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INDICE

Premessa

Inferno Canto Primo pag. 7 Canto Secondo pag. 19 Canto Terzo pag. 30 Canto Quarto pag. 40 Canto Quinto pag. 51 Canto Sesto pag. 64 Canto Settimo pag. 74 Canto Ottavo pag. 86 Canto Nono pag. 97 Canto Decimo pag. 108 Canto Undicesimo pag. 121 Canto Dodicesimo pag. 131 Canto Tredicesimo pag. 142 Canto Quattordicesimo pag. 155 Canto Quindicesimo pag. 168 Canto Sedicesimo pag. 182 Canto Diciassettesimo pag. 195

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Premessa

L'Inferno, la prima delle tre cantiche, la più dinamica, estroversa, drammatica, angosciosa, triste, rude pur sensibile, rigorosa, grave. Potrei continuare per altre 5 righe e non sarebbe mai superfluo, seppur ammettendo che la bellezza delle altre è grande, è questa che porta fuori dal nostro intimo le debolezze che più ci sono vicine, insegnandoci ad affrontarle a testa alta e senza alcun timore. Bisogna intendere la paura del ”sommo” come una nostra paura, perché a tutti è capitato (o capiterà) di cadere in crisi ma anche solo in uno sconforto minimo e ci si assottigliava su quale fosse la soluzione e non se ne riusciva a venir a capo, ecco che Dante in forma poetica ed epica affronta questo viaggio “infernale” non solo per redenzione personale dai peccati che lo hanno afflitto e che nel 1° Canto ci dichiara ma anche per far ritrovare quei valori persi in vantaggio di corruzione e sete di potere che a quell’epoca era uno strumento maniacale di perdizione vera e propria. Secondo i critici la prima Cantica viene composta complessivamente tra il 1304 e il 1309 – anni in cui viveva in esilio – formata da 34 Canti incluso uno che fa da proemio. Il pensiero geografico dantesco è basato secondo il sistema tolemaico, in conformità all’idea che la Terra si trovasse al centro dell’Universo, e la concezione terrena ha presente il pensiero teologico cristiano secondo il quale, con la caduta di Lucifero nell’emisfero dove c’erano le terre emerse, queste non volendo essere toccate dal diavolo si spostarono nell’altro emisfero, da discrepanza salito dal mare si creò un monte, quello del Purgatorio. Questa è una piccola parte del sapere dantesco che durante la narrazione metterà in pratica un illimitato repertorio di un qualsiasi ambito. Con la caduta del diavolo si è appunto detto che si creerà l’Inferno e con esso tutti i gironi. Tutti i tre principali luoghi del poema hanno i loro traghettatori: per l’Inferno è Caronte, anche i gironi hanno il loro guardiano che noteremo col proseguire della lettura. Nella prima Cantica è posto un primo Canto che fa da proemio a tutta l’opera poi si proseguirà con l’anti-Inferno dove risiedono gli Ignavi, “a Dio spiacenti e a' nemici sui”, e dopo con il dolore vero e proprio. Dopo aver accolto tutte le pene e i peccatori, il viaggio procederà attraverso un lungo corridoio chiamato “natural burella” che porterà i pellegrini sulla spiaggia del monte del Purgatorio.

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Inferno

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Canto Primo

Incomincia la Comedia di Dante Alleghieri di

Fiorenza, ne la quale tratta de le pene e punimenti de'

vizi e de' meriti e premi de le virtù. Comincia il canto

primo de la prima parte nel qual l'auttore fa proemio a

tutta l'opera.

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Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura,

3 ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte 6 che nel pensier rinova la paura!

Tant'è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,

9 dirò de l'altre cose ch'i' v' ho scorte.

1: Si conviene che a quei tempi, l'età media della vita doveva essere di circa 70 anni e quindi il poeta nel poema, (ma anche nella vita vera) avrà avuto 35 anni. La formula usata è quella solenne e di sapore magnanimo per far si che si possa ampliare a tutti gli uomini. 2: viene raffigurato un momento di perdizione morale e psicologica, e continuando con la lettura si va a chiarire che il viaggio viene affrontato per la redenzione dallo stato di traviamento e Dante non si basa sulla fantasia, a propositi astratti, ma va proprio concretamente a redimersi tramite immagini di sofferenza di chi ha peccato. In generale l'Alighieri propone anche il restauro dei valori persi, della allora società, corrotta e malsana e questo proposito ha il fine e lo scopo di rivalorizzare i fondamenti dell'etica e della felicità umana. 3: non è perduta ma smarrita. Quindi da questo punto comincia a nascere l'idea che c'è un modo per ritornare alle virtù in possesso prima e così

ritornare sulla "diritta via". 4: tanto è il dolore che mi opprime che non riesco a descriverlo. 5: esta: forma antica dell'aggettivo dimostrativo "questa". Selva, selvaggia: replicazione usata secondo il gusto della retorica medievale. La selva è: selvaggia, cioè senza alcuna presenza umana; aspra, ardua e faticosa; forte, libera da qualsiasi costrizione e quindi di libera crescita e sviluppo. 6: solo al ripensare mi riporta in angoscia. 7: la selva o meglio la vita ormai sdegnosa e lontana da qualsiasi gioia, vicinissima alla dannazione e alla morte dell'anima. 8-9: si può intendere il "ben" come un soccorso avviato dal cielo per salvarlo da quella condizione oppure del senso acquistato di consapevolezza verso l'errore compiuto che lo porterà a ravvedersi. Le "altre cose" come nel caso precedente sono viste: o come le tre fiere che incontrerà dopo, o con un senso più ampio, come tutti i dolori che lo riporteranno sulla strada giusta.

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Io non so ben ridir com'i' v'intrai, tant'era pien di sonno a quel punto

12 che la verace via abbandonai. Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,

là dove terminava quella valle 15 che m'avea di paura il cor compunto,

guardai in alto e vidi le sue spalle vestite già de' raggi del pianeta

18 che mena dritto altrui per ogne calle. Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m'era durata

21 la notte ch'i' passai con tanta pieta. E come quei che con lena affannata,

uscito fuor del pelago a la riva, 24 si volge a l'acqua perigliosa e guata,

11: sonno prende il significato oscurato quindi: tant'era oscurata la mia anima. 12: verace ha adesso il posto di "diritta". 13-14: arrivo a un punto dove la situazione migliorava, dove -come dice dopo- è illuminata dal sole che è la benevolenza Divina. Quindi potremmo contrapporre il colle alla selva. 15: che mi aveva afflitto il cuore di paura. 16: spalle: i pendii del colle con connotazione umana. 17: pianeta: è il sole, ma vuole intendere Dio. A quei tempi il sistema cosmologico veniva concepito

secondo la dottrina tolemaico-aristotelica che metteva la Terra al centro dell'Universo. Nell'immaginazione sta sorgendo l'alba. 18: guida l'uomo per una strada giusta. 19: queta: alleviata. 20: nel crogiuolo del cuore, dove secondo l'opinione di alcuni, risiedono le passioni e i sentimenti umani. 21: pietà: angoscia, tormento. 22: lena: respiro. 23: pelago: mare in tempesta. 24: riguarda l'acqua in tormenta e teme della sua situazione.

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così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo

27 che non lasciò già mai persona viva. Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,

ripresi via per la piaggia diserta, 30 sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.

Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta, una lonza leggera e presta molto,

33 che di pel macolato era coverta;

25: è l'animo che fugge non il corpo che si è fermato, quindi pensa costantemente a come fuggire da quella situazione. 26: retro: indietro; a rimirar: a riguardare, contemplare; lo passo: il luogo della paura. 27: si vuole far capire che mai una persona ancora in vita è passata di lì se non aveva il sostegno di una coscienza ferrea e pulita. 28: èi: ebbi; lasso: stanco. 29: ripresi il cammino per il pendio (derivante dal latino medievale plagia) solitario. 30: su questo verso si è discusso moltissimo sia in via concreta che astratta. La prima la spiegheremo con la citazione del Boccaccio: "mostra l'usato costume di coloro che salgono, che sempre si ferma più in su quel piè che più basso rimane", cioè salendo la parete scoscesa si tiene ben saldo il piede più in basso. Mentre la parte allegorica ci insegna che il piede sinistro (di norma il più basso) sarebbe

inadeguato al viaggio perché legato alle cose terrene invece il destro rappresenta la ragione. 31: erta: la solita concreta da non confondere con la piaggia. 32: lonza: dal francese lonce, presumibilmente una lince o un leopardo. La descrizione antica trovata in un bestiario toscano è: "Loncia è un animale crudele e fiera, e nasce da un congiungimento carnale de leone con lonça, ovvero de leopardo con leonessa; e cussì nasce lo leopardo". La cronaca di Firenze dell'anno 1285 ricorda di una lonza in gabbia presso il palazzo comunale. Questa è la prima bestia che non lascia proseguire Dante e allegoricamente simboleggia la lussuria e il primo impedimento al pentimento. Altre interpretazioni più moderne la rappresentano diversamente ma il percorso e le parole poi spese dal poeta fanno confermare la linea antica. Leggiera e presta: agile e veloce. 33: che di pelo macchiato era coperta.

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e non mi si partia dinanzi al volto, anzi 'mpediva tanto il mio cammino,

36 ch'i' fui per ritornar più volte vòlto Temp'era dal principio del mattino,

e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle 39 ch'eran con lui quando l'amor divino

mosse di prima quelle cose belle; sì ch'a bene sperar m'era cagione

42 di quella fiera a la gaetta pelle l'ora del tempo e la dolce stagione;

ma non sì che paura non mi desse 45 la vista che m'apparve d'un leone.

Questi parea che contra me venisse con la test'alta e con rabbiosa fame,

48 sì che parea che l'aere ne tremesse. Ed una lupa, che di tutte brame

sembiava carca ne la sua magrezza, 51 e molte genti fé già viver grame,

36: che io più volte mi girai per tornare indietro. 37: l'ora in cui sorge il sole cioè le prime ore diurne. 38-39-40: da opinione di quei tempi si pensava che nel momento della creazione divina dell'Universo, il sole occupasse il segno dell'Ariete e così quello stesso giorno. 41-42-43: in quel momento in cui giungeva l'alba col segno della creazione (cioè l'Ariete) Dante era sereno e non preoccupato dalla gaetta (piacevole a vedersi) pelle (la lonza). 44-45: gli appare la seconda fiera che rappresenta da sempre la superbia. 47-48: in questi versi afferma che il

leone rappresenta con la testa, il coraggio nel ferire e la fame, la grande volontà nel farlo. 49-50: il terzo ed ultimo animale-emblema della sua perdizione. Rappresenta la cupidigia, la voglia di potere e si può capire - continuando a leggere - che cancella quasi le altre due figure per quanto sia forte e importante per l'Alighieri. Con un ossimoro ci fa capire al meglio la figura, cioè: magra e allo stesso tempo grassa di ogni invidia altrui quindi porta all'annientare l'anima d'altri. 51: fu la causa dei malumori di molte persone.

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questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch'uscia di sua vista,

54 ch'io perdei la speranza de l'altezza. E qual è quei che volontieri acquista,

e giugne 'l tempo che perder lo face, 57 che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;

tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi 'ncontro, a poco a poco

60 mi ripigneva là dove 'l sol tace. Mentre ch'i' rovinava in basso loco,

dinanzi a li occhi mi si fu offerto 63 chi per lungo silenzio parea fioco.

Quando vidi costui nel gran diserto, "Miserere di me", gridai a lui,

66 "qual che tu sii, od ombra od omo certo!".

52-53: la lupa mi fece acquisire tanto terrore con la paura che incuteva dal suo essere. 54: che persi la speranza di raggiungere la sommità del colle. E allegoricamente: che persi la speranza della salvezza. 55-56-57: come qualcuno che con piacere guadagna ma arriva il tempo che gli fa perdere tutto e si addolora in tutti i suoi ripensamenti. Questa è una descrizione indiretta dello stato di Dante a quel momento, venutagli meno la speranza di salvarsi per via soprattutto della lupa. 58: sanza pace, (la lupa) che non ha tregua, è irrequieta e in questo modo dà disagio all'uomo.

60: mi rispingeva là (nella selva) dove non c'è luce. Lo rimanda nello stato accusato all'inizio del poema cioè quello di perdizione. 61: mentre io precipitavo - non per il senso della velocità ma per l'umore - nella selva. 63: molti esperti sono incongrui nel dare una definizione a codesto verso. La più opportuna verso la situazione è che la figura che è stata in silenzio per molto tempo adesso va a soccorrere il poeta da quella posizione con i suoi consigli. 65: miserere di me: è frequente nei testi liturgici antichi e rappresenta abbi pietà.

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Rispuosemi: "Non omo, omo già fui, e li parenti miei furon lombardi,

69 mantoani per patrïa ambedui. Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto

72 nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. Poeta fui, e cantai di quel giusto

figliuol d'Anchise che venne di Troia, 75 poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.

Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte

78 ch'è principio e cagion di tutta gioia?". "Or se' tu quel Virgilio e quella fonte

che spandi di parlar sì largo fiume?", 81 rispuos'io lui con vergognosa fronte.

67: non sono persona viva, son morto. 68: e i miei genitori furono dell'Italia settentrionale (significato di lombardo a quell'epoca). 70: sotto Giulio Cesare. Dobbiamo dire però che le parole "ancor che fosse tardi" vanno a spiegare che quella figura nacque troppo tardi perché Cesare potè conoscerlo e apprezzarlo. 71: buon: valoroso. 72: sono morto prima della nascita di Cristo mentre era in vigore il paganesimo. 73-74: sta adesso parlando di Enea, riprendendo l'aggettivo usato dall'autore dell'Eneide per lui. 75: un'altra frase riportata dall'Eneide e rimodellata usando l'aggettivo

superbo. Combusto: bruciato. 76: noia: timore, pena, angoscia. 77: dilettoso: piacevole, attraente. 79: siamo venuti a conoscenza che chi parla è Virgilio, evocato da Dante a simboleggiare nel poema la ragione e/o a rappresentare l'autorità imperiale a cui è stata assegnata la missione di portare sulla Terra l'umana felicità "per philosophica documenta". Nei versi iniziali si intuisca che Virgilio interpreta il ruolo di maestro di poesia e saggio, ma col continuare diventerà un personaggio dinamico e vivo sotto tutti i punti di vista. 81: gli risposi con riverenza.

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"O de li altri poeti onore e lume, vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore

84 che m' ha fatto cercar lo tuo volume. Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,

tu se' solo colui da cu' io tolsi 87 lo bello stilo che m' ha fatto onore.

Vedi la bestia per cu' io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio,

90 ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi". "A te convien tenere altro vïaggio",

rispuose, poi che lagrimar mi vide, 93 "se vuo' campar d'esto loco selvaggio;

ché questa bestia, per la qual tu gride, non lascia altrui passar per la sua via,

96 ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide; e ha natura sì malvagia e ria,

che mai non empie la bramosa voglia, 99 e dopo 'l pasto ha più fame che pria.

82: sei onore per gli altri poeti e maestro (poiché secondo l'idea dell'Alighieri solo dopo lui i poeti si affermeranno). 83: vagliami: premiami del. 84: cercar: leggere e rileggere, confermato poi da Dante della sua conoscenza di ogni riga e a memoria. 85: 'l mio autore: sei il mio poeta preferito. 86-87: sei colui che mi fece capire quale scrittura usare e grazie a te, ho avuto onore. La modalità di scrittura di cui parla Dante è quella espressa nel "De vulgari eloquenzia" e quella

espressa da Virgilio ed è quella tragica e illustre. 88: vedi l'animale/vizio per cui io stavo male. Da notare qui il passato per far intendere che ora crede nella salvazione e nel ricongiungimento con la felicità. 93: se vuoi sopravvivere a queste bestie e quindi allegoricamente, al suo stato d'animo. 94: che è l'animale, per il quale tu invochi soccorso. 97: ria: orrenda. 98: empie: sazia, riempie. 99: pria: prima.

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Molti son li animali a cui s'ammoglia, e più saranno ancora, infin che 'l veltro

102 verrà, che la farà morir con doglia. Questi non ciberà terra né peltro,

ma sapïenza, amore e virtute, 105 e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

Di quella umile Italia fia salute per cui morì la vergine Cammilla,

108 Eurialo e Turno e Niso di ferute.

100: l'animale-simbolo cioè la lupa e quindi la cupidigia si unisce sempre con più colpe e vizi. 101-102: per far "morir con doglia" la lupa occorrerà un veltro (un cane da caccia veloce e agile meglio riconosciuto - non con fermezza - con il levriero). Simbolicamente i due animali sono contrapposti da una parte la lupa come già affermato prima, rappresenta la corruzione presente durante la vita di Dante che ricopriva le cariche più alte mentre e il veltro raffigura un individuo che riporterà la purezza nella società. È difficile indicare quale sia l'individuo per il linguaggio volutamente ambiguo e generico ma tra i più credibili ci sono il Papa Benedetto XI e l'imperatore Arrigo VII. 103: non sarà avido di potere e ricchezza. 104: per le parole usate nel verso i critici si dividono. C'è chi pensa si

attribuiscano al potere spirituale ovvero alla Trinità (rispettivamente il Figlio, lo spirito santo e il Padre), invece per il potere imperiale credono sarà saggio, colmo d'amore per il popolo e virtuoso. 105: nazion: origine della nascita. Il feltro è un tessuto economico, e l'interpretazione che più si adatta è quella dell'origine tra umili panni ma ce ne sono di innumerevoli. In alcun caso si potrà affermare una giusta definizione perché anche qui Dante ha voluto mantenere un linguaggio misterioso. 106: di quella decaduta Italia. Ma ha anche un'altra interpretazione: di quella bassa Italia sarà salute, cioè del Salento, la prima terra italiana vista di Enea. 107-108: nomina alcuni personaggi dell'Eneide che perirono durante la battaglia tra i troiani ed Enea contro i Volsci.

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Questi la caccerà per ogne villa, fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,

111 là onde 'nvidia prima dipartilla. Ond'io per lo tuo me' penso e discerno

che tu mi segui, e io sarò tua guida, 114 e trarrotti di qui per loco etterno;

ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti,

117 ch'a la seconda morte ciascun grida; e vederai color che son contenti

nel foco, perché speran di venire 120 quando che sia a le beate genti.

A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò più di me degna:

123 con lei ti lascerò nel mio partire; ché quello imperador che là sù regna,

perch'i' fu' ribellante a la sua legge, 126 non vuol che 'n sua città per me si vegna.

In tutte parti impera e quivi regge; quivi è la sua città e l'alto seggio:

109: villa: città. 110-111: finché l'avrà rimessa nell'Inferno, da dove nacque l'invidia primamente. 116: antichi: spiriti che sono lì dai primi tempi della creazione del luogo. 117: che invocano un'altra morte perché non sopportano più le loro pene. 112-113: io discerno: giudico. Virgilio gli spiega che per avere la salvazione si dovrà prendere una via tortuosa e lunga come spiegherà dopo, perché lo stato è inquinato dalle fondamenta. 118-119-120: parla delle anime del

Purgatorio che saranno felici di arrivare, quando sia, in Paradiso. 121: alle quai: alle quali beate genti. 122: sarà anima più degna di me e fare questo. 124: quello imperador: Dio. 125: avendo vissuto prima del Cristianesimo, Virgilio non fu battezzato e quindi non messo sotto la legge, appunto, del Cristianesimo. 126: sua città: il Paradiso. 127: Dio ha potere in ogni dove e qui (dal Paradiso) governa direttamente. 128: benedetto colui che ha la vista di Dio.

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129 oh felice colui cu' ivi elegge!". E io a lui: "Poeta, io ti richeggio

per quello Dio che tu non conoscesti, 132 acciò ch'io fugga questo male e peggio,

che tu mi meni là dov'or dicesti, sì ch'io veggia la porta di san Pietro

135 e color cui tu fai cotanto mesti". Allor si mosse, e io li tenni dietro.

130: richeggio: rispondo. 132: questo male e peggio: lo stato di malessere e la dannazione che ne deriverà. 134: molti intendono che sia la porta

del Purgatorio ma può anche essere quella del Paradiso. 135: e i dannati che dici soffrono in ogni modo.

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Canto Secondo

Canto secondo de la prima parte ne la quale fa proemio

a la prima cantica cioè a la prima parte di questo libro

solamente, e in questo canto tratta l'auttore come trovò

Virgilio, il quale il fece sicuro del cammino per le tre

donne che di lui aveano cura ne la corte del cielo.

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Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno toglieva li animai che sono in terra

3 da le fatiche loro; e io sol uno m'apparecchiava a sostener la guerra

sì del cammino e sì de la pietate, 6 che ritrarrà la mente che non erra.

O muse, o alto ingegno, or m'aiutate; o mente che scrivesti ciò ch'io vidi,

9 qui si parrà la tua nobilitate. Io cominciai: "Poeta che mi guidi, guarda la mia virtù s'ell'è possente,

12 prima ch'a l'alto passo tu mi fidi. Tu dici che di Silvïo il parente, corruttibile ancora, ad immortale

15 secolo andò, e fu sensibilmente.

1: come abbiamo già detto, Dante sapeva "a memoria" l'Eneide di Virgilio e nel primo verso di questo Canto ripropone il suo dire rinnovandolo però con un senso personale che si percepisce nella terzina successiva. 2: animai: creature che hanno un'anima. 3: sol uno: unico fra tutti i viventi. 4-5: mi preparavo a sostenere il travaglio sia della strada e sia dell'angoscia. 6: riferirà le cose accadute con esattezza. 7: da questo verso, Dante comincia ad avere l'orgoglio e la fervenza nello scrivere e con il verso ultimo della terzina si capisce che, ormai non più dilettante, vuole mettere in pratica le

sue arti e distinguersi dagli altri poeti, con qualche esitazione perché l'opera da lui pensata e coltivata vada a risollevare non lui solo, ma tutta l'umanità esprimendo anche innovazione e "alto ingegno". 8: riferendosi a Virgilio, afferma la veridicità del suo viaggio. 9: qui apparirà la tua nobiltà d'animo. Adesso mostrerai il tuo carattere e la tua forza. 11-12: guarda le mie capacità se sono sufficienti, prima che tu mi guidi a questo difficile pellegrinare. 13: Enea, a cui Silvio è padre. Riprende ideologicamente l'idea per il distinto viaggio. 14-15: ancora vivo ad immortale mondo ci andò vivo.

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Però, se l'avversario d'ogne male cortese i fu, pensando l'alto effetto

18 ch'uscir dovea di lui, e 'l chi e 'l quale non pare indegno ad omo d'intelletto; ch'e' fu de l'alma Roma e di suo impero

21 ne l'empireo ciel per padre eletto: la quale e 'l quale, a voler dir lo vero, fu stabilita per lo loco santo

24 u' siede il successor del maggior Piero. Per quest'andata onde li dai tu vanto, intese cose che furon cagione

27 di sua vittoria e del papale ammanto. Andovvi poi lo Vas d'elezïone, per recarne conforto a quella fede

30 ch'è principio a la via di salvazione.

16: se Dio. 17: gli fu cortese pensando a cosa dovesse adempiere (la creazione di Roma e quindi del centro religioso cristiano). 18: e 'l chi e 'l quale: non è possibile capire se si riferisce all'effetto o ad Enea. Rispetto al primo si andrà a intendere la preparazione di Roma all'avvento del Cristianesimo. Invece per il secondo: il "chi", per le doti proprie ad Enea e "quale" per le sue origini. 19: sembra una giusta idea a un uomo intelligente. 20-21: Dio decise che Roma doveva essere il suo impero. Empireo: luogo della residenza divina. 22: la quale e 'l quale: Roma e

l'impero. 23: la potenza e la grandezza dell'impero Romano furono costituiti solo perché dovevano essere la sede della religione Cristiana. 24: dove risiede il papa. Maggior: viene usato come aggettivo positivo e rappresenta: grande, sommo. 25: per il vantarti di aver inviato nell'Inferno, Enea (rivolgendosi a Virgilio). 26-27: per il loco eterno Enea parlò con Anchise - suo padre - e sentì cose che gli servirono per la vittoria conrto il re dei Rutuli e per la venuta papale. 28-30: ci andò anche San Paolo (nell'Inferno), per raccogliere meglio la fede e portare stimolo sulla Terra.

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Ma io, perché venirvi? o chi 'l concede? Io non Enëa, io non Paulo sono;

33 me degno a ciò né io né altri 'l crede. Per che, se del venire io m'abbandono, temo che la venuta non sia folle.

36 Se' savio; intendi me' ch'i' non ragiono". E qual è quei che disvuol ciò che volle e per novi pensier cangia proposta,

39 sì che dal cominciar tutto si tolle, tal mi fec'ïo 'n quella oscura costa, perché, pensando, consumai la 'mpresa

42 che fu nel cominciar cotanto tosta. "S'i' ho ben la parola tua intesa",

rispuose del magnanimo quell'ombra, 45 "l'anima tua è da viltade offesa;

la qual molte fïate l'omo ingombra sì che d'onrata impresa lo rivolve,

48 come falso veder bestia quand'ombra. Da questa tema acciò che tu ti solve, dirotti perch'io venni e quel ch'io 'ntesi

51 nel primo punto che di te mi dolve

33: e quale gente è questa che io odo che sembra sommersa dal dolore? 34: se accetto di affrontare il viaggio. 36: sii perspicace, intendi meglio ciò che non so comprendere. 37-38-39: chi è colui che non accetta più ciò che decise e per nuovi pensieri cambia proposta, alchè rinuncia al pensiero iniziale. 40: oscura costa: la piaggia deserta, il pendio duro; sempre in rappresentanza alla sua situazione di malessere. 41-42: qui l'Alighieri guarda la realtà e

immagina come possa essere il suo pellegrinare, prima affrontato con scarsa oggettività. 43: parola: discorso. 45: viltade: codardia, vigliaccheria, paura. Offesa: affranta, indebolita. 46-49: la quale (la paura) molte volte si accosta all'uomo e da onorata impresa lo distoglie. 48: come quando gli animali si spaventano per un'ombra. 50: dirotti: ti dirò. 51: nel primo punto: la prima volta.

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Io era tra color che son sospesi, e donna mi chiamò beata e bella,

54 tal che di comandare io la richiesi. Lucevan li occhi suoi più che la stella; e cominciommi a dir soave e piana,

57 con angelica voce, in sua favella: "O anima cortese mantoana,

di cui la fama ancor nel mondo dura, 60 e durerà quanto 'l mondo lontana,

l'amico mio, e non de la ventura, ne la diserta piaggia è impedito

63 sì nel cammin, che vòlt'è per paura; e temo che non sia già sì smarrito, ch'io mi sia tardi al soccorso levata,

66 per quel ch'i' ho di lui nel cielo udito. Or movi, e con la tua parola ornata e con ciò c' ha mestieri al suo campare,

69 l'aiuta sì ch'i' ne sia consolata.

52: sospesi: nel Limbo, tra la speranza di salire nel Paradiso e la mortificazione di rimanere lì. 54: le chiesi se c'era bisogno di me. I versi 53-54 usati, sono prettamenti stilnovistici sia nella presentazione della donna - che avverrà dopo - sia nel linguaggio usato da Virgilio per definirla e parlarle. Da notare soprattutto gli aggettivi usati, che sono frequenti nella corrente letteraria. 56: soave e piana: come già detto frequenti in ambito stilnovistico. 57: favella: modo di parlare.

58: rivolgendosi a Virgilio. 60: e durerà (la popolarità) quanto durerà il mondo. 61: colui che mi amò, senza interesse verso i miei averi, mi amò per quella che sono. Alcuni critici rimandano al "Roman de la Rose" o anche a citazioni di Ovidio. 64: conoscendo le doti degli oltremondani e sapendo che conoscono il passato, il presente, e il futuro, non si capisce come mai Dante qui gli annulla questo potere. 65: levata: incamminata, mossa. 68: e con quel che serve al suo vivere.

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I' son Beatrice che ti faccio andare; vegno del loco ove tornar disio;

72 amor mi mosse, che mi fa parlare. Quando sarò dinanzi al segnor mio, di te mi loderò sovente a lui".

75 Tacette allora, e poi comincia' io: "O donna di virtù sola per cui l'umana spezie eccede ogne contento

78 di quel ciel c' ha minor li cerchi sui, tanto m'aggrada il tuo comandamento, che l'ubidir, se già fosse, m'è tardi;

81 più non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento. Ma dimmi la cagion che non ti guardi de lo scender qua giuso in questo centro

84 de l'ampio loco ove tornar tu ardi".

70: la donna che Dante mette sopra qualunque cosa e nessuna cosa può essere al di sopra; colei che merita di sedere nel più alto dei cieli e che attraverso la quale l'uomo trova la beatitudine eterna. Nel poema prende il posto del mistero rivelato ai comuni mortali, del sapere divino; la inserisce - dopo averla già vista nella "Vita Nuova" - anche per ricordarla e far intendere quanto per lui fosse importante. 71: vengo dal lungo dove desidero tornare (il Paradiso). 72: amor: la parola qui ha due mansioni: quella di Beatrice verso il suo amoroso e Amore nella rappresentanza di Dio. 73: signor mio: Dio. 75: comincia a parlare Virgilio.

76-77: qui l'Alighieri eccede in amore e in preferenza verso la sua Beatrice e fa cantare lodi al Virgilio che oltrepassano ogni limite. Questo poetare, poi, è anche vissuto ne la "Vita Nuova" e infatti se si pensa che Virgilio è un pagano e la complimenta, innalzandola oltre la ragione, si capisce che non c'è miglior elogio di codesto. 78: della Luna che ha come cielo minore la Terra. 81: non occorrono altre lusinghe per ch'io t'aiuti. 82: che: per la quale. 83: centro: il Limbo situato nell'Inferno e cioè al centro della Terra e dell'Universo. 84: de l'ampio loco: l'Empireo.

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"Da che tu vuo' saver cotanto a dentro, dirotti brievemente", mi rispuose,

87 "perch'i' non temo di venir qua entro. Temer si dee di sole quelle cose c' hanno potenza di fare altrui male;

90 de l'altre no, ché non son paurose. I' son fatta da Dio, sua mercé, tale, che la vostra miseria non mi tange,

93 né fiamma d'esto 'ncendio non m'assale. Donna è gentil nel ciel che si compiange di questo 'mpedimento ov'io ti mando,

96 sì che duro giudicio là sù frange. Questa chiese Lucia in suo dimando e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele

99 di te, e io a te lo raccomando -.

86: dirotti: ti dirò. 88: dee: deve. 89-90: le parole espresse da Beatrice derivano dall'Etica di Aristotele, ma Virgilio vuol sapere la ragione personale e congrua a Dante, della sua discesa, che illustrerà dopo. 91: sua mercè: con la sua grazia. 92-93: in questi due versi non c'è alcun disprezzo per i dolosi ma fa capire che la beatìtudine impostata agli spiriti e agli animi del Paradiso, non può essere interrotta da alcun evento tanto meno dal giudizio divino. 94: Donna: quasi sicuramente l'Alighieri fa riferimento alla Donna

per eccellenza cioè la Vergine. Compiange: duole. 95: di questo 'mpedimento: dell'impedimento di Dante a proseguire per la sua via. 96: e con l'intercessione della Madonna spezza ("frange") il duro giudizio di Dio. 97: chiamò Santa Lucia. La Santa in questione sta molto a cuore al poeta, e a lei rivolse preghiere e devozioni in seguito ad una malattia a li occhi annotata nel Convivio. 98: il tuo fedele: conferma della devozione di Dante.

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Lucia, nimica di ciascun crudele, si mosse, e venne al loco dov'i' era,

102 che mi sedea con l'antica Rachele. Disse: - Beatrice, loda di Dio vera, ché non soccorri quei che t'amò tanto,

105 ch'uscì per te de la volgare schiera? Non odi tu la pieta del suo pianto, non vedi tu la morte che 'l combatte

108 su la fiumana ove 'l mar non ha vanto? -. Al mondo non fur mai persone ratte a far lor pro o a fuggir lor danno,

111 com'io, dopo cotai parole fatte, venni qua giù del mio beato scanno, fidandomi del tuo parlare onesto,

114 ch'onora te e quei ch'udito l' hanno". Poscia che m'ebbe ragionato questo, li occhi lucenti lagrimando volse,

117 per che mi fece del venir più presto.

102: Rachele: moglie di Giacobbe. A quei tempi rappresentava la vita contemplativa e forse per questo motivo il poeta le accosta Beatrice. 103: loda di Dio vera: esempio migliore dell'amore di Dio. 104: ché: perché. 105: che si distinse dal volgo per lodarti e per come ti ha lodata. 106: la pietà: l'angoscia, il terrore. 108: nel peccato e nel male dove le tante cose buone e belle non vincono mai.

109: ratte: pronte, scattanti. 111: dopo le parole dette da Lucia. Tornando al verso 109 si capisce che partì subito al soccorso del suo fedele. 112-113: fidandomi del tuo parlare d'alto livello, decoroso, saggio. L'Eneide appunto scritta da Virgilio che fa si che Beatrice nutra fiducia in lui. 116-117: volse verso me gli occhi lacrimosi che mi fecero accorrere te più velocemente.

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E venni a te così com'ella volse: d'inanzi a quella fiera ti levai

120 che del bel monte il corto andar ti tolse. Dunque: che è perché, perché restai, perché tanta viltà nel core allette,

123 perché ardire e franchezza non hai, poscia che tai tre donne benedette curan di te ne la corte del cielo,

126 e 'l mio parlar tanto ben ti promette?". Quali fioretti dal notturno gelo chinati e chiusi, poi che 'l sol li 'mbianca,

129 si drizzan tutti aperti in loro stelo, tal mi fec'io di mia virtude stanca, e tanto buono ardire al cor mi corse,

132 ch'i' cominciai come persona franca: "Oh pietosa colei che mi soccorse! e te cortese ch'ubidisti tosto

135 a le vere parole che ti porse! Tu m' hai con disiderio il cor disposto sì al venir con le parole tue,

138 ch'i' son tornato nel primo proposto.

118: volse: volle. 119: quella fiera: l'animale-vizio che più fa male all'animo di Dante cioè la lupa. 120: che ti impedì di salvarti da quello stato. 121: restai: esiti, indugi. 122: perché tanta codardia dimora nel tuo cuore.

123: ardire e franchezza: coraggio e coscienza. 125: curan di te: credono nel tuo andare. 128: li 'mbianca: l'illumina all'alba. 130: virtude stanca: mancanza di audacia e coraggio. 135: porse: disse, rivolse.

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Or va, ch'un sol volere è d'ambedue: tu duca, tu segnore e tu maestro".

141 Così li dissi; e poi che mosso fue, intrai per lo cammino alto e silvestro.

138: proposto: proposito, decisione. 140: duca: guida. Dal Boccaccio "Tu duca, quanto è all'andare, tu segnore, quanto è alla preeminenza ed al

comandare; e tu maestro, quanto è al dimostrare". 142: alto: arduo, difficile. Silvestro: selvaggio.

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Canto Terzo

Canto Terzo, nel quale tratta de la porta e de l'entrata

de l'inferno e del fiume d'Acheronte, de la pena di coloro

che vissero sanza opere di fama degne, e come il demonio

Caron li trae in sua nave e come elli parlò a l'auttore; e

tocca qui questo vizio ne la persona di papa Cilestino.

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'Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore,

3 per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina podestate,

6 la somma sapïenza e 'l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro.

9 Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate'. Queste parole di colore oscuro vid'ïo scritte al sommo d'una porta;

12 per ch'io: "Maestro, il senso lor m'è duro". Ed elli a me, come persona accorta: "Qui si convien lasciare ogne sospetto;

15 ogne viltà convien che qui sia morta.

1 - 2 - 3: per me: attraverso me. Città dolente: da un punto di vista generale può essere interpretato come l'Inferno ma continuando apparirà chiaro che si tratta della città di Dite. Perduta: dannata per sempre. Questa terzina dà una sorta di idea delle epigrafe di solito poste all'entrate delle città medievali. Il costrutto va ad ammonire ed avvertire tutte le anime e non che si addentrano nell'Inferno, portando l'opera ad un livello di drammaticità molto alto e con un'apertura moderna e innovativa senza precedenti. 4: a crearmi fu Dio con il suo volere di giustizia. 5 - 6: a crearmi fu Dio, insieme, uno e trino. La Trinità nei suoi attributi: la potenza di Dio, la sapienza del Figlio e

l'amore dello Spirito Santo. 7 - 8: prima di me erano esistenti solo cose eterne. L'Inferno venne creato con la caduta di Lucifero sulla Terra e solo dopo essa, ci fu la creazione di tutte le cose mortali (uomini, vegetazione, animali).Etterno: eternamente. 10: di colore oscuro: va interpretato in due modi: il primo attinge al colore ormai abbrunito dal tempo, invece, il secondo viene rapportato al timore di Dante e quindi vengono viste come minacciose che nel terzo verso della terzina si andrà a confermare. 14: sospetto: esitazione, paura. 15: viltà: è il sentimento creato dall'esitazione e dalla paura cioè la codardia. Morta: finita, distrutta.

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Noi siam venuti al loco ov'i' t' ho detto che tu vedrai le genti dolorose

18 c' hanno perduto il ben de l'intelletto". E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond'io mi confortai,

21 mi mise dentro a le segrete cose. Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l'aere sanza stelle,

24 per ch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira,

27 voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aura sanza tempo tinta,

30 come la rena quando turbo spira. E io ch'avea d'error la testa cinta, dissi: "Maestro, che è quel ch'i' odo?

33 e che gent'è che par nel duol sì vinta?".

18: il ben dell'intelletto: che hanno perso il pensiero della speranza di vedere Dio. 19: mi prese per mano. 21: mi fece entrare nel mondo eterno e sconosciuto (l'Inferno). 22 - 23 - 24: versi ripresi e modificati dall'Eneide inserendo sensi personali che condizionano l'animo del pellegrino a tal punto da cominciar a piangere. Alti guai: urla di dolore. Al cominciar: ascoltandoli per la prima volta. 25: diverse lingue: differenti lingue

oppure strane. Favelle: pronunce, accenti. 27: voci: suoni emessi senza senso espressivo. Suon di man con elle: suoni creati dal battito delle mani tra loro ma anche con il proprio corpo e quello degli altri. 29: sanza tempo: eternamente, dove non esiste il giorno e la notte. 30: come la sabbia che si alza vorticosa nell'aria. 33: e quale gente è questa che io odo che sembra sommersa dal dolore?

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Ed elli a me: "Questo misero modo tegnon l'anime triste di coloro

36 che visser sanza 'nfamia e sanza lodo. Mischiate sono a quel cattivo coro de li angeli che non furon ribelli

39 né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro. Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve,

42 ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli". E io: "Maestro, che è tanto greve a lor che lamentar li fa sì forte?".

45 Rispuose: "Dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa,

48 che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte.

35: triste: dolenti, in sofferenza. 36: che vissero senza cose e senza meriti. Qui si parla chiaramente degli Ignavi, color che non seppero affrontare la vita prendendo delle decisioni e che quindi per viltà vengono disprezzati da chiunque come dopo il poeta farà capire, ma soprattutto sono criticati violentemente da lui proporzionalmente a quanto sono da lui onorate e rispettati gli spiriti magnanimi. 37: coro: schiena, gruppo. 38 - 39: quando ci fu la caduta di Lucifero all'Inferno, un gruppo di angeli presero la decisione di non

stare né dall'una ne dall'altra parte. Fuoro: furono. 40: i beati li tengono lontani da loro poichè rovinerebbero la loro armonia. 42: ad avere gli ignavi come peccatori giudicati, i veri dolenti - cioè color che furon ribelli a Dio - avrebbero motivo di compiacimento e di superiorità verso loro facendosene un vanto. 43 - 44: cos'è così violento e forte che li fa lamentare così furiosamente. 45: dicerolti molto breve: te lo dico subito. 46: questi non hanno la speranza di morire per la seconda volta per mano del giudizio universale. 47: cieca: oscura, infima.

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Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna:

51 non ragioniam di lor, ma guarda e passa". E io, che riguardai, vidi una 'nsegna che girando correva tanto ratta,

54 che d'ogne posa mi parea indegna; e dietro le venìa sì lunga tratta di gente, ch'i' non averei creduto

57 che morte tanta n'avesse disfatta. Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l'ombra di colui

60 che fece per viltade il gran rifiuto. Incontanente intesi e certo fui che questa era la setta d'i cattivi,

63 a Dio spiacenti e a' nemici sui.

49: tra i viventi non esiste alcuno che ricordi un loro gesto e quindi non risiedono nella memoria di nessuno. 52 - 53 - 54: l'insegna che il poeta ci dichiara non viene descritta dallo stesso per darle un senso di ignobiltà e di bassezza come le genti che corrono dietro ad essa e doveva essere accettata da loro, bella o brutta, giusta o sbagliata che fosse, per quella viltà dimostrata nella vita nel prendere decisioni. E ci dice che non c'era alcun riposo per loro perché solo chi ha combattuto, anche se ha perso, merita il riposo. 55: tratta: fila, gruppo. 58 - 59 - 60: colui: su chi è questo

personaggio non ci sarà mai certezza, data la voluta ambiguità del poeta, forse per elargire l'aggettivazione alla grande moltitudine degli ignavi. i personaggi più indicati dai critici per il soggetto sono: Ponzio Pilato e Celestino V; nel primo caso sarà da intendere l'episodio in cui lasciò la scelta se condannare Cristo al popolo, invece per il secondo, il rifiuto del ruolo di pontefice dopo quattro mesi che porterà al potere Bonifacio VIII nel quale, Dante, riponeva la causa della corruzione e conflitto di quei tempi. 63: lontani dalla benevolenza di Dio e dalla malizia dei suoi nemici.

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35

Questi sciaurati, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati molto

66 da mosconi e da vespe ch'eran ivi. Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiato di lagrime, a' lor piedi

69 da fastidiosi vermi era ricolto. E poi ch'a riguardar oltre mi diedi, vidi genti a la riva d'un gran fiume;

72 per ch'io dissi: "Maestro, or mi concedi ch'i' sappia quali sono, e qual costume le fa di trapassar parer sì pronte,

75 com'i' discerno per lo fioco lume". Ed elli a me: "Le cose ti fier conte quando noi fermerem li nostri passi

78 su la trista riviera d'Acheronte". Allor con li occhi vergognosi e bassi, temendo no 'l mio dir li fosse grave,

81 infino al fiume del parlar mi trassi.

64: che mai fur vivi: che non seguirono mai un ideale o affrontarono problema. 65 - 66: stimolati da mosconi e vespe in contrapposizione alla loro vita ignobile ed effimera condotta in povertà d'animo. 68 - 69: il sangue e le lacrime che loro nella vita terrena non avevano mai versato, adesso sono mangime per vermi (nell'antichità era pensiero che nascessero da cose andate a male o decomposte quindi aggettivate come vili, schifose, insulse). 71: un gran fiume: parla dell'Acheronte ripreso dal viaggio

oltremondano dell'Eneide virgiliano. 73: costume: diventato ormai lor carattere; hanno già in mente cosa fare. 75: fioco lume: debole luce, che dante userà per varie esigenze per creare l'immaginazione precisa del luogo. 76: fier conte: saranno spiegate, saranno note. 79: il pellegrino si sente a disagio dopo la risposta - che suona come un rimprovero - di Virgilio, per le innumerevoli domande che li pone. 80: temendo no: temendo che. Li fosse grave: lo turbasse. 81: mi trassi: mi astenni, mi fermai.

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Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo,

84 gridando: "Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: i' vegno per menarvi a l'altra riva

87 ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo. E tu che se' costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti".

90 Ma poi che vide ch'io non mi partiva, disse: "Per altra via, per altri porti verrai a piaggia, non qui, per passare:

93 più lieve legno convien che ti porti". E 'l duca lui: "Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote

96 ciò che si vuole, e più non dimandare". Quinci fuor quete le lanose gote al nocchier de la livida palude,

99 che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.

83 - 84: ripreso dall'Eneide, il vecchio di cui si parla è Caronte figlio dell'Erebo e della notte ed anche nel poema virgiliano ha la mansione di traghettatore. Una differenza tra i due poeti sta nell'esposizione: mentre Virgilio riporta la descrizione fisica del personaggio, l'Alighieri descrive il movimento atto a creare un'emozione, ad attuare nella mente del lettore il senso della drammaticità che con i versi successivi verrà a crearsi. Prave: perdute, malvage, maledette. 87: in caldo e 'n gelo: indica le diverse pene dei peccatori. 88: e tu: rivolgendosi a Dante. 89: partiti: allontanati, scostati.

Ripreso dall'Eneide, in cui, Caronte si rifiuta di far salire Enea. 91: per altra via: come sequenzialmente si andrà a leggere nel poema, si va a precisare che il poeta come atto di modestia, si colloca in Purgatorio, dove lo aspetta un più "lieve" dolore. 92: piaggia: spiaggia. 94: crucciare: infastidire, arrabbiare, o anche addolorare. 95 - 96: questa formula sarà usata anche in futuro per altre due volte; ci dice che il viaggio per arrivare al cielo e dato da Dio e che tu non puoi frenare o arrestare. 97: da questo punto in poi si arrestò il caos delle anime e Caronte.

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Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti,

102 ratto che 'nteser le parole crude. Bestemmiavano Dio e lor parenti, l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme

105 di lor semenza e di lor nascimenti. Poi si ritrasser tutte quante insieme, forte piangendo, a la riva malvagia

108 ch'attende ciascun uom che Dio non teme. Caron dimonio, con occhi di bragia loro accennando, tutte le raccoglie;

111 batte col remo qualunque s'adagia. Come d'autunno si levan le foglie L'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo

114 vede a la terra tutte le sue spoglie, similemente il mal seme d'Adamo gittansi di quel lito ad una ad una,

117 per cenni come augel per suo richiamo. 100: lasse: affrante dal loro stato di perdizione. 102: quando capirono le parole pronunciate da nocchiere nei versi 84 - 87. 103 - 104 - 105: all'udire quello che gli aspettava cominciarono ad offendere pesantemente Dio, tutta la loro genealogia, il posto dove erano nati e il tempo, essendosi resi conto della situazione orrenda che li aspettava, ormai, troppo tardi. 107: malvagia: aggettivo per qualsiasi cosa attinga per il regno del male. 108: che non ha seguito gli insegnamenti di Dio e non ha percorso la sua via. 109: bragia: brace, fuoco. 111: s'adagia: indugia, temporeggia.

Qui potrà sembrare che il poeta sia in contraddizione con il verso 74 invece gli esperti spiegano, che nella fretta e la foga di Caronte nel portare le anime sulla barca, qualunque anima che abbia più terrore delle altre indugia un poco più, e in quel momento di frenesia non si ha cortezza di giudicarne lo stato e si usa lo stesso metodo. 112 - 113 - 114: similitudine presa dal poema virgiliano ma che va a modificarlo per renderlo più vivo nella mente del lettore. 115: mal seme d'Adamo: i malvagi discendenti. 116: lito: lido. 117: come l'uccello segue il richiamo del suo ammaestratore.

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Così sen vanno su per l'onda bruna, e avanti che sien di là discese,

120 anche di qua nuova schiera s'auna. "Figliuol mio", disse 'l maestro cortese, "quelli che muoion ne l'ira di Dio

123 tutti convegnon qui d'ogne paese; e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona,

126 sì che la tema si volve in disio. Quinci non passa mai anima buona; e però, se Caron di te si lagna,

129 ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona". Finito questo, la buia campagna tremò sì forte, che de lo spavento

132 la mente di sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento, che balenò una luce vermiglia

135 la qual mi vinse ciascun sentimento; e caddi come l'uom cui sonno piglia.

119 - 120: e prima che siano di là discese, di qua c'è già un'altra schiera radunata. 121: cortese: risponde a me senza che io abbia fatta domanda. Contrapposizione ai versi 76 - 78. 124: lo rio: il fiume Acheronte. 126: si che il pensiero (di paura) si trasforma in desiderio. In concezione alla giustizia divina, che fa notare ai dannati, che il loro soffrire è giusto e non contrapponibile. 127: quinci: di qui.

129: suona: significa. La predizione di Caronte della non venuta di Dante all'Inferno. 130: finito questo: finito il parlare di Virgilio. Campagna: terra, appezzamento, regione. 133: lagrimosa: le lacrime degli ignavi. Diede vento: nell'antichità si attribuivano i terremoti alla spinta dei venti. 134: che: il quale. 135: la quale mi fece perdere i sensi.

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Canto Quarto

Canto IV, nel quale mostra del primo cerchio de

l'inferno, luogo detto Limbo, e quivi tratta de la pena de'

non battezzati e de' valenti uomini, li quali moriron

innanzi l'avvenimento di Gesù Cristo e non conobbero

debitamente Idio; e come Iesù Cristo trasse di questo

luogo molte anime.

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Ruppemi l'alto sonno ne la testa un greve truono, sì ch'io mi riscossi

3 come persona ch'è per forza desta; e l'occhio riposato intorno mossi,

dritto levato, e fiso riguardai 6 per conoscer lo loco dov'io fossi.

Vero è che 'n su la proda mi trovai de la valle d'abisso dolorosa

9 che 'ntrono accoglie d'infiniti guai. Oscura e profonda era e nebulosa tanto che, per ficcar lo viso a fondo,

12 io non vi discernea alcuna cosa. "Or discendiam qua giù nel cieco mondo", cominciò il poeta tutto smorto.

15 "Io sarò primo, e tu sarai secondo". E io, che del color mi fui accorto, dissi: "Come verrò, se tu paventi

18 che suoli al mio dubbiare esser conforto?".

1: l'alto: profondo. Verso, anche questo ripreso similmente dall'Eneide. 2: un greve truono: pauroso boato. Va a dare continuazione al Canto precedente, con la conclusione di quell'avvenimento naturale che fa svenire il poeta. 3: per forza: con violenza, con furia. 5: dritto levato: sollevatomi da terra. 7: vero è: sta di fatto. L'Alighieri qui vuol far intendere che si è trovato dall'altra parte del fiume Acheronte inaspettatamente, e non ci dice soprattutto chi o cosa l'abbia portato sull'altra riva; questo sta ad enfatizzare la dinamicità di tutto il

costrutto. Proda: orlo, precipizio. 9: truono: fragore, frastuono. Guai: lamenti, frustrazioni. 11: per ficcar: per quanto ficassi, per quanto mi sforzavo nell'osservare. 13: cieco: privo della luce di Dio. 16: e io: da notare che Dante è la prima volta che nomina se stesso senza però rivelare chi lui sia. Color: il viso pallido di Virgilio viene adesso interpretato dal pellegrino come emozione di paura ma più tardi scopriremo cos'è. 18: dubbiare: timore, paura, angoscia; usato nell'italiano antico per codeste emozioni.

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Ed elli a me: "L'angoscia de le genti che son qua giù, nel viso mi dipigne

21 quella pietà che tu per tema senti. Andiam, ché la via lunga ne sospigne". Così si mise e così mi fé intrare

24 nel primo cerchio che l'abisso cigne. Quivi, secondo che per ascoltare, non avea pianto mai che di sospiri

27 che l'aura etterna facevan tremare; ciò avvenia di duol sanza martìri, ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,

30 d'infanti e di femmine e di viri. Lo buon maestro a me: "Tu non dimandi che spiriti son questi che tu vedi?

33 Or vo' che sappi, innanzi che più andi,

19: l'angoscia: il doloroso espiare. 21: per tema senti: l'emozione di paura che Dante interpreta non è altro che pietà e tristezza e commiserazione verso le anime di questo girone. 24: il primo cerchio: si parla del Limbo nel quale vagano le anime che non sono entrate nella grazia di Dio non essendo stati battezzati e non avendo colpe specifiche. La grande arte rivoluzionaria del poeta lo porterà non solo a inserirci i non battezzati, ma anche personaggi di altre religioni come pagani e musulmani. Essi venivano ripugnati dai teologi cristiani per il loro credo e di conseguenza non venivano giudicati come uomini, Dante lo fa distinguendosi non solo dai critici ma da tutto il resto del mondo

incappando nel giudizio di eresia di alcuni teologi tradizionalisti. 25: il pellegrino avendo la vista impedita dalle tenebre fa affidamento all'udito. 26: non avea: non c'era. I peccatori di questo girone esprimono il loro dolore, la loro angoscia con dei sospiri. 28: questo avveniva a causa di un dolore interiore. 30: viri: uomini. 31: da notare che l'Alighieri non chiede ancora nulla a Virgilio, per quel rimprovero fattogli nel Canto III ai versi 76 - 78, e appunto qui il maestro gli chiede "come fai a non chiedermi qualcosa su quel che qui sta accadendo". 33: andi: vada.

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ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi, non basta, perché non ebber battesmo,

36 ch'è porta de la fede che tu credi; e s'e' furon dinanzi al cristianesmo, non adorar debitamente a Dio:

39 e di questi cotai son io medesmo. Per tai difetti, non per altro rio,

semo perduti, e sol di tanto offesi 42 che sanza speme vivemo in disio".

Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi, però che gente di molto valore

45 conobbi che 'n quel limbo eran sospesi. "Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore", comincia' io per volere esser certo

48 di quella fede che vince ogne errore:

34: non peccaro: non peccarono in modo da avere punimento per una colpa specifica; come afferma dopo, color che lì vivono non sono stati battezzati ed è questo l'unico torto per il quale non possono sedere con i beati. Mercedi: meriti, valore, riconoscimento. 36: porta: alcuni leggono parte, ma nella disposizione della frase e nella logica della stessa si inserisce meglio porta. 37: dinanzi al: prima del. 38: non seguirono la legge ebraica che adorava e venerava Dio prima dell'avvento di Cristo. 40: rio: colpa, errore, sbaglio. 41: e soldi tanto offesi: e solo per questo veniamo puniti. 42: viviamo in eterno con il desiderio

di poter vedere il cielo, senza però avere speranza di poter avverarlo. 43 - 44: Dante, quasi sconcertato di Virgilio, non riesce a capacitarsi sul destino datogli. Nella linea del suo pensiero non riesce ad intendere come mai alcune anime d'alto valore (tra cui Virgilio) possano soffrire in quel modo avendo dimostrato nella vita terrena di essere persone che hanno fatto del bene, ma non riuscendo a trovare la soluzione con la ragione, si arrende al mistero della fede. 46: dimostrazione di compassione e pietà verso l'anima di Virgilio che crede ormai perduta e gli commisera con tutta la dolcezza che può per fargli capire che gli è vicino. 48: errore: dubbio.

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"uscicci mai alcuno, o per suo merto o per altrui, che poi fosse beato?".

51 E quei che 'ntese il mio parlar coverto, rispuose: "Io era nuovo in questo stato, quando ci vidi venire un possente,

54 con segno di vittoria coronato. Trasseci l'ombra del primo parente, d'Abèl suo figlio e quella di Noè,

57 di Moïsè legista e ubidente; Abraàm patrïarca e Davìd re, Israèl con lo padre e co' suoi nati

60 e con Rachele, per cui tanto fé, e altri molti, e feceli beati. E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,

63 spiriti umani non eran salvati". Non lasciavam l'andar perch'ei dicessi, ma passavam la selva tuttavia,

66 la selva, dico, di spiriti spessi.

49: uscicci: usciti qui. Ci è usato molte volte come particella di luogo. 51: coperto: indiretto, sottointeso, allusivo. 52: io era nuovo: risiedevo da poco tempo nel Limbo (essendo Virgilio morto nel 19 a.C. e Gesù nel 33 d.C.) cioè da poco più di cinquant'anni. 54: lo scrittore qui probabilmente intende Gesù Cristo e potrebbe averlo ripreso da rappresentazioni medievali o anche dal vangelo di Nicodemo. Alcuni critici però pensano che dal poeta venga raffigurato per far percepire la potenza del divino e per dare più espressione al Canto. 55: trasseci: trasse di qui, portò via di

qui. Parente: padre, d'Abele cioè Adamo. 59: Giacobbe con il padre Isacco e con i suoi figli. 60: per avere in moglie Rachele, Giacobbe dovette lavorare per quattordici anni per suo padre. 62 - 63: prima di loro non fu salvato nessun altro. 64: non fermammo il nostro andare per il fatto che Virgilio parlasse. 66: di spiriti spessi: piena d'anime. Il pellegrino, in differenza dagli uomini di valore che verranno dopo, non nomina alcuno di questi che adesso affianca.

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Non era lunga ancor la nostra via di qua dal sonno, quand'io vidi un foco

69 ch'emisperio di tenebre vincia. Di lungi n'eravamo ancora un poco, ma non sì ch'io non discernessi in parte

72 ch'orrevol gente possedea quel loco. "O tu ch'onori scïenzïa e arte, questi chi son c' hanno cotanta onranza,

75 che dal modo de li altri li diparte?". E quelli a me: "L'onrata nominanza che di lor suona sù ne la tua vita,

78 grazïa acquista in ciel che sì li avanza". Intanto voce fu per me udita: "Onorate l'altissimo poeta;

81 l'ombra sua torna, ch'era dipartita". Poi che la voce fu restata e queta, vidi quattro grand'ombre a noi venire:

84 sembianz'avevan né trista né lieta. Lo buon maestro cominciò a dire: "Mira colui con quella spada in mano,

87 che vien dinanzi ai tre sì come sire:

68: di qua dal sonno: dal luogo del mio risveglio. 69: che una parte delle tenebre vinceva. 70: di lungi v'eravamo ancora: eravamo un pò lontani da fuoco. 71 - 72: riesco a percepire un poco, da che anime d'onore è presieduto quel luogo. 73: scienza e arte: il sapere e la retorica, la dottrina e la tecnica. Erano, secondo il pensiero medievale

gli strumenti necessari al poeta. 74: cotanta orranza: tanto onore. 75: privilegiandoli agli altri. 76 - 77 - 78: l'onorata fama che hanno nella vita terrena, acquista grazia in cielo che fa si che li privilegi. 79: voce: il poeta non ci dichiara chi è, ma esclama il ritorno di Virgilio nel Limbo. 84: nè trista nè lieta: vantaggio in confronto alle altre anime del Limbo che sospirano per il loro malessere.

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quelli è Omero poeta sovrano; l'altro è Orazio satiro che vene;

90 Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano. Però che ciascun meco si convene nel nome che sonò la voce sola,

93 fannomi onore, e di ciò fanno bene". Così vid'i' adunar la bella scola di quel segnor de l'altissimo canto

96 che sovra li altri com'aquila vola. Da ch'ebber ragionato insieme alquanto, volsersi a me con salutevol cenno,

99 e 'l mio maestro sorrise di tanto; e più d'onore ancora assai mi fenno, ch'e' sì mi fecer de la loro schiera,

102 sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.

88 - 89 - 90: Omero era conosciuto dall'Alighieri solo tramite scritture di Cicerone, Seneca ed altri, e tramite questi sapeva che era immenso e infatti per ammirazione lo descrive con una spada in mano e davanti agli altri. Orazio, ricordato qui soprattutto per i sermoni e le epistole; Ovidio di cui aveva stima e Lucano poeta da cui prese esempio insieme a Virgilio e Stazio. 91 - 92 - 93: poichè essi hanno il mio stesso titolo (di poeta), ricordato dalla voce prima, mi fanno onore e con questo onorano anche se stessi. È un atto di modestia e riverenza verso i più grandi che furono prima di lui. 94: scola: compagnia, comitiva ma anche coloro che hanno dato le basi del sapere.

95 - 96: quel segnor: Omero. Nella storia lui è stato il a poetare e per questo viene visto come altissimo e come aquila che nessuno può raggiungere. 97: ragionato: parlato. 99: di tanto: di questo. Quasi come una raccomandazione di Virgilio agli altri poeti verso Dante per tenerlo in considerazione del suo talento. 100: fenno: fecero. 101 - 102: si degnarono di farmi entrare nella cerchia dei saggi, (visto da Dante con grande importanza) così fui sesto nella scuola dei poeti famosi. Uno atto di coraggio e di superbia quello dello scrittore che si mette sesto in importanza storica tra i poeti; consideriamo che il sommo poeta era uno sconosciuto.

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Così andammo infino a la lumera, parlando cose che 'l tacere è bello,

105 sì com'era 'l parlar colà dov'era. Venimmo al piè d'un nobile castello, sette volte cerchiato d'alte mura,

108 difeso intorno d'un bel fiumicello. Questo passammo come terra dura; per sette porte intrai con questi savi:

111 giugnemmo in prato di fresca verdura. Genti v'eran con occhi tardi e gravi, di grande autorità ne' lor sembianti:

114 parlavan rado, con voci soavi. Traemmoci così da l'un de' canti, in loco aperto, luminoso e alto,

117 sì che veder si potien tutti quanti. Colà diritto, sovra 'l verde smalto, mi fuor mostrati li spiriti magni,

120 che del vedere in me stesso m'essalto. 103: a la lumera: il fuoco visto nel verso 68. 104: che 'l tacere è bello: lo stare zitto è fonte di guadagno, ascoltando quei saggi. Si suppone parlassero della loro professione poetica con qualche lode verso Dante, che egli non descrive per modestia e per non oscurare quei saggi. 106 - 107 - 108: su questa ambientazione i critici discordano in massa. La tesi che più pare collegarsi allo scenario è quella del castello simboleggiante la sapienza umana, le sette mura le parti della filosofia (fisica, metafisica, etica, politica, economica, matematica, dialettica).

morali e quelle speculative. 111: prato: anche nell'Odissea e nell'Eneide gli uomini di valore risiedono in un prato. 112: tardi e gravi: nel carattere delle persone d'onore, il parlare con compostezza, dignità, nobiltà. 114: rado: non vuol dire poco ma con significato e concisione. Soavi: dolci. 115: un dè canti: uno dei cantoni, da un angolo. 120: che dal vedere: che a ricordare - o anche - che nel vederli. M'essalto: mi esalto, vado in estasi. Altri pensano che simboleggi il trivio e il quadrivio, l'altra ipotesi le virtù

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I' vidi Eletra con molti compagni, tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea,

123 Cesare armato con li occhi grifagni. Vidi Cammilla e la Pantasilea; da l'altra parte vidi 'l re Latino

126 che con Lavina sua figlia sedea. Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia;

129 e solo, in parte, vidi 'l Saladino. Poi ch'innalzai un poco più le ciglia, vidi 'l maestro di color che sanno

132 seder tra filosofica famiglia. Tutti lo miran, tutti onor li fanno: quivi vid'ïo Socrate e Platone,

135 che 'nnanzi a li altri più presso li stanno; Democrito che 'l mondo a caso pone, Dïogenès, Anassagora e Tale,

138 Empedoclès, Eraclito e Zenone;

121: Eletra: madre di Dardano, fondatore di Dardania. Con molti compagni: con tutti i suoi discendenti. 123: grifagni: come un grifone, cioè come un combattente, uno sparviero. 124: Cammilla: proposta nel Canto primo verso 107. Pantasilea: la regina delle amazzoni. 125 - 126: Latino e Lavina personaggi del Virgilio. 128: Lucrezia: moglie di Collatino. Julia: figlia di Giulio Cesare. Marzia: moglie di Catone. Corniglia: o Cornelia figlia di Scipione e madre dei Gracchi. 129: solo: perché musulmano e quindi di un'altra religione. 'l Saladino: Salah-ed-Din, Dante lomette qui per il suo

coraggio e valore nel conquistare la libertà del suo popolo. 130 - 131: avendo a quei tempi maggior valore la vita contemplativa di quella attiva, Aristotele ('l maestro) filosofo morale viene posto ad un livello più alto. 134 - 135: i due grandissimi filosofi morali ed etici stanno più vicini ad Aristotele poichè "'l maestro" è stato il continuatore e perfezionatore delle loro arti. 137: Tale: Talete di Mileto. 138: Zenone: non sappiamo se parla dello Stoico o dell'Eleate, avendo lui avuto opinioni e scritti indiretti di loro.

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e vidi il buono accoglitor del quale, Dïascoride dico; e vidi Orfeo,

141 Tulïo e Lino e Seneca morale; Euclide geomètra e Tolomeo, Ipocràte, Avicenna e Galïeno,

144 Averoìs che 'l gran comento feo. Io non posso ritrar di tutti a pieno, però che sì mi caccia il lungo tema,

147 che molte volte al fatto il dir vien meno. La sesta compagnia in due si scema: per altra via mi mena il savio duca,

150 fuor de la queta, ne l'aura che trema. E vegno in parte ove non è che luca.

139 - 140 - 141: Dioscoride medico del primo secolo che fu autore di uno scritto sulle qualità (del quale) delle erbe e sulle loro funzioni. Orfeo, Lino: poeti lirici greci. Questi ultimi non si capisce perché vengano messi accanto a Cicerone (Tullio) e Seneca (detto morale per i suoi scritti sull'etica). 143: Avicenna: Ibs-Sina, medico e filosofo morto nel 1036. Galieno: Geleno, medico del secondo secolo a.C.. 144: Averoìs: Ibn-Roschd, medico e

filosofo anche lui che però Dante cita per i commenti fatti agli scritti di Aristotele, che poi Michael Scot porterà alla luce. 146: caccia: incalza, pressa. 147: avrei potuto raccontare di molti altri spiriti. 148: il gruppo dei sei poeti in due si divide. 150: fuori dalla quiete del castello, nell'area del Limbo dove ci son sospiri. 151: e arrivo in un luogo dove tutto è tenebra, dove non c'è luce.

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Canto Quinto

Canto quinto, nel quale mostra del secondo cerchio de

l'inferno, e tratta de la pena del vizio de la lussuria ne la

persona di più famosi gentili uomini.

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Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia

3 e tanto più dolor, che punge a guaio. Dico che quando l'anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa;

9 e quel conoscitor de le peccata Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l'intrata;

6 giudica e manda secondo ch'avvinghia vede qual loco d'inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte

12 quantunque gradi vuol che giù sia messa. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: vanno a vicenda ciascuna al giudizio,

15 dicono e odono e poi son giù volte.

1: del cerchio primaio: dal primo girone, il Limbo. 2: nel secondo: il cerchio dove viene punito il peccato di lussuria. Che men loco cinghia: che cinge, che restringe sempre più rispetto al precedente. Da adesso si comincia a poter immaginare l'aspetto dell'Inferno cioè un cono non lineare capovolto. 3: e aumentano i lamenti man mano che il cerchio si restringe. 4: Minòs: re di Creta, figlio di Giove ed Europa. Qui ha la mansione classica di giudice infernale come nell'Eneide. L'Alighieri però al contrario d'altri che lo rappresentavano in funzione epica, gli da sembianze grottesche e orribili che non vanno però a levargli importanza nel lavoro che Minosse

conduce, nello stesso tempo quell'immagine desta paura per l'aspetto mostruoso e rispetto per l'importanza che ha. 5: ne l'intrata: nell'entrata delle colpe. 6: secondo ch'avvinghia: secondo il numero di avvolgimenti della sua coda (come chiarisce poco dopo). 7: mal nata: nata sfortunatamente poiché avrà il destino di dannato. 9: e quel conoscitore dei reati. 10: è da essa: è adatta a lei. 11: avvolge la coda tante volte quanto è il girone per l'anima. 12: quantunque: quanti. 15: dicono e odono: dicono i loro peccati e odono la sentenza. Volte: inviate, mandate, precipitate.

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"O tu che vieni al doloroso ospizio", disse Minòs a me quando mi vide,

18 lasciando l'atto di cotanto offizio, "guarda com'entri e di cui tu ti fide; non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!".

21 E 'l duca mio a lui: "Perché pur gride? Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote

24 ciò che si vuole, e più non dimandare". Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto

27 là dove molto pianto mi percuote. Io venni in loco d'ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta,

30 se da contrari venti è combattuto. La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina;

33 voltando e percotendo li molesta.

16: doloroso ospizio: albergo del dolore. 18: lasciando il lavoro di così grande importanza. 19 - 20: riguardati da chi ti fidi (Virgilio) e non ti inganni l'ampiezza del cerchio. 21: pur gride: perché continui a gridare. 22: fatale: dato dal fato, dalla provvidenza. 23 - 24: citazione già usata nel Canto terzo per Caronte.

25: ora incominciano le dolenti voci Dopo i fievoli sospiri sentiti nel Limbo. 27: mi percuote: colpisce violentemente l'udito. Il "mi" va a dare una funzione più che mai soggettiva del peccato a cui i dannati sono mandati a rispondere ed è noto che in questo Canto l'Alighieri, si sente protagonista del peccato. 29: mugghia: tuona, romba. 31: non resta: non si arresta. 32: rapina: forza travolgente, forza d'impeto.

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Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento;

36 bestemmian quivi la virtù divina. Intesi ch'a così fatto tormento

enno dannati i peccator carnali, 39 che la ragion sommettono al talento.

E come li stornei ne portan l'ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena,

42 così quel fiato li spiriti mali di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai,

45 non che di posa, ma di minor pena. E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga,

48 così vid'io venir, traendo guai,

34: ruina: si sono fatte avanti diverse ipotesi su cosa volesse dire Dante con questa parola. Alcuni tra cui anche il Boccaccio pensano che la ruina sia l'avvolgimento che il vorticoso vento ha sulle persone, ma il poeta nella Commedia usa la parola per definire il terreno franoso, e quindi sarebbe migliore nella descrizione dell'ambiente, collegato anche alla discesa che loro hanno compiuto dal Limbo. 38: enno: sono. I peccator carnali: i lussuriosi. I dannati qui citati non sono tanto quelli che sono stati travolti dal desiderio di amarsi moralmente e sensualmente, ma parla di tutti coloro che vivono nella mercificazione della carne, il volere passione a qualsiasi

costo con incontinenza, vendere il proprio corpo come fosse merce di scambio, essere sottomessi dalla libido e non avere più ragione che vivere per quello; così come i dolenti sono stati scossi e agitati dalla lussuria nella vita terrena, adesso vengono sballottati dal forte vento. 39: sommettono: sottomettono. Talento: volontà, ragione. 40: e come le ali portano gli stornelli. Primo gruppo per il peccato maggioritario di fornicazione. 42: fiato: vento. 45: non si speri in una pausa perché non ci sarà neanche una riduzione della pena. 48 - 49: così li vidi volare, gemendo, portati dalla bufera.

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ombre portate da la detta briga; per ch'i' dissi: "Maestro, chi son quelle

51 genti che l'aura nera sì gastiga?". "La prima di color di cui novelle tu vuo' saper", mi disse quelli allotta,

54 "fu imperadrice di molte favelle. A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge,

57 per tòrre il biasmo in che era condotta. Ell'è Semiramìs, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa:

60 tenne la terra che 'l Soldan corregge. L'altra è colei che s'ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo;

63 poi è Cleopatràs lussurïosa.

52: novelle: notizie. 53: allotta: allora. 54: molte favelle: diversi linguaggi, che si traduce in diverse regioni in cui si parlano diverse lingue. 55: fu così tanto lussuriosa. 56 - 57: dichiarò lecito con una legge, il poter fare qualsiasi cosa si avesse piacere di fare; per levarla dalle critiche in cui era accorsa a causa della sua sfrenata lussuria. 58: Semiramìs: Semiramide, moglie di Nino. Dante ha notizie di lei da Orosio e per il medioevo era il massimo esempio di lussuria. Fu regina Assira tra il XIV e XII secolo a.C.. Il suo vizio, come detto prima, le fece adottare come legge ciò che per lei era comune, cioè rapporti sessuali con molti amanti ma soprattutto quello con il suo figlio con il quale ebbe un incestuoso

rapporto forzato, e da cui dopo venne uccisa pubblicamente per mettere fine alla vergogna. 60: governò il territorio che adesso appartiene a un sultano. In verità l'Alighieri qui sbaglia, perché il sultano aveva sotto il suo governo l'Egitto e parte dell'Asia occidentale, ma le città più importanti che prima appartenevano a Semiramide non erano sotto il suo controllo. 61 - 62: si parla di Didone, che ruppe la promessa fedele sulle ceneri di Sicheo per essere amante di Enea, e dopo la partenza di lui si uccise per il tradimento e per l'amore appena perso. 63: Cleopatràs: Cleopatra, la regina d'Egitto che si uccise per non cadere prigioniera di Ottaviano, che però ebbe anche lei una vita da lussuriosa.

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Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,

66 che con amore al fine combatteo. Vedi Parìs, Tristano"; e più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito,

69 ch'amor di nostra vita dipartille. Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito nomar le donne antiche e ' cavalieri,

72 pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. I' cominciai: "Poeta, volontieri parlerei a quei due che 'nsieme vanno,

75 e paion sì al vento esser leggeri". Ed elli a me: "Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega

78 per quello amor che i mena, ed ei verranno".

64 - 65: Elena che fu la causa della guerra di Troia e delle tante morti che susseguirono. 67: Parìs: Paride. Tristano: amante di Isotta la bionda. 69: che furono condotte dall'amore, a morte. Però non tutti morirono per amore come per esempio Cleopatra e Elena, ma forse il poeta qui volle rappresentare le anime più genericamente in quanto, vissero una vita intrisa d'amore. 72: qui pietà non è da percepire come compassione e tristezza verso quelle anime, ma come turbamento e inquietudine per un peccato che nasce proprio dalla naturalezza del vivere e anche della presenza propria di Dante in questo peccato, il che lo rende

ancora più "smarrito". 73: Da questo verso comincia la seconda parte del Canto, e dall'aggettivo usato per Virgilio si può intuire che l'animo di Dante cambia dallo spaventato al clemente e commosso. 74 - 75: il pellegrino viene attirato da due anime che si lasciano trasportare dal vento con leggerezza e soprattutto volano insieme. Gli esperti pensano che questa maggiore leggerezza che loro hanno, li fa andare più velocemente nella bufera e quindi stanno più male e questo perché al contrario di quelli prima, questi erano cognati. 78: i mena: li conduce.

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Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: "O anime affannate,

81 venite a noi parlar, s'altri nol niega!". Quali colombe dal disio chiamate con l'ali alzate e ferme al dolce nido

84 vegnon per l'aere, dal voler portate; cotali uscir de la schiera ov'è Dido, a noi venendo per l'aere maligno,

87 sì forte fu l'affettüoso grido. "O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l'aere perso

90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno, se fosse amico il re de l'universo, noi pregheremmo lui de la tua pace,

93 poi c' hai pietà del nostro mal perverso.

80: affannate: vale anche a dirsi come tormentate dalla lussuria. 81: s'altri: se Dio. Non lo pronuncia direttamente perché all'Inferno il suo nome non si può dire. 82 - 83: verso ripreso dall'Eneide, però l'Alighieri vuole rafforzare l'immagine e il sentimento qui esposto, quindi dice che vengono chiamate mentre in loro ardeva il desiderio di stare insieme che affronta anche le tenebre dell'Inferno proprio per sottolineare quanto sia forte quell'istintiva emozione. 84: dal voler: a sottolineare la pressione, quasi ansiosa, del pellegrino nel chiamarli e la coppia si accorge del grande interesse che non

si ferma alla curiosità. 85: il gruppo dov'è Didone, dove ci sono le anime morte per l'amore carnale aggressivo. 87: come detto prima, forte perché era forte il sentimento che Dante provava nel chiamarli. 89: perso: nell'antichità era un colore mischiato tra nero e viola, ma andrebbe bene anche percepirlo come aggettivo all'ambiente che ormai ha perso la speranza di vedere la luce. 90: avendo, con la nostra passione, sporcato il mondo di sangue (creando guerre, suicidi o omicidi). 91: se Dio fosse misericordioso e clemente verso noi.

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Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi,

96 mentre che 'l vento, come fa, ci tace. Siede la terra dove nata fui su la marina dove 'l Po discende

99 per aver pace co' seguaci sui.

94: altra propensione all'ardente desiderio di Dante di ascoltarli. 96: qui si potrebbe intuire che il vento non soffia in continuità con lo stesso impeto ma con alternanza, ma pare più adeguato guardare ad una intromissione del divino affinché essi possano parlare con il viaggiatore. 97 - 98 - 99: qui si parla della città di Ravenna e solo andando più in avanti si capisce che chi parla è Francesca da

Polenta e il suo innamorato è Paolo Malatesta. Gli antichi ci annunciano che la donna venne data in sposa, come era meramente di consueto, a Gianciotto Malatesta per risolvere alcune controversie tra le due famiglie. Però Francesca dopo le nozze si innamorò del fratello Paolo e questo fu causa dell'omicidio loro da parte di Gianciotto. Seguaci: affluenti.

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Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona

102 che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

100: adesso ci saranno tre terzine che iniziano tutte con Amore e sono alcuni dei versi più conosciuti al mondo per il loro modo di esprimere la sostanza dell'amore e imprimere una potenza dei versi come solo un genio può fare. Amore, che a un cuore gentile si attacca di colpo: Francesca in questo verso tende a generalizzare quella passione ed a elargirla alla tanta gente che rendeva schiava, quasi poi, cerca di giustificarla come qualcosa di irrefrenabile e che alla quale non ci si può liberare se non con il cedimento. Questa frase riformula pienamente l'ambiente in cui il pensiero dell'Alighieri è nato, infatti nel dolce stil novo si esprimeva che non c'è nobiltà d'animo se non c'è vero amore. 101 - 102: quasi tutti i critici e i commentatori ma anche un semplice lettore potrà attribuire la frase al duplice omicidio compiuto dal fratello di Paolo, Gianciotto, nei confronti dei due amanti; ma andando a interpretare le varie parole con il

significato che il sommo le da più volte nel poema, abbiamo: Amore, che a un cuore gentile si attacca di colpo, fece innamorare Paolo della mia bellezza fisica, che mi fu presa con violenza, e il modo, cioè l'intensità di quell'amore ancora mi offende inteso come mi vince. Quel "m'offende" viene rappresentato dal poeta con significato di danneggiamento e così appunto le due anime vennero danneggiate e offese nell'onesta e lealtà da quell'amore e lo sono tutt'ora vista la loro dannazione. Anche il parallelismo tra questa terzina e la successiva ci lascia intendere che l'offesa che dichiara Francesca è quella dell'essere stata vinta da quella passione avvolgente infatti i versi corrispondenti delle due terzine si rispondono adeguatamente: i primi versi vanno descrivere l'amore e a giustificare quello che è accaduto tra di loro, i secondi parlano del piacere fisico di entrambi, e i terzi esprimono la volontà delle due anime di amarsi.

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Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte,

105 che, come vedi, ancor non m'abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense".

108 Queste parole da lor ci fuor porte. Quand'io intesi quell'anime offense, china' il viso, e tanto il tenni basso,

111 fin che 'l poeta mi disse: "Che pense?".

103: l'interpretazione più sostenuta e meglio accolta del famoso verso dantesco, è quella che pone le sue radici nel De amore di Andrea Cappellano, e che sarà proposta come argomento della necessità di amare Dio e quindi: Amore che non tollera che chi è amato non riami. Ma il testo De Amore fu condannato come eretico dal vescovo di Parigi, Etienne Tempier, il 7 marzo 1277, e quindi andrebbe contro quella che sarebbe l'interpretazione più usata. Se seguiamo questo ragionamento e lo poniamo davanti all'integralità della fede del poeta, possiamo intendere che dicendo quelle parole, Francesca esprime una critica dell'essere peccatrice e quindi deduciamo che: l'amore nutrito da una persona (Francesca) verso un'altra (Paolo), non permette a nessuno che lo nutra, di sottrarsi (per il matrimonio con

Gianciotto) nel caso l'altra si dimostri a sua volta innamorata. 104: mi fece innamorare della bellezza di Paolo. 107: Caina: è una parte del profondo Inferno e li sono puniti i traditori dei parenti. 108: da lor: da Francesca che parla anche per Paolo. Porte: dette. 109: offense: tormentate dal dolore ma anche dalla passione che tutt'ora li avvolge. 110: questo comportamento del poeta si traduce in un complesso di emozioni per accadimenti personali e valori su idee che lui ha riposto. Quasi un modo di trattenere le lacrime da una dura realtà che si pone nel giudizio di Dio, e che viene interrotto solo dal richiamo di Virgilio a cui risponderà proprio nel termine di essere stato vicino a quelle passioni, di averle vissute da vicino.

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Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio

114 menò costoro al doloroso passo!". Poi mi rivolsi a loro e parla' io, e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri

117 a lagrimar mi fanno tristo e pio. Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri, a che e come concedette amore

120 che conosceste i dubbiosi disiri?". E quella a me: "Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice

123 ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. Ma s'a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto,

126 dirò come colui che piange e dice.

112: Oh lasso: Ohimè. 113: dolci pensier: nel Convivio il pellegrino parla dell'amore come qualcosa che deve sbocciare, che deve ancora dimostrarsi grande. Disio: desiderio di passione. 114: al doloroso passo: si intende non al passo della morte ma al passaggio dall'amore onesto a quello disonesto che poi porterà i due alla morte. 116: martiri: dolori, sofferenze, tormenti. 118: al tempo d'i dolci sospiri: prima ancora del venire della passione profonda e piena, quando l'emozione si esprime soltanto di movenze. 119 - 120: per quali indizi e in quali

circostanze cominciaste ad amarvi con intensità, allontanando i dubbi che ci furono fino a quel momento? 123: 'l tuo dottore: Virgilio, che nell'Eneide fa abbandonare Didone da Enea facendola cadere in disperazione; ma anche personalmente in Virgilio si può paragonare la vita che fu gloriosa e nobile e quella senza speranza e infima nel Limbo. 124 - 125 - 126: terzina ripresa dall'Eneide. Cotanto affetto: grande desiderio. Dirò come colui che piange e dice: parlerò piangendo come sta facendo Paolo.

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Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse;

129 soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso;

132 ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante,

135 questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:

138 quel giorno più non vi leggemmo avante". Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangëa; sì che di pietade

141 io venni men così com'io morisse. E caddi come corpo morto cade.

128: la storia di Lancillotto dal Lago "come amor lo strinse" alla regina Ginevra già moglie di re Artù. 129: sanza alcun sospetto: non sospettavano di nulla, cioè non sapevano per nulla che il loro amore era ricambiato. 130 - 131: per più volte il racconto ci disagiò e ci arrossì nel momento in cui i nostri sguardi si incrociavano, rendendo più noto il nostro interesse verso l'altro. 132: ci vinse: ci fece travolgere dalla passione. 133 - 134: quando leggemmo che il desiderato riso (bocca) venne baciato dall'amante (Lancillotto). Nella storia è Ginevra che bacia Lancillotto, ma qui il poeta lo avrà fatto per dare coincidenza con i versi successivi oppure ci sarà stato un errore nell'edizione da lui letta. 135: questi: parla di Paolo, e il poeta

altro non fa, in questo e nel prossimo verso, che far immaginare ancor più vividamente al lettore che l'emozione e l'intensità di quel momento sono immense e pare voler incassare nella nostra mente che mentre Lancillotto rimane un eroe di romanzo, Francesca e Paolo hanno avuto l'esperienza dell'accaduto nella realtà. 137: Galeotto: il nome usato per ricordare chi fece il mezzano tra Ginevra e Lancillotto e per dare l'idea della funzione analoga del libro, tra i due innamorati reali. 138: verso che può voler significare due cose: furono uccisi da Gianciotto o (anche ripreso dall'Eneide) si buttarono in una passione sfrenata e senza controllo. 139 – 140: mentre Francesca parlava Paolo piangeva.

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Canto Sesto

Canto VI, nel quale mostra del terzo cerchio de l'inferno

e tratta del punimento del vizio de la gola, e

massimamente in persona d'un fiorentino chiamato

Ciacco; in confusione di tutt'i buffoni tratta del dimonio

Cerbero e narra in forma di predicere più cose

adivenute a la città di Fiorenza.

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Al tornar de la mente, che si chiuse dinanzi a la pietà d'i due cognati,

3 che di trestizia tutto mi confuse, novi tormenti e novi tormentati mi veggio intorno, come ch'io mi mova

6 e ch'io mi volga, e come che io guati. Io sono al terzo cerchio, de la piova etterna, maladetta, fredda e greve;

9 regola e qualità mai non l'è nova. Grandine grossa, acqua tinta e neve per l'aere tenebroso si riversa;

12 pute la terra che questo riceve. Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra

15 sovra la gente che quivi è sommersa.

1 - 2: al tornare delle proprietà sensitive che scomparvero davanti al dolore dei due cognati. 3: trestizia: tristezza. 5 - 6: mi vedo attorno, comunque m'aggiri o mi volga o guardi. 7: Io sono al terzo cerchio: da notare che Dante non dice a noi come fa a trovarsi nell'altro cerchio, passa nello stesso modo raccontato nel quarto Canto. Questo girone è quello in cui sono dannati i golosi, prostrati a soffrire sotto una pioggia perenne, mangiando fango e venendo sottomessi alla bestialità e violenza di Cerbero. Il contrappasso dato a questi dolenti non ha una precisa geometria, ma rende l'idea della brutalità alla

quale la nostra anima è accusata quando è corrisposto il peccato. 9: quantità e rigore della pioggia sarà sempre uguale per l'eternità. 10: tinta: sarà da intendere sporca, putrida. 12: questo: la mescolanza di pioggia, terra e neve. 13: Cerbero: il figlio di Tifeo ed Echidna, ripreso perlopiù dal Virgilio che lo descrive soltanto, al contrario di quello che fa il sommo, che oltre ad attribuirgli tratti umani lo anima come è suo ideale, per dare maggiore espressione al poema. Diversa: strana, informe. 15: sommersa: affogata in questa pozza orribile.

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Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e 'l ventre largo, e unghiate le mani;

18 graffia li spirti ed iscoia ed isquatra. Urlar li fa la pioggia come cani; de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;

21 volgonsi spesso i miseri profani. Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, le bocche aperse e mostrocci le sanne;

24 non avea membro che tenesse fermo. E 'l duca mio distese le sue spanne, prese la terra, e con piene le pugna

27 la gittò dentro a le bramose canne. Qual è quel cane ch'abbaiando agogna, e si racqueta poi che 'l pasto morde,

30 ché solo a divorarlo intende e pugna, cotai si fecer quelle facce lorde de lo demonio Cerbero, che 'ntrona

33 l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.

16: unta e atra: sporca e sudicia dal lurido mangiare. 18: iscoia ed isquatra: graffia e squarta. Alcuni critici pensano che il primo vocabolo sia ingoia, cosa che non pare possibile anche visto che il poeta parla di mani unghiate quindi si collega più facilmente con quest'ultimo. 20: si voltano spesso dall'altro lato per far riparo a quello che è rimasto scoperto per troppo tempo. 21: profani: si danno due interpretazioni alla parola: peccatori, ridando il proprio significato primitivo alla parola; oppure fedele alle cose

materiali e un esempio è quello di San Paolo che chiamava profano Esaù, che vendette per cibo il suo primogenito. 23: sanne: zanne. 26: pugna: pugni, mani. 27: ripresa dell'Eneide, questa azione è quella della Sibilla che per far passare Cerbero ad Enea, gli fa mangiare una focaccia con miele ed erbe, che lo fa addormentare. 28: agogna: espone la sua fame. Agogna è un esempio di rima imperfetta. 30: intende: è intento. Pugna: si affatica, si sfianca. 32: 'ntrona: rintrona, assorda.

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Noi passavam su per l'ombre che adona la greve pioggia, e ponavam le piante

36 sovra lor vanità che par persona. Elle giacean per terra tutte quante, fuor d'una ch'a seder si levò, ratto

39 ch'ella ci vide passarsi davante. "O tu che se' per questo 'nferno tratto", mi disse, "riconoscimi, se sai:

42 tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto". E io a lui: "L'angoscia che tu hai forse ti tira fuor de la mia mente,

45 sì che non par ch'i' ti vedessi mai. Ma dimmi chi tu se' che 'n sì dolente loco se' messo, e hai sì fatta pena,

48 che, s'altra è maggio, nulla è sì spiacente". Ed elli a me: "La tua città, ch'è piena d'invidia sì che già trabocca il sacco,

51 seco mi tenne in la vita serena.

34 - 35: noi passavamo su le ombre sottomesse dalla pioggia. 36: anche questi versi ripresi dall'Eneide, stanno ad indicare le anime che sono astratte, cioè non hanno consistenza, però appaiono come tali. 38: ratto ch'ella: non appena essa. 40: tratto: portato, condotto. 42: tu nascesti prima ch'io morissi. 43: l'angoscia: qui sta per dolore, patimento fisico. 48: che se un'altra pena è maggiore,

nessuna è spiacevole come questa (per chi a vede e chi la soffre). 49 - 50: l'invidia è stata una delle ragioni per le quali si crearono le fazioni a Firenze, che poi porteranno a quella lotta civile tra i guelfi e i ghibellini. Trabocca il sacco: ce ne così tanta, che anche gente lontana la nota. 51: vita serena: vita terrena, ma con un accezione di nostalgia della quale più volte da esempio il poeta.

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Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa de la gola,

54 come tu vedi, a la pioggia mi fiacco. E io anima trista non son sola, ché tutte queste a simil pena stanno

57 per simil colpa". E più non fé parola. Io li rispuosi: "Ciacco, il tuo affanno mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita;

60 ma dimmi, se tu sai, a che verranno li cittadin de la città partita; s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione

63 per che l' ha tanta discordia assalita".

52: Ciacco: si è provato che potesse essere sia un nome proprio di persona che un soprannome, e alcuni esperti ci dicono che significa: porco, maiale, cioè goloso. Soprattutto dal Decameron, sappiamo che esso fu un uomo di corte di buone maniere, affabile e simpatico, aveva a che fare con uomini ricchi, e andava a molte feste, sia a quelle a cui veniva invitato, sia a quelle a cui non veniva invitato. Se Dante lo muove per parlare dei mali che c'erano a Firenze di certo doveva essere un uomo di buoni sentimenti e libero da qualsiasi pensiero all'interesse proprio e libero da voglia di potere, in quanto il pellegrino per lui ha compassione e pietà. 53: dannosa: rovinosa, che contribuisce al danneggiamento. 54: mi fiacco: mi affanno, mi

distruggo. 57: più non fé parola: improvvisamente Ciacco non parla più, per la grande fatica (prima dimostrata) che ha sia fisicamente , per il malevolo ambiente, e sia per il rimpianto a ciò che prima aveva (la vita passata). 58: il tuo affanno: la tua pena. 60 - 61 - 62: il poeta vuole sapere, dopo le parole dei versi 51 e 52, quale sarà la conclusione della lotta interna a Firenze, se c'è qualcuno che abbia come ideale di supremazia la giustizia, e qual è stata la causa di tanta discordia. Partita: divisa. 61: tencione: lotta, battaglia. Adesso inizierà la dicitura della profezia, e con molto ingegno l'Alighieri, sposterà la scrittura del poema dal 1304 al 1300 così da far apparire come vere le profezie.

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E quelli a me: "Dopo lunga tencione verranno al sangue, e la parte selvaggia

66 caccerà l'altra con molta offensione. Poi appresso convien che questa caggia infra tre soli, e che l'altra sormonti

69 con la forza di tal che testé piaggia. Alte terrà lungo tempo le fronti, tenendo l'altra sotto gravi pesi,

72 come che di ciò pianga o che n'aonti.

65: verranno al sangue: dalle cronache di quei tempi sappiamo che nacque una rissa il 1 maggio 1300, tra giovani dei Donati e quelli dei Cerchi, e un ragazzo di questi ultimi fu ferito, facendo crescere l'astio tra le due famiglie. La parte selvaggia: sarebbe quella dei Cerchi (che poi diventeranno i Guelfi bianchi) chiamata così perché privi delle buone maniere, e in più si racconta fossero altezzosi e di facili costumi. 66: l'altra: la famiglia dei Donati (che poi verrà chiamata dei Guelfi Neri), facenti parte della borghesia fiorentina che in quei tempi si arricchì in modo esponenziale. Molta offensione: oltre alle oppressioni ricevute, i Neri dovranno pagare anche fortissime sanzioni pecuniarie. 67: questa: questa famiglia, i Bianchi. Caggia: perderanno il potere. 68: prima che passino tre anni i Neri torneranno al potere. 69: con l'aiuto di di qualcuno che

adesso sembra non avere interesse nella vicenda. Due sono le personalità a cui si affida il personaggio: il primo è Bonifacio VIII che stava al di fuori degli scontri che però già muoveva con abilità la rete di contatti che poi lo porterà all'avere in pugno Firenze con i Neri; l'altra idea dell'uomo è invece Carlo di Valois, che prima non partecipava in alcun modo alla vita fiorentina e solo dopo che il papa lo inviò con funzione di paciere si attivò, non portando equilibrio ma appoggiando i Neri. 70 - 71: per lungo tempo i Neri domineranno, imporrendo severe vessazioni e severi sanzioni pecuniarie. Da notare che il poeta non fa dire a Ciacco che i Bianchi verranno esiliati (tra cui anche Dante), questo proprio per dare l'idea che la profezia sia vera, e il poema scritto nel 1300. 72: per quanto i Bianchi si indignino e si lamentino delle pene.

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Giusti son due, e non vi sono intesi; superbia, invidia e avarizia sono

75 le tre faville c' hanno i cuori accesi". Qui puose fine al lagrimabil suono. E io a lui: "Ancor vo' che mi 'nsegni

78 e che di più parlar mi facci dono. Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor sì degni, Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca

81 e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni, dimmi ove sono e fa ch'io li conosca; ché gran disio mi stringe di savere

84 se 'l ciel li addolcia o lo 'nferno li attosca".

73: son due: trovare chi siano è impossibile, ma si potrebbe intendere come un piccolo numero, per dire che nella popolazione chi segue l'etica del giusto sono rarità e non sono "intesi" cioè nessuno li ascolta. 74: per Dante, che lo ripete per tutto il poema, sono le tre colpe più grandi che hanno ridotto il malo stato il suo paese e infatti si collegano anche alla storia: superbia nelle controparti, invidia nel possedimento più grande altrui e avarizia cioè cupidigia, nel mettere tutto sotto il proprio potere. 76: lacrimabil suono: discorso pieno di tristezza e compassione verso quello che verrà. 77 - 78: m'insegni: m'informi. Non riesce a trattenersi il pellegrino dal

domandare cosa accade nella città natale, si nota in grande che l'amore e la nostalgia verso Firenze sono immense. 79: Farinata: degli Uberti. Tegghiaio: Aldobrandi degli Adimari. Fuor sì degni: ebbero tanta dignità. 80: Arrigo: forse dei Fifanti. Mosca: dei Lamberti. 81: il "ben fare" di cui parla Dante è il senso civile che hanno avuto nell'amministrare che però non garanzia della beatitudine, della quale garanzia si avrà conferma con la risposta cruenta di Ciacco pochi versi dopo. 84: addolcia: conforta, rinfresca l'animo. Attosca: li ammala, gli appesantisce l'essere.

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E quelli: "Ei son tra l'anime più nere; diverse colpe giù li grava al fondo:

87 se tanto scendi, là i potrai vedere. Ma quando tu sarai nel dolce mondo, priegoti ch'a la mente altrui mi rechi:

90 più non ti dico e più non ti rispondo". Li diritti occhi torse allora in biechi; guardommi un poco e poi chinò la testa:

93 cadde con essa a par de li altri ciechi. E 'l duca disse a me: "Più non si desta di qua dal suon de l'angelica tromba,

96 quando verrà la nimica podesta: ciascun rivederà la trista tomba, ripiglierà sua carne e sua figura,

99 udirà quel ch'in etterno rimbomba". Sì trapassammo per sozza mistura de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti,

102 toccando un poco la vita futura;

85: saranno poi ricordati più avanti nel poema, Farinata tra gli eretici, il Tegghiaio e Rusticucci tra i sodomiti e il Mosca tra i seminatori di discordie; forse Arrigo non venendo più nominato dovrebbe stare con il Mosca perché nominato al suo fianco senza intermezzi. 87: tanto: quanto loro sono giù. 88: dolce mondo: la nostalgia perla vita terrena qui è grande. 89: mente: memoria. 91: Ciacco guardava Dante e quando ebbe finito di parlare, dovette ritornare al suo stato quindi, abbassandosi col corpo i suoi occhi si

torsero sempre guardando il pellegrino. 93: ritornò al pari degli altri dannati cioè ciechi spiritualmente. 94 - 95: non si risveglierà mai più, fino a quando non udirà il suono della tromba, che introdurrà il giudizio universale. 96: nimica podésta: colui che è nemico di tutti i dannati, Gesù. 98 - 99: si riapproprierà del proprio corpo e udirà la sentenza che fisserà per l'eternità il suo destino. 102: ragionando di quello che accadrà nel futuro senza però finire l'argomento.

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per ch'io dissi: "Maestro, esti tormenti crescerann'ei dopo la gran sentenza,

105 o fier minori, o saran sì cocenti?". Ed elli a me: "Ritorna a tua scïenza, che vuol, quanto la cosa è più perfetta,

108 più senta il bene, e così la doglienza. Tutto che questa gente maladetta in vera perfezion già mai non vada,

111 di là più che di qua essere aspetta". Noi aggirammo a tondo quella strada, parlando più assai ch'i' non ridico;

114 venimmo al punto dove si digrada: quivi trovammo Pluto, il gran nemico.

103 - 104 - 105: questi tormenti, dopo il Giudizio Universale, aumenteranno, diminuiranno o avranno la stessa forza. 106: a tua scienza: alla tua dottrina scolastica (soprattutto Aristotele), che si esprimeva nel modo che quando una cosa è più perfetta, più si sente il bene o il male, questo a voler dire che chi stava male (nell'Inferno) avrà ancora più dolore, invece chi stava bene (nel Paradiso) starà ancora meglio. 109: Tutto che: sebbene, anche se. 111: preferiscono essere perfetti,

completi (col corpo) anche se sanno che soffriranno di più passando anche questa immensa attesa che li sfianca. 112: girammo quella strada formando un cerchio, proprio a far valere la forma dell'Inferno. 114: dove comincia la discesa al quarto cerchio. 115: il figlio di Iasone e Demetra, dio delle ricchezze che Dante pone a guardia del girone ove sono gli avari e prodighi; trasformato sotto forma di demonio lo chiama "il gran nemico" perché appunto nemico della felicità umana.

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Canto Settimo

Canto VII, dove si dimostra del quarto cerchio de

l'inferno e alquanto del quinto; qui pone la pena del

peccato de l'avarizia e del vizio de la prodigalità; e del

dimonio Pluto; e quello che è fortuna.

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"Papé Satàn, papé Satàn aleppe!", cominciò Pluto con la voce chioccia;

3 e quel savio gentil, che tutto seppe, disse per confortarmi: "Non ti noccia

la tua paura; ché, poder ch'elli abbia, 6 non ci torrà lo scender questa roccia".

Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia, e disse: "Taci, maladetto lupo!

9 consuma dentro te con la tua rabbia.

1: uno dei versi più studiati e controversi di tutta la letteratura mondiale; tanti commentatori hanno espresso la loro idea sul come queste parole demoniache e mostruose che Pluto esprime (sappiamo che è lui perché viene introdotto nel Canto precedente), siano prive di senso, ma è sbagliato, poco dopo il Virgilio, si nota che capisce cosa dice il demone. I commentatori contemporanei all'Alighieri sono concordi che i vocaboli usati derivano dal latino e vengono volgarizzati infatti: papé dal latino papae, che ha il significato di animo meravigliato e sorpreso; aleppe invece deriverebbe dal vocabolo aleph, prima lettera dell'alfabeto ebraico e espressione di dolore e lamento. In principio di ciò che ho espresso prima, Pluto ha un interiezione di rammarico e sorpresa e la traduzione dovrebbe essere all'incirca: "Oh Satana, oh Satana, cosa

ci tocca vedere!". 2: chioccia: rauca, fioca, rabbiosa. In questo particolare Canto il poeta è mosso dal sentimento verso i peccati che qui si trovano, quindi usa rime aspre e volutamente difficili per rendere un livello di espressività che nessuno ha toccato nella storia, la polemica verso essi qui si sente in modo forte perché quei vizi avevano duramente attaccato lui nella vita. 3: Virgilio. 4: non ti noccia: non ti dia fastidio, non ti scoraggi. 5: ché, poder ch'elli abbia: per quanto potere abbia. 6: non ci impedirà la discesa. 7: 'nfiata labbia: espressione gonfia d'ira. 8: lupo: gli esperti convergono tra l'idea espressa nel primo Canto con la lupa che rappresenta l'avarizia come qui Pluto, e l'espressione e lamento che da lui usciva simile ad lupo.

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Non è sanza cagion l'andare al cupo: vuolsi ne l'alto, là dove Michele

12 fé la vendetta del superbo strupo". Quali dal vento le gonfiate vele caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca,

15 tal cadde a terra la fiera crudele. Così scendemmo ne la quarta lacca, pigliando più de la dolente ripa

18 che 'l mal de l'universo tutto insacca. Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa nove travaglie e pene quant'io viddi?

21 e perché nostra colpa sì ne scipa? Come fa l'onda là sovra Cariddi, che si frange con quella in cui s'intoppa,

24 così convien che qui la gente riddi.

10: cupo: profondo Inferno. 11 - 12: una variante della frase solenne già detta a Caronte e Minosse. La diversità si nota nell'accentuazione della vittoria del bene contro il male nella battaglia in cui l'arcangelo Gabriele punì la presunzione di Lucifero e degli angeli ribelli. 14: l'alber fiacca: l'albero maestro della nave si spezza, si fiacca. 16: lacca: zona o più precisamente avvallamento. 17: pigliando: percorrendo, inoltrandoci un poco più in quello scendere nell'Inferno. 18: insacca: riceve e stipa, come dirà dopo. Una dizione ripresa dal linguaggio quotidiano, che va proprio a rendere espressiva e realistica più che mai una metafora. 20: impensabili pene quante io ne vidi.

21: e perché la nostra coscienza non ci trattiene dal peccare e ci fa sciupare così la vita. 22: nello stretto di Messina c'è l'incontro del mar Ionio e del Tirreno che sbattono le onde tra loro con gran forza. Lo spettacolo marino è proposto anche da latri poeti dell'antichità come Omero e Virgilio. 23 s'intoppa: si sbatte, si urta. 24: riddi: balli. La Ridda era un ballo popolare sarcastico che si può accostare alla raspa d'oggi. Il senso di questo verso viene a spiegarsi con i successivi: un gruppo formato da due dannati un avaro e un prodigo, provenienti dal senso opposto, si sbattono in punto con dei massi che spingono e si scambiano offese, poi ripercorrono a cerchio la strada per ritrovarsi in un altro punto.

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Qui vid'i' gente più ch'altrove troppa, e d'una parte e d'altra, con grand'urli,

27 voltando pesi per forza di poppa. Percotëansi 'ncontro; e poscia pur lì si rivolgea ciascun, voltando a retro,

30 gridando: "Perché tieni?" e "Perché burli?". Così tornavan per lo cerchio tetro da ogne mano a l'opposito punto,

33 gridandosi anche loro ontoso metro; poi si volgea ciascun, quand'era giunto, per lo suo mezzo cerchio a l'altra giostra.

36 E io, ch'avea lo cor quasi compunto, dissi: "Maestro mio, or mi dimostra che gente è questa, e se tutti fuor cherci

39 questi chercuti a la sinistra nostra".

25: troppa: numerosa. 27: facendo rotolare un masso anche con la forza del petto. È probabile che Dante avesse a mente il supplizio di Sisifo o anche le anime che Enea incontra nel Tartaro. Questi peccatori sono sottoposti a questo sforzo in armonia con loro peccato riguardante la ricchezza, che con forza o tennero tutto per loro o scialacquarono i loro beni. 28: si sbattevano contro; e in quel medesimo punto. 29: ciascuno si voltava indietro, rivoltando nel senso inverso; anche dal punto di vista dei pesi che loro rivoltavano per muoverli. 30: tieni: nel senso di conservare

denaro, di essere avaro. Burli: disperdi, scialacqui. 31: tornavan: giravano, facevano di nuovo quella strada. Tetro: buio, oscuro. 32: da una parte all'altra. 33: anche: insultandosi anche li. Ontoso metro: parole di offesa, frasi ingiuriose. 35: a l'altra giostra: nel senso totale dell'azione cioè: al punto opposto dove si sbattono e si insultano. 36: compunto: spaventato, turbato. 37: mi dimostra: spiegami, annotami. 38: cherci: chierici (diacono, presbitero, vescovo). 39: chercuti: tonsurati. A la sinistra: dalla parte degli avari.

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Ed elli a me: "Tutti quanti fuor guerci sì de la mente in la vita primaia,

42 che con misura nullo spendio ferci. Assai la voce lor chiaro l'abbaia, quando vegnono a' due punti del cerchio

45 dove colpa contraria li dispaia. Questi fuor cherci, che non han coperchio piloso al capo, e papi e cardinali,

48 in cui usa avarizia il suo soperchio". E io: "Maestro, tra questi cotali dovre' io ben riconoscere alcuni

51 che furo immondi di cotesti mali". Ed elli a me: "Vano pensiero aduni: la sconoscente vita che i fé sozzi,

54 ad ogne conoscenza or li fa bruni.

40: tutti, di una parte e dell'altra, furono privi di intelletto, ciechi di mente. 42: non ebbero misura nello spendere nella vita, non seppero amministrare la propria economia essendo stati avari e prodighi. 43: quando si incontrano ai due punti la loro voce li disprezza. Il linguaggio di "abbaia" sta proprio ad enfatizzare l'espressione e a rendere ricolo il loro comportamento. 45: li dispaia: li contrappone. Ma la cattiva amministrazione dei beni li unisce nel soffrire qui e nel Purgatorio. 46: coperchio piloso: cuoio capelluto.

47: papi e cardinali: quindi non solo religiosi di basso rango ma anche rappresentanti di livello più alto. 48: il termine al presente, usa, sta ad identificare il "ieri come oggi". Soperchio: eccesso, dismisura. 51: di cotesti mali: l'avarizia e la prodigalità. 52: vano pensiero aduni: è inutile che ci pensi, è inutile provare a riconoscerli. 53 - 54: la vita loro, che non ebbe ingegno nel trovare quale fosse la giusta via li rese sporchi del loro peccato, adesso ad ogni riconoscimento li rende oscuri, ignoti.

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In etterno verranno a li due cozzi: questi resurgeranno del sepulcro

57 col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi. Mal dare e mal tener lo mondo pulcro ha tolto loro, e posti a questa zuffa:

60 qual ella sia, parole non ci appulcro. Or puoi, figliuol, veder la corta buffa d'i ben che son commessi a la fortuna,

63 per che l'umana gente si rabuffa; ché tutto l'oro ch'è sotto la luna e che già fu, di quest'anime stanche

66 non poterebbe farne posare una".

56: questi: gli avari. 57: col pugno chiuso: a dimostrare che hanno tenuto sempre e troppo per loro. Questi coi crin mozzi: e i prodighi con la testa calva, a dimostrare il taglio dei loro averi. 58: prodigalità e avarizia ha tolto loro il mondo meraviglioso (il Paradiso). 60: non ci appulcro: non ci spendo parole belle (per descriverli). Dizione coniata da Dante ripreso dal Latino pulcro, che significa abbellire, adornare. 61: la corta buffa: l'inganno di breve

durata, l'inganno sarebbe la loro vita che in confronto all'eternità è breve, e qui c'è anche un significato di buffo che sta ad indicare il loro comportamento stupido e ridicolo, come a dire "guarda come si sono ridotti". 62: commessi: affidati, amministrati. 63: per i quali gli umani litigano. 64 - 65 - 66: perché tutto l'oro che c'è e che ci fu, se si unirebbe nelle mani di una sola di queste anime, non riuscirebbe ad appagarla.

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"Maestro mio", diss'io, "or mi dì anche: questa fortuna di che tu mi tocche,

69 che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?". E quelli a me: "Oh creature sciocche, quanta ignoranza è quella che v'offende!

72 Or vo' che tu mia sentenza ne 'mbocche. Colui lo cui saver tutto trascende, fece li cieli e diè lor chi conduce

75 sì, ch'ogne parte ad ogne parte splende, distribuendo igualmente la luce. Similemente a li splendor mondani

78 ordinò general ministra e duce che permutasse a tempo li ben vani di gente in gente e d'uno in altro sangue,

81 oltre la difension d'i senni umani;

68: mi tocche: mi accenni, mi inizi. 69: che cos'è dunque, che ha tra i suoi artigli i beni del mondo. La Fortuna era un argomento tra i più contemplati nel Medioevo e Dante ne parla anche nel Convivio, in modo soggettivo, deducendo più dalle esperienze dure della sua vita e dicendo che essa è ingiusta nel distribuire e che da più ai cattivi che ai buoni; invece nella Comédia riflette la Fortuna non come dea, ma come entità celeste incontrollabile e non prevenibile dando pensiero più a un sentimento religioso, e ci consiglia con questi versi di abbandonarci al mistero della fede, ma in altri punti del poema si polemizza questo e si afferma che il destino dell'uomo viene costruito dalle sue scelte.

72: ora farò ricevere il mio dire alla tua mente, come si imbocca ('mbocche) un bambino. 73: Dio da cui tutto nasce e tutto prende vita. 74: creò i cieli e assegnò loro degli angeli o entità celesti. 75: in modo che ogni luogo sia illuminato dalla sua luce. 77: li splendor mondani: virtù, glorie, caratteri, doti fisiche, ricchezze. 78: stabilì una guida, la Fortuna, cosicché facesse mantenere l'ecquilibrio tra gli uomini e i loro averi (virtù e ricchezze). 79: come detto prima, che trasferisse a tempo debito gli averi da una all'altra gente. 81: (la Fortuna) va oltre ogni logica umana.

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per ch'una gente impera e l'altra langue, seguendo lo giudicio di costei,

84 che è occulto come in erba l'angue. Vostro saver non ha contasto a lei: questa provede, giudica, e persegue

87 suo regno come il loro li altri dèi. Le sue permutazion non hanno triegue: necessità la fa esser veloce;

90 sì spesso vien chi vicenda consegue. Quest'è colei ch'è tanto posta in croce pur da color che le dovrien dar lode,

93 dandole biasmo a torto e mala voce; ma ella s'è beata e ciò non ode: con l'altre prime creature lieta

96 volve sua spera e beata si gode.

82: langue: sta male, s'indebolisce. 84: l'angue: il serpente. 85: contasto: non la si può contrastare, fermare. Era in uso nel toscano antico usare quel vocabolo. 87: come il loro li altri dei: come amministrano anche tutte le sue emanazioni. 88: i suoi trasferimenti non cessano mai. 89: l'obbligo che l'ha imposto Dio la fa essere veloce. 90: perciò avviene di frequente, che a qualcuno tocchi. 91 - 92: questa è la Fortuna che è tanto maledetta dagli uomini, che invece lasciandoli, dovrebbero ringraziare. Qui il poeta può darsi si rifaccia a Boezio, filosofa seguendo lui, e caratterizza di nuovo la polemica

verso la cupidigia, dicendo che colei che ti lascia ti fa riappropriare del tuo essere, e ti farà vivere non più all'ombra delle speranze di un più grande gruzzolo, ma alla luce delle tue virtù o vizi, vivendo una vita vera e significativa. 93: mentre invece la diffamano in ogni modo. 94: anche qui c'è Boezio riprendendo la divinità capricciosa che lui ha descritto, invece in Dante sale al di sopra dei dispiaceri umani e corre per il suo corso. 95: con le altre entità nate all'inizio della creazione. 96: compie il suo cerchio (per poi ripercorrere il suo giro) e si appaga del suo fare.

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Or discendiamo omai a maggior pieta; già ogne stella cade che saliva

99 quand'io mi mossi, e 'l troppo star si vieta". Noi ricidemmo il cerchio a l'altra riva sovr'una fonte che bolle e riversa

102 per un fossato che da lei deriva. L'acqua era buia assai più che persa; e noi, in compagnia de l'onde bige,

105 intrammo giù per una via diversa. In la palude va c' ha nome Stige questo tristo ruscel, quand'è disceso

108 al piè de le maligne piagge grige.

97: a maggior pièta: a più grande dolore. 98 - 99: tutte le stelle che salivano nel cielo quando io mi mossi, stanno svanendo. Il poeta parla, non dell'inizio del suo cammino (dopo il tramonto), ma bensì quello di Virgilio che lo andava a soccorrere, quindi sarà poco più della mezzanotte. Si vieta: non ci è concesso. 100 - 101: attraversammo il cerchio tagliandolo fino al margine dal quale scendere all'altro girone, all'altezza di una fonte che bolle e si riversa. 103: buia: nera. Persa: era un colore all'epoca che stava ad indicare un

rosso carminio e con Dante rimane anche il significato di persa come a voler dire irrecuperabile nel suo male. 104: bige: incerte, ambigue. 105: diversa: era uso comune che significasse malagevole, difficile, malevola. 106: sbocca nella palude che ha nome Stige. Ripreso anch'esso dall'Inferno virgiliano. 107: tristo ruscel: i commentatori antichi stanno ad indicare il significato della parola Stige come tristezza. 108: maligne piagge: quelle dell'Acheronte che si trovano all'entrata dell'Inferno.

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83

E io, che di mirare stava inteso, vidi genti fangose in quel pantano,

111 ignude tutte, con sembiante offeso. Queste si percotean non pur con mano, ma con la testa e col petto e coi piedi,

114 troncandosi co' denti a brano a brano. Lo buon maestro disse: "Figlio, or vedi l'anime di color cui vinse l'ira;

117 e anche vo' che tu per certo credi che sotto l'acqua è gente che sospira, e fanno pullular quest'acqua al summo,

120 come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.

109: tutto il mio interesse era verso quel fiume. 110: genti fangose: sono gli iracondi e gli accidiosi. I primi sono posti in modo che non tutto il corpo sia immerso e si agitano mordendo e menando non solo gli altri ma anche se stessi; gli accidiosi invece sono posti sotto l'acqua e fanno gorgogliare a galla delle bolle dalle quali Dante non riesce a carpire alcun significato se non quando Virgilio glielo spiega. A primo impatto non si capisce per quale motivo il pellegrino mette insieme irosi e accidiosi, ma è possibile che abbia ripreso gli scritti di Aristotele, San Tommaso e soprattutto Brunetto Latini suo maestro, che fanno intendere le due schiere di peccatori, collegate dalla tristezza che in un caso viene fuori con prepotenza nell'altro cova invidia, quindi i peccatori qui

messi non seppero trovare la giusta virtù per affrontare quella tristezza. C'è anche un'indicazione di Pietro Alighieri, presa poi anche da altri commentatori, che indica questo posto anche come residenza dei superbi e degli invidiosi (che però non vengono esplicitamente menzionati). Va sottolineato infine il voler mettere fuori dalla città di Dite tutti i peccati fin qui espressi, perché, qualche commentatore dice, uniti nella e dalla tristezza. 111: offeso: intristito, ammalato da quella pena. 117: anche: inoltre. Credi: creda. 118: è: vi è, c'è. 119: pullular: gorgogliare, salire a galla. Non si pensi che stiano affogando, stanno esprimendosi a parole causando quell'effetto. 120: ù che: dovunque.

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84

Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,

123 portando dentro accidïoso fummo: or ci attristiam ne la belletta negra". Quest'inno si gorgoglian ne la strozza,

126 ché dir nol posson con parola integra". Così girammo de la lorda pozza grand'arco, tra la ripa secca e 'l mézzo,

129 con li occhi vòlti a chi del fango ingozza. Venimmo al piè d'una torre al da sezzo.

121: nel limo: nel liquido stagnante e putrido. Da notare che tristezza e accidia erano spesso accomunati come sinonimi nell'antichità. 122: nel vivere sereno e dolce che anche solo per il sole, si rallegra. 123: fummo: fumo, nebbia. Vissuti nel fumo della vita, come se non l'avessero mai vissuta.

124: belletta negra: melma, fango. 125: inno: il loro dire innalzato ad inno, cosicchè si possa esprimere al meglio la loro malinconia, tristezza e rammarico verso la vita persa. 128: tra la ripa secca e 'l mézzo: camminando tra la parte asciutta e il bagnato. 130: al da sezzo: finalmente, alla fine.

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Canto Ottavo

Canto VIII, ove tratta del quinto cerchio de l'inferno e alquanto del sesto, e de la pena del peccato de l'ira,

massimamente in persona d'uno cavaliere fiorentino chiamato messer Filippo Argenti, e del dimonio Flegias e de la palude di Stige e del pervenire a la città d'inferno

detta Dite.

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Io dico, seguitando, ch'assai prima che noi fossimo al piè de l'alta torre,

3 li occhi nostri n'andar suso a la cima per due fiammette che i vedemmo porre, e un'altra da lungi render cenno,

6 tanto ch'a pena il potea l'occhio tòrre. E io mi volsi al mar di tutto 'l senno; dissi: "Questo che dice? e che risponde

9 quell'altro foco? e chi son quei che 'l fenno?". Ed elli a me: "Su per le sucide onde già scorgere puoi quello che s'aspetta,

12 se 'l fummo del pantan nol ti nasconde".

1: io dico, continuando, le cose tralasciate prima. Si intuisce subito una forma inconsueta del poetare dantesco, non ha ripreso mai tanto addietro un inizio del Canto. Ma la spiegazione ci è data dal Boccaccio e dall'Anonimo Fiorentino che si esprimono secondo la tesi che Dante abbia ripreso dopo tanto tempo il poema, questo perché dopo l'esilio, tutti gli averi rimasero a Firenze e Dante, che intanto si trovava alla corte dei Malaspina, si fece aiutare nell'ottenere i 7 Canti lasciati in patria. Un cambiamento notevole si ha a partire da questo Canto, dal quale ha inizio l'eccezionale stilistica che ha in sé la Divina Commedia; adesso salterà subito all'occhio la vivacità e la maestria del rimare sempre più cadenzato e drammatico.

4: ì: ivi, qui. Le fiammelle sono dei segnali ripresi dall'uso militare antico, e esprimono l'idea che da poco è accaduto qualcosa in quel posto, e adesso sono usate per avvisare dell'arrivo dei due pellegrini. 5: e un'altra da lontana rispondere al segnale. 6: tanto è da collegare a lungi per dire "da tanto lontano che a malapena io riuscivo ad afferrare qualcosa". 7: a Virgilio. 9: quei che 'l fenno: quelli che lo fecero. 10: sucide: sudice, melmose, schifose. 11: quello che s'aspetta: quello che aspettano coloro che hanno accesso le fiammelle. 12: fummo: fumo, nebbia. Nol ti nasconde: non te lo.

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Corda non pinse mai da sé saetta che sì corresse via per l'aere snella,

15 com'io vidi una nave piccioletta venir per l'acqua verso noi in quella, sotto 'l governo d'un sol galeoto,

18 che gridava: "Or se' giunta, anima fella!". "Flegïàs, Flegïàs, tu gridi a vòto", disse lo mio segnore, "a questa volta:

21 più non ci avrai che sol passando il loto". Qual è colui che grande inganno ascolta che li sia fatto, e poi se ne rammarca,

24 fecesi Flegïàs ne l'ira accolta.

13 - 14 - 15 - 16 - 17: la corda di un arco non spinse (pinse) mai una freccia, così veloce (isnella) nell'aria, come una barca piccola che io vidi arrivare sull'acqua e su di essa un marinaio (galeoto). Questi versi per capirli al meglio vanno letti in velocità e senza interruzioni, è l'inizio di un Canto che si intuisce drammatico e incalzante, un Canto pieno d'azione che annota lo sviluppo del poetare e che innalzerà la qualità a livelli mai visti. 18: or sè giunta anima fella: finalmente sei arrivato peccatore malvagio. 19: Flegìas: sinonimo di ardere e bruciare, figlio di Ares e Crise, ripreso dall'Eneide, il poeta lo pone qui a guardia dello Stige per via dell'ira che gli aveva causato la sua morte in

quanto sua figlia Coronide, fu messa incinta dal dio Apollo, venuto a saperlo Flegias per la rabbia furibonda incendiò il tempio che si trovava a Delfi e subito dopo venne ucciso dal dio che lo scaraventò nel Tartaro sotto un grande masso che faceva sì che non si movesse in contro alla sua ira, poiché poteva schiacciarlo. Il sommo non spiega esplicitamente il lavoro di Flegias qui, ma si presume sia quello di immergere le anime nel fiume oppure di passarle all'altra parte del fiume. A voto: invano. 20: a: per. 21: non farai altro che portarci all'altra riva. 23: rammarca: rammarica, affligge. 24: accolta: creata dalla delusione ricevuta.

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Lo duca mio discese ne la barca, e poi mi fece intrare appresso lui;

27 e sol quand'io fui dentro parve carca. Tosto che 'l duca e io nel legno fui, segando se ne va l'antica prora

30 de l'acqua più che non suol con altrui. Mentre noi corravam la morta gora, dinanzi mi si fece un pien di fango,

33 e disse: "Chi se' tu che vieni anzi ora?". E io a lui: "S'i' vegno, non rimango; ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?".

36 Rispuose: "Vedi che son un che piango". E io a lui: "Con piangere e con lutto, spirito maladetto, ti rimani;

39 ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto".

27: carca: carica, per il peso reale di Dante, anche questa immagine ripresa dal Virgilio. 28: fui: il verbo va ricollegato solo con il secondo soggetto (io). 29: segando se ne va: toccando e tagliando l'acqua, cosa che prima non faceva visto che le anime non hanno peso. 31: morta gora: la gora, spiegata dal Boccaccio, è una parte del corso d'acqua più grande che per cause naturali prende un'altra via per poi ritornare nel corso originario; il pellegrino ci aggiunge l'aggettivo morta per dare un'immagine veritiera e forte di ciò che è lì presente, che va a caratterizzarsi nella mente del lettore. 32: un pien di fango: un peccatore che

si trovava nel fiume. 33: anzi ora: prima del tempo, prima d'esser morto. 34: vegno: riprende il vieni della battuta precedente come anche "con piangere" ripreso da "piango" nei versi successivi. I modi diretti usati adesso nel rispondere e nel rimeggiare crescono sempre più fino ad arrivare ad un punto di concitazione e rappresentano un modo di dare azione e velocità che come detto prima è uno sviluppo di un Dante diverso dei primi sette Canti. 35: ma tu chi sei, che ti sei rovinato in questo modo. 36: un che piango: un dannato che paga per il suo peccato. 39: ancor sie lordo tutto: sei ignobile come lo eri prima.

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Allor distese al legno ambo le mani; per che 'l maestro accorto lo sospinse,

42 dicendo: "Via costà con li altri cani!". Lo collo poi con le braccia mi cinse; basciommi 'l volto e disse: "Alma sdegnosa,

45 benedetta colei che 'n te s'incinse! Quei fu al mondo persona orgogliosa; bontà non è che sua memoria fregi:

48 così s'è l'ombra sua qui furïosa. Quanti si tegnon or là sù gran regi che qui staranno come porci in brago,

51 di sé lasciando orribili dispregi!". E io: "Maestro, molto sarei vago di vederlo attuffare in questa broda

54 prima che noi uscissimo del lago". Ed elli a me: "Avante che la proda ti si lasci veder, tu sarai sazio:

57 di tal disïo convien che tu goda".

40: per rovesciare la barca o buttare giù Dante; com'è di intenzione degli iracondi, non voler discutere da persone composte, e passare di fatto alle mani. 41: accorto: pronto, attento a cosa potesse fare il peccatore. 44: sdegnosa: che si indigna contro il male. 45: che 'n te s'incinse: che fu incinta di te. 46: orgogliosa: va intesa nel senso più malevolo del termine cioè piena di sè, superba e arrogante. 47: essere buono con lui non farà

ricordarlo in miglior modo. 48: perciò (per l'orgoglio) lo rende qui così furioso. 49 - 50 - 51: quanti sulla Terra si reputano nobili e autorevoli, che qui marciranno come maiali, lasciando una brutta memoria di loro. Dispregi viene usato come contrario di pregi. 52: vago: desideroso. 55 - 56: prima che tu veda l'altro lato del fiume, al quale dobbiamo approdare, verrai soddisfatto. 57: convien: è giusto; perché è il volere di Dio.

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Dopo ciò poco vid'io quello strazio far di costui a le fangose genti,

60 che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio. Tutti gridavano: "A Filippo Argenti!"; e 'l fiorentino spirito bizzarro

63 in sé medesmo si volvea co' denti. Quivi il lasciammo, che più non ne narro; ma ne l'orecchie mi percosse un duolo,

66 per ch'io avante l'occhio intento sbarro.

59: fare a quel dannato dagli altri peccatori. 61: Filippo Argenti: era un cavaliere, come spiegano l'Ottimo e il Boccaccio, ricco, di grande stazza e di poca nobiltà e valore, il soprannome Argenti arriva dall'usanza che aveva del ferrare i suoi cavalli d'argento. Apparteneva ai Cavicciuli una famiglia collegata agli Adimari; alcuni commentatori antichi dicono che l'odio che il poeta provava verso lui e tutta la sua famiglia provenisse dal fatto che l'iracondo e i suoi parenti erano di parte Nera, o anche che l'Argenti avesse schiaffeggiato Dante oppure che si impadronì di tutti i suoi beni. Come dimostrato, il grande disprezzo che il pellegrino prova per il dannato, si elargisce verso tutte quelle persone e anime che si riempiono di orgoglio per un inutile e becera superiorità nella ricchezza e nell'avere, come nel sangue e nei privilegi, che cancella la nobiltà d'animo e i principi

che una persona integra moralmente deve avere. Abile è il momento del rilascio del nome, che si traduce in un'immensa emozione creata dall'attesa, prima creata a perfezione. 62: bizzarro: nell'antichità ha sinonimo di imbizzarrito, scoppiato nell'ira. 63: si volvea co' denti: potrebbe intendersi sia "si mordeva" (come era imposto a tutti gli iracondi li a soffrire), ma anche "ferito nell'orgoglio si rodeva della delusione". 64: quivi il lasciammo: qui lo abbandonammo. 65: mi percosse un duolo: mi colpì, attirò la mia attenzione un suono di dolore. 66: intento: fisso e ansioso a carpire il motivo di quel "duolo". Questa terzina sta a dimostrare proprio l'emozione e la drammaticità a cui il poeta si rivolge per concentrare sempre più l'attenzione del lettore facendone poi ammirare il nuovo spettacolo.

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Lo buon maestro disse: "Omai, figliuolo, s'appressa la città c' ha nome Dite,

69 coi gravi cittadin, col grande stuolo". E io: "Maestro, già le sue meschite là entro certe ne la valle cerno,

72 vermiglie come se di foco uscite fossero". Ed ei mi disse: "Il foco etterno ch'entro l'affoca le dimostra rosse,

75 come tu vedi in questo basso inferno". Noi pur giugnemmo dentro a l'alte fosse che vallan quella terra sconsolata:

78 le mura mi parean che ferro fosse.

68: ripreso dall'Eneide il nome Dite deriva da una divinità romana che si identificava con Ade il re degli Inferi, Dante invece lo appropria direttamente a Lucifero che dopo l'avvento di Cristo è divenuto re dell'Inferno. 69: gravi: gravati dalle pene, addolorati dalle pene. Stuolo: nell'antichità significava "esercito". 70: meschite: moschee, dizione ripresa o dall'arabo: masghid o dallo spagnolo: mezquita. Il pellegrino fa identificare il lettore creando un esempio palese a tutti: le moschee e le chiese si riescono a vedere fuori dalle città. 71: certe: chiare, distinte. Valle: la

chiama così in quanto allude al pendio che contorna l'Inferno e il fluire dello Stige attorno a Dite. 72: vermiglie: incandescenti, come ferro ardente. 74: l'affoca: le arroventa. Ripete in modi diversi fuoco, per imprimere al meglio l'immagine di quelle torri che sono anche aggettivate da rosse che va a sostituire vermiglie. 76: pur: finalmente. Alte fosse: profondi fossati che recidevano i castelli come strumento di difesa, ma che qui fanno posto ai dannati con lo Stige. 77: vallan: circondano e rendono più forte. 78: ferro: ripreso dall'Eneide virgiliana.

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Non sanza prima far grande aggirata, venimmo in parte dove il nocchier forte

81 "Usciteci", gridò: "qui è l'intrata". Io vidi più di mille in su le porte da ciel piovuti, che stizzosamente

84 dicean: "Chi è costui che sanza morte va per lo regno de la morta gente?". E 'l savio mio maestro fece segno

87 di voler lor parlar segretamente. Allor chiusero un poco il gran disdegno e disser: "Vien tu solo, e quei sen vada

90 che sì ardito intrò per questo regno. Sol si ritorni per la folle strada: pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai,

93 che li ha' iscorta sì buia contrada". Pensa, lettor, se io mi sconfortai nel suon de le parole maladette,

96 ché non credetti ritornarci mai.

79: grande aggirata: l'entrata della città non è di fronte all'inizio delle fosse con lo Stige. 80: forte: da unire a "gridò" del verso successivo, ma va bene anche in senso psicologico a Dante. 81: usciteci: uscite di qui. Non potendo fare a botte come un iracondo ha nei suoi modi, Flegìas si sfoga in questo modo dalla delusione ricevuta prima. 83: da ciel piovuti: fa riferimento alla caduta degli angeli dal Paradiso poiché seguirono Lucifero, e quindi sarebbero dei diavoli. 84: sanza morte: vivo ancora materialmente e spiritualmente. 87: secretamente: in disparte, da solo

con loro. 88: abbassarono il sentimento di disprezzo verso Dante. 90: ardito: temerario, ma starebbe meglio in sinonimo a folle come il verso avanti ci mostra. 93: iscorta: mostrata, descritta. 94: lettor: per la prima volta nel poema, e una delle prime volte nella storia della letteratura si rivolge a noi per meglio farci immedesimare. 96: ritornarci: ritornare qui, in superfice. La particella ci, già trovata altre volte, come in uso nell'italiano antico senza nominare il luogo va ad indicare il posto dove si vive abitualmente.

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"O caro duca mio, che più di sette volte m' hai sicurtà renduta e tratto

99 d'alto periglio che 'ncontra mi stette, non mi lasciar", diss'io, "così disfatto; e se 'l passar più oltre ci è negato,

102 ritroviam l'orme nostre insieme ratto". E quel segnor che lì m'avea menato, mi disse: "Non temer; ché 'l nostro passo

105 non ci può tòrre alcun: da tal n'è dato. Ma qui m'attendi, e lo spirito lasso conforta e ciba di speranza buona,

108 ch'i' non ti lascerò nel mondo basso". Così sen va, e quivi m'abbandona lo dolce padre, e io rimagno in forse,

111 che sì e no nel capo mi tenciona. Udir non potti quello ch'a lor porse; ma ei non stette là con essi guari,

114 che ciascun dentro a pruova si ricorse.

97 - 98: più di sette volte: tante volte. Riferito a basi bibliche va a mostrare un numero indeterminato. Sicurtà: coraggio e forza. 99: da gravi pericoli quando li ho incontrati. 100: disfatto: distrutto, senza parole, avvilito. 102: rifacciamo la strada percorsa, insieme e velocemente pure. 105: tòrre: togliere, impedire. Da tal: da Dio. 106: lasso: avvilito, affranto. 107: speranza buona: concreta e solvibile, proprio per indicare la mansione di "scienza" che qui Virgilio

e portato a fare. 110: dolce padre: per andare a meglio significare il bene che per Virgilio prova, e la fiducia che pone in lui. In forse: nel dubbio. 111: tenciona: nella mente si combattono i pensieri del ritorno o non di Virgilio, che va versi i diavoli per parlare loro. 112: potti: potei, in uso nell'italiano antico diffuso nell'ambiente toscano. 113: guari: a lungo, molto. 114: a pruova: correndo, come se fosse una gara. Si ricorse: si rifugiò, si ritirò.

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Chiuser le porte que' nostri avversari nel petto al mio segnor, che fuor rimase 117 e rivolsesi a me con passi rari.

Li occhi a la terra e le ciglia avea rase d'ogne baldanza, e dicea ne' sospiri:

120 "Chi m' ha negate le dolenti case!". E a me disse: "Tu, perch'io m'adiri, non sbigottir, ch'io vincerò la prova,

123 qual ch'a la difension dentro s'aggiri. Questa lor tracotanza non è nova; ché già l'usaro a men segreta porta,

126 la qual sanza serrame ancor si trova. Sovr'essa vedestù la scritta morta: e già di qua da lei discende l'erta,

129 passando per li cerchi sanza scorta, tal che per lui ne fia la terra aperta".

117: e ritornava da me con passi lenti e gravi. 118: a la terra: a terra. 119: baldanza: è lo stato d'animo che Virgilio aveva prima che i diavoli gli negassero il passaggio, cioè un carattere sicuro e coraggioso; adesso ritornando da Dante (che aveva lasciato per parlare con i demoni), è addolorato e dubbioso sul come mai non fosse riuscito a passare, e quindi bisogna intendere "m'adiri" del verso 121 come stupito, amareggiato e non arrabbiato, furioso. 120: ma guarda un po' chi mi ha negato di entrare! 121: perch'io: per quanto io. 122: prova: lotta, sfida. 123: chiunque si trovi all'interno che ci impedisce di entrare.

124: tracotanza: arroganza. 125: già l'usarono alla porta più in vista (cioè quella di entrata all'Inferno). Ripercorre i passi liturgici, in cui Cristo entrò forzatamente tramite quella porta, scardinandola, poiché chiusa dai diavoli. 127: vedestù: vedesti tu. La scritta morta: la scritta posta sulla porta dell'Inferno con i versi 1-9 del terzo Canto, ha il significato di preannuncio della morte eterna ma prende anche il significato di "colore oscuro" come Dante la descrisse quando la vide. 128: l'erta: il pendio, la discesa dell'Inferno. 129: sanza scorta: senza bisogno di protezione e guida. 130: per lui: per la sua forza.

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Canto Nono

Canto Nono, ove tratta e dimostra de la cittade c'ha

nome Dite, la qual si è nel sesto cerchio de l'inferno e

vedesi in essa la qualità de le pene de li eretici; e

dichiara in questo canto Virgilio a Dante una questione,

e rendelo sicuro dicendo sé esservi stato dentro altra

fiata.

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Quel color che viltà di fuor mi pinse veggendo il duca mio tornare in volta,

3 più tosto dentro il suo novo ristrinse. "Pur a noi converrà vincer la punga", cominciò el, "se non ... Tal ne s'offerse.

9 Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga!". Attento si fermò com'uom ch'ascolta; ché l'occhio nol potea menare a lunga

6 per l'aere nero e per la nebbia folta. I' vidi ben sì com'ei ricoperse lo cominciar con l'altro che poi venne,

12 che fur parole a le prime diverse; ma nondimen paura il suo dir dienne, perch'io traeva la parola tronca

15 forse a peggior sentenzia che non tenne.

1 - 2 - 3: il pallore nato dalla paura, che colorò il mio volto, indusse Virgilio a far tornare il suo colore originario; cioè Virgilio vedendo Dante bianco dalla paura, si calmò facendo affievolire il suo colore rosso di rabbia. In volta: indietro. 5: perché non poteva vedere a lunga distanza. Virgilio si ferma con occhi persi nel vuoto e pensa e ripensa a ciò che è successo con i diavoli prima. 6: nero: buio, cupo. 7: eppure noi vinceremo la battaglia. Punga è la forma usata nell'italiano antico poi diventata pugna. 8: a meno che... Dio offrì la sua protezione. Qui affiora un dubbio irrazionale del maestro che subito viene coperto con le parole che

seguono dette con sicurezza; Virgilio non può essere dubbioso, poiché Dante se ne mortificherebbe e creerebbe una situazione più grave. Altri commentatori leggono l'ultima parte "se n'offerse" per poi leggere "Dio tollerò che noi scendessimo qui". 9: altri: il messo dal cielo preannunciato nei versi finali del Canto precedente. 10: ricoperse: tentò di nascondere. 11: lo cominciar: la frase iniziata. Con l'altro: l'altro pezzo di frase, tanto diverso. 13: dienne: mi diede. 14 - 15: pensavo alla "parola tronca" con troppo pessimismo e non con oggettività.

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"In questo fondo de la trista conca discende mai alcun del primo grado,

18 che sol per pena ha la speranza cionca?". Questa question fec'io; e quei "Di rado incontra", mi rispuose, "che di noi

21 faccia il cammino alcun per qual io vado. Ver è ch'altra fïata qua giù fui, congiurato da quella Eritón cruda

24 che richiamava l'ombre a' corpi sui. Di poco era di me la carne nuda, ch'ella mi fece intrar dentr'a quel muro,

27 per trarne un spirto del cerchio di Giuda. Quell'è 'l più basso loco e 'l più oscuro, e 'l più lontan dal ciel che tutto gira:

30 ben so 'l cammin; però ti fa sicuro.

16: conca: fondale, baratro, l'Inferno. 17: primo grado: primo cerchio, il Limbo. 18: che hanno una sola pena e cioè quella di non poter vedere Dio. 19: question: domanda. 20: incontra: accade, succede. 23: congiurato: costretto, obbligato. Eritòn: maga tessala scritta da Lucano, e lui narra che fece ritornare un morto nel suo corpo per far sapere a Sesto Pompeo, il risultato della battaglia di Farsalo tra suo padre Pompeo Magno e Giulio Cesare. D'altro Canto anche

nell'Eneide la Sibilla che guida Enea, racconta di essere già sceso un'altra volta fino al fondo dell'Inferno. Cruda: spietata, spregevole. 25: da poco la mia carne era priva dell'anima. 26: muro: di Dite. 27: il più basso cerchio dove si trova Giuda ad espiare il suo peccato di tradimento. 29: gira: circonda. Sta parlando del Primo Mobile, spazio che si trova vicino a Dio. 30: però: perciò.

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Questa palude che 'l gran puzzo spira cigne dintorno la città dolente,

33 u' non potemo intrare omai sanz'ira". E altro disse, ma non l'ho a mente; però che l'occhio m'avea tutto tratto

36 ver' l'alta torre a la cima rovente, dove in un punto furon dritte ratto tre furie infernal di sangue tinte,

39 che membra feminine avieno e atto, e con idre verdissime eran cinte; serpentelli e ceraste avien per crine,

42 onde le fiere tempie erano avvinte.

31: sembrerebbe che Virgilio voglia riparare a ciò che ha detto prima, precisando nei dettagli l'ambiente in cui si trovano i due pellegrini, ma non spiega altre cose che Dante non abbia già visto, quindi parrebbe che voglia distrarlo da qualcosa che noterà dopo, tenendolo occupato in conversazione. Spira: esala, ventaglia. 32: cigne: circonda, avvolge. 33: u': dove. Sanz'ira: senza batterci, con le buone. 34: non l'ho a mente: libertà e se si può dire sfrontatezza nello scrivere dell'Alighieri, che in un poema tragico, lascia cadere dalla memoria, parole così preziose dette da un maestro di vita qual è Virgilio. 35: avendo attirato tutta la mia attenzione la vista che ebbi. 37: furon dritte ratto: si levarono

velocemente prima che le vedessi. 38: tre furie: parla delle Erinni, riprendendole soprattutto da Virgilio e Stazio. Nate da tre gocce dei genitali di Urano (che furono tagliati da Crono in quanto Gea, sua madre, chiese di farlo perché era addolorata dalla sorte dei suoi figli rinchiusi nel Tartaro da Urano) cadute in mare, e avevano la funzione di cambiare l'umanità in meglio ma con metodi orribili, infatti erano chiamate: Aletto detta l'Incessante (senso di colpa), Megera detta l'Invidia e Tesifone detta la Vendicatrice. In un'altra cultura, come quella da cui prende esempio Dante, erano le tre Gorgoni. 39: atto: portamento. 40: idre: serpenti d'acqua. 41: ceraste: serpenti giallognoli con due corna.

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E quei, che ben conobbe le meschine de la regina de l'etterno pianto,

45 «Guarda», mi disse, «le feroci Erine. Quest'è Megera dal sinistro canto; quella che piange dal destro è Aletto;

48 Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto. Con l'unghie si fendea ciascuna il petto; battiensi a palme, e gridavan sì alto,

51 ch'i' mi strinsi al poeta per sospetto. «Vegna Medusa: sì 'l farem di smalto», dicevan tutte riguardando in giuso;

54 «mal non vengiammo in Teseo l'assalto». «Volgiti 'n dietro e tien lo viso chiuso; ché se 'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,

57 nulla sarebbe di tornar mai suso». Così disse 'l maestro; ed elli stessi mi volse, e non si tenne a le mie mani,

60 che con le sue ancor non mi chiudessi.

43: meschine: schiave, vocabolo diffuso nel medioevo preso dall'arabo. 44: regina: Proserpina, moglie di Plutone, inserita qui come continuazione della dottrina mitologica. 48: a tanto: dopo aver detto questo. 50: a palme: era espressione di dolore delle donne, dall'antichità, battersi con le palme delle mani il corpo. 51: sospetto: paura. 52: Medusa: la minore delle Gorgoni figlia di Forco, che nei miti faceva impietrare chi la guardava negli occhi. Smalto: pietra. 54: male facemmo a non vendicare l'assalto di Teseo. Sta a rappresentare

il mito secondo il quale Teseo e Piritoo scesero nell'Inferno per rapire Proserpina a sua volta rapita da Ade, furono intrappolati da Ade, fino a quando Ercole provò a salvarli però riuscendo a liberare solo Teseo; e le Erinni pensano che non avendo vendicato l'entrare dei due, adesso, sulla Terra si pensa di poter entrare all'Inferno quando si vuole. 57: non si potrebbe più tornare sulla superfice, sulla Terra. 59: non si tenne: non gli bastò, non si fidò. 60: chiudessi: coprisse.

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O voi ch'avete li 'ntelletti sani, mirate la dottrina che s'asconde

63 sotto 'l velame de li versi strani. E già venia su per le torbide onde un fracasso d'un suon, pien di spavento,

66 per cui tremavano amendue le sponde, non altrimenti fatto che d'un vento impetuoso per li avversi ardori,

69 che fier la selva e sanz'alcun rattento

61: o voi che potete ancora pensare senza malizia e vedere le cose sì come sono in verità (in quanto tutti i personaggi all'Inferno non hanno più coscienza dell'essere). 62 - 63: sforzatevi di vedere e capire gli insegnamenti celati sotto il velo dei versi strani, misteriosi, enigmatici e complessi. L'appiglio che qui Dante ci offre sta a precisare quanto ci tenga che questo sia d'aiuto per tutti, che sia d'aiuto nel superare quello che lui ha sofferto; molti commentatori hanno espresso diversi pensieri in questa terzina, nei simboli e nelle virtù, e sorprendentemente tutti sono stati d'accordo che il poeta, in questa parte, abbia dovuto affrontare l'ostacolo maggiore, cioè quello del distaccamento dei peccati e la difficoltà nel farlo, e in allegoria si mostrano: la tentazione dei vizi (i diavoli), la vita passata (le Erinni, che come detto prima erano nate dall'odio), la disperazione (Medusa), e ci dimostra che per superare tutte queste avversità bastano la ragione

umana (Virgilio), ma per il completamento del processo di redenzione servirà la Grazia (il messo dal Cielo).Tutta la vicenda è adibita con episodi drammatici e potenti che danno vigore al poema come solo l'Alighieri sa fare. 65: l'espressione qui usata sta ad indicare la rapidità e la forza dell'emozione. 67: non diverso da un vento. 68: qui spiega scientificamente ciò che lui avverte, e cioè gli uragani estivi, che si creano dai vapori esalati dalla Terra che vanno fino all'altezza delle nuvole e li c'è la condensa tra i venti caldi dal basso e quelli freddi dall'alto che si percuotono a vicenda e che poi vanno a spostare altra aria e così via creando quel fenomeno atmosferico. Il pellegrino qui va ad immergere due fenomeni come quello scientifico e quello psicologico che va ad attirare profondamente l'attenzione del lettore e fa capire al volo ciò che lui ha provato. 69: fier: ferisce. Rattento: indugio.

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li rami schianta, abbatte e porta fori; dinanzi polveroso va superbo,

72 e fa fuggir le fiere e li pastori. Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo del viso su per quella schiuma antica

75 per indi ove quel fummo è più acerbo». Come le rane innanzi a la nimica biscia per l'acqua si dileguan tutte,

78 fin ch'a la terra ciascuna s'abbica, vid'io più di mille anime distrutte fuggir così dinanzi ad un ch'al passo

81 passava Stige con le piante asciutte. Dal volto rimovea quell'aere grasso, menando la sinistra innanzi spesso;

84 e sol di quell'angoscia parea lasso. Ben m'accorsi ch'elli era da ciel messo, e volsimi al maestro; e quei fé segno

87 ch'i' stessi queto ed inchinassi ad esso.

70: fori: fuori. 72: le fiere e li pastori: le Erinni e Flègias è da intendere visto che da questo momento non saranno più in scena. 73 - 74 - 75: Sciolse l'impedimento delle sue mani dalla mia vista e disse "Ora forza la tua vista su quella superfice schiumosa la dove quella nebbia è più fastidiosa". 76 - 77 - 78: l'episodio preso da Ovidio non va a sminuire ciò che di grande e potente c'è in quella figura ma lo attiene alla realtà e alle cose concrete come il vento e il suo ardore, Dante va

propriamente ad interagire con queste potenze e nel tema poetico va a raffigurarle come qualcosa di veritiero e autentico che crea emozioni al pellegrino ma soprattutto al lettore. S'abbica: si sottrae, si abbarbica. 80: immagine ripresa dal Vangelo, da Gesù che cammina sull'acqua. 84: lasso: infastidito, affannato. 85: da ciel messo: inviato dal cielo, che parafrasato significa angelo. Non nomina chi è, ma si può intuire che sia l'arcangelo Michele, generale degli angeli di Dio.

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Ahi quanto mi parea pien di disdegno! Venne a la porta, e con una verghetta

90 l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno. «O cacciati del ciel, gente dispetta»,

cominciò elli in su l'orribil soglia, 93 «ond'esta oltracotanza in voi s'alletta?

Perché recalcitrate a quella voglia a cui non puote il fin mai esser mozzo

96 e che più volte v'ha cresciuta doglia? Che giova ne le fata dar di cozzo? Cerbero vostro, se ben vi ricorda,

99 ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo». Poi si rivolse per la strada lorda, e non fé motto a noi, ma fé sembiante

102 d'omo cui altra cura stringa e morda che quella di colui che li è davante; e noi movemmo i piedi inver' la terra,

105 sicuri appresso le parole sante.

89: verghetta: una piccola spada. 90: ritegno: impedimento, ostacolo. 91: dispetta: diffidente, verso il volere di Dio. 93: da dove nasce questa vostra arroganza. 94 - 95 - 96: "perché indugiate al comando di quell'Amore che mai può essere impedito, e ogni volta tentaste di non seguirlo?". 97: fata: regole immutabili decretate da Dio. 98 - 99: fa riferimento all'azione di Ercole che trascinò con le catene,

Cerbero, fuori dall'Inferno. Viene inserita questa immagine, detta dall'Arcangelo Michele, poiché sta per intendere che il volere divino è più forte di qualsiasi impedimento. Pelato: poiché essendoci attrito con le catene, i peli della bestia sono stati strappati. 102: stringa e morda: si riferisce al grande fervore e al grande affetto che lo lega al Paradiso, quindi non sta nella pelle di ritornare in Paradiso. 105: appresso: dopo.

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Dentro li 'ntrammo sanz'alcuna guerra; e io, ch'avea di riguardar disio

108 la condizion che tal fortezza serra, com'io fui dentro, l'occhio intorno invio; e veggio ad ogne man grande campagna

111 piena di duolo e di tormento rio. Sì come ad Arli, ove Rodano stagna, sì com'a Pola, presso del Carnaro

114 ch'Italia chiude e suoi termini bagna, fanno i sepulcri tutt'il loco varo, così facevan quivi d'ogne parte,

117 salvo che 'l modo v'era più amaro; ché tra gli avelli fiamme erano sparte, per le quali eran sì del tutto accesi,

120 che ferro più non chiede verun'arte. Tutti li lor coperchi eran sospesi, e fuor n'uscivan sì duri lamenti,

123 che ben parean di miseri e d'offesi. E io: «Maestro, quai son quelle genti che, seppellite dentro da quell'arche,

126 si fan sentir coi sospiri dolenti?».

106: dentro li: dentro la città di Dite. 108: la situazione e le pene di quei peccatori. 110: ad ogne man: a destra e a manca. 112: Arli: Arles in Provenza, ci sono dei sepolcri creati per ospitare i guerrieri di Carlo Magno, caduti in battaglia contro gli infedeli. Stagna: bagna. 113: Pola: in Istria dove risiede un altro sepolcro. 114: termini: confini. 115: varo: vario, differente.

117: amaro: crudele. 118: perché tra gli tra le tombe le fiamme erano distribuite. Non si pensi che le fiamme erano ad ogni parte, ma circondavano le arche tombali così da arroventarle. 120: che l'arte del fabbro, non chiede che siano più roventi per lavorarlo. 121: sospesi: alzati, levati. 123: offesi: tormentati, addolorati. 125: arche: avelli di pietra, tombe di maggior volume.

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Ed elli a me: «Qui son li eresiarche con lor seguaci, d'ogne setta, e molto

129 più che non credi son le tombe carche. Simile qui con simile è sepolto, e i monimenti son più e men caldi».

132 E poi ch'a la man destra si fu vòlto, passammo tra i martiri e li alti spaldi.

127: eresiarche: creatori e comandanti di eresia. 129: allegoria delle correnti eretiche, poiché ognuna ha più seguaci di quanto paia. 130: ogni setta ha una sua arca, e i seguaci stanno insieme. 131: e i sepolcri sono in varia energia

di fuoco. Gli eretici così soffrono seguendo il modo della morte del loro corpo, cioè secondo quei tempi mandati al rogo, e sono chiusi nelle tombe poiché nascondono la loro colpa. 133: i martìri: i dolori. Alti spaldi: le mura di Dite.

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Canto Decimo

Canto Decimo, ove tratta del sesto cerchio de l'inferno e

de la pena de li eretici, e in forma d'indovinare in

persona di messer Farinata predice molte cose e di quelle

che avvennero a Dante, e solve una questione.

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Ora sen va per un secreto calle, tra 'l muro de la terra e li martìri,

3 lo mio maestro, e io dopo le spalle. "O virtù somma, che per li empi giri mi volvi", cominciai, "com'a te piace,

6 parlami, e sodisfammi a' miei disiri. La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? già son levati

9 tutt'i coperchi, e nessun guardia face". E quelli a me: "Tutti saran serrati quando di Iosafàt qui torneranno

12 coi corpi che là sù hanno lasciati. Suo cimitero da questa parte hanno con Epicuro tutti suoi seguaci,

15 che l'anima col corpo morta fanno.

1: per un secreto calle: per un sentiero stretto, angusto; ripreso dall'Eneide. 2: pensiero ripreso dalla fine del Canto IX, nei versi 133. 4: virtù somma: varie volte l'Alighieri ha ripreso gli aggettivi riguardanti Virgilio proprio per far immettere nella testa del lettore, la vera natura del personaggio, cioè quella della ragione e come prolungamento del vivere felice terreno. Inoltre questo verso, dimostra che l'esperienza poetica dello scrittore è in continuo elevarsi ad livello sempre più alto. Empi giri: cerchi infernali. 5: mi volvi: mi guidi. Queste parole inoltre danno un immagine della spirale infernale che qui è presente. 7: la domanda che qui pone il pellegrino è ovviamente intenta nel voler far di più che il solo guardarla e

analizzarla visivamente, vuole un dialogo con i dolenti del posto per dimostrarci di più. 10: tutti: riferito ai coperchi. 11: di Iosafàt: dalla valle di Giosafat, dove tutti si riuniranno con i loro corpi e sentiranno il loro giudizio. 14: gli epicurei, assoggettato in modo generale a tutta la città di Dite in quanto Epicuro fu noto per la sua filosofia secondo la quale non esistesse l'immortalità, da Dante, tacciato nel Convivio. A quei tempi il pensiero della sola vita terrena era entrato a Firenze soprattutto a causa dei ghibellini e non solo, noti per il loro materialismo. Anche se Epicuro è nato prima di Cristo, e quindi alla base non battezzato, l'Alighieri lo pone qui per la sua filosofia rimasta viva nel tempo.

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Però a la dimanda che mi faci quinc'entro satisfatto sarà tosto,

18 e al disio ancor che tu mi taci". E io: "Buon duca, non tegno riposto a te mio cuor se non per dicer poco,

21 e tu m' hai non pur mo a ciò disposto". "O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto,

24 piacciati di restare in questo loco. La tua loquela ti fa manifesto di quella nobil patrïa natio,

27 a la qual forse fui troppo molesto". Subitamente questo suono uscìo d'una de l'arche; però m'accostai,

30 temendo, un poco più al duca mio.

17: quic'entro: mentre saremo in questo luogo. 18: alla voglia che Dante non ha ancora espresso, cioè quella di parlare con qualcuno del posto. 19: riposto: nascosto, celato. 20: i miei desideri per non infastidirti col troppo parlare. Infatti Virgilio gli aveva rimproverato di essere logorroico nel terzo Canto (76 - 78) e nel Nono (86 - 87). 22: O Tosco: una voce all'improvviso spezza il dialogo tra i due amici e si rivolge al vivo, in quanto lo enuncia con "toscano". La città del foco: Dite. 23: onesto: valoroso, decoroso, elevato. Altri si esprimono dicendo devoto ma non si collegherebbe ne al carattere un po' altezzoso dell'Alighieri

ne al modo di poetare dell'epoca e neanche al modo di rispondere di quella voce. 25 - 26: la tua parlata rende noto il tuo onorevole luogo di nascita. 27: forse: ammette, almeno in parte che le sue azioni nella vita terrena non hanno avuto risultati positivi anche avendo sempre un alta dignità verso la politica e grande protezione verso il suo popolo. 29: però: perciò. 30: temendo: spaventato dall'improvvisa parola, ma sarà anche per la fulminea vista della grande personalità che si trova davanti e che, conoscendo Dante, avrebbe tanto voluto incontrarlo nella vita.

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Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s'è dritto:

33 da la cintola in sù tutto 'l vedrai". Io avea già il mio viso nel suo fitto; ed el s'ergea col petto e con la fronte

36 com'avesse l'inferno a gran dispitto.

32: Farinata: soprannominato così per via del cuoio capelluto biondino, la vera nomina è Manente degli Uberti, il personaggio più famoso della parte ghibellina. Divenne capo della sua parte nel 1239, e cacciò i guelfi da Firenze nel 1248, ritornati però questi nel 1251, fu cacciato e bandito da Firenze nel 1258 insieme alla sua la ghibellina. Si sostennero a Siena grazie al re Manfredi e ritornati in forze si batterono nella conosciuta guerra di Monteaperti nel 1260 per provare a riconquistare la città natale non riuscendoci. Dopo la sua morte nel 1264 (un anno prima della nascita di Dante), la sua famiglia, gli Uberti, venne tacciata di eresia, bandita dalla città e vennero distrutti tutti i loro possedimenti. La memoria di quest'uomo e ancora impressa come una persona terribile e violenta con gli avversari e altrettanto coraggiosa e fiera quando bisognava difendere la propria terra, infatti ne abbiamo un esempio quando grazie alla sua personalità e autorità difese Firenze dal volere del convegno di Empoli di raderla al suolo. Essendo un epicureo,

si sforzava di eccellere nella breve vita poiché non credeva in quella oltreterrena. Anche nelle parole del poeta si può osservare una grande riverenza verso quel soldato, senza però oscurare la colpa di materialismo e di quell'essere fermo solo alla vita terrena. 33: da la cintola in sù: dai fianchi fino alla testa. È uno dei tanti versi che il poeta riprende dall'uso comune e che danno immediatezza d'immagine, infatti la parola tutto da un senso di grande fisicità; questo è uno degli strumenti che più usa, che hanno semplicità espressività e valore, un modo di poetare rinnovato che non ha più bisogno di elogi, agli eroi, lunghissimi, ma che fissano per l'eternità nel poema l'immagine del personaggio. 34: viso nel suo fitto: il mio sguardo nel suo intriso. 35: s'ergea: continuando le parole dritto, petto, fronte, che vanno a dimostrare il carattere vero di Farinata: superbo e magnanimo. 36: dispitto: disprezzo.

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E l'animose man del duca e pronte mi pinser tra le sepulture a lui,

39 dicendo: "Le parole tue sien conte". Com'io al piè de la sua tomba fui, guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,

42 mi dimandò: "Chi fuor li maggior tui?". Io ch'era d'ubidir disideroso, non gliel celai, ma tutto gliel'apersi;

45 ond'ei levò le ciglia un poco in suso; poi disse: "Fieramente furo avversi a me e a miei primi e a mia parte,

48 sì che per due fïate li dispersi". "S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte", rispuos'io lui, "l'una e l'altra fïata;

51 ma i vostri non appreser ben quell'arte".

37: animose: volenterose, di farmi prendere coraggio davanti a quel valoroso. 38: pinser: portarono, recarono. 39: conte: adatte per il personaggio (quindi rispettose per la sua dignità) e per la situazione. 41: sdegnoso: come descritto prima, nel carattere di Manente risaltava la parte altezzosa. 42: li maggior tui: i tuoi antenati, ma nel dettaglio a che parte politica appartiene. 44: apersi: enunciai. 45: in suso: l'espressione dell'anima rivela il contrasto e l'astio tra le due parti, dopo aver sentito il cognome di Dante, e infatti è di sdegno il sentimento. 47: primi: antenati. Parte: fazione.

48: due fiate: due volte. Nel 1248 e nel 1260. 49: cacciati: riforma il "dispersi" di Farinata in quanto, come dirà più avanti, la sua parte cioè i Guelfi ritornarono a Firenze "l'una e l'altra fiata", e chi furono dispersi fu proprio la compagine avversaria agli Alighieri. Come si può vedere, ciò che toccava molto più che l'onore personale era la l'onore familiare o nobiliare, tanto che alcune volte si emanavano statuti che obbligavano a non rinfacciare alla parte nemica la loro sconfitta. D'ogne parte: da ogni luogo dove si furono rifugiati. 50: l'una e l'altra fiata: nel 1251 e nel 1267. 51: quell'arte: la capacità di ritornare.

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Allor surse a la vista scoperchiata un'ombra, lungo questa, infino al mento:

54 credo che s'era in ginocchie levata. Dintorno mi guardò, come talento avesse di veder s'altri era meco;

57 e poi che 'l sospecciar fu tutto spento, piangendo disse: "Se per questo cieco carcere vai per altezza d'ingegno,

60 mio figlio ov'è? e perché non è teco?".

52: Allora si alzò alla vista della tomba scoperchiata. 53: infino al mento: si può dedurre che l'ombra apparsa era in ginocchio. 55: talento: desiderio. 57: 'l sospecciar: il sospetto, il dubbio. Chi si è levato ora è Cavalcante dei Cavalcanti padre di Guido grande amico di Dante; bravo e ricco cavaliere che seguì la corrente di Epicuro, cosa che lo pone qui, e guelfo tanto che fu avversario di Farinata negli anni delle lotte a Firenze. 59: per altezza d'ingegno: per merito delle tue capacità. Cavalcante sembra supporre che l'Alighieri attraversi l'Inferno affidandosi solo alle sue forze, concetto basato nella mentalità epicurea che crede solo nelle virtù terrene.

60: mio figlio: chiede di suo figlio in quanto pensa che le capacità di suo figlio siano eguali o se non addirittura superiori a quelle del pellegrino, a fronte del bene paterno. Guido Cavalcanti era stato il letterato di maggior rilievo nella fine del Duecento poiché aveva dato delle linee nel rimare, stilizzando la lingua e accurando la coerenza. È insieme a lui che Dante scriverà le sue prime rime lo riporterà come "primo de li suoi amici". Uomo sdegnoso e solitario per il suo orgoglio di intellettuale, epicureo come suo padre; decise di entrare nella parte bianca dei guelfi verso la fine quando Dante nominato tra i priori lo allontanò a Sarzana, nel 1300, dove morì pochi mesi dopo per una malattia.

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E io a lui: "Da me stesso non vegno: colui ch'attende là, per qui mi mena

63 forse cui Guido vostro ebbe a disdegno". Le sue parole e 'l modo de la pena m'avean di costui già letto il nome;

66 però fu la risposta così piena. Di sùbito drizzato gridò: "Come? dicesti "elli ebbe"? non viv'elli ancora?

69 non fiere li occhi suoi lo dolce lume?". Quando s'accorse d'alcuna dimora ch'io facëa dinanzi a la risposta,

72 supin ricadde e più non parve fora.

61: da me stesso: per la mia volontà e per le mie capacità. 62: Virgilio che attende la mi guida per questo luogo. 63: questo è un verso dei più vari rappresentativi del poema a cui non è stata data ancora una traduzione precisa. Due sono le interpretazioni che più si sono accostate tra i vari commentatori: "mi conduce se potrò arrivarci, da colei (Beatrice), cui il vostro Guido ebbe a disdegno" o da colui cioè Dio. Nel caso di Beatrice bisogna intenderla come simbolo e cioè come la fede come sia anche per Dio, e non essendoci nessun particolare n? nel linguaggio né nel registro, scegliere tra le due figure è pressocché impossibile. Chiaramente Dante si riferisce alla corrente eretica a cui Guido Cavalcanti come suo padre aveva aderito e che come loro

principio non hanno pensiero della vita oltreterrena. 65: letto: inteso, compreso. 66: però: perciò. 67: di subito drizzato: è un'azione improvvisa e veloce di Cavalcanti che preso dall'angoscia dell'aver capito (male) che suo figlio non è più in vita, quasi si getta al bordo dell'arca per sentirci meglio. 69: fiere: ferisce. Lo dolce lume: la dolce luce del sole. 70 - 71: quando si accorse che io indugiavo nel rispondere. Il dubbio dell'Alighieri che crea esitazione in lui è dato dal fatto che, convinto da Caronte e Ciacco che avevano guardato al suo futuro e il secondo anche il presente, non sa spiegarsi in quell'attimo come mai Cavalcante non ha agli occhi la vita di suo figlio.

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Ma quell'altro magnanimo, a cui posta restato m'era, non mutò aspetto,

75 né mosse collo, né piegò sua costa; e sé continüando al primo detto, "S'elli han quell'arte", disse, "male appresa,

78 ciò mi tormenta più che questo letto. Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge,

81 che tu saprai quanto quell'arte pesa. E se tu mai nel dolce mondo regge, dimmi: perché quel popolo è sì empio

84 incontr'a' miei in ciascuna sua legge?".

73: a cui posta: a richiesta del quale. 74: restato: fermato. Farinata si esclude completamente dalla scena con Cavalcante perché è tutto intento a pensare alla sconfitta del suo partito, come parallelamente il padre di Guido è estraneo alla passione politica sua. Questo ingegnoso trucco del poeta rappresenta un modo per affinare l'immagine dei due che vengono accomunati dalla stessa angoscia però divisi sul motivo. 76: e sé continuando: seguendo il discorso iniziato prima. 78: dice che se i suoi non hanno vinto per tornare a Firenze, questo lo tormenta più della pena a cui adesso è rivolto nella tomba per giudizio divino. 79 - 80 - 81: non ritornerà piena

cinquanta volte la luna, non passeranno cinquanta mesi. "La donna che qui regge" è Proserpina moglie di Plutone dagli antichi identificata con Luna. Parla dell'inizio dell'esilio di Dante da Firenze che, partendo dal 1300 nel mese di aprile si conterà fino al 1304, maggio, mese nel quale il pellegrino verrà esiliato, quindi una formula per sorprendere il lettore di quei tempi. 82: e se tornerai nel dolce mondo. 83: quel popolo: i fiorentini. 84: incontr'a': sono avversi. Gli Uberti, dopo la seconda sconfitta, furono completamente banditi dalla città tanto che si dice che negli atti comunali si udivano cose contro loro, per odio e orrore.

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Ond'io a lui: "Lo strazio e 'l grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso,

87 tal orazion fa far nel nostro tempio". Poi ch'ebbe sospirando il capo mosso, "A ciò non fu' io sol", disse, "né certo

90 sanza cagion con li altri sarei mosso. Ma fu' io solo, là dove sofferto fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,

93 colui che la difesi a viso aperto". "Deh, se riposi mai vostra semenza", prega' io lui, "solvetemi quel nodo

96 che qui ha 'nviluppata mia sentenza.

85 - 86: parla della battaglia di Monteaperti, nella quale si racconta che il fiume Arbia fu colorato di rosso dal tanto sangue sparso, e Dante non si limita con le parole nel criticare quella battaglia che tanto fece male alla gente fiorentina. 87: tali considerazioni fa prendere negli ambienti comunali. Parla del bando d'esilio fatto ai combattenti della battaglia fatto contro lui per quella aberrante battaglia. 88: adesso vengono fuori i sentimenti umani, dopo la schematica e ideologica tenzone dei due, si sente tutto il risentimento accorso dalla guerra fatta che non aveva fini superiori e nobili, ma quelli di difendere la propria casata. Da qui si ricomincia a seguire con emozione ogni parola del poeta che con rammarico ma anche rabbia espleta ciò che è successo, ponendo adesso il sentimento prima di qualsiasi cosa

e si vede Farinata che smarrito china la testa dopo essere stato una statua, poiché adesso ha bene a mente il male che a creato e dopo qualche verso cercherà una giustificazione del suo essere parlando della difesa dalla distruzione di Firenze, che doveva essere decisa nel convegno di Empoli. 90: sanza cagion: senza una motivazione importante; quella di ritornare nella sua patria. 91 - 92: come detto prima, a Empoli si decise di distruggere per sempre Firenze, ma l'unico che si oppose fu proprio Farinata. Sofferto: tollerato. Tòrre via: eliminare, distruggere. 93: mettendomi apertamente e in modo deciso contro chiunque. Riporta un'immagine cavalleresca cioè a viso aperto quindi a visiera alzata. 94: che Dio vi faccia riposare per quanto sia possibile. 95 - 96: scioglietemi quel dubbio che imbrogliato i miei pensieri.

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El par che voi veggiate, se ben odo, dinanzi quel che 'l tempo seco adduce,

99 e nel presente tenete altro modo". "Noi veggiam, come quei c' ha mala luce, le cose", disse, "che ne son lontano;

102 cotanto ancor ne splende il sommo duce. Quando s'appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; e s'altri non ci apporta,

105 nulla sapem di vostro stato umano. Però comprender puoi che tutta morta fia nostra conoscenza da quel punto

108 che del futuro fia chiusa la porta". Allor, come di mia colpa compunto, dissi: "Or direte dunque a quel caduto

111 che 'l suo nato è co' vivi ancor congiunto;

97: veggiate: da unire con dinanzi del verso 98, e sta a significare: prevediate, vedete prima. Odo: intendo, capisco. 98: quel che il tempo porta con se. 99: e riguardo al presente obbedite a un'altra regola. 100: come quei c'ha mala luce: come quelli che alla vista annebbiata. 102: solo alcune volte ci splende la verità della luce di Dio. Qui il dannato si esprime nel modo di chiarire a Dante come mai Cavalcante prima li ha posto quella domanda; quello che loro vedono solo delle volte è il futuro poiché nella vita terrena non hanno creduto nella vita terrena adesso potranno solo vedere nell'eternità e man mano che si avvicina il tempo il

loro prevedere si affioca sempre più fino a non riuscire a vedere il loro presente. 104: s'altri non ci apporta: se altri, venendo, non ci informa. 107: dopo il giudizio universale, quando non ci sarà neanche il futuro, poiché le cose saranno immutabili. Si sente in questi versi detti da Farinata, una drammaticità in più, perché dopo il giudizio universale non avranno nè il presente nè il futuro, vivranno in un eterno mai. 109: di mia colpa compunto: rimorso dalla mia colpa. 110: a quel caduto: a Cavalcante. 111: che suo figlio (Guido) è ancora tra i vivi.

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e s'i' fui, dianzi, a la risposta muto, fate i saper che 'l fei perché pensava

114 già ne l'error che m'avete soluto". E già 'l maestro mio mi richiamava; per ch'i' pregai lo spirto più avaccio

117 che mi dicesse chi con lu' istava. Dissemi: "Qui con più di mille giaccio: qua dentro è 'l secondo Federico

120 e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio". Indi s'ascose; e io inver' l'antico poeta volsi i passi, ripensando

123 a quel parlar che mi parea nemico. Elli si mosse; e poi, così andando, mi disse: "Perché se' tu sì smarrito?".

126 E io li sodisfeci al suo dimando.

112: a la risposta muto: la risposta non concessa prima a Cavalcante. 116: più avaccio: più in fretta, più rapidamente. 118: più di mille: è il valore indefinito che il poeta usa più volte per dire "moltissimo". 119: secondo Federico: parla di Federico II si Svevia a cui Dante prospettava tanto rispetto come imperatore, e l'averlo messo insieme a Farinata fa capire che non molto lontana la lode che pone a quest'ultimo. Come da lui raccontato, questo sovrano, era epicureo e si dice che personalmente attraversava tutti i luoghi delle Sacre Scritture per affermare che non esisteva altra vita all'infuori di quella terrena.

120: 'l Cardinale: Ottaviano degli Ubaldini, che è stato Vescovo di Bologna dal 1240 al 1244 e Cardinale dal 1245 fino alla sua morte nel 1273. Era parente di famiglia ghibellina, eretico, ateo e materialista (cosa per il quale sicuramente si era avviato alla carriera ecclesiastica), ed è rimasta a noi una sua famosa frase: "Io posso dire, se c'è anima, io l'ho perduta per parte ghibellina". 121: s'ascose: ritornò a giacere nel suo letto. 123: nemico: ostile, parla di quella profezia pronunciata a Farinata che prevede la cacciata di Dante da Firenze. 126: gli spiegai il motivo della mia angoscia e smarrimento.

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"La mente tua conservi quel ch'udito hai contra te", mi comandò quel saggio;

129 "e ora attendi qui", e drizzò 'l dito: "quando sarai dinanzi al dolce raggio di quella il cui bell'occhio tutto vede,

132 da lei saprai di tua vita il vïaggio". Appresso mosse a man sinistra il piede: lasciammo il muro e gimmo inver' lo mezzo

135 per un sentier ch'a una valle fiede, che 'nfin là sù facea spiacer suo lezzo.

129: attendi qui: stai bene attento a quello che dirò ora. E drizzo 'l dito: è volontà di chi parla, che le sue parole siano più impresse e toccate da chi ascolta, ed era di quei tempi uso alzare il dito quando si facevano giuramenti. 131: quella: Beatrice. Tutto vede: perché illuminata da Dio. 132: il poeta mostra l'attendere del suo futuro da Beatrice, donna amata,

invece chi gli rivelerà il corso della sua vita è Cacciaguida il suo antenato. a notare la sincronia usata dal poeta tra "vita" e "viaggio". 134: lo mezzo: nel mezzo di quel girone. 135: fiede: va a finire. La valle è il baratro che si apre dopo il seguente cerchio. 136: dove eravamo noi si faceva sentire suo puzzo.

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Canto Undicesimo

Canto undecimo, nel quale tratta de' tre cerchi disotto d'inferno, e distingue de le genti che dentro vi sono

punite, e che quivi più che altrove; e solve una questione.

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In su l'estremità d'un'alta ripa che facevan gran pietre rotte in cerchio,

3 venimmo sopra più crudele stipa; e quivi, per l'orribile soperchio del puzzo che 'l profondo abisso gitta,

6 ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio d'un grand'avello, ov'io vidi una scritta che dicea: 'Anastasio papa guardo,

9 lo qual trasse Fotin de la via dritta'. "Lo nostro scender conviene esser tardo, sì che s'ausi un poco in prima il senso

12 al tristo fiato; e poi no i fia riguardo". Così 'l maestro; e io "Alcun compenso", dissi lui, "trova che 'l tempo non passi

15 perduto". Ed elli: "Vedi ch'a ciò penso".

1: sull'orlo di un riva, dalla quale si scenderà al girone seguente. Verra presentata e descritta nel Canto dodicesimo come franosa e malmessa. 3: più crudele stipa: più crudele ammassamento, meglio: più orribile colpa dove i dannati a lei collegati sono stivati tutti in un luogo. 4: soperchio: eccesso. 5: puzzo: che gitta (esala) dalla parte più profonda dell'Inferno, come se Dante volesse rappresentare i vizi e le colpe più spregevoli come fogna dell'umano. 6: raccostammo: indietreggiammo fino a coprirci.

7: scritta: epiteto. 8: Anastasio: parla di Anastasio II papa dal 496 al 498. Il poeta riprende per punto la tradizione secondo la quale si allontanò dalla fede avvicinando Fotino, un noto eretico, vescovo di Sirmio, idea poi erronea poichéle lettere del papa andavano contro quella corrente e infatti combatté in Gallia l'eresia generazionista. 10: tardo: ritardato da una sosta. 11: si avezzi, si abitui un poco l'olfatto. 12: poi no i fia riguardo: poi non ci si farà più caso. 13 - 14: il tempo che non viene perso trova la sua ricompensa.

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"Figliuol mio, dentro da cotesti sassi", cominciò poi a dir, "son tre cerchietti

18 di grado in grado, come que' che lassi. Tutti son pien di spirti maladetti; ma perché poi ti basti pur la vista,

21 intendi come e perché son costretti. D'ogne malizia, ch'odio in cielo acquista, ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale

24 o con forza o con frode altrui contrista. Ma perché frode è de l'uom proprio male, più spiace a Dio; e però stan di sotto

27 li frodolenti, e più dolor li assale. Di vïolenti il primo cerchio è tutto; ma perché si fa forza a tre persone,

30 in tre gironi è distinto e costrutto.

17 - 18: ci sono altri tre cerchi, come quelli che hai visto ma più piccoli, e come loro digradanti. 20 - 21: affinché da adesso ti basterà solo la vista per intendere come (in quale ordine) loro sono puniti e perché (moralmente), senza che siano d'aiuto altri chiarimenti. Costretti: ammassati e obbligati. 22 - 23 - 24: ogni peccato, che arreca odio di Dio a chi lo commette, ha il fine di un'ingiustizia, che è violazione delle leggi naturali e umane, fatta con la violenza o con l'inganno. L'ingiustizia che qui intende il poeta è quella voluta o incontinente che distingue i peccatori: la prima è quella che più degrada l'uomo e che sottomette ad un fine malefico la

facoltà che più distingue gli uomini, la ragione, e queste anime infatti sono messe in un più basso e doloroso Inferno. Dante, di sicuro, aveva qui in mente il passo del De Officiis di Cicerone, che attesta la colpa maggiore in una frode, quindi ha anche un valore giuridico di maggior sfavore nei rapporti umani. Altrui Contrista: arreca danno altrui. 25 - 26: poiché la frode è peculiarità malvagia dell'uomo, più addolora Dio; Avvalora i versi precedenti. 28: di violenti, il primo cerchio (di quelli che rimangono) è pieno. 29 - 30: poiché si fa violenza in tre persone (Dio, se stessi e il prossimo), in tre gironi è diviso ma al tempo stesso collegato in una sua struttura.

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A Dio, a sé, al prossimo si pòne far forza, dico in loro e in lor cose,

33 come udirai con aperta ragione. Morte per forza e ferute dogliose nel prossimo si danno, e nel suo avere

36 ruine, incendi e tollette dannose; onde omicide e ciascun che mal fiere, guastatori e predon, tutti tormenta

39 lo giron primo per diverse schiere. Puote omo avere in sé man vïolenta e ne' suoi beni; e però nel secondo

42 giron convien che sanza pro si penta qualunque priva sé del vostro mondo, biscazza e fonde la sua facultade,

45 e piange là dov'esser de' giocondo.

32: la violenza può essere fatta alle tre persone, nelle loro cose e in loro stesse. 33: con aperta ragione: con un ragionamento più chiaro e comprensivo. 34: morte violenta e ferite dolenti, sono le tipologie di colpe contro il prossimo. 35 - 36: e nel suo avere, distruzioni di beni, incendi ed estorsioni. 37: mal fiere: ferisce commettendo un assassinio. 38: guastatori: artefici di distruzioni e incendi. Predoni: autori di ricatti. 39: in gironi sono strutturati in modo di forza maggiore e quindi in ordine inverso con cui sono state elencate nel verso 31. Quindi si commette una violenza maggiore quando il legame d'amore è più forte: l'amore verso se

stessi è più forte di quello verso gli altri, così come quello verso Dio è più forte di quello verso se stessi. Per diverse schiere: raggruppati anche diversamente secondo la propria colpa. 40: in sé: suicidio. 41: ne' suoi beni: sperperatore dei propri averi. 42: sanza pro: senza beneficio. 44: biscazza e fonde: sperpera il proprio denaro nel gioco d'azzardo e consuma la sua proprietà. Biscazza è un termine da cui ha derivazione bisca, comunemente oggi usato. 45: e piange nel mondo dove invece dev'essere felice. Dante intende allo sperperatore che dopo aver perso tutto piange "ne l'aere dolce che dal sol s'allegra".

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Puossi far forza ne la deïtade, col cor negando e bestemmiando quella,

48 e spregiando natura e sua bontade; e però lo minor giron suggella del segno suo e Soddoma e Caorsa

51 e chi, spregiando Dio col cor, favella La frode, ond'ogne coscïenza è morsa, può l'omo usare in colui che 'n lui fida

54 e in quel che fidanza non imborsa. Questo modo di retro par ch'incida pur lo vinco d'amor che fa natura;

57 onde nel cerchio secondo s'annida

46: Puossi: si può. Da notare la ripetizione dell'inizio concetto: si pòne, puote omo. Far violenza contro la deitade: far violenza contro la divinità. 47: negando con le sue parole di offesa, l'esistenza di Dio o disprezzando le sue leggi e i suoi schemi. 49: il terzo e il più stretto cerchio afferma il suo volere. 50: Soddoma: i sodomiti, colore che peccano contro natura (omosessuali), derivante da Sodoma. Caorsa: Cahors, città francese che a detta degli scritti di allora, era una città colma di usurai e speculatori. 52: la frode, Dante la classifica come un peccato abominevole, poiché come detto prima fa ricorso alla ragione, e al contrario dei peccati di incontinenza, che la offuscano, la usano per fare del

male al prossimo, quindi si è consapevoli e la coscienza è "morsa". 53: può usare la frode in una persona che ha fiducia in lui. 54: oppure contro chi può non avere fiducia in lui. 55: questo detto per ultimo: fare frode contro chi non si fida. 56: soltanto sul vincolo d'amore naturale che c'è tra gli uomini. Come per i violenti, anche per i truffatori c'è una divisione per categorie, e lo schema viene creato secondo quanto più il sentimento è forte, per cui chi froda gli amici e i parenti sarà castigato con una pena maggiormente dolorosa poiché spezza sia il sentimento d'amore e sia quello di fraternità. 57: nel cerchio secondo: secondo dei tre descritti ora, ottavo rappresentando l'Inferno.

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ipocresia, lusinghe e chi affattura, falsità, ladroneccio e simonia,

60 ruffian, baratti e simile lordura. Per l'altro modo quell'amor s'oblia che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto,

63 di che la fede spezïal si cria; onde nel cerchio minore, ov'è 'l punto de l'universo in su che Dite siede,

66 qualunque trade in etterno è consunto". E io: "Maestro, assai chiara procede la tua ragione, e assai ben distingue

69 questo baràtro e 'l popol ch'e' possiede.

58: l'ottavo, verrà anch'esso diviso in categorie chiamate bolge. Ipocrisia: sesta bolgia. Lusinghe: adulatori, seconda bolgia. Chi affattura: maghi e indovini, quarta bolgia. 59: falsità: falsari del denaro, decima bolgia. Ladroneccio: ladri, settima bolgia. Simonia: ecclesiastici accusati di assolvere i peccati della gente in cambio di denaro, terza bolgia. 60: ruffian: leccapiedi, prima bolgia. Baratti: barattieri, quinta bolgia. Simile lordura: consiglieri di frode nell'ottava bolgia e operatori di scismi nella nona bolgia. Con le ultime parole Virgilio mostra schifo nel descrivere questi annidamenti e non avrebbe voglia neanche nel nominarle, questo è il motivo di una non organizzazione del parlarne.

61 - 62 - 63: per l'altro modo: con l'altro modo, la frode versi chi si fida anche chiamato tradimento. S'oblia: s'avversa, si rovina, anche il sentimento aggiunto che si crea (cria) tra due persone, quale può essere: un debito di riconoscenza, il dovere dell'ospitalità, un legame di parentela, un compatriota. 64 - 65 - 66: nel cerchio minore: il più stretto e dolente, il nono cerchio, dove secondo la concezione Tolemaica dell'universo, risiede Lucifero (Dite), e dove chiunque tradisce è tormentato per l'eternità. 68: il tuo ragionamento, e molto bene distingue le varie parti. 69: e 'l popol che possiede: e dannati qui torturati.

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Ma dimmi: quei de la palude pingue, che mena il vento, e che batte la pioggia,

72 e che s'incontran con sì aspre lingue, perché non dentro da la città roggia sono ei puniti, se Dio li ha in ira?

75 e se non li ha, perché sono a tal foggia?". Ed elli a me "Perché tanto delira", disse, "lo 'ngegno tuo da quel che sòle?

78 o ver la mente dove altrove mira? Non ti rimembra di quelle parole con le quai la tua Etica pertratta

81 le tre disposizion che 'l ciel non vole,

70: quei de la palude pingue: gli iracondi della palude viscida e melmosa. 71: che mena il vento: i lussuriosi avvolti dalla bufera. Che batte la pioggia: i golosi prostrati sotto l'acqua. 72: gli avari e i prodighi che s'ingiuriano l'un l'altri. 73 - 74 - 75: perché tutti questi non sono puniti all'interno di Dite, la città di color ruggine (roggia), se Dio li odia, e se non li odia, perché sono messi sotto tormento? 76 - 77: devia dalla retta via che si è soliti seguire. 78: ovvero la tua ragione a cos'altro pensa. Seguendo il ragionamento di Dante, si pensa che il pellegrino miri alla dottrina secondo la quale, tutte le colpe siano uguali di fronte Dio, pensata da alcuni teologi del Trecento. 80: la tua Etica: l'Etica Nicomachea

scritta da Aristotele e studiata dal poeta. Pertratta: descrive ampiamente. 81 - 82 - 83: le tre categorie che Dio disdegna. Come già prima, qui si riafferma l'idea della colpa, avente una diversa gravità, e con l'introduzione all'Etica il poeta, nelle parole di Virgilio, vuole dimostrare che l'incontinenza è meno forte delle altre perché è eseguita senza coscienza del male. Però il concetto di "matta bestialitade" non si riconduce propriamente ai traditori se non pensando: la folle bestialità del tradire il prossimo con ragione e malizia. Una cosa notevole poi è il far espletare e descrivere il volere della divinità da un pagano, Virgilio, che si rifà ad altri due pagani: Cicerone per la giustizia e Aristotele per la morale.

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incontenenza, malizia e la matta bestialitade? e come incontenenza

84 men Dio offende e men biasimo accatta? Se tu riguardi ben questa sentenza, e rechiti a la mente chi son quelli

87 che sù di fuor sostegnon penitenza, tu vedrai ben perché da questi felli sien dipartiti, e perché men crucciata

90 la divina vendetta li martelli". "O sol che sani ogne vista turbata, tu mi contenti sì quando tu solvi,

93 che, non men che saver, dubbiar m'aggrata. Ancora in dietro un poco ti rivolvi", diss'io, "là dove di' ch'usura offende

96 la divina bontade, e 'l groppo solvi". "Filosofia", mi disse, "a chi la 'ntende, nota, non pure in una sola parte,

99 come natura lo suo corso prende dal divino 'ntelletto e da sua arte; e se tu ben la tua Fisica note,

102 tu troverai, non dopo molte carte,

86: rechiti a la mente: torni alla tua memoria, ricordati. 87: sù di fuor: sopra, fuori dalla città di Dite. 88 - 89 - 90: capirai perché (li altri peccatori) siano da questi malvagi distinti, e perché la giustizia di Dio li offenda meno. 92: solvi: risolvi i miei dubbi. 93: il dubbiare mi è più grato del sapere, poiché ho più piacere quando tu me lo sciogli e ricevo i tuoi insegnamenti. 94 - 95 - 96: torna ancora un po' indietro al tuo ragionamento, là dove

hai parlato dell'usura che offende Dio, e sciogli il nodo. 97: Filosofia: il pensiero aristotelico. 98: non in una sola parte, ma in molte. 99 - 100: la natura procede secondo la volontà divina, tanto da poter essere chiamata l'arte di Dio. 101: la tua Fisica: come prima per la "Filosofia". 102 - 103: senza andare troppo oltre nella tua lettura. Nel libro II Aristotele dice che l'arte, e cioè lo sviluppo umano conduce a perfezione la natura e la imita quando può. Quella: la natura.

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che l'arte vostra quella, quanto pote, segue, come 'l maestro fa 'l discente;

105 sì che vostr'arte a Dio quasi è nepote. Da queste due, se tu ti rechi a mente lo Genesì dal principio, convene

108 prender sua vita e avanzar la gente; e perché l'usuriere altra via tene, per sé natura e per la sua seguace

111 dispregia, poi ch'in altro pon la spene. Ma seguimi oramai che 'l gir mi piace; ché i Pesci guizzan su per l'orizzonta,

114 e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace, e 'l balzo via là oltra si dismonta".

104: come l'apprendista segue il maestro. 105: cosicché, come la natura è figlia di Dio, e il vostro lavoro segue la natura, si può dire il vostro fare è nipote di Dio. 106 ... 111: dalla natura e dall'industria dell'uomo, parla anche la Genesi, che descrive di come l'uomo si svilupperà e porrà le basi del suo sostentamento; e l'usuriere invece usa la via del denaro che crea denaro, che in sè non apporta ricchezza e sviluppo,

e così disprezza la natura e al lavoro e quindi fa violenza indirettamente a Dio.113: la costellazione dei Pesci si trova poco prima di quella dell'Ariete dove risiede il sole quindi si trovano quasi a due ore prima dell'alba. 114: e l'Orsa Maggiore sta nella direzione del vento di Maestrale, andando a portare la notte dall'altra parte del pianeta. 115: e un po' più in la si potrà discendere al girone successivo.

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Canto Dodicesimo

Canto XII, ove tratta del discendimento nel settimo cerchio d'inferno, e de le pene di quelli che fecero forza in

persona de' tiranni, e qui tratta di Minotauro e del fiume del sangue, e come per uno centauro furono scorti

e guidati sicuri oltre il fiume.

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Era lo loco ov'a scender la riva venimmo, alpestro e, per quel che v'er'anco,

3 tal, ch'ogne vista ne sarebbe schiva. Qual è quella ruina che nel fianco di qua da Trento l'Adice percosse,

6 o per tremoto o per sostegno manco, che da cima del monte, onde si mosse, al piano è sì la roccia discoscesa,

9 ch'alcuna via darebbe a chi sù fosse: cotal di quel burrato era la scesa; e 'n su la punta de la rotta lacca

12 l'infamïa di Creti era distesa che fu concetta ne la falsa vacca; e quando vide noi, sé stesso morse,

15 sì come quei cui l'ira dentro fiacca.

2: alpestro: strada dirupata senza sentiero, deriva da Alpi che stava anche a significare ambiente selvaggio, poco agevole. Per quel che v'er'anco: e anche per quello che si poteva vedere (il Minotauro, fatto entrare in scena nel verso 12). 3: schiva: poco disposta a guardarlo. 4: ruina: frana, crollo. 5 - 6: nella valle di Trento l'Adige colpì. Quasi sicuramente qui l'Alighieri si riferisce allo scritto di Alberto Magno, nel quale si discute delle cause di queste frane, e c'è un accenno all'episodio della città di Trento e dell'Adige che vennero coperti dai detriti, e come nel libro, non si era certi se fosse stato provocato da un terremoto o da un erosione (sostegno manco).

8 - 9: ci dice che adesso con quella valanga si era modificato il burrone che c'era prima, e che essendo stato dritto nella sua scesa non permetteva di scalarlo, come invece adesso si poteva in modo però poco agevole. 10: burrato: burrone. 11: punta: orlo. Lacca: costa della montagna. 12: l'infamia di Creti: il Minotauro, la vergogna di Creta. Nato dallo sporco amore di Pasife (moglie di Minosse) per un toro; domandato a Dedalo di costruirle una giovenca di legno, ci si mise dentro e avvenne l'orribile concezione. 13: concetta: concepita. 15: fiacca: sopraffà, vince, sopravvale e così dentro consuma.

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Lo savio mio inver' lui gridò: "Forse tu credi che qui sia 'l duca d'Atene,

18 che sù nel mondo la morte ti porse? Pàrtiti, bestia, ché questi non vene ammaestrato da la tua sorella,

21 ma vassi per veder le vostre pene". Qual è quel toro che si slaccia in quella c' ha ricevuto già 'l colpo mortale,

24 che gir non sa, ma qua e là saltella, vid'io lo Minotauro far cotale; e quello accorto gridò: "Corri al varco;

27 mentre ch'e' 'nfuria, è buon che tu ti cale".

17: 'l Duca d'Atene: Teseo, figlio di Egeo re di Atene, fu il protagonista che ammazzò l'orrendo Minotauro per liberare la sua terra dalla promessa di portare giovani e fanciulle come pasto, e con l'aiuto della figlia di Minosse, Arianna, che gli offrì un filo per ritrovare la strada del labirinto nel quale la bestia era messa. 20: sorella: per parentela di madre. 21: vassi: fa il suo viaggio. Potrà sembrare in quest'ultimo verso che Virgilio voglia calmare il Minotauro rammentandogli che Dante non è qui per fargli del male ma per raccontare i loro peccati e orrori, invece riporta alla sua mente la sconfitta che sofferse all'aggiunta del tradimento della sorella. Il Minotauro viene più volte ripreso dai commentatori come guardiano del solo settimo girone, ma come il poeta ha spiegato nel Canto

precedente, i peccatori che antecedono adesso hanno colpe di malizia e quindi d'ingegno, invece la bestia ha un'ira irrazionale, questo perché l'Alighieri ha ben pensato di porlo sulla punta del precipizio, proprio a definire la fine di quel genere di colpe e in più a collegare i fatti che oltre accadranno. 22: qual è quel toro che s'inferocisce proprio in quel momento. Ripreso dall'Eneide, il poeta porta ancora più alla realtà l'azione d'offesa ricevuta della bestia e come tale si muove. 26: e quello accorto: Virgilio sempre savio e pronto a risolvere le gravi situazioni. Al varco: come detto prima, non erano ancora passato al girone successivo. 27: mentre è colpito dall'ira, conviene che tu discenda.

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Così prendemmo via giù per lo scarco di quelle pietre, che spesso moviensi

30 sotto i miei piedi per lo novo carco. Io gia pensando; e quei disse: "Tu pensi forse a questa ruina, ch'è guardata

33 da quell'ira bestial ch'i' ora spensi. Or vo' che sappi che l'altra fïata ch'i' discesi qua giù nel basso inferno,

36 questa roccia non era ancor cascata. Ma certo poco pria, se ben discerno, che venisse colui che la gran preda

39 levò a Dite del cerchio superno, da tutte parti l'alta valle feda tremò sì, ch'i' pensai che l'universo

42 sentisse amor, per lo qual è chi creda

28: scarco: ammasso pieno di pietre. 29: moviènsi: si muovevano. 30: per lo novo carco: per il nuovo peso, quello del mio corpo. A volte Dante come questa volta, ci rammenta che lui è vivo, e così si aggiunge drammaticità e realtà all'opera. 31: gìa pensando: ero pensieroso. 32: guardata: difesa , custodita. 33: ira bestial: bestia irosa. Però qui ha significato più reale accostato a quella figura, portata alla cieca ira e furibonda. Spensi: domai, resi innocua. 34: l'altra fiata: l'altra volta. 37 - 38 - 39: Virgilio morto poco prima della nascita di Cristo, passo da qui, in un episodio precedente quando lo scrittore dell'Eneide discese per trarre l'anima ad Eritone, e la roccia non era

ancora cascata, poiché quando il Messia morì ci fu un gran terremoto che scombussolò anche l'Inferno, al quale dopo tolse alcune anime meritevoli dal Limbo portandole in Paradiso. 40: l'alta valle feda: il profondo abisso infame e ignobile. 41 - 42 - 43: allude alla teoria di Empedocle, secondo la quale si ha grazia nell'universo quando i quattro elementi, sono distaccati e lontani, invece si ha caos nell'insieme degli elementi, quando l'amore li fa rimescolare e così di nuovo l'odio poi li fa ridividere. Caòsse, o caòsso: ritrova il suo dire nella pronuncia toscana dove tutt'ora le parole che finiscono con consonante vengono modificate.

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più volte il mondo in caòsso converso; e in quel punto questa vecchia roccia,

45 qui e altrove, tal fece riverso. Ma ficca li occhi a valle, ché s'approccia la riviera del sangue in la qual bolle

48 qual che per vïolenza in altrui noccia". Oh cieca cupidigia e ira folle, che sì ci sproni ne la vita corta,

51 e ne l'etterna poi sì mal c'immolle! Io vidi un'ampia fossa in arco torta, come quella che tutto 'l piano abbraccia,

54 secondo ch'avea detto la mia scorta;

44: in quel punto: in quel momento. 46: a valle: laggiù. S'approccia: si avvicina, comincia aa vedersi. 47: la riviera di sangue: allude al Flegetonte, ripreso dall'Eneide, in cui rappresentava una fiumana di fuoco e qui va a creare l'immagine nello stesso verso, come dirà dopo, sono qui a penare i dannati violenti contro il prossimo, e per enfatizzare il quadro, Dante, ricorre al "bolle" alla fine del verso per meglio darne una versione reale. 48: chiunque con violenza in altrui sia

avverso. 49: la cupidigia e l'ira in questo verso, vengono avvertite come qualcosa di più grave dei Canti settimo e ottavo, perché vengono applicate coscientemente, e il male creato all'altro è maggiore. 50: ne la vita corta: nella vita terrena. 51: sì mal c'immolle: tanto malamente ci bagni nel nostro tormento. 52: fossa: fiumana. In arco torta: arcuata, ad abbracciare tutto il cerchio settimo.

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e tra 'l piè de la ripa ed essa, in traccia corrien centauri, armati di saette,

57 come solien nel mondo andare a caccia. Veggendoci calar, ciascun ristette, e de la schiera tre si dipartiro

60 con archi e asticciuole prima elette; e l'un gridò da lungi: "A qual martiro venite voi che scendete la costa?

63 Ditel costinci; se non, l'arco tiro". Lo mio maestro disse: "La risposta farem noi a Chirón costà di presso:

66 mal fu la voglia tua sempre sì tosta".

55: tra la base del monte e il fiume, in schiera. 56: Centauri: vengono proposti qui per la loro natura, tratta dai miti, di briganti e violenti e brutali che si riunivano in una stretta compagine per dar vita alle loro scorrerie, ma Dante in questo Canto riesce a dargli un senso più alto e dignitoso di come vengono la maggior parte delle volte dipinti, fanno da guardia ai dannati che qui stanno. Muove in loro un senso molto scenico, proprio a dare immagine di loro come qualcosa di realistico, che va ad intensificare il piacere del racconto.

Corrìen: correvano. 57: Solìen: solevano, com'erano abituati a fare. 58: ristette: si attestò, si fermò. 60: asticciuole: frecce. Elette: scelte con cura. 61: a qual martiro: a quale pena. 63: constinci: da costì, dal punto in cui siete. 65: Chiròn: Chirone, figlio di Saturno e Filira, precettore di Achille, descritto anche dagli antichi come padre dei centauri, e da Dante come risoluto e saggio, comandante della sua schiera. 66: male ti portò l'ira tua così violenta.

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Poi mi tentò, e disse: "Quelli è Nesso, che morì per la bella Deianira,

69 e fé di sé la vendetta elli stesso. E quel di mezzo, ch'al petto si mira, è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;

72 quell'altro è Folo, che fu sì pien d'ira. Dintorno al fosso vanno a mille a mille, saettando qual anima si svelle

75 del sangue più che sua colpa sortille". Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle: Chirón prese uno strale, e con la cocca

78 fece la barba in dietro a le mascelle. Quando s'ebbe scoperta la gran bocca, disse a' compagni: "Siete voi accorti

81 che quel di retro move ciò ch'el tocca?

67 - 68 - 69: mi tentò: richiamò la mia attenzione. Nesso: centauro noto per l'episodio del tentato rapimento di Deianira, moglie di Ercole, mentre i due coniugi cercavano di passare il fiume Eveno, fu ucciso da una freccia avvelenata dell'eroe, e mentre si spegneva con furbizia diede una giacca intrisa del suo sangue alla sposa, dicendogli che se Ercole si fosse interessato ad altre donne, facendogli indossare quella si sarebbe innamorato un'altra volta di lei, invece quando lui fu tentato da Iole, indossatala ebbe dolori lancinanti, tanto che per porre fine alla pena si uccise in un fuoco, e dopo Deianira presa dal rimorso si suicidò. 70: in petto si mira: intento a riflettere. 71: gran Chiròn: come prima detto, è a capo dei centauri perché il più saggio.

72: Folo: un centauro fuori dagli schemi dei suoi compagni e simile a Chirone, rimase vittima di Ercole che dopo aver bevuto il vino di Bacco insieme ad una loro compagine, ubriachi, crearono una rissa con l'eroe, avendo la peggio, i pochi rimasti ripararono da Chirone in una grotta facendo poi uccidere anche lui dalla furia di Ercole. 74 - 75: frecciando qualsiasi anima si alza dal sangue più di quanto non comporta la pena che gli è stata assegnata. 76: isnelle: agili e leggiere. 77: strale: freccia, dardo. Cocca: la punta finale della freccia. 78: portò la lunga barba sulla spalla, scoprendo la gran bocca. 80: siete voi accorti: vi siete accorti. 81: quel di retro: Dante.

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Così non soglion far li piè d'i morti". E 'l mio buon duca, che già li er'al petto,

84 dove le due nature son consorti, rispuose: "Ben è vivo, e sì soletto mostrar li mi convien la valle buia;

87 necessità 'l ci 'nduce, e non diletto. Tal si partì da cantare alleluia che mi commise quest'officio novo:

90 non è ladron, né io anima fuia. Ma per quella virtù per cu' io movo li passi miei per sì selvaggia strada,

93 danne un de' tuoi, a cui noi siamo a provo, e che ne mostri là dove si guada, e che porti costui in su la groppa,

96 ché non è spirto che per l'aere vada". Chirón si volse in su la destra poppa, e disse a Nesso: "Torna, e sì li guida,

99 e fa cansar s'altra schiera v'intoppa".

83: Virgilio che era al petto del centauro, poiché lo superava in altezza. 84: dove la natura umana e quella equina si uniscono. 85: ben è vivo: infatti è vivo, come tu hai notato. Sì soletto: non è un diminutivo, ma un rafforzativo sul "è il solo dei vivi". 87: 'l ci 'nduce: lo conduce. 88 - 89: Un'anima (Beatrice), si allontanò dal Paradiso, per darmi questo compito. 90: né lui, che è vivo, e né io siamo peccatori. Fuia: derivante da "furius" cioè feroce, violenta. 91: per quella virtù: in nome della somma sapienza, in nome di Dio.

93: a cui noi siamo a provo: al quale noi possiamo stare accanto. 96: che per l'aere vada: che vola, e che possa passare il fiume a piante asciutte. Il tono di Virgilio non è ironico, perché va ad accentuare la realtà dell'essere vivo di Dante e in più mostra la sapienza di Virgilio di saper trattare a dovere questi guardiani infernali e che va a continuare il tono di accortezza che Chirone ha avuto con la visione del poeta. 97: sulla destra poppa: sul lato destro, ma letteralmente: sulla mammella destra. 98: torna: voltati indietro. 99: fa cansar: fai liberarti la strada, falli scansare da voi. V'intoppa: v'incontra.

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Or ci movemmo con la scorta fida lungo la proda del bollor vermiglio,

102 dove i bolliti facieno alte strida. Io vidi gente sotto infino al ciglio; e 'l gran centauro disse: "E' son tiranni

105 che dier nel sangue e ne l'aver di piglio. Quivi si piangon li spietati danni; quivi è Alessandro, e Dïonisio fero

108 che fé Cicilia aver dolorosi anni. E quella fronte c' ha 'l pel così nero, è Azzolino; e quell'altro ch'è biondo,

111 è Opizzo da Esti, il qual per vero

100: fida: fidata, poiché domata dal suo comandante. 101: proda: riva. 102: bolliti: peccatori, dolenti. 103: infino al ciglio: fino alla fronte. 105: che calcarono terrore spargendo sangue dei sudditi e violentando i beni loro. 106: qui espiano le violenze procurate ad altri. 107: Alessandro: identificato come Alessandro Magno, che si, fu grande conquistatore (lodato anche Dante nei suoi scritti), ma l'efferata violenza usata sui popoli lo ricorda e definisce qui. Dionisio: Dionigi il vecchio, tiranno di Siracusa morto nel 367 a.C., che senza scrupoli rompeva accordi e usava il suo potere per i propri piaceri.

108: Cicilia: nel nome di Sicilia. 110: Azzolino: Ezzelino III da Romano, un tiranno di spaventosa ferocia, morto nel 1259 in carcere. Riuscì a imprimere la propria sete di sangue per molto tempo nella macchia trevigiana e in parte della Lombardia; di lui si ha ricordo come figlio di Satana poiché ha accecato figlioli e adulti, saccheggiato proprietà di nobili poi ammazzandoli e trucidato undicimila padovani fatti poi ardere per imporre il suo regime. 111: Opizzo da Esti: Obizzo II d'Este, signore di Ferrara morto nel 1293, che come dice il verso successivo fu ucciso da suo figlio, Azzo, pur essendo verificata questa come diceria.

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fu spento dal figliastro sù nel mondo". Allor mi volsi al poeta, e quei disse:

114 "Questi ti sia or primo, e io secondo". Poco più oltre il centauro s'affisse sovr'una gente che 'nfino a la gola

117 parea che di quel bulicame uscisse. Mostrocci un'ombra da l'un canto sola, dicendo: "Colui fesse in grembo a Dio

120 lo cor che 'n su Tamisi ancor si cola". Poi vidi gente che di fuor del rio tenean la testa e ancor tutto 'l casso;

123 e di costoro assai riconobb'io.

112: figliastro: inteso come figlio illegittimo oppure come figlio di "molti padri". 114: Virgilio fa capire a Dante che quello che dice il centauro è vero, e quindi è da seguire nelle parole. 115: s'affisse: si soffermò. 116: una gente: gli omicidi, meno offesi dei tiranni e immersi fino alla gola, poiché usarono violenza solo nel corpo degli altri e non negli averi come i precedenti. 117: bulicame: ripreso dal nome proprio di un corso d'acqua solforoso vicino Viterbo, ed in questo modo descrive l'immagine di quel fiume di sangue. 119: fesse: fendette, trapassò con una spada. In grembo a Dio: in chiesa. Parla di Guido di Monfort, che per vendicare l'uccisione di suo padre Simone, ucciso da

Edoardo I d'Inghilterra, accoltellò suo cugino Arrigo, in chiesa, davanti il re di Francia e del regno di Napoli. Per questa efferatezza e orrore d'azione, Dante pone questo peccatore lontano dagli altri per una più alta colpa. Si dice che il cuore di Arrigo e stato poi messo in un calice, nella mano di una statua sopra di un ponte del Tamigi, come il poeta poi ritrae nel verso 120. 121: gente: un'altra schiera di dannati di cui non nomina nessuno, ma riconosce tanti; parla di predoni e briganti, davvero numerosi in quell'epoca in cui, come si può capire dal poema, il senso di civiltà e giustizia era quasi nullo. Rio: fiume. 122: il casso: il busto.

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Così a più a più si facea basso quel sangue, sì che cocea pur li piedi;

126 e quindi fu del fosso il nostro passo. "Sì come tu da questa parte vedi lo bulicame che sempre si scema",

129 disse 'l centauro, "voglio che tu credi che da quest'altra a più a più giù prema lo fondo suo, infin ch'el si raggiunge

132 ove la tirannia convien che gema. La divina giustizia di qua punge quell'Attila che fu flagello in terra,

135 e Pirro e Sesto; e in etterno munge le lagrime, che col bollor diserra, a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,

138 che fecero a le strade tanta guerra". Poi si rivolse e ripassossi 'l guazzo.

125: cocea: cuoceva, bolliva. Pur: solamente. 126: e per di qui fu il nostro passare.

127: da questa parte: da dove sono venuti. 128: che il bulicame (il fiume) diminuisce sempre più in profondità. 130 - 131 - 132: dalla parte opposta a quella da dove voi venite, diventa sempre più profondo fino a ricongiungersi con la profondità dei tiranni. 133: da qui: da quest'altra parte. 134: Attila: il brutale capo degli Unni, da Dante ricordato col suo soprannome. 135: Pirro: re dell'Epiro, che diede battaglia tumultuosa ai romani. Sesto: figlio di Pompeo

Magno, messo qui da pirata violento. Munge: spreme, torchia. 136: diserra: dislaccia, sprigiona. 137: Rinier da Corneto: contemporaneo di Dante, grande predone e ladro che terrorizzava tutte le strade della Maremma fino alle porte di Roma; erano da lui benvenuti suoi simili a cui dava aiuto. Rinier Pazzo: Rinieri de' Pazzi di Valdarno, anche lui grande rubatore, terrorizzava le strade del Valdarno fino alla città di Arezzo, fu scomunicato dal Papa, poiché in una delle sue scorrerie uccise il vescovo Silvense. 139: guazzo: l'acqua stagnante, il pantano attraversato insieme al centauro.

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Canto Tredicesimo

Canto XIII, ove tratta de l'esenzia del secondo girone ch'è nel settimo circulo, dove punisce coloro ch'ebbero

contra sé medesimi violenta mano, ovvero non uccidendo sé ma guastando i loro beni.

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Non era ancor di là Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco

3 che da neun sentiero era segnato. Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti;

6 non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco. Non han sì aspri sterpi né sì folti quelle fiere selvagge che 'n odio hanno

9 tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, che cacciar de le Strofade i Troiani

12 con tristo annunzio di futuro danno. Ali hanno late, e colli e visi umani, piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre;

15 fanno lamenti in su li alberi strani.

4: l'inizio va a dare incipit a quello che sarà tutto il Canto 13. Dante crea delle immagini pennellate dalle parole articolate e dalla sintassi complessa, proponendo ossessivamente quelle negazioni e l'orrenda oscurità del peccato qui coinvolto che va aldilà di qualsiasi pensiero umano; l'anafora usata va proprio a battere dove lo spiacere di queste anime interessa. Fosco: scuro. 5: schietti: vividi, vivaci. 'nvolti: intricarti, contorti. 6: pomi: frutti. Stecchi: spine, rami spogli. Tosco: tossico, veleno. 7 - 8 - 9: le dimore tra Cecina e Corneto (cioè la Maremma Toscana) di quei cinghiali che odiano i terreni coltivati, non hanno in confronto così fitta boscaglia e così pericolosa fauna. 10 - 11 - 12: brutte: orripilanti, lorde.

Arpie: figlie di Taumante ed Elettra, si narra avessero il corpo di uccello e il volto di donna. Il poeta qui ricorda l'episodio dell'Eneide in cui queste rapaci, lordarono le mense dei troiani, nelle Strofadi, di escrementi e gli preannunciarono pene e tormenti futuri. 13: late: larghe. Le immagini delle Arpie sono prese in parte dall'Eneide: per la parte del lezzo che emanano, le mani unghiate, il ventre sporco e il volto pallido dalla fame, tutto contornato dalla voce stridula e strana. 15: strani: l'aggettivo può collegarsi sia ai "lamenti" sia agli "alberi" e in questo sta proprio la capacità del poeta a far intendere quella parola per entrambi così da aumentare lo stupore del lettore.

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E 'l buon maestro "Prima che più entre, sappi che se' nel secondo girone",

18 mi cominciò a dire, "e sarai mentre che tu verrai ne l'orribil sabbione. Però riguarda ben; sì vederai

21 cose che torrien fede al mio sermone". Io sentia d'ogne parte trarre guai e non vedea persona che 'l facesse;

24 per ch'io tutto smarrito m'arrestai. Cred'ïo ch'ei credette ch'io credesse che tante voci uscisser, tra quei bronchi,

27 da gente che per noi si nascondesse. Però disse 'l maestro: "Se tu tronchi qualche fraschetta d'una d'este piante,

30 li pensier c' hai si faran tutti monchi".

16: più entre: ti addentri maggiormente. 18: mentre che: finché. 19: sabbione: luogo nel terzo girone del settimo cerchio. 21: vedrai cose che arriverai a non credere a quello che dico. 22: trarre guai: gridare a lamenti. 25: il verso apre in una forma grammaticale e sintattica di difficile comprensione e di ardua espressione, la geniale invenzione che inizia qui è una procedura mentale che Dante vuole imporre al nostro pensiero. In questo Canto ci sono i suicidi, coloro che hanno abbandonato la propria vita e che sia per un motivo o per un altro, non è mai giustificato, quindi il poeta va a forzare la scrittura affinché si

ponga il forte dubbio nel lettore di come si possa uccidersi intricandosi nel linguaggio si intrica anche la nostra mente al pensiero di quel momento così atroce. Inoltre la grammatica e il registro qui usati sono ripresi proprio da uno dei maggiori autori dell'ars dictandi, Pier delle Vigna, che qui fa le veci di tutti i suicidi che come lui hanno messo fine al proprio moto sulla Terra per una ragione purtroppo sempre vana. 26: bronchi: sterpi, rovi. 27: a noi fosse non visibile, nascosta; e non "che si nasconde" come potrebbe far premonire il verbo. 30: i pensieri che si faranno tutti rotti, riprendendo con l'aggettivo il verso 28.

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Allor porsi la mano un poco avante e colsi un ramicel da un gran pruno;

33 e 'l tronco suo gridò: "Perché mi schiante?". Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a dir: "Perché mi scerpi?

36 non hai tu spirto di pietade alcuno? Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb'esser la tua man più pia,

39 se state fossimo anime di serpi". Come d'un stizzo verde ch'arso sia da l'un de' capi, che da l'altro geme

42 e cigola per vento che va via,

33: perché mi schiante?: perché mi spezzi, mi tronchi. Il valore che forte rimane impresso nel leggere questo verso è la capacità di far venire alla luce improvvisamente che la pianta parla e gronda sangue. L'episodio viene ricostruito secondo la visita di Enea alla tomba di Polidoro romanzata nell'Eneide, in cui l'eroe volendo coprire l'altare della sepoltura in segno di omaggio, spezzò alcune fronde e dopo che l'ebbe appoggiate vide colare sangue da loro sentendo anche la voce del morto che gli raccontò la propria tragica fine. Se con Virgilio si vanno ad innescare momenti di mistero e di lirica alta, con Dante si percepisce il senso morale, come vuole la Commedia stessa, andando a coprire il senso di quella snaturata scelta che hanno compiuto. 35: mi scerpi: mi laceri, mi rovini.

36: pietade: il rivolgersi di Pier della Vigna alla pietà è creata perché propria nell'uomo in opposizione alla forma non pensate che il peccatore ha ora. Nell'Eneide invece Polidoro chiedeva pietà non per la situazione di infelicità e quindi di disperazione umana, ma appoggiandosi all'ordine di parentela e degli affetti. 38: pia: pietosa, indulgente. 39: di serpi: l'ultimo degli animali il più malvagio e abietto. 40: stizzo: pezzo di legno. 41: geme: filtra, trasuda. 42: cigola: stride. La similitudine va a colpire l'idea del lettore proprio nell'immagine del dolore umano in una ferita, poiché nell'uno e nell'altro c'è il grido e il rumore dello scoppiettio del tronco con la fuoriuscita a uno di sangue e nell'altro di linfa.

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sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue; ond'io lasciai la cima

45 cadere, e stetti come l'uom che teme. "S'elli avesse potuto creder prima", rispuose 'l savio mio, "anima lesa,

48 ciò c' ha veduto pur con la mia rima, non averebbe in te la man distesa; ma la cosa incredibile mi fece

51 indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa. Ma dilli chi tu fosti, sì che 'n vece d'alcun'ammenda tua fama rinfreschi

54 nel mondo sù, dove tornar li lece". E 'l tronco: "Sì col dolce dir m'adeschi, ch'i' non posso tacere; e voi non gravi

57 perch'ïo un poco a ragionar m'inveschi.

45: e mi pietrificai come l'uomo angosciato. L'episodio è ripreso dall'Eneide sempre dal ricordo dell'eroe sulla tomba di Polidoro, ma Dante con le sue parole ne appesantisce il valore. 47: lesa: offesa, dal dolore che ti ha provocato, perché in quel mondo per loro quel tronco è diventato il loro corpo. 48: pur: solamente. Con la mia rima: in senso stretto si riferisce al comando di spezzare una fraschetta da quel tronco, ma in carattere di quei tempi e come Dante è abituato, sotto nasconde allegoricamente anche il collegamento all'episodio di Polidoro citato nell'Eneide. 49: in te: contro di te.

50 - 51: ma il punto fuori dal normale fu indurlo ad operare qualcosa che a me stesso pesa. 52 - 53: In cambio di un compenso per quella offesa ravvivando la tua fama. 54: li lece: gli è lecito. 55: viene definito "dolce" perché proprio e vicino all'arte di Pier della Vigna che tanto aveva amato, con "m'adeschi" invece viene analizzata la promessa di Virgilio di rinfrescare la sua memoria sulla Terra, che alletta il peccatore e lo coglie nel punto giusto per indurlo a parlare. 56: voi non gravi: non vi pesi, interrompa senza frutto il vostro andare. 57: perché io possa un poco lasciarmi andare nel parlare.

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Io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo, e che le volsi,

60 serrando e diserrando, sì soavi, che dal secreto suo quasi ogn'uom tolsi; fede portai al glorïoso offizio,

63 tanto ch'i' ne perde' li sonni e ' polsi. La meretrice che mai da l'ospizio di Cesare non torse li occhi putti,

66 morte comune e de le corti vizio, infiammò contra me li animi tutti; e li 'nfiammati infiammar sì Augusto,

69 che ' lieti onor tornaro in tristi lutti.

58: colui: Pier della Vigna, nato a Capua intorno al 1190, presentato a Federico II, divenne notario, poi giudice e in seguito protonotario e logoteta, uno dei principali collaboratori dell'imperatore. Venne coinvolto in una congiura si dice in invidia degli altri cortigiani per la sua rapida ascesa al fianco dell'imperatore. Fu arrestato e poi accecato con un ferro rovente ma non morì subito, ed è infatto tra i suicidi perché si diede la morte ferendosi la testa nella sua prigione a Pisa nel 1249. Le chiavi di cui parla in questo verso sono quelle del cuore dell'imperatore, una che lo apre e l'altra lo chiude. Questo concetto può essere stato ripreso da un epistola del sofferente a Nicola della Rocca, a sua volta ripresa dalla frase biblica di Isaia capitolo XXII.

60: sì soavi: così soavemente, con grande grazia. 61: dal secreto suo: dalla sua intimità, dalla sua confidenza. 63: li sonni e' polsi: il sonno e la salute. Meglio però si potrà capire che la salute è stata persa per sempre invece che ammalata, poiché suicida: quasi in senso temporale, prima perdendo il sonno e poi la vita. 64 - 65 - 66: l'invidia che non distolse ma gli occhi dalla corte imperiale portando alla rovina l'essere umano e innescando vizi. La retorica articolata continua, intonandosi sia con lo stile di Pier della Vigna sia con tutto il concetto qui proposto. 68: Augusto: l'imperatore. Per invidia lo infiammarono e cioè lo portarono in ira con fatti menzogneri. 69: tornaro: si convertirono, divennero.

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L'animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno,

72 ingiusto fece me contra me giusto. Per le nove radici d'esto legno vi giuro che già mai non ruppi fede

75 al mio segnor, che fu d'onor sì degno. E se di voi alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia, che giace

78 ancor del colpo che 'nvidia le diede".

70 - 71 - 72: questa terzina è una delle tante della Divina Commedia che va a simboleggiare e ad innalzarsi come bandiera della letteratura. È molto simile alla descrizione del peccato fatta con Paolo e Francesca, in questo viene più la capacità del poeta di non solo avvicinarsi il più possibile al valore di quel gesto scellerato ma anche apportare sentimento e un'umanità al pensiero che viene posto al lettore cosicché diventi esempio principe di quella dannazione. Viene riproposto dal dolente il suo peccato e da lui viene accettato come errore dall'ultimo verso della terzina, Dante lo porta alla realtà dei fatti così convincendo chi legge, il "disdegnoso gusto" di voler lasciare un amaro delle opinioni di chi fu disonesto e il creder di "fuggir disdegno" volendo dimenticare il disprezzo di quei vili vengono rotti nell'ultimo verso

sbattendo a lui e sbattendoci in faccia la verità di quella violenza insensata e immorale che in questo caso va a creare un peccato più grande dell'ingiuria a lui sottoposta attirando più l'ira di Dio quindi creando un orrore ancora più grande. 73: giura si per la sua parte di maggior valore, ma giura però su qualcosa che non ha più dignità o sembianza d'onore per colpa del suo errore. Nove: perché la sua morte è avvenuta circa cinquant'anni prima quindi recentemente. 74 - 75: ribadisce ancora la sua totale innocenza e fedeltà verso l'imperatore e nonostante lui stesso lo fece arrestare poi processare continua a renderli onore anche nell'Inferno, rendendo così più viva e convincente la sua trama. 77: conforti: riscatti, rivendichi la mia volontà.

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Un poco attese, e poi "Da ch'el si tace", disse 'l poeta a me, "non perder l'ora;

81 ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace". Ond'ïo a lui: "Domandal tu ancora di quel che credi ch'a me satisfaccia;

84 ch'i' non potrei, tanta pietà m'accora". Perciò ricominciò: "Se l'om ti faccia liberamente ciò che 'l tuo dir priega,

87 spirito incarcerato, ancor ti piaccia di dirne come l'anima si lega in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,

90 s'alcuna mai di tai membra si spiega". Allor soffiò il tronco forte, e poi si convertì quel vento in cotal voce:

93 "Brievemente sarà risposto a voi. Quando si parte l'anima feroce dal corpo ond'ella stessa s'è disvelta,

96 Minòs la manda a la settima foce. Cade in la selva, e non l'è parte scelta; ma là dove fortuna la balestra,

99 quivi germoglia come gran di spelta.

79: attese: il soggetto è Virgilio richiamato dal verso successivo. Da ch'el: poiché egli. 80: l'ora: il momento, la linea del discorso. 81: se più ti piace: se ne senti desiderio. 83: satisfaccia: mi soddisfi. 85 - 86: Virgilio parlando a Pier della Vigna "Così se Dante volentieri parlerà della tua verità su nel mondo". 89: nocchi: tronchi nodosi. 90: se tali membra (l'anima) si libereranno mai dal tronco.

91: soffiò: rappresentazione realistica della produzione del suono attraverso l'espirazione dell'aria dalla nostra gola. 92: in cotal voce: in queste parole. 94: feroce: violenta contro se stessa e la giustizia di Dio. 95: disvelta: liberata, fuggita. 96: a la settima foce: al settimo cerchio. 98: la balestra: la scaglia, la getta. 99: gran di spelta: il grano di spelta è una graminacea spontanea e selvatica che perde velocemente i suoi semi.

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Surge in vermena e in pianta silvestra: l'Arpie, pascendo poi de le sue foglie,

102 fanno dolore, e al dolor fenestra. Come l'altre verrem per nostre spoglie, ma non però ch'alcuna sen rivesta,

105 ché non è giusto aver ciò ch'om si toglie. Qui le strascineremo, e per la mesta selva saranno i nostri corpi appesi,

108 ciascuno al prun de l'ombra sua molesta".

100: cresce come ramoscello giovane e poi in arbusto selvatico. 101: pascendo: nutrendosi. 102: producono dolore e da quello stesso l'anima grida il proprio soffrire. Le parole usate in queste ultime terzine hanno un potere maggiore d'espressione di quelle usate mediamente atte a dare maggior valore ed emozione al lettore: nel caso di "disvelta" si sente la violenza con la quale l'anima si scatenata dal corpo, per "balestra" il vigore e la rapidità dell'azione e per "fenestra" la pena vissuta in forma di lamenti di dolore dai dannati. 103 - 104: come tutte le altre anime, nel giudizio universale, ci ricongiungeremo con il nostro corpo però non rivestendoci di esso, ma

appendendolo al tronco del nostro peccato dov'è rinchiusa l'anima. 105: non potranno riavere il proprio corpo per il fatto stesso che loro non l'hanno voluto e sono consapevoli anche loro che non sarebbe giusto riottenerlo. Inoltre il corpo davanti ai loro occhi sarà la riflessione continua e il rimorso eterno per la violenza commessa. 106: trascineremo: alcuni vogliono leggere anche "strascineremo", questo per dare, grazie all'onomatopea, il senso più che reale di un corpo disteso che viene tratto a forza sulla terra e tra le erbacce. 108: ciascuno al tronco dell'anima sua opprimente; e nel senso antico molesto aveva significato di grave, pesante.

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Noi eravamo ancora al tronco attesi, credendo ch'altro ne volesse dire,

111 quando noi fummo d'un romor sorpresi, similemente a colui che venire sente 'l porco e la caccia a la sua posta,

114 ch'ode le bestie, e le frasche stormire. Ed ecco due da la sinistra costa, nudi e graffiati, fuggendo sì forte,

117 che de la selva rompieno ogne rosta. Quel dinanzi: "Or accorri, accorri, morte!". E l'altro, cui pareva tardar troppo,

120 gridava: "Lano, sì non furo accorte le gambe tue a le giostre dal Toppo!". E poi che forse li fallia la lena,

123 di sé e d'un cespuglio fece un groppo.

Di rietro a loro era la selva piena

112 - 113 - 114: similmente al cacciatore che sente il cinghiale venire verso il suo apposto, altri cacciatori con loro cani che abbaiano e i cespugli mossi dalla corsa loro. 116: graffiati: dai rovi e dai cespugli. 117: rosta: impedimento, ostacolo formato da quella vegetazione. 118: morte: s'intende la seconda morte e non quella del giudizio universale ma sperano in quella che li porterà nel niente assoluto che però non ha fondamento in Dante, quindi invocano disperatamente una qualcosa che li liberi dal quel dolore. 119: pareva tardar troppo: non correva veloce come l'altro. 120: Lano: si presume sia Ercolano Maconi morto nel 1288, al Pieve dal Toppo come scrive Dante nel verso

successivo, in cui i senesi lui compreso, persero contro gli aretini e il Boccaccio racconta che prima di cadere in mano al nemico ma anche nella miseria nera si diede la morte da se. Fu un grande distruttore e disfacitore delle sue proprietà venendo qui punito da Dante come scialacquatore, viene ricordato come persona di bella presenza e direttamente proporzionale alla sua assenza di ingegno. Accorte: significa che non furono così veloci e abili le sue gambe nel fuggire dai suoi nemici alla battaglia dal Toppo. 121: giostre: scontri, battaglie. 122: fallìa la lena: veniva meno il respiro. 123: caduto in cespuglio diventò tutt'uno con esso.

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di nere cagne, bramose e correnti 126 come veltri ch'uscisser di catena.

In quel che s'appiattò miser li denti, e quel dilaceraro a brano a brano;

129 poi sen portar quelle membra dolenti. Presemi allor la mia scorta per mano, e menommi al cespuglio che piangea

132 per le rotture sanguinenti in vano. "O Iacopo", dicea, "da Santo Andrea, che t'è giovato di me fare schermo?

135 che colpa ho io de la tua vita rea?". Quando 'l maestro fu sovr'esso fermo, disse: "Chi fosti, che per tante punte

138 soffi con sangue doloroso sermo?". Ed elli a noi: "O anime che giunte siete a veder lo strazio disonesto

141 c' ha le mie fronde sì da me disgiunte,

125: cagne: vengono rappresentate allegoricamente come la povertà, la vergogna e i rimorsi. Correnti: veloci, rapide. 126: come veltri: simili solo nell'abilità del correre non in morale. 127: sbranavano e mordevano quello che si aggrovigliò col cespuglio e lo facevano a pezzi come lui ha fatto con le sue cose. 129: sen portar: trascinarono via. 131: piangeva inutilmente attraverso le sue ferite. 133: Iacopo: Giacomo di Sant'Andrea è il nome dello scialacquatore azzannato dalle cagne, morto nel 1239 fu alla

corte di Federico II. Due episodi rimasti ai giorni nostri raccontano che una volta in una vacanza in barca sul Brenta, avendo poco con cui passare il tempo si mise a gettare monete in acqua; l'altro ci dice che avendo desiderio di vedere un gran falò, diede fuoco a una sua villa. 134: schermo: riparo, difesa. 137: punte: ferite, lesioni. 138: rigetti con sangue parole di dolore. 140: disonesto: orrendo, sconcio, senza onore.

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raccoglietele al piè del tristo cesto. I' fui de la città che nel Batista

144 mutò 'l primo padrone; ond'ei per questo sempre con l'arte sua la farà trista; e se non fosse che 'n sul passo d'Arno

147 rimane ancor di lui alcuna vista, que' cittadin che poi la rifondarno sovra 'l cener che d'Attila rimase,

150 avrebber fatto lavorare indarno. Io fei gibetto a me de le mie case".

142: cesto: cespo, un insieme di più piccola flora che nasce ai piedi di un fusto più grande. 143 ... 150: Firenze, che cambiò il suo patrono da Marte a san Giovanni Battista, per questo il Dio pagano la perseguiterà con la sua arte, quella della guerra e se non fosse che sull'Arno (precisamente su Ponte Vecchio) ne rimane un pezzo della statua a lui dedicata, i cittadini che la rifondarono dopo che Attila la distrusse (alcuni dicono il re Totila) lo avrebbero fatto inutilmente; lo scrittore stesso segue la superstizione appena accennata ma anche quella della continua difesa di Fiorenza dalla totale distruzione, credenza

intensificata anche dalla statua di Marte su Ponte Vecchio, mutilata in gran parte, presente al tempo del poeta, poi andata persa in seguito all'inondazione del 1333. 151: io feci della mia casa il mio patibolo. Alcuni commentatori tentano di dare un nome a questo suicida, senza però aver nessun dato su cui poggiarsi, quindi si dovrà intendere in senso più ampio, come è di uso in Dante, verso la città natia o in allusione a tutti coloro che odiano la propria vita e perciò la eliminano. Gibetto: forca, ripreso dal francese "gibet".

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Canto Quattordicesimo

Canto XIV, ove tratta de la qualità del terzo girone, contento nel settimo circulo; e quivi si puniscono coloro che fanno forza ne la deitade, negando e bestemmiando

quella; e nomina qui spezialmente il re Capaneo scelleratissimo in questo preditto peccato.

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Poi che la carità del natio loco mi strinse, raunai le fronde sparte

3 e rende' le a colui, ch'era già fioco. Indi venimmo al fine ove si parte lo secondo giron dal terzo, e dove

6 si vede di giustizia orribil arte. A ben manifestar le cose nove, dico che arrivammo ad una landa

9 che dal suo letto ogne pianta rimove. La dolorosa selva l'è ghirlanda intorno, come 'l fosso tristo ad essa;

12 quivi fermammo i passi a randa a randa. Lo spazzo era una rena arida e spessa, non d'altra foggia fatta che colei

15 che fu da' piè di Caton già soppressa.

1: l'affetto che lega i concittadini, continuando dal Canto precedente rimane l'immagine di Firenze come guaio dei peggiori vizi ma con questo personaggio che Dante non nomina, si va a rappresentare il rapporto che si ha tra conterranei con compassione verso chi vive in quella determinata città. 2: sparte: sparse, disseminate. 3: e le resi a colui che già taceva, silenzioso per via di tutto il dolore sofferto prima e quindi avvilito e dolente. 4: fine: confine. Si parte: si divide. 6: orribil arte: maestria dell'orrendo, l'eccellenza del male. 7: nove: nuove, non viste prima. 8: landa: campagna pianeggiante.

9: rimove: elimina, distoglie. 10: selva: dei suicidi. L'è ghirlanda: la cinge attorno, la chiude in cerchio. 11: come il fiume Flegentonte lo è alla selva. 12: a randa a randa: rasente rasente, a dire al limite dell'inizio di quel nuovo girone. 13: lo spazzo: lo spiazzo, l'enorme terreno esteso. 14: colei: quella. Nell'italiano antico i pronomi di persona venivano anche usati per riferimento a cose inanimate. 15: soppressa: calpestata, passata a piedi. Si riferisce alla traversata dell'esercito di Catone Uticense nel deserto libico descritta nella Pharsalia di Lucano.

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O vendetta di Dio, quanto tu dei esser temuta da ciascun che legge

18 ciò che fu manifesto a li occhi mei! D'anime nude vidi molte gregge che piangean tutte assai miseramente,

21 e parea posta lor diversa legge. Supin giacea in terra alcuna gente, alcuna si sedea tutta raccolta,

24 e altra andava continüamente. Quella che giva 'ntorno era più molta, e quella men che giacëa al tormento,

27 ma più al duolo avea la lingua sciolta. Sovra tutto 'l sabbion, d'un cader lento, piovean di foco dilatate falde,

30 come di neve in alpe sanza vento.

16: vendetta: giustizia. 19: gregge: schiera, da non intendere come dispregiativo. 21: e sembrava a loro indetto diverso modo di punizione. 22: alcuna gente: i violenti contro Dio, bestemmiatori. 23: alcun si sedea: i violenti contro l'arte, gli usurai. 24: altra: i violenti contro la natura, i sodomiti. 25: giva: andava, girava. Più molta: più numerosa. 26: men: meno numerosa. 27: ma era più facile al lamento,

soffriva di più; ma anche bestemmiava di più come aveva fato in vita. 29: dilatate: larghe. Rimanda all'immagine della Bibbia sulla punizione di Sodoma e Gomorra. 30: in alpe: sui monti. Si suppone che questo verso sia stato preso dalla poetica di Guido Cavalcanti, ma mentre con l'ultimo citato aveva funzione di eleganza e leggerezza, per Dante si ha un'idea funzionale e di realtà evidenziata che va a rappresentare la pena come incessante, ineffabile e orrenda.

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Quali Alessandro in quelle parti calde d'Indïa vide sopra 'l süo stuolo

33 fiamme cadere infino a terra salde, per ch'ei provide a scalpitar lo suolo con le sue schiere, acciò che lo vapore

36 mei si stingueva mentre ch'era solo: tale scendeva l'etternale ardore; onde la rena s'accendea, com'esca

39 sotto focile, a doppiar lo dolore. Sanza riposo mai era la tresca de le misere mani, or quindi or quinci

42 escotendo da sé l'arsura fresca. I' cominciai: "Maestro, tu che vinci tutte le cose, fuor che ' demon duri

45 ch'a l'intrar de la porta incontra uscinci,

31 - 32: parla di una lettera inviata da Alessandro Magno ad Aristotele in cui parla prima di una grande nevicata a cui dovette far fronte facendo pestare dal suo esercito con i piedi la neve per agevolare il passaggio, poi di una pioggia di punte fuoco che, sempre l'esercito estingueva con gli abiti. Quindi si presume che il poeta non abbia letto direttamente quella missiva facendo così confusione dell'evento. Stuolo: esercito. 34: scalpitar: calpestare. 35 - 36: perciò che la fiamma meglio si spegneva fintanto che fosse stata di minute dimensioni, cioè prima che si propagasse un incendio. 38 - 39: quindi la sabbia bruciava, come un materiale infiammabile si accende sotto la scintilla della pietra

focaia, a raddoppiare il dolore. 40: la tresca: qui inteso come movenza che le mani dei dannati avevano. Era un ballo popolano di molto movimento e molto articolato di quel tempo in cui il corpo con rapidità insieme alle mani balzava e sbatteva. 41 - 42: le quali mani venivano usate per allontanare le fiamme vive che cadevano addosso. 44 - 45: tranne che i demoni della città di Dite che uscirono. Si potrebbe dire che Dante rammenta questo verso a Virgilio perché il personaggio che ora stanno per incontrare ha le stesse caratteristiche dei demoni, superbo e in dispetto di Dio, così da ricordargli di essere più forte ora della volta precedente.

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chi è quel grande che non par che curi lo 'ncendio e giace dispettoso e torto,

48 sì che la pioggia non par che 'l marturi?". E quel medesmo, che si fu accorto ch'io domandava il mio duca di lui,

51 gridò: "Qual io fui vivo, tal son morto.

46: quel grande: Capaneo, figlio di Ipponoo e Laodice, uno dei sette re greci che assediarono Tebe, viene rappresentato soprattutto per la sua morte avvenuta quando lui sulle mura della città sfida Bacco ed Ercole protettori dei tebani ma anche Giove, cui esorta ad accorrere a tutte le sue forze per metterlo alla prova della sua forza invece di spaventare delle fanciulle, alfine il Dio sdegnato e adirato lo fulmina facendolo perire in subito. Può sembrare strano che Dante metta in luce qualcuno che ha offeso "gli dei falsi e bugiardi, invece nell'antichità cristiana si adoperavano questi episodi come mezzo di similitudine col Dio unico e infatti qui è in veste di uomo superbo e altezzoso contro la divinità. Grande: molti commentatori discutono se si colleghi al fisico o alla sua storia, si dovrà invece intendere per l'analisi a prima vista che il pellegrino ha del dannato, che lo vede dispettoso alla pena infatti il verso successivo rafforza questa tesi

poiché Dante fa apparire Capaneo duro e coraggioso ma che dopo verrà svelato per quello che è. L'apparire di quel modo è dato da quel "par" su cui il poeta investe poiché deve dimostrare la forza divina. Potrebbe qualcuno pensare di accostare Farinata incontrato nel Canto X che aveva "lo 'nferno in gran dispitto" come questo dolente, invece come più avanti vedremo lo scrittore non gli dedicherà tutto il Canto come con Farinata su cui ha costruito uno scenario, lo descriverà per via elementare e grottesca, lo rappresenterà in semplici righe e non oltre la sua superbia contro Dio. 47: dispettoso e torto: in immagine sprezzante e minacciosa, per quello che è stato contro la divinità da vivo e adesso è contro la sua pena. 48: marturi: martori, ferisca. 51: quel che io ero da vivo adesso son da morto; affermando che nessuno riesce a domarlo nemmeno Dio.

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Se Giove stanchi 'l suo fabbro da cui crucciato prese la folgore aguta

54 onde l'ultimo dì percosso fui; o s'elli stanchi li altri a muta a muta in Mongibello a la focina negra,

57 chiamando "Buon Vulcano, aiuta, aiuta!", sì com'el fece a la pugna di Flegra, e me saetti con tutta sua forza:

60 non ne potrebbe aver vendetta allegra". Allora il duca mio parlò di forza tanto, ch'i' non l'avea sì forte udito:

63 "O Capaneo, in ciò che non s'ammorza

52: se Giove stancasse Vulcano (il suo fabbro) da cui prese il fulmine con cui mi colpì, o anche tutti i Ciclopi a lui insieme, costringendoli a lavorare a turno continuo nella fucina del Mongibello (l'Etna), chiedendo il loro aiuto come nella battaglia contro i Titani, e mi saettasse con tutte le armi e tutta la sua forza, non avrebbe soddisfazione piena. La genialità del poeta si adopera proprio nel mostrare una persona superba che in preda all'ira non riesce a connettere pensieri o creare frasi senza prendere fiato ammonta parole quasi senza senso; questo artificio è creato da sintassi e grammatica ben ragionata con blocchi di frasi (eliminando gli enjambement a Dante cari) e punteggiatura assente tranne che alla fine del verso. 53: crucciato: infastidito, adirato. Aguta: acuta, nell'intenzione forte, violenta.

55: li altri: i Ciclopi, che lavoravano con Vulcano sotto il Mongibello (l'Etna). A muta a muta: avvicendandosi con fatica nel lavoro. 58: a la battaglia di Flegra: nella battaglia della Gigantomachia in cui i Titani sfidarono gli dei tentando di salire sull'Olimpo ammontando montagne, venendo però sconfitti. Questo esempio di atto offensivo alla religione è stato già ripreso da Stazio nella Tebaide. 60: vendetta allegra: poiché quando l'uomo fa vendetta si fa allegro e compiaciuto. Inoltre Dante nomina vendetta e non giustizia, come vorrebbe la religione, perché sono le parole di un pagano e peccatore. 61: di forza tanto: con tanta tempera e veemenza, come fa una persona sdegnata.

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la tua superbia, se' tu più punito; nullo martiro, fuor che la tua rabbia,

66 sarebbe al tuo furor dolor compito". Poi si rivolse a me con miglior labbia, dicendo: "Quei fu l'un d'i sette regi

69 ch'assiser Tebe; ed ebbe e par ch'elli abbia Dio in disdegno, e poco par che 'l pregi; ma, com'io dissi lui, li suoi dispetti

72 sono al suo petto assai debiti fregi. Or mi vien dietro, e guarda che non metti, ancor, li piedi ne la rena arsiccia;

75 ma sempre al bosco tien li piedi stretti". Tacendo divenimmo là 've spiccia fuor de la selva un picciol fiumicello,

78 lo cui rossore ancor mi raccapriccia.

63 ... 66: proprio nel fatto che la tua superbia non diminuisce sta la tua maggior punizione, in aggiunta del dolore fisico c'è quello morale, nessun dolore ti logorerebbe più di questo. 67: con migliore espressione, più rasserenato. 69: assisser: assediarono. 71: dispetti: atteggiamenti sprezzanti

offensivi. 72: sono al tuo petto medaglie di riconoscimento. 74: ancor: anche ora. Arsiccia: bruciacchiata. 75: al bosco: la selva dei suicidi. 76: divenimmo: arrivammo, giungemmo. La 've spiccia: la dove sfocia.

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Quale del Bulicame esce ruscello che parton poi tra lor le peccatrici,

81 tal per la rena giù sen giva quello. Lo fondo suo e ambo le pendici fatt'era 'n pietra, e ' margini dallato;

84 per ch'io m'accorsi che 'l passo era lici. "Tra tutto l'altro ch'i' t' ho dimostrato, poscia che noi intrammo per la porta

87 lo cui sogliare a nessuno è negato, cosa non fu da li tuoi occhi scorta notabile com'è 'l presente rio,

90 che sovra sé tutte fiammelle ammorta". Queste parole fuor del duca mio; per ch'io 'l pregai che mi largisse 'l pasto

93 di cui largito m'avëa il disio.

80: si dividono tra loro le peccatrici. Peccatrici nel senso di prostitute, si racconta fino dagli antichi che si differenziassero quel piccolo corso d'acqua caldo e solforoso che partiva dal Bulicame e lo usassero per la propria igiene in primo luogo perché gli era proibito utilizzare i bagni pubblici per via del pericolo della trasmissione di malattie, poi ne usufruivano anche per pulire i propri panni o anche per riscaldare la propria casa costruita in adiacenza. Altri critici pensano che si legga "pettatrici" che si dice avessero utilità del fiume solforoso nel lavorare la canapa e il

lino. 83: fatt'era 'n pietra: si riferisce al letto e ai margini del fiume. 84: per la qual cosa io notai che il sentiero più opportuno per attraversare il deserto bollente era li. 86 - 87: la porta dell'Inferno, a cui l'entrare a nessuno è negato. 89: notabile: degna del tuo interesse. 90: ammorta: estingue, spegne. 92 - 93: mi desse la spiegazione di quella cosa che aveva in me tanto acuito la curiosità; mi dicesse cosa ci fosse di tanto notevole in quel ruscello.

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"In mezzo mar siede un paese guasto", diss'elli allora, "che s'appella Creta,

96 sotto 'l cui rege fu già 'l mondo casto. Una montagna v'è che già fu lieta d'acqua e di fronde, che si chiamò Ida;

99 or è diserta come cosa vieta. Rëa la scelse già per cuna fida del suo figliuolo, e per celarlo meglio,

102 quando piangea, vi facea far le grida.

94: in mezzo mar: il mare per eccellenza nell'antichità era il Mediterraneo. Un paese guasto: una terra che fu onorevole e potente ma che adesso è caduta in rovina. Parla di Creta e per il racconto che sta per seguire, prende spunto dalla narrazione del libro III dell'Eneide. 96: sotto il governo del primo re, Saturno, si visse l'età dell'oro degli uomini che vissero il quel paradiso terrestre senza vizi. 98: Ida: oggi la montagna prende il

nome Psiloritis. 99: oggi è senza vita come una cosa vecchia. 100 - 101 - 102: Rea: moglie di Saturno e madre di Giove, Nettuno, Plutone. Saturno venne a sapere che uno dei suoi figli lo avrebbe interdetto dal trono così cominciò a divorarli, ma Rea per non far inghiottire anche l'ultimo, Giove, lo celò sul monte Ida e comandò alle Coribanti di inneggiare canti feste per non far sentire i vagiti del bambino a suo marito.

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Dentro dal monte sta dritto un gran veglio, che tien volte le spalle inver' Dammiata

105 e Roma guarda come süo speglio. La sua testa è di fin oro formata, e puro argento son le braccia e 'l petto,

108 poi è di rame infino a la forcata;

103: il possente veglio che risiede nella montagna più alta di Creta è un mito rivisitato e impreziosito da Dante, ripreso dalla Bibbia dalle scritture di Daniele. Si racconta che il re Nabucodonosor fece un sogno talmente concitato che l'indomani volle avere spiegazioni dai sapienti di corte senza però raccontarlo, aveva sognato un titano che aveva la testa fatta d'oro, il busto e gli arti superiori in argento, il bacino in rame infine le gambe e un piede in ferro con l'altro invece in terracotta che veniva poi distrutto da roccia roteante e tutto il gigante si frantumava, con quella pietra che diventava della grandezza della montagna, nessuno di loro seppe ovviamente dimostrarlo e stava per ucciderli tutti ma un carcerato (Daniele, profeta ebraico) fece sapere alla guardia di conoscere quell'enigma e così fu ricevuto dando anche le spiegazioni di quello: la testa in oro rappresenta la civiltà nell'età dell'oro in cui tutti erano innocenti e puri, viene poi l'argento che è meno nobile in cui la gente scopre i vizi, così via via va a deteriorarsi fino alla terracotta. Nelle Scritture viene inteso come l'avvento del messia che frantumerà

tutte le religioni pagane accomunando tutta la gente sotto lo stesso monte. Con Dante il veglio tiene le spalle a "Dammiata" cioè Damietta nella regione d'Egitto dove la civiltà ha mosso i primi passi e gli occhi a Roma sede della Monarchia e del papato, quindi dove ora si è sviluppata maggiormente la cultura del mondo, e il piede di terracotta su cui si poggia è per Dante la chiesa. Come dirà dopo tutte le parti tranne che l'oro sono rotte e da quelle fessure fuoriescono lacrime che rappresentano tutto il dolore del mondo che vanno a finire all'Inferno e formano i fiumi orrendi che lo trapassano. La differenza che salta agli occhi tra le fonti a cui si è ispirato il poeta e il suo racconto è il realismo e il peso delle parole che vengono usate affinché al lettore venga posto il concetto di veridicità di quello che viene espresso, un suono autentico che lo avvicina a crederci e scorgere quell'allegoria nascosta che ha dentro se tutta l'etica di un uomo fuori dal male di quei giorni. 105: speglio: specchio. 106: fin: fine, puro. 108: alla forcata: alla divisione che si crea tra le gambe.

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da indi in giuso è tutto ferro eletto, salvo che 'l destro piede è terra cotta;

111 e sta 'n su quel, più che 'n su l'altro, eretto. Ciascuna parte, fuor che l'oro, è rotta d'una fessura che lagrime goccia,

114 le quali, accolte, fóran quella grotta. Lor corso in questa valle si diroccia; fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;

117 poi sen van giù per questa stretta doccia, infin, là ove più non si dismonta, fanno Cocito; e qual sia quello stagno

120 tu lo vedrai, però qui non si conta".

109: da indi in giuso: da li in giù. Eletto: scelto, non il misto di due metalli. 110 - 111: i due piedi vengono pensati nella Commedia come l'impero e il papato, dove il primo viene posto come quello di destra in ferro invece il secondo, il sinistro, in terracotta. Lo scittore nel verso 111 spiega intenzionalmente che tutta l'umanità poggia le proprie speranze sulla Chiesa, più precisamente nel Cristianesimo (riferendosi a Daniele per il messaggio) e che in essa solo si può trovare l'assoluta salvazione ma viene disegnata in terracotta a significare che è in un punto critico della sua decadenza e corrotta fino

alla radice. 112: fuor che l'oro: come spiegato prima, l'uomo nella sua età dell'innocenza prima della colpa originale. 114: accolte: raccolte, raggruppate. 115: si diroccia: scende giù per quella roccia che forma l'Inferno. 117: doccia: canale, letto. 118: fino la dove più non scende, poiché è il luogo più basso dell'Inferno e il centro della Terra. 119: stagno: perché acqua ghiacciata e quindi ferma come quella di uno stagno. Lettura ripresa dall'Eneide libro VI. 120: qui non si conta: non te ne parlo ora.

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E io a lui: "Se 'l presente rigagno si diriva così dal nostro mondo,

123 perché ci appar pur a questo vivagno?". Ed elli a me: "Tu sai che 'l loco è tondo; e tutto che tu sie venuto molto,

126 pur a sinistra, giù calando al fondo, non se' ancor per tutto 'l cerchio vòlto; per che, se cosa n'apparisce nova,

129 non de' addur maraviglia al tuo volto". E io ancor: "Maestro, ove si trova Flegetonta e Letè? ché de l'un taci,

132 e l'altro di' che si fa d'esta piova". "In tutte tue question certo mi piaci", rispuose, "ma 'l bollor de l'acqua rossa

135 dovea ben solver l'una che tu faci.

121: rigagno: rigagnolo, piccolo corso. 122: perché ci appare solamente a questo estremo margine, solo ora in questo punto dell'Inferno dove oltre c'è l'orlo del precipizio. 124 ... 129: come tu sai l'Inferno è tondo, ed anche se hai percorso tanta strada nel cerchio, solo andando a sinistra, non hai passato tutta la circonferenza sicché se c'è qualcosa di nuovo tu non dovresti meravigliarti. I fiumi infernali vengono ripresi dall'età classica, ricordando che non avevano una sicura posizione che Dante ora conferma, dandogli inoltre un'origine, le lacrime del gigante nella montagna

di Creta che hanno significato morale dando l'idea che il male dovesse tornare a chi l'ha creato con il peccato. Questo corso che passa per tutta la conca assume varie forme: acqua, fango, sangue bollente, ghiaccio e vari nomi: Acheronte, Stige, Flegetonte e Cocito. 131: de l'un: Lete. 132: l'altro: Flegetonte. 134 - 135: il sangue bollente visto nel primo girone dei violenti contro il prossimo, infatti il nome Flegetonte deriva da flegi cioè ardente, come l'ardere della violenza.

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Letè vedrai, ma fuor di questa fossa, là dove vanno l'anime a lavarsi

138 quando la colpa pentuta è rimossa". Poi disse: "Omai è tempo da scostarsi dal bosco; fa che di retro a me vegne:

141 li margini fan via, che non son arsi, e sopra loro ogne vapor si spegne".

136: fuor di questa fossa: il Lete infatti si trova nel paradiso terrestre in cima al Purgatorio. 138: quando si è redenti dalla colpa e viene rimossa.

141: li margini: gli argini del ruscello, che saranno la via per non essere colpiti dalle falde di fuoco che cadono e che si vanno a spegnere passando sopra il corso.

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Canto Quindicesimo

Canto XV, ove tratta di quello medesimo girone e di quello medesimo cerchio; e qui sono puniti coloro che fanno forza ne la deitade, spregiando natura e sua

bontade, sì come sono li soddomiti.

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Ora cen porta l'un de' duri margini; e 'l fummo del ruscel di sopra aduggia,

3 sì che dal foco salva l'acqua e li argini. Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, temendo 'l fiotto che 'nver' lor s'avventa,

6 fanno lo schermo perché 'l mar si fuggia; e quali Padoan lungo la Brenta, per difender lor ville e lor castelli,

9 anzi che Carentana il caldo senta: a tale imagine eran fatti quelli, tutto che né sì alti né sì grossi,

12 qual che si fosse, lo maestro félli. Già eravam da la selva rimossi tanto, ch'i' non avrei visto dov' era,

15 perch' io in dietro rivolto mi fossi,

1: duri: di pietra. 2 - 3: 'l fummo: il vapore che si leva dal bollore del fiume fa ombra proteggendolo dalla pioggia di fuoco. 4 ... 8: come i fiamminghi tra Wissant e Bruges si fanno schermo, creando delle dighe, dall'alta marea oceanica facendo deviare la sua forza, e come fanno anche i padovani lungo la Brenta per difendere le loro città e i loro borghi murati. I versi sono qui riempiti di incredibili trovate, come la traduzione delle due città francesi, che vanno a definire al lettore l'immagine prima della grande distesa di fiamme che guizzano e bruciano poi dei margini sui quali camminano (e così farà anche oltre andando a digrossare dal generico al dettaglio), producendo

uno stile puntiglioso e abbaiante per il quale chi legge deve per forza tenersi all'immediatezza dei suoni presentando anche delle rime ricercate e ardue. 9: prima che la Carinzia senta il caldo che fa sciogliere le nevi e ingrossare i fiumi. 11: tutto che: sebbene, anche se. 12: qual che si fosse: chiunque fosse. 13: rimossi: allontanati, non più in vista di essa. 14: tanto: non si deve pensare abbiano percorso una lunga distanza perché essendoci qui il vapore del fiume Flegentonte e in genere l'ambiente tetro e oscuro dell'Inferno, la vista è svantaggiata nel suo ruolo. 15: perch'io: per quanto io.

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quando incontrammo d'anime una schiera che venian lungo l'argine, e ciascuna

18 ci riguardava come suol da sera guardare uno altro sotto nuova luna; e sì ver' noi aguzzavan le ciglia

21 come 'l vecchio sartor fa ne la cruna. Così adocchiato da cotal famiglia, fui conosciuto da un, che mi prese

24 per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!». E io, quando 'l suo braccio a me distese, ficcaï li occhi per lo cotto aspetto,

27 sì che 'l viso abbrusciato non difese la conoscenza süa al mio 'ntelletto; e chinando la mano a la sua faccia,

30 rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?».

19: durante la salita della luna quando è chiara e quando la luce è quasi nulla. Questa similitudine oltre a creare un'immagine dell'uomo che si sforza nell'osservare qualcosa impedito dal buio, va a creare anche un'ambiente più sereno e pacato dove si svolgerà il prossimo incontro che come si scoprirà è tutto familiare come lo è la preparazione ad esso che attraversa (più per chi leggeva allora) l'idea di una città medievale quando cala la notte e poco si riesce a notare. 21: altra similitudine vicina alla vita cittadina e libera da qualsiasi drammaticità.

22: adocchiato: vedere fissamente, con attenzione. Famiglia: gruppo della stessa categoria. 24: per lo lembo: della veste. Dall'istintivo stupore di "qual

maraviglia!" continua il battito di sorpresa resa anche angosciosa dalle parole che seguono pronunciate da Dante portando il livello di gravità che prima non c'era, ad un livello inaspettato. 26: per lo cotto aspetto: per il viso sfigurato e ustionato dalle falde di fuoco che piovono, sforzandosi molto di riconoscere la faccia quell'anima che ormai ha perso quasi tutti i lineamenti umani. 27: non difese: non vietò, non riuscì a oscurare. 30: viene riconosciuto subito che questo verso raccoglie il punto di maggior drammaticità e tensione di tutto il canto, tutto viene lasciato cadere in un istante, la pausa che viene formata dal "qui" seguito dalla virgola rende la sorpresa inverosimile,

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E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia se Brunetto Latino un poco teco

33 ritorna 'n dietro e lascia andar la traccia».

il rammarico verso il dannato che nel lettore anche ignorante della sua conoscenza si presenta attraverso le parole che Dante gli rivolge portate ad una dignità più alta attraverso quel "voi" e quel "ser". L'incontro continuerà sulle parole del pellegrino che quasi dimentica l'orrore che lo circonda e mette in mostra una serenità e una bontà ricordando quando "ad ora ad ora" il suo maestro gl'insegnava le buone maniere e il parlare e scrivere retto e con nostalgia parla mettendosi a disposizione per quello che può affinché il dannato si senta un poco lieto e contento, ma il pensiero di quella atroce pena rimane sempre ed è su questa che il poeta mostra come la volontà divina non cambi aspetto o rigore dando esempio di giustizia come vuole il principio della Commedia. La ragione morale poggerà sulle parole di Brunetto e su questi versi si coloreranno le invettive pregne di orgoglio di chi è al di sopra delle parti e ha combattuto affinché la società diventi un posto dove il vivere è migliore, proprio perché anche il Latino ha avuto un destino simile a quello di Dante. 31: non ti dispiaccia: non ti dispiaccia se sono stato un uomo che merita di stare "qui", che riflette a dire "voi in questo posto

orrendo". 32: Brunetto Latino: nato a Firenze intorno al 1220 e morto nella stessa nel 1294, notaio e cancelliere più volte del comune, era di partito guelfo ma non disdegnava d'insegnare a tutti l'arte della politica e del sapere classico infatti il Villani dice: "fu grande filosofo e fu sommo maestro in rettorica, tanto in bene saper dire, quanto in bene dettare. Cominciatore e maestro in digrossare i Fiorentini e fargli scorti in bene parlare, e in sapere guidare e reggere la nostra Repubblica secondo la Politica". Esiliato anche lui mentre si trovava in un'ambasceria in Francia quando il suo partito venne sconfitto a Montaperti, poi ritornò nel 1266 con la battaglia di Benevento. Fu anche impegnato in letteratura per cui scrisse il "Tesoretto" poema incompiuto in rima, il "Tresor" opera enciclopedica dagli antichi ai suoi tempi con argomenti di medicina, religione, fisica e astronomia, il "Favolello" e la "Rettorica". Per essere un sodomita lo assumiamo solo da Dante e l'unica cosa a cui possiamo tenerci è il "mondano uomo" nella descrizione del Villani. 33: la traccia: le orme della fila, di quel gruppo.

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I' dissi lui: «Quanto posso, ven preco; e se volete che con voi m'asseggia,

36 faròl, se piace a costui che vo seco». «O figliuol», disse, «qual di questa greggia s'arresta punto, giace poi cent' anni

39 sanz' arrostarsi quando 'l foco il feggia. Però va oltre: i' ti verrò a' panni; e poi rigiugnerò la mia masnada,

42 che va piangendo i suoi etterni danni». Io non osava scender de la strada per andar par di lui; ma 'l capo chino

45 tenea com' uom che reverente vada. El cominciò: «Qual fortuna o destino anzi l'ultimo dì qua giù ti mena?

48 e chi è questi che mostra 'l cammino?». «Là sù di sopra, in la vita serena», rispuos' io lui, «mi smarri' in una valle,

51 avanti che l'età mia fosse piena.

34: ven preco: ve ne prego. A scusarsi di quella piccola offesa di quel "qui". 35: m'asseggia: mi sieda, mi fermi. 36: che vo seco: col quale vado. 37: qual: chiunque. Greggia: gruppo, senza essere offensivo. 38 - 39: giace poi come i bestemmiatori senza permesso di riparo (con le mani) quando il fuoco lo ferisce. 40: a' panni: di fianco, anche essendo ad altezza più bassa dei due viaggiatori che camminano sull'argine. Ma in senso allegorico il poeta vuol far capire che l'allievo ha superato il maestro e che adesso quest'ultimo ha il compito di seguire chi un tempo aveva sotto la sua ala.

41: rigiugnerò: raggiungerò di nuovo. Masnada: gruppo di soldati, usato senza disprezzo fino al Cinquecento. per chi ha meritato rispetto nella vita terrena. 43: de la strada: dall'argine. 44 - 45: ma avevo il capo abbassato come uomo che dimostra reverenza 46: fortuna o destino: quale casualità o opera divina. 47: anzi: prima della morte. 49: in la vita serena: nella vita terrena dove non è obbligo la punizione. 50: una valle: la selva oscura. 51: poco prima che il mio corpo fosse all'espressione di maggior energia, nel suo punto medio.

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Pur ier mattina le volsi le spalle: questi m'apparve, tornand' ïo in quella,

54 e reducemi a ca per questo calle». Ed elli a me: «Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorïoso porto,

57 se ben m'accorsi ne la vita bella; e s'io non fossi sì per tempo morto, veggendo il cielo a te così benigno,

60 dato t'avrei a l'opera conforto.

52: era soltanto mattina quando le volsi le spalle per salire il monte della salvezza, in senso allegorico della salvazione. 53 - 54: Virgilio mi prese cadevo rovinosamente nella selva riconducendomi a casa attraverso questo sentiero tortuoso e irto di pericoli. 55: tua stella: la costellazione dei gemelli sotto la quale Dante è nato e che nel suo tempo era sinonimo di grande virtù della ragione e nello studio, lui stesso continuerà a dire ancora, anche nel Paradiso e nel Purgatorio che la riconoscenza del suo

ingegno sta alle stelle della sua nascita, rimanendo al poeta che la Grazia divina sta sempre a dirigenza dell'astrologia non quest'ultima intesa come libera pensante. 56: non puoi mancare i tuoi gloriosi traguardi. 57: se il giudizio che feci (quando tu eri mio allievo) è giusto. 58 - 59 - 60: e se non fossi morto così prematuramente (per la vita di Dante) vedendo a te il destino così propizio, t'avrei appoggiato nella tua prova di uomo e di poeta e di politico.

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Ma quello ingrato popolo maligno che discese di Fiesole ab antico,

63 e tiene ancor del monte e del macigno, ti si farà, per tuo ben far, nimico; ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi

66 si disconvien fruttare al dolce fico. Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent' è avara, invidiosa e superba:

69 dai lor costumi fa che tu ti forbi.

61: i fiorentini ingrati e maligni contro chi vuole il bene di tutti. 62: secondo la leggenda Firenze sarebbe nata dalla distruzione di Fiesole da parte dei romani, poiché la città appoggiava Catilina, i sopravvissuti civili e in minoranza alcuni coloni dei vincitori fondarono la patria natia di Dante su una distesa di fiori (da cui proviene il nome: Fiorenza), come dirà il Villani, il motivo di tanta discordia in quel paese sta nel fatto che i fiesolani erano "ruddi e aspri" rozzi e incivili, quindi la mescolanza di due popoli così diversi tra loro ha portato a disordini interni. Questa definizione di romani e fiesolani viene usata anche come stratagemma dal poeta per differenziare la propria stirpe da altri, come dirà di Cacciaguida suo trisavolo e discendente di Roma.

63: ed è ancora di carattere selvatico di chi vive sui monti ed è duro e forte contro chi è civile nelle maniere. 64: ti attaccherà proprio per il tuo essere onesto cittadino e lontano dalle lotte partitiche volendo solo il bene del paese. 65 - 66: ed è giusto che sia così, perché è meglio che il dolce fico non cresca tra gli acidi aspri; doveva essere un modo di dire di quell'epoca, un proverbio. 67: orbi: stupidi, tonti. Li si annotava dal momento in cui si fecero ingannare dalle buone parole di Totila che entrando nella città la distrusse oppure dalla volta che Pisa diede in dono due colonne rotte che opportunamente mascherate non furono scoperte per quello che erano. 69: ti forbi: ti tenga lontano, per non farti influenzare o incattivire da loro.

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La tua fortuna tanto onor ti serba, che l'una parte e l'altra avranno fame

72 di te; ma lungi fia dal becco l'erba. Faccian le bestie fiesolane strame di lor medesme, e non tocchin la pianta,

75 s'alcuna surge ancora in lor letame, in cui riviva la sementa santa di que' Roman che vi rimaser quando

78 fu fatto il nido di malizia tanta». «Se fosse tutto pieno il mio dimando», rispuos' io lui, «voi non sareste ancora

81 de l'umana natura posto in bando;

71: i guelfi bianchi e quelli neri vorranno distruggerti, ma tu riuscirai a stare alla larga dal loro odio. Prima i neri con i quali resterà sempre contrario e poi i bianchi con cui romperà dalla battaglia della Lastra e poi dopo maggiormente vedendo il loro operare fatto solo per il proprio interesse. 73 - 74 - 75: facciano di loro stessi erba da brucare e non tocchino la pianta, se qualcuna cresce ancora nella loro terra ormai diventata sterco.

La pianta è quella posata dai romani al tempo della colonizzazione, con cui inseminarono la loro voglia di civiltà e da cui Dante attesta la propria discendenza. 76: semenza santa: il seme posto dai romani, santi perché crearono la loro civiltà dove poi nacque la santa sede del chiesa cristiana. 79: se fosse esaudito interamente il mio desiderio. 81: esiliato dal mondo, morto.

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ché 'n la mente m'è fitta, e or m'accora, la cara e buona imagine paterna

84 di voi quando nel mondo ad ora ad ora m'insegnavate come l'uom s'etterna: e quant' io l'abbia in grado, mentr' io vivo

87 convien che ne la mia lingua si scerna. Ciò che narrate di mio corso scrivo, e serbolo a chiosar con altro testo

90 a donna che saprà, s'a lei arrivo.

82: perché nella memoria mi è impressa e ora mi commuove, mi spacca il cuore. 84: ad ora ad ora: alcuni commentatori descrivono questo passo come "di momento in momento", allorché se ne presentava l'occasione, è vero che non si hanno documenti dell'insegnamento di Brunetto per Dante e quindi visto che non era una scuola doveva presentarsi essere come le cronache raccontano cioè che il docente aveva il piacere nella cura della sua civiltà istruendola nel buon vivere, ma è anche vero che nel contesto Dante è pietoso e quasi si commuove quindi dovrebbe descrivere l'immagine di quella figura paterna che aveva accortezza per il suo allievo e con cura lo seguiva nel suo crescere, intellettualmente e moralmente. Ad ogni modo sappiamo che il poeta è passato sotto l'ala del Latini e che da lui per le prime volte ascoltasse e imparasse le arti

di filosofia e retorica. 85: come l'uom s'etterna: ripreso dal Tesoro di Brunetto secondo il quale l'uomo si fa eterno attraverso le buone e poi gloriose azioni. 86 - 87: e per quanto io l'abbia in gradimento, finché vivrò si vedrà sempre nelle mie parole; intende ciò che Brunetto gli ha insegnato. 88: Ciò di cui dite del mio futuro io lo scrivo nel libro memoria. 89: e lo serbo, lo tengo a mente fino a quando mi sarà commentato e chiarito con altro testo. L'altro testo è la profezia di Farinata che lo ha messo in guardia circa la sua situazione con l'esilio, altri dicono che intende anche la predizione di Ciacco ma tocca il poeta indirettamente visto che proietta l'episodio sulle lotte intestine di Firenze. 90: a donna: Beatrice. Che saprà: chiarirmi.

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Tanto vogl' io che vi sia manifesto, pur che mia coscïenza non mi garra,

93 ch'a la Fortuna, come vuol, son presto. Non è nuova a li orecchi miei tal arra: però giri Fortuna la sua rota

96 come le piace, e 'l villan la sua marra». Lo mio maestro allora in su la gota destra si volse in dietro e riguardommi;

99 poi disse: «Bene ascolta chi la nota». Né per tanto di men parlando vommi con ser Brunetto, e dimando chi sono

102 li suoi compagni più noti e più sommi.

94: arra: caparra, anticipazione, per senso del concetto: predizione, profezia. 95 - 96: ha l'aria di essere un proverbio e starebbe a dire "faccia la Fortuna e gli uomini come piace loro, io sono pronto a questo" o meglio "qualsiasi male mi accada che sia di ordine divino o di arbitrio umano, saprò comportarmi dignitosamente". Collegato ai versi precedenti con però una aggiunta di una sferzante violenza volgare che si deve intendere come le piccole cose che nella vita ci procurano noia. 97 - 98: Virgilio essendo davanti a Dante, mentre camminano sull'argine destro del fiume, deve girarsi verso la "gota" (guancia) destra per parlargli. 99: bene ascolta chi la nota: questa

espressione è di difficile decifrazione e va interpretata seguendo quello che il poeta vuole dimostrare. Potrebbe essere "bene ascolta chi imprime nella memoria e poi usa a suo vantaggio", un complimento dalla guida (come sappiamo Dante non è proprio grande in modestia) che vuole mantenere quell'insegnamento all'attenzione del lettore. Altri invece hanno l'opinione che significhi "ascolta bene e ricordalo, perché quando saranno arrivati i mali non potrai lamentarti", seguendo il pensiero che chi è saggio trae insegnamento da tutto. 100: non per questo smisi di parlare, continuando a camminare. 102: i più famosi e i più alti in grado di autorità che avevano nelle loro professioni ed esercizi.

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Ed elli a me: «Saper d'alcuno è buono; de li altri fia laudabile tacerci,

105 ché 'l tempo saria corto a tanto suono. In somma sappi che tutti fur cherci e litterati grandi e di gran fama,

108 d'un peccato medesmo al mondo lerci. Priscian sen va con quella turba grama, e Francesco d'Accorso anche; e vedervi,

111 s'avessi avuto di tal tigna brama,

103: buono: giusto, opportuno. 105: a tanto suono: sarebbe così lungo il dire che non basterebbe tutto il tempo di una vita. 106: cherci: chierici, uomini di chiesa. 108: lerci: insozzati, macchiati. 109: Priscian: Prisciano di Cesarea in Mauritania, grande grammatico del VI secolo i cui testi, tra cui il più importante "Istitutiones gramaticae", vennero riscoperti soprattutto nel Medio Evo e furono i pilastri dell'insegnamento di quei tempi. Della sodomia di Prisciano non si hanno chiare testimonianze quindi si pensa

che Dante lo abbia scambiato con il vescovo eretico Priscilliano del IV secolo. Turba grama: schiera disgraziata. 110: Francesco d'Accorso: autorevole giurista vissuto tra il 1225 e il 1293, ebbe notevole successo a Bologna dove nacque e successivamente in Inghilterra dove ottenne la cattedra dell'Università di Oxford e la segreteria del re Edoardo I. Vedervi: è tenuto dal potei del verso 112. 111: se avessi avuto tanto desiderio di vedere uno così lercio e ripugnante.

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colui potei che dal servo de' servi fu trasmutato d'Arno in Bacchiglione,

114 dove lasciò li mal protesi nervi. Di più direi; ma 'l venire e 'l sermone più lungo esser non può, però ch'i' veggio

117 là surger nuovo fummo del sabbione. Gente vien con la quale esser non deggio. Sieti raccomandato il mio Tesoro,

120 nel qual io vivo ancora, e più non cheggio».

112: dal papa, che negli atti ufficiali e il "servo servorum Dei". 113: fu trasferito da Firenze a Vicenza. 114: morì lasciando malamente tesi i nervi del suo membro a sproposito di tutti. Parla di Andrea de' Mozzi, vescovo prima di Firenze fino al 1295 e poi di Vicenza. Nei suoi anni di vescovato operò in modo disonesto e aspro per aprire a se i vantaggi creando malcontento nelle fazioni di Guelfi e Ghibellini oltre anche a ostentare in nepotismo, l'Anonimo Fiorentino dice "disonestissimo ed ancora oltre a questo di poco senno", più violento è il Benvenuto che lo chiama "magnus bestionus". Il trasferimento, si racconta nelle cronache, avvenne a causa delle

pressioni fatte anche dai parenti stessi che richiamando alle sue azione volevano allontanare "tanta abominazione". 117: fummo del sabbione: la nube formata dalla corsa dei dannati, tenendo fede sempre a quella voglia di realtà delle immagini. 118: deggio: devo. 119: ti sia raccomandato il mio testo, il Tesoro. Sappiamo che Brunetto era dell'idea che l'immortalità in Terra veniva solo con la fama e così vuole che Dante abbia cura e ricordi ciò che lui è stato, se così non fosse stato quasi nessuno avrebbe a mente Brunetto Latini tranne qualche accademico o bibliotecario di buona memoria.

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Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde

123 per la campagna; e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde.

122: il drappo Verde: una corsa podistica che si svolgeva a Verona nella prima domenica di quaresima e aveva una categoria "a cavallo" e una "a piedi, in quest'ultima chi vinceva otteneva un velo verde e tutti gli onori dagli uomini e donne di corte, invece chi arrivava per ultimo il premio di consolazione era un gallo ed inoltre era obbligato a girare per tutta la città

col suo animale in segno di penitenza. 124: quello che vorrebbe dire il poeta, pieno di emozione, e che tra tutti coloro e affollano la rena, lui sembra quello che mostra più dignità di tutti ed è quindi il vincitore tra tutti quei perdenti, vincita che però rimane di poca cosa e che non sottrae il buon uomo alla volontà del suo peccare.

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Canto Sedicesimo

Canto XVI, ove tratta di quello medesimo girone e di

quello medesimo cerchio e di quello medesimo peccato.

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Già era in loco onde s'udia 'l rimbombo de l'acqua che cadea ne l'altro giro,

3 simile a quel che l'arnie fanno rombo, quando tre ombre insieme si partiro, correndo, d'una torma che passava

6 sotto la pioggia de l'aspro martiro. Venian ver' noi, e ciascuna gridava: "Sòstati tu ch'a l'abito ne sembri

9 essere alcun di nostra terra prava". Ahimè, che piaghe vidi ne' lor membri, ricenti e vecchie, da le fiamme incese!

12 Ancor men duol pur ch'i' me ne rimembri.

1 - 2 - 3: ero arrivato in punto dove si cominciava a sentire il fragore dell'acqua che cadeva nell'altro cerchio, simile al rumore che fanno le api dentro l'alveare; che è percepibile ma non riconoscibile in quello che succede. 4: si partiro: si allontanarono, si staccarono. 5: una torma: una schiera di sodomiti, che diversamente dai letterati e chierici del gruppo di Brunetto Latini nel precedente Canto, sono uomini politici di grande autorità. 8: a l'abito: il Boccaccio dice che a quei tempi quasi tutte le città avevano modo diverso e singolare nel modo di vestire. 9: di nostra terra prava: della nostra

terra malvagia. Anche questi peccatori sono di Firenze e il dialogo politico e morale andrà a continuare quello che c'è stato con Brunetto ma con modi più generali e violenti (come avremo già capito dagli aspri suoni) che danno più rilievo alla realtà del dolore che soffrono le anime in contrasto alla grandezza, che in vita hanno mostrato questi uomini, che li coinvolge col sentimento che Dante ha sempre mostrato verso il miglioramento della società attraverso la buona e giusta politica. 11: ricenti: recenti, poiché le riconosce ancora. Vecchie: decrepite, perché orrificate dal tremendo martirio di fuoco. Incense: bruciate, arse.

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A le lor grida il mio dottor s'attese; volse 'l viso ver' me, e "Or aspetta",

15 disse, "a costor si vuole esser cortese. E se non fosse il foco che saetta la natura del loco, i' dicerei

18 che meglio stesse a te che a lor la fretta". Ricominciar, come noi restammo, ei l'antico verso; e quando a noi fuor giunti,

21 fenno una rota di sé tutti e trei. Qual sogliono i campion far nudi e unti, avvisando lor presa e lor vantaggio,

24 prima che sien tra lor battuti e punti,

13: s'attese: pose la sua attenzione su di un preciso oggetto o persona. 15: si vuole: si deve, è importante che si faccia. 17: la natura: qui intesa come ambiente vivo, anime che vengono saettate venendo ad addolorarsi e mortificarsi in luogo dove tutto è male e si perpetua nelle sue azioni. 18: che meglio stesse: convenisse, sarebbe vantaggio poiché sono personaggi nobili e valorosi da cui prendere il tuo pasto per la tua crescita morale. 19: come noi restammo: ci arrestammo davanti al loro volere parlarci. 20: l'antico verso: ricominciarono con i loro lamenti di dolore appena dopo aver chiamato Dante. 21: fenno una rota: formarono un cerchio. Ricordiamo dal Canto precendente che i dannati non

possono fermarsi, e per stare al passo dei due pellegrini si mettono in cerchio e continuano a muoversi così da avere un modo di conversazione che la faciliterebbe. Tanti hanno discusso sul caso se quelle anime si tenessero appoggiandosi l'un l'altra, accennando dei lottatori che si studiano nelle prese nel verso 23. Trei: tre. 22: i campion: preso come termine tecnico del medioevo intenderebbe quella gente che dietro compenso aiutava e appoggiava altri nella disputa di duelli o discussioni teologiche, invece se prendiamo l'immagine che vuole darci il poeta, combattenti che nell'arena erano nudi e sporchi di sudore e terra, che per studiarsi si afferravano e urtavano. 23 - 24: studiando il momento migliore di attaccare per avere vantaggio, prima che ci si attacchi.

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così rotando, ciascuno il visaggio drizzava a me, sì che 'n contraro il collo

27 faceva ai piè continüo vïaggio. E "Se miseria d'esto loco sollo rende in dispetto noi e nostri prieghi",

30 cominciò l'uno, "e 'l tinto aspetto e brollo, la fama nostra il tuo animo pieghi a dirne chi tu se', che i vivi piedi

33 così sicuro per lo 'nferno freghi. Questi, l'orme di cui pestar mi vedi, tutto che nudo e dipelato vada,

36 fu di grado maggior che tu non credi:

25: visaggio: la vista, lo sguardo. 26 - 27: fino a che il viso mirava al contrario dei piedi. Andando in cerchio i peccatori arrivavano a trovarsi di spalle a Dante, quindi il momento in cui si trovavano in quel modo, lo sguardo quasi andava in direzione opposta dei piedi, ritornando poi alla posizione originaria di quando il petto era verso i due viaggiatori. 28: e se la misera condizione di questo luogo debole e cedevole; che va a ricoprire sia la parte dell'immagine sia quella morale. 29: rende spregevoli, abietti noi e le nostre preghiere. "Rende" fa riferimento al luogo e cioè all'Inferno,

mentre le preghiere da loro compiute sono quelle di avere un attimo di conversazione con i due poeti. 30: e 'l tinto aspetto e brollo: e il nostro aspetto annerito e bruciato. 31: da notare che l'inizio della terzina precedente "Se miseria" e l'inizio di questa "la fama", sono contrapposte nella loro etimologia, come a voler discernere il loro passato terreno e il loro presente di espiazione. 32 - 33: che calpesti, così sicuro, i piedi vivi questo luogo maledetto. 35: tutto che: sebbene, nonostante. 36: di grado maggior: di nobiltà e dignità maggiore a quella che tu possa immaginare.

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nepote fu de la buona Gualdrada; Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita

39 fece col senno assai e con la spada. L'altro, ch'appresso me la rena trita, è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce

42 nel mondo sù dovria esser gradita. E io, che posto son con loro in croce, Iacopo Rusticucci fui, e certo

45 la fiera moglie più ch'altro mi nuoce".

37 - 38 - 39: Guido Guerra, figlio di Marcovaldo, apparteneva alla discendenza dei Guidi, e molto significativa è il suo essere nipote di Guido il vecchio e la nobile ("buona") Gualdrada Berti, a sua volta figlia di Bellincione Berti dei Ravignani. Viene ricordato per le sue doti intellettuali e di battaglia con cui scacciò i ghibellini da Arezzo, dopo poi essere stato sconfitto a Montaperti e fatto esule, fu uno delle bandiere che si distinse per il valore dato alla riscossione guelfa. 40: trita: calpesta. 41 - 42: Tegghiaio Aldobrandi: di famiglia degli Adimari quindi parte guelfa, podestà di Arezzo nel 1256, anche lui prode cavaliere di grande nobiltà e autorevolezza non solo nel suo partito ma anche nella società di quei tempi. Sconsigliò la battaglia di Montaperti, avendo grande esperienza in guerra, alla sua ala politica che fu poi sconfitta infatti l'Alighieri lo ricorda in questi versi, che

la sua voce avrebbe dovuto essere ascoltata. 43: in Croce: al dolore, al tormento. 44: Iacopo Rusticucci: uomo della consorteria dei Cavalcanti di grande presenza comunale, valoroso in battaglia e piacevole nelle relazioni, si dice (come racconta Dante poco dopo) che fu spinto dal comportamento bisbetico e odioso della moglie, che allontanò da sé, ad odiare le donne così da rivolgersi allo stesso sesso per attenzioni sessuali, quindi qui punito per omosessualità. Un'altra opinione è quella del collegamento della moglie alla corrente dei Catari, che aborrivano la procreazione e di conseguenza il rapporto sessuale naturale dedicandosi così al rapporto sessuale per via anale che viene anche inteso come sodomia. 45: fiera: convinta dei suoi principi. Mi nuoce: mi ferisce, mi danneggia perché per sua colpa sono a soffrire qui.

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S'i' fossi stato dal foco coperto, gittato mi sarei tra lor di sotto,

48 e credo che 'l dottor l'avria sofferto; ma perch'io mi sarei brusciato e cotto, vinse paura la mia buona voglia

51 che di loro abbracciar mi facea ghiotto. Poi cominciai: "Non dispetto, ma doglia la vostra condizion dentro mi fisse,

54 tanta che tardi tutta si dispoglia, tosto che questo mio segnor mi disse parole per le quali i' mi pensai

57 che qual voi siete, tal gente venisse. Di vostra terra sono, e sempre mai l'ovra di voi e li onorati nomi

60 con affezion ritrassi e ascoltai. Lascio lo fele e vo per dolci pomi promessi a me per lo verace duca;

63 ma 'nfino al centro pria convien ch'i' tomi".

46: coperto: difeso, protetto. 48: dottor: Virgilio. Sofferto: tollerato, permesso. 52: non dispetto, ma doglia: non disprezzo, ma dolore. 53: dentro mi fisse: mi trafisse il cuore. 54: così tanto che solo dopo lungo tempo questa pena e dolore saranno attenuati. 56: parole: dei versi 14 - 18. 57: che per quanto voi siete nobili, tale gente mi aspettavo. 60: con commozione riferii e ascoltai delle vostre storie. Da notare che

"ritrassi" viene prima di "ascoltai" così da farsi intendere un motivo di più forte affetto verso questi personaggi di cui, Dante, si sentiva partecipe nei principi. 61: lascio l'amaro del peccato, e vado a conquistare il dolce del bene. La metafora viene costruita proprio sul viaggio di redenzione che il poeta fa, attraversando tutto il male per arrivare al bene attraverso tutta l'allegoria della Commedia. 63: ma prima è giusto che cada al centro del mondo (e dell'Inferno).

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"Se lungamente l'anima conduca le membra tue", rispuose quelli ancora,

66 "e se la fama tua dopo te luca, cortesia e valor dì se dimora ne la nostra città sì come suole,

69 o se del tutto se n'è gita fora; ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole con noi per poco e va là coi compagni,

72 assai ne cruccia con le sue parole".

64 - 65 - 66: possa tu vivere lungamente e la tua fama anche dopo la tua dipartita. 67 - 68 - 69: parla e dicci se la cortesia che viveva nella nostra città, li dimora ancora o se essa l'ha lasciata. La cortesia che intende Dante è quella antica non quella medievale che aveva preso sinonimo di presenza a corte, la cortesia era la nobiltà dell'uomo nella sua espressione attraverso gli atti e le volontà tutte confacenti alle virtù. 70: Guglielmo Borsiere: fu cavaliere di corte paciere e a volte organizzatore di matrimoni come voleva il tempo d'allora, si dice fosse di animo buono e gentile. Si deduce che sia morto da

poco tempo e quindi intorno al 1300, informazione portata da Dante nel verso dopo. 71: coi compagni: con i compagni di schiera, di peccato. 72: assai ci addolora con i suoi racconti, dicendoci che a Firenze non dimorano più cortesia e valore. Con queste parole il dannato non dice che le parole del Borsiere sono di dubbia attendibilità ma è l'essere scettico davanti a fatti che addolorano, è un animo incredulo davanti a delle parole che fanno male e si pone continuamente domanda se mai fossero veritiere.

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"La gente nuova e i sùbiti guadagni orgoglio e dismisura han generata,

75 Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni". Così gridai con la faccia levata; e i tre, che ciò inteser per risposta,

78 guardar l'un l'altro com'al ver si guata. "Se l'altre volte sì poco ti costa", rispuoser tutti, "il satisfare altrui,

81 felice te se sì parli a tua posta! Però, se campi d'esti luoghi bui e torni a riveder le belle stelle,

84 quando ti gioverà dicere "I' fui",

73 - 74: la gente venuta da fuori città che non ha amore per la cultura e tradizione di questa terra, ha generato vanità e prodigalità nello spendere. Come ha già detto in altri Canti il poeta, pone su una delle basi della rovina di Firenze la gente venuta dal contado, che con la loro sregolatezza nel vivere e con la forza dei "subiti guadagni" hanno generato il male che adesso non si riesce ad estirpare (è ricordare il lavoro di Dante da priore, che avviò una relativa pace con l'allontanamento delle maggiori teste di entrambi i partiti). Oltre all'immoralità dei nuovi arrivati è incentrata qui anche un attacco contro la ricchezza che genera superbia e corruzione ed è rovina per se e per gli altri. 75: ten piagni: te ne addolori, ne risenti.

76: con la faccia levata: con gesto profetico e di indignazione. 77: e i tre peccatori presero come risposta alla loro domanda questa che io intesi come invettiva rivolta a Firenze. 78: si guardarono negli occhi l'un l'altro con doloroso stupore, come chi è obbligato a stare alla verità dura e cruda che gli fa male. 79 - 80 - 81: se puoi parlare così prontamente e liberamente da qualsiasi interesse soddisfacendo gli altri, sei tu felice se così parli a tuo desiderio. Intonano a Dante il complimento d'essere un uomo libero che senza obblighi di vanità o ipocrisia, parla di quello che lui pensa a riguardo senza nascondere nulla della verità. 82: però: perciò di questo. Proprio in quanto parlatore libero di pensiero e cortese nel carattere.

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fa che di noi a la gente favelle". Indi rupper la rota, e a fuggirsi

87 ali sembiar le gambe loro isnelle. Un amen non saria possuto dirsi tosto così com'e' fuoro spariti;

90 per ch'al maestro parve di partirsi. Io lo seguiva, e poco eravam iti, che 'l suon de l'acqua n'era sì vicino,

93 che per parlar saremmo a pena uditi. Come quel fiume c' ha proprio cammino prima dal Monte Viso 'nver' levante,

96 da la sinistra costa d'Apennino, che si chiama Acquacheta suso, avante che si divalli giù nel basso letto,

99 e a Forlì di quel nome è vacante,

84 - 85: i dannati possono solo essere attaccati alla loro fama terrena poiché qui sono sporchi del peccato, quindi chiedono che quel viaggiatore ricordi alla gente viva questo momento e parlando di loro come uomini di valore. 87: isnelle: veloci, leggere. 88 - 89: potrebbe essere stato un modo di dire di quell'epoca. 90: per la qual cosa a Virgilio parve opportuno d'incamminarsi. 91: iti: partiti, allontanati. 92 - 93: il rumore assordante della cascata del Flegetonte che cade nell'abisso era così vicino che parlando a voce media si sarebbero appena

uditi. 94 ... 98: mette a paragone la cascata del Flegetonte con quella del Montone che sta a San Benedetto, ulteriormente erudita nei dettagli dicendo che negli appennini c'è uno degli affluenti, che lui ha visto, che si chiama Acquacheta nato dal Monviso verso levante. Quando invece quest'ultimo produce le cascate di San Benedetto insieme ad altri corsi, nel suo letto più basso, diventa il fiume Montone. Divalli: scenda, precipiti. 99: è privo di quel nome poiché unendosi con il Ronco va a formare i Fiumi Uniti che sfociano nel mar Adriatico.

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rimbomba là sovra San Benedetto de l'Alpe per cadere ad una scesa

102 ove dovea per mille esser recetto; così, giù d'una ripa discoscesa, trovammo risonar quell'acqua tinta,

105 sì che 'n poc'ora avria l'orecchia offesa. Io avea una corda intorno cinta, e con essa pensai alcuna volta

108 prender la lonza a la pelle dipinta. Poscia ch'io l'ebbi tutta da me sciolta, sì come 'l duca m'avea comandato,

111 porsila a lui aggroppata e ravvolta. Ond'ei si volse inver' lo destro lato, e alquanto di lunge da la sponda

114 la gittò giuso in quell'alto burrato.

101 - 102: per cadere da una cascata invece che scendere per tante discese. Ricordiamo che davanti a loro sentono una cascata e con questi versi si vuole far intendere che se il fiume scorresse a tratti scoscesi non ci sarebbe quel frastuono che la cascata crea. 104: risonar: rimbombare, frastornare. 106: una corda: come può essere chiaro a chiunque la corda sta ad implicare un valore allegorico che negli anni è stato frammentato in davvero tanti commentatori sia antichi che moderni, l'ipotesi che più si attesta al racconto è che la corda sta a significare la frode che è il carattere di cui il peccatore si serve per dare sfogo alla sua tentazione, ricollegato così anche al ricordo della lonza che come

già sappiamo è sinonimo della lussuria e nella situazione di peccato in cui Dante si trovava sarebbe stato il modo di avvicinarsi con la frode (corda). Una delle scelte secondarie sulle ipotesi può cadere invece sulle virtù che quell'oggetto allegoricamente rappresenta e che ha combattuto prima la lonza e ora terrà a bada Gerione. 108: a la pelle dipinta: dal pelo maculato, a chiazze. 111: aggroppata e ravvolta: avvolta e raccolta come una matassa. 113 - 114: la gettò in quel profondo burrone lontano dalla sponda del precipizio; affinché non rimanesse impigliata.

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'E' pur convien che novità risponda', dicea fra me medesmo, 'al novo cenno

117 che 'l maestro con l'occhio sì seconda'. Ahi quanto cauti li uomini esser dienno presso a color che non veggion pur l'ovra,

120 ma per entro i pensier miran col senno! El disse a me: "Tosto verrà di sovra ciò ch'io attendo e che il tuo pensier sogna;

123 tosto convien ch'al tuo viso si scovra". Sempre a quel ver c' ha faccia di menzogna de' l'uom chiuder le labbra fin ch'el puote,

126 però che sanza colpa fa vergogna; ma qui tacer nol posso; e per le note di questa comedìa, lettor, ti giuro,

129 s'elle non sien di lunga grazia vòte,

117: che il maestro segue con gli occhi attentamente, come qualcuno che aspetta che si verifichi qualcosa. 118 - 119 - 120: Davvero tanto devono stare attenti gli uomini quando si trovano al fianco di persone che non vedono solo gli atti esteriori ma sono sensibili anche al pensiero interiore. 122: sogna: immagina disordinatamente. 123: è necessario al tuo andare, che tu veda chiaramente ciò che sta per arrivare. 124 - 125 - 126: a tutte quelle verità che sembrano falsità per il straordinario e sorprendente deve l'uomo farne silenzio, poiché potrebbe esser giudicato bugiardo e

ingannatore. Dante sta preparando il lettore ad una venuta di un personaggio a cui nessuno mai crederebbe e il bel cogegno attuato con il consiglio appena citato in questi versi e la propria confutazione nei prossimi va a creare in chi legge una stato di alta curiosità e impazienza. 127: note: versi. 128: comedía: il titolo del poema. Per il valore attribuito dall'autore alla dizione "comedía" è da intendere: scritto umile in stile umile con lieto fine. 129: anche se queste (le note, quindi, i versi) nel futuro non siano prese a favore.

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ch'i' vidi per quell'aere grosso e scuro venir notando una figura in suso,

132 maravigliosa ad ogne cor sicuro, sì come torna colui che va giuso talora a solver l'àncora ch'aggrappa

135 o scoglio o altro che nel mare è chiuso, che 'n sù si stende e da piè si rattrappa.

131: notando: nuotando nell'aria unta e acre. 132: maravigliosa: sorprendente, sbalorditiva. Cor sicuro: animo coraggioso e di non facile turbamento.

133 - 134: così come fa il marinaio che va giù al fondo del mare per sciogliere l'impiglio che blocca l'ancora. 136: che nuotando si distende e piega per darsi la spinta.

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Canto Diciassettesimo

Canto XVII, nel quale si tratta del discendimento nel

luogo detto Malebolge, che è l'ottavo cerchio de l'inferno;

ancora fa proemio alquanto di quelli che sono nel settimo

circulo; e quivi si truova il demonio Gerione sopra 'l

quale passaro il fiume; e quivi parlò Dante ad alcuni

prestatori e usurai del settimo cerchio.

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"Ecco la fiera con la coda aguzza, che passa i monti e rompe i muri e l'armi!,

3 Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza!". Sì cominciò lo mio duca a parlarmi; e accennolle che venisse a proda,

6 vicino al fin d'i passeggiati marmi. E quella sozza imagine di froda sen venne, e arrivò la testa e 'l busto,

9 ma 'n su la riva non trasse la coda. La faccia sua era faccia d'uom giusto, tanto benigna avea di fuor la pelle,

12 e d'un serpente tutto l'altro fusto; due branche avea pilose insin l'ascelle; lo dosso e 'l petto e ambedue le coste

15 dipinti avea di nodi e di rotelle.

1 - 2 - 3: ero arrivato in punto dove si cominciava a sentire il fragore dell'acqua che cadeva nell'altro cerchio, simile al rumore che fanno le api dentro l'alveare; che è percepibile ma non riconoscibile in quello che succede. 4: si partiro: si allontanarono, si staccarono. 5: una torma: una schiera di sodomiti, che diversamente dai letterati e chierici del gruppo di Brunetto Latini nel precedente Canto, sono uomini politici di grande autorità. 8: a l'abito: il Boccaccio dice che a quei tempi quasi tutte le città avevano modo diverso e singolare nel modo di vestire. 9: di nostra terra prava: della nostra terra malvagia. Anche questi peccatori

sono di Firenze e il dialogo politico e morale andrà a continuare quello che c'è stato con Brunetto ma con modi più generali e violenti (come avremo già capito dagli aspri suoni) che danno più rilievo alla realtà del dolore che soffrono le anime in contrasto alla grandezza, che in vita hanno mostrato questi uomini, che li coinvolge col sentimento che Dante ha sempre mostrato verso il miglioramento della società attraverso la buona e giusta politica. 11: ricenti: recenti, poiché le riconosce ancora. Vecchie: decrepite, perché 13: s'attese: pose la sua attenzione su di un preciso oggetto o persona. 15: si vuole: si deve, è importante che si faccia.

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Con più color, sommesse e sovraposte non fer mai drappi Tartari né Turchi,

18 né fuor tai tele per Aragne imposte. Come talvolta stanno a riva i burchi, che parte sono in acqua e parte in terra,

21 e come là tra li Tedeschi lurchi lo bivero s'assetta a far sua guerra, così la fiera pessima si stava

24 su l'orlo ch'è di pietra e 'l sabbion serra

17: la natura: qui intesa come ambiente vivo, anime che vengono saettate venendo ad addolorarsi e mortificarsi in luogo dove tutto è male e si perpetua nelle sue azioni. 18: che meglio stesse: convenisse, sarebbe vantaggio poiché sono personaggi nobili e valorosi da cui prendere il tuo pasto per la tua crescita morale. 19: come noi restammo: ci arrestammo davanti al loro volere parlarci. 20: l'antico verso: ricominciarono con i loro lamenti di dolore appena dopo aver chiamato Dante. 21: fenno una rota: formarono un cerchio. Ricordiamo dal Canto precendente che i dannati non possono fermarsi, e per stare al passo dei due pellegrini si mettono in

cerchio e continuano a muoversi così da avere un modo di conversazione che la faciliterebbe. Tanti hanno discusso sul caso se quelle anime si tenessero appoggiandosi l'un l'altra, accennando dei lottatori che si studiano nelle prese nel verso 23. Trei: tre. 22: i campion: preso come termine tecnico del medioevo intenderebbe quella gente che dietro compenso aiutava e appoggiava altri nella disputa di duelli o discussioni teologiche, invece se prendiamo l'immagine che vuole darci il poeta, combattenti che nell'arena erano nudi e sporchi di sudore e terra, che per studiarsi si afferravano e urtavano. 23 - 24: studiando il momento migliore di attaccare per avere vantaggio, prima che ci si attacchi.

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Nel vano tutta sua coda guizzava, torcendo in sù la venenosa forca

27 ch'a guisa di scorpion la punta armava. Lo duca disse: "Or convien che si torca la nostra via un poco insino a quella

30 bestia malvagia che colà si corca". Però scendemmo a la destra mammella, e diece passi femmo in su lo stremo,

33 per ben cessar la rena e la fiammella. E quando noi a lei venuti semo, poco più oltre veggio in su la rena

36 gente seder propinqua al loco scemo. Quivi 'l maestro "Acciò che tutta piena esperïenza d'esto giron porti",

39 mi disse, "va, e vedi la lor mena.

28: e se la misera condizione di questo luogo debole e cedevole; che va a ricoprire sia la parte dell'immagine sia quella morale. 29: rende spregevoli, abietti noi e le nostre preghiere. "Rende" fa riferimento al luogo e cioè all'Inferno, mentre le preghiere da loro compiute sono quelle di avere un attimo di conversazione con i due poeti. 30: e 'l tinto aspetto e brollo: e il nostro aspetto annerito e bruciato. 31: da notare che l'inizio della terzina precedente "Se miseria" e l'inizio di questa "la fama", sono contrapposte nella loro etimologia, come a voler discernere il loro passato terreno e il loro presente di espiazione. 32 - 33: che calpesti, così sicuro, i piedi

vivi questo luogo maledetto. 35: tutto che: sebbene, nonostante. 36: di grado maggior: di nobiltà e dignità maggiore a quella che tu possa immaginare. 37 - 38 - 39: Guido Guerra, figlio di Marcovaldo, apparteneva alla discendenza dei Guidi, e molto significativa è il suo essere nipote di Guido il vecchio e la nobile ("buona") Gualdrada Berti, a sua volta figlia di Bellincione Berti dei Ravignani. Viene ricordato per le sue doti intellettuali e di battaglia con cui scacciò i ghibellini da Arezzo, dopo poi essere stato sconfitto a Montaperti e fatto esule, fu uno delle bandiere che si distinse per il valore dato alla riscossione guelfa.

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Li tuoi ragionamenti sian là corti; mentre che torni, parlerò con questa,

42 che ne conceda i suoi omeri forti". Così ancor su per la strema testa di quel settimo cerchio tutto solo

45 andai, dove sedea la gente mesta. Per li occhi fora scoppiava lor duolo; di qua, di là soccorrien con le mani

48 quando a' vapori, e quando al caldo suolo: non altrimenti fan di state i cani<br> or col ceffo or col piè, quando son morsi<br>

51 o da pulci o da mosche o da tafani.

40: trita: calpesta. 41 - 42: Tegghiaio Aldobrandi: di famiglia degli Adimari quindi parte guelfa, podestà di Arezzo nel 1256, anche lui prode cavaliere di grande nobiltà e autorevolezza non solo nel suo partito ma anche nella società di quei tempi. Sconsigliò la battaglia di Montaperti, avendo grande esperienza in guerra, alla sua ala politica che fu poi sconfitta infatti l'Alighieri lo ricorda in questi versi, che la sua voce avrebbe dovuto essere ascoltata. 43: in Croce: al dolore, al tormento. 44: Iacopo Rusticucci: uomo della consorteria dei Cavalcanti di grande presenza comunale, valoroso in battaglia e piacevole nelle relazioni, si dice (come racconta Dante poco dopo)

che fu spinto dal comportamento bisbetico e odioso della moglie, che allontanò da sé, ad odiare le donne così da rivolgersi allo stesso sesso per attenzioni sessuali, quindi qui punito per omosessualità. Un'altra opinione è quella del collegamento della moglie alla corrente dei Catari, che aborrivano la procreazione e di conseguenza il rapporto sessuale naturale dedicandosi così al rapporto sessuale per via anale che viene anche inteso come sodomia. 45: fiera: convinta dei suoi principi. Mi nuoce: mi ferisce, mi danneggia perché per sua colpa sono a soffrire qui. 46: coperto: difeso, protetto. 48: dottor: Virgilio. Sofferto: tollerato, permesso.

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Poi che nel viso a certi li occhi porsi, ne' quali 'l doloroso foco casca,

54 non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi che dal collo a ciascun pendea una tasca ch'avea certo colore e certo segno,

57 e quindi par che 'l loro occhio si pasca. E com'io riguardando tra lor vegno, in una borsa gialla vidi azzurro

60 che d'un leone avea faccia e contegno. Poi, procedendo di mio sguardo il curro, vidine un'altra come sangue rossa,

63 mostrando un'oca bianca più che burro. E un che d'una scrofa azzurra e grossa segnato avea lo suo sacchetto bianco,

66 mi disse: "Che fai tu in questa fossa?

52: non dispetto, ma doglia: non disprezzo, ma dolore. 53: dentro mi fisse: mi trafisse il cuore. 54: così tanto che solo dopo lungo tempo questa pena e dolore saranno attenuati. 56: parole: dei versi 14 - 18. 57: che per quanto voi siete nobili, tale gente mi aspettavo. 60: con commozione riferii e ascoltai delle vostre storie. Da notare che "ritrassi" viene prima di "ascoltai" così da farsi intendere un motivo di più forte affetto verso questi personaggi

di cui, Dante, si sentiva partecipe nei principi. 61: lascio l'amaro del peccato, e vado a conquistare il dolce del bene. La metafora viene costruita proprio sul viaggio di redenzione che il poeta fa, attraversando tutto il male per arrivare al bene attraverso tutta l'allegoria della Commedia. 63: ma prima è giusto che cada al centro del mondo (e dell'Inferno). 64 - 65 - 66: possa tu vivere lungamente e la tua fama anche dopo la tua dipartita.

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Or te ne va; e perché se' vivo anco, sappi che 'l mio vicin Vitalïano

69 sederà qui dal mio sinistro fianco. Con questi Fiorentin son padoano: spesse fïate mi 'ntronan li orecchi

72 gridando: "Vegna 'l cavalier sovrano, che recherà la tasca con tre becchi!". Qui distorse la bocca e di fuor trasse

75 la lingua, come bue che 'l naso lecchi.

67 - 68 - 69: parla e dicci se la cortesia che viveva nella nostra città, li dimora ancora o se essa l'ha lasciata. La cortesia che intende Dante è quella antica non quella medievale che aveva preso sinonimo di presenza a corte, la cortesia era la nobiltà dell'uomo nella sua espressione attraverso gli atti e le volontà tutte confacenti alle virtù. 70: Guglielmo Borsiere: fu cavaliere di corte paciere e a volte organizzatore di matrimoni come voleva il tempo d'allora, si dice fosse di animo buono e gentile. Si deduce che sia morto da poco tempo e quindi intorno al 1300, informazione portata da Dante nel verso dopo. 71: coi compagni: con i compagni di schiera, di peccato. 72: assai ci addolora con i suoi racconti, dicendoci che a Firenze non dimorano più cortesia e valore. Con queste parole il dannato non dice che le parole del Borsiere sono di dubbia attendibilità ma è l'essere scettico davanti a fatti che addolorano, è un

animo incredulo davanti a delle parole che fanno male e si pone continuamente domanda se mai fossero veritiere. 73 - 74: la gente venuta da fuori città che non ha amore per la cultura e tradizione di questa terra, ha generato vanità e prodigalità nello spendere. Come ha già detto in altri Canti il poeta, pone su una delle basi della rovina di Firenze la gente venuta dal contado, che con la loro sregolatezza nel vivere e con la forza dei "subiti guadagni" hanno generato il male che adesso non si riesce ad estirpare (è ricordare il lavoro di Dante da priore, che avviò una relativa pace con l'allontanamento delle maggiori teste di entrambi i partiti). Oltre all'immoralità dei nuovi arrivati è incentrata qui anche un attacco contro la ricchezza che genera superbia e corruzione ed è rovina per se e per gli altri. 75: ten piagni: te ne addolori, ne risenti.

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E io, temendo no 'l più star crucciasse lui che di poco star m'avea 'mmonito,

78 torna' mi in dietro da l'anime lasse. Trova' il duca mio ch'era salito già su la groppa del fiero animale,

81 e disse a me: "Or sie forte e ardito. Omai si scende per sì fatte scale; monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo,

84 sì che la coda non possa far male". Qual è colui che sì presso ha 'l riprezzo de la quartana, c\' ha già l'unghie smorte,

87 e triema tutto pur guardando 'l rezzo, tal divenn'io a le parole porte; ma vergogna mi fé le sue minacce,

90 che innanzi a buon segnor fa servo forte.

76: con la faccia levata: con gesto profetico e di indignazione. 77: e i tre peccatori presero come risposta alla loro domanda questa che io intesi come invettiva rivolta a Firenze. 78: si guardarono negli occhi l'un l'altro con doloroso stupore, come chi è obbligato a stare alla verità dura e cruda che gli fa male. 79 - 80 - 81: se puoi parlare così prontamente e liberamente da qualsiasi interesse soddisfacendo gli altri, sei tu felice se così parli a tuo desiderio. Intonano a Dante il complimento d'essere un uomo libero che senza obblighi di vanità o ipocrisia,

parla di quello che lui pensa a riguardo senza nascondere nulla della verità. 82: però: perciò di questo. Proprio in quanto parlatore libero di pensiero e cortese nel carattere. 84 - 85: i dannati possono solo essere attaccati alla loro fama terrena poiché qui sono sporchi del peccato, quindi chiedono che quel viaggiatore ricordi alla gente viva questo momento e parlando di loro come uomini di valore. 87: isnelle: veloci, leggere. 88 - 89: potrebbe essere stato un modo di dire di quell'epoca. 90: per la qual cosa a Virgilio parve opportuno d'incamminarsi.

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I' m'assettai in su quelle spallacce; sì volli dir, ma la voce non venne

93 com'io credetti: 'Fa che tu m'abbracce'. Ma esso, ch'altra volta mi sovvenne ad altro forse, tosto ch'i' montai

96 con le braccia m'avvinse e mi sostenne; e disse: "Gerïon, moviti omai: le rote larghe, e lo scender sia poco;

99 pensa la nova soma che tu hai". Come la navicella esce di loco in dietro in dietro, sì quindi si tolse;

102 e poi ch'al tutto si sentì a gioco, là 'v'era 'l petto, la coda rivolse, e quella tesa, come anguilla, mosse,

105 e con le branche l'aere a sé raccolse.

91: iti: partiti, allontanati. 92 - 93: il rumore assordante della cascata del Flegetonte che cade nell'abisso era così vicino che parlando a voce media si sarebbero appena uditi. 94 ... 98: mette a paragone la cascata del Flegetonte con quella del Montone che sta a San Benedetto, ulteriormente erudita nei dettagli dicendo che negli appennini c'è uno degli affluenti, che lui ha visto, che si chiama Acquacheta nato dal Monviso verso levante. Quando invece quest'ultimo produce le cascate di San

Benedetto insieme ad altri corsi, nel suo letto più basso, diventa il fiume Montone. Divalli: scenda, precipiti. 99: è privo di quel nome poiché unendosi con il Ronco va a formare i Fiumi Uniti che sfociano nel mar Adriatico. 101 - 102: per cadere da una cascata invece che scendere per tante discese. Ricordiamo che davanti a loro sentono una cascata e con questi versi si vuole far intendere che se il fiume scorresse a tratti scoscesi non ci sarebbe quel frastuono che la cascata crea. 104: risonar: rimbombare, frastornare.

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Maggior paura non credo che fosse quando Fetonte abbandonò li freni,

108 per che 'l ciel, come pare ancor, si cosse; né quando Icaro misero le reni sentì spennar per la scaldata cera,

111 gridando il padre a lui "Mala via tieni!", che fu la mia, quando vidi ch'i' era ne l'aere d'ogne parte, e vidi spenta

114 ogne veduta fuor che de la fera. Ella sen va notando lenta lenta; rota e discende, ma non me n'accorgo

117 se non che al viso e di sotto mi venta. Io sentia già da la man destra il gorgo far sotto noi un orribile scroscio,

120 per che con li occhi 'n giù la testa sporgo.

106: una corda: come può essere chiaro a chiunque la corda sta ad implicare un valore allegorico che negli anni è stato frammentato in davvero tanti commentatori sia antichi che moderni, l'ipotesi che più si attesta al racconto è che la corda sta a significare la frode che è il carattere di cui il peccatore si serve per dare sfogo alla sua tentazione, ricollegato così anche al ricordo della lonza che come già sappiamo è sinonimo della lussuria e nella situazione di peccato in cui Dante si trovava sarebbe stato il modo di avvicinarsi con la frode (corda). Una secondaria ipotesi può essere invece sulle virtù che quell'oggetto allegoricamente rappresenta e che ha combattuto prima la lonza e ora terrà a bada Gerione.

108: a la pelle dipinta: dal pelo maculato, a chiazze. 111: aggroppata e ravvolta: avvolta e raccolta come una matassa. 113 - 114: la gettò in quel profondo burrone lontano dalla sponda del precipizio; affinché non rimanesse impigliata. 115: novità: qualcosa di non visto, qualcosa deve accadere per quello che il maestro ha fatto. 116: cenno: segnale, avvertimento. 117: che il maestro segue con gli occhi attentamente, come qualcuno che aspetta che si verifichi qualcosa. 118 - 119 - 120: Davvero tanto devono stare attenti gli uomini quando si trovano al fianco di persone che non vedono solo gli atti esteriori ma sono sensibili anche al pensiero interiore.

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Allor fu' io più timido a lo stoscio, però ch'i' vidi fuochi e senti' pianti;

123 ond'io tremando tutto mi raccoscio. E vidi poi, ché nol vedea davanti, lo scendere e 'l girar per li gran mali

126 che s'appressavan da diversi canti. Come 'l falcon ch'è stato assai su l'ali, che sanza veder logoro o uccello

129 fa dire al falconiere "Omè, tu cali!", discende lasso onde si move isnello,<br> per cento rote, e da lunge si pone<br>

132 dal suo maestro, disdegnoso e fello; così ne puose al fondo Gerïone<br> al piè al piè de la stagliata rocca,<br>

135 e, discarcate le nostre persone, si dileguò come da corda cocca.

122: sogna: immagina disordinatamente. 123: è necessario al tuo andare, che tu veda chiaramente ciò che sta per arrivare. 124 - 125 - 126: a tutte quelle verità che sembrano falsità per il straordinario e sorprendente deve l'uomo farne silenzio, poiché potrebbe esser giudicato bugiardo e ingannatore. Dante sta preparando il lettore ad una venuta di un personaggio a cui nessuno mai crederebbe e il bel cogegno attuato con il consiglio appena citato in questi versi e la propria confutazione nei prossimi va a creare in chi legge una stato di alta curiosità e impazienza. 127: note: versi.

128: comedía: il titolo del poema. Per il valore attribuito dall'autore alla dizione "comedía" è da intendere: scritto umile in stile umile con lieto fine. 129: anche se queste (le note, quindi, i versi) nel futuro non siano prese a favore. 131: notando: nuotando nell'aria unta e acre. 132: maravigliosa: sorprendente, sbalorditiva. Cor sicuro: animo coraggioso e di non facile turbamento. 133 - 134: così come fa il marinaio che va giù al fondo del mare per sciogliere l'impiglio che blocca l'ancora. 136: che nuotando si distende e piega per darsi la spinta.

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