Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

457

description

emociones

Transcript of Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Page 1: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione
Page 2: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Candace B. Pert

MOLECOLE DI EMOZIONI

Prefazione diDeepak Chopra

Traduzione diLidia Perria

Prefazione

2

Page 3: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

3

Page 4: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

4

Page 5: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Prefazione

Conosco e ammiro Candace Pert e il suo lavoro già da molti anni. Anzi, posso aggiungere che ricordo benissimo la prima volta che la sentii parlare e pensai con gioia: ecco finalmente una scienziata occidentale che si sforza di spiegare l'unità esistente fra materia e spirito, fra corpo e anima! Esplorando il modo in cui la mente, lo spirito e le emozioni sono legate al corpo in un sistema intelligente, quello che io definisco «il campo dell'intelligenza», Candace ha compiuto un passo da gigante verso l'abbattimento di alcuni dogmi che gli scienziati occidentali continuano da oltre due secoli a ritenere sacri. Le ricerche da lei condotte con lo spirito degli antichi pionieri hanno rivelato in che modo le sostanze chimiche prodotte dall'organismo umano, ossia i neuropeptidi e i loro recettori, costituiscano la base biologica della coscienza, manifestandosi sotto forma di emozioni, convinzioni e aspettative, e influenzando profondamente il modo in cui l'uomo reagisce e percepisce il mondo. Le sue ricerche hanno dimostrato l'esistenza delle basi biochimiche della percezione e della consapevolezza, convalidando ciò che i filosofi orientali, gli sciamani, i rishi e i seguaci delle medicine alternative sanno e sperimentano da anni: il corpo non è una macchina priva di mente, anzi, corpo e mente sono una cosa sola. Nelle conferenze che ho tenuto e nei libri che ho scritto, ho sempre insistito sul ruolo essenziale della percezione e della coscienza per garantire salute e longevità, spiegando in che modo la coscienza possa addirittura trasformare la materia, creando un corpo del tutto nuovo; inoltre ho sostenuto che la mente non si può localizzare in un punto preciso del corpo. Ora Candace tratteggia sotto i nostri occhi un vivido quadro scientifico di queste verità, illustrando il modo in cui i messaggeri biochimici agiscono con intelligenza, comunicando informazioni e

5

Page 6: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

orchestrando, in ogni istante della nostra esistenza, un vasto complesso di attività consce e inconsce. Questo scambio di informazioni avviene mediante una rete che collega fra loro tutti i sistemi e gli organi del corpo, sfruttando come mezzi di comunicazione tutte le molecole dell'emozione. Ciò che vediamo è l'immagine di un «cervello mobile», che si sposta in tutto il corpo, situato nello stesso tempo in tutti i punti dell'organismo, e non soltanto nella testa. Queste informazioni che circolano a livello corporeo sono infinitamente flessibili, in stato di perenne mutazione e di moto perpetuo. E come un gigantesco circuito, che smista e riceve informazioni nello stesso tempo, controllando con intelligenza quel processo che si definisce vita. E in atto una rivoluzione che influirà in misura significativa sul modo in cui la comunità medica occidentale concepisce la salute e la malattia. Il contributo di Candace Pert a questa rivoluzione è innegabile, e l'integrità professionale che ha dimostrato nel perseguire la verità scientifica dovunque potesse portarla, a prescindere dal prezzo personale e professionale che ha dovuto pagare per questo, sottolinea il potenziale femminile e intuitivo della scienza intesa nel senso migliore del termine.

Deepak Chopra La Jolla, California

6

Page 7: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

1

La rivoluzione dei recettori:

lezione introduttiva

Gli scienziati, per natura, non sono propensi a ricercare le luci della ribalta o a goderne; anzi, la formazione che hanno ricevuto li induce a evitare ogni forma di comportamento esteriore che possa incoraggiare una comunicazione a due sensi con le masse. Si accontentano di perseguire la verità restando isolati, chiusi in un laboratorio senza finestre, e rendendo conto della loro attività soltanto ai componenti di una cerchia estremamente selezionata. E per quanto sia opportuno, anzi, necessario, presentare qualche relazione in occasione di convegni professionali, è raro che sappiano tenere testa a una folla di ascoltatori ammassati in piedi in una sala, ridendo, lanciando battute e rivelando segreti del mestiere. Dal canto mio, sebbene faccia parte di questo ambiente da tempo e ne sia una rappresentante accreditata, non posso dire di essermi distinta per averne seguito sempre le regole. Direi piuttosto che mi comporto come se fossi programmata da un gene deviante e faccio proprio quello che la maggior parte degli scienziati aborrisce, cercando di informare, educare e motivare persone di ogni genere, dai profani ai professionisti. Tento di rendere comprensibili e di tradurre in linguaggio corrente le ultime scoperte fatte da me e dai miei colleghi scienziati che lavorano all'avanguardia nel campo della ricerca, informazioni pratiche in grado di cambiare la vita della gente. Così facendo, in pratica sconfino in una dimensione diversa, dove gli ultimi progressi della medicina biomolecolare diventano accessibili a chiunque sia disposto ad ascoltare. Questa missione mi espone spesso all'attenzione del pubblico. Una dozzina di volte l'anno ricevo l'invito a parlare di fronte a gruppi di

7

Page 8: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

persone riunite da varie istituzioni e per questo, quando non sono impegnata nel mio lavoro alla facoltà di medicina dell'università di Georgetown, dove sono ricercatrice nel dipartimento di biofisica e fisiologia,faccio la spola da una costa all'altra, a volte attraversando persino l'oceano. Per la verità non era nelle mie intenzioni trasformarmi in una divulgatrice scientifica e fare da altoparlante per educare il pubblico e i terapeuti impegnati nel movimento per la medicina alternativa, anche perché per la maggior parte della mia carriera sono stata legata agli ambienti ufficiali del laboratorio e della ricerca. Eppure si è trattato di un'evoluzione naturale, e ora mi sento a mio agio in questo nuovo ruolo. Ho l'impressione che, da quando ho imparato a tradurre le idee scientifiche nel linguaggio di tutti i giorni, la mia vita professionale e quella personale abbiano finito per influenzarsi a vicenda, cosicché la mia personalità si è evoluta e arricchita in mille modi inattesi grazie alle scoperte che ho fatto, alle ricerche che ho svolto e alle realtà significative che porto alla luce di continuo. Scrivere questo libro è stato un tentativo di mettere nero su bianco, in modo più dettagliato e accessibile, il materiale che ho presentato nel corso di queste conferenze. L'intento che mi sono proposta, tanto scrivendo quanto parlando, è duplice: da un lato, spiegare le nozioni scientifiche sulle quali si basa la nuova medicina incentrata sull'unità corpo/mente, dall'altro, fornire sufficienti informazioni pratiche sulle implicazioni di tale disciplina, nonché sulle terapie e sui terapeuti che le praticano, per consentire ai lettori di fare le migliori scelte possibili riguardo alla salute e al benessere personale. Forse il mio itinerario intellettuale e spirituale potrà aiutare qualcun altro a scoprire e percorrere il proprio cammino individuale. E ora, via con la «lezione»!

L'arrivo

Quando posso, cerco di arrivare in anticipo nella sala riservata alla conferenza, prima che il pubblico vi prenda posto. Mi emoziona sedermi

8

Page 9: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

nella sala vuota dove regna ancora la calma, la potenzialità allo stato puro, in cui può accadere di tutto. Il suono delle porte che si aprono, le voci soffocate degli ascoltatori che sfilano lentamente per entrare, il tintinnio dei bicchieri d'acqua e lo stridio delle sedie... tutto questo crea una deliziosa cacofonia, che suona come musica alle mie orecchie: l'ouverture di quanto sta per accadere. Osservo gli spettatori che si dirigono verso il loro posto, cercando la sedia giusta, chiacchierando con il vicino e mettendosi comodi, in attesa di essere informati, e magari intrattenuti, ignari del fatto che il mio intento è molto più ambizioso: voglio rivelare, ispirare, elevare, forse addirittura cambiare la loro vita. «Che tipo è questa Candace Pert?» mi spingo a chiedere talvolta, mantenendo l'anonimato, per attaccare discorso con la persona seduta accanto a me, come per gioco. «E una persona in gamba, secondo lei?» A volte la risposta è istruttiva, e comunque è sempre divertente, oltre a consentirmi di saggiare i pensieri e le aspettative di coloro ai quali sto per rivolgermi. Poi annuisco di rimando, fingendo di mettermi più comoda per seguire la conferenza con maggiore attenzione. Spesso mi trovo davanti un pubblico molto eterogeneo. A seconda del tipo di organizzazione che patrocina la conferenza, fra gli ascoltatori prevalgono i professionisti ufficiali - medici, infermiere e ricercatori scientifici - oppure persone che praticano metodi alternativi -chiropratici, guaritori che utilizzano l'energia, massoterapisti e altri curiosi - ma spesso il pubblico presenta esponenti di entrambi i settori, in una mescolanza che si può definire più efficacemente un incrocio fra «establishment» e «nuovo paradigma». Questa miscela ibrida di spettatori è molto diversa dal pubblico più omogeneo a cui sono destinate le centinaia di relazioni che leggo, da ventiquattro anni a questa parte, di fronte ai miei colleghi scienziati. A loro rivolgo osservazioni più tecniche, espresse nel gergo degli iniziati, senza dover tradurre un codice che è comune a tutti noi. Non ho smesso di rivolgermi a uditori di questo tipo, facendo il solito giro annuale dei convegni scientifici, ma oggi mi piace avventurarmi anche su un territorio meno familiare, dove pochi dei miei colleghi scienziati osano, o desiderano, spingersi.

9

Page 10: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Respirando a fondo per un paio di minuti, mi rilasso sulla sedia, con gli occhi chiusi. Sento che mi si schiariscono le idee, mentre pronuncio una breve preghiera per entrare in uno stato d'animo più ricettivo. Facendo appello alla mia capacità istintiva di captare le aspettative e l'umore del pubblico, sento abbattersi la parete, il diaframma immaginario che separa noi scienziati dai profani, ovvero gli esperti, le autorità, da coloro che non sanno; un diaframma alla cui esistenza, personalmente,ho smesso di credere da tempo.

Il pubblico

Man mano che la sala si riempie, sento crescere l'eccitazione. Quando apro gli occhi e lancio un'occhiata a una di queste folle eterogenee, noto per prima cosa che, in netto contrasto con le adunanze di carattere più strettamente scientifico, di solito è presente un gran numero di donne. Mi sorprende ancora vederne tante, vestite con abiti sciolti e coloratissimi, di stile californiano, che formano un quadro piacevole, e mi colpisce sempre la vasta gamma di viola o di rosso violaceo presente nel loro abbigliamento, più ampia di quanto abbia mai immaginato. Poi, spingendo lo sguardo oltre quell'impressione superficiale, cerco di valutare le varie componenti rappresentate nel pubblico e i motivi che possono averle spinte ad assistere. La mia attenzione va per prima cosa ai medici e agli altri professionisti del campo sanitario, il cui contingente è sempre dominato dalla presenza maschile. Gli uomini stanno seduti con la schiena diritta, i completi scuri tagliati su misura e la camicia bianca ben stirata, mentre le donne si guardano attorno senza dare nell'occhio, facendo il calcolo dei colleghi presenti. Sparsi qua e là nella sala ci sono i neofìti, giovani uomini e donne con lo zainetto sulle spalle e gli occhi pieni di sogni. Seduti sull'orlo della sedia per l'ansia, lasciano trasparire la propria sincerità, o addirittura l'incertezza su quello che realmente vogliono o sulla meta che intendono raggiungere.

10

Page 11: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Mentre gli ultimi spettatori prendono posto e le voci si abbassano, fondendosi in un mormorio sommesso, io mi domando: che cosa si aspettano di sentire da me, tutte queste persone? che cosa vogliono sapere, che cosa sperano? Alcuni di loro sono qui perché mi hanno visto comparire in televisione nel programma della PBS condotto da Bill Moyers, Healing and the Mind (La guarigione e la mente), al quale hanno partecipato anche Dean Ornish, Jon Kabat-Zinn, Naomi Remen e numerosi altri medici, scienziati e terapeuti che tentano di stabilire le stesse connessioni mente-corpo che sono diventate il mio lavoro quotidiano. Essere intervistata da un giornalista così bene informato e ricettivo mi ha permesso di parlare delle molecole della mente e dell'emozione con una passione e.un senso dell'umorismo che di rado si trovano associati alla figura di scienziati impegnati nella ricerca medica. Ho tentato di facilitare al pubblico televisivo la comprensione del mondo appassionante della biomedicina, della teoria molecolare e della psiconeuroimmunologia, divulgando informazioni che di solito sono avvolte in un linguaggio impenetrabile, informandoli dei vantaggi che potrebbe offrire loro la familiarità con questo settore della conoscenza, dal momento che può metterli in grado di decidere del proprio stato di salute. Pensiamo per un attimo ai medici, alle infermiere, ai professionisti del settore sanitario: che cosa li ha spinti a venire qui? Si sono trovati forse a contatto con qualche situazione nuova, che la loro formazione attuale non è in grado di spiegare? Molti di loro mi conoscono nelle vesti di ex direttore del settore biochimica del cervello, che ha sgobbato per tredici anni nell'ambito del National Institutes of Health, compiendo esperimenti con le sostanze biochimiche che in seguito ho ribattezzato «correlati fisiologici dell'emozione» e realizzandone la mappatura. Forse qualcuno di loro sa che mi sono allontanata dal National Institutes of Health quando ho scoperto un nuovo e potente farmaco per la cura dell'AIDS,senza riuscire però ad attirare l'attenzione del governo. In ogni caso, sembrano tutti consapevoli del fatto che la scienza va avanti, e molte delle nozioni che hanno appreso durante gli studi di medicina vent'anni fa, o anche solo dieci anni fa, non sono più attuali, e neppure

11

Page 12: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

applicabili. Sanno che lavoro in un settore all'avanguardia; in un recente numero di Forbes, un cronista della cultura contemporanea del calibro di Tom Wolfe ha definito la neuroscienza «il campo più caldo del mondo accademico», che solo ora si sta facendo largo nelle facoltà di medicina di tutto il mondo. Poi ci sono tanti massoterapisti, agopunturisti, chiropratici, ovvero i cosiddetti terapeuti della medicina alternativa, che offrono ai loro pazienti un approccio diverso da quelli della medicina tradizionale. La loro presenza mi rammenta che queste persone sono state emarginate per anni, prese raramente sul serio da quelli che contano, come le facoltà di medicina, le compagnie di assicurazione, l'ordine dei medici, per non parlare della Food and Drug Administration, l'ente federale che disciplina questo settore negli Stati Uniti, anche se è notorio che il pubblico spende miliardi ogni anno per assicurarsi i loro servigi. Più tardi, nel dibattito che seguirà la conferenza, mi diranno che a loro avviso ho svolto delle ricerche in grado di confermare le loro teorie e convinzioni. Hanno letto qualcosa sulla mia teoria delle emozioni, in cui ho postulato l'esistenza di un legame biochimico fra mente e corpo, proponendo una nuova concezione dell'organismo umano come rete di comunicazione, dalla quale scaturisce una nuova definizione di salute e malattia, tale da conferire agli individui una nuova responsabilità e un maggiore controllo sulla propria vita. Sono presenti anche i filosofi, coloro che vanno in cerca della verità. Alcuni di loro sono molto silenziosi - ascoltatori, non oratori - giovani pallidi che dopo la conferenza mi parlano dei viaggi compiuti in India o dei periodi trascorsi in Asia. Vedono nel mio lavoro la conferma di quello che i loro guru e maestri sostengono da tempo, e vogliono più risposte, forse riguardo al significato di tutto questo. Forse hanno sentito parlare di me come della scienziata che ha detto: «Dio è un neuropeptide». Sanno che nelle mie conferenze non ho paura di usare quella parola che gran parte degli scienziati considera oscena, anima, e vogliono rivolgermi interrogativi di natura spirituale. Molti vengono semplicemente per curiosità: magari hanno sentito parlare della mia fama di giovane studiosa che, appena laureata, ha gettato le

12

Page 13: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

basi per la scoperta delle endorfine, sostanze analgesiche capaci di indurre l'estasi secrete dall'organismo umano, oppure mi conoscono come la giovane donna che è stata ignorata al momento di assegnare un premio quasi all'altezza del Nobel e ha osato sfidare il suo maestro per ottenere il riconoscimento che era convinta di meritare. Può darsi che ricordino la disputa scatenata da quella protesta, che è finita in prima pagina sui giornali, mettendo allo scoperto la natura maschilista e profondamente ingiusta di un intero sistema, causando uno sconquasso che ha messo in imbarazzo un'intera dinastia medica. Altri sono qui semplicemente perché hanno bisogno di una speranza. Vedo i malati, talvolta costretti sulla sedia a rotelle, disposti lungo i passaggi centrali, vicino alle porte. Sanno che lavoro all'avanguardia della ricerca, che svolgo esperimenti interdisciplinari e cerco di ottenere risultati nuovi per la cura del cancro, dell'AIDS e delle malattie mentali. Quando li vedo fra il pubblico, mi sento sempre un pò nervosa. Si aspettano forse una guarigione miracolosa, come se fossi un predicatore a un' adunanza religiosa di revivalisti? Speranza è una parola sporca, pronunciata di rado nei circoli che frequento, e mi infastidisce ancora sentirla legata all'immagine che mi sono fatta di me stessa come scienziata. Pensare di essere considerata una guaritrice, e per giunta, Dio non voglia, una guaritrice che opera grazie alla fede! Eppure non posso ignorare l'espressione disperata e sofferente che vedo sui loro volti. Informazioni. Sì, queste almeno posso offrirle: nozioni che possano essere sfruttate, nella ricerca di alternative, da tutti coloro ai quali la medicina ufficiale non offre più risposte, né cure, né speranze. A prescindere dalla professione, dall'orientamento o dalle aspettative emozionali o intellettuali, ho finito per convincermi che la maggior parte dei profani che vengono ad assistere alle mie conferenze sperano di sentire demistificata la scienza, finalmente liberata dal gergo tecnico e tradotta in termini comprensibili per loro. Vogliono poter esercitare un maggiore controllo sulla propria salute e saperne di più sulle funzioni del proprio organismo, ma sono profondamente delusi dall'incapacità della scienza di mantenere la promessa di cure per le malattie più gravi. Ora vogliono riappropriarsi di una parte del potere, e hanno bisogno di capire

13

Page 14: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

quale valore abbiano le ultime scoperte scientifiche in vista del raggiungimento di uno stato di salute ottimale. Forse anche voi che leggete questo libro pensate di rientrare in uno o più dei gruppi descritti. Se così fosse, mi auguro per il vostro bene, così come spero per tutti coloro che fanno parte del mio pubblico, che almeno alcune delle informazioni esposte in queste pagine possano segnare una svolta nella vostra vita.

L’entrata in scena

Un silenzio improvviso scende nella sala, cogliendomi alla sprovvista, e voltando la testa scorgo una figura che attraversa lentamente il palcoscenico per raggiungere la tribuna dell'oratore, illuminata da un fascio di luce. Di solito segue un generoso elenco dei miei titoli e delle mie capacità; mi sento sinceramente commossa dall'apprezzamento espresso dalla persona che mi presenta, ma sempre un pò imbarazzata e immeritevole di parole così lusinghiere. Con gli anni ho imparato a tenere a freno l'ego, durante la presentazione, recitando una preghiera silenziosa nella quale chiedo a Dio di non sentirmi intimorita, e neppure esaltata, dalla missione che mi attende, rammentando a me stessa che, nonostante le luci della ribalta alle quali sarò esposta fra poco, sono prima di tutto e innanzi tutto una scienziata, una ricercatrice della verità, e non una rockstar. Prego dentro di me che tutte quelle lodi non mi diano alla testa, anche se potrebbe accadere facilmente, anzi, qualche volta è accaduto. Infine sento pronunciare il mio nome e mi alzo per cominciare il lungo cammino verso il palco. Quando passo davanti alla prima fila e sento gli occhi di tutti i presenti puntati su di me, mi ricordo di respirare a fondo; mentre la supero, mi giunge all'orecchio qualche commento pronunciato sottovoce: «Eccola! E’ questa? Ma non ha affatto l'aria della scienziata!» Chissà che cosa si aspettavano, mi domando con una risatina. Sono pur sempre una donna, moglie e madre. Non corrispondo alla loro immagine della scienziata? E ovvio che hanno le loro idee, e molti sottoscrivono il

14

Page 15: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cliché dello scienziato dall'abbigliamento conservatore e dallo sguardo intenso, di solito un uomo. Non è passato molto tempo da quando indossavo tailleur austeri e piuttosto informi, la divisa del successo, uniformandomi all'immagine seriosa e composta che il pubblico si aspetta di vedere; ma ora la trasformazione che è avvenuta in me si riflette decisamente nel modo in cui mi presento, con un'immagine che corrisponde meglio al messaggio che voglio trasmettere oggi. Adeguandosi all'evoluzione delle mie idee scientifiche, anche il mio guardaroba si è aggiornato, cosicché oggi somiglio di più alle donne in abiti sciolti, e indosso vestiti più morbidi e colorati, più comodi, a volte persino di colore viola, o rosso! Ora ho il coraggio di essere più provocatoria, anche se chi mi conosce sostiene che la provocazione è sempre stata il tratto distintivo della mia personalità, per quanto in certe fasi della mia vita mi sia sforzata di tenerla sotto controllo per poter sopravvivere.

Prendendo posto sul podio, aspetto che i tecnici sistemino il microfono e completino gli ultimi preparativi sul proiettore di diapositive al mio fianco. Guardando il mare di facce rivolte verso l'alto, resto colpita dall'immobilità assoluta degli spettatori: so che non si muoveranno finché non avrò lanciato qualche battuta di spirito, autorizzandoli a esplodere in una risata divertita, animando la sala e saturandola di energia. Il pubblico è pronto, e lo sono anch'io: centinaia, a volte anche migliaia, di persone sono sedute davanti a me, in attesa di ascoltare le mie parole. Mi concedo ancora un minuto per concentrarmi interiormente sulla missione che mi sono proposta: dire la verità sui fatti che i miei colleghi e io abbiamo scoperto. Prima di tutto e innanzi tutto, sono una ricercatrice della verità. La mia intenzione è rendere comprensibili le metafore che esprimono un nuovo paradigma, metafore che riflettono l'unione inestricabile esistente nella realtà fra corpo e anima e il ruolo che le emozioni svolgono nella salute e nella malattia. Le luci si attenuano, mentre mi schiarisco la gola e sullo schermo appare la prima diapositiva.

15

Page 16: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Adottare il tono giusto

C'è qualcosa di inebriante nel trovarsi di fronte una sala enorme piena di persone che ridono fragorosamente. E un' esperienza che cerco di rivivere ogni volta che posso, fin da quando, nel 1977, ho tenuto una conferenza nella sede della National Endocrine Society e senza volerlo ho fatto venire giù il soffitto dalle risate con una battuta, destinata in realtà a coprire un errore che avevo commesso. Ora non perdo tempo, e comincio subito col proiettare una vignetta che non manca mai di strappare al pubblico risate sonore, anche se a volte un pò nervose.

i i l iLa pr ma d apositiva che mostro a pubbl co è questa:

È una gag che utilizzo per illustrare il fatto che nella nostra cultura si cerca sempre di negare l'importanza dei fattori psicosomatici nella malattia. Dividendo la parola psicosomatico nelle sue componenti, otteniamo psiche, che significa mente o anima, e soma, che significa corpo. Sebbene la loro fusione in una sola parola suggerisca l'esistenza di una connessione fra queste due realtà, si tratta di una connessione che gran parte della nostra cultura considera tabù. Per molti di noi, e senza dubbio per la maggior parte degli esponenti del mondo della medicina, accostare troppo la mente al corpo significa mettere in dubbio la legittimità di una particolare malattia, insinuando che possa essere immaginaria, non reale, non scientifica. Se i contributi psicologici alla salute e alla malattia fisica sono visti con sospetto, l'idea che l'anima (traduzione letterale della parola psiche)

16

Page 17: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

possa contare qualcosa viene giudicata addirittura assurda. Seguendo questa strada entriamo infatti nel regno mistico, dove agli scienziati è stato proibito formalmente l'ingresso fin dal Seicento. Fu allora che René Descartes, ovvero Cartesio, filosofo e padre fondatore della medicina moderna, fu costretto a concludere un accordo territoriale con il papa, allo scopo di ottenere i cadaveri umani che gli servivano per la dissezione. Cartesio accettò di non immischiarsi dell'anima, della mente o delle emozioni, tutti aspetti dell'esperienza umana che a quel tempo erano sotto la giurisdizione virtualmente esclusiva della Chiesa, a patto di poter rivendicare per sé il mondo fisico. E purtroppo è stato questo accordo a segnare il tono e l'orientamento della scienza occidentale nei due secoli successivi, dividendo l'esperienza umana in due sfere distinte e separate che non avrebbero mai potuto sovrapporsi e creando la situazione di squilibrio che caratterizza la scienza ufficiale così come la conosciamo oggi. Tutto questo ormai sta cambiando, almeno in buona misura. Un numero sempre crescente di scienziati riconosce che siamo nel pieno di una rivoluzione scientifica, un grande cambiamento di paradigma che comporta ripercussioni enormi sul modo in cui si affronta il problema della salute e della malattia. L'era cartesiana, così come il pensiero filosofico occidentale dai tempi di Cartesio in poi, è stata dominata dalla metodologia riduzionista, che tenta di interpretare la realtà esaminandone i frammenti più minuti ed estrapolandone poi i dati per formulare congetture che abbracciano il tutto. Il pensiero riduzionista cartesiano di un tempo è ormai impegnato a raggiungere una meta nuova e molto eccitante: una visione olistica. Assistendo a questo processo, anzi, partecipandovi, ho finito per convincermi del fatto che in sostanza tutte le malattie, anche quando non hanno una base psicosomatica, presentano senza dubbio una componente psicosomatica ben precisa. Le recenti innovazioni tecnologiche ci hanno consentito di analizzare le basi molecolari delle emozioni, e così abbiamo cominciato a capire in che modo le molecole delle nostre emozioni sono connesse in modo intrinseco, direi addirittura inscindibile, alla fisiologia. Sono le emozioni, ho finito per capire, a unire fra loro mente e corpo.

17

Page 18: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Questo approccio più olistico integra la visione riduzionista, espandendola anziché sostituirla, e propone un modo nuovo di concepire la salute e la malattia, non soltanto a noi scienziati, ma anche ai profani. In genere nelle mie conferenze dimostro in che modo le molecole dell'emozione regolano ogni sistema del nostro corpo, e come questo sistema di comunicazione sia in effetti una dimostrazione dell'intelligenza dell'unità corpo/mente, un'intelligenza tanto sviluppata da ricercare il benessere e tale da poter garantire in potenza la salute e l'assenza di malattie senza l'intervento medico della tecnologia moderna sulla quale oggi facciamo affidamento. In questo libro ho cercato di fornire delle indicazioni sul modo di attingere a questa intelligenza e in Appendice ho riportato un elenco di organizzazioni che praticano vari aspetti della medicina corpo/mente, cosicché i lettori interessati possano trovarvi un minimo di orientamento sul modo migliore di sfruttare questa intelligenza, lasciandola lavorare senza interferenze. L'Appendice contiene inoltre alcuni consigli essenziali per una vita sana, distillati in base alla mia esperienza personale. Cambiare prospettiva è possibile, ed è già accaduto! La concezione tolemaica, che poneva la terra al centro dell'universo, può cedere il passo alla teoria eliocentrica di Copernico, ma non senza una considerevole resistenza. Ne fa fede Galileo, che fu trascinato davanti alla Santa Inquisizione per aver divulgato quella teoria un secolo dopo che era stata formulata. Oppure basta chiedere a Jesse Roth, che negli anni '80 ha riscontrato la presenza di insulina non solo nel cervello, ma anche in alcuni minuscoli animali unicellulari che si trovano all'esterno del corpo umano. Questa scoperta ha dato una bella scossa al paradigma che regnava nel mondo della medicina, perché tutti «sapevano» che ci vuole un pancreas per produrre l'insulina! Pur occupando una posizione di rilievo come direttore medico del National Institutes of Health, per parecchio tempo il dottor Roth non è riuscito a far pubblicare i suoi articoli su una sola rivista scientifica autorevole. I revisori gli restituivano il testo aggiungendo commenti come: «Questa è un' assurdità, si vede che non ha lavato a sufficienza le provette». Jesse reagì utilizzando provette nuove di zecca e ripetendo gli esperimenti con gli stessi risultati un numero

18

Page 19: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sufficiente di volte per indurre altri ricercatori, incuriositi dalle sue scoperte, a compiere esperimenti simili, ottenendo risultati simili.

L'esempio di Jesse illustra uno dei paradossi del progresso scientifico: ben di rado le idee davvero originali e capaci di aprire nuovi orizzonti vengono accolte subito con favore, chiunque sia a proporle. Proteggendo il paradigma prevalente, la scienza procede a passo di lumaca per non commettere errori. Di conseguenza, le idee veramente originali e importanti sono spesso esposte a un esame spietato, se non a un autentico fenomeno di rigetto, e farle pubblicare diventa una fatica di Sisifo. D'altra parte, se le idee sono valide, prima o poi finiscono per prevalere. Può darsi che occorra un decennio, come nel caso di una nuova disciplina, la psiconeuroimmunologia, o anche di più: ma alla fine la nuova concezione diventa lo status quo, e le idee che prima venivano respinte, etichettate come folli, appaiono sulla stampa popolare, spesso patrocinate proprio dai critici che hanno fatto tanto per impedire che fossero accettate. Ed è quello che sta accadendo oggi, mentre si instaura un nuovo paradigma. E non sarà mai abbastanza presto, per quanto riguarda la folla di seguaci della medicina olistica/alternativa, disgustati dal modello medico prevalente ormai da anni: in effetti si sono dati da fare per sovvertirlo. In gran parte è grazie ai loro sforzi che alcune tecniche liquidate in precedenza con disprezzo, come l'agopuntura e l'ipnosi, hanno ottenuto la credibilità di cui godono oggi. Ma anche quando parlo con qualche consumatore medio attento alla salute, persone che non nutrono un particolare fervore ideologico nell'uno o nell'altro senso, resto stupita dalla profondità della loro collera nei confronti dell'attuale sistema sanitario. E evidente che l'opinione pubblica comincia a rendersi conto del fatto che i cittadini sono costretti a pagare spese sanitarie allucinanti in cambio di procedure spesso inefficaci per rimediare a disturbi di cui avrebbero potuto prevenire l'insorgere.

Per afferrare meglio l'enormità di questa rivoluzione, occorre prima comprendere alcuni principi essenziali della medicina biomolecolare, e

19

Page 20: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sono quelli che di solito illustro all'inizio di ogni conferenza. Quanti di noi sono capaci di chiudere gli occhi e visualizzare, o definire, un recettore, oppure una proteina, o un peptide? Queste sono le componenti base del nostro corpo e della nostra mente, eppure per una persona di media cultura sono altrettanto esotiche e lontane dall'esperienza quotidiana quanto l'«abominevole uomo delle nevi». Se vogliamo comprendere quale ruolo possano giocare le nostre emozioni sul piano della salute, il primo passo indispensabile consiste nel capire il regno cellulare-molecolare. Inoltre mi piace ricostruire il contesto storico, per aiutare la gente a comprendere l'impatto delle recenti scoperte. Quella che metto ora nero su bianco è una versione riveduta e ampliata di queste conferenze, allo scopo di fornire una panoramica del mio lavoro che racchiuda le conoscenze scientifiche essenziali per rendere comprensibile il tutto, più un pizzico di umorismo. D'altra parte ho anche una storia da raccontare, una storia più personale che scientifica, anche se in parte trapela da alcune delle mie conferenze pubbliche più informali. Il racconto della metamorfosi operata in me dalla scienza e del modo in cui la ricerca che ho condotto è stata ispirata e influenzata dalla mia evoluzione come essere umano, in particolare dalla mia esperienza di donna, è altrettanto istruttivo, a mio parere, dei dettagli concreti delle mie vicende scientifiche, e altrettanto importante. Per questo motivo ho riversato in questo libro la mia vicenda personale, inframmezzandola alle varie sezioni della conferenza, nella speranza che serva a fornire una prospettiva illuminante, rivelando la storia umana che si cela dietro le molecole dell'emozione. Come si addice alla mia evoluzione personale, l'aspetto privato e quello scientifico s'intrecciano, man mano che la storia procede, sottolineando che la scienza è una realtà umana in tutto e per tutto, e non la si può apprezzare nella giusta misura se viene presentata come un'astrazione gelida, priva di emotività. Le emozioni influiscono anche sul modo in cui facciamo scienza, oltre che sulla nostra salute o malattia.

20

Page 21: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Le basi

E ora, via con la scienza! La componente primaria delle molecole dell'emozione è una molecola che si trova alla superficie delle cellule nel corpo e nel cervello,e si chiama recettore degli oppiacei. E stata la scoperta del recettore degli oppiacei a far decollare la mia carriera di scienziata,all'inizio degli anni '70, quando ho scoperto un metodo per misurarlo e quindi per dimostrarne l'esistenza. Misurazione,è questa la base del moderno metodo scientifico, il mezzo per dimostrare l'esistenza del mondo materiale. Se non siamo in grado di misurare qualcosa, la scienza non ne ammette l'esistenza, ed è questo il motivo per cui la scienza si rifiuta di prendere in considerazione «non-entità» come le emozioni, la mente, l'anima o lo spirito. Ma cos'è questo recettore, che in passato era anch'esso una non-entità? All'epoca in cui ho cominciato a muovere i primi passi nella ricerca, un recettore era più che altro un'idea, un sito ipotetico che si riteneva fosse localizzato nelle cellule di tutti gli esseri viventi. Gli scienziati che più avevano bisogno di crederci erano i farmacologi, ossia coloro che studiano e inventano medicine, perché era l'unico modo che conoscevano per spiegare l'azione dei farmaci sull'organismo. Fin dall'inizio del ventesimo secolo i farmacologi erano convinti che i medicamenti, per poter agire sull'organismo, devono innanzi tutto trovare qualcosa su cui fissarsi. Il termine recettore si usava in riferimento a questa ipotetica componente del corpo che consentiva al farmaco di fissarsi e dare quindi inizio, in modo misterioso, a una catena di cambiamenti fisiologici. «Nessun farmaco può agire senza fissarsi», diceva Paul Ehrlich, il primo farmacologo moderno, sintetizzando una tesi che riteneva valida, pur senza averne le prove concrete. (Solo che lui lo diceva in latino, per enfatizzare la profondità del concetto.) Ora sappiamo che quel componente, cioè il recettore, è una sola molecola, forse il tipo più elegante, raro e complesso di molecola che esista al mondo. Una molecola è la particella più piccola di una certa sostanza che

21

Page 22: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sia ancora identificabile come tale sostanza. Ogni molecola, di qualunque natura sia, è composta dalle unità di materia più piccole (atomi come carbonio, idrogeno e azoto) unite in una configurazione specifica che è propria di quella sostanza e che si può esprimere con una formula chimica, oppure, per maggiore chiarezza, disegnare sotto forma di diagramma. Forze invisibili attirano una molecola verso l'altra, cosicché le molecole si uniscono per formare una sostanza identificabile, anche se queste invisibili forze d'attrazione possono essere sopraffatte applicando alla sostanza una quantità di energia sufficiente. Per esempio, l'energia termica fonde i cristalli di ghiaccio trasformandoli in acqua, che a sua volta si tramuta in vapore man mano che le sue molecole si muovono con tanta rapidità ed energia da separarsi e allontanarsi l'una dall'altra; ma la formula chimica resta la stessa in tutti e tre gli stati - in questo caso H2O, due atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno - sia che si tratti di un soli i i un li i i ldo gh acciato, sia d quido trasparente o d un vapore nco ore.

A differenza della molecola dell'acqua, che è piccola e rigida, ma pesa soltanto diciotto unità di peso molecolare, la molecola del recettore è più grande e pesa oltre cinquantamila unità. Inoltre, mentre le molecole di acqua ghiacciata si sciolgono o si tramutano in gas per effetto del calore, le molecole del recettore, più flessibili,rispondono all'energia e alle sollecitazioni chimiche con una vibrazione. Vibrano, fremono, e

22

Page 23: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

addirittura ronzano, piegandosi e passando da una forma all'altra, anzi spesso oscillando più volte fra due o tre forme, o conformazioni, preferite. Nell'organismo si trovano sempre unite a una cellula, in cui fluttuano sulla parete esterna e oleosa della superficie cellulare, detta membrana. Potete immaginarli come ninfee che galleggiano sulla superficie di uno stagno: proprio come le ninfee, infatti, i recettori hanno delle radici che affondano nella membrana fluida, attraversandola più volte con un andamento sinuoso per giungere in profondità, nel nucleo della cellula. I recettori sono molecole, come ho già detto, composte di proteine, minuscoli amminoacidi collegati fra loro in catene schiacciate, abbastanza simili a collane di perline ripiegate su se stesse. Se si dovesse assegnare un colore diverso a ciascuno dei recettori identificati dagli scienziati, la superficie di una cellula media avrebbe l'aspetto di un mosaico multicolore di almeno settanta sfumature diverse: cinquantamila recettori di un certo tipo, diecimila di un altro, centomila di un terzo, e così via. Un tipico neurone (cellula del sistema nervoso) può avere milioni di recettori disposti sulla superficie. I biologi molecolari sono in grado di isolare questi recettori, di accertarne il peso molecolare e infine ricostruirne la struttura chimica, identificando la sequenza esatta di amminoacidi che compongono la molecola del recettore. Utilizzando le tecniche biomolecolari disponibili oggigiorno, gli scienziati possono isolare e comporre in sequenza decine e decine di recettori nuovi, il che significa che ora è possibile tracciarne il diagramma completo della struttura chimica. In sostanza, i recettori funzionano come molecole sensitive, come altrettanti sensori. Così come nell'organismo umano gli occhi, le orecchie, la lingua, le dita e la pelle agiscono da organi di senso, anche i recettori si comportano in modo analogo, solo che lo fanno a livello cellulare. Si librano sulla membrana delle cellule, danzando e vibrando, in attesa di captare messaggi inviati da altre piccole creature vibranti, composte anch'esse di amminoacidi, che vagano - si diffondono è il termine tecnico adottato in questi casi - nel fluido che circonda ogni cellula. Fra noi, si usa definire questi recettori «buchi della serratura», benché non sia un

23

Page 24: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

termine troppo calzante per indicare qualcosa che è in costante movimento e danza in modo ritmico e vibrante. Tutti i recettori, come ho detto, sono proteine, e si addensano nella membrana cellulare in attesa della chiave chimica giusta, in grado di nuotare nel fluido extracellulare fino a raggiungerli e risalire a loro per inserirsi nella toppa, un processo noto sotto il nome di legamento. Legamento! In effetti si tratta di sesso a livello molecolare. E qual è questa chiave chimica che approda al recettore, facendolo danzare e oscillare? L'elemento responsabile si chiama legante, ed è la chiave chimica che lega con il recettore, penetrandovi come fa una chiave che entra nel buco della serratura, creando un disturbo che costringe la molecola all'adattamento, inducendola a cambiare forma finché - click! -l'informazione penetra nella cellula.

Legami che uniscono

Se i recettori sono i componenti primari delle molecole di emozione, i leganti vengono subito dopo, al secondo posto. La parola legante deriva dal latino ligare, e significa «ciò che lega, che unisce», collegandosi così alle origini della parola «religione ».

24

Page 25: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Legante è il termine usato per indicare qualunque sostanza naturale o sintetica che si unisca selettivamente a un recettore specifico posto sulla superficie di una cellula. Il legante entra in contatto con il recettore e scivola via, rimbalza, scivola di nuovo. Ciò che chiamiamo legamento è appunto il contatto che si stabilisce fra legante e recettore, durante il quale il legante trasmette un messaggio al recettore grazie alle sue proprietà molecolari. Anche se l'immagine classica è quella della chiave che si inserisce nella serratura, una descrizione più dinamica di questo processo potrebbe essere quella di due voci, legante e recettore, che intonano la stessa nota, producendo una vibrazione che fa squillare un campanello, aprendo la porta della cellula. Ciò che avviene poi è davvero sorprendente: il recettore, avendo ricevuto un messaggio,lo trasmette all'interno della cellula, dove il messaggio stesso può modificare lo stato della cellula in modo drammatico. Si avvia una reazione a catena di eventi biochimici, in cui minuscoli meccanismi entrano in azione e, diretti dal messaggio trasmesso dal legante, danno inizio a una serie di attività, per esempio produrre nuove proteine, prendere decisioni relative alla riproduzione cellulare, aprire o chiudere canali ionici, aggiungere o sottrarre gruppi chimici energetici come i fosfati, tanto per citarne soltanto alcuni. In poche parole, la vita della cellula, ciò che fa in un determinato momento, è regolata dai recettori che si trovano sulla superficie e dal fatto che tali recettori siano occupati da leganti oppure no. Su scala più globale, questi infinitesimali fenomeni fisiologici che avvengono a livello cellulare si possono tradurre in vistose modificazioni nel comportamento, nell'attività fisica, persino nell'umore. E in che modo si organizza tutta questa attività, tenuto conto del fatto che si svolge nello stesso tempo in tutte le parti del corpo e del cervello? Quando i leganti nuotano nel fluido che circonda ogni cellula, soltanto quelli dotati di molecole della forma giusta possono legare con un certo tipo di recettori. Il processo di legamento è molto selettivo e specifico, anzi, possiamo dire che avviene proprio grazie alla specificità del recettore, il che significa che il recettore ignora tutti i leganti, tranne quello specifico che è fatto per adattarsi a esso. Il recettore degli

25

Page 26: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

oppiacei, per esempio, può «ricevere» soltanto i leganti che fanno parte del gruppo degli oppiacei, vale a dire le endorfine, la morfina o l'eroina, così come il recettore del Valium, può accogliere soltanto il Valium e i peptidi affini al Valium. E proprio la specificità dei recettori a consentire un sistema di organizzazione complesso, facendo sì che ogni sostanza occupi il posto che le compete. In genere i leganti sono molecole molto più piccole dei recettori ai quali si uniscono, e si suddividono in tre tipi chimici. Il primo tipo di leganti comprende i classici neurotrasmettitori, ossia piccole molecole etichettate con nomi ingombranti come acetilcolina, norepinefrina, dopamina, istamina, glicina, acido gamma-amminobutirrico e serotonina. Queste sono le molecole più piccole e semplici, generalmente prodotte dal cervello per trasmettere informazioni attraverso la separazione, o sinapsi, fra un neurone e l'altro. Molti nascono come amminoacidi, i mattoni delle proteine, e poi aggiungono qualche atomo qua e là, mentre alcuni neurotrasmettitori sono amminoacidi non modificati. Una seconda categoria di leganti è composta dagli steroidi, che comprendono gli ormoni sessuali: testosterone, progesterone ed estrogeno. Tutti gli steroidi partono dallo stadio iniziale di colesterolo, che poi si trasforma grazie a una serie di passaggi biochimici fino a diventare un tipo specifico di ormone. Per esempio, gli enzimi delle gonadi (corrispondenti nei maschi ai testicoli e nelle femmine alle ovaie) tramutano il colesterolo in ormoni sessuali, mentre altri enzimi convertono il colesterolo in altri ormoni steroidi (come per esempio il cortisolo), secreti dallo strato esterno delle ghiandole surrenali in condizioni di stress.

Ho lasciato il meglio per ultimo, visto che la categoria di leganti che preferisco di gran lunga, e anche la più numerosa, che comprende circa il novantacinque per cento di tutti i leganti, è quella dei peptidi. Come vedremo, queste sostanze chimiche svolgono un ruolo molto versatile, regolando in pratica tutti i processi vitali, e in effetti costituiscono l'altra metà dell'equazione di quelle che ho definito le molecole dell'emozione. I peptidi, come i recettori, sono costituiti da stringhe di

26

Page 27: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

amminoacidi; ma per il momento preferisco rinviare i dettagli relativi ai peptidi a una fase successiva della lezione. Intanto, un buon metodo per tenere a mente tutto questo consiste nel visualizzare quanto segue: ammesso che la cellula sia il motore che anima tutte le forme di vita, i recettori sono i pulsanti sul quadro di comando di quel motore, e un particolare peptide (o un altro genere di legante) è il dito che preme il pulsante per avviare un certo procedimento.

Il cervello chimico

Arrivata a questo punto, preferisco abbandonare il piano puramente molecolare e, grazie alla nuova conoscenza che abbiamo del recettore e dei suoi leganti, concentrarmi per un istante sul modo in cui gli scienziati oggi concepiscono il cervello, e sugli aspetti per cui questa visione differisce da quella precedente, che era più limitata. Per decenni, quasi tutti hanno considerato il cervello e la sua estensione, ovvero il sistema nervoso centrale, soprattutto come un sistema di comunicazione elettrico. Si riteneva generalmente che i neuroni, o cellule nervose, costituiti da un nucleo cellulare con un assone (o neurite) simile a una coda e dendriti simili a un albero, formassero qualcosa di paragonabile a una rete telefonica, con miliardi di chilometri di cavi che s'intrecciavano in modo complesso.

27

Page 28: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Il predominio di questa immagine nell'opinione pubblica era dovuto al fatto che in passato noi scienziati disponevamo di strumenti che ci consentivano di vedere e studiare il cervello elettrico; soltanto di recente abbiamo creato strumenti che ci hanno consentito di osservare quello che ora possiamo definire il cervello chimico. Tuttavia la disciplina che in seguito avrebbe ricevuto il nome di neuroscienza si è concentrata con tanta intensità e tanto a lungo sul concetto del sistema nervoso come rete elettrica basata sulle connessioni neurone-assone-dendrite-neurotrasmettitore, che,anche quando ne abbiamo avuto le prove, ci riusciva difficile afferrare l'idea che il complesso legante-recettore rappresentasse un secondo sistema nervoso, operante su scala molto più vasta sul piano temporale, oltre che su distanze molto più grandi. Il soggetto classico della neuroscienza, la strada maestra che la scienza aveva seguito nelle prime esplorazioni del cervello e del sistema nervoso centrale, era costituito dai nervi, e quindi l'idea di un secondo sistema nervoso non poteva non incontrare una certa resistenza. Era difficile soprattutto accettare il fatto che questo sistema su base chimica fosse indiscutibilmente più antico e di gran lunga più essenziale per l'organismo. Nelle cellule, per esempio, si producevano peptidi come le endorfine molto prima che esistessero i dendriti, gli assoni o addirittura i neuroni stessi; anzi, prima ancora che esistesse il cervello. Prima che i peptidi cerebrali venissero portati alla ribalta dalle scoperte degli anni '70, quasi tutta la nostra attenzione era orientata verso i neurotrasmettitori e il loro salto da un neurone all'altro, oltre il piccolo fossato noto sotto il nome di sinapsi. Si riteneva che i neurotrasmettitori portassero dei messaggi elementari, sul tipo di «acceso» o «spento », a seconda che la cellula ricevente emettesse elettricità o no. I peptidi, viceversa, anche se a volte agiscono come neurotrasmettitori, nuotando nello spazio sinaptico, sono molto più propensi a spostarsi nello spazio esterno alle cellule, lasciandosi trasportare dal sangue e dal liquido cerebrospinale, percorrendo lunghe distanze e scatenando cambiamenti complessi e fondamentali nelle cellule in cui legano con i recettori.

28

Page 29: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Questo, dunque, era tutto ciò che sapevamo del recettore e dei suoi leganti intorno al 1972, prima che i ricercatori individuassero effettivamente un recettore della droga e molto tempo prima della scoperta decisiva riguardante il sistema immunitario, avvenuta nel 1984; una scoperta che ha utilizzato la teoria dei recettori per definire un corpo organico di informazioni e fornire una base biochimica alle emozioni. Sulla scia delle scoperte degli anni '80, questi recettori e i loro leganti sono stati considerati le «molecole dell'informazione», ossia le unità base di un linguaggio usato dalle cellule di tutto l'organismo per comunicare attraverso apparati come il sistema endocrino, il sistema nervoso, l'apparato gastrointestinale e persino il sistema immunitario. Nell'insieme, il ronzio musicale dei recettori che si fissano ad altri leganti, spesso nelle parti più remote dell'organismo, crea un'integrazione fra struttura e funzione che consente all'organismo di svolgere le sue attività in modo fluido e intelligente: ma ora sto correndo troppo. Proviamo a distogliere per un attimo lo sguardo dalla scienza, per dare un' occhiata allo sviluppo storico di queste idee.

Breve storia dei recettori

Sebbene l'idea del meccanismo dei recettori fosse nata con lo sviluppo della farmacologia, all'inizio del xx secolo, fu ripresa anche da molti dipartimenti universitari di fisiologia, poiché veniva considerata una concezione utile per spiegare la natura delle nuove sostanze chimiche scoperte nel sistema nervoso: i neurotrasmettitori. Questi mezzi di comunicazione chimica, secreti nelle sinapsi, ossia negli interstizi fra un neurone e l'altro, funzionavano anch'essi in un modo che si poteva interpretare in base al modello recettore-legante, per quanto la biochimica non avesse ancora escogitato un metodo per la misurazione della loro attività. Dovevano trascorrere alcuni decenni prima che si riuscisse a ricostruire la formula chimica dell'acetilcolina, il primo neurotrasmettitore che sia

29

Page 30: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

mai stato scoperto: questo avvenne quando il fisiologo Otto Loewi eseguì i primi esperimenti sui neurotrasmettitori, ispirato dal sogno che aveva fatto una notte. Quei primi esperimenti, compiuti nel 1921, riguardavano l'azione di un neurotrasmettitore sul cuore di una rana. li cuore, asportato dal corpo della rana e posto in un grande alambicco mentre ancora pulsava, rallentò vistosamente il ritmo dei battiti quando Loewi vi applicò un fluido ricavato dal nervo vago: quella misteriosa «sostanza vagale», si scoprì poi, non era altro che acetilcolina, cioè un neurotrasmettitore. Prodotta dai nervi, l'acetilcolina causa il rallentamento del battito cardiaco e la stimolazione ritmica dei muscoli dell'apparato digerente dopo il pasto, due fattori che contribuiscono a creare una sensazione di rilassamento. Per ambedue questi processi, gli scienziati formularono l'ipotesi che esistessero dei «siti recettori» dell'acetilcolina, alcuni nei muscoli cardiaci,altri nei muscoli dell'apparato digerente e altri ancora neimuscoli volontari collegati allo scheletro, ma senza riuscire a dimostrarne l'esistenza. La teoria formulata all'inizio del XX secolo divenne realtà nel 1972,quando Jean-Pierre Changeux si presentò a un convegno di farmacologia organizzato in Inghilterra: con un gesto teatrale, il biochimico estrasse dal taschino della giacca una minuscola provetta contraddistinta da una sottile striscia azzurra al centro. La provetta conteneva recettori dell'acetilcolina allo stato puro, estratti dal corpo di un gimnoto e separati da tutte le altre molecole dell'animale prima di essere colorati d'azzurro. Era la prima volta che si riusciva a isolare un recettore in laboratorio. Changeux spiegò che l'impresa era stata resa possibile da un'alleanza tutt'altro che santa fra un cobra e un gimnoto, in cui il primo aveva fornito il veleno necessario per isolare i recettori del secondo. Negli organismi superiori, il'veleno del cobra agisce penetrando nella vittima e diffondendosi nei recettori dell'acetilcolina, fra cui quelli dei muscoli del diaframma, che regolano il respiro: il veleno blocca così l'accesso all'acetilcolina naturale. Dal momento che l'acetilcolina è il neurotrasmettitore responsabile della contrazione dei muscoli, la conseguente paralisi del diaframma causa la morte per soffocamento.

30

Page 31: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Ora, si dà il caso che la massima concentrazione di recettori dell'acetilcolina che si riscontra in natura sia quella presente nell'organo elettrico del gimnoto. Gli scienziati avevano scoperto che il veleno del serpente conteneva un grande polipeptide, chiamato alfa-bungarotossina, capace di legare in modo specifico e irreversibile con i recettori dell'acetilcolina presenti in questo organo, che è fonte della scossa elettrica lanciata dal gimnoto. Introducendo atomi radioattivi nella tossina contenuta nel veleno del cobra, Changeux aveva potuto seguirne il percorso fin quando aveva raggiunto i recettori dell'acetilcolina nell'organo elettrico del gimnoto, riuscendo a individuare i recettori stessi. Era così che aveva ottenuto la sostanza colorata di azzurro contenuta nella provetta. Il metodo di marcare un legante, ossia renderlo radioattivo introducendovi degli atomi radioattivi, era una brillante innovazione, ma era, ed è tuttora, un procedimento molto insidioso, perché la sostanza radioattiva può distruggere la capacità del legante di unirsi ai recettori, vanificando così il processo. Un'altra grande corrente che aveva contribuito allo sviluppo della «recettorologia» - il soprannome scherzoso da noi affibbiato a quella disciplina emergente - era l'endocrinologia, ossia lo studio delle ghiandole e delle loro secrezioni. Gli endocrinologi, come i farmacologi e i fisiologi prima di loro, avevano bisogno di trovare una spiegazione al modo in cui le sostanza chimiche note col nome di ormoni agivano a distanza sugli organi-bersaglio, per così dire, a distanza dal punto in cui avveniva il rilascio. A quei tempi, però (stiamo parlando degli anni '50 e '60), era molto improbabile che un endocrinologo avesse occasione di parlare con un farmacologo. Ogni disciplina occupava una nicchia ben precisa ed era separata dalle altre grazie a rigide linee di confine che delimitavano i vari settori. Di solito gli scienziati che lavoravano nell'ambito di una certa materia ignoravano il lavoro che i colleghi svolgevano altrove, e del resto non se ne interessavano affatto. Così, restando ciascuno nel proprio campo, facevano scoperte parallele, ma senza capire che cosa accomunasse quelle scoperte. Negli anni '60, l'endocrinologo Robert Jensen era riuscito a isolare al microscopio i recettori degli estrogeni, marcandoli con l'estrogeno

31

Page 32: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

radioattivo iniettato in animali di sesso femminile. Come previsto, l'estrogeno radioattivo aveva raggiunto i tessuti del seno, dell'utero e delle ovaie, notoriamente tutti organi bersaglio per l'ormone femminile. In seguito, però, e in modo del tutto inaspettato, si scoprì la presenza di recettori degli estrogeni (oltre che del testosterone e del progesterone) anche in un altro organo, il cervello, con conseguenze sorprendenti sul piano dell'identità sessuale. Ma questo rientra in un altro capitolo della nostra storia, di cui ci occuperemo più avanti. Nel 1970, gli endocrinologi Jesse Roth e Pedro Cuatrecasas, lavorandoin équipe separate nell'ambito del National Institutes of Health, riuscirono a misurare il recettore dell'insulina seguendo il metodo inaugurato da Changeux di rendere radioattivo il legante,in questo caso l'insulina. Prima di allora, Cuatrecasas era riuscito ad avvicinarsi abbastanza alla dimostrazione che i recettori dell'insulina erano situati sulla superficie esterna delle cellule, ma la nuova tecnica di marcare le sostanze con atomi radioattivi fu tra i fattori chiave che consentirono la vera e propria misurazione del recettore, un progresso decisivo in questo campo.

Una nuova concezione

Il mio lavoro nel campo della «recettorologia» ebbe inizio nel 1970,nei locali del Dipartimento di farmacologia della Johns Hopkins University, dove mi fu offerta la possibilità di preparare la tesi di dottorato studiando con due dei massimi esperti mondiali sui recettori dell'insulina e sulla biochimica del cervello. A quell'epoca il recettore dell'insulina era l'unico che venisse studiato con i nuovi metodi ideati per intrappolare i leganti più sfuggenti, vale a dire quelli che, a differenza della tossina del serpente, individuata nel recettore dell'acetilcolina, non restavano legati in modo irreversibile ai recettori. Nessuno aveva applicato quei nuovi metodi ad altre sostanze, ma era evidente che occorreva estendere la ricerca ad altri recettori, per cercare di isolare altri esempi di leganti.

32

Page 33: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Nel mio campo di lavoro, per esempio, il dogma dominante era, come ho già accennato, che nessun farmaco potesse agire senza fissarsi sui recettori. Questo sollevava una sfida interessante per la neurofarmacologia, il particolare settore della farmacologia del quale avevo cominciato a occuparmi, perché in teoria significava che, se un certo farmaco funzionava, doveva esistere un recettore, ed era nostro compito trovarlo. Le sostanze che stavamo studiando a quell'epoca erano droghe capaci di modificare in modo vistoso il comportamento... stavo per dire la coscienza, ma questa era una parola che nessuno usava a quei tempi, tranne gli hippies. Eppure tutti erano d'accordo sul fatto che queste droghe, fra le quali eroina, marijuana, Librium e PCP (o «polvere d'angelo»), provocavano un cambiamento radicale nello stato emotivo, vale a dire che alteravano lo stato di coscienza di chi le usava. È per questo che, quando cominciai la mia carriera, all'inizio degli anni '70, queste sostanze erano il nostro principale strumento per studiare la chimica del cervello. Il problema era che le nostre droghe erano tutte ricavate da piante, ed era ben noto che questi leganti di origine vegetale, una volta entrati nel corpo, si fissavano nei recettori per un tempo così breve, prima di essere espulsi con l'urina, che era difficile, se non impossibile, catturarli e misurarli nei rispettivi recettori. La sfida che infine avrei raccolto e vinto consisteva nell'utilizzare la nuova metodologia per intrappolare in provetta la piccola molecola della morfina sul suo recettore... un recettore che secondo molti non esisteva neppure. La prova che invece esisteva, e come, avrebbe avuto ripercussioni superiori ai miei sogni più, sfrenati. In modo del tutto inatteso, la scoperta del recettore degli oppiacei avrebbe avuto effetti imponenti nel campo della medicina, sollecitando l'interazione fra endocrinologia, neurofisiologia e immunologia e attivando una sintesi fra comportamento, psicologia e biologia. La scoperta diede avvio a una rivoluzione che cominciò in sordina, ma di cui rivelerò altri aspetti nei prossimi capitoli del libro che riguarderanno la storia della scienza. Ora, però, è giunto il momento di lasciare spazio alla mia storia personale.

33

Page 34: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

**************************************

In un caldo pomeriggio d’estate poco dopo l’ammissione alla scuola di specializzazione della Johns Hopkins University stavo preparando i bagagli per il trasloco a Edgewood nel Maryland) dove avrei vissuto con mio marito) Agu Pert e il nostro figlioletto Evan. Man mano che gli oggetti materiali della vita domestica, come i piatti, i vestiti, il ferro che avevo usato per stirare le camicie bianche di Agu venivano chiusi nelle casse, mi sentivo assalire da una sensazione sempre più intensa di panico. Quando Agu tornò a casa ero inerte accasciata su una poltrona nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime. «Che cos’hai?» mi chiese mio marito senza dare troppo peso al mio turbamento. Calmo ed equilibrato come sempre osservò distrattamente: «A quanto pare hai già sbrigato gran parte del lavoro ». «Lo so» risposi cercando di ritrovare il controllo di me stessa. «Ma la scuola di specializzazione dista un’ora di viaggio. Come farò...» gemetti senza concludere la frase sopraffatta dal pensiero degli impegni che mi attendevano. Come avrei fatto a conciliare le fatiche del ruolo di moglie e madre con le esigenze legate al conseguimento del dottorato facendo la pendolare ogni giorno per raggiungere Baltimora e lavorando a tempo pieno in laboratorio? Abbozzai un gesto patetico per indicare le casse sul pavimento. «Non preoccuparti» dichiarò Agu. «Ci penserò io! Mi occuperò della cucina e delle pulizie e troverò il modo di sistemare Evan in un asilo-nido. Tu non dovrai fare altro che concentrarti sullo studio e sul lavoro per imparare tutto quello che c’è da sapere sulla psicofarmacologia.» Ed è esattamente quello che ho fatto.

34

Page 35: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

2

Il romanzo del recettore

degli oppiacei

Destino

Se mi volto indietro per riandare col pensiero agli ultimi venticinque anni, ho l'impressione che il destino abbia recitato un ruolo importante nella catena di avvenimenti che hanno condotto alla scoperta di quell'entità sfuggente che è il recettore degli oppiacei. Benché siano state una ferma convinzione e un'appassionata dedizione a sorreggermi nelle fasi finali, da principio furono soltanto la curiosità e una serie di coincidenze quasi incredibili a istradarmi verso la dimostrazione che nel cervello esisteva davvero un meccanismo chimico capace di consentire l'azione delle droghe. Il mio primo incontro con il recettore degli oppiacei avvenne nell'estate del 1970, dopo che mi ero laureata in biologia all'università di Bryn Mawr e prima che entrassi alla scuola di specializzazione in medicina della Johns Hopkins University, nell'autunno successivo; ma si trattò di un incontro personale, anziché professionale. Nel mese di giugno avevo accompagnato mio marito, insieme con il bambino, a San Antonio, nel Texas, dove saremmo rimasti per otto settimane, il tempo necessario per completare l'addestramento militare nell'esercito: infatti Agu aveva appena conseguito il dottorato in psicologia a Bryn Mawr e per lui era venuto il momento di assolvere gli obblighi militari che finora aveva rimandato. Pregustavo quell'estate di riposo che mi sembrava quasi una

35

Page 36: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

vacanza, dopo quattro anni di intensa e faticosa vita universitaria, per giunta con un marito e un figlio ancora piccolo da accudire. Inoltre avevo intenzione di approfondire alcuni punti essenziali prima di affrontare il programma di ricerca per il dottorato, in autunno, e così portai con me una copia del libro Principles of Drug Action (Principi dell'azione della droga), di Avram Goldstein. Dal momento che il programma sul quale avrei dovuto lavorare alla Hopkins era incentrato sulla neurofarmacologia, vale a dire lo studio dell'azione delle droghe sul cervello, volevo prepararmi bene e pensavo che il libro di Goldstein fosse il punto di partenza ideale. Tuttavia la vita reale precedette l'esperienza accademica e, anziché leggere in che modo funzionava il recettore degli oppiacei, dovetti sperimentarne l'azione di persona. Una caduta da cavallo mi costrinse a restare immobile, supina in un letto di ospedale dove rimasi tutta l'estate, imbottita fino agli occhi di Talwin, un derivato della morfina che mi veniva somministrato per alleviare il dolore causato dallo schiacciamento di una vertebra lombare. Con il corpo immobilizzato dalla lesione e la capacità di concentrazione minata dalla droga, non ero in grado di leggere il libro che avevo scelto, né del resto qualsiasi altro, e trascorrevo le giornate sprofondata in uno stato paradisiaco di alterazione mentale, mentre la schiena guariva. In seguito, quando smisi di prendere droghe e fui in grado di mettermi a sedere, lessi una parte del libro di Goldstein, che comprendeva una dettagliata introduzione al concetto di recettore degli oppiacei. Ricordo di aver compreso con stupore come nelle mie cellule ci fossero minuscole molecole capaci di produrre la sensazione meravigliosa che provavo ogni volta che l'infermiera mi iniettava una dose intramuscolare di morfina. Non c'è dubbio che l'azione della droga sul mio organismo, oltre ad alleviare ogni dolore, produceva un effetto nettamente euforizzante, che mi riempiva di una felicità ai confini con l'estasi. L'aspetto più straordinario era che la droga sembrava cancellare del tutto anche l'ansia e il disagio emotivo che provavo nel sentirmi confinata in un letto d'ospedale, separata da mio marito e da un figlio ancora piccolo. Sotto la sua azione mi sentivo completamente appagata e soddisfatta, come se non ci fosse nulla al mondo di cui sentivo la mancanza. Anzi, la droga mi

36

Page 37: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

piaceva a tal punto che, verso la fine del soggiorno in ospedale, mi trastullai con l'idea di rubarne una piccola quantità da portare con me. Capisco perfettamente il meccanismo per cui si diventa schiavi della droga! Quell'intensa sovrapposizione di esperienza fisica ed emotiva, scaturite entrambe da una sola sostanza, mi affascinarono, accendendo di nuovo il mio interesse per la connessione fra cervello e comportamento, fra mente e corpo: una connessione che aveva colpito per la prima volta la mia attenzione l'anno in cui ero matricola al college. Era la prima volta in vita mia che mi trovavo a vivere da sola, e per un semestre intero mi ero nutrita soltanto di torta alla pesca, procurandomi uno scompenso alla tiroide e una seria forma di depressione. Era così che avevo imparato a mie spese come una "modificazione corporea potesse influenzare le emozioni. Ora che stavo per cominciare la scuola di specializzazione, intendevo esplorare quella connessione in modo scientifico, affrontando il lavoro al quale avrei dedicato tutta la vita. E tutto s'imperniava su quelle piccole, strane entità chiamate recettori degli oppiacei.

Quell'autunno, all'età di ventiquattro anni, entrai ufficialmente alla scuola di specializzazione in medicina dell'università Johns Hopkins come candidata al dottorato nel dipartimento di farmacologia. Ufficiosamente, era l'inizio del mio apprendistato nel campo della neuroscienza, una disciplina che ancora non esisteva e che sarebbe nata quasi un anno dopo. A quell'epoca non lo sapevo, ma ero finita nel bel mezzo di una rivoluzione, nel corso della quale i confini fra alcune discipline separate, come biochimica, farmacologia, neuroanatomia e psicologia, si sarebbero dissolti per fare posto al nuovo settore interdisciplinare della neuroscienza. Ricordo benissimo il primo giorno che arrivai, al mattino, parcheggiando la macchina dietro l'edificio del vecchio laboratorio medico della Johns Hopkins. Quando scesi dall'automobile, tremavo letteralmente, ben sapendo che, fatta eccezione per un paio di ricerche del tutto prevedibili alle superiori e un progetto scientifico semiserio al college, non avevo mai compiuto un vero esperimento. Durante gli studi in biologia non ero mai

37

Page 38: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

riuscita a uccidere e sezionare un animale; ma quello era un mio limite personale, non una pecca nella mia preparazione teorica, che anzi era eccellente. A Bryn Mawr, la mia formazione scientifica era avvenuta nell'aula della signorina Oppenheimer, un'ottima docente che per poco non mi aveva cacciata dal dipartimento a causa del mio tenace (benché motivato) rifiuto di uccidere una rana per sezionarla. In me c'era un aspetto emotivo che mi impediva di uccidere un animale: l'idea di fare a pezzi una creatura dopo averla uccisa, per quanto straordinaria fosse la sua struttura o degni di nota fossero i fluidi che se ne potevano ricavare, mi dava la nausea. «Non faccia la schizzinosa!» gridava la signorina Oppenheimer. «Come può immaginare di studiare il cervello, se non riesce a superare un blocco del genere? Deve lasciarsi alle spalle tutte queste sciocchezze, se vuole arrivare un giorno a fare un buon lavoro.» La signorina Oppenheimer era diventata il mio modello, la mia eroina, e io avrei fatto quasi di tutto per compiacerla, perché mi aveva preso sul serio quando le avevo parlato del mio interesse per la zona di confine tra fisiologia e psicologia; ma quello non potevo proprio farlo. Soltanto parecchio tempo dopo, quando divenni più sensibile alla complessa politica sessuale del mondo scientifico, compresi il motivo della sua veemenza nell'insistere su quel punto. La signorina Oppenheimer si era formata in altri tempi, quando prevaleva la convinzione che le donne non potessero diventare valide scienziate. Le donne che avevano tenuto duro in quell'ambiente c'erano riuscite soltanto diventando dure e fredde, almeno esteriormente, adottando un ruolo che in seguito avrei indicato con la definizione «suore della scienza». Le vedevo a tutti i congressi, quelle donne severe e spesso dotate di un talento brillante, tutte vestite di nero, con i capelli tirati indietro e stretti in una crocchia austera. Di rado erano sposate, e comunque non avevano figli, come se la loro natura femminile fosse stata cancellata dall'esigenza di dimostrare che erano altrettanto forti, esigenti e spietate dei loro colleghi maschi. lo, che a vent'anni ero moglie e madre, avevo già in partenza due svantaggi come novizia di quel particolare ordine. Inoltre la mia

38

Page 39: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

esibizione di femminile repulsione nei confronti dell'idea di versare sangue era quasi insopportabile per la mia insegnante. So chela signorina Oppenheimer visse parecchi momenti di lacerante dubbio, soppesando la mia evidente dedizione al lavoro e le mie qualità creative contro l'istinto che le suggeriva che per me non c'era futuro nel campo della scienza. Non so bene perché, mi diede via libera, ma, pur essendole grata per quella concessione, mi resi conto che, una volta arrivata nella serie professionisti, non avrei potuto insistere su quell'atteggiamento così femminile, specie se volevo farmi prendere sul serio dai colleghi uomini, come per altro sono riuscita a fare.

Tutto questo mi passò per la mente mentre stavo ferma all'ingresso dell'edificio della Hopkins, tremante, letteralmente paralizzata dal terrore, convinta di essere un bluff, e nello stesso tempo in preda a un'impazienza estatica. Un bluff, sì, ma un bluff sincero e impaziente di mettersi al lavoro, deciso a fare tutto ciò che era necessario e imparare tutto quello che c'era da imparare! Non so che cosa mi abbia impedito di risalire di corsa in macchina e andarmene, quella mattina: l'unica certezza rimasta in me era che, nonostante la quasi totale inesperienza, ero lì perché volevo esserci. E l'intervento del destino era innegabile: tutte le porte si erano aperte davanti a me, quasi per magia, per portarmi là dov'ero in quel momento. La geografia aveva limitato la mia scelta fra le scuole di specializzazione a due soltanto, la Johns Hopkins e l'università del Delaware: infatti erano tutt'e due abbastanza vicine all'arsenale di Edgewood, nel Maryland, al quale Agu era stato assegnato, per consentirmi di fare la pendolare. Agu stava completando il servizio militare nel laboratorio di psicologia sperimentale, dov'era occupato a impiantare minuscoli elettrodi nel cervello delle scimmie per localizzare i centri del piacere e del dolore. Avevamo un alloggio alla base, e il tragitto fino al centro di Baltimora dove si trovava la Hopkins, che era la mia prima scelta, era lungo, ma non impossibile. Anche se allora avevo un bambino piccolo, non c'erano mai state discussioni sul fatto che avrei continuato gli studi senza interruzione, mentre Agu portava a termine il suo servizio

39

Page 40: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

nell'esercito. Agu e io formavamo una vera e propria équipe scientifica, nella quale la sua esperienza di scienze comportamentali si combinava alla perfezione con la mia formazione in biologia, ancora incompleta. Insieme, ci aspettavamo di fare grandi cose nel campo scientifico. In occasione del colloquio di ammissione che avevo sostenuto alla Hopkins, l'inverno precedente, l'uomo che mi aveva interrogato era parso chiaramente stupito per il fatto che una donna che era moglie e madre, in particolare la moglie di un soldato che in qualsiasi momento poteva essere spedito nella giungla del Vietnam, desiderasse entrare in una delle migliori scuole di specializzazione del mondo per studiare biomedicina. Quindi non restai troppo sorpresa quando, un mese dopo, ricevetti dal dipartimento di biologia della facoltà di medicina una lettera in cui si respingeva la mia richiesta. Il dipartimento di biologia del Delaware mi aveva accettato, e così decisi che i giochi erano fatti, ed era lì che sarei andata. Invece intervenne il destino e, prima che arrivasse il primo modulo per le tasse di ammissione all'università del Delaware, avvenne qualcosa che cambiò per sempre la rotta della mia vita, proiettandomi in una direzione che puntava direttamente verso il centro della rivoluzione neuroscientifica. Il gambetto di apertura del destino avvenne in primavera, quando partecipai al primo congresso scientifico della mia vita, la riunione annuale dell'associazione delle American Societies of Experimental Biology (Associazioni americane di biologia sperimentale), ad Atlantic City, nel New Jersey, un convegno che riuniva circa ventimila biologi provenienti da tutte le parti del mondo. Durante un intervallo delle presentazioni mi ritrovai ai margini di un capannello di persone riunite intorno a un editore di testi scientifici, intento a spettegolare su un nuovo ricercatore della Johns Hopkins, un neurofarmacologo e psichiatra che si chiamava Sol Snyder. Quell'insolita combinazione di specializzazioni colpì la mia attenzione. Ecco finalmente qualcuno, quel dottor Snyder, che studiava la chimica del cervello e nello stesso tempo approfondiva la conoscenza e la comprensione del comportamento umano. Ricordo di aver pensato: «E proprio quello che voglio fare io!» Ma

40

Page 41: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

purtroppo ero stata accettata all'università del Delaware, non alla Hopkins. Il destino, però, non aveva abbandonato la mia causa. Dopo il convegno, quando tornai a casa, a Bryn Mawr, Agu e io andammo ad ascoltare una conferenza sponsorizzata dal dipartimento di psicologia e tenuta dal dottor Joe Brady, uno psicologo della facoltà di medicina della Johns Hopkins, che aveva compiuto studi pionieristici sul collegamento mente-corpo nelle scimmie, collegando lo stress causato dall'impossibilità di controllare una certa situazione allo sviluppo di gravi forme di ulcera. Dopo la conferenza partecipammo al ricevimento organizzato dal dipartimento, in cui Joe Brady scese sulla pista da ballo, rivelandosi un autentico Gene Kelly. A un certo punto esclamò: «C'è qualcuno, qui, che conosce il peabody?» Si trattava di un ballo piuttosto indiavolato che risaliva agli anni '30, e si dava il caso che lo avessi imparato dai miei parenti acquisiti di origine estone, nel corso delle tante feste organizzate nei seminterrati di Brooklyn alle quali avevo partecipato quando ero fidanzata con Agu. Così accettai la sfida, e per tutta l'ora seguente noi esperti del peabody ci scatenammo da autentici campioni, prima di crollare esausti e sudati, abbattendo una lampada che si trovava sulla nostra traiettoria. In seguito, bevendo qualcosa, chiacchierammo fino alle ore piccole, e Brady mi domandò quali fossero i miei obiettivi dopo il college. «Voglio studiare il cervello», risposi, «perché m'interessa interpretare il comportamento umano dal punto di vista della biologia.» Joe Brady assentì, con espressione assorta, poi mi disse: «Ebbene, la persona che fa per lei è Sol Snyder, uno che è arrivato da poco alla facoltà di medicina della Hopkins, un tipo davvero scatenato che sta svolgendo proprio questo genere di ricerche. Mi mandi qualcosa su di sé, e lo farò avere a Sol». Ignorando il fatto che un dipartimento della Hopkins mi aveva già respinto, scrissi una lunga lettera, in cui esponevo a Joe i miei sogni e i miei desideri più profondi, allegando un certificato con i corsi che avevo seguito e le relative votazioni. Poco tempo dopo, ricevetti una telefonata dal tipo scatenato in persona.

41

Page 42: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«Lei è ammessa», mi disse il dottor Snyder in tono cordiale ma brusco.«Ora presenti la domanda.»Ed è così che tutto è cominciato, una serie di eventi che si sonoconcatenati quasi seguendo una sceneggiatura scritta dal destino,portandomi da Sol, in quel minuscolo laboratorio nell'ala occidentale dellafacoltà di medicina della Hopkins, che sorgeva nei quartieri degradati delcentro di Baltimora.

Incantesimo

La Hopkins offriva un programma di dottorato organizzato dal dipartimento di farmacologia e orientato verso la ricerca pura, anziché la carriera accademica. Prevedeva molte lezioni, conferenze e attività didattiche, ma il nucleo del programma era il lavoro in laboratorio. Agli studenti si richiedeva un apprendistato presso quattro diversi scienziati, nel corso del quale dovevano avvicendarsi, spostandosi da un laboratorio all'altro ogni due mesi, ed era chiaro per tutti che il completamento del programma dipendeva dal rendimento in laboratorio. La mia base era il laboratorio del dottor Snyder, dove cominciai l'addestramento alle tecniche di laboratorio ed eseguii il primo esperimento. Per la verità quel laboratorio, che allora comprendeva appena tre banchi stipati in una sola stanza, era soltanto un vago abbozzo di quello che sarebbe diventato in futuro, ma per me era un paradiso. Le centrifughe ronzavano, il contatore della radioattività ticchettava e attraenti dottori di ricerca si spostavano frettolosamente da un punto all'altro, scambiandosi sofisticate battute di spirito e compiendo manovre ad alto livello tecnologico. La consapevolezza di essere riuscita a entrare in un laboratorio all'avanguardia nel rinnovamento della ricerca sul cervello, esplorando le basi biologiche delle malattie mentali, mi appariva tanto eccitante da essere quasi insopportabile. Solomon H. Snyder, come compresi ben presto, era addirittura superiore alla sua reputazione di genio ribelle. A soli trentaquattro anni era già

42

Page 43: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

arrivato al vertice, ed era ormai un prodigio riconosciuto, definito concordemente dai colleghi un uomo brillante e ambizioso. Aveva ricevuto una formazione da psichiatra, ma era stato iniziato alla neurofarmacologia presso il National Institutes of Health, dove aveva studiato gli effetti della droga sul cervello. Era stato qui che aveva acquisito l'interesse e la capacità di compiere esperimenti che avevano indotto la HopKins a concedergli uno studio privato e un laboratorio. Così Sol, a trentun anni appena, era diventato il più giovane cattedratico nella storia della Hopkins. La sua duplice competenza, tanto nel campo della farmacologia quanto in quello della psichiatria, lo poneva in posizione di vantaggio su entrambi i fronti della salute mentale, assicurandogli una prospettiva unica per equilibrio e vastità. Curava i pazienti con gli psicofarmaci di uso corrente e ne monitorava gli effetti, ma nello stesso tempo, pochi metri più avanti sullo stesso corridoio, dirigeva un laboratorio di ricerca dove si occupava di creare la prossima generazione di medicine per la cura delle malattie mentali. Da principio mi chiedevo come mai il dottor Snyder si facesse vedere così di rado nel laboratorio. In seguito scoprii che preferiva svolgere il suo lavoro dalla «sala del trono», come gli studenti definivano il suo studio: era una stanza enorme e immacolata, con una scrivania gigantesca a una delle estremità e un divano di cuoio dall'altra. Una delle pareti era dominata da un Kandinskij autentico, mentre un'altra accoglieva in bella mostra tutti i riconoscimenti e i premi ottenuti da Sol: il premio Outstanding Young Scientist, assegnato ogni anno dall'Accademia delle scienze del Maryland al giovane scienziato che si era messo più in vista per le sue ricerche, il John Jacob Abel Award e molti altri. La scrivania di Sol era sempre in perfetto ordine, nonostante la massa di pratiche e documenti che riusciva a sbrigare, sufficiente a tenere impegnate tre segretarie a tempo pieno, chiuse nell'anticamera e intente a redigere richieste di finanziamento e a rispondere al telefono, che squillava senza sosta. All'epoca del mio arrivo, il centro degli interessi del laboratorio era legato all'identificazione di nuovi neurotrasmettitori chimici, i «succhi» secreti dal cervello ai quali si attribuiva la capacità di trasmettere

43

Page 44: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

informazioni e dirigere le attività dell'organismo. Saltando la sinapsi fra le cellule cerebrali, i neurotrasmettitori si legano ai recettori di altre cellule cerebrali, o neuroni, sprigionando una carica elettrica che modifica l'orientamento dei percorsi neurali. L'effetto sull'organismo è quello di modificare l'attività fisica, compreso il comportamento e persino l'umore... la parola più vicina a emozione che si senta pronunciare nel lessico delle scienze esatte. Sol aveva ideato un metodo per accertare quali sostanze fossero neurotrasmettitori e quali no. Questo comportava la misurazione del meccanismo di «riconduzione», un processo cellulare grazie alla quale i succhi in eccesso rimasti dopo il legamento vengono riassorbiti dal neurone e distrutti. Se la sostanza che stavamo studiando veniva individuata nel cervello e se ne poteva misurare il riassorbimento, voleva dire che si trattava di un neurotrasmettitore. Prima che Sol mettesse a punto il suo metodo, i neurotrasmettitori studiati e ricostruiti erano soltanto due, l'acetilcolina e la norepinefrina (chiamata anche noradrenalina), ma quando arrivai al laboratorio Sol e altri neuroscienziati stavano per aggiungerne all'elenco altri cinque, e precisamente dopamina, istamina, glicina, acido gamma-amminobutirrico e serotonina. Sol sapeva benissimo che il lavoro in corso nel suo laboratorio era il fulcro di una rivoluzione, e trasmettere agli studenti questa sensazione faceva parte del suo carisma. Aveva la capacità di farci sentire che eravamo all'avanguardia, impegnati in un grandioso e glorioso gioco d'azzardo che, se avessimo vinto, ci avrebbe trasformati tutti in celebrità, e nello stesso tempo sapevamo di essere nel luogo più sicuro che un apprendista scienziato potesse mai sognare. Sol, come scoprii, era uno dei «ragazzi d'oro» dell'establishment medico, al quale non mancavano fondi e contatti personali. Mentre noi, infognati nelle trincee della scienza, sgobbavamo a raccogliere dati, Sol si batteva sul fronte, girando in jet il paese e il mondo intero per esplorare le frontiere estreme della scienza. Arrivava in aereo da Zurigo o da Palm Springs, e il giorno dopo eravamo tutti intorno a lui per ascoltare il rapporto sulle ultime novità, le notizie dell'ultima ora dai laboratori di

44

Page 45: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

tutto il mondo: chi stava lavorando a che cosa e quali progressi stavano per venire allo scoperto. Noi ne eravamo entusiasti e pendevamo dalle sue labbra. A differenza della maggioranza degli scienziati, che procedono lentamente, a passo di lumaca, nel timore di correre dei rischi, Sol amava pensare in grande, con audacia. Provava un profondo disprezzo, ai limiti dell'arroganza, per il lato tedioso della scienza, e dirigeva soltanto esperimenti che si prospettassero molto semplici e focalizzati su problemi realmente importanti. Non aveva il minimo senso del limite, e pur di soddisfare la sua enorme curiosità intellettuale sul piano interdisciplinare invadeva tranquillamente il terreno altrui. La sua specialità era individuare progetti che sembravano promettenti e stavano per produrre scoperte sensazionali, nei quali qualcuno aveva già fatto nove decimi del lavoro, e mancava soltanto una formulazione audace, una modifica magari infinitesimale, ma azzardata. «Approfittiamo di questa situazione!» esclamava allora. «Bang! Diamoci dentro! Battiamoli sul tempo e accaparriamoci il merito!» Sol considerava la scienza una gara e faceva di tutto per vincere. Abilissimo nel motivare tutti noi, aveva la capacità di tenerci in soggezione con la sua abilità nel manovrare risorse e individui. Ero ispirata a tal punto dalla sua tattica, dal suo carisma e dal suo brillante ingegno, che ero pronta a fare di tutto, compreso lavorare tutta la notte o presentarmi in laboratorio a ore antelucane per fare dei rilevamenti su un certo esperimento. Vivevo per compiacerlo e per procurargli dati utili. Se noi consideravamo Sol poco meno che un dio, lui a sua volta adorava il maestro, il dottor Julius Axelrod, uno dei fondatori del settore della neurofarmacologia e una forza onnipresente dietro le quinte. Al National Institutes of Health, Sol aveva fatto carriera grazie al laboratorio di Julie, com'era soprannominato il dottor Axelrod, ed era noto come uno dei «ragazzi di Julie», un gruppo di scienziati che avevano appreso dal loro mentore uno stile di ricerca che avrebbe gettato le basi della moderna neurofarmacologia. I RAGAZZI DI JULIE SCREMANO LA PANNA era stato scritto anni prima sulle pareti del laboratorio, per sintetizzare il loro approccio straordinariamente efficace alla ricerca. E

45

Page 46: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

i ragazzi di Julie avevano formato una dinastia scientifica, scambiandosi informazioni e sfruttando la loro influenza per sostenersi a vicenda quando si trattava di decidere la concessione di finanziamenti, adottando spesso l'abitudine di utilizzare a rotazione nei loro laboratori gli allievi e i dottori di ricerca preferiti, come se giocassero su una scacchiera gigantesca. Quando Julie vinse il premio Nobel per la medicina, poco dopo il mio arrivo alla Hopkins, grazie al lavoro svolto sulla noradrenalina, uno dei due principali neurotrasmettitori del sistema nervoso, il laboratorio rimase elettrizzato dalla notizia. Noi tutti ci sentivamo benedetti per sempre, sicuri di trovarci in una botte di ferro nella linea di successione che faceva parte del retaggio di Julie. Quella posizione privilegiata andava ben oltre la possibilità di accedere a informazioni e fondi. L'essenza di quella catena di intelletti aggressivi e brillanti consisteva in una filosofia che arrivai a condensare in questi principi basilari: non accettate la saggezza convenzionale. Non ammettete l'idea che qualcosa non si possa fare solo perché la bibliografia sull'argomento dice che non si può fare. Fidatevi dell'istinto. Lasciate un ampio orizzonte alle vostre ipotesi. Non affidatevi alla letteratura scientifica: potrebbe avere ragione, ma potrebbe anche avere torto marcio. Tenete presenti tutte le vostre intuizioni, e assecondate quelle che vi sembrano più probabili. Scegliete quella che potete verificare in modo rapido e semplice. Non partite dal preconcetto che per avere valore debba necessariamente essere molto complicata, dato che spesso sono proprio gli esperimenti più semplici a dare i risultati più indiscutibili. Eseguite l'esperimento! E se riuscite a limitarvi a un solo giorno di esperimento, tanto meglio. Era questa la nostra eredità, trasmessa da Julie Axelrod ai suoi discepoli, Sol compreso, e poi da Sol a me. A mia volta anch'io l'avrei passata ai miei allievi, e loro ai propri, in una catena ininterrotta di metodologia e filosofia che sono certa si prolungherà a lungo anche dopo la nostra scomparsa.

46

Page 47: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

lniziazione

Con un cenno generoso della mano, Sol mi mostrò il mio nuovo posto di lavoro, assegnandomi a uno dei banchi, che consisteva in una lastra di marmo posta all'altezza del petto, con cassetti al di sotto e scaffali al di sopra. «Ora vada in cerca di Ken Taylor», mi ordinò Sol con il suo tono più paterno. «Sarà lui a mostrarle come si fa l'analisi dell'istamina.» L'analisi è una procedura fondamentale nella ricerca sperimentale, perché fornisce a noi scienziati un metodo per la misurazione della quantità di una sostanza chimica, come un neurotrasmettitore, presente in una serie di campioni, per esempio di tessuti o di sangue. Il punto essenziale è la misurazione. Prima di poter formulare un qualsiasi quesito serio, bisogna poter assegnare un valore numerico alle sostanze chimiche presenti in ogni campione, un numero che corrisponda alla concentrazione, alta o bassa, della sostanza che si studia. Ken, come scoprii in seguito, era un uomo straordinariamente attraente, un neozelandese che organizzava regolarmente i festeggiamenti al pub per tutto il dipartimento, il venerdì pomeriggio, ma anche uno studioso molto serio e concentrato, rigoroso nelle istruzioni che forniva. La sua presenza accanto a me al banco di lavoro rappresentava una carica di erotismo allo stato puro, un fattore che intensificava il mio desiderio di riuscire al meglio in tutto ciò che mi insegnava. Tuttavia mantenni il segreto sulle mie sensazioni, evitando scrupolosamente ogni manovra femminile: ero stata indottrinata a un approccio quasi religioso nei confronti della scienza dagli insegnamenti della signorina Oppenheimer di Bryn Mawr e, per quanto avessi recalcitrato di fronte al suo atteggiamento, non intendevo correre il minimo rischio di essere liquidata in modo sbrigativo, lì alla Hopkins, con l'etichetta di studentessa poco seria. Al contrario, il mio comportamento era quello di una novizia della Chiesa della Scienza che aveva la fortuna di apprendere i rudimenti del catechismo da un prete giovane e virile. In seguito, quando ebbi a disposizione un laboratorio tutto mio, mi resi conto che il

47

Page 48: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

potenziale racchiuso nel magnetismo sessuale è una forza positiva per realizzare scoperte scientifiche ad alto livello. Nel corso delle settimane seguenti, Ken mi insegnò le basi della ricerca. L'istamina è una sostanza chimica prodotta dalle cellule del sistema immunitario, che causa reazioni allergiche come gli starnuti e il prurito (ed è per questo che prendiamo degli antistaminici per alleviare i sintomi dell'allergia). Contrariamente a quanto si credeva, di recente Ken e Sol avevano riscontrato la presenza di istamina nel cervello, scoperta che li aveva indotti a formulare l'ipotesi che l'istamina fosse un neurotrasmettitore, un altro dei messaggeri chimici addetti al trasporto di informazioni per conto del cervello che stavano cercando di identificare. Sapevo che la ricerca sui neurotrasmettitori era la più calda del momento, e l'idea di esservi inclusa mi fece sentire al settimo cielo. Ben presto la mia attività si assestò su una routine quotidiana. Il mio primo compito, ogni mattina, consisteva nel numerare cinquanta provette e disporle su una rastrelliera. Fatto questo, ricevevo da Ken i campioni di tessuti cerebrali preparati per quel giorno e li distribuivo in quantità regolare fra le varie provette. Allora cominciava il bello. Usando una sottile e delicata cannuccia di vetro soffiato a mano, che si chiama pipetta, trasferivo con cura nelle provette minuscole quantità di varie sostanze, compiendo il primo dei circa dieci passi che mi avrebbero permesso, alla fine della giornata, di ottenere da ogni provetta un risultato numerico. In seguito appresi che l'analisi dell'istamina alla quale dovevo lavorare si basava sui primi lavori di Sol. Escogitando un metodo per eseguire la misurazione ai tempi in cui lavorava con Julie Axelrod, Sol aveva compiuto la sua prima grande realizzazione in laboratorio, e ora quel metodo costituiva un anello della catena di procedimenti che servivano ad accertare se l'istamina fosse o no un neurotrasmettitore. Il lavoro che stavamo compiendo con l'istamina era un esempio del modo in cui si svolge gran parte della ricerca biomedica. Prima di tutto si scopre una tecnica che fornisce risposte ai quesiti che in precedenza restavano aperti; poi si sviluppa la nuova tecnica all'ennesima potenza, applicandola a tutti i possibili interrogativi che risultano pertinenti o che

48

Page 49: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

potrebbero essere di qualche utilità per la ricerca futura, finché non si esauriscono le possibilità... o viene adottata una tecnica nuova, che rende obsoleta la precedente. Mi piaceva infinitamente stare seduta al banco del laboratorio dalla mattina alla sera, trasferendo sostanze chimiche con la pipetta e indossando un camice bianco, fresco di bucato. (Soltanto nei film di Hollywood gli scienziati indossano camici bianchi da laboratorio: nella vita reale sono i principianti a portarli, non gli scienziati veri.) Mi piaceva al punto che non era insolito, per me, trascorrere in laboratorio dieci ore di fila, o anche più. L'atmosfera era carica, spesso molto intensa, tanto da trasmettere una particolare sensazione di vitalità. Le conversazioni incessanti su qualunque argomento, dalla scienza all'arte, o alla politica, erano per me una forma di nutrimento spirituale. In breve tempo imparai a riconoscere la gerarchia formale, benché sottintesa, che regnava nel laboratorio. Il grado, a quanto pareva, era legato alla longevità. In genere il potere era concentrato nelle mani di coloro che potevano vantare una maggiore anzianità, a meno che non fossero donne. (In tal caso - ed era comunque raro, dato che nei laboratori importanti come quello di Sol non c'erano molte donne - non ti consideravano una vecchia saggia, bensì una specie di scarpa vecchia, comoda, fidata e non minacciosa.) L'avanzamento nella carriera era il risultato del fatto che qualcuno ai massimi livelli se ne andava per fare carriera altrove, lasciando il posto ai novizi ormai stagionati; ma non sempre le cose andavano così. Occuparsi di «scienza calda» comporta delle ricompense, e una scoperta di notevole importanza può catapultare un subalterno al vertice della piramide, come avrei sperimentato di persona in un futuro non troppo lontano. Dopo qualche mese di pratica nell'analisi dell'istamina, quando i dati che ottenevo risultarono limpidi e la mia tecnica si fu affinata, giunse il momento di presentarmi davanti a una commissione di scienziati che coordinava il programma del dottorato. Il loro intento era tartassarmi senza pietà, interrogandomi su ogni aspetto dell'analisi dell'istamina per accertare se fossi degna di passare allo stadio successivo del programma. Per quanto mi fossi preparata con scrupolo, sotto il loro

49

Page 50: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sguardo gelido e tutt'altro che cordiale diventai così nervosa che all'improvviso fui assalita da un'amnesia totale. In pochi minuti i miei inquisitori demolirono le scarse nozioni che avevo assimilato, dando l'impressione di godere di ogni minuto della tortura che m'infliggevano. Come compresi in seguito, per loro era un rituale, una specie di prova di iniziazione simile ai riti goliardici, intesa a rimettere alloro posto i giovani scienziati, rammentando loro che in realtà non sapevano ancora granché. Qualche tempo dopo che mi ero sottoposta a quel piccolo gioco inquietante, mi informarono, con mio grande sollievo, che avevo superato la prova ed ero stata ammessa alla fase successiva, che consisteva nella scelta di un progetto di ricerca originale per la tesi di dottorato. Sapevo bene che senza dottorato non avevo la minima speranza di diventare una vera scienziata: coloro che si fermavano al semplice diploma di laurea restavano relegati per sempre al banco del laboratorio, e ben di rado vedevano riconosciuti i loro meriti nelle pubblicazioni scientifiche, a prescindere dal valore del contributo che avevano dato. Invece, una volta conquistato il dottorato, com'era nei miei progetti fin dall'inizio, sarei entrata nella cerchia degli eletti, e per esservi ammessa mi sarebbe bastata una ricerca abbastanza originale da essere pubblicata su una rivista scientifica di prestigio. Dopo una consultazione con Sol, fu deciso che, per la mia dissertazione di dottorato, avrei lavorato sul meccanismo di riassorbimento della colina. Uno dei suoi dottori di ricerca, Hank Yamamura, aveva già utilizzato la formula di Sol per misurare il riassorbimento della colina nel cervello. Ora Sol mi incaricò di proseguire il suo lavoro rilevandone la presenza nell'ileo, ossia nella parte superiore dell'intestino tenue di un porcellino d'India (una ricerca collegata a un progetto in corso in Scozia, dove stavano studiando il ruolo di vari neurotrasmettitori che, unendosi a recettori ancora non identificati sulla superficie delle cellule nell'ileo dei porcellini d'India, causavano contrazioni muscolari). L'ileo contiene infatti il nervo colinergico, che rilascia acetilcolina, un altro neurotrasmettitore. Era una nuova occasione per entrare a far parte della ricerca sui neurotrasmettitori che mi aveva tanto eccitato

50

Page 51: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

appena arrivata, eppure il mio entusiasmo era decisamente scarso. Non potevo fare a meno di pensare che si trattava di uno studio noioso e privo di originalità, una specie di progetto di seconda mano dall'esito piuttosto scontato, che non era in grado di ispirarmi né di eccitare la mia immaginazione. Comunque, accantonando il fastidio che provavo, mi dedicai con impegno al lavoro. Era la prima volta che preparavo un esperimento scientifico partendo da zero, soltanto sulla base di alcuni rapporti precedenti, ma dopo alcune prove riuscii a organizzarlo e farlo funzionare. Ricordo che pensai al dottor Frankenstein mentre predisponevo la procedura, asportando una sezione di intestino del porcellino d'India prima di inserirvi un tampone come per praticare un clistere. Dopodiché sezionai l'intestino fino a raggiungere il muscolo, che era fittamente innervato, e tagliai il muscolo per ricavarne frammenti ricchi di neuroni che collocai in altrettante provette, aggiungendovi una forma radioattiva di colina. La colina «radioattiva» funzionava da tracciante, emettendo un segnale che si poteva misurare facilmente e da cui risultava che veniva assorbita in breve tempo dai neuroni del muscolo innervato e convertita nel neurotrasmettitore chiamato acetilcolina. L'analisi della colina era un progetto facile come una passeggiata, una ricerca a colpo sicuro per ottenere facilmente il dottorato, di cui ogni candidato di buon senso sarebbe stato riconoscente. io continuai a lavorarvi per settimane, sempre con la massima indifferenza per i risultati del procedimento.

Mentre ero ancora nella fase iniziale del tanto detestato progetto sulla colina, mi capitò per caso di leggere un volantino affisso nella bacheca del dipartimento, con l'annuncio di una conferenza tenuta dal dottor Pedro Cuatrecasas, un endocrinologo che era stato appena nominato professore di farmacologia alla Hopkins. La conferenza rientrava in una serie organizzata dal dipartimento e serviva al notissimo ricercatore del National Institutes of Health per far conoscere se stesso e il suo lavoro alla facoltà e al corpo studentesco della Hopkins.

51

Page 52: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«Se qui dentro c'è qualcuno in grado di vincere il premio Nobel», mi aveva detto Sol, «è senz'altro Pedro.» Presi un appunto sull'agenda e cominciai a chiedere notizie in giro sulla conferenza imminente. Scoprii così che il dottor Cuatrecasas aveva fatto parte di un'équipe del NIH che per prima aveva isolato e misurato un recettore sulla superficie di una parete cellulare, per la precisione il recettore dell'ormone chiamato insulina. Come ho già accennato, la capacità di misurare concretamente un recettore significava che era stato risolto uno dei più grandi misteri della medicina moderna. L'elemento decisivo per il successo del suo metodo era stato la cosiddetta Multiple Manifold Machine, un congegno ideato da Marshall Nirenberg per gli esperimenti che aveva compiuto pochi anni prima al NIH, con l'intento di ricostruire il codice degli amminoacidi del DNA. La Tripla M, come finii per soprannominarla, era una macchina che aveva rivoluzionato il filtraggio, un procedimento che consentiva la rapida separazione dei leganti fissati da quelli liberi, consentendo così la misurazione del legamento specifico con il recettore. Ci si aspettava che nella conferenza il dottor Cuatrecasas mostrasse in che modo lui e la sua squadra di collaboratori avevano usato quella macchina per scoprire il recettore dell'insulina. Il giorno della conferenza arrivai in anticipo, restando in attesa nell'atrio della sala delle conferenze, insieme con la folla di spettatori. Sol, dal canto suo, non aveva potuto partecipare, ma mi aveva incitato ad andare e aveva insistito perché, al ritorno, gli presentassi un rapporto esauriente. L'eccitazione che aleggiava nell'aria era quasi palpabile: non si trattava certo del solito preludio a una conferenza dipartimentale, e ricordo di aver provato una sensazione di ansiosa aspettativa, sicura com'ero che quello che avremmo sentito non sarebbe stato la solita solfa. Si trattava di scienza in progress, delle prime avvisaglie del cambiamento! Quando le porte si aprirono, entrai subito per procurarmi un posto in prima fila. La sala era tutta un brusio. Sul palco c'era l'oratore, un uomo dall'aspetto non particolarmente imponente, ma pur sempre attraente e intenso: l'ascendenza latina era visibile dallo scintillio degli occhi scuri e,

52

Page 53: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

quando prese la parola, dall'entusiasmo che manifestava per l'argomento della conferenza. Tutti i presenti lo seguivano con gli occhi mentre passeggiava avanti e indietro, mostrando un grafico dopo l'altro, una curva dopo l'altra, e dimostrando senza ombra di dubbio che aveva scoperto davvero un metodo per misurare l'insulina legata a recettori specifici situati sulle cellule di grasso, oltre che a recettori sulle cellule del fegato, dove svolgeva la funzione di mediatrice dell'ingresso e dell'immagazzinamento dello zucchero nelle cellule stesse. Dopo aver concluso le sue osservazioni,mi guardò, soffermandosi un istante per rivolgermi un sorriso smagliante nel momento in cui i nostri occhi s'incontrarono. Sapeva forse che ero un'allieva di Sol, il quale mi aveva incaricato di seguire la sua conferenza? Non ne avevo la certezza, ma decisi su due piedi che era una persona con la quale volevo lavorare. Appena tornai nel laboratorio di Sol, presentai la richiesta per essere ammessa al laboratorio del dottor Cuatrecasas nell'ambito della rotazione prevista dal mio piano di studi. Qualche giorno dopo la conferenza, Sol e sua moglie invitarono Agu e me a una cena in casa loro, dove gli unici altri invitati erano Pedro Cuatrecasas e sua moglie. Mi sentivo molto emozionata, anzi, lusingata dal fatto che Sol avesse ammesso a una riunione così intima proprio me, che ero una semplice laureata. Fu a quella cena che sperimentai per la prima volta il fascino potente e romantico della scienza ad alto livello. Mentre ascoltavo la conversazione, pensai che non poteva esistere nulla di più bello del lavoro che svolgevo, studiando in compagnia di uomini come quelli. Tutto mi eccitava: i pettegolezzi, la politica, le rivelazioni scientifiche, persino lo spirito di competizione nei confronti di altri laboratori. Amavo tutto, anche se, nella mia ingenuità, sapevo ben poco. Inoltre fu a quella cena che mi sentii incoraggiata a procedere sul sentiero che mi avrebbe condotto a scoprire il lavoro della mia vita. Tutto avvenne durante la conversazione che si avviò quando Sol chiese cortesemente ad Agu e a me com'era la vita nell'esercito. Agu aveva intrapreso la carriera militare da capitano, dato che era stato riservista ai tempi del college e dell'università; quindi, avendo un'anzianità

53

Page 54: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

superiore a quella dei colleghi, a quell'epoca gestiva il laboratorio di psicologia dell'arsenale di Edgewood. Il discorso passò poi all'esperienza vissuta nel campo di addestramento del Texas, dove, spiegai, avevo trascorso tre settimane distesa supina in un letto nell'ospedale della base, piena fino agli occhi di morfina derivata dall'oppio, senza provare il minimo dolore. Aggiunsi di sfuggita che avevo portato con me una copia del libro Principi dell’azione della droga, di Avram Goldstein, tentando più volte di leggerlo mentre ero in ospedale, ma senza mai andare oltre il capitolo dedicato ai recettori degli oppiacei. Fu un caso fortunato che menzionassi il libro di Goldstein e la mia esperienza con la morfina, perché rammentò a Sol l'interesse che provava per il recettore degli oppiacei. Infatti, durante la stessa estate che io avevo trascorso immobilizzata in un letto di ospedale, Sol aveva partecipato alla Gordon Conference, un convegno scientifico prestigioso ed esclusivo. Fra i relatori c'era proprio Avram Goldstein, che aveva delineato il suo piano per procedere alla scoperta del recettore degli oppiacei nel cervello. Sol era scettico a proposito della tecnica che Goldstein si proponeva di usare, perché gli sembrava rozza e con ogni probabilità insufficiente per isolare un segnale affidabile fra le migliaia di sostanze chimiche presenti in ogni singola goccia di fluido cerebrale, comunque era interessato al progetto in sé. Dopo la conferenza, si era procurato alcuni degli articoli di Goldstein, portandoli nel proprio ufficio con l'intenzione di approfondirne lo studio. «Il recettore degli oppiacei?» chiesi a Sol il giorno dopo, nella sua stanza, quando mi porse alcuni lavori di Goldstein sull'argomento. «Sì, è proprio come il recettore dell'insulina, solo che è destinato ad accogliere la morfina», replicò Sol. Seguì una discussione appassionante, nel corso della quale appresi che trovare i recettori nel cervello era considerato molto più difficile che localizzarli nel resto del corpo. All'epoca in cui si svolse quella discussione, era stato individuato un solo recettore per una sostanza neurochimica nota. Nell'esperimento che ho descritto sopra, il francese Jean-Pierre Changeux aveva appena isolato e misurato il recettore dell'acetilcolina nell'organo elettrico di un gimnoto, ma quello era

54

Page 55: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

considerato un caso particolare. Infatti l'organo elettrico di quella specie di anguilla comprendeva fino al venti per cento di recettori dell'acetilcolina, e costituiva quindi un bersaglio enorme rispetto al milionesimo di cervello al quale equivaleva, secondo le valutazioni degli scienziati, il recettore degli oppiacei. Ciò che rendeva ancora più problematica la ricerca di un recettore degli oppiacei era che, come aveva detto Sol, mentre erano stati individuati i recettori di sostanze chimiche generate all'interno dell'organismo (ossia endogene), come l'insulina e l'acetilcolina, nessuno era mai riuscito a trovare un recettore che si riferisse a droghe prodotte all'esterno del corpo (esogene), cioè oppiacei come la morfina, l'eroina o la marijuana. Mentre lo ascoltavo, ripensavo alla dura prova superata nell'ospedale della base militare e allo stato di lucidità estatica che avevo provato ogni volta che mi iniettavano la morfina come analgesico. Il recettore degli oppiacei, ecco una meta che potevo facilmente sognare di raggiungere, un progetto degno dei miei sogni, delle mie ambizioni, delle mie aspirazioni! Contribuire a svelare il mistero del modo in cui gli oppiacei riuscivano a produrre i loro effetti magici e ultraterreni... che cosa poteva esistere al mondo di più eccitante? Trovare il recettore della morfina, la droga per la quale si erano combattute delle guerre e si erano perduti regni interi, la sostanza mistica che impregnava le opere di Coleridge e De Quincey e che faceva parte della rivoluzione nella sensibilità operata dai grandi romantici dell'Ottocento, Byron, Shelley, Keats e Wordsworth! La morfina aveva ricevuto questo nome in onore di Morfeo, il dio dei sogni della mitologia greca, ed era una droga che conoscevo per esperienza diretta, una droga che mi aveva affascinato per gli effetti che produceva sulla mente e sul corpo. Quella sera stessa decisi di chiedere a Sol il permesso di cambiare progetto e lasciare da parte l'analisi del riassorbimento della colina per intraprendere una nuova ricerca, quella del recettore degli oppiacei. Sapevo che secondo lui era un'impresa quasi impossibile, e ritenevo improbabile che decidesse di assegnare un compito del genere a una semplice aspirante al dottorato, ma questo per me non aveva importanza. Il suo scetticismo non faceva che accrescere il fascino dell'impresa e

55

Page 56: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

aumentarne il potere di attrazione. Inoltre sarebbe stato un progetto originale, anziché una ricerca di seconda mano basata su ricerche altrui, un lavoro di cui Sol sapeva quanto fosse tedioso per me. Ricordo che mi sentivo ispirata e pensavo (dal mio punto di vista, a quel tempo piuttosto ingenuo) che, se fossi riuscita a ottenere il successo, sarei potuta diventare celebre come la laureata che aveva svolto, per la tesi di dottorato, un lavoro originale ed entusiasmante. Quando sottoposi a Sol quella richiesta, lui reagì in modo ambivalente. «È un azzardo », mi ammonì. «Lo studio sulla colina è una passeggiata, un progetto di facile realizzazione», insistette. «E’ sicura di voler correre questo rischio, proprio quando ha tra le mani il suo futuro?» «Sicurissima.» «Quand'è così, si rilegga il lavoro di Goldstein e rifletta sul modo migliore di impostare il progetto», concluse lui. Mentre rileggevo l'opera di Goldstein e riflettevo sul suo contenuto, nella mia mente si agitava una sola domanda: che cosa avrebbe potuto fare Goldstein, se avesse avuto la Tripla M di Pedro?

Sulla soglia

Eravamo nel 1972, e l'amministrazione Nixon aveva appena dichiarato una guerra senza quartiere alla droga. L'eroina e gli eroinomani erano uno dei bersagli della campagna di Nixon, e l'amministrazione annunciò che avrebbe stanziato sei milioni di dollari per le ricerche sulla tossicodipendenza. I media facevano un gran parlare della possibilità di creare una «pallottola magica», cioè una nuova sostanza capace di curare la dipendenza dall'eroina, ma noi che lavoravamo in laboratorio sapevamo bene che erano soltanto chiacchiere, dal momento che ignoravamo in che modo gli oppiacei e l'eroina agissero sul cervello. Sol aveva già concentrato la sua attenzione sulle ricerche relative all'anfetamina, preparando una richiesta di finanziamento che aveva presentato al

56

Page 57: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

National Institute of Drug Abuse, un ente di ricerca appena fondato per combattere la tossicodipendenza. Con i precedenti di Sol nel campo dei finanziamenti per i suoi progetti, non avevamo il minimo dubbio che avrebbe ottenuto i fondi richiesti. In quanto ricercatori all'avanguardia nel campo della neuroscienza, sapevamo che tutti quei discorsi sulla scoperta di nuove sostanze da usare nella lotta contro la tossicodipendenza erano privi di senso. Com'era possibile trovare un farmaco che combattesse la tossicodipendenza, se eravamo ancora ben lontani dal capire il meccanismo grazie al quale gli oppiacei come eroina e morfina agivano sugli esseri umani? Perché si verificasse un reale progresso nella battaglia contro la tossicodipendenza, il primo passo logico doveva consistere nell'individuare il recettore degli oppiacei. E quindi Sol, che in parte doveva il successo alla capacità di combinare grandi balzi dell'immaginazione con dosi equivalenti di scienza tradizionale, aggiunse una brevissima appendice alla sua proposta di ricerca sull'anfetamina, chiedendo fondi per la ricerca mirata alla scoperta del recettore degli oppiacei. Mentre Sol attendeva che la burocrazia ci desse via libera, io mi trasferii per due mesi nel laboratorio di Pedro, in omaggio al principio della rotazione. li mio compito era ottenere una conoscenza diretta della Tripla M e del modo in cui Pedro l'aveva usata per comprendere l'azione del recettore dell'insulina e misurarlo. Il laboratorio di Pedro pulsava di attività giorno e notte, e io adoravo quel ritmo raffinato ma anche eccitante, un samba, in confronto al rock-and-roll al quale ero abituata nel laboratorio di Sol. Tuttavia in fondo alla mia mente restavo concentrata sull'obiettivo che mi ero prefissa, e cioè fare pratica e affinare le mie capacità in preparazione all'imminente inizio della caccia al recettore degli oppiacei. Pedro, dal canto suo, osservava degli orari abbastanza regolari, perché voleva riunirsi alla sua famiglia per la cena, ma gli studenti e dottori di ricerca restavano in laboratorio fino a notte alta, spesso per sorvegliare i risultati del loro lavoro fino alle prime luci del giorno. In laboratorio, Pedro dosava le apparizioni con il gusto teatrale dell'uomo di spettacolo.

57

Page 58: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

A differenza di Sol, che in genere era occupato altrove a seguire faccende altrettanto importanti, Pedro amava presentarsi proprio quando era imminente la fase più cruciale di un esperimento, aggiungendovi il suo tocco personale e nello stesso tempo facendo sfoggio con noi delle tecniche da usare. Il grosso dell'attività del laboratorio s'imperniava sui tentativi di Pedro di ampliare il lavoro svolto con il recettore dell'insulina. Ora che la squadra responsabile della scoperta si era sciolta, era in atto una caccia sfrenata a quelle che in campo scientifico si definiscono «scoperte collaterali». Essendo uno dei componenti del gruppo iniziale, Pedro poteva ottenere finanziamenti e assegnazioni di personale decisamente generosi per quella gara contro la concorrenza, in cui la posta era molto alta. Com'è prevedibile per la maggior parte delle conquiste scientifiche, era scoppiata una disputa sull'effettivo merito della scoperta del recettore dell'insulina, e sulla persona che alla fine avrebbe ottenuto il premio. Alla Hopkins correva voce che fosse stato Pedro a svolgere la maggior parte del lavoro, e che fosse stata la sua abilità nel produrre insulina pura, attiva e radioattiva, a consentire in ultima analisi al gruppo di dimostrare l'esistenza del recettore dell'insulina. Prima che cominciassi a lavorare sulla Tripla M, Pedro m'incaricò di perfezionare un esperimento che aveva avviato poco prima di lasciare il NIH per venire alla Hopkins. Insieme con il premio Nobel Chris Anfinson, era riuscito a creare qualcosa che veniva definito «colonna delle affinità», un congegno dalla tecnologia sofisticata che serviva a purificare le molecole, sfruttando l'affinità naturale di una molecola con un'altra per isolare dalla soluzione gli enzimi allo stato puro. Mi mise al lavoro perché usassi la sua tecnica nel tentativo di isolare un enzima importante. Gli esseri viventi utilizzano centinaia di enzimi, che sono catalizzatori delle proteine capaci di compiere in pochi secondi reazioni chimiche tali da richiedere settimane intere per ripeterle in provetta, ammesso che si riesca a riprodurle. Per settimane di fila diventai la cocca del laboratorio di Pedro, caricando la zuppa cellulare nella colonna di vetro e riuscendo ad accumulare una riserva di enzimi in forma pura. Quando eravamo ancora a metà del

58

Page 59: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

procedimento, però, Pedro apprese che un laboratorio rivale ci aveva battuti sul tempo, completando la purificazione mentre noi eravamo ancora a metà del guado. Una mattina entrò in laboratorio, sbatté un articolo sul banco e usci senza dire una parola. Io lessi il testo e, nella mia ingenuità, pensai: «Fantastico! La validità del nostro lavoro è confermata». Ma per quanto riguardava Pedro, contava soltanto il fatto che un laboratorio rivale ci avesse preceduti. L'esperimento era superato: ci avevano battuti sul tempo e Pedro, dato che non gli interessavano le scoperte collaterali, annullò il progetto così, su due piedi. A ripensarci, mi rendo conto che quell'episodio fu la prima occasione che mi venne offerta di vedere in atto la competizione che regna al vertice del settore scientifico, dove tutto ciò che conta è vincere. Mi consolai imparando a misurare i recettori dell'insulina con l'aiuto della Tripla M. Ogni giorno versavo nel meccanismo di filtraggio il brodo cellulare, una mistura che conteneva insulina radioattiva e membrane di cellule epatiche: l'insulina radioattiva fungeva da legante, fissandosi sul recettore prima di scivolare via, poi legando di nuovo e liberandosi ancora. Finché il recettore restava allo stato umido, quell'attività continuava senza interruzione. Quello che stavamo cercando era un modo per asciugare in fretta il materiale organico intrappolando il legante quando era fissato, mentre le sostanze non legate venivano lavate via. La Tripla M di Pedro assicurava un filtraggio rapido del tipo più sofisticato. Si potevano calare nel meccanismo di filtraggio numerose provette, una alla volta: la zuppa cellulare veniva risucchiata con uno strano sibilo sonoro, lasciando soltanto il materiale legato al recettore. Aveva funzionato a meraviglia con il recettore dell'insulina, ma ci avrebbe aiutati a scoprire anche il recettore degli oppiacei? Grazie ai contatti di Sol, oltre che alla sua brillante reputazione, la commissione di ricerca ci concesse i fondi per il progetto sugli oppiacei, manifestando però un certo scetticismo sulle nostre possibilità di successo. Insieme con l'approvazione sul finanziamento, inviò infatti una lettera in cui si copriva le spalle nel caso dovessimo fallire clamorosamente, com'era ovvio che si aspettavano. Per quanto riguardava

59

Page 60: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

i membri della commissione, le nostre possibilità erano prossime allo zero. In effetti, se fosse stato un altro ad avere l'audacia di presentare quella proposta, anziché Sol Snyder, sarebbe stata senz'altro respinta, senza neanche arrivare a vedere la luce.

Esperimento

Un esperimento si divide in due parti, progettazione e realizzazione, ma è raro che queste due fasi possano susseguirsi in modo piano, senza scosse. Il mio progetto di esperimento prendeva le mosse dal lavoro compiuto da Pedro con il recettore dell'insulina, in particolare dalla tecnica di filtraggio rapido che avevo imparato a usare con la sua Tripla M. Nello stesso tempo, non dimenticavo il lavoro che stava compiendo Avram Goldstein. Nell'articolo che Sol mi aveva passato, Goldstein descriveva i suoi tentativi di isolare il recettore degli oppiacei con un metodo che richiedeva la preparazione di una soluzione con la polvere ricavata da cervelli di topo, alla quale venivano aggiunti oppiacei radioattivi. La poltiglia veniva poi immessa in una centrifuga che ruotava ad alta velocità, in modo che i nuclei delle cellule e le terminazioni nervose si separassero a velocità distinte. Tanto per me quanto per Sol era evidente che la tecnica usata da Goldstein non poteva funzionare, e per una serie di ragioni. Come indicavano le postille che aveva annotato a mano in margine all'articolo di Goldstein, Sol era convinto che uno dei problemi fosse costituito dal tracciante isotropico, ossia la particella radioattiva fissata alla sostanza legante, che non era abbastanza attivo; lo deduceva dal fatto che, per quanto fosse stato captato un segnale, questo non era molto nitido o distinto. Quindi nel nostro esperimento decidemmo di concentrarci su un solo oppiaceo, la morfina, e di assicurarci che fosse il più attivo possibile per quanto permetteva la tecnologia esistente: in poche parole, una grande sfida. Oggigiorno esistono cataloghi sui quali si può ordinare una

60

Page 61: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

quantità qualsiasi di oppiacei radioattivi già purificati, ma a quei tempi dovevamo spedire la morfina «fredda» in un laboratorio speciale perché fosse marcata con isotopi radioattivi. Quando poi ci veniva restituita, dovevamo sottoporla a un processo di purificazione per eliminare ogni possibile agente contaminante, e quella era una fase cruciale, perché, se la morfina «calda» fosse stata contaminata, non avrebbe emesso un segnale abbastanza chiaro per essere captato dal contatore. Sebbene Goldstein non fosse riuscito a far funzionare l'esperimento, aveva avuto un'idea brillante che ci sarebbe tornata utile nel portare a termine il nostro: dato che la morfina presente nella zuppa poteva legare indiscriminatamente con altre sostanze, era necessario trovare un modo per dimostrare che legava con un recettore degli oppiacei, e non con un artefatto, vale a dire qualcosa che era stato creato nell'ambiente artificiale della provetta. A questo scopo, ricorse a uno stereoisomero, cioè un oppiaceo di sintesi progettato in laboratorio e dotato di due forme speculari. Ambedue le forme hanno la stessa struttura chimica, ma la versione levogira, battezzata levorfanolo, è un oppiaceo estremamente potente, mentre quella destrogira, chiamata destrofano, è quasi inerte. Goldstein fece marcare le due forme di oppiaceo con un tracciante radioattivo, mescolandole in una provetta che conteneva la zuppa cellulare. Poi predisse che soltanto il potente levorfanolo si sarebbe legato al recettore, perché era l'unico ad avere la configurazione giusta, o adatta, per farlo. L'altro, l'oppiaceo destrofano, aveva una forma che non poteva adattarsi al recettore, allo stesso modo in cui la mano destra ha una forma inadatta per calzare un guanto sinistro. La previsione di Goldstein che le provette incubate con levorfanolo radioattivo avrebbero indicato numeri più alti al contatore, riflettendo una percentuale più alta di sostanza legata in confronto con il destrofano radioattivo, si avverò, ma la differenza era così minima - inferiore al due per cento - che nessuno ci credette. Inoltre nessuno riuscì a ripetere l'esperimento. Comunque Goldstein era sulla pista giusta, e Sol e io eravamo decisi a sfruttare appieno quell'intuizione. Quello che ignoravo era che anche Sol aveva intravisto la possibilità di fare il colpo grosso, superando Avram e aggiudicandosi il premio.

61

Page 62: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Con il senno di poi, mi rendo conto dell'entusiasmo col quale abbracciai quell'etica maschilista: la rivalità accesa, la competizione per ottenere il credito e la spinta imperiosa a raggiungere il punteggio pieno, senza badare a chi restava bruciato. In assenza di qualsiasi modello di ruolo femminile, pensavo che per ottenere grandi successi nel campo scientifico fosse necessario diventare dura e aggressiva. La maggior parte delle donne che vedevo intorno a me erano rimaste arenate ai livelli inferiori della scala gerarchica e ben di rado riuscivano a innalzarsi al di sopra del posto loro assegnato, entrando in scena soltanto quando si trattava di eseguire il lavoro manuale, ma scomparendo nell'ombra non appena veniva il momento di riscuotere i crediti maturati. Per me non sarebbe stato così, giurai a me stessa. L'ambizione allo stato puro che permeava l'atmosfera dei laboratori di Sol e di Pedro aveva contagiato anche me: cominciavo a sognare come sarebbe stato avere a disposizione dei fondi e delle risorse per dirigere un laboratorio tutto mio. In base all'esperienza, l'unica via per riuscirci era fare una scoperta davvero sensazionale, e mi era passato per la mente, sia pure in modo fuggevole, che il recettore degli oppiacei poteva essere il mio ascensore per la vetta. Ogni mattina preparavo un pastone: il piatto del giorno poteva consistere in cervello di ratti omogeneizzato o intestino di porcellini d'India tagliato a striscioline, con un'aggiunta di morfina radioattiva del nuovo tipo, più attivo. Per preparare la zuppa, però, c'era un ostacolo da superare, ed era la mia persistente resistenza all'idea di uccidere un ratto per ricavarne il cervello fresco che mi occorreva. Non avevo ancora ucciso un animale, dato che ero riuscita a evitare quella prova fin da quando la signorina Oppenheimer mi aveva concesso di farla franca a Bryn Mawr, ma stavolta non c'erano santi: avrei dovuto fare da me, e non mi riusciva naturale. Sapevo di dovermi liberare da quell'eccesso di sensibilità, se volevo avere successo, e così cominciai il processo graduale di rieducazione del mio sistema nervoso con una settimana buona di anticipo rispetto alla data di inizio del progetto sul recettore degli oppiacei. Ogni giorno mi imponevo di avvicinarmi un po’ di più alla porta della stanza dove si

62

Page 63: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

uccidevano gli animali. Qualche giorno dopo riuscii a restare sulla soglia, osservando le cavie che venivano decapitate, un procedimento eseguito con una ghigliottina piccola e veloce, in modo da estrarre rapidamente il cervello per immergerlo in una soluzione liquida e fredda che teneva in vita i neuroni, alimentandoli, mentre ibernava la chimica interna. Ben presto fui in grado di avvicinarmi al banco per assistere, e infine uccisi personalmente una cavia: le mani mi tremavano e il cuore mi batteva all'impazzata, ma mi imposi di farlo. Fu un trauma così violento che la prima volta dovetti sedermi, alla fine, per ritrovare l'autocontrollo. Col tempo divenne tutto più facile, mai però fino al punto da poter uccidere con una totale mancanza di sensibilità, in modo freddo o crudele. Mi accompagnava sempre la sensazione di compiere un rito, la consapevolezza che si trattava di sacrificare una vita per la vita. Togliere la vita a quegli animali in modo che si potessero compiere delle ricerche per trovare delle potenziali cure per salvare vite umane mi sembrava uno scambio abbastanza equo, specie se avveniva in modo rispettoso e senza infliggere sofferenze. Qualcuno potrà obiettare che la vita umana non è più preziosa di quella animale, ma, anche se posso comprendere questo punto di vista, quando è venuto il momento cruciale, ho fatto la scelta che ritenevo giusta. Quei topolini bianchi vengono allevati a scopo di ricerca, e gli scienziati li utilizzano in modi che ritengo appropriati. In tutta la mia carriera, non ho mai visto maltrattare degli animali o ucciderli in modo da provocare loro delle sofferenze. E ammesso che questo sia avvenuto in passato, come sostengono gli attivisti per i diritti degli animali, ora non è più così. Oggi esistono regolamenti rigorosi che proteggono gli animali destinati agli esperimenti, e i ricercatori devono sottoporre i loro metodi di sperimentazione all'approvazione delle commissioni di controllo. Ma torniamo all'esperimento. Dopo aver incubato per qualche tempo gli organi degli animali con la morfina radioattiva, immergevo la zuppa nella macchina a filtraggio rapido Tripla M che Pedro mi aveva prestato, e sciacquavo il materiale non legato, lasciando il legante filtrato ad asciugare sul recettore. Come si poteva accertare se il recettore in questione era proprio quello degli oppiacei, e non qualcos'altro?

63

Page 64: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Prendendo esempio da Goldstein, introdussi nella zuppa, insieme con la morfina, l'oppiaceo stereoisomero chiamato destrofano, mentre in un'altra provetta mettevo il levorfanolo. Dato che il destrofano era una sostanza inadatta a legare, sapevo che non poteva competere con la morfina nei confronti del recettore, e quindi mi aspettavo di ottenere dalla misurazione un risultato alto, a riprova del fatto che la morfina radioattiva si era fissata. Il levorfanolo, viceversa, poteva competere, scalzando la morfina radioattiva dal recettore e quindi riducendo il risultato della misurazione. Calcolavo che la differenza fra i due conteggi, quello elevato per la mistura con il destrofano e quello minimo per la mistura con il levorfanolo, mi avrebbe fornito una misurazione del recettore degli oppiacei. Quando si sperimenta una nuova tecnica, come stavamo facendo noi, la procedura standard consiste nel provare da principio la combinazione meno complessa di condizioni e ingredienti, nella speranza che funzioni. Se invece non funziona, e ci si trova di fronte a un esperimento fallito, si può ricominciare daccapo per tentare di capire quale delle condizioni variabili - tempo, temperatura, concentrazione, numero di lavaggi e così via – lo ha fatto fallire. Ogni esperimento è come una lunga catena, resistente solo nella misura in cui lo è l'anello più debole. Se volevo che l'esperimento funzionasse, sapevo di dover individuare quell'anello debole, e per farlo non potevo concedermi requie, mantenendo un' elevata capacità di concentrazione sulla miscelazione degli ingredienti del cocktail di ogni giorno, oltre a tenere d'occhio le altre variabili. Le porte del mio mondo si chiusero ermeticamente, mentre dedicavo tutte le mie energie alla ricerca del recettore degli oppiacei. Modificavo ogni giorno la ricetta, sperando di creare la soluzione perfetta per il lavaggio della morfina, in modo che mostrasse un legame specifico con il recettore degli oppiacei. Di solito lavoravo fino a tardi, trasferendo il contenuto dell'ultima provetta verso le sette o le otto di sera, dopodiché dovevo metterle tutte nel contatore, un congegno che misurava la radioattività presente in ogni provetta, un pò come un contatore Geiger. Il contatore emetteva un ticchettio simile a quello di una macchinetta

64

Page 65: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

mangiasoldi, misurando la radioattività in cifre che poi venivano stampate su un nastro di carta. Io adoravo la sala del contatore, anche se quella sensazione non era condivisa da molti dei miei colleghi. Era un luogo in cui non si poteva manipolare la realtà: o avevi successo, oppure no, visto che nella sala del contatore non esistevano mezze misure. Fra quelle quattro mura non era raro sentire pianti, gemiti, o anche, talvolta, qualche ululato di gioia. Ricordo che ogni sera inserivo i miei campioni nel contatore e poi, come una chioccia, li vegliavo, tendendo l'orecchio in attesa del primo ticchettio e recitando una breve preghiera per l'esito positivo dell'esperimento. Poi tornavo a casa, sperando che la mattina dopo, al ritorno, ci fosse qualcosa, un risultato numerico che conferisse un significato a tutto il nostro lavoro. Inoltre amavo i dati nudi e crudi stampati dalla macchina su una stretta striscia di carta che sembrava quella di una calcolatrice. Al mattino, raccoglievo con attenzione i dati riportati su quelle strisce per annotarli sul mio registro di laboratorio. Per me era quasi una cerimonia ufficiale, che accentuava il desiderio di arrivare la mattina di buon'ora per apprendere i risultati della sera prima. La mia devozione ai dati rientrava nell'aspetto romantico della ricerca. Dopo la raccolta veniva il momento del controllo, in cui si scorrevano i dati alla ricerca di quel particolare schema che speravamo di veder comparire. Poi mi dedicavo al lavoro di rifinitura, a organizzare i dati per mettere meglio a fuoco lo schema che se ne poteva ricavare, e amavo tutte le fasi di quel lavoro. Purtroppo, però, i dati che ottenevo sugli oppiacei non mi offrivano nulla da rifinire o sintetizzare: un giorno dopo l'altro, non ricavavo altro che un pigro rumore di fondo, qualcosa che non aveva senso. Non riuscii nemmeno a replicare le misurazioni di un segnale debole captate da Goldstein. Passarono alcune settimane, ma ancora non riuscivo a ottenere risultati positivi da scaricare sulla scrivania di Sol e cominciavo a sentirmi assalire dalla disperazione. Quel lavoro era come un figlio per me, un figlio concepito dalla mia inventiva, ma ora temevo che si risolvesse in un aborto spontaneo. C'erano giorni in cui mi veniva da

65

Page 66: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

piangere, mentre riempivo il registro di numeri senza senso, e spesso dovetti reprimere la tentazione di gettarlo nel cestino della carta straccia. Stavo pagando lo scotto, come si dice in gergo, scoprendo che un esperimento riuscito dipendeva spesso dalla capacità di intuire esattamente che cosa non andava. Ogni giorno, durante il tragitto in macchina di quarantacinque minuti fino al laboratorio dalla base militare di Edgewood, dove abitavamo, riesaminavo passo per passo il mio lavoro, cercando di capire dove avevo potuto commettere un errore o cosa avrei potuto fare per ricavare un senso da quei numeri. Nonostante i tentativi a tutto campo di modificare le condizioni e i materiali utilizzati, continuavo a ottenere dati privi di significato. L'intuito mi diceva che il recettore degli oppiacei era lì. Approfondendo l'argomento nella bibliografia, notai che parecchi «esperti» di oppiacei sostenevano di non riuscire a trovarlo, per cui concludevano che non poteva esistere. Ignoravano il fatto che i chimici producevano da anni nuovi oppiacei di sintesi, tutti fondati sulle teorie e sulle ipotesi relative all'esistenza di un recettore degli oppiacei. Pur essendo allo stadio iniziale della carriera, adottai uno dei principi del mio mentore, rifiutandomi di credere agli esperti. Della necessità di mettere in dubbio l'autorità feci il mio motto personale, e compresi che avrei dovuto dimostrarmi all'altezza di quel principio, specie ora che i cosiddetti «esperti» sembravano avere ragione. Un ennesimo fiasco, e ancora nessuna traccia di segnale. Certo, Sol aveva visto giusto a proposito della necessità di usare un tracciante più attivo, ma era evidente che questo non bastava. C'era ancora un anello della catena da rafforzare, prima di poter vedere un segnale abbastanza chiaro al contatore. Tornai alla zuppa, continuando a modificare senza posa le altre variabili, nella speranza che qualcuna funzionasse. C'erano due fattori a sostenermi, in quel periodo. Uno era il fascino che suscitava in me il romanzo dell'oppio e il ruolo essenziale che aveva occupato nel romanticismo, il movimento culturale e letterario dell'Ottocento. Ero affascinata dalla possibilità di comprendere l'azione di una droga che aveva ispirato una generazione intera di artisti e

66

Page 67: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

letterati, facendo scoppiare una rivoluzione dei sentimenti e del pensiero che aveva investito tutta l'Europa. L'idea centrale era che nel cervello umano esistesse un meccanismo che consentiva tutto questo, e il fatto che potessi essere io a scoprirlo mi ispirava un'emozione straordinaria. Quando non ero in laboratorio, dedicavo il mio tempo a studiare tutto quello che c'era da leggere sull'argomento, addentrandomi fra gli scaffali della biblioteca per meditare su articoli che risalivano ai primi del secolo, quando l'eroina, la prima versione sintetica dell'oppio, aveva cominciato la sua scandalosa carriera pubblica. Lanciata sul mercato come una medicina per la tosse che non causava assuefazione dalla società Bayer (divenuta in seguito famosa per l'aspirina), era stata smascherata in seguito come una sostanza capace di provocare dipendenza, e quindi criminalizzata. Un altro dei motivi per cui perseveravo era di natura puramente scientifica. Nella letteratura medica avevo scovato una recensione che accennava al recente lavoro del dottor Hans Kosterlitz, un farmacologo tedesco che era fuggito dalla Germania nazista per rifugiarsi nelle Isole Britanniche e ora svolgeva le sue ricerche nell'università di Aberdeen, in Scozia. Aveva dimostrato di riuscire a manipolare l'ileo di un porcellino d'India utilizzando oppiacei come codeina, morfina ed eroina insieme al Demerol, col risultato di riprodurre in vitro il fenomeno della stitichezza. Inoltre aveva messo in evidenza che quegli stessi oppiacei erano efficaci come analgesici sugli esseri umani, nei quali alleviavano il dolore. Com'era possibile, mi domandai, se non per il fatto che nel cervello umano e nell'intestino del porcellino d'India esistevano identici recettori degli oppiacei? Sapevo che il recettore degli oppiacei doveva esistere e che, se non riuscivo a trovarlo, questo poteva significare soltanto che l'esperimento era sbagliato. Continuai il lavoro minuzioso ed esasperante di modificare le variabili, cercando di trovare un modo per ottenere un segnale dalla morfina radioattiva e poi misurarne la presenza in base agli stereoisomeri. Se ci fossi riuscita, avrei potuto dimostrare in modo inequivocabile che il recettore degli oppiacei esisteva, ne ero convinta.

67

Page 68: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Eureka!

Nel bel mezzo di quel periodo angoscioso, Sol mandò me e un'altra studentessa, Anne Young, a Nashville, nel Tennessee, per seguire un corso intensivo organizzato dall'American College of Neuropsychopharmacology. Cinquanta laureati che si erano distinti per i loro meriti erano stati selezionati per partecipare a un programma destinato a indottrinarci sul modello biomedico dominante e offrirci l'opportunità di mescolarci da vicino alle superstar scientifiche del settore della farmacologia. I pezzi grossi arrivarono all'ultimo giorno del programma, e unicamente per presenziare a uno sfarzoso banchetto organizzato in loro onore prima di ripartire. Erano tutti attraenti, felici, abbaglianti, nonché tutti uomini, e io rimasi ipnotizzata. Alcuni li conoscevo di nome, grazie alle conversazioni con Sol, e fra loro c'era il dottor Julius Axelrod, che si astenne dal presentare una relazione, come si confaceva alla sua condizione di premio Nobel di recente data. Avevo conosciuto Julie proprio quell'anno, pochi mesi dopo che aveva ottenuto il premio Nobel, mentre eravamo a Chicago per presentare una Festschrift, ossia una raccolta di articoli che Sol aveva pubblicato in suo onore. Sol mi aveva presentato a Julie in occasione della cena, trascinandomi, tutta eccitata e nervosa, verso il tavolo d'onore e definendomi con orgoglio la sua «bambina». Era un vezzeggiativo che aveva adottato in laboratorio, e mi vergogno ad ammettere che non mi dispiaceva affatto. Il discorso al banchetto fu tenuto da Floyd Bloom, che era uscito dal National Institutes of Health con la fama di scienziato prodigio, e in quel periodo stava dimostrando di meritare tale fama con il suo lavoro presso l'Istituto Salk. Dopo l'applauso finale, Floyd scese dal podio puntando direttamente verso il nostro tavolo, dove scelse un posto accanto al mio. Trovarmelo vicino fu un'esperienza prossima all'orgasmo, tanto era potente il suo fascino, e il cuore mi batteva furiosamente mentre ascoltavo la conversazione, troppo in soggezione di fronte a quel bastione di superstar della scienza per dire anche una sola parola. Dopo

68

Page 69: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cena, un gruppetto di partecipanti alla cena si diresse in macchina con Julie verso un locale nei paraggi, uno di quelli che nel gergo locale si chiamano bluegrassjoint, dal nome del foraggio coltivato nella zona, la bluegrass, o gramigna dei prati. Lungo il tragitto credetti di morire per l'eccitazione e la gioia. Nel tentativo di metterci tutti a nostro agio, Julie tentò una battuta: «Che specie di droga è la bluegrass?» Ma ero sopraffatta a tal punto dall'esperienza di trovarmi nella stessa auto con un premio Nobel che lo fraintesi, credendo che cercasse di intavolare una discussione seria su un argomento che non conoscevo affatto. Spesso, nel caso di un esperimento fallito, è bene mandare il cervello in vacanza e attendere che l'inconscio fornisca la soluzione giusta. Fu proprio quello che tentai di fare durante le otto settimane torride che trascorsi a Nashville, ma il pensiero dell'analisi del recettore degli oppiacei non mi abbandonava mai. Alla fine di agosto tornai alla Hopkins con rinnovata energia. Dopo l'esperienza di vivere a contatto di gomito con scienziati di livello mondiale durante il seminario, desideravo più che mai entrare a far parte del gruppo, e questo richiedeva una scoperta sensazionale: ma prima dovevo escogitare un modo per far funzionare l'esperimento. Cominciavo a pensare che la morfina radioattiva non fosse poi una scelta così buona per il tracciante. Quell'intuizione mi era venuta a Nashville, quando mi ero imbattuta in un articolo piuttosto complesso pubblicato da uno scienziato inglese che si chiamava W.D.M. Paton ed esponeva l'idea che due droghe quasi identiche potessero legare con lo stesso recettore. Una, detta agonista, poteva entrare nel recettore e determinare dei cambiamenti nella cellula, mentre l'altra, l'antagonista, poteva bloccare il recettore occupandolo, il che non produceva degli effetti visibili sull'attività cellulare. Paton la definiva «teoria del ping-pong», secondo la quale la percentuale di azione della droga è proporzionale al numero delle volte in cui la droga colpisce - «ping» - il recettore, il che a sua volta determina il tempo per cui la droga resta sul recettore. Dal momento che l'antagonista non rimbalza più volte, può restare sul recettore più a lungo, bloccando così l'accesso all'agonista.

69

Page 70: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Se Paton aveva ragione, mi serviva come tracciante un antagonista radioattivo. Infatti solo un antagonista radioattivo sarebbe rimasto sul recettore abbastanza a lungo perché il filtraggio rapido riuscisse a separare l'una dall'altra la droga legata e quella libera. Quando tornai a casa da Nashville, mi ero convinta che l'antagonista radioattivo fosse il pezzo mancante che mi separava dal tanto ambito «Eureka!» Fu proprio mentre in me sbocciava quell'intuizione che Sol mi convocò nel suo studio per dirmi che aveva intenzione di porre fine all'analisi del recettore degli oppiacei. Mi sentii distrutta. C'erano troppe cose da fare, mi disse, per sprecare denaro, tempo e risorse in quello che sembrava sempre più un vicolo cieco. Per giunta, aggiunse Sol, spettava a lui la responsabilità di farmi ottenere il dottorato, e nessuno me lo avrebbe concesso per un esperimento fallito. Nella maggior parte dei casi, mi assicurò, il dottorato veniva conferito per progetti noiosi e privi di significato che erano stati portati a termine con infinite esplorazioni delle variabili. «Ma, Sol», pregai, «devi lasciarmi continuare. So che ci sono vicina! Mi serve soltanto un nuovo tracciante radioattivo!» Ma le mie parole caddero nel vuoto: la sua unica risposta fu una smorfia deludente ma molto significativa. Mi avviai verso la porta dello studio, sapendo che i giorni della ricerca al recettore degli oppiacei erano contati, e se volevo fare un altro tentativo dovevo cominciare subito; ma fui costretta a fermarmi quando lui mi assestò il colpo finale: «No! Non puoi sprecare dell'altro denaro per dare la caccia alle ombre, sperimentando nuovi traccianti radioattivi!» Io distolsi lo sguardo, mordendomi le labbra, e uscii. Quel pomeriggio restai soprappensiero per tutta la durata della riunione settimanale del laboratorio, cosicché tutti i presenti si accorsero della mia infelicità, ma Sol non batté ciglio. Dal suo punto di vista, avevamo già sprecato un' enorme quantità di tempo e di risorse, e quello che in origine era stato progettato come un raid fulmineo per strappare il trionfo a Goldstein si stava trasformando in una campagna impegnativa della quale non si riusciva a intravedere la conclusione. Senza dubbio lui era convinto di essere stato fin troppo generoso: mi aveva concesso

70

Page 71: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

spazio e risorse in abbondanza per scoprire il recettore degli oppiacei, e non ce l'avevo fatta. Sol sapeva di aver tentato un azzardo, e ora aveva deciso che era venuto il momento di rinunciare al tentativo e lavarsene le mani. Il giorno dopo lo pregai ancora una volta di lasciarmi fare un altro tentativo, ma lui fu inflessibile e si rifiutò di darmi ascolto. Il progetto degli oppiacei era stato accantonato, mi disse senza mezzi termini, e ora si aspettava che tornassi di buon grado a dedicarmi anima e corpo al progetto iniziale sulla colina. Io, però, la pensavo diversamente. Avevo finito per concludere che il naloxone sarebbe stato la scelta ideale come antagonista. Sapevo che, iniettando a un eroinomane anche solo pochi milligrammi di quel potente farmaco, era possibile annullare gli effetti di un'overdose, persino in caso di coma. Si riteneva che ciò fosse dovuto alla capacità del naloxone di far sloggiare l'eroina dal recettore, sfrattandola e occupando a sua volta il sito del recettore, fungendo, in altre parole, da antagonista. Il naloxone aveva la configurazione chimica giusta per legare con il recettore degli oppiacei, ma essendo un antagonista non poteva far scattare l'attività nella cellula, creando l'effetto di euforia o di cessazione del dolore causato dagli oppiacei. Decisi di procurarmi in segreto del naloxone per ripetere l'esperimento quando non c'era nessuno in giro. L'unica falla nel mio piano era che non sapevo come mettere le mani su una quantità sufficiente di naloxone radioattivo. Poi mi rammentai che Agu aveva del naloxone «freddo»; ossia non radioattivo, nel suo laboratorio di Edgewood, dove lo utilizzava per neutralizzare l'effetto degli analgesici nelle scimmie che gli servivano da cavie: non dovevo fare altro che prenderne in prestito una piccola quantità e mandarla a un laboratorio di Boston, dove l'avrebbero marcato con un isotopo radioattivo. Ci sarebbero volute alcune settimane, e nel frattempo avrei dovuto trattenere il respiro, sperando che nessuno chiamasse Sol da Boston per avere conferma dell'ordine. Comunque decisi che valeva la pena di correre quel rischio. All'arrivo della fattura da Boston, i giochi ormai sarebbero stati fatti, e a quel punto sarei stata

71

Page 72: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

o un'eroina o un'asina calzata e vestita; ma non mi soffermai a riflettere sulla seconda ipotesi. Così spedii il naloxone a Boston. Dopo qualche settimana, in ottobre, una telefonata mi informò che era arrivato un pacco, in giacenza per me presso il Centro controllo radiazioni. Andai subito a ritirarlo e sottoposi furtivamente il naloxone a quello che speravo fosse un adeguato processo di depurazione. Fatto questo, tornai nel laboratorio di Sol per depositare le mie scartoffie nel banco da lavoro. Decisi di eseguire l'esperimento vero e proprio quello stesso venerdì pomeriggio, dopo che tutti erano usciti presto per andare al solito party organizzato al pub per festeggiare l'inizio del fine settimana, oppure per tornare a casa e cominciare subito il weekend. Non era insolito che la sera restassi in laboratorio fino a tardi, quindi nessuno sarebbe rimasto sorpreso se avessi salutato tutti per continuare a lavorare. Ma verso le quattro del pomeriggio Agu mi telefonò per avvertirmi che la baby-sitter si era ammalata e non poteva andare a prendere all'asilo Evan, che allora aveva cinque anni. Il cuore mi batté all'impazzata mentre tentavo di trovare una soluzione. Un'ora dopo, correvo lungo l'autostrada verso l'asilo dove Evan mi aspettava. Invece di riportarlo a casa, avevo deciso di portarlo con me al laboratorio. Era rischioso, perché le norme sulla presenza dei bambini erano rigide, specie quando si manipolavano sostanze radioattive, ma mi occorreva almeno un'ora per preparare tutto. I dati finali non sarebbero stati pronti prima di lunedì, ma dovevo essere presente per trasferire i filtri delle membrane cellulari e mettere le provette nel contatore. Non so come, riuscii a far entrare Evan senza che le guardie si accorgessero di lui, e ci ritrovammo al sicuro nel laboratorio. «Mammina, quella cos'è?» domandò Evan, puntando il dito verso la Tripla M. «E una grossa valigia», gli risposi, perché in effetti quel congegno magico somigliava a una di quelle valigie metalliche giganti. «Ora non toccare niente », aggiunsi sottovoce. Mi resi conto che avrei dovuto dargli qualcosa da fare per tenerlo occupato mentre trasferivo le provette; così, guardandomi attorno in fretta, afferrai le trentasei fialette vuote

72

Page 73: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

e nuove di zecca nelle quali avrei dovuto trasferire i filtri delle membrane cerebrali. «Tesoro, che ne dici di aiutare la mamma a togliere il tappo a queste?» Evan s'illuminò in viso. Lo sollevai da terra, mettendolo a sedere sul grande ripiano libero di un banco e sparpagliando intorno a lui le piccole fiale di plastica. Lui rimase lì, tutto assorto, e io, tenendo un occhio puntato su Evan e un altro sui filtri, completai il lavoro. Quando l'ultima delle trentasei provette fu nel contatore, azionai la macchina. Avevo inserito tre variabili, una per ogni gruppo di dodici provette. Nel primo gruppo di provette c'era del naloxone radioattivo allo stato puro; nel secondo levorfanolo in combinazione con il naloxone radioattivo, nel terzo destrofano in combinazione con il naloxone radioattivo. In circostanze normali, sarei rimasta lì ad aspettare vicino al contatore, rilevando in fretta i numeri man mano che apparivano, per farmi un'idea approssimativa ma gratificante dei risultati nel giro di mezz'ora. Ma con Evan nel laboratorio, non potevo farlo; e comunque, dissi a me stessa, non volevo rovinarmi il fine settimana, nel caso che i risultati non fossero buoni. Regolai quindi il contatore in modo che lavorasse durante il weekend, presi in braccio Evan e lasciai il laboratorio. Il lunedì mattina arrivai prima del solito e puntai subito verso la stanza del contatore, affrettandomi a strappare la striscia di carta che riportava le cifre rilevate dal contatore prima di tornare al banco. Aprendo il registro, voltai la pagina del protocollo, passando a trascrivere lentamente i numeri, uno per uno. La mia speranza era che le provette contenenti levorfanolo più naloxone radioattivo indicassero un conteggio basso, dato che il levorfanolo oppiaceo, molto potente, doveva impedire al naloxone di legare con il recettore degli oppiacei. Dei numeri bassi avrebbero indicato che si era svolta una gara per legare con il recettore – non diversa da quella degli spermatozoi che gareggiano fra loro per entrare nell'ovulo - e il naloxone aveva perso. Viceversa, speravo che le provette contenenti destrofano, cioè l'oppiaceo inerte, rivelassero un conteggio alto, perché il destrofano non era in grado di legare con il recettore degli oppiacei, e quindi non poteva entrare in competizione con

73

Page 74: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

il naloxone. Ovviamente le provette contenenti soltanto naloxone radioattivo, senza rivalità da parte dei due isomeri, avrebbero dovuto registrare il punteggio più alto di tutte. Avevo scaglionato le provette in ordine: levorfanolo, destrofano, naloxone puro, levorfanolo, destrofano, naloxone puro, eccetera. La precisione del protocollo era il segreto per far funzionare l'esperimento. Giocando con me stessa, lasciai coperta la parte sinistra del registro -quella dove avevo annotato il contenuto di ogni provetta - mentre copiavo meticolosamente ogni numero sulla riga corrispondente. Basso, alto. Alto, basso. Alto, alto...sentii l'eccitazione crescente formicolare nello stomaco, notando che i primi sei numeri coincidevano con le mie previsioni. M'imposi di non correre con lo sguardo alla fine della striscia, per controllare i numeri successivi, continuando invece a registrare con scrupolo i dati. Basso, alto, alto, basso, alto, alto. Ormai il cuore mi batteva all'impazzata. Trascrissi le ultime cifre, disponendo i dati in tre colonne. I risultati erano chiari in modo impressionante, e corrispondevano in pieno alle previsioni: ero passata da un segnale zero a un segnale così alto da equivalere a un grido, e tutto grazie al cambiamento di una sola variabile, all'uso del naloxone radioattivo al posto della morfina! Era l'esperimento principe dei miei sogni, e ce l'avevo fatta. Avevo trovato il recettore degli oppiacei. AnneYoung stava lavorando al banco accanto al mio quando annotai gli ultimi numeri sul registro. Appena finito, lo chiusi prima di voltarmi verso di lei. «Anne», le dissi con voce spezzata, tanto avevo la gola arida, «penso che dovremmo trovare un bar per bere qualcosa.» Anne era sempre pronta a cogliere ogni occasione di svago, ma quella volta alzò gli occhi dal lavoro che stava svolgendo per guardarmi con aria preoccupata. «Perché? I risultati sono così negativi che hai bisogno di sbronzarti?» replicò. «No », le risposi, alzando la voce. «Al contrario!» Ormai stavo gridando. «E che sono troppo buoni! Andiamo a cercare una bottiglia di champagne per festeggiare!»

74

Page 75: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Era il 25 ottobre del 1972.

La mattina seguente, Sol tornò da un congresso. Il primo giorno dopo un viaggio era sempre un pò irritabile, quindi non mi sorpresi di essere accolta da un cipiglio burbero quando feci irruzione nel suo studio. «Sol, non ci crederai!» esclamai, posando sulla sua scrivania il registro del laboratorio aperto. «Ha funzionato! Ha funzionato! Abbiamo trovato il recettore degli oppiacei!» Assorto e silenzioso, studiò le cifre che avevo annotato sul registro, soppesandole per un minuto buono, mentre io restavo in piedi al suo fianco, respirando a stento. «Cazzo», mormorò, continuando a studiare i numeri. Cominciavo a sentirmi apprensiva. Sarebbe andato in collera perché avevo tirato dritto, eseguendo l'esperimento contro i suoi ordini? «Cazzo, cazzo, cazzo!» cominciò a borbottare, poi alzò la testa per guardarmi, col viso illuminato da un sorriso estasiato. Balzando su dalla sedia, cominciò ad aggirarsi eccitato per la stanza. «La palla è nel tuo campo», annunciò tutt'a un tratto, voltandosi a guardarmi. «Puoi avere tutto quello che ti serve. Puoi prenderti come tecnico Adele. Fa' ripetere l'esperimento a lei e, se funziona, puoi tenerla con te per sempre!» Ero sollevata ed emozionata. Mi sentii travolgere da una seconda ondata di piacere, quasi altrettanto intensa di quella che avevo provato il giorno precedente, quando avevo visto i dati per la prima volta. Avevo reso felice Sol, e ora lui, per ricompensa, compiva un gesto inconcepibile, sollevandomi dalla mia umile condizione di semplice laureata alle prime armi per accogliermi in un ambiente superiore, distante parecchi anni luce dal primo, giacché soltanto gli scienziati anziani di chiara fama avevano alle loro dipendenze un tecnico di laboratorio che eseguisse gli esperimenti. Nonostante l'eccitazione, però, non potei fare a meno di notare uno strano scintillio negli occhi di Sol, un luccichio che non avevo mai visto prima di allora. Sembrava entusiasta, ma in preda a una strana concentrazione, come se un piano grandioso cominciasse appena a

75

Page 76: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

coagularsi nel meccanismo interno del suo brillante intelletto. Quello che allora non capivo era che, nel mondo della scienza ai massimi livelli, Sol aveva appena intravisto in che modo avrebbe potuto vincere la partita. E ben presto sarei stata io l'atleta che avrebbe messo in campo, per farmi segnare punti e reclamare la vittoria per la mia squadra, da stella in ascesa, al centro dell'azione.

76

Page 77: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

3

La generazione dei peptidila lezione continua

Alzo gli occhi dal leggio sul podio per guardare la sala immersa nella penombra, dove il pubblico, quasi invisibile, è in attesa delle mie parole. Una rapida occhiata mi conferma che continuano a seguirmi, e così, rassicurata, faccio passare la diapositiva seguente. Pur essendo protesa a esporre il lato personale della mia storia, rammento a me stessa che sono qui per puntare sull'aspetto scientifico, per spiegare le molecole dell'emozione e per illustrare ai miei ascoltatori un contesto che li metta in grado di valutare in che senso le scoperte fatte dai miei colleghi e da me possono avere ripercussioni profonde sulla loro vita. E la volta di una delle mie diapositive preferite: tre topi distesi supini, con le membra abbandonate e gli occhi chiusi, chiaramente in estasi. «Questi, signore e signori, sono topi felici», dico in genere a questo punto, facendo una pausa per accogliere la risata del pubblico. «Dal loro linguaggio corporeo vi rendete certamente conto che sono del tutto appagati e non hanno un solo pensiero al mondo. Questo è il risultato dell'iniezione che abbiamo praticato ai nostri pelosi amici, iniettando loro una sostanza chiamata endorfina, ossia la morfina naturale del corpo, che viene prodotta anche dal vostro organismo.»

77

Page 78: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Trovare la chiave

Uno degli aspetti più sconvolgenti, ma anche eccitanti, legati alla scoperta del recettore degli oppiacei era la constatazione che non ha alcuna importanza se sei una cavia, una First Lady o una tossicodipendente: abbiamo tutti nel cervello esattamente lo stesso meccanismo fatto per creare la felicità ed espandere la coscienza. La scoperta del recettore degli oppiacei scatenò fra i ricercatori scientifici una caccia frenetica per individuare la sostanza naturale secreta dall'organismo che corrispondeva al recettore, ossia la chiave che si adattava alla serratura. Sapevamo che il recettore del cervello non esisteva certo per legare con estratti di piante estranee al corpo, come la morfina e l'oppio. No, l'unico motivo che giustificasse l'esistenza di un recettore degli oppiacei nel cervello era che il corpo stesso produceva una sostanza chimica organica che si adattava a quella minuscola serratura, cioè un oppiaceo naturale. E infatti, meno di tre anni dopo la scoperta del recettore degli oppiacei, quell'oppiaceo naturale fu individuato. Un'équipe di ricerca dell'università scozzese di Aberdeen, guidata da John Hughes e Hans Kosterlitz (lo stesso studioso che, con il suo lavoro sugli effetti degli oppiacei nei porcellini d'India, aveva confermato la mia intuizione sull'esistenza del recettore degli oppiacei), dimostrò che una sostanza isolata nel cervello dei maiali era appunto la morfina del cervello, un legante endogeno che si adattava al recettore degli oppiacei provocando gli stessi effetti degli oppiacei esogeni come la morfina. La sostanza fu battezzata col nome di encefalina, dalla radice di una parola greca che significa «testa». In seguito, nel corso di un'accesa competizione per rivendicare la priorità della scoperta, i ricercatori americani chiamarono la loro versione della stessa sostanza «endorfina», nel senso di «morfina endogena». (Gli scienziati preferirebbero usare lo spazzolino da denti di un estraneo, anziché la sua terminologia.) E la definizione rimasta nell'uso corrente è quella americana.

78

Page 79: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Le basi essenziali

Diamo un'occhiata da vicino alla natura di un peptide, per cercare di capire in che modo i chimici sono arrivati a isolare queste sostanze e utilizzarle nella ricerca. I peptidi sono minuscoli frammenti di proteine, e le proteine - il cui nome deriva dal greco proteios, che significa primario - sono state riconosciute da tempo come il materiale primario della vita. Anche se i chimici hanno impiegato oltre un secolo per riuscire a determinare la struttura chimica di una proteina e a scrivere una formula che ne indicasse chiaramente il contenuto elementare e l'organizzazione, ora sappiamo, come ho accennato nella prima parte della conferenza, che un peptide consiste in una stringa di amminoacidi, uniti fra loro come perline di una collana. Il legame che tiene insieme gli amminoacidi è fatto di carbonio e azoto ed è estremamente resistente, tanto che si può troncare soltanto dopo ore (o addirittura giorni, in certi casi) di bollitura in un acido potente. Quando nella catena ci sono approssimativamente cento amminoacidi, si parla di un polipeptide, mentre oltre i duecento amminoacidi lo si definisce proteina. Per poter identificare un nuovo peptide, un chimico deve innanzi tutto estrarre la sostanza e poi isolarla da tutte le altre impurità biochimiche. Poi la sfida consiste nel caratterizzarlo, procedimento che impone di individuare tutti gli amminoacidi che lo costituiscono - ne esistono venti tipi principali - e indicare i loro nomi nell'ordine esatto in cui sono disposti. Il risultato è la struttura chimica del peptide. Forse a questo punto qualcuno di voi comincerà a sonnecchiare, ma per leggere bisogna pur imparare l'alfabeto, e gli amminoacidi sono per l'appunto le nostre lettere dell'alfabeto. I peptidi, che comprendono polipeptidi e proteine, sono le parole costituite da tali lettere, e tutti insieme formano un linguaggio che compone e dirige ogni cellula, organo e apparato dell'organismo umano. Gli amminoacidi sono stati le prime sostanze estratte da esseri viventi la cui struttura sia stata scritta dai chimici organici, con un processo avviato nel 1806. I venti amminoacidi del corpo umano sono stati isolati

79

Page 80: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

e identificati in seguito a una serie di scoperte avvenute fra quella data e il 1936, a cominciare dalla L-asparagina, che fu isolata per la prima volta facendo evaporare un estratto acquoso di germogli di asparago. (Forse avrete notato nella vostra urina un forte odore di asparagi qualche ora dopo aver mangiato una generosa porzione di questi ortaggi: ebbene, quella è l'asparagina!) La treonina, l'amminoacido scoperto più di recente, che avrebbe svolto un ruolo determinante nel lavoro che avrei compiuto in futuro, è stata isolata in un grumo di sangue umano, una sostanza contenente la proteina chiamata fibrina, che richiede giorni e giorni di bollitura nell'acido prima che si dissolvano i suoi legami chimici. In ordine di scoperta, dal primo all'ultimo, i venti amminoacidi comuni sono L-asparagina, cistina, L-leucina, glicina, DL-tirosina, L-acido aspartico, DL-alanina, L-valina, L-serina, L-acido glutammico, L-fenilalamina, L-arginina, L-lisina, L-istidina, L-prolina, L-triptofano, L-idrossiprolina, L-isoleucina, metionina e treonina. Per scoprire la struttura chimica di questi amminoacidi è stato necessario oltre un secolo di lavoro, durante il quale i chimici sono stati costretti a scovare, una dopo l'altra, misteriose fonti organiche di proteine, come la seta, la ghiandola pancreatica, il glutine del grano o la caseina del latte, fino a ottenere dei cristalli bianchi, segno che erano arrivati a isolare la sostanza allo stato puro.

Battezzare il bambino

A questo punto, però, vorrei tornare a parlare delle sostanze costituite da stringhe di questi amminoacidi, e cioè i peptidi. Per accertare la struttura chimica di una qualsiasi sostanza, peptide o altro, cioè per scrivere il suo nome indicando gli atomi che la compongono, la sostanza dev'essere innanzi tutto depurata del materiale organico che la contiene, che si tratti di cervelli di maiale, di intestini di porcellini d'India o di cervello umano. Una volta estratto un campione, dopo averlo depurato di tutto ciò che non sia la molecola in questione, esistono delle

80

Page 81: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

tecniche atte a calcolare quanti atomi contiene di idrogeno, di carbonio, di questo o di quello. Infine esistono metodi fisici per stabilire in che modo questi atomi sono disposti nello spazio, ricavandone la formula della struttura completa del peptide, vale a dire il suo nome chimico. Tuttavia per mettere a punto questi metodi sono stati necessari decenni di ingegnose scoperte nell'ambito della chimica. Imparare a spezzare le catene di peptidi, separando un amminoacido dall'altro, e poi un atomo dall'altro, è stata un'impresa incredibilmente complicata. La conseguenza è che, per molte sostanze, i componenti biologicamente attivi sono stati identificati e misurati anni prima che si potesse scrivere la loro struttura chimica vera e propria, perché le esplorazioni biologiche erano basate su un complesso di conoscenze notevolmente anteriori al tipo più sofisticato di analisi richiesto dalla chimica dei peptidi. In effetti quelle prime esplorazioni nel campo biologico, avvenute quando i peptidi erano ancora un soggetto poco noto che rientrava tutt'al più nell'ambito degli studi di qualche scienziato estroso, apparivano tanto rudimentali da sembrare addirittura primitive. Nella penombra degli scantinati di una dozzina di laboratori, gli uomini (allora soltanto uomini) lavoravano alacremente sorvegliando enormi pentoloni in ebollizione dai quali emanava l'odore putrescente di alcuni chili di ghiandole pituitarie e intestini di maiale, pelli di rana, ipotalami di pecora, e così via. A quella mistura si aggiungevano solventi come acetone acidificato per estrarre, o purificare, la sostanza che si riteneva fonte di una determinata attività biologica. La brodaglia giallastra così ottenuta, isolata dalla massa di impurità che la intorbidiva, veniva lasciata evaporare per eliminare i solventi, finché non restava che una polvere sporca. A quel punto la polvere veniva depositata con cura sui vetrini, ciascuno dei quali conteneva un particolare tessuto animale, per osservare eventuali segni di attività. La polvere era forse in grado di far contrarre un muscolo intestinale o uterino, oppure di rilassare un vaso sanguigno? Alcuni chimici iniettavano nell'animale intero una soluzione ricavata dalla polvere, aspettando di vedere se le orecchie si arrossavano, o la pressione

81

Page 82: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sanguigna aumentava, o gli ormoni sessuali registravano un'impennata. Se queste analisi biologiche indicavano chiari segni di attività, la polvere veniva ulteriormente trattata in modo da ricavarne dei cristalli bianchi e puri. La sostanza allo 'stato puro veniva utilizzata ancora una volta per le analisi biologiche e, se la sua capacità di sollecitare i recettori dei tessuti restava invariata, si poteva affermare di aver isolato il peptide. A quel punto si poteva passare al tentativo di effettuare l'analisi chimica che avrebbe permesso di ricostruirne la formula chimica. Nel 1975, gli scienziati avevano scoperto la formula chimica di una trentina appena di peptidi, compresa l'insulina, che è un polipeptide. Le formule venivano trascritte con una sequenza di abbreviazioni di tre lettere, ciascuna delle quali indicava un particolare amminoacido. Alla fine di dicembre di quell'anno, pubblicando un articolo sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, l'équipe scozzese rivelò trionfante l'analisi chimica della morfina secreta dal cervello, che era composta da una coppia di peptidi, ciascuna comprendente cinque amminoacidi. E fu così che si aggiunsero altri due elementi alla famiglia sempre più numerosa dei peptidi; ma in questo caso si trattava di peptidi molto speciali, come spiegherò fra poco. La struttura chimica dell' encefalina fu riassunta con la seguente formula: Tir-Gli-Gli-Fen-Met e Tir-Gli-Gli-Fen-Leu. Con questa sorta di stenografia, un chimico dei peptidi aveva in mano tutte le informazioni necessarie per sintetizzare in pochi giorni l'encefalina a partire da materiali contenenti amminoacidi.

Breve storia dei peptidi

Ogni peptide ha la sua storia e, per quanto ne sappiamo oggi, esistono ottantotto storie diverse nella «città nuda» chiamata corpo. Ho detto «per quanto ne sappiamo oggi» perché non possiamo ancora dire di avere scoperto tutti i peptidi e ricostruito la loro storia: infatti ogni

82

Page 83: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

anno la ricerca porta alla luce nuovi peptidi e probabilmente, quando avremo finito di individuarli tutti, saranno più di trecento. Il primo peptide è stato scoperto agli inizi del secolo nell'intestino e fu classificato fra gli ormoni quando si dimostrò che agiva sull'intestino tenue del cane, stimolando la secrezione di succhi pancreatici. Questo lasciò stupiti i fisiologi, convinti fino a quel momento che le funzioni fisiologiche fossero controllate da impulsi elettrici emessi dai nervi. Furono loro a battezzare quella sostanza secretina, ma ci vollero altri sessant'anni per isolarla in forma pura e accertarne la struttura chimica. Qualche anno dopo fu scoperto un altro ormone intestinale chiamato gastrina, che si rivelò poi un frammento di un peptide più lungo chiamato colecistochinina (CCK), e si accertò che serviva a trasmettere messaggi dal pancreas alla cistifellea. Nel 1931 un altro peptide, indicato con il nome enigmatico di «SostanzaP», fu isolato parzialmente nel cervello e nell'intestino dei cavalli da Ulf von Euler, che vinse il premio Nobel per quella scoperta, anche se la sostanza P rimase per quarant'anni una «polvere» chimica non meglio definita, fin quando, nel 1971, Susan Leeman ne ricostruì la struttura, composta da undici amminoacidi. Eppure nel momento in cui scrivo Susan Leeman non ha ancora ricevuto il premio Nobel; anzi, non è riuscita neppure a ottenere una cattedra a Harvard, dove, dopo aver definito la struttura della sostanza P, ha scoperto che la gamma di attività di questo peptide era ben più vasta di quelle note, che andavano dall'abbassamento della pressione sanguigna alla contrazione delle fibre muscolari lisce, estendendosi fino alla trasmissione del dolore attraverso determinate fibre nervose. Il primo peptide che sia mai stato riprodotto al di fuori del corpo umano è stato l'ossitocina, cioè la sostanza emessa dalla ghiandola pituitaria durante il parto per legare con i recettori dell'utero, dove causa le contrazioni uterine che provocano infine l'espulsione del corpo del bambino. Già nel 1902 era noto che nei rudimentali estratti ricavati dalle ghiandole pituitarie di animali da cortile era contenuta una sostanza che poteva essere usata dalle ostetriche per aiutare le partorienti in caso di travaglio protratto.

83

Page 84: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Farmacologi, neurobiologi e fisiologi di oggi, come Sue Carter, Tom Insel e Jaak Panksepp, hanno dimostrato che l'ossitocina non solo fa contrarre l'utero nel travaglio, ma produce anche, le contrazioni uterine legate all'orgasmo sessuale nelle donne. Nel cervello, inoltre, agisce in modo da produrre comportamenti materni, impedire l'infanticidio e, a quanto pare, aiutare alcuni roditori maschi a stabilire rapporti monogami di lunga durata. Questa funzione unificante dei peptidi, capaci di coordinare fisiologia, comportamento ed emozioni in vista di un fine che si presenta coerente e significativo, è estremamente caratteristica degli esseri umani e degli animali, ed è un punto sul quale torneremo in seguito con maggiore ampiezza. Furono necessari molti mesi per produrre l'ossitocina in forma sintetica, ma l'impresa fu condotta finalmente a termine nel 1953 da Victor du Vigneaud, nel suo laboratorio di New York. Come imponeva la difficoltà del compito, du Vigneaud spinse la sua dedizione al lavoro al punto da trascorrere le notti su una brandina sistemata nello studio, invece di tornare dalla famiglia, che viveva a Long Island. Voleva trovarsi sempre sul posto, così da poter aggiungere ingredienti essenziali al momento giusto per completare quella difficile sintesi. In cambio dei suoi sforzi, l'anno dopo ottenne il premio Nobel. Sebbene, nonostante le sue fatiche, fosse riuscito a produrre soltanto una quantità infinitesimale di ossitocina, questa sostanza mostrava tratti chimici e attività biologica tali da dimostrare al mondo che era riuscito davvero a sintetizzare il semplice peptide composto da nove amminoacidi che costituiva l'ingrediente attivo della ghiandola pituitaria. Oggigiorno si usa abitualmente un analogo sintetico, noto sotto il nome di pitocina, per indurre il travaglio e accelerarlo quando il medico ha deciso che per il bimbo è tempo di venire alla luce, anche se il corpo della madre e il feto non sono d'accordo. L'ossitocina è la beniamina della rivoluzione dei peptidi. Non si potrà mai sottolineare abbastanza la sua importanza nella storia dei peptidi, perché una volta dimostrato, grazie alla sintesi dell'ossitocina, che si potevano produrre sostanze identiche a quelle secrete dall'organismo umano, i chimici compresero che potevano anche tentare di migliorare la

84

Page 85: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

natura. Gli scienziati cominciarono a produrre una serie di analoghi, cioè sostanze con una struttura quasi identica, sostituendo questo o quell'amminoacido agli amminoacidi presenti nella sequenza autentica, e verificando le proprietà dei vari analoghi. Infatti sugli analoghi terapeutici così ottenuti, o farmaci, era possibile intervenire per renderli più efficaci, duraturi e resistenti alla decomposizione rispetto alle sostanze secrete dall'organismo per autodifesa. Alcuni anni dopo le notti insonni trascorse da du Vigneaud in laboratorio, Bruce Merrifield, dell'università Rockefeller, accelerò il processo di produzione dei peptidi sintetici inventando la sintesi dei peptidi in fase solida: questo risultato si otteneva agganciando a una minuscola perlina di plastica l'estremità di un peptide in formazione e aggiungendo gradualmente gli amminoacidi, uno alla volta, in un ciclo attentamente controllato di reazioni chimiche. A quel punto era possibile produrre correntemente, e in grandi quantità, un raccolto di peptidi pronti per l'uso, impresa che ha reso possibile la rivoluzione dei peptidi che è in atto ancor oggi. Il metodo escogitato da Merrifield gli è valso il premio Nobel per la chimica nel 1984. Oggi la colonna di Merrifield per la sintesi in fase solida viene gestita con una tecnologia computerizzata ed è utilizzabile a livello commerciale: si può programmare una determinata sequenza di peptidi, produrre il peptide durante la notte, con una serie di fasi di lavorazione automatiche, e purificarlo la mattina dopo. Grazie al dottor Merrifield, i chimici moderni possono trascorrere la notte a casa loro e dormire con i rispettivi coniugi. E tuttavia, per quanto notevole sia l'impresa del dottor Merrifield, il nostro organismo è in grado di secernere durante la notte, mentre dormiamo, più peptidi, perfettamente prodotti allo stato puro, di quanti ne abbiano mai ottenuti nei loro laboratori ad alto livello tecnologico tutti i chimici esperti di peptidi che sono vissuti dal 1953, anno in cui è cominciata la produzione sintetica, fino a oggi. Come fa il corpo umano a ottenere questo risultato? Gli amminoacidi vengono uniti per formare peptidi o proteine all'interno di minuscole fabbriche, chiamate ribosomi, che si trovano in ogni cellula. Una doppia sequenza elicoidale di

85

Page 86: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

DNA, cioè il materiale genetico presente nel nucleo della cellula che funge da codice per il peptide o la proteina necessaria, si svolge, producendo una copia di lavoro complementare di RNA, o acido ribonucleico. Le informazioni dell'acido ribonucleico, che sono una copia della sequenza codificata nel DNA, fluttuano verso il ribosoma. Ogni amminoacido possiede un «codice ternario» costituito da tre nucleotidi, che determinano il trasferimento di un determinato amminoacido, destinato a unirsi al peptide o alla proteina che si sta formando nel ribosoma. Marshall Nirenberg, del National Institutes of Health, ha vinto il premio Nobel nel 1960 proprio per aver decifrato questo codice genetico temario: il suo lavoro ha costituito la chiave di decrittazione che oggi rende possibile la mappatura del genoma umano.

La connessione peptide/cervello

Nello stesso periodo in cui Hughes e Kosterlitz divulgarono le loro scoperte sulla presenza del)'encefalina nel cervello, il campo della chimica dei peptidi era arrivato a uno stadio tale di sviluppo che un certo numero di scienziati si era proposto di scoprire i peptidi responsabili di una vasta gamma di attività corporee. Alcuni cercavano i fattori che regolavano la digestione e l'assimilazione nell'intestino, o quelli responsabili di innalzare o abbassare la pressione del sangue nel sistema circolatorio. Altri cercavano di identificare i componenti prodotti dalla ghiandola principale, quella pituitaria, grande come una mandorla, che si trova alla base del cervello, sotto l'ipotalamo. Il farmacologo italiano Vittorio Ersparmer e i suoi colleghi avevano scoperto e purificato oltre trenta peptidi, ricavandoli da una broda degna delle streghe di Macbeth, visto che era preparata con la pelle delle rane. Tutti questi chimici lavoravano con slancio eroico, benché miope, a purificare e poi riprodurre i peptidi da loro scelti, ciascuno dei quali si riteneva che provenisse da una determinata fonte e governasse

86

Page 87: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

una particolare attività di un organismo, sia che fosse un essere umano, un animale o un batterio. A quel tempo la scienza era abbastanza giovane perché ogni scoperta venisse accolta con entusiasmo, ma nessuna ebbe un impatto pari a quella di Hughes e Kosterlitz. E non fu la semplice scoperta di una sostanza endogena che si legava al recettore degli oppiacei situato nell'organismo ad accendere l'entusiasmo del mondo scientifico: no, a fare tanto scalpore fu la scoperta che quella sostanza era un peptide, che non solo veniva prodotto nel cervello, ma aveva un recettore per il suo funzionamento situato anch'esso nel cervello. Questo schiudeva la possibilità che altri peptidi provvisti di fonti - ed effetti - in apparenza locali fossero prodotti nel cervello e/o legassero con recettori posti nel cervello. Tutti i peptidi identificati nel corso del secolo precedente diventavano ora altrettanti candidati a una ricerca del recettore cerebrale, compito che fu assolto prima applicando i principi dello strumento che avevamo elaborato alla Hopkins, con l'analisi del recettore degli oppiacei e le prime forme di visualizzazione del recettore, e in seguito con metodi più sofisticati come l'autoradiografia a colori e computerizzata in vitro. Ormai era possibile indagare sui peptidi in relazione al modo in cui interagivano nell'ambito del cervello per controllare molti processi interni all'organismo. Solo a distanza di parecchio tempo ci rendemmo conto che in realtà tutti i peptidi, a prescindere dal luogo in cui erano stati individuati, erano prodotti in molte parti dell'organismo, compreso, spesso, anche il cervello. Dopo tutto, si scoprì, i peptidi pituitari erano peptidi intestinali, e i peptidi contenuti nella pelle delle rane erano anche ormoni attivi sull'ipotalamo. Gli stessi peptidi che legavano con i recettori del rene per modificare la pressione sanguigna potevano attivare recettori del polmone e del cervello. Inoltre, molte sostanze che in precedenza non erano state identificate si rivelarono anch'esse dei peptidi. Gli ormoni, per esempio, fatta eccezione per il testosterone e l'estrogeno, che sono steroidi, erano peptidi. L'insulina era un peptide. La prolattina, che segnala alle mammelle della donna di secernere latte, era anch'essa un peptide. Le sostanze contenute nelle

87

Page 88: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cellule intestinali che controllavano ogni fase della digestione e dell'escrezione erano peptidi. Benché la struttura dei peptidi sia ingannevolmente semplice, le reazioni da essi sollecitate possono raggiungere livelli esasperanti di complessità, e questa complessità ha fatto sì che fossero classificati in una vasta gamma di categorie, fra cui ormoni, neurotrasmettitori, neuromodulatori, fattori della crescita, peptidi intestinali, interleuchina, citochina, chemochina e fattori inibitori della crescita. Io preferisco usare un termine ampio coniato in origine da Francis Schmitt del MIT, ormai scomparso, e cioè sostanze informazionali, perché questa definizione sottolinea la loro funzione comune, che è quella di molecole-messaggeri, incaricate di distribuire le informazioni in tutto l'organismo. Tutt'a un tratto, anche prima che si cominciassero a esplorare tutte le implicazioni delle scoperte di Hughes e Kosterlitz, i peptidi diventarono una classe di sostanze chimiche molto più interessante di quanto fosse mai stata, e tutti volevano sapere se il loro peptide era legato al cervello. Nel laboratorio del NIH dove andai a lavorare dopo aver lasciato quello di Sol alla Hopkins, cominciai a cercare recettori cerebrali per alcuni peptidi già noti come la bombesina, il peptide intestinale vasoattivo (VIP), l'insulina e una quantità di fattori di crescita dei quali fino a quel momento si ignorava l'esistenza nel cervello. In quel periodo, quasi ogni mese veniva annunciata un'autentica parata di questi nuovi neuropeptidi. L'ossitocina prodotta dalla ghiandola pituitaria, l'insulina secreta dal pancreas, l'angiotensina dal rene, la bombesina dalla pelle delle rane, il peptide intestinale vasoattivo (VIP) dall'intestino, l'ormone che rilascia la gonadotropina (e vi risparmio gli altri tre nomi!) dall'ipotalamo... tutti questi peptidi, e altri ancora, furono scoperti in vari punti del cervello, e si accertò che disponevano di recettori cerebrali. Nel mio laboratorio al NIH partivamo dal presupposto, basato sui metodi avanzati di visualizzazione cerebrale da noi messi a punto, che qualsiasi peptide la cui presenza si poteva riscontrare dovunque e in qualsiasi momento fosse in potenza un neuropeptide, al quale

88

Page 89: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

corrispondevano dei recettori cerebrali. Adattando la nuova tecnologia ideata per il recettore degli oppiacei, andavamo in cerca di recettori dei peptidi nel cervello, con l'intenzione di disegnare una mappa della distribuzione tanto dei peptidi contenenti neuroni quanto dei loro recettori, e non restammo quasi mai delusi. Per la maggior parte dei candidati alla ricerca fu possibile dimostrare chiaramente che avevano dei recettori nel cervello ed erano presenti nel cervello stesso. Restammo ancora più eccitati, e sorpresi, quando scoprimmo che i peptidi si trovavano in tutte le parti del cervello, non soltanto nell'ipotalamo, dove avrebbero dovuto essere confinati, secondo le previsioni degli endocrinologi. I peptidi comparivano anche nella corteccia cerebrale, la parte del cervello che controlla le funzioni superiori, e nel sistema limbico, o cervello emozionale. E fu proprio questa mappatura della distribuzione dei recettori dei neuropeptidi, indicandoci dove si trovavano e in quali punti la loro densità era maggiore, a rivelarsi il frutto più prezioso dell'esplosione della ricerca dei peptidi. Interpretando la distribuzione di queste sostanze chimiche nel sistema nervoso, riuscimmo a ottenere i primi indizi che ci indussero a formulare la teoria che i peptidi fossero le molecole dell'emozione. Ma ora sto correndo troppo. È necessario che torni indietro nel tempo per raccogliere le fila della storia della rivoluzione dei peptidi, fino al punto in cui cominciai ad avere un ruolo attivo in questa rivoluzione, e cioè alcuni anni prima della scoperta pubblicata da Hughes e Kosterlitz. Nel mondo del laboratorio, il recettore che avevo individuato nel 1972 avrebbe dovuto attendere la scoperta dei suoi leganti, le encefaline, per essere completo. Tuttavia in quell'attesa non c'era nulla di passivo; anzi, poco dopo la mia scoperta, noi che lavoravamo nel laboratorio di Sol ingaggiammo una gara contro il tempo con quello di Kosterlitz, nel frenetico tentativo di arrivare per primi all'individuazione del legante. E conquistammo la vittoria, sia pure adottando un gioco sporco. E la storia di quella competizione è tipica di gran parte della scienza moderna.

89

Page 90: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

******************************

Un giorno, dopo la scoperta del recettore degli oppiacei: ma prima che fosse pubblicato il nostro primo articolo sull'argomento, Sol mi convocò nel suo ufficio. «Marshall Nirenberg vuole saperne di più sul recettore degli oppiacei», mi annunciò.«Puoi fare un salto al NIH, la settimana prossima, per fargli vedere qualche diapositiva?» «Marshall Nirenberg? Al NIH?» risposi costretta a deglutire a fatica dal terrore. «Non preoccuparti non morde. Anzi Marshall in realtà è piuttosto timido.» Sol scoppiò a ridere, poi represse uno sbadiglio e cominciò a sistemare delle carte sulla scrivania; ovviamente aveva già deciso di mandare me e aveva fretta di tornare a dedicarsi a pesci più grossi. «Ma... la settimana prossima?» mormorai sbalordita. «Non farò in tempo a prepararmi.» «Te la caverai benissimo», mi rassicurò, alzando la testa per l'ultima volta. «Ti serve un po' di pratica. Comunque fra poco dovrai tenere parecchie relazioni sul recettore degli oppiacei quindi tanto vale che ti abitui fin d'ora.»

90

Page 91: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

4

Cervello e ambizione

Vincere, ecco qual è il carburante che alimenta la macchina della scienza moderna. L'unico scopo della nostra frenetica attività è risultare primi nell'ottenere un certo risultato, ma ancor più essere i primi ad annunciare pubblicamente i frutti della ricerca su una rivista scientifica ad alto livello: questo è il grande premio al quale aspiriamo. La storia della scienza è lastricata delle vicende di ricercatori che hanno eseguito per primi un esperimento decisivo, ma sono stati battuti sul tempo agli occhi dei colleghi perché un concorrente è riuscito a pubblicare i risultati prima di loro. I tratti distintivi dello scienziato vincente sono l'audacia e la fiducia in se stessi, mentre la tendenza a rimuginare o a ripetere all'infinito gli esperimenti sono il marchio di riconoscimento di chi è destinato a restare per sempre secondo. Quando un articolo viene respinto, come accade spesso a quelli realmente innovativi, è bene che l'autore sia disposto a presentare una difesa tagliente, salomonica o anche ipocrita, telefonando al comitato di redazione della rivista; senza mancare di cortesia, ovviamente, ma con una punta di arroganza da superstar.

Gloria

Meno di due mesi dopo il successo ottenuto con il recettore degli oppiacei, Sol mi convocò nel suo studio. Adele, che stava ripetendo l'esperimento, otteneva ogni giorno dati positivi, cosicché avevo accumulato una deliziosa pila di grafici e tabelle che venivano attentamente studiati alla ricerca di eventuali discrepanze e meticolosamente revisionati per ottenere la massima chiarezza. Credo di essermi aspettata che quel procedimento sarebbe continuato per

91

Page 92: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sempre, quindi fu una vera scossa, per me, quando Sol mi annunciò che era arrivato il momento di scrivere un articolo per rendere noti i risultati, e bisognava farlo adesso. Subito. Sol non conosceva neppure il significato dell'espressione «blocco dello scrittore», e non aveva molta pazienza con chi ne era afflitto. La sua strategia consisteva nel dettare in fretta una stesura iniziale completa, sia pure approssimativa, alla presenza della persona che aveva svolto la maggior parte del lavoro. Il primo autore, di solito colui che aveva compiuto l'esperimento, prendeva le mosse di lì, occupandosi di rivedere la trascrizione, colmare le lacune enormi che di solito erano rimaste nel testo, spiegare il metodo seguito, controllare tutte le cifre e i fatti concreti fino ai minimi dettagli, e infine riportare il manoscritto a Sol per la lettura finale. Ora quel ruolo spettava a me. La prima direttiva che ricevetti da Sol fu di condensare i dati in due tabelle, secondo quanto richiedeva Science, la rivista estremamente prestigiosa alla quale puntava. Poi mi ordinò di posare i fogli sulla scrivania, fra noi due, e cominciò a studiare i dati con estrema attenzione, tormentandosi nello stesso tempo i capelli, massaggiandosi il viso e lasciandosi sfuggire vari sbuffi involontari, com'era sua abitudine quando era molto concentrato. All'improvviso afferrò il registratore tascabile, si appoggiò allo schienale della sedia e cominciò a dettare: «Una vasta messe di prove farmacologiche suggerisce l'esistenza di recettori degli oppiacei...» Una volta steso quel primo abbozzo, Sol si accinse a insegnarmi l'arte di scrivere un articolo scientifico. In sostanza, spiegò, il rapporto doveva essere semplice e scritto con chiarezza. Qualunque testo troppo elaborato o troppo ricco di idee, mi ammonì, sarebbe stato respinto dalle riviste più importanti; l'idea, sottolineò, era di ottenere un articolo di tale cristallina semplicità e concisione che chiunque, anche il più ottuso dei tecnici di laboratorio, fosse in grado di ripetere l'esperimento ottenendo gli stessi risultati. Insieme, Sol e io concentrammo mesi e mesi di lavoro spossante in appena quindici paragrafi scritti con eleganza. Il titolo era semplice:«Il recettore degli oppiacei: dimostrazione nei tessuti nervosi», seguito dai

92

Page 93: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

nostri due nomi, Pert, C.B. e Snyder, S.H. L'ordine rispettava la tradizione degli scritti scientifici, che Sol seguiva invariabilmente: al primo posto viene il nome della persona o delle persone che hanno svolto il lavoro vero e proprio, poi il nome del cosiddetto «autore anziano», cioè chi ha ottenuto i finanziamenti che hanno reso possibile il lavoro stesso, con i nomi degli altri collaboratori, se ce n'erano, inseriti in mezzo. Non appena scritto l'articolo, fui assalita da una tale crisi di ansia da principiante che chiesi a Pedro Cuatrecasas e al direttore del dipartimento, Paul Talalay, di esaminare il testo prima che lo sottoponessimo alla redazione della rivista. Fui lieta che scoprissero un certo numero di sviste, ma a quanto pare nessuno, tranne me, si curava del fatto che non avevamo dedicato neppure una nota agli oltre vent'anni di dati bibliografici che suggerivano l'esistenza dei recettori degli oppiacei. In quale altro modo si potevano giustificare le mie ricerche? In una breve ma accalorata discussione mi azzardai a sostenere che almeno nell'introduzione avremmo dovuto riconoscere a Goldstein il merito dell'intuizione iniziale,ma fui sconfitta, in base all'argomentazione che il metodo da lui usato si era rivelato impossibile da replicare. Dedicammo invece un intero paragrafo a mettere bene in chiaro che i risultati da noi raggiunti con il nuovo metodo non avevano nulla in comune con le scoperte di Goldstein. Ormai eravamo in gara. Ai primi di dicembre del 1972, appena sei settimane dopo che avevo portato a termine il primo esperimento riuscito, sottoponemmo l'articolo a Science, che lo accettò subito, programmandone la pubblicazione per la prima settimana di marzo del 1973. Una settimana circa prima della data prevista per la pubblicazione, Sol mi chiamò nel suo ufficio; ma stavolta non era per parlare dei dati. «Dà un'occhiata a questo. È del tutto insulso, e per giunta noioso!» esclamò, spingendo nella mia direzione, con un gesto iroso, un documento di tre pagine redatto su carta intestata della Johns Hopkins.

93

Page 94: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Mi resi conto che «questo» era il comunicato stampa preparato dall'ufficio pubbliche relazioni della Johns Hopkins per annunciare la scoperta del recettore degli oppiacei. A me sembrava perfetto, ma era evidente che Sol lo trovava inaccettabile. Si girò bruscamente verso una macchina per scrivere coperta di polvere, relegata in un angolo del suo ufficio, inserì nel rullo un foglio di carta e cominciò a pestare sui tasti con totale concentrazione. Pochi minuti dopo, estrasse il foglio dalla macchina con uno strappo secco e me lo porse sogghignando di gusto. «Ecco, questo sì che è un comunicato stampa», annunciò. «Per favore, portalo subito all'ufficio pubbliche relazioni.» Dal modo in cui guardò l'orologio, capii che dovevo affrettarmi. Tenendo stretto nella mano il comunicato stampa, mi precipitai lungo i corridoi, scendendo di corsa le scale fino all'ufficio situato al pianterreno, due gradini alla volta. Il comunicato di Sol era una vera bomba, e attirò l'attenzione di molti. Fu indetta per il giorno dopo una conferenza stampa, in cui avrei sperimentato per la prima volta l'aspetto mediatico della scienza. Quella sera tentai di mettermi i bigodini nei capelli mentre mi preparavo alla conferenza stampa, interrompendomi a intervalli di qualche minuto per rispondere al telefono e parlare con un giornalista dell'UPI o un cronista della catena di quotidiani Knight-Ridder. Il giorno dopo raggiunsi Sol e William «Biff» Bunney, un ricercatore nel campo della psichiatria, insieme con un gruppetto di funzionari di vari enti governativi interessati a esibire la scoperta come un grande passo avanti verso la soluzione del problema della tossicodipendenza. Quando entrammo nella sala stampa ufficiale della Hopkins ci accolsero decine di cronisti e fotografi, che illuminavano la sala con i loro flash. Ricordo che ero nervosa e dentro di me trovavo che tutta la messinscena fosse un pò eccessiva, tanto che mi sentii riconoscente per il fatto che furono soprattutto Sol e gli altri a prendere la parola. Quello che allora ignoravo era che il dottor Bunney stava per diventare il primo direttore del National Institute of Drug Abuse, l'ente della sanità preposto alla lotta contro la droga; che Sol stava per diventare uno degli scienziati

94

Page 95: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

più finanziati del mondo; che la Casa Bianca stava per annunciare uno stanziamento di fondi che sarebbe stato presentato come un gigantesco passo avanti nella guerra contro la droga; e infine che io stavo per diventare famosa, all'età di ventisei anni. I giornalisti brontolarono un pò quando si scoprì che in realtà non avevamo trovato la cura per la dipendenza dall'eroina, come si aspettavano; comunque era una storia importante che fece subito il giro del mondo, con l'annuncio che era stata scoperta una parte infinitesimale dell'organismo umano, della quale si parlava da tempo senza che ne fosse mai stata dimostrata l'esistenza. Era stato scoperto un nuovo sensore molecolare troppo piccolo per essere visibile, paragonabile a un paio di minuscoli occhi o anche orecchie o papille gustative, e fatto apposta per percepire le droghe della famiglia degli oppiacei - morfina, oppio, eroina – che causavano uno stato di «eccitazione» nell'organismo e inducevano l'«euforia» che i consumatori di queste droghe provavano spesso. La speranza che un giorno quella scoperta potesse servire ad aiutare i tossicodipendenti disperati non sembrava troppo infondata, dopo tutto. La notizia fu ripresa largamente dalla stampa popolare: Newsweek, U.S. News, il Washington Post, il New York Times pubblicarono tutti la storia, assicurandole ampio risalto. Quando il Newsday, il quotidiano della mia città natale, Long Island, pubblicò una mia foto per accompagnare l'articolo, ricevetti per posta, nell'arco di alcune settimane, ritagli di giornale inviati da persone che non vedevo da quando avevo compiuto otto anni. Il Baltimore Sun pubblicò un servizio approfondito, arricchito da una grande foto di me e Sol in camice da laboratorio: Pert e Snyder, il dinamico duo di scienziati, la squadra vincente, apparivano dovunque in prima pagina. Non ci volle molto perché mi abituassi a trovarmi alla ribalta dei media, e devo ammettere che ben presto cominciò a piacermi; ma ancora più eccitante era la possibilità di spiegare il nostro lavoro ai colleghi, nei numerosi congressi scientifici che si tennero quell'anno. Sol, che in genere detestava partecipare ai convegni aperti al pubblico perché riteneva più importanti gli incontri ristretti con psichiatri e

95

Page 96: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

farmacologi, m'incaricò di parlare in sua vece. Forse si sentiva a disagio nel comparire di fronte ai componenti del cosiddetto «Club degli Oppiacei», come venivano definiti i ricercatori che lavoravano in quel settore da anni. Non appartenevano alla stessa specie, perché Sol era un novellino nel loro campo, anzi lo si poteva paragonare a un falco che piombava su di loro per strappare la preda dalle mani degli «esperti». Così toccava a me reggere sulle spalle il peso dello spettacolo itinerante e, più le presentazioni si moltiplicavano, più cominciavo a provare un orgoglioso senso di proprietà nei confronti di quella scoperta. Mi resi conto che tutti erano molto colpiti dalla notizia e volevano saperne di più. Pochi mesi dopo la pubblicazione dell'articolo su Science, si tenne un convegno di importanza cruciale, organizzato dall'International Narcotic Research Club (Associazione internazionale per la ricerca sui narcotici) a Chapel Hill, nella Carolina del Nord. Rammento bene il terrore puro che provai quando scoprii che avrei dovuto presentare la scoperta ad Avram Goldstein, di Stanford, Hans Kosterlitz, dell'università di Aberdeen, e Albert Herz, dell'Istituto Max Planck di Monaco (tutti membri riconosciuti del Club degli Oppiacei) insieme a molti europei che si riunivano da anni in modo informale. Salii sul podio dopo aver elaborato per lunghe ore il mio discorso, sorretto da oltre quaranta diapositive appena sfornate. Fra il pubblico erano seduti studiosi illustri di cui avevo letto gli articoli, ispirandomi alle ricerche da loro svolte, e adesso mi trovavo lì per illustrare loro proprio quello che avevano cercato invano per anni. Il cuore mi batteva all'impazzata e avevo la bocca arida per l'emozione. Quando le luci si spensero, armeggiai con il pulsante, augurandomi che, al momento di aprire bocca, le parole che avevo provato per ore intere si decidessero a uscirmi dalle labbra. Una delle diapositive che avevo laboriosamente preparato era tratta dal classico di Goldstein, Principi del!'azione della droga, quindi restai sorpresa quando alla fine della mia relazione lui balzò in piedi per annunciare che la tabella, comprendente la struttura chimica tridimensionale del levorfanolo e del destrofano, era sbagliata. A

96

Page 97: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

quanto pare, le due immagini che avevo ripreso dal testo erano state invertite per errore. «Ci siamo accorti dello sbaglio dell'editore», osservò il grande vecchio della farmacologia, «ma lo abbiamo lasciato anche nella seconda edizione per cogliere in fallo i giovani laureati sprovveduti come lei», aggiunse con un sorrisetto. Un sibilo sonoro si levò dal pubblico in risposta a quel plateale colpo basso. Era evidente che a Goldstein scottava ancora l'articolo pubblicato su Science e cercava di rifarsi attaccando i responsabili, cioè Snyder e Pert. Comunque capii di aver conquistato quel pubblico capace di farmi tremare le vene e i polsi quando, al termine della relazione, molti dei presenti si affollarono intorno al palco per stringermi la mano e presentarsi. Fu un'esperienza addirittura estatica, quel momento di accettazione istantanea da parte di colleghi che ammiravo profondamente, tutti così eccitati dalla scoperta da essere persino disposti a sorvolare sul fatto che ero una laureata di appena ventisei anni, molto acerba e nervosa. L'euforia che provavo fu incrinata soltanto da un'emicrania lancinante che mi colpì non appena la folla cominciò a disperdersi. A scatenarla, con ogni probabilità, era stato l'improvviso allentarsi della tensione, che seguiva a settimane di febbrili preparativi per la conferenza; comunque l'atmosfera intorno a me era festosa e, per quanto fossi tentata di tornare nella mia stanza d'albergo per stendermi sul letto al buio, non volevo perdermi la possibilità di essere scortata in giro per la città da Hans Kosterlitz, che stava organizzando un pranzo di festeggiamento. Hans, piccolo di statura ma ancora vigoroso per i settant'anni che aveva, dimostrava chiaramente di volermi prendere sotto la sua ala. Ce ne andammo in giro per quella singolare città universitaria, seguiti da un corteo di mezza dozzina di chimici delle principali case farmaceutiche, fermandoci a bere in vari locali per brindare a una circostanza tanto solenne. Non riuscii certo a tenergli testa, mentre mandava giù uno scotch dopo l'altro senza problemi, ma nel corso dei festeggiamenti mi liberai dell'emicrania. Finimmo per mangiare in una steak-house, banchettando con una costata di prima qualità, naturalmente a spese

97

Page 98: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

dei ragazzi delle case farmaceutiche, allettati al punto da sbavare all'idea di sfruttare le nostre scoperte scientifiche, anziché davanti alle enormi bistecche di manzo che ci furono servite. Nell'ebbrezza del momento, Kosterlitz mi confidò che la sua équipe in Scozia era alla ricerca di una sostanza naturale, estratta dal cervello dei maiali, che produceva lo stesso effetto della morfina quando veniva spruzzata su una certa nuova preparazione a base di fibre muscolari lisce che, nonostante le mie domande eccitate, si rifiutò di descrivere. Parlandomi all'orecchio per non farsi sentire dai ragazzi dell'industria, sussurrò: «E arrivato da poco nel mio laboratorio un nuovo elemento. John Hughes, si chiama, ed è brillante, molto brillante. La troveremo, abbiamo già escogitato un sistema!» si vantò, tutto eccitato. Un attimo dopo, pentendosi di quell'indiscrezione, mi fece giurare più volte di mantenere il segreto. Appena tornata a Baltimora, gettando, al vento ogni promessa, parlai a Sol dell'incontro con Hans. «E convinto di essere sul punto di scoprire il legante endogeno per il recettore degli oppiacei», gli riferii. Alcuni mesi prima, Sol e io avevamo abbandonato un tentativo non troppo convinto di trovare i leganti. Io gli avevo fornito dei dati promettenti che sembravano puntare in direzione di un possibile legante, ma Sol, dopo aver esaminato con cura i dati nel corso di una lunga seduta nel suo studio, aveva preso la decisione finale. «Lascia perdere», mi aveva ordinato. «Ci sono troppi interrogativi, e hai già molte piste da seguire con il recettore degli oppiacei.» Mi accorsi, però, che adesso era più interessato e, sebbene non dicesse granché, sospettavo che fosse intenzionato a scoprire qualcosa di più sul lavoro di Kosterlitz. Continuai a rappresentare l'équipe della Hopkins in giro per il mondo, passando da un convegno all'altro, e, sebbene imparassi ad assumere l'atteggiamento umile che ci si aspetta da chi sale sul podio per presentare una scoperta molto importante, il mio ego da scienziata in erba prosperava, solleticato dal trattamento che riceveva. In seguito mi resi conto che Sol, facendomi apparire così spesso in pubblico, e a così breve distanza dalla scoperta, intendeva consolidare i nostri diritti

98

Page 99: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sulla scoperta del recettore degli oppiacei, visto che, come saltò fuori ben presto, c'erano altri pretendenti. Uno di loro era Eric Simon, professore e ricercatore della facoltà di medicina dell'università di New York, che cercava da anni di individuare il recettore degli oppiacei, senza peraltro riuscirci. Negli ultimi tempi aveva compiuto degli esperimenti con una forma radioattiva di etorfina, un potente analogo della morfina che veniva usato nei fucili caricati a tranquillanti per fermare rinoceronti lanciati alla carica e altre bestie di grossa taglia. I dati ricavati si erano mostrati abbastanza promettenti, e lui progettava di presentarli alla gigantesca assemblea della Federation of American Societies of Experimental Biology (Federazione delle società americane di biologia sperimentale) che si sarebbe tenuta in aprile, un mese dopo la pubblicazione del nostro articolo. Deciso a non lasciarsi sfuggire nessuna occasione, Sol riuscì a farsi inserire nell'ordine dei giorno dei lavori subito dopo la comunicazione di Simon. Eccitato, presentò una dopo l'altra le diapositive che avevo preparato per lui, ciascuna delle quali mostrava i dati ricavati dall'articolo su Science e le ricerche successive che Adele e io, lavorando a un ritmo incalzante, eravamo riuscite a completare a tempo di record. Simon assistette alla relazione ascoltando con attenzione e prendendo appunti, soddisfatto del buon esito del convegno. Dal suo punto di vista, era chiaro che figurava anche lui fra gli scopritori del recettore degli oppiacei, per cui rimase ferito e offeso quando Sol non lo citò come tale nei primi articoli pubblicati dopo quello iniziale. Invece il primo articolo di Simon non soltanto citava il nostro, ma applicava lo stesso metodo di analisi che io avevo messo a punto con tanta cura, con la sola differenza che aveva usato l'etorfina radioattiva anziché il naloxone. Ero stata io a mostrargli come si usava la Tripla M, la macchina a filtraggio rapido, quando era venuto a trovarmi nel laboratorio della Hopkins. L'educazione che ricevevo da Sol, nel bene e nel male, consisteva non solo nel capire come si batte sul tempo un concorrente, ma anche come far sapere al mondo intero chi aveva vinto la gara, con citazioni (e omissioni) strategiche, un'arte che conosceva a menadito. In fondo,

99

Page 100: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

eravamo stati noi a pubblicare la scoperta per primi, e la differenza era tutta lì.

Sfruttamento

Una volta placato lo scalpore iniziale, entrammo in un periodo di intensa attività scientifica. Ogni sera progettavo degli esperimenti che Adele avrebbe eseguito la mattina dopo, e tutti nel tentativo di trovare una risposta alle tante domande che la scoperta ci consentiva di formulare. In che punto del cervello, esattamente, si trovavano i recettori degli oppiacei? Quale parte della cellula occupavano? Fino a che punto poteva essere semplice, o primitivo, un organismo per possedere il recettore degli oppiacei? Ormai ero accolta spesso e volentieri nello studio di Sol, ogni volta che venivo a presentargli una nuova messe di dati, e insieme lavoravamo per lunghe ore a elaborare i risultati. In seguito appresi con disgusto che alcuni colleghi gelosi facevano circolare la voce che Sol e io avessimo una relazione. Si trattava di una calunnia classica, che avrei sentito ripetere più volte, negli anni successivi, ogni volta che una collega, specie se attraente, faceva una scoperta importante e saliva di grado. Quello che accadeva fra Sol e me era ben lontano dalla sordida tresca che i nostri colleghi immaginavano. Dietro le porte chiuse dello studio di Sol, venivo addestrata a sfruttare una grande scoperta. Nel mondo scientifico non c'è tempo per sedersi sugli allori dopo aver ottenuto un risultato di vasta portata o aver messo a punto una nuova tecnica, perché si corre il rischio che qualcuno, passando, te li sfili di sotto. La finestra che consente di svolgere ricerche complementari si chiude in fretta, non appena i colleghi entrano in gara e cominciano a guadagnare terreno. Per il momento Sol e io eravamo in vantaggio, ed eravamo intenzionati a restarci almeno per qualche tempo. Mentre io spianavo le grinze del metodo per metterlo a punto, Sol incaricò altri scienziati del laboratorio di utilizzare la stessa tecnica,

100

Page 101: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

per vedere se riuscivano a trovare altri neurotrasmettitori. Anne Young (che allora era una studentessa di medicina, e oggi è primario di neurologia al General Hospital del Massachusetts) fu la prima a fare centro: usò la stricnina, un potente topicida che causa violente contrazioni muscolari, come antagonista radioattivo per trovare il recettore della glicina, un neurotrasmettitore che invece causa il rilassamento dei muscoli. E fu subito Eureka! Allora Sol mise subito al lavoro tutti i dottori di ricerca sul nostro metodo, con l'ordine di utilizzarlo per individuare i recettori di tutte le sostanze chimiche note prodotte dal cervello. Quando cominciai a mostrarmi possessiva nei confronti della metodologia che mi era costata tanta fatica, Sol incaricò Adele di svelare a tutti anche i minimi aspetti del procedimento – in che modo ottenere le «membrane magiche», come le avevo soprannominate, quando agitare con energia le provette, come filtrare - insegnando tutti i piccoli trucchi del mestiere che lei e io avevamo escogitato per assicurarci un flusso quotidiano di dati positivi. Sol ordinò un'altra dozzina di macchine Tripla M e alcune migliaia di dollari di leganti radioattivi. Come la manna dal cielo, su quel laboratorio benedetto da Dio, nel cuore del centro urbano di Baltimora, cominciarono a piovere analisi positive che dimostravano l’esistenza di leganti per i neurotrasmettitori più vari. Mentre a me erano stati necessari alcuni mesi per elaborare il procedimento partendo da zero, i risultati positivi dei nuovi saggi sui recettori sembravano piovere dal cielo al primo o al secondo tentativo. Il recettore della norepinefrina! Il recettore dell'acido ammino-gammabutirrico! Il recettore della dopamina! Li trovammo tutti. Cominciavamo a capire che ogni recettore ha le sue particolari esigenze per quanto riguarda le condizioni - la soupe du jour – adatte per venire allo scoperto. Un recettore, per esempio, preferiva legare quando la broda era carica di sodio, mentre un altro preferiva una forte dose di cloruro. Trovare la formula giusta poteva richiedere ai ricercatori ore di pazienti aggiustamenti, ma il loro lavoro era una passeggiata, in confronto alla fatica di Sisifo che avevo fatto io per metterla a punto

101

Page 102: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

la prima volta, quando tutti coloro che mi stavano intorno lo consideravano impossibile. Uno dei primi interrogativi ai quali cercammo di trovare risposta nei confronti del recettore degli oppiacei era il motivo per cui alcune droghe come la morfina e 1'eroina legavano con il recettore, causando cambiamenti imponenti nel comportamento, mentre i loro antagonisti, come il naloxone, pur essendo quasi identici nella struttura chimica, legavano senza produrre alcun cambiamento, anzi, bloccando in modo « antagonistico» ogni ulteriore attività. Inoltre, se si metteva in competizione con la morfina un antagonista come il naloxone, questo interveniva facendo sloggiare la morfina dal recettore degli oppiacei, il che spiegava perché fosse un antidoto così efficace in caso di overdose da eroina. Ma come poteva accadere tutto questo? Un indizio per risolvere il mistero mi giunse da un' osservazione che avevo fatto nel1'esperimento iniziale di analisi del recettore degli oppiacei, vale a dire che il naloxone richiedeva la presenza di sodio per svolgere la sua funzione bloccante. La mia prima grande scoperta collaterale fu il risultato di una lotta per il territorio che dovetti ingaggiare su due fronti, battendomi con energia per impedire che il recettore degli oppiacei mi sfuggisse di mano. Nell'articolo che infine pubblicò, a ridosso del nostro, Eric Simon sottolineava come 1'etorfina, il tranquillante destinato alle bestie di grossa taglia che aveva utilizzato nei suoi esperimenti, risultava indebolito quando si aggiungeva sodio alla miscela. L'unica differenza fra i suoi risultati e i nostri, riferì, era che il legame dell'etorfina era indebolito dalla presenza del sodio, mentre quello del nostro naloxone risultava rafforzato. Mi domandai se questa differenza relativa al sodio poteva essere la chiave di uno dei misteri più fitti della farmacologia. Che cosa fa sì che una droga (come l'etorfina) funzioni da agonista, mentre un'altra (come il naloxone), che è quasi identica, tranne qualche minima differenza molecolare, funge da antagonista? Per quale motivo l'etorfina imita la morfina in tutti i suoi effetti, dall'euforia al rilassamento muscolare, mentre il naloxone blocca tutti gli effetti di questo e di altri oppiacei? Si riteneva che tanto l'agonista quanto

102

Page 103: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

l'antagonista legassero con lo stesso recettore degli oppiacei, ma in qualche modo la loro «attività intrinseca», ossia l'effetto che avevano sulla cellula, era diversa. Non appena Sol mi provocò, mostrandomi le bozze di stampa dell'articolo di Simon, mi affrettai a progettare un esperimento per dimostrare che il fattore decisivo era il sodio; era questo che si poteva utilizzare per indicare la differenza fra un agonista e un antagonista, e non solo fra etorfina e naloxone, ma fra gli agonisti e gli antagonisti in una gamma intera di analoghi degli oppiacei che ormai avevamo accumulato. Quando escogitai un piccolo sistema ingegnoso, sperimentando questa «variazione del sodio» su tutti questi oppiacei, mi riuscì facile restare due passi avanti a Eric Simon. Tuttavia dovevo affrontare anche una nuova sfida, lanciata da Gavril Pasternak, uno studente di medicina che compiva un periodo di tirocinio nel laboratorio di Sol e che, alle mie spalle, si stava insinuando nelle grazie di Adele. Sol aveva affidato a Gavril un progetto che riguardava la purificazione del recettore degli oppiacei in sé, un problema che non era riuscito a risolvere con i metodi preistorici in uso a quei tempi. Dopo aver fatto un buco nell'acqua, Gavril aveva cominciato a esplorare il modo in cui alcune delle sostanze chimiche di uso comune influenzavano la formazione del recettore degli oppiacei, e così aveva modo di tenere a sua disposizione Adele, quando non era occupata con gli esperimenti che le avevo assegnato io. Da principio tentai di ignorare quell'intrusione in un territorio che consideravo mio, concentrandomi piuttosto sul tentativo di convalidare il mio metodo per distinguere agonisti e antagonisti in provetta. I risultati che ottenni erano buoni, e ancora una volta Sol fece salti di gioia. Le applicazioni possibili per quel nuovo sistema di verifica erano enormi: significava che ormai era possibile controllare una quantità minuscola di qualsiasi sostanza chimica non ancora testata per accertarne la capacità di fungere da agonista o da antagonista impiegando un solo giorno, anziché settimane o addirittura mesi, come avveniva prima. Potevo indicare con estrema rapidità e precisione in

103

Page 104: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

quale punto dello spettro compreso fra agonista e antagonista si collocava un certo oppiaceo. Le società farmaceutiche fiutarono subito il vento che soffiava nel nostro laboratorio e andarono in tilt, perché a quell'epoca erano alla ricerca di sostanze «miste agoniste/antagoniste», vale a dire sostanze che si comportassero da agonisti in un esperimento e da antagonisti in un altro. Secondo i loro esperti, quelle sostanze avevano un potenziale incredibile come analgesici oppiacei non suscettibili di causare dipendenza. Per una società farmaceutica era l'avverarsi di un sogno! Fui felice di vedere Sol ballare di gioia mentre gli consegnavo le diapositive che dimostravano l'attività intrinseca e l'efficacia di queste sostanze, di cui l'industria farmaceutica ci aveva fornito dei campioni da testare con le mie nuove tecniche. Nello stesso tempo, però, una parte di me era turbata al pensiero che non potevo mai voltare le spalle a Gavril, che si dava da fare con le sue provette, combinando chissà cosa con il mio recettore degli oppiacei. Sapevo che qualcosa bolliva in pentola, e questo mi innervosiva. Adele era sempre più ai suoi ordini e Sol, quando protestavo, si stringeva nelle spalle senza rispondere. Tentai di convincermi che non significava nulla, ma dopo tutto Adele era così efficiente, e l'analisi del recettore degli oppiacei così semplice, che, anche dividendosi fra me e Gavril, le restava ancora del tempo libero. Invece no, c'era qualcos'altro, e i miei sospetti continuavano ad aumentare. Non passò molto che ricevetti la notizia: adesso era Gavril, anziché io, a restare chiuso per ore insieme a Sol nel suo studio, in teoria per scrivere un articolo sulle sue scoperte. Quando uscirono dalla clausura, Sol mi pregò di dare una rapida lettura critica al testo, perché prevedevano di sottoporlo a Science il giorno dopo. Una rapida occhiata mi fece capire che Gavril intendeva sostenere che l'EDTA, o acido etilendiamminotetracetico, un componente delle soluzioni da lui usate per l'analisi, agiva allo stesso modo del sodio e aveva la stessa capacità di discriminare fra oppiacei agonisti e antagonisti. Portai a casa la stesura provvisoria dell'articolo, meditandoci su per tutta la notte, con la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava,

104

Page 105: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

ma senza riuscire a riconoscere di che cosa si trattasse. La mattina dopo mi stavo ancora scervellando quando affrontai il tragitto quotidiano di quarantacinque minuti fino a Baltimora. Ci arrivai proprio mentre uscivo dall'autostrada: l'EDTA aveva una carica negativa, e quindi era necessario uno ione positivo per bilanciare il cristallo. Lo ione equilibratore doveva essere di sodio! Non vedevo l'ora di arrivare in laboratorio per controllare la bottiglia di reagente e vedere confermati i miei sospetti. Infatti avevo ragione: l'etichetta diceva EDTA sodico. Gavril aveva scambiato l'EDTA come agente nel caso in questione, mentre in realtà il responsabile era il sodio presente nella soluzione, e così facendo aveva dimostrato involontariamente la validità della mia tesi. Se fossi stata meno competitiva, forse gli avrei offerto gentilmente un suggerimento: «Ehi, voi altri fareste bene a controllare. Ho il sospetto che sia il sodio, e non l'EDTA,il vero responsabile della discriminazione nell'azione del legante... » Invece, con gioia maligna, mi accaparrai Adele per incaricarla di un rapido esperimento, confrontando le capacità discriminanti del cloruro di sodio, dell'EDTA sodico e dell'EDTA non sodico. L'EDTA da solo non ottenne alcun effetto, mentre ebbero la meglio le miscele contenenti sodio. E soltanto allora entrai nello studio di Sol, sbattendo sulla sua scrivania la tabella con i dati dei miei esperimenti come se fosse l'asso di picche. «Dovresti controllare meglio il lavoro di Gavril », annunciai. Sol alzò gli occhi su di me, chiaramente sconcertato. «Per poco non avete perso la faccia, con quell'articolo.» Da allora, il recettore degli oppiacei fu tutto per me. Avevo vinto la battaglia, ma da quel momento Sol non mi trattò più come prima. Ero scesa in campo per battermi con i maschi ad armi pari e ne ero uscita vittoriosa: ero una nuova potenza con la quale fare i conti. Da allora, agli occhi del mio maestro, non potevo più essere la «dolce bambina» innocente di un tempo.

La nostra attenzione continuava a essere calamitata dai numerosi misteri che restavano ancora da svelare riguardo al recettore degli

105

Page 106: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

oppiacei. Sebbene l'immagine dominante del recettore fosse quella di una serratura che si apriva solo quando si inseriva la chiave giusta, ovvero il legante, cominciavo a rendermi conto che la metafora non era troppo calzante. L'idea di una serratura, con la relativa chiave, era troppo statica, non abbastanza dinamica, una descrizione più appropriata a un modello meccanico di tipo newtoniano che ai fatti come li vedevamo adesso. Prendevo sempre più coscienza della realtà che il recettore cambia forma, oscillando dall'una all'altra di una gamma di configurazioni predominanti, il tutto sempre vibrando e oscillando ritmicamente al suono di una chiave melodica ancora sconosciuta. Oltre a studiare l'azione del recettore, un altro compito che avevo in laboratorio era raccogliere i dati relativi alla distribuzione dei recettori degli oppiacei nel cervello. In quali punti erano più fitti, e in quali più radi? Inoltre m'incuriosiva il modo in cui il recettore degli oppiacei si era evoluto nel tempo, e quindi tentai di misurarne la presenza nel cervello dei vertebrati, a cominciare dal missinoide, un pesce dall'aspetto mostruoso che rappresenta la forma più elementare di vertebrato, per risalire poi con grande scrupolo tutta la catena evoluzionistica, passando dai serpenti agli uccelli e ai ratti, fino alle scimmie. Tutti quanti presentavano i recettori degli oppiacei, il che significava che questa molecola si era conservata nel tempo, attraverso ere di evoluzione, e quindi probabilmente rivestiva un'importanza fondamentale per la sopravvivenza dell'organismo. Sapevo che sarebbe venuto il giorno in cui avrei dovuto cercare il recettore degli oppiacei nel cervello umano, ma ero del tutto impreparata quando Sol mi convocò nel suo ufficio, una mattina di primavera del 1973, per dirmi che dovevo mettermi subito in contatto con l'obitorio della città di Baltimora. Aveva sentito dire che un concorrente progettava di pubblicare i dati ricavati da uno studio dei recettori degli oppiacei nel cervello umano, mentre l'ultimo articolo che avevamo appena preparato per la rivista Nature conteneva solo dati relativi al cervello delle scimmie. Sol voleva che andassi a procurarmi dei cervelli umani per sottoporli all'analisi e mettere insieme al più presto dei dati da aggiungere all'articolo prima che fosse stampato

106

Page 107: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sulla rivista. Per una settimana telefonai all'obitorio ogni giorno all'alba, finché mi sentii rispondere che c'erano tre cervelli umani ancora caldi, pronti per essere prelevati. Quando arrivai all'obitorio, l'addetto al reparto patologia m'indicò una sala nella quale vidi tre cadaveri nudi, stesi su altrettanti tavoli, ai quali non era stato ancora asportato il cervello. Uno, mi spiegarono, apparteneva a un uomo che era morto sul colpo quella mattina mentre giocava a tennis, e gli altri due erano del proprietario di una rivendita di alcolici e del giovane che aveva tentato di rapinarlo. La sparatoria che ne era seguita era costata la vita a entrambi, ma mi aveva assicurato il materiale necessario per esaudire la richiesta di Sol. il cuore mi batteva forte mentre il patologo si metteva al lavoro, sistemando finalmente un cervello in ciascuno dei tre contenitori refrigeranti che avevo portato con me. Lo ringraziai con calma, come se per me veder asportare il cervello dal cadavere di un uomo nudo fosse uno spettacolo abituale. Dopodiché seguimmo una routine ormai consolidata. Mike Kuhar, un ex allievo di Sol che si era laureato con lui e adesso era assistente di neuroanatomia alla Hopkins, sezionò i cervelli in un locale refrigerato. lo rimasi a guardare mentre asportava dei lembi di tessuto da ciascuna delle sezioni principali: lobo frontale, ipotalamo, chiasma ottico, cervelletto, amigdala, eccetera. Spettava poi a me pesare ogni campione e sistemarlo in una provetta, aggiungendo una quantità di liquido sufficiente perché Adele potesse frullare la miscela fino a ottenere un frappé spumeggiante con il Polytron, una macchina incredibilmente costosa che produceva un rumore assordante. Una volta liquefatta, la mistura veniva spruzzata di naloxone radioattivo, tenuta in incubazione per un'ora e poi sottoposta a un procedimento di filtraggio. I filtri carichi di sostanza cerebrale venivano quindi inseriti nel contatore per accertare in quale misura il naloxone radioattivo si fosse effettivamente legato ai recettori. Ricordo che restai nel locale di conteggio fino a tarda sera, ascoltando lo scricchiolio e il tintinnio metallico della macchina. Quando ne uscii, il

107

Page 108: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

laboratorio era silenzioso:erano tornati tutti a casa, e toccava a me fare le pulizie. Più di una volta, in laboratorio, ho avuto l'impressione di accostarmi al mistero; mai, però, con maggiore chiarezza di quella sera, quando rientrai nel locale refrigerato e vidi i resti di quei tre cervelli umani, che, pur pesando meno di un chilo e mezzo ciascuno, quand'erano in vita racchiudevano un universo intero, mentre dopo la morte sembravano poco più che carcasse di tacchino spolpate a metà, in attesa di essere gettate nella spazzatura. La fragilità della vita, la spietata freddezza della scienza, la follia e la bellezza di tutta l'esperienza umana mi commossero, toccando una corda emotiva con tanta intensità che mi sembra ancora di avvertirne le vibrazioni. Dopo aver completato le pulizie, chiusi il laboratorio per la notte e andai a casa. La mattina dopo ero già al mio banco di lavoro, intenta ad annotare sul registro i numeri rilevati dal contatore, quando Mike entrò a passo di valzer, posando sul banco davanti a me una copia aperta del Baltimore Sun. Indicò un articolo in prima pagina, che forniva i dettagli della rapina al negozio di liquori del giorno prima, descrivendo il proprietario e riportando le dichiarazioni dei parenti addolorati, insieme a una sua foto che risaliva a tempi più felici. A me riusciva difficile fare quello che alla maggior parte dei miei colleghi pareva tanto naturale, e cioè mantenere le distanze dall'elemento umano. Guardai la foto di quell'uomo e poi le cifre sul registro, chiedendomi come avrebbe reagito se avesse saputo che avevamo ricavato un frullato dal suo cervello; tenuto conto di ciò che aveva fatto al giovanotto che aveva tentato di rapinarlo, probabilmente non sarebbe stato troppo cordiale. In ogni caso, speravo che sarebbe stato felice di contribuire così alla lotta contro la tossicodipendenza. Appena raccolti i dati, rimasi a guardare mentre Sol chiamava Walle Nauta, al MIT, per leggergli a voce alta i numeri. Nauta, il decano dei neuroanatomisti americani, fu in grado di analizzare i dati e di indicarci, dopo qualche minuto di esame delle cifre, in quale parte dell'anatomia del cervello avevamo riscontrato i segnali più forti.

108

Page 109: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«Walle dice che è una configurazione limbica», mi riferì Sol. A quanto pareva, i recettori degli oppiacei erano concentrati soprattutto nel sistema limbico, la parte del cervello nota tradizionalmente per la presenza dei circuiti emozionali. Ripensando a quel momento, mi rendo conto che quello sarebbe dovuto essere il primo indizio nella ricerca che infine mi avrebbe condotto a formulare la teoria che spiega la biochimica delle emozioni. Invece a quell'epoca restai così colpita dalla capacità di Walle Nauta di guardare i numeri che gli avevamo fornito e tradurli in un'immagine del cervello, che mi sfuggì del tutto il significato della configurazione limbica: non riuscivo a immaginare nulla di più spettacolare di una simile padronanza di dati tanto complessi! La mia attenzione era così concentrata sulla comprensione dei livelli cellulari e molecolari del cervello da perdere di vista la prospettiva più ampia, l'idea che i recettori potessero far parte di una rete progettata allo scopo di gestire una facoltà così essenziale per l'organismo -le emozioni - che doveva senz'altro avere delle ripercussioni profonde sul funzionamento di quell'organismo. Le emozioni, liquidate così spesso dagli scienziati come un fattore impalpabile, ammesso che venissero prese in considerazione, dovevano pur avere una qualche importanza: ma in che modo, non avevo neanche cominciato a domandarmelo. C'era qualcosa che sapevamo con certezza, ma non eravamo ancora riusciti a dimostrare, e cioè che il recettore degli oppiacei aveva molto a che vedere con il continuum piacere/dolore dell'organismo, che a sua volta, ne eravamo certi, era essenziale per la sopravvivenza dell'organismo. Fin dagli anni '50, gli psicologi behavioristi avevano ricostruito il diagramma dei nervi che trasmettevano il dolore dall'epidermide al cervello, dove le relative informazioni venivano elaborate nei centri del dolore. Avevano scoperto infatti che, stimolando elettricamente questi centri nei ratti, si otteneva un comportamento che rivelava dolore. Inoltre avevano accertato che altri punti del cervello elaboravano le sensazioni di piacere e che, se al ratto venivano applicati degli elettrodi che gli consentivano di stimolarsi, continuava a farlo per ore, fino a crollare esausto. Ora ci stavamo

109

Page 110: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

chiedendo quale fosse il ruolo svolto dal recettore degli oppiacei in questo continuum, e la nostra intuizione era che, seguendo la pista del recettore, saremmo arrivati ad avere una chiara comprensione della rete cerebrale che controllava piacere e dolore. Una mattina, mentre uscivo di casa per andare in laboratorio, Agu mi gridò dietro: «Oggi, quando sezionerete quei cervelli di scimmia, non dimenticarti di controllare il PAG in cerca di recettori degli oppiacei». Agu aveva letto su una rivista scientifica che alcuni scienziati cinesi avevano ricostruito il percorso della morfina fino a un sito attivo del cervello, chiamato in gergo PAG (sigla che sta per periaqueductal gray), che si trova intorno al cosiddetto «acquedotto di Silvio», fra il terzo e il quarto ventricolo del mesencefalo, ed è un punto nodale in cui convergono molti nervi deputati all'elaborazione delle informazioni. Benché non sia considerato tradizionalmente parte del sistema limbico, possiede indubbiamente dei canali neuronali che lo collegano al sistema limbico. Agu era riuscito a trovare conferma alle osservazioni dei ricercatori cinesi nel corso degli esperimenti di mappatura del cervello su base comportamentale che stava compiendo nel laboratorio dell'arsenale militare di Edgewood, e inoltre eravamo al corrente del fatto che John LiebesKind e Huda AKil, dell'università della California (UCLA), avevano pubblicato dati dai quali si poteva ricavare che certi tipi di stimolazione elettrica del PAG potevano causare l'emissione di un fattore simile alla morfina. I nostri test di laboratorio confermavano senza ombra di dubbio che il PAG era una zona in cui i recettori degli oppiacei raggiungevano una concentrazione elevata, e Agu aveva dimostrato che era l'area del cervello in cui si determina la percezione del dolore, o meglio, in cui si fissa la soglia del dolore. Quell'ultimo esperimento attirò l'attenzione di molti, fra cui un inglese che si chiamava John Hughes e lavorava nel laboratorio dell'università di Aberdeen diretto da Hans Kosterlitz, mio anfitrione a Chapel Hill e segreto (ma indiscreto) ricercatore del legante endogeno del recettore degli oppiacei. Hughes, che a detta di Kosterlitz era un giovanotto brillante, era entrato da poco a far parte del suo laboratorio,

110

Page 111: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

dedicandosi al tentativo di isolare dal cervello dei maiali una sostanza che sembrava agire in modo simile alla morfina su determinati tessuti. Hughes cominciava a chiedersi se era possibile individuarla. Era forse questa la morfina naturale del corpo?

La gara

La frenesia che accompagnava la ricerca della morfina endogena secreta dal cervello somigliava a quella che si scatena sbandierando un filet mignon davanti a un branco di cani affamati. Prima che la competizione culminasse in una scoperta importante, nei circoli scientifici circolava più adrenalina di quanta ne scorra nelle vene dei piloti della Cinquecento Miglia di Indianapolis. Sulle due opposte sponde dell'Atlantico, i laboratori erano in attività ventiquattr'ore su ventiquattro per arrivare primi al traguardo. D'altra parte il lavoro intrapreso da Hughes richiedeva un enorme dispendio di tempo e di energie, esattamente agli antipodi dello stile che Sol mi aveva insegnato alla Hopkins. Hughes faceva visita ogni giorno a un mattatoio locale per acquistare carriole piene di cervelli di maiale, che poi trasportava in laboratorio. Qui li riduceva in proteine e sali, trattando con l'acetone la massa maleodorante per dissolvere il grasso che lasciava poi evaporare, sciogliendo di nuovo il residuo con vari solventi fino a ricavarne una sostanza gialla dalla consistenza simile a cera. Un momento di trionfo giunse per Hughes quando fu in grado di dimostrare che l'estratto così ottenuto agiva sull'organismo allo stesso modo della morfina e veniva bloccato dal naloxone; e ci riuscì dimostrando che nei topi un muscolo liscio chiamato vas deferens si contraeva in presenza del materiale misterioso, causando spasmi che si potevano placare con il naloxone. Ora Hughes aveva ideato un metodo per purificare l'estratto e un tipo di analisi in grado di dimostrarne

111

Page 112: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

l'attività; ma fin quando non fosse riuscito a ricostruire la sequenza molecolare e scriverne la struttura, la gara restava aperta. Come ho accennato prima, al ritorno dalla riunione del Club degli Oppiacei che si era tenuta a Chapel Hill nell'estate del 1973, avevo informato Sol delle attività in corso nel laboratorio scozzese, e così decidemmo di invitare Kosterlitz e Hughes a un piccolo convegno sulla neuroscienza che stavamo organizzando per il maggio 1974 in un elegante edificio di Boston. Il convegno, ristretto ma ben selezionato, rientrava in una serie di incontri destinati a riunire ricercatori all'avanguardia per discutere di vari argomenti in modo collegiale. Poco dopo la conclusione del convegno, sul Neuroscence Bulletin sarebbe stata pubblicata una scheda che sintetizzava i risultati degli incontri. Pur non essendo una rivista scientifica a cadenza regolare, il Neuroscience Bulletin era considerato una sede scientifica qualificata per avanzare una solida rivendicazione, nel caso Hughes intendesse presentare al pubblico il suo lavoro e volesse vederlo stampato. Nello scambio epistolare che ebbi con lui prima del convegno, assicurai a Hughes che, se al convegno decideva di rivelare tutto sulla sostanza simile alla morfina, poteva farlo tranquillamente, senza tema di subire lo scoop di un rivale, perché la pubblicazione avrebbe confermato il suo primato nel settore. Hughes aveva buoni motivi per esitare. Dopo aver battezzato la nuova sostanza col nome di encefalina, era riuscito a ricostruirne la struttura chimica soltanto in parte, senza ottenere risultati sufficienti a metterne per iscritto la formula completa. Per lui, presentare al nostro convegno i risultati più recenti, ma ancora incompleti, della ricerca poteva essere una mossa disastrosa, tenuto conto della reputazione da squalo di Sol e del fatto che intendeva partecipare al convegno anche Avram Goldstein, il quale seguiva da anni la pista della morfina endogena all'organismo umano. Fidandosi di me, Hughes decise di esporre i risultati dei suoi esperimenti al convegno di Boston. Nel suo discorso rivelò di non essere riuscito a ricostruire la struttura completa della sostanza, ma di avere

112

Page 113: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

svolto un lavoro sufficiente a fargli capire che l'encefalina era comunque un peptide molto piccolo. Nell'attimo stesso in cui scese dal podio riservato agli oratori ebbe inizio l'esodo dalla sala, con gli spettatori che si precipitavano verso i telefoni per chiamare il loro laboratorio e annunciare la notizia. Un peptide! La rivelazione che l'encefalina era un peptide consentiva di tentare una quantità di applicazioni ingegnose. Avram Goldstein, tanto per dirne una, era ansioso di trovare la fonte del misterioso legante e, visto che la ghiandola pituitaria era una fonte ricca di numerosi peptidi, cominciò a fare incetta di estratto pituitario, che acquistava da impianti per l'inscatolazione delle carni. Assistendo a quella scena mi sentii un verme al pensiero che avevo attirato in trappola Hughes, guidandolo come un agnello al macello; ma nello stesso tempo compresi che quella partita si giocava così. E del resto, perché no? Per quale motivo Hughes doveva essere libero di svolgere una ricerca senza limiti di tempo per giungere a una grande scoperta della quale avrebbero potuto beneficiare milioni di persone? In effetti, l'approccio adottato da Goldstein portò infine alla scoperta di parecchie forme del tutto nuove, e molto importanti, di peptidi oppiacei naturali. Il giorno dopo il nostro rientro alla Johns Hopkins, Sol ci allineò in formazione di combattimento per dare inizio alla ricerca della struttura molecolare dell'encefalina, che era ancora misteriosa. Partecipando alla riunione e ascoltando Sol che delineava la sua strategia, mi resi conto che i miei conflitti interiori si acutizzavano. Non riuscivo a ignorare la sensazione viscerale che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato. Potevo senz'altro simpatizzare con il desiderio di Sol di vincere la gara, ma quel segno evidente di scarso rispetto per l'integrità del lavoro di Hughes mi dava la nausea. Ero troppo sconvolta per intervenire, e così tenni per me le mie convinzioni. Il disgusto era dovuto in parte anche al fatto che in quel periodo ero incinta della mia secondogenita, Vanessa, ma il problema non era costituito dalle nausee mattutine, bensì dal fatto che gli ormoni della gravidanza sembravano avermi privata del solito spirito competitivo.

113

Page 114: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Quello che volevo fare, in realtà, era uscire dalla corsia di sorpasso e lavorare a qualche altro incarico fino alla nascita della bambina. Il giorno dopo la riunione, informai Sol che avevo deciso di passare la mano, anche se sapevo che questo avrebbe significato perdere Adele. Ormai mi ero assicurata il dottorato grazie al lavoro relativo al recettore delle sostanze oppiacee, e mi restava da cominciare l'addestramento successivo al dottorato. Un progetto che mi interessava molto era lavorare con Michael Kuhar per ideare un metodo che ci consentisse di visualizzare la distribuzione dei recettori degli oppiacei nel cervello. Mi affascinava la possibilità di ottenere un'immagine visiva di ciò che Walle Nauta aveva letto nelle cifre, cioè la posizione esatta dei recettori degli oppiacei nel cervello; e Sol decise di lasciarmi fare. Ormai erano finiti i giorni in cui potevo crogiolarmi al calore del sole dell'attenzione di Sol. Ora il progetto più importante per il laboratorio era la gara per arrivare primi a scoprire la struttura chimica degli oppiacei naturali del cervello, e io ero tagliata fuori. A poche settimane di distanza dall'annuncio fatto da Hughes alla conferenza di Boston, Sol e il suo allievo Gavril si servirono delle procedure dei peptidi per estrarre dal cervello una sostanza che battezzarono MLF, cioè morphinelike factor, fattore simile alla morfina, anche se non erano neppure in grado di scriverne la formula. Quel lavoro, svolto nel laboratorio di Sol alcune settimane dopo il convegno di Hughes, fu pubblicato nello stesso numero di Neuroscience Bulletin sul quale Hughes riferiva la sua scoperta, dando l'impressione che i due laboratori avessero condotto la ricerca contemporaneamente. Mi sentii di nuovo in imbarazzo per aver indotto Hughes ad annunciare apertamente le sue scoperte, e rimasi scossa nel rendermi conto che Sol era disposto a ricorrere a mezzi così estremi per dare l'impressione di essere testa a testa con Hughes. Eppure era così che lavoravano Sol e i suoi allievi. Per tutto quell'anno e parte del successivo lavorarono con accanimento sull'MLF, ma senza riuscire a decifrarne la struttura molecolare.

114

Page 115: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

La lepre diventa tartaruga e si ritira dalla corsa

Il lavoro mi sembrava molto meno eccitante, privo com'era delle punte di drammaticità che avevano accompagnato la ricerca del legame endogeno, ma d'altronde, tutta circondata com'ero da un'aura di serenità, ero soddisfatta di procedere al mio ritmo naturale. Cercare di ovviare ai numerosi inconvenienti tecnici che comporta il tentativo di ottenere una radiografia chiara dei recettori degli oppiacei nel cervello era di gran lunga il lavoro più tedioso e pignolo che avessi mai svolto: il progetto ideale per una donna incinta che aveva tutto il tempo del mondo e un'infinità di pazienza. L'autoradiografia, come veniva definita quella tecnica, era usata dagli anni '50, e in sostanza richiedeva che si iniettasse in un animale una sostanza etichettata con un elemento radioattivo, per esempio il naloxone; poi l'animale veniva ucciso e si prelevava un campione del tessuto desiderato per esaminarlo. Esponendola alla pellicola, la sostanza radioattiva doveva apparire come un punto luminoso nel tessuto. La sfida consisteva nel valutare quale percentuale di naloxone radioattivo sarebbe bastata per raggiungere i recettori e fornire così un'immagine precisa. Lavorai a perfezionare con impegno meticoloso tutte quelle procedure tecniche per cinque mesi, al fianco di Mike Kuhar, la cui conoscenza della neuroanatomia costituì un contributo decisivo per il nostro successo. Appena perfezionato il metodo, ci dedicammo a costruire una mappa dei recettori degli oppiacei in tutto il cervello. Lavorai insieme con Joe Coyle, un altro assistente del dipartimento (che ora è direttore del dipartimento di psichiatria all'università di Harvard), utilizzando frammenti di cervello prelevati da ratti che avevano rispettivamente nove, quindici e venti giorni di vita, per costruire pian piano un quadro del modo in cui i recettori degli oppiacei si sviluppavano nel cervello. Ci rendemmo conto che erano concentrati in. aree associate in senso classico con l'emozione, il piacere e il dolore, oltre che con la percezione sensoriale. Quel risultato confermava il lavoro che avevo

115

Page 116: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

compiuto in precedenza, localizzando i recettori nei vertebrati che si sviluppavano in senso evoluzionistico, dai pesci alle scimmie, il che convalidava ai miei occhi l'idea che il sistema che stavamo studiando si era preservato nel corso di ere ed ere di evoluzione, per cui doveva essere il più elementare e fondamentale per la sopravvivenza delle specie. Fornendo un classico esempio di come si acquisisce un ritmo scientifico, appena messa a punto una tecnica cominciammo a sfruttarla appieno, costruendo una banca dati senza pensare troppo al significato che avrebbe assunto in seguito. Cominciavo a capire che la vita in laboratorio può essere un esercizio riservato all'emisfero sinistro del cervello, in cui si passa gran parte del tempo a provare variazioni infinite nel tentativo di far funzionare un esperimento, sperando di ricevere un segnale in mezzo a un oceano di rumore. E poi, una volta captato il segnale, si dedica il resto del tempo a porre tutte le domande che la nuova scoperta ci consente di formulare. Questo procedimento può andare avanti per anni, e spesso è proprio così che vanno le cose, tenendo occupati noi scienziati nel nostro mondo di laboratori.

Vanessa nacque nella primavera del 1975 e io, dopo aver trascorso qualche tempo in casa per stabilire fra noi un legame profondo e avviarla alla routine dell'allattamento al seno, tornai nel laboratorio di Sol per concludere durante l'estate il mio lavoro di postdottorato. Nel mese di giugno accompagnai Sol e Gravril alla riunione annuale del Club degli Oppiacei, che ora si chiamava ufficialmente Conferenza (anziché Circolo) internazionale per la ricerca sui narcotici e si teneva ad Airlie House, in un sobborgo di Washington. Mi presentai a quel convegno, della durata di due giorni, munita di diapositive che avevo preparato per presentare per la prima volta l'autoradiografia dei recettori degli oppiacei, nonché di una batteria completa di sacchetti Playtex vuoti, che avevo progettato di riempire di latte per la neonata rimasta a casa. La decisione di lasciare Vanessa affidata alle cure di una bambinaia era stata difficile. Sapevo che il convegno si sarebbe svolto in un'atmosfera di tensione, perché era imminente la relazione di Hughes

116

Page 117: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sulla struttura molecolare dell'encefalina, e una folla di concorrenti si teneva pronta a scattare in avanti per rivendicare quel primato. Immaginavo quale clima di frenesia dettata dal testosterone avrebbe caratterizzato il convegno e non avevo voglia di esporre la bambina appena nata al clima teso di un ambiente del genere. Nello stesso tempo, in modo quasi paradossale, volevo tenermi pronta a balzare nella mischia anch'io per attaccare battaglia con i ragazzi; ma, se volevo presentare una facciata di forza, farmi vedere con una neonata che succhiava il latte dal seno non era la strada giusta. Era una situazione che non riuscivo neanche a immaginare. Al convegno restai in disparte a osservare quello scontro fra titani. Ognuno dei ricercatori in lizza presentava la sua versione del legame endogeno degli oppiacei, contendendo furiosamente il primato a tutti gli altri. Dire che i ragazzi cominciavano a diventare tesi, mentre se ne stavano schierati in fila, sarebbe stato un eufemismo. Il primo a parlare fu Gavril, rivelando le scoperte fatte da lui e Sol senza concedere il giusto credito agli sforzi compiuti da pionieri come Hughes e Kosterlitz. Fu rimbrottato subito da Kosterlitz, che balzò in piedi furibondo, esigendo delle scuse e una corretta presentazione dei fatti. Gavril, diventando tutto rosso, rispose che nella sua relazione non aveva avuto il tempo di nominare i componenti dell'équipe di ricerca scozzese, ma li aveva citati nel testo completo presentato per la pubblicazione negli atti. Provai piacere nel vedere umiliato il mio antico rivale, tanto ero coinvolta nel dramma della competizione, nel desiderio di vincere; eppure sapevo bene quale ruolo avevo interpretato io stessa nel piano per sottrarre a Kosterlitz la sua arma segreta. Il momento culminante del convegno venne quando John Hughes, durante la sua relazione, strappò con un gesto drammatico la busta di un telegramma appena arrivato (quelli erano tempi in cui non si usava ancora il fax) per annunciare in tono trionfale l'esito dell'ultima analisi del contenuto di amminoacidi dell'estratto di encefalina. Tuttavia non aveva ancora ricostruito la sequenza completa necessaria per scrivere la formula: per quello avremmo dovuto aspettare ancora sei mesi.

117

Page 118: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Nuovi orizzonti

Venne il giorno in cui, dopo che avevo completato la mia tesi di postdottorato, giunse per me il momento di lasciare l'università Johns Hopkins e trovarmi un vero lavoro. Sol, che, a differenza di molti direttori di laboratorio, si faceva un vanto di trovare ai suoi allievi la migliore posizione possibile, condusse una campagna incredibile a mio favore, sfruttando la sua influenza per procurarmi un'offerta da parte del National Institutes of Health, di cui gli fui molto grata. Grazie al lavoro sugli oppiacei, comunque, scoprii ben presto di essere molto richiesta: una dozzina di università mi offrirono posti di docente. Alla fine decisi di accettare l'offerta del National Institutes of Health, in parte perché Agu si vide offrire un posto anche lui, ma soprattutto perché il mio desiderio più ardente era fare ricerca pura, e all'istituto non mi avrebbero chiesto di tenere corsi o scrivere consulenze o seguire il lavoro degli studenti. Era tempo di lasciare il nido, un momento che non è mai facile né per i figli né per i genitori. Mi sembrava di essere un'adolescente brillante ma goffa, che veniva estromessa un pò troppo in fretta dalla propria casa scientifica, eppure ero ansiosa di affrontare le avventure che mi aspettavano. Quello che stava avvenendo era un classico addio tra mentore e discepolo, tra padre e figlia. Man mano che si avvicinava il momento del distacco, fra Sol e me si creava una tensione palpabile, tensione che sembrava accentuata dal fatto che lui e io avevamo in comune un legame non genetico ma scientifico. C'erano anche altre componenti, però. L'ultimo giorno, quando andai a salutare Sol nel suo ufficio, ricordo che eravamo tutt'e due goffi e imbarazzati da quello scambio di banalità, senza che nessuno dei due dicesse quello che sentiva davvero. Tutt'a un tratto mi disse, in tono assolutamente definitivo: «Candace, voglio che tu mi prometta che nel tuo nuovo posto di lavoro non studierai i recettori degli oppiacei».

118

Page 119: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Mi sentii sprofondare, in preda a uno stupore assoluto. Anche se in realtà non avevo pensato ancora a quello che avrei fatto, quella richiesta mi sembrava ingiusta e addirittura crudele. Mi lasciai sfuggire un grugnito, mormorando parole incoerenti che in apparenza soddisfecero Sol, affrettandomi a uscire prima che potesse chiedermi di firmare sulla linea tratteggiata. In seguito mi domandai per quale motivo Sol non voleva che lavorassi sui recettori degli oppiacei. L'avevo forse eclissato con le numerose apparizioni ai congressi, che avevano fatto di me una star mentre lui restava nell'ombra? D'improvviso mi tornò alla mente un episodio che mi era sembrato privo di senso quando si era verificato, qualche mese prima. lo ero seduta sulla centrifuga nella sala dei conteggi e stavo parlando con Sol, che aveva l'abitudine di contorcersi per appoggiare il gomito sul ginocchio, sorreggendosi il mento con la mano (per riflettere meglio, presumo), quando c'era stata una pausa nel discorso durante la quale mi aveva fissato intensamente per un minuto buono. Come se mi avesse appena visto sotto una luce nuova e sconcertante, mi aveva chiesto: «Hai mai sentito nominare Il Principe di Machiavelli?». Ora, le scienze politiche non sono mai state il mio forte, ma ricordavo vagamente che Il Principe era un classico, scritto nel Cinquecento per istruire i principi dell'epoca sul modo migliore di usare tutti i mezzi a loro disposizione per procurarsi il potere e manipolare le masse. Non immaginavo per quale motivo Sol dovesse nominarlo proprio in quel momento. «Dovresti leggere il capitolo che parla di uccidere il re», aggiunse in tono secco, raddrizzandosi. Poi, guardandomi negli occhi: «Se qualcuno ha intenzione di uccidere il re, non può limitarsi a ferirlo, ma deve andare fino in fondo e farla finita». lo l'avevo fissato senza capire, non avendo idea di che cosa volesse dire. In seguito, riflettendo sull'incidente, mi domandai se non ero stata troppo aggressiva quando avevo chiesto di essere indicata fra gli autori in un articolo che riassumeva il lavoro svolto insieme e che doveva apparire sul numero successivo di Scientific American. Non mi restava

119

Page 120: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

che un'idea insidiosa e fastidiosa: la mia crescente ambizione cominciava forse a diventare una minaccia per Sol?

120

Page 121: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

5

Vita a Palazzo

Il Palazzo

Arrivai a Bethesda nel settembre del 1975, per cominciare a lavorare come collaboratrice fissa nella sezione di biochimica e farmacologia della sezione di psichiatria biologica del National Institute of Mental Health (NIMH). Questo istituto era una sussidiaria dell'ente principale, il National Institutes of Health (NIH). Nel periodo che vi ho trascorso, dal 1975 al 1987, ho pubblicato oltre duecento articoli scientifici e, per qualche tempo, sono stata la scienziata più citata del NIMH. Benché gran parte del mio successo si possa far risalire al metodo e alle tecniche da me inventate, occorre riconoscere una parte di credito al fatto che mi sono trovata nel posto giusto al momento giusto. Il campo dei recettori stava esplodendo proprio alla fine degli anni '70, epoca in cui ogni mese si identificavano nuovi neurotrasmettitori, in gran parte peptidi, insieme con i loro recettori. Il National Institutes of Health, che sorge su alcune centinaia di acri coltivati a prato in un sobborgo di Washington, D.C., è la casa madre della ricerca biomedica ad alto livello finanziata dal governo degli Stati Uniti, che utilizza i dollari delle tasse per sostenere la ricerca di risposte a tutti i grandi interrogativi legati alla salute e alla malattia. Anche se gran parte del bilancio del NIH viene gestito attraverso università e istituti di ricerca sparsi in tutto il paese, la sede centrale è qui, dove sorgono laboratori e uffici, ospitati in sessantacinque edifici di mattoni, con circa tredicimila dipendenti divisi fra ottanta divisioni sussidiarie, una delle quali è appunto il National Institute of Mental Health. Durante i tredici

121

Page 122: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

anni che ho trascorso al NIMH come ricercatrice, ho sempre definito tutto il complesso col soprannome «il Palazzo», in parte per affetto, perché era davvero l'avverarsi di un regno di sogno, un'autentica Versailles, opulenta nella libertà apparentemente infinita di compiere ricerche, in parte con ironia, a causa della rigida gerarchia politica e dei confini nettamente definiti che separavano le discipline, delimitando il terreno. Sembrava che l'insistenza del vecchio paradigma sulla separazione di un sistema biologico dall'altro, oltre che della mente dal corpo, avesse basi solide come i vecchi edifici di mattoni nei quali si svolgevano le ricerche su quei sistemi. La scienza come fenomeno interdisciplinare e interdipartimentale era un concetto per il quale al NIH non era ancora venuto il momento giusto. Ancora oggi, un visitatore casuale si accorgerebbe subito della rigida divisione gerarchica che vige a Palazzo, un aspetto evidenziato in modo visibile dal rispetto di un codice di abbigliamento discreto ma onnipresente. In fondo alla scala si trovano coloro che lavorano di muscoli e si spostano in gruppi, indossando tute di un azzurro o di un arancio intenso e camminando su e giù per i corridoi a tutte le ore del giorno e della notte, per riparare i molti sistemi vitali che costituiscono le infrastrutture dell'istituto. Sul gradino superiore ci sono i tecnici di laboratorio in camice, gli assistenti come Adele, che servono gli studenti, per lo più maschi, occupati a svolgere le tesi di postdottorato, i quali a loro volta formano la categoria che si trova un gradino più in alto sulla scala e sono invariabilmente riconoscibili dalle uniformi, composte da jeans, scarpe da ginnastica e T-shirt. Queste ultime due categorie corrispondono alle api operaie, che dominano la massa della plebe e formano un enorme serbatoio di braccia volenterose, menti e cervelli brillanti. Sopra di loro, nella gerarchia, ci sono gli scienziati alfa, cioè gli scienziati anziani in pianta stabile e tutti coloro che aspettano soltanto di occupare posizioni analoghe. Questi ultimi si vestono secondo il proprio gusto personale, esprimendo un individualismo unico e privilegiato. E infine al vertice ci sono i pezzi grossi, principi (fra loro non esistono principesse) e baroni che amministrano il complesso alveare di laboratori, uffici e istituti, controllandone le risorse. Al vertice supremo di questa

122

Page 123: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

piramide si trovano i dottori in medicina, che indossano tutti un completo scuro con cravatta. Esistono poi gli zingari, il cui posto nella scala gerarchica è piuttosto vago, intermedio fra le api operaie e il gruppo degli alfa. Si tratta di un gruppo di ricercatori anziani che non sono mai riusciti a passare allo stato alfa ma sono legati al Palazzo da vincoli indissolubili, ricercatori eccentrici che vagano liberamente da un laboratorio a un istituto, apprezzati per la conoscenza che possiedono del sistema, sul quale con gli anni hanno imparato a esercitare un certo tipo di manipolazione. Alcuni di loro possono anche essersi allontanati per qualche tempo, ma poi hanno provato l'impulso irresistibile di tornare, tanto risulta attraente l'atmosfera del Palazzo, che offre un genere di energia e di eccitazione introvabile altrove nel campo scientifico. Al NIMH, dove lavoravo io, gli alti gradi erano tutti psichiatri, medici il cui settore di ricerca si fermava all'altezza del collo. Gli scienziati alfa, muniti di dottorato come me, lavorano al servizio dei medici, fornendo loro dati da presentare ai numerosi convegni ai quali partecipano in tutto il globo. Uno scienziato, se è saggio, cerca di occupare una nicchia protetta da un medico potente e si accontenta di restarci. Infatti, per quanto possa essere brillante o produttivo, lo scienziato munito di un semplice dottorato non ha la minima possibilità di salire a una posizione tale da poter controllare le risorse; a quel livello accedono soltanto i dottori in medicina. Questo squilibrio intellettuale crea una certa dose di attrito fra le due categorie degli scienziati e dei medici. Il successo dipende spesso da una buona dose di adulazione nei confronti dei superiori, comportamento che non riesce facile a molti scienziati brillanti. Negli anni che ho trascorso in quell'istituto ho visto più d'uno che non era disposto a stare al gioco, di solito perché considerava il proprio superiore un imbecille incapace di riconoscere una scoperta anche se fosse entrata nel suo ufficio mettendosi a cantare. Sebbene la maggior parte dei medici che occupano posizioni elevate nel Palazzo avesse una certa familiarità, sia pure superficiale, con.la scienza sperimentale, pochi di loro erano in grado di compiere di persona degli esperimenti, e spesso trovavano difficile valutare i dati, soprattutto quando due esperimenti fornivano risultati

123

Page 124: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

contrastanti. Eppure erano loro i responsabili, i capi, i detentori del potere, e ho visto più di uno scienziato rientrare frustrato nella sua tana al seminterrato e battere la testa contro i muri a causa di una discrepanza fra quello che il suo capo aveva imparato nella facoltà di medicina e quello che lui aveva visto con i suoi occhi al microscopio. Nel periodo che ho trascorso a Palazzo, da principio come scienziata e poi come capo di laboratorio nella sezione di biochimica del cervello, gli psichiatri che sono stati miei superiori erano uomini che potrei definire medici ricchi di qualità umane. Trasudavano per temperamento una sorta di fascino che, abbinato con la loro acuta capacità di analisi delle dinamiche umane, consentiva loro, se lo desideravano, di salire rapidamente la scala professionale. Li definivo scherzosamente «damerini », per via dei vestiti costosi, dei modi cortesi e degli uffici eleganti. Appena arrivata a Palazzo, notai con piacere che in giro per i corridoi si vedevano almeno tante donne quanti erano gli uomini, ma ben presto mi accorsi che appartenevano quasi tutte alla classe dei tecnici. Ancora oggi sono poche le donne che riescono ad accedere allo stato alfa, dove il premio è un posto fisso, anziché restare nelle trincee, lavorando come schiave a compiti monotoni. La convinzione inespressa che alle donne mancasse la mentalità giusta per fare scienza perché erano troppo emotive costituiva un pregiudizio saldamente radicato nel Palazzo. Comunque, a dispetto dell'atmosfera carica di manovre politiche e stratificazioni sociali, nel Palazzo aleggiava un'innegabile energia ed eccitazione, che resta unica nel mondo della scienza. Del resto è inevitabile che si crei un clima del genere, in un luogo dove le menti più vivaci hanno la possibilità di confrontarsi fra loro avendo a disposizione risorse quasi illimitate e dove alle scintille creative si consente di volare in alto. A quei tempi, qualcosa nell'aria stessa del Palazzo spingeva chi vi lavorava a dare il meglio di sé.

124

Page 125: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Ritorno sulla terra

Il primo anno di lavoro nel Palazzo passò in un lampo, in un turbinio di accordi necessari per mettere su un laboratorio, reclutare una squadra di tecnici e dottori di ricerca, compiere esperimenti e pubblicare articoli. Mi accorsi ben presto che le difficoltà maggiori non riguardavano tanto la scienza, quanto la necessità di imparare ad affrontare la gigantesca struttura burocratica che estendeva i suoi tentacoli ovunque e di trovare un posto da occupare nella complessa scena sociopolitica della vita a Palazzo. Quando arrivai a festeggiare il primo anniversario, la sensazione più intensa che provavo era una gratitudine pura e abbietta per il solo fatto di essere riuscita a sopravvivere. Durante quel primo anno mi sentivo molto nervosa, non sapendo se sarei riuscita a restare ancora la «stella» che ero diventata sotto la tutela del mio maestro Sol. Fino a che punto il mio successo era dovuto al suo appoggio, e in quale misura era stato ottenuto realmente con le mie forze? Anche se i miei nuovi colleghi mi avevano accolto con calore, trattandomi come una specie di prodigio da cui si aspettavano grandi cose, continuavo a sentirmi a disagio. Uno degli aspetti apparentemente insignificanti che derivavano da questa incertezza riguardava gli abiti da indossare sul lavoro, perché mi sembrava che nessuna delle uniformi standard fosse adatta per me. Le poche donne che erano arrivate al mio livello nella gerarchia erano più anziane e appartenevano alla generazione delle «suore della scienza»: la loro divisa non era la mia. Le più giovani erano di solito tecniche di laboratorio o avevano appena ottenuto il dottorato, e sapevo che dovevo distinguermi da loro, se volevo assumere il ruolo che si addiceva alla mia posizione. Mi consultai con un'altra collega appena assunta per decidere in che modo potevamo vestirci comodamente, conservando un minimo di femminilità e riuscendo nello stesso tempo a farci prendere sul serio dai colleghi scienziati. Insieme studiammo un compromesso creando uno stile del tutto nuovo, composto da jeans firmati, completati da camicette alla moda e chiaramente costose.

125

Page 126: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Comunque stabilire un codice di abbigliamento era una questione secondaria, in confronto alla mia prima fatica di Ercole: ottenere un laboratorio in cui poter svolgere il mio lavoro di scienziata. Quando avevo accettato il posto a Palazzo ero convinta che ci fosse già un laboratorio pronto per me: fu uno shock scoprire che ci si aspettava che ne creassi uno letteralmente dal nulla, dato che il territorio a Palazzo era prezioso e c'erano scienziati che si comportavano come aeroplani al di sopra dell'aeroporto John Fitzgerald Kennedy, volando in circolo sul territorio in attesa di atterrare in un laboratorio funzionante. Mi sentii dire che gli ordini di servizio per lo spazio destinato a me erano stati emanati qualche tempo prima, ma i lavori non erano ancora cominciati. Col tempo, venni a sapere che la mia situazione non era insolita e che la maggior parte degli scienziati appena assunti doveva assumersi il carico delle operazioni senza avere una guida. Il sottinteso era che ormai dovevi camminare con le tue gambe e il prezzo della libertà era lo spirito di iniziativa richiesto per far funzionare i nostri progetti. Era una specie di Club Med per scienziati, che offriva un'assoluta immunità dalle considerazioni relative al denaro, con la rara e incredibile libertà di fare quello che eravamo venuti a fare: ricerca pura e del tutto priva di sofisticazioni. Nell'attesa che fossero completati i lavori per il laboratorio, mi parcheggiarono in una stanza vuota della biblioteca. Potevo unire fra loro dei tavoli per creare un banco improvvisato, ma mi creava dei problemi la necessità di svolgere gli esperimenti senza avere accesso all'acqua corrente. La soluzione che escogitai consisteva nel trasportare lungo il corridoio la macchina per il filtraggio, che era estremamente pesante, spingendola fino alla toilette delle signore per vuotarla ogni volta che dovevo filtrare qualche sostanza. In queste condizioni, quasi tutti i primi esperimenti che tentai fallirono e in quei primi mesi vissi alcuni momenti di autentica frustrazione, anzi di disperazione. In quel periodo mi ritrovai spesso a camminare su e giù per i corridoi, controllando i laboratori degli alti papaveri del Palazzo, gli scienziati più anziani che ormai erano leader riconosciuti nel loro campo a livello nazionale. Di tanto in tanto vivevo l'esperienza emozionante di essere

126

Page 127: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

invitata a fare una chiacchierata amichevole, trattata da quegli scienziati eminenti come una collega alla pari. Tentai di non lasciarmi affliggere troppo dal fatto che così pochi di loro erano donne, rassicurando me stessa con l'ingenua e idealistica considerazione che la scienza era davvero una meritocrazia e che, se fossi riuscita a produrre un buon lavoro e a fare esperimenti scientifici importanti, un giorno o l'altro sarei salita anch'io al livello più alto.

In dicembre il mio laboratorio era pronto, anche se era molto lontano da quelli che avevo visitato, tutti estremamente sofisticati. Lo studio era così angusto che, chiudendo la porta, potevo farci entrare a stento una scrivania con due sedie. Agu, che era rimasto anche lui nel limbo per quattro mesi, occupò uno studio altrettanto minuscolo vicino al mio. Anche se eravamo isolati all'estremità più lontana del corridoio 2, nell'ala nord dell'Edificio 10, ci piaceva pensare che insieme avremmo sprigionato un'energia sinergica capace di attirare nella nostra direzione i ricercatori più giovani, dalla mentalità più aperta. Era un terreno potenzialmente fertile, il nostro angoletto del Palazzo,dove si toccavano i confini di due discipline separate, la psicologia di Agu e la neurofarmacologia, che era il mio settore. In quella sistemazione era implicita la promessa di un terreno di ricerca interdisciplinare, relativamente raro nell'ambiente del Palazzo, che era rigidamente suddiviso in compartimenti stagni. Potevo andare alla porta accanto e, bussando, entrare in una prospettiva focalizzata sul comportamento e persino sull'«umore», un termine usato nella psicologia sperimentale che alludeva a «emozione» o «coscienza », campi con i quali la mia specialità non si trovava molto a suo agio. Era una disposizione che incoraggiava la mia tendenza alla collaborazione e ai rapporti interdisciplinari, oltre che il mio interesse per la psiche, la mente.

127

Page 128: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Intrigo

Mi ero insediata nel nuovo laboratorio da poche settimane appena, quando passò a trovarmi Les Iverson, un ricercatore inglese in visita da noi, e uno dei favoriti di Julie. Portò con sé l'articolo sensazionale che Hughes e Kosterlitz stavano per pubblicare (quello al quale ho accennato all'inizio della conferenza) in cui si rivelava la struttura chimica della misteriosa sostanza che avevano battezzato encefalina. Era la stessa sostanza isolata da Sol, che la chiamava MLF pur essendo incapace di scrivere la formula chimica, anche se lui e i suoi collaboratori lavoravano freneticamente per decifrarne il codice. Les aveva ottenuto una copia anticipata dell'articolo perché era uno dei revisori, ma naturalmente non volle lasciarmelo leggere, mostrandomi soltanto il titolo, che era particolarmente stuzzicante: «Isolamento e caratterizzazione chimica dell'encefalina: la morfina prodotta dal cervello, una coppia di pentapeptidi». Per leggerlo avrei dovuto aspettare, come tutti gli altri, la pubblicazione dell'articolo nell'ultimo numero annuale della prestigiosa rivista inglese Nature, nel dicembre 1975. Hughes, che dopo il convegno di Boston era diventato molto più cauto, seguiva una strategia molto diffusa che suggeriva di pubblicare alla fine dell'anno, impedendo così ai concorrenti rotti a ogni astuzia di anticipare in apparenza la scoperta, pubblicando la loro versione in una rivista diversa nell'ambito dello stesso anno. In quel modo qualsiasi ulteriore pubblicazione sullo stesso argomento avrebbe portato una data successiva al 1975. Iverson abitava più avanti lungo la strada, dato che era ospite di Sol e, non appena fu partito per tornare a Baltimora, andai nello studio di Agu. Sapevo che, una volta rivelata la struttura della sostanza, si sarebbe scatenata una corsa agli esperimenti di conferma e il mio laboratorio, insieme con quello di Agu, era perfettamente attrezzato per fare progressi decisivi in quella fase importante della scoperta. Quello che mi serviva era riuscire in qualche modo a mettere le mani sulla formula chimica della struttura il più presto possibile, e poi far sintetizzare la

128

Page 129: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sostanza da un chimico in modo da poterla usare in un esperimento tale da dimostrare, stavolta sul serio, che la sostanza scoperta da Hughes era proprio quella che cercavamo. Dovevamo muoverci in fretta. Se tutto fosse andato bene, avremmo presentato l'articolo alla rivista Science, estremamente diffusa ma politicamente insidiosa; era una scelta azzardata, perché l'élite al potere aveva una salda presa sul processo di revisione e poteva decidere di ignorare la nostra proposta di pubblicazione, per motivi politici. Prenotai una telefonata al mio amico il dottor Jaw-Kang Chang, che, insieme con la moglie, Eng Tau, aveva appena aperto una «boutique» dei peptidi nel garage di casa sua, non lontano da San Francisco. Avevano aperto un piccolo laboratorio commerciale, il primo di una lunga serie di laboratori simili che sarebbero sorti in tutto il paese, equipaggiati con i macchinari e il personale necessario per produrre qualsiasi tipo di peptide in questo campo in rapido sviluppo. Chang era convinto di poter trovare qualche informazione da una fonte segreta e, non appena le avesse ottenute, avrebbe preparato i peptidi e me li avrebbe mandati nel giro di una notte. Era un piano grandioso. Chang avrebbe preparato i peptidi, mentre Agu e io avremmo compiuto gli esperimenti. Agu avrebbe dimostrato che il peptide causava un'attenuazione del dolore quando veniva rilasciato nel cervello esattamente nel sito analgesico, il PAG, e io avrei dimostrato in che modo impediva il legame con il recettore degli oppiacei in provetta, proprio come avevamo visto accadere con la morfina e altri oppiacei di sintesi sperimentati in modo simile. Speravo di crogiolarmi nella gloria riflessa della scoperta dell'encefalina, ricordando a tutti quali erano stati i miei contributi iniziali, mentre Agu avrebbe avuto la possibilità di esibire le tecniche di iniezione cerebrale messe a punto con tanta cura, ricordando la sua dimostrazione del modo in cui la morfina agiva sul PAG per alleviare il dolore, mentre Chang e soci avrebbero avuto un'occasione per mettere in vista la loro compagnia appena fondata e ricevere un'infinità di ordinazioni per la versione sintetica di quella nuova sostanza, l'encefalina, che certamente sarebbe stata molto richiesta di lì a poco.

129

Page 130: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Invece il piano non funzionò; almeno, non nei termini in cui era stato formulato. Proprio il giorno dopo, Chang ottenne la struttura dell'encefalina grazie a una telefonata transatlantica da un chimico cinese che lavorava in Inghilterra, in uno dei laboratori commerciali utilizzati da Hughes. Lavorando giorno e notte con tutti i tecnici e le macchine disponibili, il gruppo di Chang produsse due provette di encefalina in un tempo inferiore a quello necessario per la spedizione dalla California al mio laboratorio nel Maryland. Tutto questo accadde in meno di quarantott'ore dalla prima rivelazione che l'articolo contenente la struttura stava per essere pubblicato. Eseguimmo gli esperimenti e... Eureka! Era davvero la sostanza che cercavamo, identica a quella prodotta dal cervello, che agiva proprio come gli oppiacei, bloccando il dolore e legando con il ricettore degli oppiacei. Ecco che cosa avevano cercato tutti, un prodotto che i chimici potessero produrre per usarlo come analgesico innocuo, che non causava dipendenza. Io esposi in fretta i risultati degli esperimenti e inviai per posta il testo dell'articolo alla rivista Science. Quando lo respinse, restammo delusi, ma non sorpresi. Per fare in modo che apparisse a breve distanza dall'articolo di Hughes, lo rielaborammo, inviandolo alla rivista scientifica Life Science, che veniva pubblicata a basso costo ma in tempi molto rapidi. Apparve sul numero di gennaio del 1976, un mese dopo la pubblicazione dell'articolo di Hughes su Nature. Il calcolo dei tempi era stato giusto, ma un concorrente riuscì a pubblicare il suo lavoro sulla rivista Nature, che godeva di maggiore prestigio, e, anche se apparve qualche mese dopo il nostro, è il suo lavoro e non il nostro che oggi viene citato come l'esperimento di conferma che l'encefalina è la droga oppiacea naturale del corpo. Tuttavia in fondo prevalse una sorta di giustizia poetica. Per quanto le nostre ricerche non si risolvessero in un aumento di prestigio della nostra reputazione, ci avevano portato alla scoperta di una discrepanza piuttosto curiosa. Avevamo notato che l'encefalina era altrettanto potente della morfina nell'esperimento della provetta a freddo, ma incredibilmente debole quando veniva iniettata direttamente nel cervello delle cavie di Agu. Formulammo così l'ipotesi che doveva essere

130

Page 131: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

riassorbita e resa inattiva dal calore del cervello, prodotto dagli enzimi che in genere entrano in azione alla temperatura del corpo. Lavorando ancora una volta in collaborazione con Chang, progettammo e costruimmo un analogo dell'encefalina, sostituendo un amminoacido, la L-alanina, con l'amminoacido speculare, la D-alanina, e creando così una forma più duratura di encefalina che si rivelò più resistente all'azione degli enzimi. Stavolta il nostro articolo fu accettato da Science, dove apparve pochi mesi dopo, nel settembre 1976. Per quella scoperta ottenemmo maggiore credito di quanto ci aspettassimo. Nell'estate di quell'anno presentai la mia «superencefalina» a un convegno in Scozia, e i rappresentanti delle compagnie farmaceutiche che partecipavano alle sedute si precipitarono al telefono per chiamare i laboratori e mettere in azione gli avvocati delle società. Quei giganteschi grandi magazzini della biotecnica erano occupatissimi a produrre e testare qualunque tipo di peptide che avesse un potenziale commerciale. Ora pensavano già di aver trovato il Santo Graal, la morfina naturale, l'analgesico che non creava dipendenza (e forse un antidoto contro la droga) per il quale l'industria sborsava denaro da anni, allo scopo di ammortizzare i costi elevati dei favolosi convegni organizzati in giro per il mondo dal Club degli Oppiacei. Poco dopo il mio ritorno negli Stati Uniti, però, ricevetti la visita di un legale del Dipartimento di Giustizia, una donna che mi insegnò come fosse necessario farsi rilasciare un brevetto prima di «rivelare la sua invenzione», come si espresse in termini diplomatici, lasciando intendere che sarebbe stato meglio non parlare apertamente a un branco di industriali di un'invenzione ottenuta grazie ai finanziamenti del NIH, e quindi di sua proprietà...un piccolo dettaglio al quale non avevo mai pensato. Ne seguì una lotta accanita fra dieci compagnie farmaceutiche, ciascuna delle quali sosteneva di aver prodotto l'encefalina D-alanina per prima. La causa federale che ne derivò, Stati Uniti contro Burroughs Wellcome eccetera, per Pert, tenne impegnato il Dipartimento di Giustizia per parecchi anni: alla fine ottenemmo la vittoria ma fu una vittoria di Pirro. La nuova encefalina si rivelò fonte di dipendenza come

131

Page 132: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

quella originale, e ancora più costosa da produrre, almeno a quell'epoca, quindi priva di utilità per l'industria. Ma torniamo all'inizio di dicembre del 1975. Dopo la visita di Les, ma prima che l'articolo di Hughes facesse tanto scalpore, corse voce che a Baltimora Sol e il suo laboratorio fossero riusciti a ricostruire la struttura dell'encefalina. Sapevo che Sol lavorava accanitamente con il più aggressivo degli studenti che avevano già conseguito il dottorato, un israeliano che si chiamava Rabi ed era un lavoratore instancabile, ma non erano riusciti a ricavare dai cervelli di maiale una quantità di peptidi purificati sufficiente per condurre un esperimento affidabile. Ora invece, a quanto pareva, ce l'avevano fatta. Si diceva che, il giorno dopo il ritorno di Les Iverson in Inghilterra, e più o meno nello stesso periodo in cui John Hughes inviava a Sol le bozze dell'articolo su Nature, Sol corresse avanti e indietro per i corridoi della Hopkins, sventolando un foglio con uno stampato di computer e dichiarando con orgoglio a chiunque incontrasse che lui e Rabi erano finalmente riusciti a ricostruire la formula dell'encefalina. Ed ecco i dati, con tutti i picchi giusti degli amminoacidi. Erano gli stessi dati che avevano ottenuto alcune settimane prima, ma a quell'epoca non erano riusciti a interpretarli; ora invece sì, e quindi potevano affermare di aver centrato il bersaglio. Arrivati troppo tardi per battere sul tempo Hughes, ma ansiosi di riuscire a tallonarlo, Sol e Rabi pubblicarono una decente dimostrazione strutturale sul primo numero di gennaio di Life Science, poco prima del numero in cui apparve il nostro articolo respinto da Science,in cui si confermavano le proprietà analgesiche dell'encefalina. Ma era troppo poco, e troppo tardi: Sol aveva alzato la bandiera, ma nessuno l'aveva salutata. Da quel saggio opportunista politico che era, prese subito le distanze da qualunque tentativo di condividere con la squadra di ricerca scozzese il merito della scoperta della struttura chimica dell'encefalina, e alla fine si spinse al punto da inviare a Kosterlitz, il capo dell'équipe, una cassa di cognac in segno di congratulazioni. Fu questo gesto, ebbi a ricostruire in seguito; a preparare il terreno perché il magico trio si facesse avanti all'unisono per rivendicare il premio futuro.

132

Page 133: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

L'euforia dell'endorfina

Nei primi tempi che trascorsi a Palazzo, il mio diretto superiore era il dottor William Bunney, capo della sezione psichiatria dell'età adulta ed ex direttore del National Institute of Drug Abuse, che avevo conosciuto due anni prima alla Johns Hopkins, in occasione della conferenza stampa indetta per annunciare la scoperta del recettore degli oppiacei. Il dottor Bunney occupava una lussuosa suite, arredata con mobili e oggetti d'arte acquistati a sue spese, qualche piano più su del mio laboratorio. Ogni settimana, quasi compiendo un rito, salivo nel suo spazioso studio per consegnargli i dati aggiornati sui miei progetti di ricerca. Il dottor Bunney aveva uno stile pacato e conciso che si accordava alla perfezione con l'immagine hollywoodiana del classico psichiatra, e mi ascoltava con attenzione mentre esponevo i risultati del nostro lavoro settimanale. Indossava sempre un completo gessato scuro, che, a mio parere, era solo uno delle tante decine di abiti perfettamente identici allineati nel guardaroba di casa sua. Biff, come finii per soprannominarlo, aveva raggiunto una posizione elevata nella gerarchia del Palazzo dimostrando che il litio era un medicamento efficace nei casi di psicosi maniaco-depressiva. Al momento del mio arrivo controllava una grossa fetta dell'impero finanziario dei fondi per la ricerca attraverso il National Institute of Drug Abuse, una costola del National Institutes of Health, fondata contemporaneamente alla scoperta del recettore degli oppiacei. Lo scopo del NIDA era di sostenere la ricerca scientifica che un giorno, si sperava, avrebbe condotto alla realizzazione di farmaci per curare la tossicodipendenza. La prima vera domanda che Biff mi rivolse riuscì a cogliermi di sorpresa. Mi trovavo nel suo studio per il rapporto settimanale, quando si protese in avanti per guardarmi negli occhi e dirmi con voce secca e atona: «Si rende conto, Candace, che per un eroinomane la prima endovena arriva al cervello come un orgasmo sessuale?»

133

Page 134: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«Santo cielo, dottor Bunney, non ci avevo mai pensato», replicai, sentendomi a disagio. Biff mi spiegò che a suo parere il piacere sperimentato durante l'orgasmo è accompagnato da un flusso di endorfine (termine usato in America per definire l'encefalina di Hughes) che entra in circolo nel sangue. Quell'idea colpì la mia attenzione, come tutte le osservazioni che potevano spiegare l'influenza degli oppiacei e il modo in cui agivano per procurare piacere e alleviare il dolore. Ben presto mi dedicai a preparare un test per misurare il livello di endorfine nel sangue e a condurre una serie di esperimenti per accertare quali comportamenti facessero salire quel livello, e quali invece lo facessero calare. Le indagini avviate da quell'interrogativo si prolungarono per quasi due anni. Per uno studio sulla questione utilizzammo i criceti, il classico tipo di cavia adottato per lo studio del comportamento sessuale a causa del loro ciclo prevedibile sul piano sessuale: due minuti di leccate qua e là, tre minuti di accoppiamento, e l'atto era completo. I maschi sono estremamente prolifici, visto che eiaculano circa ventitré volte per ogni ciclo. In seguito si unì a noi anche Nancy Ostrowski, una scienziata di notevole competenza che aveva rinunciato al desiderio di prendere i voti come suora per diventare invece un' esperta dei meccanismi cerebrali del sesso. Nancy iniettava nelle cavie un oppiaceo radioattivo prima della copula, poi le decapitava, in vari momenti del ciclo, per asportarne il cervello. Ricorrendo alla visualizzazione del cervello degli animali con l'autoradiografia, noi due eravamo in grado di vedere in che punto venivano rilasciate le endorfine durante l'orgasmo, e in quale quantità. Scoprimmo che nel corso dell'atto sessuale il livello delle endorfine nel sangue saliva all'incirca del duecento per cento. Con il metodo di misurazione delle endorfine nel sangue appena messo a punto, diventava finalmente possibile realizzare tutta una serie di progetti. Esplorammo la questione dell'influsso esercitato dall'esercizio fisico sull'emissione di endorfine, quando reclutai dodici giovani psichiatri del Palazzo che praticavano la corsa con serietà e applicazione, pregandoli di farsi prelevare campioni di sangue prima e dopo l'allenamento quotidiano. I risultati mostrarono un netto aumento del

134

Page 135: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

livello di endorfina, ma l'analisi si rivelò insufficiente in alcuni punti chiave, facendoci perdere i preziosi campioni che i miei soggetti avevano letteralmente prodotto con il sudore della loro fronte. Da quegli studi non ricavammo grandi risultati, e Peter Farell, un fisiologo che, pur essendo esterno al Palazzo, studiava gli effetti dell'esercizio fisico, mise insieme un articolo che utilizzava i miei dati, ma si basava soprattutto sulle sue ricerche personali. Fu tanto generoso da nominarmi come coautrice dell'articolo, che fu il primo studio pubblicato sulla conferma fisiologica del fenomeno ora noto sotto il nome di «ebbrezza del maratoneta». L'esperimento successivo era ovviamente il più importante, cioè quello che riguardava l'orgasmo negli esseri umani e presentava enormi difficoltà tanto nel reclutamento dei soggetti quanto nella progettazione. Dal momento che non era possibile avere a disposizione un tecnico che prelevasse il sangue nel momento culminante, ci dovemmo rassegnare a misurare l'endorfina presente nella saliva dei soggetti. I quali soggetti per lo più erano coppie di amici, oltre ad Agu e me, disposti a masticare una pellicola che produce un aumento della salivazione in vari momenti dell'atto sessuale, per poi sputare in una provetta. Per quanto piacevoli a svolgersi, questi esperimenti si rivelarono in sostanza dei fallimenti, dal punto di vista del Palazzo, poiché i risultati non erano abbastanza limpidi da poter essere riferiti per iscritto e accettati da una rivista scientifica. Tuttavia quel lavoro produsse un certo numero di articoli di estremo interesse, che furono presentati in alcuni dei primi convegni di neuroscienze e divennero, ovviamente, molto popolari. Eppure l'idea che l'orgasmo umano sia accompagnato dalla secrezione, da parte dell'organismo, di sostanze che procurano piacere non ha mai visto la luce, finora, su una rivista scientifica di prestigio.

135

Page 136: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Successo

Ed è così che procede la ricerca, un mese dopo l'altro, progettando esperimenti, organizzando riunioni per scambiare idee con i dottori di ricerca e raccogliendo dati in vista della pubblicazione. Di solito, quando si trattava di credere alla validità di quei dati, tendevo a mostrarmi ottimista. Se i risultati dell'esperimento apparivano limpidi e se, dopo averli ritoccati qua e là, la mia reazione istintiva continuava a essere affermativa, davo il via per la pubblicazione. Quasi tutti i direttori di laboratorio, invece, fanno l'opposto, costringendo i loro allievi a ripetere gli esperimenti fino alla nausea, nel timore di considerare valido qualcosa che poi si rivela un semplice trucco delle cifre, oppure un artefatto, cioè un errore derivato dal metodo prescelto, che può condurre a una conclusione falsa. Invece quando i dati si rivelavano validi, e ci sembrava di avere scoperto un nuovo tassello autentico del quadro generale, passavamo subito a preparare l'articolo per la stampa. Come ho già accennato, noi scienziati misuriamo il successo in termini di articoli: quanti ne abbiamo pubblicati e dove sono apparsi, su riviste che vengono considerate al vertice della lista, a metà, o in fondo. Questa,in poche parole, è la vita dello scienziato. Lo stipendio è discreto,ma non certo favoloso, e l'unica vera gloria consiste nel vedere il proprio nome stampato sotto il titolo di un articolo. Ancora più eccitante, a volte, è trovare il proprio lavoro citato nell'articolo di qualcun altro, un fatto significativo perché influisce sulla posizione che si occupa nella gerarchia professionale. La posizione, infatti, è determinata da un'enorme banca dati chiamata «indice delle citazioni», ossia un elenco di tutti gli articoli che sono citati in altri articoli, ordinati in base al numero di citazioni ottenute. Per molti anni Sol risultò il primo nella lista degli studiosi più citati per il settore della biomedicina, mentre io per dieci anni mi sono classificata al numero centotrenta fra gli scienziati più citati del mondo.

136

Page 137: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

La percentuale di articoli che vengono citati più di qualche volta è molto esigua, e per questo quasi tutti citano sempre i propri lavori precedenti il più spesso possibile. Poiché apparire sulla stampa è tanto importante, e visto che i moderni progetti scientifici possono comprendere parecchi collaboratori, si scatenano discussioni più aspre e accese per l'ordine dei nomi degli autori sul frontespizio di un articolo che per il più spinoso dei problemi teoretici. Come nel caso dell'articolo che avevo pubblicato con Sol sul recettore degli oppiacei, il primo autore indicato è in genere la persona a cui va il merito principale della progettazione ed esecuzione dell'esperimento. Poi seguono, in ordine decrescente di importanza, i nomi di tutti coloro che hanno collaborato fornendo suggerimenti o assistenza, e a volte arrivano al numero di dieci o quindici. L'ultimo nome citato è quello dello scienziato che dirige il laboratorio o che ha raccolto i fondi necessari per la realizzazione dell'esperimento. Per tradizione, restano esclusi dagli articoli i nomi dei tecnici che svolgono tutto il lavoro materiale, anche se io sono sempre stata del parere che fosse doveroso includerli nei miei articoli. Inoltre preferisco lasciare il primo posto ai miei allievi, soprattutto se si tratta di un articolo importante: dall'esperienza fatta con il recettore degli oppiacei ho imparato che il primo articolo pubblicato, se è importante, può rivelarsi decisivo per la carriera. Era stato questo gioco dei nomi a favorire in parte la mia rapida ascesa fino alla vetta, e ben presto si sarebbe rivelato un elemento chiave nello svolgimento di un dramma che avrebbe modificato in modo drastico il corso della mia carriera. Nella primavera del '78 John Hughes, quasi guidato da un lampo di premonizione, era passato da casa mia per farmi una visita. Mentre eravamo seduti sul portico a bere qualcosa di fresco, si girò verso di me per chiedermi, quasi a bruciapelo: «Candace, hai mai sentito parlare del Lasker Award?» «No. Di che si tratta?» risposi. «Be', è una specie di premio Nobel americano, conferito ogni anno a scienziati che si sono distinti per qualche ricerca medica di eccezionale

137

Page 138: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

valore», mi spiegò Hughes. «In effetti, di solito chi lo riceve vince subito dopo il Nobel. Si direbbe quasi un passaggio obbligato.» Ora sì che aveva tutta la mia attenzione. Sapevo che il Nobel era il premio più importante nel campo scientifico, ma non avevo idea del metodo adottato per selezionare i vincitori. «E se ti dicessi che Hans, Sol e io stiamo per ricevere il premio Lasker di quest'anno per la ricerca sugli oppiacei? » aggiunse lui. Ci volle qualche istante perché mi rendessi conto del significato delle sue parole, ma quando ci arrivai proruppi sbalordita: «Ma stai scherzando? E lascerebbero fuori me? Certo che andrei su tutte le furie, è naturale!»

138

Page 139: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

6

Violare le regole

Invito

La scienza ai massimi livelli somiglia molto a quello che accade nel basket ai play-off della NBA, vale a dire che è molto competitiva, con una pioggia di ginocchiate e gomitate dure e veloci che arrivano a segno. Dal momento che ognuno cerca accanitamente di farsi riconoscere il merito di una scoperta, tutti sanno che è necessario comportarsi con accortezza e pensare a se stessi, perché nessun altro lo farà. L'eccezione, naturalmente, è costituita dalla propria famiglia scientifica, dai collaboratori che hanno il compito di guardarti le spalle, grattarti la schiena e fare in modo che tu riesca a tentare un canestro quando arriva il tuo turno. Per quanto trovassi eccitante quel gioco, non ero stata condizionata a sufficienza per accettare il codice di lealtà che esigeva. Nel corso di una serie di avvenimenti che mi causò molte sofferenze e nello stesso tempo mi fece ottenere grande notorietà, violai le regole e fui colpita dalla più crudele delle punizioni, ossia l'allontanamento dalla mia famiglia scientifica. In seguito, in un libro che ha conquistato una certa popolarità, intitolato Apprentice to Genius (Apprendista genio), Robert Kanigel ha presentato in modo drammatico il mio caso, affermando che avevo messo in imbarazzo una delle più prestigiose dinastie regali che esistessero nel mondo della medicina, anche se quel risultato non rientrava affatto nelle mie intenzioni. A ripensarci, mi rendo conto che le mie azioni facevano parte di un tentativo più vasto di provocare un cambiamento di vasta portata, un passaggio dalle regole di casta a un sistema più equo.

139

Page 140: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Tutto cominciò nell'autunno del 1978, quando Sol Snyder, John Hughes e Hans Kosterlitz ottennero un riconoscimento per le ricerche svolte sul recettore degli oppiacei e sull'endorfina e furono insigniti di un premio quasi altrettanto prestigioso del Nobel, il Lasker Award, mentre il mio nome non veniva neanche menzionato. John Hughes aveva cercato di avvertirmi in occasione della visita amichevole che aveva fatto in casa mia, l'estate prima della cerimonia di premiazione, fissata in ottobre; ma io ero rimasta così stupita, quando aveva accennato che forse il Lasker sarebbe stato assegnato a lui e agli altri due ricercatori, che la mia reazione gli aveva impedito di proseguire. In seguito mi resi conto che John aveva tentato di mettermi in guardia su quello che stava per accadere, cosicché, se avessi voluto fare qualcosa in proposito, ne avrei avuto ancora il tempo. Invece ero così ingenua sul piano politico che decisi di ficcare la testa nella sabbia e respingere la possibilità che una prospettiva del genere si verificasse davvero. Non ci pensai più fino a qualche mese dopo, quando ricevetti una telefonata da Sol, che voleva invitarmi a un banchetto a New York. «Salve, bambina mia », tubò in tono affettuoso, usando il solito vezzeggiativo politicamente scorretto che accoglievo da quasi sette anni con un misto di piacere e orrore. Chiacchierammo per qualche minuto, poi mi annunciò, con una voce che tradiva palesemente la tensione: «Candace, il mese prossimo riceverò un premio a New York, e vorrei che tu fossi uno dei cinque invitati che mi è concesso di portare con me». Anche se ormai avevo lasciato la Hopkins da oltre un anno, ero ancora piena di gratitudine per l'aiuto che Sol mi aveva dato, procurandomi un laboratorio e un posto nel NIH, e mi sentii colpita all'idea che avesse pensato di invitarmi a quella cerimonia, che rivestiva chiaramente una grande importanza. Poi accennò al fatto che altri due scienziati avrebbero ricevuto il premio insieme a lui, ma senza dire chi fossero, né precisare per quale motivo lo avevano ottenuto. Attaccai con una sensazione di piacere, ma in fondo alla mia mente affiorò una domanda scomoda: era evidente che Sol si sentiva a disagio nel farmi quell'invito, e mi domandai per quale motivo il «ragazzo d'oro», il bambino prodigio della neuroscienza, dovesse avere paura di invitare la

140

Page 141: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sua ex allieva a un pranzo in occasione del conferimento di un premio. Ci vollero solo alcuni secondi perché la risposta mi balzasse agli occhi: il premio Lasker, quello al quale aveva accennato John Hughes!

Ecco che cosa aveva voluto dire, che lui e Kosterlitz avrebbero ricevuto insieme a Sol il premio Lasker per la scoperta del recettore degli oppiacei e dell'endorfina, cioè il lavoro nel quale io avevo svolto un ruolo fondamentale. E ora Sol aveva la faccia tosta di invitarmi al banchetto di gala per il conferimento del premio! Il cuore aveva cominciato a battermi furiosamente prima ancora che il cervello recepisse la notizia in pieno. Sollevai il telefono per richiamare Sol. «Sol», esclamai, mascherando a stento la collera, «ne devo dedurre che tu, Hughes e Kosterlitz riceverete un premio per il nostro lavoro sul recettore degli oppiacei, mentre io resterò esclusa?» Preso alla sprovvista dal mio modo brusco di affrontare la questione, lui ammise, in tono quasi di scusa, che, sì, in effetti sembrava strano, ma era così che andavano le cose con quei riconoscimenti: erano imprevedibili, e non sempre andavano alla persona che ci si sarebbe aspettati. E comunque, mi assicurò, ormai era troppo tardi per fare qualcosa. Come ammenda, avrebbe cercato di procurarmi un posto al banchetto della premiazione, perché pensava che mi avrebbe fatto piacere, aggiunse, dal momento che sarebbe stato Ted Kennedy a presiedere la cerimonia di premiazione, nella celebre Rainbow Rom, e così avrei avuto l'occasione di conoscerlo. Attaccai di nuovo, cercando di vedere le cose dal punto di vista di Sol, ma senza riuscire a calmarmi. L'idea di restare in mezzo al pubblico mentre lui e gli altri ricevevano un riconoscimento per il lavoro nel quale avevo svolto un ruolo così importante mi sembrava troppo ingiusta. Si aspettavano davvero che restassi in disparte, minimizzando la parte che avevo avuto in quella scoperta fondamentale, una scoperta che nel giro di pochi anni aveva modificato completamente il settore delle neuroscienze? No, decisi, non potevo restare a guardare senza far niente. Ma cosa potevo fare?

141

Page 142: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Una questione più profonda

Nel periodo in cui si verificarono questi avvenimenti, stavo leggendo alcuni libri che influenzarono in misura notevole lo sviluppo del mio pensiero e dei miei sentimenti. Erano biografie di Rosalind Franklin, la brillante scienziata che aveva fornito l'anello essenziale alla catena di riflessioni che consentirono a Francis Crick e John Watson di dimostrare che la struttura del DNA aveva la forma di una doppia spirale. Il risultato fu che i due sconfissero sul filo di lana Linus Pauling, ottenendo il premio Nobel nel 1962. La Franklin era una classica «suora della scienza», che aveva dedicato tutta la vita al proprio lavoro e nel libro di Watson, La doppia spirale, si vede bene come di quale considerazione godesse questo tipo di donne da parte dei colleghi maschi: le pagine del libro trasudano letteralmente disprezzo nei passi in cui Watson giustifica le azioni sue e di Crick, in un classico esempio di lampante maschilismo in campo scientifico. La sostanza, comunque, è che i due scienziati s'introdussero nel laboratorio della Franklin mentre lei era fuori città e convinsero il suo capo a lasciarli curiosare nei dati che aveva raccolto. Con una sfacciataggine incredibile, rubarono le scoperte della Franklin e la fecero franca, gettandole un osso come riconoscimento nel primo articolo pubblicato, che procurò loro il massimo riconoscimento in campo scientifico. Nel suo libro, che è diventato un bestseller, Watson si vanta addirittura del furto, deridendo la collega per il fatto che aveva tenuto per sé le scoperte, con l'intenzione di pubblicarle in un articolo che comparve sulla stessa rivista nella quale fu pubblicato il loro qualche mese dopo, Nature. A quell'epoca, che io sappia, nessuno dei redattori gridò allo scandalo, anche se negli anni successivi furono compiuti alcuni eroici tentativi per correggere la storia. Dire che andai in collera per il torto subito da Rosalind Franklin è un eufemismo; ma soprattutto la storia di quell'inganno oltraggioso aumentò il mio apprezzamento per tutte le donne che mi avevano insegnato qualcosa. Non le consideravo più scienziate di seconda categoria che, non

142

Page 143: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

riuscendo a ottenere la direzione di un laboratorio, si erano accontentate di insegnare. Ora mi rendevo conto che erano state autentiche pioniere alle quali, se mai fossi arrivata a dirigere un grande laboratorio, avrei dovuto della gratitudine, perché mi avevano spianato la strada, accettando il maschilismo rampante dei loro colleghi uomini pur di preparare il terreno alle future generazioni di donne impegnate nel campo scientifico. Pur riconoscendo il debito che avevo nei confronti di queste donne, però, ero sbigottita dalla costatazione che i cambiamenti avvenuti dai loro tempi in poi erano quasi insignificanti. I pregiudizi profondamente radicati contro le donne affioravano spesso in occasione degli incontri, soprattutto nella riunione trimestrale della commissione che prendeva in esame le richieste di fondi. Ogni volta che i miei colleghi s'imbattevano in una domanda di finanziamento il cui coordinatore era una donna, si divertivano immancabilmente a evocare l'immagine di una scienziata stravagante e asessuata. Quello scambio di battute era seguito da un silenzioso consenso relativo alla sua inaffidabilità scientifica, una presunzione che trovava eco in tutti i membri della commissione seduti intorno al tavolo, sfociando in una valutazione ingiustamente bassa del valore della ricerca. Era interessante soprattutto la discussione sul bilancio di previsione delle richieste presentate dalle scienziate: mentre di fronte alle richieste in cui un coordinatore maschio pretendeva di ottenere dodici dottori di ricerca nessuno si azzardava a sollevare obiezioni, i progetti in cui una donna chiedeva un segretario e dei tecnici supplementari venivano esaminati fino alla nausea. Come il grido d'attacco di uno stormo di uccelli rapaci, si sentiva ripetere senza posa durante la discussione la parola lei: per quale motivo lei non poteva cavarsela con qualcosa di meno? Una volta mi divertii a documentare in modo scientifico questo comportamento da branco maschile, prendendo nota del numero esatto di volte in cui il pronome «lei» veniva pronunciato durante una lunga seduta pomeridiana. E i dati dimostrarono che «lei» veniva usato nove volte più spesso di «lui», nonostante che le richieste presentate da donne fossero di gran lunga più rare dei corrispettivi maschili. Cercai di sottolineare questo pregiudizio inconscio nel modo più

143

Page 144: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

umoristico possibile, ma le mie parole si scontrarono con un muro di gomma. Erano questi i pensieri e le emozioni che tenevano occupata la mia attenzione quando mi trovai di fronte alla sfida del premio Lasker. Una mattina, appena sveglia, guardandomi allo specchio ebbi l'impressione di vedere Rosalind Franklin che mi fissava. Allora mi attaccai al telefono per chiedere consiglio a tutti i miei amici, e ql1asi tutti mi consigliarono di tacere e accettare la situazione. «E così che va il gioco », mi sentii ripetere all'infinito; e senza dubbio era quello il modo in cui aveva reagito Rosalind Franklin. Aveva permesso a Watson e Crick di derubarla della più grande scoperta scientifica del secolo senza lasciarsi sfuggire neanche un grido di protesta. Ero certa che gli amici le avevano fatto le stesse raccomandazioni: attenta, se cerchi di contrariare i ragazzi, potrebbero non lasciarti più giocare con loro. Più ci pensavo, più la mia collera aumentava. Ci si aspettava che soffocassi i miei sentimenti, ricacciandoli in fondo all'anima, dove avrebbero potuto suppurare per anni, divorandomi e distruggendo il rispetto che provavo per me stessa, il mio senso dell'orgoglio e della realizzazione, la mia autostima? Capii che dovevo correre il rischio di gridare al ladro, altrimenti avrei passato il resto della vita a nascondermi, in preda al rancore e alla delusione, ogni volta che veniva sollevato l'argomento del recettore degli oppiacei, ogni volta che a proposito di quella scoperta si faceva il nome di Sol, e non il mio. Nel corso delle mie letture, avevo appreso che qualche anno dopo il furto dei suoi dati Rosalind Franklin era morta di cancro. Anche se a quell'epoca nessuno, o quasi, aveva condotto una ricerca seria sulle possibili ripercussioni delle emozioni sulla salute, mi convinsi che la malattia era stata esacerbata dalle umiliazioni sofferte per colpa di quei colleghi, e probabilmente di molti altri, e che l'incapacità di esprimere la collera aveva contribuito alla sua morte, anzi, poteva addirittura averla causata. Era in parte intuito e in parte buon senso, ma sentivo che, se non avessi parlato, avrei sacrificato la mia autostima e il rispetto che provavo per me stessa, per non parlare di espormi a un bel caso di depressione, e magari a un tumore, tanto per completare il quadro.

144

Page 145: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Non avevo certo intenzione di lasciare che accadesse tutto questo, e non riuscivo neanche a immaginare di poter presenziare al banchetto del premio per «fare atto di sottomissione », specie quando appresi che erano stati invitati anche Avram Goldstein ed Eric Simon, che avrebbero ricevuto un riconoscimento per il contributo da loro dato alla scoperta. Era una pillola troppo amara da ingoiare, dover stare a fianco di coloro che non erano riusciti a condurre a termine la gara, quando ero stata io a compiere il lavoro massacrante necessario per la ricerca del recettore degli oppiacei, e lo avevo fatto anche se l'uomo che ora riceveva il premio per questo aveva già abbandonato la ricerca. No, mi dissi, non potevo permettere che accadesse tutto questo, che la storia si dimenticasse di me e mi ignorasse, mentre i miei colleghi se ne andavano trionfanti con il premio.

Difesa

Quando mi arrivò l'invito ufficiale al banchetto del premio Lasker, capii che non avrei mai potuto accettare e decisi di dire la verità. «Gentile signora Lasker», cominciava la lettera che scrissi in risposta, «per me è un punto d'onore non mentire mai in occasione di eventi mondani. Per questo voglio che lei sappia che il motivo per cui non parteciperò al banchetto è che sono sconvolta e furiosa per essere stata esclusa dall'assegnazione del premio Lasker di quest'anno per la ricerca che ho condotto in collaborazione con il dottor Sol Snyder. Accade troppo spesso che le donne e gli altri collaboratori che occupano un posto inferiore nella gerarchia scientifica siano esclusi dai riconoscimenti per il lavoro che in realtà hanno svolto loro, mentre alloro posto vengono premiati colleghi uomini e più anziani.» Quella fu la prima dichiarazione pubblica che rilasciai sull'incidente. La seconda, che ottenne una pubblicità ancora maggiore, fu il risultato di una copia di quella lettera che mio marito Agu spedì a Jean Marx, redattrice della rivista Science. Agu era ancora più in collera di me.

145

Page 146: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Essendo un uomo, sapeva che i colleghi mi avevano giocato un tiro sporco e che, se mi fossi lasciata allontanare dalle luci della ribalta, nessuno sarebbe venuto in mio soccorso. Mentre io ero rimasta paralizzata dalla collera e dalla confusione, Agu non ci pensò due volte a mettere un bastone fra le ruote nella macchina della scienza: impostò la lettera, e la vita continuò a scorrere. Non ho mai parlato personalmente con Jean Marx, ma la lettera che le scrissi colpì la sua attenzione, soprattutto per quel paragrafo relativo alle donne che vengono regolarmente escluse dai premi scientifici. Il suo occhio di giornalista aveva captato la questione più vasta del credito scientifico, e senza dubbio il problema relativo al premio Lasker rappresentato dalla ricerca Pert-Snyder era una garanzia che i lettori sarebbero rimasti agganciati. Nel gennaio 1979 pubblicò sulla prestigiosa rivista Science un editoriale dal titolo: «Il premio Lasker suscita una controversia», completato da una mia foto che il NIH aveva opportunamente fornito mentre ero fuori città per un convegno. Il timore di essere dimenticata fu sostituito subito da una sensazione di paura allo stato puro. La storia della scienza è disseminata di faide sul merito relativo all'una o l'altra scoperta. Un caso tipico era scoppiato proprio nella mia famiglia scientifica, quando Julie Axelrod aveva rotto i rapporti con il suo maestro, Steve Brodie, a proposito della scoperta dell'enzima del microsoma. Brodie, che allora era il capo, aveva tentato di monopolizzare la ricerca, ma Julie, che pure gli era inferiore, si era rifiutato di tacere e acconsentire. Quello che mi sembra ancora più tipico è che di solito l'inferiore accetta le ingiustizie, nella segreta speranza di ritrovarsi un giorno con il coltello dalla parte del manico. Nei giorni successivi alla pubblicazione dell'editoriale, quando i giornalisti di varie riviste scientifiche intervistarono Sol, lui sostenne di aver contattato i membri della commissione chiedendo loro di includermi nel premio. Confermò subito la mia dichiarazione scritta a Mary Lasker, ammettendo che in effetti avevo svolto un ruolo essenziale nell'avviare la ricerca e nel condurla, ma non volle spingersi oltre. Nell'intervallo di un mese intercorso fra la notizia del premio che Sol mi aveva dato e la

146

Page 147: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cerimonia vera e propria, gli telefonai più volte per pregarlo di fare una dichiarazione a mio favore, o alla commissione del premio, chiedendo che fosse incluso anche il mio nome, o in occasione della cerimonia, quando si sarebbe alzato per accettare il premio. Invece Sol si rifiutò. In un tentativo dell'ultima ora di salvare il salvabile, gli chiesi di donare almeno metà del premio in denaro (che a quanto avevo sentito era molto modesto, forse appena quindicimila dollari) per istituire una borsa di studio a mio nome presso la Bryn Mawr. Anche in questo caso la sua risposta fu negativa. Nel frattempo, la voce relativa alla mia situazione era stata raccolta da Joan Arehart-Treichel, redattrice del settore per la biomedicina di Science News, che aveva seguito da vicino le ricerche nel campo dei peptidi e dei recettori. In un articolo pubblicato nel febbraio del '79 a proposito del premio Lasker, espresse la sua convinzione che fossi stata esclusa dal premio perché per il premio Nobel non era possibile designare un gruppo di scienziati superiore alle tre unità. Scriveva così: «Mi sono sentita offesa quando il massimo riconoscimento medico che venga assegnato in America, il premio Lasker, è stato assegnato alla ricerca sui peptidi e i recettori degli oppiacei e conferito a tre soltanto dei quattro scienziati che mi aspettavo lo ricevessero. I tre premiati erano uomini; il quarto escluso era una donna ». Partita dal presupposto che la mia esclusione fosse dovuta a un calcolo numerico, Arehart-Treichel proseguiva dicendo che le sue indagini avevano rivelato una verità più nascosta, e forse peggiore: il vero motivo per cui ero stata ignorata era che nessuno aveva pensato a fare il mio nome. Né Sol né gli altri due avevano mai accennato a me in rapporto alla scoperta. La mia delusione per non essere inclusa, a quanto pareva, era stata una sorpresa assoluta per la commissione del premio. «Pert? E chi è?» avevano risposto, quando la redattrice aveva chiamato, uno per uno, tutti i componenti della commissione. Quando aveva fatto notare che Pert era il nome indicato al primo posto fra gli autori dell'articolo sul recettore degli oppiacei, si erano defilati, a disagio, ed erano rimasti ancora più amareggiati quando lei aveva accennato che, analogamente, Hughes era stato il primo autore dell'articolo sull'endorfina. L'articolo si

147

Page 148: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

concludeva con una riflessione sulle probabilità che mi restavano di vincere il premio Nobel per la ricerca sugli oppiacei. «Non sono molto ottimista », scriveva, «dal momento che a quanto pare spetta allo stesso gruppo informale di scienziati, per lo più uomini, definito a volte old boys club, la responsabilità di designare gli scienziati tanto per il premio Lasker quanto per il Nobel nel campo della medicina...» Nello stesso periodo comparvero sulla stampa i commenti di Eugene Garfield, dell'Institute of Scientific Information, un'organizzazione che classifica gli scienziati in base al numero di citazioni che il loro lavoro riceve da parte dei colleghi. Garfield aveva elaborato dei metodi per interpretare queste citazioni in modo da ricostruire il senso di una particolare dinamica della ricerca. «Dal momento che le decisioni del comitato del premio Lasker sono riservate», scriveva nel suo articolo, «non sappiamo se i suoi componenti abbiano utilizzato i dati relativi alle citazioni.» Continuava poi identificando altri sette scienziati i cui lavori iniziali sul recettore degli oppiacei erano ben documentati nella bibliografia. La sua valutazione del mio lavoro si concludeva con una sintesi di tutta la mia carriera scientifica fino a quel momento:

Dal 1973 al 1976, Pert e Snyder hanno pubblicato insieme diciassette articoli sui recettori degli oppiacei, e questi articoli hanno ricevuto fino a oggi una media di ottantasette citazioni ciascuno. Nello stesso periodo, Snyder e altri collaboratori hanno pubblicato ventitré articoli riguardo al recettore degli oppiacei, e questi articoli hanno ricevuto una media di 37,5 citazioni per articolo. Fra i lavori scritti da Snyder sui recettori degli oppiacei, Pert ha collaborato a cinque dei sei che hanno ricevuto oltre cento citazioni ed è coautrice di dieci dei venti articoli più citati sull'argomento. Da quando ha lasciato il laboratorio di Snyder, Pert ha pubblicato diciotto articoli, di cui sette sono apparsi nel 1978 e quindi hanno avuto relativamente poco tempo per

148

Page 149: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

essere citati. Eppure questi diciotto articoli hanno ottenuto oltre trecento citazioni, cioè una media di circa sedici citazioni per ciascuno. E uno dei suoi articoli del 1976 (la scoperta dell'analogo dell'encefalina con D-alanina che ha scatenato un vero e proprio arrembaggio nel mondo farmaceutico) si è rivelato uno dei cento articoli più citati nel biennio 1976-77. Quindi le ricerche svolte da Pert al NIMH continuano a essere significative per i colleghi.

La meticolosa analisi di Garfield metteva a tacere l'argomento più insistente usato contro di me, e cioè che, essendo una semplice laureata, non avevo fatto altro che eseguire gli ordini di uno scienziato, e da quando avevo lasciato il mio maestro non avevo fatto nulla che fosse degno di citazione. Questo tentativo di giustificazione mi fece sentire meglio, ma mi accorsi ben presto che, in una prospettiva più ampia, era impossibile disfare il danno ormai fatto. Coinvolgendo i giornalisti in quella che sarebbe dovuta restare una disputa privata con la mia famiglia scientifica, mi ero spinta troppo oltre.

Tradimento

Alcune settimane dopo la prima ondata di pubblicità, ormai esaurita, Julie Axelrod mi convocò nel suo ufficio. Io, che non avevo ancora valutato le ripercussioni di ciò che avevo fatto, mi aspettavo quasi di vedermi assegnare un progetto speciale o qualche trattamento di favore. Dopotutto, Axelrod si era mostrato così prodigo di apprezzamenti, anzi entusiastico, nel reclutarmi per il posto al NIH; invece mi chiese di aiutarlo a compilare il modulo che avrebbe presentato per la designazione di Snyder, Hughes e Kosterlitz al premio Nobel. Mi lasciò intendere che la mia collaborazione sarebbe stata molto utile al fine di placare i rancori che covavano a causa dello scalpore che aveva circondato il conferimento del premio Lasker. E naturalmente, sottolineò, dovevo sapere bene che la

149

Page 150: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

commissione incaricata di compiere la selezione finale per il premio Nobel detestava ogni sorta di scandali.

Senza esitare, scossi la testa per rifiutare. Julie rimase a bocca aperta. «Ma lei deve farlo. E l'unica a sapere come è andata», mi pregò. «Esatto », replicai, «ed è proprio perché lo so che non posso farlo.» «Ma come, non vuole bene a Sol?» insistette lui, alzando la voce. «Perché vuole, fargli questo? Se lo aiuta adesso, lui renderà il favore in seguito. E così che vanno le cose. Quanti anni ha, comunque? Andiamo, lei è una brava ragazza, Candace...» Quando mi alzai per uscire, aveva cominciato a inveire contro di me. Indubbiamente Julie aveva ragione su un punto: è così che vanno le cose, è così che funziona il gioco del riconoscimento scientifico. Se in quel momento avessi aiutato Sol, lui avrebbe aiutato me; in caso contrario, avrei scoperto ben presto che cosa poteva succedere. In parte fu la collera ancora recente a impedirmi di adottare una prospettiva più ampia, in parte fu anche una nuova ondata di rabbia suscitata in me da una rivelazione recente. Durante le indagini private che avevo svolto sul processo di designazione per il premio Lasker, avevo appreso un'informazione sconvolgente da due fonti molto fidate all'interno del laboratorio di Sol. A quanto pare, Sol era stato designato ufficialmente dal direttore del dipartimento di farmacologia della Hopkins, insieme con Hughes e Kosterlitz, ma i moduli erano stati visti sulla scrivania della segretaria di Sol, che li aveva battuti a macchina seguendo le sue istruzioni. Ora sapevo che Sol aveva preparato da sé i documenti per la nomina, tralasciando intenzionalmente il mio nome. Forse non c'era sotto nulla di male: era possibile che il direttore, un nuovo venuto alla Hopkins, avesse pregato Sol di riempire lui stesso i moduli, confidando nel fatto che doveva conoscere i nomi di tutti gli interessati e i dettagli del lavoro vero e proprio. Ma io, conoscendo la passione di Sol per la presentazione di richieste di finanziamento e riconoscimenti che promettevano un premio favoloso, preferivo credere che avesse avviato lui stesso il procedimento, inviando poi i moduli al

150

Page 151: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

direttore per la firma, in modo da dare l'impressione che fosse stato il direttore a proporre la designazione. Se era vero, quella era la goccia finale. Era mai possibile che Sol avesse attribuito alla commissione del premio la responsabilità della mia esclusione, quando era stato lui stesso a tralasciarmi? Aveva forse contato sulla mia devozione, sulla mia ansia di rendermi gradita, sulla propensione al sacrificio di cui avevo dato prova da allieva, convincendosi che avrei avallato il suo piano? Ero convinta che la situazione fosse proprio questa. Nessun uomo, a prescindere dalla sua posizione, avrebbe mai accettato una situazione del genere, ma, dato che ero una donna, Sol aveva corso il rischio. Amareggiata, decisi di lasciarmi alle spalle ogni traccia della donna ingenua che era stata la «bambina» di Sol. Uscii in lacrime dall'ufficio di Julie, mentre la sua voce collerica e imperiosa mi echeggiava nelle orecchie, inseguendomi per i corridoi del Palazzo fino al mio studio, dove mi rintanai in preda all'infelicità. Una volta arrivata, chiusi la porta, accasciandomi sulla scrivania e sfogando i miei sentimenti in profondi singhiozzi. Ormai sentivo che la sconfitta era completa. Ricomponendomi, chiamai il dottor Bunney, il mio immediato superiore, che scese dal suo ufficio per venire a trovarmi nel mio minuscolo gabbiotto, per la prima e unica volta in tutti i nostri anni di collaborazione. Seduto di fronte a me, così vicino che le nostre ginocchia si sfioravano quasi, ascoltò in silenzio il mio sfogo di dolore e di rabbia. «La verità è che sono stata io a fare il novantanove per cento del lavoro scientifico sul recettore degli oppiacei, tanto per quanto riguarda l'idea iniziale, quanto per il lavoro manuale, anche se è stato Sol a ottenere il finanziamento, a procurarmi i lavori iniziali di Goldstein, sia pure sbagliati, e a consigliarmi quando la situazione si è fatta difficile», mi lamentai fra le lacrime. «Ma poi, nel momento cruciale, ha tagliato i ponti, ordinando che tutto il progetto fosse abbandonato, kaputt! lo ho voluto rischiare e continuare a sua insaputa, perché ero convinta che fosse possibile. Oh, certo che voglio bene a Sol!» gemetti, mentre Biff si esibiva nella sua migliore tecnica di ascolto, porgendomi un fazzoletto di carta.

151

Page 152: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Mi fece notare che nessun responsabile di laboratorio a Palazzo mi avrebbe mai permesso di rivendicare il merito di una scoperta così importante come aveva fatto Sol. Qualunque accorto frequentatore del Palazzo avrebbe compreso immediatamente il valore della scoperta e mi avrebbe escluso senza pietà, a prescindere dall'importanza del mio contributo, non appena fosse venuto il momento di pubblicare. E pensare che, per ironia della sorte, lasciandomi pubblicare per prima l'articolo con le nostre scoperte e poi mandandomi in giro a presentarle a tutti, Sol mi aveva consentito di fare carriera quando ero una semplice laureata, e in questo modo si era attirato una delusione enorme, perdendo forse l'unica occasione di ottenere il massimo dei premi, il Nobel. Quando mi fui calmata, Biff mi guardò negli occhi, dicendo: «Si rende conto di quanto è diventata importante, adesso? Se non firmerà la designazione per il Nobel, appianando la controversia sul premio Lasker, questo costerà il premio a tutti». Ora cominciavo a capire che cosa stava accadendo. In seguito Biff mi mostrò una copia del testamento di Nobel, in base al quale soltanto tre scienziati viventi potevano ottenere il premio ex aequo. Era necessario escludere qualcuno, e anche in quel caso Sol si era aspettato che accettassi di buon grado l'esclusione. Mi resi conto che il mio appoggio, nonostante il precedente tentativo di far saltare la loro copertura, era l'ultima speranza di ottenere il Nobel, il che faceva di me una complice potenziale e decisiva per la riuscita del piano. Nonostante questo, non volli saperne di cedere. Muovendosi in fretta, e a mia insaputa, Biff stilò una dichiarazione in cui designava per il Nobel me, insieme con Sol e Lars Terenius, che aveva pubblicato un breve articolo su una oscura rivista scandinava per annunciare delle scoperte parallele alle nostre, ma con un linguaggio così tecnico e dando così poco risalto al suo contributo da passare quasi inosservato. Posso soltanto immaginare quale effetto abbia avuto quell'intervento 'sui componenti del comitato per la designazione, confondendo indubbiamente le loro idee al limite del parossismo, visto che il nome di Sol compariva anche nell'ambito di un terzetto del tutto diverso, in una designazione separata.

152

Page 153: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Anche se un'alta percentuale di vincitori del premio Lasker vince il premio Nobel, quell'anno Snyder, Kosterlitz e Hughes non ottennero il premio. Dopo un lungo e, si dice, acceso dibattito, il Nobel per l'anno 1979 fu assegnato a un gruppo del tutto diverso di tre scienziati, per un'altra scoperta. Nel mondo ristretto del Palazzo, si sparse in fretta la voce che la mia ribellione era costata loro il Nobel. E forse era vero.

Sopravvivenza

In seguito alla vicenda legata al premio Lasker mi feci una reputazione piuttosto sinistra. Alcuni dei miei amici mi presentavano scherzosamente ai convegni come «la donna scarlatta della neuroscienza», nel tentativo di ironizzare su quella che era considerata una reazione eccessiva. Ma non era divertente vedere persone che conoscevo a malapena, magari colleghi anziani, spostarsi con diffidenza dalla parte opposta del corridoio quando mi vedevano arrivare. Come accade sempre in questi casi, le voci erano molto peggiori dei fatti veri e propri, e molti erano convinti che avessi convocato una conferenza stampa per smentire pubblicamente il ruolo svolto da Sol nella scoperta del recettore degli oppiacei. Non era vero, naturalmente, ma decisero di comportarsi in modo così drammatico, creando deliberatamente uno scenario falso, per motivi del tutto personali. Ancora più sconvolgenti delle chiacchiere e dell'isolamento furono le ripercussioni negative nell'ambito dei convegni e dei dibattiti importanti. Gli inviti diminuirono di colpo: non mi chiamavano più per farmi parlare a un pubblico di colleghi nei congressi più prestigiosi, anzi, ero fortunata a ricevere almeno le convocazioni più periferiche, per i convegni di bassa levatura scientifica. La mia reazione consistette nell'accettare tutto quello che mi veniva offerto, nella speranza che, così facendo, sarei riuscita a conservare almeno in parte la fama che mi ero creata in precedenza. Ero fermamente decisa a non sparire di scena.

153

Page 154: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

La realtà della mia nuova condizione mi apparve penosamente chiara quando, verso la fine del 1979, il Palazzo sponsorizzò un convegno sugli oppiacei che fu largamente pubblicizzato. Hughes e Kosterlitz arrivarono in volo dalla Scozia per presenziare all'evento, mentre Sol e altri componenti del club degli Oppiacei vennero invitati a fare le presentazioni. Chissà per quale motivo, gli organizzatori non riuscirono a trovare un posto nell'ordine del giorno dei lavori per consentirmi di riferire sul nuovo lavoro che stavo svolgendo al NIH, anzi, per aggiungere al danno le beffe, mi sentii persino suggerire che avrei fatto meglio a non partecipare. Invece andai lo stesso, parlando a viso aperto e sopportando la gelida accoglienza che mi fu riservata. Quello fu un periodo in cui sembrava che qualunque cosa facessi dovesse suscitare delle scintille e provocare incendi. Un giorno decisi di ravvivare il mio laboratorio, che aveva un aspetto squallido e banale, dipingendo un vivace arcobaleno colorato sulle pareti, fino al corridoio. Avevo una passione per gli arcobaleni fin dai primi giorni trascorsi alla Hopkins, quando avevo sorpreso i miei colleghi di laboratorio laccandomi le unghie con minuscole mezzelune colorate. Per me l'arcobaleno era un profondo simbolo di speranza, in quanto scinde la luce bianca delle apparenze in uno spettro multiplo, rivelando una dimensione nascosta. Mi faceva pensare che la missione della scienza consiste nel penetrare attraverso gli strati della realtà quotidiana per raggiungere la verità. Per i miei colleghi, invece, quell'innocente espressione dell'emisfero cerebrale destro era la prova che tentavo di colpire al cuore con un paletto la scienza moderna. Molti di loro rimasero semplicemente imbarazzati e, sebbene continuassi a produrre molto lavoro nel mio laboratorio, la mia fama di eccentrica aumentò. Nell'ambito di una strategia di sopravvivenza, mi procurai l'appoggio di due alleate importanti, due scienziate che costituivano una forza in crescente ascesa nella cerchia dei ricercatori e nei media, rappresentati da una teoria inesauribile di giornalisti che sapevano riconoscere una buona storia quando la vedevano.

154

Page 155: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Dopo decenni di maschilismo che non era mai stato fronteggiato con decisione, se non negli ultimi tempi, le mie colleghe salutavano in me un'eroina che aveva tenuto testa agli scienziati uomini, cioè alfa. Anche se avevo perso lo scontro, riconoscevano il mio coraggio nel compiere un tentativo perché giustizia fosse fatta. All'inizio degli anni '80 diedi il mio contributo, insieme con un certo numero di scienziate dello stesso settore, alla nascita di un'organizzazione chiamata WIN, da Women in Neuroscience, ossia «Donne nella neuroscienza». Scegliemmo come motto lo slogan «Vincere con WIN» (giocando sulle parole, dal momento che in inglese win significa vincere) e pubblicammo un avviso, affiggendo un volantino nella toilette delle signore del Palazzo, per rendere nota l'intenzione di convocare un simposio in coincidenza con la prossima riunione della Società di Neuroscienza. Con nostra grande sorpresa si presentarono circa trecento donne, dando vita a un evento che si rivelò in parte una seduta di terapia di gruppo, in parte un serio congresso scientifico. Cominciò in un clima di cameratismo spensierato, perché eravamo tutte felici di trovarci in compagnia di donne e, una volta tanto, di non sentirci escluse dal club degli uomini. Tenni la conferenza che mi era stata chiesta parlando a piedi nudi e, dal momento che a quell'epoca ero incinta del mio terzo figlio, Brandon, indossando un vestito hippie a colori vivaci. Nonostante le risate e l'umorismo, si respirava un'atmosfera di collera così intensa che, per alcune ore, non potemmo fare altro che accettarla. E così lasciammo libero sfogo ai nostri sentimenti di rabbia e di dolore, raccontandoci una dopo l'altra storie da brivido. Anche se sapevo per esperienza diretta quanto fosse difficile essere donna nel campo scientifico, mi sentii sopraffare dal quadro che fu presentato in quella circostanza. Lo scopo della WIN, così come si configurò, divenne sempre più politico. Organizzandoci in quel modo, noi donne cercavamo di modificare la nostra condizione, passando da minoranza oppressa a gruppo moderato. Avevamo intenzione di favorire l'ascesa di colleghe che dovevano fungere da presidenti in occasione delle assemblee professionali, oltre a organizzare un sistema di tutorato, in modo che le donne di successo potessero assistere le altre, insegnando loro i meccanismi essenziali della

155

Page 156: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

presentazione delle richieste di finanziamento e delle manovre politiche. L'impegno con la WIN esercitava su di me un effetto risanatore, anzi, m'infondeva nuove energie: mi piaceva occupare una posizione di leader e amavo sollevare onde capaci di scuotere la barca dei potenti e le loro strutture costituite. Nel frattempo i media continuavano a curiosare, sperando di sfruttare meglio l'episodio del premio Lasker e di tenersi aggiornati sulle mie ultime imprese. Io però reagivo eludendo le loro domande, rispondendo che il premio Lasker era «acqua passata» e offrendo invece il mio parere sulla triste condizione delle donne nel campo scientifico, oltre a illustrare le scoperte eccitanti che avvenivano quasi ogni giorno nei laboratori dedicati alla neuroscienza in tutto il mondo. Col tempo cominciai ad apprezzare la stampa e a considerare i giornalisti degli alleati in quella che si stava rivelando una battaglia personale per recuperare la fama di un tempo, quella di una giovane scienziata promettente - una ragazza d'oro - che aveva compiuto delle grandi scoperte e doveva compierne ancora. A ripensarci, mi stupisco io stessa dell'impudenza con la quale trattavo la stampa, spesso gettando al vento ogni cautela e dicendo tutto quello che pensavo. Non avevo ancora imparato che potevo chiedere di riascoltare le citazioni tratte dalle mie interviste, e così commisi dei gravi errori dei quali in seguito mi pentii, soprattutto quando tenevo una conferenza e i giornalisti riportavano le mie parole come dichiarazioni ufficiali. Per citare uno dei casi che mi sembrano più rappresentativi, fu riportata una volta la seguente dichiarazione: «Non dovete fraintendermi, a me piacciono gli uomini, ma nel posto che a loro compete, vale a dire la camera da letto. Appena escono di lì, fanno scoppiare una guerra». Inserite nel contesto (anche se ho dimenticato da tempo quale fosse quel contesto) quelle parole sembravano appropriate, ma, estrapolate dal discorso e stampate dove non mi sarei mai aspettata di leggerle, sembravano offensive e scandalose. Purtroppo, è una citazione che da allora mi segue come un cucciolo fedele.

156

Page 157: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Ci volle molto tempo per imparare a filtrare i media in modo efficace, ma alla fine diventai abbastanza esperta da riuscire a comportarmi in modo tale da non suscitare scalpore. Una volta superata la necessità di usare i media per esporre la mia situazione, cominciai a capire che potevano aiutarmi anche a comunicare con il pubblico riguardo alle scoperte scientifiche che stavo compiendo, e questo in ultima analisi sarebbe stato molto più utile tanto alla mia reputazione quanto al mio lavoro. Nonostante le vie di sfogo che coltivavo con le donne e con i media, il rifiuto che sperimentavo da parte dei miei colleghi continuava a ferirmi terribilmente. Alla lunga, però, come tutte le aggressioni all'organismo che non riescono a distruggerlo, quelle offese si rivelarono benefiche. La mia fede nella scienza come ricerca della verità non poteva che risultarne rafforzata, mentre diventavo sempre più decisa a lavorare sodo e a compiere grandi scoperte. La mia dedizione esclusiva al lavoro fu intensificata, per quanto possa sembrare ironico, dal brusco arresto nell'avanzata lungo la scala gerarchica del Palazzo che dovetti registrare dopo l'incidente del premio Lasker; una situazione che mi costrinse a restare in laboratorio, vicino al banco degli esperimenti. Di solito, infatti, quando gli scienziati assumono posizioni di potere, la loro capacità politica si affina più di quella scientifica, facendo sì che perdano l'intuito necessario per eseguire dei buoni esperimenti. Quel baratto svantaggioso mi fu risparmiato, in un periodo in cui il banco degli esperimenti era il posto migliore per me. Nel 1982 la tempesta era ormai passata e io ero tornata alla ribalta come una scienziata che basava la sua fama sulla produttività e sui progressi significativi compiuti nel campo scientifico, anziché su voci, pregiudizi e ignoranza. Avevo imparato a lasciarmi alle spalle l'amarezza, ma non sarei ridiventata mai più la ragazza di Bryn Mawr dagli occhi lucenti, che vedeva il mondo attraverso lenti colorate di rosa saldamente posate sul naso. Trovandomi alle prese con alcune difficili scelte personali, avevo perduto gran parte delle illusioni sull'aspetto romantico della scienza. Volevo ancora tentare di sconfiggere i ragazzi al loro gioco, diventando più aggressiva, competitiva e spietata man mano che salivo la scala del successo? Mi sarei lasciata indurre a praticare la scienza per ottenere

157

Page 158: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

fama e vantaggi sociali, e forse persino denaro? In fondo al cuore, sapevo che l'unica ricompensa che la corsia veloce poteva portarmi era un'emicrania alla fine della giornata, o forse un bypass coronarico prima dei cinquant'anni.

Il lavoro continua

Nei primi giorni dell'esplosione dei neuropeptidi, quando ogni mese si scoprivano nuove sostanze chimiche prodotte dal cervello, il campo era così incandescente, così terribilmente alla moda e così produttivo che anche dopo l'incidente non fui costretta a modificare il lavoro in laboratorio per adottare linee pragmatiche dettate dall'economia o da qualche cambiamento nelle tendenze scientifiche. Alla fine degli anni '70 eravamo liberi di seguire l'ispirazione, esplorando direzioni nelle quali il lavoro era sicuramente fattibile, ma senza avere una prospettiva globale a guidarci. Soltanto in seguito cominciò a delinearsi una prospettiva più ampia, e i nostri sforzi furono considerati un contributo a progressi ancora impensabili. Il mio laboratorio, come quasi tutto il Palazzo, ronzava di attività giorno e notte. Nel 1978 ero supervisore, insieme con John Tallman, di un gruppo di dieci tecnici, e cominciavo a capire che cosa significa essere responsabili di assumere e licenziare, dirigendo il personale, oltre a sfruttare risorse e perseguire progetti. Da principio avevo una preferenza per laureati e dottori di ricerca di origine italiana, perché amavo il loro calore, e mi sembrava che la loro spontaneità e gioia di vivere portassero una nota giocosa, oltre che creativa, nell'atmosfera del laboratorio. Amavano arrivare in laboratorio verso le due del pomeriggio e lavorare tutta la notte, entrando spesso nel ritmo giusto intorno all'ora del telegiornale della sera. Comunque non giunsi mai a formulare delle regole rigide riguardo al personale da assumere, come facevano quasi tutti i miei colleghi. Il più delle volte mi affidavo a sensazioni istintive sul conto delle persone,

158

Page 159: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

captando un senso di affinità prima di prendere la decisione di assumere qualcuno, e quindi creando un laboratorio piuttosto diverso dagli altri. Com'era prevedibile, il mio laboratorio vantava una percentuale di donne molto più elevata degli altri laboratori del Palazzo. Assumevo spesso donne brillanti, alcune delle quali erano all'altezza dei nostri direttori di ricerca, eppure non riuscivano a trovare un posto adeguato alla loro esperienza. Ne ricordo una, in particolare, fuggita da un laboratorio di Long Island noto per la sua politica maschilista; aveva inventato una tecnica per visualizzare un solo neurone, illuminandolo con anticorpi monoclonali. Era una tecnica rivoluzionaria, che avrebbe dovuto far decollare la carriera di quella donna come un razzo; e invece la trovai che bussava alla mia porta come una mendicante, chiedendomi un impiego temporaneo nel laboratorio, finché non avesse trovato un altro posto. A volte qualche dottore di ricerca arrivava portandosi dietro uno stipendio garantito da una borsa di studio, come avvenne con il primo, Terry Moody, un californiano patito del tennis, che portava i capelli lunghi. Quando Terry arrivò nel mio laboratorio, nel 1977, avevo un progetto già pronto per lui. Avevo appena acquistato un campione di un peptide chiamato bombesina da Marvin Brown, un neuroscienziato della California insieme al quale avevo trascorso alcune ore all'aeroporto di Atlanta, in attesa di un aereo trattenuto a terra da una tempesta. Marvin mi aveva detto di aver iniettato nei ratti della bombesina, estratta dalla pelle di una rana nota col nome scientifico di bombix bombina, col risultato che i topi avevano cominciato a grattarsi furiosamente, mentre la loro temperatura corporea scendeva di dieci gradi. Come si scoprì in seguito, il prurito e l'abbassamento della temperatura corporea si riscontravano anche negli esseri umani. Naturalmente, quella sostanza doveva avere dei recettori nel cervello, e furono quelli che Terry e io ci impegnammo a scoprire. Usando la stessa tecnica da me ideata per trovare il recettore degli oppiacei, Terry fu in grado di localizzare i recettori della bombesina nelle zone limbiche del cervello dei ratti. Così divenne responsabile, insieme con altri dottori di ricerca, di una serie di scoperte analoghe che ci tenevano tutti in uno stato perenne di eccitazione.

159

Page 160: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Nella situazione classica, un direttore di laboratorio del Palazzo poteva controllare da dieci a trenta dottori di ricerca, ognuno dei quali assegnato a una particolare indagine. Lo stile di gestione che predominava nel Palazzo si può descrivere nel modo più efficace come una ruota in cui il capo del laboratorio rappresentava il mozzo, mentre i ricercatori si prolungavano all'esterno come raggi, divisi l'uno dall'altro, ciascuno all'oscuro di quello che facevano gli altri. Questo metodo garantisce un' atmosfera di grande discrezione, che il responsabile del laboratorio, può sfruttare per motivare i ricercatori alle sue dipendenze. E possibile assegnare due o tre persone allo stesso esperimento, incaricandole a volte di fare esattamente lo stesso lavoro: dopodiché il capo può metterli l'uno contro l'altro per garantire la precisione dei risultati. «Paul ha fatto così e così», dirà per esempio a Peter. «Ma io non ci credo. Pensi anche tu che Paul sia un pò scombinato, non è vero? Perché non provi a ripetere l'esperimento, per scoprire che cosa succede davvero?» La definiamo competizione guidata, una tecnica che Sol usava nel suo laboratorio alla Hopkins, così come hanno fatto tanti altri scienziati di successo della sua generazione. Come stile di gestione può essere estremamente produttivo, ma non è troppo piacevole, specie per chi si trova a sostenere la parte del raggio della ruota. Nel mio laboratorio ho sempre tentato di instaurare un sistema di gestione sollecito, quasi materno, motivando i miei collaboratori con gli elogi anziché con le critiche, con lo spirito di squadra anziché con la competizione. Il rifiuto che avevo sperimentato da parte dei colleghi dopo l'incidente del premio Lasker mi aveva reso più sensibile alle insidie che si celavano nelle regole del gioco della politica di laboratorio, inducendomi a evitarlo il più possibile. Nel mio ambiente, quindi, mi sforzavo di creare un'atmosfera che consentisse maggiore collaborazione, aprendo le porte in modo che vari laboratori potessero collaborare fra loro a progetti congiunti, anziché entrare in una spirale di feroce rivalità per ottenere gloria e finanziamenti. Gran parte del lavoro che svolgevamo nel laboratorio del National Institute of Mental Health, sia prima sia dopo l'incidente del premio Lasker, era una continuazione della mappatura dei recettori cerebrali già

160

Page 161: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

avviata dai tempi in cui lavoravo nel laboratorio di Sol. Si procedeva in base all'assunto che qualunque peptide di cui si riscontrasse la presenza in una parte qualsiasi del corpo doveva corrispondere, nel cervello, a un recettore specifico che gli si adattava alla perfezione, e di qui derivava il termine neuropeptide. Riuscimmo a dimostrarlo sottoponendo i peptidi, uno dopo l'altro, ad analisi progettate secondo le linee dell'esperimento originale sul recettore degli oppiacei e accertando se si verificasse il fenomeno del legamento. Qualcuno soprannominò quel procedimento «macina e lega», alludendo scherzosamente alle due fasi principali, di cui la prima consisteva nel polverizzare i tessuti, che venivano trasformati in una miscela densa come un frullato, mentre la seconda si riferiva all'azione del peptide che si fissava sul recettore corrispondente. Il vecchio metodo «macina e lega» fu sostituito ben presto dalla nuova tecnica dell'autoradiografia, che confermò ulteriormente la distribuzione dei recettori per tutti i peptidi conosciuti nelle varie zone del cervello. Nello sviluppo di questa tecnica collaborai da vicino con Miles Herkenham e Remi Quirion per portare l'arte dell'autoradiografia dei recettori al livello della massima precisione, ideando un modo rapido e semplice per visualizzare i recettori nel cervello e persino vederne i livelli di densità. I miei primi contatti con Miles erano avvenuti per telefono, quando, poco dopo il suo arrivo al Palazzo, nel 1977, mi aveva invitato a una conferenza che doveva tenere di lì a poco. Miles era un neuroanatomista che aveva studiato al MIT con il celebre Walle Nauta, lo scienziato che si era guadagnato la mia ammirazione con la capacità di interpretare all'impronta i dati ricavati dalla nostra analisi del recettore degli oppiacei e individuare i punti di massima concentrazione nel cervello limbico, o emozionale. Miles, come Nauta, era impegnato nella ricostruzione di un diagramma del circuito delle cellule neuronali e dei loro percorsi, un progetto al quale gli scienziati lavoravano da quasi un secolo, nella speranza che rivelasse la piena estensione del cervello elettrico. Tuttavia fino a quel momento i metodi da loro seguiti non avevano permesso di stabilire quali neurotrasmettitori fossero secreti da un particolare neurone. L'autoradiografia aveva consentito a Miles di

161

Page 162: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

seguire i percorsi dei neuroni e degli assoni, che apparivano sulla pellicola sotto forma di fori rotondi, creando un effetto simile a quello di una fetta di groviera, come se miriadi di isolette minuscole galleggiassero in un mare di tessuti esaminati al microscopio. Il lavoro che Mike Kuhar e io avevamo compiuto alla Hopkins all'epoca in cui ero appena laureata era sfociato nella costruzione di una mappa del cervello chimico, nella quale i recettori, una volta visualizzati, spiccavano come minuscole chiazze scure sullo sfondo più chiaro del tessuto cerebrale. Avendo letto di quel progetto, Miles era intenzionato da tempo a rivolgermi i seguenti interrogativi: Era possibile che i suoi forellini corrispondessero alle mie chiazze? La sua mappa del cervello elettrico poteva forse coincidere alla mia, relativa al cervello chimico? Assistendo alla sua conferenza, ero rimasta stupita dalla bellezza delle diapositive che Miles aveva mostrato, con i minuscoli neuroni che spiccavano come una Via Lattea proiettata su un immenso universo nero. Ben di rado avevo incontrato uno scienziato che avesse uno spiccato senso estetico, perché in genere preferivano un approccio più austero, unicamente numerico. Miles, invece, mostrava un insolito rispetto per la bellezza naturale di ciò che vedeva, e decisi subito di collaborare con lui. E del resto lui era bello quanto lo erano le sue diapositive: un autentico fusto! La nostra collaborazione si risolse in un sensibile perfezionamento rispetto ai tediosi metodi di visualizzazione che avevo usato ai tempi della Hopkins, apportando grandi miglioramenti all'arte dell'autoradiografia dei recettori, al punto che si passò dal legamento negli animali (in vivo) al legamento su vetrini ricavati da sezioni del cervello appositamente predisposte (in vitro). «Striscia e immergi», come fu subito ribattezzato il nuovo metodo, richiedeva che i leganti marcati con isotopi radioattivi si fissassero sui recettori e venissero poi immersi in un'emulsione liquida radiosensitiva. Pur essendo un metodo difficile, che non ammetteva errori, in parte perché il procedimento si doveva svolgere quasi tutto al buio, produceva dei risultati eccellenti, consentendoci di vedere i recettori come minuscoli granelli luminosi in un mare di tessuto cerebrale colorato.

162

Page 163: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Un altro metodo più semplice e rapido, che finimmo per elaborare e adottare come tecnica più progredita, richiedeva che la sezione del tessuto cerebrale fosse ricavata dopo che si era fissata sul vetrino, e cioè dopo che il recettore era stato legato in vitro, e poi accostata a una pellicola radiosensitiva contenuta in una cassetta. In teoria era un'idea formidabile, ma il primo tentativo si risolse in un fiasco totale, producendo solo un'immagine in nero su nero. Stavamo per rinunciare, quando il caso mi portò a un convegno nel quale incontrai una vecchia amica dei tempi della specializzazione, Anne Young. Ormai diventata primario di neurologia nel Massachusetts General Hospital, Anne è nota per il suo umorismo pungente e privo di pretese. Risultata prima del suo corso a Vassar, alla cerimonia di conferimento del diploma si era presentata con un «cappellino» che riproduceva il modello di una molecola e che si era tolta per salutare allegramente il preside. Una sera, durante il convegno, ci ritirammo nella sua stanza d'albergo restando a parlare fino a tarda notte, per rifarci del tempo perduto e gustare la bottiglia di scotch che avevo portato con me, e Anne accennò per caso al fatto che il suo laboratorio aveva utilizzato il metodo «striscia e immergi» messo a punto da Miles e me, apportandovi dei miglioramenti. Io ero tutta orecchi. «Abbiamo accostato il vetrino alla pellicola contenuta in una cassetta», mi confidò. «Per la verità», replicai, «anche Miles e io abbiamo avuto la stessa idea, ma non siamo riusciti a farla funzionare.» «Eppure è così semplice. Avete già fatto il grosso del lavoro, marcando il recettore nel tessuto e facendolo poi aderire al vetrino», osservò lei in tono pratico. «Scommetto che avete inserito la pellicola a rovescio... è un errore che si commette facilmente, lavorando al buio.» Fornendo un esempio straordinario del fenomeno per cui da una sbronza fra scienziati può scaturire un progresso decisivo per la scienza, portando alla correzione dell'unico «errore» infinitesimale commesso in una catena di fasi sperimentali ben eseguite, Anne ci aveva fornito la chiave del mistero. Appena tornata a Bethesda, il giorno dopo, mi misi al lavoro con la nostra esperta di farmacologia, Sandy Moon,

163

Page 164: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

un'afroamericana che era una delle scienziate più geniali ed eleganti che fossi riuscita ad attirare nel mio laboratorio. Lei inserì le stesse diapositive del primo esperimento, ma stavolta accostandole al lato giusto della pellicola, e fu subito un trionfo. Non credo di avere mai diviso con un'amica una bottiglia di scotch più preziosa di quella! La nuova tecnica ci consentì di costruire la mappa dei recettori in una settimana, anziché perdere un anno per ogni recettore. Ora potevamo trovarli in modo rapido e semplice, tanto per noi quanto per i numerosi laboratori impegnati in questo tipo di ricerca che avevano bisogno di identificare un certo peptide. Uno dei miei allievi del postdottorato, Remi Quirion, fu messo subito al lavoro su un progetto per trovare il recettore del cosiddetto PCP (<<polvere d'angelo»), e lo individuò subito. Remi, un canadese i cui genitori gestivano una tavola calda, era molto apprezzato nel laboratorio come cuoco, e riuscì a trasformare l'autoradiografia in un procedimento che somigliava alle operazioni di cottura di un fast-food. Quando venne per lui il momento di lasciare il laboratorio, Remi usava la tecnica dell'autoradiografia in collaborazione con parecchi altri laboratori del Palazzo. Oltre a essere incredibilmente efficiente per localizzare i recettori, il nuovo metodo ci consentì anche di espandere i nostri progetti sul piano estetico e di introdurre il colore nell'autoradiografia. Fino a quel momento, le varie densità di distribuzione apparivano solo in bianco e nero, per cui riusciva difficile distinguere le fluttuazioni più lievi. Ora, poiché l'immagine era fissata su una pellicola, potevamo utilizzare il computer per codificare i colori, ottenendo così un'autoradiografia quantitativa dei recettori. Questo rendeva visibile la densità dei recettori nel cervello, sfornando un'immagine che somigliava a una moderna carta meteorologica, con l'indicazione delle linee isotermiche corrispondenti alle varie zone geografiche. Le zone che apparivano di colore giallo potevano indicare la presenza di un certo numero di recettori, mentre quelle color arancio o viola indicavano concentrazioni maggiori o minori. Arrivammo a definire l'insieme di cassetta e computer «la macchina dell'arcobaleno», un termine che evocava il mio simbolo preferito delle promesse della scienza. Guardando quelle immagini, pensai

164

Page 165: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

che somigliavano a farfalle colorate, e non resistetti alla tentazione di trasformarne qualcuna in poster, per ingentilire le pareti altrimenti sterili dei corridoi. Mi venne in mente che avevamo inventato una nuova forma d'arte, chiamata «fotoneurorealismo », e fantasticai che un giorno sarebbe stata esposta in una galleria d'arte di New York, straordinariamente bella e nello stesso tempo ricca di dati utili. A quel punto ci mettemmo al lavoro per raggiungere l'obiettivo di collegare le mappe neurochimiche dei peptidi e dei loro recettori con i diagrammi dei circuiti ai quali gli anatomisti lavoravano da anni. I diagrammi dei circuiti di Miles indicavano i collegamenti materiali esistenti nel cervello, la sua realtà elettrica, mettendo in evidenza le vie di comunicazione fra nervi, assoni e dendriti. Sovrapponendo le mappe che avevamo ottenuto con l'autoradiografia ai suoi diagrammi, potevamo osservare quali percorsi neurali erano dotati di recettori per le endorfine e quali potevano ricevere i messaggi trasportati da altri peptidi. A quell'epoca il mio sogno era arrivare al più presto a realizzare una grande mappa a colori del cervello che mostrasse il modo in cui il sistema chimico interagiva con quello elettrico, un autentico arcobaleno di colori e informazioni. Un' altra scoperta che emerse dall'autoradiografia a colori fu la ricchezza di recettori dei peptidi che regolavano il continuum piacere/dolore nelle aree limbiche, o emozionali, del cervello. Miles aveva già esplorato alcune di quelle connessioni limbiche sul piano anatomico, in particolare i percorsi dei neuroni cerebrali lungo l'asse talamo-corteccia. Ora potevamo vedere come i recettori degli oppiacei seguissero esattamente gli stessi percorsi del sottogruppo di neuroni del talamo collegati ai sistemi limbici. Per scherzo, assegnammo ai punti appena individuati la definizione di «zone dell'amore», perché combaciavano alla perfezione con i fori delle isole galleggianti di Miles. Avevamo finalmente la conferma che i fori visibili nella sua pellicola, formati dai neuroni che si protendevano verso il sistema limbico, coincidevano con le chiazze del mio recettore degli oppiacei, e nell'agosto del 1983 ottenemmo l'onore della copertina di Nature, dove fu pubblicata una splendida tavola a colori che illustrava le nostre scoperte.

165

Page 166: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Nei momenti di maggiore calma, quando potevo sottrarre un pò di tempo alle minuzie della routine quotidiana, sognavo una grande mappa a mosaico, che doveva essere composta da tutti i neuropeptidi e le altre molecole addette a trasportare messaggi che venivano scoperte dal mio laboratorio e da altri. Senza dubbio quello che vedevamo era la base di qualche complesso sistema di comunicazione in funzione all'interno del cervello; e dato che i peptidi cerebrali, insieme con i loro recettori, comparivano negli apparati più distanti del corpo umano, questo poteva essere un indizio del fatto che le comunicazioni non viaggiavano soltanto all'interno del cervello, ma anche fra il cervello e il resto del corpo. Quello che cominciavo a chiedermi, insomma, era se tutti quei sistemi fossero collegati fra loro, in un modo o nell'altro e, in caso affermativo, perché.

Procedimento

All'inizio degli anni '80, anche se l'atmosfera del Palazzo era ancora satura di spirito competitivo, il nostro laboratorio era diventato un vivaio di iniziative di collaborazione e di scambio. Nel 1982 ottenni la promozione a caposezione per la biochimica cerebrale, e mi sentii al settimo cielo, visto che ora avevo a disposizione un personale che contava fino a quindici elementi. Ormai gli scienziati dentro e fuori delle mura del Palazzo chiedevano ogni giorno di poter fissare un appuntamento con il mio laboratorio per ottenere un'autoradiografia del loro peptide, con il relativo recettore, alla ricerca di ogni possibile misurazione e localizzazione nel cervello. A volte si presentava un ricercatore che voleva mostrarmi i dati di un esperimento col naloxone per controllare il comportamento alimentare delle sue cavie sovrappeso, insinuando che le endorfine potevano essere coinvolte in qualche modo con il problema dell'obesità. Non potevo per caso misurare l'emissione di endorfina nelle ghiandole pituitarie dei ratti? Una ricercatrice, invece, mi telefonava per parlare della sua ricerca sui possibili rapporti fra le oscillazioni

166

Page 167: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

dell'umore e il ciclo mestruale. Era possibile che la fase di esaltazione emotiva corrispondente ai giorni fra il quinto e il settimo del ciclo si potesse spiegare con il rilascio di endorfine? Uno psichiatra veniva a discutere il lavoro che conduceva su pazienti ipersensibili al dolore e incapaci di trovare sollievo anche usando gli analgesici più potenti. Potevo misurare il livello di endorfina nel sangue di questi pazienti? Il flusso di richieste era ininterrotto, e io adoravo ogni momento di quel lavoro. In quel periodo la ricerca procedeva così in fretta che spesso mi sembrava di essere una giocoliera capace di far roteare i piatti in cima a due lunghi bastoni che stringevo in ogni mano. Far roteare i piatti, però, era solo metà del lavoro: il bello era tenerli in movimento. Se un piatto cade a terra, se un esperimento fallisce e si rende necessario chiuderlo, sia pure solo per qualche settimana, il compito di recuperarlo e farlo roteare di nuovo può rivelarsi impossibile. La tecnologia sembra animata di vita propria: una volta che smette di funzionare, è come se fosse morta, e possono essere necessari mesi, talvolta anni, di lavoro per riportarla in vita. L'analisi per la misurazione del livello di endorfine nel sangue, l'analisi per la localizzazione dei recettori nel cervello e l'autoradiografia, ecco quali erano i piatti che tentavo di tenere in moto perpetuo. Ogni giorno, nel mio laboratorio, i giovani che avevano già conseguito il dottorato usavano queste tecniche, addestrando i successori a fare altrettanto quando sarebbe giunto il momento di subentrare a loro. Potevamo anche formulare interrogativi diversi, ma la tecnologia restava sempre la stessa. Per esempio, volevamo capire in che modo il recettore degli oppiacei e il sistema dell'endorfina si fossero evoluti nel tempo, e ricostruire il loro progresso usando l'autoradiografia. Per farlo, dovevamo esaminare il cervello dei feti di ratto dell'età rispettivamente di tre giorni, poi sette e infine quindici giorni, registrando con pazienza le modificazioni nelle cellule e nelle strutture. Poi utilizzavamo la stessa tecnica per vedere in che modo quei sistemi si fossero modificati nel cervello delle scimmie. Ci chiedevamo: era vero che i recettori erano più fitti in quei punti in cui si ricevevano gli input sensoriali dalle orecchie,

167

Page 168: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

dagli occhi, dal naso, dalla bocca e dalla pelle? Ed erano più concentrati nel cervelletto o nel neopallio? Il mio metodo consisteva nell'ideare una tecnica e poi porre tutte le domande alle quali quella tecnica poteva dare risposta. Questo procedimento poteva durare anni, nel corso dei quali si raccoglievano le tessere di un puzzle che pian piano formavano un quadro generale di cui si scorgevano soltanto degli squarci lungo il cammino. E poi un bel giorno, quando la luce si accende nel cervello, vedi finalmente il quadro d'insieme, lo schema generale, e tutti i conti tornano: tutti i dati che hai accumulato per anni cominciano ad assumere un significato. Oppure non riesci mai a raggiungere quel punto e continui invece a ideare nuove tecniche, a formulare nuove domande, a sfornare altri dati, componendo il tutto in una forma adatta per la pubblicazione. E forse qualcun altro un giorno vedrà la soluzione, e sarà il pezzo mancante di un puzzle al quale lui, o lei, lavorava da anni. Quasi tutti pensano che la scienza sia una serie di risultati drammatici, illuminazioni improvvise, progressi esaltanti, mentre invece la scienza è soprattutto e innanzi tutto un procedimento. Si comincia a percorrere una strada, e poi si imbocca tutt'a un tratto una svolta che ci porta su una strada del tutto diversa. A volte i passi avanti sono piccoli e il progresso avviene poco alla volta. Nel mio laboratorio, quando le cose non funzionavano, i ricercatori diventavano avviliti e depressi. C'erano dei periodi eccezionalmente sterili in cui solo uno su dieci progetti di ricerca produceva dei risultati, e anche quell'unico successo era di solito un noioso esperimento del tutto scontato che non solleticava l'immaginazione di nessuno. A Palazzo, invece, spesso erano proprio quelli i progetti che soddisfacevano i superiori e finivano per impinguare il carniere delle pubblicazioni. Ogni scienziato accorto cercava di bilanciare alcuni progetti personali avventati con un gran numero di esperimenti che andavano sul sicuro: non avrebbero mai fatto esplodere fuochi d'artificio, ma rappresentavano una solida garanzia. Uno dei miei progetti personali più azzardati era quello che avevo progettato per trovare il recettore della marijuana. Era un esperimento che volevo compiere di persona, per dimostrare che avevamo a

168

Page 169: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

disposizione nel nostro cervello una marijuana naturale alla quale potevamo accedere, in potenza, per ottenere un'euforia naturale senza fumare erba. Ci lavoravo da due anni, sperimentando centinaia di piccoli accorgimenti che mi facevano perdere un'infinità di tempo senza peraltro produrre risultati, perché non riuscivo mai a mettere le mani sul legante giusto. Senza quel legante, tutti i miei sforzi, pari a centinaia di ore di duro lavoro, avevano minori probabilità di farmi scoprire il recettore della marijuana di quante ne avesse una palla di neve di resistere all'inferno. Così alla fine mi rassegnai all'inevitabile e dedicai la mia attenzione ad altri progetti. Per fortuna ce n'erano molti che mi tenevano occupata, fin troppi di cui rendere conto, e fra loro molti coronati dal successo. Alla fine, e solo di recente, è stato il mio amico Miles Herkenham a visualizzare i recettori della Cannabis nel cervello dei ratti, dopo aver individuato il legante giusto. Allora non me ne rendevo conto appieno, ma il lavoro svolto in laboratorio durante quel periodo non era che la base per una scoperta di enorme importanza, che ci avrebbe condotti a formulare una teoria radicale per spiegare il legame fra mente e corpo e il modo in cui le emozioni sono direttamente connesse con la salute e la malattia. Il tumore al polmone che fu diagnosticato a mio padre nel 1980 e le ricerche da me svolte nel disperato tentativo di salvargli la vita mi servirono a intravedere quella connessione, ma soltanto quando mi trovai coinvolta di persona nella scienza a un livello più profondo riuscii a compiere un passo da gigante per uscire dal vecchio paradigma e seguire con audacia quella che, in fondo al cuore, sapevo essere la verità.

169

Page 170: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

7

La biochimica delle emozioni:

La lezione continua

Confido nel fatto che i miei ascoltatori abbiano ormai una preparazione sufficiente per comprendere gli elementi fondamentali della biochimica delle emozioni, ossia i neuropeptidi e i vari altri leganti insieme con i loro recettori, e abbiano compreso in che modo noi scienziati siamo arrivati a interpretarli. Inoltre hanno già appreso qualcosa sugli aspetti elettrici e chimici del cervello; e sanno per esempio che i balzi, attivati da impulsi elettrici, che i neurotrasmettitori compiono al di là delle sinapsi cerebrali non sono altro che un aspetto di una rete molto più sviluppata di informazioni trasmesse dai neuropeptidi e dai loro recettori sparsi in tutto il corpo. Ora siamo pronti ad affrontare la teoria, da me proposta, che queste sostanze biochimiche siano il substrato fisiologico delle emozioni, la base molecolare di ciò che sperimentiamo sotto forma di sentimenti, sensazioni, pensieri, impulsi, e forse persino di spirito, o anima. Grazie al lavoro compiuto nel mio laboratorio, e in molti altri, ed esposto in alcuni articoli e conferenze di carattere teoretico, disponiamo oggi di molte prove che confermano questa tesi. E così, mentre le luci in sala sono ancora abbassate, affronto direttamente il mare di occhi, menti e cuori impazienti che ho di fronte, cominciando a spiegare le implicazioni più radicali della mia ricerca, implicazioni che mi riusciva difficile persino immaginare all'epoca in cui mi azzardai a esporre per la prima volta le mie ricerche in questo senso sulle riviste scientifiche del nostro settore. Quello che vi illustrerò oggi, e cioè il motivo per cui sentiamo ciò che sentiamo sul piano emotivo, riflette le mie considerazioni più recenti su un argomento che mi appassiona da oltre un decennio. Le mie idee si sono sviluppate sulla base

170

Page 171: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

della sintesi di molte fonti diverse, che vanno dal lavoro svolto personalmente in laboratorio alle ricerche compiute da scienziati che oggi sono all'avanguardia nella formulazione della teoria delle emozioni, alle ultime scoperte compiute dalla comunità globale dei neuroscienziati. L'esperienza personale di terapie basate sull'unità mente-corpo che mettevano l'accento sull'importanza delle emozioni, e in particolare sul potere che ha la loro espressione completa di liberarci da schemi del passato che attentano alla nostra gioia e salute, ha gradualmente accresciuto la mia fiducia nella validità di queste idee.

Che cosa intendo dire, quando parlo di emozioni?

Devo premettere che alcuni scienziati si spingono al punto da definire scandalosa la sola idea di una base biochimica delle emozioni; in altri termini, questa concezione non è ancora entrata a far parte del patrimonio del sapere ufficiale. Anzi io stessa, che devo la mia formazione scientifica a una tradizione in cui nei testi di psicologia sperimentale (basati unicamente su quello che si può osservare e misurare) la parola emozioni non figura neppure nell'indice, non ho potuto fare a meno di provare un pizzico di trepidazione quando mi sono arrischiata ad affrontare il discorso della loro base biochimica. Ho cominciato a prendere coraggio quando, nel 1984, Paul Ekman, uno stimato psicologo che studia le emozioni umane all'università della California di San Francisco, mi ha fatto conoscere l'opera di Charles Darwin sull'argomento: se persino il grande Darwin lo aveva ritenuto importante, voleva dire che le mie idee non erano campate in aria. Nel suo libro L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, Darwin spiega come gli esseri umani di tutto il mondo abbiano in comune delle espressioni facciali che riflettono emozioni, alcune delle quali sono condivise anche dagli animali. Per esempio, un lupo che scopre le zanne utilizza gli stessi muscoli facciali di un essere umano che si sente in collera, o minacciato. La stessa fisiologia di base delle emozioni si è tramandata ed è stata usata all'infinito nel corso di ere di evoluzione

171

Page 172: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

della specie. In base all'universalità di questo fenomeno, Darwin formulava l'ipotesi che le emozioni fossero la chiave della sopravvivenza del più forte. A titolo di esempio, vorrei citare un passo dell'opera Il gene egoista, di Richard Dawkins, dedicata ai rapporti fra evoluzione e meccanismo di sopravvivenza: «Un'anatra è un veicolo robotico per la propagazione dei geni dell'anatra». Questa non è che una formulazione diversa dell'idea darwiniana che, se le emozioni sono così diffuse tanto nel regno umano quanto in quello animale, ciò vuoi dire che si sono rivelate essenziali, dal punto di vista evoluzionistico, per il processo di sopravvivenza, e sono collegate in modo inestricabile alle origini della specie. Quando uso il termine emozione, lo faccio nel senso più ampio del termine, includendo non solo le esperienze familiari all'uomo come ira, paura e tristezza, oltre che gioia, soddisfazione e coraggio, ma anche sensazioni basilari come piacere e dolore, nonché le «pulsioni istintuali» studiate dagli psicologi sperimentali, come fame e sete. A parte le emozioni e gli stati che si possono misurare e osservare, mi riferisco anche a un assortimento di altre esperienze, stavolta intangibili, che probabilmente sono una prerogativa unica degli esseri umani, come l'ispirazione, il timore reverenziale, l'estasi e altri stati di coscienza che tutti noi abbiamo sperimentato ma che, almeno finora, restano privi di spiegazione sul piano fisiologico. Devo precisare che gli esperti, i teorici delle emozioni che hanno dei dati scientifici da interpretare, sono in disaccordo su molti punti, per esempio se le sensazioni siano da identificare con le emozioni, quante siano effettivamente le emozioni base, o fondamentali, o addirittura se questi siano interrogativi validi oppure no! Concordano tuttavia sul fatto che ormai esistono chiare prove scientifiche di carattere sperimentale a conferma del fatto che le espressioni facciali che rispecchiano ira, paura, tristezza, gioia e disgusto sono identiche tanto negli eschimesi quanto negli italiani. Probabilmente anche le espressioni facciali che registrano altre emozioni come sorpresa, disprezzo o vergogna/senso di colpa sono panculturali, il che significa che anch'esse sono emozioni

172

Page 173: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

fondate su un meccanismo genetico innato di espressione, e con ogni probabilità esistono altre emozioni su base genetica ancora da scoprire. Robert Plutchik, un professore di psicologia all'università di Hofstra, le cui ricerche sulle emozioni mi colpirono profondamente al tempo in cui ero ancora studentessa, ha proposto una classificazione fondata su otto emozioni primarie - tristezza, disgusto, ira, anticipazione, gioia, accettazione, paura e sorpresa - che, come i colori primari, si possono mescolare ad altre emozioni secondarie: per esempio, paura + sorpresa = allarme, gioia + paura = senso di colpa, e così via. Che la classificazione di Plutchik sia confermata o no da ulteriori studi, l'idea che certe emozioni possano mescolarsi per produrne altre è interessante e suggerisce che, quando si prendono in considerazione altri fattori come l'intensità e la durata dell'emozione, si possono distinguere facilmente centinaia di stati emotivi differenziati in modo quasi impercettibile. Inoltre gli esperti distinguono fra emozione, umore e temperamento, in cui l'emozione sarebbe la più transitoria e chiaramente identificabile in rapporto alla causa che la scatena; mentre l’umore si prolunga per ore o giorni interi ed è meno facile da riconoscere, e il temperamento sarebbe fondato su fattori genetici, per cui in genere dobbiamo tenercelo per tutta la vita (fatta salva la possibilità di alcune modificazioni). Per esempio Jerome Kagan, professore di psicologia a Harvard, ha dimostrato che tratti facilmente rilevabili come la tendenza a restare sorpresi da nuovi stimoli si possono osservare fin dai primi mesi di vita nei lattanti che poi, crescendo, diventeranno bambini e adulti timidi.

Il sistema limbico del cervello:

la sede classica delle emozioni

I neuroscienziati sono concordi da tempo nel riconoscere che le emozioni sono controllate da alcune parti del cervello. Si tratta di un assunto «neurocentrico», che ora ritengo errato, o almeno incompleto. Eppure, dal momento che sono una neuroscienziata e un tempo ero convinta che il cervello fosse l'organo più importante del corpo, mi sono lasciata indurre

173

Page 174: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

da questo assunto a compiere l'analisi giusta, anche se per la ragione sbagliata. Verso la metà degli anni '80, insieme con le mie colleghe del NIH Joanna Hill e Birgit Zipser, ho analizzato in modo sistematico gli schemi di distribuzione nel cervello di ventidue diversi recettori dei neuropeptidi che il nostro laboratorio aveva individuato nel corso degli anni, confrontandoli poi con le classiche aree cerebrali deputate al controllo delle emozioni nel sistema limbico. Quest'ultimo è in gran parte una costruzione artificiale, nota come sede delle emozioni, che con gli anni ha finito per includere un numero sempre maggiore di strutture cerebrali. La ricerca confermò per molti altri recettori di neuropeptidi ciò che avevamo già accertato nel caso della distribuzione cerebrale dei recettori degli oppiacei, i primi dei quali era stata ricostruita la dislocazione. Infatti le strutture fondamentali del cervello limbico, come l'amigdala, l'ippocampo e la corteccia limbica, che secondo i neuroscienziati erano coinvolti nel comportamento emozionale, contenevano addirittura dall'85 al 95 per cento dei vari recettori di neuropeptidi da noi studiati: un risultato esaltante! Quella concordanza consolidò la mia convinzione (nata quando avevo cominciato a tracciare la mappa dei recettori degli oppiacei, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80) che esistessero davvero delle entità che si potevano definire le molecole dell'emozione. Alcuni esperimenti compiuti sugli esseri umani, da cui risulta una connessione fra le emozioni e quelle zone del cervello dove ora eravamo propensi a collocare quasi tutti i recettori dei neuropeptidi, erano stati compiuti già negli anni '20 da Wilder Penfield, all'università McGill di Montreal. Mentre lavorava su individui tenuti in stato di veglia cosciente nel corso di operazioni compiute a cervello aperto (necessario per arrestare crisi epilettiche gravi e incontrollabili), Penfield aveva scoperto che, stimolando elettricamente la corteccia limbica che ricopre l'amigdala (costituita da due strutture a forma di mandorla che si trovano ai lati del lobo anteriore, circa due centimetri e mezzo all'interno dell'involucro della scatola cranica rispetto ai lobi delle orecchie), era possibile scatenare un'intera gamma di espressioni emotive, come intense reazioni di dolore, ira o gioia, mentre i pazienti

174

Page 175: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

rivivevano antichi ricordi accompagnati dalle modificazioni corporee corrispondenti, come tremito di rabbia, riso, pianto e variazioni della pressione sanguigna e della temperatura. Un altro indizio che i neuropeptidi e i loro recettori potevano essere candidati plausibili come sede delle emozioni era il fatto che corrispondevano al criterio individuato da Darwin: la base fisiologica delle emozioni, aveva predetto, doveva essersi «conservata» nel corso dell'evoluzione. Data l'importanza del ruolo svolto nella sopravvivenza della specie dalle emozioni, queste si sarebbero ripresentate a più riprese nei vari stadi di evoluzione del regno animale. In effetti, gli esperimenti sulla mappatura dei recettori che avevo eseguito con gli oppiacei radioattivi come morfina e naloxone avevano dimostrato che si trovavano recettori degli oppiacei identici nel cervello di tutti i vertebrati, dal semplice e sgraziato missinoide al complesso organismo superiore dell'essere umano; persino gli insetti e altri invertebrati rivelavano la presenza di recettori degli oppiacei. Darwin, d'altronde, aveva potuto parlare soltanto della fisiologia delle emozioni, e non della loro biochimica o genetica, perché il concetto di biochimica, con i suoi componenti specifici, proteine e peptidi (prodotti diretti dei geni), sarebbe stato formulato soltanto un secolo dopo, o quasi. Eppure sono convinta che avrebbe visto in questo lavoro la conferma della sua brillante intuizione.

E stato Paul MacLean, un ricercatore del NIMH, a rendere popolare il concetto del sistema limbico quale sede delle emozioni. Il sistema limbico era una componente essenziale del cervello nella sua teoria del «cervello trino», per cui il cervello umano comprenderebbe tre strati che rappresentano tre diversi stadi dell'evoluzione umana: il midollo allungato, o cervello rettiliano, che è responsabile della respirazione, dell'escrezione, della circolazione sanguigna, della temperatura corporea e delle altre funzioni organiche; il sistema limbico, che circonda la sommità del midollo allungato ed è la sede delle emozioni; e infine la corteccia cerebrale, nel lobo anteriore, che è sede della razionalità.

175

Page 176: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Nel lontano 1974 mi fu offerta l'opportunità di fare visita a questo medico-scienziato di chiara fama, quando andai al laboratorio del NIMH per tenere una conferenza sulla scoperta del recettore degli oppiacei, allora recentissima. Alla fine, con un pizzico di malignità, Paul mi fece passare lungo una serie di gabbie piene di scimmie che lanciavano strida ed esibivano i genitali, in una concitata manifestazione di aggressività intesa a spaventare gli intrusi per tenerli lontani dal loro territorio. Anche allora Paul affrontava interrogativi che vertevano sulla misura in cui il concetto di sistema limbico fosse fondato scientificamente e fino a che punto fosse invece una metafora. Ma l'aspetto più stimolante, per me, fu la discussione sul fatto che i recettori degli oppiacei sono tutt'altro che fitti nel lobo frontale della corteccia cerebrale del cervello umano, che pure presenta molte interconnessioni con l'amigdala, una delle cosiddette strutture limbiche. Mentre Paul si batteva un dito sulla fronte con un gesto enfatico per indicare il lobo frontale (la struttura cerebrale più recente nell'arco dell'evoluzione, e quella che si presenta più sviluppata soltanto negli esseri umani), io riflettevo sui percorsi fisiologici e biochimici che si dovevano essere aperti fra quella parte della corteccia e il resto del cervello per consentire agli umani di imparare a controllare le emozioni e comportarsi in modo non egoistico. Anche se la capacità di apprendimento è presente in una certa misura anche nelle creature più semplici, la forza di volontà è un elemento decisivo che costituisce una prerogativa unica degli esseri umani, e Paul era certo che risiedesse nel lobo frontale della corteccia.

Le emozioni nascono nella testa o nel corpo?

Fino al 1984 avevo dato per scontato che i famosi esperimenti compiuti sull'uomo da Wilder Penfield avessero dimostrato oltre ogni dubbio che le emozioni hanno origine nel cervello. Quell'anno, però, andai a presentare una relazione al secondo Colloquio internazionale della Society for the Study of Emotion (Associazione per lo studio delle emozioni), che si teneva a Harvard, e là conobbi Eugene Taylor, lo storico

176

Page 177: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

della scienza che insegnava nel dipartimento di psicologia. Si disse entusiasta della conferenza che avevo appena tenuto, illustrando la teoria dei peptidi e degli altri leganti come base biochimica delle emozioni. Gene volle sapere quale fosse la mia posizione riguardo alla celebre disputa James-Cannon, che, come rammentò, verteva sulla fonte ultima delle emozioni: queste hanno origine nel corpo e poi vengono percepite a livello della testa, dove inventiamo una storia per spiegarle, come sosteneva William James, oppure hanno origine nella testa e di lì si trasmettono al corpo, come affermava Walter Cannon? Nel 1884, quando era assistente di filosofia a Harvard, William James aveva pubblicato un saggio dal titolo «Che cos'è un'emozione?», basando la sua teoria sulle proprie osservazioni introspettive e sulla conoscenza generale che aveva della fisiologia. Aveva concluso che la fonte delle emozioni è puramente viscerale, vale a dire che ha origine nel corpo, e non cognitiva, cioè scaturita dalla mente, e che probabilmente non esiste un centro cerebrale che controlli l'espressione delle emozioni. Noi percepiamo i fatti e avvertiamo sensazioni corporee, e soltanto in seguito, in base alla percezione che stimola memoria e immaginazione, etichettiamo quelle sensazioni fisiche sotto il nome dell'una o dell'altra emozione. In effetti, a suo parere non esistono entità che si possano definire emozioni, ma soltanto la percezione e la reazione fisica. Gli echi immediati, sensori e motori, che si verificano in risposta alla percezione -il battito del cuore, la stretta allo stomaco, la tensione dei muscoli, il sudore sul palmo delle mani - sono le emozioni, e le emozioni vengono avvertite in tutto il corpo come sensazioni, «ogni frammento delle quali concorre con le sue pulsazioni sensoriali, tenui o acute, piacevoli o dolorose o ambigue, a creare quel senso della personalità che ciascuno di noi porta infallibilmente con sé». Le emozioni consistono dunque in cambiamenti organici del corpo, muscolari e viscerali, e non sono una percezione diretta, bensì secondaria, suscitata indirettamente dal funzionamento del corpo. Come molte teorie puramente astratte che appaiono seducenti, anche quella di James sembra crollare sotto il peso di dati concreti, nel caso specifico i risultati di esperimenti condotti in laboratorio su animali dal

177

Page 178: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

suo allievo Walter Cannon, fisiologo sperimentale e autore di La saggezza del corpo, che nel 1927 aveva spiegato il funzionamento del sistema nervoso autonomo, o simpatico. Un solo nervo, chiamato «vago», fuoriesce dalla parte posteriore del cervello attraverso un foro posto alla base del cranio (foramen magnum), prima di suddividersi per svilupparsi lungo i fasci di cellule nervose, o gangli, posti ai lati del midollo spinale, diramandosi in direzione di numerosi organi, fra i quali le pupille degli occhi, le ghiandole salivari, i bronchi, lo stomaco, l'intestino, la vescica, gli organi sessuali e le ghiandole surrenali (da cui viene secreto l'ormone chiamato adrenalina). Stimolando il nervo vago per mezzo di elettrodi impiantati nell'ipotalamo, alla base del cervello, poco più su della ghiandola pituitaria, Cannon aveva dimostrato che i cambiamenti fisiologici in tutti questi organi erano coerenti con le esigenze del corpo in una situazione d'emergenza, quando le risorse dovevano essere gestite in modo rapido, efficiente e automatico, senza riflessioni capaci solo di far perdere tempo. Per effetto di questa stimolazione dell'ipotalamo, per esempio, il sangue veniva dirottato in fretta dagli organi interni della digestione verso i muscoli, nello schema di reazione noto come «fuggire o combattere» (evidentemente la digestione poteva attendere fino alla fine dell'emergenza) e un aumento nella secrezione di adrenalina accelerava il battito cardiaco, segnalando al fegato di mettere in circolo riserve extra di zuccheri da cui ricavare energia immediata. Dal punto di vista di Cannon, la teoria delle emozioni viscerali di James faceva acqua da tutte le parti. Infatti Cannon era in grado di misurare con precisione quanto tempo doveva trascorrere dal momento in cui l'ipotalamo riceveva una scossa elettrica fino a quando cominciavano a manifestarsi i cambiamenti corporei nel flusso del sangue, nella digestione e nel battito cardiaco. E la conclusione era stata che questi cambiamenti erano troppo lenti per essere la causa delle emozioni, anziché l'effetto. Inoltre quando si cercava di indurre in modo artificiale dei cambiamenti viscerali tipici delle emozioni intense, per esempio usando la corrente elettrica per produrre una forte contrazione intestinale come quella che si verifica nel primo istante di panico, non si

178

Page 179: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

riuscivano a ottenere gli altri segni di quella emozione. Non solo, ma Cannon faceva notare che le cavie alle quali era stato tagliato il nervo vago, e che in teoria non dovevano presentare cambiamenti fisici viscerali di tipo simpatico, sembravano conservare un comportamento emotivo quando si sentivano minacciate. Secondo Cannon, l'ipotalamo del cervello era la sede delle emozioni, che poi si trasmettevano al corpo attraverso le connessioni neuronali dell'ipotalamo con la parte posteriore del cervello, ossia il midollo allungato, oppure attraverso le secrezioni della ghiandola pituitaria. Mentre Eugene Taylor, alla fine del ventesimo secolo, aspettava fiducioso il mio contributo personale alla disputa alquanto datata fra James e Camion, io scoppiai tutt'a un tratto in una sonora risata: «Ma è semplice! Hanno ragione tutt'e due. Non si tratta di o/o; in realtà sono valide tutt'e due le ipotesi, e nello stesso tempo nessuna delle due. E un processo simultaneo, una strada a doppio senso», esclamai. Mi ero appena resa conto che la soluzione di un dibattito le cui origini risalivano a più di un secolo prima racchiudeva la chiave per comprendere un dilemma estremamente attuale: in che modo le emozioni possono trasformare il corpo, causando delle malattie o curandole, salvaguardando la salute o minandola? Anche questo contribuì a farmi capire la conferenza che avevo appena tenuto sul biofeedback, o retroazione, una tecnica che consiste nell'usare dispositivi di monitoraggio per misurare varie funzioni corporee (per esempio, il battito cardiaco o la circolazione sanguigna) come passo iniziale verso il controllo di quelle funzioni. Il biofeedback può consentire a persone del tutto normali (e non soltanto ai maestri yoga di livello superiore) di raggiungere uno stato di profondo rilassamento in cui sono in grado di assumere il controllo cosciente di processi fisiologici che in passato si ritenevano autonomi e non suscettibili di reagire a un intervento volontario. Per esempio, chiunque può far salire la temperatura della propria mano di un paio di gradi circa, spesso addirittura al primo tentativo. Elmer Green, il medico della clinica Mayo che aveva fatto da pioniere nell'uso del biofeedback per il trattamento delle malattie, aveva osservato: «Ogni cambiamento nello

179

Page 180: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

stato fisiologico è accompagnato da un cambiamento correlato nello stato mentale emotivo, cosciente o no, e viceversa, ogni cambiamento nello stato mentale emotivo, cosciente o no, è accompagnato da un corrispondente cambiamento nello stato fisiologico». La domanda di Taylor mi aveva ispirato un'altra intuizione sul significato delle scoperte che avevamo fatto sulla collocazione dei peptidi e dei loro recettori, e riguardo alle teorie che avevamo formulato su queste molecole dell'emozione.

Oltre le sinapsi, un nuovo modello di scambio delle informazioni

Negli anni '60, una scienza chiamata neurofarmacologia che cominciava appena a muovere i primi passi si era concentrata sui neurotrasmettitori rilasciati dalle terminazioni nervose, che viaggiano oltre le sinapsi per emettere un'altra scarica elettrica, in un circuito diretto (da neurone a neurone) di impulsi neuronali in movimento. Si riteneva che tutte le funzioni cerebrali, anche per i livelli più complessi di attività mentale e comportamento, fossero determinate da connessioni sinaptiche fra miliardi di neuroni. Le sinapsi formavano le reti e definivano i circuiti neurali il cui brusio dettava ogni aspetto della percezione, dell'integrazione e del rendimento. A livello della sinapsi, tanto il modello del cervello elettrico quanto quello chimico sembravano fondersi. Non esistevano discrepanze, ma soltanto coincidenze esaltanti, per cui la neurochimica, il nuovo settore di studi che si occupava della mappatura dei neurotrasmettitori, sembrava confermare l'esistenza dei circuiti cerebrali neuroanatomici scoperti in precedenza, e svelarne al tempo stesso di nuovi. Per esempio, Arvid Carlson e «gli svedesi» (etichetta collettiva che noi neuroscienziati americani applichiamo alla scuola di brillanti neurochimici che lavorano a Stoccolma) avevano inventato un metodo per visualizzare le terminazioni nervose nel cervello che contenevano la norepinefrina, chiamata anche noradrenalina. Usando quel nuovo strumento, si

180

Page 181: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

accorsero che un minuscolo agglomerato di cellule passate inosservate fino a quel momento nella parte posteriore del cervello, chiamato locus coeruleus, proiettava le proprie terminazioni nervose ricche di norepinefrina fino al prosencefalo, e che tutta la norepinefrina del prosencefalo proveniva da quell'unica fonte. In seguito lo psicologo Larry Stein, lavorando nei Liberatori Wyeth e a Bryn Mawr, dimostrò che quell'area battezzata nelle ricerche precedenti «centro del piacere», o «percorso del piacere» - una zona del cervello che, stimolata elettricamente, induceva i ratti (e gli esseri umani) a ignorare il bisogno di cibo e di sonno, travolti da una frenesia di piacere e di eccitazione -racchiudeva nel proprio interno il locus coeruleus. Anche se quei ricercatori lo ignoravano, lo stimolo elettrico aveva agito scatenando l'emissione di norepinefrina dalle terminazioni nervose poste lungo quel percorso. Fu possibile dimostrare che le anfetamine e la cocaina avevano l'effetto di amplificare quello stesso «percorso del piacere», bloccando il riassorbimento della norepinefrina e quindi aumentando la quantità di questa sostanza capace di entrare in contatto con i suoi recettori, che si riteneva fossero situati tutti oltre la sinapsi. E la situazione era rimasta invariata per una ventina d anni, con i neurochimici intenti ad amplificare ed elaborare le ricerche compiute nei decenni precedenti dai neuroanatomisti; ma quel genere di lavoro non proseguì a lungo. Entrò in scena una nuova teoria, fondata sull'esistenza di uno scambio di informazioni esterno ai confini del sistema nervoso vero e proprio, incentrato su una comunicazione puramente chimica fra le cellule, anziché sinaptica. Il mio laboratorio al NIMH, specializzato nei neuropeptidi, non solo aveva individuato i siti dei recettori in tutto il cervello, ma al principio degli anni '80, con il contributo di un dottore di ricerca che collaborava con me, Stafford Maclean, aveva anche ideato un nuovo metodo di autoradiografia per identificare le zone in cui si producono i neuropeptidi, una tecnica che ci consentì di raggiungere una prospettiva molto più ampia. Tutt'a un tratto, avevamo l'impressione di sorvolare una foresta dall'alto, anziché studiare la corteccia sugli alberi.

181

Page 182: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Laddove in passato Miles Herkenham e io avevamo visto confermata la gratificante concordanza che ci auguravamo di trovare fra certi percorsi elettrici e gli schemi chimici dei recettori degli oppiacei, il nuovo metodo rivelò una discrepanza. Studiando una tonnellata di nuovi dati su numerosi neuropeptidi e sui loro recettori, dati prodotti nel suo laboratorio, nel nostro e in molti altri all'inizio degli anni '80, Miles fu colpito da una fastidiosa «scollatura» fra quanto credevamo di sapere e quanto avevamo sotto gli occhi. C'era qualcosa che non andava: se i peptidi e i loro recettori comunicavano attraverso le reciproche sinapsi, avrebbero dovuto essere separati da una distanza minima; invece la loro posizione non era conforme a queste aspettative. Molti dei recettori erano situati in aree distanti fra loro e lontane dai neuropeptidi, quindi dovevamo chiederci in che modo comunicassero, se non attraverso lo spazio sinaptico. Miles concluse che la parte più consistente di informazioni che rimbalzano da una parte all'altra del cervello veniva smistata non dalle connessioni sinaptiche fra le cellule cerebrali, bensì dalla specificità dei recettori; in altre parole, dalla capacità dei recettori di unirsi a un solo tipo di legante. Miles aveva calcolato che, contrariamente alle convinzioni dei neurofarmacologi e dei neuroscienziati, meno del due per cento delle comunicazioni neuronali si svolge effettivamente a livello della sinapsi. Era un'idea tanto radicale che per alcuni anni la sua osservazione relativa a queste discrepanze fu ignorata e attribuita ad «artefatti» delle tecniche di mappatura. In effetti, il modo in cui i peptidi circolano nel corpo, trovando i recettori che sono il loro bersaglio in regioni ben più distanti di quanto si ritenesse possibile, fa sì che il sistema di comunicazione del cervello assomigli al sistema endocrino, i cui ormoni possono viaggiare in lungo e in largo per il corpo. Il cervello è come un sacchetto pieno di ormoni! La nostra concezione del cervello, e le metafore usate per descriverlo, erano cambiate per sempre. Nel 1984, all'incirca nello stesso periodo in cui Miles mi illustrava il significato della discrepanza negli studi di mappatura, Francis Schmitt, un anziano pilastro della neuroscienza che lavorava al MIT e aveva fondato il Programma di ricerca per la neuroscienza, introdusse il

182

Page 183: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

termine «sostanze informazionali» per definire una varietà di trasmettitori, peptidi, ormoni, fattori e leganti di proteine. Accanto al modello convenzionale di circuiti neuronali sinaptici, Schmitt suggerì l'esistenza di un sistema parallelo parasinaptico, o secondario, in cui le sostanze chimiche incaricate di trasmettere informazioni viaggiano nei fluidi extracellulari che circolano nel corpo per raggiungere i recettori specifici che costituiscono il loro obiettivo. La sua idea fu accolta prontamente, così come la sua colorita terminologia.

La connessione mente-corpo: i peptidi come messaggeri delle emozioni

D'improvviso, il numero delle possibili linee di comunicazione esistenti fra il cervello e il corpo si moltiplicava all'infinito sotto i miei occhi. Esistevano numerose alternative a quei collegamenti neuronali sinaptici che un tempo sembravano indispensabili per la comunicazione fra mente e corpo, e si cominciava appena a scoprire che cosa veniva trasmesso grazie a quelle connessioni. Per esempio, appariva evidente che i recettori degli ormoni, che erano stati inaspettatamente individuati nel cervello e poi ignorati per molti anni, erano il meccanismo attraverso il quale il testosterone o l'estrogeno, se immessi nel feto durante la gravidanza, potevano instaurare connessioni neuronali nel cervello e influenzare in modo permanente l'identità sessuale del bambino. John Money, celebre psichiatra della Johns Hopkins, aveva dimostrato che i feti di sesso femminile esposti a ormoni sferoidi del tipo del testosterone (prodotti in modo aberrante dalle ghiandole surrenali della madre incinta) avevano maggiori probabilità di diventare dei maschiacci e detestare le bambole. Inoltre adesso era possibile scoprire numerosi altri agganci neuronali grazie all'invenzione di nuovi strumenti biochimici con i quali era possibile esaminarli. Gli scienziati cominciarono a seguire il lavoro pionieristico svolto alla metà degli anni '80 da Tomaas Hokfeldt (uno

183

Page 184: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

degli svedesi), il quale aveva riferito che il classico sistema nervoso autonomo descritto nell'opera di Cannon conteneva inaspettatamente quasi tutti i neuropeptidi da lui ricercati. I neuropeptidi si trovavano non solo nelle file di gangli nervosi ai lati del midollo spinale, ma anche negli organi posti alle estremità. Ebbe inizio allora un'era di scoperte che è tuttora in piena fioritura, in cui i neuroscienziati cominciarono a ricostruire con precisione le connessioni esistenti fra tutte le parti del corpo. Oggi si compiono ogni giorno esperimenti su nuovi gruppi di cellule neuronali contenenti peptidi, situati nel cervello e chiamati «nuclei», che sono la fonte della maggior parte dei collegamenti fra cervello e corpo, e viceversa. Per citare solo un esempio recente, Rita Valentino, dell’università di Pennsylvania, ha dimostrato che il nucleo di Barrington, situato nel rombencefalo, di cui in passato si riteneva che controllasse unicamente la minzione (svuotamento della vescica), in realtà invia assoni contenenti il neuropeptide CRF, attraverso il nervo vago, fino alla parte più distante dell'intestino crasso, presso l'ano. Rita ha dimostrato che la sensazione di distensione del colon (vale a dire la sensazione di dover defecare), nonché quella di eccitazione dei genitali, vengono ritrasmesse al nucleo di Barrington, da cui si distacca un breve percorso neuronale (chiamato «proiezione») che si collega al locus coeruleus, vale a dire il punto di partenza del «percorso del piacere», ricco di norepinefrina, che abbonda anche di recettori degli oppiacei. Il percorso del piacere s'innesta nell'area di controllo di queste funzioni relative agli sfinteri, situata nel lobo frontale del cervello. C'è forse da stupirsi, alla luce delle scoperte neuroanatomiche di Rita, che l'addestramento all'uso dei servizi igienici sia tanto carico di fattori emotivi, o che gli esseri umani adottino delle pratiche sessuali insolite legate al comportamento igienico? È chiaro che i fisiologi di stampo classico hanno sottovalutato grossolanamente la complessità e la portata della neurochimica e della neuroanatomia del sistema nervoso autonomo, ma i limiti del passato stanno ora cedendo di fronte alla nostra nuova capacità di ricostruire queste connessioni affascinanti.

184

Page 185: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Se accettiamo l'idea che i peptidi e le altre sostanze informazionali siano la base biochimica delle emozioni, la loro distribuzione nel sistema nervoso ha una portata estremamente vasta, che Sigmund Freud, se fosse ancora vivo, sarebbe ben lieto di mettere in risalto come la conferma molecolare delle sue teorie. Il corpo s'identifica con l'inconscio! I traumi repressi causati da una sovrabbondanza di emozioni possono restare immagazzinati in una parte del corpo, influenzando in seguito la nostra capacità di percepire quella parte o addirittura di muoverla. Le nuove ricerche in corso suggeriscono l'esistenza di un numero quasi illimitato di vie attraverso le quali la mente cosciente può accedere all'inconscio e al corpo, e modificarlo, oltre a fornire una spiegazione per un certo numero di fenomeni sui quali i teorici delle emozioni stanno ancora meditando.

La mente nel corpo: filtrare, immagazzinare, apprendere, ricordare, reprimere

Grazie alle ricerche appena descritte, non possiamo più sostenere che il cervello emozionale sia ristretto alle sedi classiche, vale a dire amigdala, ippocampo e ipotalamo. Per esempio, abbiamo scoperto altre sedi anatomiche in cui si riscontra una concentrazione elevata di quasi tutti i recettori di neuropeptidi esistenti, sedi come la radice dorsale, ovvero la parte posteriore del midollo spinale, che è la prima sinapsi all'interno del sistema nervoso in cui vengono elaborate tutte le informazioni somatosensorie (Il termine somatosensorio si riferisce a ogni genere di sensazioni o percezioni corporee, che siano causate dal tocco di un'altra mano sulla nostra pelle o da sensazioni scaturite dal movimento dei nostri organi nello svolgimento dei processi corporei). Non solo i recettori degli oppiacei, ma quasi tutti i recettori dei peptidi che abbiamo cercato si trovano in questa sede, lungo il midollo spinale, che filtra tutte le sensazioni corporee in entrata. In effetti abbiamo scoperto che in quasi tutte le sedi in cui entrano nel sistema nervoso informazioni provenienti

185

Page 186: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

da uno dei cinque sensi - vista, suono, gusto, odorato e tatto - si riscontra una concentrazione elevata dei recettori dei peptidi. Abbiamo quindi definito queste regioni «punti nodali» (o anche, in termini familiari, «punti caldi») per mettere in rilievo il fatto che sono sedi nelle quali converge una grande quantità di informazioni. Le informazioni sono trasportate dagli assoni e dai dendriti di numerose cellule neurali che passano nei pressi o stabiliscono fra loro contatti sinaptici. Questi punti nodali sembrano fatti apposta per poter essere raggiunti e modulati da quasi tutti i neuropeptidi impegnati nel compito di elaborare informazioni, stabilirne la priorità e destinarle ad avviare modificazioni neurofisiologiche di carattere esclusivo. Per esempio, il nucleo di Barrington è uno di questi punti nodali, dato che contiene molti recettori di neuropeptidi, e, a seconda del neuropeptide che occupa i suoi recettori, le sensazioni causate dall'eccitazione sessuale o dalle funzioni degli sfinteri possono essere dirottate o modificate, rese inconsce o subordinate alla priorità più urgente. Le emozioni e le sensazioni corporee sono dunque strettamente intrecciate, in una rete bidirezionale in cui ciascuna di esse può modificare le altre. Di solito questo processo avviene a livello inconscio, ma in determinate condizioni può anche affiorare alla coscienza, oppure essere portato a livello cosciente in modo intenzionale. Tutte le informazioni sensoriali subiscono un processo di filtraggio passando attraverso una o più sinapsi, prima di raggiungere infine (ma non sempre) le zone riservate ai processi superiori di elaborazione, come i lobi frontali. E qui che gli impulsi sensoriali, relativi alla vista, all'odore, al tatto, penetrano nella nostra coscienza. L'efficienza del processo di filtraggio, che sceglie gli stimoli ai quali prestiamo attenzione in un dato momento, è determinata dalla quantità e qualità dei recettori presenti in questi punti nodali. D'altronde la quantità e qualità relativa di questi recettori è influenzata da molti fattori, fra i quali non solo le esperienze vissute in passato e durante l'infanzia, ma anche quello che avete mangiato oggi a pranzo. Provate a considerare il cervello come una macchina congegnata non soltanto per filtrare e immagazzinare questi input sensoriali, ma anche

186

Page 187: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

per associarli con altri eventi o stimoli che si presentano nello stesso tempo in qualunque sinapsi o recettore lungo il percorso, vale a dire per apprendere. Diamo un'occhiata al modo in cui si svolge questo processo nell'atto della visione, che negli esseri umani è molto evoluto e complesso. Quando un segnale visivo colpisce la retina, cioè la parte dell'occhio sensibile alla luce, deve aprirsi la via attraverso cinque sinapsi per passare dalla parte posteriore del cervello, chiamata corteccia occipitale, alla corteccia frontale. A ogni sinapsi, gli schemi neurofisiologici evocati dall'immagine visiva diventano sempre più complessi, le linee e i contorni semplici segnalati alla prima sinapsi si arricchiscono sempre più di dettagli e associazioni man mano che l'immagine visiva si avvicina al lobo frontale del cervello. Vi è mai capitato di riconoscere qualcuno di cui sentite la mancanza in un luogo in cui non può trovarsi? Quando sono in viaggio, mi accade spesso di pensare, per qualche millesimo di secondo, che il ragazzo biondo intravisto all'aeroporto sia mio figlio Brandon, prima di rendermi conto che è impossibile. Viceversa l'odorato è un senso più antico e primitivo, con un potenziale ridotto di associazioni errate, perché segue una via più rapida e povera di filtri per raggiungere la coscienza. C'è una sola sinapsi lungo il percorso che va dal naso all'amigdala, un punto nodale che indirizza le informazioni sensoriali in arrivo, sotto ogni forma possibile, ai centri superiori di associazione nella corteccia cerebrale. Questo spiega perché le associazioni legate agli odori siano tanto intense e durevoli nel ricordo. Solo da poco, mio marito ha capito tutt'a un tratto per quale motivo abbia provato per tutta la vita un odio irrazionale nei confronti delle ghiandaie azzurre: all'età di sette anni, aveva dipinto un modellino di ghiandaia azzurra in un ambiente angusto, usando un colorante dall'odore disgustoso che lo aveva fatto vomitare! Usando i neuropeptidi come traccia, il nostro complesso corpo/mente recupera o reprime emozioni e comportamenti. Il dottor Eric Kandell e i suoi collaboratori appartenenti all’ordine dei medici e dei chirurghi dell'università di Columbia hanno dimostrato che il cambiamento biochimico avvenuto a livello di recettore è la base molecolare della

187

Page 188: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

memoria. Quando un recettore e inondato da un legante, modifica la membrana cellulare in modo tale che la possibilità che un impulso elettrico attraversi la membrana in cui risiede il recettore viene facilitata o inibita, influenzando da allora la scelta dei circuiti neuronali che verranno usati. Queste recenti scoperte sono importanti per valutare come i ricordi siano immagazzinati non soltanto nel cervello, ma in una rete psicosomatica che si estende a tutto il corpo, m particolare nei recettori onnipresenti fra i nervi e i fasci di cellule chiamati gangli che sono distribuiti non solo nel midollo spinale e nelle sue vicinanze, ma lungo tutti i percorsi che conducono agli organi interni e alla superficie stessa della nostra pelle. La scelta tra ciò che diventa un pensiero emergente a livello di coscienza e ciò che resta uno schema di pensiero non digerito, sepolto in profondità nel corpo, viene mediata dai recettori. Direi che il fatto che il ricordo sia codificato o immagazzinato a livello di recettore significa che i processi della memoria sono regolati dall’emozione e inconsci (anche se, come altri processi mediati dai recettori, possono talvolta diventare coscienti).

Ricordo legato allo stato e alterazio della coscienza: i peptidi al lavoro ni

Ai tempi del college, durante uno dei seminari per laureati che si tennero nel dipartimento di psicologia di Bryn Mawr, sentii parlare lo psicologo Donaid Overton, dell'università di Temple, che aveva indagato su un fenomeno largamente diffuso negli animali, e che in seguito si rivelò esteso anche agli esseri umani. Un ratto che impara a uscire da un labirinto o riceve una scossa elettrica mentre si trova sotto l'influsso di una droga (che ora potete visualizzare come un legante esterno che si fissa sui recettori presenti nel cervello e nel corpo) ricorderà con maggiore prontezza come si esce dal labirinto o come si evita la scossa se l'esperimento verrà ripetuto sotto l'influsso della stessa droga. Considerando le emozioni alla stessa stregua di leganti chimici, vale a

188

Page 189: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

dire peptidi, possiamo comprendere meglio il fenomeno noto come stati dissociati di apprendimento, o memoria dipendente dallo stato. Allo stesso modo in cui, nel ratto, una droga facilita il ricordo di una precedente esperienza di apprendimento avvenuta sotto l'influsso della stessa droga, il peptide legante che trasmette emozioni facilita il ricordo negli esseri umani. L'emozione è l'equivalente della droga, in quanto entrambi sono leganti che si fissano sui recettori dell'organismo. La conseguenza, a livello di esperienza quotidiana, è che le esperienze positive sul piano emozionale si ricordano meglio quando siamo di ottimo umore, mentre le esperienze emozionali negative si ricordano con maggiore facilità quando siamo già di cattivo umore. Non soltanto il ricordo, ma anche il rendimento della memoria sono influenzati dal nostro stato d'animo. E più probabile che ci rendiamo utili agli altri e ci comportiamo in modo altruistico quando siamo di buon umore e, viceversa, se ferite i vostri cari un numero sufficiente di volte, essi impareranno a sentirsi minacciati quando siete presenti e si ricorderanno di agire di conseguenza. Non occorre un esperto di teoria delle emozioni per riconoscere che esiste un nesso molto stretto fra emozione e memoria: per la maggior parte di noi il primo ricordo, e il più antico, è carico di emozioni molto intense. Uno degli scopi più importanti delle emozioni, dal punto di vista evoluzionistico, è aiutarci a decidere cosa occorre ricordare e cosa invece è più opportuno dimenticare. La donna delle caverne che riusciva a ricordare in quale caverna viveva quel tizio gentile che le aveva offerto qualcosa da mangiare aveva maggiori probabilità di diventare la nostra progenitrice rispetto a quella che la confondeva con la caverna abitata dall'orso assassino. L'emozione dell'amore (o qualcosa di simile) e l'emozione della paura l'aiutavano a consolidare i suoi ricordi. È chiaro che, così come le droghe possono influenzare la nostra memoria, anche i neuropeptidi possono agire da leganti endogeni per plasmare i nostri ricordi in via di formazione, e riportarci nello stato d'animo giusto per avvertire l'esigenza di recuperarli: in questo consiste l'apprendimento. In effetti è stato dimostrato che l'ippocampo, una regione del cervello senza la quale non siamo in grado di apprendere nulla di nuovo, è un punto

189

Page 190: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

nodale per i recettori dei neuropeptidi, in quanto li contiene praticamente tutti. Gli stati emotivi, o umori, sono prodotti dai vari neuropeptidi leganti, e quello che sperimentiamo sotto forma di emozione o sensazione è anche un meccanismo per attivare un particolare circuito neuronale, contemporaneamente nel cervello e nel corpo, che genera un comportamento relativo alla creatura nel suo insieme, con tutti i necessari cambiamenti fisiologici che il comportamento richiede. Questo si adatta perfettamente all'elegante formula di Paul Ekman, in base alla quale ogni emozione viene vissuta in tutto l'organismo, non solo nella testa e nel corpo, e corrisponde a una particolare espressione facciale; fa parte della costellazione di cambiamenti corporei che si accompagna a ogni modificazione delle percezioni soggettive. Esiste un peptide specifico per ogni emozione? Può darsi, io ne sono convinta, ma del resto esiste anche un metodo per dimostrarlo. Nel caso dell'angiotensina, un classico ormone che è anche un peptide, abbiamo un esempio chiaro del rapporto esistente fra un neuropeptide e uno stato d'animo, e del modo in cui lo stato d'animo può coordinare e integrare quello che accade nel corpo con quello che accade nel cervello. E noto da tempo che l'angiotensina media la sete, quindi se si impianta un tubicino nell'area del cervello di un ratto che è ricca di recettori dell'angiotensina e si lascia cadere qualche goccia di angiotensina nel tubo, entro dieci secondi il ratto comincerà a bere, anche se e satollo d'acqua. In termini chimici, l'angiotensina si traduce in uno stato alterato di coscienza, uno stato d'animo che induce esseri umani e animali a dire: «Voglio un bicchiere (o una vaschetta) d'acqua». In altre parole, i neuropeptidi inducono in noi certi stati di coscienza, o alterazioni di quegli stati. Allo stesso modo, l'angiotensina applicata ai recettori presenti nel polmone o nel rene causerà anche delle modificazioni corporee, tutte intese alla conservazione dell'acqua. Per esempio, in ogni respiro esalato dal polmone ci sarà una percentuale minore di vapore acqueo e l'urina espulsa dai reni conterrà meno acqua. Tutti gli apparati collaborano fra loro per il raggiungimento di un solo scopo - più acqua - che è stato dettato da un'emozione (o da quello che lo

190

Page 191: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

psicologo sperimentale definirebbe «una pulsione istintuale»), e cioè la sete. E possibile che la somma delle secrezioni di peptidi nel cervello e nel corpo - in breve, il nostro stato emotivo - condizioni la memoria e il comportamento in modo da farci ottenere automaticamente ciò che ci aspettiamo di ricevere? Questo sì che è un interrogativo appassionante, e infatti sarà il prossimo oggetto del nostro interesse.

Creare la propria realt realizz le proprie aspettative à, are

La realtà oggettiva non esiste. Per evitare che il cervello sia sopraffatto da un diluvio inarrestabile di input sensoriali, deve esistere una sorta di filtro che ci consenta di prestare attenzione a quelle che il nostro complesso corpo/mente considera le informazioni più importanti, ignorando le altre. Come abbiamo già visto, sono le nostre emozioni, o le droghe psicoattive che occupano i recettori, a decidere che cosa vale la pena di notare. Aldous Huxley aveva intuito questa realtà quando, nel libro Le porte della percezione, si riferiva al cervello definendolo un «riduttore». Inoltre era sulla pista giusta anche nell'affermare che quanto arriva ai centri di controllo non è che un rivolo infinitesimale rispetto a ciò che si potrebbe assorbire in un dato momento. Poiché la nostra percezione del mondo esterno è filtrata da stazioni di posta sensoriali, ricche di peptidi e recettori, ciascuna delle quali ha una diversa tonalità emotiva, possiamo davvero definire in termini oggettivi che cosa è reale e che cosa non lo è? Se quello che percepiamo come reale è filtrato da una serie di emozioni ed esperienze del passato, la risposta è no. Per fortuna, però, i recettori non sono stagnanti, e possono cambiare tanto nella sensibilità quanto nella disposizione che assumono rispetto alle altre proteine della membrana cellulare. Ciò significa che anche quando siamo «bloccati» sul piano emotivo, ancorati a una versione

191

Page 192: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

della realtà che non ci serve a dovere, esiste sempre un potenziale biochimico di cambiamento e di crescita. La maggior parte delle nostre variazioni di attenzione a livello corpo/mente avviene nel subconscio. Mentre i neuropeptidi con la loro attività si occupano di indirizzare la nostra attenzione, non è necessario un intervento cosciente per scegliere ciò che verrà elaborato, ricordato e appreso. Abbiamo invece la possibilità di portare a livello di coscienza alcune di queste decisioni, specie con l'aiuto di vari tipi di addestramento intenzionale messi a punto proprio per raggiungere questo scopo, cioè aumentare il nostro livello di consapevolezza. Grazie alla visualizzazione, per esempio, possiamo stimolare la circolazione del sangue in una parte del corpo, aumentando così la disponibilità di ossigeno e di elementi nutritivi per eliminare le tossine e alimentare le cellule. Come ho già accennato, i neuropeptidi possono modificare il flusso del sangue da una parte all'altra del corpo, e il volume di sangue che affluisce è un aspetto importante della capacità di stabilire delle priorità e distribuire le risorse finite a disposizione del nostro organismo. Una volta Norman Cousins mi ha confidato di essere guarito da una frattura al gomito, che si era procurato giocando a tennis, e di essere tornato in campo a tempo di record grazie al semplice espediente di focalizzare la propria attenzione per venti minuti al giorno sull'aumento della circolazione sanguigna attraverso l'articolazione fratturata, dopo aver appreso dal medico che di solito i danni subiti dal gomito guariscono lentamente a causa dello scarso afflusso di sangue. Tuttavia non voglio farvi credere di essere una sostenitrice della tesi che l'inconscio dev'essere sempre portato a livello di coscienza perché una terapia abbia successo. Anzi, la mente inconscia del corpo sembra onnisciente e onnipotente, e in alcune terapie può essere incanalata allo scopo di ottenere una guarigione o un cambiamento senza che la mente cosciente si renda conto dell'accaduto. L'ipnosi, la respirazione yoga e molte delle terapie basate sulla manipolazione e sull'energia (a partire dalla bioenergetica e dalle altre psicoterapie incentrate sul lavoro corporeo per arrivare alla chiropratica, al massaggio e al tocco terapeutico) sono tutti esempi di tecniche utilizzabili per attuare dei

192

Page 193: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cambiamenti a un livello inferiore alla coscienza. (In base al carattere rapido e drammatico di alcune trasformazioni terapeutiche, sono convinta che le emozioni represse vengano immagazzinate nel corpo - la mente inconscia - attraverso il rilascio di neuropeptidi leganti, e che i ricordi siano racchiusi nei loro recettori.) A volte le trasformazioni si verificano grazie alla catarsi emozionale comune a molte terapie corpo/mente che si concentrano sulla liberazione delle emozioni rimaste bloccate nella rete psicosomatica; ma non sempre è così. Per esempio, il celebre psichiatra e ipnoterapista Milton Erickson si rivolse al subconscio di alcune giovani donne che, pur essendosi sottoposte a ogni sorta di iniezioni di ormoni, avevano il seno completamente piatto. Mentre si trovavano in uno stato di trance profonda, Erickson suggerì alle pazienti che il loro seno sarebbe diventato caldo e avrebbe cominciato a formicolare piacevolmente, aumentando di volume. Anche se in seguito nessuna di loro riuscì a ricordare che cosa fosse accaduto nel suo studio, nel giro di due mesi constatarono tutte che il loro seno si era sviluppato, probabilmente perché la suggestione operata da Erickson aveva fatto aumentare l'afflusso di sangue al seno. Le emozioni modulano di continuo ciò che noi sperimentiamo come «realtà», in quanto la scelta delle informazioni sensoriali che arriveranno al cervello per essere filtrate dipende dai segnali che i recettori ricevono dai peptidi. Esiste una quantità di dati neurofisiologici a conferma del fatto che il sistema nervoso non è in grado di recepire tutto ciò che proviene dall'esterno, ma può soltanto scandagliare il mondo esterno alla ricerca del materiale che è predisposto a trovare in virtù degli agganci esistenti, degli schemi interni e delle esperienze precedenti. Il superior colliculus del mesencefalo, un altro punto nodale dei recettori di neuropeptidi, controlla i muscoli che dirigono la pupilla dell'occhio e incide sulla scelta delle immagini che sono ammesse a raggiungere la retina, diventando visibili. Per esempio, quando le maestose navi europee arrivarono per la prima volta al cospetto dei nativi americani del tempo, quello spettacolo era a tal punto «impossibile» nell'ambito della loro realtà, che le loro percezioni,

193

Page 194: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

attentamente filtrate, non riuscirono a registrare quello che accadeva e quindi a «vedere» le navi. Allo stesso modo, il marito tradito può non vedere ciò che per tutti gli altri è evidente, perché la sua fede emotiva nella fedeltà della moglie è così forte che le sue pupille vengono orientale in modo da deviare di fronte a ogni comportamento incriminante, per quanto palese agli occhi di tutti gli altri. Più la ricerca progredisce, più appare evidente che il ruolo dei peptidi non si limita a ottenere azioni semplici e isolate da singole cellule e apparati. E chiaro piuttosto che i peptidi servono a unire gli organi e gli apparati dell'organismo in una rete unica che reagisce ai cambiamenti, interni o esterni che siano, con modificazioni complesse e orchestrate in modo sottile. I peptidi sono lo spartito contenente le note, le frasi melodiche e i ritmi che consentono all'orchestra - il corpo - di suonare come un'entità unica. E la musica che ne risulta è la tonalità o la sensazione che si sperimentano soggettivamente sotto forma di emozioni.

***************************

Marzo 1981. Durante una delle mie numerose visite notturne al capezzale di mio padre, ricoverato nell'ospedale dei veterani per subire un trattamento contro il tumore ai polmoni che lo aveva colpito, lui alzò lo sguardo verso di me per chiedermi in tono sardonico: «Allora, come procede la cura?» Imbarazzata e rattristata, non riuscii a sostenere il suo sguardo. Qualche ora prima ero passata dal laboratorio e avevo scoperto che il suo tumore, ricomparso in una forma diversa dopo la fase di remissione dell'anno precedente, si rivelava resistente in vitro a tutti gli agenti chemioterapeutici conosciuti. I miei tentativi di comprendere la sua malattia e trovare una cura adatta si stavano rivelando altrettanto disperati. «Procede bene», mentii, cercando di infondergli quella speranza che io stessa non provavo, una speranza che mi sembrava la sua ultima possibilità di trovare in un modo o nell'altro una cura miracolosa per quella malattia letale. «I risultati del laboratorio indicheranno qualche

194

Page 195: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

rimedio che funzionerà, ne sono certa.» E poi, per cambiare argomento, aggiunsi: «Guarda che cosa ha preparato Vanessa per te, nelle ore di scuola!» Mio padre s'illuminò mentre gli porgevo una scultura mobile a forma di arcobaleno che la mia secondogenita di cinque anni aveva mandato al nonno per decorare la sua stanza. Lui sonnecchiava già quando appesi quel simbolo di speranza sopra il suo letto e, con il cuore gonfio, gli sussurrai parole di scusa: «Mi dispiace, papà, ma la scienza non ha ancora trovato una soluzione». Sapevo che, nonostante decenni di intense ricerche, dopo i formaci altamente tossici messi a punto prima del 1965, non erano stati compiuti progressi decisivi nel campo terapeutico. Quello che ignoravo ancora era con quanta tenacia l'establishment della ricerca contro il cancro avrebbe resistito ai tentativi di un elemento estraneo come me di suggerire nuove idee per la terapia. Quella sarebbe stata per me la prima esperienza personale di scontro con l'intransigenza del vecchio paradigma di pensiero, un'esperienza deludente a tal punto da rendermi quasi facile il passo decisivo di liberarmi dal giogo intellettuale che mi teneva prigioniera. Stavo per imboccare un tunnel di disperazione molto lungo e oscuro, prima di avviarmi, con gioia e stupore, verso una luce che rischiarava tutto un mondo di pensiero nuovo e ancora intatto.

195

Page 196: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

8

La svolta

Cambiamento

Fu nella caffetteria del NIH, in un pomeriggio d'inverno all'inizio del 1982, che gli ultimi sprazzi di fede nel Palazzo, nei detentori del potere e nel modello di pensiero dominante vacillarono e cominciarono a spegnersi dentro di me. Era l'ora di pranzo e me ne stavo seduta a un tavolo, con l'insalata che avvizziva nel piatto, impegnata senza troppa convinzione in un duello verbale con uno scienziato alfa che intendeva arrogarsi tutto il merito del lavoro che avevamo svolto insieme, del cosa, del quando e del come. Ero incinta di nove mesi del mio terzo figlio, Brandon, il mio matrimonio stava andando a rotoli e mio padre era morto: insomma, non desideravo altro che alzarmi e andarmene. Fino alla morte di mio padre, avvenuta nel 1981, nonostante la lezione del premio Lasker (e forse in parte proprio per quello), ero stata disposta a lottare strenuamente per ogni riconoscimento, a fare tutto il necessario pur di ottenere altre citazioni e guadagnare terreno sui concorrenti. Ero altrettanto pronta di qualsiasi altro collega a suddividere un progetto di ricerca, diluendo i risultati in tanti articoli autonomi e ignorando in modo egoistico le esigenze dei ricercatori, che avrebbero tratto senz'altro maggiore profitto da un'esposizione completa delle novità ottenute. Avevo imparato a giocare secondo le regole del mondo scientifico, e questo aveva portato allo scoperto in me l'istinto di sopravvivenza. Per quanto recalcitrassi ancora di fronte all'idea di sacrificare la mia personale integrità e onestà, continuando ad aggrapparmi all'ideale della

196

Page 197: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

scienza come ricerca della verità, ero diventata abile nel nuotare in mezzo a un branco di squali. Alla morte di mio padre, però, sentii il bisogno di emergere in superficie per respirare. Per la prima volta nella mia carriera, ero costretta a vedere il nesso fra la scienza e le persone la cui vita dipendeva dalla ricerca scientifica. Erano persone in carne e ossa, non semplici dati statistici, quelle che morivano a causa di malattie per le quali mancavano cure efficaci, e ora una di quelle persone era carne della mia carne e sangue del mio sangue. In quella nuova prospettiva le tortuosità della politica, la competizione sportiva, le battaglie condotte in nome dell'egoismo, tutto questo passava in secondo piano, mentre affiorava il senso più profondo di uno scopo che doveva guidare la mia attività. Il tumore al polmone fu diagnosticato a mio padre nel febbraio 1980. Era la prima volta che uno dei miei familiari veniva colpito da una malattia mortale, e quella notizia fu un duro colpo per me. Ancora più sconvolgente, però, fu la scoperta che soffriva di un particolare tipo di cancro, che conoscevo bene. Il carcinoma a cellule piccole, o anche «a spighe d'avena», così chiamato per la somiglianza con minuscole spighe di avena che le cellule cancerose rivelano al microscopio, è una mutazione maligna dei processi naturali del corpo. I tumori di questo tipo si sviluppano in fretta e si diffondono rapidamente, producendo metastasi in tutto il corpo e di solito causando la morte in brevissimo tempo. Dei quattro principali tipi di tumore ai polmoni che possono colpire un individuo, il carcinoma a cellule piccole rappresenta circa il venticinque per cento dei casi, e quasi il cento per cento di coloro che ne sono affetti sono fumatori assidui, come mio padre. Appena ricevuta la diagnosi, cominciai un giro di telefonate, chiedendo il nome del miglior esperto di carcinoma a cellule piccole che esistesse a Palazzo. Il nome che ottenni era quello di un pezzo grosso che dirigeva un megalaboratorio all'interno del National Cancer Institute, l'Istituto nazionale del cancro che fa parte del NIH. Per uno dei tanti casi di «sincronicità» che sembrano caratterizzare la mia vita, quello stesso medico stava tentando di raggiungermi al telefono da mesi, ma io non ero mai riuscita a trovare il tempo di rispondere alle sue chiamate.

197

Page 198: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Ora, invece, divenne il primo della lista. Anche se quando appresi la diagnosi era domenica, lo chiamai a casa per esporgli la situazione e chiedere aiuto. Come favore personale, lui accettò di inserire mio padre nella sperimentazione clinica in corso, anche se la sua età superava il limite fissato nel protocollo e quindi i dati ricavati dal suo caso non sarebbero stati validi ai fini della ricerca. Tutto questo per me non aveva importanza: anche se esisteva una sola possibilità su un milione che l'ultimo cocktail chemioterapico sperimentale potesse costituire una cura permanente, ora avevamo almeno una speranza, dove prima non ce n'era nessuna, e di questo gli fui grata. Poi il medico e io arrivammo al sodo. Mi aveva cercato perché voleva sviluppare una ricerca che dimostrava come le cellule del cancro «a cellule piccole» producessero dei neuropeptidi. Ero al corrente anch'io di quella ricerca, condotta negli anni '60 dalla dottoressa Rosalind Yalow, una donna che aveva vinto il premio Nobel per le sue scoperte. Da allora, tuttavia, erano stati identificati nuovi neuropeptidi, e quello che l'oncologo e il suo laboratorio volevano era un «profilo dei peptidi» aggiornato, che indicasse con precisione quali dei peptidi appena scoperti fossero secreti dalle cellule. Sapeva che, se si fosse trovata una cura per il carcinoma a cellule piccole, doveva provenire da una migliore comprensione della natura di queste cellule e del loro funzionamento. Soltanto allora avremmo potuto definire con precisione gli effetti molecolari ed escogitare un trattamento razionale ed efficace. Inoltre sapeva che il mio laboratorio era il più sofisticato che esistesse nel campo dei peptidi, e probabilmente costituiva la strada più rapida per ottenere le risposte di cui aveva bisogno. Quell'accordo, per cui un laboratorio avrebbe collaborato rispondendo alle domande formulate da un altro, era una transazione tipica del Palazzo visto nel suo aspetto migliore, come una concentrazione del fior fiore della ricerca scientifica. Se al momento di ricevere quella richiesta fossi stata inquadrata in un ateneo, prima di tutto avrei dovuto scrivere una richiesta di finanziamento, poi presentarla e attendere che la ruota dei finanziamenti girasse a mio favore; e anche allora avrei avuto solo una probabilità su cinque di ottenere i fondi necessari. Se invece avessi

198

Page 199: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

condotto le mie ricerche nel mondo commerciale, prima di poter muovere anche un solo dito avrei dovuto convincere gli azionisti o gli avvoltoi del capitalismo che si trattava di un esperimento redditizio. Invece a Palazzo bastava l'equivalente di una stretta di mano telefonica, e il patto era concluso: mio padre sarebbe stato inserito fra i casi clinici seguiti dall'oncologo, e io avrei aiutato il laboratorio di quest'ultimo a identificare i peptidi secreti dalle cellule cancerose. Dal momento che aveva combattuto nella seconda guerra mondiale, mio padre ottenne un posto letto nell'ospedale dei veterani che sorge al centro di Washington, D.C., uno dei pochi riservati ai pazienti inseriti nell'esperimento. Pochi giorni dopo, arrivarono al mio laboratorio un centinaio di minuscole provette, ciascuna delle quali conteneva una minuscola pallina costituita da una diversa coltura cellulare, vale a dire un campione di cellule prelevate da un paziente e coltivate con grande pazienza su un vetrino. Quelle colture comprendevano vari tipi diversi di cancro polmonare, ricavati da decine di pazienti. Mi dedicai a preparare un estratto di peptidi di ogni pallottolina, un lavoro minuzioso che richiedeva l'aggiunta di una soluzione acida marcata con isotopi radioattivi. Poi trasferii il contenuto di ogni provetta in altre dieci, ottenendo così dieci campioni per ogni coltura cellulare di cancro polmonare, per un totale di mille provette. Progettavo di cercare dieci diversi peptidi, trattando personalmente le endorfine e passando la bombesina al mio ex allievo del dottorato, Terry Moody, che ora lavorava all'università George Washington, ma al tempo in cui era ancora nel mio laboratorio aveva eseguito tutta la ricerca per la mappatura dei recettori della bombesina. Gli altri otto progetti li suddivisi fra amici interessati ai peptidi che sapevo in grado di compiere rapide ricerche di peptidi specifici. Quale modo migliore, riflettei, per raggiungere lo scopo di comprendere quelle cellule cancerose che misurare tutto il possibile? Era una tattica utilizzata non di rado dai ricercatori che battevano una pista calda, e veniva definita spesso una «battuta di pesca». Il tempo scarseggiava, e la vita di mio padre dipendeva dalla mia capacità di fare centro al più presto, quindi pregai che la ricerca desse rapidi frutti.

199

Page 200: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Senza dubbio si avvertiva, e si avverte tuttora, l'esigenza di un nuovo approccio al trattamento del cancro. Anche se l'ambiente medico tenta da anni di sconfiggerla, questa malattia continua a mietere vittime sempre più numerose ogni anno, infliggendo spesso una morte lenta e dolorosa, resa ancora più straziante dai trattamenti chemioterapici. I tarmaci altamente tossici utilizzati nella chemioterapia dagli anni '50 in poi hanno la capacità di uccidere tutte le cellule del corpo che si riproducono in fretta, vale a dire non solo le cellule cancerose, ma anche molti generi di cellule sane. Purtroppo il sistema immunitario, vale a dire il sistema di difesa naturale dell'organismo contro il cancro, è composto anch'esso da cellule che si riproducono in fretta: quindi, insieme alla malattia, si colpisce alla radice anche il sistema di difesa contro la malattia stessa. Fra i casi di carcinoma polmonare a cellule piccole presi in esame dal Cancer Institute, c'era un solo paziente ancora in vita dopo cinque anni; quasi tutti i pazienti sottoposti alla chemioterapia erano morti entro due anni. A quei tempi anche la forma più sofisticata di chemioterapia non offriva altro che una serie di varie combinazioni fra i vecchi tarmaci tossici, somministrati secondo programmi diversi. Se volevo che mio padre si salvasse, sapevo che era necessario trovare un tipo nuovo di approccio, compiendo un passo avanti decisivo nella comprensione e nel trattamento di quella malattia. Ma speravo almeno che la chemioterapia gli consentisse di guadagnare tempo, il tempo sufficiente per consentirmi di svolgere le ricerche necessarie. Mio padre reagì bene alla chemioterapia, e nel giro di poche settimane passò da uno stato semicomatoso a un aspetto relativamente normale: aveva avuto una remissione, come previsto, ma presto avrebbe avuto una ricaduta, e anche quello era previsto. Io lo sapevo, ma non me la sentii di dirlo ne a lui ne a mia madre. Ero convinta, per intuito, che avesse bisogno di tutta la speranza che poteva racimolare, nonostante la sua innata tendenza allo scetticismo. Per questo motivo decisi, durante le visite che gli facevo ogni giorno, di sottolineare soltanto le «buone notizie», mettendolo al corrente dei progressi fatti nella gara contro il

200

Page 201: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

tempo per trovare una cura utile per la forma di cancro che lo aveva colpito. Quando mi ritrovavo da sola in laboratorio, però, non ero altrettanto ottimista. Nell'ambito delle ricerche intraprese per comprendere la sua malattia, mi ero immersa nella letteratura relativa agli studi sul cancro, trovandomi di fronte a un milione di domande in attesa di una risposta. Per quale motivo quelle strane cellule piccole, che si riproducevano in fretta, erano così ricche di peptidi? Perché mai erano tanto diverse da quelle che si trovano di solito nei tessuti polmonari? Pensavo che, se solo fossi riuscita a trovare una soluzione a quei quesiti, avrei potuto salvare la vita a mio padre. Lui ne era tutt'altro che convinto. Quando le sue condizioni peggiorarono, e le ricadute seguirono alle fasi di remissione, assistette con stoicismo alla mia frenetica attività intellettuale, mostrando una sorta di divertito distacco. Mio padre era un uomo di mondo, un artista, un arrangiatore di jazz per grandi orchestre, un uomo scettico e sofisticato; in breve, non era tipo da credere ingenuamente alla prospettiva di cure miracolose. Quello che più desiderava era trascorrere il tempo che gli restava nel modo più confortevole, mentre lottava contro la violenta nausea scatenata dalla chemioterapia, e io facevo del mio meglio per assicurarmi che medici e infermiere gli fornissero tutto il possibile. Quando arrivarono i dati dagli altri collaboratori nella ricerca dei peptidi, li riportai su un tabellone prima di precipitarmi al laboratorio dell'oncologo. Nessuno di noi sapeva quale tipo di cancro fosse contenuto nelle singole provette, dal momento che l'ignoranza (definita «cecità al protocollo») era un requisito indispensabile dell'etichetta. Ora, china su quelle cifre insieme con uno degli allievi del postdottorato che lavoravano nel laboratorio, osservai con attenzione le caselle che si riempivano di nomi. Non ci volle molto per rendermi conto di quello che stava accadendo: tutte le provette che contenevano colture cellulari tratte da carcinomi a cellule piccole erano caratterizzate da un livello notevole, e a volte estremamente alto, di un peptide chiamato bombesina.

201

Page 202: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Bombesina! Mi sentii correre un brivido lungo la spina dorsale, ricordando che eravamo stati Terry Moody e io a sottrarre all'oscurità quella sostanza peptide, facendone una star nel mondo dei neuropeptidi. Per prima cosa avevamo localizzato i recettori della bombesina, poi avevamo proseguito la ricerca utilizzando gli anticorpi della bombesina per individuare il peptide stesso all'interno dei neuroni cerebrali. Prima di quella scoperta decisiva mi ero nutrita di folli sogni romantici, alimentati dalla speranza e dalla paura per la sorte di mio padre. Ora invece i nuovi dati ci portavano molto più vicino alla comprensione di ciò che spinge queste cellule a riprodursi così in fretta. Se fossimo riusciti a capire il meccanismo di quella crescita sfrenata e incontrollata, forse avremmo potuto trovare la chiave per bloccarla. L'identificazione della sostanza che stimolava la crescita ci avrebbe consentito di trovare un antagonista che ne bloccasse l'azione. Ora cominciavo sul serio a pensare che avessimo una possibilità di trovare una terapia prima che fosse troppo tardi. Accolsi con entusiasmo la possibilità di lavorare di nuovo con Terry, visto che in passato la nostra collaborazione era stata così piacevole e produttiva, e ci mettemmo subito all'opera per cercare una risposta a questo interrogativo: la chiave della rapida e sfrenata proliferazione delle cellule cancerose era forse la presenza della bombesina? Si trattava soltanto di una congettura, ma quasi tutti i «fattori di crescita» delle cellule, una volta purificati e identificati chimicamente, si erano rivelati peptidi. Quelli noti come fattori di crescita agivano sui recettori della membrana cellulare, inducendo le cellule a dividersi e poi moltiplicarsi nell'ambito del loro sano e normale sviluppo. Uno di questi peptidi era l'insulina, un altro il fattore di crescita epidermica (EGF). Per ovvie ragioni, i fattori di crescita erano diventati un settore di estremo interesse nella ricerca sul cancro. Se la bombesina era davvero un fattore di crescita secreto dalle cellule tumorali per promuovere il proprio sviluppo, poteva spiegare il meccanismo grazie al quale le cellule cancerose dei polmoni proliferavano tanto in fretta. Quando la nostra ricerca dimostrò che le cellule cancerose non solo producevano bombesina, ma probabilmente erano anche regolate da questo peptide,

202

Page 203: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

visto che presentavano sulla propria superficie i recettori della bombesina, credemmo di aver identificato il meccanismo. La bombesina, a quanto pare, non era soltanto un fattore di crescita, ma anche un fattore di crescita autocrino, vale a dire una sostanza secreta dalla cellula stessa sulla quale agisce. Com'era nostro dovere, comunicammo i dati accertati al direttore del laboratorio di ricerche sul cancro. Due settimane dopo, uno dei ricercatori mi telefonò per annunciarmi, con un tremito nella voce, che la bombesina aveva accelerato la crescita delle sue colture cellulari. In questo modo confermava la nostra intuizione che la presenza della bombesina e dei recettori della bombesina su quelle cellule cancerose doveva essere il motivo per cui crescevano in modo incontrollato. Ero emozionata mentre inserivo quella conferma delle nostre scoperte alla fine dell'articolo in cui avevamo descritto la connessione fra bombesina e carcinoma a cellule piccole, redatto in tutta fretta per la pubblicazione sulla rivista Science. La citai sotto forma di «comunicazione personale» di Adi Gazdar, un collaboratore del laboratorio di ricerca sul cancro, come si fa di solito per riconoscere il merito di una ricerca che non è stata ancora pubblicata. Inviai l'articolo, mettendo al primo posto fra gli autori il nome di Terry e all'ultimo quello del direttore del laboratorio, con tutti gli altri inseriti in mezzo. Quando l'articolo apparve sulla rivista, il direttore del laboratorio di ricerche sul cancro si sentì danneggiato dal fatto che avevo utilizzato i dati fomiti dal suo ricercatore, che avrebbero potuto consentire ai suoi concorrenti di sfruttare quelle informazioni per invadere il suo territorio. La mia personale convinzione, in quel momento, era che il tempo fosse vitale. La comunità degli studiosi dei tumori polmonari aveva urgente bisogno di quelle informazioni, e prima venivano divulgate, meglio era. A mio modo di vedere, i giochi politici erano secondari di fronte all'esigenza di mettere le nostre scoperte a disposizione di un pubblico che fosse il più vasto possibile, e non m'importava affatto a chi andasse il merito. Nel frattempo, le condizioni di mio padre avevano segnato un netto peggioramento. Era stato sottoposto a un trapianto di midollo osseo, una procedura chirurgica molto dolorosa che si adotta quando i pazienti non

203

Page 204: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

reagiscono alla normale chemioterapia. Le cellule immuni vengono estratte dalla loro sede nel midollo osseo e refrigerate, per essere poi reimpiantate dopo che il paziente ha subito una dose urto di chemioterapia. Il presupposto è che il midollo osseo non contenga cellule cancerose, e quindi possa essere reintrodotto dopo che l'organismo è stato «depurato» dalla chemioterapia, per avviare un nuovo sistema immunitario. Ci si aspetta che quanto resta del paziente dopo la chemioterapia diventi un terreno fertile, nel quale le nuove cellule immunitarie possono mettere radici e prosperare. Nel caso di mio padre, la strategia non aveva funzionato. Forse la chemioterapia non aveva ucciso tutte le cellule cancerose, e quelle rimaste avevano continuato a proliferare; o forse, come avremmo accertato in seguito continuando le ricerche, nel midollo osseo c'erano cellule immuni di tipo precursore che erano a loro volta implicate nella proliferazione cancerosa e quindi, una volta rientrate nel corpo dopo la chemioterapia, avevano riattivato il processo della malattia. Anche se quell'ultima fase della chemioterapia gli aveva fatto perdere tutti i capelli, lasciandolo smunto, la sua personalità spavalda e piena di spirito era rimasta immutata. Ricordo che gli somministravo ogni giorno megadosi di vitamina C, nella speranza di contrastare almeno in parte gli effetti tossici dei farmaci. A un certo punto suggerii persino un consulto con un oncologo piuttosto discusso, per tentare una terapia alternativa della quale avevo letto. Ma nonostante la mia campagna, mio padre stava rapidamente perdendo ogni interesse per l'esplorazione di nuove strade che potevano portarlo alla guarigione. A poco a poco venne trasferito sempre più vicino alla postazione delle infermiere, e questo non era un buon segno, perche significava che volevano tenerlo sempre d'occhio. Poi venne un colpo davvero grave: la notizia che il cancro si era esteso al cervello e avrebbe richiesto un trattamento con i raggi. Fino a quel momento mio padre aveva conservato un morale relativamente alto, al punto da accattivarsi la simpatia delle infermiere con i riff jazzistici che suonava spesso sulla chitarra. Di fronte a quella nuova diagnosi, invece, il suo umore subì un tracollo rapido e irreversibile. Era un intellettuale, un artista, e la notizia che il cancro

204

Page 205: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

gli stava devastando il cervello ebbe l'effetto di demoralizzarlo, distruggendo anche quel barlume di speranza che gli era rimasto. Ciò nonostante, si sottopose anche ai raggi. Al settimo giorno di trattamento, notai un netto cambiamento nel mio stesso stato d'animo, un passaggio dalla speranza a un vuoto fatto di stordimento. Sebbene la mente non riuscisse a rassegnarsi, l'intuito mi diceva che mio padre non ce l'avrebbe fatta. Quella sera, nel salutare mia madre, le fece una richiesta insolita. Quel giorno non l'avevo accompagnata in ospedale, perché ora che avevo rinunciato a ogni speranza non potevo sopportare di guardarlo negli occhi. «Va' a casa di Candy», le ripeté più volte, mentre lei gli stringeva le mani, assicurando che lo avrebbe fatto. Mio padre sapeva che sarebbe morto quella notte, e voleva che mia madre fosse con me a casa mia, dove infatti si trovava quando giunse la telefonata finale, verso le due del mattino. Mio padre morì quasi a un anno esatto di distanza dalla diagnosi. Quando andai all'ospedale dei veterani per ritirare i suoi effetti personali, scoprii mezzo pacchetto di sigarette nel cassetto del comodino, una scoperta non troppo sorprendente, visto che era stato un forte fumatore. Mentre uscivo, un funzionano dell'ospedale mi consegnò una bandiera americana da spiegare sulla sua bara al funerale; ma noi, ricordando che aveva l'abitudine di dire spesso: «La guerra è per gli idioti», ci guardammo bene dal farlo. La bandiera finì riposta in un cassetto fino a qualche anno dopo, quando, rammentandoci del suo senso dell'umorismo e sentendo ancora terribilmente la sua mancanza, la tirammo fuori per usarla come tovaglia in occasione del picnic del Quattro Luglio. Quanto alle mie ricerche, non ero riuscita a lavorare abbastanza in fretta. Anche se adesso eravamo in grado di capire meglio che cosa succedeva nell'ambito di questa malattia, non c'era stato il tempo di escogitare un possibile trattamento. Invece di una cura, ne ricavai un altro articolo su Science, e mi feci un altro nemico. Il capo del laboratorio del Cancer Institute era furioso per il modo in cui avevo

205

Page 206: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sciupato la scoperta relativa alla proliferazione delle cellule cancerose divulgandola, a suo parere, prematuramente. Avevo commesso un peccato imperdonabile, inserendo nell'articolo dati che qualunque scienziato con un minimo di rispetto per se stesso avrebbe sfruttato per altri tre o quattro articoli, accrescendo così il numero delle sue pubblicazioni, per non parlare delle possibilità di essere citato.

Fu in quella circostanza che avvenne l'episodio al quale ho già accennato, quando mi trovai a un tavolo nella mensa del NIH, seduta di fronte al collega che aveva collaborato con me, costretta a battermi contro di lui per conservare il controllo della ricerca. Mentre quell'esponente del potere costituito che mi stava di fronte enunciava le sue condizioni, io non ero in grado di organizzare una difesa efficace, e del resto non ne avevo alcuna voglia. Lui mi spiegò in tono reciso che preferiva tagliarmi fuori del tutto, per trattare soltanto con Terry. Quello era il suo territorio, mi disse senza mezzi termini, e io dovevo capirlo; in fondo, era lui il capo e forse, se avessi fatto la brava bambina, sarei stata presa in considerazione come collaboratrice nei futuri progetti di ricerca. Era un classico esempio di déjà-vu, un replay dell'ultima conversazione che avevo avuto con Sol prima di barattare la Johns Hopkins con il Palazzo. Ancora una volta mi sentivo ripetere da un collega in una posizione di potere che non potevo continuare a lavorare a una parte della ricerca che avevamo avviato insieme. A quanto pare, c'erano trofei troppo importanti e prestigiosi per essere condivisi, e dal suo punto di vista era ovvio che il nesso fra la bombesina e il carcinoma a cellule piccole era uno di questi. Ovviamente poteva addurre validi motivi per giocare le sue carte in quel modo. Infatti avevo aggiunto l'insulto all'offesa quando, con l'aiuto dei suoi collaboratori, avevo verificato una predizione ovvia, e cioè che i livelli della bombesina dovevano essere elevati nel sangue dei pazienti affetti da un carcinoma polmonare a cellule piccole. Noi ci eravamo fatti le ossa con le analisi sulla presenza di peptidi nel sangue, al punto che ormai potevamo eseguirle anche a occhi chiusi, e quindi era stata una verifica facile e naturale. Avevo comunicato i risultati al direttore del

206

Page 207: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

laboratorio di ricerche sul cancro, informandolo che intendevo ricavarne un breve articolo destinato a Lancet, una prestigiosa rivista inglese di medicina, osservando che i sintomi tipici dei pazienti affetti da quel tipo di cancro, come prurito, temperatura corporea bassa e inappetenza, erano dovuti all'eccesso di bombesina nel sangue. Quell'iniziativa fu la goccia che fece traboccare il vaso, spingendolo a decidere di troncare ogni collaborazione con me. A tutt'oggi non so se la vera causa del problema fu che non aveva fiducia nel mio lavoro, oppure che mi considerava un elemento di disturbo nel suo territorio, capace di mandare in fumo il suo piano di divulgare la scoperta poco alla volta, diluendola nel maggior numero possibile di articoli. In seguito ebbi il sospetto che fosse indotto ad agire così anche dalla sensazione che fosse poco produttivo, sul piano politico, far comparire il suo nome accanto al mio su un numero troppo elevato di articoli, congettura che vidi confermata quando lui pretese la cancellazione del suo nome dall'articolo su Lancet. Quando finalmente apparve, l'articolo riportava fra gli autori il mio nome e quello del mio tecnico, con un ringraziamento per il laboratorio del Cancer Institute. Ricordo di aver pensato a tutto questo mentre ero seduta a tavola di fronte al mio contendente, ascoltando appena la sua voce tonante che mi arringava da oltre un'ora. Ricordo anche di aver sentito il nascituro, ormai giunto quasi al termine, agitarsi nel mio ventre, infondendomi una strana sensazione di pace nel bei mezzo di quella dura prova. Forse il messaggio che una nuova. vita stava per affacciarsi al mondo mi diede forza, ispirandomi un senso di distacco dall'aggressione di cui ero oggetto. La mattina dopo ricevetti dal direttore del laboratorio una lettera di quattro pagine a spaziatura singola, redatta come un vero e proprio contratto, in cui si spiegava con ampiezza di dettagli chi avrebbe fatto cosa, quando e dove, in rapporto alle future ricerche sull'argomento. La lessi distrattamente, dato che non avevo la minima intenzione di disturbarmi a rispondere. Era chiaro che il mio ex collaboratore mi riteneva colpevole di aver cacciato di frodo nella sua riserva, mentre io ero convinta altrettanto fermamente che le sue manovre territoriali,

207

Page 208: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

motivate dal desiderio di farsi bello, ottenendo il massimo credito possibile per la ricerca, fossero tra i motivi che impedivano alla scienza medica di scoprire nuove terapie delle quali avevamo disperatamente bisogno. Mio padre era morto, e io non avevo più uno straccio di motivo per cercare di restare nelle grazie del direttore di laboratorio. Tornai alla mappatura del cervello, ai recettori, ai peptidi. Quella che era stata una ricerca emozionante e ricca di significato, allo scopo di trovare risposte alle domande sul motivo per cui le cellule cancerose dei polmoni erano tanto ricche di peptidi e non corrispondevano al profilo delle altre cellule polmonari doveva essere accantonata. Fantasticai che un giorno sarebbe tornata alla luce, forse in un'epoca in cui la gelida ambizione avrebbe contato meno di una ricerca della verità guidata da motivazioni sincere. Per il momento la misi da parte, pensandoci soltanto nei momenti m cui, con una stretta al cuore, rammentavo mio padre e come avessi tentato invano di salvargli la vita.

Connessione

La stanchezza e la delusione che provavo in quel momento, tuttavia, cominciarono a dileguarsi quando intrapresi un nuovo itinerario intellettuale, che ebbe inizio con una conoscenza casuale, prese decisamente slancio quando mi trovai coinvolta in un'altra grande ricerca della cura per una malattia e assunse un'importanza tale da consentirmi di resistere a critiche e avversità che avrebbero fatto sembrare una passeggiata persino le dure prove che avevo giù superato. Nell'autunno del 1982 feci conoscenza con il dottor Michael Ruff nel bar del Palazzo, che ormai non esiste più, ma allora fungeva da circolo e da abbeveratoio per gli scienziati stanchi di studiare i misteri del cervello, ed era situato in un edificio di pietra che era stato donato all'istituto, sulla destra del campus. Subito dopo la caffetteria, era il locale più interdisciplinare del Palazzo, un posto piacevole in cui le solite barriere cadevano e la conversazione fluiva liberamente.

208

Page 209: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Lo frequentavo di rado, ma un pomeriggio, alcuni mesi dopo che la mia separazione da Agu era diventata ufficiale, mi fermai li, spinta da un impulso inspiegabile. Con un bambino di pochi mesi saldamente assicurato al petto da un'imbracatura di tela con le cinghie non mi sentivo certo sexy o piena di fascino, eppure mentre salivo la scala che portava al salone principale ebbi la premonizione che avrei conosciuto una persona molto interessante. Mi trovai a gravitare verso l'estremità del bar, dove si trovavano due studenti del postdottorato giovani e attraenti. Ci scambiammo qualche rapida occhiata cordiale, e mi resi conto che mi avevano riconosciuto. «Quella è Candace Pert», lessi sulle labbra di uno dei due, e poco dopo la conversazione divenne generale. Michael Ruff e Rick Weber, come scoprii dopo, avevano frequentato insieme un corso di immunologia all'università, e ora seguivano un corso di specializzazione postdottorato. Mike mi spiegò in seguito che si era ricordato di avermi visto in un documentario scientifico prodotto dalla televisione, in cui spiegavo come le endorfine prodotte dai testicoli causassero gli spasmi orgasmici del vas deferens. Devo ammettere che il mio ego femminile salì al settimo cielo mentre mi immaginavo nella veste di scienziata alfa, più anziana e saggia, di fronte a quegli allievi beta. Quello che mi eccitava realmente, però, era il particolare che si trattava di due immunologi, perché coltivavo da tempo un'idea, per la precisione l'ipotesi che la schizofrenia fosse un fenomeno autoimmunitario, ed ero alla ricerca di un immunologo che mi andasse a genio per sottoporlo a un fuoco di fila di domande. Il campo di specializzazione di Rick era lo studio della chimica delle molecole degli anticorpi, quelle sostanze spugnose prodotte da alcune cellule del sistema immunitario per riconoscere ed eliminare gli agenti patogeni invasori (agenti che causano malattie) che minacciano l'organismo. Rick fu eloquente nel descrivere come questi anticorpi vibrano e cambiano forma non appena incontrano batteri, virus o cellule tumorali, prendendoli al laccio e scortandoli fuori dell'organismo. Scoppiammo a ridere tutti, quando evocò la scena del film Viaggio allucinante, in cui Raquel Welch entra nel circolo sanguigno e viene

209

Page 210: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

circondata da uno sciame di anticorpi, ciascuno dei quali sagomato a coppa, in modo da adattarsi perfettamente alla forma dei suoi splendidi seni. Michael, che sembrava più taciturno e riservato, era interessato alla componente cellulare del sistema immunitario, in particolare alle cellule-spazzine, dotate di straordinaria mobilità, che sono note col nome di macrofagi e hanno la funzione di ripulire il sangue dai detriti lasciati dallo scontro mortale con gli invasori. Accennò al fatto che «mangiare lo sporco» era solo una delle funzioni di queste cellule: infatti svolgevano anche un ruolo essenziale nella riparazione dei tessuti del corpo, producendoli, se necessario, e orchestrando una cascata chimica e cellulare che si traduceva in una reazione risanatrice. Michael cominciava a chiedersi in che modo riuscissero a fare tutto questo senza poter comunicare fra loro o con il resto del corpo, un problema che invece non sollevava la minima curiosità in altri immunologi. Come Michael, avevo anch'io delle idee radicali che sobbollivano in fondo alla mia mente. Una di queste riguardava la mia intuizione che la schizofrenia fosse l'effetto di una reazione autoimmunitaria, vale a dire il fenomeno che si verifica quando le cellule immunitarie impazziscono e attaccano parte dell'organismo al quale appartengono, anziché gli invasori che dovrebbero eliminare. Nella schizofrenia, secondo la mia congettura, le cellule immunitarie secernevano anticorpi che marcavano le cellule cerebrali attraverso i recettori. Gettando al vento la cautela e, confidando nel fatto che Mike e Rick erano giovani e avevano una mentalità abbastanza aperta da venirmi dietro, lo dissi chiaro e tondo. «Voglio trovare una vera cura per la schizofrenia», annunciai, notando che la loro attenzione si spostava in modo vistoso. «La mia idea è che la malattia sia causata dagli anticorpi prodotti contro i recettori delle cellule cerebrali». Seguì un silenzio riflessivo, mentre meditavano su quella possibilità. «Voi due sapete se esiste un modo per verificare questa ipotesi? » aggiunsi, in tono un pò incerto. Ci mettemmo subito d'accordo per esplorare quell'ipotesi. Il primo passo sarebbe consistito nell'insegnare loro la scienza dei recettori cerebrali,

210

Page 211: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

mentre a loro volta m'insegnavano l'immunologia; un piano che cominciammo a mettere in atto quel pomeriggio stesso, nel bar. Allora non lo sapevo, ma il patto appena concluso segnò l'inizio di una collaborazione che avrebbe dato molti frutti, unificando due campi di ricerca per dare avvio a un nuovo approccio alla guarigione e alla malattia. Le ricerche condotte insieme avrebbero preso le mosse dalla schizofrenia, lasciandola temporaneamente in ombra per esplorare la connessione fra sistema nervoso e sistema immunitario, fra mente e corpo, in rapporto al cancro e all'AIDS, per tornare soltanto anni dopo al problema della schizofrenia. Dopo l'incontro al bar, noi tre prendemmo l'abitudine di uscire insieme. Un pomeriggio, mentre stavamo viaggiando a bordo della jeep scoperta di Rick, sobbalzando su una strada sconnessa, lui mi porse un estratto. «Dà un'occhiata a questo, Candace», mi disse. «Lo ha scritto un mio amico. Ed Blalock, dell'università del Texas». «Di che si tratta?» gli domandai, perché gli scossoni erano troppo forti per consentirmi di leggere il titolo. «Ha scoperto delle cellule immunitarie che producono endorfina». «Davvero?» esclamai in tono incerto, mentre lasciavo sedimentare nella mia coscienza quell'informazione sorprendente. «Ma questo tale sa quello che fa?» «A me sembra solido come la roccia», replicò Rick. «Comunque leggi tu stessa.» Rick fermò la jeep, accostando alla banchina stradale, e io cominciai a leggere l'articolo, con lui e Mike che sbirciavano sopra la spalla. Blalock, un immunologo che si era laureato solo pochi anni prima insieme con Mike e Rick, stava studiando gli interferoni, dei peptidi prodotti da alcuni globuli bianchi noti col nome di linfociti. Nel corso dei suoi studi, Blalock aveva notato che a volte gli interferoni scimmiottavano l'attività degli ormoni, osservazione che lo aveva indotto a mettere dei linfociti su un vetrino e stimolarli a produrre interferoni, per vedere se producevano anche qualcos'altro. Sorpreso, aveva scoperto che i linfociti producevano anche l'endorfina, ossia un peptide cerebrale capace di alterare l'umore, oltre all'ACTH, o adrenocorticotrofina, un ormone legato allo stress che

211

Page 212: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

prima si riteneva fosse secreto unicamente dalla ghiandola pituitaria, la ghiandola principale del sistema endocrino. «Mio Dio!» esclamai. «Se ha ragione lui, vuoi dire che il sistema immunitario somiglia a un sistema endocrino fluttuante, a un insieme di minuscole ghiandole pituitarie!» Eccitati da quella scoperta, balzammo subito a una possibile conclusione: il sistema immunitario comunicava non solo con il sistema endocrino, ma anche con il sistema nervoso e con il cervello, utilizzando un meccanismo chimico che richiedeva l'intervento dei neuropeptidi endorfine e dei loro recettori per codificare le informazioni. Ma ci sarebbero voluti molti passi avanti, e quasi due anni di lavoro, per poter formulare quell'intuizione con sufficiente sicurezza per poterla divulgare sulla stampa. Quando si sparse la notizia della scoperta di Blalock, ben pochi dei colleghi condivisero il mio entusiasmo; gli altri o ignorarono Blalock o lo liquidarono con sufficienza, convinti che sbagliasse. Del resto c'era da aspettarselo. Ogni volta che qualcosa non combacia con il paradigma dominante, la reazione iniziale della scienza ufficiale consiste nel negare i fatti. Suggerire che dei sistemi storicamente definiti separati fossero uniti in realtà da rapporti di interazione era l'esempio più lampante di attentato al paradigma. Per qualche tempo, dopo la scoperta, dovunque andasse, Blalock sentiva sussurrare accuse come: «Lavoro sciatto! Artefatto! Provette sporche!» E continuarono così, finché il numero dei laboratori che avevano ripetuto l'esperimento di Blalock ottenendo gli stessi risultati divenne troppo alto perché si potesse ignorare il fenomeno: quello che lui aveva visto non era un «artefatto», vale a dire un risultato prodotto dall'esperimento stesso. Infine, nel 1983, un editoriale della rivista Nature riconobbe la presenza di peptidi cerebrali nel sistema immunitario, ma mise in guardia la comunità scientifica contro quegli «psicoimmunologi radicali» che potevano interpretare arbitrariamente quel lavoro, spingendosi ad affermare che «non esiste stato mentale che non sia riflesso da uno stato del sistema immunitario». Rick, Mike e io adottammo con orgoglio quell'etichetta sprezzante, definendoci con fierezza, da allora in poi, psicoimmunologi radicali.

212

Page 213: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Comunque, anche se il peso delle prove aveva costretto i critici di Blalock ad accettare quei dati, i critici non avevano ancora la minima intenzione di approfondire il modo in cui i dati stessi mettevano in discussione la loro visione preconcetta del corpo. Dal canto mio, nel ruolo di psicoimmunologa radicale in erba, che non ci pensava due volte a calpestare i confini tradizionali pur di arrivare alla verità, mi dedicai subito al progetto di estendere e approfondire le implicazioni della ricerca di Blalock. Michael, che lavorava nell'ambito del Dental Institute, l'Istituto per le ricerche dentarie che faceva parte anch'esso del NIH, si trasferì temporaneamente nel mio laboratorio in modo che potessimo lavorare insieme, mentre Rick ci raggiungeva spesso per unirsi a noi. L'idea iniziale sulla quale indagammo era che, se le cellule immunitarie producevano endorfine, probabilmente sulla loro superficie dovevano esistere dei recettori degli oppiacei. Sapevo che per dimostrare la presenza di recettori degli oppiacei sulle cellule immunitarie erano stati pubblicati degli articoli, fra i quali addirittura uno di Pedro Cuatrecasas, che era stato uno dei miei maestri alla Hopkins. Lui aveva individuato i recettori degli oppiacei nelle cellule immunitarie, adottando il tradizionale sistema «macina e lega» per isolarli, ma il suo articolo, come parecchi altri, era stato ignorato a causa della presenza di varie anomalie. Ancora una volta, quel genere di scoperta era troppo in anticipo sul paradigma vigente e sulle sue capacità di accettazione. Recettori dei peptidi cerebrali sulle cellule immunitarie? Cosa mai poteva significare? Per interessarsi ad affermazioni del genere bisognava essere uno psicoimmunologo radicale, appartenere a una categoria scientifica che non esisteva neppure quando Pedro aveva scritto quell'articolo! Decidemmo allora di seguire un itinerario più impegnativo, che per i colleghi risultasse più difficile da ignorare. Volevamo dimostrare la validità della nostra ipotesi mediante quella che viene definita «analisi funzionale», cioè un tipo di analisi che sollecita un'attività specifica e misurabile, anziché limitarsi a dimostrare la presenza del recettore. L'interrogativo principale che ci ponevamo era il seguente: quale funzione della cellula si modifica per effetto del legamento?

213

Page 214: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Nell'ambito delle ricerche sull'infiammazione dei tessuti che aveva svolto al Dental Institute, Michael aveva studiato un fenomeno noto come chemiotassi, cioè la capacità di una cellula di captare la «traccia» di un peptide grazie ai recettori presenti sulla sua superficie, mettendosi letteralmente sulla sua pista e dirigendosi verso il punto in cui si trovava la concentrazione maggiore di quel peptide, finché riusciva a legare con il peptide stesso, dopodiché questo dava inizio al compito di ordinare le attività della cellula. Decidemmo allora di usare la chemiotassi come strumento per dimostrare l'azione degli oppiacei e dei loro recettori sulle cellule immunitarie. Per ottenere questo risultato scegliemmo dieci diversi oppiacei, fra cui le varie endorfine, dimostrando che le cellule immunitarie reagivano nei loro confronti con la chemiotassi in misura direttamente proporzionale alla potenza con la quale legavano col recettore. In seguito estendemmo la ricerca per dimostrare, seguendo lo stesso metodo, che sulla superficie delle cellule immunitarie esistevano recettori per quasi tutti i peptidi o le droghe che avevamo identificato nel cervello, come Valium, sostanza P e molti altri. Dopo aver pubblicato i risultati di quella ricerca, passammo alla domanda successiva in ordine logico, e cioè l'inverso di quella alla quale avevamo appena trovato risposta: se nel sistema immunitario esistevano dei neuropeptidi, avremmo trovato immunopeptidi nel sistema nervoso? La scoperta di correlati cerebrali dei peptidi che in origine apparivano in altre parti del corpo era un lavoro che il nostro laboratorio svolgeva da anni, così decidemmo di fare un sondaggio. Stavolta, lavorando con Mike e un altro immunologo, Bill Farrar, un collaboratore del Cancer Institute, scelsi l'interleuchina-1 come primo immunopeptide oggetto del nostro studio. L'IL-1, come viene chiamata in gergo tecnico, è un ormone polipeptide prodotto per lo più dai macrofagi del sistema immunitario, ed è uno dei cinquanta o più peptidi identificati che mediano le reazioni infiammatorie causate da ferite, traumi o fattori che attivano il sistema immunitario. Nell'ambito di una cascata molecolare, l'IL-1 provoca la febbre, attiva le cellule-T, induce il sonno e mette il corpo in uno stato generale di

214

Page 215: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

risanamento, consentendogli di mobilitare le riserve di energia per combattere con la massima efficienza contro gli agenti patogeni intrusi. Risultò evidente che esistevano recettori dell'interleuchina-1 in molte aree del cervello, e questo divenne il secondo caso in cui si riscontrava la presenza di recettori di immunopeptidi. (Il primo recettore di questo genere che fosse stato scoperto era stato il Thy-1, un'abbreviazione per thymus, di cui Rick Weber, Joanna Hill e io avevamo eseguito l'autoradiografia per individuarne lo schema di distribuzione nel cervello). Non restammo affatto sorpresi; viceversa gli immunologi, che in precedenza erano al corrente soltanto della presenza dei recettori dell'IL-1 nell'ipotalamo, dove erano stati riconosciuti da tempo come fattore scatenante della febbre, rimasero sconcertati dalla scoperta che quei recettori si trovavano anche nella corteccia e nei centri cerebrali superiori (per lo più sulle cellule gliali e sulla dura madre, la membrana resistente che circonda il cervello.) Oggi sappiamo che in determinate circostanze numerosi peptidi fra quelli scoperti dagli immunologi, se non tutti, possono essere prodotti dal cervello e nello stesso tempo agire da recettori sul cervello. Quello che stavamo scoprendo era sbalorditivo e rivoluzionario: il sistema immunitario era potenzialmente in grado sia di inviare informazioni al cervello attraverso i neuropeptidi, sia di riceverne dal cervello, sempre attraverso i neuropeptidi (che si agganciavano ai recettori sulla superficie delle cellule immunitarie). Il nostro lavoro confermava i risultati ottenuti da Blalock suggerendo in modo irrefutabile l'esistenza di un meccanismo chimico attraverso il quale il sistema immunitario poteva comunicare non solo con il sistema endocrino, ma anche con il sistema nervoso e il cervello. Il lavoro svolto in precedenza dai miei colleghi e da me aveva dimostrato in modo convincente che il cervello comunicava con molti altri apparati fisici, ma il sistema immunitario era sempre stato considerato separato dagli altri sistemi. Ora avevamo la prova definitiva che non era così.

215

Page 216: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Potenziale

Nella primavera del 1983 Michael e io scoprimmo di essere innamorati. Le ore che avevamo trascorso lavorando a stretto contatto nel laboratorio avevano contribuito senz'altro a quella circostanza felice, ma il nostro non era soltanto un caso di fusione intellettuale. Avevamo riconosciuto, l'uno nell'altra, l'esistenza di un qualcosa che faceva presagire un nuovo orientamento, una ricerca comune fondata sul desiderio di superare i confini di quello che veniva comunemente accettato per portare alla luce una realtà più grande sul piano personale e scientifico. Quello divenne il nostro legame, che ci avrebbe servito bene negli anni a venire, in cui nulla di quello che avremmo fatto sarebbe stato possibile senza il sostegno e la forza che ci offrivamo a vicenda. Ricordo il momento in cui mi resi conto che Michael e io avevamo un futuro, anche se neppure nei miei sogni più sfrenati avrei potuto intuire quello che aveva in serbo per noi. Avevo preso l'abitudine frequentare il bar, dove incontravo spesso Mike, Rick e altri amici. Mike era rimasto lontano dal laboratorio per una settimana, e il primo giorno dopo il rientro ci eravamo dati appuntamento nel nostro solito angolino per aggiornarci in modo informale sul lavoro svolto. Quando scivolò sul divanetto del séparé, alzai la testa e notai che aveva gli occhi più grandi, più chiari e più profondi, oltre ad apparire più consapevole di sé di quanto mi fosse mai apparso in precedenza. «Ehi, Mike, ma dove sei stato?» non seppi trattenermi dal chiedergli. «Sembri una persona diversa!» Lui sorrise e, alla sua maniera pacata, passò a spiegarmi che aveva seguito un seminario di bioenergetica della durata di una settimana. «È stato fantastico», spiegò con entusiasmo. «Abbiamo fatto un sacco di esercizi e di versi strani. Non riesco a credere di sentirmi così bene!» La bioenergetica, continuò, era una specie di terapia alternativa ideata da Alexander Lowen e ispirata da Wilhelm Reich. Ora, quello non era certo un argomento di cui ci si aspettava di sentir parlare con serietà due esponenti del Palazzo, soprattutto perche Reich era stato bandito

216

Page 217: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

dal regno della «scienza seria» a causa dei folli esperimenti che aveva compiuto con l'energia sessuale umana, ma io rimasi affascinata e insistetti per avere maggiori dettagli. La terapia bioenergetica, spiegò Mike, utilizzava alcune posture fisiche ed esercizi ideati per accedere a traumi o blocchi emotivi sepolti in profondità. La teoria era che queste emozioni restassero intrappolate nel corpo fisico e potessero esprimersi soltanto sul piano fisico, attraverso il movimento accompagnato da forme sonore di espressione emotiva. Il risultato era una sensazione di energia capace di circolare con maggiore libertà e ampiezza, un effetto che indubbiamente avevo visto riflesso nell'aspetto mutato di Mike. Mentre stavamo parlando, gli confidai alcune delle mie incursioni personali, più o meno ufficiali, nell'esperienza corpo/mente. Una di queste avventure l'avevo vissuta nel 1977, quando avevo seguito un training di Est dietro suggerimento di un collega del NIH. I seminari di sviluppo personale Est erano popolari e si presentavano sotto forma di un programma della durata di due weekend, nei quali almeno duecento persone si affollavano in un salone d albergo per lunghi periodi di tempo, con poche interruzioni. Anche se da principio ero molto scettica, avevo deciso di mettercela tutta, con l'intenzione di vivere fino in fondo quell'esperienza prima di formulare un giudizio personale. Una squadra di istruttori sensibili, anche se autoritari, ci aveva guidato attraverso le varie fasi, dalla visualizzazione guidata ai dialoghi di confronto, e poi a esplorazioni tormentose sulla natura della realtà. A un certo punto avevo assistito alla trasformazione fisica di una donna; mentre riviveva il trauma di un incesto sepolto nella sua memoria da anni, le spalle che teneva curve fin dall'infanzia si raddrizzarono spontaneamente, sotto i nostri occhi. Ero uscita da quell'esperienza con una sola conclusione: «Dio e nella corteccia frontale!» Poiché è la parte del cervello che ci da la possibilità di decidere e di fare progetti per il futuro di operare cambiamenti, di esercitare un controllo sulla nostra vita la corteccia frontale mi sembrava l'unico modo per spiegare quello che avevo visto e sperimentato: mi sembrava che fosse il Dio dentro di noi. Nelle settimane seguenti mi sforzai di integrare quell’esperienza degna di

217

Page 218: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

nota, cercando di trapiantarne la poesia pura nella mia formazione scientifica, mentre Agu stava a guardare, sospettoso e allarmato. Col senno di poi, mi resi conto che l'esperienza vissuta durante il training era consistita nel vivere emozioni allo stato puro, per la prima volta in vita mia. La privazione di sonno e di cibo aveva infranto le mie difese, mettendomi in contatto con il mio mondo emotivo: tristezza, solitudine, collera, oltre che gioia e amore per il prossimo. Mi aveva lasciato una nuova libertà emotiva e una rinnovata fede nel futuro, che mi avevano consentito di farmi forza ai tempi del caso Lasker e nel successivo periodo di ostracismo. Cominciavo a rendermi conto che Mike, come me, era disposto a permettere che la sua vita fosse ampliata e arricchita dalla scienza che praticava, esplorando nella vita reale quello che vedeva al microscopio; una qualità rara in uno scienziato, soprattutto del Palazzo. L'idea che mente e corpo si potessero trattare come un tutto unico, che si potesse accedere all'emozione attraverso il corpo, e non solo dalla mente, per guarire, e che il risultato potesse dare un contributo enorme alla salute dell'organismo era una concezione che faceva appello ai nostri istinti più profondi. Quel pomeriggio ebbi per la prima volta l'intuizione che avevo trovato un compagno autentico, un'anima affine, e forse addirittura un complice, col quale poter esplorare una frontiera nuova ed eccitante. La sensazione, come si scoprì poi, era reciproca, e subito dopo cominciammo a uscire insieme. Non ci volle molto perché Michael e io diventassimo una «coppia», offrendo con il nostro rapporto un esempio dell'unione fra due discipline separate che ben presto si sarebbero trasformate in un nuovo e unico settore della scienza, in grado di gettare concretamente un ponte oltre la frattura fra mente e corpo radicata nella medicina moderna da oltre duecento anni. La mia stessa evoluzione mi rendeva matura per il prossimo cambiamento radicale nel mio stato di coscienza. Questo avvenne un giorno in cui, aiutando Michael a fare pulizia nel bagagliaio della sua auto, m'imbattei in una copia del libro di Norman Cousins, La volontà di guarire: anatomia di una malattia. Portai a casa quel libro e lo lessi tutto d'un fiato, tanto

218

Page 219: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

mi parve convincente la tesi e tanto profonde furono le risonanze che suscitò in quel momento nel mio stesso pensiero allo stato nascente. Cousins, che era direttore di un'importante rivista letteraria, The Saturday Review, si era sentito diagnosticare una malattia letale, esperienza che lo aveva indotto a mettere in discussione le basi stesse della medicina occidentale. Pur non essendo medico, aveva avuto qualche scontro con l'establishment medico in veste di paziente ed era giunto ad alcune conclusioni piuttosto sensate sulla sua situazione, che era davvero critica. Rifiutando anche lo scarso aiuto che i medici potevano offrirgli, Cousins aveva abbandonato l’ospedale per prendere alloggio in un albergo, dove si era rintanato con un assortimento di videocassette di Charlie Chaplin ed era riuscito letteralmente a «guarire dal ridere». Aveva intuito per istinto che ciò di cui il suo corpo aveva bisogno era l'esperienza gioiosa e positiva del riso. Il suggerimento che aveva ricavato dalla sua vicenda personale era che lo stato d'animo i pensieri e le sensazioni, tutti elementi che il modello medico ignorava del tutto, avevano svolto in realtà un ruolo di primo piano nella sua guarigione; anzi, si era spinto a formulare l'ipotesi che il riso avesse scatenato un'emissione di endorfine, che, migliorando il suo umore, avevano provocato, non sapeva bene come, una remissione totale della malattia. Io bevevo ogni parola del suo racconto. Parlava la mia stessa lingua, e potevo rapportarmi alla sua esperienza in base a quella che avevo vissuto anch'io. Come lui, avevo deciso di fare a modo mio quando, dopo un primo parto ad alto livello tecnologico avvenuto in ospedale con una pesante somministrazione di tarmaci e un secondo parto naturale, ma sempre in ambiente ospedaliero (che mi aveva costretto a lottare per respingere un fuoco di fila di interventi innaturali), avevo deciso di partorire il terzo figlio in casa. Anziché il riso, la mia pallottola magica era stata la respirazione, che e una strategia sicura e sperimentata per ottenere il rilascio di endorfine e l'attenuazione del dolore. Evidentemente era a quello che si erano affidate in passato generazioni intere di donne, ai tempi in cui non esistevano le flebo e gli analgesici di sintesi: tanto loro quanto i figli dovevano aver vissuto meglio l'esperienza del parto, com'era avvenuto senz'altro nel mio caso.

219

Page 220: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Anche se trovavo opinabile la tesi di Cousins che le endorfine fossero la chiave del potere risanatore del riso, dentro di me non avevo dubbi sul fatto che si era imbattuto in qualcosa di straordinario. E la scoperta della sua vera natura mi apparve chiara con un lampo improvviso di percezione abbagliante: erano le ripercussioni dirette di tutti i nostri sforzi per comprendere i neuropeptidi, la chimica cerebrale dell'umore e del comportamento per ricostruire i sentieri chimici grazie ai quali comunicavano con il sistema immunitario e con tutti gli altri sistemi dell'organismo! Cousins stava dicendo che tutto il lavoro che avevo fatto puntava verso una nuova via di guarigione. Insieme con quella nuova intuizione, sentii destarsi dentro di me una forza che mi faceva vedere chiaramente ciò che avevo appena intravisto nel periodo in cui mio padre era in agonia e io lottavo contro il tempo per riuscire a comprendere la sua condizione: che la scienza dei recettori poteva avviarmi su una nuova strada per comprendere e curare il cancro e altre malattie. A livello intellettuale, mi sentivo come se stessi cambiando pelle, liberandomi delle ultime vestigia che appartenevano al vecchio paradigma.

Teoria

In un pomeriggio di primavera insolitamente tiepido, Mike e io stavamo facendo un giro a bordo della mia Fiat decappottabile attraverso il parco di Rock Creek, alla ricerca del posto ideale per goderci l'erba, una bottiglia di birra e la reciproca compagnia. La conversazione era scivolata sulle ricerche svolte nel tentativo di salvare mio padre dal tumore ai polmoni. Il mistero della connessione fra carcinoma a cellule piccole e bombesina era sempre rimasto annidato in fondo alla mia mente, e ora che Michael mi ascoltava potevo chiedermi a voce alta per quale motivo al mondo una cellula polmonare cancerosa dovesse secernere dei peptidi. Tutt'a un tratto Michael esclamò: «Forse perché in realtà le cellule cancerose sono dei macrofagi!»

220

Page 221: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Nell'attimo stesso in cui gli sfuggirono di bocca quelle parole, provai la sensazione che avverto quando so che un'idea azzardata è giusta. Ormai ero più propensa che in passato a fidarmi delle intuizioni e a progettare gli esperimenti su quella base, con un entusiasmo che i miei colleghi definivano con sufficienza poco scientifico. In realtà avevo già accumulato delle informazioni di fondo sui macrofagi, perché quei globuli bianchi erano la passione di Michael. La tesi corrente era che fossero destinati a svolgere funzioni molto elementari. Se ci si ficca una scheggia in un dito, per esempio, orde di macrofagi piombano sui batteri invasori per inglobarli, liberando enzimi che digeriscono i materiali di scarto prima di allontanarli. I polmoni contengono macrofagi che hanno la funzione di risucchiare tutto lo sporco - polline, polvere, particelle di carbone e altre sostanze chimiche - che inaliamo a ogni respiro. In teoria, se si riempisse d'acqua un polmone normale prima di agitarlo e capovolgerlo, ne uscirebbero miliardi di macrofagi; facendo altrettanto con il polmone di un fumatore di sigarette, i macrofagi sarebbero dieci volte più numerosi. L'idea lanciata da Michael, invece, era tanto brillante quanto radicale: insinuava che il carcinoma a cellule piccole non fosse un problema di normali cellule polmonari che diventavano cancerose, secondo la visione tradizionale, ma piuttosto di macrofagi che erano stati attirati nel polmone per pulire i residui di sporco lasciati dal fumo. Chissà come, l'opera risanatrice dei macrofagi aveva preso una piega sbagliata e i macrofagi avevano subito una mutazione, diventando cancerosi. Era quel genere di idea che solo una persona capace di vedere oltre il modello dominante avrebbe osato formulare: era chiaro che Michael, pur essendo perfettamente a conoscenza della letteratura sull'argomento e anche delle riflessioni non ancora pubblicate nel campo dell'immunologia, lasciava ancora spazio nella sua mente all'espressione chissà come. Da parte mia, non essendo un'immunologa, potevo permettermi di essere altrettanto ingenua nell'esprimere il mio punto di vista; inoltre, essendo innamorata, trovavo sempre molto plausibili i chissà come di Michael. Ma quella era un'incognita che si poteva verificare, una teoria folle che si poteva smontare, oppure no, con un semplice esperimento. Un salto nel

221

Page 222: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

buio come quello era proprio il tipo di occasione che ero stata allenata ad afferrare al volo, a prescindere da quanto sosteneva la letteratura scientifica sull'argomento. Quel pomeriggio stesso, nel parco di Rock Creek, progettammo l'approccio sperimentale. Nell'istante in cui Michael aveva pronunciato la parola «macrofagi», io mi ero tuffata sulla preda, accostando la Fiat al ciglio della strada. Saltammo a terra felici, con una confezione da sei lattine di birra in mano, per stenderci sull'erba armati di penna e taccuino, e cominciammo a scambiarci ipotesi e proposte di protocollo per l'esperimento. Eravamo così presi dalla discussione che non ci accorgemmo dell'avvicinarsi di un poliziotto, che ci ordinò bruscamente di consegnare la birra, infliggendoci una multa. Con sommo fastidio da parte sua, gli badammo appena, tanto eravamo estasiati da quella nuova idea che il cancro polmonare a cellule piccole poteva essere un caso di macrofagi mutanti.

Prassi

Ci volle un anno di lavoro per portare a termine la ricerca. Il nostro presupposto era che, se quelle cellule polmonari cancerose erano davvero macrofagi, dovevano averne l'aspetto e il comportamento; senza dubbio avevano pochi aspetti in comune con le normali cellule polmonari, e questo era stato il primo indizio. Se erano davvero macrofagi, questo avrebbe spiegato come mai si riproducevano così in fretta e si spostavano, ovvero creavano metastasi, a così vasto raggio: infatti queste due attività erano comunemente associate ai macrofagi ed erano molto più tipiche del carcinoma a cellule piccole che di altri tipi di tumore polmonare. La nostra strategia di ricerca comportava l'uso di anticorpi che in genere legavano con i macrofagi, per vedere se legavano anche con le cellule cancerose. Escogitammo un metodo semplice per scoprire la formazione di legami fra anticorpi e recettori sulle cellule cancerose: se le cellule

222

Page 223: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

piccole avevano gli stessi recettori dei macrofagi, probabilmente erano macrofagi. Prelevammo le cellule cancerose da una banca dei tessuti che si trovava a Rockville, nel Maryland, dov'erano state depositate due diverse colture provenienti da carcinomi a cellule piccole: a depositarle, guarda caso, era stato il mio collaboratore di un tempo, Adi Gazdar, che le aveva preparate quando lavorava nel laboratorio del medico di mio padre. Mi parve un'ironia della sorte, anzi, una sorta di giustizia poetica, il fatto che, se quei due campioni non fossero stati depositati lì, la verifica della nostra ipotesi avrebbe subito un arresto. Viceversa dal punto di vista di quel ricercatore, ormai noto e prestigioso, immagino che rappresentassi l'avverarsi del peggiore degli incubi: un gruppetto di giovani estranei al sistema, capitanati dall'indomabile Candace Pert, s'introduceva di soppiatto nel suo territorio, utilizzando colture cellulari avviate nel suo laboratorio per verificare un'idea alla quale lui non aveva mai pensato. Procedemmo nel massimo segreto, in parte per tenerci defilati, e in parte perché non sapevamo ancora se la nostra idea fosse folle o meravigliosa. Michael si appassionò al progetto, dedicandovi tutto il suo tempo. Utilizzando una versione modificata dell'analisi originaria per il recettore degli oppiacei, testò le cellule cancerose per identificare i loro recettori. Svolgeva quasi tutto il lavoro dopo il normale orario di laboratorio, usando una vecchia Tripla M ormai in disuso che aveva scovato nel seminterrato del Dental Institute, e portando ogni sera i dati a casa mia. Anche se la macchina aveva una grossa crepa, che Michael doveva imbottire continuamente di silicone per far sì che restasse a tenuta stagna, la Tripla M gli garantiva un metodo rapido e sporco per ottenere risultati utili. Restavamo svegli fino a tardi, riflettendo sui dati e cercando di ridurre i lunghi fogli coperti di cifre ad alcuni fatti di cui potevamo avere la certezza. Per quanto rispettassimo il silenzio assoluto sul nostro tentativo, non volendo che gli specialisti di ricerche sul cancro avessero sentore delle nostre attività e ci accusassero di cacciare di frodo nel loro territorio, alla fine le voci sul lavoro che stavamo svolgendo giunsero

223

Page 224: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

alle loro orecchie. E noi, a nostra volta, sentimmo dire che forse anche loro svolgevano delle ricerche e ottenevano dati simili ai nostri: ma nessuna delle due parti poteva comunicare con l'altra per facilitare il processo di ricerca, sempre per le solite vecchie ragioni che ormai conoscevamo bene: potere, egocentrismo e difesa del territorio. A differenza del nostro laboratorio, il loro era enorme, una macchina gigantesca che sfornava dati e misurava tutto quello che c'era da misurare sulle cellule piccole, senza però un'ipotesi precisa che li guidasse. Noi, viceversa, eravamo due persone con un'ipotesi ben precisa: in qualche modo quelle cellule cancerose erano legate ai macrofagi. Più concentrati dei ricercatori sul cancro, decidemmo di controllare soltanto i marker rilevanti per la nostra teoria.

Centro

Eureka! La tesi funzionava. L'analisi di Michael dimostrava chiaramente che gli anticorpi macrofagi avevano legato con le cellule tumorali, e concludemmo che quelle cellule polmonari cancerose avevano un aspetto e un comportamento troppo simile a quello dei macrofagi perché si trattasse di una semplice coincidenza. Gli anticorpi macrofagi si erano legati alle cellule cancerose perché quelle cellule erano macrofagi... o, per la precisione, macrofagi mutanti. Un'altra conclusione tratta dalla ricerca fu che le cellule cancerose erano nate in origine non da cellule polmonari, bensì da macrofagi che erano migrati nei polmoni dal midollo osseo per partecipare al lavoro di pulizia e riparazione dei tessuti danneggiati. A un certo punto del tragitto dal midollo osseo al polmone si erano trasformati in cellule tumorali che avevano creato metastasi, diffondendosi ovunque e causando infine la morte.

La conseguenza più sorprendente della nostra ricerca, tanto radicale da spaventare anche noi, era che esisteva una chiara connessione fra il

224

Page 225: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cancro, il sistema immunitario e il livello di tossicità dell'organismo. Il carcinoma polmonare a piccole cellule, a quanto pareva, era una malattia legata interamente a uno stato di intossicazione del corpo. Lo «sporco» lasciato nei polmoni dal fumo delle sigarette (e probabilmente anche da altre forme di inquinamento) aveva indotto il sistema immunitario a entrare in uno stato di iperreazione, che si manifestava con l'invio di un numero sempre maggiore di macrofagi per tentare di riparare ai danni, una situazione che non poteva protrarsi all'infinito senza che nel DNA di queste cellule si verificasse una mutazione oppure un «errore». Alla fine, le cellule mutate avevano perso la capacità di svolgere il lavoro, e si erano moltiplicate all'impazzata in risposta alla presenza di ormoni peptidi come la bombesina, formando metastasi in tutto il corpo e seguendo i segnali dei peptidi. L'articolo che descriveva questa ricerca, «Origine del carcinoma polmonare a cellule piccole nell'uomo», fu accettato dalla prestigiosa rivista Science e comparve nel numero di settembre del 1984: era solo il primo dei tanti articoli firmati Ruff e Pert che sarebbero stati pubblicati. Benché non avessimo osato inserire questa riflessione nell'articolo, in privato ci eravamo chiesti se davvero avevamo trovato il meccanismo nascosto che spiegava l'insorgere del cancro come reazione alla tossicità degli agenti inquinanti dell'ambiente nell'aria e degli additivi chimici presenti negli alimenti. Si trattava di una connessione sospettata da tempo, ma poco studiata dall'establishment delle ricerche sul cancro, e ora ci trovavamo di fronte a un meccanismo che poteva spiegarla. Poiché preferivamo esplorare quella particolare ipotesi in modo più approfondito prima di pubblicarla, utilizzammo i paragrafi conclusivi per accennare a un'altra possibilità altrettanto controversa, relativa all'intercomunicazione fra i tre sistemi chiave del corpo. Sintetizzammo i dati da cui risultava che tanto nel cervello quanto nel sistema immunitario si riscontrava la presenza degli stessi peptidi, e che il sistema nervoso, quello endocrino e quello immunitario erano integrati sul piano funzionale in quella che si presentava come una rete psicoimmunoendocrina. Si trattava di una considerazione chiave, che veniva esposta per la prima volta in forma stampata. La nostra ipotesi,

225

Page 226: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

per la verità ardita, era che occorreva prendere in seria considerazione quella rete per spiegare la patologia non soltanto del cancro, ma anche di altre malattie; una teoria che ben presto sarebbe divenuta la base di una disciplina allo stato nascente, la psiconeuroimmunologia, oggi indicata spesso con la sigla PNI. Ciò che avevamo accertato nella nostra ricerca era che il cervello, le ghiandole, il sistema immunitario, e in sostanza l'organismo intero, erano uniti in uno straordinario sistema coordinato dall'azione di molecole-messaggere discrete e specifiche. Queste scoperte ci avevano spinto a formulare degli interrogativi interessanti. Per esempio, il sistema endocrino comunicava con il sistema immunitario? Sì, Blalock lo aveva già dimostrato, quindi pensammo che non ci fosse nulla di allarmante nel ripeterlo, nonostante che Blalock fosse ancora considerato una specie di eretico nel suo campo. E il sistema immunitario comunicava, tramite quei messaggeri peptidergici, con il sistema nervoso o il cervello? Sì, c'erano molte vie che i peptidi potevano seguire, a partire dalle cellule immunitarie, per influenzare il cervello attraverso l'azione da essi esercitata sui recettori dei peptidi situati sui vasi sanguigni del cervello, sulle membrane che li circondano o addirittura sui neuroni stessi. Ma dovevamo anche prendere in considerazione un quesito più inquietante che era emerso dalla nostra ricerca, e cioè il seguente: il cervello comunicava con il sistema immunitario? E questo aveva delle ripercussioni sulla diffusione delle cellule cancerose o sulle reazioni immunitarie contro i tumori? No, era già insostenibile suggerire che il corpo influenzava la mente: guai a lasciarsi sfuggire che la mente poteva influenzare il corpo. Puzzava troppo di spiritualismo, e soltanto qualche californiano dagli occhi allucinati e qualche russo fuori del giro avrebbe osato farlo, almeno nel 1984! Tuttavia Michael e io sapevamo che quanto stavamo cercando era addirittura dirompente e rivoluzionario: si trattava nientemeno che del ruolo svolto dalla mente nell'origine e nello sviluppo dei tumori. All'epoca in cui esponemmo le nostre scoperte in un articolo, eravamo in grado di citare soltanto una manciata di lavori che affrontassero questi temi, e anche questi lo facevano in modo frammentario e rudimentale. Non

226

Page 227: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

eravamo i soli a mettere in discussione il vecchio modello statico, ma non era possibile operare una sintesi coerente; anzi, prima di allora molti dei dati essenziali non esistevano neppure. Fu quello il nostro contributo, e tutto dipendeva da ciò che avevamo scoperto sui neuropeptidi, basandoci sul lavoro che svolgevo da dieci anni a quella parte. I neuropeptidi, quelle sostanze chimiche secrete dal cervello e note per la loro azione mediatrice sul comportamento e sull'umore, indicavano chiaramente le cellule cancerose attraverso i recettori e le facevano aumentare di numero e viaggiare in varie parti del corpo, creando metastasi. Nel caso del carcinoma polmonare a cellule piccole, il meccanismo dei peptidi sembrava incentrato, anziché sull'endorfina, sulla bombesina, che poteva attirare le cellule cancerose con la chemiotassi, agganciare i loro recettori e poi programmarne la crescita e la proliferazione. In un articolo successivo apparso nel 1985, formulammo la seguente ipotesi: era possibile che una produzione eccessiva o impropria di neuropeptidi rilasciati dal sistema immunitario, o dal cervello, o da qualche altro apparato dell'organismo, stimolasse l'insorgere anche di altre forme di cancro? Il tumore canceroso faceva davvero parte di una rete, che riceveva e inviava informazioni in grado di collegarlo al cervello e al sistema immunitario? (Il «collegamento» fornisce un meccanismo grazie al quale questi sistemi organici possono regolare, controllare, promuovere o ritardare a vicenda le rispettive azioni.) In altri articoli successivi dimostrammo che, oltre alle cellule immunitarie, esistevano anche altri generi di cellule cancerose che eseguivano la chemiotassi obbedendo ai segnali dei neuropeptidi. Quel procedimento divenne una chiave per la nostra riflessione sull'unità corpo/mente come base del cancro e di altre malattie, specie quelle che rientravano nell'ambito del sistema psicoimmunoendocrino. Poiché i peptidi attivi erano tanti, potevamo delineare una prospettiva nuova: le cellule cancerose hanno recettori dei neuropeptidi. Quella era un'affermazione antidogmatica e quindi profonda, con ampie ripercussioni che noi e altri eravamo impazienti di esplorare.

227

Page 228: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Collisione

Nell'euforia della nostra storia d'amore, nessuno dei due aveva riflettuto granché sul fatto che Michael in tutto questo aveva molto da perdere. Pur essendo un semplice dottore, si era messo in vista, lavorando insieme con la sua amante a un articolo che doveva apparire su una delle riviste scientifiche più in vista del settore scientifico e scontrandosi nello stesso tempo con un pezzo grosso il cui istituto aveva Dio sa quali rapporti con l'istituto nel quale Michael lavorava. Lui era stato «prestato» al mio laboratorio grazie a quella donna straordinaria che era il suo capo, una brillante caposezione di nome Sharon Wahi, che aveva temporaneamente messo a disposizione le sue energie e le sue risorse per contribuire ai nostri studi. Se Michael avesse sconfessato i suoi superiori o attirato cattiva pubblicità sul proprio settore, sarebbe finito a pulire provette nello scantinato del Dental Institute per il resto della sua carriera. Il giorno in cui il nostro articolo fu accettato, e prima della sua pubblicazione, Michael andò da solo al Cancer Institute per mostrare al direttore i nostri dati. Io non desideravo certo rivederlo; il solo ricordo di quella disputa alla caffetteria, oltre un anno e mezzo prima, era già sufficiente a sconvolgermi. Mi aspettavo quasi di vedere Michael tornare barcollando, con un coltello conficcato nella schiena; invece mi riferì che i ricercatori sul cancro avevano tirato fuori tonnellate di dati recenti che mostravano risultati simili ai nostri. Quella situazione era un classico: anche le loro ricerche avevano rivelato la connessione fra macrofagi e carcinomi a cellule piccole, ma, non avendo un'ipotesi che consentisse loro di ricavarne un significato, l'avevano trascurata, partendo all'inseguimento di altre dieci idee. A mio parere, era stata l'insistenza del vecchio paradigma sulla separazione e sull'autonomia delle singole discipline a renderli ciechi al significato dei dati da loro stessi raccolti, impedendo loro di capire che tutto si riduceva al fatto che il sistema nervoso e quello immunitario erano chiaramente in comunicazione fra loro. La loro interpretazione era

228

Page 229: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

del tutto diversa. In una lettera che apparve su Science poco dopo il nostro articolo, scrissero: «Abbiamo notato anche noi la somiglianza, ma noi l'abbiamo ritenuta priva di significato». Il sottinteso evidente era che, essendo loro gli specialisti della ricerca sul cancro, sapevano quello che dicevano. Quando la redazione di Science ci offrì la possibilità di replicare, secondo il metodo adottato di solito per risolvere formalmente queste divergenze di opinioni, fummo ben felici di vedere stampate di nuovo le nostre idee «folli», esattamente un anno dopo la pubblicazione dell'articolo iniziale. Avevamo redatto insieme la replica, considerandola un'occasione per esporre di nuovo la nostra teoria, approfondendo le conclusioni. Anzi, ci sentimmo euforici nello scoprire che le osservazioni degli avversari contenevano informazioni che potevamo volgere a nostro vantaggio, usandole per confortare la nostra teoria. L'approccio che avevamo scelto era vergognosamente interdisciplinare, in totale spregio di tutti i confini che esistevano per tradizione fra i vari campi scientifici, i dipartimenti burocratici e le specializzazioni mediche. Stavamo indagando sulle origini del cancro, anzi, sulla natura stessa di questa malattia, in un'area ben lontana dalla tesi dei geni impazziti che a quell'epoca andava di moda e riceveva lauti finanziamenti. Per dare seguito al nostro lavoro, gli scienziati del NIH avrebbero dovuto parlare apertamente con fiducia, rispetto e persino reciproca ammirazione, a studiosi che appartenevano a settori e istituti diversi, una prospettiva poco probabile, tenuto conto della perenne competizione in atto fra i dipartimenti per ottenere finanziamenti. Nel dibattito che si aprì sulle pagine di Science, i nostri oppositori tentarono di distruggere le nostre argomentazioni, ma, in ultima analisi, riuscirono soltanto a confondere se stessi. Il nostro articolo fu citato e menzionato per un anno circa prima che l'attenzione si spostasse altrove, in sostanza ignorando le nostre conclusioni e assegnando la vittoria finale al laboratorio per la ricerca sul cancro. Anni dopo, la ricerca sarebbe finalmente tornata a esplorare il ruolo dei peptidi in rapporto al cancro e al sistema immunitario, e Terry Moody sarebbe stato indotto a lasciare la cattedra che aveva all'università George Washington per insediarsi nel

229

Page 230: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Cancer Institute del NIH e condurre studi sugli effetti della bombesina nello sviluppo di cellule cancerose. Con estrema riluttanza, il settore si sarebbe convinto ad accettare la possibilità che, se la bombesina favoriva la crescita di queste cellule, la scoperta di un antagonista della bombesina - una sostanza capace di bloccare i recettori - poteva fornire una terapia utile, una pallottola magica. Ma sarebbero trascorsi oltre dieci anni prima che si tornasse a indagare seriamente su quella possibilità. Sembra vergognoso che la porta davanti alla quale eravamo dieci anni fa si riapra soltanto adesso, e ancora a livello di ricerca pura, non nell'ambito di prove cliniche, in cui si testano i trattamenti da usare sui pazienti. In seguito, Michael e io abbiamo continuato a esplorare la possibilità che le cellule cancerose, se erano davvero macrofagi, si comportassero come tali in presenza degli ormoni della crescita dei macrofagi. Dal momento che i macrofagi adulti non si riproducono, gli ormoni della crescita potrebbero indurre la crescita di quelli ancora immaturi, bloccandone la proliferazione. Entrambe le ipotesi, quella di bloccare un fattore di crescita come la bombesina usando un antagonista del recettore, e quella di somministrare un fattore di crescita nella speranza di far differenziare questi tumori e arrestarne la proliferazione, sono esempi del nuovo orizzonte che si schiude alla farmacologia dei peptidi, in contrapposizione alle vecchie terapie tossiche. Un esempio della nostra nuova capacità di utilizzare gli antagonisti dei recettori per rallentare o arrestare lo sviluppo di un cancro riguarda il peptide LHRH (luteinizing hormone releasing hormone), ovvero fattore di rilascio dell'ormone luteinizzante. Dato che l'LHRH svolge un ruolo importante nello sviluppo della prostata, e pare sia necessario per l'evoluzione delle cellule giovani che rivestono il condotto di collegamento fra questa ghiandola e il pene, non c'è da stupirsi se i medici siano riusciti a utilizzare con successo gli antagonisti dell'LHRH per trattare tumori che presentavano recettori di questo ormone.

230

Page 231: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Non voglio dare l'impressione che i peptidi siano le uniche sostanze importanti per la comprensione del cancro. Vi sono anche altre sostanze informazionali basate sui peptidi, come gli ormoni sessuali, che svolgono un ruolo importante nella rete, promuovendo lo sviluppo che può portare al cancro. Per uno di essi, l'estrogeno, è stato dimostrato in via sperimentale che incrementa la crescita di certi tumori della mammella. E anche in questo caso l'uso di un antagonista per bloccare i recettori si è rivelato molto promettente come terapia per il cancro. L'antagonista, una sostanza nota sotto il nome di tamoxifene, ha ottenuto successi straordinari nella cura di donne che sono affette da tumori al seno estrogenodipendenti. (Dal momento che non tutti i tumori del seno sono estrogenodipendenti, prima di cominciare il trattamento si può facilmente analizzare un campione del tumore per determinare se contenga o no recettori degli estrogeni.) Il Cancer Institute da l'impressione di cambiare marcia con estrema lentezza, ma d'altronde i vecchi paradigmi sono duri a morire, e la resistenza alle idee nuove continua a rallentare il progresso, cosicché la promessa racchiusa nelle idee che abbiamo proposto tanti anni fa non si è ancora realizzata.

PNI

Pur avendo un impatto relativamente ridotto sugli ambienti ufficiali impegnati nella ricerca sul cancro, il nostro articolo fece notevole impressione su altri ricercatori che si muovevano per lo più in silenzio, dietro le quinte, per promuovere l'affermazione del nuovo settore della psiconeuroimmunologia, o, per brevità, PNI. Assicurando alla PNI un linguaggio scientifico chiaro, quello dei neuropeptidi e dei loro recettori, li aiutammo a legittimarne l'esistenza. E davvero sorprendente che la PNI sia riuscita a entrare in scena relativamente indenne, dato il clima di conservatorismo scientifico che in genere infligge ai nuovi arrivati una serie di prove di iniziazione severe,

231

Page 232: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

talvolta persino brutali, prima di ammetterli nel club della scienza. La prima volta che la PNI cellulare e molecolare fu presentata seriamente in un pubblico dibattito fu nel 1984, quando fui invitata a un congresso organizzato a Roma sul tema «Endorfine e recettori degli oppiacei alla periferia dell'organismo». In quella circostanza riunii un gruppetto di oratori, fra i quali medici come Michael Ruff, Ed Blalock e parecchi altri, per parlare in modo specifico della nostra scoperta di un sistema psiconeuroendocrino, termine che Michael e io avevamo adottato nel nostro articolo per indicare il collegamento fra i tre sistemi. Per illustrare la mia relazione avevo preparato una diapositiva con il disegno di un triangolo per rappresentare i tre sistemi che utilizzano i peptidi per comunicare fra loro. Fu una piacevole sorpresa, oltre che un ottimo esempio di sincronicità, scoprire che altri due relatori avevano ideato esattamente lo stesso diagramma, il che voleva dire che eravamo arrivati tutti alle stesse conclusioni più o meno nello stesso tempo. Poco dopo quel convegno, Herb Spector, uno psicologo del NIH, organizzò a Palazzo una conferenza non aperta al pubblico, di livello più elevato, con tre premi Nobel fra gli spettatori, consolidando la posizione della PNI come settore autonomo, con una riserva garantita di finanziamenti. Da principio furono proposti vari nomi per questa nuova scienza. Uno di essi era «psicoimmunologia», coniato in origine negli anni '50 dallo psichiatra George Solomon. Quel termine vecchiotto era scaturito dalle osservazioni di Solomon sulla profonda influenza esercitata dalla personalità sulle malattie. Un'altra definizione fu proposta da Herb Spector, uno dei pochi americani che si preoccupasse di seguire le ricerche dei behavioristi russi, gli eredi di Pavlov. Sapeva che erano avanti a noi anni-luce nella comprensione dell'equilibrio olistico del corpo, e già da alcuni decenni avevano dimostrato che si poteva indurre il sistema immunitario a reagire al condizionamento classico, il che faceva intendere che il sistema nervoso rientra nel processo grazie al quale l'organismo conserva la salute o cade in preda a una malattia. Il termine proposto da Spector era «neuroimmunomodulazione». La definizione che infine prevalse, psiconeuroimmunologia, era sostenuta dal dottor Robert Ader, uno psicologo sperimentale che aveva coniato il

232

Page 233: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

termine per un convegno e per un libro, pubblicato con questo titolo nel 1981. Ispirato dal lavoro dei russi, Ader aveva compiuto degli esperimenti interessanti con i ratti, dimostrando che il sistema immunitario poteva essere condizionato, e quindi non operava in modo autonomo, come gli immunologi avevano sempre creduto, ma era sotto l'influenza del cervello. All'interno del settore, Ader si era schierato su posizioni di destra, battendosi con accanimento contro quello che giudicava un venticello di sinistra insinuatesi nel pensiero pseudoscientifico: era quel genere di atteggiamento che gli sembrava di vedere riflesso nell'atteggiamento dei californiani, che includevano la PNI fra le manifestazioni della «New Age». La sua PNI era fondata su solide basi scientifiche, insisteva Ader, basata su esperimenti progettati scrupolosamente e sui dogmi rigidamente monolitici della dottrina behavioristica. Psiconeuroimmunologia, a mio avviso, è un nome che da adito a equivoci, un termine non soltanto inesatto, perché scopre soltanto una parte del quadro, ma anche ridondante. Certo, devo ammettere che parlo per interesse personale, visto che ho partecipato anch'io alla gara per battezzare questa nuova scienza. Il termine che Michael e io abbiamo proposto, «psicoimmunoendocrinologia», aveva il merito di includere il sistema endocrino, per chiarire che l'oggetto del nostro studio era una rete multisistemica, non la semplice interazione fra cervello e sistema immunitario. Per noi, psico aveva lo stesso significato di neuro, e non c'era bisogno di una duplice sottolineatura, come se psico fosse insufficiente e si dovesse aggiungere neuro per ottenere una legittimazione. Comunque la nostra proposta è stata accolta da un silenzio assordante e ha subito la stessa sorte dei dinosauri.

Un sistema esteso a tutto il corpo

Nei primi tempi della nostra collaborazione professionale, Michael mi aveva chiesto che cosa intendessi dire con il termine neuropeptide.

233

Page 234: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Perché aggiungere il prefisso neuro, obiettava, se lo stesso peptide si poteva trovare tanto nell'intestino quanto nel sistema immunitario e nel cervello? E per quale motivo parlare di neurorecettore, se compariva anche nell'intestino, nel sistema immunitario, lungo il midollo spinale e chissà in quante altre parti del corpo? Scartando queste distinzioni linguistiche e utilizzando semplicemente il termine peptidi o sostanze informazionali per riferirsi a tutti i peptidi, indipendentemente dal luogo in cui si trovavano, risultava più evidente che stavamo descrivendo un sistema di comunicazione esteso a tutto il corpo, di cui sospettavamo che avesse un'origine molto antica e che rappresentasse il primo tentativo dell'organismo di trasmettere informazioni al di là della barriera cellulare. La componente del cervello, o neuro, era solo una parte di questo sistema non gerarchico dell'organismo nato per raccogliere, elaborare e comunicare informazioni, anche se indubbiamente era di gran lunga la componente più complicata e sofisticata. Ma cos'era questo sistema esteso a tutto il corpo? In che modo s'inseriva nella nostra esperienza, nel nostro comportamento di esseri umani? Questi erano soltanto alcuni degli interrogativi che cominciavamo a formulare. Grazie alla mappatura del cervello che avevo condotto nel corso degli anni, sapevo che le sostanze chimiche legate alla comunicazione erano concentrate in alcune aree del cervello e lungo i percorsi sensoriali. Inoltre sapevamo in che modo le sostanze attive sulla mente come eroina, oppio, PCP, litio e Valium entravano nella rete e agivano sui recettori, e come la sostanza endogena, o «interna», l'endorfina, era in grado di comunicare a lunga distanza. Se avessimo dovuto definire qual era esattamente l'effetto di queste droghe, avremmo detto che influiscono sullo stato emotivo dell'individuo che le assume, rendendolo (o rendendola) felice, triste, ansioso o rilassato, o inducendo qualche altro stato d'animo compreso nel continuum di queste emozioni. E quando ci concentriamo sulle emozioni, diventa tutt'a un tratto molto significativo il fatto che le parti del cervello in cui abbondano peptidi e recettori siano anche le parti del cervello coinvolte nell'espressione delle emozioni. Non ricordo se sia stato Michael o io a dirlo per primo, ma avevamo entrambi la sensazione istintiva di essere

234

Page 235: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

nel giusto affermando: «Forse questi peptidi e i loro recettori sono le basi biochimiche dell'emozione». Finalmente affrontavamo la realtà delle ripercussioni implicite nel fatto che la massima concentrazione di questi recettori si trovava nel sistema limbico. Era mai possibile che avessimo sotto gli occhi le molecole dell'emozione? Purtroppo, emozione è un'altra di quelle parole che la scienza ufficiale sputa con disgusto appena assaggiate. Mi sentii molto confortata quando lo psicologo dell'università di San Francisco Paul Ekman mi aveva rivelato che Charles Darwin era stato un teorico delle emozioni, oltre che delle origini della specie. Comunque ero ugualmente nervosa quando mi presentai di fronte a un pubblico di colleghi per suggerire che questa rete di peptidi e recettori estesa a tutto il corpo poteva costituire la base molecolare delle emozioni. Avevo sperato che, da rigorosi materialisti quali erano, provassero una certa soddisfazione nell'apprendere che ormai le emozioni potevano essere interpretate in base a un processo elementare, molecolare, biologico. Invece no: erano state violate troppe linee di confine e pronunciate troppe parole tabù. Tutti fecero quello che si fa generalmente con le idee che non si conformano al paradigma vigente: le ignorarono. Le riviste popolari, invece, ripresero la tesi a qualche anno di distanza, senza attribuzioni di paternità. L'articolo chiave sulla nostra teoria delle emozioni fu pubblicato nel 1985 sulla rivista Journal of Immunology. Ecco una breve citazione dall'estratto:

Una profonda svolta concettuale nel campo della neuroscienza è stata introdotta dalla scoperta che il funzionamento del cervello è modulato da numerose sostanze chimiche, oltre che dai classici neurotrasmettitori. Molte di queste sostanze informazionali sono neuropeptidi, studiati in origine in altri contesti, come ormoni, peptidi intestinali o fattori di crescita. Attualmente il numero di quelli noti supera la cinquantina e quasi tutti, se non tutti, alterano il comportamento e lo stato dell'umore, anche se solo gli analoghi endogeni delle droghe

235

Page 236: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

psicoattive come morfina, Valium e fenciclidina sono stati studiati a fondo in questo contesto. Ora ci rendiamo conto che la loro autentica specificità risiede nei recettori, anziché nella stretta giustapposizione che si verifica nelle classiche sinapsi. Per molti recettori di neuropeptidi sono stati individuati ben precisi schemi di distribuzione nel cervello. Alcuni loci cerebrali, di cui molti situati in zone del cervello addette alla mediazione delle emozioni, presentano vari tipi di recettori dei neuropeptidi, il che fa pensare a una convergenza di informazioni che vengono elaborate in questi nodi. Inoltre i recettori dei neuropeptidi sono presenti su cellule mobili del sistema immunitario: i monociti possono operare la chemiotassi su numerosi neuropeptidi per mezzo di processi che all'analisi struttura-attività si rivelano mediati da recettori ben precisi, non distinguibili da quelli trovati nel cervello. I neuropeptidi e i loro recettori si uniscono così al cervello, alle ghiandole e al sistema immunitario in una rete di comunicazione tra cervello e corpo, che probabilmente rappresenta il substrato biochimico delle emozioni.

Le molecole dell'emozione, ecco qual era il nostro nuovo paradigma, appena nato e un pò incerto nel rivendicare il suo posto nell'universo, ma già avido di attenzioni, pronto a gridare per proclamare la sua intenzione di vivere. Nel frattempo Michael e io saremmo stati investiti dagli spasmi dell'agonia del vecchio paradigma, in un'altra delle nostre avventure: la gara per mettere a punto una terapia contro l'AIDS.

236

Page 237: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

9

La rete psicosomatica:

fine della lezione

Di solito è a questo punto della conferenza, quando ho insistito molto sull'aspetto scientifico e so di dover presentare ancora altri argomenti impegnativi, che cerco di alleggerire un pò l'atmosfera, presentando una diapositiva destinata a divertire il pubblico. Un'immagine adatta a questo scopo è la lastra di una risonanza magnetica del cervello umano, tutta a colori vivaci: una gioia per gli occhi, bella quasi quanto il disegno ad arcobaleno della farfalla che apparve a Miles e a me quando cominciammo a usare la tecnica dell'autoradiografia sulle sezioni di cervello animale. Ma questo non è un cervello qualsiasi, spiego agli ascoltatori, spiando la loro reazione quando annuncio che il cervello che stanno guardando è il mio. Dopodiché passo a spiegare che un giorno saremo in grado di indicare, in base alla varietà e densità dei recettori presenti in certe aree, che genere di vita ho condotto, di quali sostanze ho abusato e, in generale, che effetto hanno sul mio cervello i meccanismi biochimici dell'emozione. Dopo questa battuta per alleggerire l'atmosfera, passo a una diapositiva che introduce l'argomento della prossima sezione della conferenza: riproduce un editoriale che apparve sulla rivista Nature per commentare la scoperta sconvolgente, compiuta da Blalock nel 1982, che le cellule del nostro sistema immunitario producono peptidi, e soprattutto endorfine.

237

Page 238: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

L'idea che nel sistema immunitario ci fossero dei peptidi cerebrali era così inquietante per gli immunologi che da principio nessuno prestò fede alla ricerca di Blalock, replicando la reazione di incredulità che aveva accolto la scoperta di Jesse Roth sulla presenza di insulina nel cervello. L'establishment scientifico restava saldamente ancorato alla separazione fra corpo e cervello. Alla fine, tuttavia, Nature pubblicò un editoriale in cui ammetteva a malincuore la validità della ricerca di Blalock, pur mettendone in dubbio le ripercussioni. Nature, come ho già accennato, ammoniva la comunità scientifica a guardarsi da quegli «psicoimmunologi radicali» che osavano avvalersi del lavoro di Blalock per avanzare l'ipotesi che il corpo e la mente fossero in comunicazione fra loro, anzi, che il corpo fosse lo specchio della mente. E fu proprio questa la via che decisi di percorrere nella ricerca che intrapresi subito dopo, sempre nell'ambito del National Institutes of Health. Come ho già avuto modo di dire, i miei colleghi e io avevamo adottato con entusiasmo la definizione di psicoimmunologi radicali.

La connessione immunitaria

Abbiamo visto in che modo agivano i neuropeptidi e i loro recettori, ossia la base biochimica delle emozioni, per orchestrare numerosi processi chiave del corpo, collegando comportamento e biologia per ottenere un perfetto funzionamento dell'organismo. A questo punto, ispirandomi alla ricerca di Ed Blalock, volevo introdurre in questa dinamica un nuovo spessore con l'indagine sul ruolo svolto dal sistema immunitario, che costituisce un anello essenziale nel ciclo completo della biochimica delle emozioni. Ho già parlato del fatto che il sistema endocrino, benché storicamente sia sempre stato studiato in modo del tutto avulso dal cervello, sul piano concettuale somiglia al sistema nervoso. Il cervello è come un grosso sacchetto di ormoni. Tanto le ghiandole quanto le cellule cerebrali sono in grado di secernere sacche di succhi peptidici, i quali poi legano con

238

Page 239: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

recettori specifici che consentono loro di agire anche in siti lontani da quello in cui i succhi sono stati secreti. (E quella che gli endocrinologi definiscono «azione a distanza». Da questo punto di vista, in effetti, l'endocrinologia e la neuroscienza esplorano due aspetti dello stesso processo.) Ora voglio illustrarvi come il sistema immunitario faccia parte della stessa rete alla quale appartengono tanto il sistema endocrino quanto il sistema nervoso, anche se la maggior parte degli endocrinologi continua a considerare il proprio settore di studi autonomo e distinto dagli altri. Il sistema immunitario comprende la milza, il midollo osseo, i linfonodi e vari tipi di globuli bianchi, alcuni dei quali circolano in tutto il corpo, mentre altri risiedono in vari tessuti dell'organismo, fra cui l'epidermide. Il suo scopo generale consiste nel difendere l'organismo dagli invasori patogeni che ne minacciano la salute e nel riparare i danni da essi prodotti. Per farlo, il sistema immunitario deve definire i confini dell'organismo, operando una cernita fra quello che è sé e quello che è altro da sé, distinguendo ciò che fa parte dell'organismo e richiede delle riparazioni, da quello che invece fa parte di un tumore e dev'essere eliminato. Una proprietà essenziale del sistema immunitario è che le sue cellule sono mobili. A differenza delle cellule cerebrali, che per la maggior parte non si spostano, quelle del sistema immunitario svolgono il loro compito viaggiando per tutto l'organismo e dirigendosi dovunque ci sia bisogno di loro per organizzare le difese o riparare i danni. Per esempio, alcuni globuli bianchi noti sotto il nome di monociti (mentre negli stadi successivi di crescita sono definiti macrofagi), che hanno la funzione di ingerire gli organismi estranei presenti nel sangue, hanno origine nel midollo osseo, da cui si allontanano per trasferirsi nelle vene e nelle arterie, decidendo dove andare in base alle sollecitazioni chimiche ricevute. I monociti e altri globuli bianchi, come i linfociti, si spostano nel sangue e a un certo punto arrivano a distanza di «fiuto» da un certo neuropeptide: poiché queste cellule hanno sulla propria superficie dei recettori specifici per quel particolare neuropeptide, cominciano letteralmente a strisciare verso di esso, effettuando la chemiotassi. Questa azione è molto ben documentata, ed esistono metodi eccellenti per studiarla in laboratorio.

239

Page 240: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Ora, i monociti non sono responsabili soltanto del riconoscimento e della digestione dei corpi estranei, ma anche della cicatrizzazione delle ferite e dei meccanismi di riparazione dei tessuti. Per esempio, esistono enzimi che producono e degradano il collagene, un importante materiale strutturale di cui è fatto il tessuto stesso del corpo. Quelle di cui stiamo parlando, quindi, sono cellule con funzioni essenziali ai fini della salute e della guarigione. Quando Michael Ruff e io leggemmo lo straordinario articolo di Ed Blalock sulla presenza di peptidi cerebrali nel sistema immunitario, andammo subito in cerca di recettori dei neuropeptidi in questo sistema. E la scoperta rivoluzionaria fu che tutti i recettori dei neuropeptidi che si trovavano nel cervello erano presenti anche sulla superficie dei monociti umani. Questi presentano recettori per gli oppiacei, il PCP e altri peptidi come la bombesina, e dunque pare proprio che i peptidi capaci di influenzare le emozioni controllino lo spostamento e la migrazione dei monociti, essenziali per la salute generale dell'organismo. Comunicano con gli altri linfociti, chiamati cellule B e cellule T, interagendo grazie a peptidi che si chiamano citochine, linfochine, chemochine e interleuchine, e grazie ai loro recettori, consentendo così al sistema immunitario di sferrare un attacco ben coordinato contro la malattia. L'azione si svolge più o meno così: una cellula che lavora a difesa della salute, come i monociti, circola nel sangue finché non viene agganciata dall'attrazione chimica di un peptide, per esempio un'endorfina, l'oppiaceo endogeno dell'organismo. A questo punto, può legare con quell'oppiaceo perché è dotata del recettore per farlo. Tuttavia le cellule immunitarie non presentano sulla superficie soltanto dei recettori per i vari neuropeptidi. Com'è stato dimostrato dalla rivoluzionaria ricerca svolta all'inizio degli anni '80 da Ed Blalock nell'università del Texas, e come hanno confermato gli esperimenti condotti da Michael Ruff, Sharon e Larry Wahi e me, le cellule immunitarie svolgono anch'esse il compito di produrre, immagazzinare e secernere neuropeptidi. In altri termini, le cellule immunitarie producono le stesse sostanze chimiche responsabili, secondo la nostra teoria, di controllare l'umore a livello cerebrale. Quindi le cellule immunitarie non

240

Page 241: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

solo controllano l'integrità dei tessuti del corpo, ma producono anche sostanze informazionali capaci di regolare l'umore o le emozioni: questo è un ennesimo esempio di comunicazione biunivoca fra cervello e corpo. O almeno, è così che la vediamo noi; ma un'idea di questo genere appare tanto assurda ai neuroscienziati e agli immunologi da indurre molti a sostenere tuttora, come faceva l'editoriale di Nature, che il solo fatto che queste molecole per la comunicazione esistano non significa che siano usate davvero per comunicare. Dopo tutto, la loro formazione scientifica si basava sull'idea di un'impenetrabile «barriera sangue-cervello», la cui esistenza era stata «dimostrata» dagli esperimenti compiuti all'inizio del secolo, in cui enormi molecole di tintura iniettate nel corpo non erano riuscite a raggiungere il cervello. E in effetti è vero che alcune sostanze vengono assorbite dal cervello con lentezza, ammesso che lo siano. Comunque prove recentissime indicano vari modi in cui citochine, chemochine, linfochine, interleuchine e altri immunopeptidi possono superare la barriera. Un percorso d’accesso ben documentato prevede la possibilità di legare con i recettori sulla superficie del cervello, in modo tale da modificare la permeabilità delle membrane superficiali del cervello. Di lì possono emettere un segnale che viene captato da altri peptidi e recettori situati in profondità nel cervello. Anzi, probabilmente e ciò che fanno di solito. Resta un interrogativo aperto: qual è lo scopo di queste comunicazioni? Per rispondere, diamo un'occhiata a un esempio di neuropeptide che possiede recettori in vari sistemi diversi dell’organismo, non soltanto il cervello e il sistema immunitario ma anche l’apparato gastrointestinale. Prendiamo la CCK o colecistochinina, un neuropeptide che regola il senso di fame e di sazietà, scoperto e studiato dai chimici che indagavano sulla sua azione nell’intestino e che ne hanno ricostruito la formula. Come ho già accennato, se qualcuno vi somministrasse qualche dose di colecistochinina, voi non provereste il desiderio di mangiare, per quanto lontano nel tempo possa essere l'ultimo pasto precedente. Solo di recente siamo riusciti a dimostrare che anche nel cervello e nella milza (che si può definire il cervello del sistema immunitario) sono presenti i recettori della CCK.

241

Page 242: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Quindi cervello intestino e sistema immunitario sono tutti integrati dall'azione della colecistochinina. Com'è possibile? Esistono nervi contenenti CCK in tutto l'apparato digerente dentro e intorno alla cistifellea. Dopo un pasto, mentre il contenuto di grassi del cibo si sposta attraverso l'apparato digerente verso la cistifellea, si prova una sensazione di soddisfazione o sazietà, e questo avviene grazie al segnale che la CCK invia al cervello. Inoltre la colecistochinina segnala alla cistifellea che è il momento di mettersi al lavoro sui grassi contenuti nel pasto il che esalta la sensazione di sazietà. Le nostre conoscenze si fermano qui: quanto all’azione dei recettori della CCK sulle cellule del sistema immunitario, posso formulare soltanto delle congetture. Non sarebbe certo una buona idea attivare il sistema immunitario poco dopo il pasto, quando il cibo non è ancora digerito a meno che non si voglia ottenere il risultato che il sistema immunitario lanci un attacco contro il cibo stesso! Per questo motivo appare sensato che lo stesso sistema per cui la colecistochinina comunica al cervello una sensazione di sazietà e mette al lavoro la cistifellea segnali anche al sistema immunitario di rallentare l’attività.

La rete

Proviamo ora a riepilogare in sintesi la teoria che sto esponendo. Le tre aree della neuroscienza, dell'endocrinologia e dell'immunologia, tradizionalmente separate, con tutti i rispettivi organi (cervello, ghiandole, milza, midollo osseo e linfonodi) sono in realtà unite fra loro in una rete di comunicazione multidirezionale, collegate da portatori di informazioni noti sotto il nome di neuropeptidi. Esistono molti substrati fisiologici ben studiati dai quali risulta che sono in atto comunicazioni in entrambe le direzioni per ognuna di queste aree e per i loro organi. Alcune di queste ricerche risalgono a qualche tempo fa, mentre altre sono recenti. Per esempio, sappiamo da oltre un secolo che la ghiandola pituitaria secerne peptidi che si diffondono in tutto il corpo, ma solo da

242

Page 243: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

pochi anni abbiamo appreso che cellule capaci di produrre peptidi come quelle del cervello si trovano anche nel midollo osseo, il luogo in cui «nascono» le cellule immunitarie. La parola che desidero sottolineare in rapporto a questo sistema integrato è rete, che proviene da un campo relativamente nuovo, quello della teoria dell'informazione. In una rete esiste un'attività ininterrotta di scambio, elaborazione e immagazzinamento di informazioni, che è esattamente quanto avviene, come abbiamo visto, quando i neuropeptidi e i loro recettori legano fra loro da un sistema all'altro. La natura informazionale di queste sostanze biochimiche ha indotto Francis Schmitt, del MIT, a introdurre nel 1984 il termine sostanze informazionali, una definizione straordinariamente calzante per tutte le molecole atte a portare messaggi e per i loro recettori che svolgono il compito di collegare fra loro cervello, corpo e comportamento. Schmitt ci ha fatto un grande dono, suggerendo una metafora per spiegare lo scopo del complesso sovrapporsi di queste sostanze dalle molteplici funzioni mentre si spostano da un sistema all'altro, da un compito all'altro. In questa nuova categoria generica ha incluso non soltanto le sostanze che ci sono familiari da tempo, come i classici neurotrasmettitori e gli ormoni sferoidi, ma anche quelle appena scoperte, come ormoni peptidi, neuropeptidi e fattori di crescita, ossia tutti leganti che attivano i recettori dando inizio a una cascata di processi e cambiamenti a livello cellulare. Dunque fin dall'inizio non abbiamo fatto altro che parlare di informazioni. Nel riflettere su questi argomenti, quindi, potrebbe essere più sensato mettere l'accento sulla prospettiva della psicologia anziché della neuroscienza, perché il termine psico si riferisce in modo esplicito allo studio della mente, che comprende lo studio del cervello, ma lo trascende. A me piace pensare che la mente, in realtà, sia il flusso di informazioni che scorre attraverso le cellule, gli organi e gli apparati del corpo. E dato che una delle caratteristiche del flusso di informazioni consiste nel fatto che può essere inconscio e scorrere al di sotto del livello della coscienza, lo vediamo in azione anche al livello autonomo, o involontario, della nostra fisiologia. La mente così come noi la sperimentiamo è immateriale, eppure ha un substrato fisico, che s'identifica tanto con il corpo quanto con il

243

Page 244: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cervello. Si può anche dire che possiede un substrato non materiale, non fisico, relativo al flusso di queste informazioni. La mente, dunque, è ciò che tiene insieme la rete, agendo spesso al di sotto della coscienza, collegando e coordinando i sistemi principali, con i relativi organi e cellule, in una sinfonia di vita orchestrata con intelligenza. Quindi potremmo definire l'intero sistema come una rete psicosomatica di informazioni, che unisce la psiche, comprendente tutto ciò che è di natura chiaramente non materiale, come mente, emozione e anima, al soma, che è il mondo materiale delle molecole, delle cellule e degli organi. Mente e corpo, psiche e soma. Questa concezione dell'organismo come una rete di informazioni si stacca nettamente dall'antica visione meccanicistica di Newton. Nel vecchio paradigma il corpo era visto in termini di energia e di materia. I riflessi causati dalla stimolazione elettrica che superava la sinapsi controllavano il corpo in modo più o meno meccanico, reattivo, che lasciava ben poco margine alla flessibilità, al cambiamento o all'intelligenza. Aggiungendo al processo le informazioni, ci rendiamo conto che a guidare il tutto è una forza intelligente: non si tratta di energia che agisce sulla materia per creare il comportamento, ma di intelligenza, sotto forma di informazioni che affluiscono a tutti i sistemi determinando il comportamento. Walter B. Cannon, l'avversario di William James, aveva intuito questa realtà quando aveva fatto allusione alla «saggezza del corpo», e anche oggi alcuni terapeuti che utilizzano la manipolazione, come i chiropratici, parlano di «intelligenza innata» del corpo. Tuttavia non esiste nulla che si possa definire organismo intelligente in senso classico, e formulare un'affermazione del genere è un'eresia, almeno secondo gli esponenti della vecchia guardia che restano aggrappati al concetto del corpo come entità priva di intelligenza, un involucro di massa e materia stimolato da impulsi elettrici ad agire in modo prevedibile. Il loro universo è meccanico e senza Dio, popolato da organismi simili ad automi e concepito in base a modelli cartesiani e newtoniani. Sebbene gran parte dell'attività del corpo, secondo il nuovo modello informazionale, avvenga in effetti a livello autonomo e inconscio, ciò che rende questo modello tanto diverso è il fatto che riesce a spiegare in che

244

Page 245: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

modo la mente cosciente possa entrare nella rete e svolgere un ruolo consapevole. Prendiamo per esempio il ruolo svolto dai recettori degli oppiacei e delle endorfine nel modulare il dolore. I ricercatori che studiano il meccanismo del dolore sono tutti d'accordo nel ritenere che la zona chiamata PAG (da periaqueductal gray), situata intorno al cosiddetto «acquedotto di Silvio», fra il terzo e il quarto ventricolo del mesencefalo, sia fitta di recettori degli oppiacei, dal che si deduce che si tratta di un'area di controllo del dolore. (Del resto è costellata di recettori che legano in pratica con tutti i neuropeptidi studiati finora.) Ebbene, abbiamo sentito parlare tutti degli yogi orientali e dei seguaci di certe discipline mistiche, capaci di alterare la percezione del dolore fisico mediante il controllo della respirazione. (Altri esseri umani, come per esempio le partorienti, danno prova di un autocontrollo pari a quello dei maestri yoga, quando, avendo assimilato una tecnica come quella di Lamaze, usano il controllo della respirazione per alleviare la sofferenza causata dalle doglie del parto.) In sostanza, sembra che queste persone siano in grado di entrare in contatto con il proprio PAG, riuscendo ad accedervi in modo cosciente per spostare, a mio parere, la propria personale soglia del dolore. La sofferenza, nuovamente inquadrata da aspettative e convinzioni coscienti, scompare, per essere reinterpretata o come un'esperienza neutra o addirittura come piacere. Resta in sospeso l'interrogativo: in che modo la mente riesce a mediare e modulare un'esperienza di dolore? Che ruolo svolge la coscienza in questi casi? Per rispondere, devo tornare al concetto di rete. Una rete è qualcosa di ben diverso da una struttura gerarchica, che presenta un «posto di comando» al vertice e una serie discendente di posizioni che svolgono ruoli sempre più marginali. In teoria, in una rete si può entrare in un punto nodale qualsiasi e raggiungere in fretta qualsiasi altro punto; tutte le posizioni si equivalgono, quanto a potenziale capacità di «dirigere» e orientare il flusso delle informazioni. Vediamo in che modo un concetto come questo può spiegare il processo in base al quale un'intenzione cosciente può raggiungere il PAG e utilizzarlo per controllare il dolore. La respirazione controllata, ossia la tecnica adottata tanto dai maestri yoga quanto dalle partorienti, è estremamente potente. Esiste una

245

Page 246: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

quantità di dati da cui risulta che i cambiamenti nel ritmo e nella profondità della respirazione producono cambiamenti nella quantità e nella specie dei peptidi che vengono rilasciati dal midollo allungato, e viceversa. Portando questo processo a livello di coscienza e facendo qualcosa per alterarlo, o trattenendo il fiato o respirando molto in fretta, si ottiene che i peptidi si diffondano in tutto il liquido cerebrospinale nel tentativo di ristabilire l'omeostasi, ossia il meccanismo che serve a ristabilire e mantenere l'equilibrio. E dato che molti di questi peptici sono endorfine, cioè oppiacei naturali del corpo, insieme ad altre specie di sostanze che alleviano il dolore, si ottiene ben presto una diminuzione del dolore. Quindi non c'è da stupirsi che tante tecniche, sia nell'antichità sia nella New Age, abbiano scoperto la potenza insita nel controllo della respirazione. Il legame peptidi-respirazione è ben documentato: in pratica tutti i peptidi che si trovano nell'organismo sono presenti nell'apparato respiratorio. Questo substrato peptidico può fornire la spiegazione scientifica dei potenti effetti risanatori degli schemi di respirazione controllati in modo cosciente. Siamo tutti ben coscienti del pregiudizio insito nella concezione occidentale che la mente sia tutta nella testa, sia una pura funzione cerebrale: ma il corpo non è fatto soltanto per sostenere e portare in giro la testa. Io ritengo che le scoperte scientifiche alle quali ho accennato siano la prova che dobbiamo cominciare a riflettere sul modo in cui la mente si manifesta in varie parti del corpo, oltre a cercare di portare quel processo a livello di percezione cosciente.

La mente nel corpo

Il concetto di rete, sottolineando l'interconnessione di tutti i sistemi dell'organismo, schiude una gamma di implicazioni così vasta da infrangere i limiti del paradigma tradizionale. Nel lessico popolare, questo genere di connessioni tra corpo e cervello viene definito da tempo come «potere della mente sul corpo», ma alla luce delle mie ricerche una definizione del

246

Page 247: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

genere non descrive con precisione quello che accade: la mente non domina il corpo, ma diventa corpo, in quanto corpo e mente sono una cosa sola. Ai miei occhi il processo di comunicazione di cui abbiamo dimostrato l'esistenza, il flusso di informazioni che scorre in tutto l'organismo, è la prova che il corpo è la manifestazione esteriore della mente nello spazio fisico. Corpo/mente, un termine proposto per la prima volta da Dianne Connelly, riflette la comprensione, derivata dalla medicina cinese, che il corpo è inseparabile dalla mente. E quando esploreremo il ruolo che le emozioni svolgono nel corpo, così come viene espresso attraverso le molecole dei neuropeptidi, apparirà chiaro che le emozioni si possono considerare una chiave per la comprensione delle malattie. Sappiamo che il sistema immunitario, così come il sistema nervoso centrale, è dotato di memoria e capacità di apprendimento. Quindi si può dire che l'intelligenza è situata non soltanto nel cervello, ma anche in cellule che sono distribuite in tutto il corpo, e la tradizionale separazione dei processi mentali, emozioni comprese, dal corpo non è più valida. Se la mente è definita dalla comunicazione cervello-cellula, come nella scienza contemporanea, questo modello della mente si può naturalmente considerare esteso al corpo intero. Dal momento che i neuropeptidi e i loro recettori sono presenti anche nel corpo, si può concludere che la mente è nel corpo, nello stesso senso in cui la mente è nel cervello, con tutto ciò che questo comporta. Per capire che cosa significa in pratica, torniamo per un attimo all'esempio dell'intestino. Tutto il rivestimento dell'intestino, dall'esofago all'intestino crasso, compresi i sette sfinteri, è ricoperto di cellule -cellule nervose e cellule di altro genere - che contengono neuropeptidi e recettori. Mi sembra più che probabile che la densità di recettori nell'intestino sia il motivo per cui sentiamo le emozioni in quella parte dell'anatomia, tanto che le definiamo spesso «sensazioni viscerali». Alcune ricerche hanno dimostrato che l'eccitazione e la collera aumentano la motilità dell'intestino, mentre l'appagamento l'attenua. E inoltre, visto che si tratta di un circuito biunivoco, può accadere che il movimento dell'intestino nel digerire il cibo ed espellere le scorie possa influire sullo stato emotivo. «Dispeptico» significa scorbutico e irritabile, ma in origine

247

Page 248: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

questo termine si riferiva a chi era afflitto da una cattiva digestione. Ancora, prendiamo in considerazione il sistema nervoso autonomo, che controlla tutti gli aspetti inconsci del corpo, come respirazione, digestione ed escrezione. Si direbbe che, se c'è una parte del corpo che funziona in modo indipendente dalla mente, dovrebbe essere senz'altro il sistema nervoso autonomo. E qui che viene gestita la capacità del cuore di battere, dell'intestino di digerire e delle cellule di riprodursi a livello del subconscio. E tuttavia, per quanto sorprendente possa sembrare, come abbiamo detto a proposito dei maestri yoga e delle partorienti, a questo livello la coscienza può intervenire. È questa la lezione radicale del biofeedback, che ormai molti medici insegnano ai loro pazienti in modo che possano controllare il dolore, il battito cardiaco, la circolazione del sangue, la tensione e il rilassamento, eccetera: tutti processi che in passato si riteneva fossero inconsci. Fino al principio degli anni '60, si riteneva che il sistema nervoso autonomo fosse governato da due neurotrasmettitori, acetilcolina e norepinefrina. Ora invece si scopre che, oltre ai neurotrasmettitori classici, nel sistema nervoso si trovano in abbondanza tutti i peptidi conosciuti, cioè le molecole dell'informazione, distribuiti secondo schemi complessi e differenziati in modo sottile su entrambi i lati della spina dorsale. Sono questi peptidi e i loro recettori a rendere possibile il dialogo fra conscio e inconscio.

In sintesi, quello che voglio sottolineare è che il cervello è molto ben integrato con il resto del corpo a livello molecolare, al punto che l'espressione cervello mobile è una definizione calzante per designare la rete psicosomatica attraverso la quale le informazioni intelligenti viaggiano da un sistema all'altro. Ognuno dei settori o sistemi, della rete -quello neurale, quello ormonale, quello gastrointestinale e il sistema immunitario - è fatto per comunicare con gli altri, mediante i peptidi e i recettori dei peptidi che hanno la funzione specifica di trasmettere messaggi. A ogni istante si verifica nel corpo un massiccio scambio di informazioni. Provate a immaginare che ciascuno di questi sistemi messaggeri dotati di una tonalità specifica emetta un segnale-firma, che sale e scende, si attenua e svanisce, si lega e si scioglie: se potessimo

248

Page 249: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

udire con le nostre orecchie questa musica del corpo, l'insieme di questi suoni sarebbe la musica che definiamo emozioni. Emozioni. I neuropeptidi e i recettori, ovvero le basi biochimiche dell'emozione, sono, come ho già detto, i messaggeri che trasportano informazioni per collegare fra loro i grandi sistemi dell'organismo in una sola unità che possiamo definire corpo/mente. Non possiamo più attribuire alle emozioni minore validità che alla sostanza fisica e materiale, anzi, dobbiamo considerarle segnali cellulari coinvolti nel processo di traduzione delle informazioni in realtà fisica, che trasforma letteralmente la mente in materia. Le emozioni nascono nel punto di congiunzione fra materia e mente, passando dall'una all'altra in tutt'e due i sensi e influenzandole entrambe.

Salute ed emozioni

Qual’è, allora, il rapporto fra la mente e le emozioni di un individuo e il suo stato di salute? Come abbiamo visto, i neuropeptidi e i loro recettori sono il substrato delle emozioni e sono in costante comunicazione con il sistema immunitario, il meccanismo attraverso il quale si creano la salute e la malattia. Uno dei modi che ora conosciamo attraverso il quale il sistema immunitario influisce sulla nostra salute è la formazione di placche sulle pareti delle arterie: le cellule immunitarie secernono peptidi capaci di aumentare o diminuire la formazione di placche nei vasi sanguigni coronarici, che costituiscono un fattore chiave negli attacchi cardiaci. E per quanto siamo all'oscuro del ruolo che le emozioni giocano in tutto questo, le prove epidemiologiche suggeriscono che un nesso esiste. È ben documentato, per esempio, il fatto che il numero di coloro che vengono colpiti da infarto il lunedì mattina (quando si torna al lavoro) è più alto che in qualsiasi altro giorno della settimana, e che il numero dei decessi raggiunge il massimo nei giorni successivi al Natale per i cristiani e al Capodanno cinese per i cinesi. Dal momento che, per un verso o per l'altro,

249

Page 250: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sono tutti giorni ad alta valenza emotiva, appare evidente che le emozioni sono collegate in qualche modo allo stato di salute del cuore. Un altro nesso possibile con il sistema immunitario riguarda i virus, che sfruttano gli stessi recettori dei neuropeptidi per entrare in una cellula; a seconda della quantità di peptide naturale che si trova intorno a un particolare recettore ed è disponibile a legare, il virus che si adatta a quel recettore troverà più facile o più difficile penetrare nella cellula. Poiché le molecole dell'emozione sono coinvolte nel processo di penetrazione del virus nella cellula, sembra logico presumere che lo stato delle nostre emozioni influirà sulle nostre probabilità di soccombere o no all'infezione virale. Questo potrebbe spiegare come mai una persona può ammalarsi in forma più grave di un'altra pur essendo esposta alla stessa dose di virus. Non so voi, per esempio, ma io non mi ammalo mai quando sto per andare a sciare! È possibile che una condizione di buon umore, di forte aspettativa e speranza di una possibilità o di un'avventura eccitante, protegga nei confronti di certi virus? Una spiegazione plausibile del funzionamento di questo meccanismo è che il rheovirus, di cui è stata provata la responsabilità nell'insorgere del raffreddore virale, utilizza lo stesso recettore della norepinefrina, una sostanza informazionale che, secondo le più accreditate teorie psicofarmacologiche, verrebbe secreta in coincidenza con uno stato d'animo felice. Probabilmente accade che, quando siamo felici, il rheovirus non può entrare nella cellula perché la norepinefrina blocca tutti i potenziali recettori del virus. Nel corso dei secoli si è prestata molta attenzione all'influenza dei processi mentali ed emotivi sulla salute e sulla malattia. Aristotele fu uno dei primi a suggerire il nesso fra umore e salute; a lui si attribuisce l'affermazione: «Anima e corpo, a mio parere, reagiscono l'una all'altro in modo simpatetico». Tuttavia soltanto dal principio del ventesimo secolo i ricercatori hanno a disposizione strumenti abbastanza efficaci per individuare i punti di collegamento e dimostrare che uno di questi, il sistema immunitario, può essere addestrato. Negli anni '20 e '30, alcuni scienziati russi all'avanguardia della ricerca in questo campo dimostrarono che il condizionamento classico, di stampo pavloviano, poteva annullare o al contrario potenziare la reazione immunitaria. Lavorando su porcellini

250

Page 251: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

d'India e conigli, per esempio, abbinarono segnali come uno squillo di tromba a iniezioni di batteri destinate a stimolare il sistema immunitario. Dopo ripetuti esperimenti, gli animali «imparavano» ad attivare il proprio sistema immunitario senza lo stimolo delle iniezioni di batteri, ogni volta che udivano il suono della tromba. Un americano ha ripreso in seguito questo filone di ricerca, svolgendo altri esperimenti sui punti di comunicazione fra il cervello e il sistema immunitario. Negli anni '70 lo psicologo Robert Ader, della facoltà di medicina dell'università di Rochester (lo stesso che in seguito avrebbe coniato il termine di psiconeuroimmunologia), e il suo collega Nicholas Cohen compirono una serie di esperimenti rivoluzionari, addestrando delle cavie ad associare determinati stimoli con un evento, proprio come Pavlov addestrava i suoi cani ad associare lo squillo di un campanello con l'avvicinarsi del cibo. Negli studi di Ader e Cohen, alle cavie veniva somministrato un immunosoppressore al quale era stato conferito il gusto dolce della saccarina. Alla fine, le cavie erano condizionate a tal punto dagli effetti di questa sostanza che il solo gusto della saccarina, anche senza farmaco, provocava una soppressione del sistema immunitario: l'ennesima dimostrazione che i messaggi mentali possono alterare la fisiologia. Anche se questi studi hanno dimostrato che il sistema immunitario poteva essere condizionato a livello del subconscio, o del sistema nervoso autonomo, restava ancora da dimostrare che fosse possibile anche controllare in modo cosciente il sistema immunitario, ed è quello che ha fatto Howard Hall nel 1990. Negli esperimenti chiave da lui condotti all'università Case Western Reserve, nell'Ohio, Hall istruiva alcuni soggetti umani sul modo di adottare strategie cibernetiche. Il prefisso ciber deriva dal greco kybernetes, che significa « colui che guida», o « il timoniere », e in questo contesto si riferisce specificamente a pratiche di autoregolazione come il rilassamento e la visualizzazione guidata, l'autoipnosi, l'addestramento al biofeedback e il training autogeno. Utilizzando vari gruppi di controllo, Hall ha dimostrato che coloro che possedevano questa preparazione ciberfisiologica potevano utilizzare le tecniche indicate per aumentare in modo cosciente la densità dei globuli

251

Page 252: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

bianchi, misurabile con i test della saliva e del sangue. Fino a quel momento, esistevano soltanto rapporti aneddotici sull'associazione esistente fra l'ipnoterapia e i miglioramenti clinici riscontrati in casi di verruche e asma, entrambe affezioni che possono essere mediate da cambiamenti nel sistema immunitario a livello del subconscio. Tuttavia non esistevano misurazioni del cambiamento a livello cellulare, e nessuna ricerca che dimostrasse il potenziale di controllo cosciente. Hall è stato il primo a dimostrare che i fattori psicologici, identificabili in un intervento cosciente, potevano influire direttamente sulla funzione cellulare nel sistema immunitario. Se è possibile alterare il funzionamento del sistema immunitario con un intervento cosciente, che peso può avere questo ai fini del trattamento di malattie gravi come il cancro? L'idea che le emozioni siano legate al cancro circola già da tempo. Negli anni '40, Wilhelm Reich suggerì l'idea, a quel tempo considerata eretica che il cancro sia un risultato dall'incapacità di esprimere le emozioni, in particolare di natura sessuale. Reich non solo fu messo in ridicolo dall'establishment medico e scientifico ma fu addirittura oggetto di una persecuzione. Forse è stata l'unica volta nella storia che il governo degli Stati Uniti ha deciso un rogo ufficiale di libri, sequestrando per ordine della Federal Drug Administration tutte le copie disponibili del lavoro di Reich e dandole alle fiamme. Comunque le idee di Reich, per quanto eretiche, non perirono in quel rogo. Lo psicoanalista tedesco Claus Bahnson, fra gli altri, ha proseguito in sordina quel filone di ricerca finché, oggi i suoi risultati si sono rivelati congruenti con gran parte degli studi contemporanei di biologia. Più di recente, negli anni '80, gli studi di Lydia Temoshok, una psicologa che a quel tempo lavorava all'università di San Francisco, hanno rivelato che i pazienti abituati a reprimere emozioni come la collera, ignorandone l'esistenza, mostravano una ripresa più lenta di coloro che erano abituati a esprimere le emozioni. Un altro tratto comune a questi pazienti era l'autonegazione, derivante dall'incapacità di percepire le proprie esigenze emotive. Viceversa, il sistema immunitario appariva più forte e la percentuale di tumori inferiore nelle persone che erano in contatto con le loro emozioni.

252

Page 253: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

È possibile che l'ira o altre emozioni «negative» possano causare il cancro? Oltre agli studi recenti di vari ricercatori come David Spiegel, dell'università di Stanford, i quali hanno dimostrato in modo convincente come la capacità di esprimere emozioni quali ira e dolore possa aumentare le probabilità di sopravvivenza nei malati di cancro, ora disponiamo di un modello teoretico in grado di spiegare come mai questo avvenga. Dato che l'espressione delle emozioni è sempre legata a un flusso specifico di peptidi nel corpo, la repressione cronica delle emozioni sfocia in un disturbo grave della rete psicosomatica. Molti psicologi hanno interpretato la depressione come ira repressa; Freud, e questo è significativo, l'ha definita ira ridiretta contro se stessi. Ora sappiamo qualcosa di come si presenta questo meccanismo a livello cellulare. Prendiamo il cancro, per esempio. È un fatto accertato che tutti noi, in qualsiasi momento, abbiamo un certo numero di minuscoli tumori cancerosi in via di sviluppo nel nostro corpo. La parte del sistema immunitario che è responsabile della distruzione di queste cellule devianti è composta da killer naturali, cellule che hanno il compito di attaccare i tumori, distruggerli e liberare l'organismo da ogni proliferazione cancerosa. Nella maggior parte di noi, il più delle volte, queste cellule svolgono bene il loro lavoro, un lavoro coordinato da vari peptidi del cervello e del corpo, nonché dai loro recettori, e questi minuscoli tumori non diventano mai abbastanza grandi da farci ammalare. Ma cosa succede se il flusso di peptidi s'interrompe? E possibile imparare a intervenire in modo cosciente per far sì che i nostri killer cellulari continuino a svolgere il loro lavoro? Il contatto con le proprie emozioni può facilitare il flusso dei peptidi che dirigono queste cellule killer in un determinato momento? La salute emotiva è importante per la salute fisica? E in caso affermativo, che cos'è la salute emotiva? Sono questi gli interrogativi sui quali dobbiamo cominciare a riflettere, se vogliamo prendere sul serio i collegamento fra corpo e mente. Innanzi tutto, una premessa: io sono convinta che tutte le emozioni siano sane, perché sono le emozioni che tengono uniti la mente e il

253

Page 254: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

corpo. Ira, paura e tristezza, le cosiddette emozioni negative, sono altrettanto sane quanto serenità, coraggio e gioia. Reprimere queste emozioni e non lasciarle libere di fluire significa creare una dis-integrazione nell'organismo, facendo sì che agisca in modo contraddittorio, anziché come un tutto unico. Lo stress creato da questa situazione, che assume la forma di blocchi o insufficienze nel flusso dei segnali trasmessi dai peptidi per mantenere la funzionalità a livello cellulare, è la causa dell'indebolimento che può condurre alla malattia. Tutte le emozioni sincere e autentiche sono emozioni positive. La salute non consiste semplicemente nell'avere «pensieri felici». A volte l'impulso più potente verso la guarigione può provenire da uno scatto d'ira repressa da tempo, che attiva il sistema immunitario. Come e dove questo possa avvenire dipende da voi: in una stanza isolata, nell'ambito di una terapia di gruppo, dove spesso la dinamica del gruppo può facilitare l'espressione di sentimenti sepolti da tempo, oppure in uno scambio spontaneo di impressioni con un componente della famiglia o un amico. segreto è esprimere l'emozione e poi lasciarla andare, in modo che non continui a suppurare, o a lievitare, finendo così per sfuggire al controllo.

L'unità della vita

Oggi vorrei concludere la lezione con l'ultima diapositiva, che mostra un organismo unicellulare, chiamato tetrahymena. Si tratta di una creatura tanto studiata nei laboratori scientifici di base da essersi guadagnato il titolo di «cavallo da tiro della biologia». Ciò che appare davvero sorprendente è che questo organismo unicellulare primitivo produca molti dei peptidi secreti da noi esseri umani, compresa l'insulina e le endorfine. Sulla superficie dell'unica cellula di cui è composto, Blanche O'Neil ha individuato recettori degli oppiacei simili a quelli presenti nel nostro cervello. Questi stessi blocchi da

254

Page 255: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

costruzione, quindi, si trovano tanto nelle forme di vita più antiche e più semplici quanto nelle più complesse. E allo stesso modo in cui sono quattro le molecole base che codificano tutto il DNA nell'organismo vivente, esiste un numero determinato (benché non ancora accertato in modo definitivo) di molecole informazionali in grado di codificare le comunicazioni e lo scambio di informazioni che regolano tutti i sistemi di qualsiasi essere vivente, sia che si tratti di una comunicazione intracellulare o extracellulare, sia che si svolga da organo a organo, da cervello a corpo o da individuo a individuo. Mi piace attirare la vostra attenzione sul tetrahymena perché serve tanto a illustrare un fatto biologico importante quanto a offrirmi la possibilità di concludere la mia lezione su una nota filosofica (dopodiché passerò a discutere alcune delle implicazioni più pratiche di queste idee, come per esempio il modo di introdurre maggiore consapevolezza nella vostra vita e sfruttarla per migliorare la salute fisica ed emotiva). Pensate al significato di questa realtà, e cioè al fatto che la stessa rete informazionale riscontrata nel tetrahymena esiste anche in noi. Se questi peptidi con i loro recettori - le molecole dell' emozione - non soltanto si sono conservati nelle forme di vita più antiche ed elementari, ma hanno continuato a svilupparsi nella rete psicosomatica incredibilmente elaborata che abbiamo scoperto nel corpo umano dobbiamo concludere che il loro ruolo nell'evoluzione dev'essere stato importante, anzi decisivo. Per me, questa è una dimostrazione impressionante dell'unità di tutte le forme di vita. Noi esseri umani abbiamo un'eredità comune, le molecole dell'emozione che condividiamo con la più modesta delle creature microscopiche, un organismo unicellulare, anche se l'evoluzione ci ha consentito di trasformarci in creature di straordinaria magnificenza, composte da trilioni di cellule. Vi lascio con questa riflessione, e vi ringrazio per aver assistito oggi a questa conferenza.

Le luci della sala si accendono mentre l'immagine sullo schermo sbiadisce, e mi ritrovo di fronte le persone reali, in carne e ossa

255

Page 256: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sedute ad assistere, le orecchie, gli occhi, i cuori e le menti ai quali era diretta la mia conferenza... quelle creature composte da trilioni di cellule alle quali ho appena fatto allusione.

*****************************************************

Era il 1987 e mi trovavo a Puerto Rico. La piña colada scorreva

a fiumi mentre noi neuropsicofarmacologi, riuniti per il nostroconvegno annuale, d scambiavamo saluti. Il collega del NIMHPeter Bridge e io ci riconoscemmo nello stesso istante,mentreeravamo ancora alle estremità opposte della sala affollata.Peter, che di solito è riservato, persino sardonico, aveva un’ariaaddirittura eccitata mentre cominciava ad aggiornarmi sullecondizioni dei primi due americani ai quali era statosomministrato il farmaco sperimentale contro l'AIDS cheMichael e io avevamo appena inventato.«E... successo qualcosa?» domandai, intuendo la risposta dalmodo in cui mi batteva il cuore.«Due di loro... tutti e due, voglio dire... soffrivano di una formaterribile di neuropatia. Uno riusciva a camminare a stento, el'altro non poteva neppure muoversi.»« E adesso?»«Camminano normalmente tutti e due!La neuropatia è scomparsa. Ho parlato con tre neurologi chehanno seguito molti malati di AIDS, e dicono che non era maisuccesso »«Che significa, “non era mai successo”?»«Quando la neuropatia è grave come nel caso di questi due, disolito non si verificano miglioramenti. Questi due pazienti sonomigliorati a distanza di pochi giorni dalla somministrazione delvostro farmaco.» Peter si strinse nelle spalle mentre ci

256

Page 257: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

abbracciavamo, emozionati entrambi, ma decisi a tentare di mantenere un atteggiamento scettico, o almeno non troppo emotivo. Proprio in quel momento la folla di neuropsicofarmacologi si avvicinò in massa alla finestra per ammirare l'arcobaleno che era apparso all'orizzonte, dove le cupe nubi temporalesche della stagione piovosa dei Caraibi cominciavano finalmente a schiudersi. Era un enorme arcobaleno doppio che resistette in cielo quasi un' ora, colmando quasi tutta quella piccola fetta di azzurro. In seguito, l'ammirai dal balcone della mia stanza insieme con mia sorella Wynne, meravigliandomi del fatto che un arcobaleno all'orizzonte potesse coesistere con i fulmini che squarciavano il cielo nero all'estremità opposta.

257

Page 258: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

10

Un figlio del nuovo paradigma

Promessa

Fu nel 1985 a Maui, l'ombelico della terra, che la promessa racchiusa nella nostra teoria sulla comunicazione cellulare corpo/mente come base per la comprensione della salute e della malattia si svelò ai nostri occhi nel modo più spettacolare. Quell'anno il mio laboratorio aveva raggiunto la massima espansione. Avevo a disposizione una squadra completa, dodici persone ai miei ordini diretti, più una vasta cerchia di collaboratori esterni che agivano nella mia sfera d'influenza, tutti a sostegno del lavoro che stavo svolgendo, in un clima di collaborazione informale. Ai miei ricercatori che si occupavano di biochimica del cervello si erano uniti Michael, per cortese concessione del Dental Institute, l'Istituto per le ricerche dentarie, Frank Ruscetti, del Laboratory or Molecular Immunoregulation, o Laboratorio di immunoregolazione molecolare, e Bill Farrar, del National Cancer Institute, l'Istituto per le ricerche sul cancro. Avevo ottenuto una posizione stabile ed ero saldamente insediata nel ruolo di responsabile di un gruppo di ricerca. Ero soddisfatta dei buoni rapporti di collaborazione che si erano instaurati fra i ricercatori, e i nostri progetti traevano beneficio da quella collaborazione interdisciplinare. Il lavoro consisteva per lo più nella ricerca di prove che confermassero la nostra teoria sull'esistenza di un sistema informativo esteso a tutto l'organismo, che collegava il cervello e le ghiandole con il sistema immunitario, l'apparato digerente e il sistema nervoso autonomo. Diventava sempre più evidente che qualunque recettore si trovasse su una cellula immunitaria doveva trovarsi anche nelle cellule cerebrali, e che a livello

258

Page 259: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

molecolare non esistevano, in realtà, distinzioni fra la mente e il corpo. Ora stavamo cominciando a riflettere sugli interrogativi sollevati da questa conoscenza: quali implicazioni può avere questo sistema comune di informazioni per la nostra comprensione delle malattie? E in che modo può aiutarci a escogitare qualche approccio alla terapia? Fu questo genere di indagine che condusse il nostro laboratorio a una scoperta molto significativa, qualcosa che soltanto noi eravamo in grado di perseguire, grazie alle competenze del nostro personale e alla nostra dotazione di apparecchiature, e che ci catapultò nel bel mezzo della gara per trovare una cura contro l’AIDS. Quell'anno, in occasione della festa del Ringraziamento, Michael e io annunciammo alle rispettive famiglie che avevamo intenzione di sposarci l'estate seguente. Poco dopo il Ringraziamento, ci mettemmo in viaggio per Maui, dove avremmo presentato le nostre ultime scoperte all'annuale convegno dell'American College of Psychoneuropharmacology (Società americana di psiconeurofarmacologia). Arrivammo sul posto con una settimana di anticipo, intenzionati a fare un'escursione con la tenda nel cratere dell'Haleakala, un vulcano addormentato che molto tempo fa ha dato origine all'isola con le sue eruzioni. Michael aveva tracciato un itinerario che partiva da Hanna, una cittadina agricola piuttosto isolata: di lì dovevamo affrontare un difficile pendio che saliva verso il cratere, sbucando sulla vetta dalla parte posteriore, dove avremmo trovato una pista che scendeva all'interno. Dopo una notte di sosta nel cratere, avremmo completato il viaggio risalendo verso la sommità e ridiscendendo dal versante posteriore: in tutto un percorso di tre giorni, uno per l'ascesa, uno per l'esplorazione del cratere e uno finale per il ritorno a Hanna. Ambizioso, certo, ma fattibile; Michael ne era certo. Fin dall'inizio della nostra storia, mi aveva iniziato alle escursioni naturalistiche e io, per quanto le apprezzassi molto, non avevo sufficiente esperienza per rendermi conto dei miei limiti. D'altra parte ero innamorata, e quindi nessuna sfida mi sembrava insormontabile. Dopo aver preparato l'attrezzatura e le provviste, ci avviammo lungo la pista. La prima parte del percorso fu molto impegnativa e richiese il doppio del tempo previsto, perché, verso la metà di un'ascesa che, secondo i nostri

259

Page 260: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

calcoli, doveva essere lunga sei chilometri e mezzo, scoprimmo che in realtà i chilometri da percorrere erano quasi tredici, con un dislivello di circa milleduecento metri. Così l'arrampicata che era iniziata all'alba si concluse soltanto alle sette di sera, quando piantammo la tenda. Fino a oggi, quell'escursione resta l'impresa atletica più massacrante che abbia mai compiuto. La radio che avevo portato con me riceveva una sola stazione, la cui emittente si trovava sulla vicina Hawaii, l'isola principale dell'arcipelago, ma se non altro ero in grado di apprezzare le canzoni rock e di mantenere alto il morale. A metà strada, superando una curva del sentiero, ci trovammo inaspettatamente di fronte a un arcobaleno spettacolare, il più vivido e completo che abbia mai visto. Mentre lanciavamo «oh» e «ah» di meraviglia, ricordo di aver pensato che quello era un segno: nonostante gli errori compiuti nel progettare il percorso, eravamo sulla strada giusta, e questo poteva valere anche per la direzione che la nostra ricerca stava prendendo in laboratorio. L'arcobaleno, che da tempo per me era il simbolo della promessa della scienza di rivelare le verità ultime, ora ci appariva per mitigare la fatica della marcia, spronandoci a proseguire. Una volta raggiunta la sommità, scendemmo nel cratere, e davanti a noi si spiegò un panorama davvero magico. Il gioco di luci e ombre sul terreno accidentato rivelava le sfumature rossicce dei coni cineritici e il nero dei getti di lava solidificata, punteggiata da impressionanti spade d'argento che spuntavano dal nulla: un paesaggio lunare di assoluta solitudine. Mentre percorrevamo quel sentiero solitario, ricordo di aver provato un senso di sacralità, la certezza che quello era un luogo speciale e che stavamo calpestando un terreno sacro: l’Haleakala, la Casa del Sole, dove secondo la leggenda il semidio Maui aveva catturato il sole, costringendolo a obbedire ai suoi voleri. Tutto l'insieme, dallo splendido paesaggio naturale, all'aspetto mistico di quell'ascesa, allo sforzo fisico impegnativo, esercitò su di me un influsso profondo, e mi sentii allargare il cuore, in una espansione della coscienza che mi lasciò in uno stato di profondo rispetto e umiltà. Al ritorno da quell'escursione, che non ci aspettavamo tanto ardua, eravamo esausti e disidratati, ma esaltati dal trionfo ottenuto. A ripensarci, ora mi rendo conto che quella dura prova fisica era un presagio di quello che ci

260

Page 261: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

riservava il futuro, del labirinto che ci attendeva e che ci avrebbe imposto svolte e deviazioni ben più numerose dell'ascesa al cratere, e di un percorso infinitamente più impegnativo dell'arrampicata sul pendio. Al ritorno in laboratorio, ci saremmo ritrovati infatti sull'orlo di un abisso nel quale presto saremmo discesi, ignari degli eventi che ci avrebbero condotti attraverso il terreno tormentato dell'establishment della ricerca sull'AIDS, costringendoci a sloggiare dal nostro confortevole nido al Palazzo. A Maui, Michael guidò l'auto che avevamo noleggiato fino all'appartamento che ci ospitava, dove crollammo sul letto esausti, dopo aver lenito i crampi ai muscoli nell'acqua calda di una Jacuzzi. Quella notte, la prima che trascorrevamo fra quattro mura da quando eravamo arrivati sull'isola, dormii di un sonno profondo, cullato dalle dolci fragranze e dai suoni gentili dell'oceano che sciabordava alle porte del lanai. Il giorno dopo, quando arrivai al convegno, mi sentivo riposata e ristorata, e presi posto fra gli oratori della seduta di apertura, dedicata al tema «L'AIDS e il cervello».

Sovrapposizione

A condurci al convegno di Maui era stata una serie emozionante di avvenimenti, scatenati dall'indagine che avevamo intrapreso sul nesso esistente fra il sistema immunitario e il cervello, affacciandoci alle soglie del settore della ricerca sull'AIDS, allora agli inizi. Tutto era cominciato quando Michael e io avevamo scoperto che molti recettori di peptidi che si riteneva fossero confinati al cervello erano invece presenti sulle cellule immunitarie. Una volta scoperto questo, cominciammo a domandarci se era vero anche il contrario, ossia se i recettori che si trovavano sulle cellule immunitarie erano presenti anche nel cervello. La telefonata casuale di un immunologo si rivelò cruciale per il lavoro che stavamo per intraprendere. Sapendo del mio interesse per le connessioni neuroimmunitarie a causa degli articoli che avevo pubblicato, un giorno Bill Farrar mi telefonò per discutere con me del suo lavoro in quel settore. Quando lo informai che stavamo cercando di realizzare una mappatura dei recettori immunitari nel cervello,

261

Page 262: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

si offrì di fornirmi gli anticorpi di cui avevamo bisogno per individuarli. La mattina dopo si presentò nel mio studio un tizio alto e biondo che aveva il fisico di un culturista, indossava dei calzoncini con un paio di sandali e portava alcuni contenitori refrigerati pieni di anticorpi: il fattorino del laboratorio di Bill, pensai, dato che in genere gli scienziati non hanno un aspetto tanto casual, né tanto meno così atletico. Invece era lui in persona. Dopo averlo visto in azione, mi riuscì difficile credere di averlo potuto scambiare per un fattorino, perché Bill aveva un modo deciso e sicuro di impostare i problemi, retaggio degli anni in cui era stato pilota della marina militare, decollando dalle portaerei ai comandi di un caccia da combattimento. Nonostante le mie inclinazioni femministe, ero affascinata dall'idea di lavorare con uno scienziato che aveva uno stile e una presenza fisica così prettamente maschili. Qualche settimana dopo l'inizio della mappatura dei recettori immunitari restai ancora più affascinata, visto che Bill mi telefonò per informarmi che tre diverse équipe di ricerca avevano individuato, più o meno nello stesso tempo, il recettore usato dal virus dell'AIDS per entrare nelle cellule e infettarle, ossia il T4. Questo recettore era stato identificato sui linfociti chiave del sistema immunitario, chiamati linfociti T4 o CD4. Ora, una grave deficienza di linfociti T4 è uno dei segnali della presenza del virus dell'AIDS, nonché uno dei suoi effetti più letali, visto che la mancanza di questi linfociti fa sì che le vittime dell'AIDS debbano soccombere a microbi che normalmente sono benigni, mentre in loro causano numerose e talvolta fatali infezioni opportunistiche. Subito dopo avermi comunicato la notizia sul ruolo del recettore T4 come punto d'ingresso del virus dell'AiDS, Bill cominciò a bersagliarmi di domande eccitate. «T4», esclamò eccitato, mangiandosi le parole. «So di averti dato un anticorpo che dovrebbe legare con il recettore T4. Lo avete già usato? Avete scoperto qualcosa?» «Ci puoi scommettere!» risposi trionfante. «E si è diretto subito verso quei recettori, illuminando il cervello come un albero di Natale» Nel subconscio, il significato della mappatura del T4 cominciava ad affacciarsi alla mia mente: se questo recettore era il punto d'ingresso del virus nel corpo, doveva essere anche il punto di accesso al cervello. E se le

262

Page 263: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cose stavano così, la nostra conoscenza dei meccanismi dei recettori poteva prestarsi a una migliore comprensione del modo in cui questo processo avveniva effettivamente, e forse anche del modo in cui era possibile bloccarlo. Cominciammo inoltre a sospettare che fosse possibile usare la nostra conoscenza dei recettori del virus nel cervello per contribuire a spiegare il cosiddetto «neuro-AIDS», ossia quel complesso di demenza, perdita della memoria, neuropatie (degenerazioni dei nervi) e forme depressive che proprio in quel periodo cominciava a essere segnalato sempre più spesso da neurologi e psichiatri, i quali ne riscontravano i sintomi nei pazienti affetti da AIDS. Fino a quel momento si era dedicata scarsa attenzione a quell'aspetto della malattia. Dato che virologi e immunologi non avevano contatti con gli psichiatri, e tanto meno con i neuroscienziati, la loro percezione del crescente fenomeno delle complicazioni neurologiche era limitata, e quel poco che sapevano tendevano ad attribuirlo alla comprensibile depressione emotiva di pazienti affetti da una malattia allo stato critico. Ora che sapevamo come il punto d'ingresso del virus fosse il recettore T4, concentrammo su di esso il nostro tentativo di mappatura del cervello. Sapevamo che nessun altro avrebbe cercato i recettori immunitari nel cervello, perché quasi nessuno credeva che si trovassero lì, come apparve evidente da quello che avveniva in quello stesso momento dall'altra parte della strada.

Entra in scena l'HIV

A poche centinaia di metri dal laboratorio nel quale stavamo lavorando, nella parte del Palazzo dove ci si occupava soltanto del corpo e non della mente, una squadra di immunologi e virologi del National Institutes of Health che lavoravano per l'Istituto per le allergie e le malattie infettive (Institute for Allergies and Infectious Diseases, o NIAID) studiava il virus dell'immunodeficienza, o HIV, appena scoperto negli esseri umani. In

263

Page 264: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

precedenza, il dottor Robert Gallo, del Cancer Institute, che faceva capo anch'esso al NIH, aveva suscitato un grande scalpore annunciando che l'HIV era la causa dell'AIDS, una malattia identificata per la prima volta quando aveva cominciato improvvisamente a mietere vittime nella popolazione omosessuale maschile. Gallo aveva dimostrato che l'HIV infettava le cellule del sistema immunitario, utilizzando il loro DNA per riprodursi e diffondersi. Il risultato era che il sistema immunitario restava gravemente compromesso, consentendo a malattie opportunistiche di proliferare e infine uccidere l'organismo ospite. Quindi gli scienziati del NIH erano tutti concentrati, come del resto noi, sulla ricerca di un modo per impedire al virus HIV di portare a termine il suo compito letale. Tuttavia il loro approccio era ovviamente molto diverso dal nostro: con alcune eccezioni degne di nota, fra le quali la scoperta che il virus della rabbia sfrutta il recettore dell'acetilcolina, i virologi non avevano mai approfondito troppo la comprensione del meccanismo grazie al quale un virus penetra in una cellula. Il processo che prediligevano, la viroplessi, veniva descritto spesso come un avventarsi repentino e inspiegabile del virus sulla superficie della cellula, dove poi si fondeva con la membrana esterna per riuscire a penetrarvi. Questo «atterraggio» costituiva un passaggio ignoto, ritenuto non troppo importante. Fino a quel momento, i virologi si erano interessati soprattutto ai processi molecolari che regolavano la riproduzione dei virus: in altri termini, come si riproduce un virus? E la risposta, per quanto se ne sapeva allora, era che i virus si riproducevano in modo autonomo all'interno delle cellule, dove non potevano essere attaccati senza ricorrere a tarmaci che distruggevano anche la cellula. Per questo ogni cura che tentasse di interferire con la riproduzione di un virus dopo che era entrato in una cellula e l'aveva «infettata» era estremamente tossica. Ciò nonostante, quello divenne il punto focale della loro ricerca. Tuttavia era possibile dare la caccia al virus anche per un'altra via, perché il problema rappresentato dal modo in cui il virus poteva trovare una cellula immunitaria ed entrarvi non era un ostacolo insormontabile per un neuroscienziato. Potevamo capire facilmente il modo in cui i virus operavano come leganti endogeni, unendosi, proprio come i peptidi, a specifici recettori. Era ben noto che i virus contenevano sulla superficie varie

264

Page 265: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

proteine decisive per stabilire quale cellula potevano infettare. Dunque virus diversi mostrano quello che noi chiamiamo «tropismo» per cellule diverse, cosicché si può dire, per esempio, che il virus HlV è T4-tropico, cioè attratto dalle cellule T4. Agli occhi di un neuroscienziato era perfettamente plausibile che alcune di queste proteine del virus invasore fossero in sintonia con certe vibrazioni molecolari del corpo stesso. In altri termini, eravamo convinti che dovessero esistere delle chiavi virali in grado di aprire la serratura dei recettori, entrando così nella cellula. A vedersi al microscopio, il virus HlV somiglia a uno degli strani veicoli di Guerre stellari, perché ha la forma di una sfera con la superficie costellata da centinaia di aguzzi spuntoni proteici. E questa parte del virus, la guaina superficiale proteinica gp120 a possedere una speciale sequenza molecolare che gli consente di agganciarsi a cellule immunitarie, cerebrali e di altro genere, legando con queste per dare origine all'infezione e, come noi e alcuni altri stavamo per scoprire, a molti altri processi mediati dai recettori importanti nell'insorgere dei segnali e dei sintomi, ovvero dell'AIDS.

265

Page 266: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Una volta focalizzato il nostro interesse sul recettore T4, Joanna Hill, l'abile neuroanatomista che faceva parte del nostro gruppo, fu in grado di produrre con l'autoradiografia splendide immagini del suo schema di distribuzione nel cervello dei ratti e delle scimmie. E un giorno, poco tempo dopo, ricevetti per caso una telefonata dal dottor Peter Bridge, uno psichiatra del NIMH che s'interessava di psiconeuroimmunologia e stava organizzando un simposio su un nuovo settore che lo aveva attirato, il cosiddetto neuro-AlDS. «Avete qualcosa di pronto sul rapporto fra AIDS e cervello?» mi domandò. Un pò frastornata dalla sua preveggenza, gli esposi il progetto al quale stavamo lavorando, e fu a causa di quella conversazione che ricevemmo un invito a presentare il nostro lavoro al convegno sull'AIDS organizzato dall'American Society of Psychoneuropharmacology in coincidenza con l'assemblea annuale del 1985 a Maui, nelle Hawaii.

Intervento

La discesa dall'Haleakala era stata ancor più impegnativa dell'ascesa, se possibile. Non mi ero aspettata una simile fatica, anzi, avevo pensato: «Ah, da qui in poi è tutto in discesa»; invece, come ben sa chiunque abbia compiuto un'impresa di questo genere, il ritmo accelerato della discesa brucia rapidamente le energie. Così, quando mi presentai all'assemblea, in occasione dell'apertura del convegno, sentivo il corpo piacevolmente indolenzito dalla fatica superata. La mente, invece, era insolitamente serena, mentre ascoltavo i miei colleghi presentare i risultati delle loro ricerche sull'AIDS, rendendomi conto per la prima volta che la parola pandemica, applicabile a una piaga universale, non era eccessiva, se applicata a questa malattia che si diffonde a macchia d'olio. Fino a quel momento la mia conoscenza della malattia era limitata a quello che avevo letto sui giornali, e naturalmente ero al corrente dell'annuncio diffuso dallo studio di Bob Gallo sulla scoperta del virus HIV, la causa dell'AIDS, compiuta dai ricercatori del suo laboratorio. Si era levato un certo scalpore quando Margaret Heckler, dell'ente Health and Human

266

Page 267: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Services (Servizi sanitari e sociali) aveva annunciato che il NIH avrebbe potuto beneficiare di enormi stanziamenti di fondi federali per la lotta contro l'AIDS, ora che esisteva un virus noto da combattere. E di tanto in tanto notizie e indiscrezioni filtravano dal NIH al NIMH grazie a Bill Farrar, che teneva un piede in tutt'e due i campi. Io, invece, ne ero all'oscuro, per motivi che sono spiegati con ampiezza di dettagli nel libro di Randy Shilts intitolato And the Band Played On (E l'orchestra continuò a suonare), dove si ricorda come in quella fase iniziale fossero ben poche le informazioni che giungevano alla pubblica opinione. Quel giorno, assistendo alla seduta inaugurale del convegno, osservavo una serie di diapositive che illustravano le terribili sofferenze dei malati di AIDS e ascoltavo la descrizione del modo in cui il virus distruggeva il sistema immunitario e devastava l'organismo, esponendo chi ne era portatore a un numero virtualmente infinito di infezioni opportunistiche rare, ma non per questo meno letali. Cominciai per la prima volta a riflettere sul costo umano di quella malattia, e mi sentii assalire da una sensazione di urgenza, da un intenso desiderio di contribuire in qualche modo agli sforzi dei ricercatori per capirla e curarla. Quando giunse finalmente il mio turno - ero l'ultimo oratore in programma -salii sul podio per presentare le nostre scoperte. Descrissi come nel corso della mappatura del cervello avevamo trovato una molecola tipo T4, con una densità elevata soprattutto nell'ippocampo e nella corteccia cerebrale. Presentai la diapositiva che Joanna aveva preparato con il cervello della scimmia, proiettando lo schema colorato creato dal T4 nel cervello, in modo che tutti potessero vederlo. Mentre lo fissavo con ammirazione, avvertii all'improvviso una curiosa alterazione nel mio stato di coscienza; cominciai a parlare, ma la mia voce aveva un suono strano, come se provenisse da una certa distanza. «I dati da noi ottenuti suggeriscono chiaramente che il recettore T4 potrebbe essere un recettore di neuropeptidi, dal momento che lo schema da esso creato ricorda quelli dei recettori di peptidi cerebrali già noti», dichiarai, sentendo che le mie parole destavano un'eco nell'uscire dalle mie labbra. E subito dopo, apparentemente in modo indipendente dalla mia volontà: «Se riuscissimo a individuare il peptide che è il legante naturale

267

Page 268: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

dell'organismo al quale corrisponde il recettore T4, questo potrebbe costituire una terapia semplice e non tossica per impedire al virus di penetrare nella cellula». Nella sala si diffuse un silenzio rispettoso, mentre il pubblico e io lasciavamo a queste parole memorabili il tempo di imprimersi nella mente. Avevo appena proposto una via per la scoperta della cura dell'AIDS? Era la prima volta che un'idea del genere mi passava per la testa. E poi udii una voce più sonora, che stavolta non si poteva identificare con la mia e non risuonava sonora, ma echeggiava dentro la mia testa. Era una voce maschile, piena di forza, che mi ordinava: «E tuo dovere farlo!» Non ero certo abituata a sentire voci che commentavano le mie relazioni o conferenze, e da principio pensai che quell'ordine fosse una sorta di conseguenza allucinatoria della massacrante ascesa al cratere del vulcano; ma la logica di quell'approccio era così evidente che prestai fiducia a quella voce. Anche il fatto che fosse chiaramente maschile non urtò la mia sensibilità femminista, perché qualunque cosa fosse quella voce -un'allucinazione, la voce di Dio, la mia stessa saggezza superiore – sapevo esattamente che cosa mi diceva di fare. A quanto pareva, tutta la mia carriera scientifica non era stata che una preparazione a rispondere alla domanda che io stessa avevo formulato: qual è il peptide naturale corrispondente al recettore dell'HIV nel cervello e nel sistema immunitario, e in che modo possiamo produrne una versione sintetica, facendo in modo che blocchi il recettore, sbarrando così la strada al virus HIV? Non era forse la stessa strada che avevamo già percorso in passato, quando eravamo partiti lancia in resta alla scoperta dell'encefalina/endorfina? Il recettore CD4 non esisteva proprio per legare con il virus, così come il recettore degli oppiacei esisteva per legare con la morfina? Era perfettamente logico, e mi sentii mortificata per non averci pensato prima; ora le mie riflessioni seguivano una pista già battuta sul piano teoretico, apertasi con la scoperta del recettore degli oppiacei e del legante endogeno, l'endorfina. Proprio come in passato, avevamo un recettore (T4) e ora dovevamo cercare il legante sconosciuto al quale corrispondeva; ma stavolta avremmo avuto l'aiuto di un computer.

268

Page 269: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Non vedevo l'ora che arrivasse la mattina dopo, per telefonare a Bethesda e dare l'ordine di preparare il laboratorio al procedimento necessario per cominciare la ricerca. Bill Farrar era lì a gestire il computer che ci avrebbe aiutati a consultare una banca dati mondiale dei peptidi. Eravamo in cerca di una sequenza molecolare identica a quella dell'involucro esterno virale del virus HIV, il gp120 ossia la parte del virus che si adattava al recettore. L'identificazione del recettore che costituiva il percorso d'accesso del virus, e la conseguente descrizione del recettore T4, avevano schiuso tutt'a un tratto molte strade nuove alla ricerca sull'AIDS. Quindi ben presto furono numerose le équipe di ricerca del governo e dell'industria che facevano esattamente la stessa cosa (cercavano cioè sequenze di gp120 che legassero con il recettore T4) ma in modo molto più indiscriminato. Dal momento che il loro metodo imponeva di provare quasi tutte le possibili permutazioni di peptidi, e dato che nella sequenza c'erano oltre seicento posizioni da riempire per ogni amminoacido che si presentasse come un candidato plausibile, le loro probabilità di successo erano pari a quelle che si avrebbero, lanciando in aria cento scimmie e cento macchine per scrivere, di veder apparire le opere complete di Shakespeare dattiloscritte alla perfezione. Non che il nostro percorso fosse lineare come avevamo sperato. Eravamo convinti che, se avessimo progettato delle ricerche al computer ben studiate, saremmo arrivati in fretta alla sequenza che ci avrebbe consentito di identificare quell'unico legante naturale; ma quello che ottenemmo non era così ben definito. Il computer identificò sequenze multiple di altre proteine che corrispondevano da vicino alla sequenza gp120 ma nessuna, purtroppo, era sottolineata in rosso con una nota che dicesse: «Ecco, è questa!» Avremmo dovuto fare appello alla nostra sensibilità istintiva per scegliere il materiale da utilizzare, in modo da restringere la ricerca ad alcuni dei numerosi candidati al processo di sintesi e alle ulteriori prove di laboratorio. Dovevamo semplicemente sperare che una delle nostre intuizioni si rivelasse fruttuosa, permettendoci di scoprire una sostanza che agisse al posto del legante naturale non ancora identificato e che fosse abbastanza mimetica da sloggiare con successo il gp120 dal recettore, bloccandolo all'ingresso.

269

Page 270: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Fu così che una sera mi portai a casa la stampata di tutte le sequenze possibili che il nostro computer aveva generato per stenderla sul tavolo della sala da pranzo, non senza sentirmi attanagliare dalla premonizione di ciò che sarebbe accaduto se avessimo scelto quella sbagliata. La farmacologia è una scienza esigente, in cui non esistono «quasi» o «pressappoco». Se anche una sola lettera della sequenza era sbagliata, o ne saltavamo una, la sostanza da noi sintetizzata sarebbe stata inservibile, e avrebbe fatto registrare dei fallimenti in tutte le prove o le analisi che avremmo fatto per provare la sua capacità di far sloggiare il virus. Saremmo potuti anche arrivare molto vicini alla soluzione, senza mai saperlo. Insieme, Michael e io meditammo per una settimana su quelle pagine e pagine di lettere. Alla fine fu Michael a decidere di concentrare i nostri sforzi su un ottapeptide contenuto nel virus di Epstein-Barr, un altro virus «linfotropico», sia pure nei confronti delle cellule B, anziché delle T; a nostro avviso, giusto o sbagliato che fosse, quel peptide poteva usare lo stesso recettore del virus HIV. Così non era, ma, come avremmo scoperto alla fine, avevamo scelto un cavallo vincente, arrivando nel posto giusto per il motivo sbagliato. Telefonai al mio vecchio amico dottor Jaw-Kang Chang, del Peninsula Labs di San Francisco. Era l'ultimo dell'anno e, come sospettavo, lui era rimasto in laboratorio per lavorare fino a tardi. In una replica quasi perfetta di quanto era accaduto dieci anni prima con l'encefalina, gli lessi con cura la sequenza di otto amminoacidi che avevamo prescelto, pregandolo di sintetizzarla per noi. Dato che il primo amminoacido della sequenza era l'alanina (proprio come quella volta che avevo chiesto a Chang di cambiare la versione dell'encefalina a lunga azione), gli diedi istruzioni di preparare tre analoghi della D-alanina, per un totale di quattro ottapeptidi, tutti strettamente legati fra loro. Anche stavolta lo costrinsi a giurare di mantenere il segreto, pregandolo di eseguire il lavoro senza fare troppe domande. Chang accettò la sfida e, due mesi dopo, al costo di diecimila dollari sborsati dai contribuenti, avevamo fra le mani i quattro peptidi di sintesi sufficienti per dare inizio ai test di laboratorio. Bill Farrar si era incaricato di concludere il patto con un laboratorio di Frederick, nel Maryland, che aveva preparato il virus HIV separandone le

270

Page 271: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

varie componenti proteiche, ingredienti essenziali dei quali avremmo avuto bisogno, ed era stato lui a procurarci la proteina virale necessaria, il gp120

che poi avevamo marcato con iodio radioattivo. Ora avevamo a disposizione tutt'e due gli elementi cruciali, il peptide sintetico e la proteina virale radioattiva, ed eravamo pronti a cominciare l'analisi dei legamenti dei recettori, per vedere come si sarebbero comportati quei peptidi. Ricordo che mi sentivo eccitata al pensiero di cominciare finalmente gli esperimenti, ma anche apprensiva, come se stessi per tuffarmi in una piscina senz'acqua. Avevo l'impressione che in quel progetto tutto dipendesse da una combinazione insondabile di intuito e/o intervento mistico e/o pura e semplice fortuna, tutti elementi alquanto sospetti per la mia mentalità scientifica di allora. La direzione mi era stata indicata da una voce che avevo sentito risuonare nella mia testa mentre ero sulla tribuna degli oratori a Maui, e la scelta di sequenze che avevamo operato, pur essendo basata su una solida motivazione razionale, comportava anche una buona dose di intuito, un fatto che altri ricercatori avrebbero o ammirato per decenni se avessimo avuto successo, o ridicolizzato senza pietà in caso contrario. Ora stava per arrivare il momento della verità; i nostri peptidi magici avrebbero funzionato, dandoci ragione? Michael e io distribuimmo la metà dei peptidi di sintesi ai nostri collaboratori Frank Ruscetti e Bill Farrar, che lavoravano in uno dei tanti laboratori del Cancer Institute, e ci mettemmo al lavoro, tenendo per noi i rimanenti. L'obiettivo di Frank e Bill era dimostrare che i peptidi bloccavano il virus impedendogli di crescere nelle cellule umane. Frank era l'unico, a parte Bob Gallo in persona, che avesse accesso al virus vero e proprio, prelevato da pazienti di data recente, invece del solito materiale stantio che si riproduceva nelle colture di laboratorio da anni. Questo per noi si sarebbe rivelato un vantaggio decisivo, perché spesso altri ricercatori che si lasciavano attirare dalla facilità d'uso di quei ceppi di laboratorio finivano per gettare al vento fatiche, risorse e tempo prezioso, studiando quelli che appena pochi anni dopo si sarebbero rivelati artefatti, vale a dire fenomeni che non rientravano nella natura del virus e non corrispondevano al modo in cui il virus si comportava negli esseri umani.

271

Page 272: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

L'analisi sul legamento con i recettori che il nostro laboratorio stava svolgendo era mirata ad accertare se i peptidi sperimentali riuscivano davvero a bloccare il fissaggio dell'involucro proteinico del virus gp120 o addirittura a scalzarlo dal recettore sulla cellula T. In caso affermativo, ci saremmo ritrovati in mano una terapia potenziale, un nuovo farmaco che avremmo potuto cominciare a sviluppare come possibile trattamento per l'AIDS. La responsabilità materiale dell'analisi spettava a Robbie Berman, che, subito dopo aver conseguito la laurea a Yale, trascorreva l'estate a Palazzo prima di proseguire gli studi di medicina. Ogni giorno Robbie veniva in laboratorio e sistemava le provette, trasferendovi con la pipetta i numerosi ingredienti diversi per compiere l'esperimento e poi sottopormi le cifre dei dati. Era un tipo brillante e sicuro di sé, che eseguiva ogni passaggio della procedura di analisi, per quanto infinitesimale, con la precisione meticolosa che io esigevo, assoggettandosi a molte ore di controinterrogatorio riguardo alla prassi quotidiana dell'esperimento. Era giovane e pieno di energie, come ogni laureato di fresca data, ma brillante come un allievo del postdottorato; ma il suo pregio maggiore, almeno dal mio punto di vista, era che sembrava privo di quell'ego maschile ipersensibile che richiede un eccesso di diplomazia. Potevamo lavorare in stretta collaborazione, perché lui sopportava allegramente la mia abitudine di stare alle sue spalle, alitandogli sul collo e scattando di continuo per suggerire minimi cambiamenti tecnici, cosa che avrebbe indotto qualsiasi altro ricercatore ad alzarsi e andarsene sbattendo la porta. Robbie e io eseguimmo l'esperimento cruciale nel 1986, in coincidenza con il weekend del terzo lunedì di febbraio, considerato giorno festivo in onore del genetliaco di Washington. Insieme, sciogliemmo i peptidi in una soluzione di gp120 radioattivo, usando una varietà di concentrazioni diverse e facendole reagire con le membrane cariche di T4. Dato che ci aspettava un weekend della durata di tre giorni, ed eravamo in ansia al pensiero che i conteggi fossero così bassi da rendere problematico ricavarne un segnale significativo, decidemmo di fissare il contatore su intervalli di venti minuti per ogni campione filtrato, vale a dire molto più lunghi del solito. Era un

272

Page 273: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

lusso poter eseguire delle misurazioni così pazienti e accurate e, come si vide poi, fu uno dei tanti esempi dell'intervento della buona sorte. Il martedì mattina arrivai in laboratorio in anticipo per staccare con impazienza i nastri di carta dal contatore e dare una scorsa alle cifre. Bastarono pochi minuti per capire che avevamo ottenuto qualcosa: i conteggi indicavano che i nostri peptidi avevano ridotto della metà il legamento del gp120 facendo concorrenza al virus HIV nell'occupare i recettori, proprio come avevamo ipotizzato. L'aspetto più eccitante era che, secondo i dati, ben tre dei nostri analoghi funzionavano, mentre il quarto era quasi inattivo: era un test significativo, perché dimostrava una certa specificità e selettività nell'inibizione dei legamenti, il segno caratteristico di un evento mediato dal recettore. Poche ore dopo che le nostre grida di trionfo si erano spente, dal laboratorio di Frank e Bill giunse la notizia che anche lì i peptidi avevano inibito lo sviluppo del virus nelle cellule umane in provetta. La loro efficacia raggiungeva percentuali oscillanti dall'ottanta al novanta per cento. D'altra parte Frank, che non era facile all'entusiasmo, fu pronto a farmi notare l'apparente rovescio della medaglia nei risultati da lui ottenuti. «Sai, Candace, tre hanno funzionato e uno no». II fatto stesso che uno dei peptidi non avesse funzionato, però, costituiva una buona notizia. Quando confrontammo i dati dei due laboratori, apparve chiaro che non solo il nostro peptide più attivo coincideva con il suo peptide più attivo, ma che un altro peptide era inattivo tanto nelle sue analisi quanto nelle nostre. Quel tipo di risultato, che indicava un'efficacia analoga fra due diversi laboratori che adottavano due metodi del tutto diversi, era il vecchio standard dell'effetto recettore, e ci andava a genio. Sapevamo di avere in mano qualcosa di solido. Il fatto che, almeno in apparenza, la nostra predizione si fosse realizzata ci mandò in estasi: forse avevamo trovato la sostanza capace di impedire all'HIV di penetrare nella cellula e riprodursi. Un vantaggio supplementare era costituito dal fatto che la concentrazione di peptidi necessaria per occupare i recettori e ottenere quei risultati era incredibilmente bassa. In effetti, questi peptidi di sintesi generati al computer erano paragonabili per sensibilità ai neuropeptidi più potenti. In seguito, facendo i calcoli, scoprimmo che una concentrazione efficace equivaleva a quella di una

273

Page 274: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

compressa di aspirina diluita nella quantità d'acqua contenuta in un carro cisterna. Battezzammo il figlio del nuovo paradigma col nome di «peptide T», in cui la T si riferiva alla presenza della treonina, l'amminoacido predominante nella sequenza molecolare della sostanza di sintesi. Eravamo tanto eccitati dal successo dell'esperimento da perdere di vista il nostro intento iniziale, e cioè l'identificazione del legante endogeno, la sostanza naturale secreta dal corpo che legava con il recettore HIV nel cervello e nelle cellule immunitarie. Avevamo scoperto la sostanza mimetica, il peptide T, e la direzione da seguire sembrava chiara: dovevamo pubblicare i risultati e mettere alla prova la nostra nuova terapia con la sperimentazione clinica su esseri umani. Tuttavia la ricerca del legante endogeno non era conclusa, anche se ci eravamo lasciati distrarre dall'obiettivo. Qualche mese dopo, il nostro collega Ed Ginns, un biologo molecolare al quale ci eravamo rivolti in cerca di aiuto, scoprì il legante in un catalogo dei Peninsula Labs. Stava sfogliando le pagine in cui erano elencati i peptidi disponibili per la fabbricazione, quando s'imbatté in una sequenza identica a quella del peptide T. Ed eccolo lì, quello che stavamo cercando, racchiuso nella sequenza stampata di uno dei peptidi in catalogo: VIP, il peptide vasointestinale. Si dava il caso che conoscessimo bene il VIP, presente nel lobo frontale del cervello, nella ghiandola chiamata timo, nell'intestino, nei polmoni, in alcune cellule immunitarie e in alcune parti del sistema nervoso autonomo. Alla fine saremmo riusciti a comprendere in che modo il virus HIV entra in competizione con il VIP per occupare i recettori sulla superficie delle cellule immunitarie e cerebrali, più altre ancora, fissandosi su di esse quando non sono occupate dalla molecola del VIP. E la quantità di VIP di cui il recettore «trabocca» in un determinato momento a influenzare la suscettibilità del sistema alle infezioni in quel preciso istante. Molto tempo dopo mi sarei dedicata alle riflessioni sul tono emozionale a cui si associa il VIP. Era possibile che una particolare emozione generasse o sopprimesse delle quantità di VIP nell'organismo, decidendo in che dose era disponibile per bloccare o permettere l'accesso dell'HIV alla cellula? I clinici hanno l'impressione che l'incremento dell'autostima rallenti i progressi della malattia. Questo mi induce a formulare l'ipotesi che il VIP

274

Page 275: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sia la manifestazione ormonale dell'amore per se stessi, così come le endorfine sono il meccanismo sotteso alla felicità estatica e al sentimento di coesione e unione.

Corsa a ostacoli

La sfida successiva consisteva nel descrivere le scoperte relative al peptide T in un articolo breve e conciso da sottoporre a una rivista scientifica per la pubblicazione. Speravamo che fosse facile, un fatto compiuto in quattro e quattr'otto che ci avrebbe permesso di passare oltre per dare inizio alla fase successiva, forse la più impegnativa, mettendo a punto il farmaco mediante test sperimentali sull'uomo. Tuttavia eravamo coscienti di aver seguito un approccio interdisciplinare in senso radicale, che sarebbe risultato difficile da comprendere per i revisori. Inoltre avevamo fondato il nostro lavoro su concetti non del tutto accettabili per la maggior parte degli immunologi e dei virologi del tempo, e cioè che cervello e sistema immunitario possiedono molti recettori sulla superficie della cellula, e che i virus utilizzano questi recettori per entrare nella cellula. Convinti com'eravamo di avere fra le mani una scoperta sensazionale, decidemmo di tentare di pubblicare il nostro articolo sulla rivista scientifica più prestigiosa e diffusa del settore, intitolata Proceedings of the National Academy ofScience, o anche, per brevità, PNAS. Si tratta del periodico edito dall'Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti, un ente federale fondato ai tempi di Abramo Lincoln, che conserva ancora molte usanze risalenti a quell'epoca (fra cui la possibilità di decretare l'ostracismo ai potenziali nuovi mèmbri, pratica che secondo alcuni incoraggia il conservatorismo che ne costituisce il marchio di riconoscimento). Uno degli aspetti più antidiluviani dell'accademia era che, a quel tempo, appena il due per cento dei suoi componenti era costituito da donne. PNAS è una rivista agile ed eccezionalmente curata, che esercita un impatto notevole, come attesta il numero di citazioni che i suoi articoli ottengono su

275

Page 276: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

altri periodici. Seguendo una procedura caratterizzata da estrema cautela, che in teoria dovrebbe scoraggiare i favoritismi, i mèmbri dell'accademia possono proporre ogni anno al giornale un numero limitato di lavori, opera loro o anche altrui, che ritengano in ogni caso importanti e significativi. Nonostante le apparenti misure di garanzia per evitare favoritismi, essere amici di qualche socio dell'accademia è l'unico modo per garantirsi una rapida e prestigiosa pubblicazione, a patto che uno di loro accetti di cedere uno dei preziosi posti che gli sono concessi. Quello che ci serviva era un membro dell'accademia che apprezzasse il nostro articolo e trovasse due componenti della redazione disposti ad approvarlo, dopodiché sarebbe stato possibile proporlo per la pubblicazione. Avevamo già tentato di farlo una volta con il nostro lavoro precedente, nel quale dimostravamo in che modo avevamo scoperto il recettore T4 nel cervello delle scimmie, eppure quel testo circolava ancora inedito, dopo aver fatto invano il giro delle riviste scientifiche. Anzi, era stato respinto in modo particolarmente umiliante da uno studioso per il quale avevo nutrito il massimo rispetto. Frank Ruscetti ci aveva suggerito di presentarlo al virologo Albert Sabin, scienziato emerito che in quel periodo era ospite del National Institutes of Health e che anni prima aveva creato un vaccino antipolio di tipo orale divenuto ben presto più popolare delle iniezioni di Jonas Salk. Ero ansiosa di conoscere il dottor Sabin e mi aspettavo ingenuamente che fosse più che lieto di leggere il nostro articolo e di caldeggiarne la pubblicazione sulla rivista. Gli mandai il testo per corriere e due giorni dopo, in compagnia di Michael che ne era autore insieme a me, andai a trovare il celebre medico nel suo minuscolo studio, sistemato nel seminterrato della biblioteca del NIH. Rammentando che i miei figli erano stati vaccinati con il prodotto ideato da Sabin, gli dissi con calore quanto fossi onorata di conoscere una persona che aveva legato il proprio nome a un vaccino destinato agli esseri umani. Sabin accettò gli elogi, ma subito dopo, senza preavviso, cominciò a fare a pezzi il nostro articolo. In un crescendo inarrestabile di aggressività, espresse una sequela di critiche, facendo riferimento alle postille che vi aveva aggiunto a mano, in termini che sul piano scientifico non avevano senso né per Michael né per me.

276

Page 277: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Infine, per concludere la sfuriata, esclamò: «E poi che significa questa idea di individuare i recettori del virus nel cervello? Abbiamo curato la polio senza bisogno di ricorrere a recettori del virus nel cervello... ne altrove!» Per Sabin quella nuova teoria era semplicemente inaccettabile. Spinse verso di noi sulla scrivania il testo dell'articolo, annunciando con malcelato disprezzo che mai e poi mai ne avrebbe raccomandato la pubblicazione su PNAS. A quel punto non riuscii più a trattenere le lacrime, tanto era enorme il divario fra le mie aspettative e quello che stava accadendo. Mentre facevo segno a Michael che era venuto il momento di andarcene e mi alzavo per avviarmi alla porta, l'umore di Sabin cambiò bruscamente. Vedendo una lacrima scorrere sulla mia guancia, s'illuminò in volto e si lasciò sfuggire una risatina chioccia mentre ci accompagnava alla porta, esclamando: «Non ci posso credere, ho fatto piangere Candace Pert!» Col tempo sono riuscita a superare lo shock dell'ostilità personale di Sabin nei miei confronti e a perdonargli quella reazione sproporzionata, e questo è avvenuto quando ho capito quale affronto doveva essere stato il nostro articolo per lui: uno schiaffo in faccia al suo stato non del tutto accreditato di scienziato che aveva sconfitto Jonas Salk. Sul momento, però, quell'episodio bizzarro mi lasciò ferita e confusa. Andando in cerca di un paladino per il nostro nuovo articolo, decidemmo di chiedere aiuto a Fred Goodwin, il mio superiore a Palazzo dopo la partenza di Biff. Fred aveva seguito da vicino il mio lavoro, sostenendo generosamente il mio laboratorio per alcuni anni, e comprese subito i concetti proposti nell'articolo; ma al tempo stesso si rese conto che con ogni probabilità i nostri colleghi più specializzati non sarebbero stati in grado di fare altrettanto. Alla comunità scientifica nel suo complesso il nostro lavoro sarebbe apparso come un messaggio proveniente dalla Torre di Babele, composto in un coacervo di linguaggi diversi, e il suo significato sarebbe andato perduto, a meno che nel processo di comprensione non facesse da guida qualcuno che era sotto la diretta influenza di Fred. Con questa idea in mente, ci suggerì di chiedere l'appoggio di uno dei pochi scienziati del National Institute of Mental Health che fosse membro dell'accademia, un neuroscienziato di chiara fama che aveva lasciato il segno nella storia della scienza compiendo le prime tomografie computerizzate del cervello.

277

Page 278: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Inviammo l'articolo al nostro potenziale sostenitore, ma senza ricevere notizie da lui per parecchie settimane. D'altra parte non era insolito che i revisori prescelti si prendessero fino a otto settimane di tempo prima di dare il loro responso su un articolo, e in tal caso non ci restava altro che pazientare, ammonì Fred. Nel frattempo, Michael e io facevamo i preparativi per le nozze imminenti, che si sarebbero celebrate a Lyme, nel Connecticut. La nostra speranza era di sapere qualcosa sull'articolo prima della partenza, nel caso ci fosse stato qualche cambiamento da apportare o qualche sezione da rivedere. Il silenzio si protraeva, così pregammo Fred di sondare lo scienziato renitente per scoprire se il suo parere sarebbe arrivato prima del matrimonio, fissato per il 7 giugno, e Fred ci accontentò a malincuore. Avevamo in progetto di partire da Washington per raggiungere in auto Lyme con un certo anticipo, in modo da procurarci la licenza di matrimonio in municipio e sovrintendere ai dettagli della cerimonia del sabato, che si preannunciava solenne; ma non volevamo partire prima di avere ricevuto il sospirato responso sul nostro articolo. Il matrimonio sarebbe stato la realizzazione di un sogno, le nozze che non avevo mai avuto, visto che quelle con Agu erano state organizzate in quattro e quattr'otto, con una cerimonia priva di fronzoli. Invece Michael e io avevamo predisposto una festa in grande stile, con tanto di partecipazioni per oltre cento ospiti, tende elaborate montate sul prato e un sontuoso rinfresco organizzato da una ditta specializzata. A quell'evento avevamo dedicato molte ore di preparativi, ed eravamo impazienti di goderne i frutti dal primo all'ultimo minuto. Proprio all'ultimo momento utile, due giorni prima della cerimonia, arrivò finalmente la telefonata che tanto aspettavamo. Potevamo venire subito? Andammo all'appuntamento con il nostro potenziale sostenitore nel suo studio, pieni di speranza e sicuri che quella lunga attesa potesse voler dire soltanto che il nostro articolo era passato al vaglio dei due revisori richiesti dalla procedura. Invece, pochi minuti dopo l'inizio del colloquio, lo studioso cominciò a sputare veleno, e in un batter d'occhio la situazione precipitò.

278

Page 279: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«Recettori del virus, recettori del virus», tuonò, paonazzo in faccia, sputacchiando nella foga del discorso. «Nessuno, che io sappia, ha mai parlato del recettore di un virus!» Nel corso di una scena che si tramutò all'istante in un'incredibile replica del precedente incontro con Sabin, lo scienziato mise in chiaro che non era un virologo e non poteva assolutamente proporre l'articolo all'approvazione della rivista. Stavolta non versai lacrime di fronte all'ostilità che accoglieva il frutto dei nostri sforzi. Qualche ora dopo, quella stessa mattina, partimmo in macchina per il Nord, furiosi per avere sospeso ogni altra iniziativa nell'attesa, per scoprire poi che il nostro articolo non aveva fatto altro che raccogliere polvere per tutte quelle settimane. Ci fermammo una sola volta, per acquistare l'abito da sposa e il corredo nel centro commerciale White Flint, quindi arrivammo a Lyme con un giorno di anticipo per ottenere la licenza di matrimonio. Quando arrivammo in municipio, un funzionario ci informò in tono brusco che in quella cittadina era d'obbligo un intervallo di quattro giorni fra la richiesta della licenza di matrimonio e la sua concessione, e quella notizia ci fece sprofondare nel panico. Dovevamo forse andare avanti per la nostra strada, celebrando un matrimonio fittizio? Quel genere di farsa non ci attirava, specie perché avevo tanto desiderato che tutto fosse perfetto. Insistendo per ottenere la licenza, accennai al fatto che mio zio Bill Beebe era tesoriere municipale, e quella coincidenza fortuita consentì al funzionario, ormai del tutto solidale con noi, di aiutarci ad accelerare le pratiche con i superiori. Alla fine un giudice emise un editto speciale per risparmiarci quell'attesa, e lo zio Bill, che era direttore del coro della chiesa e musicista di talento, oltre che nostro salvatore, suonò all'organo Somewhere Over the Rainbow (Oltre l'arcobaleno), il tema musicale del film Il mago di Oz, mentre percorrevamo la navata della chiesa. Trascorremmo la luna di miele a Provincetown, all'estremità di Cape Cod, passeggiando in bicicletta sotto la pioggia. Fu un'estasi, un periodo di tregua di cui avevamo un gran bisogno, ma mentre giravo per le vie di quel centro abitato, da tempo prediletto dai gay, non potei fare a meno di notare tanti volti e corpi devastati dal male. La consapevolezza che avevamo un contributo da dare, una scoperta che poteva forse sfociare in una terapia

279

Page 280: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

per la loro malattia, se solo fossimo riusciti a superare il guado, costituiva per me una frustrazione immensa. Durante una corsa lungo le dune di sabbia, vedemmo un arcobaleno, immagine che era stata assunta anche dalla comunità gay come simbolo di orgoglio e unità, e mi sentii di nuovo incoraggiare nella ricerca. Mi parve che l'arcobaleno mi seguisse fin dall'inizio della mia carriera, e adesso fosse ancor più visibile, un simbolo per gli altri oltre che per me, un simbolo di coloro che potevano beneficiare del lavoro che stavo svolgendo. Al nostro ritorno, Fred si scusò per non essere riuscito a convincere il suo amico ad avallare il nostro progetto di pubblicare l'articolo in modo rapido e pulito; a parte questo, però, non aveva suggerimenti da offrirci. Come ho già accennato, il National Institute of Mental Health contava pochissimi soci dell'accademia: questo può sembrare strano per un'istituzione tanto prestigiosa, ma occorre dire che gli scienziati nutrono un pregiudizio inveterato nei confronti di psichiatri e psicologi, oltre che una spiccata riluttanza a riconoscere che le scienze comportamentali siano davvero scienze, e ammettono nel loro pantheon soltanto un numero ridottissimo di esponenti di quelle discipline. Quindi Fred aveva pochi contatti personali con l'accademia. Restammo avviliti per giorni e giorni, ma il nostro umore migliorò nettamente quando scoprimmo fra la posta un invito al ricevimento per il quarantesimo anniversario del NIMH, fissato per il 26 giugno 1986, e cioè la stessa data del mio quarantesimo compleanno! Il fatto che il National Institute of Mental Health fosse stato fondato per decreto del Congresso lo stesso giorno in cui ero nata mi ispirò la convinzione che la nascita dell'approccio neuroscientifico agli studi fosse allineata con la mia nascita, e questo mi infuse rinnovata fiducia. Inoltre quell'evento mi avrebbe offerto l'occasione di incontrare di nuovo il mio antico maestro, il dottor Sol Snyder, che da tempo faceva parte dell'accademia e che, forse, se si era scongelato abbastanza dopo l'incidente del premio Lasker, sarebbe potuto diventare un potenziale benefattore... l'arma segreta per far pubblicare il nostro articolo sulla rivista dell'accademia. Il ricevimento del NIMH si rivelò una festa in grande stile, con un sontuoso assortimento di cibarie e una quantità di premi da distribuire. Avvistai quasi

280

Page 281: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

subito Sol, approfittando della prima occasione utile per avvicinarlo. Fra noi si svolse la solita conversazione spicciola, tesa ma cordiale, almeno in superficie. Poi decisi di venire al punto, parlandogli dei problemi che incontravamo per pubblicare il nostro articolo. Lui mi ascoltò cortesemente, ma quando lo pregai di prenderne una copia, alzò le mani e indietreggiò, scuotendo la testa e proclamando di essere del tutto a digiuno di virologia, per cui non poteva assolutamente darne una valutazione. Restai lì da sola, imbarazzata e ferita, a meditare sul significato di quell'ultimo rifiuto. Se non fosse stato per il caso Lasker, credo che Sol avrebbe colto al volo l'occasione di aiutare la sua ex allieva a sviluppare un nuovo farmaco che sfruttava la teoria dei recettori, soprattutto perché era stato messo a punto in base all'analisi dei recettori che avevamo ideato insieme. Era un boccone amaro, ma dovevo accettare il fatto che le mie azioni passate mi erano costate l'appoggio di Sol in un momento in cui avrebbe costituito un fattore decisivo. Eppure, nonostante il rammarico, mi rendevo conto che, se non fossi stata costretta a lottare contro l'ostracismo e la calunnia, forse non mi sarei mai avviata nella direzione che mi aveva condotto alla scoperta del peptide T. Evidentemente, questa storia stava diventando qualcosa di più del consueto sforzo che si fa per ottenere la pubblicazione di un articolo controverso. Michael e io eravamo ormai a corto di idee sui potenziali sponsor del nostro articolo. Una sera, per distrarci da quella che speravamo fosse un'impasse temporanea, noleggiammo la videocassetta di Amadeus. Nel film, Mozart riceve le critiche di un collega, l'esperto di musica Salieri, che, geloso del suo genio, denigra la sua ultima composizione osservando che ci sono «troppe note». Ci venne in mente che il problema del nostro articolo sul peptide T era che aveva anch'esso «troppe note», per cui gli «esperti» finivano per trovarlo troppo dispersivo per essere comprensibile. La maggior parte degli articoli contiene al massimo un paio di fatti, consentendo agli autori di esporre i dati in lungo e in largo, pubblicando altri due o tre lavori sullo stesso tema. Nel nostro caso, invece, pensando che forse avremmo avuto soltanto quella possibilità, avevamo concentrato tutto in cinque pagine, adottando uno stile succinto ed efficace, e quindi l'articolo era troppo ricco di dettagli. Avevamo inserito nel testo anche l'illustrazione a colori della

281

Page 282: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

distribuzione dei recettori T4 nel cervello della scimmia, una breve descrizione del modo in cui eravamo riusciti a ricostruire la struttura molecolare del peptide T e alcune cifre che indicavano la capacità del farmaco di bloccare l'accesso del virus al recettore, come dimostravano gli esperimenti di legamento eseguiti da Michael e me, nonché gli esperimenti sulla capacità infettiva compiuti da Frank e Bill. Infine, e quello forse era l'aspetto più fastidioso per tutti i nostri colleghi, avevamo incluso una breve trattazione del modo in cui il peptide di sintesi poteva essere utilizzato come potente terapia antivirale per impedire al virus dell'HIV di penetrare nelle cellule. Il revisore che ci voleva era un tipo alla Mozart, per il quale l'eccesso di note non fosse un problema! Infine toccò a Carleton Gajdusek, un premio Nobel del National Institute of Stroke and Neurologica! Disease (Istituto nazionale per le ricerche sull'ictus e i disturbi neurologici), e cioè un accademico del National Institutes of Health, e non del National Institute of Mental Health, sbloccare la situazione, ottenendo la pubblicazione del nostro articolo su PNAS. Anche se il suo studio aveva sede nella sezione «centrale» del Palazzo, Gajdusek era un neurologo esperto di pediatria che si era specializzato in malattie del cervello, specie di natura virale. Michael conosceva quello stimato professore dai tempi in cui era studente, quando, durante una lezione che aveva tenuto come ospite, Gajdusek aveva incantato lui e i suoi compagni di corso con il racconto di una caccia ai virus nel Pacifico meridionale. Io non lo avevo mai incontrato di persona, ma stando a quello che sapevo era un genio asceso già ai vertici della scienza, uno studioso che non nutriva un particolare interesse per la competizione accanita legata all'AIDS e non aveva legami politici, quindi avrebbe accettato almeno di dare un'occhiata al nostro lavoro. Tirai un respiro profondo prima di sollevare il ricevitore del telefono. Quando Gajdusek rispose, gli spiegai chi ero, aggiungendo che avevo un articolo pronto e che avrei voluto sottoporglielo per una possibile pubblicazione su PNAS. Lui mi pose alcune domande concise ma brillanti sul contenuto dell'articolo, e poi, dopo un breve silenzio, rispose in tono fermo: «Sì, senz'altro. Mi indichi i nomi degli scienziati di sua conoscenza che sono

282

Page 283: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

in grado di capirlo e di esaminarlo per individuare eventuali errori. Io sto per partire, ma tornerò fra un paio di settimane». Espirai, finalmente. La conversazione era durata in tutto meno di mezz'ora. Come promesso, fece rivedere l'articolo e, quando il contenuto scientifico fu giudicato accettabile, lo propose per la pubblicazione. Ricevemmo l'annuncio della sua approvazione ufficiale meno di due settimane dopo la telefonata a Gajdusek; in settembre, a un mese di distanza dalla presentazione, l'articolo fu mandato in stampa, con una data di pubblicazione prevista per il mese di dicembre del 1986. Avevamo trovato il nostro Mozart e risolto il dilemma dell'articolo con troppe note.

Sperimentazione

A onore del Palazzo, va detto che solo in quell'ambiente sarebbe potuto nascere il peptide T. Soltanto a Palazzo esisteva una massa critica di denaro in abbondanza, menti brillanti e attrezzature sofisticate dell'ultima generazione, il tutto riunito nello stesso luogo. L'ironia della sorte consisteva nel fatto che il Palazzo, pur avendo dato la vita a un farmaco come il peptide T, non avrebbe mai fornito l'appoggio necessario per sperimentarne l'efficacia e metterlo al punto. I motivi di questo atteggiamento erano molti, di cui alcuni erano legati ai miei errori tattici e ai miei precedenti, altri invece erano il risultato della dura realtà che governava la politica del Palazzo e le scelte operate dal governo nella concessione dei finanziamenti. Alla base, però, c'era un dramma fondamentale, benché meno evidente, e cioè il passaggio dal vecchio al nuovo paradigma. Il peptide T, concepito da persone che credevano nell'unità corpo/mente, era figlio del nuovo paradigma distico, e questo costituiva un grosso problema per un ente di vaste proporzioni finanziato dallo Stato. Il paradigma dominante si atteneva saldamente alla linea che smentiva l'esistenza di qualunque connessione significativa fra mente e corpo in termini di salute e malattia. Il Palazzo, prodotto anch'esso di questo pensiero del vecchio paradigma, rispecchiava nella propria struttura interna

283

Page 284: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

quella scissione cartesiana: infatti il National Institute of Mental Health si occupava di tutto ciò che era al di sopra del collo, mentre il National Institutes of Health, più grande e più ricco di fondi, si occupava di tutto ciò che stava al di sotto. E sebbene vi fossero occasioni in cui i due gemelli si alleavano, queste costituivano l'eccezione, e non la regola: l’AIDS era una malattia del corpo, e quindi dovevano essere i ragazzi del NIH, che si occupavano del corpo, a trovare una cura. Il mio ingresso nell'arena dell'AIDS si volse in un certo senso in modo analogo alla mia precedente incursione nel mondo della ricerca sul cancro, quando non eravamo riusciti a convincere l'ambiente degli specialisti che la neuroscienza aveva qualcosa da offrire per lo sviluppo di terapie del cancro. Mi trovavo ancora una volta alle prese con la divisione (profondamente radicata nel pensiero teoretico) non solo fra corpo e mente, ma fra sistemi dell'organismo studiati separatamente. Solo che stavolta ottenni la collaborazione di altri scienziati, una squadra interdisciplinare che comprendeva alcuni fra i ricercatori più brillanti e più innovativi del Palazzo, molti dei quali erano disposti a correre dei rischi e a violare dei confini. Ora, però, giocavo in una serie di gran lunga superiore, in cui entravano in gioco problemi legati alla politica dei finanziamenti, del tutto estranei alla nostra esperienza precedente. Verso la ricerca sull'AIDS venivano convogliate enormi somme di denaro, e per avere una fetta della torta ci sarebbe servita la benevolenza di persone potenti in alto loco, mentre noi scoprimmo ben presto di non avere santi in paradiso.

Erano mesi che bussavo alla porta di Fred, nel tentativo di entrare per vederlo e discutere il passaggio del peptide T al livello successivo, cioè alla fase della sperimentazione clinica. Il sostegno di Fred al peptide T era stato incondizionato fino al momento della verità, che era venuto un sabato mattina di buon'ora, durante una riunione per la discussione del budget federale, quando il direttore dell'Institute of Allergy and Infectious Diseases (Istituto per le malattie allergiche e infettive) aveva ritirato dalle tasche di Fred circa undici milioni di dollari già versati al NIMH. La motivazione di quell'improvvisa revoca di fondi, lo informò il direttore, era che la messa a punto di terapie antivirali contro l’AIDS non era affare del

284

Page 285: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

NIMH, e senza dubbio Fred non aveva bisogno di tutto quel denaro per inseguire una chimera come il peptide T. E da allora Fred mi evitava, perché sapeva già quello che io avrei appreso soltanto in seguito, cioè che il NIH e l'Istituto per la ricerca contro il cancro avevano già il loro candidato per la cura dell'AIDS, un farmaco estremamente tossico e convenzionale, ma promettente, che si chiamava AZT. Avevano già riservato i posti letto del centro clinico per le prove cliniche in programma, e non era rimasto un angolino libero per nessuno, neppure in caso di vita o di morte. L'AZT era un farmaco chemioterapico, usato in origine per il cancro negli anni '60, che agiva impedendo il riprodursi del virus. Tuttavia il prezzo da pagare per ottenere quel beneficio era molto alto: l'AZT minava la salute del paziente distruggendo non soltanto il virus, ma anche le cellule sane, in particolare quelle del sistema immunitario. I relativi effetti collaterali, ovvero tossici, erano a volte molto gravi, anche se alcuni pazienti li sopportavano meglio di altri. L'AZT si mostrava promettente per la capacità di contrastare i sintomi dell'AIDS e assicurare ai pazienti tempo prezioso, ma non si poteva considerare una «cura», dato che, con un processo simile a quello che si verifica quando si adotta la chemioterapia per combattere il cancro, fa sì che il virus attaccato sviluppi alla fine una forma di resistenza, per cui di solito la malattia è recidivante. Ignara del fatto che il Palazzo aveva deciso di concentrare tutte le sue energie sull'AZT, continuai a muovere le mie pedine, tentando di scoprire con chi dovevo parlare e quali moduli dovevo compilare per poter accedere al livello superiore, come richiedeva la logica della ricerca, ma senza riuscire a cavare un ragno dal buco. Col senno di poi, mi rendo conto che, nella fretta di entrare in modo rapido e pulito nell'arena della ricerca sul corpo, avevo trascurato di procurarmi dei favori a corte. Forse avrei dovuto fare il giro degli alti papaveri della ricerca sull'AIDS che lavoravano al NIH, presentandomi con il cappello in mano per farmi aiutare a pubblicare l'articolo. Invece avevo pensato che, prima l'articolo andava in stampa, prima avremmo potuto cominciare la sperimentazione sui pazienti con il nuovo farmaco, e non volevo perdere tempo a lusingare quello che giudicavo l’ego maschile dei dirigenti dell'istituto.

285

Page 286: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Com'ero ingenua! E arrogante, per giunta! Chi ero io, se non una ricercatrice di laboratorio, sia pure esperta, ignara del fatto che la sperimentazione di un nuovo farmaco era il momento di gloria, la sera della prima, per la maggior parte degli scienziati, mentre io non avevo neanche letto il copione? Entrando con imbarazzo su un palcoscenico in cui i protagonisti stavano per sedersi a tavola a spartirsi la torta - perché tale si preannunciava lo stanziamento per la ricerca sull'AIDS - interpretavo chiaramente la parte dell'intrusa. È comprensibile, a ripensarci, che la comparsa del peptide T, piovuto dal cielo all'improvviso, non fosse accolto con entusiasmo. Fino a quel momento, in circa dodici anni di carriera a Palazzo, prima Biff e poi Fred mi avevano risparmiato lo squallore e la ferocia del processo politico che sfociava nella distribuzione dei fondi governativi fra gli istituti competenti del NIH e del NIMH. A volte Fred mi aveva pregato di esibirmi, in occasione delle visite di assistenti del Congresso, inscenando un numero con le mie coloratissime diapositive dei recettori cerebrali, ma a parte quello mi aveva lasciato fare ricerca in pace, finché ero diventata una scienziata a tempo pieno, con la testa fra le nuvole, del tutto priva di senso pratico, indifferente ai problemi finanziari e buona solo a fare scoperte sensazionali. Mi ero aggirata senza pensieri per i corridoi e gli edifici del Palazzo, diventando poliglotta, assorbendo tutta la scienza che vi si respirava, parlando, ascoltando, osservando, tutta presa dall'avverarsi del sogno di un paradiso scientifico in terra. Ora, però, cercavo di entrare in un campo da gioco del tutto diverso. Le prove cliniche comportano una spesa di alcuni milioni di dollari, il futuro di intere società, lo scontro di molte individualità, di solito maschili, la necessità di sapersi orientare nel labirinto intricato della Food and Drugs Administration e un intuito politico che era del tutto estraneo al mio stile franco e onesto, che consisteva nel dire tutto in faccia. Non ero neppure medico, e i responsabili delle prove cliniche sono quasi sempre dottori in medicina, almeno formalmente. Ero del tutto impreparata a gestire quel tipo di trattative, molto concrete sul piano finanziario, che pure erano necessario, se volevo avere una speranza di esercitare un impatto diretto sulla salute. Come già in passato, quando il direttore del laboratorio per le ricerche sul cancro aveva pensato che volessi invadere il suo terreno, stavo

286

Page 287: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cercando di forzare i confini tradizionali del mio mondo senza capire quanto fossero rigide le linee di demarcazione, e come si sentissero minacciati gli altri quando qualcuno faceva un tentativo per superarle.

Dimissioni

Il colpo finale venne nel giugno del 1987, quando un ricercatore di Harvard che aveva legami con una società biotecnologica privata annunciò, durante la relazione presentata a un convegno importante, che il peptide T non poteva risultare efficace come cura contro l’AIDS e non doveva essere testato. Per non mostrarsi troppo parziale, concluse la relazione mostrando in fretta tre diapositive sul peptide T, prima di spiegare che lui e alcuni colleghi del NIH non erano riusciti a replicarne gli effetti antivirali negli esperimenti in vitro. L'effetto fu quello di un secchio d'acqua gelida che ti arriva in faccia proprio mentre ti stai svegliando da un lungo e confortevole sonnellino. Michael e io scattammo subito sul chi vive. L'impossibilità di replicare era l'equivalente scientifico del bacio della morte! Erano bastate poche parole pronunciate da un cosiddetto esperto, il quale sosteneva che lui e i suoi colleghi non erano riusciti a replicare il nostro esperimento, e il peptide T era già morto e sepolto, prima ancora di potersi presentare in scena. La stampa, che era stata invitata al convegno, si gettò sulla notizia, riportandola nei titoli delle edizioni serali: «Nuovo farmaco anti-AIDS morde la polvere», annunciava uno. «Gli esperti affermano che il promettente farmaco messo a punto contro l’AIDS non funziona», proclamava un altro. Inizialmente, accantonando lo shock e la confusione, decidemmo di considerarlo un dissenso di carattere scientifico. Prima formulammo le domande più ovvie: come mai nessuno ci aveva chiamati o aveva percorso le poche centinaia di metri che ci separavano, da un lato all'altro del cortile, per informarci dei risultati raggiunti? E cos'era stato, esattamente, a farli pronunciare in senso negativo? Le obiezioni, saltò fuori, riguardavano la

287

Page 288: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

nostra affermazione che il peptide T bloccava lo sviluppo del virus HIV in provetta: ma più gli altri insistevamo, meno riuscivamo a capire, finché non ci balenò alla mente che forse gli esperimenti non erano stati condotti in modo corretto. Quando riuscimmo finalmente a esaminare i dati, scoprimmo che gli altri laboratori non avevano seguito da vicino i nostri passi. Avevano aumentato la concentrazione del virus in ragione di centomila, mantenendo invece la concentrazione del peptide T al livello usato da noi. Inoltre avevano utilizzato colture del virus «adattate in laboratorio», e non quelle isolate di fresco che Frank ci aveva procurato, ricavandole dal sangue prelevato direttamente dalle vene dei malati di AIDS. Come poteva essere successo? La sentenza era frutto di un semplice errore insito nella cecità dettata dall'aderenza al vecchio paradigma, che rendeva impossibile un approccio privo di pregiudizi, oppure (e quella era un'eventualità più inquietante) si trattava di un rozzo piano per eliminare dalla gara un concorrente insidioso, e quindi una potenziale minaccia per i finanziamenti? O forse erano ancora gli strascichi del caso Lasky che tornavano a perseguitarmi? Non sono in grado di dirlo. Una cosa, comunque, so per certo, ed è che quel battage pubblicitario equivalse a una sentenza di morte per ogni ulteriore sviluppo del peptide T fra le mura del Palazzo. Soltanto dopo che alcuni degli approcci preferiti dagli esperti furono falliti e la tecnologia ebbe compiuto progressi sufficienti per portare alla luce i limiti di molti metodi usati nel 1985, la ricerca dei recettori dei virus e dei loro leganti naturali sarebbe stata ripresa, ma a distanza di circa dieci anni. Per il momento, dovevo affrontare la dura realtà che, per poter portare avanti lo sviluppo di quel figlio del nuovo paradigma, sarebbe stato necessario guardare in una direzione diversa da quella del governo degli Stati Uniti. Proprio mentre eravamo in disgrazia, immersi nello scoraggiamento e nel disgusto, ci arrivò una telefonata molto promettente. A chiamarci era un avvocato rampante, avviato a una rapida ascesa nel campo biotecnologico, che era stato informato della nostra situazione dalla moglie, una scienziata che lavorava al National Institutes of Health, e si sentiva in dovere di intervenire. «Parlo con la dottoressa Pert?» esordì. «Abbiamo sentito dire

288

Page 289: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

che lei ha una cura miracolosa contro l’AIDS che il governo non intende sviluppare. E vero?» Proseguì fornendo i dettagli di una proposta che, a suo parere, ci avrebbe resi tutti ricchi. In una mano, teneva un investitore privato multimiliardario e il suo gruppo di facoltosi finanziatori, nell'altra la seconda società farmaceutica del globo, che guarda caso stava lanciando una campagna acquisti alla ricerca di qualche nuovo prodotto da aggiungere alla sua linea contro l’AIDS. Ovviamente l'industria farmaceutica aveva testato il peptide T nei suoi laboratori, ripetendo i nostri esperimenti e verificandone l'accuratezza al cento per cento. Bastava che dicessimo una sola parola, prometteva il nostro salvatore, e lui avrebbe unito quelle mani in una stretta che sanciva l'affare, mettendo a nostra disposizione tutto ciò di cui avevamo bisogno per sperimentare e perfezionare il nostro farmaco.

Nell'agosto del 1987, un anno dopo che Gajdusek aveva sottoposto il nostro controverso articolo alla rivista PNAS, rassegnai le dimissioni. Rispettando il protocollo in vigore al NIMH, m'incontrai con l'avvocato all'entrata dell'Edificio 10 e prendemmo l'ascensore fino allo studio di Fred, dove avrei dovuto compilare il modulo 52. Con aria sbrigativa, la segretaria porse i documenti a Fred, che li passò al mio avvocato, il quale li consegnò a me. Firmando sulla linea tratteggiata, rinunciavo a una posizione sicura e lasciavo la situazione migliore che esista in assoluto nell'ambiente scientifico, la possibilità di lavorare al National Institutes of Health: eppure non ebbi neanche un attimo di esitazione. Ero così decisa a portare avanti il peptide T che, se anche mio padre buon'anima mi fosse apparso per supplicarmi di ripensarci, avrei ignorato i suoi desideri, allontanandomi senza neanche voltarmi indietro.

289

Page 290: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

11Tagliarsi i ponti alle spalle per

ritrovarsi

Primavera a Washington, D.C.! La città è avvolta in una nuvola di fiori di ciliegio bianchi e rosa e l'atmosfera è satura di euforia, mentre la costa atlantica emerge dall'inverno 1995-96, il peggiore del secolo. Per settimane e settimane siamo rimasti sepolti sotto montagne di neve, senza poter uscire di casa per andare in ufficio o condurre una parvenza qualsiasi di normale vita quotidiana. Invece oggi, che è il lunedì di Pasqua, ho notato che i narcisi sul prato di fronte alla nostra casa hanno cominciato a sbocciare, sia pure con qualche settimana di ritardo sul normale. Mi sento rincuorata, anche se il bollettino meteorologico trasmesso dalla televisione questa mattina presto ha gettato un'ombra sulla giornata, prevedendo la possibilità incredibile che ci investa una nuova ondata di nevicate. Dal mio studio nella facoltà di medicina dell'università di Georgetown, dove attualmente occupo il posto di responsabile della ricerca, telefono al dottor Wayne Jonas, appena nominato direttore dell'Office of Alternative Medicine (OAM), o Ufficio per la medicina alternativa, che fa parte del National Institute of Health. Il mio intento è fissare un appuntamento con lui per fargli una visita, da tempo dovuta, in segno di speranza e di un nuovo inizio. L'OAM è stato creato quattro anni fa dal NIH per indagare su molte delle terapie e pratiche alternative (fra le quali agopuntura, omeopatia, tecniche di manipolazione come la chiropratica e il massaggio, visualizzazione e biofeedback) che nel corso

290

Page 291: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

degli ultimi dieci anni hanno acquisito una rilevanza tale che gli ambienti ufficiali non possono più permettersi di ignorarle. La creazione dell'OAM è un segnale che il NIH comincia finalmente a mettersi al passo con l'opinione pubblica americana, perfettamente al corrente dei benefici della medicina alternativa, come dimostra una ricerca condotta a Harvard da David Eisenberg. In un articolo pubblicato sul numero del 28 gennaio 1996 del New England Journal of Medicine, Eisenberg ha rivelato che un americano su tre ha fatto ricorso almeno una volta, nel corso del precedente anno, a una terapia non convenzionale, spendendo in totale tredici miliardi e settecento milioni di dollari, tre quarti dei quali sono usciti dalle tasche dei cittadini, e non delle assicurazioni mediche. La ricerca ha indotto alcune delle compagnie assicurative minori a includere nelle polizze le terapie alternative, ma la maggioranza delle società non offre ancora una copertura del genere. Anche i media, a quanto pare, hanno «scoperto» la medicina alternativa, come risulta da una raffica di articoli e trasmissioni televisive sull'argomento, soprattutto nell'ultimo anno. Un articolo sul Washingtonian, dedicato al mio amico dottor Jim Gordon, psichiatra e professore associato a Georgetown, che esalta il valore della preghiera, dello yoga e della dieta a base di succhi, ha portato alla luce il crescente numero di medici locali che, pur essendo esponenti della medicina ufficiale, combinano le terapie alternative con altri trattamenti allopatici, di stampo più prettamente orientale. L'articolo ha attirato l'attenzione di molti parlamentari: un segno promettente, visto che sono loro a tenere i cordoni della borsa per tutte le ricerche svolte al National Institutes of Health. Comunque mi domando ancora se tutta questa pubblicità non abbia contribuito alla violenta reazione in senso opposto che ho captato parlando con qualcuno dei miei ex colleghi a Palazzo. Negli ultimi tempi pare che abbiano paura di discutere qualsiasi possibile implicazione delle loro ricerche volta a migliorare la comprensione dei meccanismi della medicina alternativa. Si direbbe, almeno dal punto di vista di chi sta all'interno del Palazzo, che, mentre l'opinione pubblica si pasce di promettenti rapporti sui progressi della medicina alternativa, per l'Office of Alternative

291

Page 292: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Medicine diventi sempre più difficile farsi accettare nell'ambiente fieramente ostile che regna al NIH. Quindi resto molto sorpresa quando la segretaria che risponde alla mia telefonata mi fornisce l'indirizzo: Edificio 31, nel campus del NIH. Meno di un anno fa, la sede dell'OAM era al di fuori del campus, volutamente esclusa dalle mura del Palazzo per timore che la sua sola presenza potesse in qualche modo inquinare la purezza della «vera» scienza che veniva praticata dagli scienziati ufficiali nel loro terreno sacro. Questo trasferimento sembra un segnale promettente dei progressi compiuti dall'ente, sorto da poco, nel farsi accettare in certi ambienti, e forse un giorno il suo bilancio esiguo, che attualmente costituisce meno di un decimo dell'uno per cento del budget complessivo del NIH, potrebbe aumentare, ammesso che il consenso continui a crescere. Sento nell'aria un gelo familiare, mentre percorro m macchina le vie di Bethesda orlate di ciliegi in fiore per raggiungere il NIH, decisa a compiere la mia missione, che consiste nel fare tutto il possibile perché l'OAM consolidi la sua posizione ali interno del NIH. Per la precisione, ho alcune idee sul modo per superare il gap della ricerca, espressione che uso per definire la mancanza di ricerche di laboratorio di base, volte alla raccolta di dati, nel campo delle terapie alternative. A mio parere, questo è il tassello mancante che mi sembra necessario per legittimare metodi che ancora oggi sono vistosamente penalizzati. In qualità di presidente di una sezione di ricerca dell'OAM sulla medicina mente-corpo, nomina che ho accettato su richiesta del precedente direttore, Joe Jacobs, ho avuto l'opportunità di esaminare molti studi nel campo della medicina alternativa, imbattendomi in dati validi, in certi casi altrettanto solidi della documentazione presentata negli ambienti della medicina tradizionale, a riprova del fatto che la mente e le emozioni possono influire sul sistema immunitario. L'esperienza mi ha indotto a sollevare un interrogativo importante: se sappiamo che pensieri e sensazioni possono influenzare le malattie, per quale motivo non svolgiamo ricerche più estese per accertare a quali malattie si applicano meglio queste modalità, e non compiamo gli esperimenti che potrebbero portarci a fornire delle risposte e delle possibili cure? La visualizzazione guidata è

292

Page 293: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

stata una delle modalità sulle quali, con mia grande sorpresa, ho trovato studi che dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio la sua possibile influenza sulla percentuale di recupero nei pazienti affetti da cancro. Perché, allora, questi studi non sono stati ripresi e approfonditi? L'agopuntura è un altro metodo che sembra molto promettente, sebbene sia stata liquidata con sufficienza perché la dottrina dei punti e dei meridiani, elaborata in oltre cinquemila anni di medicina empirica, non corrisponde a nessuno dei concetti dell'anatomia occidentale. D'altra parte, l'assenza di prove non e una prova dell'assenza di risultati. Dal mio punto di vista, i meridiani potrebbero essere i percorsi seguiti dalle cellule immunitarie nel loro movimento in alto e in basso lungo un'autostrada anatomica, scoperta a cui potrebbe mancare solo un esperimento per averne la conferma. Le cellule dell'epidermide contenenti peptidi, chiamate cellule di Langerhans, potrebbero fornire l'indizio decisivo, ma nessuno ha mai preso in esame la loro distribuzione. Sono le preferenze dei finanziatori a determinare la scelta delle aree di ricerca, e l'agopuntura non è in vetta alla lista dei possibili candidati ai fondi per la ricerca, come del resto in passato. Molti ricercatori ufficiali si rifiutano ancora di credere che l'agopuntura abbia una sua validità, proprio come una volta non credevano nell'esistenza del recettore degli oppiacei, prima che un semplice metodo di laboratorio ci consentisse di misurarlo. Arrivata in anticipo per l'appuntamento, che è fissato per l'una, attendo in un settore separato, leggendo il gradevole opuscolo dell'OAM che trovo sul tavolino. Noto che la nuova definizione recita testualmente «medicina complementare e alternativa», e si prevede di modificare in questo senso la denominazione dell'ufficio. Approvo il cambiamento. Il termine «alternativa» è troppo legato al concetto di confronto e implica una mentalità da «o noi o loro», come se uno soltanto dei contendenti potesse sopravvivere, mentre l'altro deve morire. E un genere di contrapposizione che non funziona troppo bene nella scienza ufficiale, come risulta evidente da una lunga storia di resistenza alle idee nuove.

293

Page 294: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Nelle mie conferenze, a volte sottolineo quanto sia difficile per le nuove idee conquistarsi uno spazio nel campo della medicina, riferendo quanto accadde al medico ungherese Ignaz Semmelweis negli anni successivi al 1840. Esercitando la professione in un reparto di ostetricia a Vienna, si accorse che fra le donne delle classi povere, che usufruivano dell'assistenza di levatrici dell'ospedale, le vittime della fatale febbre puerperale erano infinitamente meno numerose che fra le donne ricche, assistite dai medici, e si rese conto che la differenza era dovuta al fatto che i medici non si lavavano le mani prima di visitarle. Poiché si attenevano a un programma quotidiano che li costringeva a passare direttamente dall'obitorio, dove svolgevano ricerche, alla corsia di ostetricia, dove facevano le visite, spesso i medici visitavano le pazienti con le mani ancora coperte di sangue e germi dei cadaveri. Il fatto è che allora nessuno sapeva dell'esistenza dei germi; anzi, i medici si facevano un vanto di avere il camice bianco costellato di macchie di sangue, segno che avevano appena eseguito delle ricerche e quindi erano degni del massimo rispetto. A titolo sperimentale, Semmelweis provò a lavarsi le mani prima di visitare le pazienti, col risultato che le sue assistite non si ammalavano più di febbre puerperale. Ma quando implorò i colleghi di imitare il suo esempio, quelli lo derisero sbuffando, senza prestare attenzione a un'idea in apparenza così oltraggiosa per loro. Infine, nel 1862, nel disperato tentativo di dimostrare la validità della sua tesi, Semmelweis si tagliò un dito prima di immergere la mano nel ventre aperto di un cadavere, con il risultato che contrasse una febbre e morì nel giro di pochi giorni; almeno, così vuole una versione della sua prematura scomparsa. Eppure nulla cambiò. Il mondo non era pronto ad agire in base alle osservazioni di Semmelweis, nonostante le ampie prove esistenti della loro validità, perché in mancanza di una dimostrazione dell'esistenza dei germi quelle osservazioni sembravano prive di fondamento. Soltanto con l'avvento della teoria dei germi, basata sulle ricerche di Louis Pasteur e sulla campagna di Joseph Lister, finalmente, negli anni '80 del secolo scorso, i medici riluttanti furono costretti a seguire nuove regole di igiene e precauzioni antisettiche. Se si pensa a quanto è costata, in termini di vite umane, quella cieca resistenza ci sembra un delitto imperdonabile,

294

Page 295: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

eppure la storia dimostra che quel genere di ignoranza è tuttora la regola. Ancora negli anni '50, alcuni professori insegnavano agli studenti di medicina che la sifilide era curabile con l'arsenico, una credenza arcaica, che risaliva agli inizi del secolo e che ormai ha seguito da tempo le sorti del salasso. Eppure le vecchie idee sono dure a morire, e anche di fronte a un rimedio prodigioso come la penicillina per la terapia delle malattie veneree, o semplice come l'idea di lavarsi le mani prima di toccare i pazienti, le idee nuove incontrano una resistenza che va al di là di tutti i confini logici e razionali. Al giorno d'oggi, si potrebbe istituire un parallelo con la medicina alternativa e il suo tema dominante che la mente e le emozioni influiscono in modo diretto sulla salute e sulla malattia. Non è detto che abbracciare le nuove concezioni rappresenti una minaccia per l'establishment: anzi, può farlo progredire, migliorare la medicina moderna e renderla più capace di svolgere la propria missione, che è curare le malattie. Usare il termine «complementare», anziché «alternativa», sarebbe più esatto e più produttivo in senso politico.

Neve e fiori di ciliegio

Interrompendo le mie riflessioni, Wayne Jonas sbircia al di sopra della parete divisoria che isola la sala d'attesa nell'Office of Alternative Medicine. Quando mi accompagna nel suo studio, noto subito quanto sia spazioso e quanto sia prestigiosa la vista che si gode dall'ampia fila di finestre: sono entrambi segni che oggigiorno l'OAM può contare su qualche santo in paradiso. Fuori è ripreso a nevicare, e fiocchi bianchi ricoprono di un manto soffice gli alberi di ciliegio che punteggiano il campus del NIH, nascondendo quasi del tutto i fiori. Wayne, un tipo senz'altro politicamente corretto, mi offre una tisana alla camomilla, e cominciamo a parlare proprio mentre la nevicata attacca un crescendo che la trasforma in breve in una cortina di un bagliore accecante. Gli confido che da molto tempo desidero vedere avviato nel NIH un programma che svolga le ricerche essenziali per fondare su basi certe la scienza del nuovo

295

Page 296: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

paradigma. Soltanto a livello di laboratorio, dove si fanno le scoperte importanti che vengono legittimate, dove si definiscono i sistemi di fede e si forgiano i paradigmi, può esistere un autentico rapporto di interfaccia fra lo scienziato tradizionale e i metodi alternativi. Per esempio, terapeuti di ogni sorta, dalle infermiere che praticano il cosiddetto tocco terapeutico ai chiropratici olistici che eseguono manipolazioni, affermano di «sentire» energie sottili in movimento nel corpo dei pazienti. La mia impressione personale è che queste emanazioni energetiche siano create dai leganti che si uniscono ai recettori del corpo, eseguendo la loro complessa danza, accompagnata da una nota costante. In ogni caso, queste energie non sono state misurate in modo convincente da congegni oggettivi, anche se alcuni fisici si sono sforzati di ideare mezzi più sensibili per la misurazione di eventi quantici. Perché non pensare che il NIH possa finanziare ricerche in questo senso, o misurando il campo energetico del corpo, o studiando in che modo i guaritori che usano l'energia riescono a influenzare questo flusso, magari col ricorrere alla propria energia personale per azionare i recettori, così come l'energia elettromagnetica attiva i neuroni? Wayne Jonas si dichiara d'accordo con me sulla necessità di svolgere ricerche di base e, con un esempio incredibile di sincronicità, mi riferisce che proprio il giorno prima ha presentato il progetto di un programma di ricerca interno all'ente, in occasione di una riunione di direttori d'istituto del NIH. Questa è una notizia meravigliosa, e se riuscirà a realizzarlo sarà un progresso straordinario, perché finora l'OAM ha concentrato il suo ridottissimo budget su attività esterne, cioè programmi istituiti in università che svolgono ricerche sulla medicina alternativa, il che significa che centinaia di persone si accapigliano per contendersi fondi esigui in atenei come l'università del Maryland. Un programma interno al NIH costituirebbe una svolta radicale. Gli scienziati assunti dall'OAM dovrebbero lavorare nei laboratori posti nel campus del NIH, e il motivo di attrazione consisterebbe nel fatto che il loro incarico sarebbe finanziato, cosa rara di questi tempi al NIH.

296

Page 297: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Sarebbe anche un grande passo avanti per avviare la medicina alternativa su un cammino scientifico serio. Per tradizione, la ricerca scientifica si divide in due settori, ricerca clinica e ricerca di base. La ricerca clinica riguarda in prevalenza esseri umani che partecipano a sperimentazioni cliniche, in cui si pongono interrogativi molto specifici e pratici: questo farmaco funziona? Questa manipolazione è efficace? In altri termini, le persone fungono da cavie di laboratorio. Questi non sono esperimenti facili da compiere, perché costano milioni di dollari e sollevano spesso seri problemi etici che possono in apparenza ostacolare il cammino del progresso. Per contrasto, nella ricerca di base si formulano interrogativi diversi, che non necessariamente sfociano in risultati pratici. Gli scienziati di base non sanno mai dove porteranno i loro esperimenti, e s'innervosiscono quando si sentono chiedere che cosa significa il loro lavoro. Infatti, anche se ovviamente sperano di rendere possibili delle grandi scoperte mediche, concepiscono il loro ruolo come quello di addetti al montaggio di una miriade di pezzi minuscoli di un enorme puzzle, che a un certo punto, in futuro, consentirà di vedere con chiarezza il quadro completo. Wayne e io condividiamo un notevole apprezzamento per la ricerca scientifica di base, e saremmo entrambi lieti di vedere il Congresso finanziare il NIH perché incrementi il lavoro in questo campo, dedicandone almeno una parte alla medicina alternativa. Ci congediamo su questa nota di accordo, e mi offro di contribuire in tutti i modi all'avvio di un programma interno che possa cominciare a partire da quest'anno. Non nevica più. Mentre raggiungo l'auto, nell'aria insolitamente gelida, mi sento rincuorata dalle nuove possibilità che si schiudono per la scienza al NIH. Neve e fiori di ciliegio, penso, un binomio improbabile quanto l'abbinamento fra il Palazzo e il movimento per la medicina alternativa, eppure siamo qui, ed è una sintesi che sembra chiudere il cerchio, confermando che la direzione che ho seguito fin dall'inizio è quella giusta, la sola che possa condurci a una scienza più vasta, più onnicomprensiva, più veritiera.

297

Page 298: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Ascesa e caduta

Nel 1987 lasciai il Palazzo e, insieme con mio marito Michael Ruff, m'imbarcai in un'impresa commerciale per mettere a punto il nostro farmaco contro l’AIDS, il peptide T. Il giorno in cui firmai i moduli per rassegnare le dimissioni dal NIH, viaggiai per la prima volta in vita mia a bordo di una limousine con autista per raggiungere lo studio dell'avvocato. La limousine mi aspettava davanti all'Edificio 10, con il bar fornito di champagne. Mentre eravamo diretti verso il suo studio, l'avvocato fece una telefonata alla seconda industria farmaceutica del globo per comunicare che la trattativa era quasi conclusa. Poco dopo ne informò anche i finanziatori privati, tutti ricchi industriali della terza generazione; il personaggio chiave, un aristocratico multimiliardario, era uno dei maggiori capitalisti del mondo nel settore biomedico. I finanziatori ci offrirono un contratto da sei milioni di dollari per sostenere le ricerche e la messa a punto di nuovi tarmaci a base di peptidi da immettere sul mercato, un progetto ideale per noi, grazie alla tecnologia avanzata che avevamo perfezionato nel campo dei recettori, mentre il peptide T veniva posto sotto l'egida di un'istituzione per la ricerca medica senza fini di lucro, che battezzammo Integra. La seconda industria farmaceutica del globo era responsabile dell'organizzazione della seconda fase, consistente nella sperimentazione clinica sul peptide T, compito che veniva affidato alla società, mentre noi avremmo messo a punto altri farmaci a base di peptidi; o almeno, così ci fu detto che sarebbero andate le cose. Sapevo che le prove cliniche avrebbero riscattato il peptide T dalle critiche. Mentre lavoravo ancora al NIH, ne avevo inviato un campione al dottor Lennert Wetterberg, capo del dipartimento di psichiatria del Karolinska Institute, in Svezia. Al Karolinska vige la regola che il capo di un dipartimento può, come sua prerogativa, somministrare un nuovo farmaco a pazienti affetti da una malattia letale anche prima che il farmaco stesso venga testato. Per pura compassione, Wetterberg somministrò il peptide T a quattro malati in fase terminale: la TAC indicò

298

Page 299: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

dei miglioramenti nelle anomalie attribuite all'AIDS, e tutt'e quattro i pazienti mostrarono una ripresa incredibile per quanto riguardava le varie patologie legate alla malattia. Il problema era che non sapevo un'acca di affari. Michael e io, due persone alle quali per tutta la carriera era stato risparmiato il compito di occuparsi di fondi e budget, ci ritrovammo di colpo a capo di un'impresa bioscientifica del valore di molti milioni di dollari. Un primo confronto con la realtà venne quando gli investitori stipularono a nostro nome polizze di assicurazione per un milione di dollari, circondandoci di tutti gli agi tipici del settore privato: segretarie competenti ed eleganti, telefono in macchina, biglietti da visita con tanto di titoli come presidente e vice presidente, un consiglio di amministrazione al quale dovevamo rispondere, ma che non aveva potere di controllo. Non avevamo mai giocato in prima serie, e commettemmo una serie di errori. Uno dei primi riguardò la nostra insistenza per ottenere un laboratorio fantascientifico e futuribile, l'unico punto «non trattabile » del contratto. Si era negli anni '80, e tutta l'impresa sembrava in effetti l'avverarsi di un sogno biotecnologico. La ciliegina sulla torta fu un laboratorio estremamente sofisticato, che battezzammo «Progetto peptide». Ci vollero mesi interi solo per mettere a punto i dettagli: pareti rosa e colonne d'acciaio azzurrino, una costosa illuminazione high-tech, lucernari a volta e file su file di banchi da esperimenti di colore viola. L'edificio era contrassegnato da una favolosa insegna al neon con la scritta «Progetto peptide», realizzata in base al logo disegnato da me ed eseguita da un artista del neon locale. Ero stata contagiata dalla smania del laboratorio quando, in occasione di un viaggio sulla costa del Pacifico, avevo visitato il laboratorio dello scienziato di Seattle che era riuscito a replicare esattamente i nostri esperimenti con il peptide T, fornendo la prova concreta che aveva indotto la seconda industria farmaceutica del globo a scrivere i nostri nomi sul suo libro paga. In quel laboratorio regnava un'atmosfera molto sexy, con linee filanti e sofisticate in un raffinato beige e nero - esattamente l'opposto dei laboratori federali, che sono squallidi e convenzionali, tutti di un anonimo grigioverde - e la costruzione stessa era appollaiata su una collina

299

Page 300: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

che godeva di una vista spettacolare, con i traghetti che attraversavano il Puget Sound in entrambe le direzioni. Molti anni prima avevo visto il laboratorio del Salk Institute, situato nei pressi di San Diego, che di notte sorgeva dalla spiaggia come una luminosa cattedrale della scienza, e da allora sapevo che un giorno avrei avuto anch'io uno splendido laboratorio in cui lavorare, ispirata dall'ambiente stesso. Per mandare avanti quel laboratorio fantascientifico ingaggiammo una squadra di sogno: dodici brillanti scienziati, per lo più giovani, fra cui alcune donne brillanti e risolute con le quali avevo lavorato al NIH, ma di cui sapevo che, per quanto brillanti fossero, non avrebbero mai ottenuto un posto fisso di responsabili della ricerca. Una volta completato il laboratorio, organizzammo un grande ricevimento inaugurale, incoraggiati in questo senso dai nostri finanziatori, che speravano così di suscitare un grande scalpore proprio alle porte del Palazzo, per attirare qualche talento verso i territori privati della biotecnologia. Io adoro organizzare feste, e quindi mi dedicai a progettarla con entusiasmo, abbozzando personalmente il disegno degli inviti e ordinando decorazioni e buffet senza badare a spese. Come data per il ricevimento scelsi l’8/8/88, considerandolo un giorno carico di significati simbolici, dato che la ripetizione di questo numero è un indice di prosperità per i cinesi e anche una rappresentazione grafica dell'infinito. Tuttavia quella decisione causò un certo scompiglio, perché un componente del consiglio di amministrazione, oltre che nostro finanziatore, dovette tornare in aereo insieme con il suo avvocato dall'isoletta privata che possedeva nel Maine, proprio nel bel mezzo del mese di agosto. Un altro consigliere di amministrazione rimase sconcertato dalla cerimonia di inaugurazione che avevo ideato, con il taglio di un nastro che aveva i colori dell'arcobaleno, e dai temi quasi mistici della festa, soprattutto quando lo pregai di tagliare il nastro arcobaleno annunciando: «In questo momento sono le otto, otto minuti e otto secondi dell'otto, otto, ottantotto», per dare inizio ai festeggiamenti. Non appena ci videro insediati nel laboratorio del Progetto peptide, i finanziatori, convinti che il peptide T fosse già a punto tranne che per la sperimentazione clinica (di competenza della società farmaceutica),

300

Page 301: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cominciarono a fare pressioni su di noi perché presentassimo qualche altro prodotto pronto per il mercato. Comunque in quel periodo iniziale riuscimmo a svolgere una parte importante della ricerca sul peptide T, che ci permise di capire meglio in che modo il virus dell'HIV agisse nell'AIDS. Ora ci rendevamo conto che, una volta entrato nella cellula, il virus veniva replicato dal DNA della cellula stessa, e frammenti del suo involucro virale proteico, gp120 venivano espulsi nello spazio extracellulare, legando con uno o più recettori di altre cellule dell'organismo. Questi frammenti di gp120

occupando i siti dei recettori, bloccavano l'accesso alla cellula dei peptidi naturali prodotti dall'organismo, cioè delle sostanze fatte apposta per adattarsi a quel particolare recettore. La prima delle sostanze naturali che riuscimmo a identificare fu il VIP (peptide intestinale vasoattivo), ma negli ultimi anni sono stati individuati molti altri peptidi che usano gli stessi recettori. Con le analisi biochimiche messe a punto sul recettore, potevamo misurare il gp120 ne! sangue dei malati, anche quelli che erano ancora allo stadio iniziale. Questa scoperta costituiva per noi un indizio del fatto che era il blocco del recettore per opera di questi frammenti, e non l'infezione della cellula causata dal virus, a scatenare i sintomi dell'AIDS. La nostra teoria del «blocco» del recettore dei neuropeptidi fu confermata ulteriormente dalla comprensione del modo in cui agiva sull'organismo il neuropeptide naturale VIP. Innanzi tutto, il VIP è attivo nell'intestino, dove regola il flusso dell'acqua, e nel cervello, dove promuove lo sviluppo e la salute dei neuroni. Quando il gp120 inibisce l'attività del VIP legando con recettori cerebrali, i neuroni muoiono oppure - e questo è altrettanto devastante -perdono gli assoni e i dendriti, causando la demenza che si riscontra in un numero sempre crescente di pazienti di AIDS. In secondo luogo, il VIP si trova anche nella ghiandola del timo e nel midollo osseo, dove controlla la maturazione dei linfociti, cellule responsabili della forza e della salute del sistema immunitario. L'occupazione del recettore da parte del gp120 causa l'apoptosi, o morte programmata, della cellula, il che equivale a dire che abbrevia la durata normale della vita di questi linfociti T4, di importanza cruciale, producendo dei danni al sistema immunitario e aumentando

301

Page 302: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

l'esposizione a malattie opportunistiche, cioè la principale causa di morte per i malati di AIDS. Questo progresso nella comprensione della malattia andava ancora una volta in direzione opposta alle convinzioni che a quell'epoca prevalevano fra gli altri ricercatori che si occupavano dell’AIDS, e cioè che fosse l'infezione diretta della cellula da parte del virus HIV a causare i sintomi della malattia. Ai nostri occhi la situazione appariva più semplice, sotto forma di un blocco del VIP, che causava a sua volta l'incapacità di svilupparsi per i neuroni e di maturare per le cellule immunitarie. (Gli effetti devastanti dell’AIDS, come la perdita di peso e l'impossibilità di recuperare, sarebbero stati compresi correttamente soltanto molto tempo dopo, utilizzando la nostra stessa teoria, quando riuscimmo a dimostrare che il gp120 si adattava anche al recettore dell'ormone della crescita, GHRH, bloccandolo.) Nello stesso tempo in cui svolgevamo quella ricerca, tentavamo anche di inventare nuovi tarmaci, com'erano ansiosi di vederci fare i nostri finanziatori. Quello dunque fu un periodo di riunioni quotidiane di brainstorming, in cui il nostro gruppo di ricercatori selezionati con cura sfilava nell'enorme sala da conferenza ottagonale per esporre tutti i dati raccolti. A quell'epoca non si era ancora affermata la tendenza a trasformare i peptidi in farmaci, o a scoprire analoghi dei peptidi chiamati peptidomimetici. Il peptide T si era affacciato alla ribalta con dieci anni di anticipo e, per quanto noi fossimo convinti di aver prodotto uno dei primi rimedi terapeutici fatti su misura per le precise richieste molecolari dell'organismo, la maggior parte dei ricercatori non apprezzava affatto quel figlio del nuovo paradigma. Ciò nonostante, i mimetici rappresentavano il nostro interesse principale, e il primo che cominciammo a elaborare fu un farmaco che impediva i danni cerebrali dovuti a gravi trauma cranici o ictus. In quel momento era un tema di scottante attualità, e lo è ancora; infatti altre grandi società farmaceutiche erano al lavoro per produrre potenziali presidi terapeutici di sintesi. Nei pazienti colpiti da trauma cranici o ictus, il neurotrasmettitore glutammato fuoriesce dai neuroni e, col tempo, uccide le cellule. Se fossimo riusciti a intervenire per bloccare i recettori specifici del glutammato subito dopo l'incidente o l'ictus,

302

Page 303: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

eravamo convinti che le vittime che oggi muoiono o riportano invalidità permanenti in seguito a traumi cranici sarebbero sopravvissute. A differenza dei laboratori più grandi, che tentavano di creare un farmaco ex novo, noi cercavamo il peptide che è il legante endogeno naturale. Avevo una certa familiarità con il meccanismo implicito in queste lesioni cerebrali, che spesso risultano fatali. Anni prima, nel mio laboratorio al NIH, Remi Quirion e io avevamo gettato le basi per l'approccio adottato attualmente eseguendo la mappatura del recettore del PCP (o «polvere d'angelo») mediante l’autoradiografia nel cervello dei ratti, e in collaborazione con Tom O'Donohue avevamo addirittura dimostrato che il suo legante endogeno era un peptide. Il PCP, una droga di strada che era nata come anestetico, aveva visto bruscamente interrotto il proprio sviluppo commerciale quando ci si era accorti che i pazienti usciti dall'anestesia mostravano un comportamento psicotico. Suzanne Zukin, che era stata mia compagna di corso a Bryn Mawr e adesso era docente nella facoltà di medicina Albert Einstein, aveva elaborato la prima analisi sul legamento del recettore del PCP insieme con Steve Zukin, che all'epoca era suo marito. In uno dei rari esempi di collaborazione al femminile di cui sono al corrente nel campo della farmacologia (il fatto è che in questo ambiente sono troppo poche le ragazze che hanno fatto carriera), Suzanne mi aveva passato i risultati degli ultimi esperimenti neurofisiologici, dai quali risultava che il recettore del PCP era dello stesso tipo di quello del glutammato, che doveva essere bloccato per evitare ulteriori danni dovuti alla fuga di glutammato dalle cellule nelle vittime di traumi cranici. Ora sì che avevo il progetto ideale da lanciare nel mio nuovo laboratorio! Avremmo identificato il peptide che fungeva da legante endogeno per il recettore del PCP, e poi lo avremmo sintetizzato come forma di terapia «naturale». Dopo quindici mesi di lavoro estenuante, riuscimmo a ricostruire la struttura del legante endogeno e ottenemmo il brevetto per il peptide, che battezzammo col nome di «Neuroprotettore per il trattamento del trauma cranico e dell'ischemia cerebrale». (I nostri finanziatori avevano saggiamente ribattezzato il progetto col nomignolo «Angel Dustin», un termine che tutti noi avevamo adottato allegramente nelle lunghe notti

303

Page 304: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

trascorse a macinare cervelli di cavie ed eseguire analisi, perché ci sembrava spiritoso per indicare una droga basata appunto sul PCP, o «polvere d'angelo», prodotta dal cervello stesso.) Quel lungo e tedioso periodo di ricerca in laboratorio fece capire a Michael e a me quale prodigio fosse stato riuscire a individuare il peptide T nel giro di pochi giorni, senza alcuna ricerca in laboratorio, ma appena con qualche ora di lavoro intenso al computer. Fu proprio in quel periodo felice che la seconda società farmaceutica del globo prese la decisione improvvisa e inattesa di ritirare il proprio sostegno a ogni ulteriore sviluppo del peptide T. Ci fu riferito che si era deciso, a livello di vertice, di perseguire la messa a punto di un farmaco sul tipo dell'AZT che sembrava molto promettente e, a causa degli alti costi necessari per far superare a un farmaco le procedure imposte dalle norme della Food and Drugs Administration, i dirigenti ritenevano poco saggio sul piano economico finanziare entrambi i prodotti. Il peptide T era considerato un salto nel vuoto, mentre l’AZT, il primo farmaco di cui fosse provata l'efficacia contro l’AIDS, pur essendo un prodotto chemioterapico fortemente tossico, era stato già testato e si era rivelato valido sul mercato. Inoltre l’AZT era il beniamino degli istituti del NIH impegnati nella ricerca sull'AIDS che avevano ricevuto maggiori finanziamenti (NCI e NIAID, ossia l'Istituto per la ricerca contro il cancro e l'Istituto per la ricerca sulla tossicodipendenza), quindi il nuovo «figlio dell'AZT» avrebbe seguito senz'altro la stessa sorte. A pochi giorni di distanza dalla comunicazione di questa decisione, il Progetto peptide divenne la «disfatta del peptide». Di fronte alla prospettiva preoccupante di dover pagare di tasca loro ulteriori sperimentazioni e sviluppi, i nostri finanziatori non persero tempo a ritirare il proprio appoggio. Il nostro laboratorio venne chiuso, e il NIMH ci tolse la licenza per lo sviluppo del peptide T. I ricercatori, che ormai erano venticinque, rimasero senza lavoro (anche se riuscimmo ad aiutarli tutti nel compito di ottenere un nuovo posto, per lo più al NIH). L'unico sprazzo di luce nell'oscurità generale fu una sperimentazione clinica della prima fase che eravamo riusciti a eseguire nella clinica Fenway di Boston, finanziata con il denaro che avremmo potuto utilizzare

304

Page 305: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

per rinviare di un anno la chiusura del laboratorio. Un gruppo di trenta pazienti, uomini e donne, ricevettero il peptide T per un periodo di prova della durata di sei mesi, che doveva servire a verificarne la tossicità e i miglioramenti che poteva apportare. I risultati furono impressionanti: era documentabile la scomparsa di alcuni sintomi dell'AIDS senza effetti collaterali. Una volta conclusa la sperimentazione, i cosiddetti «sieropositivi di Provincetown», un gruppo di uomini risultati positivi al test del virus HIV che erano convinti di poter potenziare il proprio sistema immunitario con strategie non tossiche come la dieta, gli integratori alimentari e l'esercizio fisico, si batterono per ottenere il permesso che i loro amici continuassero a ricevere il farmaco, e alla fine ebbero la meglio. Da quella prova in poi, per lo più grazie agli sforzi di John Perry Brown e degli altri «sieropositivi di Provincetown», si sparse la notizia dei benefici effetti del peptide T, e un certo numero di gruppi nazionali di attività sull'AIDS volle sapere che cosa ne era del peptide T, un mezzo terapeutico non tossico che riportava dei successi. Non ottennero risposta, e allora, in una fioritura di tarmaci spontanei contro l’AIDS, alcuni piccoli laboratori cominciarono a produrre il peptide T e a venderlo tramite circoli privati di acquirenti a New York, Dallas, Atlanta, Washington D.C., Los Angeles e San Francisco; ma, per quanto restasse in testa alle classifiche di vendita per un paio di anni, le prove aneddotiche non furono di alcuna utilità per la promozione commerciale del farmaco. Con l'appoggio degli attivisti, cercammo di riavere la licenza per la messa a punto del peptide T, ma il NIMH tenne duro con ostinazione. Durante quella fase, in cui tutte le decisioni mi erano contrarie, dovetti rammaricarmi spesso per la perdita del sostegno dei miei potenti maestri di un tempo. Finalmente il governo restituì la licenza a Integra, il nostro istituto di ricerca, ma, con una mossa strana e in apparenza punitiva, ci concessero i diritti di sfruttamento in comune con una minuscola società canadese che non aveva nessuna delle nostre qualifiche, prendendo una decisione che non aveva precedenti e che è rimasta senza seguito per qualsiasi farmaco. Ciò che il governo aveva ottenuto, in sostanza, era far sì che non riuscissimo a ottenere dei finanziamenti ufficiali per proseguire la messa a punto del farmaco, visto che nessuna società farmaceutica che

305

Page 306: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

disponesse di milioni da investire avrebbe mai appoggiato una ricerca sulla quale non avesse diritti esclusivi, e questo per ovvie ragioni economiche. Pian piano cominciammo a renderci conto delle dimensioni della perdita che avevamo subito, insieme con le implicazioni di quella perdita per la comunità dei malati di AIDS. Se il peptide T fosse stato messo a punto, il che ormai richiedeva soltanto l'approvazione da parte dell'FDA della seconda fase di sperimentazione clinica, il peso del progetto sarebbe ricaduto per intero sulle spalle di Michael e mie, e per realizzarlo ci sarebbero voluti oltre dieci milioni di dollari. L'approvazione della Food and Drugs Administration è garantita soltanto quando una società farmaceutica o un altro sponsor investe nel progetto i milioni di dollari necessari di solito in questo paese per effettuare le prove cliniche su un farmaco. Ma ora, con la licenza congiunta che ci era stata concessa, chi avrebbe voluto investire denaro nel progetto? Mentre noi piombavamo nella desolazione, le ricerche condotte in laboratorio da alcuni dei miei colleghi confermavano la tesi che il peptide T fosse un farmaco che valeva la pena di sperimentare. Il lavoro di Doug Brenneman al NIH, per esempio, convalidò le nostre affermazioni dimostrando che il peptide T era in grado di impedire la morte dei neuroni causata dal blocco del gp120 grazie a un elegante sistema di coltura delle cellule cerebrali da lui ideato. Inoltre i dati ricavati da un piccolo progetto di sperimentazione condotto a Yale con la tecnica del doppio protocollo cieco e con i fondi del NIMH avrebbero cancellato tutte le obiezioni rimanenti, se fosse stato uno studio più vasto, e se la scienza fosse stata l'unico fattore in gioco. Per la prima volta avevamo in mano le prove concrete dei miglioramenti sul piano neuropsicologico prodotti dal peptide T: i pazienti del progetto di Yale miglioravano quando ricevevano ilfarmaco, mentre peggioravano quando ricevevano il placebo.I soggetti tenuti sotto esame nel progetto di Yale ricevevano il peptide To un placebo in base a criteri casuali e poi, dopo un breve periodo di prova,il farmaco opposto, in uno scambio delle parti. Questo tipo di studio ètipico della seconda fase della sperimentazione clinica, mentre quello cheavevamo condotto alla clinica Fenway era relativo alla prima fase,destinata a verificare soprattutto la tossicità del prodotto, che si era

306

Page 307: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

rivelata nulla. Anzi, la mancanza di effetti collaterali era stata accompagnata da alcuni netti miglioramenti. Tuttavia, nello studio relativo alla prima fase i soggetti sanno di ricevere almeno qualche dose del farmaco, e quindi i miglioramenti nella loro condizione possono essere dovuti alle loro aspettative. (L'effetto placebo, dovuto al fatto che l'aspettativa del miglioramento può modificare l'esito della prova, è una dimostrazione estremamente efficace del ruolo svolto dalla mente nella guarigione. In un libro sorprendente dal titolo Credere per poter guarire, il dottor Herbert Benson esplora a fondo questo effetto, formulando l'ipotesi che siamo attrezzati per la fede. A quel tempo ci domandammo se per caso la mancanza di effetti tossici del peptide T fosse diventato un problema per la seconda industria farmaceutica del globo. Senza dubbio, prima di allora non avevano mai avuto a che fare con un farmaco che fosse efficace senza produrre effetti tossici collaterali: la maggior parte dei prodotti che andavano per la maggiore erano vere e proprie bombe atomiche, tarmaci anticancro che, nel tentativo di salvare il paziente, ne distruggevano il sistema immunitario. L'idea di una terapia non tossica poteva in effetti costituire un enigma per la maggior parte degli scienziati di primo piano, e il peptide T non corrispondeva alla loro idea preconcetta di quella che doveva essere l’azione di un farmaco vincente contro una malattia così letale. Inoltre non era stata condotta una sperimentazione adeguata per la seconda fase, con l'impiego di placebo, per dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio l'effettiva comparsa di miglioramenti, e le ricerche svolte a Boston e all'università della Carolina del Sud si potevano liquidare facilmente in quanto erano di portata troppo ridotta e di validità incerta a causa del probabile effetto placebo. Il fatto che i superstiti della sperimentazione condotta a Boston che continuavano ad assumere il peptide T fossero riusciti a sopravvivere notevolmente più a lungo di altri malati che presentavano lo stesso livello di cellule T nel 1989, anno di inizio della sperimentazione, era più difficile da liquidare come un effetto placebo, ma ormai nessuno ci dava ascolto. La maggior parte dei ricercatori che si occupavano di AIDS considerava il peptide T alla stessa stregua di una farsa, o peggio ancora di una frode... ammesso che se ne ricordasse.

307

Page 308: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Ritirata

Scacciati dal paradiso del Progetto peptide, ci rintanammo in un laboratorio improvvisato nel seminterrato di casa nostra per leccarci le ferite e pianificare una strategia. Mike aveva organizzato un ambiente di lavoro arredato con i pochi mobili che eravamo riusciti a salvare del laboratorio e un'accozzaglia di attrezzature informatiche ereditate qua e là. C'era una bella differenza rispetto alla scintillante vetrina da novecento metri quadri nella quale avevamo trascorso le nostre giornate, sia pure per poco. Peggio di tutto era la perdita dei nostri collaboratori. Come avremmo potuto andare avanti senza Bernice Biade? Tenemmo in funzione per tutto l'inverno la stufa a legna, nel tentativo di scaldarci mentre facevamo telefonate e spedivamo fax, inseguendo tutte le possibili piste che ci si presentavano. Oltre a lasciarci senza un laboratorio nel quale svolgere il nostro lavoro, la società farmaceutica aveva gettato un'ombra sulla nostra credibilità e aggravato le difficoltà di trovarci dei nuovi sponsor, ma non volevamo darci per vinti. Nei diciotto mesi che seguirono girai in lungo e in largo per presentare il mio numero di un'ora a beneficio di potenziali finanziatori, prendendo contatti con oltre cinquanta grandi industrie farmaceutiche e implorando in ginocchio (ovviamente in senso figurato) almeno una dozzina di consigli d'amministrazione, per ricevere sempre la stessa risposta deprimente: «Sì, la sua ricerca scientifica sembra molto convincente, ma come mai la seconda società farmaceutica del globo le ha ritirato il suo appoggio? E cos'è questa storia della licenza in comune?» D'altronde il mancato sostegno della società e la licenza in comune non erano, dovevo ammetterlo, gli unici motivi per cui incontravamo tante difficoltà. Uno dei problemi, secondo Michael e me, era che il peptide T sembrava troppo bello per essere vero. Dopo che i laboratori di tutto il paese avevano speso milioni di dollari nel tentativo di individuare il giusto segmento di gp120 per bloccare il virus, arriviamo noi, vediamo un arcobaleno e riusciamo a individuare al computer una struttura che fa

308

Page 309: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

centro in pieno. Non c'era da stupirsi se la gente credeva che si trattasse di una frode, o, come minimo, di un errore grossolano. E poi c'era la mia reputazione di testa calda, di piantagrane, che resisteva ancora, a tanti anni di distanza dalla disputa per il premio Lasker, inducendo i miei interlocutori a chiedersi quali fossero i «veri» motivi dietro il ritiro della società farmaceutica che ci aveva lasciato, per così dire, in mutande. Mi pareva quasi di sentire i potenziali finanziatori che sussurravano tra loro: «Pert? Ma non è quella che era rimasta coinvolta in uno scandalo a proposito del premio Lasker?» Era una questione difficile da affrontare, ma dovevo venire a patti con le mie responsabilità personali nella disfatta. Oltre al pessimo karma che mi derivava dal caso Lasker, ero incorsa nelle ire degli ambienti scientifici ufficiali anche perché avevo reagito con indomabile veemenza quando il NIH si era rifiutato di finanziare la sperimentazione clinica sul peptide T, e mi ero fatta più di un nemico sostenendo di avere la risposta, anzi, l'unica soluzione per la cura dell'AIDS. E non avevo forse contrariato i finanziatori privati con stravaganze di sapore mistico e richieste esorbitanti? Era una pillola amara, ma fui costretta a prendere atto in modo freddo e oggettivo della mia inopportuna mancanza di rispetto e di considerazione per le forze che mi erano così risolutamente ostili. Per quanto ne sapevano i miei ex colleghi del NIH, che stavano conducendo la principale ricerca in atto a quell'epoca, il peptide T non si era mai dimostrato promettente. Ora potevano liquidarci con facilità ancora maggiore, criticando il nostro lavoro perché assurdo e inutile e indicando la prova suprema del suo fallimento nella fuga dei finanziatori. Per un certo tempo, dopo la sconfitta, ogni volta che presentavamo la richiesta di esporre i nostri dati nei convegni importanti, non ci ammettevano, oppure ci emarginavano, consentendoci soltanto di presentare un poster nella seduta conclusiva. Alla fine di una relazione coglievamo tutte le occasioni di intervenire parlando al microfono, perché era l’unico modo per divulgare i nostri dati, nonostante le osservazioni sprezzanti dei moderatori che tentavano di eludere o ignorare le nostre insistenti richieste di prendere la parola. Tuttavia continuammo a insistere, perché a ogni convegno riuscivamo di solito a convincere qualche altro ricercatore a provare il

309

Page 310: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

farmaco, a inserirlo nella sperimentazione per vedere che cosa era capace di fare il peptide T per bloccare il gp120. E ogni volta che lo facevano, seguendo le nostre istruzioni o ricavando nuovi dati dai loro sistemi, riuscivano a replicare i risultati. Intanto altri laboratori, che riprendevano e approfondivano il nostro lavoro, cominciavano a far sentire la loro voce, un fatto che ci riempiva di gioia, anche se ci veniva impedito di dare il nostro contributo, sia pure minimo. In quel periodo, Michael e io eravamo rei confessi di incompetenza finanziaria. Non riuscimmo mai a capire davvero le esigenze del mondo degli affari, mentre ci battevamo coraggiosamente, ma con scarse capacità, per resuscitare il progetto di ricerca e sviluppo del peptide T. Thelma, la rude specialista di investimenti che avevamo assunto perché ci procurasse dei finanziatori, mi faceva sempre delle prediche sulla necessità di diventare una specie di «sergente di ferro», interpretando quel ruolo anche sul piano esteriore e presentandomi ai vari consigli di amministrazione con i capelli raccolti in una crocchia severa e un abbigliamento composto di austeri tailleur di gabardine blu, senza neanche un sorriso. E io avevo tentato più volte di calarmi nella parte, specie nei giorni in cui il Progetto peptide stava per sfumare, ma Thelma, che pure credeva ciecamente in noi, non riusciva lo stesso a trovarci un nuovo finanziatore. Non che non ci provasse: in quelli che dovevano essere i nostri ultimi giorni al laboratorio, aveva fatto una chiamata interurbana, pregandoci di convocare tutti nella sala delle riunioni, arredata con sfarzo. «II vostro lungo incubo è finito!» aveva esclamato la sua voce, che arrivava crepitando dalla costa del Pacifico, sprigionandosi dalla cassetta posta sul tavolo da riunione. I nostri collaboratori si erano rianimati, raggruppandosi in capannelli, con la fronte aggrottata per lo sforzo di cercarsi in segreto un altro posto di lavoro. «Ho scovato una grande società farmaceutica disposta a mettere a punto il peptide T e a finanziare il laboratorio e le altre scoperte per i prossimi dieci anni. Spero di concludere l'affare e firmare i contratti entro breve tempo.» La delusione era stata terribile quando, appena qualche settimana dopo, ci era stato recapitato un crudele e succinto messaggio di disdetta, proprio mentre eravamo a cena durante un congresso di psiconeuroimmunologia e

310

Page 311: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

ricerche sul cancro al quale partecipavamo in Germania. Quando lessi la notizia, sentii le lacrime rigarmi le guance e mi sforzai in silenzio di mantenere il sangue freddo di fronte ai commensali incuriositi e preoccupati. Purtroppo era una scena destinata a ripetersi più volte, in vari ambienti, nei due anni che seguirono. La tensione creata dalle delusioni quasi costanti subite in quel periodo fu quasi superiore alle mie forze. La perdita del laboratorio e l'afflosciarsi dell'onda di incredibile euforia che stavamo cavalcando da quando avevamo lasciato il Palazzo ci rigettò su una spiaggia squallida e deserta, come due naufraghi isolati dal mondo. Era l'inverno del 1990, e non ci restò altra soluzione che rintanarci nello studio al seminterrato, facendo telefonate e inviando fax nella speranza che ci consentissero di portare avanti il lavoro nel quale credevamo. Sembrava che tutto andasse storto. Senza dubbio avevo già attraversato dei momenti difficili, per esempio il periodo successivo al caso Lasker, o gli ultimi, frustranti giorni di lavoro a Palazzo, quando non riuscivamo a trovare il modo di pubblicare i risultati delle nostre ricerche ne a procurarci i fondi per la sperimentazione clinica del peptide T. Ogni volta ero riuscita a superare i problemi grazie alla pura forza di volontà, placcando gli avversari e andando a meta nonostante lo svantaggio incredibile che dovevo rimontare. Ora, però, mi trovavo a vivere un autentico incubo, in cui tutte le mie antiche e sperimentate tattiche di sopravvivenza e di successo mi venivano meno, e il dramma cominciava a esigere il suo pedaggio. Nel giro di pochi anni ero ingrassata di quasi dieci chili, usando il cibo come sedativo per alleviare le sgradevoli emozioni negative che scaturivano dalla nostra situazione: rifiuto, paura e dolore. Michael fu la mia ancora di salvezza. Da piccolo era stato chierichetto, e grazie alla sua incrollabile devozione, col tempo e con l'assiduità era stato nominato responsabile del coro della chiesa. Ora mostrò altrettanta costanza nel sostenere me e il progetto nel quale credevamo entrambi, continuando sempre a trattarmi come una collega che rispettava e in cui aveva fiducia, senza mai ammettere, forse persino con se stesso, quanto fossimo vicini al tracollo. A volte sembrava dotato di una straordinaria facoltà telepatica, e riusciva a prevedere quello che stava per accadere,

311

Page 312: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

facendo in modo che le persone giuste ricevessero il messaggio opportuno, che i fax venissero spediti, le telefonate fossero ricambiate e gli impegni confermati. Si addossò persino, volontariamente, molte incombenze legate alla casa e alla cura dei bambini, consentendomi così di trovare qualche momento di relax. Gli ero molto riconoscente di quel sostegno incrollabile.

Guarigione

Benché quello sia stato per me un periodo di grande agitazione e sofferenza, ha rappresentato anche una fase di straordinaria crescita in senso personale, in cui sono riuscita a espandere i confini del pensiero del nuovo paradigma, che avevo adottato, per accogliere nuove modalità di guarigione sul piano fisico, mentale ed emotivo. Esposta com'ero allo stress della delusione e dell'esilio professionale, mi resi conto che da anni coltivavo una profonda collera, covando dentro di me rancori profondi che risalivano al periodo di collaborazione con Sol e al caso Lasker, ma forse ancora più indietro nel tempo. Dovetti affrontare la realtà: non avevo mai superato il problema del premio Lasker, e consideravo ancora responsabile Sol, non solo di avermi escluso dal premio, ma anche di essersi rifiutato di ristabilire i rapporti e fornirmi l'appoggio necessario per far accettare il peptide T. Nella mia mente, Sol era diventato uno di «loro», un potente giocatore che restava dietro le quinte e, con la sua influenza, faceva di tutto per deviare i miei sforzi, incoraggiare i miei detrattori e in generale prendersi i la sua vendetta. Ai tempi del caso Lasker, quando avevo cominciato a confrontare la mia vicenda personale con le sconfitte toccate a Rosalind Franklin, avevo semplicemente intuito che reprimere le emozioni era pericoloso e poteva scatenare il cancro, ma ora avevo raccolto dati scientifici sufficienti a convincermi che dovevo guarire sul piano emotivo, se volevo superare quel periodo difficile restando viva e sana. Non che nel corso degli anni non avessi tentato di fare degli approcci nei confronti del mio antico maestro, invitandolo ai ricevimenti in casa mia e

312

Page 313: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cercando di incontrarlo nella speranza di ristabilire finalmente dei rapporti con lui. Ma ogni volta mi concentravo sul tentativo di farmi perdonare da Sol e lui, pur comportandosi sempre con estrema cortesia, finiva per respingere quegli sforzi con gentile fermezza. In rare occasioni, quando il lavoro ci portava a frequentare gli stessi circoli sociali, avevo tentato di parlargli del mio lavoro con il peptide T e il gp120, ma lui sosteneva di non capirci nulla e cambiava subito argomento. Quando tutti i miei tentativi andavano a vuoto, mi consolavo scrivendo dei biglietti pieni di fantasia, decorati a mano con cuoricini colorati, in cui gli esprimevo le mie scuse e gli chiedevo perdono, ma senza mai spedirli. Potevo forse biasimarlo se non mi era amico? Dopo tutto, non ero stata io a fargli perdere l'occasione di ottenere il premio Nobel? Date queste premesse, era realistico aspettarsi che si voltasse a tendermi una mano in quel momento di difficoltà? Pure, ero ancora tormentata dalla sua ombra e sentivo che, senza una qualche riconciliazione fra noi, sarei rimasta per sempre sotto il suo incantesimo, come se fossi prigioniera e vittima del suo potere. Per anni, dopo l'incidente Lasker, avevo frequentato ogni sera la piscina locale per fare decine di vasche, nella speranza che l'esercizio fisico tramutasse la collera in energia, consentendomi di liberarmene; ma non aveva funzionato. La sconfitta del Progetto peptide aveva riportato a galla gran parte di quei sentimenti e, in preda alla disperazione, ero più disponibile che mai alla possibilità di fare qualcosa, qualunque cosa, che mi aiutasse a sanare le vecchie ferite. Mi venne persino in mente che forse esisteva un nesso fra quel conflitto insoluto con Sol e gli errori tattici che avevo commesso mentre tentavo di mettere a punto il peptide T. Possibile che Sol fosse diventato un tale spauracchio per me da indurmi a proiettare ancora la collera provata contro di lui su tutti quelli che mi stavano di fronte, rendendo loro difficile la comprensione delle mie idee e offendendoli profondamente con i miei modi bruschi, a volte aggressivi e impulsivi? Possibile che i miei traumi emotivi irrisolti alterassero addirittura la realtà? Senza dubbio avevo fama di essere una testa calda, una persona così risoluta a procedere per la sua strada che spesso gli altri trovavano più

313

Page 314: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

semplice tenersi alla larga. Per la prima volta mi domandai seriamente se non ero io stessa il problema. Se mi fossi comportata in un altro modo, se fossi stata una brava ragazza e avessi giocato secondo le regole, il peptide T sarebbe potuto arrivare sul mercato, salvando la vita a persone che invece erano morte solo perché il farmaco non era ancora disponibile? Fu proprio mentre ero immersa in questi pensieri deprimenti che ricevetti una telefonata da Eugene Garfield, il mio avvocato all'epoca del caso Lasker, che mi pregava per l'ennesima volta di descrivere le mie ricerche in una dichiarazione scritta che intendeva stampare sul Citation Classic. Garfield concedeva quell'onore ai primi autori di una pubblicazione scientifica che fossero stati citati più di mille volte nella bibliografia. «Il recettore degli oppiacei: dimostrazione nei tessuti nervosi», l'articolo fondamentale che Sol e io avevamo scritto insieme nel 1973, aveva superato da tempo quel record, ed era ora di fornire un resoconto di prima mano delle scoperte che erano sfociate nell'articolo. In realtà, negli ultimi anni avevo provato più volte a mettere insieme qualcosa, ma il risultato era stato sempre o troppo apologetico, o saturo di collera e di ipocrisia. Capii che, per poter scrivere l'articolo per il Citation, dovevo liberarmi in modo profondo e onesto della collera e del risentimento che portavo ancora dentro di me, a distanza di dodici anni. Due avvenimenti fecero precipitare la situazione, consentendomi di rispondere alla richiesta di Garfield in modo così esauriente da mettere finalmente a tacere il mio conflitto ulteriore: uno fu la riscoperta delle mie radici cristiane, e l'altro la scoperta del potere risanatore dei sogni nell'evocare una soluzione quasi magica. L'attrazione per lo spirito e il messaggio del cristianesimo nacque dentro di me attraverso la musica. In uno dei momenti peggiori seguiti al fallimento e alla chiusura del laboratorio del peptide T, mentre stavo camminando nei pressi di una chiesa locale, avvilita e carica come al solito di rancore represso, sentii un suono di voci che eseguivano una splendida melodia. Quel suono mi spinse a entrare in chiesa, dove trovai il coro impegnato in una prova. Quando espressi spontaneamente il mio apprezzamento per quella musica meravigliosa, m'invitarono a unirmi a

314

Page 315: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

loro, e così feci. Per alcuni anni, da allora, ho continuato a cantare nel coro come contralto. La mia famiglia pensò che fossi uscita di testa. Ai tempi della mia adolescenza, la religione era un tabù ancora più forte del sesso o del denaro. Io ero seriamente convinta che Gesù Cristo fosse una parolaccia, perché le uniche occasioni in cui sentivo invocare il suo nome erano quelle in cui mia madre o mio padre si schiacciavano un dito o non potevano pagare i conti. I miei genitori provenivano da ambienti religiosi diversi, e avevano risolto il problema del loro matrimonio misto ignorando del tutto l'argomento. Mia madre era un'ebrea lituano/ucraina, con una madre nata in Russia (il vecchio paese, come lo chiamavamo fra noi), mentre mio padre apparteneva a una lunga discendenza di yankee della Chiesa congregazionista che faceva risalire le sue origini a John Beebe, arrivato nel Connecticut nel 1647. Erano fuggiti insieme subito dopo la seconda guerra mondiale, inviando un telegramma ai genitori di mia madre per annunciare il loro matrimonio: una notizia che si era abbattuta sulla sua famiglia con lo stesso effetto devastante di una seconda Pearl Harbor. A quei tempi, una ragazza ebrea come mia madre che sposava un gentile era molto meno tollerata di oggi, a prescindere dal fatto che la famiglia fosse osservante. In ogni caso la cultura ebraica teneva, anche se la pratica religiosa no, e in fondo al cuore mia madre si era sempre considerata ebrea. Ricordo che all'età di dieci anni le domandai a quale religione appartenessimo, e la sua risposta fu: «Sei ebrea, non dimenticarlo». Non avendo mai visto l'interno di una sinagoga, se non quando avevo assistito al bar mitzvah di un cugino, non avevo la minima idea di cosa significasse essere ebrea. In seguito, da giovane, avevo abbracciato senza problemi il punto di vista degli atei, che mi sembrava il più sensato scientificamente. Erano gli anni '60, e la rivista Time si era finalmente unita a Nietzsche nel proclamare che Dio era morto, riflettendo il vuoto spirituale della mia generazione. Poiché tutto ciò che riguardava Dio, l'anima e lo spirito era stato accantonato con tanta fermezza durante gli anni della mia formazione, ne ero affascinata e mi sentivo attratta da tutto ciò che riguardava la coscienza e i sogni, che fino a quel momento per me si erano

315

Page 316: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

identificati con la sensibilità estrema della poesia e della letteratura preromantica. Quella che abbracciai adesso era la forte tradizione cristiana del lato paterno della mia famiglia. Molti dei suoi componenti erano stati pastori oppure, come lo zio Bill, che aveva suonato l’organo alle nostre nozze, organisti di chiesa o direttori musicali che mantenevano stretti legami con la chiesa. Ben presto cominciai a frequentare le funzioni religiose della chiesa locale, dedicandomi con fervore agli inni e ai versetti, nel tentativo di assimilare l'etica cristiana. Mi sentivo profondamente commossa dal messaggio di compassione e di perdono lanciato da Gesù, sapendo che diceva proprio quello che avevo bisogno di sentire. Spesso, mentre cantavo nel coro, le lacrime mi sgorgavano dagli occhi senza un motivo apparente. Ora capisco che nella chiesa, nella musica che cantavo, avevo trovato una straordinaria opportunità di risanare le mie emozioni. Potevo lasciarmi andare, finalmente, togliendomi di dosso l'armatura che portavo da anni. L'esperienza cristiana fu il primo passo verso una soluzione dei miei conflitti interiori, mentre il secondo fu l’interpretazione dei sogni. Credo nell'importanza dei sogni fin da quando ero adolescente: fu allora che lessi L'interpretazione dei sogni, di Freud, e cominciai a prestare attenzione a questi messaggi provenienti dal subconscio. Mentre in passato non avevo mai sognato Sol, feci un sogno cruciale che era limpido come la luce del giorno, e anzi puntava direttamente verso il passo che mi consenti di ottenere il perdono, almeno per quanto riguardava i miei sentimenti nei confronti di Sol, anche se non i suoi verso di me. Nel sogno, che era ambientato sul set del film Il mago di Oz, ero io, anziché Dorothy, a gettare un secchio d'acqua addosso a Sol, che, in forma di strega, rimpiccioliva sempre più, gridando: «Mi sto restringendo, mi sto restringendo», proprio come nel film, finché non scompariva. Quello che scoprii svegliandomi fu che ero stata io a concedere a Sol tanto potere su di me, io a trasformarlo in un mostro, nel nemico per eccellenza, a tal punto che la sua stessa esistenza mi torturava più del torto che poteva avermi fatto. Gli scrissi subito una lettera, ma diversa dalle letterine infantili che avevo composto in precedenza senza spedirle. In quella lettera, spiegavo a Sol

316

Page 317: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

che lo perdonavo e lo pregavo di perdonarmi, mettendo però bene in chiaro che non mi aspettavo nessuna risposta, nessun cenno di riscontro per la mia richiesta. La lavagna era stata cancellata, gli dissi, ed era quello il sentimento che provavo realmente. Così facendo, provai un senso di profonda accettazione della situazione, un livello di responsabilità personale che mi portò a una profonda guarigione emotiva. Per tutti quegli anni ero rimasta bloccata, ancorata a una creazione della mia fantasia e ora, rendendomene conto, cominciavo a sentirmi libera. Scoprii che potevo perdonare, indipendentemente dal perdono della persona che credevo mi avesse danneggiata. Era una reazione interiore tutta mia, che non richiedeva l'intervento di Sol. E anche se devo ammettere che ogni tanto ho delle ricadute, per cui almeno finora non mi sento degna di ascendere alla santità, quel perdono fu un evento decisivo che sprigionò dentro di me una straordinaria energia, consentendomi di proseguire il mio lavoro e di perseguire la verità.

Affrontare lo stress

Nel 1991, un periodo di fiacca nella campagna per il peptide T, mi trovai a Boston per partecipare a un congresso sponsorizzato da Interface sul futuro della medicina. Interface era un'organizzazione proiettata verso il futuro, che si proponeva di esplorare il terreno sul quale s'incontrano psicologia e spiritualità, e aveva radunato parecchi esperti all'avanguardia nel settore della medicina per discutere dell'argomento. Dopo la mia relazione, partecipai a una tavola rotonda di relatori, fra i quali figurava il dottor Deepak Chopra, che all'epoca cominciava appena a farsi conoscere per i libri che scriveva, aggiornando l'antica tradizione ayurvedica indiana per adattarla alla mentalità occidentale. Non avevo sentito la sua comunicazione, ma restai colpita dalle sue risposte alle domande del pubblico: pareva che avesse una soluzione per tutti. Forse quello che mi suggerì di rivolgergli a mia volta una domanda fu il fatto che la tavola rotonda stava per finire e gli ascoltatori cominciavano a sfollare dalla sala.

317

Page 318: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«Deepak, non so che cosa mi succede. Ho un farmaco eccezionale che potrebbe salvare molte vite umane. Ci lavoro da anni, ma non riesco a promuoverlo. In che cosa sbaglio?» Lui mi ascoltò con attenzione e poi, fissandomi con calma negli occhi, mi diede una risposta sconcertante: «Ci mette troppo impegno!» Poi sorrise. Riflette! per un attimo, prima di replicare. « Metterci troppo impegno? Ma non ho mai sentito una cosa simile!» esclamai, incredula di fronte a quella valutazione. Nel mondo in cui vivevo non si parlava neanche di considerare «eccessivo» l'impegno. Anzi, tutta la mia vita si era imperniata sul tentativo di metterci abbastanza impegno, sforzandomi di mettercela tutta per essere la migliore in tutto ciò che facevo, nonostante tutti gli ostacoli. La duplice eredità dei miei genitori - l'etica protestante del lavoro e il fiero spirito competitivo degli ebrei newyorkesi - mi aveva spinto a diventare la prima della classe alle scuole superiori, a iscrivermi in un college esclusivo dell'Ivy League, dov'ero stata la prima del corso, e infine a tuffarmi a corpo morto nel lavoro, anche se a volte sconsideratamente, per raggiungere il vertice della mia professione. L'idea di «metterci troppo impegno» era un concetto estraneo alla mia mentalità almeno quanto l'esistenza degli UFO. Ero sinceramente perplessa, e non avevo idea di dove volesse arrivare Chopra. «La prego di considerarsi mia ospite», lo sentii dire subito dopo, «nella mia clinica della salute di Lancaster, dove mi piacerebbe mostrarle alcune cose.» L'idea che potesse mostrarmi qualcosa che mi avrebbe consentito di far accettare il peptide T bastò a farmi preparare subito i bagagli. Accettai all'istante; con la promessa di prendere accordi subito dopo, mentre gli spettatori rimasti, che avevo dimenticato del tutto, ma che erano stati testimoni di quello scambio di battute, ci tributavano un applauso scrosciante. Qualche settimana dopo, raggiunsi Deepak al Maharishi Health Center di Lancaster, nel Massachusetts, di cui allora era direttore medico, e occupai la suite Barbra Streisand. Mi fu servito un vitto vegetariano esotico e gustoso, accompagnato da massaggi quotidiani durante i quali mi lasciavano colare lentamente sulla fronte un filo di olio di sesamo. L'intera

318

Page 319: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

esperienza rappresentava una novità rispetto a tutte le mie vicende precedenti. Un medico indiano vestito da rishi veniva a trovarmi ogni giorno. «Finocchio, ha bisogno di molto finocchio», mi parve che dicesse sottovoce dopo la visita, che consisteva nel tenermi il polso per alcuni secondi per leggere i tre diversi battiti che si possono distinguere secondo il metodo ayurvedico, con lo stesso atteggiamento incredibilmente mistico che tutti i componenti del personale sembravano aver assorbito nel corso dell'addestramento. Tuttavia i benefici più straordinari si manifestarono quando m'insegnarono la meditazione, il cuore del metodo terapeutico proposto dalla clinica della salute. Deepak mi fece insegnare da uno degli assistenti la TM, o meditazione trascendentale, una forma di meditazione indiana adattata alla mentalità occidentale, di cui avevo sentito parlare perché i Beatles l'avevano adottata nel 1968. Ricordo che pensai: «Se l'hanno fatta i Beatles, probabilmente va bene anche per me!» (Essendo da lungo tempo una fan dei Beatles, riesco ancora a sbalordire mio figlio Brandon, che ha quattordici anni, cantando parola per parola alcuni brani del celebre White Album.) Appresi facilmente questa tecnica di meditazione, che consiste nel ripetere un mantra, ovvero una parola sacra all'induismo, per una ventina di minuti due volte al giorno, e la portai con me a casa, dove continuo a praticarla regolarmente. In uno stato mentale di maggiore tranquillità, riuscivo a percepire gli eventi che si svolgevano intorno a me in modo del tutto naturale, senza che dovessi intervenire per provocarli. Inoltre cominciai a rendermi conto del fenomeno della sincronicità, a vedere connessioni fra eventi e persone e ad agire in base a questa percezione, anziché secondo il modello lineare causa-effetto che mi era più familiare. Mi ero imbattuta anni prima nella teoria della sincronicità leggendo le opere di Carl Jung, in cui è definita come «la coincidenza di eventi nello spazio e nel tempo, che racchiude un significato superiore alla casualità pura e semplice». E quel concetto, sebbene allora non riuscissi a comprenderlo del tutto, mi aveva attratta istintivamente. Ora mi rendo conto che, come nella rete psicosomatica, gli eventi collegati si verificano simultaneamente nel tempo e nello spazio, anche se la nostra percezione li

319

Page 320: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

avverte in modo slegato e indipendente; questo mi consentiva di confidare nel fatto che la vita avrebbe continuato a scorrere senza che io ne fossi il motore primario, il cervello che apriva la strada. Quando cominciai a praticare la meditazione, fui assalita da visioni di mio padre che giaceva impotente e agonizzante sul letto dell'ospedale, collegato alle flebo e a tutti gli altri congegni, l'intero apparato della medicina occidentale che avrebbe dovuto «salvarlo». Col tempo continuarono a insinuarsi nella mia coscienza altre visioni cariche di contenuto emotivo, alcune delle quali risalivano all'infanzia, come se quei pensieri e quelle sensazioni fossero stati riposti chissà dove, in deposito, in attesa che cessassi ogni altra attività e mi sedessi in silenzio, rilassandomi e restando concentrata abbastanza a lungo per consentire loro di salire in superficie. Mi meravigliai di quel processo, al punto che tentai di comprenderlo in termini fisiologici. Ero particolarmente interessata alla possibilità che gli effetti della meditazione sullo stress si riflettessero sul sistema immunitario, e sul significato di quel collegamento in rapporto alla connessione cervello-corpo che avevo accertato nel corso delle mie ricerche in laboratorio. In quel periodo avevo letto da poco The Relaxation Response (La reazione del rilassamento), il primo libro di Herbert Benson, scritto negli anni '70, in cui attribuiva l'efficacia della meditazione a un'alterazione del sistema nervoso nel passaggio dai percorsi del sistema simpatico a quello parasimpatico. Con la mia conoscenza della rete psicosomatica estesa a tutto l'organismo, però, cominciavo a considerare questo stress legato alla malattia in termini di un sovraccarico di informazioni, una condizione in cui la rete mente-corpo è sopraffatta dall'impatto di dati sensoriali non elaborati, sotto forma di traumi repressi o emozioni non assimilate, al punto da risultare intasata e impossibilitata a consentire un libero flusso, anzi talvolta addirittura al punto da lavorare contro se stessa. Negli anni '50, quando era stato dimostrato che i tumori trapiantati nei ratti esposti a situazioni di stress si sviluppavano più in fretta, si usava attribuire le malattie collegate allo stress con un aumento nel livello di sferoidi, che finivano per deprimere il sistema immunitario. Ma la nostra nuova comprensione del funzionamento

320

Page 321: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

dei neuropeptidi e dei recettori ci ha consentito di ricostruire meglio quello che accade in condizioni di stress. Quando lo stress impedisce alle molecole dell'emozione di fluire liberamente dove ce n'è bisogno, i processi in gran parte automatici che sono regolati dal flusso dei peptidi, come il respiro, la circolazione del sangue, l'immunità, la digestione e l'eliminazione delle scorie, si riducono a pochi e semplici circuiti di feedback, sconvolgendo la normale reattività legata al processo risanatore. La meditazione, consentendo a pensieri e sensazioni sepolti da tempo di risalire a galla, è un modo per rimettere in circolazione i peptidi, riportando il corpo, e le emozioni, alla salute. Sono arrivata a considerare le mie prime esperienze di meditazione come esperimenti... esperimenti di rilascio dei ricordi estremamente carichi di contenuto emotivo che erano rimasti accumulati in qualche punto della rete psicosomatica. Dato che l'unico laboratorio al quale avevo accesso in quel periodo era quello della mia mente e del mio corpo, prestavo una grande attenzione a quei primi esperimenti, e in seguito ho scoperto che le mie riflessioni su quello che andavo sperimentando procedevano in parallelo con le ricerche compiute in quel periodo dai colleghi sul modo in cui un trauma e il blocco delle informazioni emozionali e fisiche possono restare immagazzinati a tempo indefinito a livello cellulare. Oltre alla meditazione, introdussi nel mio stile di vita dei cambiamenti concreti e quotidiani, sottoponendomi a massaggi regolari, adottando una dieta più sana e aumentando l'esercizio fisico. Inoltre in quel periodo smisi di affidarmi completamente alla medicina allopatica, cioè occidentale. Dopo aver letto un articolo sulla chiropratica, che un tempo era stata una branca ragguardevole e rispettabile della medicina ufficiale, mentre in seguito era stata screditata dalla farmacopea e dalla chirurgia, non potevo fare a meno di identificarmi con i chiropratici, giudicandoli compagni di sventura, vittime di quella che si definisce medicina moderna. E poi conobbi uno di loro. Proprio il giorno dopo aver letto l'articolo, mi trovavo in un negozio di alimentari coltivati biologicamente per fare provvista di verdure fresche, quando mi parve di sentir dire da un giovanotto attraente che faceva il chiropratico. Attirai la sua attenzione attaccando discorso con lui, e

321

Page 322: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

scoprii che aveva uno studio in città e spesso curava persone che si trovavano in una situazione di stress analoga alla mia. Il fatto strano, però, è che lui insisteva di non aver mai accennato al fatto che era un chiropratico, quindi io dovevo essere un soggetto telepatico per pensare che lo fosse. Il giorno dopo, quando andai nel suo studio per un appuntamento e riempii i moduli standard, nella sezione in cui si chiedeva chi mi avesse indirizzato da lui scrissi: «Dio, sotto forma di sincronicità». Diventai così una cliente regolare dello studio del dottor Joseph Skinner, che m'introdusse ai poteri della chiropratica e in seguito divenne un amico di famiglia. Un altro dei miei primi « guru » fu Carolyn Stearns, una terapeuta del massaggio che mi fu raccomandata da un medico di larghe vedute, dal quale ero in cura per una frattura a una costola riportata durante una gita in bicicletta. Carolyn, che era stata ballerina professionista, scrittrice e poetessa, ora praticava una forma di massaggio «psichico» che aveva elaborato in base alle proprie intuizioni e percezioni spirituali. Applicò le mani su varie parti del mio corpo e «lesse» che, nonostante avessi dedicato la mia vita a una professione propria dell'emisfero cerebrale sinistro, diventando una scienziata analitica e razionale, in realtà ero una persona estremamente spirituale e intuitiva. Quella parte della mia personalità, mi spiegò, era rimasta sepolta e sigillata fin dall'infanzia, e io riconobbi subito la verità di quanto diceva. Si riferiva a quella sommessa voce interiore che mi parlava da anni, quella che mi aveva condotto ad alcune delle scoperte più importanti compiute nel corso del mio lavoro. Ora, con l'appoggio e la conferma di Carolyn, cominciai a riporre maggiore fiducia in quella voce interiore, tanto a livello personale quanto nel lavoro. In seguito persi i contatti con Carolyn per qualche anno, ma quando la ritrovai era passata dal massaggio psichico all'insegnamento di stretching, visualizzazione e movimento terapeutico. «Quello che faccio ora è più efficace perché insegno a fare da sé», mi disse al telefono quando la chiamai. Cominciai a frequentare assiduamente i suoi corsi, ricavando grandi benefici da una serie di esercizi profondi di stretching che utilizzavano un assortimento di palline e altri oggetti, una sorta di chiropratica «faida-te» che probabilmente serviva a sciogliere i

322

Page 323: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

fasci di nervi carichi di peptidi che corrono lungo la spina dorsale. Una volta eseguiti gli esercizi di stretching, Carolyn ci guidava in un movimento ritmico e rilassante al ritmo di una musica evocativa, che consentiva alle emozioni di affiorare e materializzarsi a livello di coscienza. Mentre noi allievi eravamo stesi sul pavimento, profondamente rilassati, Carolyn leggeva un passo meditativo ispirato, oppure ci introduceva alla visualizzazione per aiutarci a diventare più consapevoli delle nostre emozioni. Un giorno lesse queste parole, che mi colpirono molto da vicino: «Se guardi sotto la superficie della depressione, scoprirai della rabbia. Se guardi sotto la rabbia, troverai tristezza. E sotto la tristezza c'è la radice di tutto, quello che in realtà vi si nasconde fin dall'inizio... la paura». Nel mio itinerario personale e professionale avevo sperimentato tutte quelle emozioni, e ora, sforzandomi di fronteggiare lo stress per sopravvivere a quel periodo nero, cominciavo a capire le parole di Deepak: finalmente stavo imparando a non metterci tanto impegno. E stato grazie all'esperienza con Carolyn, alla meditazione che avevo appreso, ai numerosi terapeuti che praticavano metodi alternativi, ai medici dalla mentalità aperta, ai terapisti del massaggio e ai chiropratici che ho incontrato, che mi sono avvicinata sempre più a quella che è adesso la mia concezione della vita, essenzialmente spirituale.

Seguaci del nuovo paradigma

Durante quel periodo di vita senza laboratorio, accettai sempre più spesso gli inviti che mi venivano rivolti per parlare in occasione di convegni e incontri organizzati per quelli che definivo i seguaci del nuovo paradigma: praticanti e teorici, oltre che beneficiari, di modalità terapeutiche alternative. Benché molte di quelle modalità affondassero le radici nella filosofia orientale e in altre tradizioni non occidentali, delle quali io, come scienziata formata dalla scuola occidentale, normalmente non avrei saputo nulla, in realtà avevo beneficiato di una, sia pur limitata, esposizione alle

323

Page 324: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

idee orientali, che risaliva alla metà degli anni '80, al tempo in cui lavoravo al NIH. In quel periodo, grazie alla crescente sensibilizzazione del pubblico nei confronti delle mie ricerche sulle endorfine e su altri neuropeptidi, mi cercavano spesso persone di estrazione molto eterogenea. Un giorno si era presentato nel mio studio uno yogi barbuto, vestito di bianco e con un turbante in testa, per chiedermi se le endorfine erano concentrate lungo la spina dorsale in un modo che corrispondeva ai chakra indù. I chakra, mi spiegò, erano centri di «energia sottile» che regolavano le funzioni essenziali fisiche e metafisiche, dalla sessualità alla coscienza superiore. Non avevo idea di cosa stesse dicendo, ma, nel tentativo di rendermi utile, tirai fuori un diagramma da cui risultava che esistevano due fasci di fibre nervose collocati ai lati della spina dorsale, ciascuno dei quali è ricco di peptidi che trasportano informazioni. L'indiano sovrappose la sua carta dei chakra al mio disegno, e ci accorgemmo nello stesso istante che i due sistemi coincidevano. Fu la prima volta che presi in seria considerazione il fatto che poteva esistere una connessione fra il mio lavoro e il punto di vista delle dottrine orientali. Prima di andarsene, lo yogi m'insegnò alcuni semplici esercizi per focalizzare l'attenzione su ciascuno dei livelli dei chakra, e io li provai, scoprendo che erano estremamente piacevoli per l'effetto che producevano, potenziando le energie. Poco dopo quell'incontro, sperimentai un'immersione turbinosa, in stile californiano, nella concezione dell'unità corpo/mente, quando partecipai a un simposio tenuto nell'aprile 1984 all'università di Stanford e patrocinato da Eileen Rockefeller tramite l'Institution for the Advancement of Health (Istituto per il potenziamento della salute), sul tema: « Le emozioni positive possono influire sulle malattie? » Al mio arrivo, trovai yogi in turbante bianco che si mescolavano a ricercatori di medicina con i bottoncini al colletto della camicia: fu uno dei primi squarci di quella nuova convergenza fra la prospettiva occidentale, materialistica, e quella orientale, più spirituale (per non parlare della convergenza fra costa orientale e occidentale degli Stati Uniti!) Fu in quella circostanza che cominciai a conoscere persone che avevano scritto e parlato dell'interfaccia fra salute e mente, compreso Norman Cousins, di cui non

324

Page 325: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

molto tempo prima avevo letto il libro La volontà di guarire: anatomia di una malattia. Mentre ascoltavo esporre le varie teorie e concezioni alternative sul modo in cui le emozioni potrebbero modulare la guarigione, mi resi conto che nell'isolamento del mio laboratorio di Bethesda avevo eseguito esperimenti scientifici che spiegavano molte delle idee che quei californiani cominciavano a esplorare; quelle idee che a loro erano familiari sotto forma di antichi sistemi terapeutici orientali, per me erano nuove, ed erano felici di sentirmi fornire una base scientifica ai principi che avevano già verificato da tempo con l'esperienza e l'intuito. Quando tomai a casa, le numerose uova di uccelli che erano sistemate in equilibrio precario nei vari nidi del portico si erano schiuse tutte, e il giardino era affollato di minuscoli uccellini che cinguettavano, impazienti e avidi di vita. Era un'immagine perfetta del mio stato d'animo: idee che covavano nella mia mente da anni cominciavano a prendere forma, chiedendo di venire alla luce. Cominciai seriamente a sfruttare la scienza per scoprire i possibili meccanismi molecolari della guarigione mente-corpo, ma senza parlare granché delle idee sottese al mio lavoro con i colleghi scienziati (fatta eccezione per Michael e per alcuni altri che condividevano le nostre idee), perché sembravano troppo azzardate. «Uscii allo scoperto» soltanto nel 1985, sulla costa atlantica, quando un assistente dell'ufficio del senatore Claibome Pell bussò alla porta del mio laboratorio per invitarmi a pronunciare il discorso inaugurale di un convegno patrocinato insieme dal suo ufficio e dall'Institut of Noetic Sciences. Il tema: «Può la coscienza sopravvivere alla morte? » mi fece esitare, tanto temevo di apparire poco scientifica sul mio stesso terreno, ma il lauto onorario che mi offrivano imponeva una decisione rapida, e così accettai subito. Uscire allo scoperto sulla costa atlantica era un passo impegnativo, che mi costringeva a tirare fuori dal cassetto le mie teorie. Il risultato di quel convegno sulle scienze noetiche fu che la mia popolarità salì alle stelle. Era la prima conferenza di carattere scientifico che pronunciavo di fronte a un pubblico in cui prevalevano i profani, e la prima volta che superavo tutte le inibizioni relative alle implicazioni filosofiche e metafisiche del mio lavoro.

325

Page 326: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

La presentazione, registrata su videocassetta, fu messa in circolazione, oltre a essere trascritta da Harris Dienstfrey, comparendo per la prima volta nel 1986 su Advances, col titolo: « La saggezza dei recettori: i neuropeptidi, le emozioni e l'unità corpo/mente». Una presentazione più tecnica di quelle informazioni era stata pubblicata l'anno prima nel Journal of Immunology, sotto il titolo: «I neuropeptidi e i loro recettori: una rete psicosomatica». Poiché quegli articoli ottennero una larga diffusione fra coloro che praticavano metodi terapeutici olistici e alternativi, oltre che fra alcuni scienziati e medici più progressisti, negli anni successivi cominciai a ricevere sempre più spesso inviti a parlare, di cui molti all'Ovest, da Los Angeles a San Francisco, a Boulder e a Seattle, e persino all'istituto Esalen, a Big Sur. Nel 1991, quando conobbi Deepak, ero già diventata un'habitué del circuito, conquistandomi la fama di scienziata dell'unità «corpo/mente» e acquistando familiarità con il pensiero di sciamani occidentali come Stanley Krippner, Ernest Rossi, Stan Grof, Willis Harman, Fritjof Capra, Beverly Rubik, John Upledger e Joan Borysenko. Per la mia mentalità scientifica era uno sforzo notevole mostrarmi ricettiva nei confronti delle loro teorie e pratiche sconcertanti, ma in un certo senso scoprii di riuscire a restare in equilibrio fra quei due mondi mentre lavoravo per integrare il meglio di entrambi. La capacità di accettare punti di vista diametralmente opposti è dovuta, credo, al fatto che sono una donna; infatti le donne, avendo un corpo calloso (il fascio di nervi che unisce l'emisfero destro del cervello a quello sinistro) più spesso, possono compiere con relativa facilità il passaggio dall'emisfero sinistro (razionale) a quello destro (intuitivo), e viceversa. Gli uomini, invece, avendo meno nervi che collegano i due emisferi, tendono a restare più concentrati sull'uno o sull'altro. Uno dei punti più alti della mia carriera di oratrice lo raggiunsi nel 1991, quando parlai di fronte all'American Association of Holistic Medicine (Associazione americana di medicina olistica) di Seattle. Pur essendo arrivata in ritardo per la relazione, fui accolta dai volti sorridenti e dalle braccia aperte di molte persone di cui avevo sentito parlare ma che non avevo ancora conosciuto, come Jeanne Achterberg e Bernie Siegel.

326

Page 327: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Quell'istante di sincera accettazione di me e del mio lavoro era in netto contrasto con l'accoglienza che Michael e io avevamo ricevuto partecipando ai numerosi convegni sull'AIDS nel tentativo di ottenere consensi a proposito del peptide T, e mi fece sentire del tutto a mio agio con i seguaci del nuovo paradigma, almeno quanto mi sentivo a mio agio con amici e colleghi fedeli all'establishment medico, fin quando non si parlava del peptide T. Il convegno di Seattle segnò la conferma di quella che considero la mia personale formula di fusione tra scienza ufficiale della costa atlantica e regni «terapeutici» alternativi della California; e, grazie alla flessibilità del mio corpo calloso, sono riuscita a mantenere un piede in entrambe le staffe.

Riscossa

Fu proprio grazie a un contatto che avevo stabilito nel circuito di conferenze sul nuovo paradigma che trovai finalmente un nuovo finanziatore per il peptide T. Avevo conosciuto Eckart Wintzen in occasione di un convegno sul tema «Medicina del futuro», organizzato a Garmisch, in Germania, verso la fine del 1990. Era venuto ad ascoltarmi per capire se sarei stata adatta a prendere la parola nel congresso da lui organizzato ogni anno, al quale venivano invitati capitani d'industria provenienti da tutta Europa. Il tema sul quale stava lavorando in quel periodo era semplicemente «il cervello», e aveva ricevuto pressioni da alcuni componenti delle sue organizzazioni perché inserisse delle donne fra gli oratori. Eckart, un uomo d'affari olandese incredibilmente ricco, che aveva fatto fortuna con la produzione di software e ora sosteneva generosamente un gran numero di progetti globali in fase avanzata, era un uomo alto e snello sulla cinquantina, che portava i capelli grigi piuttosto lunghi e sfoggiava degli occhialini alla John Lennon. Dopo mesi di trattative con gli alti papaveri delle multinazionali, mi parve un soffio d'aria pura, oltre a costituire una novità stuzzicante:

327

Page 328: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

un imprenditore europeo ricco e sofisticato che sosteneva la controcultura. Una delle due relazioni che dovevo tenere riguardava il peptide T e alla fine, durante la cena alla quale mi aveva invitato, Eckart si mostrò piuttosto interessato allo sviluppo del farmaco e alla sua attuale situazione commerciale. «Oh, fila tutto a meraviglia», risposi mentendo. «Si profila una grossa opportunità con una società giapponese che sta per debuttare nel settore.» Non me la sentivo di rivelare quanto fosse disperata la situazione, ma la verità era che stavamo per arrivare alla fine di una lunga serie di contatti che non erano andati a buon fine, e la prospettiva giapponese si faceva sempre meno consistente. Accennai a Eckart che avevamo un termine di scadenza, fissato di lì a pochi mesi. O riuscivamo a procurarci un finanziatore in grado di dimostrare che possedeva i milioni di dollari necessari per lanciare il farmaco sul mercato, oppure l'Ufficio tecnologico del NIH ci avrebbe ritirato la licenza per il peptide T, forse in modo permanente, relegandolo per sempre nel limbo in cui languiva. Al termine della cena, ci avviammo senza fretta verso l'uscita del ristorante. «Qual è questa data di scadenza?» mi domandò, mentre allungava la mano per aprire la porta. «Il 4 aprile», risposi, e mentre superavamo la soglia, lui mi guardò negli occhi, replicando in tono quasi distratto: «Bene, se le serve qualcosa mi chiami». Alla fine parlai davvero al suo convegno, ma prima ancora il finanziatore giapponese si dileguò e ci ritrovammo con la data di scadenza che incombeva sulla nostra testa come una spada di Damocle. Michael e io eravamo letteralmente allo stremo delle risorse: tutte le speranze erano sfumate e tutte le possibili piste si erano rivelate impraticabili. Eravamo sull'orlo della bancarotta e rischiavamo persino di perdere la casa che avevamo acquistato quando viaggiavamo sulla cresta dell'onda con il Progetto peptide. Non avevo mai conosciuto momenti più neri. Erano le nove e mezza di mattina, il giorno della scadenza fissata dal governo, quando squillò il telefono del nostro studio nel seminterrato.

328

Page 329: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«Salve, sono Eckart», disse una voce allegra. Il mio cuore fece un salto. «Come sta? E oggi, vero, la data di scadenza di cui mi ha parlato riguardo al suo farmaco? Ha trovato una società disposta a finanziarla?» «No», gli risposi. «Per la verità, no.» Seguì una pausa densa di significato. «Bene, allora mi dica quanto le serve e a chi va inviata la comunicazione del mio banchiere che dispongo della somma necessaria.» Con un semplice fax inviato direttamente dall'ufficio di Eckart in Olanda, il governo ottenne ciò che voleva: la prova che ora il peptide T aveva un generoso finanziatore, qualcuno che era senz'altro in grado di fornire i milioni necessari per sostenere le ulteriori ricerche e collocare con successo il farmaco sul mercato. Eravamo di nuovo in affari. Come aveva indicato Deepak nella diagnosi del mio problema, la soluzione era arrivata soltanto quando avevo smesso di mettercela tutta: infatti non avevo mai preso in considerazione Eckart come sponsor.

329

Page 330: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

12

Emozioni capaci di guarire

In maggio le montagne della California meridionale sono spettacolari, ammantate di un verde vibrante dopo le piogge invernali e punteggiate dalle pennellate di colore dei fiori selvatici e degli arbusti. La solida e fidata Volvo della mia amica Nancy sale lungo la statale ripida e tortuosa che porta al passo di San Marcos, allontanandosi da Santa Barbara per raggiungere la valle di Santa Ynez. Guardo dal finestrino i canyon che scendono verso la pianura costiera mentre noi proseguiamo la salita: una visione abbagliante di casette minuscole e strade che s'incrociano. La grande distesa azzurra del Pacifico si allarga all'orizzonte, dove riesco a scorgere in lontananza una spruzzatina di isole velate dalla foschia che galleggiano sulla superficie del mare. Siamo nel 1996, e dobbiamo raggiungere lo studio del dottor Robert Gottesman, un internista e terapeuta alternativo specializzato nella cura dei disturbi femminili. Come adoro la California! Non si tratta soltanto della bellezza naturale, che è incredibile, ma anche dello stile, dell'atteggiamento degli abitanti, dell'atmosfera salubre. L'attrazione che la California esercita su di me è stata messa a fuoco di recente da un biglietto che ho ricevuto da Willis Harman, un ingegnere elettrico/filosofo, noto per essersi messo a capo del movimento per la coscienza allo Stanford Research Institute e all'Institute of Noetic Sciences. Il biglietto, sotto forma di una dedica personale scritta sul risguardo del libro Global Mind Change (Cambiamento globale della mentalità), diceva che ero una delle poche persone che conoscesse dotata di una personalità per la costa orientale e una per la costa occidentale, a seconda di dove

330

Page 331: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

si trovasse in quel momento il corpo fisico! (Il libro di Willis esprime quello che mi sembra il concetto essenziale sul quale s'impernia il movimento californiano, e cioè che la coscienza crea la realtà, la mente diventa materia, i nostri pensieri precedono il nostro corpo fisico, e non viceversa. Per molti pensatori asiatici questo è un concetto ovvio, ma per la maggior parte di quelli che appartengono all'emisfero occidentale si tratta di un'idea del tutto estranea e rivoluzionaria). Mentre l'auto sale verso il passo a velocità costante, non tento neppure di contenere la sensazione di esultanza che provo, godendomi fino in fondo la gioia del momento e l'afflusso di endorfine che mi scorre nel sangue. In questo viaggio si combinano piacere e affari, anche se negli ultimi tempi questo avviene sempre più spesso. Prima sono andata a trovare la mia amica d'infanzia Nancy Marriott, poi progetto di prendere un aereo per andare ad Anaheim, dove terrò una conferenza nell'ambito di un convegno intitolato scherzosamente «Medicina, miracoli, musica e allegria», organizzato - in modo quanto mai appropriato - al Disneyland Hotel. Ridiventando una scienziata al cento per cento, parteciperò a un convegno di terapeuti che adottano metodi alternativi familiari, fra cui il mio caro amico Carl Simonton, un oncologo che è stato fra i pionieri del movimento per l'uso della visualizzazione, della terapia che utilizza l'arte e della meditazione per aumentare le probabilità di sopravvivenza dei malati di cancro. Ormai ho perso il conto delle volte che ho attraversato la regione costiera ai confini della California per parlare in convegni di medicina alternativa, congressi, incontri e simposi, dopo la prima volta, quando, nel lontano 1984, ho tenuto una relazione all'Institute for the Advancement of Health dell'università di Stanford. Dopo quell'iniziazione al metodo olistico, ho finito per considerare la California all'avanguardia dell'esplorazione mente-corpo, un luogo dove le influenze asiatiche si fondono con la tradizione occidentale, creando un clima di consenso e accettazione nei confronti di idee che per lungo tempo hanno stentato a farsi conoscere sulla costa atlantica. Qui in California pare che ci sia spazio per una riflessione sulle dimensioni della salute, che possono comprendere aspetti come la

331

Page 332: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

preghiera, il flusso dell'energia, la guarigione a distanza e i fenomeni psichici, tanto per citarne qualcuno. A me questo sembra il limite estremo fino al quale la mia mente può spingersi, ma per molti californiani si tratta di idee familiari da tempo, che risalgono a trent'anni fa, alle origini dell'istituto Esalen di Big Sur, dove Michael Murphy e i suoi amici hanno dato l'avvio a un autentico terremoto. Nancy è mia amica dal tempo delle elementari, quando sua madre era il mio comandante nell'equivalente femminile dei boy scout, e da allora siamo rimaste sempre in stretto contatto. Da bambine siamo cresciute insieme a Long Island, abbiamo frequentato le superiori nello stesso istituto, siamo tornate a casa nella stessa città durante le vacanze del college e abbiamo coltivato gli stessi sogni e le stesse ansie riguardo al futuro. Mentre io sono rimasta sulla costa atlantica, lei si è trasferita a Ovest appena finiti gli studi all'università di Columbia, per stabilirsi a San Francisco e occuparsi in modo sempre più attivo del movimento per la salute e la coscienza nato verso la metà degli anni '70. Nel corso degli anni mi sono preoccupata di mettermi in contatto con lei ogni volta che gli impegni di conferenziera mi portavano a San Francisco oppure, negli ultimi anni, nel sud della California, dove ora vive a Santa Barbara. Quando ci ritroviamo, spesso finiamo per scoprire che la nostra vita ha seguito una rotta parallela - abbiamo dato alla luce una figlia a distanza di un solo anno, ci siamo risposate all'incirca nello stesso periodo e convertite alle stesse idee nello stesso tempo - e conserviamo un legame spontaneo, una sintonia fatta di fiducia reciproca, a prescindere dallo spazio e dal tempo che ci separano. Infatti il solo fatto di sapere che Nancy viveva laggiù all'Ovest mi era di conforto, soprattutto nel decennio in cui passavo dalla mentalità conformista degli ambienti ufficiali al «pensiero californiano», più espansivo e flessibile. Mentre viaggiamo conversando, ci piace rievocare le occasioni in cui le nostre strade si sono incrociate in alcune fasi cruciali della nostra vita, riflettendo spesso stadi complementari della nostra evoluzione personale. Una di queste situazioni si è verificata nel 1979, quando Nancy era in viaggio con alcuni amici alla volta di New York ed è passata a trovarmi lungo la strada per Washington. A quell'epoca ero nel pieno

332

Page 333: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

della fase critica seguita al caso Lasker e delle mie tribolazioni successive, quindi mi sentivo molto fragile, e così Nancy si offrì di insegnarmi quella che definiva un'«invocazione per la protezione psichica», un rito che aveva imparato da un maestro spirituale in California. Ai miei occhi quell'invocare dei poteri superiori perché mi proteggessero dal male sembrava una formula magica, ma a livello intuitivo sentii che poteva essermi utile, e senza dubbio avevo bisogno di tutto l'aiuto che potevo procurarmi. Il giorno dopo, a Palazzo, recitai dietro la porta chiusa del mio studio le parole che lei mi aveva insegnato, e provai subito un senso di sollievo dall'ansia e dalla tensione che mi attanagliavano. Continuai a usare quella filastrocca, specie nei momenti in cui mi sentivo particolarmente presa di mira e priva di sostegno, ricavandone forza, se non altro (mi dicevo), grazie al cuscinetto psicologico che mi garantiva. Ora, invece, so che quello strano rito era una preghiera potente, e posso soltanto ipotizzare che abbia funzionato in seguito a una forma di «contatto peptidico extracorporeo», un genere di risonanza emotiva che si verifica quando i recettori vibrano all'unisono all'interno di sistemi apparentemente separati. Questo accadeva prima che fosse introdotto il termine energia sottile per definire una quinta forza ancora misteriosa oltre alle quattro forze convenzionali note alla fisica – energia elettromagnetica, gravità, energia nucleare debole e forte – allo scopo di spiegare anomalie come il potere dell'amore. In questo e in altri modi, Nancy mi ha fatto da radiofaro, introducendomi alle idee mistiche e spirituali che poi ho cercato di interpretare nel contesto della mia attività scientifica.

Ormoni naturali

Le pendici rocciose e la strada tortuosa cedono presto il passo a una vista panoramica di vette montuose spruzzate di neve e campi ondulati disseminati di mucche. Siamo entrati nella valle di Santa Ynez e ci

333

Page 334: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

avviciniamo rapidamente alla minuscola cittadina di Ballard, dove Robert Gottesmann vive ed esercita la professione di medico. La nostra visita è stata sollecitata dal fatto che, essendo veterane della generazione del baby boom - siamo nate tutt'e due nel 1946 - Nancy e io abbiamo raggiunto un'età in cui occorre prendere delle decisioni sulle terapie sostitutive ormonali che ci vengono proposte in vista della menopausa. Ora che gli ormoni femminili sono in fase calante, il problema consiste nel decidere se lasciare che la natura segua tutt'a un tratto il suo corso, visto che la nostra recente capacità di fare sesso senza restare incinte non è naturale. Un anno fa, Nancy mi ha mandato un libro pubblicato in forma privata, Progesterone naturale, scritto dal dottor John Lee, un medico/chimico della California settentrionale che con il suo lavoro pionieristico sulle sostanze ormonali naturali offre un'alternativa alle discusse terapie ormonali a base di farmaci come il Premarin, che sono analoghi brevettati dell'estrogeno. Dato che una buona fetta della nostra generazione, oltre tutto numerosa, sta entrando nella menopausa, questi farmaci si vendono in quantità enormi. Il Premarin, per esempio, è schizzato in cima ai grafici delle vendite nella cittadina dove vivo, Potomac, nel Maryland, rimpiazzando persino Valium e Librium fra i farmaci più prescritti; anzi, è diventato uno dei cinque prodotti più venduti negli Stati Uniti. Dal momento che la terapia sostitutiva a base di ormoni è notoriamente associata a un serio aumento del rischio di tumori al seno, oltre a presentare anche altri rischi, si tratta di una tendenza inquietante. Per quale motivo i medici non mettono a disposizione delle loro pazienti le forme naturali di estrogeni e progesterone, derivate dalle piante, sostanze che, com'è noto, presentano minori effetti collaterali dei loro analoghi prodotti in laboratorio? La risposta riflette l'economia della medicina: poiché le sostanze naturali non si possono brevettare, le industrie farmaceutiche non trovano incentivi allo studio dei loro benefici, e così la maggioranza dei medici, che ricevono le informazioni relative ai farmaci dalle industrie stesse, non sono neppure al corrente della loro esistenza. Nancy, avendo sentito dire che Gottesman è diventato un sostenitore del trattamento con ormoni naturali,

334

Page 335: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

riprendendo qui nella California del sud l'ispirazione fornita dal dottor John Lee, ha deciso che è lui il medico che dobbiamo consultare.

Al nostro arrivo, Bob e la moglie Susan ci salutano con calore, invitandoci a entrare nella loro casa di vetro e legno di sequoia, piccola ma raffinata. Lo spazio piuttosto ridotto è scandito da statue di Buddha e sculture d'acqua giapponesi, che creano un ambiente tranquillo e naturale, con un clima di armonia fra oriente e occidente che mi capita raramente di incontrare negli stati dell'Est, da cui provengo. Bob è un uomo straordinariamente bello e, come scopro ben presto, appartiene alla stessa generazione di Nancy e me. La figura alta e snella e gli occhi di un azzurro luminoso sono messi in risalto dalla folta capigliatura bianca, che crea un netto contrasto con la moglie, una donna dall'ossatura minuta e dai capelli scuri. Susan è un'infermiera e una consulente professionale che collabora spesso con il marito, occupandosi della cura di donne che accusano disturbi della menopausa. Hanno entrambi familiarità con il mio lavoro, dato che hanno visto la mia intervista televisiva con Bill Moyers, nello speciale televisivo della PBS intitolato Healing and the Mind, trasmesso per la prima volta nel 1992, e mi fanno sentire bene accetta, come se fossi un membro della famiglia. Nel giro di pochi minuti troviamo un terreno comune di discussione, rappresentato dall'interesse per la medicina mente/corpo e per la sua confluenza con la filosofia orientale. Ma prima di approfondire la conversazione Bob suggerisce di passare alla visita medica, dopodiché potremo ritrovarci in soggiorno per prendere il tè e chiacchierare. Accettiamo, e Susan mi fa strada verso lo studio, dove resto piacevolmente sorpresa dall'arredamento confortevole, dall'abbondanza di piante verdi e dall'assenza di odori antisettici, strumenti e camici bianchi. Bob ci raggiunge, procedendo a un' attenta anamnesi, che consiste in una lunga serie di domande e risposte sul mio stato di salute passato e presente. Anche se ora ha assunto il ruolo ufficiale di medico, mantiene lo stesso atteggiamento cordiale e affabile che ha mostrato nell'accoglierci in casa sua, ascoltando con

335

Page 336: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

attenzione le mie risposte ed esprimendo una comprensione e una sensibilità che mi rinfrancano. In netto contrasto con i metodi seguiti da medici più conformisti, gran parte della sua valutazione personale s'impernia sulle informazioni che fornisco non soltanto in merito al mio stato fisico, ma anche alle mie condizioni emotive. Dopo la visita, mi prescrive una serie di test ormonali e analisi del sangue per controllare i livelli attuali di progesterone e di estrogeno, i due ormoni chiave che sono influenzati dall'avvicinarsi della menopausa, ai quali seguirà un'altra consultazione telefonica una volta ricevuti i risultati. Bob mi consegna un vasetto di crema per applicazioni locali, contenente progesterone ricavato da ignami selvatici messicani, con l'intesa che dovrò applicarla dopo che le analisi avranno indicato il dosaggio appropriato. Mi spiega che, mentre nella menopausa tanto il progesterone quanto l'estrogeno cominciano a calare - per la verità il livello di progesterone diminuisce già alcuni anni prima della menopausa (premenopausa), dal momento che l'ovulazione diventa molto irregolare in quegli anni, e il progesterone viene rilasciato soltanto dopo l'ovulazione -, molte donne in menopausa o premenopausa presentano una condizione di predominio dell'estrogeno. Questo accade perché il progesterone è insufficiente a «contrastare» l'estrogeno. È l'estrogeno non contrastato, dice Bob, l'agente responsabile di molti sintomi della menopausa: vampate, mastopatia fibrocistica, aumento di peso e ritenzione idrica. Il progesterone per via locale che mi consiglia verrà assorbito attraverso la pelle, proteggendomi da questi sintomi fastidiosi. Dal momento che il progesterone è l'«ormone materno», che crea sensazioni di calma e di istinti protettivi (specie nelle donne che sono incinte o allattano, le quali lo producono in gran quantità), la crema può anche attenuare gli sbalzi di umore accusati da molte donne durante la menopausa.

336

Page 337: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Informazioni

Una volta completata la visita, Nancy e io ci ritroviamo nel confortevole soggiorno, ove ben presto s'intreccia una conversazione stimolante che tocca i temi della medicina mente-corpo, della filosofia orientale, della teoria dell'informazione e della fisica dei quanti. Apprendo con stupore che Bob è nipote di Karl Menninger, della Fondazione Menninger, la clinica psichiatrica universitaria del Kansas che ha incoraggiato il lavoro sul biofeedback svolto dai ricercatori Elmer e Alyce Green negli anni '70. Gottesman è davvero un esponente della nuova generazione di medici, con un piede saldamente piantato nella tradizione occidentale e l'altro nel mondo della medicina alternativa e delle tradizioni orientali, e tutto questo per lui fa parte di un'eredità familiare. A Bob piace ragionare in termini filosofici. «A me pare che la via per sanare la frattura che esiste fra il corpo e la mente consista nel cambiare metafore», suggerisce. Metafore? Sono interessata, ma mi domando se finiremo per parlare di poesia o di scienza. Ben presto appare evidente che Bob le fonde in un modo tutto personale e illuminante, che promette di offrire spunti per la risposta agli interrogativi sui quali rifletto da qualche tempo. Una metafora, in fondo, è solo un modo di vedere le cose, e si potrebbe definire benissimo un punto di vista, o addirittura un paradigma. «La metafora che propongo», continua Bob, «per comprendere il problema dei rapporti corpo/mente si rifà alla teoria dell'informazione, un campo ben sviluppato, con leggi e teorie verificabili, che si possono applicare benissimo alle scienze tradizionali, oltre che agli affari e alle discipline umanistiche.» Ora sì che ha tutta la mia attenzione. lo stessa,da qualche tempo, vado teorizzando una nuova biologia mente-corpo, in cui le informazioni costituiscano il ponte che unisce mente e materia, psiche e soma. Quando Michael e io abbiamo svolto la ricerca iniziale che illustrava il rapporto fra sistema immunitario, endocrino e nervoso, abbiamo scelto termini come rete, punto nodale e molecola informazionale per mettere

337

Page 338: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

in risalto il fatto che la ragion d'essere del sistema è l'elaborazione delle informazioni, e in seguito abbiamo adottato la definizione sostanze informazionali coniata da Francis Schmitt per indicare i neuropeptidi e i recettori. Questo dunque è un linguaggio che mi risulta perfettamente comprensibile. «Ma prima credo che dobbiamo distinguere fra la metafora relativa a materia ed energia e quella che riguarda le informazioni», precisa Gottesman. «La metafora più antica si riferisce a materia, forza ed energia, ed è espressa nella famosa formula di Einstein che riunisce questi tre elementi: E = mc2. Questi termini, pur essendo utili per costruire locomotive e ponti, o anche bombe atomiche, non sono validi per la comprensione del corpo umano. I processi fisici non sono oggetti, sono dinamici e avvengono in un sistema aperto e fluido, quindi si adattano meglio alla metafora delle informazioni che a quella della materia e della forza». Comincio a capire dove vuole arrivare. La metafora più antica appartiene chiaramente a quello che è tuttora il paradigma dominante, una visione meccanica e deterministica fondata sulla fisica di Newton. È una concezione rigida anziché fluida, che si potrebbe addirittura definire maschilista per il peso che attribuisce alla forza e al controllo al fine di raggiungere gli obiettivi, e non si potrebbe mai applicare alla rete non gerarchica di relazioni che costituisce i sistemi biologici in quella che definiamo la rete psicosomatica, un modello tutto sommato più femminile. Bob riassume: «Una generazione fa, si riteneva che il concetto di materia e di energia fosse la base per la comprensione di tutti i fenomeni. Oggi il concetto di informazione si sostituisce a energia e materia come denominatore comune per la comprensione di tutte le forme di vita biologica, e persino dei processi ambientali». «Sì, e anche neuropeptidi e recettori», intervengo, assalita da una nuova intuizione, «cioè le sostanze biochimiche definite oggi molecole dell'informazione, utilizzano un linguaggio in codice per comunicare attraverso una rete mente-corpo. Sono impegnate in uno scambio di informazioni, una conversazione scambievole... molto diversa da quello

338

Page 339: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

che accade quando c'è soltanto una spinta unidirezionale, come nell'azione di una forza». «Certo, e questo mi fa pensare a un'altra legge della teoria dell'informazione», replica Bob, «vale a dire che le informazioni trascendono il tempo e lo spazio, collocandosi oltre i limiti angusti della materia e dell'energia.» Lo guardiamo, un pò perplesse. «Per capire questo », spiega, «dobbiamo tornare un pò indietro, e capire come Gregory Bateson abbia definito le informazioni “la differenza che fa la differenza”. Noi tutti percepiamo il mondo osservando le differenze nei vari campi sensoriali, per esempio le variazioni di sapore, consistenza, colore, eccetera. Per esempio, una mucca che pascola in un prato e un botanico che passeggia nello stesso prato percepiranno entrambi l'erba verde come una realtà che si distingue, poniamo, dal cibo. Ma mentre per la mucca l'erba significa cibo, per il botanico significa un possibile campione da portare a casa per studiarlo in laboratorio. La differenza che fa la differenza, dunque, è la differenza per l'osservatore. Questo è un concetto molto importante nella teoria dell'informazione, perché l'inclusione dell'osservatore nell'equazione ammette nel sistema un nuovo livello di intelligenza. Nella vecchia metafora, si ignorava l'osservatore nel tentativo di evitare ogni sospetto di interferenza soggettiva nella determinazione della realtà. Nella nuova metafora, invece, l'osservatore svolge un ruolo importante nel definire la realtà, perché è la sua partecipazione che fa la differenza». Lo interrompo, esclamando eccitata: «Oh, la coscienza dell'osservatore...ecco il nesso con la meccanica quantistica». «Sì, proprio così. E ora torniamo alla mia tesi che le informazioni - la differenza che fa la differenza - non cambiano col tempo o con lo spazio». Per illustrare il suo punto di vista, Bob mi indica una tazza di tè sul tavolo. «La differenza fra me e la tazza resta la stessa sia che mi trovi qui, sia che mi trovi in Alaska. Le informazioni non dipendono dal tempo o dallo spazio, come la materia o l'energia, ma esistono indipendentemente da questi limiti».

339

Page 340: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Mi accorgo che Gottesman sta per avventurarsi su un terreno molto radicale, che comporta ripercussioni profonde. Se le informazioni sono al di fuori dei confini del tempo e dello spazio, della materia e dell'energia, devono appartenere a un regno molto diverso da quello concreto e tangibile che consideriamo «realtà». E dato che le informazioni, sotto forma di basi biochimiche delle emozioni, controllano tutti i sistemi del corpo, ciò significherebbe che anche le nostre emozioni devono provenire da un regno che trascende il mondo fisico. La teoria dell'informazione sembra convergere con la filosofia orientale per suggerire che la mente, la coscienza, consistente in informazioni, preesiste al mondo fisico, che è secondario, una mera rappresentazione esterna della coscienza. Benché questa posizione rappresenti il limite estremo al quale può spingersi la mia mentalità scientifica, comincio a capire come una concezione del genere possa coesistere senza problemi con il tipo di scienza che ho cominciato a praticare da qualche tempo. «Ora passiamo a un altro punto importante della teoria dell'informazione, quello del feedback», prosegue Gottesman. «Secondo Bateson, il morso più grande alla mela del sapere dai tempi di Platone è stato la scoperta del feedback. L'idea del feedback deriva dalla cibernetica, lo studio scientifico dei processi di controllo nei vari sistemi. La parola ciber deriva dal greco kybernetes, che indica “colui che pilota”, ovvero “il timoniere” di una nave. Ora, il timoniere governa la nave regolando di continuo la barra del timone in risposta alle informazioni, ovvero al feedback, che riceve da letture visive, o grazie alla vista, o mediante strumenti. Questo è un esempio di circuito di feedback». «Sì», intervengo. «Questo concetto mi è familiare, grazie alla breve esperienza di navigazione a vela che mi sono fatta partecipando alle regate nella baia di Chesapeake. L'errore più comune del marinaio inesperto, in preda all'ansia, consiste nel tesare le vele prima ancora di ricevere informazioni sulle variazioni di velocità e direzione della nave. Ho dovuto imparare ad aspettare secondi, o anche minuti interi, prima che la vela prenda il vento e il timoniere regoli la barra di conseguenza,

340

Page 341: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

e soltanto allora potevo sfruttare le informazioni, ossia il feedback, per manovrare correttamente le vele. «E lo stesso principio vale nella rete psicosomatica», aggiungo, «che è analoga a una regata, in quanto effetto di una serie di circuiti di feedback. Le cellule non fanno che inviare segnali alle altre mediante il rilascio di neuropeptidi che legano con i recettori. Le cellule che li ricevono, come il timoniere o il marinaio addetto alle vele, rispondono con alcune modificazioni fisiologiche. Questi cambiamenti a loro volta ritrasmettono informazioni alle cellule che producono i peptidi, indicando quanto se ne deve secernere in più o in meno. È così che tanto il corpo quanto la barca possono procedere, grazie a una serie di rapidi scambi di feedback. Un sistema è sano, o 'integro', una parola che corrisponde meglio al concetto di salute, quando questi scambi sono rapidi e non incontrano ostacoli, sia che avvengano fra peptidi e recettori, sia fra il comandante e il timoniere. Ho letto di recente nell'ultimo libro di Fritjof Capra, The Web of Life, che Walter B. Cannon, il celebre medico e fisiologo che lavorava negli anni '20, è stato il primo a formulare il concetto di omeostasi come sistema innato di equilibrio interno, destinato ad assicurare uno stato relativamente costante all'interno del corpo. Capra sottolinea che l'idea di Cannon costituisce forse la prima visione di un organismo come circolo chiuso di un flusso di informazioni». «Ha ragione », conviene Gottesman. «E anch'io uso il concetto di scambio rapido di feedback quando curo i pazienti. Come ha sperimentato lei stessa durante la visita, faccio molte domande, per indurre i pazienti a prestare attenzione a quello che succede loro, a controllare se stessi. Ci vuole tempo, ed è proprio quello che la maggior parte dei medici non è disposta a investire, ma io lo faccio perché voglio che i miei pazienti percepiscano la differenza che fa la differenza per loro. Coloro che sono in grado di reagire in questo modo, di controllarsi da sé, guariscono più in fretta, perché nel loro organismo è più attiva l'intelligenza e circolano più informazioni destinate a produrre mutamenti che portano con sé il miglioramento. Quindi penso che in ultima analisi questo metodo faccia risparmiare tempo».

341

Page 342: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Sto riflettendo. Questo concetto del rapido scambio di feedback in un circuito può spiegare anche il modo in cui ho condotto le mie ricerche scientifiche in questi anni. Quasi tutti i successi che la mia équipe e io abbiamo ottenuto erano frutto di un rapido scambio di informazioni intercorso dal momento di compiere un esperimento a quello di utilizzare i risultati per apportare cambiamenti o piccoli ritocchi immediati. Nella ricerca sull'AIDS, per esempio, Michael e io abbiamo risolto il mistero del peptide che si adattava ai recettori del virus formulando ogni mattina un nuovo quesito sperimentale, ottenendo i risultati nel pomeriggio e poi meditando sui dati ogni sera per escogitare le modifiche da apportare il giorno dopo. Questa è l'eredità che mi ha lasciato Sol Snyder, la filosofia del ciclo rapido, della durata di un giorno, che lui ha soprannominato il «giro veloce». «Oh, capisco», esclama Nancy. Dopo avere riflettuto sulle parole di Bob, ora è pronta a replicare. «Più il ciclo completo del feedback è rapido o serrato, maggiore è l'intelligenza attiva nel sistema, sia che venga utilizzata per conservarlo in salute sia per vincere la regata. Quindi fra medico e paziente, più si comunica, meglio è, e migliori sono le comunicazioni, migliore è lo stato di salute». Restiamo in silenzio per un attimo, ma all'improvviso Bob riparte in una nuova direzione. «Quindi, secondo me, tutta questa conversazione sulle metafore e sui circuiti di feedback approda a un interrogativo essenziale: il mondo fisico della materia e dell'energia è “reale”, e le molecole esistono davvero?» Mi fa piacere che sia tornato al quesito fondamentale sull'uovo e la gallina: la coscienza precede la realtà fisica, o viceversa? «lo penso che sia preferibile considerare le molecole e gli altri fenomeni fisici come metafore, strumenti che utilizziamo per poter parlare di qualcosa», prosegue Bob. «L'equatore non esiste nella realtà, ma come metafora è molto utile, e durante la navigazione la vita dei passeggeri e dei marinai dipende da questo. So che è un terreno scomodo per la maggior parte degli scienziati tradizionali, ma lei

342

Page 343: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sembra una persona molto aperta, quindi spero che riesca ad assorbire il significato più riposto di quanto sto dicendo». Lo spero. Gottesman aggiunge: «Rifletta sul fatto che il corpo stesso potrebbe essere una metafora, un semplice modo di riferirsi a un'esperienza comune a tutti noi. Forse la verità è che non siamo noi ad avere la coscienza, ma è la coscienza ad avere noi». Ora siamo su una linea davvero orientale, ma riesco a seguire il discorso con una mentalità aperta, grazie alle esperienze che ho vissuto negli ultimi dieci anni o giù di lì. In questo campo l'influenza che Deepak ha esercitato su di me è stata particolarmente profonda, consentendomi di partecipare allo scambio di esperienze della conversazione. «Vorrei raccontarle un aneddoto che una volta Deepak Chopra ha narrato al pubblico presentandomi in occasione di una conferenza che ho tenuto nel suo istituto», dico a questo punto per offrire un contributo. «Era in visita in India quando incontrò dei saggi, i rishi, che sono i capi spirituali in quella nazione. Nel corso della conversazione, cercò di spiegare a quegli uomini il mio lavoro, l'idea che i neuropeptidi e i recettori siano in comunicazione, quali molecole delle informazioni. I saggi, però, si limitarono a scrollare il capo, lanciandogli occhiate molto perplesse. Alla fine, il più vecchio e saggio diede l'impressione di avere finalmente afferrato di che si trattava. Si raddrizzò sulla sedia ed esclamò, con un' espressione di grande sorpresa: 'Oh, capisco. Questa donna è convinta che le molecole siano reali!» Il racconto ci consente di farci una bella risata, e su quella nota finale sentiamo di poter aggiornare, per oggi, la discussione sulla natura ultima dell'universo. La calda luce del sole che invadeva il soggiorno all'inizio della conversazione è ormai sbiadita, e il gelo improvviso mi avverte che è tempo di ripartire. Susan, che fino a questo momento ha assimilato in silenzio la nostra discussione, si rivolge a me e, mentre Bob e Nancy si avviano alla porta, mi offre un saggio consiglio di congedo: «Lei mi sembra una persona che ha raggiunto molti traguardi nel mondo della scienza, ma avverto in lei il desiderio di entrare più in contatto con la sua anima, la sua identità

343

Page 344: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

spirituale, la sua vera femminilità. Forse questo può comportare la rinuncia al controllo della situazione, la necessità di lasciare a suo marito l'iniziativa nella ricerca che svolgete insieme, mentre lei si concentra di più sulla sua salute e sul suo nuovo modo di essere. C'è una parte di lei che anela a nascere e ha bisogno soltanto di attenzioni premurose». Aveva ragione. Non mi stava forse proponendo un'altra versione della lezione che mi aveva già impartito Deepak, suggerendomi di non metterci tanto impegno, di rinunciare a forzare il corso degli avvenimenti e darmi da fare per mandare avanti la ricerca, il farmaco da usare contro l'AIDS? Per me era tempo di cominciare a interpretare la mia vita come una conversazione, una ragnatela di interazioni e rapporti tutti connessi fra loro e tutti rivolti nella stessa direzione, senza sentire il bisogno di spingere in continuazione. Questo era uno degli insegnamenti della meditazione. Il controllo rientrava nella vecchia metafora, e non serviva più a raggiungere gli obiettivi che mi proponevo, a completare la mia ricerca. Era venuto il momento di lasciare maggiore spazio a Michael, e anche di lavorare con altri scienziati, varando dei progetti in collaborazione, rinunciando al mio atteggiamento di alfiera isolata sul campo di battaglia della ricerca sull'AIDS. Con i vasetti di crema agli ormoni saldamente stretti in mano, Nancy e io salutiamo Bob, mettendoci in viaggio per tornare a Santa Barbara. Risalendo dal fondo della valle verso il passo fra le montagne, restiamo a lungo immerse nei nostri pensieri, riflettendo sugli avvenimenti della giornata.

Con quella nuova concezione della scienza delle informazioni, cominciavo a vedere sotto una luce nuova la mia teoria che i neuropeptidi e i loro recettori siano le basi biochimiche delle emozioni. Le emozioni sono il contenuto informativo che viene trasmesso nella rete psicosomatica, in un processo al quale partecipano i vari sistemi, organi e cellule del corpo umano. Al pari delle informazioni, dunque, anche le emozioni viaggiano fra i due mondi della mente e del corpo, così come i peptidi e i loro

344

Page 345: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

recettori nel regno fisico, e come le sensazioni che sperimentiamo e definiamo col nome di emozioni nel regno non materiale. Le informazioni, ecco la tessera mancante che ci consente di separare la scissione fra corpo e mente della concezione cartesiana, perché le informazioni, per definizione, non appartengono né al corpo né alla mente, anche se riguardano entrambi. Dobbiamo accettare il fatto che occupano un ambito del tutto nuovo, che forse si potrebbe definire «inforegno», e che la scienza deve ancora esplorare. La teoria dell'informazione ci consente di sfuggire alla trappola del riduzionismo e ai suoi dogmi: positivismo, determinismo e oggettività. Anche se questi concetti base della scienza occidentale ci sono stati impressi nella coscienza fin dal Cinquecento e Seicento, la teoria delle informazioni costituisce un linguaggio così nuovo, un linguaggio ricco di relazione, cooperazione, interdipendenza e sinergia, anziché semplice forza e reattività, da aiutarci a uscire dai vecchi schemi di pensiero. Ora possiamo cominciare a concettualizzare un nuovo modello dell'universo, e del posto che vi occupiamo.

Corpo/mente

Erano queste le mie riflessioni mentre superavamo lo stretto passo fra le montagne, sull'auto lanciata a tutta velocità verso il tramonto rosa che si spiegava nel cielo sopra Santa Barbara. «Allora, che cosa te ne sembra della visita?» domandò finalmente Nancy, rompendo il silenzio. «Non somiglia davvero a quelle che ho provato a Washington, te lo assicuro. Alla fine mi sentivo bene, e non come se fossi un taglio di carne che aveva appena superato l'ispezione. Anzi, credo che non avrò più voglia di andare da un medico normale...a meno che non cada dalla finestra oppure mi venga l'appendicite», scherzai, scoppiando a ridere.

345

Page 346: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Nancy rise con me. «So che cosa vuoi dire, perché ho provato la stessa sensazione.» «Per la verità è molto tempo che non mi faccio visitare da un medico normale. Di solito mi rivolgo ai chiropratici, oppure seguo una terapia a base di massaggi combinati con alcune prescrizioni dietetiche per qualunque tipo di disturbo. Sto sperimentando la medicina ayurvedica, cioè la pratica tradizionale diffusa in India. I medici di stampo occidentale sul tipo di Gottesman sono rari... potremmo chiamarlo infodottore?» «Mi è piaciuto davvero quello che ha detto della nuova metafora», osservò Nancy. «Mi suggerisce un nuovo modo di vedere me stessa. Non sono più una macchina composta da un corpo che viene mosso da un cervello, in balia della carica elettrica che deve far battere il cuore e sprizzare scintille dalle sinapsi. Ora invece posso considerarmi un sistema intelligente, che comporta un rapido e imponente scambio di informazioni fra mente e corpo. Le mie cellule si parlano, letteralmente, e il cervello partecipa alla conversazione!» Dovetti convenire che aveva ragione. Quello che intendeva Nancy non era soltanto un nuovo concetto di sé, ma un nuovo senso di integrità, qualcosa che anch'io stavo per adottare nella mia vita, e verso il quale puntava tutta la mia ricerca. La nuova immagine di sé che ci era stata proposta contemplava un'integrazione fra corpo e mente, completa di intelligenza, un'intelligenza emotiva, e persino di un'anima, o componente spirituale. E il sottinteso al quale non si poteva sfuggire era che ciascuno di noi è un sistema dinamico dotato di un costante potenziale di cambiamento in cui l'autoguarigione costituisce la regola, anziché l'eccezione miracolosa. Assentendo, aspettai che Nancy continuasse. «E ora che so come il mio corpo possieda una sua saggezza, questo richiede un nuovo genere di responsabilità da parte mia. Non posso continuare a comportarmi come una macchina inanimata che aspetta di essere riparata dal meccanico... altrimenti noto come medico. Ora ho la capacità potenziale di intervenire sul mio stesso organismo, per assumere un ruolo attivo nella mia guarigione. Sono al tempo stesso più

346

Page 347: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

potente e più responsabile nel creare la salute che vivo, rispetto alla macchina stupida che credevo di essere.» «È proprio così», riconobbi, perché ora vedevo il nesso fra l'«intervento cosciente» di cui parlava Nancy, e ciò che Deepak descrive nei suoi libri quando parla della meditazione come intenzione: il progetto, l'ordine del giorno, il punto focale. Quando lo dissi a Nancy, lei afferrò al volo. «Sì », esclamò, visto che praticava anche lei la meditazione da anni. «Ed è così che intendo l'efficacia della meditazione, come un processo in cui espongo la mia intenzione, mi prefiggo uno scopo, e poi mi limito a prestare attenzione, di qualunque cosa si tratti, restando concentrata con la mente. Il punto focale della concentrazione può essere un mantra, oppure la respirazione, o un altro elemento qualsiasi, come la guarigione del mio corpo o la pace sul pianeta. So di intervenire già sul sistema in modo inconscio con i normali pensieri di ogni giorno, a volte persino a danno del sistema... sai, per esempio esagerando nel governare le vele, tanto per ricorrere alla tua metafora, oppure mandando in tilt il funzionamento, l'equilibrio naturale... l'omeostasi, come la chiamava Cannon. E così posso decidere di smettere e di intervenire invece con intenzione». Assentii. Nel vecchio modello evoluzionistico, le malattie croniche come affezioni cardiache e cancro sono considerate forze che attaccano il corpo, trasformandoci in vittime inermi, incapaci di qualunque reazione che non sia un trattamento medico ad alto livello tecnologico. Invece il concetto di intervento cosciente aggiunge all'equazione un elemento nuovo, un'intelligenza apprezzata sul piano scientifico che può interpretare un ruolo attivo nel processo di risanamento. La meditazione è solo uno dei tanti modi per entrare nella conversazione interna del corpo, con un intervento coscientemente nelle sue interazioni biochimiche. Raggiungiamo Santa Barbara poco dopo il tramonto. Ho intenzione di andare a letto presto, perché ho ancora bisogno di recuperare il sonno perduto e adeguarmi al fuso orario della costa del Pacifico. Comunque la mia unità corpo/mente è tutta in fermento per le nuove idee che stiamo formulando, molte delle quali ho in progetto di esplorare e assimilare,

347

Page 348: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

magari esponendone qualcuna nel corso dei lavori del congresso di Anaheim, l'indomani.

Felicità

Disneyland, il magico regno dell'eterna giovinezza, la promessa di una felicità destinata a durare per sempre! Sulle prime, ricevendo l'invito a presenziare a un congresso che si sarebbe tenuto al Disneyland Hotel, ero rimasta un tantino sorpresa. Forse era colpa delle mie radici, affondate nel vecchio paradigma, ma mi colpì l'incongruenza di un convegno medico organizzato in una località associata con i cartoni animati e la fantasia; mi sembrava strano, ecco. Comunque, leggendo il titolo e il programma di oratori ed eventi, entrai subito nello spirito dell'iniziativa: «Medicina, miracoli, musica e allegria». Sarebbe stato un incontro fra ricercatori, terapeuti, musicisti, e persino artisti del varietà, per mettere a fuoco l'interfaccia fra psiconeuroimmunologia, guarigione non tradizionale e divertimento. In realtà mi sentivo eccitata all'idea di trovarmi a Disneyland e di risiedere al Disneyland Hotel, porta a porta con il parco a tema che aveva riempito i sogni della mia infanzia. Negli anni '50, gli anni dell'infanzia che ho vissuto a Levittown, nello stato di New York, tutti i bambini americani normali e a sangue caldo di mia conoscenza sognavano di vincere un viaggio a Disneyland. Il massimo a cui sono arrivata io è stato portare le orecchie da Minnie restando seduta per ore davanti al televisore per guardare le trasmissioni del Mickey Mouse Club: era inconcepibile che la mia famiglia andasse in California per varcare le porte di quel regno favoloso. Nessuno di mia conoscenza era mai andato a Disneyland; era un'esperienza paragonabile a un viaggio su Marte. E ora, quarant'anni dopo, scendo dalla navetta dell'aeroporto davanti all'ingresso del Disneyland Hotel. Sopra di me corre il vagone della

348

Page 349: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

monorotaia, pieno zeppo di campeggiatori felici diretti verso il mondo in cui le favole diventano realtà, e in lontananza si profilano le torrette di un castello misterioso, quasi a suggerire che il regno della fantasia non è poi tanto lontano. Alla mia mente di scienziata sembra tutto un pò surreale, anche se la bambina di otto anni che è dentro di me è felice di trovarsi qui. E sembrano tutti così felici, dai fattorini agli impiegati della portineria... lo so che dovrei essere felice. Ce l'ho fatta, finalmente: sono a Disneyland! Ma in tutta sincerità sento soprattutto la stanchezza del jet lag, e mi rattrista il pensiero che mio figlio Brandon, di quattordici anni, si trovi a quattromilacinquecento chilometri da qui e non possa dividere con me questa esperienza. E mi manca anche Michael, che ho lasciato a Washington nel bel mezzo di un periodo cruciale per il peptide T, proprio quando abbiamo saputo che un perito stava per visitare il nostro laboratorio di Georgetown per compiere dei nuovi test che, se avessero successo, potrebbero segnare un progresso decisivo per il nostro lavoro. Lasciare Michael a cavarsela da solo non è stato facile, ma mi consolo pensando che questo rientra nel mio nuovo atteggiamento, in cui sono propensa ad affidarmi alla corrente. Pure, non posso fare a meno di chiedermi come staranno andando le cose, e stento a resistere all'impulso di sollevare il ricevitore. Lascia perdere, dico a me stessa, sei qui per divertirti! Decido di uscire per mangiare un boccone e dare un'occhiata in giro, in uno dei tanti caffè all'aperto che si trovano lungo il canale navigabile. Nell'aria aleggiano le melodie familiari dei cartoni animati di Disney, trasmesse da un sistema stereo onnipresente, e camminando mi ritrovo a canticchiare molte canzoni di quelle che preferivo da bambina: When You Wish upon a Star, o Someday My Prince Will Come. Sedendomi a un tavolino, ordino da mangiare e mi rilasso. «Allora, ci divertiamo?» Quella battuta ricorrente mi passa per la testa mentre osservo la scena. Il mito disneyano della felicità si estende a ogni minimo dettaglio. Ha ispirato tutta la mia infanzia, e quella dei miei figli, e molto probabilmente ispirerà anche quella dei loro figli. Specie per noi rappresentanti della generazione del baby boom, il paese di

349

Page 350: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Disney coincide con il simbolo della felicità infantile, di quella che avremmo dovuto avere, che volevamo, ma che non sempre abbiamo avuto. Ho letto di recente un sondaggio in cui si rivolgeva agli americani il seguente quesito: «Siete soddisfatti della vostra vita?» E la percentuale di coloro che hanno risposto di sì è risultato incredibilmente alto; soprattutto se si tiene conto del fatto che secondo le statistiche i disturbi dell'umore, come depressione e ansia, sono in aumento e diventano sempre più diffusi. Dal momento che la depressione clinica è una malattia potenzialmente letale, anche i suicidi legati alla depressione sono in aumento. Mi viene da chiedere: se sono tutti così felici, come mai la depressione ha raggiunto una diffusione quasi epidemica nella nostra società? Siamo forse propensi a negarlo, aggrappandoci a quella che riteniamo sia la norma culturale, a quello che la società si aspetta da noi? Ci vergogniamo di ammettere che potremmo essere tristi, infelici, delusi e insoddisfatti della vita? Come ho già accennato, molti considerano la depressione una forma di collera rivolta verso se stessi, rimasta inespressa e sepolta al di sotto della soglia della coscienza, dove, pur essendo apparentemente sotto controllo, implode lentamente. Come cultura, teniamo nascosti i nostri sentimenti, timorosi di esprimerli con franchezza per paura che gli altri siano indifferenti alle nostre pene, oppure si sentano estraniati o feriti dalla nostra ira. Meglio negare i sentimenti, reprimerli, diciamo a noi stessi, e simulare una felicità che non proviamo, fingendo di divertirci, fino al giorno in cui toccheremo il fondo e il medico di famiglia emetterà la diagnosi: depressione. E proprio questo problema delle emozioni malate, cioè l'accumularsi di emozioni ferite e spezzate, il fardello che opprime molti di noi e li fa barcollare, senza lasciarsi sfuggire una parola; è questo il male che il modello medico dominante si rivela meno indicato ad affrontare. Quando chiediamo aiuto, spesso l'unico che ci viene offerto dalla psicologia e dalla psichiatria ufficiale è quello che definisco terapia «parla e dosa»: un sacco di chiacchiere, ma soprattutto di pastiglie, che dovrebbero far sparire i sentimenti inaccettabili. Una cura, sì, ma una cura che non fa altro che applicare un cerotto al sintomo e consegnare i

350

Page 351: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

pazienti a una dipendenza dai farmaci, invece di orientarli verso la possibilità di provare emozioni risanatrici. Quello a cui la medicina ufficiale non presta grande attenzione è il significato dello stato opposto alla depressione, ossia la felicità. lo sono convinta che la felicità sia ciò che proviamo quando le componenti biochimiche alla base delle emozioni, cioè i neuropeptidi e i loro recettori, sono aperte e possono circolare liberamente nella rete psicosomatica, integrando e coordinando sistemi, organi e cellule in un movimento continuo e ritmico. Spesso salute e felicità vanno di pari passo, e forse questo avviene perché la fisiologia e le emozioni sono inseparabili. Io sono convinta che la felicità sia la nostra condizione naturale, che l'estasi sia insita nella nostra natura. Solo quando i nostri sistemi organici sono intasati, bloccati e sconvolti, sperimentiamo i disturbi dell'umore che sfociano in ultima analisi nell'infelicità. Dopo una passeggiata veloce nel parco, al rientro nella mia camera d'albergo trovo un messaggio di Michael, ma sulla costa atlantica è troppo tardi per richiamarlo. Il sonno mi sorprende facilmente.

Emozioni malate

La mattina dopo, alla fine della mia comunicazione, mi sto avviando verso le scale che portano alla hall, quando sento una voce alle mie spalle. «Dottoressa Pert, ha un istante per me?» Non proprio, per la verità. Sono stata invitata a pranzo da due donne che mi hanno avvicinato dopo aver ascoltato la relazione. Si tratta di una coppia davvero insolita, un medico e una sensitiva, due amiche venute insieme al convegno. Avevo intenzione di starmene seduta al sole per una mezz'ora, prima dell'appuntamento con loro in un locale italiano. Tuttavia voltandomi vedo il viso cordiale e sorridente di una donna dall'aria risoluta che mi segue su per le scale. «Ma certo », rispondo,

351

Page 352: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

trovando difficile resisterle, anche se non ho idea della situazione in cui sto per cacciarmi. Ci avviamo verso un punto soleggiato lungo il canale navigabile che scorre al centro del parco e ci sediamo a un tavolino. Mentre ordiniamo una bibita fresca, vediamo bambini felici e genitori un pò meno felici che sospingono i pedalò colorati sul pelo dell'acqua. Marilyn, vengo a sapere, è una consulente matrimoniale che si occupa anche della famiglia e dell'infanzia, una consulente con tanto di diploma che manda avanti uno studio ben avviato nella California settentrionale, dove mi spiega di aver notato una tendenza preoccupante. Non perde tempo per venire al punto. «Ho l'impressione che dieci anni fa, quando ho cominciato a esercitare la mia professione, mi capitasse di rado di vedere un cliente che faceva uso di antidepressivi », mi spiega. «Forse un pò di Valium o di Librium, ogni tanto, ma quelli sono miorilassanti relativamente innocui. Ora vedo usare Prozac, Zoloft, Paxil, Serzone, Tofranil: quasi tutti i miei clienti prendono l'uno o l'altro». Comprendo lo sconcerto di Marilyn per questo improvviso incremento nell'uso di antidepressivi che richiedono una prescrizione medica e ho parlato con molti psicoterapisti che, come lei, sono confusi e preoccupati di fronte a quella che sembra la panacea universale contro l'epidemia di depressione in atto. «Di recente», aggiunge, «ho chiesto a uno psichiatra che collabora con il mio gruppo di consulenza come mai tanti dei miei clienti ricevono ricette mediche per gli antidepressivi. Lui mi ha spiegato che i farmaci correggono gli squilibri chimici del cervello che sono la causa della depressione, e che per molti risultano più efficaci di altri generi di terapia». Mentre Marilyn parla, mi tornano in mente di colpo le riflessioni della sera prima, durante la cena. Gli antidepressivi, come molti farmaci somministrati durante il parto, sono un esempio di sostanze che si dovrebbero prescrivere con ben maggiore parsimonia, se fosse più diffusa la conoscenza della gamma completa di azione dei peptidergici nell'unità corpo/mente.

352

Page 353: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«Che effetto hanno queste sostanze sul corpo e sulla mente?» mi domanda Marilyn. «Pensa davvero che tante persone debbano prenderle?» Nella conferenza di questa mattina ho spiegato che la rete psicosomatica opera attraverso una serie di circuiti di feedback peptidergici in delicato equilibrio fra loro, cosicché, quando il flusso delle informazioni chimiche non viene ostacolato, si ottiene l'omeostasi, ossia l'equilibrio. Ho accennato appena al problema del modo in cui droghe, legali e illegali, entrano nella rete, influenzando il naturale equilibrio omeostatico. «Parliamo innanzi tutto dell'effetto di queste droghe», comincio. «In sostanza entrano in azione al livello in cui le cellule cerebrali comunicano fra loro attraverso la sinapsi. Le sostanze chimiche secrete da una di esse legano con il recettore di un'altra. Se la produzione è eccessiva, entra in azione un meccanismo definito di 'riassorbimento', per cui la cellula riassorbe l'eccesso. La classica concezione della depressione implica che si verifichi un calo della serotonina, una sostanza neurochimica prodotta dalle cellule del cervello. Per rimediare a questo, si utilizza un antidepressivo per bloccare il meccanismo di riassorbimento, lasciando che la serotonina in eccesso inondi i recettori, correggendo così lo squilibrio». «Si direbbe un quadro molto preciso, come se sapessero quello che fanno », osserva Marilyn, interrompendomi. «Sì, ma è una falsa precisione, perché non misura le altre sostanze che si dirigono verso altre parti del cervello e del corpo quando si somministrano queste droghe. Si ricordi che abbiamo a che fare con una rete psicosomatica di straordinaria complessità, che comprende miliardi e miliardi di componenti comuni, peptidi e recettori, suddivisi fra vari apparati e organi. L'intestino, per esempio, è costellato da recettori della serotonina. Che succede quando questi recettori vengono inondati di serotonina in eccesso, per effetto dell'assunzione del Prozac, per esempio? Ebbene, è risaputo che coloro che prendono antidepressivi accusano spesso disturbi gastrointestinali. E pensi a quello che potrebbe accadere alle cellule del sistema immunitario che

353

Page 354: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

presentano in superficie gli stessi recettori! Potremmo compromettere inavvertitamente la capacità di quelle cellule che costituiscono i nostri killer naturali di attaccare le cellule mutanti che si avviano a diventare un tumore canceroso. Ma nessuno intende compiere la ricerca per esplorare questo genere di effetti». «Non certo le industrie farmaceutiche», aggiunge Marilyn, pronta a intuire ove voglio arrivare. Annuisco. «E i farmaci antipsicotici, come Haldol, Thorazine, Risperdal, Clozaril, agiscono nello stesso modo e presentano in gran parte gli stessi effetti collaterali, solo che invece di bloccare il riassorbimento della serotonina bloccano i recettori della dopamina, un altro neurotrasmettitore». «Oltre a causare disturbi gastrointestinali, che altro genere di effetti possono avere?» chiede Marilyn, chiaramente preoccupata. «S'innesca una cascata di reazioni, come un corso d'acqua che, scendendo dall'alto, modifica tutto ciò che incontra prima di arrivare in fondo. Per esempio, quando i recettori della dopamina nella ghiandola pituitaria delle donne sono bloccati, si secerne la prolattina, un ormone che interrompe l'ovulazione durante l'allattamento, per cui accade di rado che le donne restino incinte mentre allattano al seno. Le donne che assumono questi farmaci non hanno più le mestruazioni per tutto il tempo in cui continuano a prenderli, vivendo in uno stato di perenne sindrome premestruale, con tanto di ritenzione dei liquidi e aumento di peso». «Si direbbero buone candidate per il Prozac », osserva Marilyn con ironia. «Ed è proprio quello che spesso diventano, purtroppo. A queste donne si somministrano antidepressivi, oltre al farmaco antipsicotico. Non è raro che si curi in questo modo quello che viene definito un “disturbo iatrogenico”, vale a dire un disturbo causato dal medico, nel senso che è scatenato dalla stessa terapia che dovrebbe servire a guarire il paziente».

354

Page 355: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Guardando l'espressione ora tetra di Marilyn, comincio ad avere la sensazione che, se continuo così, si ritroverà anche lei sull'orlo della depressione. «Perché non viene a pranzo con me e le mie nuove amiche?» le propongo, nel tentativo di cambiare rotta. «Può darsi che interessi anche a loro sentire che cosa dicono le ultime ricerche a proposito della notizia buona... il potenziale di approccio mente-corpo per curare i disturbi mentali».

Nuova luce sulla depressione

Andiamo in cerca di Kate e Dee, il medico e la sensitiva, che ci aspettano al ristorante facendo la fila per un tavolo. Appena sedute, scegliamo tutte sul menu delle grandi insalate e ci godiamo il pasto mentre approfondiamo la recente conoscenza. Sono incuriosita dalla loro amicizia, e le bersaglio di domande cortesi. Come mai due persone che appartengono a due paradigmi diametralmente opposti si sono incontrate, anzi, sono diventate amiche intime? Vengo a sapere che, durante l'internato, Kate ha collaborato a una ricerca da cui è risultato che alcune forme di terapia con l'imposizione delle mani e la preghiera erano efficaci per accelerare il tasso di recupero nei pazienti sottoposti a interventi chirurgici, e in quella circostanza Dee era una delle terapeute. Da allora sono diventate buone amiche, continuando a coltivare un interesse comune per le connessioni fra mente e corpo in rapporto alla guarigione. Questo ci riporta all'argomento che ho discusso poco prima con Marilyn, il concetto di depressione come malattia mente-corpo e la tendenza della classe medica a eccedere con la prescrizione dei farmaci, ignorando i possibili effetti collaterali. «Mia sorella prende il Prozac da anni», esplode Kate. «Io non credo che ne sappiamo abbastanza in questo campo, e gliel'ho detto. Ma lei è convinta che sia l'unica soluzione per i suoi problemi e si rifiuta di affrontare uno qualsiasi dei fattori sepolti in profondità che a mio parere ne sono la causa.»

355

Page 356: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«E fa bene a preoccuparsi», comincio, felice di poter aiutare le mie interlocutrici ad approfondire almeno un pò questo argomento scientifico. «Proprio di recente, alcuni ricercatori del National Institutes of Health hanno individuato un legame fra la depressione e i traumi vissuti nella prima infanzia. Le ricerche hanno dimostrato che i neonati e i bambini che sono vittime di abusi, di maltrattamenti, o di indifferenza hanno maggiori probabilità di essere depressi da adulti, e ora abbiamo, un indizio per comprendere il nesso fra esperienza e biologia. E tutto legato a qualcosa che si chiama asse ipotalamo-ghiandola pituitaria-ghiandole surrenali». Il cameriere arriva nel momento in cui sto per lanciarmi nella spiegazione. Un giovanotto dal sorriso radioso ci mette sotto il naso un vassoio con un assortimento di mousse di cioccolato, paste alla crema e cheesecake, e noi ammiriamo cortesi, ma nessuna approfitta dell'offerta. Ah, California, terra di sani e virtuosi! Il cameriere si allontana e io riprendo il discorso. «In poche parole, l'ipotalamo fa parte del cervello emozionale, il sistema limbico, e i suoi neuroni sono dotati di assoni che si estendono fino alla ghiandola pituitaria, situata al di sotto. È qui che gli assoni producono un neuropeptide chiamato CRF, ossia fattore di rilascio corticale, che controlla il rilascio di un'altra sostanza informazionale. Così, quando il CRF arriva alla ghiandola pituitaria, stimola la secrezione di ACTH, o adrenocorticotrofina, una sostanza informazionale che poi viaggia attraverso il circolo sanguigno fino alle ghiandole surrenali, dove lega con i recettori specifici sulle cellule ghiandolari». Mi trovo di fronte tre facce perplesse. «Fin qui mi seguite?» «Le ghiandole surrenali... non hanno qualcosa a che fare con l'adrenalina e la reazione “lotta o fuggi”?» domanda Dee. «Hai afferrato in pieno. E l'adrenalina a scatenare la reazione di allarme lotta o fuggi, che è la risposta naturale e inconscia del corpo alle minacce, che siano reali o immaginarie. I nostri antenati la utilizzavano quando la tigre dai denti a sciabola minacciava di avventarsi su di loro dall'alto di un precipizio per papparseli a pranzo. Spesso è caratterizzata da un afflusso improvviso di energia, pupille dilatate e

356

Page 357: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

tachicardia, tutte condizioni che ci consentono di affrontare bene il pericolo appena percepito. Ma un altro compito assolto dalle ghiandole surrenali, quando sono raggiunte dall'ACTH, è cominciare a produrre steroidi. Questi, però, non sono gli steroidi legati al sesso e al sistema riproduttivo. «Lo steroide prodotto in questo caso è il corticosterone, una sostanza necessaria per la guarigione e il controllo dei danni in caso di ferite. Tutte voi, probabilmente, avete applicato una crema al cortisone su un'eruzione cutanea, o avete fatto un'iniezione di cortisone per curare l'avvelenamento causato dall'edera velenosa o dalla quercia. «Ed ecco qual è il collegamento con la depressione in forma clinica. Già da trent'anni sappiamo che lo stress aumenta con l'incremento della produzione di steroidi. Di solito le persone depresse presentano un livello elevato di questi steroidi legati allo stress; anzi, sono in stato cronico di attivazione da ACTH, a causa di una disfunzione nel circuito di biofeedback, incapace di segnalare che il livello dello steroide nel sangue è già alto. Così l'asse CRF-ACTH non fa che pompare nel sangue una quantità sempre maggiore di steroidi. Le autopsie rivelano quasi sempre un livello di CRF dieci volte superiore al normale nel liquido cerebrospinale dei suicidi, in confronto a chi è morto per altre cause». «Si direbbe quasi che il CRF sia il peptide della depressione», commenta Kate. «Ammesso che un certo peptide abbia un tono specifico, naturalmente », aggiunge, alludendo ad alcuni dei passi più congetturali della mia conferenza. «Senz'altro questa è l'impressione che si ha. Si potrebbe dire che il CRF è il peptide delle aspettative negative, dal momento che può essere stimolato da esperienze negative compiute durante l'infanzia. Esistono studi sugli animali, per esempio, dai quali risulta che in effetti le piccole scimmie private delle cure materne, trascurate o maltrattate, presentano livelli elevati di CRF e quindi di steroidi. Tenete presente che esiste un circuito di feedback che sfugge al controllo: le persone depresse sono intrappolate in un circuito distruttivo che resiste a ogni genere di terapia farmacologica mirata all'eliminazione degli steroidi. Alla fine il livello di CRF nell'organismo è tale che le fluttuazioni degli

357

Page 358: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

altri peptidi nell'organismo risultano limitate, riducendo ancor più le possibilità previste dalla gamma abituale di comportamenti. Nelle scimmiette, il fenomeno si manifesta come un'incapacità di curare la propria toilette, oppure di comportamenti ripetitivi che sembrano privi di scopo. Negli esseri umani, il risultato può essere una serie di schemi di comportamento estremamente limitati, che alla fine spingono le persone in un “buco nero” dal punto di vista emotivo». «Mia sorella è convinta che, se soltanto il marito non l'avesse lasciata, tutto sarebbe a posto. Sembra che non riesca a superare questo punto», interviene Kate. «Sì, e il motivo per cui possiamo restare bloccati in questo modo è che queste emozioni sono impresse nella memoria, e non solo nel cervello, ma in profondità, a livello cellulare. Il meccanismo funziona così: man mano che nei neonati e nei bambini esposti a forti stress il livello di CRF aumenta, i recettori del CRF cominciano a desensibilizzarsi, riducendosi di dimensioni e diminuendo di numero. Questi cambiamenti si verificano quando i recettori sono inondati da una droga, sia che si tratti di una sostanza prodotta naturalmente dal corpo sia di un farmaco acquistato in farmacia. La memoria del trauma viene fissata da questi e altri cambiamenti a livello del recettore dei neuropeptidi, alcuni dei quali avvengono all'interno della cellula, alle radici stesse del recettore, e il fenomeno si estende in tutto il corpo. Anche se questi cambiamenti sono reversibili e non necessariamente permanenti, modificarli richiede tempo». «E allora qual è l'ultimo rimedio escogitato dai ricercatori?» chiede Marilyn. «Altri farmaci per diminuire la produzione di CRF o bloccare i recettori del CRF?» «Purtroppo in questo momento la terapia farmacologica è la strada principale imboccata dalla ricerca, ma la buona notizia è che queste scoperte ci fanno intravedere il potenziale degli interventi non farmacologici, di nuovi generi di trattamenti per i disturbi dell'umore. Ricordate le scimmiette stressate? In un'altra ricerca, volta ad accertare il peso dell'influenza materna, un gruppo di piccole scimmie è stato allevato da una falsa madre scimmia, una struttura di fil di ferro

358

Page 359: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

e peluche che aveva dei biberon al posto delle mammelle. I piccoli venivano nutriti, ma senza essere toccati, coccolati o tenuti in braccio. Di lì a poco mostravano tutti i sintomi del trauma e della depressione, come ci si aspettava alla luce di quanto abbiamo appena detto. Tuttavia sono guariti, e i segni dello stress sono scomparsi, quando i ricercatori hanno fatto entrare in scena quella che hanno definito 'scimmia terapeuta dell'abbraccio', vale a dire una scimmia anziana che abbracciava e coccolava in continuazione le scimmiette stressate. Allora che cosa succedeva? L'abbraccio interrompeva il circuito di feedback, inviando il messaggio: “Non c'è più bisogno di steroidi”, riparando il danno! E i livelli cronicamente alti di CRF sono calati». «Allora quando vediamo sui paraurti delle auto quegli adesivi con la scritta “Abbracci e non farmaci”, dovremmo prenderli più sul serio?» osserva Dee. Scoppiamo tutte a ridere, rendendoci conto che le scoperte della scienza che ho penato tanto per spiegare sono così ovvie da essere finite sugli adesivi, come distillato di saggezza popolare. Così ovvie, rifletto fra me, eppure non abbastanza per modificare l'orientamento delle industrie farmaceutiche o dell'atteggiamento dominante nella medicina ufficiale. Come ricercatore sul fronte della droga da oltre vent'anni, devo staccarmi dalla posizione prevalente fra i miei colleghi e affermare che meno è meglio. Le implicazioni delle mie ricerche consistono nella tesi che le droghe esogene, cioè esterne all'organismo, sono potenzialmente dannose, non soltanto perché distruggono l'equilibrio naturale dei circuiti di feedback che coinvolgono molti sistemi e organi, ma a causa dei cambiamenti che producono a livello del recettore. Ognuno di noi ha la propria farmacopea naturale, la farmacia migliore che esista al costo più basso, in grado di produrre tutte le sostanze di cui abbiamo bisogno per far funzionare il nostro complesso corpo/mente esattamente nel modo in cui è stato programmato in tanti secoli di evoluzione. La ricerca deve concentrarsi sulla comprensione del modo in cui agiscono queste risorse naturali, i nostri farmaci endogeni, in modo che possiamo creare le condizioni che consentiranno loro di svolgere la loro azione nel modo migliore, con minime

359

Page 360: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

interferenze da parte di sostanze esogene. Ma quando non possono compiere il loro lavoro, la ricerca consentirà anche di creare sostanze mimetiche in grado di imitare quelle naturali riducendo al minimo l'interferenza con l'equilibrio naturale del corpo, perché sono state messe a punto tenendo conto dell'intera rete psicosomatica. «Certo, non intendo suggerire che gli abbracci da soli possano curare tutte le nostre malattie gravi», preciso. «I farmaci prescritti dai medici hanno indubbiamente il loro scopo, e riconosco che salvano la vita alle persone. Se ho una grave infezione, userò un antibiotico. Se soffro di una grave depressione clinica, prenderò un antidepressivo. Ma grazie alle mie ricerche sulle endorfine conosco il potere del contatto fisico per stimolare e modulare la produzione delle sostanze chimiche naturali, quelle che sono fatte su misura per agire esattamente nei momenti giusti e nelle dosi opportune per esaltare le sensazioni di salute e benessere.» Avevo vissuto questa esperienza di persona quando, nei primi tempi del nostro rapporto, avevo soprannominato per scherzo Michael la mia «scimmia terapeuta dell'abbraccio», perché non facevamo altro che abbracciarci, e ci sentivamo felici ed euforici quasi tutto il tempo. Parte delle nostre ricerche più esaltanti l'avevamo svolta sotto l'effetto di quegli abbracci, mentre in seguito li avevamo sfruttati per consolarci. Anzi, a volte mi domando come avremmo fatto, senza quegli abbracci, a sopportare lo stress sperimentato nei primi giorni delle dispute legate al peptide T. «Ci sono», commenta Kate, pensierosa. «Insomma vuoi dire che, introducendo il contatto umano nel processo terapeutico, potremo offrire un altro genere di aiuto a chi soffre di disturbi dell'umore. E l'altra metà dell'equazione: così come possiamo imbrigliare i poteri della mente per la guarigione fisica, possiamo fare sì che le manifestazioni fisiche ci aiutino a guarire le emozioni». «Allora ecco perché ci si sente meglio quando ci si sottopone a un buon massaggio o ad altri generi di terapia con l'imposizione delle mani », aggiunge Dee.

360

Page 361: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Invece Marilyn sembra infastidita da quella svolta presa dalla conversazione. «Bene, il guaio è che la maggior parte di noi che operiamo nel campo della salute mentale, in particolare psichiatri e medici che prescrivono i farmaci, ci vedremmo ritirare la licenza, se toccassimo i nostri clienti». «Ha ragione», ammetto. «Per lo più la medicina ufficiale è notoriamente afflitta da una fobia per il contatto fisico. E una tendenza che risale agli inizi della scissione cartesiana fra corpo e mente, ed è stata perpetuata dall'ignoranza del modo in cui le informazioni sensoriali vengono elaborate dalla rete psicosomatica. E una lunga storia che comincia con Freud, il quale gettò le basi della moderna psichiatria come rapporto privo di contatti nell'era vittoriana, in cui le persone erano tanto a disagio con il proprio corpo che ogni genere di contatto -Dio guardi – rientrava nella sfera sessuale. Alcuni studiosi dissenzienti, come Wilhelm Reich e Alexander Lowen, hanno tentato di introdurre un approccio più legato al corpo, essendo convinti che il corpo fosse la porta della mente e lavorando su varie forme di espressione emotiva. Tuttavia hanno subito un feroce ostracismo, anzi, nel caso di Reich una vera e propria persecuzione. «Negli ultimi anni, però, sono state condotte decine e decine di ricerche su animali ed esseri umani che rivelano i benefici del contatto, non soltanto per la depressione, ma anche per malattie che presentano sintomi fisici. E sono lieta di riferire che queste nozioni stanno entrando a far parte del patrimonio della medicina ufficiale, sia pure lentamente». In quel momento arriva il conto e decidiamo di uscire, in uno stato d'animo più positivo. All'esterno la folla si è diradata, visto che la maggior parte degli ospiti dell'albergo è uscita per trascorrere la giornata nel parco dei divertimenti, e l'ambiente è tranquillo. Insieme torniamo alla sede del congresso, per ascoltare le relazioni rimanenti prima che cominci il seminario pomeridiano; ma una volta a metà strada, dico alle altre di proseguire pure senza di me. Sto ascoltando il mio complesso corpo/mente, e il messaggio che ricevo mi dice di restare

361

Page 362: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

indietro per cercare una lastra di cemento calda, al riparo dalla corrente del traffico, e stendermi al sole.

Psicoterapia corporea

La conversazione a tavola ha toccato un tema che negli ultimi tempi torna spesso nei miei pensieri, il problema delle emozioni capaci di guarire, un'esigenza avvertita nella nostra società con intensità così disperata da riflettersi nel crescente numero di persone che ricorrono a farmaci antidepressivi e all'escalation nell'uso di droghe illegali. A mio parere tanto gli uni che gli altri - quelli che ricevono la ricetta dal medico e quelli che acquistano la droga dallo spacciatore - fanno esattamente la stessa cosa: alterano la propria chimica naturale con una sostanza esogena che ha una vasta gamma di effetti, molti dei quali non sono compresi del tutto, per modificare sentimenti che non vogliono provare. Le ricerche svolte mi hanno dimostrato che quando le emozioni vengono espresse, vale a dire quando le sostanze biochimiche alla base delle emozioni fluiscono liberamente, tutti i sistemi sono integri e solidali. Quando invece le emozioni sono represse, negate, e si trovano nell'impossibilità di realizzare il loro potenziale, le vie della rete psicosomatica si ostruiscono, bloccando il flusso delle sostanze chimiche unificanti e vitali per il benessere vitale, che regolano tanto la nostra biologia quanto il nostro comportamento. Questo, secondo me, è lo stato di emotività malata al quale desideriamo così disperatamente sfuggire. Le droghe, legali o illegali che siano, contribuiscono ulteriormente a interrompere i numerosi circuiti di feedback che consentono alla rete psicosomatica di funzionare in modo naturale ed equilibrato, e quindi instaurano le condizioni per l'insorgere di disturbi fisici e mentali. Tuttavia l'idea della rete è ancora troppo recente per influenzare il modo in cui la medicina e la psicologia ufficiale affrontano la salute e la

362

Page 363: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

malattia. La maggior parte degli psicologi considera la mente come se fosse scissa dal corpo, un fenomeno che ha scarsi rapporti con il corpo fisico, ammesso che ne abbia. E viceversa i medici trattano il corpo come se non avesse alcun legame con la mente o le emozioni. Eppure il corpo e la mente non sono separati, e non possiamo curare l'uno senza l'altra. Le mie ricerche hanno dimostrato che il corpo può e deve essere guarito attraverso la mente, così come la mente può e deve essere guarita attraverso il corpo. Le cosiddette terapie alternative mirate a uno sfogo somatico emotivo tengono presente questa realtà, ed è così che possiamo integrare l'offerta degli ambienti medici ufficiali. Nella cura dei disturbi dell'umore e di altri disturbi mentali, la medicina ufficiale rinuncia a un valido ausilio escludendo il contatto fisico, ignorando il fatto che in realtà il corpo è la porta della mente e rifiutandosi di riconoscere l'importanza dell'espressione emotiva come evento che coinvolge la mente e il corpo, con la capacità potenziale di completare e a volte addirittura sostituire le terapie verbali e i farmaci. Sono entrata in contatto per la prima volta con questo tipo di approccio, definiti anche «psicoterapia corporea», nell'istituto Esalen, in California, dove ho tenuto una conferenza all'inizio degli anni '80. Gli antichi greci e romani avevano le terme, le località climatiche, i templi dedicati alla guarigione, come quello di Epidauro, e noi abbiamo Esalen, dove splendide sorgenti termali naturali scaturiscono dal profondo della terra per riempire le vasche poste sull'alto di una scogliera che si affaccia sul Pacifico, a Big Sur. Ho trascorso qualche tempo nelle terme di Esalen, incontrando molti terapeuti del massaggio, chiropratici e teorici, che vedevano nelle mie ricerche la conferma di ciò che si verificava nella loro pratica. Sono rimasta molto colpita dalla loro capacità di entrare in contatto con le emozioni attraverso vari generi di lavoro sul corpo, senza per questo trascurare i poteri della mente, bensì instaurando una conversazione e creando così una sorta di circuito risanatore.

363

Page 364: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Quell'esperienza mi ha reso disponibile ad altre modalità terapeutiche mirate a liberare le emozioni attraverso procedimenti diversi, che però comportano sempre una forma di contatto fisico. Una delle mie esperienze più drammatiche si è verificata nel 1985, in seguito a un incontro casuale con una vecchia amica e compagna di studi a Bryn Mawr, Caroline Sperling, una psicologa che aveva creato una fondazione privata per la lotta al cancro. Avevo appena divorziato da Agu e, quando lei mi chiese come stavo, le risposi che stavo benissimo e che tutta la vicenda si era risolta in modo civile e amichevole; ma lei mi interruppe bruscamente. «Tu menti», mi disse con franchezza. «Come puoi non soffrire?» Mi sentii presa alla sprovvista. «Non lo sai? E così che la gente si fa venire il cancro, seppellendo le emozioni, negandole e reprimendole». Capii istintivamente che aveva ragione, e l'ascoltai. Caroline, che era stata colpita dal cancro tre anni prima, mi parlò di una pratica che aveva messo a punto combinando la tecnica del grido primitivo di Janov con la bioenergetica di Lowen per provocare l'espressione delle emozioni mediante movimenti, abbracci e grida. Poco dopo provai a frequentare una delle sue sedute, della durata di un giorno, e scoprii che mi consentiva di lasciare libero sfogo al torrente di collera e di sofferenza che tenevo imbottigliato dentro di me dai tempi del divorzio. Tornai a casa impaziente di parlarne a Michael, ma ero così esausta che andai subito a letto e dormii per quasi ventiquattr'ore. In seguito, nel 1988, a una riunione del movimento Common Boundary, conobbi Bonnie Bainbridge-Cohen, che mi introdusse a una tecnica di centratura corpo/mente, un approccio che individua nel corpo fisico le basi degli elementi mentali, emotivi e spirituali. (Il common boundary, ossia «confine comune», da cui prende nome l'organizzazione, si riferisce al terreno comune a psicologia e spiritualità). Rimasi colpita dalla valutazione molto precisa che Bonnie Bainbridge-Cohen faceva del modo in cui trauma e stress sono forme di sovraccarico di informazioni. Usava il meccanismo dell'inversione neurale per spiegare come gli impulsi vengano respinti dal cervello rimbalzando in altre aree del sistema nervoso centrale, dove sono immagazzinate dai tessuti

364

Page 365: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

autonomi e somatici. L'approccio di Bonnie sfrutta il movimento e il lavoro sul corpo, basandosi su questi principi psicologici e fisiologici. Più di recente, ho scoperto una nuova generazione di chiropratici che si differenziano da quelli convenzionali perché immettono nella loro terapia la consapevolezza dell'esistenza di livelli energetici ed emozionali. Uno di loro è Donald Epstein, che ha fondato la scuola di Network Spinal Analysis Chiropractic (Chiropratica analitica della rete spinale) e ha scritto un libro intitolato The 12 Stages of Healing: A Network Approach to Wholeness (Le dodici tappe della guarigione: un approccio integrale alla salute e al benessere). Sottoponendomi al trattamento con questo metodo, che comporta il rilascio di ricordi traumatici immagazzinati nei gangli autonomi ai lati della spina dorsale, ho vissuto delle esperienze profonde. E accaduto spesso che immagini visive legate al trauma siano affiorate a livello di coscienza nell'ambito del processo di espressione emotiva, che in seguito si possono elaborare parlandone con il terapeuta. Un altro personaggio per il quale nutro il massimo rispetto è John Upledger, creatore della terapia craniosacrale, una modalità che mira a equilibrare il liquido cerebrospinale mediante gentili manipolazioni del cranio. Upledger parla di «cisti somato-emotive», sacche di emozioni bloccate che restano nel corpo, causando uno scompenso nel flusso dell'energia e nella salute generale. Epstein e Upledger riferiscono spesso di «sentire l'energia» nel corso del loro lavoro, mentre altri terapeuti affermano addirittura di vedere l'energia in movimento nel corpo mentre le emozioni vengono espresse. Cos'è questa «energia» alla quale alludono tanti terapeuti alternativi, associandola con il rilascio delle emozioni e il ristabilimento della salute? In termini di medicina occidentale, l'energia viene prodotta unicamente da processi metabolici cellulari, e l'idea che possa essere collegata all'espressione delle emozioni è del tutto estranea alla mentalità scientifica. Eppure molti metodi terapeutici antichi e alternativi fanno riferimento a una forza misteriosa che non possiamo misurare con gli strumenti occidentali, ma che anima l'intero organismo ed è nota sotto il nome di «energia sottile» presso i metafisici, prana

365

Page 366: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

presso gli indù, chi presso i cinesi. Freud la chiamava libido, Reich la definiva energia orgonica, Henri Bergson l'aveva battezzata élan vital, o slancio vitale. La mia opinione è che questa misteriosa energia sia in effetti il libero flusso delle informazioni trasportate dagli elementi biochimici delle emozioni, i neuropeptidi e i loro recettori. Quando le emozioni sepolte o bloccate vengono liberate attraverso il contatto o altri metodi fisici, si verifica uno sblocco dei percorsi interni, che noi sperimentiamo sotto forma di energia. Liberandosi dal dualismo occidentale che insiste sulla mancanza di anima della carne, i terapeuti che utilizzano varie modalità orientali e alternative riescono letteralmente a vedere la mente nel corpo, dove in effetti è, e sono abili nell'uso di tecniche capaci di sbloccarla, se necessario. In effetti, quasi tutte le culture, tranne la nostra, riconoscono il ruolo svolto da una sorta di liberazione dell'energia emotiva, che si può anche definire catarsi, nel processo di guarigione. Gli approcci che manipolano questo tipo di energia sono quasi concordemente respinti da quasi tutta la medicina occidentale, con la possibile eccezione dell'agopuntura, una disciplina che però viene ancora considerata con sospetto. Eppure l'efficacia dell'agopuntura è chiaramente documentata da numerose ricerche, comprese alcune alle quali ho partecipato di persona. Negli anni '80 ho condotto degli esperimenti in collaborazione con mio marito Agu e Larry Ng, uno psichiatra e neurologo cinese formatosi alla scuola occidentale, i cui risultati sono stati pubblicati su Brain Research, dimostrando che l'agopuntura blocca il dolore stimolando il rilascio di endorfine nel liquido cerebrospinale. Siamo stati in grado di dimostrare che era davvero il flusso di endorfine a causare il sollievo dal dolore, perché quando usavamo un antagonista dell'endorfina, il naloxone, per bloccare i recettori degli oppiacei, l'effetto analgesico dell'agopuntura veniva neutralizzato. Per quanto interessante sia questa ricerca, comunque, è appena agli inizi nell'affrontare le molteplici implicazioni della rete psicosomatica e il suo potenziale di guarigione. Gli psicoterapeuti del corpo, persone che sanno come aiutarci nell'attingere a questa rete, ci

366

Page 367: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

mostrano molti altri usi possibili per l'«infoenergia» che coordina tutti i nostri sistemi. Non ci resta che ascoltarli e imparare da loro.

Gioco

Dopo questo breve riposo mi sento ristorata e persino piena di nuove energie, quindi mi alzo dalla lastra di cemento scaldata dal sole per tornare nella sala delle conferenze, in tempo per ascoltare l'ultima relazione. Arrivando, però, scopro che sono già arrivati alla fine della seduta e l'ultimo oratore sta concludendo il suo discorso. Subito dopo sale sul palco un gruppo che canta, balla e suona strumenti musicali, e avvisto il mio amico Carl Simonton, che mi fa segno di unirmi alla folla. Esito un momento, incerta sulla possibilità che certe follie siano intonate alla mia immagine di scienziata, ma supero facilmente questa resistenza iniziale e mi ritrovo a salire sul palco, dove ondeggio a ritmo di musica insieme con gli altri partecipanti al convegno. E divertente, è Disneyland, e mi sento disponibile a qualunque attività capace di alleviare lo stress dopo una giornata così intensa. Ma il gioco è qualcosa di più che una semplice riduzione dello stress, perché assolve una funzione importante nella vita animale e umana. Lo vediamo nei giovani animali, che ingaggiano regolarmente battaglie simulate, una componente importante del loro sviluppo. Come loro, possiamo usare il gioco in tanti modi, per elaborare gli impulsi aggressivi, i timori e le sofferenze, per riuscire a controllare queste emozioni, che a volte minacciano di sopraffarci. Giocando, possiamo espandere la nostra gamma di espressione emotiva, facilitando il flusso biochimico delle informazioni, sciogliendo i blocchi e risanando le emozioni. Il gioco è la soluzione ideale per me, che mi aiuta a esprimermi in modo completo e mi impedisce di prendermi troppo sul serio. Ed è quello che faccio per il resto della serata, assistita nello sforzo di divertirmi dai due bambini di Carl, che vivono uno dei momenti più esaltanti della loro vita insieme con Topolino e la sua banda.

367

Page 368: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Per il breve spazio di una sera, sono ridiventata bambina anch'io. Mi sono lasciata alle spalle il pensiero delle trattative commerciali per lo sviluppo del peptide T, e ho accantonato tutte le ansie legate al comitato di saggi che verranno nel nostro laboratorio, al figlio adolescente che ormai è troppo grande per giocare con la mamma, alla necessità di interpretare il ruolo della scienziata importante. Ho riso, usando quello che Norman Cousins definisce «jogging interiore», un esercizio che serve a mantenerci in forma emotiva, ho giocato, ho lasciato libere di scorrere le emozioni (e i peptidi). Ovviamente la salute non si può ridurre unicamente a gioco e progesterone. E per raggiungere uno stato di salute ottimale non basta ridurre al minimo la dipendenza dai farmaci o espandere al massimo la capacità di autoespressione. Il capitolo finale di questo libro e l'Appendice esplorano tanti altri percorsi che potrete seguire per mettere in atto nella vita quotidiana le implicazioni pratiche delle mie ricerche.

368

Page 369: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

13

La verità.

Benessere

Sto volando in cerchio sopra l'aeroporto General Mitchell di Milwaukee,mentre l'aereo si prepara all'atterraggio. Guardando fuori dal finestrino, vedo le grandi pianure del Midwest stendersi sotto di me fino all'orizzonte e, sulla sinistra, scorgo un enorme e splendido specchio d'acqua: apprendo con sorpresa che è il lago Michigan. Questo è il cuore, il centro geografico del paese, e anche il centro psicologico. Qui gli abitanti non amano troppo gli estremi e mostrano scarso interesse tanto per l'intensità cerebrale della costa atlantica quanto per l'atteggiamento rilassato e attento alle sensazioni epidermiche che prevale sulla costa del Pacifico. L'apparecchio atterra e, dopo aver ritirato i bagagli, mi dirigo verso il punto d'incontro fissato per il viaggio fino al nord del Wisconsin. Sono contenta di trovarmi qui nel Midwest, di inspirare a pieni polmoni l'aria pura e mite, lasciandomi alle spalle il ritmo frenetico di Washington, i trionfi e le frustrazioni del momento, e affidando per il momento il peptide T alle mani sicure di Michael. Siamo nell'estate del '96, e sono venuta nel Wisconsin per partecipare al Ventunesimo congresso annuale del movimento Wellness. Il convegno è il prodotto del «movimento benessere », un indirizzo sorto spontaneamente negli anni '70, quando un gruppo di fisiologi,nutrizionisti, psicoterapeuti, un ex sacerdote e una ex suora hanno trovato un terreno comune nell'impegno per diffondere il benessere e uno stile di vita sano come indirizzo ottimale per prevenire le malattie. Era la risposta del Midwest al movimento per la medicina alternativa e l'autocoscienza che era nato in luoghi come Esalen, sulla costa occidentale, ma privo della patinaNew

369

Page 370: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Age. Anche se l'impulso iniziale era di carattere locale, ormai ne fanno parte sostenitori della salute del benessere che provengono da tutte le parti della nazione e si riuniscono in un enorme convegno annuale, sponsorizzato dall'università del Wisconsin e organizzato ogni estate nel campus di Stevens Point. Il mio primo contatto con il movimento Wellness è avvenuto un anno fa a Ithaca, nello stato di New York, quando sono stata invitata a parlare in uno dei loro convegni minori. Sono rimasta colpita dal tono pratico e rilassato degli organizzatori, che si sono presentati in calzoncini e scarpe da ginnastica, anziché in completi scuri e tacchi alti, offrendo ai relatori una quantità di occasioni per incontrarsi e scambiare idee nel corso dei lavori. Ho appreso così che il loro interesse principale è il benessere visto in contrapposizione alla malattia, un concetto che mette in risalto l'aspetto positivo, definendo la salute come qualcosa di più che l'assenza di malattie. Questa è una tendenza nella quale mi sono imbattuta in parecchi ambienti, soprattutto di recente quando ho preso contatto con un gruppo di chiropratici e biochimici esperti della nutrizione, tutti americani, che definiscono il loro approccio «medicina funzionale» per sottolineare il funzionamento ottimale di tutti gli apparati dell'organismo, anziché la semplice assenza di malattie. Per i sostenitori del benessere, il punto essenziale è la prevenzione, nel senso che «un pizzico di prevenzione vale una quantità di cure ». Questo li induce a promuovere l'autoterapia, esigendo dai pazienti che si assumano sempre maggiori responsabilità per la loro salute con l'adozione di uno stile di vita che riduce o elimina del tutto l'uso di droghe, alcole sigarette, e incoraggiando i comportamenti favorevoli alla vita. Per effetto di questo accento posto sulla responsabilità personale, il movimento ha dato origine a una squadra di « consulenti del benessere », specialisti addestrati che si presentano nelle grandi società pubbliche e private per progettare e attuare sul posto programmi di salute e fitness. L'intento è aiutare i dipendenti a ridurre lo stress e a migliorare il loro stato di salute, adottando scelte che modificano il loro stile di vita e riducendo così le spese assicurative a carico dei datori di lavoro, che lievitano in seguito al costo stratosferico delle operazioni al cuore e di altri

370

Page 371: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

gravi interventi medici. Qui nel Midwest, il movimento per il benessere sta facendo la sua parte, in modo tranquillo ma efficace, per modificare il volto della sanità e della medicina in America.

Medicina ambientale

All'aeroporto viene a prendermi il dottor Norman Schwartz, un medico di Milwaukee, che si è offerto di accompagnarmi in macchina a Stevens Point, che dista da qui circa trecentocinquanta chilometri. Norman, che è specializzato in medicina ambientale e inoltre è laureato in fisica, appartiene alla nuova generazione di medici alternativi o complementari, la controparte locale di Bob Gottesmann, e cura anche lui i suoi pazienti tenendo presente l'unità corpo/mente. Ci siamo conosciuti quest'anno in Arizona, quando ho presenziato a un convegno di fisici attenti alla sensibilizzazione chimica e alle malattie causate da fattori ambientali. In seguito abbiamo parlato qualche volta al telefono, scambiandoci pareri sui rispettivi settori, e sono rimasta colpita dalla sua conoscenza delle terapie basate sull'alimentazione e sulle vitamine. Molti dei suoi suggerimenti mi sono sembrati convincenti e ho deciso di seguirne alcuni, apportando dei cambiamenti alla dieta e al mio stile di vita e verificandone i risultati. Il lungo viaggio ci offre tempo in quantità per aggiornarci a vicenda, e sono ansiosa di apprendere le ultime novità sull'alimentazione, l'ambiente e il rapporto corpo/mente. L'ultima volta che abbiamo parlato, Norman era preoccupato per l'impatto degli agenti inquinanti ambientali e delle tossine sulla salute della popolazione e da allora, semmai, le sue preoccupazioni sono aumentate. Resto scossa quando mi snocciola i dati delle statistiche, dai quali risulta che i livelli cellulari di metalli pesanti e diossine derivate da erbicidi e pesticidi sono aumentati da trecento a quattrocento volte rispetto alla misurazione iniziale, e ogni anno altre centinaia di sostanze chimiche si aggiungono a quelle già presenti nel nostro ambiente, il cui numero varia da ottantamila a centomila.

371

Page 372: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Sapevo già che gli agenti inquinanti ambientali possono penetrare oltre la membrana cellulare per modificare la forma del recettore, rendendolo più indistinto e meno attivo, e mi sono chiesta spesso in che modo questo possa influire sul trasferimento di informazioni che è tanto necessario per la gestione di apparati dall'equilibrio così delicato. Deve necessariamente esercitare un effetto su quello che in sostanza è un sistema autoregolato, capace di elaborare quantità enormi di informazioni a velocità straordinariamente rapida. Norman espone la sua teoria sul modo in cui alcuni processi vitali essenziali vengono interrotti e alterati da questi ormoni inquinanti. Mi spiega in che modo il flusso di elettroni attraverso le membrane cellulari, la classica corrente di energia propria di tutte le forme di vita biologiche, è ciò che normalmente consente ai mitocondri, la componente cellulare che genera energia, di trasferire questa energia con una percentuale di efficienza pari al novantotto per cento circa. Invece gli inquinanti che restano in sospensione nella membrana cellulare alterano e interrompono il flusso di elettroni, causando una «carenza di energia» e determinando stati come affaticamento cronico, allergie e sensibilizzazione chimica. Mi sembra particolarmente allarmante la convinzione di Norman che gli agenti inquinanti accumulati all'interno del nostro corpo imitano e stravolgono l'azione degli ormoni sessuali, estrogeno, progesterone e testosterone, che regolano gli apparati riproduttivi dell'uomo e della donna. E non è il solo a pensarla così, nonostante l'apparente mancanza di interesse degli ambienti ufficiali della medicina per questo argomento, come dimostra la scarsa attenzione che viene prestata al legame fra inquinamento e cancro al seno. Un recente rapporto sul legame dei recettori pubblicato su Science,per esempio, ha dimostrato che le tossine ambientali hanno effetti simili a quelli dell'estrogeno e legano con i recettori dell'estrogeno, il che può stimolare la crescita di tumori della mammella. Allo stesso modo, varie tossine possono agire in modo simile al testosterone sul corpo maschile, stimolando il tumore della prostata, che dal punto di vista embriologico è simile al cancro al seno. Anche se questo si sospettava già da tempo, solo di recente abbiamo raggiunto la prova concreta che l'accumulo di queste tossine nel nostro organismo in forma cronica stimola i recettori degli

372

Page 373: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

estrogeni e del testosterone, mettendoli in uno stato di iperattività e causando così l'insorgere di tumori. E come se non bastasse, continua Norman, lui è convinto che molto probabilmente l'aumento del livello delle tossine ambientali provoca una minore reattività del nostro sistema immunitario. Per essere efficace, il sistema immunitario deve trovarsi in uno stato costante di all'erta in modo da respingere i numerosi virus e altri agenti patogeni che incontriamo ogni giorno. Quando però è sovraccarico e distratto da un elevato livello tossico dell'ambiente, diventa «stanco », non riesce a reggersi in piedi, per così dire, e probabilmente è questo il motivo per cui vediamo tanti lamentarsi di uno stato di salute non ottimale, con una continua sensazione di stanchezza, per non parlare di malattie più gravi derivate da immunodeficienza. Mentre Norman parla, io penso al detto biblico: «Chi semina vento, raccoglie tempesta ». Appare evidente che l'attuale stato generale di salute dell'umanità è un riflesso diretto del disastro ecologico che abbiamo inflitto al nostro pianeta, un disastro creato per cieca ignoranza e disprezzo nei confronti di quella che ormai appare chiaramente una sostanziale interazione fra tutte le forme di vita. Come possiamo aspettarci di essere sani quando 1'acqua è inquinata, l'aria è sporca, il cibo è avvelenato? E a me sembra che il disastro attuale si possa ricondurre in gran parte a quella concezione ormai superata che considera ciascuno di noi come un'entità separata, isolata dalle altre e dall'ambiente, che vive indipendentemente dal tutto e senza connessioni con esso. E questa errata convinzione che ha permesso l'avvelenamento dell'ambiente attraverso lo sviluppo e la produzione indiscriminata di sostanze chimiche e tossiche destinate all'agricoltura e all'industria. Per fortuna, la nuova generazione di medici come Norman Schwartz e Bob Gottesman, e di persone che collaborano con i medici come Jim Gordon e Nancy Lonsdorf sulla costa orientale, stanno prendendo sul serio il fatto che tutti noi facciamo parte dell'ecosistema terrestre e sono disposti a esaminare tutto ciò che si può fare per proteggere e purificare la nostra unità corpo/mente nella realtà di questo scorcio del ventesimo secolo. Norman è felice di trasmettermi alcuni consigli per liberare l'organismo dalle tossine e mantenermi relativamente immune dagli elementi che

373

Page 374: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

inquinano il corpo e la mente. Per cominciare, mi dice, alte dosi di vitamina C (mille milligrammi o anche più) dovrebbero far parte del sistema difensivo nutrizionale di tutti noi. Inoltre ha fissato delle semplici regole per una dieta sana e libera da elementi inquinanti, che comprende i seguenti principi: mangiate soltanto cibi che esistono da almeno seimila anni, e non cibi elaborati chimicamente. Non mangiate niente di cui non possiate indicare gli ingredienti. Cercate di acquistare frutta e verdure coltivate in modo organico, o addirittura cominciate a coltivare un orto. State alla larga da pollame, carne e prodotti caseari imbottiti di antibiotici, pratica ormai comune nell'allevamento di oggi. Scegliete invece prodotti derivati da animali che possono pascolare liberamente e sono meno suscettibili alle malattie che richiedono l'uso di antibiotici. Nell'ambito del suo studio, Norman pratica un test clinico per misurare la tossicità del fegato, l'organo che agisce come filtro iniziale per impedire che le sostanze dannose arrivino al circolo sanguigno. Se i test al fegato rivelano un alto grado di intossicazione, prescrive una varietà di diete, vitamine e terapie a base di erbe che aiutano a disintossicarlo e a ristabilirne il funzionamento ideale. Io lo ascolto, ma so benissimo che gli ambienti ufficiali della medicina si fanno beffe del concetto di disintossicazione e non lasciano alcuno spazio agli approcci nutrizionali e disintossicanti. Nella comunità della ricerca biomedica da cui provengo, questi metodi sono considerati «marginali », o irrilevanti, perché su questo argomento sono state condotte ben poche ricerche. Viceversa i risultati di alcuni esperimenti, piccoli ma ben progettati, che dimostrano la capacità degli integratori alimentari di aiutare il fegato a mantenere il benessere e la salute mi hanno colpito tanto da indurmi a compiere esperimenti su me stessa. Ho usato prodotti vitaminici per il fegato come l'Ultra-Clear, che agiscono alterando la struttura chimica delle tossine del fegato in modo che si possano eliminare attraverso l'apparato urinario o l'intestino crasso. I risultati mi hanno convinto che la possibilità di riportare indietro l'orologio e di aumentare i livelli di energia cancellando anni di tossine accumulate non è una chimera. Vorrei soltanto che ci fossero più studi, oltre a quelli sponsorizzati dalle ditte produttrici, in questo settore di grande importanza. (Naturalmente, il maggiore impulso alla disintossicazione del fegato è la rinuncia alle droghe, compreso l'alcol).

374

Page 375: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Quando stiamo per raggiungere Stevens Point, rifletto sul contributo che posso dare, in base alle mie ricerche e teorie sulle emozioni e sulla rete psicosomatica, per aiutare gli altri a raggiungere gli obiettivi del movimento per il benessere. Mi sento provocata: che cosa ho da dire, io in particolare, sul tema del benessere, della cura per se stessi e dello stile di vita sano? Come potrebbe presentarsi uno stile di vita che tenga conto del rapporto corpo/mente per il ventunesimo secolo?

La sera stessa, annotando alcuni appunti sul discorso che farò, immagino di presentarmi al pubblico per confessare: «lo provengo dal 'movimento della malattia', l'establishment della biomedicina che va per la maggiore. Siamo noi a compiere tutti quegli interventi di alta tecnologia che costano miliardi alle assicurazioni, mentre i pazienti vengono autorizzati a fumare e bere fino alle soglie della sala operatoria e dell'unità di terapia intensiva». Mi sento inorridire al pensiero. Anche se non sono alleata con l'orientamento della scienza che va per la maggiore, gli altri tendono ancora a considerarmi una sua rappresentante. Nella medicina ufficiale, l'importanza dello stile di vita per la prevenzione delle malattie viene ancora largamente ignorata, nonostante i tentativi fatti da medici eroici e disposti a parlare apertamente come Bernie Siegel, Dean Ornish, Christiane Northrup, Larry Dossey e Andrew Weil, per citarne solo qualcuno. Un articolo apparso di recente sulla rivista Parade ha tratteggiato la linea del partito dominante. In questo servizio, intitolato Le prossime conquiste della medicina, venivano intervistati quattordici ricercatori di punta nel campo della biomedicina, compresi molti vincitori del premio Nobel, ai quali si chiedeva di prevedere i progressi che si verificheranno a loro avviso nei prossimi cinquant'anni. Quello che seguiva era un peana alle glorie della tecnologia, della moderna medicina ad alto costo, con particolare enfasi sul ruolo della ricerca genetica come risposta a tutti i nostri mali. Nell'articolo si fa notare l'assenza di qualunque accenno alla necessità che gli esseri umani si assumano la responsabilità della propria salute, o anche solo un riconoscimento di questa esigenza, fino alle ultime righe, quando la dottoressa Bernadine Healy, ex direttore del NIH e ora professore nel dipartimento di medicina dell'università statale dell'Ohio, riusciva

375

Page 376: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

finalmente ad avere l'ultima parola, affermando: «La differenza può essere rappresentata da un cambiamento nello stile di vita. La genetica è un fattore importante per determinare la suscettibilità di una persona alla malattia, ma uno stile di vita sano può essere altrettanto importante ». Una voce femminile, isolata, che indica ciò che tutti noi sappiamo: le scelte che facciamo riguardo al modo di vivere sono almeno altrettanto importanti degli interventi tecnologici dell'ambiente biomedico, soprattutto perché possono ridurre al minimo la necessità di tali interventi. Uno dei motivi per cui dai laboratori non partono più spesso degli inviti a cambiare stile di vita è che noi scienziati, in genere, non riteniamo che spetti a noi dare consigli, dopo aver appreso nel corso dell'addestramento professionale che la scienza pura non è necessariamente scienza pratica. Di solito ci sentiamo a disagio quando siamo spinti a parlare del modo in cui si possono mettere in pratica le conclusioni tratte dalle nostre ricerche. Non posso negare che io stessa preferirei nascondermi dietro la porta del laboratorio, lavorando al banco e lasciando che gli altri facciano quello che vogliono del mio lavoro. Scienza pura! Non è per questo che mi sono dedicata a questa attività? Invece lungo la strada mi è successo qualcosa. Le ricerche che ho condotto mi hanno trasformato profondamente, consentendomi di capire che aspetto ha una vita sana, vista da una prospettiva che non mi era accessibile prima di compiere questo lavoro. E da questa prospettiva, nata da un cambiamento radicale di paradigma, desidero esporre alcuni consigli sul modo di vivere, destinati al pubblico del movimento per il benessere. Sono convinta che la mia sia una prospettiva unica, basata com'è su una nuova comprensione che può aiutarci a condurre tutti una vita più sana e felice, perché riconosce che corpo e mente non sono separati, ma costituiscono in realtà un unico sistema, coordinato dalle molecole dell'emozione.

376

Page 377: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Lo stile di vita delle persone sane, integre e coscienti" un programma in otto parti

Per quasi tutti noi, le parole stile di vita sano evocano immagini di pasti a basso contenuto di grassi,regimi di esercizio fisico quotidiano e l'eliminazione di alcol, tabacco e droghe ricreative. Anche se tutte queste strategie sono positive per la salute - e dovrò dire qualcosa in proposito anche dal punto di vista della rete peptidergica - quello che manca a quasi tutti noi è la concentrazione sulla cura quotidiana di se stessi in senso emotivo. Tendiamo a occuparci degli aspetti fisici della salute, ignorando la dimensione emozionale, i pensieri e i sentimenti, e persino lo spirito e l'anima. Eppure, alla luce delle nostre nuove conoscenze riguardo alle emozioni e alla rete psicosomatica, è evidente che fanno parte anch' essi della nostra responsabilità nei confronti della salute. La tendenza a ignorare le emozioni fa parte di un pensiero ormai superato, è un residuo del paradigma ancora dominante che ci spinge a concentrarci sul livello materiale della salute, sul suo aspetto fisico. Eppure le emozioni sono l'elemento chiave nella cura di se stessi, perché consentono di partecipare al dialogo corpo/mente. Entrando in contatto con le nostre emozioni, ascoltandole e indirizzandole grazie alla rete psicosomatica, riusciamo a ottenere l'accesso alla saggezza risanatrice che rientra nei diritti biologici naturali di tutti noi. E come possiamo farlo? Prima di tutto riconoscendo e rivendicando tutte le nostre sensazioni, non soltanto quelle che vengono considerate positive. Collera, dolore, paura... queste esperienze emotive non sono negative di per sé, anzi sono essenziali per la nostra sopravvivenza. Abbiamo bisogno della collera per definire dei confini, del dolore per, affrontare le perdite e della paura per proteggerci dal pericolo. E solo quando queste emozioni vengono negate, cosicché non possono essere elaborate dall'organismo in modo facile e rapido ed eliminate, che la situazione diventa tossica, come abbiamo già visto. E più le rinneghiamo, più aumenta la loro tossicità finale, che spesso assume la forma di una esplosione di emozioni represse. E allora che le

377

Page 378: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

emozioni possono diventare dannose tanto per noi stessi quanto per gli altri, perché la loro espressione diventa schiacciante, a volte addirittura violenta. Quindi il mio consiglio è di esprimere tutte le emozioni, senza badare a quali di esse siano ritenute accettabili, e poi lasciarle andare: è quello che intendono i buddhisti quando parlano di non attaccamento all'esperienza. Lasciando libero sfogo a tutte le emozioni, quelle «cattive» si trasformano in «buone» e noi, in termini buddhisti, siamo liberi dalla sofferenza. Quando le emozioni sono in movimento e le sostanze chimiche fluiscono nel corpo, si sperimentano sensazioni di libertà, speranza, gioia, perché ci si trova in uno stato sano e «integro ». L'intento è di far fluire le informazioni, in modo che i sistemi di feedback funzionino e si mantenga l'equilibrio naturale, cosa che possiamo facilitare decidendo in modo cosciente di entrare in dialogo con l'unità corpo/mente. Vorrei esplorare alcuni modi di utilizzare la percezione e l'intenzione per inserirsi nella rete psicosomatica allo scopo di prevenire le malattie e potenziare al massimo la salute.

Primo: prendere coscienza di sé

La maggior parte delle scelte di vita comporta un' alternativa fra cose che facciamo o non facciamo. Vorrei però prendere in esame una scelta che riguarda piuttosto l'essere che il fare (dopotutto, noi siamo esseri umani, non fatti umani), e precisamente la decisione di prendere coscienza di sé. Una coscienza completa deve comportare la percezione del nostro stato non solo mentale, ma anche emotivo, e persino delle esperienze base di carattere fisico. Più siamo coscienti, più siamo in grado di «ascoltare» la conversazione che si svolge fra livelli autonomi o subconsci dell'unità corpo/mente, in cui si svolgono funzioni essenziali come il respiro, la digestione, l'immunità, il controllo del dolore e la circolazione sanguigna. Soltanto allora possiamo inserirci in quel dialogo, sfruttando questa consapevolezza per esaltare l'efficacia del sistema autonomo, in cui salute e malattia si determinano attimo per attimo.

378

Page 379: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Ho capito fino in fondo quanto sia potente l'intervento della coscienza a livello delle molecole per introdurre cambiamenti significativi nella nostra fisiologia grazie a un incontro fatto nel 1986 a Lake Arrowhead, in California. Dovevo partecipare a un convegno organizzato da Norman Cousins che riuniva i ricercatori attivi nel campo allora emergente della PNI,ed ebbi la fortuna di trascorrere qualche tempo con Evelyn Silvers, la vedova di Phil Silvers (reso celebre da Sergeant Bilko). Evelyn praticava da anni la psicoterapia, e di recente si era interessata tanto alla psiconeuroimmunologia da tornare all'università di California per ottenere il dottorato in un settore attinente. Conosceva il mio lavoro e mi aveva già cercato un anno prima, sulla costa atlantica, arrivando in limousine al mio studio nel NIH per portare fuori a pranzo me e Michael. Avevo ascoltato, affascinata, i dettagli sulla sua terapia, nella quale rilassamento, autoipnosi e visualizzazione si fondevano in una tecnica assistita che mirava ad aiutare il paziente a ottenere da sé la guarigione. Ad Harrowhead, poi, la sperimentai di persona. Dopo una breve seduta di consulenza, durante la quale le parlai dello stress che provavo nello sforzo di elaborare il peptide T, lei mi disse che a suo parere avrei potuto trarre benefici da un aumento del mio livello di endorfine. Si offrì quindi di farmi sperimentare una leggera trance, e cominciammo un processo di visualizzazione guidata. «Qual è la più potente delle endorfine e dove si trova in una concentrazione più alta? » domandò Evelyn, quando mi fui rilassata, scivolando in uno stato di piacevole alterazione. Le risposi che era l'endorfina beta, concentrata soprattutto nella ghiandola pituitaria. «Bene », rispose lei in tono incoraggiante. «Ora voglio che tu chiuda gli occhi concentrandoti sulla ghiandola pituitaria. Sai dove si trova?» Ci volle qualche istante, ma io, fra tutti, ero quella che sapeva meglio dove cercare, e non faticai troppo per mettere bene a fuoco la ghiandola pituitaria. Allora assentii con la testa. «Magnifico. Ora puoi vedere le molecole di endorfina beta al suo interno?» mi sollecitò Evelyn. L'endorfina beta era nitida sullo schermo della mia mente, con tutti i suoi trentuno amminoacidi riuniti in una collana e concentrati in minuscole sacche a forma di palloncino all'estremità degli assoni della cellula, pronte per il lancio.

379

Page 380: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Evelyn continuò: «Voglio che tu mi ascolti mentre conto a rovescio da dieci e, quando arriverò a uno, tu rilascerai le endorfine dalla ghiandola pituitaria nel circolo sanguigno». Eseguii i suoi ordini e provai un' ondata istantanea di eccitazione, una sensazione che accompagnava il rilascio delle endorfine dalla ghiandola pituitaria, mentre cominciavano a nuotare, fissandosi sui recettori di tutto il corpo e del cervello per operare i loro effetti magici. Era chiaro che la mia conoscenza della fisiologia- sapevo esattamente dov'erano concentrate le endorfine e come venivano secrete - mi aveva permesso di intervenire in modo cosciente, modificando le molecole intenzionalmente. Mi domandai se questo stesso tipo di conoscenza poteva aiutare altri che avrebbero tratto beneficio dal rilascio di un certo tipo di sostanze chimiche nel loro organismo. Qualche tempo dopo ebbi la possibilità di mettere alla prova quell'idea, su un gruppo di donne tossicodipendenti rinchiuse nel carcere della contea di Baltimora. Alcuni miei colleghi stavano conducendo un programma sperimentale che metteva a disposizione delle detenute l'agopuntura auricolare (tre aghi applicati nell'orecchio ogni giorno) per alleviare il desiderio di eroina e attenuare il dolore che rendeva così difficile l'astinenza. I ricercatori sapevano del mio lavoro che dimostrava come l'agopuntura stimoli il rilascio di endorfine per creare un effetto analgesico, di attenuazione del dolore, quindi mi invitarono a presenziare alloro programma nel carcere. La mia visita si svolse proprio il giorno della Festa della mamma, un momento tutt' altro che felice per le detenute, che soffrivano tanto della lontananza dei figli quanto dell'astinenza. Spiegai loro in parole semplici che avevano tutte nel proprio corpo, oltre che nel cervello,una forma naturale di eroina, le endorfine, e che il flusso era diminuito in conseguenza delle ripetute iniezioni di droga. Lo trovarono un concetto sorprendente. lo aggiunsi che il desiderio che provavano per la droga sarebbe cessato, una volta ristabilito il flusso naturale delle sostanze chimiche, e che i due metodi ideali per accentuare quel flusso naturale erano l'esercizio fisico e l'orgasmo. Da quella discussione scaturì per le donne una nuova possibilità di interpretazione della loro tossicodipendenza. Anche se non sono stati condotti studi a lungo termine per esplorare il modo in cui la visualizzazione

380

Page 381: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

del rilascio di endorfine potrebbe migliorare le condizioni dei tossicodipendenti, quel giorno lessi sul volto delle donne che quella sola idea era per loro una fonte di potere e infondeva la speranza di una guarigione finale, insieme a un nuovo rispetto per i poteri del loro organismo.

Secondo: accedere alla rete psicosomatica

Grazie all'autoscienza scaturita dalla mia conoscenza dell'anatomia e della biochimica, ero riuscita a inserirmi nella rete psicosomatica e nel dialogo corpo/mente per orientarli in modo diverso. Il punto nodale che avevo usato era il lobo frontale della corteccia cerebrale, una parte del cervello ricca di peptidi e recettori. Nota anche sotto il nome di prosencefalo, si riscontra unicamente negli esseri umani e si trova dietro la fronte. E la sede di tutte le funzioni cognitive superiori, come la pianificazione del futuro, la capacità di prendere decisioni e di formulare l'intenzione di cambiare, cioè esattamente quello che avevo fatto io per rilasciare l'endorfina beta. In poche parole, è il prosencefalo che ci rende esseri umani nel vero senso della parola. Gli scimpanzé, per esempio, possiedono il novantanove per cento del nostro materiale genetico, ma sono privi di una corteccia frontale evoluta. Negli esseri umani, questa parte del cervello non raggiunge il pieno sviluppo prima dei vent'anni, il che dovrebbe aiutarci a capire meglio i nostri figli adolescenti, e magari a essere più pazienti con loro. Quel più conta, il prosencefalo dipende dal libero flusso dei peptidi delle emozioni attraverso la rete psicosomatica esattamente come ogni altra parte dell'unità corpo/mente. Per poter funzionare a un livello tale da consentirci di compiere degli interventi coscienti nell'interazione corpo/mente alla quale faccio riferimento, il prosencefalo richiede un nutrimento adeguato. L'unico alimento del cervello è il glucosio, trasportato fino al cervello dal sangue. E il glucosio che sostiene l'abilità dei neuroni di immagazzinare e secernere tutti i messaggeri chimici, neurotrasmettitori e neuropeptidi, ed è sempre il glucosio ad alimentare le cellule gliali del cervello, che svolgono molte

381

Page 382: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

funzioni essenziali. Le cellule gliali, che agiscono come « agenti delle pulizie », sono vere e proprie fabbriche di peptidi che si spostano alla maniera dei macrofagi, a volte distruggendo e a volte alimentando le terminazioni nervose, in un incessante rimodellamento delle connessioni, che plasma la nostra mente nel senso letterale della parola. Soltanto quando la circolazione del sangue è in grado di fornire al cervello ricche provviste di glucosio, i neuroni e le cellule gliali possono svolgere le loro funzioni e assicurare la piena lucidità della coscienza. Il flusso del sangue è strettamente controllato dai peptidi emozionali, che segnalano ai recettori posti sulle pareti dei vasi sanguigni quando restringersi e quando dilatarsi, influenzando così la quantità e la velocità del sangue che vi scorre in ogni istante. Per esempio, gli esseri umani diventano «bianchi come un lenzuolo» quando ricevono una notizia sconvolgente, oppure «rossi come un pomodoro» quando si arrabbiano: tutto questo fa parte della straordinaria capacità reattiva del nostro sistema interno. Tuttavia, se le nostre emozioni sono bloccate a causa di negazioni, repressioni o traumi, il flusso del sangue può diventare cronicamente limitato, deprivando così la corteccia frontale, insieme ad altri organi, del nutrimento vitale. Questo può renderci storditi e meno vigili, limitati nella consapevolezza e quindi nella capacità di intervenire sul dialogo in atto fra corpo e mente, di prendere decisioni che modificano la fisiologia o il comportamento. Il risultato è che possiamo restare bloccati, incapaci di rispondere in modo attivo al mondo che ci circonda, ripetendo vecchi schemi di comportamento e di sensazione, legati a una base cognitiva ormai superata. Imparando a superare le esperienze e i condizionamenti del passato, sotto forma di ricordi immagazzinati nei recettori stessi delle cellule, per potenziare l'autocoscienza, ci si può liberare di questi blocchi, di questa «rigidità». Se però i blocchi sono di antica data, per raggiungere questo livello di consapevolezza potreste avere bisogno di aiuto, un aiuto che può assumere varie forme. Fra queste comprenderei la consulenza psicologica (possibilmente con qualche forma di contatto fisico), l'ipnoterapia, le terapie di contatto, i seminari per la crescita personale, la meditazione e la preghiera. Qualunque di questi metodi, o anche tutti, possono insegnarvi a

382

Page 383: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

reagire a quello che accade nel presente, e in gran parte è proprio in questo che consiste la coscienza.

Terzo: attingere ai sogni

Uno dei metodi migliori che conosco per integrare nel proprio stile di vita la consapevolezza delle emozioni è prendere l'abitudine di ricordare e trascrivere ogni giorno i sogni che si fanno di notte. I sogni sono messaggi diretti che arrivano dall'unità corpo/mente, fornendo informazioni preziose su quello che accade sul piano fisiologico, oltreché emozionale. Prendere coscienza dei propri sogni è un modo per origliare la conversazione che è in corso tra psiche e soma, corpo e mente, e raggiungere livelli di consapevolezza che in genere sono al di là della nostra capacità di percezione. Questo consente di ottenere informazioni preziose e poi, se necessario, di intervenire, apportando i cambiamenti opportuni al comportamento e alla fisiologia. Che cosa avviene quando si sogna? Le varie parti dell'unità corpo/mente si scambiano informazioni, il contenuto delle quali giunge alla nostra coscienza sotto forma di storia, completa di intreccio e di personaggi tratti dalla lingua della coscienza quotidiana. A livello fisiologico,la rete psicosomatica si sintonizza nuovamente ogni notte, in vista del giorno successivo. I cambiamenti si verificano nei circuiti di feedback man mano che i peptidi si riversano nell'organismo (in numero più o meno alto) e legano con i recettori per avviare le attività necessarie all'omeostasi, o per tornare alla normalità. Le informazioni su questi aggiustamenti penetrano nella coscienza sotto forma di sogno e, dal momento che questi sono gli elementi biochimici dell'emozione, il sogno non è fatto soltanto di contenuto, ma anche di sensazioni. Abbiamo visto quanto siano forti le emozioni che non vengono elaborate del tutto e restano immagazzinate a livello cellulare. Durante la notte, alcune di queste informazioni vengono rilasciate e possono riaffiorare in superficie

383

Page 384: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

nel sogno. Catturare quel sogno e rivivere le emozioni può costituire un'importante esperienza risanatrice, poiché o si integrano le informazioni per la crescita, o si decide di agire in modo da ottenere il perdono e sciogliere il blocco. La classica psicologia freudiana utilizza l'analisi dei sogni per aiutare i pazienti a comprendere motivazioni, desideri, comportamento: «Ah, ha sognato di uccidere sua madre? Significa che cova un rancore che non ha ammesso... è questa la fonte della sua nevrosi!» Ma dal punto di vista dell'unità corpo/mente, i sogni possono riferirsi non solo alla mente ma anche al corpo. I sogni possono essere un sistema di preallarme, utile per informarvi che si sta sviluppando una certa condizione clinica e contribuendo ad attirare la vostra attenzione cosciente sull'area del problema. E possibile che il corpo discuta questa condizione con la mente, e che voi possiate inserirvi nel dialogo ricordando il sogno in stato di veglia. Anche se è difficile tradurre una simile conversazione a beneficio altrui, affermando per esempio che il sogno di un esercito invasore significa che si sta sviluppando un tumore, o tirando qualche deduzione arbitraria di questo genere, posso garantirvi che, una volta presa la decisione di prestare attenzione ai vostri sogni, questi cominceranno a parlarvi, e li comprenderete sempre meglio col tempo e con l'esercizio. Sono anni, ormai, che annoto i miei sogni in un taccuino. Ho cominciato nel periodo in cui non avevo un laboratorio, mentre il peptide T attendeva ulteriori sviluppi e il Progetto peptide era stato abbandonato, e credo che la motivazione inconscia fosse che potevo usare me stessa come laboratorio (come ho fatto anche nel caso della meditazione). Alcune delle mie intuizioni più preziose sono il risultato di sogni che ricordo di aver fatto in quel periodo. Il sogno fondamentale che ho fatto sul conto di Sol, nel 1986, in cui gettavo acqua su di lui e lo vedevo raggrinzirsi e rimpicciolirsi - proprio lui, la mia nemesi, il mostro che io stessa avevo creato - mi diede il coraggio di scrivergli una lettera di perdono che mi ha permesso di liberarmi dei rancori che mi divoravano da anni. Tengo il mio libro dei sogni nello stesso modo in cui tengo il registro del laboratorio, scrivendo il contenuto narrativo sulla pagina di destra, dove in genere annoto i passi del procedimento utilizzato in laboratorio, e il

384

Page 385: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

contenuto emotivo sulla pagina sinistra, dove in genere annoto calcoli e commenti. L'unità corpo/mente è un laboratorio per ciascuno di noi, in cui siamo tutti scienziati partecipi, che cercano di comprendere meglio il comportamento e la fisiologia e di influenzarli. In questo senso siamo tutti cercatori della verità. Proprio come fa lo scienziato quando valuta una serie di esperimenti, potreste desiderare di rivedere un particolare sogno in un periodo successivo,per vedere quali emozioni sono state elaborate, e il processo di revisione può rivelare degli schemi che contribuiscono alla vostra consapevolezza. Mi sento dire spesso: «Non ricordo i sogni che faccio », come se fosse impossibile dare inizio a questo processo. Eppure è questo il primo passo cruciale, la semplice decisione di ricordare i sogni, cosa che la corteccia frontale del cervello vi consente di fare. Da questa decisione seguiranno tutte le altre. Una volta presa la decisione, preparatevi disponendo una penna e un taccuino sul vostro comodino. Nel suo libro The Seven Spiritual Laws (Le sette leggi spirituali), Deepak Chopra parla di intenzione e attenzione, e questa è un'illustrazione perfetta di ciò che intende dire. L'intenzione è la decisione di catturare il sogno mettendolo per iscritto, l'attenzione è la concentrazione, la disponibilità necessarie per compiere l'azione creata dall'intenzione, in questo caso annotando il sogno. Se eserciterete in questo modo attenzione e intenzione, potrete coltivare l'abitudine di ricordare i sogni, ottenendo un accesso più facile al sistema informativo dell'unità corpo/mente. Quando vi svegliate al mattino, stiratevi, sbadigliate e allungate la mano verso il taccuino dei sogni. Scrivete tutto ciò che vi viene in mente, per quanto frammentario, senza cercare di filtrare o rivedere il contenuto. Se vi si affaccia alla mente un' associazione di idee - ah, quella macchina gialla è la stessa che aveva mio padre quando io avevo dieci anni! - annotatela fra parentesi. Ancora più importanti del contenuto, però, sono le sensazioni e le emozioni che avete provato nel sogno. Chiedetevi sempre: «Come mi sentivo?» E inserite queste osservazioni nella trascrizione. A volte le emozioni sono in contrasto con l'azione, per esempio quando si sogna una tragedia e ci si sente felici. L'elemento essenziale è la sensazione, quindi, anche se è fastidiosa o sgradevole, imponetevi di prenderne nota. Questo è

385

Page 386: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

un buon esercizio per diventare più consapevoli delle proprie emozioni in stato di veglia e di quelle che si provano in sogno, e per esercitare meno un giudizio sui vostri processi interiori. Annotate anche i sogni che ricordate solo in parte. Quando ho cominciato a tenere un registro dei sogni, spesso avevo soltanto un'impressione indistinta da annotare, ma mi sono accorta che, se anche scrivevo un frammento infinitesimale, questo avviava un processo di memoria più profondo, che a volte mi riportava alla mente il sogno in tutta la sua interezza. Fate attenzione a scrivere anche i sogni in apparenza più insignificanti, perché scartando un sogno che vi sembra ottuso e noioso potreste lasciarvi sfuggire un messaggio importante. Spesso la banalità apparente è solo una maschera per coprire un materiale al quale resistete a causa del suo contenuto disturbante o negativo. Una volta scritta la parte noiosa, affioreranno alla vostra memoria anche le altre. Come le emozioni e i pensieri, i nostri sogni seguono le leggi delle informazioni, cioè esistono su un piano che trascende il tempo e lo spazio. Molte popolazioni tribali lo riconoscono e danno credito ai sogni, considerandoli emissari del mondo degli spiriti e trattandoli con il massimo rispetto. L'inconscio collettivo di Jung è il concetto più vicino a questa fede che esista nella nostra cultura, ma possiamo mettere insieme teoria dell'informazione e saggezza antica, cominciando ad assegnare maggior valore ai sogni come una forma di psicoterapia a basso costo e senza farmaci. Se cerchiamo qualche metodo di autoterapia pratico e poco tecnologico nel nostro itinerario per raggiungere il benessere, il lavoro sui sogni può offrire un contributo straordinario. Nei momenti di maggiore misticismo, mi piace pensare che i sogni siano soltanto un altro modo in cui Dio ci parla all'orecchio, trasmettendoci messaggi attraverso la rete psicosomatica.

Quarto: entrare in contatto con il proprio corpo

Prima di avventurarci troppo sul terreno filosofico, vorrei tornare al livello del corpo fisico e del modo in cui possiamo accedere alla mente e alle

386

Page 387: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

emozioni per raggiungere il benessere. I sogni funzionano e altre forme di intervento cosciente sono importanti, ma dobbiamo riconoscere anche altre vie: la pelle, la spina dorsale, gli organi interni, tutti punti nodali che danno accesso alla rete psicosomatica. Come tali vengono sfruttati dalla medicina alternativa: l'analisi della rete spinale di Epstein, la centratura mente-corpo di Bainbridge-Cohen, il sinergismo di Illana Rubenfield, la bioenergetica di Lowden, il nuovo processo di identità e il massaggio. Raccomando vivamente queste e altre forme di lavoro sul corpo, che sfruttano il movimento o il contatto fisico per guarire le emozioni. (Si veda l'Appendice per ulteriori informazioni su queste terapie.) Comunque si possono adottare anche forme molto più semplici di lavoro sul corpo, ottenendo effetti altrettanto validi. Vi sentite giù, torpidi e impigriti? Fate una passeggiata. Vi sentite ansiosi e carichi di elettricità? Correte. Vi fa difetto l'autostima? Sottoponetevi a un massaggio o a una manipolazione della spina dorsale, oppure fatevi dare tanti abbracci affettuosi, e state a vedere che succede. La mente e le emozioni risiedono nel corpo, ed è qui, nell'esperienza somatica, che si risanano i sentimenti.

Quinto: ridurre lo stress

Nessuna discussione sullo stile di vita possibile e sul benessere sarebbe completa senza un accenno all'esigenza di ridurre lo stress. In base alla mia esperienza, il metodo più efficace per ridurre lo stress è la meditazione, perché, anche senza la nostra collaborazione cosciente, permette il rilascio di emozioni rimaste cristallizzate sotto forma di blocchi che sovvertono il sano fluire delle sostanze biochimiche nell'unità mente/corpo. Considero utili tutte le forme di meditazione, ma quella che ho usato personalmente è la cosiddetta meditazione trascendentale, o TM. Questa meditazione richiede che ci si sieda in posizione comoda, con gli occhi chiusi, due volte al giorno per venti minuti, ripetendo dentro di sé sempre la stessa parola, chiamata mantra. L'insegnamento e la pratica della TM sono ormai standardizzati e numerose ricerche scientifiche illustrano le prove concrete dei benefici fisici che se ne ricavano, come la diminuzione della pressione

387

Page 388: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sanguigna, la regressione di malattie autoimmunitarie e la stimolazione di una vasta gamma di effetti antinvecchiamento. Un'altra forma di meditazione che sta diventando molto popolare è la cosiddetta «mindfullness », introdotta nell'uso dallo psicologo e ricercatore Jon Kabat-Zinn, della clinica Medical Center Stress Reduction (Centro medico per la riduzione dello stress), dell'università del Massachusetts. Questo semplice metodo si basa su una tecnica orientale nota nella tradizione buddhista col nome di vipassana,in cui ci si limita a concentrare la propria attenzione sul respiro, restando seduti o distesi, con gli occhi aperti o chiusi. Respirando coscientemente in questo modo, si entra nel dialogo mente/corpo senza enunciare giudizi né opinioni, lasciando che le molecole-messaggere dei peptidi fluiscano liberamente dal rombencefalo per regolare il respiro, unificando tutti i sistemi. Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che la tecnica di meditazione «mindfullness» può ridurre drasticamente le sofferenze e migliorare l'umore delle persone che soffrono di dolori cronici, consentendo loro di vivere nel presente, anziché nel timore costante che il dolore li «uccida ». Con questa nuova consapevolezza, diventano capaci di svolgere le loro attività quotidiane nonostante i disagi. L'approccio di Kabat-Zinn è esposto nei suoi libri intitolati Guida alla meditazione come terapia e Dovunque tu vada, ci sei già. Un modo semplice per avvertire i benefici della meditazione è ascoltare uno dei tanti nastri registrati di «musiche da rilassamento» oggi disponibili in commercio, alcune delle quali sfruttano la visualizzazione guidata per aiutarvi a proiettare la coscienza nella rete psicosomatica mediante affermazioni programmate, o dichiarazioni positive, che riguardano la salute, la prosperità, i rapporti umani, eccetera. Alcuni ricorrono a termini o strumenti orientali, mentre altri hanno titoli neutri come Una gita sulla spiaggia o Una passeggiata nella foresta. Ho scoperto che, quando ascolto la musica e le parole, il ritmo della respirazione cambia e diventa più lento e profondo, portando con sé una sensazione di rilassamento. (Possiedo vari nastri profondamente rilassanti, e devo ancora riuscire ad ascoltarli fino in fondo senza cadere addormentata.) È interessante notare che questi cambiamenti non sono soltanto a breve termine. L'esperienza indica che questo tipo di rilassamento può indurre una sostanziale modificazione degli

388

Page 389: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

schemi di respirazione, cosicché, anche quando non ascolto un nastro, la mia respirazione tende a essere più libera e rilassata. A qualcuno la meditazione fornisce un legame diretto con il mondo spirituale, ma chi la pratica non deve necessariamente avere di mira questo intento. Forse il meccanismo segreto della meditazione è semplicemente quello di sentirsi presenti alla realtà per un certo tempo. Distogliendo la mente dalle varie modalità di pensiero improntate al dovrei potrei vorrei, si promuove l'autoregolazione e la guarigione a tutti i livelli. Nel ritmo convulso della vita moderna, tutti noi tendiamo a regolare le vele troppo spesso, puntando nell'una o nell'altra direzione, sempre di fretta, senza soffermarci abbastanza a lungo per vedere gli effetti di questa regolazione sul corso della nostra vita. La meditazione ci offre l'opportunità di fermarci ad attendere una reazione, prima di lanciarci a testa bassa su una rotta di cui sappiamo poco o nulla, la possibilità di lasciare al corpo il tempo di adeguarsi ai potenti effetti trasformatori del flusso naturale di informazioni. Una pratica più semplice e meno formale della meditazione, ma altrettanto efficace per ridurre lo stress, è l'abitudine di essere onesti con se stessi. Con questo intendo restare fedeli alla propria identità, mantenere la parola non solo con gli altri, ma anche con se stessi, e vivere in una condizione di integrità personale. Esiste un profondo motivo psicologico per cui l'onestà contribuisce a ridurre lo stress. Abbiamo visto in che modo le emozioni unificano il corpo intero nell'intento di raggiungere uno scopo unitario, integrando fra loro i sistemi e coordinando processi mentali e biologici che confluiscono nel comportamento. Camminare è un esempio di questa azione: si formula un pensiero o un intento, che poi viene coordinato con la fisiologia per produrre un comportamento, cioè l'atto del camminare. Se ho un obiettivo, come per esempio trovare una cura per il cancro, tutti i sistemi del mio corpo sostengono tale intenzione e fanno ciò che è necessario, sia che si tratti di aumentare il fabbisogno di proteine, o di mobilitare l'apparato gastrointestinale perché produca gli enzimi necessari per il massimo assorbimento, eccetera. In questo processo prevalgono un'integrità e una chiarezza fisiologica che sono frutto della limpidezza delle mie intenzioni. Quando sono combattuta, invece, ossia quando do a intendere di perseguire uno scopo ma senza impegnarmi davvero, quando dico una cosa e

389

Page 390: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

ne faccio un'altra, è segno che le mie emozioni sono in conflitto, che risento di una scarsa integrità, e la mia integrità fisiologica ne risulta alterata in misura proporzionale. Il risultato può essere un indebolimento o un' alterazione della rete psicosomatica, che conduce allo stress e in ultima analisi alla malattia. Dite sempre la verità, ripeto ai miei figli da anni, e non soltanto perché è la scelta morale giusta, ma anche perché vi terrà su un percorso sano ed esente da malattie. La mia amica Maggie McClure, una chiropratica specializzata nell'analisi spinale, si esprime in questo modo: «Non dico mai bugie, perché richiedono troppa energia per far filare lisce le cose... energia che preferisco usare per fare qualcosa d'altro». L'onestà, a quanto pare, è la scelta preferita dalla biochimica del nostro corpo, e fare scelte diverse non è che un modo di rallentarci e appesantirci. Ancora una parola a proposito dello stress: giocate! Divertirsi è il metodo più economico, facile ed efficace che io conosca per ridurre all'istante lo stress e ringiovanire mente, corpo e spirito. A mio parere la fonte principale di stress nella nostra vita è la percezione dell'isolamento e dell'alienazione, dell'esclusione dalla compagnia degli altri. Giocare è l'antidoto ideale perché mette in moto le emozioni, e sono le emozioni che ci uniscono, ci ispirano un senso di unità, la sensazione che facciamo parte di qualcosa che è più grande dei nostri piccoli ego separati. Con questa nuova comprensione dell'importanza dell'autocoscienza, delle emozioni e della circolazione del sangue, possiamo considerare con occhi nuovi l'esercizio fisico e la dieta.

Sesto: fare esercizio fisico

Per la stragrande maggioranza di noi che è ancora impantanata nel pensiero legato al vecchio paradigma, l'esercizio fisico è un lavoro faticoso e ingrato, un'attività che si pratica in modo saltuario, motivando la nostra «macchina fisica» con la tattica del bastone e della carota per ottenere vantaggi come una figura più snella o muscoli più tonici. Invece, con questa nuova concezione di noi stessi come una rete di sistemi di informazione carichi di emozioni, l'esercizio può diventare più facile e divertente. Ogni volta che

390

Page 391: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

faccio esercizio fisico, cerco sempre di impegnare le .emozioni usando gli auricolari per ascoltare la musica rock che preferisco. In questo modo camminare diventa uno scherzo, perché la musica mi aiuta a sciogliere le emozioni cristallizzate,mettendomi in contatto più diretto con il corpo, cosicché posso «sentire» quello che mi suggerisce di fare. Così non spingo il mio organismo oltre le sue possibilità, procurandomi magari qualche lesione, e non corro il rischio di rinunciare troppo presto, solo perché mi mancano informazioni essenziali legate alla percezione dei muscoli e delle ossa che lavorano. Sono informazioni preziose che mi incoraggiano a continuare: la differenza che fa la differenza! Ho imparato un paio di trucchi che mi aiutano a muovere il corpo in modo da facilitare il flusso di comunicazioni nell'unità corpo/mente. Per esempio, ogni volta che sposto una gamba per muovere un passo lascio oscillare in avanti la mano opposta, questa volta senza musica. Non so perché, questo attiva il flusso di informazioni dal cervello sinistro, sbloccando vecchi schemi di ansie e recriminazioni. Ho scoperto che, muovendo il corpo in questo modo, risulta impossibile restare ancorati a vecchi schemi di pensiero improduttivi. Tenetelo ben presente: il valore dell'esercizio fisico non consiste tanto nell'irrobustire i muscoli o bruciare calorie, quanto nell'indurre il cuore a pompare più in fretta e con maggiore efficienza, aumentando quindi l'afflusso di sangue destinato ad alimentare e ripulire il cervello e tutti gli organi. Ovviamente, se fate esercizio con tanta intensità da sudare, otterrete anche il beneficio di un miglioramento dell'umore, sollecitato dall'emissione di endorfine, nonché di altri peptidi non ancora identificati. Lo yoga è una forma di esercizio fisico particolarmente positiva per la salute. Qualunque forma di respirazione cosciente accompagnata dal rilassamento e dalla coscienza del corpo si può definire yoga, ma il modo migliore per imparare lo yoga, se non vi è familiare, consiste nel seguire dei corsi - ormai se ne tengono dappertutto - o ispirarvi a libri e audiocassette in vendita nelle librerie. Il mio stile di yoga preferito consiste nell'usare la respirazione cosciente mentre eseguo movimenti e posizioni ritmici e ben definiti, come quelli che uso nel camminare o nel nuotare. Per provare l'efficacia di questo metodo mentre camminate o nuotate, provare a inspirare contando fino a due ed

391

Page 392: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

espirare contando fino a quattro, o adottando qualsiasi altro ritmo di inspirazione ed espirazione che vi riesce comodo. Fate solo attenzione a raddoppiare il tempo destinato all'espirazione e a mantenere questo ritmo per dieci minuti, se possibile. L'effetto è un aumento di energia e di benessere, due elementi che riflettono il buon lavoro che sto facendo e m'incoraggiano a continuare.

Settimo: mangiare con saggezza

La dieta è un altro aspetto dello stile di vita che si può rivedere alla luce della nostra comprensione delle emozioni. L'atto di mangiare, a causa del suo valore per la sopravvivenza, è stato saggiamente designato dall'evoluzione come un evento carico di emotività. (Tutti i processi legati alla sopravvivenza, come fare sesso, mangiare, respirare, eccetera, sono regolati da neuropeptidi, e quindi sono controllati dalle emozioni. Le semplici emozioni del dolore e del piacere, che ci segnalano di accostarci a qualcosa o allontanarci, sono stati aspetti determinanti per la sopravvivenza e l'evoluzione degli animali e degli esseri umani.) L'intestino crasso e quello tenue sono rivestiti da un fitto strato di neuropeptidi e recettori, tutti intensamente occupati a scambiarsi informazioni cariche di contenuto emotivo, il che può forse spiegare quello che proviamo quando diciamo di avere una « sensazione viscerale». Esistono almeno venti diversi peptidi carichi di emotività secreti dal pancreas per regolare l'assimilazione e l'immagazzinamento delle sostanze nutritive, e tutti trasportano informazioni relative al senso di sazietà e di fame. Troppo spesso, però, ignoriamo queste informazioni, mangiando quando non abbiamo realmente fame e usando il cibo per seppellire informazioni spiacevoli. Fame nervosa, bulimia da depressione... ecco i comportamenti che ne derivano. Sintonizzando le emozioni e le informazioni sul processo digestivo, potrete affinare la capacità di intuire di che cosa ha bisogno il vostro corpo nel campo dell'alimentazione, e quando. Ricordate che sono i peptidi a mediare sazietà e fame, e noi non possiamo sentire quello che ci dicono quando non

392

Page 393: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

siamo in contatto con le nostre emozioni o, peggio ancora, quando le rinneghiamo. Chiedete a voi stessi: «Ho fame?» e prima di mangiare aspettate di provare una sensazione di fame. Un ottimo espediente che ho imparato dalla tradizione ayurvedica indiana è sorseggiare lentamente dell'acqua calda, che soddisfa la falsa sensazione di fame e aiuta a espellere il cibo digerito solo in parte. Se invece avete davvero fame, prepara il corpo a digerire completamente il pasto. Siamo tutti frastornati dal continuo cambiare parere dei guru dell'alimentazione. Anche se non intendo certo raccomandarvi di ignorare i principi nutritivi fondamentali, suggerisco di fare maggiore affidamento sulla saggezza del corpo, quando si tratta di prendere decisioni nel campo dell'alimentazione. La smania di mangiare qualcosa di dolce può essere un segnale che il vostro cervello ha bisogno di carburante, quindi addentate un frutto; il desiderio di un hamburger può indicare che il corpo ha bisogno di più proteine, quindi aggiungete alla vostra dieta prodotti animali o a base di soia. I vantaggi che derivano da un'alimentazione regolata in base alle emozioni (non agli impulsi) sono maggiori di quelli che può apportare l'adesione a certe norme dietetiche. Se siete in balia dei vostri impulsi, le terapie mirate al centro delle emozioni, come la psicoterapia corporea (vedi capitolo 12), possono servire a rimettervi in contatto con emozioni sincere e affidabili. L'ambiente nel quale consumate i pasti influisce molto sull'esperienza emozionale all'ora dei pasti. Io cerco sempre di mangiare in un ambiente piacevole e privo di stress, godendo di una buona compagnia. Mangiare mentre si è turbati sul piano emotivo o si ha fretta può essere molto dannoso per il processo digestivo, regolato dai peptidi. I pensieri e le emozioni che si portano a tavola con sé sono altrettanto importanti del pasto saggiamente equilibrato davanti al quale vi sedete. Siete preoccupati, tesi, pensate al conto della spesa o alle calorie o ai livelli di sostanze tossiche? Divorate ogni boccone come se il pasto potesse dileguarsi da un momento all'altro? Oppure «perdete coscienza» quando mangiate, e mentre leggete il giornale o state seduti davanti al televisore vi ficcate il cibo in bocca senza rendervene conto? Questa è una specie di disintegrazione, una scissione fra mente e corpo che vi porterà ad accumulare peso superfluo e a soffrire di

393

Page 394: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

disturbi che (secondo la tradizione ayurvedica, che ritengo valida sul piano scientifico) sono causati da una digestione incompleta. Mentre mangiate, siate pienamente coscienti di ciò che fate e rendete grazie del cibo, assaporandone il sapore e la consistenza. La benedizione del cibo non deve necessariamente essere un rito religioso. Può anche essere semplice come dire a se stessi: «Mmm, questo mi fa bene. Mi sento grato e soddisfatto». Io lo faccio anche quando mi concedo una piccola «trasgressione», come un paio di biscotti con le gocce di cioccolato, perché so che l'emozione che accompagna il cibo è un ingrediente essenziale quanto le vitamine e i minerali che vi sono contenuti. E ora una parola a proposito dello zucchero, che io considero una droga, un prodotto vegetale estremamente raffinato che può provocare dipendenza. Il corpo produce naturalmente zucchero sotto forma di glucosio, che è l'unico carburante di cui il cervello ha bisogno per funzionare. Abbiamo visto come le sostanze chimiche dell'emozione regolano la circolazione del sangue per portare nutrimento al cervello, ma le emozioni e le loro controparti chimiche controllano anche la disponibilità del glucosio. Negli stati di estrema eccitazione, come il panico o l'isterismo, il fegato metabolizza il glicogeno, ossia la forma in cui viene immagazzinato il glucosio, e lo libera nell'apparato circolatorio, dove viene trasportato al cervello, dando l'allarme per avvertirci di fronteggiare un'emergenza, se necessario. Fare affidamento su una forma artificiale di glucosio -lo zucchero - per ottenere un rapido effetto «tiramisu» è un'abitudine analoga all'assunzione di eroina, se non altrettanto pericolosa. La sostanza artificiale viene utilizzata dal corpo allo stesso modo di quella naturale, ma, come la droga, inonda i recettori, desensibilizzandoli e quindi interferendo nei circuiti di feedback che regolano la disponibilità di energia immediata, come il rilascio di glicogeno nel sangue prodotto dal fegato. Nel corso delle ere, il nostro complesso corpo/mente si è evoluto in un sistema fatto per alimentare il cervello con il carburante di cui ha bisogno, e sarebbe saggio rispettarlo.

394

Page 395: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Ottavo: evitare ogni abuso

Per gli stessi motivi per cui è meglio evitare un eccessivo consumo di zucchero, desidero mettervi in guardia contro i rischi rappresentati da alcol, tabacco, marijuana, cocaina e altre droghe. Tutte queste sostanze hanno degli analoghi naturali che circolano nel sangue, ognuno dei quali lega con i propri recettori specifici disposti in tutto il corpo. L'alcol, per esempio, lega con il complesso dei recettori dell'acido ammino-gammabutirrico (GABA) che fanno da recettori anche per Valium e Librium, due farmaci comuni che vengono prescritti per placare l'ansia in quanto producono un effetto antiansia, sia pure di breve durata. Quando li ingeriamo, questi leganti esogeni entrano in competizione con le sostanze chimiche naturali che dovrebbero legare con i recettori dei GABA, inondandoli e quindi causandone una diminuzione di sensibilità e/o di numero. I recettori segnalano allora un calo nella secrezione di peptidi, come ho spiegato nella conferenza tenuta alle detenute eroinomani. Tutte le droghe possono interferire con il flusso naturale di peptidi utili per il benessere dell'organismo e quindi, sul piano biochimico, non esiste alcuna differenza fra le droghe legali (o farmaci) e quelle illegali:sono tutte potenzialmente dannose, di tutte si può abusare e tutte possono contribuire a intaccare lo stato di salute in una o nell'altra forma, per esempio causando depressioni croniche. Quando si assume più di una droga, come accade per esempio a chi fuma regolarmente marijuana e prende degli antidepressivi - una situazione comune che spesso sfugge all'attenzione del medico che li prescrive - i loro effetti collaterali interagiscono, e i circuiti naturali di feedback dell'organismo possono entrare in stato di collasso, lasciandone attivi soltanto alcuni. Il lato positivo è che gli effetti fisiologici dell'abuso di queste sostanze sono reversibili: l'eroinomane si può disintossicare, il fumatore abituale di erba può rinunciare alla sua abitudine, coloro che trovano la vita intollerabile senza antidepressivi possono scoprirsi guariti al punto da poterne fare a meno. Tuttavia può occorrere un processo molto lungo, e talvolta doloroso, prima che i recettori tornino alla sensibilità e al numero iniziali e che i

395

Page 396: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

corrispondenti peptidi rientrino in produzione e in circolazione nel corpo. Nella ripresa, spesso non si tiene conto del fatto che i sistemi interessati sono più d'uno (gastrointestinale, immunitario ed endocrino) e non si tratta soltanto del cervello. Le droghe sottopongono a un incredibile superlavoro il fegato, che è l'organo responsabile della produzione di enzimi necessari per metabolizzare le droghe ed eliminare i loro prodotti tossici di scarto. Mentre il fegato è sovraccarico di lavoro e distratto, le tossine provenienti da altre fonti si accumulano, predisponendo il complesso corpo/mente alla malattia. I programmi di recupero, tanto quelli ufficiali quanto quelli che formuliamo da soli, devono tenere conto di questa realtà multisistemica, mettendo l'accento sul sostegno dietetico e sull'esercizio fisico. Mangiare cibi freschi, non trattati, preferibilmente verdure provenienti da coltivazioni organiche, e svolgere una blanda attività fisica, come camminare per aumentare l'afflusso di sangue al fegato, possono accelerare il processo. Ciò che spinge gli esseri umani a consumare droghe legali e illegali (uno dei problemi centrali della nostra società, a mio parere) sono le emozioni malate non sanate, ignorate, non elaborate e integrate, o addirittura rimosse. I traumi e gli stress che vengono continuamente immagazzinati a livello dei recettori interrompono le vie di comunicazione del sistema nervoso e arrestano il flusso delle sostanze informazionali di natura chimica, una condizione fisiologica che si manifesta sotto forma di blocchi emotivi o di ferite emotive rimaste non sanate: tristezza, paura, frustrazione, collera, che assumono un carattere cronico. Allungare la mano verso una bevanda alcolica o una sigaretta o uno spinello è un gesto dettato di solito da una sensazione sgradevole e inaccettabile che non sappiamo come affrontare, per cui ce ne liberiamo in un modo di cui conosciamo per esperienza l'efficacia. Il fumatore frustrato, l'alcolista depresso, il consumatore cronico di marijuana... e se ci soffermassimo un momento a esaminare le nostre sensazioni e chiederci quali emozioni proviamo, prima di ricorrere a una sostanza artificiale per modificare l'umore? Se riusciamo a introdurre questo livello di autocoscienza nel nostro abituale uso di sostanze, avremo la possibilità di fare una scelta diversa, mentre, ignorando continuamente le emozioni, non ne abbiamo. Forse scopriremo che si tratta di un problema di comunicazioni da instaurare, di emozioni da esprimere, di esigenze da

396

Page 397: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

soddisfare, di problemi da risolvere... tutte azioni potenziali per fare in modo che i succhi endogeni naturali scorrano liberamente, producendo uno stato naturale, peptidergico, di «benessere». Oppure può darsi semplicemente che il movimento, sotto forma di esercizio fisico o di una passeggiata, possa modificare il nostro stato d'animo.

Connessione

Sto annotando questi pensieri in una scaletta destinata al mio intervento dell'indomani, quando m'interrompe lo squillo del telefono. E Naomi Judd, che mi dà il benvenuto al convegno Wellness, invitandomi a unirmi a lei e a pochi altri relatori per una tavola rotonda che sarà presieduta da lei il giorno dopo. Di recente questa cantante di musica country western straordinariamente popolare, che si esibiva in tournée insieme con la figlia Wynonna, sotto il nome di «the Judds», ha cominciato a frequentare i miei stessi ambienti. Ora che si è ritirata dalle scene, ha scoperto un nuovo interesse nelle terapie alternative e legate alla psiconeuroimmunologia, sollecitata da una forma potenzialmente letale di epatite che le era stata diagnosticata. Negli ultimi anni, è passata dal circuito della musica country a un mondo che potrebbe sembrare diametralmente opposto, il circuito della terapia alternativa, che io definisco medicina alternativa. Come me, Naomi è a cavaliere fra due mondi molto diversi, quasi stesse in piedi sul ponte che li unisce, e per questo provo un forte senso di cameratismo nei suoi confronti. Il fatto che siamo diventate madri prima dei vent'anni e abbiamo dovuto lottare per allevare dei figli mentre raggiungevamo il successo nei rispettivi campi rappresenta un ulteriore legame fra noi. Ci siamo già incontrate in passato, quando mi ha invitato a cena in occasione di un precedente convegno del movimento Wellness. Dopo aver esaurito tutti gli approcci tradizionali per curare la sua malattia, venuta a sapere del mio lavoro, sperava che potessi aiutarla a comprendere la sua malattia dal punto di vista mentale. Qualche tempo dopo, mi ha inviato una copia con dedica del suo libro, Love Can Build a Bridge (L'amore può gettare un ponte), in cui cita me e il mio

397

Page 398: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

lavoro. Leggendo il libro, sono rimasta commossa dalla sua vita di madre e di artista, ma quello che mi ha realmente colpita è stato il fatto che era una persona che viveva con sincerità le sue convinzioni spirituali, usandole per guarire se stessa e la sua famiglia. «Insomma, sono prontissima a parlare di benessere e stile di vita », dico a Naomi dopo un breve scambio amichevole di notizie. «E noi naturalmente siamo prontissimi ad ascoltare», replica lei con entusiasmo. «Ma ho un altro asso nella manica, qualcosa a cui penso che sarai altrettanto interessata di me!» E poi, senza neanche riprendere fiato, aggiunge: «Penso che ciò che interessa davvero alla gente sia sentire in che modo portiamo la spiritualità nel rapporto mente-corpo. Non lo pensi anche tu?» «Be', certo», rispondo in tono esitante. Naomi mi sta forzando la mano. Gli scienziati non parlano di spiritualità in pubblico e, anche se sono considerata una specie di rivoluzionaria, continuo pur sempre a considerarmi una scienziata e mi sento a disagio nel parlare di spirito e di questioni metafisiche, sia pure davanti a un pubblico di convinti assertori della medicina olistica. Nello stesso tempo, però, questa occasione mi incuriosisce. Indubbiamente ho pensato molto al modo in cui lo spirito agisce nell'equazione mente/corpo, e sono riuscita a capire come le ricerche scientifiche da me svolte possono sostenere questo concetto. «Bene, allora dirai a tutte queste persone che avete accertato in laboratorio che Dio è vivo e in buona salute, e ci guarirà grazie a quei neuropeptidi?» osserva scherzando. Se solo fosse così semplice, penso io. «Farò del mio meglio», le rispondo alla fine. «Ma dovrai aiutarmi, Naomi. lo sono una scienziata, non un guru. Mi sento molto nervosa...» «Oh, sciocchezze, Candace, saranno entusiasti di tutto quello che dirai », ribatte lei. Attacco il telefono per tornare alla scaletta del mio intervento, ma è tardi, e sono più propensa a rilassarmi e dichiarare conclusa la giornata di lavoro. Mi domando che cosa dirò domani alla tavola rotonda. Mi viene in mente che mi sono interessata al ruolo dello spirito - coscienza, anima, psiche - fin da

398

Page 399: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

quando ero bambina e crescevo in una famiglia mista, chiedendomi quale fosse la mia religione. I sostenitori del movimento Wellness potrebbero restare sorpresi, domani, rifletto scivolando nel sonno. Sono pronta per un nuovo livello di espressione disinibita: la tavola rotonda nella quale Naomi farà da moderatrice potrebbe essere l'ambiente ideale per formalizzare la mia concezione del modo in cui la spiritualità s'inserisce nel quadro corpo/mente, e annunciare un messaggio radicalmente nuovo dai laboratori della scienza ufficiale.

Guarigione spirituale

Le attività previste per il giorno seguente dal convegno del movimento Wellness si terranno nell'impianto sportivo del campus, una struttura più adatta per disputare gare di atletica che per accogliere oratori incaricati di parlare delle ultime scoperte in fatto di salute e benessere. Comunque 1'atmosfera è informale, e la segatura sul pavimento serve a rammentarci che la gente del posto non si monta troppo la testa. Raggiunta una sala poco lontano dallo stadio principale per partecipare alla tavola rotonda delle dieci, prendo posto su una pedana rialzata insieme agli altri partecipanti. La sala affollata contiene, secondo i miei calcoli, circa cinquecento persone. Naomi, che dirige per la prima volta una tavola rotonda, è in stato di grazia, e appare sincera e garbata nel presentarsi in scena; del tutto a suo agio con il pubblico, sprigiona un fascino carico di cordialità campagnola. E lei ad aprire la seduta e a presentare i partecipanti alla tavola rotonda: il dottor Brian Luke Seaward, David Lee, Elaine Sullivan e la sottoscritta: i primi tre come sostenitori dell'unità mente-corpo che hanno propagandato i valori del movimento nei loro molteplici ruoli di psicoterapeuti, conferenzieri, consulenti e autori, e io come rappresentante degli scienziati. Le presentazioni sono lunghe e molto positive, fitte di dettagli tratti evidentemente dal nostro curriculum e preparate con un occhio rivolto alle pubbliche relazioni, visto che ci fanno apparire tutti importanti, così come il nostro lavoro viene definito significativo. Durante la presentazione, Naomi

399

Page 400: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

osserva con serietà che si aspetta, un giorno o 1'altro, di sentir annunciare che mi è stato conferito il premio Nobel per la biochimica, ma poi aggiunge subito, in tono scherzoso: «Oh, questo potete saltarlo!» Il pubblico adora la sua umiltà, e non è un segreto che la vedette del giorno è proprio lei, è lei che tutti sono venuti a sentire. «Quanto a me, sono la donna più semplice della musica country», si limita a dire di se stessa, a titolo di autopresentazione. «Mi fa piacere stare qui con le mie amiche Candace ed Elaine, e con voi ragazzi, Brian e Dave», dichiara, mentre l'accento strascicato del sud tradisce le sue origini del Kentucky. Allargando gli orizzonti dell'introduzione, osserva: «Penso che una delle cose più importanti che facciamo qui" al convegno Wellness, sia offrire un'occasione alla comunità. E un pò quello che succede quando sono insieme alla mia congregazione, oppure con i miei amici che suonano musica country: è la stessa sensazione di unità e di sostegno che sento qui, stando con tutti voi». Ci sentiamo tutti circondati dal calore del suo abbraccio, anche se qualcuno fra il pubblico sembra domandarsi se si trova per caso a una riunione religiosa revivalista, anziché a una tavola rotonda sul tema del benessere. «Ho qui delle domande», dice Naomi, cambiando bruscamente tono e sistemandosi gli occhiali da lettura per passare al punto successivo. Si riferisce a una lista di domande che ha preparato per la discussione nella tavola rotonda, con l'intenzione di animare la conversazione prima di aprire il dibattito generale con il pubblico. «Ma prima di tutto, qualcuno ha visto il numero di Time che è uscito qualche settimana fa?» Naomi solleva per un attimo la rivista in modo che tutti possano vederla, con la foto di copertina che ritrae una creatura moderna dall'aspetto angelico, accompagnata dalle parole: «Credere per guarire: è possibile che la spiritualità promuova la salute fisica?» stampate in basso. Ho letto l'articolo, che me ne ha ricordato uno simile apparso nel 1988 su Newsweek, con un'intervista in cui si chiedeva ai miei colleghi e a me quali fossero le possibili implicazioni spirituali delle ultime ricerche di psiconeuroimmunologia. Mentre ora sono lieta di vedere che il tema viene affrontato a livello nazionale, allora ero rimasta inorridita nel vedere una parola compromettente come «anima» accostata così da vicino ai miei commenti sulla scienza e sulla medicina.

400

Page 401: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«Sono rimasta sbalordita accorgendomi che in tutto l'articolo non si faceva un solo accenno al più grande guaritore con la fede di tutti i tempi, Gesù Cristo», sta dicendo Naomi. «Quindi la prima domanda che vorrei rivolgere agli esperti è la seguente: per quale motivo si trascura talvolta l'aspetto spirituale della guarigione nel movimento per la salute dell'unità mente-corpo?» Elaine, che ha la possibilità di rispondere per prima, va subito al nocciolo della domanda di Naomi. «Nell'ambito delle terapie mente-corpo parliamo di rado della spiritualità perché è troppo difficile da definire e ancora più difficile da studiare. Inoltre l'opinione pubblica identifica la spiritualità con la religione, che spesso rappresenta un elemento di divisione e suscita forti contrasti. Viceversa, io credo che la spiritualità consista in un approfondimento della ricerca di un significato nella nostra vita, e ci unisca in una comunità di intenti... in qualunque modo ciascuno di noi riesca a trovarla. Sono convinta che la spiritualità stia per riaffacciarsi di prepotenza nella nostra cultura, perché sappiamo tutti che, senza attingere a questa forza e comunione interiore, non potremo sopravvivere su questo pianeta.» Subito dopo tocca a David Lee: «Negli ultimi dieci anni si è registrato un cambiamento nella psicoterapia, e i terapeuti hanno cominciato a capire che la psicologia non è abbastanza, che l'esperienza umana è molto più vasta. E stato un processo lento, ma pian piano stiamo integrando la spiritualità nella pratica della psicologia». Fa una pausa, e ne approfitto per intervenire a mia volta. «La mia impressione è che non esiste una ragione scientifica per lasciare la spiritualità fuori della medicina. E un'abitudine che la nostra cultura ha assunto da quando il filosofo del Seicento René Descartes dichiarò che il corpo e l'anima sono due entità distinte e separate, senza alcun rapporto fra loro. Ma la verità è che, grazie alle ricerche scientifiche condotte in questo scorcio finale del ventesimo secolo, ho compreso che anima, mente ed emozioni svolgono un ruolo importante nella salute fisica. Ciò che occorre è una scienza biomedica più vasta, che possa reintegrare quello che ci è stato sottratto trecento anni fa.»

401

Page 402: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Naomi è raggiante, il pubblico applaude. Sono soddisfatta di me stessa per aver utilizzato la mia posizione di esponente della comunità medica ufficiale per promuovere il progresso del movimento corpo/mente, ma proprio in quel momento sento Naomi divulgare un aspetto che appartiene a una storia personale, della mia storia. «Candace è una scienziata che svolge ricerca di base e canta nel coro della chiesa», annuncia. « Vuoi spiegare a tutti noi come mai?» Mi sento un pò a disagio nel vedere all'improvviso aspetti della mia vita intima messi in piazza davanti al pubblico, ma cerco di fare del mio meglio per rispondere. «Sì, ho fatto parte per anni del coro della Chiesa metodista, alla quale ho aderito quando ho raggiunto una fase del mio itinerario personale in cui non riuscivo a perdonare una persona che mi aveva tradito nel profondo dell'anima. E stata la musica della liturgia cristiana ad attirarmi in chiesa, e da allora ho cominciato a frequentare le funzioni e a cantare nel coro. Ascoltavo sermoni sugli insegnamenti di Cristo, che non avevo mai sentito prima di allora, e mi ha colpito in particolare il messaggio che invitava al perdono. Ho cominciato a liberarmi del mio fardello di rancore, e ho cercato altri generi di approccio che mi consentissero di guarire: meditazione, lavoro sui sogni, terapia del massaggio, per arrivare a sanare la mia esperienza passata. Il perdono è un concetto essenziale della dottrina cristiana, ma è anche un concetto chiave della concezione corpo/mente.» Sono proprio io che parlo così? Una piccola parte della mia mente è sorpresa, ma trova giusto integrare la vita personale con la scienza, anche in pubblico. Brian segue il mio esempio. «Penso che la realtà di cui stiamo parlando qui sia l'amore. Tutti i guaritori, gli sciamani, i maestri di saggezza, dicono di attingere a una fonte superiore di energia che chiamano amore, e affermano di dividere questo amore con tutti coloro che riescono a guarire. Il messaggio di Gesù era un messaggio di amore e compassione, entrambi sentimenti che derivano dal perdono. E sono d'accordo con Candace ed Elaine sul fatto che questi elementi devono essere compresi nel quadro della medicina occidentale. Vedo in atto un movimento spontaneo, sempre più vasto, che mira a riportare la spiritualità nel processo di guarigione. Questo si riflette nell'enorme aumento di persone che adottano terapie alternative,

402

Page 403: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

molte delle quali riguardano problemi spirituali, oltre che fisici ed emotivi. La gente dice basta! Siamo stanchi di sentirci ripetere che il corpo è una macchina, e vogliamo tornare all'equazione originaria.» «Brian », interviene Naomi, «ho letto nel tuo libro che l'ottanta per cento dei malesseri e delle malattie è causato dallo stress, e ho già sentito dire da altri che lo stress è una condizione che deriva dall'isolamento spirituale. Che cosa puoi dirci in proposito? Siamo davvero separati da Dio e dalla nostra anima per colpa della moderna tecnologia e del materialismo?» «Sì, Naomi, sono convinto che lo stress consista nell'interruzione dei contatti con la nostra sorgente divina o, per essere più esatti, nella sensazione di esserne separati, perché la verità è che siamo sempre connessi. A volte, però, lo dimentichiamo e non ci sentiamo collegati alla nostra sorgente. Uno dei motivi è che siamo isolati dal contatto con la natura. Penso che il massimo di contatto con la natura al quale arrivano certe persone sono le trasmissioni di Discovery Channel!» «Indubbiamente siamo esseri spirituali in un corpo materiale, e non viceversa», commenta Naomi, con un accento country western che stona leggermente con il tono New Age del suo intervento. «E ora un' altra domanda: come possiamo comunicare nel modo migliore per guarire a livello mente-corpo?» E David a cogliere la palla al balzo. «L'approccio al quale sono stato formato, vale a dire la classica terapia della parola, mi sembra poco incisivo a livello mente-corpo. Spesso sentiamo dire dai pazienti: 'So che non dovrei provare questi sentimenti, eppure li provo!' Una nozione razionale non sempre si riflette sul piano delle emozioni, e possiamo vederci costretti a superare la forma di comunicazione puramente verbale per accedere alle emozioni. Alcuni generi di approccio che trovo efficaci per arrivare a livelli più profondi e fondamentali sono il racconto, la terapia dell'ipnosi, la programmazione neurolinguistica e una qualsiasi delle terapie espressive che utilizzano visualizzazione, musica e arte. In passato, queste venivano considerate terapie alternative, ma ora preferiamo considerarle terapie complementari. Fra breve credo che le definiremo integrali, per indicare che sono del tutto integrate nella medicina ufficiale.»

403

Page 404: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Naomi si rivolge a Elaine Sullivan per chiederle: «Elaine, in che modo guaritori e terapeuti possono utilizzare questa nuova ricerca mente-corpo?» «Bene, una tecnica che suggerisco spesso ai miei clienti è tenere un diario, perché li aiuta a dare una struttura letterale al loro mondo interiore. Scrivere ci aiuta a prendere coscienza dei nostri schemi, in modo che possiamo modificarli, se necessario. Alcune ricerche hanno dimostrato che, quando le vittime di un trauma scrivono delle loro esperienze, si riscontrano in loro delle modificazioni fisiologiche, come per esempio un aumento del flusso sanguigno e un potenziamento del sistema immunitario, che possono prolungarsi fino a sei mesi. Inoltre raccomando la meditazione. Quando ho sentito dire dal dottor Larry Dossey che mezz'ora di meditazione serviva ad alleviare lo stress quanto mezz'ora di jogging, ho provato un gran sollievo, perché non sono una patita dello jogging.» Non riesco più a trattenermi e intervengo. «Sono senz'altro d'accordo con Elaine e David, ma un elemento che a mio parere stiamo trascurando nella discussione delle applicazioni pratiche per la salute dell'unità mente-corpo è il lavoro sul corpo: le terapie che comportano un contatto fisico, come il massaggio, la chiropratica e ogni altra tecnica che comprenda il corpo come mezzo per risanare la mente e le emozioni. E vero che alcuni ricordi vengono immagazzinati nel cervello, ma i messaggi di gran lunga più antichi e profondi sono quelli depositati nel corpo, ed è attraverso il corpo che bisogna raggiungerli. il corpo è il subconscio, e non è possibile guarirlo soltanto con la parola.» Segue una pausa di riflessione, poi Naomi lancia una battuta per sdrammatizzare: «Ho visto parecchi ascoltatori restare a bocca aperta, nel sentire questo parere!» «Ma è vero », commenta Brian, che poi aggiunge in tono poetico: «il corpo diventa il campo di battaglia per i giochi di guerra della mente. Tutti i pensieri e le emozioni rimasti in sospeso, le esperienze negative alle quali restiamo aggrappati, traspaiono dal corpo e ci fanno ammalare. Perdonare significa schiudere il cuore e imparare ad amare, che,è il motivo per cui penso che siamo tutti qui su questo pianeta. E tanto semplice, eppure è una lezione così difficile da apprendere ».

404

Page 405: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«Proprio così», dice Naomi, «e io l'ho scoperto grazie a una terapia che ho adottato e che si chiama analisi della rete spinale. E stata ideata circa quindici anni fa a New York, da un medico che si chiama Donald Epstein. Funziona utilizzando delle manipolazioni molto delicate per eliminare le interferenze del sistema nervoso. Come voi tutti sapete, soffro di una malattia cronica, mentre Wynonna ha l'ernia del disco e Ashley la sinusite, e per tutti questi malanni ricorriamo al network.» Poi Naomi si rivolge al gruppo di esperti per leggere un'altra domanda. « Vorrei pregarvi di spiegare l'energia sottile e l'anatomia sottile, compreso l'aspetto del campo di energia degli esseri umani, o aura, dei chakra e dei meridiani. Come si concilia tutto questo con la formula terapeutica mente-corpo?» Brian risponde con prontezza: «lo credo che l'energia sottile sia una specie di forza vitale universale che fluisce attraverso di noi dal divino. Stando alla dottrina orientale, tutti hanno un'aura, un campo di questa energia che circonda il corpo fisico e nello stesso tempo scorre attraverso di esso, seguendo delle linee che i cinesi chiamano meridiani o irradiandosi dai sette centri corporei che i praticanti dello yoga definiscono chakra. Persino la cultura occidentale ne ha un equivalente, nel cristianesimo, sotto forma di aureola che circonda la sommità del capo, come si vede spesso nella rappresentazione di santi e angeli nell'arte medievale. Ma non c'è bisogno di essere santi, angeli o yogi per avvertire questa energia sottile. E in ciascuno di noi e può agire come una forza risanatrice ». Certo, penso io, ma senza dubbio la Chiesa ha fatto proprio questo simbolo nel corso dei secoli, trasformandolo in una prerogativa esclusiva degli uomini santi e degli esseri divini. «C'è un libro splendido di Richard Gerber, intitolato Vibrational Medicine (Medicina vibrazionale), che descrive varie modalità di energia risanatrice nel complesso mente-corpo, dal tocco terapeutico al massaggio, alla visualizzazione mentale e all'energia sottile», conclude Brian. «Candace?» mi sollecita la voce di Naomi. «Durante questa discussione sei stata estremamente silenziosa. Qual è il parere degli scienziati su tutto questo problema dell'energia sottile"?»

405

Page 406: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

«Come sai, Naomi», comincio, «ho dedicato gran parte della mia vita professionale al tentativo di integrare queste concezioni orientali con la scienza. C'è una cosa che posso dirvi senza tema di smentite, ed è che nei libri di testo non troverete il minimo accenno ai chakra. Per me il concetto essenziale è che le emozioni esistono nel corpo sotto forma di sostanze chimiche informazionali, ossia neuropeptidi e recettori, ed esistono anche in un altro regno, quello che sperimentiamo sotto forma di sensazioni, ispirazione, amore, e che trascende il mondo fisico. Le emozioni si spostano dall'uno all'altro, scorrendo liberamente in entrambi e, in questo senso, collegano il mondo fisico con quello non fisico. Forse è l'equivalente di quella che i terapeuti orientali chiamano energia sottile, o prana, la circolazione di informazioni emozionali e spirituali nel complesso corpo/mente. Sappiamo che il modo in cui la salute si ristabilisce nel corpo fisico ha a che fare con il flusso delle sostanze biochimiche delle emozioni. La ricerca scientifica mi ha insegnato che le emozioni hanno una realtà fisica.» «E come», osserva Naomi, rivolgendosi al pubblico con il solito tono pratico e familiare. «lo l'ho sempre saputo, e così pure la maggior parte di voi. Prima di diventare una stella della musica country western, sono stata infermiera, e riuscivo sempre a prevedere quali pazienti sarebbero migliorati e quali no, dal modo in cui ridevano delle mie battute stantie! Ma ora voglio mostrare a tutti voi un esempio dell'unità corpo/mente, e per farlo ho bisogno di un volontario fra i presenti... Una persona che possa scegliere io», aggiunge con malizia, e la sua scelta cade su un giovanotto in prima fila. Lui appare confuso, quando Naomi gli fa segno di salire sul palco che ospita la tavola rotonda di esperti. «Bene! Comincia già a dimenarsi per l'imbarazzo!» osserva lei in tono scherzoso. «Ora le farò una domanda: quante persone ci vogliono per cambiare il rotolo della carta igienica?» Il giovanotto, rimasto a corto di parole, sorride goffamente, abbassando gli occhi per guardarsi le scarpe. «Non lo so», esclama Naomi dopo una breve pausa. «Non ci ho mai fatto caso!» Il pubblico scoppia in una risata fragorosa, ma Naomi lo interrompe per sottolineare quello che le interessa:«Ora guardate come arrossisce, voglio che lo vediate tutti. E rosso come un pomodoro! » Gli cinge le spalle

406

Page 407: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

con un braccio e lo abbraccia con affetto, ringraziandolo mentre lo rimanda al suo posto. «Candace, è bastata una sola battuta per riassumere il lavoro di tutta la tua vita. Alla mente di quel giovanotto si è affacciato un pensiero, che si è tradotto all'istante in una realtà fisica: è arrossito per l'imbarazzo. Ebbene, ecco i tuoi neuropeptidi all'opera, sotto gli occhi di tutti.» In effetti è proprio quello che Naomi ha fatto, traducendo le mie ricerche in una realtà così semplice e lampante che tutti hanno potuto afferrarla. Le sono grata per questa dimostrazione condotta con sfacciata franchezza, per la sua capacità di esprimere in parole semplici, di tutti i giorni, realtà delle quali io so parlare soltanto in termini medici e filosofici. Continua: «Il fatto è che lo sapevamo fin dall'inizio, ma avevamo bisogno delle ricerche scientifiche per averne la conferma. Ed è per questo che ti sono tanto riconoscente, Candace». Ora tocca a me arrossire, con gli occhi di tutti i presenti puntati addosso. D'altronde è proprio questo il ruolo che sono riuscita a svolgere negli ultimi anni, affermare che molti approcci medici alternativi hanno una validità pari a quella della medicina ufficiale,e sono grata dell'opportunità che mi è stata offerta per ribadirlo. Ringraziando Naomi, mi rivolgo al pubblico. «E risaputo che gli approcci terapeutici che incorporano elementi emotivi e spirituali sono in auge da anni, sotto varie forme, eppure la medicina ufficiale li ha trattati come figliastri poveri, relegandoli nel limbo della medicina alternativa. L'argomento che si tratta di metodi non sperimentati, quindi da non prendere sul serio, non è valido. Anche la medicina ufficiale in gran parte non è sorretta da alcuna prova sperimentale, eppure l'adottiamo comunque. Purtroppo le terapie alternative, quelle che adottano metodi orientati verso il complesso mente-corpo e tecniche spirituali, vengono giudicate in base a standard più severi di quelli che si applicano alla medicina ufficiale. Inoltre, il solo fatto che non riusciamo a capire il meccanismo di una particolare tecnica non dovrebbe impedirne l'uso. Da migliaia di anni a questa parte sappiamo che, in caso di malattia, si ha bisogno di riposo a letto e di calore, eppure questo consiglio non è stato mai approfondito o pubblicato su una rivista medica. Ogni tanto si sottopone a verifica una perla di saggezza popolare, con il risultato che la vediamo confermata: ora

407

Page 408: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sappiamo, per esempio, che il brodo di pollo ha realmente degli effetti terapeutici sul raffreddore comune. In sostanza, credo che il mio parere si possa riassumere così: imparate ad avere fiducia in voi stessi.» Naomi comincia a tirare le fila della discussione. «Vorrei che gli esperti qui riuniti discutessero quest'ultima domanda prima che io consegni il microfono in sala per accogliere le domande degli spettatori», annuncia. «In che modo si possono conciliare la religione e i procedimenti terapeutici come yoga, meditazione, biofeedback e aromaterapia? lo stessa sono praticante della Chiesa carismatica pentecostale, insomma la tipica ragazza americana della porta accanto, tutta stelle e strisce e torta di mele, e mi sento chiedere in continuazione: «Naomi, come mai fai parte del consiglio dei consulenti dell'istituto di Deepak Chopra e poi partecipi ai talk-show delle radio cristiane? Come fai ad andare in chiesa e poi, una volta tornata a casa, meditare o praticare esercizi yoga?» Elaine, tu sei stata suora, quindi vorrei girare questo interrogativo a te.» «Sì, Naomi, hai proprio ragione », esordisce Elaine. «C'è molta confusione, in giro, e secondo me deriva da paure e malintesi. Tutto risale alla scissione fra mente e corpo, che, come ha sottolineato Candace, è una divisione arbitraria, insostenibile, e la moderna ricerca scientifica lo ha dimostrato una volta per tutte. Abbiamo imparato a diffidare del nostro corpo e delle nostre sensazioni per riporre fiducia in autorità esterne, anziché nella nostra forza interiore. Io trovo che la meditazione non contraddice affatto la fede, perché esistono molte vie per raggiungere lo spirito.» La discussione che segue è animata e pertinente all'argomento. Naomi aveva ragione, la gente è impaziente di esplorare il ruolo della spiritualità nella guarigione, persino qui nel Midwest, dove avrei giurato che lo considerassero un argomento troppo controverso, troppo stravagante, troppo californiano. La discussione della tavola rotonda è stata un'esperienza incredibile, che mi ha offerto la possibilità di sintetizzare tutte le mie opinioni sullo spirito, sulle emozioni e sulla scienza, lasciandomi una comprensione profonda della trasformazione che è intervenuta in me. L'aspetto più sorprendente è che il catalizzatore di tutto questo sia stata la mia nuova amica, Naomi Judd, che non è una scienziata, e neppure una mistica, ma la tipica beniamina dell'America conformista, una cantante di country western dal

408

Page 409: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

temperamento esuberante! Conoscere Naomi mi ha fatto provare un senso di profonda connessione e unità che è indiscutibilmente spirituale. Il suo messaggio semplice, che parla di guarire grazie allo spirito, racchiude tutta la mia scienza, rendendola comprensibile per tutti.

Lo Spirito Santo

Il giorno seguente, prima dell'alba, prendo un aereo a elica in partenza da Milwaukee per tornare a Washington. Mentre il piccolo velivolo sale pian piano nel cielo rosa e viola, guardo dal minuscolo finestrino Venere, la stella del mattino, che impallidisce pian piano, offuscata dalla luce del giorno. D'improvviso, il disco rotondo del sole appare all'orizzonte e i colori sbiadiscono, trasformando il cielo in un lago di un tenero azzurro. Non so smettere di pensare al modo brillante - e semplice - in cui Naomi ha illustrato il principio della mente che diventa materia, precede la materia, organizza la materia, individuando fra il pubblico il giovanotto giusto e insinuandogli nella mente un pensiero che lo ha fatto arrossire. Pensieri ed emozioni sono arrivati per primi, mentre i peptidi sono venuti dopo, facendo dilatare i vasi sanguigni del viso. Come avevano ben compreso i saggi indiani di Deepak, l'origine è la non-materia, il «niente» da cui scaturisce il fenomeno materiale. Per la mentalità occidentale si tratta di un cambiamento fondamentale, che però la scienza può aiutarci a comprendere. In origine, noi scienziati eravamo convinti che il flusso dei neuropeptidi e dei recettori fosse controllato dai centri cerebrali: lobo frontale, ipotalamo, amigdala. Questo schema si addiceva al nostro modello riduzionista, confermando la concezione che pensieri e sensazioni fossero prodotti dell'attività neuronale, e che il cervello fosse il motore primo, la sede della coscienza. Poi, per effetto del lavoro mio e altrui in laboratorio, abbiamo scoperto che il flusso delle sostanze chimiche derivava da molti siti posti contemporaneamente in vari sistemi - immunitario, nervoso, endocrino e

409

Page 410: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

gastrointestinale - e questi siti formavano dei punti nodali in una vasta autostrada per lo scambio interno di informazioni che si svolge a livello molecolare. Poi abbiamo dovuto prendere in considerazione un sistema in cui l'intelligenza fosse diffusa dappertutto, anziché un meccanismo unidirezionale, rigorosamente conforme alle leggi di causa ed effetto, come si riteneva in precedenza, quando eravamo convinti che fosse il cervello a dominare tutto. Ma allora, se il flusso delle molecole non è orientato dal cervello, che è semplicemente uno dei tanti punti nodali della rete, dobbiamo chiederci da dove viene l'intelligenza, l'insieme delle informazioni che governa il complesso corpo/mente. Sappiamo che le informazioni hanno una capacità infinita di espansione e di accrescimento, e trascendono il tempo e lo spazio, la materia e l'energia. Quindi non possono appartenere al mondo materiale che si percepisce con i sensi, ma devono appartenere a un regno tutto loro, che possiamo sperimentare sotto forma di emozioni, di mente, di spirito... come un inforegno! Personalmente, questo è il termine che preferisco, perché ha un tocco scientifico, ma altri si riferiscono alla stessa realtà definendola campo di intelligenza, intelligenza innata, saggezza del corpo. Altri ancora la chiamano Dio. Benché sia un concetto semplice, è difficile da comprendere per la mentalità occidentale, ma ricordo una persona che riuscì ad afferrarlo all'istante, un cameraman che lavorava sul set della trasmissione televisiva della PBS Healing and the Mind. Quando cercai laboriosamente di spiegare in che modo l'intelligenza innata, prodotta da energie sottili legate al flusso di sostanze biochimiche, convergesse tutta nell'«inforegno», questa conclusione risultò sconcertante per Bill, ma non per il cameraman. Alla fine della registrazione, mentre tutti cominciavano a congedarsi, quell'uomo gentile dalla voce pacata mi si avvicinò per dirmi, quasi sussurrando all'orecchio: «Stava parlando dello Spirito Santo, non è vero?» Provando un certo imbarazzo, dovetti ammettere che, sì, forse era proprio così. I riduzionisti potranno sempre obiettare che le molecole vengono per prime, e costituiscono la forza primaria, mentre pensieri ed emozioni rappresentano una specie di manifestazione secondaria delle molecole

410

Page 411: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

stesse; e ne hanno valide prove. Non è forse il flusso dei peptidi a modificare la risposta fisiologica, che a sua volta crea le sensazioni da noi sperimentate? L'emissione chimica di endorfine non causa forse la sensazione di sollievo dal dolore, o la cosiddetta ebbrezza del maratoneta? Io non lo nego, ma quello che intendo dire è che dobbiamo riconoscere che ad agire è un sistema biunivoco di comunicazione. Sì, l'emissione di endorfine può causare sollievo dal dolore ed euforia, ma accade anche l'inverso: possiamo causare un'emissione di endorfine modificando la nostra condizione mentale, come ho sperimentato in modo così vivido lavorando con Evelyn Silvers. Mi piace considerare i fenomeni mentali alla stregua di messaggeri che trasportano informazioni e intelligenza dal mondo non fisico al corpo, dove si manifestano attraverso il substrato fisico, i neuropeptidi e i loro recettori.

A casa

Sono felice di tornare nel mio studio, alla facoltà di medicina dell'università di Georgetown, dove Michael e io siamo ricercatori, e dove possiamo proseguire le ricerche sul peptide T e i suoi effetti sul gP120 e il virus dell'AIDS. Georgetown, fondata dai gesuiti nel Settecento, è un luogo pervaso di spiritualità e di tradizione ereditata dagli avi, e qui mi sento a mio agio perché è un ambiente che riflette la mia concezione attuale del rapporto corpo/mente: è l'ambiente della medicina ufficiale, decisamente, ma con una dimensione spirituale in più. Ho parlato con padre Sweeney riguardo all'opportunità di introdurre approcci olistici nell'ospedale universitario, inquadrando la realtà mente/corpo/spirito nel contesto medico e differenziando l'ospedale di Georgetown dagli altri con uno slogan adatto: «Al primo posto c'è la persona intera!» Questo potrebbe essere un fattore importante per risollevare le traballanti finanze dell'ospedale, che risente dei problemi legati all'attuale situazione sanitaria. Cerco di far capire a padre Sweeney che oggigiorno gli

411

Page 412: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

ospedali devono essere competitivi e per battere la concorrenza devono offrire qualcosa di esclusivo: holistic, whole, healthy, holy, ossia «olistico, integrale, sano e sacro», tutte parole che in inglese derivano dalla stessa radice, il sassone hal, e hanno un significato affine. I gesuiti sono un ordine religioso, quindi è naturale che facciano parte del movimento olistico. Il punto di vista spirituale, mi spiega padre Sweeney, confermando la mia impressione sull'aspetto religioso dell'olismo, è quello che tiene presente l'unità del tutto, che ci consente di vivere l'esperienza dell'unione con tutti gli altri esseri umani e con Dio. A livello scientifico, posso comprendere questa visione. Sì, abbiamo una rete biochimica psicosomatica che è diretta dall'intelligenza, un'intelligenza che non conosce limiti e non è una prerogativa di un singolo individuo, bensì è condivisa da noi tutti nell'ambito di una rete più grande, il macrocosmo in rapporto al nostro microcosmo, la «grande rete psicosomatica del cielo». E in questa rete più vasta che abbraccia tutta l'umanità, tutta la vita, ciascuno di noi rappresenta un singolo punto nodale, un accesso a un'intelligenza più vasta. E questa connessione comune che ci consente di cogliere il senso più profondo della spiritualità, facendoci sentire collegati, connessi in un tutto unico. Come in cielo, così in terra. Pensare altrimenti significa soffrire, patire le tensioni della separazione dalla nostra origine, dalla nostra vera unione. E cos'è che scorre fra tutti noi, collegandoci e comunicando, coordinando e integrando i vari punti? Le emozioni! Sono queste che ci uniscono, scorrendo da un individuo all'altro, passando dall'uno all'altro sotto forma di empatia, compassione, pena e gioia. Sono convinta che i recettori delle nostre cellule vibrano persino nel rispondere al tocco extracorporeo del peptide, con un fenomeno analogo alla risposta delle corde di un violino quando vengono suonate le corde di un altro violino. Questo fenomeno viene definito risonanza emotiva, ed è scientificamente accertato che possiamo sentire quello che altri sentono. L'unità di tutta la vita si basa su questa semplice realtà: le nostre molecole delle emozioni vibrano tutte insieme. È questo lo stadio che ho raggiunto nella mia vita personale: accettazione del ruolo che interpreto nella trama più vasta, e consapevolezza del fatto che nel campo scientifico lavoriamo tutti insieme per scoprire la verità. Ora sta venendo alla luce il fatto che il peptide T non soltanto rientra fra i rimedi

412

Page 413: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

più recenti per la cura dell'AIDS,ma potrebbe rivelarsi un farmaco antivirale ad ampio spettro, destinato a ottenere risultati notevoli anche in molte altre malattie croniche. Questa nuova applicazione si fonda sulla scoperta che il virus agisce, oltre che sul recettore T4, anche su un altro, un «corecettore» chiamato recettore della chemochina; e questa è una scoperta fatta proprio dai ricercatori che credevo decisi a impedirmi la messa a punto del peptide T come cura per l'AIDS. Ora mi accolgono in seno alloro gruppo come il figliol prodigo della parabola, e io sento le forze della sinergia e della cooperazione al lavoro nell'universo. Con queste riflessioni mi rilasso, nell'ambiente familiare e confortevole del mio studio, ancora piccolo, ma non minuscolo come il cubicolo che mi era stato assegnato appena arrivata al Palazzo, quello dove Biff Bunney venne a consolarmi in un'ora molto più oscura. È un locale accogliente, decorato con il mio motivo preferito, l'arcobaleno, e con una parete tutta coperta di fotografie e di souvenir delle persone che ho conosciuto nel corso degli anni. Una grande bacheca accoglie quello che ho soprannominato «il montaggio delle celebrità», dove ho messo insieme le foto in cui compaio a fianco di vari personaggi pubblici. Una di esse mi ritrae insieme al papa, che mi ha concesso un'udienza nel 1985, quando ho partecipato a un congresso a Roma.Il papa! Che strano: io lavoro qui a Georgetown, per portare alla luce il nuovo paradigma e integrarlo col vecchio, e il papa mi guarda dalla parete, stavolta alleandosi con me, e non con Cartesio! Tutt'a un tratto mi ricordo che ho una nuova foto, scattata a Stevens Point, dove sono ritratta insieme a Naomi, e la tiro fuori dalla ventiquattrore per disporla nella mia piccola galleria personale, accanto al Santo Padre. Mentre ammiro la nuova aggiunta alla collezione, l'occhio mi cade sul tappeto multicolore appeso alla parete vicina. Il mio tappeto magico, l'ho soprannominato, perché il disegno ha un carattere mistico: il sole che sorge, circondato da girasoli gialli e grandi uccelli neri. Ma il suo vero significato è legato al fatto che mi è apparso per la prima volta in sogno, la notte prima che partissi per un convegno sponsorizzato dall'università Brigham Young, «La psicobiologia della salute e del benessere», una conferenza sul tema «Guarigione e salute», organizzato nel 1995 a Provo, nello Utah. Sognai che ero in partenza per un luogo molto importante, forse per tenere una

413

Page 414: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

relazione, quando all'improvviso mi accorgevo di essere completamente nuda. Mi sentivo molto spaventata e avvilita,come se fossi stata abbandonata nel deserto senza alcuna protezione, quando, come per magia, un tappeto appariva dal nulla per ricoprirmi. Mi sentivo subito meglio, riacquistando la fiducia in me stessa e la sensazione di avere uno scopo, mentre riprendevo il viaggio con il mio nuovo mantello. Al risveglio non riuscii a raccapezzarmi nel sogno, anche se lo annotai comunque. Il giorno dopo ero a Provo, dove tenni la solita relazione a un gruppo che organizzava già da dodici anni dei convegni sulle terapie mente-corpo, riunendo un assortimento di relatori dai precedenti eterogenei, che andavano dalla spiritualità alla psicologia. Sul palco degli oratori mi raggiunse Bob Ader, già divenuto celebre come fondatore della psiconeuroimmunologia, visto che noi due rappresentavamo il primo tentativo degli organizzatori di inserire nel programma qualche esponente della scienza vera e propria. Il pubblico, composto in gran parte di mormoni, era serissimo, e anche se ridevano appena alle mie numerose battute, quegli ascoltatori dall'aria così sana e austera, discendenti dei fondatori della Chiesa dei Santi dell'Ultimo Giorno, mi piacevano molto. Pur sapendo ben poco della loro religione, mi rendevo conto che erano dei sopravvissuti, provenienti da un ceppo di rudi pionieri la cui esistenza era guidata dallo spirito, e per questo li ammiravo. Alla fine della seduta, tutti i relatori compirono insieme una splendida passeggiata fra le montagne circostanti, guidati da un gruppo di anziani, e mi fu offerta la possibilità di entrare in contatto con qualcuno di loro. La mia relazione aveva sollevato un certo scalpore, a quanto pare, e non solo per le considerazioni scientifiche esposte, ma anche perché avevo parlato del ruolo delle emozioni, della mente e dello spirito nella salute fisica, e di come fossi riuscita ad armonizzare questi elementi nella mia vita personale. Era stato questo ad affascinarli,mi spiegarono, l'idea di una persona che veniva trasformata dal suo lavoro, che aveva raggiunto una meta spirituale grazie alla ricerca della verità scientifica. Li ringraziai di quelle parole così lusinghiere, e in seguito, quella sera nella mia stanza, pensai a quanto fosse valida quella considerazione. La mattina dopo, mi accompagnò all'aeroporto uno dei giovani mormoni. Dopo che avevo registrato i bagagli al check-in, mentre ci stavamo salutando, lui

414

Page 415: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

mi consegnò un grosso pacchetto, spiegandomi in tono timido che gli sponsor del congresso avevano voluto offrirmi un omaggio in segno del loro apprezzamento. Aprii subito il pacco, e sentii letteralmente un brivido scorrermi lungo la spina dorsale, riconoscendo il tappeto che avevo visto in sogno qualche notte prima. Era il mio nuovo mantello, il simbolo della mia trasformazione spirituale grazie alla ricerca della verità scientifica, e i mormoni lo avevano compreso subito, chissà come. Tornando da Provo, portai il tappeto nel nuovo studio di Georgetown, con l'intenzione di ravvivare la stanza vuota con qualche tocco personale. Rimase per qualche tempo sul pavimento, finché un giorno decisi di appenderlo alla parete, in modo da poterlo vedere bene. Ora serve a ricordarmi ogni giorno qual è lo scopo della mia presenza qui a Georgetown, simbolo del ruolo che aspiro a ricoprire come scienziata in cerca della verità e come catalizzatore nella rivoluzione mente/corpo/spirito che è in atto nella scienza medica moderna. E un onore e un dono che non dimenticherò mai.

La scienza come ricerca della verità

Per me, la scienza è una ricerca che si propone di comprendere la natura, tanto umana quanto naturale. Così come l'ho conosciuta, nella sua forma più pura e nobile, la scienza è la ricerca della verità. E stata questa convinzione che mi ha attirato verso la scienza e, malgrado tutta la mia ingenuità e tutte le false svolte che ho imboccato, mi ha sempre spronato a proseguire. TI cuore della scienza è femminile. In sostanza,la scienza ha ben poco a che vedere con la competizione, il controllo, la divisione, tutte caratteristiche ormai associate alla ricerca scientifica nella sua forma dominata dalla presenza maschile, quella propria del ventesimo secolo. La scienza che io ho finito per conoscere e amare è unificante, spontanea, intuitiva, sollecita... un processo più affine alla resa che al predominio. Sono arrivata a convincermi che la scienza, nella sua essenza più profonda, è un' attività spirituale. Alcune delle mie intuizioni migliori mi sono balenate

415

Page 416: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

alla mente attraverso un processo che non posso fare a meno di definire mistico. E come se Dio vi bisbigliasse all'orecchio, come in effetti mi è successo a Maui, quando mi sono alzata in piedi con una diapositiva che mostrava il recettore dell'HIV nel cervello e ho suggerito una nuova terapia per l'AIDS, sentendo subito dopo una voce interiore dirmi: «E tuo dovere farlo!» È di questa voce interiore che noi scienziati dovremmo imparare a fidarci. Dobbiamo smetterla di adorare una «verità» oggettiva e aspettare che gli esperti ci conducano a questa verità. Esiste un'intelligenza superiore, che arriva fino a noi attraverso le nostre stesse molecole e scaturisce dalla partecipazione a un sistema ben più ampio del piccolo mondo circoscritto che chiamiamo «io», il mondo che riceviamo solo attraverso i cinque sensi. La nuova comprensione derivata dalla fisica quantistica e dalla teoria dell'informazione ci induce ad abbandonare la teoria del genio freddo, distaccato, solitario, depositario unico delle risposte che altri cercano, come se la verità si potesse possedere, per avviarci a un modello più collegiale di acquisizione della conoscenza. Il mondo razionale, maschile, materialistico, nel quale viviamo attribuisce un valore eccessivo alla competizione e all'aggressività. La scienza nella sua accezione migliore è una ricerca della verità che abbraccia i valori della cooperazione e della comunicazione, basati sulla fiducia, in noi stessi e negli altri.

416

Page 417: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

EpilogoPeptide T: la storia continua

Michael e io lo abbiamo soprannominato «tempo da peptide T»: tempeste di ghiaccio, ondate di caldo tropicale, uragani che ci sfiorano o c'investono con violenza, provocando blackout elettrici e chiusura di strade. Ogni volta che le nostre ricerche raggiungono una svolta cruciale, si direbbe che debbano scatenarsi aberrazioni meteorologiche. Del resto l'arcobaleno si presenta ogni volta, come un araldo mistico, ad annunciare i momenti decisivi nelle avventure del peptide T: Maui, Puerto Rico, Provincetown. Quindi non è una sorpresa, per noi, restare coinvolti dalla peggiore alluvione del secolo mentre siamo diretti a Baltimora, nel settembre del 1996, per partecipare al convegno annuale sull'AIDS organizzato dal dottor Robert Gallo. Il fiume Potomac è straripato per effetto delle piogge di ben due uragani, Fran e Hortense, che rendono praticamente impossibile viaggiare sull'autostrada. Com'era prevedibile, siamo in ritardo per il quinto giorno del convegno, della durata di una settimana, in cui sono state presentate nuove e promettenti ricerche sull'AIDS, studi che speriamo possano un giorno convalidare le nostre rivendicazioni riguardo al peptide T. Fradici, ma col morale alto, raggiungiamo l'albergo nel centro di Baltimora. Un avviso nella hall ci indica la direzione giusta per il convegno che siamo venuti a seguire: «Nuovi concetti nell'immunopatogenesi dell'AIDS». Ci affrettiamo per unirci ai colleghi, nella speranza di sapere qualcosa di più su un recente sviluppo di cui si è data notizia per la prima volta qualche mese fa, sul New York Times, scatenando un autentico fermento nella conferenza internazionale di mezza estate sull'AIDS, organizzata a Vancouver. La grande novità è che i ricercatori del fronte ufficiale anti-AIDS hanno distolto l'attenzione dal virus HIV in sé, per concentrarla sulle cellule che il virus attacca, e in particolare su una certa proteina che tappezza la

417

Page 418: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

superficie della maggior parte delle cellule immunitarie. E in questa proteina, un recettore dei peptidi, che è stato individuato un nuovo meccanismo grazie al quale il virus penetra nelle cellule immunitarie. Sono quasi dieci anni che gli scienziati si sforzano di capire esattamente in che modo il virus aggredisce le cellule T4: penetra forse nella cellula e la uccide implodendo al suo interno, oppure è un altro meccanismo più indiretto a causare la malattia, quello dell'apoptosi, ovvero della morte programmata della cellula? E poi c'è la teoria di Candace e Michael, con il loro figlio del nuovo paradigma (non più una teoria radicale), in base alla quale non è il virus stesso a causare il danno, ma il blocco del recettore causato dai frammenti virali di gp120,e la conseguente impossibilità di accedere alla cellula per i peptidi naturali, essenziali per la vita della cellula e per il funzionamento e la salute dell'intero organismo. Su un punto, ormai, siamo tutti d'accordo: il recettore T4 (CD4) sulla cellula immunitaria è condizione necessaria, ma non sufficiente, per l'ingresso del virus HIV nella cellula. Ora, con questo recente sviluppo, si è scoperto che al processo partecipa anche un altro recettore, quello della chemochina. Cinque grandi laboratori hanno fatto notizia con l'annuncio simultaneo che per entrare nella cellula il virus HIV usava non soltanto il meccanismo, già ricostruito in precedenza, del recettore T4 (CD4), ma anche uno dei recettori della chemochina, considerato ora un «corecettore». I laboratori hanno messo a punto un'elegante dimostrazione del fatto che per l'ingresso del virus nella cellula sono necessari entrambi i recettori, che lavorano insieme in una sorta di sistema a doppia chiave. Gallo e i suoi collaboratori hanno ricevuto un generoso riconoscimento per avere svolto il lavoro preparatorio che ha condotto alla scoperta. Nell'ambito delle ricerche in corso nel loro laboratorio, avevano ripreso un'osservazione fatta da alcuni ricercatori, e cioè che alcuni pazienti, pur essendo infettati dal virus, restavano in buona salute per anni, apparentemente refrattari all'infezione, nonostante che vi fossero esposti in continuazione. Il dottor Jay Levy, dell'università della California a San Francisco, aveva dimostrato che le cellule immunitarie di questi sopravvissuti secernevano una sostanza che sembrava impedire al virus di

418

Page 419: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

entrare nella cellula, ma, poiché non era mai stata ricostruita la struttura chimica dell'ingrediente attivo, era stato difficile compiere dei progressi. Con l'aiuto della sua équipe, e in particolare di Tony deVeco, Gallo è riuscito a isolare l'attività delle cellule immunitarie dei sopravvissuti, e poi a ricostruire la struttura del fattore, solo per scoprire che era stato già individuato in passato come un legante peptidico per i recettori della chemochina. L'attenzione degli studiosi si era già concentrata sulle chemochine quando si era notato che mediavano le infiammazioni, un processo chiave in molte malattie, dal morbo di Alzheimer alla psoriasi. Ora, con la rilevanza che acquisiva improvvisamente nei confronti dell'AIDS, questo settore diventava improvvisamente di un' attualità scottante. Gli epidemiologi hanno dimostrato che una piccola percentuale di persone, prive del recettore della chemochina a causa di una rara mutazione genetica, non si ammala mai di AIDS, per quanto possa adottare comportamenti ad alto rischio. Tombola! Ecco la prova clinica concreta a favore della teoria che il recettore della chemochina non è soltanto uno dei tanti artefatti di laboratorio che spezzano il cuore ai ricercatori, bensì un punto vulnerabile e cruciale nel ciclo vitale del virus. In sua assenza, il virus non può penetrare nella cellula causando i sintomi dell'AIDS. È chiaro che ora si scatenerà la gara per trovare elementi in grado di bloccare il nuovo recettore, come prossima generazione di farmaci anti-AIDS. Quando ho appreso la notizia, in giugno, mi sono precipitata in biblioteca per confrontare le sequenze dei peptidi nelle varie chemochine in questione con quella del peptide T, e sono rimasta emozionata nello scoprire che esisteva una possibile corrispondenza. Possibile che il peptide T, inventato sei anni prima che fosse coniato il termine chemochina, fosse un antagonista per il recettore della chemochina? Per un esempio di sincronicità quasi incredibile, abbiamo saputo che il test cruciale per l'attività delle presunte chemochine era la stessa analisi della chemiotassi che Michael e io avevamo usato quattordici anni prima per collegare cervello e sistema immunitario! Nel corso del convegno organizzato da Gallo a Baltimora, i miei colleghi mi hanno avvicinato per chiedermi, in un tono fra lo scherzoso e il serio: «Pensi che il peptide T leghi con il recettore della chemochina?» Io rilancio con prudenza le loro domande, tenendo la bocca cucita e rifiutandomi di dire

419

Page 420: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

anche una sola parola. Resa un po' più saggia dall'esperienza, aspettare che sia disponibile perlomeno una tonnellata di dati prima di formulare in modo inattaccabile quella che ormai ritengo sia una risposta affermativa. Dopo tutto, Michael ha in corso, nel nostro laboratorio di Georgetown, le analisi cruciali, quelle della chemiotassi, che ci forniranno fra poco dati inconfutabili.

Il volto dell'AIDS è cambiato. Sia lodato Dio per gli inibitori della proteasi! Finalmente esiste una terapia efficace a lungo termine. I nuovi inibitori della proteasi, utilizzati inizialmente insieme con i più antichi antivirali in un cocktail che rallenta l'instaurarsi della resistenza ai farmaci, permettono ai pazienti di vivere più a lungo. Inventati dagli scienziati. di varie industrie farmaceutiche, questi prodotti sono stati testati e approvati in modo rapido ed efficiente, con la collaborazione di molti attivisti impegnati nella lotta contro l'AIDS. Purtroppo, però, dopo un paio d'anni di terapia, nei tre quarti dei malati che sono in grado di tollerare il «triplice cocktail di farmaci» si manifestano problemi inattesi. Nonostante i numerosi trattamenti efficaci escogitati dai medici per prevenire, diagnosticare e curare le infezioni opportunistiche, i pazienti non recuperano mai il peso perduto durante l'ultima infezione. Circa un quarto dei malati di AIDS che sopravvivono da molti anni continua a perdere peso, e precisamente massa muscolare, a ritmo costante, e i dati indicano che moriranno di «consunzione» quando il loro peso scenderà al di sotto del sessantacinque per cento di quello normale. Eppure, nonostante tutte le loro sofferenze, i livelli del virus spesso rimangono così bassi da passare quasi inosservati alle analisi. È possibile che sia il gP120 a causare questa inarrestabile distruzione dei tessuti? Il gP120 è così potente che bastano poche cellule infettate dal virus e resistenti ai nuovi e potenti cocktail di farmaci per secernere una quantità di gP120 sufficiente ad avvelenare vari tipi di recettori dei peptidi. E così potente che non è stato ancora possibile mettere a punto una analisi di routine per misurare i livelli bassissimi, ma ugualmente distruttivi, di gP120

presenti nei pazienti contagiati dal virus HIV. Gli scienziati ritengono che le 420

Page 421: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

cellule infette che secernono gP120 si nascondano in «asili», fra i quali il cervello, dove i farmaci attualmente in uso non sono in grado di penetrare che in minima parte. Inoltre è in aumento il fenomeno del neuro-AIDS, un'altra nube minacciosa, insieme con il deperimento, all'orizzonte relativamente più luminoso dell'AIDS così come lo vediamo oggi.

L'urgenza spinge il nostro gruppo di Georgetown ad accelerare sempre più il passo. Gli altri scienziati del dipartimento di fisiologia, esperti di deperimento organico e di recettori per i neuropeptidi, sono al lavoro sul peptide T come antagonista del gP120. Ora dobbiamo organizzare le scoperte fatte per presentare degli articoli scientifici impeccabili: le presentazioni già fatte in occasione di vari convegni ci sono state utili, consentendoci di mettere a fuoco il significato dei dati e di cogliere suggerimenti su esperimenti necessari per colmare le lacune. Tuttavia le relazioni tenute ai convegni vengono pubblicate di rado come «atti», mentre a noi serve la pubblicazione di rapporti completi su riviste scientifiche dalla reputazione solida, le uniche prove ritenute valide per poter estendere la sperimentazione clinica del peptide T sull'uomo. L'ormone della crescita, che promuove l'aumento della massa muscolare magra e la capacità di rendimento fisico misurabile nei test, è l'unica terapia finora approvata, sia pure in forma provvisoria, per arrestare il deperimento dei malati di AIDS. Il gP120 iniettato nel cervello dei ratti produce una perdita di peso, mentre il peptide T ristabilisce la secrezione dell'ormone della crescita nelle cellule della ghiandola pituitaria dei ratti, che era stata ridotta dal gP120. Questi esperimenti sono stati avviati due anni fa, quando il nostro attuale direttore di Georgetown, notando un'omologia nella sequenza dei peptidi fra il peptide T e un altro peptide che attiva la secrezione dell'ormone della crescita, ci ha invitati a entrare nel suo dipartimento. Abbiamo affidato i peptidi della chemochina all'équipe di Doug Brenneman, al National Institutes of Health, perché svolga degli esperimenti in collaborazione con noi, e il risultato è stato che i peptidi in questione proteggono la cellula neuronale dalla morte causata dal gP120 proprio come il VIP(peptide intestinale vasoattivo) e il peptide T! I recettori della

421

Page 422: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

chemochina sono presenti nel cervello oltre che nelle cellule immunitarie, dove il legamento del gP120 deve certamente contribuire all'insorgere del neuro-AIDS e di altre malattie infiammatorie del cervello. Ora abbiamo i dati della chemiotassi, che dimostrano come il peptide T sia un antagonista del recettore della chemochina. Per completare il discorso ci occorre l'analisi del legamento del recettore del peptide T, in modo da verificare se può essere sloggiato dalle chemochine, secondo le previsioni. Con un ennesimo esempio di incredibile sincronicità, abbiamo appreso che i recettori della chemochina, del VIP e dell'ormone somatotropo appartengono tutti alla stessa famiglia biochimica, quella a cui appartiene il recettore degli oppiacei. Finora non riesco a ricevere un segnale, ma dovrei essere in grado di progettare un tipo di analisi che possa funzionare. Dobbiamo pubblicare quegli articoli. Concentrandoci sugli esperimenti quotidiani in laboratorio, attendiamo ulteriori risultati dalla sperimentazione clinica del peptide T come terapia per il neuro-AIDS,in un clima di grande speranza e preghiera. Per quanto sia difficile eseguire alla perfezione un semplice esperimento di un solo giorno in laboratorio, i problemi etici legati agli esperimenti su esseri umani e alle risorse che tali esperimenti richiedono accrescono le difficoltà in misura enorme. Eppure, nonostante queste difficoltà, sono convinta che soltanto una sperimentazione scientificamente corretta condotta sugli esseri umani può farci comprendere il potenziale del peptide T, o di qualsiasi altro farmaco o trattamento che agisca sull'unità mente-corpo. In ultima analisi tutti gli aneddoti incoraggianti e i dati privi di controllo sono quasi privi di valore. Abbiamo appreso che alcuni illustri clinici esperti di AIDS raccomanderanno l'inserimento del peptide T in alcuni esperimenti clinici attuati dal NIH. Ci servono altre prove, ci servono altri esperimenti scientifici validi, ci serve la pubblicazione di quegli articoli. E intanto teniamo duro, continuando a mettercela tutta. Ci sembra quasi impossibile che questo progetto per la cura dell'AIDS abbia più di dieci anni. A quanto pare, più va avanti e più si presenta interessante e ricco di possibilità, evolvendosi ora nel campo delle terapie basate sui recettori, che avevano costituito il nostro punto di partenza. Oggi quasi

422

Page 423: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

tutti vogliono sapere quale parte del gP120 lega con il recettore della chemochina, e quale sequenza di peptidi è in grado di bloccarlo. Tenetevi forte in sella, il peptide T sta per lanciarsi sulla pista! Questo più che mai è il momento di rimboccarsi le maniche e lavorare con rinnovata concentrazione e determinazione. Un pò dovunque, laboratori molto sofisticati e ben provvisti di fondi cominciano a riprendere gli interrogativi da noi sollevati. La possibilità di comprendere l'AIDS sul piano scientifico ci apre le porte di una nuova interpretazione per molte altre malattie, prospettando nuove strategie di cura. A volte Mike e io ci scambiamo un'occhiata d'intesa, condividendo sentimenti simili, in parte, a quelli che proviamo per nostra figlia, così giovane eppure già matura, che si è diplomata al college. L'infanzia finisce, e comincia una nuova fase, con tutti i suoi rischi e le sue speranze.

423

Page 424: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Appendice ASuggerimenti orientati alla prevenzione

per condurre una vita sana e felice

Dobbiamo assumerci la responsabilità delle emozioni che proviamo. Non è vero che gli altri possono farci sentire bene o male: siamo noi che, in modo più o meno cosciente, scegliamo come sentirci in ogni singolo istante della nostra vita. Sotto molti aspetti, il mondo esterno è uno specchio che riflette le nostre convinzioni e aspettative. Il motivo per cui sentiamo ciò che sentiamo è frutto dell'armonia che regna fra le nostre molecole dell'emozione, orchestrandole in una sinfonia, e che investe ogni aspetto della nostra fisiologia, sfociando in una salute di ferro o in una malattia che ci tormenta. Noi esseri umani siamo così arroganti da credere che, per il solo fatto che abbiamo inventato le lampadine elettriche, possiamo adottare qualunque genere di orario: invece le sostanze informazionali a base di neuropeptidi collegano il nostro orologio biologico al moto dei pianeti, ed ecco perché è molto probabile che la qualità del sonno e della veglia migliori in misura direttamente proporzionale all'aderenza dell'ora di andare a letto e di alzarsi con le ore di oscurità e di luce. Se andrete a dormire fra le dieci e le undici di sera, nella maggior parte dei casi scoprirete che vi riesce naturale svegliarvi con il levar del sole, se non prima, sentendovi perfettamente riposati. La meditazione praticata al mattino presto e nella prima serata, in modo abituale e quasi rituale, è a mio parere la via più rapida, facile, breve ed economica per sentirsi bene, il che significa essere sincronizzati con le proprie sensazioni naturali.

424

Page 425: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Le prime ore del mattino sono un momento straordinario di gioia, in cui visualizzare coscientemente una giornata splendida. E l'ora ideale perché la mente cosciente rientri nel corpo attraverso il gioco (la definizione «esercizio fisico» evoca immagini piuttosto deprimenti), che può consistere un giorno in una forma dolce di stretching o di yoga, il giorno dopo in passi di danza o in una corsa che vi faccia sudare. Prima di decidere, cercate di capire come vi sentite. Sembra istintivo muoversi appena svegli, così come il corpo era progettato per fare in natura, prima di mangiare o di salire in macchina; quasi certamente i nostri avi cominciavano la giornata con un pò di movimento. Per quelli di voi che sono interessati a dimagrire, un' altra valida ragione per muoversi al mattino presto è che al nostro organismo basta una ventina di minuti di blando esercizio aerobico all'inizio della giornata per attivare nell'unità corpo/mente il circuito dei neuropeptidi che serve a bruciare grassi. Le ricerche condotte dai fisiologi che studiano l'attività fisica ha dimostrato che, dopo venti minuti di aumento del battito cardiaco e di respirazione più frequente e profonda, che ne deriva naturalmente, il complesso corpo/mente entra in una modalità di consumo dei grassi che si prolunga senza scosse per ore intere. La sensazione di vigilanza e di calma che si instaura in noi dopo la fase iniziale di euforia si accompagna di solito a una riduzione dell'appetito. Trascorrete ogni giorno qualche tempo a contatto con la natura, soprattutto quando siete liberi da impegni di lavoro. Stare all'aperto significa vivere nella natura, a prescindere dal fatto che vi troviate in una foresta, sulla spiaggia o nel centro di una grande città. Il cielo esiste anche sulle metropoli. Il maltempo non è una scusa: investite denaro in abiti caldi, scarpe solide e un soprabito impermeabile. L'ora in cui mangiate è altrettanto importante di quello che mangiate. Non digiunate tutto il giorno per mangiare la sera; anzi, il pasto principale dovrebbe essere quello di mezzogiorno, come avviene in tutte le civiltà non industriali, e come si usava un tempo anche nella nostra. Mangiando a metà giornata si ha tempo in abbondanza per digerire il cibo in modo sano e completo prima di andare a riposare la sera. Inoltre significa che le molecole nutritive saranno trasportate nei vari siti dell'unità corpo/mente in cui

425

Page 426: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

possono contribuire a sostenere un'attività di veglia cosciente e vitale, anziché depositarsi sotto forma di grasso, come accade più facilmente quando si mangia troppo tardi. Se non avete mai seguito un orario del genere, forse resterete stupiti dalla scossa di energia fisica e mentale che avvertirete, eppure questa dovrebbe essere la norma. Evitate i leganti esogeni che turbano l'equilibrio della rete psicosomatica al punto da alterare il flusso scorrevole delle informazioni, provocando «blocchi» nel circuito che vi impediscono di percepire appieno il vostro potenziale di esperienze, per coltivare invece circuiti di feedback che ristabiliscono e preservano la vostra felicità naturale. Per tradurre in termini concreti, il modo migliore per sentirsi bene il più possibile per tutto il tempo è tenersi alla larga dalle droghe, legali o illegali che siano. Mettete in discussione ogni prescrizione cronica: se è proprio necessario prendere un farmaco, accertatevi che sia la minima dose possibile senza perdere di efficacia. Sotto la supervisione del vostro dottore, o di un altro consulente medico, prendete in considerazione l'idea di concedervi ogni tanto un giorno di «vacanza» dai farmaci, per vedere se avete davvero bisogno di quel sonnifero, di quell'antidepressivo, di quel prodotto antiulcera o contro l'ipertensione. Provate a sperimentare come può essere incredibilmente reattiva e vigorosa, vitale e piacevole la condizione naturale di chi non assume farmaci. La libertà dai farmaci consente al vostro organismo di concentrarsi sull'unità corpo/mente, invece di essere costretta a compensare le alterazioni dovute al farmaco e a sprecare energie per disintossicarsi ed espellere le droghe, di qualunque genere siano. Cercate di considerare lo zucchero come una droga con effetti cronici, che possono arrivare a vere e proprie forme di dipendenza. Il saccarosio, la polvere bianca che si ricava da ettari di piante verdi (canne da zucchero o barbabietole da zucchero), si trasforma in glucosio, che è uno dei regolatori chiave del metabolismo nel complesso corpo/mente, e agisce sui recettori del glucosio per controllare la secrezione di insulina e di molti altri neuropeptidi da parte del pancreas, influendo in modo vistoso sul vostro stato - torpido o vivace, depresso o euforico - e sul modo in cui metabolizzate il cibo. Soddisfate piuttosto il desiderio di dolci con la frutta, contenente un tipo diverso di zucchero, il fruttosio, che causa meno

426

Page 427: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

facilmente il rilascio di insulina. Lo zucchero bianco raffinato modifica il profilo della secrezione da parte del pancreas di altri peptidi oltre all'insulina, il che si traduce in una tendenza a impigrirsi e immagazzinare grassi. In genere, cercate di valutare meglio l'impatto di ciò che mangiate sulla vostra condizione fisica. Bevete otto bicchieri al giorno di acqua non dorata: spesso si mangia quando in realtà si ha sete, piuttosto che fame. I segnali interni dell'organismo si sono confusi perché nel corso della nostra evoluzione abbiamo smesso di mangiare cibi interi e naturali (frutta e verdura), che hanno un contenuto di acqua molto superiore alla nostra dieta attuale, fatta di patatine e stuzzichini e molti altri cibi-spazzatura precotti, contenenti grassi idrogenati. Mirate a raggiungere l'integrità emotiva. Quando vi sentite sconvolti o in preda a un forte malessere, cercate di approfondire queste emozioni per capire cos'è che vi tormenta, in realtà. Siate sempre sinceri con voi stessi e trovate modi appropriati e soddisfacenti per esprimere le vostre emozioni. E se un consiglio del genere vi sembra troppo difficile da mettere in pratica, chiedete aiuto a un terapeuta di professione. Sono convinta che le terapie alternative o complementari siano una forma di aiuto professionale molto meno suscettibile di causare danni e molto più positivo degli approcci convenzionali,perché agiscono modificando l'equilibrio naturale fra le sostanze chimiche all'interno dell'organismo, in modo che possiamo sentirci il meglio possibile. Spesso si rivelano particolarmente utili per alleviare le tante malattie croniche alle quali per ora non sono state trovate soluzioni mediche. Prima di dormire, rivolgete un pensiero cosciente e affettuoso a ogni componente della famiglia, il che equivale a dare loro la buonanotte. Prima di andare a letto, cercate di non programmare la vostra unità corpo/mente con immagini di morte, distruzione e stravaganze. Il che significa:non guardate il telegiornale della notte, ma provate invece a leggere un libro, a praticare un hobby rilassante, a fare un bagno caldo o anche a sbrigare delle faccende domestiche poco impegnative. L'ultimo punto, ma certo non il meno importante, consiste nella consapevolezza che la salute è molto di più che l'assenza di malattie;

427

Page 428: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

significa vivere in modo non egoistico, che mira a promuovere una sensazione di comunione, amorevole cortesia e perdono. Vivere in questo modo crea una sensazione di felicità spirituale che aiuta realmente a prevenire le malattie. Benessere significa confidare nella capacità e nel desiderio del corpo/mente di guarire e migliorare, se appena esiste la possibilità di farlo. Assumetevi la responsabilità della vostra salute... e delle vostre malattie. Cancellate dal vostro vocabolario e dai vostri schemi di pensiero frasi come: «Il mio medico non vuole che io... », oppure: «Il mio medico dice che ho [nome della malattia], e non posso farci niente». Evitate di sottoscrivere valutazioni prive di valore scientifico riguardo alla necessità di cure e operazioni chirurgiche.

428

Page 429: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Appendice B

La medicina corpo/mente:

terapie complementari

Pur essendo una scienziata, e non un medico, sono fortemente convinta che le terapie complementari non solo possano rivelarsi utili nelle malattie degenerative croniche come cancro, artrite, disturbi cardiaci e squilibri del sistema immunitario, ma anche per altri problemi di salute, come asma, sindrome premestruale, emicrania, sinusite e disturbi gastrointestinali, per i quali la medicina convenzionale può offrire soltanto un aiuto parziale, e a volte neanche quello. Inoltre le terapie complementari possono arricchire la nostra esistenza, consentendoci di viverla in modo più completo e gioioso. La lista che segue è intesa ad aiutare i lettori nella ricerca di ulteriori informazioni sulle possibili terapie nella loro zona di residenza, e viene offerta nello spirito di promuovere la responsabilità personale sul piano della salute.

Corpo/mente

La medicina corpo/mente si basa sul riconoscimento del rapporto esistente fra la mente e il corpo, del potenziale innato di guarigione insito nel corpo e del rapporto di alleanza che si stabilisce fra paziente e terapeuta al fine di restituire la salute all'organismo. Le terapie corpo/mente abbracciano un gran numero di modalità, alcune delle quali sono elencate di seguito:

429

Page 430: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

BIOFEEDBACK

Il biofeedback si utilizza per addestrare i pazienti a controllare l'attività delle onde cerebrali, in modo da modificare i processi fisiologici del sistema nervoso autonomo. Questa tecnica si può usare per riprogrammare le funzioni cardiovascolari e respiratorie.

PSICOTERAPIA CORPOREA

La psicoterapia corporea, che si pratica in sedute individuali o di gruppo, ricorre nello stesso tempo al contatto e al colloquio per accrescere l'autocoscienza del paziente, ma si può anche risolvere semplicemente in una tranquilla esperienza catartica di abbraccio reciproco. In seguito i partecipanti discutono le esperienze vissute nel corso della seduta.

VISUALIZZAZIONE GUIDATA

Questa tecnica fa ricorso all'immaginazione per facilitare la diagnosi e promuovere il corretto funzionamento dei processi fisiologici.

IPNOTERAPIA

Uno stato di trance indotto con l'ipnosi può essere usato come trattamento per vari tipi diversi di sindromi. Un paziente in stato di ipnosi può superare ansia, dolore e stress; è possibile insinuare nell'inconscio suggestioni post ipnotiche per prolungare gli effetti risanatori della terapia.

TERAPIA DELLA MUSIC DELL'AR DELLADANZA, DELL'UMORISMO A, TE,

Uso delle arti per ristabilire, preservare e migliorare la salute fisica e mentale dell'individuo.

430

Page 431: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

QIGONG

Tradizionale pratica cinese di autoguarigione che utilizza il movimento, la meditazione e la respirazione controllata per equilibrare l'energia vitale del corpo, detta qi o anche chi, allo scopo di promuovere salute, agilità e longevità.

Metodi terapeutici alternativi e complementari

AGOPUNTURA E MEDICINA TRADIZIONALE ORIENTALE

Antico metodo terapeutico cinese per equilibrare il flusso di energia vitale che scorre lungo i meridiani del corpo, usato per alleviare il dolore, potenziare le reazioni immunitarie naturali e curare molti problemi di salute. L'agopuntura consiste nell'inserimento di aghi sottilissimi, un procedimento di solito indolore, anzi spesso piacevole, seguito da un breve periodo di profondo riposo, o addirittura da un sonnellino.

AYURVEDA

Antica medicina indiana, il cui nome significa letteralmente «scienza della vita>, fondata sull'armonizzazione di corpo, mente e spirito.

NATUROPATIA

Sistema curativo eclettico, fondato sulle attuali ricerche nel campo della biochimica, che utilizza una grande varietà di tecniche per restituire al corpo le sue capacità innate di autoguarigione. L'addestramento richiede rigorosamente quattro anni e insiste sulla necessità di adottare un approccio gentile che «non faccia male». La naturopatia fa ricordo a terapie naturali, integratori alimentari e ricette dettate dalla saggezza popolare.

431

Page 432: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

SISTEMI TERAPEUTICI TRADIZIONALI

Altri sistemi tradizionali, come lo sciamanesimo, utilizzano una varietà di pratiche spirituali per guarire il prossimo, aiutarlo e favorirne il benessere.

Dieta, alimentazione e medicina preventiva

L'alimentazione è utilizzata come complemento terapeutico per alleviare una serie di disturbi, preservare la salute fisica e psicologica, favorire la longevità e prevenire malattie croniche.

MACROBIOTICA

Un modo di mangiare e di vivere che riconosce l'ordine naturale in tutti gli aspetti della realtà, fisica, emotiva, mentale, ecologica e spirituale.

WELL ELDERLY Favorisce un sano processo di invecchiamento.

Medicina ambientale

Terapeuti e pazienti lavorano insieme per portare allo scoperto i rapporti fra l'ambiente e disturbi come le allergie; a volte viene definita anche ecologia clinica.

432

Page 433: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Terapia olistica (generale)

Filosofia terapeutica che considera l'individuo come un tutto unico, cercando di integrare corpo, mente e spirito e incoraggiando l'assunzione della propria responsabilità personale per uno stile di vita del tutto sano.

Terapie energetiche e manipolazioni

Si utilizza una vasta gamma di tecniche per migliorare la struttura e il funzionamento del corpo e l'equilibrio dell'energia vitale.

ACUPRESSIONE

Si ricorre alla pressione per stimolare determinati punti lungo i meridiani dell'agopuntura. Particolarmente utile per alleviare dolori cronici.

BIOENERGETICA

Si fa ricorso a una serie di metodi di lavoro sul corpo per aiutare l'individuo a prendere coscienza delle tensioni corporee e a trovare il modo di alleviarle. Può comprendere anche l'esplorazione verbale dei conflitti emotivi.

LAVORO AL CORPO/MASSAGGIO

Il massaggio terapeutico consiste nella piacevole manipolazione di muscoli, articolazioni e tessuti molli per alleviare il dolore o favorire una sensazione di benessere. I terapeuti olistici possono aiutare il paziente a dare sfogo alle tensioni emotive accumulate nel corpo, alle quali possono associarsi dei sintomi di malattia. Esistono numerosi stili di massaggio: fate degli esperimenti per scoprire qual è il più indicato per voi.

433

Page 434: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

TECNICHE DI LAVORO SUL CORPO

Esiste una serie di metodi fondati sull'uso del contatto e dellamanipolazione, che si adottano per risanare il corpo e alleviare la tensione.

Tecnica di Alexander

Riallineamento del corpo per correggere squilibri posturali.

Kinesiologia applicata

Metodo di test muscolare usato per individuare squilibri strutturali, chimicie mentali. Per ristabilire il benessere dell'organismo utilizza l'alimentazione,la manipolazione, la dieta e l'esercizio fisico.

Feldenkrais

Uso dei movimenti per migliorare la coordinazione fra corpo e mente.

Hellerwork

Approccio olistico per ristabilire e mantenere la salute mediante un lavorosui tessuti profondi del corpo, la rieducazione motoria e il dialogoterapeutico.

Mioterapia

Utilizza la pressione manuale su alcuni «punti grilletto» sensibili per alleviare il dolore e ristabilire la scioltezza dei movimenti.

434

Page 435: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Terapia della polarità

Lavoro sul corpo, che comporta una lieve manipolazione concentrata sulla spina dorsale; viene usato per bilanciare il flusso energetico del corpo. In aggiunta, si possono utilizzare anche la dieta e l'esercizio fisico.

Riflessologia

Parte dal presupposto che i punti riflessi sui piedi (o sulle mani) corrispondano ad altrettante parti del corpo, nozione plausibile, dal momento che i rispettivi nervi sensori stabiliscono numerosi contatti attraverso la spina dorsale. Si applica una pressione ben dosata per attivare il sistema naturale di risanamento dell'organismo. Costituisce di solito un'esperienza estremamente piacevole e rilassante.

Reiki

Si applica un gentile tocco risanatore per ristabilire l'energia del corpo. E anche un sistema di autoguarigione.

Rolfing

Manipolazione del sistema miofasciale del corpo per correggere errori nell'allineamento, nell'equilibrio e nella postura.

Tragerwork

Combinazione fra lavoro sul corpo ed esercizi ritmici per alleviare le tensioni del corpo e accrescere la consapevolezza di sé.

CHIROPRATICA

Questo metodo terapeutico, diffuso in America da lungo tempo, utilizza manipolazioni della spina dorsale e delle articolazioni per alleviare il dolore e

435

Page 436: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

stimolare i naturali meccanismi di difesa del corpo. È stato dimostrato scientificamente che si rivela utile nella cura del mal di schiena e dell'emicrania. Alcuni chiropratici adottano uno stile gentile, senza «schiocchi»; quasi tutti mettono l'accento sulla mente e sullo spirito, oltre che sul corpo, offrendo diagnosi e suggerimenti sull'alimentazione.

TERAPIA CRANIOSACRALE

Manipolazione del sistema craniosacrale, che comprende l'applicazione di una presa alla base del cranio e al collo per alleviare disfunzioni sensorie e motorie.

OSTEOPATIA

Utilizza un approccio olistico nel combinare medicina convenzionale e manipolazione del sistema muscoloscheletrico per ristabilire e mantenere il benessere.

TOCCO TERAPEUTICO

Pratica che consiste nel passare leggermente le mani sul corpo di un paziente per scoprire squilibri e blocchi energetici e ristabilire l'equilibrio. Di solito, ma non sempre, viene eseguita da infermiere diplomate.

Meditazione, yoga

Esistono vari metodi per indurre serenità nella mente, consentendo di ottenere una maggiore consapevolezza e lucidità. Le tecniche di meditazione si possono utilizzare per raggiungere il controllo corporeo e stati di coscienza alterati. Lo yoga è un sistema di sviluppo fisico, mentale e spirituale.

436

Page 437: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Glossario

Agonista/Antagonista Sono termini tratti dal lessico della farmacologia, riferiti a due azioni opposte che si associano all'unione di un legante con il recettore corrispondente. Nel caso che un legante sia un agonista, la combinazione fra legante e recettore è perfetta, e il legamento è seguito dalla trasmissione di un segnale alla cellula. Nel caso degli antagonisti, invece, si verifica una situazione diversa, che, pur essendo notevolmente più rara, presenta un estremo interesse dal punto di vista della progettazione di farmaci e del loro uso terapeutico. In questo caso, il legante si combina con il recettore quanto basta per bloccare un eventuale altro legante (per esempio un agonista), ma non abbastanza da attivare il recettore e quindi inviare segnali alla cellula. il caso tipico è quello in cui l'antagonista sia un legante esogeno prodotto per sintesi in laboratorio, benché esistano anche in natura esempi di antagonisti di sostanze agoniste. Occupando il recettore e impedendo all'agonista di farlo, l'antagonista ha la capacità potenziale di prevenire alcuni effetti dannosi. Un esempio di questa azione è il naloxone, un antagonista che, se somministrato a individui che hanno assunto un' overdose di oppiacei, è in grado di annullarne quasi istantaneamente gli effetti. Gran parte dell'attuale ricerca farmaceutica si sforza di creare antagonisti destinati a bloccare l'azione degli ormoni. Uno di questi antagonisti degli ormoni è il tamoxifene, messo a punto per bloccare l'azione dell'estrogeno nelle donne affette da tumore al seno.

Amminoacidi Gli amminoacidi sono composti organici che costituiscono i blocchi da costruzione delle proteine e dei peptidi più piccoli. Il loro nome deriva dalla radice ammino, che significa «derivato dall'ammoniaca». Quanto alla struttura, ogni amminoacido contiene almeno un carbossile (COOH). Gli amminoacidi si uniscono per formare lunghe catene, in cui il gruppo amminico di un amminoacido si lega al gruppo carbossilico di un altro. Il legame così

437

Page 438: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

istituito è noto sotto il nome di legame peptidico, mentre la catena di amminoacidi prende il nome di polipeptide. Le proteine sono grandi polipeptidi che si formano in natura.

Analisi Ogni progresso sperimentale richiede la scoperta e la misurazione dei cambiamenti nel sistema che il ricercatore sta studiando, qualunque esso sia. È necessario, dunque, creare, spesso per la prima volta, i mezzi per effettuare tale misurazione. Questo metodo di ricerca si definisce analisi, e dato che lo scopo consiste nell'ottenere dati oggettivi e riproducibili, segno che le informazioni sono esatte e che altri saranno in grado di eseguire l'esperimento, si dice spesso che l'analisi presenta delle somiglianze con una ricetta di cucina.

Analogo Derivato strutturale di un farmaco, che spesso differisce dalla sostanza iniziale per un solo elemento, ma che, grazie a quella differenza, può possedere proprietà desiderabili che non sono presenti nel composto primario, come per esempio potenza, stabilità o attività antagonistica.

Anticorpo Grande proteina molecolare secreta da un linfocita B. Ogni anticorpo prodotto da una determinata cellula è unico e specifico per un solo antigene. Nell'insieme, i milioni di cellule dell'organismo che producono anticorpi presentano la capacità di riconoscere e distruggere una gamma quasi illimitata di antigeni. In che modo questo avvenga, e come mai il meccanismo non funzioni in alcune malattie, è stato uno dei grandi problemi dell'immunologia molecolare, mentre ora il processo è ben noto.

Antigene Una sostanza che, appena introdotta nel corpo, viene riconosciuta o dalle cellule B, stimolando così la produzione di anticorpi, o dalle cellule T, determinando l'immunità cellulare. Fra gli antigeni sono compresi tossine, batteri, globuli sanguigni estranei e cellule di organi trapiantati.

Artefatto Difetto presente in un esperimento scientifico. Il caso tipico in cui si riscontra un artefatto è quello in cui dei test progettati in modo

438

Page 439: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

diverso per la verifica di un'ipotesi forniscono risultati contrastanti, il che fa pensare che uno di essi contenga un errore di metodo.

Assone L'estensione, generalmente lunga, di una fibra nervosa, che di solito trasmette gli impulsi emessi dal corpo centrale della cellula nervosa.

Atomo L'unità della materia, anzi, la più piccola unità esistente di un elemento che abbia tutte le caratteristiche di quell'elemento, comprendente un nucleo centrale denso, dotato di una carica elettrica positiva, circondato da un sistema di elettroni. Le molecole sono composte di atomi.

Cellula La più piccola unità strutturale di un organismo che sia in grado di funzionare in modo indipendente; comprende uno o più nuclei, il citoplasma e vari «organel1i», il tutto circondato da una membrana cellulare semipermeabile. I recettori della cellula sono situati in questa membrana, dove sono disponibili a legare con vari leganti sospesi nel fluido extracellulare che circonda tutte le cellule e serve a trasportare le varie sostanze nutritive, i prodotti di scarto e le sostanze informazionali.

Cellula gliale Una qualsiasi delle cellule non neuronali che compongono il cervello o il sistema nervoso periferico (nevroglia). In genere si ritiene che sostengano le funzioni dei neuroni. Una cellula immunitaria specializzata derivata dal monocita è la cellula microgliale, che agisce nell'ambito del sistema immunitario del cervello (microglia). La stragrande maggioranza dei tessuti cerebrali, circa il novanta per cento, è composta da cellule gliali, e non neuronali.

Chemiotassi La capacità delle cellule, compresi i batteri e altri organismi unicellulari, di dirigersi verso uno stimolo chimico. Poiché le cellule si spostano verso una concentrazione più elevata dello stimolo (chemiotassi), l'emissione controllata di quest'ultimo consente di utilizzarlo come mediatore chemiotattico, attirando le cellule verso siti specifici del corpo dove e quando c'è bisogno di esse.

439

Page 440: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Chemochina Un termine ibrido, nato dalla fusione tra «chemiotattico» e «citochina», per definire un effetto biologico essenziale di questi peptidi, che consiste nell' attivare la chemiotassi di specifiche cellule immunitarie. I neuropeptidi come il VIP,l'encefalina o la sostanza P, per fare solo qualche esempio, sono anch'essi chemoattrattivi per alcune cellule immunitarie, ma non vengono considerati chemochine, in quanto il termine si applica soltanto ai peptidi più grandi, che contengono da settanta a ottanta amminoacidi. Ciò comporta un'imprecisione nella terminologia, perché il termine è troppo restrittivo: caso raro, in un settore della ricerca che è in rapida espansione. Nel 1996 i recettori delle chemochine sono stati individuati come recettori del virus HIV,e si è dimostrato che le chemochine sono in grado di impedire la replicazione del virus HIV. Circa dieci anni prima, i neuropeptidi legati al VIP(vedi Peptide T) sono stati i primi peptidi individuati come leganti per i recettori dell'HIV. Ora questi risultati hanno aperto nuove prospettive per le terapie mirate a bloccare i recettori virali.

Citochinalchemochina (interleuchina, linfochina) Appena dieci anni fa, sono state identificate numerose molecole piccole che mediavano le comunicazioni intercellulari fra le cellule immunitarie e le altre cellule e apparati del corpo. Ogni laboratorio proponeva un nome per la molecola sulla quale indagava, di solito in base alla funzione o all'attività che i ricercatori erano in grado di attribuire alla molecola stessa. Alla fine, una volta purificati i «fattori », si è accertato che molti laboratori stavano svolgendo ricerche sulle stesse molecole. Si è fatto un tentativo di uniformare la nomenclatura, e il processo continua tuttora, visto che l'identificazione di questi potenti mediatori biologici resta oggetto di un'intensa ricerca. Per esempio si è usato per un certo periodo il nome «interleuchina », per mettere in risalto l'attività «interleucocita» del flusso di informazioni, e si è parlato di «linfochina» come secrezione ormonale di un linfocita. Tuttavia, non appena questi concetti sono stati verificati e messi in luce, è apparso chiaro che questo genere di comunicazione non aveva origine unicamente nei linfociti, né era confinato ai linfociti. Sono stati così introdotti nell'uso i termini più ampi di «citochine», mentre «chemochina» sottolinea il fatto che alcune

440

Page 441: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

citochine causano la «chemiotassi». Vedi anche leucocita.

Colecistochinina Nota anche con la sigla CCK, è un peptide secreto dal pancreas che serve a regolare l'emissione degli enzimi digestivi e la sensazione di sazietà.

Dendrite Estensione protoplasmica ramificata di una cellula nervosa, che, facendo da conduttore, trasmette all'interno del corpo della cellula gli impulsi inviati dalle cellule adiacenti. Un solo nervo può possedere molti dendriti.

Encefalina Morfina prodotta dal cervello (dal greco «nella testa»); un peptide composto da cinque amminoacidi che lega con il recettore degli oppiacei, causando fra l'altro un effetto analgesico, o anche il lieve stato euforico associato con l'esercizio fisico, la cosiddetta «euforia del maratoneta».

Endogeno Originato o prodotto all'interno di un organismo, di un tessuto o di una cellula. L'opposto di esogeno.

Enzima Un grande peptide, e quindi una proteina, la cui funzione consiste nel catalizzare le reazioni chimiche nei sistemi biologici a un ritmo da migliaia a centinaia di volte più veloce di quanto sarebbe possibile senza di esso. Gli enzimi possono creare molecole più grandi o anche scinderle in parti più piccole, ristrutturando così il tessuto del corpo, ma gli enzimi più interessanti sono quelli che regolano il funzionamento del meccanismo cellulare.

Esogeno Derivato o prodotto all'esterno del corpo, originato all'esterno, oppure, nell'uso medico, avente una causa esterna al corpo.

Insulina Un grande peptide, secreto dal pancreas, che agisce come un ormone, vale a dire legando con specifici recettori posti sulle altre cellule, la cui funzione primaria è controllare il livello di glucosio nel sangue. L'insulina

441

Page 442: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

e i peptidi a essa legati sono ben noti anche per la loro azione come fattore di crescita, vale a dire che inducono e favoriscono la divisione di numerosi tipi di cellule.

Legante Dal latino ligare, che è anche la radice della parola «religione », significa «ciò che unisce». Una qualsiasi della varietà di piccole molecole che hanno la proprietà specifica di fissarsi su un recettore cellulare e, così facendo, di trasmettere alla cellula un messaggio carico di informazioni.

Leucocita Globulo bianco del sangue, termine generico per indicare linfociti, monociti e altre cellule del sistema immunitario di difesa dalle aggressioni esterne.

LHRH (ormone luteinizzante) Questo ormone, che appartiene alla classe generale delle gonadotropine, promuove l'ovulazione e la maturazione dell'ovulo. Quando viene rilasciato nel cervello, stimola l'istinto dell'accoppiamento nei piccoli animali e probabilmente anche negli esseri umani. E legato al fattore alfa di accoppiamento, che promuove la riproduzione sessuale negli organismi primitivi noti col nome di lieviti, e questo fa pensare a una conservazione evoluzionistica della funzione (comportamento) che unisce gli organismi più semplici ai più complessi.

Linfocita Queste cellule, formatesi nel tessuto linfatico, che comprende linfonodi, milza, timo e midollo osseo, costituiscono fra il ventidue e il ventotto per cento di tutti i globuli bianchi presenti nel sangue di un normale essere umano adulto. La loro funzione consiste nello sviluppare la reazione immunitaria, e comprendono due tipi specifici, cellule B e cellule T. I linfociti B sono la fonte degli anticorpi, mentre i linfociti T sono responsabili dell'immunità nei confronti dei tumori e di cellule infettate da virus, nonché di varie reazioni di ipersensibilità (allergie, edera velenosa), o rigetto di organi trapiantati. Una sotto specie di cellule T, note come T4 o CD4, è vulnerabile all'infezione da virus di immunodeficienza acquisita (HIV), che causa l'AIDS. I linfociti nel loro insieme sono responsabili della capacità del sistema immunitario di distinguere ciò che è «sé» da ciò che è «altro da sé».

442

Page 443: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

In effetti, è ormai noto che il sistema immunitario viene programmato poco dopo la nascita ad apprendere ciò che è «sé», mentre tutto il resto viene definito «altro da sé», o estraneo.

Mesencefalo Il prefisso meso, che significa «mediano», indica la posizione di questa sezione del cervello, al di sopra del midollo allungato e al di sotto della corteccia esterna. Il midollo allungato (midollo, ponte di Varolio e mesencefalo) ospita la formazione reticolare, una complessa struttura che combina molte funzioni sensoriali e motorie altrimenti separate. La formazione reticolare influenza inoltre i livelli generalizzati di coscienza, compreso il ciclo veglia-sonno. Il mesencefalo è interessato anche a funzioni più complesse di elaborazione sensorio-motoria.

Midollo allungato È il più «basso» e antico fra i centri cerebrali, noto anche col nome di «cervello rettiliano». E situato alla base del collo, sotto la corteccia, alla sommità della spina dorsale, ed è responsabile di azioni «autonome» come la respirazione, l'escrezione e la regolazione della temperatura corporea.

Molecola La più piccola particella in cui si può scomporre un elemento o un composto senza che ne risultino modificate le proprietà chimiche e fisiche. Una molecola è composta di atomi, talvolta numerosi.

Monocita/macrofago Cellula del sistema immunitario formata da un precursore del midollo spinale che circola nel sangue per alcuni giorni prima di migrare in vari tessuti di tutto il corpo, fra cui il cervello, dove matura, differenziandosi (vale a dire che acquisisce ulteriori funzioni e capacità di creare immunità) e trasformandosi in un macrofago o in una cellula microgliale. I macrofagi, controllati da molecole informazionali di peptidi chemiotattici, sono fra le cellule che reagiscono rapidamente (in termini di ore o giorni, anziché settimane) a traumi, ferite e infezioni. Svolgono un ruolo determinante nella cicatrizzazione delle ferite e nella guarigione, ingerendo e digerendo scorie (cellule morte), ma di per sé non sono in grado

443

Page 444: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

di riconoscere specifici agenti patogeni. Questo è un aspetto essenziale che li differenzia dai linfociti.

Neurone Una delle cellule conduttrici di impulsi che formano cervello, spina dorsale e nervi, costituite da un corpo nucleare con uno o più dendriti e un solo assone e definite anche cellule nervose. Di solito i neuroni sono associati con il funzionamento del cervello,ma la loro presenza in stretto rapporto con le cellule dei tessuti immunitari è una prova evidente del fatto che mediano le interazioni cervello/sistema immunitario.

Neuropeptide Una delle quasi cento sostanze informazionali costituite da piccoli peptidi e definite inizialmente secrezioni neuronali. Alcune recenti osservazioni, dimostrando che linfociti e monociti secernono neuropeptidi e rispondono alla loro azione, hanno reso improprio questo termine, e oggi gli immunologi preferiscono nomi come citochina o chemochina, mentre i neuroscienziati parlano ancora comunemente di neuropeptidi.

Neurotrasmettitore Sostanza chimica che trasmette impulsi nervosi attraverso una sinapsi, come l'aceticolina o la dopamina.

Omeostasi La capacità, o la tendenza, di un organismo o di una cellula a mantenere l'equilibrio interno attraverso la regolazione dei processi fisiologici.

Ormone Una sostanza, di solito un peptide o uno steroide, prodotto da un tessuto e trasportato dalla circolazione sanguigna in un altro per ottenere una modificazione dell'attività fisiologica, come la crescita o il metabolismo. Anche in questo campo si presentano gli stessi problemi di terminologia che limitano l'applicabilità di termini come neuropeptide o citochina.

PAG (periaqueductal gray) Regione del midollo allungato, composta di neuroni e fibre che circondano l'«acquedotto di Silvio» (spazio riempito di fluido) alla sommità del midollo spinale. Sul piano funzionale serve da punto nodale, arricchito da recettori di peptidi, ed elabora le informazioni sensoriali

444

Page 445: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

ascendenti che arrivano al cervello dalle estremità. Come tale è una delle prime stazioni di sosta in cui si possono regolare la soglia del dolore e altre soglie percettive.

Peptide Uno dei vari composti, naturali o sintetici, che contengono due o più amminoacidi uniti dal legame fra il gruppo carbossilico di un amminoacido e il gruppo amminico di un altro. I polipeptidi sono per definizione i peptidi più grandi, di solito quelli che presentano oltre cento amminoacidi, ma sono comunque più piccoli delle proteine, che possono contare duecento amminoacidi e anche più, nonché di altre molecole affini, come quelle di zuccheri o lipidi.

Pitocina La versione sintetica dell'ormone peptidico ossitocina. Viene usato sotto forma farmacologica per indurre il travaglio del parto.

Prosencefalo (lobo anteriore della corteccia cerebrale) È lo strato esterno della materia grigia che ricopre la superficie dell'emisfero cerebrale. La parte frontale della corteccia, la struttura cerebrale che si è evoluta in tempi più recenti, si trova nella posizione più anteriore (dietro la fronte), ed è presente soltanto nei primati, come gli esseri umani. Contiene centri neuronali necessari per l'elaborazione razionale e la produzione del linguaggio, per la concettualizzazione e l'astrazione, per la capacità di giudizio e per la capacità, tutta umana, di riflettere e di esercitare un controllo sulla propria vita.

Proteina Complessa macromolecola organica, composta da una o più catene di amminoacidi. Le proteine sono componenti fondamentali di tutte le cellule viventi e includono molte sostanze, come enzimi, ormoni e anticorpi, che sono necessari per il regolare funzionamento di un organismo.

Psiconeuroimmunologia (PNI) Termine coniato all'inizio degli anni '80 per enfatizzare e promuovere ricerche interdisciplinari che si propongono di comprendere in che modo le funzioni mentali (psicologiche) influiscano sulle attività immunologiche mediate attraverso le tradizionali connessioni

445

Page 446: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

neuronali. Neuroimmunomodulazione è un'altra variante, in cui la componente psichica viene riassorbita nell'area semantica del prefisso neuro.

Recettore Una molecola, nel caso tipico una proteina o un gruppo di proteine, ancorata alla membrana esterna di una cellula con un sito accessibile all'ambiente esterno che si unisce a leganti come ormoni, antigeni, droghe, peptidi o neurotrasmettitori... tutti quei leganti che ho definito «sostanze informazionali». Il recettore svolge il ruolo essenziale nella rete di comunicazione dell'unità corpo/mente, perché soltanto quando il recettore è occupato dal legante le informazioni codificate nelle sostanze informazionali possono essere ricevute. Inoltre è nel recettore che avviene la prima elaborazione delle informazioni, in quanto il segnale vero e proprio che il recettore invia alla cellula può essere modulato dall'azione dei recettori e dei loro leganti, dalla fisiologia della cellula e persino da avvenimenti del passato o dal loro ricordo.

Recettore T4 (CD4) Molecola della superficie cellulare che esemplifica certi linfociti T dotati della funzione di «aiutanti» (cellule aiutanti). Quando si attiva la molecola T4, questa segnala alla cellula di eseguire il suo programma, consistente nel secernere una varietà di molecole che poi agiscono su altre cellule, «aiutandole» a svolgere i normali compiti legati alla reazione immunitaria, come per esempio uccidere cellule infettate da virus o cellule tumorali.

Sistema limbico Il sistema limbico comprende varie strutture cerebrali associate con la memoria e l'emozione. Questo complesso è stato studiato per la prima volta dal neurochirurgo Wilder Penfield (1891-1976), nel corso di operazioni eseguite su pazienti affetti da un raro tipo di attacchi epilettici, durante i quali avevano vivide allucinazioni auditive e visive di avvenimenti del passato. Queste allucinazioni legate all'esperienza dei soggetti si potevano replicare stimolando la superficie del lobo temporale del cervello. Negli ultimi decenni sono state formulate varie teorie per individuare la parte del cervello che controlla le emozioni, e di volta in volta sono stati proposti come centri dell'espressione emotiva l'ipotalamo, il

446

Page 447: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

sistema limbico e l'amigdala. Interpretazioni tanto tradizionali prendono in considerazione il cervello soltanto in funzione dell'espressività emotiva, e quindi sono troppo limitate dal punto di vista delle mie ricerche. A mio parere, le emozioni sono ciò che lega il corpo e la mente nell'unità corpo/mente.

Sistema nervoso autonomo I due rami principali del sistema nervoso autonomo, che si dipartono dalla spina dorsale, controllando da un lato le azioni involontarie e inconsce delle fibre muscolari lisce e dei muscoli cardiaci, dall' altro le ghiandole, e agiscono in contrapposizione fra loro. Uno è noto sotto il nome di sistema simpatico, e i nervi che lo controllano si trovano nella porzione toracica e lombare della spina dorsale. Il sistema simpatico sfrutta soprattutto due neurotrasmettitori, adrenalina e noradrenalina, per mobilitare l'organismo nelle situazioni di emergenza, suscitando una reazione «lotta o fuggi». Il sistema parasimpatico, localizzato nella porzione craniale e sacrale della spina dorsale, utilizza il trasmettitore acetilcolina per ottenere un effetto di rilassamento del corpo.

Sistema nervoso centrale Il sistema nervoso degli organismi superiori, composto da cervello e midollo spinale.

Sistema nervoso periferico Il sistema nervoso periferico è il sistema di nervi che collegano il cervello e la spina dorsale (in altri termini, il sistema nervoso centrale) al resto del corpo umano. I nervi periferici comprendono nervi craniali (dodici coppie), nervi spinali (trentuno coppie) e nervi autonomi (simpatici e parasimpatici), che si diramano verso le fibre muscolari lisce, il muscolo cardiaco e le ghiandole. I nervi craniali e quelli spinali, talvolta indicati con il nome collettivo di nervi craniospinali, sono di tre tipi: sensori (o afferenti), motori (o efferenti) e misti (contenenti tanto fibre sensorie quanto fibre motorie). Le fibre dei nervi sensori trasmettono impulsi dai recettori dei sensi al sistema nervoso centrale, mentre le fibre dei nervi motori trasmettono impulsi dal sistema nervoso centrale ai muscoli e alle ghiandole. Tutti i nervi spinali e la maggior parte dei nervi craniali sono nervi

447

Page 448: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

misti, che contengono insieme fibre motorie e sensorie. I nervi simpatici e parasimpatici controllano le funzioni involontarie, come per esempio il respiro e il battito cardiaco. Sinapsi Punto di congiunzione in cui un impulso nervoso passa dall'estremità terminale di un assone a un neurone, a una cellula muscolare oppure a una cellula ghiandolare.

Steroidi Composti organici facilmente solubili (lipidi) che s'incontrano allo stato naturale nel regno vegetale e animale e svolgono molte funzioni importanti sul piano funzionale. Gli steroidi sono molto vari e comprendono molecole come il colesterolo, tutti gli ormoni sessuali e gli ormoni adrenocorticali (corticosteroidi). Gli ormoni sessuali sono necessari per molti aspetti della riproduzione e della funzione sessuale, mentre gli ormoni adrenocorticali agiscono soprattutto sul metabolismo dei carboidrati e delle proteine. Gli steroidi ormonali agiscono tramite recettori posti non sulla superficie della cellula, ma in profondità, nel nucleo, dove regolano la trascrizione dei vari geni. Sotto questo aspetto si differenziano dai neurotrasmettitori e dalle sostanze informazionali peptidiche, le quali agiscono rapidamente sui recettori alla superficie della cellula.

VIP Peptide intestinale vasoattivo, un peptide composto da ventotto amminoacidi, identificato per la prima volta in tessuti ricavati dall'intestino. Assolve molte funzioni, fra cui quella di ormone della crescita per i linfociti T4 e per alcuni neuroni cerebrali. Inoltre svolge un ruolo nella digestione, nell'erezione del pene e nella regolazione della pressione sanguigna.

448

Page 449: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Consigli per la lettura

Di solito scrivo nello stile comune agli scienziati, che comporta una media dicinquanta citazioni ogni cinque pagine di testo e una documentazioneimplacabile, che si estende a ogni minimo dettaglio. Sono quindi riconoscenteall'editore, che mi ha concesso il piacere di assumere un atteggiamento piùflessibile, e per questo libro ho scelto uno stile divulgativo che mi consentedi realizzare la migliore forma di comunicazione possibile, anzichéabbagliare i lettori con lo sfoggio di una ricca documentazione relativa aidee che richiedono centinaia di citazioni per dimostrare una perfettapadronanza della materia. Poiché purtroppo non mi è possibile adottare unaformula intermedia, con qualche nota inserita a piè di pagina per ognicapitolo, l'elenco di libri che fornisco di seguito non è tanto una bibliografia- visto che nel corso degli anni ho consultato un numero ben più nutrito dilibri e articoli scientifici per ottenere le informazioni che espongo nel testo- quanto una serie di letture raccomandate che si riferisce a libri (in generedi contenuto non troppo tecnico) che mi sono sembrati di gradevole lettura,ricchi di informazioni o significativi;si tratta in particolare di libri che holetto, o riletto, di recente. Inoltre cito anche alcuni dei miei articoliscientifici.

ACHTERBERG, JEANN, Woman as Healer, Boston, Shambhala, 1992.ADER, ROBERT, DAVID FELT e NICHOLAS COHEN

Psychoneuroimmunology, San Diego, Academie Press, 19912.Advances.Joumal of the lnstitute for the Advancement 0f Health (Institute

for the Advancement of Health, 16E. 53rd St., New York, NY 10022).449

Page 450: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

BAILEY, COVERT, The New Fit or Fat, Boston, Houghton Mifflin, 1991.BENSON, HERBERT, con MARG STARK, Timeless Healing: The Power andBiology of Belief, New York, Scribner, 1996 (trad. it. Credere per poterguarire, Milano, Sperling & Kupfer, 1997).BENTOV, LTZHAK, Stalking the Wild Pendulum: On the Mechanics ofConsciousness, New York, Bantam Books, 1979.BERRY, LI,NDA, Internal Cleansing: Rid Your Body of Toxins, Rochlin, Calif.,Prima Publishing, 1997.BORYSENKO, ]OAN, Minding the Body, Mending the Mind, Carlsbad, Calif.,Hay House, 1987 (trad. it. Guarire con la mente, Milano, Sperling & Kupfer,19962).BORYSENKO, ]OAN e MIROSLAV, The Power of the Mind to Heal,Carlsbad, Calif., Hay House, 1994 (trad. it. Perché la mente guarisce, Milano,Armenia, 1999).BRIGHAM, DEIRDRE DAVIS, Imagery for Getting Well: ClinicalApplications of Behavioral Medicine, New York, W.W. Norton & Company,1994.BROWN, MELANIE, in collaborazione con VERONICA BUTLER e NANCY

LONSDORF, A Woman's Best Medicine, New York, Jeremy P.Tarcher/Putnam, 1993.CANNON, WALTER B., The Wisdom of the Body, New York, W.W. Norton,1931.CAPRA, FRlTJOF, The Tao of Physics: An Exploration of the ParallelsBetween Modern Physics and Eastern Mysticism (edizione riveduta), NewYork, Bantam, 1984 (trad. it. Il Tao della fisica, Milano, Adelphi, 19887).-, The Web of Life, New York, Doubleday, 1996.CHOPRA, DEEPAK, Ageless Body, Timeless Mind: The Quantum Alternativeto Growing Old, New York, Harmony, 1993 (trad. it. Corpo senza età, mentesenza tempo, Milano, Sperling & Kupfer, 19942).-, Quantum Healing: Exploring the Frontiers of Mind/Body Medicine, NewYork, Bantam, 1989 (trad. it. Il guaritore interno, Milano, Sperling & Kupfer,1990).CLIFFORD, TERRY, Tibetan Buddhist Medicine and Psychiatry: The

Diamond Healing, York Beach, Maine, Samuel Weiser, 1984 (trad. it.450

Page 451: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Medicina tibetana del corpo e della mente: la guarigione di Diamante, Roma,Edizioni mediterranee, 1991).COLEMAN, WIM, e PAT PERRIN, Marilyn Ferguson's Book of PragMagic,New York, Simon & Schuster, 1990.CONNELLY, DIANNE M., All Sickness Is Home Sickness, Columbia, Md.,Centre for Traditional Acupuncture, 1986.COUSINS, NORMAN, Anatomy of an Illness, New York, Bantam, 1981 (trad.it. La volontà di guarire: anatomia di una malattia, Roma, Armando, 1982).-, Head First: The Biology of Hope, New York, Dutton, 1989.DACHER, ELLIOTT S., Whole Healing: A Step-by-Step Program to ReclaimYour Power to Heal, New York, Dutton, 1996.DARWIN, CHARLES, The Expression of the Emotions in Man and Animals,New York, The Philosophical Library, 1955 (trad. it. L'espressione delleemozioni nell'uomo e negli animali, Torino, Boringhieri, 1982).DAWKINS, RICHARD, The Selfish Gene, Oxford, Oxford University Press,1976 (trad. it. Il gene egoista: la parte immortale di ogni essere vivente,Milano, Mondadori, 1995).DIENSTFREY, HARRIS, Where the Mind Meets the Body: Type A, the

Relaxation Response, Psychoneuroimmunology, Biofeedback, Neuropeptides,Hypnosis, Imagery - and the Search for the Mind's Effects on PhysicalHealth, New York, HarperCollins, 1991.DOSSEY, LARRY, Healing Words: The Power of Prayer and the Practice ofMedicine, San Francisco, HarperCollins, 1993 (trad. it. Guarire con lapreghiera, Milano, Rizzoli, 1996).-, Prayer Is Good Medicine: How to Reap the Healing Benefits of Prayer,San Francisco, HarperCollins, 1996 (trad. it. Il potere curativo della

preghiera [Trezzano sul Naviglio], Red, Studio Redazionale, 1997).DYCHTWALD KEN, Bodymind, New York, Putnam, 1977 (trad. it. Psicosoma:le vie orientali e occidentali all'autoconsapevolezza, alla salute e allo sviluppopersonale, Roma, Astrolabio, 1978).EDDY, MARY BAKER, Science and Health with a Key to the Scriptures,Boston, First Church of Christ, Scientist, 1934.EKMAN, PAUL, e R,ICHARD ] DAVIDSON (a cura di), The Nature of

Emotion: Fundamental Questions, New York, Oxford University Press, 1994.451

Page 452: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

EPSTEIN, DONALD M., con la collaborazione di NATHANlEL ALTMA,The

Twelve Stages of Healing: A Network Approach to Wholeness, Novato/SanRafael, Calif., AmberAllen/New World Library, 1994.FIELDS RICK, con la collaborazione di PEGGY TAYLOR, REX WEYLER e

RICK INGRASCI, Chop Wood Carry Water. A Guide to Finding SpiritualFulfillment in Everyday Life, Los Angeles, Jeremy P. Tarcher, 1984.The Gawler Foundation: «Mind, Immunity and Health», Atti della TerzaConferenza Internazionale, Victoria, Australia, 1997.-, «The Mind-Body Connection», Atti della Seconda ConferenzaInternazionale, Victoria, Australia, 1996.GORDON, JAMES S., Manifesto for a New Medicine: Your Guide to HealingPartnerships and the Wise Use of Alternative Therapies, New York,AddisonWesley, 1996.GREEN, ELMER, e ALYCE, Beyond Biofeedback, New York, Delta, 1977.HARMAN, WILLIS, Global Mind Change: The Promise of the Last Years ofthe Twentieth Century, San Francisco, Institute of Noetic Sciences, 1988.HlRSHBERG, CARYL Ee MARC LAN BARASCH, Remarkable Recoveries, NewYork, Putnam, 1995 (trad. it. Guarigioni straordinarie. Milano, Mondadori,19973).The Institute of Noetic Sciences, in collaborazione con William Poole, The

Heart of Healing, Atlanta, Turner Publishing, 1993.]AHNKE, ROGER, The, Healer Within, San Francisco, HarperCollins, 1997.]ANOV, ARTHUR Why You Get Sick, How You Get Well: The Healing Powerof Feelings, West Hollywood, Dove, 1996.]OHNSON, DON HANLON, Body, Sport and Democracy, Berkeley, NorthAtlantic Books, 1993.]UDD, NAOMI, Love Can Build a Bridge, New York, Villard Books, 1993.]UNG. C.G., Memories, Dreams, Recollections, New York, Pantheon Books,1963.]USTICE, BLAIR, Who Gets Sick: How Beliefs, Moods, and Thoughts

Affect Your Health, New York, Putnam, 1987.KABAT-ZINN, ]ON, Full Catastrophe Living: The Relaxation and StressReduction Program of the University of Massachusetts Medical Center,

452

Page 453: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

New York, Delacorte Press, 1990 (trad. it. Vivere la meditazione come

terapia, Como, Red, 1993).-, Wherever You Go, There You Are, New York, Hyperion, 1994 (trad. it.Dovunque tu vada, ci sei già, Milano, Corbaccio, 1990/).KANIGEL, ROBERT, Apprentice to Genius: The Making of a ScientificDynasty, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 1986, 1993.KNASTER, MIRKA, Discovering the Body's Wisdom, New York, Bantam,1996.KRIPPNER, STANLEY e PATRICK WELCH, The Spiritual Dimensions of

Healing, New York, Irvington, 1992.KUHN. T.S., The Structure of Scientific Revolutions, Chicago, University ofChicago Press, 1970.KUNZ, DORA (a cura di), Spiritual Healing: Doctors Examine Therapeutic

Touch and Other Holistic Treatments, Wheaton, III., Quest, 1995.LEDOUX, ]OSEPH, The Emotional Brain, New York, Simon & Schuster, 1996(trad. it. Il cervello emotivo, Milano, Baldini e Castoldi, 19992).LEE. ]OHN R, con la collaborazione di VIRGINIA HOPKINS, What YourDoctor May Not Tell You About Menopause, New York, Warner, 1996.LOCKE, STEVEN, e DOUGLAS COLLINGS, The Healer Within, New York,Dutton, 1986 (trad. it. Il guaritore interno: la nuova medicina della mente edel corpo, Firenze, Giunti, 1990).LOVE, SUSAN, Dr. Susan Love's Book of Hormones: Making InformedChoices About Menopause, New York, Random House, 1997.MACLEAN, PAUL D., The Triune Brain in Evolution: Role in PaleocerebralFunctions, New York, Plenum Publishing Corporation, 1990 (trad. it. dellaprima edizione Evoluzione del cervello e comportamento umano: studi sulcervello trino, Torino, Einaudi, 1984).MOSS, RICHARD, The Second Miracle: Intimacy, Spirituality, andConscious Relationships, Berkeley, Celestial Arts, 1995.MOYERS, BlLL, Healing and the Mind, New York, Doubleday, 1993.MURRAY, MICHAEL, Natural Alternatives to Over-the-Counter andPrescription Drugs, New York, William Morrow and Company, 1994.NORTHRUP, CHRISTIANE, Women's Bodies, Women's Wisdom: CreatingPhysical and Emotional Health and Healing, New York, Bantam, 1994.

453

Page 454: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

OPPENHEIM, JANET, Shattered Nerves: Doctors, Patients and Depression

in Victorian England, New York, Oxford University Press, 1991.ORNISH, DEAN, Dr. Dean Ornish's Program for Reversing Heart Disease,New York, Random House, 1990.-, Eat More, Weigh Less: Dr. Dean Ornish's Life Choice Program for LosingWeight Safely While Eating Abundantly, New York, Harper-Collins, 1993.PELLETIER, KENNETH, Sound Mind, Sound Body: A New Model for Life-long Health, New York, Simon & Schuster, 1994.ROSSI, ERNEST LAURENCE, Dream and the Growth ofPersonality:Expanding Awareness in Psychotherapy, New York,Brunnes/Mazel, 1972, 1985.-, The Psychobiology of Mind/Body Healing: New Concepts of TherapeuticHypnosis, New York, A Norton Professional Book, 1993.ROSSI, ERNEST LAURENCE (a cura di), The Collected Papers of Milton H.Erickson on Hypnosis, Vol. II, New York, Irvington Publishers, 1980, 1989.RUBIK, BEVERLY, The Interrelationship Between Mind and Matter,Philadelphia, The Center for Frontier Sciences, Temple University, 1989.SIEGEL, BERNIE, Love, Medicine and Miracles: Lessons Learned AboutSelf-Healing from a Surgeon's Experience with Exceptional Patients, NewYork, HarperCollins, 1986 (trad. it. Amore, medicina e miracoli, Milano,Frassinelli, 19882).SIMONTON, OSCAR CARL, E REID HUDSON, The Healing Journey, NewYork, Bantam, 1994.SIMONTON, OSCAR CARL, STEPHANIE MATTHEWS-SIMONTON, e

JAMES L. CREIGHTON, Getting Well Again, New York, Bantam, 1992 (trad.it. della prima edizione Stare bene nuovamente: educarsi a vincere il cancro

e lo stress. Una guida utile per pazienti medici e familiari, Milano, Nord-Ovest, 1981).SNYDER, SOLOMON H., Drugs and the Brain, New York, ScientificAmerican Library, 1996 (trad. it. della prima edizione Farmaci droghe ecervello, Bologna, Zanichelli, 1989).TEMOSHOK, LYDIA, e HENRY DREHER, The Type C Connection, New York,Random House, 1992.

454

Page 455: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

THONDUP, TULKU, The Healing Power of Mind: Simple Meditation

Exercises for Health, Well-Being and Enlightenment, Boston, Shambhala,1996.UPLEDGER, JOHN, Somato-Emotional Release and Beyond, Palm BeachGardens, Fl., UI Publishing, 1990.WALLACE, ROBERT KEITH, The Physiology of Consciousness, Iowa,Maharishi International University Press, 1993 (trad. it. Fisiologia dellacoscienza: come la fisiologia vedica Maharishi e l'ayurveda Maharishi, suaapplicazione pratica, possono risolvere i problemi di salute individuali,Milano, Tecniche Nuove, 1998).WEIL, ANDREW, Spontaneous Healing: How to Discover and Enhance Your

Body' s Natural Ability to Maintain and Heal Itself, New York, Knopf, 1995(trad. it.: Guarire da soli. Guida alla salute naturale, Milano, Mondadori,1996).WIELAND, THEODOR, e M. BODANSZKY, The World of Peptides: A BriefHistory of Peptide Chemistry, New York, Springer-Verlag, 1963.WILSON, EDWARD O., On Human Nature, Cambridge, Mass., HarvardUniversity Press, 1978 (trad. it. Sulla natura umana, Bologna, Zanichelli,1980).ZUKOV, GARY, The Dancing Wu Li Masters: An Overview of the New

Physics, New York, Bantam, 1979.

Articoli scientifici selezionati

PERT, CANDACE B., e SOLOMON H. SNYDER, «Opiate Receptor:Demonstration in Nervous Tissue», in Science 179 (marzo 1973).PERT, CANDACE B., et al., «Neuropeptides and Their Receptors: A

Psychosomatic Network», in Journal of Immunology 135, n. 2 (agosto 1985).PERT, CANDACE B., «The Wisdom of the Receptors», in Advances 3, n. 3(estate 1986); ristampa in Noetic Sciences Review (primavera 1987),Institute of Noetic Sciences, Sausalito, Calif.

455

Page 456: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

PERT, CANDACE B., et al., «Octapeptides deduced from the neuropeptide receptor-like pattern of antigen T4 in brain potently inhibit human immunodeficiency virus receptor binding and T-cell infectivity», in Proceedings of the National Academy of Sciences USA 83 (1986), 9254-9258. RUFF, MICHAEL, e CANDACE B. PERT, «Small cell carcinoma of the lung: macrophage-specific antigens suggest hemopoietic stem cell origin», in Science 225 (1984), 1034-1036. RUFF, MICHAEL, e CANDACE B. PERT, «Neuropeptides Are Chemoattractants for Human Monocytes and Tumor Cells: A Basis for Mind-Body Communication», in Enkephalins and Endorphins: Stress and the Immune System, a cura di NICHOLAS P. PLOTNIKOFF et al., New York, Plenum Publishing Corporation, 1986.

456

Page 457: Candace B. Pert - Molecole Di Emozione

Ringraziamenti

Ho l'impressione che il progetto di questo libro sia in cantiere da un'eternità. A quanto pare, per giungere a compimento doveva attendere (o scatenare?) delle trasformazioni radicali nell'universo, o almeno nella mia unità corpo/mente. Per tutto questo ringrazio Dio, che si è manifestato sotto forma di devoti angeli professionisti, il cui contributo è stato decisivo per la pubblicazione del libro. Sarò grata per sempre a Susan Moldow, per l'aiuto che mi ha offerto con l'entusiasmo e la lucidità della sua visione, assicurandomi un'ispirazione inesauribile e infondendomi energia; a Nancy Griffith, vecchia amica, scrittrice e consulente nel campo dell'autocoscienza, che mi ha aiutata a esporre le mie idee in modo comprensibile; a Beth Rashbaum, che mi ha sospinto verso vette più alte di chiarezza e coerenza; a Muriel Nellis, la mia fata madrina, l'agente migliore e più straordinario che esista al mondo; a Jane Roberts, per l'intuito dimostrato nel costante aiuto che mi ha fornito in tutte le forme possibili; e a Bernardo Issel, per il fondamentale aiuto bibliografico e le manifestazioni angeliche con le quali mi ha soccorso nei momenti più critici.

457