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Capitolo terzo CANTI MONODICI CON ACCOMPAGNAMENTO STRUMEN ALE

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Capitolo terzo

CANTI MONODICI CON ACCOMPAGNAMENTO STRUMENTALE

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In questa categoria rientrano quei canti che nella loro esecuzione richiedono l’uso di strumenti musicali. Sono canti legati, principalmente, ad occasioni di svago vissute all’interno della comunità materana.

Si tratta dei “canti sul tamburello”, connessi alla danza, dei “canti di questua”, legati allo svolgimento delle “Matinate” che allietavano le serate durante il perio-do di Carnevale1 e dei “canti satirici” di ispirazione umoristica.

3.1 Canti sul tamburello I canti sul tamburello non sono altro che “canzoni a ballo”. Nel lavoro di Mo-

linari Del Chiaro (1883, p. 58) sono definiti “Canti sul tamburello nel ballo della tarantella”, e allo stesso modo vengono descritti nella raccolta curata da Pratella (1941, p. 435), che intitola “Tarantella materana” il paragrafo in cui ne parla.

Non si hanno molte notizie a disposizione, in quanto i due studi costituisco-no, di fatto, gli unici riferimenti per la trattazione di questo genere. Nel lavoro del 1883 di Molinari Del Chiaro viene riportato solo il testo di uno di questi canti, mentre qualche informazione in più la si trova nella raccolta, più recente, curata da Pratella.

Il testo che segue è tratto dal lavoro di Molinari Del Chiaro (1883, p. 58-60); in corsivo sono indicate le strofe in comune con la versione riportata da Pratella di cui, in nota, si riporta la traduzione effettuata dal raccoglitore.

“Canti sul tamburrello nel ballo della tarantella” 1.Ti nanni nanni nà ti nanni nenaTi nanni nanni nà ti nanni nenaTu fe lu dann ed i, anima bell,Chianci la pena, chianci la pena2. 2.Tre frunn e tre fiori so cinchi roseTre frunn e tre fiori so cinchi roseDormi la nenna mi, anima bell,Dormi e riposa, dormi e riposa.

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3.Ti nanni nà, pupi di strazzTi nanni nà, pupi di strazzCi t’ha mparat’ a tev’, anima bell,O di cantare, o di cantare.3

4.Ci vu ca ti lu mett, ‘i ti lu mettCi vu ca ti lu mett, ‘i ti lu mettU quantinazz mi, anima bell,Dret’ alla porta, dret’ alla porta4. 5.Aveva da vini non è pitutoAveva da vini, non è pitutoSo sta’ a nna catena, anima bell,O ncatinate, o ncatinate. 6.Statti citt, rusp o di pantaneStatti citt, rusp o di pantaneCa egghia a cantà ì, anima bell,So cristiane, so cristiane. 7.Amor, amor è com alla niceddaAmor, amor è com alla niceddaCi na la rump apprimi, anima bell,O nan si prove, o nan si prove5. 8.Ci abball mo iè ghialantomneCi abball mo iè ghialantomneChi llu zicarri mmocchi, anima bellE lu bastone, e lu bastone. 9.Mo balla Ciminiri e CimineraMo balla Ciminiri e CiminieraMo balla Strazzacapp, anima bellE la migghiera e la migghiera.

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10.Egghi chiantati n’alvr di pepi foriPi ffai lu tilar alla mia bellaLa sciascetli av ad ess di noscia fortU zippitidd di rosamariaLa tel e lu tilari scisci di DdiLa donna la tess sarà la mì. 11.Comminuti, figghia di massariQuann camin tu fe clomm d’oriMo vè allu vacili pi llavàU bbianc nni lavat, russ mintitiMo vè allu spicchiali pidì ammiràCce serv ca v’ammirat, vu bella sitiMo vè allu balcon pidì affaccià / U rrasci di lu soli mpett tiniti!

Pratella (1941, p. 435), oltre a tentare una lettura del testo, fornisce una bre-ve descrizione della struttura metrica delle strofe: “Serie di trittici sul tipo dello stornello e molto caratteristici. Non riesce facile afferrarne il vero significato e sembrano quasi costruiti sopra elementi di fonte differente”.

Sempre nel lavoro di Pratella (ibidem) il canto viene così descritto:

«Tarantella materana». Canzone amorosa e probabilmente a ballo, solistica o corale monodica, accompagnata dal tamburello, e tra-scritta a Matera nel novembre del 1933. Il raccoglitore l’ha manda-ta scritta […] sprovvista inoltre di note informative, ad eccezione della didascalia: «canto al suono del tamburello», e della traduzione in italiano del testo dialettale […] il raccoglitore definisce il com-ponimento «tarantella materana» canzone a ballo quindi. Anche la relativa melodia, di aspetto fra il settecentesco e l’ottocentesco […] presenta tutti i caratteri della melodia per danza popolare.

In questo stesso lavoro sono riportate due trascrizioni su pentagramma della linea melodica del canto; la prima è quella effettuata dal raccoglitore del canto (idem, p. 435):

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Trascrizione 1: tratta da Pratella 1941, p. 435

La seconda è quella realizzata dallo stesso Pratella6 (idem, p. 436) che sente la necessità di rettificare la precedente (“… nella sua notazione ritmica e nella distribuzione più spontanea delle sillabe sotto il motivo”).

Trascrizione 2: tratta da Pratella 1941, p. 436

Modulo 1/2

I dati riportati nella tabella finale si riferiscono all’analisi compiuta a partire dalla trascrizione realizzata dal raccoglitore del canto; tra parentesi, dove necessa-rio per la diversità dei risultati ottenuti, vengono riportati i dati riferibili all’ana-lisi della trascrizione “di rettifica” compiuta da Pratella.

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Pratella; 1941

Struttura melodica |AA1i|

Intonazione Si3 (III)

Struttura cadenzale |I - I - I|

Scala Maggiore, ottava non completa (Sol3)

Ambitus 5 (Re3) - VI (Mi4)

Profilo melodico

Rapporto note\sillabe 0,90; (0,94)

Suddivisione Binaria; (irregolare composta)

Accompagnamento strumentale

Descritto come “canto al suono del tamburello”

La struttura melodica risultante da entrambe le trascrizioni si articola in due frasi tra loro simili |AA1| seguite da un inciso |i|; il testo verbale si organizza inve-ce in strofe di tre versi ciascuna, in cui il primo verso è ripetuto due volte |aabc|; a ogni frase melodica corrispondono due versi del testo verbale, mentre l’inciso comprende l’esecuzione di un vocalizzo che marca la fine di ogni strofa.

Dai dati relativi alla struttura cadenzale si nota come ogni linea melodica, in-ciso compreso, termini sul primo grado della scala (Sol3), mentre l’ambitus non copre l’intera ottava anche se presenta una certa estensione; inoltre dal rapporto note/sillabe si evidenzia un’esecuzione di tipo melismatico, che caratterizza so-prattutto l’esecuzione dell’inciso. Le differenze tra le due trascrizioni sono parti-colarmente marcate rispetto ai parametri relativi all’indicazione metrico-ritmica di riferimento, binaria nella trascrizione realizzata dal raccoglitore e irregolare nella trascrizione di rettifica, e al rapporto note/sillabe, parzialmente diverso nel-le due trascrizioni. Il che lascia supporre che la maggiore o minore melismaticità sia prevalentemente il prodotto di uno stile esecutivo individuale piuttosto che una caratteristica strutturale dello specifico repertorio.

3.2 Canti di questua I canti di questua, per i loro specifici caratteri esecutivi nonchè per la loro

funzione di richiesta di doni, sono legati allo svolgimento delle “matinate”.

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Il termine “matinata”, che tra l’altro figura nel titolo di uno di questi canti di questua, si riferisce a serenate che avevano la caratteristica di terminare all’alba: “… le «Laudi» si interrompevano per una severa tradizione prima che sull’orien-te apparissero le prime luci, che si vedevano solo se la brigata dei menestrelli s’era attardata a bere in case amiche troppo ospitali” (Padula, 1965, p. 91)7. Queste “serenate” venivano “portate” di casa in casa dal primo dell’anno fino alla ricor-renza della “Candelora”8.

Le compagnie che giravano erano spesso guidate, e pagate, da benestanti e si componevano oltre che di suonatori anche di uno o, come più spesso avveniva, due “laudatori («ciarauli»)” che avevano il compito di improvvisare le lodi per i componenti della famiglia cui la “matinata” era portata (A. Giampietro, 1988, p. 108)9. Anche la famiglia ospitante era, generalmente, benestante10 dovendo potersi permettere non solo di improvvisare una cena per i non attesi ospiti ma anche quando alla fine della serata i laudatori chiedevano esplicitamente qualche dono per la compagnia, di soddisfare questa loro richiesta.

Le «matinate», che erano laudi di questua, portate di casa in casa, al suono della «cupa-cupa», durante il periodo carnevalesco, s’im-perniavano sul dono come legame comunitario quale effetto rituale di un incantesimo espresso col suono e col canto. Ed è etnologica-mente significativo che a stimolare il rituale di richiesta fosse l’ucci-sione del porco, un avvenimento di grande rilevanza nelle comuni-tà contadine per la natura mitica del personaggio, la ritualità della sua morte benefica e la consistenza economica che esso comportava (Bronzini, 1978, p. 423)11.

Era usanza, quando una compagnia arrivava davanti all’abitazione da visitare, bussare ed attendere una risposta dall’interno. Una volta ricevuto il permesso, il laudatore poteva cominciare a cantare mentre le porte della casa venivano aperte; in caso contrario la compagnia era tenuta ad andare via senza insistere oltre. Dai ricordi di alcuni anziani è emerso che, spesso, si evitava volutamente di risponde-re, cercando (per quanto possibile) di far sembrare l’abitazione deserta, e questo proprio per non ospitare la compagnia e non essere costretti a soddisfare le sue richieste.

Oltre ai “laudatori” (in genere in ogni compagnia ve ne erano due in modo che alternandosi nel canto potevano pensare alla lode successiva), le compagnie erano formate anche da suonatori di strumenti musicali; oltre alla cupa-cupa, il cui suo-

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no accompagnava tutto il periodo carnevalesco (Del Parigi e Demetrio, 1994, p. 203), si utilizzavano anche la chitarra, il mandolino, la fisarmonica (A. Giampietro, 1988, p. 108) e il bassotuba o, in sua vece, il trombone (D. Giampietro, 1977, p. 21); sia i suonatori che i laudatori appartenevano alle classi sociali più basse12 e spesso lavoravano per le stesse famiglie cui rivolgevano la questua.

Quella delle “matinate” doveva essere un’usanza molto vecchia; Bronzini (1978, p. 423) fa notare come, “a un vaglio storico-sociologico risaltano le espressioni di omaggio feudale nelle serenate…”13, ma interessante è anche la testimonianza che Ridola riporta nel 1857 nella sua Descrizione storico-statistica della città di Matera (p. 117):

Da Natale poi a Carnovale girano di notte alcune compagnie, aven-do seco suonatori di diversi strumenti ed un poeta volgare estem-poraneo detto Laudatore il quale intuona una canzone in lode del padrone della casa che si vuol visitare dalla sua famiglia; e questi suol dare una gallina o cosa simile. Or siccome il canto ed il suono sono naturali all’uomo, mentre è per lui un bisogno di partecipare ad altri con tai mezzi gl’interni sentimenti che lo commuovono, e di fatto li troviamo universalmente in uso presso tutti i popoli civili non meno che appo gl’incolti ed i selvaggi così il Materano volgo […] col suono accompagna la strampalata poesia delle matinate

Le pubblicazioni che riportano il canto la matinata sono molte, da Ridola (ibidem) agli esempi riportati dai fratelli Giampietro (1977); attualmente, però, tale usanza sembra essersi completamente persa dopo aver avuto una ripresa, con toni e motivazioni diverse, nel periodo compreso tra il finire degli anni’80 e la metà degli anni ‘9014.

Oltre al canto la matinata, un altro canto di lode e di questua eseguito du-rante lo svolgimento delle “matinate” era quello de la cupa-cupa, strumento che, come già anticipato, ritmava il periodo carnevalesco; questo canto lasciava meno spazio all’improvvisazione dei versi, avendo come scopo principale non il lodare i singoli elementi della famiglia visitata, ma la richiesta di doni;

A differenza delle «matinate», in cui la richiesta di doni veniva espressa solo nei versi conclusivi, nella «cupa-cupa», invece, la richiesta dei doni era costante ed assillante, quasi a voler imitare il suono «insistente» e profondo dello strumento (A. Giampietro, 1988, p. 115);

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Riguardo questo canto scarseggia, invece, il materiale cui far riferimento. È stato inserito in questa sezione anche il canto U tamberridde mi’ il cui testo fa espliciti riferimenti al periodo Carnevalesco.

La matinataCaratteristica di questo canto era, dunque, l’improvvisazione nell’esecuzione

dei versi di lode. Questi venivano improvvisati seguendo una struttura metrica che doveva essere ben radicata nei “laudatori”, visto che, a giudicare dagli esempi a disposizione, si è mantenuta nel tempo. Generalmente si tratta di quartine di endecasillabi a rima baciata |aabb|, ma è possibile trovare anche versi sciolti.

Un primo esempio ed una prima descrizione dell’esecuzione sono presenti nel già citato studio di Ridola (1857, p. 117) nel quale, oltre ad essere riportate alcune strofe “… a modo d’esempio …” (ibidem), vengono anche messi in evi-denza alcuni particolari dell’esecuzione. Ridola, infatti, oltre al far riferimento al “suono” che “accompagnava la strampalata poesia delle matinate”, fornisce un’in-dicazione più precisa quando afferma che (ibidem): “… dopo la cadenza musicale della matinata, incomincia il laudatore:

-Donn’Austacchi lu patrone miaSempi so servi di vissigniriaTanti ni diggh’avè di cudd’ benePe quant’chiant’ fa la Matalene-Dall’alta part’ mi voggh’ viltareDonna Brinetta voggh’laudareDonna Brinetta la patrona miaTi puozz’ vidè badess’a Santa Licia-Cessat’ li cant’, e sinator schirdat’E’ fatt’nott’, ed im’ a da f’assaje Voggh’abbrivià chessa canzonV’a pigghia la ghiaddin da l’ammason.”15

Da questa testimonianza si apprende che il laudatore iniziava il canto dopo una breve introduzione strumentale.

La più antica trascrizione su pentagramma reperita è quella inserita nella Fio-rita di canti tradizionali del popolo italiano di E. Levi (1926, II ediz., p. 146); la

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trascrizione riporta solo la melodia del canto, ma un’indicazione, posta dall’au-trice tra le due frasi melodiche (cfr. II rigo), evidenzia la presenza di strumenti.

Trascrizione 3: tratta da E. Levi 1926, p. 146

Modulo 3

La caratteristica dell’introduzione strumentale, anticipata da Ridola (1857, p. 117), si ritrova anche nella variante riportata nel lavoro di Pratella (1941, p. 433) in cui la trascrizione musicale riporta la linea melodica non solo del can-to e della citata introduzione, ma anche dell’intermezzo musicale tra le strofe.

L’autore introduce il canto con poche parole (ibidem): “«‘U Matinati ». Can-zone di questua, corale monodica, trascritta a Matera nel novembre del 1933”.

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Trascrizione 4: tratta da Pratella 1941, p. 433

Modulo 4

Dopo aver riportato la trascrizione della linea melodica e alcune strofe del canto16, Pratella fa alcune osservazioni sia sul testo poetico che su quello musi-cale:

Il testo poetico stesso spiega come questa «matinata» non sia altro che un canto di questua in occasione di una qualche solennità […]. Lodi al padrone e alla padrona di casa e, come conclusione, la richiesta di una gallina in dono. La melodia può essere cantata da uno solo o da più. Certo è, però, che qualche istrumento l’accom-pagna - violino con chitarra? - dopo aver eseguito da solo l’introdu-zione ed eseguendo quindi l’intermezzo tra strofa e strofa cantata. Il motivo, come la poesia, è molto caratteristico e si dimostra di aspetto fra il settecentesco e l’ottocentesco.

Un elemento nuovo emerge nelle registrazioni “sul campo” svolte, a Mate-ra, da De Martino e Carpitella nel 1952; vi compare quello che Padula (1965, pp. 89-90, nota n. 3) chiama “fidelio” e che si configura come una vera e propria

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introduzione alla “laude”, costituita da due versi (|cd|) non soggetti ad improv-visazione.

Le prime informazioni sul materiale raccolto a Matera, nella spedizione del 1952, si apprendono dal catalogo CNSMP (Racc. n. 18, Basilicata) in cui il can-to viene così catalogato:

“‘Tante fidele te faccie senza difetto’; v.m. + fisar.; Matera 1-10-52; canto di questua”;

queste informazioni sono state integrate da Adamo (1996, p. 363):“Matera, 1° ottobre 1952, “U matinati”, v.m. + fisar.Oi Giua’! Ci è? Quanto fidele ti faccio senza difetto Giuseppe Persia, canto; Vincenzo Paragone, fisarmonica”.

Nelle “note di campo” inoltre, (De Martino, 1995, pp. 85-86) è riportata parte del testo della versione raccolta, preceduta da un’indicazione che evidenzia la funzionalità del canto (le parti non in corsivo appartengono al testo così come riportato nei taccuini):

“U matinate (mattinato) - canto di questua

Giuà….ce vuò?Tanto fidele ti faccio senza difettoScurdate avè de me scurdato affattoDa molti tempi stavo desircolandope’ benè truvà a vo’ in questi lochiCo l’aiute de Ddi sont’arrivatesaluto a quant gente simmo truvateLa luna co lu sole lu munne aggirafa li concurso (concorrenza) a li ventiquattrore (6 di sera)U’ vostro amico Nicola te vene a reverima de Giuann non me scordaria”.

L’iniziale scambio di battute tra due persone (Giuà // ce vuò?), sembra riferirsi all’abitudine, di cui si è già parlato, di bussare alla porta (anche se in questo caso ci si rivolge direttamente all’interessato) e di aspettare una risposta dall’interno

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prima di intonare il canto; è possibile, inoltre, notare i versi introduttivi del “fi-delio” (Tanto fidele ti faccio senza difetto / Scurdate avè de me scurdato affatto).

Ascoltando la registrazione emerge che l’esecuzione del “fidelio” è accompa-gnata dalla fisarmonica, mentre le strofe del canto sono eseguite dalla sola voce, senza alcun accompagnamento strumentale; la fisarmonica entra sul finale di entrambe le frasi melodiche, per poi procedere nell’esecuzione dell’intermezzo strumentale; alla fisarmonica è anche affidata la conclusione del canto che ha una configurazione melodica diversa da quella dell’intermezzo.

Giuseppe Persia: canto; Vincenzo Paragone: fisarmonica

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Trascrizione 5: registrazione di D. Carpitella, 1952

Modulo 5

Un altro esempio di questo canto è fornito da un’incisione discografica realiz-zata nel 1965 dal coro polifonico “Pier Luigi da Palestrina”, diretto da Don Luigi Paternoster. Questa versione propone una lettura del canto in chiave polifonica, mediante una divisione delle parti tra solista e coro determinando, come verrà meglio chiarito nelle considerazioni finali, una struttura melodica diversa da quella delle altre versioni17.

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Coro Polifonico “Pier Luigi da Palestrina”

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Trascrizione 6: registrazione realizzata dal coro polifonico“Pier Luigi da Palestrina”, 1965

Modulo 6

Ancora al nome di Don Luigi Paternoster è legata una trascrizione su pen-tagramma realizzata nel 1974 in occasione dei festeggiamenti del “Luglio mate-rano”. Tale trascrizione, oltre ad essere corredata della firma di Don Luigi, della data e dell’occasione per cui fu elaborata, presenta una divisione del brano in quattro parti.

La prima parte, definita “introduzione”, corrisponde melodicamente al “fi-delio” notato nella versione raccolta da De Martino e Carpitella, anche se nella trascrizione realizzata da Don Luigi non vi sono elementi che permettano di definirne il modo, vocale o strumentale, dell’esecuzione (nella tabella conclusiva sono comunque riportati i dati ad esso relativi); la seconda, in contrapposizione alla prima è detta “canto” e si riferisce all’esecuzione delle strofe di lode; le restan-ti due parti, definite “intermezzo” e “conclusione”, sono presumibilmente parti strumentali.

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Trascrizione 7: realizzata da Don Luigi Paternoster, 1974

Modulo 7

Un ulteriore esempio è costituito dalla trascrizione realizzata da I. Massari e inserita nel lavoro dei fratelli Giampietro (1977, p. 55). Anche in questa trascri-zione è presente il “fidelio” ed è inoltre evidente una indicazione (“orchestra”) che si riferisce, presumibilmente, a un intermezzo strumentale tra le strofe.

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Trascrizione 8: realizzata da I. Massari, tratta da Giampietro, 1977, p. 55

Modulo 8

L’ultimo esempio a disposizione è costituito da una registrazione, di carattere privato, del canto eseguito da Maria Rosaria Fabrizio; si tratta di un’esecuzione vocale in cui non viene eseguito il “fidelio”, mentre è possibile notare un altro elemento nella struttura melodica, l’inciso finale, che accomuna, come si spie-gherà meglio in seguito, questa esecuzione a quella realizzata dal coro polifonico nel 1965.

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Maria Rosaria Fabrizio:canto

Trascrizione 9: registrazione di carattere privato realizzata a Matera tra il 1990-1996

Modulo 9

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La struttura melodica consta, fondamentalmente, di due versi melodici |AB|, cui i versi delle quartine, che costituiscono le strofe verbali, corrispondono a due a due.

Variazioni nella struttura melodica delle strofe si riscontrano nella versione eseguita dal coro polifonico “Pier Luigi da Palestrina”, in cui si trovano due ele-menti nuovi rispetto alle altre versioni: un breve intermezzo corale (|a1|) ed un inciso finale (i) anch’esso affidato all’esecuzione corale. Tale inciso è presente an-che nella versione più recente, eseguita dalla signora Fabrizio, in cui non vi è l’in-tervento di altre voci; melodicamente, però, i due incisi sono diversi tra loro.

Vi è, poi, il “fidelio”, elemento strutturale che, come si è cercato di eviden-ziare in precedenza, compare (e scompare) da un certo periodo in poi; questo elemento, nelle varianti in cui è riportato, risulta formato da due frasi melodiche |CD| che corrispondono ai due versi poetici (|cd|).

Come è possibile notare dai dati che emergono dall’applicazione dei para-metri nonostante le specificità strutturali di alcune delle varianti proposte, tutte presentano tra loro un alto grado di omogeneità,

Per quel che riguarda l’intonazione (nelle parentesi quadre sono riportati i dati relativi all’intonazione del “fidelio”; inoltre, nella trascrizione del 1974 realizzata da Don Luigi non si hanno elementi certi per determinare se i versi |CD| siano eseguiti vocalmente o da strumenti musicali) si può notare una netta prevalenza ad intonare sull’ottavo grado della scala o, più raramente, sul nono, come nella versione raccolta da Carpitella nel 1952 e in quella della polifonica materana del 1965.

Ancora più omogenei risultano i dati relativi alla struttura cadenzale: le strofe, senza considerare elementi quali le parti corali o gli incisi, non solo terminano in tutte le varianti sul primo grado della scala, ma mantengono costante anche la cadenza “interna” relativa al primo verso melodico; stesso discorso vale anche per il “fidelio” che, nelle varianti in cui è eseguito o riportato, mantiene costanti entrambi i gradi delle linee melodiche che lo compongono.

Per quel che riguarda le scale esse sono sempre di modo maggiore; le altera-zioni riscontrate all’interno dei canti (riportate nelle parentesi quadre) sono state tutte individuate nei “fidelio”, ma questa caratteristica è presente anche nelle introduzioni strumentali, com’è il caso della variante riportata da Pratella (1941, p. 433) in cui l’introduzione strumentale oltre al VII grado minore presenta anche un’oscillazione tra modo maggiore nella prima parte e modo minore nella seconda.

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L’ambitus si mantiene anch’esso abbastanza regolare: in tutte le varianti il gra-do più basso è il primo della scala, mentre il grado più acuto oscilla tra l’VIII ed il IX; in un solo caso, la versione proposta dai fratelli Giampietro (1977), l’ambitus si estende fino al XII.

Legato ai gradi toccati durante l’esecuzione è il profilo melodico che presen-ta due configurazioni legate all’esecuzione del “fidelio”; fa eccezione la variante eseguita dalla Signora Fabrizio da cui, sebbene non venga eseguito il “fidelio”, si ottiene lo stesso profilo melodico delle varianti in cui, invece, è eseguito.

Ancora una considerazione va fatta a proposito dei dati che emergono dal rapporto note/sillabe (le note e le sillabe degli incisi non sono state prese in con-siderazione) da cui emerge che i valori finali aumentano ad ogni variante.

La cupa-cupaQuesto secondo canto di questua legato allo svolgimento delle “matinate”

presenta caratteristiche diverse dal precedente. Si è detto che il canto la matinata era incentrato soprattutto sull’improvvisa-

zione delle lodi rivolte ai padroni di casa e sulla figura dei “laudatori”, mentre la richiesta di doni aveva un ruolo secondario e conclusivo. Il canto la cupa-cupa, al contrario, non prevede improvvisazione ed è incentrato sulla richiesta di doni, “… costante e pressante, come il ritmo fondo dello strumento” (Giampietro, 1977, p. 22).

Il testo del canto è organizzato in distici |ab|, ognuno dei quali viene ripetuto due volte nell’esecuzione; si riporta il testo tratto dalla raccolta realizzata dai fra-telli Giampietro (1977, p. 48):

Mo so’ bbenite e mmo sond’arrevète,Chéss ‘iè lla vosce e cci la canescite.

Ora son venuto e ora sono arrivatoquesta è la voce e voi la conoscete.

I’so’ bbenite da lundana viePe ‘rreverì la vostra signorìe. Son venuto per lontana via Per riverire la vostra signoria.

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L’ègghie sapute ka l’à ‘ccis ‘u purcheUè la patrone no me fa u musse turte. L’ho saputo che hai ucciso il porco Oh, signora, non mi fare un muso lungo.Lu timb’ jè nnivele e cchiov ‘a stuzz ‘a stuzzeUè la patrone va’ l’a ppigghie la salezuzze Il tempo è nuvolo e piove a goccia a goccia Oh, signora, va’ a prendere la salsiccia!La cupa-cupa méie non ze mangia le sarecheSe mangia la salezuzze che totta la sebbressète. La cupa-cupa mia non mangia le sarde Mangia la salsiccia con tutta la soppressata.La cupa-cupa méie jè male ‘mbarète Uè la patrone va’ l’a ppigghie la sebbressète. La cupa-cupa mia, è male abituata Oh, signora, va’ a prendere la soppressata.Je stokj’a ccandje da sop’ stu chiangoneUè la patrone va l’a ppigghi ‘a lu iascone. Io sto cantando ritto su questo pietrone Oh, signora, vallo a prendere il fiascone!18

Si può disporre di soli tre esempi del canto la cupa-cupa.Il primo esempio a disposizione, in ordine cronologico, è la trascrizione rea-

lizzata da Don Luigi Paternoster in occasione delle manifestazioni del “Luglio materano” (1974); essa riporta la linea melodica del canto per una sola voce; è inoltre evidente il punto di divisione delle due frasi musicali grazie ad un segno inserito dal trascrittore stesso.

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Trascrizione 10: realizzato da Don Luigi Paternoster, 1974

Modulo 10

Il secondo esempio è dato dalla trascrizione riportata nel lavoro dei fratelli Giampietro (1977, p. 49) che si riferisce alla registrazione del canto inserita nei dischi, ad esso, allegati.

Il canto è eseguito da una voce solista e da un coro che cantano alternandosi ed è, inoltre, accompagnato da chitarra e mandolini.

Trascrizione 11: realizzata da C. Giusto, tratta da D. Giampietro, 1977,p. 49

Modulo 11

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L’ultimo esempio è tratto dalla più recente registrazione effettuata a Matera il 17-IV-2001 presso il negozio di strumenti musicali “De Bellis”; il canto è affida-to alla voce di E. Rondinone accompagnato alla fisarmonica da B. De Bellis.

Il canto è preceduto da un’introduzione melodica della fisarmonica che ri-prende, variandola, la melodia del canto; alla fisarmonica spetta anche l’accom-pagnamento ritmico dell’intera esecuzione.

E. Rondinone: canto; B. De Bellis: fisarmonica

Trascrizione 12: registrazione realizzata a Matera il 17/4/2001

Modulo 12

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Don Luigi; 1974 Gruppo Giampietro; 1977

Gruppo De Bellis; 2001

Struttura melodica |AB| |AB| |AB|

Intonazione Sol3 (I) Mi3 (I) Sol3 (I)

Struttura cadenzale |II - I| |III - I| |V - I|

Scala Minore, ottava non completa; (Sol3)

Diatonica minore; (Mi3) [7 mag.]

Minore, ottava non completa; (Sol3) [7 mag.]

Ambitus I (Sol3) - V (Re4) #7 (Re#3) - VII (Re4) #7 (Fa#3) - VI (Mib4)

Profilo melodico

Rapporto note\sillabe Testo non riportato 1,10 1,16

Suddivisione Binaria Binaria; = 138 ca.

Binaria; = 132 ca.

Accompagnamento strumentale

Chitarra, mandolini; ritmico-melodico

Fisarmonica; ritmico-melodico

La struttura melodica del canto si articola in due linee melodiche |AB| che corrispondono ai due versi (|ab|) del distico verbale, ognuna ripetuta due volte.

Nelle tre versioni il grado su cui viene intonato il canto e il grado cadenzale si mantengono costanti, mentre variano quelli “interni” alle strofe melodiche.

L’estensione vocalica può essere più o meno estesa, ma non raggiunge in nessun caso l’ottava; inoltre si è, ancora una volta, in presenza di un canto che utilizza una scala di modo minore con la VII maggiore.

Qualche altra considerazione può essere avanzata a proposito della suddivisio-ne metrico-ritmica di riferimento, binaria per tutte le varianti, e del riferimento metronomico che, laddove è stato possibile individuarlo, presenta invece qualche leggera variazione; infine, va notato come il rapporto note/sillabe risulti più ele-vato nella versione più recente.

U tamberridde mi’ Come già anticipato, questo canto è stato qui inserito per i riferimenti del

testo al periodo carnevalesco19. Probabilmente si tratta di un canto di origine non materana, ma non si hanno a disposizione informazioni che permettano

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di identificarne la provenienza e la funzione; sono, invece, disponibili quattro diverse versioni del canto.

In tutte le versioni il testo conserva la stessa struttura metrica: strofe formate da tre versi |abc|. Si riporta il testo inserito nel lavoro dei fratelli Giampietro (1977, p. 180-181):

U tamberridde mi’ ì bbenite da Romei Rom ‘i ssenza Rome, nenna nenne,i ssembe séne i ssembe séne Il mio tamburello è venuto da Roma Roma e senza Roma, nenna nenna, sempre suona, sempre suona.Ci tu vui’ abballè zumba lu petenon ti l’à ‘ffà canosce, nenna nenne,la to’ pidèta, la to’ pidèta. Se tu vuoi ballare, alza il tuo piede, non farlo riconoscere, nenna nenna, Il tuo passo, il tuo passo.E cci abballe mò iè ialandomneke llu zecarle ‘mmocca, nenna nenne,e llu bastone e llu bbastone. Chi balla adesso è un galantuomo, con il sigaro in bocca, nenna nenna, e col bastone, col bastoneLa chiazza chièna chièna pare vacandesarà lu ninne mie, nenna nenne,e cka ‘nge mangh’ e cka ‘nge manghe. La piazza, è piena piena, ma sembra vuota sarà il mio amore, nenna nenna, che manca, che manca.I cci u nennille meie fosse nu limoneje m’u mettèsse ‘mbitte, nenna nenne,pe ssende l’addore, pe sende l’addore. Se il io amore fosse un limone, lo metterei in petto, nenna nenna, per sentirne l’odore, per sentirne l’odore.

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Stasèr’ av’à bbenì Frangiusche Paoles’av’à mmangè u fèfe, nenna nenne,amezzecuète, amezzecuète. Stasera arriverà Francesco Paolo, dovrà mangiare le fave, nenna nenna, mordicchiate, mordicchiate.R’ègghi ‘aff ‘acchiè ke lla cepodda sfruttemange Frangiusche Paole, nenna nenne,i ciutte ciutte, i ciutte ciutte. Giele farò trovare con la cipolla fritta, mangia, Francesco Paolo, nenna nenna, e stai zitto, e stai zitto.Iocce t’av ‘appighiè a llu cuappiddekuanne te vèchi’a tteche, nenna nenne,me ven ’u scitte, me vèn ’u scitte.

Malanno ti venga al cappello, quando ti vedo, nenna nenna, mi viene il vomito, mi viene il vomito.Fernit ’cuarnevèle, fenite l’amorefernite l’allijrezza, nenna nenne,de li donne bbelle, de li donne belle. Finito il Carnevale, finito l’amore, finita l’allegria, nenna nenna, delle donne belle, delle donne belle20.

Il primo esempio a disposizione è la registrazione effettuata dal coro polifoni-co “Pier Luigi da Palestrina” nel 1965. L’esecuzione è affidata ad una voce solista, che esegue la strofa melodica, e ad un coro che ripete in maniera armonizzata la parte del solista. Il canto è accompagnato ritmicamente dalla fisarmonica che in-troduce la parte cantata con un breve fraseggio che richiama il tema melodico.

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Coro Polifonico “Pier Luigi da Palestrina”

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Trascrizione 13: registrazione realizzata dal coro polifonico “Pier Luigi da Palestrina”, 1965

Modulo 13

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Il secondo esempio è legato anch’esso alla figura di don Luigi Paternoster, direttore del coro polifonico, e alle sue trascrizioni realizzate in occasione del “Luglio materano” del 1974: sulla partitura viene indicato che le quattro linee melodiche trascritte si riferiscono a “soprani, primo tenore, secondo tenore, bas-si”; inoltre, non è riportata alcuna indicazione di tempo a parte una nota in testa al foglio “a quattro voci dispari”.

Trascrizione 14: realizzata da Don Luigi Paternoster, 1974

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Modulo 14

Il terzo esempio a disposizione è la trascrizione realizzata da C. Giusto ed inse-rita nel lavoro dei fratelli Giampietro (1977, p. 181). Questa trascrizione riporta la linea melodica del canto con il testo aggiunto e non presenta caratteristiche particolari.

Trascrizione 15: realizzata da C. Giusto, tratta da D. Giampietro, 1977, p. 181

Modulo 15

L’ultimo esempio è tratto da alcune registrazioni effettuate tra il 1990-96 (chi ha fornito la registrazione non ricorda l’anno esatto) dai nipoti, a Maria Rosaria Fabrizio. Questa versione presenta un elemento melodico in più rispetto alle versioni precedenti: accanto alla strofa melodica |ABC| si aggiungono altre due frasi melodiche |DE| che ripetono gli ultimi due versi del testo verbale. Vengono riportati solo i dati relativi alla prima strofa del canto per consentirne il confron-to con i dati che emergono dalle altre varianti.

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Maria Rosaria Fabrizio: canto

Trascrizione 16: registrazione, di carattere privato, realizzataa Matera tra il 1990-1996

Modulo 16

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“Polifonica”; 1965

Don Luigi; 1974

Gruppo Giampietro;

1977

Siga. Fabrizio; 1990-96

Strutturamelodica

|ABC||A1B1C1|

|ABC| |ABC| |ABC||DE|

Intonazione Mib4 (V) Fa#3 (V) La3 (V) La3 (I)

Struttura cadenzale

|V - IV - III| |III - IV - I|

|V - IV - III| |V - IV - III| |III - III - I||IV - III|

Scala Maggiore, ottava non completa; (Lab3)

Maggiore, ottava non completa; (Si2)

Maggiore, ottava non completa; (Re3)[VII min.]

Diatonica maggiore; (La3)

Ambitus I (Lab3) - VII (Sol4)

III (Re#3) - VII (La#3)

III (Fa#3) - VII (Do#4)

7 (Sol#3) - VIII (La4)

Profilo melodico

Rapporto note\sillabe

1,07 Testo non riportato

1,12 0,96

Suddivisione Binaria; = 184 ca.

Senza indicazione di tempo

Irregolare Binaria; = 138 ca.

Accompagna-mento strumentale

Fisarmonica; ritmico-melodico

Nelle quattro varianti riportate la struttura melodica della strofa si articola in tre frasi melodiche (|ABC|) che corrispondono ai tre versi (|abc|) del testo verba-le; anche l’ultima variante riportata, segue questa struttura nell’esecuzione della strofa aggiungendovi però un elemento nuovo (|DE|) che intona, variandoli, gli ultimi due versi del testo verbale, per quest’ultimo non è possibile tracciare una corrispondenza tra versi verbali e versi melodici.

La versione eseguita dalla signora Maria Rosaria Fabrizio, comunque, si dif-ferenzia dalle altre, forse proprio per il fatto di essere un’esecuzione destinata ad una registrazione privata e non a fini esecutivi di altro tipo.

L’intonazione del canto nelle prime tre versioni si mantiene costante sul V grado, mentre nell’esecuzione più recente l’intonazione è sul I grado; lo stesso vale per la struttura cadenzale: le prime tre varianti mantengono costanti i gradi

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su cui termina ogni frase melodica della strofa, fa eccezione l’esecuzione corale della strofa nella versione del 1965 eseguita dalla polifonica materana “Pier Luigi da Palestrina”, mentre l’esecuzione più recente assume una struttura diversa e non solo per l’elemento in più presente in essa.

La variante proposta dalla signora Fabrizio presenta anche un ambitus più ampio, mentre nelle altre versioni l’estensione vocalica non copre l’ottava; non tragga in inganno il dato emergente dalla versione proposta dal coro polifonico del 1965, in quanto la strofa eseguita dal solista ha un’estensione vocalica che va dal III al VII grado, come avviene nelle due esecuzioni successive. La sua mag-giore ampiezza finale risulta dall’integrazione con le note utilizzate nell’esecu-zione corale della strofa. Inoltre quest’ultima versione, come emerge dal profilo melodico ma anche dalle altezze reali dell’intonazione e dell’ambitus, utilizza un registro di canto più alto rispetto alle due versioni seguenti.

Ancora un’osservazione deve essere fatta a proposito dei dati che emergono dal rapporto note/sillabe, da cui risulta un valore più basso nella versione più recente.

3.3 Canti satirici Sotto questa definizione sono stati raggruppati canti di argomento umoristico.

Il primo a trattare questo genere sotto la definizione di “canti gioiosi, umoristici” è stato Molinari Del Chiaro (1883, p. 61-62), il quale, purtroppo, non aggiunge agli esempi riportati notizie supplementari21. Qualche ulteriore notizia è possibile ricavarla dalle registrazioni “sul campo” effettuate da De Martino e Carpitella, e da quelle posteriori effettuate dal gruppo di ricerca coordinato dai fratelli Giam-pietro.

Si riportano, come esempio, due canti: il notissimo Ce s’ò mangè la zite e Kuann’ (l)’u vécchije se volse accaséje.

In entrambi questi canti è possibile cogliere elementi tematici che li diffe-renziano, caratterizzandoli per modernità, dal resto del repertorio in quanto si ispirano ad ambientazioni diverse da quelle campestri e a modelli di riferimento in contrapposizione a quelle che erano le norme comportamentali all’interno della comunità che viveva nei Sassi.

Il primo dei due canti, Ce s’ò mangè la zite, nell’elencazione delle pietanze che dovrebbero essere consumate dalla sposa, non sembra fare riferimento ad un’ambientazione contadina creando, inoltre, un’immagine della donna lontana

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dal quotidiano lavorìo domestico e dedita al divertimento; si potrebbe ipotizzare, inoltre, che l’elemento satirico-umoristico alla base del canto risieda nel canzonare sia la volontà delle donne di allontanarsi da un ambiente contadino chiuso e duro, sia le loro aspettative nei confronti del matrimonio.

Anche il secondo canto, Kuann’ (l)’u vécchije se volse accaséje, nel raccontare e ridicolizzare le difficoltà incontrate dal “vecchio” nello svolgimento del suo matri-monio, crea un’immagine dell’uomo e del matrimonio che si contrappongono a quella che era la finalità principale di quest’ultimo (la procreazione), rivolgendosi anche contro quelle regole, non scritte, che richiedevano che gli sposi godessero di buona salute fisica per poter sopportare le dure condizioni lavorative e di vita; perfettamente inserita, invece, in un contesto, non solo contadino, in cui la donna è sottomessa alla volontà maschile è la conclusione del canto in cui le lamentele della giovane sposa vengono messe a tacere con la forza, ma questa è, purtroppo, una situazione di cui non si può fare a meno di costatarne l’eterna attualità.

Ce s’ò mangè la ziteSi tratta di un canto iterativo22 il cui testo descrive le cene della sposa nei

giorni immediatamente successivi alle nozze, enumerando gli alimenti che la sposa dovrebbe quotidianamente consumare. L’elemento che caratterizza il testo è l’esagerazione, non solo quantitativa ma anche qualitativa, degli alimenti.

Il testo è formato da strofe con struttura formale |abcd|; il verso iniziale |a| (per il quale cambia, in progressione il numero del giorno) e quello finale |d| rimangono invariati, mentre, alla parte centrale (|bc|) di ogni nuova strofa vengono aggiunti, in maniera cumulativa, i versi |b| delle strofe precedenti; di seguito è riportato il testo tratto dal lavoro dei fratelli Giampietro (1977, p. 182-184):

Ce s’ò mangè la zite la prima sera?Nu panère de tinghittonghen’atat’ ine de pere calandesembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa la prima sera?un paniere di tinghittongh,

un altro di pere pendenti;E sempre la sposa davanti alla tavola.

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Ce s’ò mangè la zite li do’ sere?Du’ lebbrecchie scévene scappanne‘nu panère de tinghittonghe,‘n’atat’ ine de pere calandesembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa la seconda sera?due leprotti stavano fuggendo,

un paniere di tinghittongh,un altro di pere pendenti;

E sempre la sposa davanti alla tavola.Ce s’o mangè la zite li tre sere?Tre palimme scèvene velanne,Du’ lebbrecchie…(ripetendo le pietanze delle sere precedenti)sembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa la terza sera?tre colombi stavano volando,

Due leprotti…E sempre la sposa davanti alla tavola.

Ce s’o mangè la zite le quatte sère?Quatte pisce scèven’annatanneTre palimme… (ripetendo le pietanze ecc.)Sembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa la quarta sera?quattro pesci stavano nuotando,

Tre colombi…E sempre la sposa davanti alla tavola.

Ce s’o mangè la zite le cinghe sère?Cinghe piatte de maccarine,quatte pisce…Sembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa la quinta sera?cinque piatti di maccheroni,

Quattro pesci…E sempre la sposa davanti alla tavola.

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Ce s’o mangè la zite li sei sère?Sei pecher’arrestite,cinghe piatte…Sembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa la sesta sera?sei pecore arrostite,

Cinque piatti…E sempre la zita davanti alla tavola.

Ce s’o mangè la zite le sette sère?Sette vacche ben pasciteSei pecher’arrestite…Sembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa la settima sera?sette mucche ben pasciute,

sei pecore arrostite…E sempre la sposa davanti alla tavola.

Ce s’o mangè la zite li iutte sère?Iutte furne de pène,Sette vacche…Sembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa l’ottava sera?otto forni di pane,

Sette mucche…E sempre la sposa davanti alla tavola.

Ce s’o mangè la zite li nove sère?Nove vitte de mmireIutte furne…Sembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa la nona sera?nove botti di vino,

Otto forni…E sempre la sposa davanti alla tavola.

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Ce s’o mangè la zite li dèsce sère?Dèsce chile de cerèse,ci se la strèng ‘i ci se la vèseNove vitte…Sembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa la decima sera?dieci chili di ciliege,

chi la stringe e chi la bacia,Nove botti…

E sempre la sposa davanti alla tavola.Ce s’o mangè la zite li iunece sère?Iunece chile de presittee vete la zite ch’o ten’assitteDèsce chile…Sembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa l’undicesima sera?undici chili di prosciutto,

e vedi la sposa che lo tiene asciutto,Dieci chili…

E sempre la sposa davanti alla tavola.Ce s’o mangè la zite li dudece sère?Dudece chile de cupète,ci dinanz’i ci da drèteIunece chile…Sembe la zite la tavela ‘nnanze.

Che mangerà la sposa la dodicesima sera?dodici chili di confetti,

chi davanti e chi da dietro,undici chili…

E sempre la sposa davanti alla tavola.Ce s’o mangè la zite li trudece sère?Trudece munece du commende,i tonne la zite se sende chendendedudece chile…Sembe la zite la tavela ‘nnanze.

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Che mangerà la sposa la tredicesima sera?tredici monaci di convento,

allora la sposa si sente contenta,Dodici chili…

E sempre la sposa davanti alla tavola.

Di questo canto si hanno a disposizione due versioni. La prima variante è tratta dalle registrazioni svolte da Carpitella durante la

spedizione in Lucania del 1952 guidata da De Martino; nel catalogo della raccolta CNSMP 18 Basilicata, il canto è stato così catalogato:

“Ce se mangò la sposa la prima sera; 3 vv. m.; Matera 1-10-52; canto itera-tivo”.

Informazioni integrative si trovano nel lavoro di compilazione del catalogo AESC 18 Basilicata svolto da Adamo (1996, p. 363), in cui il canto viene descritto e catalogato in questo modo:

“Matera, 1° ottobre 1952, “la cena della sposa”, v.m. + vv.m.Ce so mangia’ la zit la prima seraGiuseppe Palmieri, Vito Latorre, Giuseppe Persia”.

Da queste informazioni si deduce che il canto è affidato ad un solista cui si uniscono, in alcuni passaggi, altre due voci.

Ascoltando la registrazione è possibile definire le caratteristiche esecutive e strutturali del canto: le tre voci eseguono insieme il primo verso di ogni strofa, il solista continua ripetendo il primo verso e procedendo nell’esecuzione della strofa; nei versi finali dell’ultima strofa il solista rallenta l’esecuzione mentre alla sua si uniscono le altre due voci.

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Giuseppe Palmieri, Vito Latorre, Giuseppe Persia: canto

Trascrizione 17: registrazione di D. Carpitella, 1952

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Modulo 17

La seconda versione è tratta invece, dalle registrazioni del 1976 ed è eseguita da Giuseppe Persia (già solista nella versione precedentemente riportata).

Nella struttura formale delle strofe e della melodia il canto è molto simile al precedente e ne ricalca il modello esecutivo: anche in questa versione le voci eseguono insieme il primo verso di ogni strofa ripreso, poi, dal solista che esegue l’intera strofa. La differenza fondamentale tra le due versioni è che in quest’ultima il canto è accompagnato dalla fisarmonica.

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Trascrizione 18: registrazione del gruppo di ricerca coordinato dai fratelli Giampietro, 1976

Modulo 18

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L’ultimo esempio a disposizione è la trascrizione realizzata da C. Giusto ed inserita nel lavoro dei fratelli Giampietro (1977, p. 182); viene riportata la linea melodica del canto senza indicazioni di altro tipo.

Trascrizione 19: realizzata da C. Giusto, tratta da D. Giampietro, 1977,p. 182

Modulo 19

Carpitella; 1952 G. Persia; 1976 Gruppo Giampietro; 1977

Struttura melodica |AA1CD| |ABCD| |AA1CD|

Intonazione Sol4 (VI) Do4 (V) Fa#3 (III)

Struttura cadenzale |I - (III) VII - I| |I - I - (III) V - I| |I - (V) V - I|

Scala Diatonica maggiore; (Sib3)

Maggiore, ottava non completa; (Fa3)

Maggiore, ottava non completa; (Re3)

Ambitus I (SIb3) - VII (La4) I (Fa3) - VI (Re4) I (Re3) - VI (Si3)

Profilo melodico

Rapporto note\sillabe 1,08 1,08 1

Suddivisione Binaria; = 126 ca.

Binaria; = 116 ca.

Binaria composta

Accompagnamento strumentale

Fisarmonica; ritmico-melodico

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Come anticipato, si tratta di un canto iterativo la cui struttura melodica di base è formata da tre frasi melodiche |ACD|, in cui |A|, eseguito due volte, la prima da più voci e la seconda dal solista (nella versione del 1976 le due esecuzioni di questa linea melodica presentano un profilo melodico diverso |AB|) e |D| corrispondono ai rispettivi versi del testo verbale, mentre alla parte |C| spetta l’esecuzione della parte verbale centrale |bc| cui vengono aggiunte, di strofa in strofa e in maniera cumulativa, le frasi verbali |b| delle strofe precedenti, intonate su una linea melo-dica simile a |C|: |AA1C1CD|; |AA1C2C1CD|.

Nelle tre versioni variano i dati relativi al grado di intonazione. Le altezze reali evidenziano, inoltre, l’uso di un registro di canto più acuto nella variante registrata da Carpitella nel 1952, dato confermato anche dall’altezza del primo grado su cui si sviluppa la scala individuata in questa versione e dalla riproduzione del profilo melodico che, mantenendo un andamento costante rispetto alle altre due varianti, si sviluppa su un registro esecutivo più acuto.

La struttura cadenzale si mantiene abbastanza costante nelle tre versioni (nelle parentesi sono riportate le note finali delle frasi |C1|), presentando una leggera variazione solo nei risultati che emergono dalla linea melodica |C|. Anche l’am-bitus si mantiene costante, non coprendo l’ottava in nessuna delle tre varianti: il grado più basso è costituito dal primo grado della scala mentre il più acuto oscilla tra il VI ed il VII.

Nel rapporto note/sillabe, infine, dalle prime due varianti emerge un valore uguale che diventa più basso nell’ultima; anche il riferimento ritmico e quello metronomico accomunano le prime due varianti differenziandole dall’ultima.

Kuann’ (l)‘u vécchije se volse accaséje In questo secondo canto l’oggetto della satira è un anziano signore che, avendo

deciso di sposarsi, sceglie per moglie una ragazza nubile molto più giovane di lui. I versi del canto mirano ad evidenziare le difficoltà incontrate dallo sposo durante lo svolgimento della festa nuziale e, soprattutto, durante la prima notte di vita coniugale; il canto si conclude sullo sconforto della giovane sposa, cui “il vecchio” risponde brutalmente costringendo la ragazza a mettere da parte il rammarico per non aver sposato un uomo più giovane.

Il canto è formato di nove strofe con struttura formale |abc| (nell’esecuzione l’ultimo verso viene ripetuto); il testo, di seguito riportato, è tratto dal lavoro svolto dal gruppo di ricerca guidato dai fratelli Giampietro (1977, p. 194-195):

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Kuann’ (l)’u vécchije se volse accaséje‘na giovena vakandje se volse pigghijéje,azzìcchet ‘a mme, uè nenna méje.

Quando il vecchio si volle sposareuna giovane ‘vakandje’23 volle pigliare.

Stringiti a me, oh bella mia.Kuanne scèrn ‘a la chiesia pe spesèjeu’vécchje velève ajìt ‘a gnanèj ‘u skéle,azzìcchet ‘a mme, uè nenna méje.

Quando andarono in chiesa per sposarsiil vecchio voleva aiuto per salire le scale.

Stringiti a me, oh bella mia.Kuanne scerne ‘a la tavola pe mangèje ‘u vécchje la magghje kose na lla reskuéveazzìcchet ‘a mme, uè nenna méje.

Quando andarono a tavola per mangiareil vecchio il meglio non lo rosicchiava.

Stringiti a me, oh bella mia.Kuanne scerne la sera pe ckukuéje‘u vécchje velève ajìt ‘a ‘gnanèj ‘u llitte,azzìcchet ‘a mme, uè nenna méje.

Quando, la sera, andarono a dormire,il vecchio voleva aiuto, per salire sopra al letto

Stringiti a me, oh bella mia.Kuann ‘i stète la nètte a menzannétteLa povera nénna s’ò fatte ‘na kèpe de chiande,azzìcchet ‘a mme, uè nenna méje

Quando fu notte, a mezzanotte,la povera ragazza si fece un lungo pianto

Stringiti a me, oh bella mia.Ce ì stète, uè nenna, stasère ka chiange sembece vuie la uinnella je te la fazzje,azzìcchet ‘a mme, uè nenna méje.

Che t’è successo, o bella, chè stasera piangi sempre,Se vuoi una gonnella te la dò io

Stringiti a me, oh bella mia.

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Non vegghje né uinella e né uilloneo kuste lu velève nu bbelle uagnone,azzìcchet ‘a mme, uè nenna méje.

-Non voglio né gonnella né gonnoneal fianco avrei voluto un bel ragazzo.

Stringiti a me, oh bella mia.Kuann’ (l)’u vecchie sende sti parolepigghj ‘u bbaston ‘e lla pigghj ‘ad abbastunàje,azzìcchet ‘a mme, uè nenna méje.

Quando il vecchio sente tali paroleprende il bastone e la prende a bastonate.

Stringiti a me, oh bella mia.Sta fferme vecchje mje na’ me ne dè cchjieka come sunde sunde t’ègghj ‘a tteneje,azzìcchet ‘a mme, uè nenna méje.

-Fermati vecchio, non darmene piùcomunque tu sia, io ti terrò.Stringiti a me, oh bella mia.

Di questo canto si hanno a disposizione due esempi, entrambi legati al lavoro svolto dal gruppo di ricerca guidato dai fratelli Giampietro; il primo esempio, con la relativa trascrizione, è stato tratto dalle registrazioni “sul campo” effettuate nel 1976. L’esecutore del canto è Giuseppe Persia accompagnato da una fisarmonica (non si hanno notizie sull’identità del fisarmonicista).

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Trascrizione 20: registrazione del gruppo di ricerca coordinato dai fratelli Giampietro, 1976

Modulo 20

Il secondo esempio è stato tratto dai dischi allegati al sunnominato lavoro, nel quale è riportata la trascrizione realizzata da C. Giusto (1977, p. 195); l’ese-cuzione è eseguita per la maggior parte da un coro, alle voci soliste, maschile e femminile, spetta l’esecuzione di quelle parti del canto in cui i due protagonisti parlano in prima persona; l’esecuzione è, inoltre, introdotta e accompagnata da chitarra e mandolini.

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Trascrizione 21: realizzata da C. Giusto, tratta da D. Giampietro, 1977, p. 195

Modulo 21

G. Persia; 1976 Gruppo Giampietro; 1977

Struttura melodica |ABC| |ABC|

Intonazione Si3 (VI) La3 (V)

Struttura cadenzale |II - III - I| |II - V - I|

Scala Diatonica maggiore; (Mi3)

Diatonica maggiore; (Re3)

Ambitus I (Mi3) - VII (Re#4) I (Re3) - VII (Do#4)

Profilo melodico

Rapporto note\sillabe 0,95 0,96

Suddivisione Binaria; = 108 ca.

Binaria composta; = 138 ca.

Accompagnamento strumentale

Fisarmonica; ritmico-melodico

Chitarra, mandolini; ritmico-melodico

La struttura melodica, in entrambi i casi, è articolata in tre frasi melodiche |ABC| che corrispondono ai tre versi della strofa |abc|.

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Il grado di intonazione è il VI nella prima variante, il V nella seconda, al livello delle altezze reali la differenza tra le due non è notevole; per quel che riguarda la struttura cadenzale le due versioni si mantengono abbastanza simili, mentre a variare è il grado interno relativo al verso melodico |B|.

Per gli altri parametri i risultati sono simili: l’ambitus si sviluppa in entrambi i casi dal I al VII grado della scala; il profilo melodico presenta una stessa figura-zione; uguale è il valore che emerge dal rapporto note/sillabe; variano, invece, il riferimento ritmico e quello metronomico.

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Note

1 I canti di questua del Carnevale sono, all’origine, canti rituali e non di svago: “I canti di questua sono eventi rituali strettamente connessi con lo svolgimento calendariale dell’anno agricolo. Sono intonati da gruppi per lo più di giovani che, con mascherature o senza, con oggetti simbolici o senza, percorrono le strade del paese di casa in casa. I testi dei canti di questua contengono quasi sempre un invito ad offrire dei doni per lo più generi alimentari, destinati a rifornire il pranzo che conclude la festa. Il carattere rituale di una simile consuetudine è evidente. Si tratta di forme di propiziazione legate a credenze pre-cristiane e ad antichi riti di fertilità. I questuanti propongono ai loro compaesani auguri di salute, di benessere, di abbondanza e in cambio ricevono in dono del cibo o del vino. I canti di questua coincidono con alcune date assai precise del calendario: il ciclo delle feste del solstizio d’inverno e quelle primaverili” (Leydi e Mantovani, 1970, p. 211-212).

2 “Ti nanni nanninà, ti nanni nena, / tu fai il danno ed io, anima bella, / piango la pena” (Pratella, 1941, p. 435).

3 “Ti nanni nanninà, bambola di stracci, / chi t’ha insegnato a te, anima bella / o di cantare?” (ibidem).

4 “ Se vuoi che te lo metta, io te lo metto / il catenaccio mio, anima bella, / dietro la porta” (ibidem).

5 “Amore, amor è come la nocciuola / se non la rompi prima, anima bella / no, non si gusta” (ibidem).

6 Il Pratella (1941, p. 436) offre una spiegazione più precisa dei motivi che lo inducono a rettificare la trascrizione inviatagli: “(…) noi riteniamo poi che, in base al principio (…) del facile equivoco di scrittura ritmica fra la formula ternaria di semiminima e croma - (….) - e quella binaria di croma col punto e semicroma, di trasformazione posteriore, e in base alla legge dei punti di riposo e di moto nella misura di tempo, regolati dalla ritmica del verso cantato, la presente melodia si debba con maggior probabilità rettificare (…) nella sua notazione ritmica e nella distribuzione più spontanea delle sillabe sotto il motivo. Così ratificata, la nostra melodia scorre con perfetta rispondenza ritmica tra accenti del canto e accenti del verso e presenta una tipica successione di misure di tempo pari e di misure di tempo dispari, regolarmente alternate lungo tutto il suo svolgimento”.

7 L’autore riporta anche un’altra particolarità “Era tanto tassativo l’orario terminale delle «Ma-tinate» che da questa regola consuetudinaria venne fuori il famoso detto: «Ritirati laudatore che la piddara ponne» (la stella polare tramonta)”.

8 Candelora: festa della purificazione della Madonna, che ricorre il 2 febbraio, nella quale si benedicono le candele.

9 “Erano costoro una sorta di menestrelli che, improvvisando versi, tessevano le lodi dei com-ponenti la famiglia a cui si dedicava la matinata” (D. Giampietro, 1977, p. 21).

10 Padula (1965, p. 91) riporta la notizia di “padroni” che portavano le matinate ai loro di-pendenti: “Figurarsi che il padrone portava le «Matinate» alle case dei propri dipendenti, fattore e salariati, i quali accettavano di buon grado questo pensiero gentile”.

11 “Nel periodo di Carnevale, i contadini ammazzavano il maiale. L’animale, scelto tra i lattoni ed acquistato durante la fiera di agosto, veniva allevato con particolari cure (…). Veniva ucciso

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durante il periodo invernale, quando soffiava la tramontana, in modo che la carne si rassodasse. (…) il maiale costituiva una delle ricchezze familiari, poiché allevarlo non costava molto. Anticamente, addirittura, i maiali scorrazzavano per gli abitati, alla ricerca di tutti i rifiuti. La «provvista del maiale» consentiva di sopravvivere per tutto l’inverno. (…) La «matinata» era un canto popolare che veniva dedicato al padrone, ai compari e agli amici, che in quel periodo avevano ucciso il maiale” (A. Giampietro, 1988, p. 105-108).

12 “(…) al tempo in cui tutti coltivavano la vite e si tenevano in vita «le pecchiare» in Matera esisteva una stirpe famosa di «frizzolari», che in periodi di magra per l’agricoltura e per la potatura costruivano «frizzole» di ferule. Erano famosi per due motivi, perché erano quasi tutti dello stesso stampo, alti, robusti e rossi in viso per buona salute, e perché erano i migliori «laudatori» delle «Matinate». Abituati a cantare durante l’usuale lavoro nelle botteghe che si aprivano nei Sassi - la loro potente voce si udiva dappertutto - si erano specializzati ad improvvisare le «laudi» alle persone cui venivano portate” (M. Padula, 1965, p. 89).

13 Pratella (1941, p. 434) fa anch’egli delle considerazioni circa il periodo storico in cui poter collocare questo canto; avendo a disposizione sia il testo verbale che quello musicale gli attribuisce caratteristiche “… di aspetto tra il settecentesco e l’ottocentesco” .

14 Già intorno la metà degli anni ’60 Padula (1965, p. 89) ne denunciava l’imminente scom-parsa: “É un’usanza che lentamente si va perdendo, ma fino a qualche anno fa si organizzavano frequentemente queste caratteristiche serenate che avevano vita dal 1° Gennaio alla Candelora”.

15 “Che si deve interpretare nel seguente modo: Don Eustacchio il padrone mio / sempre son servo di vossignoria / Tanto ne poss’avere di quel bene / per quanto pianto fa la Maddalena // Dall’altra parte mi voglio voltare / donna Brunetta voglio lodare / donna Brunetta la padrona mia / ti possa veder badessa a Santa Lucia // Cessate il canto, o suonatori scordate / è fatto notte, e dobbiamo fare assai / voglio abbreviare questa canzona / va a pigliare la gallina all’ammassone (pollaio)” (Ridola, 1857, 117). Anche Molinari Del Chiaro, nel suo lavoro, riporta un esempio al quale non aggiunge considerazioni di nessun tipo, a parte il ‘solito’ titolo: “Canti delle serenate (“U Matinati”): E donn’Antonii lu patroni mia / semp so serv di Ssigniria / quann ti vecchii mminz o vicini / mi par a bdè na chiant di pitrisini // Di donna Chiara nam scord ancora / semp la tegni allu punziri mia / quann camini sol mmenz alla via / mi par a bdè na monichi di S. Licia // Cessa lu cant, e sinatri sinati / apriti pur la port e lu pirtoni / pigghiati la iaddini da l’ammassoni” (L. Molinari Del Chiaro, 1883, p. 61).

16 Il testo di cui si parla è molto simile a quello documentato da Molinari Del Chiaro (ivi, nota n. 15).

17 A questa esperienza fa riferimento anche la trascrizione inserita nel lavoro di Padula (1965, p. 91) elaborata da L. Marconi, condirettore, tra l’altro, del suddetto coro.

18 La traduzione è stata leggermente modificata.19 Nel lavoro dei fratelli Giampietro (1977, p. 180-181) è invece riportato nella sezione con-

clusiva “canti vari”.20 La traduzione è stata leggermente modificata.21 “Canti gioiosi, umoristici, ecc. 1.) Tupp tupp ara fintani / Una strecla e l’alta lavi / L’alta prei

a S. Viti / Ca lu morii lu mariti. / 2.) E guei llì, e guei llà / O vol mamm o noni / L’amor l’egghi a ffà. // 1.) E mamma iun nni teni / Tignisidd u voli beni / E mamma iun nn’ha fatt / Tignisidd e

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bberi fatt / 2.) E nazz, nazz, nazzi / U pitrisini si venn a mazzi / Si venn a mmazzitidd / Pi campà lu poviridd. // 1.) Quanti si brutta / Puzz’ ess accisa / Senza camisa / Ti vu mmardà: / 2.) Guei llà, guei llì / Mur tu ch’ e campà ì: / Tu ti nni ve o Campisant / I mi l’ecchi n’at’amant. // 1.) Mo sni ven lu squarpari / Tirrapitabremn! / Cu gnimmiredd int o sinal / Tirrapitabremn! / Si ri mangia ad un ad uni / E la migghieri ca ste disciuni / Tirrapitabremn! / Si ri mangia a quatt a quatt / La migghiera crep e schatt / Tirrapitabremn!” (Molinari Del Chiaro, 1883, p. 61-62).

22 “Per canzone iterativa si intende propriamente un canto nel quale uno stesso motivo viene ripreso a regolari intervalli in strofe del tutto simili, fra le quali successivamente, la differenza è data solo dal mutamento (che fa sì che il canto possa procedere) di qualche nome o di qualche particolare, e alle quali spesso, in eguale posizione viene aggiunta una ripresa, la maggior parte delle volte progressiva, o un ritornello che talora è insieme e ripresa e ritornello”(Santoli, 1940, p. 100).

23 “Così si chiamavano le ragazze in attesa di un marito” (Del Parigi e Demetrio, 1994, p. 103). Nella traduzione riportata nel lavoro da cui è stato tratto il testo del canto, questo termine è stato tradotto con “verginella”, si è preferito mantenere l'espressione dialettale ritenendo che, questa, abbia un senso diverso rispetto all'interpretazione data nel lavoro curato da D. Giampietro.