Canto XXV -  · 219 Canto XXV Inferno e un’altra a le braccia, e rilegollo, ribadendo sé stessa...

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217 Canto XXV Sequenze narrative ® LA BESTEMMIA DI VANNI FUCCI. INVETTIVA CONTRO PISTOIA Dopo aver pronunciato la profezia, Vanni Fucci rivolge ingiuriosamente a Dio un gesto osceno, ma subito viene assalito dalle serpi, che gli si avvolgono attorno al collo e alle brac- cia impedendogli di parlare e di muoversi. Dante pronuncia allora una dura invettiva con- tro Pistoia. ® IL CENTAURO CACO Vanni Fucci cerca di fuggire e viene inseguito da un essere mostruoso con un groviglio di serpi sul collo e un drago sulle spalle; si tratta del centauro Caco, che osò rubare i buoi di Ercole e fu da questi ucciso. ® ARRIVO DI TRE LADRI FIORENTINI Mentre Caco si allontana, tre dannati si avvicinano a Dante e Virgilio; uno di essi chiede ai compagni dove sia rimasto Cianfa. ® PRIMA METAMORFOSI DEI LADRI Dante si rivolge al lettore per annunciare il fatto straordinario e incredibile accaduto davanti ai suoi occhi. Giunge infatti improvvisamente un serpente con sei piedi (Cianfa Donati) e si scaglia addosso a uno dei peccatori (Agnolo Brunelleschi), fondendosi con quello in un unico essere mostruoso. ® SECONDA METAMORFOSI DEI LADRI Un altro serpentello (Francesco dei Cavalcanti) colpisce uno dei due ladri rimasti (Buoso Donati) e, subito dopo, il serpente diviene uomo e l’uomo serpente. Questa seconda meta- morfosi è descritta da Dante in aperta sfida stilistica con i poeti latini Lucano* e Ovidio*. ® PUCCIO SCIANCATO Un quinto ladro assiste terrorizzato alla scena: si tratta di Puccio Sciancato, l’unico a non essere stato coinvolto nelle metamorfosi. vv 142-151 vv 79-141 vv 46-78 vv 34-45 vv 16-33 vv 1-15 Posizione VIII cerchio - Malebolge - (fraudolenti); 7ª bolgia Peccatori Ladri Pena Corrono tra i serpenti, da questi avvinghiati; alcuni subiscono mostruose metamorfosi Contrappasso In vita agirono di nascosto e furtivamente, come i serpenti; rubarono ciò che apparteneva agli altri e ora vengono derubati del loro stesso corpo Dante incontra Il centauro Caco; Cianfa Donati, Agnolo Brunelleschi, Buoso Donati, Francesco dei Cavalcanti, Puccio Sciancato Inferno, XXV, 1-9, miniatura ferrarese, Ms. Urb. Lat. 365, f. 66 v. Roma, Biblioteca Vaticana.

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Canto XXV

■ Sequenze narrative

® LA BESTEMMIA DI VANNI FUCCI. INVETTIVA CONTRO PISTOIA

Dopo aver pronunciato la profezia, Vanni Fucci rivolge ingiuriosamente a Dio un gestoosceno, ma subito viene assalito dalle serpi, che gli si avvolgono attorno al collo e alle brac-cia impedendogli di parlare e di muoversi. Dante pronuncia allora una dura invettiva con-tro Pistoia.

® IL CENTAURO CACO

Vanni Fucci cerca di fuggire e viene inseguito da un essere mostruoso con un groviglio diserpi sul collo e un drago sulle spalle; si tratta del centauro Caco, che osò rubare i buoi diErcole e fu da questi ucciso.

® ARRIVO DI TRE LADRI FIORENTINI

Mentre Caco si allontana, tre dannati si avvicinano a Dante e Virgilio; uno di essi chiedeai compagni dove sia rimasto Cianfa.

® PRIMA METAMORFOSI DEI LADRI

Dante si rivolge al lettore per annunciare il fatto straordinario e incredibile accadutodavanti ai suoi occhi. Giunge infatti improvvisamente un serpente con sei piedi (CianfaDonati) e si scaglia addosso a uno dei peccatori (Agnolo Brunelleschi), fondendosi conquello in un unico essere mostruoso.

® SECONDA METAMORFOSI DEI LADRI

Un altro serpentello (Francesco dei Cavalcanti) colpisce uno dei due ladri rimasti (BuosoDonati) e, subito dopo, il serpente diviene uomo e l’uomo serpente. Questa seconda meta-morfosi è descritta da Dante in aperta sfida stilistica con i poeti latini Lucano* e Ovidio*.

® PUCCIO SCIANCATO

Un quinto ladro assiste terrorizzato alla scena: si tratta di Puccio Sciancato, l’unico a nonessere stato coinvolto nelle metamorfosi.

vv 142-151

vv 79-141

vv 46-78

vv 34-45

vv 16-33

vv 1-15

Posizione VIII cerchio - Malebolge - (fraudolenti); 7ª bolgia

Peccatori Ladri

Pena Corrono tra i serpenti, da questi avvinghiati; alcuni subisconomostruose metamorfosi

Contrappasso In vita agirono di nascosto e furtivamente, come iserpenti; rubarono ciò che apparteneva agli altri e ora vengono derubatidel loro stesso corpo

Dante incontra Il centauro Caco; Cianfa Donati, Agnolo Brunelleschi,Buoso Donati, Francesco dei Cavalcanti, Puccio Sciancato

Inferno, XXV, 1-9, miniaturaferrarese, Ms. Urb. Lat. 365,f. 66 v. Roma, BibliotecaVaticana.

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■ Temi e motivi

CacoAll’inizio la scena è ancora dominata dalla presenza di Vanni Fucci*, che, dopo le parolemalignamente rivolte a Dante, passa ora a sfidare Dio stesso, indirizzando nei suoi confrontiparole e gesti osceni (le mani alzò con amendue le fiche,/ gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squa-dro!», vv. 2-3). Ma questa sua tracotanza, come del resto ogni atteggiamento dei dannati,rimane fine a se stessa, rivelandosi un segno di impotenza, immediatamente represso dalleserpi, che in questa circostanza, facendosi strumento della divina giustizia, divengono perDante amiche. La scena viene interrotta dall’invettiva a Pistoia (vv. 10-15; lo stesso accadràcon Pisa e Genova nel canto XXXIII), attraverso la quale Dante manifesta tutto il propriosdegno contro l’empio ladro e avversario politico e contro la città che gli fu degna tana; esi conclude quindi con l’apparizione di Caco*, la mostruosa creatura mitologica mossa allacaccia del peccatore. Nel testo virgiliano Caco è un centauro, ma Dante ne rimodella lafigura con l’aggiunta di ulteriori elementi bestiali ricavati da altre fonti: un gran numerodi serpi attorno al collo e un draco con le ali aperte e vomitante fiamme dalla bocca. Sonoqueste caratteristiche che, insieme al furto di parte degli armenti di Ercole* (dal qualevenne poi ucciso), giustificano la sua presenza tra i ladri e non nel settimo cerchio, insie-me agli altri centauri a guardia dei violenti nel Flegetonte* (d’altra parte anche VanniFucci, oltre che ladro, è superbo e violento).Scomparso Vanni Fucci, l’attenzione di Dante ritorna ora a concentrarsi sulla bolgia stipa-ta di rettili e dannati, che il poeta aveva iniziato a descrivere all’ingresso della settima zavor-ra (v. 142), prima dell’improvvisa apparizione del ladro sacrilego (Inf. XXIV, 82 ss.).

Le metamorfosi dei ladriD’ora in avanti l’interesse del poeta è costituito unicamente, sia dal punto di vista etico chestilistico, dal tragico spettacolo delle metamorfosi che progressivamente si svolgono sotto ilsuo sguardo attonito (vv. 145-146), in un’atmosfera di silenzio (i due personaggi non par-leranno più per tutto il canto) e di orrore.Dante è perfettamente consapevole dell’altezza del risultato raggiunto nella descrizionedelle metamorfosi, sia per quanto riguarda la novità del tema, sia per i mezzi espressivi uti-lizzati. Proprio da tale coscienza scaturisce il «vanto» di Dante, la dichiarazione della pro-pria superiorità rispetto ai modelli classici. D’altra parte, la Commedia del cristiano Dantesi pone di fatto come un grande poema di metamorfosi, non solo per la descrizione deimutamenti subiti dalle anime nell’Aldilà, ma anche e soprattutto per la trasformazioneinteriore che avviene progressivamente, avanzando verso la meta, nel poeta stesso e checulminerà, come vedremo, nel momento del passaggio al Paradiso, quando il protagonistaregistrerà in sé il «trasumanare», ossia l’ineffabile superamento della condizione umana (Par.I, 70-71) venendo accolto, come Glauco* nel mito narrato da Ovidio*, nel regno della glo-ria divina.

Canto XXVInferno

Al fine de le sue parole il ladrole mani alzò con amendue le fiche,

3 gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!».

Da indi in qua mi fuor le serpi amiche,perch’una li s’avvolse allora al collo,

6 come dicesse ‘Non vo’ che più diche’;

® LA BESTEMMIA DI VANNI FUCCI. INVETTIVACONTRO PISTOIAQuand’ebbe finito di parlare (Al fine de le sue parole) il ladroalzò le mani sconciamente atteggiate (con amendue le fiche),gridando: «Prendile (Togli), Dio, che proprio contro di te lerivolgo (squadro)!».Da quel momento in poi (Da indi in qua) le serpi mi furono(fuor) care (amiche), poiché una gli si avvinghiò (li s’avvolse)allora al collo, come se volesse dire (dicesse) ‘Non voglio (vo’)che tu dica (diche) altro (più)’;

vv 1-15

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Canto XXV Inferno

e un’altra a le braccia, e rilegollo,ribadendo sé stessa sì dinanzi,

9 che non potea con esse dare un crollo.

Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzid’incenerarti sì che più non duri,

12 poi che ’n mal fare il seme tuo avanzi?

Per tutt’i cerchi de lo ’nferno scurinon vidi spirto in Dio tanto superbo,

15 non quel che cadde a Tebe giù da’ muri.

El si fuggì che non parlò più verbo;e io vidi un centauro pien di rabbia

18 venir chiamando: «Ov’è, ov’è l’acerbo?».

Maremma non cred’io che tante n’abbia,quante bisce elli avea su per la groppa

21 infin ove comincia nostra labbia.

Sovra le spalle, dietro da la coppa,con l’ali aperte li giacea un draco;

24 e quello affuoca qualunque s’intoppa.

Lo mio maestro disse: «Questi è Caco,che sotto ’l sasso di monte Aventino,

27 di sangue fece spesse volte laco.

Non va co’ suoi fratei per un cammino,per lo furto che frodolente fece

30 del grande armento ch’elli ebbe a vicino;

onde cessar le sue opere biecesotto la mazza d’Ercule, che forse

33 gliene diè cento, e non sentì le diece».

Mentre che sì parlava, ed el trascorse,e tre spiriti venner sotto noi,

36 de’ quai né io né ’l duca mio s’accorse,

se non quando gridar: «Chi siete voi?»;per che nostra novella si ristette,

39 e intendemmo pur ad essi poi.

Io non li conoscea; ma ei seguette,come suol seguitar per alcun caso,

42 che l’un nomar un altro convenette,

e un’altra alle braccia, e lo legò di nuovo (rilegollo), annodan-do (ribadendo) se stessa così strettamente (sì) sul ventre delladro (dinanzi), che questi non poteva (potea) più fare (dare)alcun movimento (crollo) con esse (le braccia).

Ah Pistoia, Pistoia, perché non decidi (stanzi) di ridurti incenere (d’incenerarti) in modo da cessare di esistere (sì che piùnon duri), dal momento che nelle azioni malvagie (’n mal fare)superi (avanzi) i tuoi stessi fondatori (il seme tuo)?

In tutti i cerchi bui dell’Inferno non vidi uno spirito (spirto)tanto superbo contro (in) Dio, neppure (non) Capaneo (quel),che cadde dalle mura di Tebe (colpito dal fulmine di Giove).

® IL CENTAURO CACOIl dannato (El) si allontanò (si fuggì) in modo tale che non potépiù parlare (che non parlò più verbo); ed io vidi un centauro rab-bioso arrivare gridando: «Dov’è, dov’è l’empio (acerbo)?».

Io non credo che la Maremma abbia tante bisce quante neaveva quello sul dorso (groppa) fino a dove (infin ove) ha ini-zio (nel centauro) la parte umana (nostra labbia).

Sopra le spalle, dietro la nuca (coppa), gli stava (li giacea) undrago (draco) con le ali aperte, che (e quello) inceneriva (affuo-ca) chiunque si imbattesse in lui (s’intoppa).

Il mio maestro disse: «Questo è Caco, che, presso la grotta(sasso) del monte Aventino, fece spesso (spesse volte) strage diuomini (di sangue… laco).

Non si trova nello stesso girone (Non va… per un cammino)con gli altri Centauri (fratei), a causa del furto che egli compìcon l’inganno (frodolente) della ricca mandria (grande armento)che si era fermata presso monte Aventino (ch’elli ebbe a vicino);

per cui (onde) le sue azioni scellerate (opere biece) ebbero ter-mine (cessar) sotto i colpi della clava (mazza) di Ercole, chegliene diede cento ma probabilmente lui non arrivò a sentir-ne dieci».

® ARRIVO DI TRE LADRI FIORENTINIMentre parlava così, Caco si allontanò (trascorse), e subitodopo giunsero sotto di noi tre spiriti, dei quali (de’ quai) né ioné Virgilio ci accorgemmo (s’accorse),

se non quando gridarono: «Chi siete?»; per cui il nostrodiscorso (novella) si interruppe (ristette) e da quel momento(poi) prestammo attenzione (intendemmo) solo (pur) ad essi.

Io non li riconoscevo (conoscea); ma avvenne (ei seguette), comepuò avvenire (suol seguitar) di solito per un caso qualsiasi, cheuno dovette (convenette) chiamare per nome (nomar) un altro,

vv 34-45

vv 16-33

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dicendo: «Cianfa dove fia rimaso?»;per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento,

45 mi puosi ’l dito su dal mento al naso.

Se tu se’ or, lettore, a creder lentociò ch’io dirò, non sarà maraviglia,

48 ché io che ’l vidi, a pena il mi consento.

Com’io tenea levate in lor le ciglia,e un serpente con sei piè si lancia

51 dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia.

Co’ piè di mezzo li avvinse la panciae con li anterïor le braccia prese;

54 poi li addentò e l’una e l’altra guancia;

li diretani a le cosce distese,e miseli la coda tra ’mbedue,

57 e dietro per le ren sù la ritese.

Ellera abbarbicata mai non fuead alber sì, come l’orribil fiera

60 per l’altrui membra avviticchiò le sue.

Poi s’appiccar, come di calda cerafossero stati, e mischiar lor colore,

63 né l’un né l’altro già parea quel ch’era:

come procede innanzi da l’ardore,per lo papiro suso, un color bruno

66 che non è nero ancora e ’l bianco more.

Li altri due ’l riguardavano, e ciascunogridava: «Omè, Agnel, come ti muti!

69 Vedi che già non se’ né due né uno».

Già eran li due capi un divenuti,quando n’apparver due figure miste

72 in una faccia, ov’eran due perduti.

Fersi le braccia due di quattro liste;le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso

75 divenner membra che non fuor mai viste.

Ogne primaio aspetto ivi era casso:due e nessun l’imagine perversa

78 parea; e tal sen gio con lento passo.

dicendo: «Cianfa dove sarà (fia) rimasto (rimaso)?»; per cui io, af-finché (acciò che) il maestro stesse a sentire (stesse attento), posil’indice davanti alla bocca (dal mento al naso).

® PRIMA METAMORFOSI DEI LADRISe ora tu, lettore, sei restio (lento) a credere a quello che dirò,non sarà cosa da meravigliare (maraviglia), dal momento cheio stesso, che vi ho assistito (che ’l vidi), stento a crederci (apena il mi consento).

Mentre (Com’io) tenevo gli occhi (ciglia) rivolti (levate) su diloro, ecco (e) un rettile con sei zampe (piè) scagliarsi (si lancia)su uno dei dannati (dinanzi a l’uno) e aderire (s’appiglia) com-pletamente (tutto) a lui.

Con le zampe centrali gli si avvinghiò (li avvinse) al ventre econ quelle anteriori afferrò le braccia; poi gli addentòentrambe le guance;

allungò (distese) infine le zampe posteriori (li diretani) sullecosce, gli infilò (miseli) la coda in mezzo (alle gambe) e la tesedi dietro lungo la sua schiena (per le ren sù).

Edera (Ellera) non fu (fue) mai così tenacemente avvinghiata(abbarbicata) a un albero, come l’orribile creatura (fiera) avvol-se (avviticchiò) le sue membra a quelle del dannato (per l’altrui).

Poi si compenetrarono (s’appiccar), come se fossero stati dicera calda, e confusero (mischiar) il loro colore, e ormai (già)nessuno dei due sembrava quello di prima (quel ch’era):

allo stesso modo in cui (come) lungo (suso) un pezzo di carta(papiro), prima che bruci, avanza (procede) un colore scuro(bruno) che non è ancora nero ma non è più bianco (e ’l bian-co more).

Gli altri due dannati lo guardavano inorriditi (’l riguardavano)e ciascuno gridava: «In quale orribile modo (Omè… come) tistai trasformando (ti muti), Agnolo!» Vedi che ormai non sei(se’) più due corpi (né due) e neppure uno solo (né uno)».

Le due teste (capi) erano ormai diventate una sola (un), quan-do ci apparvero due sembianze (figure) confuse (miste) inun’unica faccia, in cui i due esseri erano annullati (perduti).

Dai quattro arti (liste) si formarono (Fersi) due braccia; lecosce, insieme alle gambe, il ventre e il petto (casso), divenne-ro un insieme di membra mai visto prima (che non fuor [=furono] mai viste).

Era cancellato (casso) in quella mostruosità (ivi) ogni aspettooriginario (primaio): la figura (l’imagine) così trasformata (per-versa) appariva (parea) allo stesso tempo composta da duecorpi e da nessuno (due e nessun); e ridotto così (tal) si allon-tanò (sen gio) lentamente (con lento passo).

vv 46-78

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Canto XXV Inferno

Come ’l ramarro sotto la gran fersadei dì canicular, cangiando sepe,

81 folgore par se la via attraversa,

sì pareva, venendo verso l’epede li altri due, un serpentello acceso,

84 livido e nero come gran di pepe;

e quella parte onde prima è presonostro alimento, a l’un di lor trafisse;

87 poi cadde giuso innanzi lui disteso.

Lo trafitto ’l mirò, ma nulla disse;anzi, co’ piè fermati, sbadigliava

90 pur come sonno o febbre l’assalisse.

Elli ’l serpente, e quei lui riguardava;l’un per la piaga e l’altro per la bocca

93 fummavan forte, e ’l fummo si scontrava.

Taccia Lucano omai là dov’e’ toccadel misero Sabello e di Nasidio,

96 e attenda a udir quel ch’or si scocca.

Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio,ché se quello in serpente e quella in fonte

99 converte poetando, io non lo ’nvidio;

ché due nature mai a fronte a frontenon trasmutò sì ch’amendue le forme

102 a cambiar lor matera fosser pronte.

Insieme si rispuosero a tai norme,che ’l serpente la coda in forca fesse,

105 e ’l feruto ristrinse insieme l’orme.

Le gambe con le cosce seco stesses’appiccar sì, che ’n poco la giuntura

108 non facea segno alcun che si paresse.

Togliea la coda fessa la figurache si perdeva là, e la sua pelle

111 si facea molle, e quella di là dura.

Io vidi intrar le braccia per l’ascelle,e i due piè de la fiera, ch’eran corti,

114 tanto allungar quanto accorciavan quelle.

® SECONDA METAMORFOSI DEI LADRICome il ramarro sotto la sferza del sole (gran fersa) nei giorni dicanicola (dì canicular), passando da una siepe all’altra (cangiandosepe), sembra un fulmine (folgore) quando (se) attraversa la via,

altrettanto veloce (sì) appariva, dirigendosi (venendo) verso iventri (l’epe) degli altri due dannati, un serpentello pronto adattaccare (acceso), livido e nero come un grano di pepe;

e trafisse a uno dei due quella parte del corpo (l’ombelico) dacui (onde) prendiamo (è preso) nutrimento (nostro alimento)durante la gestazione (prima); poi cadde giù (giuso) distesodavanti al dannato (innanzi lui).

Il dannato trafitto lo guardò, ma non disse nulla; anzi, coi piediimmobilizzati (fermati), sbadigliava proprio (pur) come se loavesse assalito il sonno o la febbre.

Il dannato (Elli) guardava fisso (riguardava) il serpente e il ser-pente (quei) il dannato (lui); emettevano un denso fumo (fum-mavan forte), l’uno dalla ferita (per la piaga) e l’altro dalla bocca,e il fumo si incontrava fondendosi (si scontrava).

A questo punto (omai) Lucano dovrà tacere (Taccia), anche nelpasso del suo poema in cui narra (là dov’e’ tocca) dell’infelice(misero) Sabello e di Nasidio, e stia attento (attenda) ad ascol-tare ciò che mi appresto a descrivere (quel ch’or si scocca).

E a questo punto (omai) dovrà tacere Ovidio di Cadmo e diAretusa, dal momento che, se egli nei suoi versi fa trasforma-re (converte poetando) l’uno (quello) in serpente e l’altra (quella)in fonte, io però non ne provo invidia (non lo ’nvidio):

perché egli non descrisse mai la trasformazione (trasmutò)reciproca di due nature, poste l’una di fronte all’altra (a frontea fronte) in modo che entrambe (amendue) le loro essenze(forme) fossero pronte a scambiarsi il corpo (lor matera).

(Le due nature) si corrisposero l’una all’altra (si rispuosero)secondo queste fasi: il serpente divise in due (fesse) la coda aguisa di forca (in forca), e il dannato ferito (’l feruto) unì (ristrin-se) insieme i piedi (l’orme).

Le gambe e le cosce si congiunsero (s’appiccar) le une alle altre(seco stesse) così saldamente (sì), che in breve (’n poco) la lineadi giuntura non dava alcun segno (non facea segno alcun) dipresenza (che si paresse).

La coda divisa (fessa) assumeva (Togliea) la figura umana cheandava scomparendo (si perdeva) nell’altro (là), e mentre lapelle del serpente diventava (si facea) molle, l’altra (e quella dilà) diventava dura.

Vidi le braccia rientrare (intrar) attraverso (per) le ascelle, e ledue zampe del rettile (fiera), che erano corte, allungarsi tantoquanto le braccia dell’altro (quelle) si accorciavano.

vv. 79-141

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Poscia li piè di rietro, insieme attorti,diventaron lo membro che l’uom cela,

117 e ’l misero del suo n’avea due porti.

Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro veladi color novo, e genera ’l pel suso

120 per l’una parte e da l’altra il dipela,

l’un si levò e l’altro cadde giuso,non torcendo però le lucerne empie,

123 sotto le quai ciascun cambiava muso.

Quel ch’era dritto, il trasse ver’ le tempie,e di troppa matera ch’in là venne

126 uscir li orecchi de le gote scempie;

ciò che non corse in dietro e si ritennedi quel soverchio, fé naso a la faccia

129 e le labbra ingrossò quanto convenne.

Quel che giacëa, il muso innanzi caccia,e li orecchi ritira per la testa

132 come face le corna la lumaccia;

e la lingua, ch’avëa unita e prestaprima a parlar, si fende, e la forcuta

135 ne l’altro si richiude; e ’l fummo resta.

L’anima ch’era fiera divenuta,suffolando si fugge per la valle,

138 e l’altro dietro a lui parlando sputa.

Poscia li volse le novelle spalle,e disse a l’altro: «I’ vo’ che Buoso corra,

141 com’ho fatt’io, carpon per questo calle».

Così vid’io la settima zavorramutare e trasmutare; e qui mi scusi

144 la novità se fior la penna abborra.

E avvegna che li occhi miei confusifossero alquanto e l’animo smagato,

147 non poter quei fuggirsi tanto chiusi,

ch’i’ non scorgessi ben Puccio Sciancato;ed era quel che sol, di tre compagni

150 che venner prima, non era mutato;

l’altr’era quel che tu, Gaville, piagni.

Poi le zampe posteriori (li piè di rietro), attorcigliandosi (attor-ti) insieme, formarono (diventaron) il membro virile (che l’uomcela), mentre il dannato (misero) dal proprio sesso ne vide spor-gere (sporti) due (per formare i piedi).

Mentre il fumo copriva (vela) l’uno e l’altro del nuovo colo-re (annerendo il nuovo serpente e schiarendo il nuovouomo), e generava i peli nell’uno (suso per l’una parte) e lifaceva sparire (il dipela) nell’altro,

l’uno assumeva posizione eretta (si levò) e l’altro cadeva a terra(giuso), senza però distogliere l’uno dall’altro (non torcendo) glisguardi maligni (le lucerne empie), sotto i quali ciascuno anda-va cambiando faccia (cambiava muso).

Quello che stava eretto (dritto) ritrasse (trasse) il muso (il)verso (ver’) le tempie e dall’eccessiva (troppa) materia che siera accumulata in quel punto (ch’in là venne) fuoriuscirono leorecchie dalle guance (gote), che ne erano prive (scempie);

ciò che di quella materia sovrabbondante (di quel soverchio)non si era ritirato (non corse in dietro) ed era rimasto lì (si riten-ne), formò (fé) il naso in mezzo alla faccia e si ingrossò delnecessario (quanto convenne) per formare le labbra.

Quello disteso a terra (che giacëa) allungò (innanzi caccia) ilmuso e ritirò le orecchie dentro (per) la testa come fa (face) lalumaca (lumaccia) con le corna;

e la sua lingua, che prima era unita e pronta (presta) a parlare,cominciò a biforcarsi (si fende), mentre nell’altro la linguabiforcuta si riunì (si richiude); e intanto il fumo svanì (resta);

Lo spirito che era diventato serpente (fiera) fuggì per la bol-gia (valle) sibilando (suffolando), mentre l’altro dietro di lui simise a parlare sputando.

Quindi (Poscia) gli voltò le spalle appena formate (novelle) edisse all’altro dannato: «Voglio (vo’) che Buoso corra stri-sciando (carpon), come ho fatto io finora, per questa bolgia(calle)».

® PUCCIO SCIANCATOCosì io ho visto trasformarsi e cambiare natura (mutare e tra-smutare) i ladri nella settima bolgia (la settima zavorra); e qui lanovità dell’argomento mi scusi se lo stile (la penna) è stato unpo’ (fior) confuso (abborra).E per quanto (avvegna che) i miei occhi fossero un po’ (alquan-to) confusi e il mio animo smarrito (smagato), i due ladri rima-sti (quei) non poterono andarsene (fuggirsi) così di soppiatto(tanto chiusi)

da impedirmi di riconoscere (ch’i’ non scorgessi) distintamente(ben) Puccio Sciancato; dei tre dannati (compagni) che si eranoavvicinati prima, era l’unico (sol) che non aveva subito meta-morfosi (non era mutato);

l’altro era colui di cui tu, Gaville, ancora ti lamenti (piagni).

vv 142-151

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Canto XXVInferno

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