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L’etica nel Medioevo – Protagonisti e percorsiItalo Sciuto

IntroduzioneVista la grande durata del medioevo (1000 anni) è difficile focalizzare un punto centrale del pensiero sviluppato in questo arco temporale. In molti tendono a definire questo periodo come quello della “filosofia cristiana”, ma non sono trascurabili pensatori ebraici o islamici come Avicenna. Sicuramente uno dei temi centrali è caratterizzato più che altro dalla religiosità e un’analisi della morale e dell’etica. Protagonista del pensiero medievale è Aristotele, che con la riscoperta dei suoi scritti etici, metafisici e politici ha posto molte domande ai pensatori di quel tempo, specie nella relazione di uomo-Dio-natura. Altro pensatore fondamentale che ha gettato le basi di una grande struttura teologica è Agostino e da lui anche tutta la tradizione monastica. Aberaldo costituisce invece la voce che va contro il coro, con le sue intuizioni brillanti e in pieno contrasto con i dogmi ecclesiastici. Assieme a lui si accodano successivamente Guglielmo di Ockham o Bonaventura da Bagnoregio.

Capitolo 1: L’eredità del mondo anticoPer capire tutto il pensiero medioevale è necessario partire da coloro che hanno gettato le basi di tutto il pensiero teologico che seguirà per circa mille anni: Agostino e Boezio. Pur se molto diversi tra loro, questi due pensatori hanno un tratto comune: l’impronta neoplatonica che hanno dato ai loro scritti, che influenzerà tutto il mondo cristiano e non.

Agostino D’Ippona ( 354-430) – Agostino e la via dell’interiorità (p.7)Agostino se pur si colloca cronologicamente prima dell’inizio del Medioevo va introdotto per la sua enorme importanza. Difatti è considerato l’autorità più importante dopo la Bibbia e uno dei massimi Padri della Chiesa. Il suo merito principale è quello di aver trasmesso il concetto di bene antico all’interno dei concetti cristiani, modificandolo e plasmandolo. In particolare dai platonici e neoplatonici prende il concetto di ricerca del Sommo Bene come meta della filosofia. Ma il Sommo Bene è solo Dio e quindi il vero filosofo è chi ama Dio. Agostino afferma che la felicità è ben distante dai piaceri corporei e dei beni terreni e solo questa ricerca verso l’Alto può davvero compiacere l’uomo. Critica le vecchie filosofie in quanto ritenevano che la felicità si raggiunge in una vita di virtù, ma questo per Agostino non è sufficiente, la filosofia deve portare ad avere Dio. A differenza del platonismo, che vedeva solamente una via oggettiva della ricerca, ovvero un sommo bene dato e universale, Agostino aggiunge anche un punto di vista soggettivo. Non solo è giusto ricercare il sommo bene e adeguare il proprio agire ad esso (tramite le virtù), ma è fondamentale desiderarlo, quindi prende molta importanza l’intenzione con cui si perseguita il sommo bene. Le intenzioni sono forse più importanti delle azioni stesse. L’uomo è filosofo per una felicità individuale. Non è sufficiente la ragione umana per condurre una vita giusta all’interno della morale, è necessaria la fede che ci indirizzi. Questa è la grande rottura con il mondo classico. In Agostino la visione è teocentrica, in quanto tutto deriva e tende a Dio, ma allo stesso tempo antropocentrica, poiché l’uomo è attivamente protagonista delle sue scelte attraverso il libero arbitrio. Celebre è infatti il suo motto preso ad esempio come sintesi di questi due mondi, oggetti e soggettivo, nonostante l’abbia pronunciata una sola volta: “ama e fai ciò che vuoi”. Con questo non vuole intendere che dato l’amore di Dio, tutto il resto non ha valore, ma semplicemente che dato l’amore per Dio consegue tutto il resto, ogni azione. Non può esistere infatti cattiva intenzione e una mala azione se si ama realmente

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Dio. Questa sintesi può essere individuata nel concetto di carità, ovvero del tendere verso il prossimo spontaneamente per amore di Dio e non per ingraziarselo o nel timore della sua ira.Agostino conserva una certa continuità con la tradizione classica di cui ha molto rispetto, ma giudica i filosofi pagani come virtuosi, ma mai completi, in quanto manca la finalità del sommo bene inteso come Dio. Agostino è fondamentale anche per il suo pensiero politico. Egli intende la realtà come su due piani, uno che è quello della città umana, l’altra la Città di Dio, alla quale si accede solamente con le azioni terrene. In questo contesto a livello politico è necessario che si rispetti la giustizia, condizione necessaria per la giusta vita degli uomini. La giustizia deve preservare i principi e i valori, ma sempre che tendono verso Dio e non per dei beni materiali e terreni; critica infatti l’impero romano, che seppur glorioso e colmo di gesta eroiche e rigorosa giustizia (prendendo come esempio Cicerone) è sempre stato propenso al dominio e al fine di una vita gloriosa e prestigiosa terrena. Si ritroverà anche a criticare parti della chiesa per questo, ammettendo comunque che senza la Chiesa non è possibile la salvezza.Per rispettare la giustizia Agostino ammette l’uso della forza e coercizione da parte del Governo in determinate condizioni, visione sostenuta e mantenuta per tutto il medioevo, seppur ritenuta a volte sconvolgente. La teoria che porta a tale conclusione è sempre quella della carità. Ne è un esempio un’epistola che scrisse a un monaco che voleva abbandonare la Chiesa in virtù del libero arbitrio (“Nessuno è obbligato al bene”). Agostino risponde che in realtà è possibile obbligare con la violenza tale monaco a non abbandonare la Chiesa non come imposizione cieca, ma per carità, ovvero per amore del monaco che si sta facendo del male la Chiesa non solo è autorizzata, ma DEVE aiutare colui che ha perso la strada giusta, in tutti i modi. Il discorso si estende anche alla guerra, poiché per amore della pace essa può risultare necessaria. Se la guerra è mossa a propositi di amore e pace e quindi di gratificare Dio è giustificata, nonostante ammette che “se ci fossero solo santi, la guerra non sarebbe necessaria”. Il discorso vale anche per l’omicidio, che è oltraggioso, ma talvolta necessario per preservare l’ordine. Il soldato che uccide per amore della pace non è punibile, ma anzi lodevole. Anche nella guerra però si devono rispettare i valori morali, ad esempio si deve mantenere sempre la parola data (anche col nemico) e non si deve mai mentire, neppure per salvare una vita (mentire colpisce l’anima, che è più importante rispetto al preservare un corpo). L’unico omicidio che Agostino non ammette mai è quello verso sé stessi, in quanto il suicidio è piuttosto “il non avere la forza delle disavventure piuttosto che l’onore di fronte a Dio”.Questa concezione verrà applicata per gran parte del Medioevo, a partire da Costantino, dove arruolarsi nell’esercito diventa arruolarsi in nome di Cristo.

L’etica neoplatonica di un aristotelico: Boezio e la filosofia come consolazione (p.23)Boezio produce le sue opere circa cento anni dopo Agostino e seppur la sua cultura degli scritti greci fosse superiore, resta comunque fedele alla filosofia platonica e stoica. Boezio non solo è importante per le sue traduzioni greche in latino, con l’intenzione di diffonderle, ma soprattutto per i suoi scritti, anch’essi influenti drasticamente in tutto il pensiero medievale. Boezio verrà ripreso soprattutto da quei pensatori logici, che tramite la ragione vogliono comprendere gli schemi teologici. Fondamentale è anche la parte etica, a partire dal concetto di “persona”, che Boezio definisce “sostanza individuale di natura razionale”. Il suo approccio metodologico è quello di enunciare principi metafisici a partire da nozioni comuni, universalmente riconosciute. Riprende il concetto agostiniano che tutto è ontologicamente bene, in quanto create dal sommo bene che è Dio, ma aggiunge che solo in Dio giusto e bene coincidono. Nell’uomo bene è un qualcosa di interiore e giusto di esteriore, ma non sempre coincidono.

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Il “problema del male” viene di risolta da Boezio affermando la sua impotenza e non essenza, ovvero il male è solamente il non-bene. Non è un qualcosa di esistente, ma piuttosto la non essenza del bene. Boezio ha contribuito drasticamente alla formazione della “scoperta” dell’individuo, col suo soggettivismo. Determinante è anche la “consolatio” filosofica, ovvero la filosofia come strumento per il raggiungimento della felicità tramite virtù rivolte a Dio, raggiungibile però in questa Terra solo imperfettamente, e attesa solo nel trascendere con la beatitudine.

Capitolo 2: Il monachesimo e l’età di Gregorio MagnoPer Monachesimo in questo capitolo si intende quello Benedettino, movimento monastico importantissimo che si impone su tutti gli altri ordini grazie al verbo di Benedetto da Norcia.

1: La fuga dal mondo e l’auto perfezionamento mediante ascesiIl monastero era visto dai benedettini come un luogo isolato, quasi una anti-città, in quanto nasce proprio come antitesi a una vita indegna, tipica della città. In particolare riprendono il concetto del “conosci te stesso” e dell’auto perfezionamento in vista del premio celeste. Si accertano che una sana tradizione cristiana sopravviva paradossalmente proprio in risposta al potere sempre crescente della chiesa, a dir loro troppo concentrata sui beni temporali. Tramite questa vita isolata, essi sperano di scoprire sé stessi e di compiacere Dio in questa vita, raggiungendo la beatitudine dopo. La non curanza del mondo da parte del monastero è in contrasto con le idee iniziali che prevedevano tra le altre cose anche la missione di cristianizzazione. Questo perché, oltre al rifiuto della società, la vita monacale è intesa come una via privilegiata per conoscere Dio, ma attraverso sé stessi. Serve un metodo e delle regole ben precise, perché il peccare è un’offesa a Dio e se il monastero, che vive solo per la purificazione, viene intaccato anche da un peccato minore, esso deve essere punito severamente. Il lavoro e la povertà nonché la totale obbedienza all’abate sono tutti strumenti che puntano alla purificazione totale con l’abbandono dell’attaccamento materiale. È paradossale come questo principio diventi in realtà motivo di crisi in futuro. Da fulcro individualistico e ascetico, il monastero prende sempre più potere e ricchezza, sia dal punto di vista politico che come guida spirituale; seguendo il principio di aiutare chi vive nel male. La regola Benedettina in effetti lascia spazio a vivere seguendo diverse modalità, l’unici punto comune è l’auto perfezionamento e la ricerca di Dio, la convinzione che nella vita monastica si possa assaporare Dio. I monaci infatti si sentono figli spirituali dei martiri, o ancor meglio, in quanto il loro martirio non è consumato in un giorno glorioso, ma vige una vita intera. Al pari di Cristo è visto l’abate, fulcro di tutto il monastero che può prendere decisioni indiscutibili e affliggere punizioni corporali severe, ma mai con scopo punitivo, bensì migliorativo. Il concetto di “fuga dal mondo” è rafforzato anche con l’idea generale dell’imminente fine del mondo che quindi aumenta verso di lui il disprezzo. Ma la vita eremitica o ascetica non deve essere una negazione o fuga dal male, ma piuttosto una positiva scelta mossa dalla volontà di assaporare Dio.Importante è anche la figura del monachesimo femminile, unico vero campo in cui la donna si sia potuta esprimere liberamente, anche se molte leggi sono solamente trasposizioni o imitazioni di quelle maschili e spesso scritte da uomini, nei monasteri femminili si esalta la donna per le sue doti e caratteristiche personali (un esempio è Eloisa nelle sue lettere con l’amante Aberaldo).

2: L’etica del lavoro

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Il lavoro è considerato un’attività nobile, in contrasto col pensiero platonico e aristotelico. Ma il lavoro non viene privilegiato ai fini della produttività o come valore in sé, bensì in contrapposizione con l’ozio, uno dei vizi dell’anima più pericolosi. Il lavoro è quindi una semplice pratica che ricorda ai monaci di essere umili e non oziosi, un’opera per l’anima. Al contempo va ammesso che la produttività dei monasteri, dal punto di vista economico, fu una risorsa irrinunciabile e che con l’adoperarsi costante molte tecniche pratiche sono state affinate.

3: I valori monastici, vizi e virtùLe regole all’interno del monastero sono ferree e numerose, ma seguono una certa gerarchia. La virtù più importante è quella dell’umiltà. La mancanza di questa virtù implica l’impossibilità di giungere a Dio e rende difficile il presentarsi anche delle altre virtù minori. Altra virtù fondamentale è quella del silenzio, poiché più si parla più si incorre nel peccato e meno si è in grado di ascoltare. Ultima virtù fondamentale è quella dell’obbedienza, che nella vita monastica si traduce come una totale devozione all’abate, che può ordinare anche cose contrarie ai suoi insegnamenti, ma non devono essere discusse, in quanto egli rappresenta Dio. Tra i vizi puniti con maggiore vigore sono la superbia, la disobbedienza, il non temere Dio, il non temere l’Inferno, non reprimere la propria volontà, appagare i desideri della carne. Tra le molte regole infatti ci sono persino restrizioni dettagliate sull’uso del cibo.

4: Gregorio Magno dottore del desiderio e della fede operante nell’amore Gregorio Magno è un’altra figura fondamentale del medioevo, capace di influenzare il pensiero dei suoi postumi per secoli, in particolare rivoluzionerà i principi alla base della vita monastica.Gregorio I proviene da una famiglia nobile romana, ma nonostante la ricchezza mostra un fortissimo interesse per la vita ascetica tipica dei benedettini. Costruisce molti monasteri in Sicilia e fa del suo stesso palazzo a Roma un monastero. Notato dal papa Palagio II presta servizio ad oriente presso di lui e tornato a Roma viene eletto papa. Da qui iniziano le fondamentali rivoluzioni di questo personaggio molto energico e attivo. Una sua caratteristica è quella di saper fondere varie correnti di pensiero, i particolare approva la vita ascetica e la ricerca di sé stessi, ma vede importante anche il diffondere la cristianità e riconosce l’importanza dell’agire nel mondo piuttosto che rifiutarlo. Anche in questo segue una specifica gerarchia, la vita pratica è importante, ma non tanto quanto la contemplazione spirituale, che però viene dopo una prova di tipo pratico. Non si giunge infatti direttamente alla vie dello spirito. Convinto dell’importanza della Chiesa come guida spirituale, ammette che prima di saper comandare si deve saper obbedire. Questa subordinazione a Dio (ma non solo) verrà più volte rimarcata nelle sue opere. Innovativo è anche il concetto di desiderio, in genere disprezzato. Gregorio lo intende come una tensione verso Dio, il motore che ci permette di avvicinarci a lui; ovviamente i desideri peccaminosi o libidinosi sono male, ma quelli che tendono verso la conoscenza di sé stessi al fine di trovare Dio o quelli di compiacerlo vanno accolti. Quando parla di peccati, pone quelli dello spirito come più gravi rispetto a quelli del corpo. Gregorio si dimostra molto aperto e positivo anche con i pagani, che afferma di voler cristianizzare e unificare ma non uniformare e conquistare. Si dedica infatti anche al concetto di giustizia, che da una parte (da Romano) giudica fondamentale e nel ruolo di guida, dall’altra mette in guardia il popolo dalla sua corruzione.Quando parla di carità nel donare ai poveri ciò di cui hanno bisogno afferma che non è quella carità, bensì una restituzione, non si sta facendo un dono, ma della giustizia. Giusti sono infine anche coloro che disprezzano il mondo e non si concedono alcun piacere, dando priorità ai piaceri spirituali con grande forza e determinazione. Per questa sua natura giusta e moderata, colma di amore ed equilibrio, Gregorio gode di

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grande fama e considerazione per tutto il medioevo (con eccezione fatta per Aberaldo) e viene visto come una preziosa guida spirituale.

Capitolo 3: Il rinnovamento carolingio e Giovanni Scoto Eriugena (p59)Tra Gregorio Magno e Carlo Magno passano circa due secoli che quasi legittimano l’idea di “buio” medioevo. Effettivamente mancano totalmente scritti o pensieri originali che valga la pena menzionare, se non per qualche rara eccezioni in ogni caso non dirompente. Una vera rinascita scoppia improvvisamente con l’opera unificatrice di Carlo Magno, grazie soprattutto all’idea ripresa da Boezio che non si può condurre nessun pensiero sensato senza un buon uso della dialettica.

1: Alcuino e il rinnovamento culturale dell’idea imperialeAlcuino è un monaco anglosassone cruciale per il progetto di Carlo Magno, che lo chiama affinché costruisca le basi dell’organizzazione dell’insegnamento. Alcuino da molta importanza alla grammatica e alla dialettica e ridà importanza anche ad autori pagani che ritiene abbiano contribuito alla formazione della giusta morale umana, come Seneca e Cicerone. Seppur in questo periodo mancano produzioni significative, si comincia a vedere un principio di rinascita culturale. È da dire che in quel tempo un’idea diffusa riguardo le produzioni proprie era quella di “non voler superare i padri”, si tende infatti a considerare questo periodo come fatto di testi “enciclopedici”, anche se non mancano eccezioni riguardanti soprattutto l’etica. Le arti liberali prendono importanza in quanto considerate da Alcuino necessarie per comprendere la Bibbia, che tra l’altro riscrive in una unica sintesi viste le molte variazioni che circolavano all’epoca.

2: Le controversie dell’età carolingiaUn vero salto intellettuale si ha con Giovanni Scoto detto Eriugena (ovvero nato in Irlanda). Questo importantissimo pensatore non nasce dal nulla, ma da un contesto frizzante e controverso su molte questioni. In quel tempo alcune tematiche risultavano particolarmente complicate e conflittuali, come ad esempio l’anima o il libero arbitrio. Sull’anima alcuni concetti sono universalmente accettati, come la sua Immortalità, altri sono protagonisti di controversie, come il rapporto tra corpo-anima o sulla creazione da parte di Dio di tutte le anima o solo sulla prima anima, poi trasmessa. Rilevante è il distacco dalle idee Agostiniane, che per la prima volta vengono contestate o discusse, anche se continua ad essere considerato un punto di riferimento fondamentale.

3: L’etica neoplatonica e il ritorno all’Uno in Giovanni Scoto Eriugena (p.70)Giovanni Scoto vive presso la corte di Carlo il Calvo, molto attiva intellettualmente. Nel suo pensiero è fondamentale il riferimento Platonico e l’idea dell’Uno. Secondo la cosmologia di Giovanni Scoto vi sono quattro nature. La prima è quella creatrice e non creata, ovvero Dio. La seconda è quella creatrice e creata, ovvero il Verbo di Dio, (sono la Bontà, essenza, vita). la terza natura è quella creata e non creatrice, ovvero il mondo sensibile. La quarta è quella non creata e non creatrice, ovvero il ritorno a Dio. In questa concezione ontologica della natura, Cristo ha salvato non solo l’uomo, che è parte di Dio e della natura, ma ha salvato tutto il mondo; non solo l’uomo, ma anche ciò che vive attorno a lui e in senso più esteso ha salvato sia giusti che malvagi. Non esiste un luogo dove scontare la punizione, il dolore viene dall’eternità del senso di colpa nell’aver offeso Dio, la punizione non è corporale ma spirituale.

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Questa subordinazione del corpo allo spirito si rispecchia anche nel concetto stesso filosofia, che secondo Giovanni Scoto è essenzialmente la religione. La filosofia non può che portare alla religione e la religione non è altro che vera filosofia. Riprendendo l’approccio logico di Boezio, Eriugena sviluppa un vero e proprio metodo filosfico-scientifico, che risolve in quattro passaggi: divisione, definizione, dimostrazione e analisi.Rispetto alla etica Giovanni Scoto non dice molto, ma può essere sotto intesa all’interno della sua visione. Anzitutto ammette la possibilità della deificazione da parte dell’uomo, attraverso una vita dedita alle virtù morali e alla filosofia, ovvero la ricerca della Verità. La deificazione e il raggiungimento pieno della verità è impossibile per l’uomo, che può raggiungere il risultato solamente tramite grazie divina. La volontà deve essere libera affinché l’uomo possa davvero tendere a Dio, quindi si schiera contro quella parte della sua epoca che definisce la vita come predeterminata e quindi mette in discussione il libero arbitrio. In questo caso va anche contro Agostino, che riteneva l’uomo non libero totalmente, in quanto ha compromesso la propria libertà con il peccato originale e la potenza significa anche coercizione per amore del peccatore.Interessante è anche la visione del potere riferito al principe, che soggettivamente è indegno di ricoprire tale ruolo, ma gli si chiede sapienza (in senso morale e etico) in quanto volere di Dio.

Capitolo 4: L’impulso dell’XI secolo e Anselmo D’Aosta (p.81)[…]

1: La riforma di Cluny (p.83)[…]

2: Un secolo di ferro illuminato dalle riforme degli Ottoni e dal sapere di Gerberto (p.84)[…]

3: Il rinnovamento spirituale dell’XI secolo (p.88)[…]

4: La morale della rettitudine e la rifondazione dell’etica cristiana in Anselmo d’AostaAnselmo d’Aosta è un pensatore importantissimo per tutto il medioevo e in parte anche per l’avvenire del pensiero filosofico occidentale. Anzitutto ha la forza di andare contro molti concetti tipicamente cattolici e soprattutto agostiniani, anche senza mai entrarci in conflitto. In particolare sostiene che tramite la ragione è possibile comprendere la religione e anche l’etica, pur senza necessariamente (ma sarebbe bene) perseguire la conoscenza di sé stessi in Dio. Con questa idea rompe anche la continuità con Platone. Riprende però da Agostino i valori etici di giustizia e libertà, accompagnandoli a un termine che sarà centrale per tutto il suo pensiero, ovvero rettitudine. Con rettitudine intende “fare ciò che si deve”. La volontà nel fare ciò che si deve è in Anselmo assoluta, la libertà non vien intesa come in Agostino sul principio del libero arbitrio (indebolito dal peccato originale, dove l’uomo senza l’aiuto della grazie divina sarebbe portato al peccato), ma piuttosto al dover essere un qualcosa perché elevato. L’uomo di Anselmo è in potenza tutto ciò che deve essere. A questo si unisce in concetto di giustizia, intesa nel senso di fare ciò che si deve fare perché si deve e per nessun altro motivo; non per timore o per ricompensa.

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Anche il termine di libertà viene rivoluzionato, Anselmo afferma che libertà come libero arbitrio non è applicabile a Dio o agli angeli, in quanto essi non possono peccare. Quindi il termine libertà deve avere un significato puramente positivo (peccare non lo è) e quindi la intende come la possessione della volontà dell’agire. La rettitudine è così centrale che l’etica di Anselmo si potrebbe intendere come fine in sé stessa. Non bisogna essere mortali se non per la moralità stessa; va fatta giustizia per giustizia. Ne deriva una visione essenziale e intransigente (“nemmeno per salvare il mondo intero bisogna commettere la più piccola colpa”), vietando il compromesso .Questa visione assoluta della rettitudine lascia Anselmo ai margini della vita politica e anche ecclesiastica. È effettivamente un disadattato, ma risponde con decoroso e ascetico silenzio.Solo sulla prima crociata si pronuncerà contrario, accolta invece con grande entusiasmo dalla stragrande maggioranza dei suoi contemporanei; Anselmo la vede nel meglio delle ipotesi come una perdita di tempo. Di certo la crociata non può rientrare in quel senso assoluto di giustizia che si nutra della giustizia stessa, al di là del fine.

Capitolo 5: Il “rinascimento del XII” secolo e la “rivoluzione copernicana” di Aberaldo (p.106)Il XII secolo è ricco di filosofi e teologhi che portano alla “scoperta” o addirittura “nascita” dell’individuo. L’uomo prende una posizione privilegiata nelle scuole di pensiero e viene indagata la sua soggettività. fondamentale in questo periodo è la ricca trattazione dell’etica, riscoperta e considerata da molti una delle ari più importanti o la più importante. Ovviamente non c’è conformità, se da una parte c’è una visione pessimistica dell’uomo in senso agostiniano dall’altra un ottimismo nuovo; La cosa che conta è il contesto ricco e frizzante in cui emergerà tra tutti Pietro Aberaldo, un personaggio chiave di tutto il pensiero medioevale e dell’occidente.

1: La scoperta dell’individuo del XII secoloUn problema tipico di questo secolo che occupato le menti di molti è quello dell’individualità, ovvero come è possibile distinguere l’uomo-singolo dall’uomo-specie. Le risposte sono molteplici. Ciò che interessa è in ogni caso la riscoperta del soggetto all’interno di regole così rigorose e all’interno di una visione cristiana che richiama alla modestia e l’umiltà. È affascinante vedere come molti personaggi brillanti, parlando di sé, provvedono anche alla negazione di sé stessi, ovvero allo sminuire le gesta o i pensiero per non cadere nella superbia o nel narcisismo. Emblematico è ancora Aberaldo anche in questo senso, vittima di una violenza fisica (l’evirazione) e spirituale (la condanna ufficiale del suo pensiero) alle quali risponde con grande forza che sono meritate e dovute alla sfrenata lussuria e un immenso orgoglio filosofico.

2: Concezione tariffaria della colpa e della pena: il penitenziale di Bucardo di Wormshttp://camaleonteroma.wordpress.com/servizi-ai-soci/ (Etica di Aberaldo)

3: Il nuovo paradigma etico di Aberaldo (p.115)http://camaleonteroma.wordpress.com/servizi-ai-soci/ (Etica di Aberaldo)

Capitolo 6: Il difficile incontro con le differenze: Islamismo ed ebraismo

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L’interconnessione tra queste culture non è un semplice scambio, ma nascono dottrine fondanti per ciascuna di queste religioni. Per quella cristiana è importante soprattutto per il sapere medico, scientifico, matematico e astronomico, oltre che etico.

1: L’Etica nella filosofia arabo-islamica (p.125)Le riflessioni filosofiche islamiche derivano soprattutto dai cinque principi su cui fonda questa religione: Pregare 5 volte al giorno in direzione della Mecca, digiunare dall’alba al tramonto durante il mese del Ramadan, visitare la Mecca almeno una volta nella vita, fare la carità ai poveri, professare quotidianamente la religione. Alla base di questi principi si ricerca la ragione e il fine. Va detto che l’approccio islamico è molto scientifico e rivolto all’azione. Un principio fondante è anche quello dell’equilibrio tra azione e pensiero, al punto che l’islamismo si definisce come “nazione che segue il medio cammino”. La virtù riconosciuta come la più importante è quella dell’obbedienza verso il Corano. C’è una fiducia cieca del suo contenuto, le uniche dispute interne sono rivolte all’interpretazione di questo libro; ad esempio il valore di bene assoluto è da una parte visto come vincolante persino per Dio, che quindi fa sempre il bene per le sue creature, dall’altra gli si da piuttosto un tono non oggettivo e incomprensibile che sarà rilevato solo dalla Rilevazione Divina. I primi si affidano alla ragione per raggiungere i giusti principi e valori morali. Anche l’Islam prevede l’ascesi, ma in modo del tutto diverso rispetto ai monaci benedettini, infatti non si deve prescindere mai il dovere verso gli altri e l’importanza nell’azione all’interno della vita sociale e politica e il disprezzo del mondo non è nemmeno contemplato.

1.1: La formazione dell’etica filosofica islamicaI testi platonici e aristotelici sono fondamentali anche per la religione islamica, che li ha potuti contemplare ancor prima dei filosofi medievali. Da Platone prendono il concetto di unità e di anima, da Aristotele il rigore scientifico. Non mancano però pensatori “controcorrente”, come ad esempio al-Razi. Questo medico e filosofo persiano critica i dogmi religiosi che contradditori sono definiti primi di fondamento, così come le rivelazioni dei profeti. Il vero e unico dono divino è la filosofia, tramite la quale si può conoscere e raggiungere la felicità. L’etica, per al-Razi, non è altro che il controllo sulle passioni dell’anima al fine di raggiungere e rispettare la virtù più importante cioè la giustizia.

1.2: L’elaborazione della filosofia orientaleEtica e politica sono quasi sempre accostate nei pensatori arabi grazie all’influenza sempre platonica e aristotelica. Uno dei pensatori più importanti del medio oriente è al-Farabi che tratta questa sintesi: la filosofia è il modello col quale perseguire la felicità e l’agire deve essere rivolto la politica, poiché solamente in una città giusta è possibile essere felici. Il benessere non si raggiunge infatti grazie alla materia, ma anzi nella sua assenza. Riprende Aristotele nell’affermazione che l’uomo è un “animale sociale”.Il più grande pensatore medio orientale è chiamato dai latini Avicenna e la sua filosofia ha influenzato tutti i pensatori medievale, ma non solo. Anche lui parte fortemente da basi platoniche e aristoteliche che riesce a mettere in armonia. Da quest’ultimo prende la finalità dell’agire volta alla felicità perfetta e l’idea che la pratica morale è solamente un esercizio per liberare l’anima dal mondo materiale. Da Platone prende l’idea del male come non-essenza. In senso neoplatonico riprende anche l’idea del “ritorno” a dio tramite la via dell’intelletto. Nonostante tramite l’intelletto è possibile raggiungere la felicità terrena, per Avicenna la vera felicità perfetta è quella ultraterrena, raggiungibile solo tramite la vita morale. Un acerrimo critico di Avicenna è il teologo al-Gazali, che va contro le concezioni generali dei suoi contemporanei. Alla base delle divergenze c’è il suo rifiuto nel considerare i filosofi classici come fonti autorevoli di norme morali. Questo distacco non può che depotenziare la filosofia stessa e l’intelletto come fonte di conoscenza a prescindere da Dio. Difatti la visione teologica è assolutamente centrale in al-Gazali,

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che vede il filosofare come strumento per giungere a Dio; l’etica non è filosofica, ma unicamente islamica. È concorde con l’importanza classica che l’islamismo da all’agire, ma non senza la conoscenza. La conoscenza è prima cosa, ma senza azione resterebbe vuota, mentre l’agire senza conoscenza è vuoto. L’azione diviene fondamentale soprattutto per allontanare l’anima dai suoi impulsi materiali. La scienza è vista positivamente, il frutto della quale è proprio l’agire giusto. Importantissima è anche la diffusione della conoscenza, soprattutto quella teologica, che non è una virtù, ma un servizio reso a Dio. Nonostante questa rigidità, al-Gazali non priva totalmente l’uomo dei piaceri, anzi critica l’ascesi in quanto è rinuncia alla vita. Rimane sempre necessario controllare però i propri vizi e non cedere alla felicità materiale, che non è paragonabile a quella ultraterrena.

1.3: La filosofia in al-AndalusQuasi tutta la filosofia islamica occidentale si sviluppa in al-Andalus (Spagna) e il principale pensatore è quello che i latini chiamano Averroè.Stravagante è la sua concezione “amicale” tra religione e filosofia, che intende come compagni di viaggio che mirano alla felicità dell’uomo (sempre nel senso aristotelico della azione che mira alla felicità). Ci sono infatti tre modi per conoscere: la filosofia per i filosofi, la religione per i teologi e la retorica per la massa. Sono semplici vie diverse dovute dalle differenze all’interno dell’uomo, ma se ci dimentica di questa comune direzioni si creano scontro e “si sa che una ferita inferta da un amico è peggiore di quella inferta da un nemico”. Averroè ha un approccio elitario nella diffusione della conoscenza riferendosi a un passo del Corano che afferma che la massa non capisco a fondo i dubbi superiori ed esporli significherebbe porli nel dubbio. La massa si rapporta al sapiente come un paziente fa col medico. Dal punto di vista etico-politico anche lui segue la tradizione islamica che pone la giustizia al centro di ogni virtù.

2: L’etica ebraica (p.143)Si tende a generalizzare la cultura ebraica medievale come scarsamente interessata alla filosofia. Effettivamente ci sono poche eccezioni che puntano ad un sapere filosofico in quanto l’ebraismo muove sempre da una fortissima fede che subordina ogni altra conoscenza. Molta della filosofia, ad esempio, punta proprio alla conoscenza e interpretazione della Bibbia.

2.1: Istanze della razionalitàA conferma di questa visione, c’è per esempio il concetto di due comandi imposti da Dio comprensibili in due modi diversi: i comandi rivolti all’intelletto (quelli pratici, come non uccidere) e quelli rivolti all’anima (quelli spirituali e riposti nella fede, come il riposo del sabato).

2.2 La prospettiva neoplatonica: Ibn GabriolIbn Gabriol è uno dei pochissimi filosofi ebrei di stampo neoplatonico. In questo pensatore colpisce il suo forte pessimismo che vede l’uomo come un essere colmo di odio e violenza attratto per natura verso il potere del male che lo induce continuamente la peccato. L’unica speranza è la natura dell’anima, che è immateriale e quindi ha possibilità di salvezza, ma bisogna distaccarsi il più possibile dai beni materiali.

2.3: Contro la filosofia (p.150)[…]

2.4: L’Aristotelismo in al-Andalus: Mosè Maimonide

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Maimonide è un pensatore eccezionale e uno dei più influenti nel mondo ebraico in assoluto. È contemporaneo di Averroè e condivide con lui la necessità di unire filosofia e religione. Ritiene che nelle scritture sacre di quest’ultima vi ritrova le più affascinanti dottrine filosofiche. Maimonide afferma di non voler portare novità, ma rifarsi alla tradizione classica, le scritture, i profeti ma anche i filosofi greci, poiché la verità “deve essere accolta, chiunque l’abbia proferita”.Centrale è il tema della libertà che Maimonide considera pienamente esistente per l’uomo. Ogni azione e ogni responsabilità sono opera del soggetto che sceglie liberamene e senza nessuna costrizione divina o esterna, altrimenti non avrebbero alcun senso il premio o il castigo. Questo va contro i pensatori del suo tempo in relazione ai concetto di onniscienza e preveggenza di Dio, ma Maimonide risponde che l’uomo non può comprendere una visione ontologica del mondo.Riprende Aristotele nel concetto di equilibrio e morale, ovvero come pratica per la felicità; tutti gli insegnamenti e le proibizioni delle Scritture servono all’uomo per non eccedere e rimanere entro i giusti binari di condotta. La morale è la cura dell’anima, proprio come un medico conosce le cure per il corpo. Singolare è infine la visione della vita dopo la morte, non concessa a tutti, ma solo ai virtuosi, ovvero coloro che percorrono la via della ragione e dell’intelletto al fine di conoscere Dio; a tutti gli altri l’anima viene “recisa”, smette di esistere.

2.5: Dopo MaimonideLa filosofia giudaica dopo Maimonide non compie ulteriori passi in avanti e si considera definitivamente conclusa nel XV secolo, a causa dell’antigiudaismo che si concluderà con la tragica espulsione nel 1492.

Capitolo 7: La creativa complessità del XIII secolo (P.161)1: La rivoluzione culturale delle universitàLe università sono una delle innovazioni più significative e rivoluzionare di tutto il medioevo. Le università consistevano per lo più in lettura e rivisitazione di testi classici, ignorando spesso il volgare, le scienze, la matematica. Ha contribuito in ogni caso un forte sviluppo della critica e a un fermentare generale di pensiero, soprattutto neo confronti dell’etica. Le arti liberali in questo contesto assumono quasi un senso scientifico.

2: La traduzione e la ricezione dell’opera di AristoteleLo studio di Aristotele fu molto complesso, soprattutto per le molte traduzioni e interpretazioni che vennero date al filosofo greco. Essendo un nome autorevole, la Chiesa non accettò alcune interpretazioni troppo materialistiche fino a censurare la lettura di alcuni scritti aristotelici a Parigi. Nonostante le censure però, la curiosità suscitata da un pensatore come Aristotele è troppo forte all’interno delle università tra allievi e maestri e quindi non si potrà che ammettere in via definitiva lo studio del filosofo greco in via definitiva; non più come studio propedeutico al fine della conoscenza divina, ma come uno studio a sé che diverrà quasi una professione. L’ampliarsi della conoscenza aristotelica mostrerà come questa filosofia e il cristianesimo non fossero più accostabili, specie per argomenti come l’anima, l’intelletto e l’etica. Da qui si apriranno moltissimi scontri che caratterizzeranno gran parte del medioevo.

3: Un vescovo contro i filosofi: Il decreto di Stefano Tempier del 1277Con Stefano Tempier si realizza la più grande condanna contro la filosofia di tutto il medioevo. In uno scritto enorme enuncia una lista di problematiche e critiche verso svariati filosofi, tra cui spiccano i nomi di Averroè e Aristotele. Accusa i filosofi di pretende di conoscere tramite l’intelletto una verità in

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contrasto con la fede cristiana, come se potessero esistere due verità distinte (cosa di cui si accusa in particolar modo Averroè). Mette quindi in guardia gli studenti nel rinnegare la verità cristiana per quella di pensatori pagani.

4: La “felicità mentale” secondo gli “averroisti” pariginiTra i filosofi parigini si diffonde l’idea aristotelica che la felicità sia raggiungibile solo attraverso l’intelletto e il fine non è Dio. Da qui nascono domande che appaiono provocatorie per la chiesa, come “l’umiltà è una virtù?”. Si rinnega anche il valore della verginità, in quanto si fa contro natura per la prosecuzione della specie e non si raggiungono i piaceri sensibili. D’alta parte però abbiamo un pensatore come Boezio di Dacia che in un suo fortunato scritto elogerà la vita etica ben distante dai piaceri materiali e contro ogni forma di “libertinismo”. Boezio addirittura si rifà ad un concetto ascetico quasi monastico, dove la felicità è raggiungibile solamente con contemplazione arrivando a Dio con il distaccamento del sensibile.

5: La svolta degli ordini mendicantiFondamentale innovazione del medioevo, è la nascita degli Ordini mendicanti, in particolare quello Domenicano e Francescano. I due ordini hanno una forza tale che si insinuano prestissimo in tutte le città medievali e ottengono (Bonaventura di Bagnoregio per i Francescani e Tommaso d’Aquino per i Domenicani) persino una cattedra di teologia nell’università di Parigi. Gli ordini sostituiscono ben presto la figura del monastero che aveva dominato nei secoli precedenti. Il principio comune è quello della professione della povertà, poiché per una vita giusta è necessario imitare la “parte visibile di Dio”, ovvero Cristo che è vissuto nel distaccamento totale dei beni materiali. Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine Domenicano si forma in un ambiente intellettuale studiando filosofia e teologia. Comincia a sentire l’impulso della povertà per dimostrare ai catari il giusto modo di vivere, non a parole, ma con l’esempio pratico. La decisione finale arriverà col contatto degli orrori della Crociata, non con spade e violenza ma con amore e parole intende professare il cristianesimo. Francesco d’Assisi invece ha formazione più umile, ma la sua dirompenza è unica. Intende infatti rinvigorire la spiritualità abolendo del tutto il possesso, né di terre, né di edifici, solo il Vangelo fa eccezione. In seguito ci sarà una fase di “discussione francescana”, poiché il movimento prenderà così piede da “francescanizzare” tutta l’Europa e da qui nasce la necessità, poi accolta, di venir meno a questa drasticità e provvedere all’edificazioni di Studi e Cattedre. Una drastica svolta arriverà con la mostruosa Inquisizione voluta da Gregorio IX che allontanerà i due Ordini dai propri principi originali. Il pontefice infatti affida ai Domenicani (poi anche ai Francescani) il privilegio di giudicare e scovare gli eretici che minacciano il potere del clero.

Capitolo 8: Per un’etica della retta ragione, Domenicani e Francescani (p.195)In questo contesto si sviluppa una forte produzione filosofica. Analizzeremo solamente i quattro autori più importante, che fondamentalmente racchiudono tutto il pensiero di questo periodo: Alberto Magno e Tommaso d’Aquino per l’Ordine dei domenicani e Bonaventura di Bagnoregio e Ruggero Bacone per quello dei Francescani

1: Il coraggioso Aristotelismo di Alberto MagnoAlberto Magno è un religioso dell’Ordine Domenicano, ma ciò che caratterizza il suo pensiero è un approccio nuovo e conflittuale con il resto dei pensatori suoi contemporanei.

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Infatti, pur essendo fedele alla Chiesa e ai suoi dogmi, non nasconde una forte passione per la filosofia (in particolare aristotelica) che non condanna mai. La filosofia infatti può indagare su qualsiasi cosa naturale. A livello teologico la filosofia non può entrare, ma Alberto mette in discussione la dogmaticità dei miracoli, che essendo eventi naturali, si possono seguire più strade per rispondere tra cui ovviamente anche quella filosofica. Altra affermazione pericolosa e molto simile riguarda la Creazione. Da una parte quindi viene molto apprezzato dal mondo intellettuale, dall’altro è visto con sospetto dalla Chiesa. Una posizione simile e dirompente, Alberto ce l’ha anche sulla morale. È difficile fare una sintesi generale, poiché riprende filosofi dai principi più diversi rimanendo sempre fedele alla tradizione cristiana. Fondamentalmente intende unire la tradizione aristotelica e araba dell’intelletto come mezzo per perseguire la giusta via morale che porta a una spiritualizzazione e l’ideale di beatitudine ultraterrena. La vera filosofia è quella che indirizza verso le virtù dianoetiche, ma a differenza di Aristotele, questo è possibile solo con l’intervento divino. Alberto pone l’intelletto al primo posto delle virtù, seguito poi dalla volontà. È l’intelletto che deve guidare la volontà per vivere nella giusta via, il contrario potrebbe indurre al peccato.Questo ordine è fondamentale, guida tutta la filosofia di Alberto. Quando parla di bene non lo intende in senso ontologico, bensì etico. Non è quindi un qualcosa di mistico ma razionalizzabile tramite intelletto. Il bene è inseguito dalle virtù, che devono dominare le passioni. Va detto in ogni caso che Alberto fu sempre e comunque un uomo del suo tempo e ben inserito nel suo contesto di religioso, senza mai andare troppo sopra le righe. Esegue il volere del papa quando gli ordina di professare la quinta crociata in Germania e si pone spesso in difesa della fede cristiana contro le eresie (affermandolo anche di Averroè, che però cita continuamente). Si celebra in lui un concetto di felicità mentale aristotelica, averroistica e insieme cristiana.

2: L’Intellettualismo etico di Tommaso d’AquinoTommaso d’Aquino ha composto un’opera immensa e sbalorditiva se si considera il breve periodo della sua attività intellettuale. È stato sempre molto impegnato sia come frate Domenicano che come docente di teologia presso diverse università parigine; in linea col suo principio che il diffondere è meglio del solo contemplare e illuminare è più opportuno che il solo brillare. L’insegnamento è la carità dell’intellettuale. Tommaso segue la strada del suo maestro, Alberto Magno, per quanto riguarda l’aristotelismo e il considerare l’intelletto come dote positiva per conoscere e contemplare anche il piano soprannaturale, ma si spingerà oltre, al punto di considerare la teologia una scienza trattandola da “professionista”.Come mai prima, in Tommaso si fondono scienza e fede, libertà e grazia, salvezza e peccato, natura e sovranatura. Il male è inteso come una volontà di agire lontana dal bene e non come non essenza del bene. Tommaso segue il maestro Alberto anche nella concezione dell’importanza dell’azione, ma la rende più rigida affermando le la pratica è un’estensione dell’intelletto speculativo. La parola “ordine” ha un significato rilevante in Tommaso, l’ordine è ciò che l’intelletto pone sotto la sua visione, sapendo collocarlo nel posto e nel tempo giusto. La razionalità è vista proprio come il principio di ordine dal quale nulla può sfuggire. La ratio e la ragione pratica portano verso Dio, che non è quindi raggiungibile con la mera contemplazione; anche qui è forte il concetto di “ritorno” a Dio, che Tommaso spiega nominando Dio “esemplare” e l’uomo la sua “immagine”. Ma affinché il motus verso Dio possa compiersi è necessario non solo l’essere razionale, ma anche il libero arbitrio e l’autodeterminazione. Questo concetto va contro l’idea di libertà agostiniana, ma Tommaso è convinto che senza autodeterminazione dell’uomo non può esserci giustizia. La ragione è il principio, l’uomo è l’immagine, ma se le sue azioni non sono libere, allora non avrebbe senso il conoscere e il contemplare.

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Il distacco col fortunato seguito averroistico avviene a causa dell’incompatibilità per Tommaso di una “doppia verità” filosofica e religiosa. Nel contempo si distacca da Agostino in quanto la razionalità non ha il giusto peso all’interno della conoscenza, che è solo teologica e non scientifica.Se la vita nella moralità è volta all’azione, allora è necessario un fine. Umano è tutto ciò che tende al bene, a differenza del non-umano; ma in questi termini sarebbero legittimi infinite finalità diverse, quindi si sente la necessità di un “fine ultimo”.Il fine ultimo è il raggiungimento della beatitudine, ovvero quel bene perfetto che appaga ogni desiderio. La beatitudine si manifesta nella pratica di un’attività perfetta, che non può essere sensibile, ma dell’anima; quindi l’intelletto o la volontà. La risposta a questo punto caratterizzerà buona parte delle future discussioni teologiche e filosofiche che vedrà l’opporsi degli intellettualisti ai volontaristi. Quest’ultimi, a partire da Agostino e Bovantura avranno maggior successo in quanto prevarrà il concetto del sommo amore, che fa parte della volontà.Ci si rifà ad esempio a Paolo nelle scritture quando afferma che l’amore di Dio è più importante della sua conoscenza. In ogni caso Tommaso avrà un approccio intellettualistico,seppur ben conscio della posizione agostiniana che infatti cita spesso. Chiarisce il punta circa il primato dell’intelletto sulla volontà poiché in essa vive il desiderio del Sommo Bene nel raggiungimento (nel caso non ci fosse) o del suo godimento (nel caso ci fosse), ma questo non permette la sua esistenza, non ne è la causa. È l’intelletto che rende possibile l’essenza del Sommo Bene, è l’intelletto che può farcelo raggiungere e percepire. Ben consapevole della situazione molto delicata, cerca l’appoggio proprio della fonte principale dei suoi oppositori: Agostino, che afferma che non si può amare se non ciò che si conosce. In realtà il contesto è ben diverso da quello del XIII secolo, che vede l’infuriare di scontri teologici molto forti sull’onda dell’averroismo. La Chiesa condanna in particolare l’idea che l’etica possa essere autonoma dalla grazia divina e che per avere una volontà giusta basti un intelletto giusto. La scienza quindi porterebbe alla giustizia. Effettivamente Tommaso sostiene questa tesi Aristotelica, affermando che l’intelletto è la parte divina nell’uomo e l’unica cosa che può farci arrivare a Dio. Tommaso da grande rivalsa alla volontà in quanto le compete il campo della “scelta”. Quando parla di bene e male identifica quest’ultimo come la distanza dal bene. ogni oggetto è bene in quanto è intrinseco nella sua essenza, ma non tutte le azioni sono buone; esse sono dettata e dalla vicinanza a Dio, più si è lontani da lui, più si agisce nel male (segue quindi Agostino).Parlando delle passioni, Tommaso rifiuta quella tradizione stoica ciceroniana che le vede come malattie dell’anima; anzi, osa addirittura dire che le passioni rendono più onorevole l’agire, qualora riusciamo a controllarle senza farci controllare. L’ira contro un peccatore, ad esempio, può colorare l’azione. Ovviamente prima di poter considerare le passioni virtuose è necessario l’assoluto controllo e ordine. La gerarchia che vede l’intelletto sopra la volontà vale in parte anche per le passioni. Se esse sono erroneamente applicate per commettere peccato senza conoscere il peccato o senza ragione, la colpa è meno grave. Al pari del peccato originale agostiniano, che pregiudica la natura dell’uomo, Tommaso vede nella natura il lasciarsi vincere dalle passioni, quindi è compito dell’uomo giusto dominarle. Con “virtù” Tommaso intende “la buona qualità della mente che ci fa vivere correttamente”. Le virtù riguardano l’intelletto (forza, temperanza, liberalità, ecc.) tranne una che si occupa dell’agire pratico: la giustizia. Questa virtù ricopre un ruolo fondamentale nella vita, come nella tradizione platonica, aristotelica o stoica. Tommaso aggiunge inoltre le virtù teologiche che sono fede, speranza e carità, senza le quali non si può raggiungere la beatitudine, poiché non basterebbero le virtù non soprannaturali.

3: Etica della libertà e dell’amore nella filosofia sapienziale di Bonaventura da Bagnoregio (p.228)

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Bonaventura si forma a Parigi, dove detiene anche la cattedra di docente di teologia che dovrà però abbandonare per prendere il comando dell’Ordine scosso da molte crisi a causa delle diverse interpretazioni di Francesco. Diviene poi anche cardinale e vescovo. Il suo atteggiamento è quello di voler ripristinare i concetto di Agostino, schierandosi quindi contro la filosofia nel senso averroistico parigino, ma descrivendola come un primo approccio ai problemi teologici, appunto nel senso agostiniano. Il problema dell’aristotelismo rientra in questo concetto: la filosofia è pericolosa e corruttrice se non guidata dai Padri, in particolare Agostino. L’etica non è una scienza autonoma, ma deve rientrare sempre all’interno della morale cristiana.Proprio come la tradizione, si schiera dalla parte dei volontaristi, poiché seguendo il modello agostiniano, l’uomo mira al sommo bene e al godimento di Dio, che è appannaggio della volontà, poiché non è arriva bile con l’intelletto. Interessante però vedere come intende il libero arbitrio: ovvero come la congiunzione e coesione di ragione e volontà. Proprio come l’occhio e la mano danno la possibilità di scrivere,allo stesso modo si “attua” la capacità del libero arbitrio. Il libero arbitrio è frutto della coscienza morale, la guida del nostro agire col quale arriviamo a Dio. Le virtù da seguire per la gerarchizzazione (termine usato per indicare uno status di perfezionamento che rispecchia Dio e vede in Francesco il massimo esempio) sono quelle teologali (carità, fede, speranza) che istruisce all’amore.

4: Critica, nuova apologia e morale scientifica in Ruggero BaconeBacone è un francescano che si distingue per la forza con cui critica e si rapporta con i suoi contemporanei, come ad esempio Alberto Magno. Ciò che critica principalmente è lo scarso e inadeguato sapere e metodo conoscitivo. Suggerisce di prestare molta attenzione alle scienze e alle lingue conoscitive (ebraico, greco o islamico), a ma viene subito guardato con sospetto per le innovazioni che vorrebbe apportare. Questo entusiasmo punta alla salvezza della cristianità che sente in pericolo sia dall’esterno, con l’espansione della cultura arabo-islamica, sia dall’interno a causa delle inadeguate autorità. Ciò che suggerisce è la contemplazione di testi conoscitivi, filosofici e scientifici e “combattere” sul piano culturale e non con sanguinose crociate. La morale è infatti centrale nel pensiero di Bacone, che non deve essere riformulata o trattata con nuovi principi, poiché in Agostino ma anche nei filosofi pagani tra i quali primeggia Seneca ci sono già validi modelli; è necessario piuttosto ridarle il giusto peso e porla alla guida delle azioni umane. ritiene infatti la filosofia morale come la scienza più nobile di tutte, il che è singolare in quanto tutti i suoi contemporanei danno questo privilegio alla metafisica, che lui vede come ausilio alla morale. È centrale anche per come vede il suo tempo, ovvero corrotto al punto da ritenere imminente l’avvento dell’Anticristo. Vede quindi una urgenza primaria nel ristabilire i valori morali per migliorare la condizione umana. La morale è l’unica via che ci avvicina a Dio. Le passioni non son viste in modo positivo, poiché non essendo più passive hanno portato all’idolatria di valori sanguinosi come le crociate e l’ultima finita con la morte di Luigi detto il Santo pone dei dubbi sulla volontà di Dio rispetto a queste iniziative violente. Per questo motivo pone la filosofia morale al vertice delle altre scienze: è da essa confermate.

Capitolo 9: La mistica, tra spiritualità dell’intelletto e passione asceticaCon il temine “mistica” si intende una via speciale della conoscenza, che non è intellettiva o razionale, ma gode di un’esperienza diretta con Dio superando i limiti dell’io. L’esperienza mistica è di tipo profetico. […]

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Capitolo 10: Le novità del XIV secolo (p.277)[…]