CAP II, Dalla Preistoria Alla Romanizzazione

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CAPITOLO 2 DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE CAPITOLO 2 DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE 2.1 Cenni di preistoria e protostoria. Poiché resti di ominidi datati circa mezzo milione di anni fa sono stati scoperti sui colli Albani 1 e a Torrimpietra, sul litorale tirrenico nei pressi di Roma 2 , è probabile che anche il territorio falisco fosse sparsamente popolato da tribù di cacciatori-raccoglitori negli intervalli tra le fasi parossistiche dei vulcani dell’Alto Lazio, a quel tempo attivi. La presenza umana nel territorio ha però lasciato numerose impronte dalla fine dell’ultima glaciazione, oltre 10.000 anni fa. Lo homo sapiens sapiens elesse come proprio il territorio Vicano, geologicamente nuovissimo, in virtù del 1 P.CHIARUCCI, Il Lazio Antico dalla protostoria all’età medio-repubblicana , in Collana di studi sull’Italia Antica 3. Edizioni Paleani, Roma 1987. 2 T.W. POTTER, Storia del paesaggio dell’Etruria meridionale: archeologia e trasformazioni del territorio. NIS, Roma 1985. 16

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CAPITOLO 2

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DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

2.1 Cenni di preistoria e protostoria.

Poiché resti di ominidi datati circa mezzo milione di anni fa sono stati

scoperti sui colli Albani1 e a Torrimpietra, sul litorale tirrenico nei pressi di

Roma2, è probabile che anche il territorio falisco fosse sparsamente popolato

da tribù di cacciatori-raccoglitori negli intervalli tra le fasi parossistiche dei

vulcani dell’Alto Lazio, a quel tempo attivi. La presenza umana nel territorio

ha però lasciato numerose impronte dalla fine dell’ultima glaciazione, oltre

10.000 anni fa. Lo homo sapiens sapiens elesse come proprio il territorio

Vicano, geologicamente nuovissimo, in virtù del clima mite e salubre,

dell’abbondanza di acque sorgive, dei terreni ricchi di vegetazione e

selvaggina. Caverne naturali scavate dai torrenti nelle pareti tufacee delle

forre ospitarono comunità paleolitiche che lasciarono pietre e ossa lavorate.

Il concentrarsi degli studi sulle numerose grotte che si aprono lungo i

costoni a picco lambiti da corsi d’acqua o in prossimità di sorgenti hanno

permesso infatti di riconoscere una intensa frequentazione di questo tipo di

riparo, mentre solo rarissime tracce attestano l’esistenza di abitati all’aperto

(ad esempio nel territorio di Corchiano e di Sutri).

1 P.CHIARUCCI, Il Lazio Antico dalla protostoria all’età medio-repubblicana, in Collana di studi sull’Italia Antica 3. Edizioni Paleani, Roma 1987.2 T.W. POTTER, Storia del paesaggio dell’Etruria meridionale: archeologia e trasformazioni del territorio. NIS, Roma 1985.

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Le caverne naturali furono spesso allargate e nuove grotte furono

scavate, prima con strumenti di pietra, poi di metallo. Si formarono comunità

di cavernicoli in posizioni naturalmente protette, spesso difese da mura

poderose e fossati.

“Cavernette Falische”, così vengono chiamate dal Rellini3 i ripari in

grotta distribuiti nei territori di Corchiano, Gallese e Civita Castellana, lungo i

corsi d’acqua tributari del Tevere, in primo luogo il Treja, il Rio Maggiore, il

Rio Vicano, il Rio Fratta, il Rio delle Sorcelle ed altri ancora.

Si tratta per lo più di cavità di dimensioni limitate (che solo in alcuni

casi assumono il rilievo di vere e proprie caverne), talvolta frequentate già nel

Paleolitico4 (come la Caverna di Terra Rossa e il Riparo Lattanti nel territorio

di Corchiano)5. Molte grotte delle forre sono state utilizzate senza soluzione

di continuità dalla protostoria fino ai giorni nostri: come tombe in epoca

etrusca, come abitazioni, santuari e monasteri nel medioevo, poi come stalle,

ovili o ripostigli.

3 U. RELLINI, Cavernette e Ripari preistorici nell’Agro Falisco, in Monumenti Antichi dei Lincei XXVI, 1920, coll 5-172, riedito in M.A. Fugazzola Delpino in Testimonianze di cultura appenninica nel Lazio. Firenze 1976.4 Il Paleolitico è suddiviso in tre fasi: Paleolitico inferiore (fino a 100.000 anni fa); medio (fino a 40.000 anni fa); superiore (fino a circa 10.000 anni fa).55 Nell’ambito delle “cavernette falische” particolare spicco assumono le tre caverne cosiddette dell’Acqua, della Stipe e Grotta del Vannaro nel territorio di Corchiano per il carattere cultuale della frequentazione, perdurante, nelle caverne dell’Acqua e della Stipe, ancora in età romana.

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Esempio di cavernetta falisca presso il Rio Fratta (Corchiano).

Il progressivo passaggio dall’attività venatoria alla pastorizia e

all’agricoltura avvenne circa 7000 anni fa6 ed è riassunto dal Potter7.

Lo studioso documenta abitudini di transumanza ovina dagli altopiani

vulcanici, lungo le forre e verso gli alti pascoli appenninici.

Nonostante le lacune e la frammentarietà della documentazione, è

possibile ricostruire per questo periodo un’economia prevalentemente basata

sull’agricoltura e sull’allevamento del bestiame e solo in minor misura sulla

caccia, mentre si può gia cogliere negli scambi culturali e materiali con altri 6 Il Neolitico comprende il periodo che va dal 10.000 al 3000 a.C.7 T.W. POTTER, Storia del paesaggio…, op. cit.

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territori dell’Italia peninsulare e in particolare con l’area adriatica (attestati

dalle importazioni consistenti di ossidiane, pietre verdi per accette e

ceramiche) il caratterizzarsi dell’agro falisco come il territorio-cerniera nella

vasta rete di traffici imperniati sulla valle tiberina, che avrà il suo pieno

sviluppo nell’età del Ferro.

Infatti fin dall’epoca villanoviana (inizio I° millennio a.C.), il territorio

si trova sulla direttrice di scambi tra le aree di Veio e Bologna, direttrice in

competizione con i flussi commerciali mediterranei passanti attraverso i centri

etruschi marittimi8.

La frequentazione di ripari in grotta, benché sembri essere prediletta

nel periodo neolitico, mostra una certa continuità nell’età del Bronzo9.

Studi recenti hanno evidenziato per l’età del Bronzo, fino alla fase del

Bronzo recente, una occupazione piuttosto frazionata del territorio, con

insediamenti localizzati in posizioni aperte e distribuiti su pendii lungo la fitta

rete idrografica confluente nel Tevere.

8 M.P. BAGLIONE, Il Tevere e i Falisci, Quaderno del Centro di Studio per l’archeologia etrusco-italica 12: Il Tevere e le altre vie d’acqua del Lazio antico- Settimo incontro del Comitato per l’Archeologia Laziale, p.124 CNR (Roma) 1986.F. DELFINO, Rapporti e scambi nell’Etruria Meridionale Villanoviana con particolare riferimento al Mezzogiorno, Quaderni del Centro di Studio per l’archeologia etrusco-italica 13: Archeologia nella Tuscia II, CNR (Roma) 1876.9 L’età del Bronzo è suddivisa in quattro fasi: bronzo antico (prima metà del II millennio a.C.); medio ( metà II millennio a.C.); recente (XIII-XII sec. a.C.); finale (fine del II-inizio del I millennio a.C.).

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Insediamento presso il Colle del Vallone (Corchiano).

Pochissimi gli scavi sistematici che possono fornire dati utili ad una

ricostruzione dell’assetto socio-economico degli insediamenti di questa fase:

vanno ricordati a questo proposito, oltre lo scavo della Grotta del Vannaro

(Corchiano), quello dell’insediamento di Monte Venere a quota 600 m.

s.l.m., sul lago di Vico (Caprarola), probabilmente di sponda e occupato fino

alla media età del Bronzo, e soprattutto gli scavi condotti a Narce (Calcata),

sul terrazzo fluviale lungo la riva sinistra del fiume Treja10.

10 Scavi condotti dalla Soprintendenza alla Preistoria e all’Etnografia e dalla Scuola Britannica.

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Gli scavi stratigrafici di Narce hanno messo in evidenza per questo sito

una continuità di insediamento anche nel periodo del Bronzo finale, ma

sembra trattarsi di un’eccezione rispetto ad un ben diverso comportamento

attestato nel territorio nel momento del passaggio dal Bronzo recente al

Bronzo finale.

In quest’ultima fase (culturalmente definita protovillanoviana e

convenzionalmente posta tra la metà del XII e la fine del X sec. a.C.), infatti,

la distribuzione degli insediamenti cambia radicalmente, passando dalle

posizioni aperte del periodo precedente all’occupazione di rilievi,

naturalmente fortificati, o difesi, nei lati più accessibili, da fortificazioni

artificiali.

Il fenomeno sembra allontanare l’agro falisco dai modelli di sviluppo

unitario dell’insediamento nell’età del Bronzo riconosciuti per l’Etruria, dove

è invece attestato un brusco abbandono delle sedi protovillanoviane all’inizio

dell’età del Ferro11 e dove gli abitati, esclusivamente agricoli, erano distribuiti

in modo radiocentrico verso il nucleo principale e non presentavano traccia di

fortificazioni; si presuppone quindi un sistema dove la popolazione viveva in

insediamenti unifamiliari sparsi sui propri campi, modello questo ripreso dai

romani.

Va invece osservato che nell’Agro falisco gli insediamenti del Bronzo

finale sembrano direttamente ricollegabili allo sviluppo dei principali centri

dell’età del Ferro.

11 L’età del Ferro è posta tra l’inizio del IX secolo e la fine del III secolo a.C.

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In questo senso particolare rilievo assumono le testimonianze dei due

siti più importanti del territorio: Falerii Veteres e Narce12. Non è senza

significato infatti che il più vasto insediamento del Bronzo finale attestato in

quest’area, quello di Vignale (Civita Castellana, con estensione di circa 13

ha), venga a costituire in seguito il primo nucleo dell’abitato e poi l’acropoli

di Falerii.

Analogamente per Narce, l’insediamento sulla altura naturalmente

fortificata dalla castellina, benché non scavato, dovette assumere, nella fase di

sviluppo dell’abitato, funzione di acropoli.

Nell’età del Ferro il territorio falisco vide la fioritura di importanti

centri, abitati da popolazioni etnicamente e linguisticamente distinte dalle

vicine genti etrusche con le quali confinavano ad ovest: i Falisci. A sud i poco

netti confini geografici con il contiguo agro capenate ed una certa affinità

nelle manifestazioni più antiche della cultura materiale hanno reso frequente

l’uso del termine ‘falisco-capenate’ per indicare i molteplici aspetti di una

vasta entità territoriale13. Il Tevere, sulla cui sponda destra gravita il territorio,

separa i Falisci dai Sabini e, più a nord, dagli Umbri.

Benché accerchiati in età storica da parlanti etrusco e sabino, i Falisci

conservarono, seppure alterato da infiltrazioni dialettali, il proprio patrimonio

12 Narce è un insieme di diversi centri successivamente delimitati in Calcata, Mazzano e Faleria. Il centro di essa era localizzato tra Mazzano e Calcata. Il nome antico della città è a tutt’oggi sconosciuto, anche se recenti studi tendono a ritenere sempre più probabile la sua identificazione con Fescennium. Il nome di Narce è quindi un nome convenzionale, in quanto si è dato a tutto il centro falisco nel suo complesso il nome della collina di Narce, la più importante delle alture interessate dai resti antichi.13 La diversità etnico-linguistica dei Falisci rispetto alle popolazioni limitrofe è adombrata già dalle fonti letterarie di età classica, che parlano di un’origine pelasgica o argiva, ricordando come fondatore della ‘capitale’ Falerii, l’argivo Halesus (<Falesos), discendente del mitico Agamennone.

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linguistico, riconducibile ad un originario fondo latino, epigraficamente

documentato dalla metà del VII sec. a.C. fino alle iscrizioni della fase più

recente del III-II sec. a.C.

Sebbene i centri principali sorgano a distanza dal Tevere, la loro storia

risulta intimamente connessa alla funzione di grande via di comunicazione

attraverso l’Italia centrale svolta dal fiume, cui la fitta rete di affluenti offriva

ampie possibilità di diramazioni laterali. Non è un caso che i principali centri

del territorio falisco si sviluppino lungo il corso del più importante affluente

del Tevere, il Treja: più a sud Narce e più vicino alla foce, a nord, Falerii

Veteres.

Per la sua particolare posizione geografica l’agro falisco viene così ad

assumere una specifica connotazione di area di passaggio, costituendo uno dei

nodi nevralgici nel quadro del sistema di comunicazioni imperniato sulla valle

del Tevere e precipuamente finalizzato al commercio con l’entroterra centro e

nord-italico, oltre che al commercio dei metalli del distretto toscano14.

Il controllo delle vie di comunicazione attraverso la valle tiberina

dovette essere alla base dell’accumulo di ricchezza che si manifesta nelle

comunità falische a partire dalla seconda metà dell’VIII sec. a.C. soprattutto a

Narce, il centro più meridionale del territorio, e forse solo in un momento

appena successivo a Falerii.

14 A conferma di ciò la documentazione archeologica mostra, da un lato, l’arrivo precoce, già nell’VIII sec. a.C., di oggetti di importazione provenienti dal mondo greco e orientale, segni tangibili degli interessi commerciali gravitanti sulla bassa e media valle del Tevere, dall’altro, l’interazione di influssi culturali di diversa provenienza, che si sovrappongono ad una cultura che pure presenta fin dall’età più antica spiccati caratteri di originalità.

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Carta dell’agro falisco e dei territori limitrofi.

Fonte: DE LUCIA BROLLI A.M., Civita Castellana. Il Museo Archeologico dell’Agro Falisco. Roma 1991.

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Nel corso del VI e V sec. a.C., l’agro falisco è intensamente interessato

dal commercio attico, che vi giunge copioso con prodotti ceramici15.

È in questa fase che Falerii consolida la posizione di centro egemone

della ‘nazione’ falisca, lasciando in seconda linea Narce, che mostra invece,

come sembra emergere dalla documentazione delle necropoli, una certa

contrazione16.

Falerii, la città che si è ormai estesa a tutto il pianoro oggi occupato da

Civita Castellana, mostra la sua ricchezza non solo per l’estensione delle

necropoli dai notevoli corredi funerari, ma anche per il numero e l’importanza

dei santuari.

Anche i centri settentrionali del territorio, in particolare Corchiano e

Vignanello, partecipano di questa fioritura almeno fin dal periodo

orientalizzante, accompagnando la rapida ascesa di Falerii, che conosce nel

IV sec. a.C. il periodo di maggior splendore, nonostante le varie e alterne

vicende dei conflitti con Roma.

15 Dapprima a figure nere e successivamente a figure rosse, anche di altissima qualità, e con opere di maestri insigni della ceramografia greca.16 Non è improbabile tuttavia, ma l’ipotesi necessita di ampie verifiche, che questo centro meridionale, così strettamente legato a Veio fin dalle più antiche manifestazioni della sua cultura e che nel corso dell’età arcaica erige ben due santuari suburbani, segno di un certo benessere economico, risenta in parte dei costumi funerari attestati a Veio, Capena e nel Latium Vetus, dove essi risultano improntati ad una rigorosa severità.

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2.2 Il paesaggio prima di Roma.

L’aumento progressivo della temperatura, intorno ai 12-15 mila anni

fa, portò alla trasformazione del paesaggio: la prateria si coprì di terreni

boscati con specie decidue come querce e noccioli, la vegetazione prese ad

assumere un aspetto del tutto simile a quello odierno.

Nel Neolitico medio un’economia mista con la compresenza di

attività legate all’allevamento, alla pastorizia, all’agricoltura e alla caccia,

segnò il primo attestarsi di insediamenti nelle aree interne, in particolare

lacustri, come il monte Venere sul lago di Vico. Qui era più semplice sfruttare

tutte le condizioni ambientali di un territorio pianeggiante e ricco di acque.

La pratica di allevamento del bestiame era ancora relativamente

primitiva, le forme animali domestiche erano, ad eccezione del cavallo e

dell’asino, simili alle odierne: ovini, caprini, bovini e suini. Questi venivano

utilizzati soprattutto come fonte proteica che integrava quella della caccia.17

Anche il sistema tecnico-produttivo agricolo fu testimone di una

condizione primitiva ma già determinante in un processo di modifica delle

strutture del paesaggio. Il sistema di coltivazione a ‘campi liberi’

(prearatorio), fondato sul debbio, presupponeva ancora uno spostamento delle

comunità, anche se molto limitato. Il debbio, basato su piccoli appezzamenti

dai contorni non definiti, determinati dall’irregolare allargarsi del fuoco e sui

quali si interveniva con la vanga o la zappa, doveva durare produttivamente

tre o quattro anni dopo dei quali la comunità era costretta a spostarsi in terreni

17 L. CALOI, M.R. PALOMBO, C. ROMEI, La fauna e l’allevamento. In Etruria meridionale conoscenza, conservazione e fruizione. Atti del Convegno di Viterbo 28/29 novembre - 1 dicembre 1985. Roma: 1988.

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limitrofi. I campi abbandonati venivano, dopo qualche anno, riutilizzati con la

medesima pratica del debbio, dando così al paesaggio il disegno di macchie

informi al centro dei boschi.18

Probabilmente fu in questo momento che cominciò il processo di ri-

creazione continua del paesaggio, non solo a fini produttivi ma anche come

presa di possesso del territorio attraverso la codificazione di percorsi lungo i

quali sarebbero sorti siti stabili dotati di proprie caratteristiche urbanistiche. I

percorsi di transumanza, segnati dagli armenti, divenivano i primi segnali

fermi nel paesaggio. Tale sistema avrebbe comportato il passaggio da un

regime di nomadismo o di transumanza più o meno disordinato, a uno di

alpeggio regolato, che si sarebbe sviluppato e organizzato successivamente

nella prima età del Bronzo.

Con l’intensificarsi dell’allevamento si scoprì la funzione

rivitalizzante del letame animale e ciò contribuì alla graduale scomparsa del

sistema del debbio. Di conseguenza le comunità andarono a stabilirsi in siti

relativamente stabili, in genere su promontori in buona posizione strategica

alla confluenza di due valli fluviali. In alcuni casi non tutta la comunità

affrontava gli spostamenti stagionali: in pianura esistevano dei siti stabili

dove l’attività prevalente era quella agricola e della caccia.

Per quanto nei sistemi di coltivazione fosse ancora presente la tecnica

prearatoria (debbio, sistema a campi ed erba), faceva la sua comparsa, con

l’uso di aratri più o meno rudimentali, l’agricoltura aratoria. Questo sistema

18 E.SERENI, Città e campagna nell’Italia preromana, in Studi sulla città antica. Atti del convegno di studi sulla città Etrusca e Italica preromana. Bologna, 1970.

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però, per tutta la durata del bronzo, rimase ancora precario, e così i campi

venivano abbandonati o sfruttati a pascolo19.

Nel Bronzo medio e finale la pressione demografica accentuò lo

sfruttamento di tutte le risorse ambientali. Vi fu una diminuzione degli

ovicaprini, un incremento dell’allevamento di bovini e suini e la riduzione

della pratica della caccia. Un forte sviluppo lo ebbe anche l’agricoltura con un

incremento qualitativo e quantitativo di graminacee e leguminose.

Tra la metà del XII e la fine del X secolo a.C., la distribuzione degli

insediamenti passava da una localizzazione generalmente in luoghi aperti e in

prossimità dei fiumi, a delle posizioni naturalmente fortificate e meglio

difese: i tavolati tufacei, le alture collinari dei monti Cimini e Sabatini e le

aree pianeggianti in prossimità delle rive lacustri.

Ma è all’inizio del I millennio a.C. che si verificò un ulteriore

cambiamento nel sistema produttivo dell’Agro Falisco. La causa fu un

consistente aumento della popolazione con la conseguente diversa

utilizzazione del suolo: si iniziò ad applicare il sistema del maggese biennale

(o sistema dei ‘due campi’), il quale si estese su territori sempre più vasti,

consentendo una produzione controllata e stabile attraverso il riposo annuale

di una parte del terreno agricolo. Intorno ai maggiori insediamenti si

formavano nelle campagne numerose aziende rurali a stretto contatto con il

centro principale. Da un sistema insediativo polinucleare, dove i siti erano

distribuiti senza particolari gerarchie lungo le principali vie di comunicazione

naturali, si passava a una concentrazione degli insediamenti e a un modello

mononucleare verso il quale convergevano tutte le attività.

19 E. SERENI, Città e campagna…, op. cit.

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L’espansione demografica e l’allargamento delle superfici coltivate

furono rese possibili dalla diffusione ormai in tutta l’Etruria del sistema dei

‘due campi’, testimoniato dal prevalere dei cereali superiori, come il

frumento, su quelli inferiori, come il farro e il miglio utilizzati nel sistema del

debbio.

La trasformazione del paesaggio tramite la modifica delle strutture

territoriali e tecnico-produttive sarebbe divenuta inarrestabile già dall’VIII

secolo a.C., a seguito dei progressi del maggese biennale. L’aspetto del

paesaggio agrario, dapprima una tessitura a chiazze non nettamente delimitate

da pascoli, radure e cespuglieti secondo il sistema a ‘campi liberi’, veniva

ridelineato dal lavoro dell’aratro e dal maggese biennale. Aratro e maggese

impressero una tessitura ortogonale segnata dai percorsi rettilinei del vomere

e sottolineata, più tardi, dalle prime piantate (vite nel VII-VI secolo e olivo

nel VI). Queste forme, associate alle opere di irrigazione e drenaggio e con la

viabilità interpoderale, avrebbero in seguito costituito le fondamentali unità

metriche di delimitazione del terreno.

Lo sviluppo dell’agricoltura introdusse l’uso di sistemi di drenaggio

delle acque meteoritiche. Nell’Agro Falisco il sistema era costituito di

cunicoli, veri e propri condotti orizzontali scavati nel tufo con fondo piatto e

tetto concavo, che avevano le dimensioni sufficienti per accogliere un uomo

per lo scavo e per la manutenzione. I cunicoli, collegati con l’esterno da un

sistema di pozzi verticali distanti tra loro 30 metri ca., venivano tracciati in

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modo da convogliare le acque meteoriche dagli avvallamenti sui pianori in

direzione delle forre20.

In età arcaica arrivarono animali importati dall’Oriente quali il

cavallo, il gallo, il gatto ed ebbero un forte incremento i suini, mentre

l’allevamento degli ovicaprini subì un calo.

Un elemento particolare del paesaggio agrario dell’Etruria fu la

diffusione della coltivazione della vite, allevata su lunghi tralci che si

appoggiavano a dei sostegni vivi. Si trattava di un sistema diverso da quello

ad ‘alberello basso’ o a ‘palo secco’ utilizzato nella Magna Grecia. Quello

etrusco evitava il contatto dei tralci con i terreni umidi e permetteva una

coltura promiscua con i cereali. Esso altresì, con la vite maritata a sostegni

vivi quali olmi, aceri, querce e pioppi, introdusse segni lineari nel paesaggio21.

Per quanto riguarda l’organizzazione agricola praticata dalle

popolazioni su questi territori, la terra doveva essere coltivata sia da lavoratori

semiliberi, che da piccoli proprietari e contadini liberi. In questo modo le

coltivazioni aumentarono, ma l’avvento della grande proprietà terriera e

l’istituto della schiavitù spinto alle estreme conseguenze, ne decretarono una

grave flessione. Discreta era dunque la molteplicità di produzioni: tra i cereali

troviamo il farro, la spelta, il grano tenero, l’orzo, l’avena, il panico, il miglio

e la segale. A Falerii era fiorente la coltivazione del lino.

20 G.CASORIA, La flora e le risorse agricole, in Etruria Meridionale, conoscenza, conservazione, fruizione. Atti del convegno di Viterbo 29-30 novembre – 1 dicembre, Roma 1985. M. CASCIANELLI, Gli Etruschi e le acque. Ebe, Roma 1991.21 E. SERENI, Storia del paesaggio agrario italiano. Laterza, Bari 1979.

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Nel settore frutticolo troviamo il melo, il pero, il filo e il melograno;

tra gli ortaggi le fave, i piselli, le lenticchie, i ceci, i lupini, la cicerchia, le

cipolle, l’aglio, le carote, le rape, i cavoli e i finocchi.22

Fin verso il IV secolo a.C., oltre alla popolazione, aumentarono anche

le terre coltivabili e i siti dispersi nella campagna. A tutto ciò si sarebbe

associata un’espansione commerciale e la contemporanea fortificazione dei

centri maggiori in conseguenza dell’espansionismo di Roma.

2.3 Il periodo classico.

Fin dal V sec. a.C. la posizione geografica dell’agro falisco, incuneato

nell’ambito del territorio etrusco, portò le sue popolazioni a schierarsi a fianco

degli Etruschi contro le mire espansionistiche romane.

Tra il 402 e il 395 a.C. l’alleanza tra Falisci, Capenati e Veienti

provocò gravi ritorsioni da parte dei Romani, che saccheggiarono

ripetutamente il territorio. Dopo la caduta di Veio e di Capena (396-395 a.C.),

con l’entrata di Nepi e Sutri nella sfera politica romana, Falerii diviene

l’interlocutore principale di Roma; stretta d’assedio da Camillo23, è costretta

ad un trattato di pace nel 394 a.C.; la sua partecipazione poi alla guerra

romano-tarquinese del 357-351 a.C., come alleata di Tarquinia, è seguita da

una tregua che si conclude con un nuovo trattato nel 343 a.C.

22 G. CASORIA, La flora e le risorse…, op. cit.23 Camillo riuscì ad avere ragione della città solo grazie al tradimento di un maestro di scuola (Livio V, 27).

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Nonostante tutto ciò, il IV sec. a.C. è per Falerii particolarmente

fecondo sul piano artistico e monumentale.

La ripresa delle ostilità con Roma nel 293 a.C. segna una nuova

sconfitta per Falerii,che stringe con il vincitore un trattato di pace perpetua,

interrotta tuttavia da una nuova ribellione, dopo la prima guerra punica, nel

241 a.C.

Dopo un breve assedio la città è conquistata e distrutta (solo i santuari

continuano ad essere frequentati), la popolazione viene trasferita in un sito di

pianura meno difendibile, a 5 km di distanza, e costretta a fondare una nuova

città, Falerii Novi, mentre metà del territorio è confiscato da Roma.

La definitiva conquista romana nel dicembre del 241 a.C. ad opera del

console Marcio Rutilio24 porta ad una brusca frattura nella storia della

regione, perché determina nel tempo un netto cambiamento dell’assetto

territoriale. Da un lato vecchi centri e città egemoni quali Narce e Falerii

Veteres cessano di esistere come entità urbane; e se Falerii Novi viene a

sostituirsi alla città distrutta, assorbendone le sopravvissute forze umane, con

le relative tradizioni religiose e funerarie, a Narce sarà possibile cogliere solo

qua e là, sulla base delle attuali conoscenze, labili tracce di un popolamento

sparso nelle campagne per aumentare la produzione agricola, il quale troverà

solo in età medioevale una nuova espressione urbana non nel sito dell’antica

città falisca, ma nei centri limitrofi di Mazzano e Calcata, Carbognano,

mostrano tracce di una certa continuità di vita ancora nel II sec. a.C., attestata

dalla presenza di iscrizioni falische recenti. Drammatica è anche la situazione

24 L’armatura del console, probabilmente dono votivo ad un santuario falisco scavato clandestinamente, è stata recentemente acquistata dal Getty Museum di Los Angeles, dove è ora in esposizione.

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della campagna; circa l’80% delle fattorie identificate nell’agro falisco risulta

abbandonato, con molta probabilità in conseguenza della conquista romana

del territorio.

Non è senza significato infatti che i pochi insediamenti rurali che

attestano una continuità di occupazione si trovino invece nel territorio di

Nepi, che mostra ancora una volta quindi la sua posizione privilegiata in

quanto colonia romana fin dal 383 a.C.

Lo spopolamento della campagna viene d’altra parte ad incidere su quel

complesso di attività agricole che costituiva la base produttiva del territorio.

Per le gravi ripercussioni sul piano economico, dunque, Roma dovette

cercare di far fronte al fenomeno di abbandono delle campagne, attraverso

una politica di occupazione e di intensa utilizzazione del suolo, che dovette

avere i suoi frutti, se in età repubblicana assistiamo allo sviluppo di nuove

ville rustiche e fattorie disseminate in ogni angolo del territorio25.

25 Una colonia Iunonia, recentemente identificata con Falerii Veteres e che si pone tradizionalmente in età graccana, viene ricordata dalle fonti.

35

Il giallo storico di Falerii Novi

Eutropio, storico latino del IV sec. d.C., descrive così la distruzione di Falerii Veteres da parte dei Romani: “ i nuovi consoli Quinto Lutazio e Aulo Manlio mossero guerra ai Falisci, la cui città era un tempo assai potente. In sei giorni presero la città, causando ai nemici 15.000 morti e accordando ai superstiti una pace, prendendosi però metà del loro territorio”.Secondo i testi storici, infatti, i potenti colonizzatori romani nell’ultima e decisiva guerra contro il fiero popolo Falisco, furono particolarmente spietati e sanguinari. Falerii Veteres, capitale falisca ornata con bellissimi templi urbani e suburbani è saccheggiata, incendiata ed infine rasa al suolo. Gli abitanti superstiti, privati d’armi, cavalli, beni mobili e schiavi, furono trasferiti in una zona pianeggiante a circa 6 km di distanza, in un ampio pianoro tufaceo ricco di acque sorgive, solcato dal fosso Rio del Purgatorio, dove nacque la nuova città, Falerii Novi.Recentemente alcuni archeologi hanno fatto un monitoraggio del sottosuolo, reso possibile da una moderna strumentazione magnetica, il quale ha permesso d’individuare con assoluta certezza l’ubicazione d’aree urbane con templi, portici e lastricati sinora non interessati da scavi ed indagini archeologiche.L’ipotesi storica di questa squadra di archeologi si può sintetizzare in una strategica alleanza tra i due popoli: un patto, l’ultimo stipulato nella diatriba storica tra Falisci e Romani. I Romani integrarono questo popolo lasciando loro libertà di culto e futura sopravvivenza grazie alla costruzione della Via Amerina, tracciato viario realizzato nell’espansionismo verso il centro-Italia, ed i Falisci, da par loro, si occuparono di edificare Falerii Novi nello stesso territorio in cui era già insediato un piccolo villaggio falisco.Questa ricostruzione di eventi, totalmente diversa da ciò che abbiamo letto ed imparato nei testi storici e nei libri di approfondimento locali, presenta in pratica un’integrazione del popolo falisco nel processo di “romanizzazione” del centro Italia.Indagini archeologiche e fortunosi ritrovamenti archeologici provenienti dall’area extraurbana di Falerii Novi in loc. Pradoro, forniscono elementi di conferma a questa nuova ricostruzione storica. In una tomba a camera composta da più di 70 loculi, una campagna di scavi effettuata tra il 1990 e il 1995 dalla Soprintendenza Archeologica per l’Etruria meridionale riporta alla luce, tra gli oggetti, diversi frammenti di grandi vasi di ceramica a superficie argentata: crateri, vasi e lampade a muro con decorazioni figurate a rilievo prodotti negli ultimi decenni del III sec. a.C.; produzione destinata, secondo tali studiosi, alle classi sociali ricche provenienti da Falerii Veteres. Se ai Falisci superstiti tutto era sequestrato, come potevano permettersi quei ricchi corredi?Come mai alcune famiglie provenienti da Falerii Veteres, nella nuova città aumentarono il loro prestigio sociale e ricoprirono alte cariche pubbliche? È possibile che scendendo a patto con i Romani si sia evitato, con astuzia, il pesante tributo di sangue storicamente descritto? Di sicuro nel sottosuolo di Falerii Novi è nascosto qualche capitolo di storia che ci appartiene…

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CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

Se Nepi e Sutri, entrate precocemente fin dall’inizio del IV sec. a.C.

nell’orbita romana, non sembrano risentire il contraccolpo della caduta di

Falerii Veteres, ben diversa è la situazione dei centri più settentrionali, alcuni

dei quali declinano rapidamente, come Corchiano, Grotta Porciosa, e

l’insediamento di Ponte sul Ponte; altri, ad esempio Vignanello e

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CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

Fonte: DE LUCIA BROLLI A.M., L’Agro Falisco. Roma, Quasar 1991.

La necessità di rapidi collegamenti con Roma portò, subito dopo la

conquista del territorio, alla creazione di due importanti arterie stradali, che

volutamente lasciano da parte i principali centri falisci, come Falerii Veteres:

la via Amerina (dopo il 241 a.C.) e la via Flaminia ( 220 a.C.), mentre alla

viabilità terrestre si affiancava senz’altro il comodo tramite del fiume Tevere,

i cui scavi erano ben collegati con una fitta rete viaria.

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Page 23: CAP II, Dalla Preistoria Alla Romanizzazione

CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

A partire dal III sec. d.C. la popolazione rurale decresce vistosamente e

molte proprietà agricole e città vengono completamente abbandonate.

Aumentano le precipitazioni e le valli rese insalubri dalle frequenti

inondazioni sono parzialmente abbandonate. La popolazione, come quindici

secoli prima, cerca rifugio sulle antiche acropoli dove è più facile difendersi

dalle incursioni dei barbari. Una stima dell’evoluzione della popolazione del

territorio è stata fatta dal Potter26.

Al quadro così delineato sembrerebbe opporsi la documentazione

offerta dalle aree cimiteriali cristiane identificate nel territorio, che mostrano

un alto numero di sepolture, evidenziando un notevole popolamento delle

campagne e delle città (Nepi, Faleri Novi) ancora in questa epoca.27

2.4 Il paesaggio della conquista romana. 26 T.W.POTTER, op. cit.;27 Che tuttavia debbano essersi verificati dopo il II sec. d.C. momenti di crisi pare suggerirlo il ricordo epigrafico di provvedimenti presi dall’imperatore Gallieno (264-268 d.C.) per risollevare l’economia della Colonia Faliscorum, Falerii Novi, di cui probabilmente era originario.

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Page 24: CAP II, Dalla Preistoria Alla Romanizzazione

CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

Come già accennato precedentemente, la conquista romana causò

l’evacuazione di tutti i siti di origine preromana e l’abbandono anche dei siti

rurali. Secondo il Potter “…più dell’ 80% dei 104 centri agricoli…decaddero

al tempo della conquista romana e il 50% non venne mai rioccupato”28. Pur

tuttavia, l’evento si completò anche con la simultanea fondazione di fattorie

agricole, e in così gran numero, che in epoca repubblicana sorpassarono

quelle del periodo precedente.

La distribuzione e le caratteristiche degli insediamenti agricoli

variavano secondo le dimensioni. C’era una prevalenza di piccole fattorie con

una superficie media di 1000 – 1400 mq. (43% del totale dei siti), una

consistente presenza di capanne e ricoveri utilizzati prevalentemente da

pastori (35% del totale) e un buon numero di ville rustiche dotate di terme,

porticati, rivestimenti marmorei e stucchi (22% dei siti).29

Il potenziamento delle attività agricole e la specializzazione delle

colture dovettero modificare notevolmente il paesaggio. Lo sviluppo del

maggese biennale e il piano geometrico dei lotti e dei campi, ereditato dagli

etruschi, furono perfezionati cercando l’integrazione tra agricoltura e

allevamento.

La ricognizione dell’Etruria meridionale: ville e fattorie del 100 d.C.

28 T.W. POTTER, Storia del paesaggio…, op. cit.29 G. CERRI, P. ROSSI, La via Amerina e il suo paesaggio. Forme, colori e sensazioni di un percorso storico e naturalistico tra Nepi, Civita Castellana e Orte. Ninfeo Rosa 5, Ed. Biblioteca Comunale Civita Castellana 1999.

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CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

Fonte: SEBASTI R., Storia degli insediamenti nella zona del Parco suburbano del Treja. Regione Lazio, Comuni di Mazzano R. e Calcata 1999.

L’obiettivo fu quello di un giusto equilibrio tra sfruttamento delle

potenzialità produttive del terreno e il completamento delle stesse con

sostanze organiche costituite principalmente dal letame.

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CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

L’agricoltura romana adottò due sistemi che diedero al paesaggio forme

diverse: il primo detto a ‘campo aperto’, dove non vi erano divisori e dopo il

raccolto i maggesi erano lasciati al pascolo promiscuo del bestiame di tutta la

comunità; il secondo detto dei ‘due campi’ (alternanza biennale maggese-

cereali) con un paesaggio a ‘campi chiusi’, delimitato strade vicinali, siepi e

alberate, dove l’integrazione della base foraggiera era assicurata con

l’assegnazione di speciali appezzamenti pubblici al pascolo promiscuo.30

La messa in atto del maggese biennale conferì una trama di segni

ortogonali al territorio attraverso la limitatio (divisione del suolo agrario)

realizzata attraverso il cardo e il decumanus, che composero non solo la

divisione dei campi, ma anche la viabilità pubblica.31

Le coltivazioni di maggiore importanza erano costituite dai cereali: il

farro, il miglio e il panico. Ma furono le piantate, costituite prevalentemente

dall’olivo e dalla vite, quest’ultima coltivata con il sistema promiscuo sia

dell’ ‘alberello’ sia del ‘palo vivo’,32 a dare al paesaggio falisco una nuova

immagine. Va ricordata la coltivazione del lino, pianta utilizzata nell’Agro

30 E. SERENI, Storia del…, op. cit.31 Decumanus e cardo sono gli elementi costitutivi del paesaggio agrario romano; essi determinano una limitatio regolare spesso in centurie, quadrati di 710 m. di lato equivalenti a 2700 piedi per una superficie di 50 Ha; o in strigae o scama se il lotto risulta rettangolare.32 Il sistema di allevamento a ‘palo vivo’, chiamato anche ramputinum, consisteva nel sostenere i tralci di vite tramite sostegni, di solito alberi, a differenza del sistema greco (alberello) dove la vita cresceva senza sostegno. Le piante utilizzate per il ‘palo vivo’ erano diverse, ma quelle preferite erano dotate di fogliame poco denso così da non togliere sole alla vita: salice, olmo, frassino, fico, olivo, tiglio, acero e anche la quercia.Il sistema a ‘sostegno morto’ si basava sull’utilizzo di semplici pali o da gioghi: il primo poteva essere costituito da palanche, pali, canne; il giogo da pertiche, canne e corde.R. BONACELLI, La Natura e gli Etruschi, in “Studi Etruschi”, II. Firenze 1928.

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CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

Falisco soprattutto per la fibra dalla quale si ricavavano abiti, vele, reti da

caccia e da pesca.

Gli arboreti si diffusero relativamente tardi in relazione alla modifica

del sistema proprietario. Questo, verso la fine dell’età repubblicana, passò

dalla piccola proprietà a una concentrazione di fondi con l’utilizzo sempre

maggiore di manodopera servile.

Questa tendenza ad accentuare la proprietà terriera (latifundia) avrebbe

ridotto il numero delle piccole proprietà di contadini-coloni. La fine del ceto

agricolo e l’inizio della decadenza della coltura granaria si sarebbero

accompagnati anche a una trasformazione dell’assetto socio-economico.

Diverse zone furono inglobate nei latifondi e lasciate a un’economia

soprattutto pastorale che si accentuò in età imperiale.

Assunse importanza il trifoglio e le colture prative in generale, le quali

consentivano di ottenere il massimo rendimento produttivo.

La villa rustica, oltre a essere una grande azienda agraria, fu anche il

luogo dove la cultura romana esibì il proprio senso estetico e paesaggistico.

Roma sviluppò il concetto di verde legato al gusto del bello e del diletto

personale, tanto da arrivare, nelle grandi ville suburbane, alla trasformazione

di parti di territorio con funzioni diverse e legate a quanto di nuovo, dal punto

di vista architettonico e filosofico, proveniva dall’Oriente ellenizzato.

Il paesaggio subì un nuovo cambiamento e un ritorno, si può dire, al

sistema del ‘campo aperto’. Questo perché l’antico frazionamento della

proprietà, quello a ‘campi chiusi’, e il suo disegno in lotti, si dissolse in forme

aperte e meno rigide, forme che, nel Basso Impero, con la crisi della

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CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

manodopera servile, portarono il maggese biennale verso un sistema di campi

ed erba con lunghi periodi di riposo a pascolo.33

Fin dall’inizio del III sec. d.C., la situazione economica condusse a una

riduzione del numero dei siti agricoli occupati. Se ne sarebbero avvantaggiati

i boschi e la macchia, che in alcune aree avrebbero resistito sino ai nostri

giorni.34

Le forme del paesaggio agrario, che in età repubblicana e alto imperiale

riproducevano il controllo e il dominio geometrico della romanitas sulla

natura, col tempo si sarebbero avviate a un processo di degradazione

paesaggistica, ritornando a quella naturalitas di un territorio che, ancora oggi,

conserva i suoi tratti più selvaggi e caratteristici.

33 “Non si tratta solo di un processo di degradazione del paesaggio agrario, ma anche di una progressiva disgregazione delle sue forme più precise…..Da un regime e da un paesaggio di ‘campi chiusi’ già si rileva la tendenza al passaggio ad un regime a ‘campi aperti, nel quale tutte le terre del saltus, appunto sono aperte, dopo il raccolto, al pascolo promiscuo delle greggi.” (E. SERENI, Storia del paesaggio…, op. cit.)34 “Nell’Agro Falisco il 40% dei siti fu abbandonato nel 300 d.C. e il 50% alla fine del IV secolo.” (T.W. POTTER, Storia del paesaggio…, op. cit.)

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CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

2.5. La rete stradale romana.

L’applicazione del concetto di decentramento urbano e d’attrazione dei

territori italici nella sfera romana trovò la sua esplicitazione materiale nella

realizzazione del sistema viario.

Nella conquista dell’Etruria meridionale e nel definitivo

assoggettamento e controllo delle popolazioni, i tracciati stradali

confermarono la volontà romana di non avere vincoli di carattere storico o

ambientale. A differenza del sistema viario falisco, destinato al traffico locale,

i romani impiantarono una rete stradale in funzione sia dell’organizzazione

territoriale (con finalità politico-militari) che dei collegamenti su lunghe

distanze, adottando solo in parte tratti stradali precedenti e senza esitare ad

abbandonarli qualora non fossero stati idonei alla strategia complessiva di

conquista.

Il primo concetto con il quale furono determinati i tracciati fu quello

d’isolamento dei nuclei urbani preesistenti o di rafforzamento di quelli

funzionali al controllo del territorio. Subito dopo la conquista di Falerii, fu

codificato nel 220 a.C. il tracciato definitivo della Via Flaminia in funzione

della conquista della Gallia Cisalpina. Il nuovo tracciato emarginò, di fatto, la

capitale falisca dagli scambi commerciali e ne svuotò il ruolo di centro

territoriale. La Via Cassia (probabilmente dal 154 a.C.) abbandonò l’antico

centro di Veio e penetrò, rafforzandola, la roccaforte strategica di Sutri.

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CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

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CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

La Via Amerina collegò in modo stabile Nepi alla Cassia, ma senza

toccare gli antichi centri falisci più a nord. I lavori per la via Amerina iniziano

prima delle guerre annibaliche, ma il Potter35 ricorda che i consoli Flacco e

Albino emisero contratti per la costruzione di alcuni suoi ponti solo nel 174

a.C. Rettilinea e pianeggiante, corre parallela alla Flaminia di cui costituisce

una variante veloce.

Complessivamente la via Amerina è lunga 52 chilometri, dall'antica

stazione di posta Mansio ad Vacanas (all'incirca l'odierna valle del Baccano)

sino ad Ameria, toccando le stazioni di Nepet, Falerii Novi, Castello

Amerino. Anche graficamente appare il valore strategico della posizione

"fortificata" di Nepi, importante "snodo" viario, ruolo che mantenne

immutato sino al periodo tardo antico, quando la Via Amerina divenne

l'unico collegamento per i bizantini tra Roma e l'Esarcato di

Ravenna, stretto tra i territori occupati dai longobardi.

Il secondo concetto fu la velocità di percorrenza. Questa, per ragioni

d’ordine militare o amministrativo, doveva consentire di raggiungere nel

minor tempo possibile le ragioni controllate dall’espansionismo romano.

Il concetto di velocità fu legato alla razionalizzazione del tracciato e al

percorso più breve e meno accidentato. Ciò naturalmente comportava ingenti

sforzi economici sia nella costruzione che nella manutenzione di ponti,

viadotti, tagliate rilevati e pavimentazioni.

35 T.W. POTTER, Roman Italy, British Museum Press, 1992.

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CAPITOLO 2

DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

I tracciati stradali erano definiti o da ingegneri militari (praefecti

fabrum) o, quando la realizzazione era civile, dai mensores o dagli architecti.

La dimensione della carreggiata variava secondo l’importanza e la mole

di traffico. Generalmente era di 14 piedi (4,10 m) per le strade di grande

comunicazione, larghezza che permetteva un comodo doppio senso di

marcia.36 La manutenzione delle strade era affidata ad un curator impegnato

nella gestione di tutti i problemi legati a una particolare via.

Oggi una parte della via Amerina è stata recuperata mediante una

lunga e appassionata opera del Gruppo Archeologico Romano e della

Soprintendenza Archeologica per l'Etruria Meridionale. È forse uno dei tratti

più spettacolari (ricco anche di suggestioni paesaggistiche, per l'alternarsi di

"panorami" diversi: il paesaggio delle "forre" poi quello fluviale e il

collinare). Inizia in località Tre Ponti (incrocia la SS 311, al km 10.300, tra

Nepi e Civita Castellana), e vi si possono osservare il caratteristico "basolato"

della via, le massicciate, le "tagliate", le opere di drenaggio e, soprattutto, i

ponti (sul fosso Tre Ponti e sul Fosso Maggiore). Intorno numerosi

insediamenti di necropoli, soprattutto in corrispondenza delle ampie e

profonde "tagliate".

36 L. QUILICI, Le strade. Viabilità tra Roma e Lazio. Quasar, Roma 1990.

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DALLA PREISTORIA ALLA ROMANIZZAZIONE

Strada romana Amerina – Tratto ben conservato nei pressi di Corchiano.

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