cnFADi

δ

*

, −= (8)

Elettrochimica dei materiali e dei nanosistemi 2013/2014 M. L. Foresti Cap. III – Materiali elettrodici e tecniche elettrochimiche di base

42

che prende nome di corrente limite di diffusione catodica. Ciò si verifica per potenziali applicati sufficientemente negativi.

Con considerazioni perfettamente analoghe, la corrente anodica non può superare un valore limite massimo che si raggiunge a potenziali

applicati sufficientemente positivi, ovvero quando Rc =0. Questo valore massimo rappresenta la corrente limite di diffusione anodica:

R

ROad

cnFADi

δ

*

, = (9)

Le correnti limite di diffusione id,c(t) e id,a(t) sono grandezze

agevolmente misurabili dal punto di vista sperimentale, perché il loro valore rimane costante al variare del potenziale applicato E anche quando questo viene slittato verso valori più negativi per un processo di riduzione o più positivi per un processo di ossidazione. I valori sperimentali di id,c e di id,a possono essere quindi sfruttati per dare all'espressione della corrente i in funzione del potenziale applicato E una forma più maneggevole. Infatti, combinando le eqns (7-9) si ha:

**

*

,

1O

O

O

OO

cd c

c

c

cc

i

i −=−

=

**

*

,

1R

R

R

RR

ad c

c

c

cc

i

i −=−

=

da cui:

c,d

c,d

*O

O

i

ii

c

c −=

;

a,d

a,d

*R

R

i

ii

c

c −=

(10)

Va notato che i può essere sia maggiore che minore di zero mentre

è sempre: id,c < 0 ; id,a > 0 Ne consegue che:

Elettrochimica dei materiali e dei nanosistemi 2013/2014 M. L. Foresti Cap. III – Materiali elettrodici e tecniche elettrochimiche di base

43

per i=0 : *OO cc = ; *

RR cc =

per i >0 : 0,

<cdi

i ; 0

,

>adi

i

per i <0 : 0,

>cdi

i ; 0

,

<adi

i

Se i/id,c > 0 significa che *OO cc < , cioè il processo è un processo

di riduzione in cui si consuma O. Per arrivare all’espressione finale basta considerare la condizione

al contorno (4) scritta in forma logaritmica:

=+=+=*

*

*

*

00 lnlnO

R

R

O

R

O

R

O

c

c

c

c

c

c

nF

RTE

c

c

nF

RTEE

da cui sulla base delle eqn. (10):

=−

−+=

*R

*O

a,d

a,d

c,d

c,d0 c

c

ii

i

i

iiln

nF

RTEE

=

−−

+=*R

*O

c,d

a,d

a,d

c,d0 c

c

i

i

ii

iiln

nF

RTE

Considerando le espressioni delle correnti limite (8) e (9) in cui

tDOO π=δ e tDRR π=δ si ha che:

*O

2/1O

*R

2/1R

c,d

a,d

cD

cD

i

i=− →

2/1O

2/1R

*R

*O

c,d

a,d

D

D

c

c

i

i=−

e infine:

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44

−−

++=a,d

c,d

2/1

O

2/1

R0 ii

iiln

nF

RT

D

Dln

nF

RTEE (11)

Questa equazione esprime l'andamento della corrente i in funzione

del potenziale applicato E per un processo elettrodico di riduzione in cui tutti gli stadi elementari sono in quasi equilibrio con la sola eccezione dello stadio di diffusione. L'andamento della corrente espresso dall'eqn.(11) è di tipo sigmoidale e tale da individuare una sorta di onda. Questa viene chiamata curva voltammetrica Nel caso particolare da noi esaminato in cui l'unico stadio del processo che non sia in quasi equilibrio è quello di diffusione, la curva voltammetrica viene detta reversibile. Il plateau di questa onda a potenziali applicati sufficientemente negativi individua la corrente limite di diffusione catodica id,c, mentre quello a potenziali applicati sufficientemente positivi individua la corrente limite di diffusione anodica id,a.

Dall’eqn.(11) appare evidente che, quando la corrente i è uguale a (id,c+id,a)/2 e cade quindi esattamente a metà strada tra la corrente limite di diffusione anodica e quella catodica, il rapporto (id,c-i)/(i-i d,a) è uguale all’unità ed il potenziale applicato E assume il valore:

δδ+=

R

O

O

R02/1 D

Dln

nF

RTEE (12)

Questo potenziale prende comunemente nome di potenziale di

mezz’onda. Dall’eqn.(12) appare evidente che il punto di coordinate E=E1/2 ed i=(id,c+id,a)/2 è il punto di centrosimmetria dell’onda voltammetrica, nel senso che uno slittamento della stessa entità a partire da questo punto nei due versi opposti dell’asse dei potenziali individua due correnti che risultano uguali ed opposte se misurate lungo l’asse delle correnti rispetto a questo punto.

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45

Poiché lo spessore dello strato di diffusione della forma ossidata e

quello della forma ridotta sono usualmente confrontabili, il rapporto δO/δR è prossimo all’unità e quindi il potenziale di mezz’onda E1/2 si discosta dal potenziale standard Eo della coppia redox O/R soltanto di pochi millivolts.

Nella pratica si usa verificare l'aderenza di una curva voltammetrica all'eqn.(11) riportando in grafico E contro log[(id,c-i)/(i-id,a)]; nel caso in cui la curva soddisfi all'eqn.(11), tale grafico è lineare con pendenza pari a 2.303RT/nF, e cioè di circa 60 o 30 mV a seconda che n sia uguale ad 1 o 2. Resta il fatto che tali onde non consentono di trarre alcuna conclusione sulla cinetica, e quindi sul meccanismo, del relativo processo elettrodico; l'unico stadio lento è infatti costituito dalla diffusione, le cui leggi sono troppo ben note e rigorosamente verificate per richiedere ulteriori conferme.

0 E-E1/2

i

log[(id,c-i)/(i-id,a)]

E

E1/2

0

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46

Curve voltammetriche quasi reversibili e irreversibili Se lo stadio di trasferimento di carica non è in equilibrio non si può

applicare l’equazione di Nernst ma occorre considerare l’equazione di Butler-Volmer:

RT/F)1(*R

RRT/F*O

O

0

ec

ce

c

c

i

i ηβ−ηβ− +−=

che in base alle eqns (10) diventa:

RT/F)1(

a,d

a,dRT/F

c,d

c,d

0

ei

iie

i

ii

i

i ηβ−ηβ− −+

−=

Ammettiamo per semplicità DO=DR=D, il che comporta che sia

anche δO = δR = δ . Questa ammissione è giustificata dal fatto che O ed R hanno dimensioni confrontabili, e quindi mobilità molto simili in seno alla soluzione. Ammettiamo anche che la soluzione contenga soltanto la forma ossidata, e cioè che sia *

Rc che id,a siano uguali a zero. Se si considera anche un caso limite particolarmente frequente in

cui la corrente netta catodica diventa misurabile solo per potenziali E sufficientemente negativi da poter trascurare la costante di velocità dello stadio elettrochimico nel senso anodico, kb , dopo opportuni passaggi matematici cui si ottiene:

ii

i

F

RT

D

k

F

RTEE

cd −−+=

,

00 lnln

βδ

β (13)

(onda voltammetrica irreversibile) con

D

k

F

RTEE 0

02/1 lnδ

β+=

Va sottolineato che il rapporto k0δ/D rappresenta di fatto il

rapporto tra due costanti di velocità. Infatti D/δ esprime la costante di proporzionalità tra la velocità (id,c/FA) dello stadio di diffusione del reagente O in condizioni di corrente limite di diffusione e la concentrazione massiva *Oc del reagente stesso, ed ha perciò

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formalmente il significato di costante di velocità dello stadio di diffusione, e cioè di quello stadio che è in competizione con lo stadio elementare elettrochimico per il controllo della velocità dell'intero processo elettrodico.

Al potenziale generico E cui si riferisce la corrente i, il controllo

del processo elettrodico globale sarà quello tra i due stadi di diffusione ed elettrochimico che ha costante di velocità più bassa.

L'equazione (13) è formalmente analoga a quella di una curva

voltammetrica reversibile, che nel caso in cui la forma ridotta sia inizialmente assente dalla soluzione diventa:

ii

i

nF

RT

D

D

nF

RTEE

cdR

O

O

R

−−

+=

,0 lnln

δδ

(14)

(onda voltammetrica reversibile) con

+=

R

O

O

R

D

D

nF

RTEE

δδ

ln02/1

In effetti l’eqn. (13) prevede per la corrente i in funzione del

potenziale E un andamento sigmoidale e centrosimmetrico rispetto al punto di coordinate E1/2 ed i=id,c/2:

Per un processo monoelettronico del tipo O+e → R, la pendenza

del grafico di ln[i/(id,c-i)] contro E non è più uguale a F/RT, come nel

E1/2

i

E

id,c

id,c/2

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caso di una curva voltammetrica reversibile, ma è uguale a βF/RT. In altre parole, se il processo è controllato simultaneamente dalla diffusione e dal trasferimento elettronico, la corrente cresce con il potenziale più lentamente di quanto non farebbe se il trasferimento elettronico fosse in quasi-equilibrio, anche se poi raggiunge la stessa corrente limite di diffusione id,c. Analogamente, il potenziale di mezz'onda, E1/2, non coincide più con il potenziale standard E0 come nel caso di una curva voltammetrica reversibile, ma se ne discosta tanto più verso valori negativi quanto più bassa è la costante di velocità k0 del trasferimento elettronico al potenziale standard rispetto alla costante di velocità D/δ dello stadio di diffusione.

In forma esponenziale la (13) diventa:

D

ek

ii

i RTEEF

cd

/)(0

,

0−−

=−

βδ

Questa equazione ci mostra che la corrente i raggiunge un valore

pari alla metà della corrente limite di diffusione id,c quando la costante D/δ dello stadio di diffusione e quella, k0exp[-βf(E-E0)], dello stadio elettrochimico nel verso catodico sono perfettamente uguali, cioè quando la diffusione ed il trasferimento elettronico contribuiscono in ugual misura al controllo della corrente. Naturalmente, quanto più bassa è la costante di velocità k0 dello stadio elettrochimico al potenziale standard E0, tanto più negativo sarà il potenziale di mezz’onda E1/2 per cui i=id,c/2.

Quando ci spostiamo verso potenziali progressivamente più positivi rispetto ad E1/2, la corrente i diminuisce sempre di più rispetto ad id,c finché alla fine la concentrazione del reagente per x=0 tende a coincidere con quella massiva *Oc : in queste condizioni non vi è in pratica impoverimento del reagente alla superficie dell'elettrodo, per cui il processo elettrodico passa esclusivamente sotto il controllo dello stadio elettrochimico. Al contrario, se slittiamo il potenziale applicato E verso valori sempre più negativi rispetto ad E1/2, la corrente i tende ad avvicinarsi sempre più al suo valore limite di diffusione id,c, che non contiene più i parametri cinetici k0 e β che caratterizzano lo stadio elettrochimico ed il controllo del processo elettrodico passa esclusivamente allo stadio di diffusione. Tra questi due casi estremi, e cioè per valori della corrente i approssimativamente compresi tra id,c/10 e (9/10)id,c, l'eqn.(30) può essere vantaggiosamente utilizzata al fine di

Elettrochimica dei materiali e dei nanosistemi 2013/2014 M. L. Foresti Cap. III – Materiali elettrodici e tecniche elettrochimiche di base

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correggere la corrente i per l'impoverimento del reagente attorno all'elettrodo (e quindi per il contributo diffusivo), in modo da determinare quale sarebbe la corrente nel caso in cui il processo fosse esclusivamente controllato dallo stadio elettrochimico.

E’ abbastanza logico dedurre che quando la costante di velocità del

processo inverso non è trascurabile, ci si ponga nelle condizione di reversibilità che per DO=DR=D è espressa da:

ii

i

nF

RTEE

cd −−=

,0 ln

Il passaggio da una curva voltammetrica irreversibile alla corrispondente curva voltammetrica reversibile espressa dalla è mostrato nella figura che riporta una serie di curve voltammetriche ottenute attribuendo al rapporto k0δ/D valori progressivamente crescenti:

Si può così vedere che quando k0 cresce, la curva voltammetrica

viene traslata lungo l'asse dei potenziali verso valori progressivamente più positivi in modo lineare con ln k0; quando tuttavia k0 diventa confrontabile ed infine superiore a D/δ, la curva voltammetrica tende ad appiattirsi contro la corrispondente curva reversibile (il cui potenziale di mezz’onda coincide con il potenziale standard E0 ed è perciò indipendente da k0), fino a coincidere con essa. In particolare, per valori intermedi di k0, la curva voltammetrica presenta una pendenza maggiore, prossima a quella propria della corrispondente curva

0.01

0.1

0.3

0.7

10

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reversibile, nella sua porzione inferiore più positiva, ed una pendenza minore, prossima a quella propria della curva irreversibile, nella sua porzione superiore più negativa. In questo caso lungo il tratto ascendente della curva la costante di velocità k0exp[(1-β)f(E-E0)] dello stadio elettrochimico nel verso anodico non può essere trascurata rispetto a quella, k0exp[-βf(E-E0)], nel verso catodico, e la curva voltammetrica si dice quasi-reversibile.

È importante notare che la reversibilità, quasi reversibilità o irreversibilità di una curva voltammetrica non dipende esclusivamente dal valore della costante di velocità standard k0 dello stadio elettrochimico, e quindi non dipende esclusivamente dalla natura della coppia redox in esame e del materiale elettrodico. La reversibilità o irreversibilità di una curva voltammetrica, e quindi quella del relativo processo elettrodico, dipende infatti dal rapporto tra k0 e la costante di velocità D/δ dello stadio di diffusione. È quindi possibile rendere irreversibile una curva reversibile aumentando in un qualche modo D/δ, così da favorire il controllo parziale del processo elettrodico globale da parte dello stadio elettrochimico.

Misura sperimentale della curva voltammetrica Consideriamo una misura in

cui vengono effettuati dei salti successivi di potenziale di diversa ampiezza. Supponiamo cioè di partire ancora da un potenziale iniziale al quale non passa corrente faradica, variando progressivamente il potenziale finale. Se dopo ogni salto si torna al potenziale iniziale, viene cancellato l’effetto dell’impoverimento e vengono perciò ripristinate le condizioni iniziali.

Se il salto di potenziale è troppo piccolo si può non avere

passaggio di corrente faradica. Viceversa se il salto di potenziale è sufficientemente grande ci si può trovare nella zona in cui la corrente è limitata dalla diffusione. Supponiamo, tanto per fare un esempio, che il

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salto 1 non produca corrente faradica, mentre i salti 4 e 5 capitino entrambi nella zona limitata dal trasferimento di massa.

Nei salti 4 e 5 la concentrazione della forma ossidata alla superficie dell’elettrodo è zero, perché il potenziale è sufficientemente negativo da far sì che la specie venga immediatamente ridotta non appena arriva alla superficie dell’elettrodo. La velocità è quindi controllata dalla velocità con cui la specie arriva all’elettrodo per

diffusione. Nei casi 2 e 3 la situazione è diversa perché il potenziale non è così negativo da far sì che la specie venga ridotta non appena arriva alla superficie dell’elettrodo. D’altra parte la concentrazione alla superficie del’elettrodo è ancora minore di quella massiva, quindi c’è ancora un gradiente di concentrazione e di conseguenza c’è passaggio di corrente. Però il gradiente di concentrazione non è grande come nel caso in cui tutta la specie viene istantaneamente ridotta alla superficie dell’elettrodo, quindi la corrente che passa è minore rispetto ai casi 4 e 5. Se misuriamo la corrente ad un tempo prefissato τ e portiamo in grafico la corrente così misurata contro il potenziale a cui si è effettuato il salto si ha una curva con un plateau corrispondente al raggiungimento della corrente limite di diffusione.

Lo stesso andamento si ottiene facendo una scansione di potenziale

ma utilizzando non un elettrodo stazionario, bensì un elettrodo rotante

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od un elettrodo ad area crescente (per esempio l’elettrodo a goccia di mercurio). La voltammetria su elettrodo di mercurio prende il nome di polarografia, tuttavia non è del tutto corretto classificare la polarografia tra le tecniche a scansione di potenziale perché ogni goccia si trova a crescere a potenziale costante.

Elettrodo rotante Con un elettrodo rotante (che può anche essere a goccia di

mercurio, ma di area costante), ci si pone nelle condizioni di avere un profilo di concentrazione costante e di conseguenza una corrente costante (che naturalmente dipende dal potenziale applicato):

Lo spessore dello strato di diffusione sarà tanto minore quanto

maggiore è la velocità di rotazione. Di conseguenza il gradiente di concentrazione, e quindi la corrente, aumenterà all’aumentare della velocità di rotazione dell’elettrodo.

Variando il potenziale dell’elettrodo di lavoro si ottiene una tipica curva voltammetrica. In questo caso non c’è più bisogno di misurare la corrente ad un tempo prefissato τ, in quanto la corrente non è più funzione del tempo.

Elettrodo rotante

Elettrodo stazionario

i

c

C* C

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METODI A SCANSIONE CONTINUA DI POTENZIALE Alcuni metodi a potenziale controllato sono basati sulla misura

della corrente che passa in seguito ad una variazione continua del potenziale applicato all’elettrodo di lavoro. Il trattamento matematico di tali metodi permette di determinare i parametri cinetici di una grande quantità di meccanismi diversi.

Come già detto, si possono realizzare tecniche diverse a seconda che la soluzione sia o meno sottoposta ad agitazione (ad esempio utilizzando un elettrodo rotante) o a seconda che l’elettrodo utilizzato sia ad area costante (elettrodo stazionario) o ad area crescente (ad esempio l’elettrodo a goccia di mercurio nella polarografia).

Tuttavia è nella fase preliminare di studio che le tecniche a scansione di potenziale, in particolare la voltammetria ciclica, sono particolarmente utili perché permettono di individuare immediatamente il campo di potenziali in cui avviene un dato processo. Nel contempo, osservando come il processo dipenda dalla velocità di scansione è possibile formulare una prima ipotesi circa possibili reazioni chimiche associate o fenomeni di adsorbimento. È per questa ragione che la voltammetria ciclica rappresenta una scelta quasi obbligata quando si voglia studiare un sistema per la prima volta, sebbene per la determinazione precisa dei parametri cinetici siano poi disponibili tecniche più adatte.

Voltammetria Ciclica Nella voltammetria ciclica il potenziale dell’elettrodo di lavoro

immerso in una soluzione non sottoposta ad agitazione viene variato linearmente da un potenziale iniziale E1 ad un potenziale finale E2 e poi di nuovo al potenziale iniziale. Se v è la velocità di scansione e λ è il tempo al quale si inverte il potenziale, l’andamento con il potenziale è il seguente:

E(t) = E1 – vt per 0 < t < λ

E(t) = E1 – vλ + v(t - λ) per t > λ

E1

E2

t

λλλλ

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Generalmente si utilizzano velocità di scansione che vanno da pochi mV s-1 a qualche centinaio di mV s-1. L’intera scansione dura pochi minuti e i potenziali sono generalmente scelti in modo che al potenziale iniziale non passi corrente faradica mentre a quello finale il processo sia controllato dalla diffusione.

Quando si studia un sistema per la prima volta si comincia con misure di tipo qualitativo per poi passare a misure di tipo semi-quantitativo ed infine quantitativo per ottenere i parametri che interessano. Una tipica indagine qualitativa condotta con la voltammetria ciclica consiste nel registrare voltammo grammi in un vasto campo di velocità e per diversi valori di potenziali iniziali e finali. Generalmente si ottengono voltammogrammi con vari picchi, ed il primo esame consiste nell’osservare come questi compaiano o scompaiano al variare dei limiti di potenziale o della velocità di scansione, ed anche nel notare le differenze tra il primo ciclo ed i successivi.

Via via che E → E2, Oc diminuisce. Contemporaneamente però lo spessore dello strato di diffusione aumenta diminuendo il gradiente di

concentrazione e quindi la corrente. Inizialmente prevale il fatto che Oc diminuisce e quindi il gradiente di concentrazione (e di conseguenza la corrente ) aumenta, ma quando si raggiunge un potenziale

corrispondente al controllo da parte della diffusione, Oc non può più diminuire perché ha raggiunto il valore zero. Invece lo spessore dello strato di diffusione continua ad aumentare con l’effetto di diminuire la corrente i. Di conseguenza la corrente raggiunge un valore massimo per poi diminuire.

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Naturalmente i due parametri importanti sono il potenziale di picco Ep che è correlato al potenziale formale della coppia redox, e la corrente di picco che oltre ai parametri usuali come area dell’elettrodo, concentrazione massiva, coefficiente di diffusione e numero di elettroni scambiati, dipende anche dalla velocità di scansione: maggiore è la velocità di scansione, maggiore è la corrente perché lo spessore dello strato di diffusione è minore.

Quando si inverte la scansione siamo sempre nella zona di

riduzione di O e quindi si ha sempre una corrente catodica, ma se la forma ridotta è in grado di riossidarsi ad O, via via che ci si avvicina al potenziale E1 si deve avere una corrente anodica.

Tuttavia, quando R comincia ad essere consumato nel processo anodico, il suo profilo di concentrazione non è costante come era quello di O all’inizio dell’elettrolisi. Infatti in seguito al processo di riduzione la concentrazione di R è maggiore in vicinanza dell’elettrodo e decresce fino a raggiungere il valore cR* (che generalmente è uguale a zero) nella massa della soluzione.

A parte questa diversa situazione iniziale, l’impoverimento di cR è analogo a quello di cO nella scansione diretta, perciò anche la corrente anodica presenta un picco per poi tendere a zero. In definitiva, anche se la forma ridotta è inizialmente assente dalla soluzione, essa viene generata per via elettrochimica durante la scansione diretta e successivamente riossidata nella scansione inversa. La forma del voltammogramma dipende dal tipo di processo (se reversibile, quasi reversibile o irreversibile) e dall’eventuale presenza di reazioni chimiche associate o fenomeni di adsorbimento.

I

p

E

p

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Processi reversibili Per determinare la forma esatta del voltammogramma ciclico è

necessario risolvere le equazioni diffusionali espresse dalla II legge di Fick per O e R:

2O

2

OO

x

cD

t

c

∂∂=

∂∂

2R

2

RR

x

cD

t

c

∂∂=

∂∂

che complessivamente richiedono 2 condizioni iniziali (cioè per t =

0) e 4 condizioni al contorno. Abbiamo già visto che per un processo reversibile e se inizialmente è presente solo la forma ossidata si ha

per x ≥ 0 ; t = 0 cO = cO* ; cR = 0 x →∞ ; t ≥ 0

∂∂−=

∂∂

x

cD

x

cD R

RO

O

per x = 0 ; t > 0

−=

RT

)EE(nFexp

c

c 0

R

O

Però E varia nel tempo, e di conseguenza l’equazione di Nernst

diventa:

−=

−−=

RT

nFvtexp

RT

)EE(nFexp

RT

)EvtE(nFexp

c

c 0i0i

R

O

La soluzione è abbastanza complicata per via del termine

dipendente dal tempo. Comunque si ottiene per la corrente un

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andamento che presenta un massimo che, nel caso di diffusione planare è dato dall’equaziondi Randles - Sevcik3

La densità di corrente di picco è proporzionale alla concentrazione massiva e alla radice quadrata della velocità di scansione e del coefficiente di diffusione: se il sistema è reversibile il grafico di jp vs v1/2 deve dare una retta che passa per l’origine. Per evitare errori troppo grossi il grafico va effettuato in un campo di velocità di almeno 2 ordini di grandezza.

La forma dell’onda ottenuta nella scansione di ritorno è la stessa, ma il fatto che al potenziale di inversione passi una corrente dovuta al processo diretto catodica altera la posizione della curva anodica. Per questa ragione la corrente del picco di ritorno deve essere misurata a partire da una linea di base che rappresenta la continuazione della corrente di andata in condizioni limite di diffusione

3 2/12/1

O

2/1*Op vD

RT

nFnFc4463.0j

=

Ip,a

0

Ep,

a

Ep,

c

Ip,c

Ip

Ep

Ep/2

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Occorre sottolineare che un voltammogramma ciclico reversibile

può essere ottenuto solo se entrambe le specie O e R sono stabili e il trasferimento di carica è veloce, cioè tale da poter essere considerato in equilibrio a tutti i potenziali e per tutte le velocità di scansione.

La verifica del comportamento reversibile viene fatta attraverso alcuni test.4

Processi totalmente irreversibili Per un processo totalmente irreversibile la condizione al

contorno espressa dall’equazione di Nernst viene sostituita dalla condizione di stazionarietà espressa dall’uguaglianza delle velocità dello stadio di diffusione e dello stadio di trasferimento di carica. Quest’ultima coincide con la velocità diretta in quanto la velocità del processo inverso è trascurabile:

Oft0x

OOd ckv

x

cD

nF

jv ==

∂∂==

=

con:

La soluzione del problema diffusionale fornisce ora:

*O

2/12/1O

2/1c

5p cvDn)1099.2(j α⋅=

4 Test per processi reversibili 1 - ∆Ep = Ep

C - EpA = 59/n mV

2 - |Ep - Ep/2| = 59/n mV 3 - |jp

C/jpA| = 1

4 - jp proporzionale a v1/2 5 - Ep indipendente da v 6 - per potenziali oltre Ep : j

-2 è proporzionale a t

RT / ) E vt E ( F 0

RT / ) E E ( F 0 t

0 i c 0 c e k e k v − − α − − α − = =

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Come per un sistema reversibile jp è proporzionale alla

concentrazione e alla radice quadrata della velocità, ma in più è anche proporzionale alla radice quadrata del coefficiente di trasferimento di carica. Per un processo ad un solo elettrone con αc = 0.5 la corrente di picco risulta solo il 78.5% di quella che si avrebbe per un processo fosse reversibile condotto nelle stesse condizioni, e di conseguenza il picco è più sdraiato. Infatti, se il processo è irreversibile la concentrazione di O alla superficie dell’elettrodo cambia più lentamente con il potenziale; di conseguenza nel momento in cui O diventa effettivamente uguale a zero il profilo di cO è più sdraiato di quanto sarebbe in un processo reversibile, e quindi la corrente è più bassa.

La caratteristica peculiare di un voltammogramma ciclico di un processo totalmente irreversibile è la mancanza del picco anodico.

Tuttavia questa è una condizione necessaria ma non sufficiente in quanto la mancanza del picco anodico potrebbe essere dovuta ad una reazione chimica veloce successiva. È quindi necessario effettuare ulteriori verifiche.5 Una di queste riguarda il potenziale di picco che slitta verso valori più negativi all’aumentare della velocità di scansione, mentre per un processo reversibile non varia.

5 Tests diagnostici per un sistema irreversibile a 25° C: 1 - manca il picco di ritorno 2 - jp proporzionale a v1/2 3 - Ep

C slitta di -30 mV per ogni decade di aumento di v 4 - |Ep - Ep/2| = 48/α mV

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Processi quasi-reversibili È abbastanza frequente che un sistema reversibile a basse

velocità di scansione diventi irreversibile a velocità maggiori, passando attraverso una zona di quasi-reversibilità a velocità intermedie.

Questo avviene

quando la velocità del trasferimento di carica in rapporto a quella di trasferimento di massa è insufficiente a mantenere l’equilibrio di Nernst alla superficie dell’elettrodo. Nella zona di quasi-reversibilità entrambe le reazioni diretta e inversa contribuiscono alla corrente.

Generalmente i valori di k0 che caratterizzano le varie zone sono approssimativamente:

reversibilità : k0 > 0.3 v1/2 cm s-1 quasi-reversibilità : 0.3 v1/2 > k0 > 2 10-5 v1/2 “ “ irreversibilità : k0 < 2 10-5 v1/2 “ “

Il passaggio del comportamento

da reversibile a irreversibile attraverso quello quasi-reversibile può essere facilmente individuato dal grafico di jp vs v1/2.6

6 Test diagnostici per la quasi-reversibilità: 1 - jp aumenta con v1/2 ma non in modo proporzionale 2 - |jp

C/jpA| = 1 se αC = αA = 0.5

3 - ∆Ep > 59/n mV e aumenta con v 4 - Ep

C slitta verso valori più negativi all’aumentare di v

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Sistemi contenenti più di una specie elettroattiva Quando sono presenti più specie elettroattive si osservano più

onde. Lo stesso avviene anche se la reazione all’elettrodo è costituita da più stadi consecutivi: un secondo stadio più lento del primo dà luogo ad una seconda onda separata dalla prima; se al contrario il secondo stadio è più veloce del primo si ottiene una sola onda.

Nel caso di più onde consecutive diventa determinante la scelta del potenziale di inversione per separare il contributo delle varie specie. Ad esempio:

l’inversione a Eλ1

permette di identificare la coppia I, mentre l’inversione a Eλ2 permette di identificare la coppia II.

Assenza di processi faradici In questo caso la corrente che passa è di tipo esclusivamente

capacitivo, cioè:

dt

dQi =

dove dQ = CdE, per cui:

dt

dECi =

ma dE/dt non è altro che la velocità di scansione v, per cui in

definitiva: i = C v Il voltammogramma ha quindi un andamento che riflette quello

della capacità differenziale:

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