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UNIVERSIT ` A DEGLI STUDI DI GENOVA Facolt`a di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Matematica Anno Accademico 2004-2005 Tesi di Laurea Calcolo variazionale anolonomo e teoria del controllo: un approccio geometrico Candidato: Federico Benvenuto Relatore: Prof. E. Massa Correlatore: Prof. G. Caviglia

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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI GENOVA

Facolta di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea in Matematica

Anno Accademico 2004-2005

Tesi di Laurea

Calcolo variazionale anolonomo

e teoria del controllo:

un approccio geometrico

Candidato: Federico Benvenuto

Relatore: Prof. E. Massa Correlatore: Prof. G. Caviglia

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Indice

Introduzione 3

1 Cinematica dei sistemi anolonomi 6

1.1 Spazio tempo delle configurazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 6

1.2 Spazio degli atti di moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

1.2.1 Spazi dei getti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

1.2.2 Fibrato di contatto sulle varieta degli 1-getti . . . . . . 7

1.3 Geometria del fibrato j1(Vn+1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

1.3.1 Tensore fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

1.3.2 Differenziale di fibra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

1.4 Vincoli anolonomi: il sottofibrato A . . . . . . . . . . . . . . . 11

1.4.1 Fibrato di Chetaev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

1.4.2 Caratterizzazione del fibrato di Chetaev . . . . . . . . 14

2 Deformazioni 16

2.1 Deformazioni finite e infinitesime . . . . . . . . . . . . . . . . 17

2.2 Deformazioni di sezioni: fibrati verticali . . . . . . . . . . . . . 18

2.2.1 Fibrato verticale su γ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

2.2.2 Fibrato verticale su j1(γ) . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2.3 Sistemi vincolati: deformazioni ammissibili . . . . . . . . . . . 20

2.3.1 Fibrato verticale su γ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

2.4 Equazione alle variazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

2.4.1 Distribuzioni orizzontali su A(γ) . . . . . . . . . . . . . 23

2.4.2 Trasporto parallelo in V (γ) . . . . . . . . . . . . . . . 27

2.4.3 Equazione alle variazioni come legge di trasporto . . . 28

2.5 Deformazioni “nulle al contorno” . . . . . . . . . . . . . . . . 30

1

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3 Variazione prima 33

3.1 Condizione di estremalita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

3.2 Il sistema Lagrangiano vincolato . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

3.2.1 Struttura di gauge della teoria . . . . . . . . . . . . . . 38

3.3 Il sistema Hamiltoniano libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

3.4 Ruolo del metodo di Hamilton Jacobi nel problema vincolato . 41

3.5 Il metodo dei moltiplicatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

4 Variazione seconda 47

4.1 Uso della funzione principale di Hamilton . . . . . . . . . . . . 48

4.2 Lagrangiana gauge equivalente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50

4.2.1 Gauge di seconda specie . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

4.3 Hessiano della Lagrangiana gauge equivalente . . . . . . . . . 54

4.4 Effetto sulla variazione seconda della distribuzione orizzontale 56

4.5 L’equazione matriciale di Riccati . . . . . . . . . . . . . . . . 57

4.6 Condizione di Legendre nel caso anolonomo: il principio del

massimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

Bibliografia 62

2

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Introduzione

Nello spazio tempo delle configurazioni di un sistema meccanico riferito a

coordinate t, q1, . . . , qn, consideriamo le sezioni qi = qi(t), t1 ≥ t ≥ t0, di

estremi qi0 = qi(t0) e qi

1 = qi(t1) che rendano minimo il funzionale∫ t1

t0

L(t, q(t),

dq

dt(t))dt

e che soddisfino le condizioni differenziali

gσ(t, q(t),

dq

dt(t))

= 0 σ = 1, . . . n− r r > 0 (1)

Tali sezioni sono soluzioni di un problema variazionale anolonomo in cui∫Ldt rappresenta il funzionale d’azione, qi

0 = qi(t0) e qi1 = qi(t1) sono le

condizioni al contorno e le equazioni gσ = 0 sono le condizioni sussidiarie o

vincoli.

L’analisi del calcolo variazionale anolonomo rientra, in senso lato, in quel

ramo della matematica noto come teoria del controllo ottimo. In quest’ambito

il problema e riformulato nei seguenti termini: consideriamo un sistema fisico

il cui stato sia caratterizzato mediante k variabili x1, . . . , xk identificate con

le coordinate dei punti di uno spazio k dimensionale K e supponiamo che

l’evoluzione dello stato del sistema sia descritta dal sistema di equazioni

differenzialidxi

dt= ψi(t, x1, . . . , xk, z1, . . . , zr) (2)

dipendenti da r parametri z1, . . . , zr variabili in una certa regione Ω ⊆ Rr,

con ψi(t, x, z) funzioni continue in K × Ω.

Ogni curva z : z(t) = (z1(t), . . . , zr(t)), t1 ≥ t ≥ t0, in Ω e detta una fun-

zione di controllo sul sistema. Inserendo z = z(t) nel sistema (2), otteniamo

un sistema di equazioni differenziali ordinarie

dxi

dt= ψi

(t, x1, . . . , xk, z1(t), . . . , zr(t)

)

3

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Introduzione 4

Per ogni valore iniziale x0 = x(t0) questo sistema ammette localmente un’u-

nica soluzione x = x(t) detta traiettoria. L’insieme

Z = z(t), t0, t1, x0

formato da una funzione di controllo z(t), da un intervallo [t0, t1] e da un

valore iniziale x0 = x(t0), sara detto un processo di controllo. In questo

modo, a ogni processo di controllo corrisponde un’unica traiettoria.

Sia

ψ0(t, x1, . . . , xk, z1, . . . , zr)

una funzione di classe C1 sul prodotto cartesiano K×Ω. A ogni processo di

controllo assegnamo un numero

J(Z) =

∫ t1

t0

ψ0(t, x(t), z(t))dt

Il processo Z e detto ottimo se la diseguaglianza

J(Z∗) ≥ J(Z)

vale per ogni altro processo di controllo Z∗ = z∗(t), t0, t1, x0. Per traiettoria

ottima si intende la traiettoria associata a un processo di controllo ottimo.

Il problema di controllo ottimo e sostanzialmente identico al problema va-

riazionale anolonomo. Per verificare questo fatto, basta riscrivere l’equazione

(1) nella forma parametrica

dqi

dt= ψi(t, q1, . . . , qk, z1, . . . , zr)

e effettuare le identificazioni con i = 1, . . . , n

xi := qi

ψi(t, x, z) := ψi(t, q, z)

ψ0 := L(t, q, ψi(t, q, z))

Il problema di controllo ottimo costituisce pertanto una rilettura sotto diversa

forma del problema variazionale soggetto a vincoli cinetici.

In questo lavoro discuteremo una formulazione del calcolo variazionale

anolonomo evidenziandone gli aspetti geometrici nell’ambiente delle varieta

differenziabili. In questo ambito accanto alle rappresentazioni in coordinate

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Introduzione 5

dei vari oggetti considereremo l’essenza geometrica degli oggetti stessi, ossia

le loro leggi di trasformazione al variare delle coordinate concentrandoci su-

gli aspetti invariantivi della teoria. Da questo punto di vista, il funzionale

d’azione sara visto come l’integrale di una 1-forma L(t, q, z)dt, e i vincoli

cinetici come la descrizione di una sottovarieta dello spazio dei primi getti

della varieta delle configurazioni del sistema.

Discuteremo in primo luogo le condizioni necessarie all’esistenza di curve

estremali del problema variazionale anolonomo, quindi le condizioni neces-

sarie affinche tali curve siano effettivamente minimi (locali) del funzionale

d’azione, estendendo al caso anolonomo la ben nota condizione di Legendre.

Vedremo infine che il Principio del Massimo di Pontryagin altro non e che

il modo costruttivo di interpretare la condizione di Legendre, estesa al caso

anolonomo, frutto dell’approccio controllistico.

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Capitolo 1

Cinematica dei sistemi

anolonomi

In questo Capitolo esaminiamo brevemente la natura degli ambienti geome-

trici in cui svilupperemo il calcolo variazionale anolonomo e in particolare

la struttura geometrica intrinseca del primo getto dello spazio-tempo delle

configurazioni.

1.1 Spazio tempo delle configurazioni

In ambito meccanico l’ambiente base per la descrizione di un sistema mate-

riale e lo spazio tempo delle configurazioni Vn+1. Nei casi di maggior inte-

resse, questo ha la natura di varieta differenziabile, fibrata sulla retta reale

R tramite la funzione tempo assoluto

t : Vn+1 −→ R

Ogni punto di Vn+1 rappresenta la configurazione nel sistema a un dato istan-

te, mentre l’evoluzione del sistema e rappresentata da una sezione γ : R −→

Vn+1. In generale, riferiremo Vn+1 a coordinate fibrate t, q1, . . . , qn, la prima

delle quali e identificata con il tempo assoluto, le altre, in numero pari ai gradi

di liberta del sistema, prendono il nome di coordinate libere o lagrangiane.

6

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Cinematica dei sistemi anolonomi 7

1.2 Spazio degli atti di moto

Grazie alla fibrazione data dal tempo assoluto, lo spazio-tempo delle con-

figurazioni possiede un corrispondente fibrato dei primi getti, i cui punti

rappresentano gli stati cinetici del sistema. Tale fibrato e un caso particolare

dei fibrati dei k-getti, la cui definizione e riportata nel seguente paragrafo.

1.2.1 Spazi dei getti

Sia π : N −→ M una fibrazione. Due sezioni f 1 , f 2 : M −→ N sono dette

tangenti di ordine k o k-tangenti in un punto x di M se(

∂nf 1

∂xj1 · · · ∂xjn

)

x

=

(∂nf 2

∂xj1 · · · ∂xjn

)

x

per ogni n = 0, . . . , k

La tangenza di ordine k e chiaramente una relazione di equivalenza. Si dice k

getto di una sezione f in un punto x la classe delle applicazioni k tangenti a

f in x. Si chiama spazio dei k-getti delle sezioni da M in N l’insieme di tutti

i k-getti delle sezioni da M in N . E immediato dimostrare che tale spazio,

d’ora innanzi indicato con Jk(N,M), e una varieta differenziabile. Inoltre e

definita l’applicazione

Jk+1(N,M) −→ Jk(N,M)

che porta i (k + 1)-getti nei k-getti, perche una tangenza di ordine k + 1

implica necessariamente una tangenza di ordine k. Tale proiezione rende

Jk+1 un fibrato su Jk. Si ottiene cosı una catena di fibrati

. . . −→ Jk −→ Jk−1 −→ . . . −→ J1 −→ J0 ≡ N −→ M

1.2.2 Fibrato di contatto sulle varieta degli 1-getti

Il primo getto della sezione f : M −→ N nel punto x = (x1, . . . , xm) ∈ M

e definito oltre che dal punto stesso, dai valori yi = f i(x) e dalle derivate

prime della applicazione f in x. Quindi la varieta J1(N,M) ha dimensione

(m+ n) +mn. Puntualmente, il primo getto della sezione f e rappresentato

dalla collezione di (m+n)+mn numeri (xi, yj, pji ), i = 1, . . . , m , j = 1, . . . , n.

Globalmente, si dice jet-estensione di una sezione f : M −→ N la sottovarieta

formata dagli 1-getti della sezione f in tutti i punti di M . Quindi, la jet

estensione di una sezione f e una sottovarieta m-dimensionale di J1(N,M).

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Cinematica dei sistemi anolonomi 8

Si definiscono forme di contatto su J1(N,M) le 1-forme del tipo

α = αj

(dyj − pj

idxi)

αj = αj(x, y, p)

Non e difficile vedere che anche se formalmente sono caratterizzate in termini

di coordinate le 1-forme di contatto hanno in realta un significato intrinse-

co. Dalla definizione segue infatti che tali 1-forme sulla varieta dei getti

si annullano sulle jet estensioni delle sezioni f : M −→ N . La chiusura

dell’unione degli spazi tangenti a tutte le jet estensioni di sezioni coincide

quindi con l’annullatore delle forme di contatto. La totalita delle 1-forme di

contatto e detta il fibrato di contatto della varieta dei primi getti J1(N,M).

La dimensione di tale fibrato risulta uguale alla dimensione della fibra di

π : N −→M 1.

Per quanto riguarda lo spazio-tempo delle configurazioni fibrato su R

tramite la funzione tempo assoluto, lo spazio dei k-getti si indichera con

jk(Vn+1,R), o piu sinteticamente con jk(Vn+1). In particolare, per il modo

in cui e definito il fibrato degli 1-getti j1(Vn+1) coincide con lo spazio degli

atti di moto del sistema fisico in esame. Data una sezione γ : R −→ Vn+1

rappresentativa di una evoluzione del sistema, la sua prima jet-estensione e

una sezione del fibrato degli 1-getti, ossia una curva nello spazio degli atti di

moto, che indichiamo con j1(γ).

1.3 Geometria del fibrato j1(Vn+1)

Come ogni varieta di primi getti lo spazio ji(Vn+1) risulta:

• fibrato sugli 0-getti tramite una proiezione π : j1(Vn+1) −→ Vn+1

• dotato del fibrato di contatto, d’ora innanzi indicato con C(j1(Vn+1)

).

Le forme di contatto assumono adesso la forma

ω = αi

(dqi − qidt

)=: αi ω

i αi = αi(t, q, q)

dove abbiamo sostituito i generici yi, pij , x

j con gli specifici qi, qi, t.

1Per completezza, osserviamo che nel caso in cui N ∼= M×R il fibrato di contatto risulta

1-dimensionale e induce su J1(M×R,M) una struttura di contatto rendendo J1(M×R,M)

una varieta di contatto.

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Cinematica dei sistemi anolonomi 9

Queste due proprieta danno luogo alla catena di fibrazioni

C(j1(Vn+1)

)−→ j1(Vn+1) −→ Vn+1

Un’altra importante proprieta di j1(Vn+1) e quella di essere canonicamen-

te isomorfo al sottospazio

X |X ∈ T (Vn+1) , 〈X, dt〉 = 1

⊂ T (Vn+1)

In quanto tale j1(Vn+1) ha la natura di fibrato affine su Vn+1 modellato sul

fibrato dei vettori verticali

X |X ∈ T (Vn+1) , 〈X, dt〉 = 0

⊂ T (Vn+1)

Riguardando ogni z ∈ j1(Vn+1) come un vettore in Tπ(z)(Vn+1) definiamo una

applicazione lineare θz : Tz

(j1(Vn+1)

)−→ Tπ(z)(Vn+1) in base alla richiesta

θz(X) = (πz)∗X − 〈X, (dt)z〉z X ∈ Tz

(j1(Vn+1)

)

Sia θ∗z : T ∗π(z)(Vn+1) −→ T ∗

z

(j1(Vn+1)

)la corrispondente applicazione duale,

data da

θ∗z(ν) = (πz)∗ν − 〈z, ν〉(dt)z ν ∈ T ∗

π(z)(Vn+1)

In coordinate locali, tenendo presente la rappresentazione delle forme di

contatto sul j1(Vn+1), abbiamo le relazioni

θz(X) = 〈X,ωiz〉

(∂

∂qi

)

π(z)

θ∗z(ν) =

⟨ν,

(∂

∂qi

)

π(z)

⟩ωi

z

Chiameremo rispettivamente θz e θ∗z il push-forward verticale e il pull-back

di contatto in z.

L’operazione θ∗z si estende ai campi di 1-forme η ∈ D1(Vn+1) attraverso la

condizione (θ∗(η)

)z

:= θ∗z(ηπ(z)

)

Per ogni f su Vn+1 il pull-back di contatto della 1-forma df sara indicato

con dcf e sara detto il differenziale di contatto di f . In coordinate locali, il

pull-back di contatto e il differenziale di contatto si scrivono

θ∗z(η) =

⟨η,

∂qi

⟩ωi dcf = θ∗(df) =

∂f

∂qiωi

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Concludendo vediamo come le nature del j1(Vn+1) di 1-getto e di sottovarieta

affine dello spazio tangente siano strettamente legate dall’identificazione

Cz(j1(Vn+1)

)∼=[Vπ(z)(Vn+1)

]∗

avendo indicato con[Vπ(z)(Vn+1)

]∗lo spazio duale di Vπ(z)(Vn+1). Infatti il

nucleo dell’applicazione θ∗z coincide con l’annullatore dello spazio verticale

Vπ(z)(Vn+1) mentre l’immagine θ∗z(T ∗

π(z)(Vn+1))

e lo spazio Cz(j1(Vn+1)

)del-

le 1-forme di contatto in z. Possiamo allora definire un pairing bilineare

〈 || 〉 : Cz(j1(Vn+1)

)× Vπ(z)(Vn+1) −→ R tramite la relazione

〈 θ∗z(ν) || V 〉 = 〈 ν, V 〉 ∀ν ∈ T ∗π(z)(Vn+1), V ∈ Vπ(z)(Vn+1)

In coordinate locali abbiamo la rappresentazione

⟨νiω

iz

∣∣∣∣

∣∣∣∣ Vj

(∂

∂qj

)

π(z)

⟩= νiV

i

Esaminiamo ora due aspetti della geometria del j1(Vn+1), vale a dire il tensore

fondamentale e il differenziale di fibra.

1.3.1 Tensore fondamentale

Il carattere affine della fibrazione j1(Vn+1) −→ Vn+1 ci assicura che per ogni

z ∈ j1(Vn+1) gli spazi verticali Vz

(j1(Vn+1)

)e Vπ(z)(Vn+1) sono canonicamente

isomorfi. Resta cosı definito un sollevamento verticale di vettori da Vn+1 a

j1(Vn+1), indicato simbolicamente con V −→ V v, ed espresso in coordinate

da

V = V i ∂

∂qi−→ V v = V i ∂

∂qi

Indichiamo con % l’applicazione inversa del sollevamento verticale, per cui si

ha %((·)v)

=(%(·))v

= id. Componendo il push–forward verticale θz con il

sollevamento verticale otteniamo un endomorfismo lineare

J : Tz

(j1(Vn+1)

)−→ Tz

(j1(Vn+1)

)

che manda ogni vettore verticale X in un vettore verticale

J(X) := (θz(X))v =⟨X,ωi

z

⟩( ∂

∂qi

)

z

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Cinematica dei sistemi anolonomi 11

Per la legge quoziente questa applicazione lineare tra spazi lineari definisce

un campo tensoriale di tipo (1, 1) su j1(Vn+1) detto tensore fondamentale. In

componenti si ha la rappresentazione esplicita

J =∂

∂qi⊗ ωi

1.3.2 Differenziale di fibra

L’endomorfismo lineare T(j1(Vn+1)

)−→ T

(j1(Vn+1)

)puo essere esteso a

una derivazione dell’algebra tensoriale v : D(j1(Vn+1)

)−→ D

(j1(Vn+1)

)che

commuta con le contrazioni e che si annulla sulle funzioni: una derivazione,

cioe, soddisfacente le condizioni

v(f) = 0 v(X) = J(X) 〈v(X), σ〉+ 〈X, v(σ)〉 = 0

per ogni f ∈ F(j1(Vn+1)

), X ∈ D1

(ji(Vn+1)

), σ ∈ D1

(ji(Vn+1)

).

Tramite v e possibile costruire una anti-derivazione dv dell’algebra di Grass-

mann G(ji(Vn+1)

), chiamata differenziale di fibra, la cui azione su una gene-

rica r-forma e espressa dalla relazione

dvσ := dv(σ)− v(dσ)− rdt ∧ σ

Tale anti-derivazione e coomologica, ossia soddisfa

dv · dvσ = 0 ∀σ ∈ G(ji(Vn+1)

)

Valgono inoltre le relazioni

dvf = −vdf =∂f

∂qkωk ∀f ∈ F

(ji(Vn+1)

)

dvωk = 0 k = 1, . . . , n

1.4 Vincoli anolonomi: il sottofibrato A

All’interno del fibrato j1(Vn+1) −→ Vn+1 indichiamo con A −→ Vn+1 il sot-

tofibrato costituito dalla totalita degli atti di moto effettivamente consentiti

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Cinematica dei sistemi anolonomi 12

al sistema. In presenza di vincoli cinetici il fibrato A sara un sottofibrato

proprio di j1(Vn+1). La situazione e sintetizzata nel diagramma commutativo

Ai

−−−→ j1(Vn+1)

π

yyπ

Vn+1 Vn+1

L’embedding i : A −→ j1(Vn+1) puo essere descritto in forma cartesiana

esprimendo A come il luogo dei punti soddisfacenti il sistema

gσ(t, q1, . . . , qn, q1, . . . , qn) = 0 σ = 1, . . . , n− r

con rango

∣∣∣∣∣∣∣∣∂(ψ1, . . . , ψn)

∂(z1, . . . , zr)

∣∣∣∣∣∣∣∣ = r. Alternativamente, e possibile utilizzare una

rappresentazione parametrica, riferendo A a coordinate fibrate t, q1, . . . , qn,

z1, . . . , zr ed esprimendo l’embedding i nella forma

qi = ψi(t, q1, . . . , qn, z1, . . . , zr) σ = 1, . . . , n− r

con rango

∣∣∣∣∣∣∣∣∂(g1, . . . , gn−r)

∂(q1, . . . , qr)

∣∣∣∣∣∣∣∣ = n− r.

In presenza di vincoli cinetici, le curve cinematicamente ammissibili

sono tutte e sole le sezioni γ : R −→ Vn+1 la cui jet estensione j1(γ)

contenute interamente nella sottovarieta A. In altri termini, una sezione

γ : R −→ Vn+1 e ammissibile se e solo se il suo sollevamento al j1(Vn+1) si

fattorizza tramite A nel diagramma commutativo, ossia se e solo se esiste

una sezione γ : R −→ A per cui valga i · γ = j1(γ). Utilizzando la rappre-

sentazione parametrica del fibrato A, l’ammissibilita cinematica in presenza

di vincoli anolonomi si scrive

dqi

dt= ψi(t, q1(t), . . . , qn(t), z1(t), . . . , zr(t))

Quest’equazione indica che, in ciascuna evoluzione ammissibile del sistema,

la conoscenza delle funzioni zA(t) determina le qi(t) a meno dei dati iniziali,

attraverso le soluzioni di un problema di Cauchy. D’altronde, in assenza di

ulteriori specificazioni sulla natura della varieta A, l’assegnazione delle fun-

zioni zA(t), in se e per se, non ha alcun significato geometrico invariantivo2.

2Nell’analisi di Pontryagin il punto di partenza sono proprio le funzioni zA(t): non

avendo queste carattere invariantivo al variare delle coordinate i risultati cui Pontrya-

gin perviene, sono da considerarsi validi solo a patto di scegliere preventivamente un

particolare sistema di coordinate locali.

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Per sviluppare un algoritmo in cui le variabili zA controllino effettivamen-

te l’evoluzione del sistema considerare piuttosto le sezioni σ : Vn+1 −→ A.

Ognuna di queste sara detta un controllo del sistema. L’applicazione com-

posta i · σ : Vn+1 −→ j1(Vn+1) sara detta un campo di velocita ammissibile.

In coordinate locali abbiamo le rappresentazioni

σ : zA = zA(t, q1, . . . , qn)

i · σ : qi = ψi(t, qi, zA(t, qi))

che mostrano come l’assegnazione di σ determini l’evoluzione del sistema a

partire da dati iniziali assegnati attraverso un problema di Cauchy ben posto.

Sezioni γ : R −→ Vn+1 e controlli σ : Vn+1 −→ A soddisfacenti i ·σ ·γ = j1(γ)

saranno detti appartenersi l’un l’altro.

I concetti di fibrato verticale e fibrato di contatto si adattano immedia-

tamente al sottofibrato A. Il fibrato di contatto e definito come pull-back

tramite i dell’usuale fibrato di contatto su j1(Vn+1):

C(A) = i∗(C(j1(Vn+1)

))

Per quanto riguarda il fibrato verticale su A e sufficiente la semplice defini-

zione

V (A) =V | V ∈ T (A) , 〈V, dt〉 = 0 , 〈V, ω〉 = 0

⊂ T (A)

In coordinate locali abbiamo le rappresentazioni

σ = σiωi dove ωi := i∗(ωi) = dqi − ψi(t, q, z)dt ∀σ ∈ C(A)

V = V A ∂

∂zAA = 1, . . . , r ∀V ∈ V (A)

Componendo le applicazioni lineari θz e θ∗z con (iz)∗ e (iz)∗ possiamo esten-

dere la nozione di push-forward verticale e quella di pull-back di contatto in

ogni punto z ∈ A, cosı come la conseguente identificazione tra le 1-forme di

contatto in z e i funzionali lineari sullo spazio verticale Vπ(z)(Vn+1).

1.4.1 Fibrato di Chetaev

Oltre alle strutture appena descritte e possibile definire su A un ulteriore

fibrato, definito dalla seguente costruzione: per ogni z ∈ A, consideriamo

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Cinematica dei sistemi anolonomi 14

l’immagine i∗(Tz(A)) rispetto all’applicazione i∗ : T (A) −→ T (j1(Vn+1)), e

indichiamo con Ni(z)(A) ⊂ T ∗i(z)(j1(Vn+1)) il corrispondente annullatore. Co-

struiamo l’immagine v(Nπ(z)(A)) rispetto alla derivazione indotta dal ten-

sore fondamentale J e formiamo il pull-back (iz)∗(v(Nπ(z)(A))) := χz(A) ⊂

T ∗z (A).

In questo modo, ripetendo la stessa costruzione per ogni z ∈ A otteniamo

un fibrato vettoriale χ(A) =⋃

z∈A χz(A) detto il fibrato di Chetaev su A.

Ogni sezione ν : A −→ χ(A) e detta una 1-forma di Chetaev su A.

Una possibile descrizione di χ(A) in coordinate locali e facilmente ot-

tenuta a partire da una rappresentazione cartesiana di A, osservando che

i differenziali (dgσ)i(z), σ = 1, . . . , n − r generano l’intero spazio Ni(z)(A).

Quindi i diffenziali di fibra (dvgσ)i(z) = −v(dgσ)i(z) generano v(Ni(z)(A)) e

di conseguenza le 1-forme differenziali

i∗(dvgσ)z =

(∂gσ

∂qk

)

i(z)

ωkz (1.1)

generano χz(A). Essendo per ipotesi il rango

∣∣∣∣∣∣∣∣∂(g1, . . . , gn−r)

∂(q1, . . . , qr)

∣∣∣∣∣∣∣∣ = n − r,

le 1-forme (1.1) sono linearmente indipendenti e quindi formano una base di

χz(A). Ogni forma di Chetaev ν su A si esprime localmente come

ν = λσi∗(dvg

σ) dove λσ ∈ F(A)

Passando alla definizione parametrica del sottofibrato A, la caratterizzazione

appena data delle forme di Chetaev porta alla rappresentazione del tipo

ν = νkωk con le componenti νk(t, q, z) soggette alle condizioni

νk

∂ψk

∂zA= 0 A = 1, . . . , r

1.4.2 Caratterizzazione del fibrato di Chetaev

Una caratterizzazione equivalente del fibrato di Chetaev e ottenibile a partire

dal pairing bilineare 〈 || 〉 : Cz

(A) × Vπ(z)(Vn+1) −→ R, definito dalla

prescrizione

〈 (i∗)z

(θ∗i(z)(ν)

)|| V 〉 = 〈 ν, V 〉 ∀ν ∈ T ∗

π(z)(Vn+1), V ∈ Vπ(z)(Vn+1)

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Cinematica dei sistemi anolonomi 15

Infatti, nei confronti del pairing considerato, il fibrato di Chetaev in ciascun

punto z risulta l’annullatore dello spazio verticale Vz(A) rispetto all’applica-

zione composta

Vz(A)(i∗)z−→ Vi(z)(j1(Vn+1))

%i(z)−→ Vπ(z)(Vn+1)

In coordinate, per ogni Y = Y A ∂

∂zA∈ V (A), abbiamo

(% · i∗

)(Y A ∂

∂zA

)= Y A∂ψ

k

∂zA

∂qk

Quindi, una forma di contatto ν = νiωi su A appartiene all’annullatore dello

spazio(% · i∗

)Vz(A) se e solo se ∀Y ∈ V (A) risulta

⟨νi ω

i

∣∣∣∣∣∣∣∣ Y

A∂ψk

∂zA

∂qk

⟩=

⟨νi ω

i, Y A∂ψk

∂zA

∂qk

⟩= Y A νk ∂ψ

k

∂zA= 0

Cio implica che le componenti della forma ν soddisfano le relazioni

νk ∂ψk

∂zA= 0, ovvero che la forma ν e una forma di Chetaev.

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Capitolo 2

Deformazioni

Lo studio delle deformazioni delle curve e il primo passo per formulare il

problema variazionale. Per stabilire se una curva γ e o meno soluzione del

problema occorre infatti confrontare il valore del funzionale d’azione su γ con

il valore che esso assume lungo tutte le curve in cui γ puo essere deformata,

e la presenza di vincoli anolonomi restringe la classe delle curve che possono

essere prese in considerazione. In questo capitolo, oltre alle nozioni basilari

che riguardano le deformazioni di curve, vedremo cosa significhi scegliere un

controllo lungo una curva e come questo si rapporti con le restrizioni imposte

dai vincoli anolonomi.

Per formalizzare il concetto di deformazione di una curva utilizziamo la

nozione di omotopia, specializzandola al caso di curve a punti estremi fis-

sati. La definizione originaria nasce in ambito topologico e richiede la sola

nozione di continuita: nel nostro caso, dalla definizione della deformazione

infinitesima in avanti, risultera necessaria l’ipotesi di differenziabilita di tutti

gli oggetti coinvolti.

Consideriamo due spazi topologiciM e N . Date due applicazioni continue

f, g : M −→ N , un’omotopia fra f e g e una applicazione continua:

F : M × I −→ N

in cui I indica l’intervallo [0, 1] della retta reale e F soddisfa le condizioni ai

limiti

F (x, 0) = f(x) F (x, 1) = g(x)

Nel caso in cui esista un’omotopia F tra f e g le applicazioni f e g si di-

cono omotope. Date f, g : M −→ N coincidenti su un sottospazio A di M

16

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Deformazioni 17

un’omotopia F tra f e g si dice relativa ad A se

F (x, t) = f(x) = g(x) ∀ x ∈ A

Quest’ultima definizione, opportunamente contestualizzata, ci permettera di

introdurre le deformazioni a estremi fissati.

2.1 Deformazioni finite e infinitesime

Il caso a cui siamo interessati riguarda non l’omotopia di applicazioni fra spazi

topologici generici, ma la deformazione di sezioni in Vn+1. Di fatto, mentre la

definizione di omotopia considera due curve fissate f e g tra le quali avviene

con continuita un passaggio scandito dal parametro ξ ∈ I, la definizione

di deformazione finita considera una sola curva dalla quale ci si sposta con

continuita. La differenza tra omotopia e deformazione finita risulta quindi

non dal tipo di applicazione che interviene nella loro rappresentazione ma

dalla diversa impostazione dei termini del problema. Consideriamo in Vn+1

una curva

γ : R −→ Vn+1

Per definizione, una deformazione finita di γ e una applicazione continua

ϕ : R× I −→ Vn+1

in cui I indica l’intervallo (−ε, ε) e l’unica condizione e

ϕ(τ, 0) = γ(τ)

Nei casi piu significativi la deformazione finita sara relativa, nel senso del-

l’omotopia, a una coppia di punti in Vn+1, ossia costituira una deformazione

a estremi fissi.

La scrittura in coordinate assume la forma:

ϕ :

t = ϕ0(τ, ξ)

qi = ϕi(τ, ξ)

Al variare di ξ ∈ I si ottengono le varie curve γξ deformate di γ.

In generale, assegnata una curva γ, un campo vettoriale X definito lun-

go γ a valori nello spazio tangente della varieta Vn+1 prende il nome di

deformazione infinitesima di γ. Localmente assume la forma

X = X0(t)

(∂

∂t

)

γ

+X i(t)

(∂

∂qi

)

γ

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Deformazioni 18

Ogni deformazione finita ϕ di γ genera, tramite il push forward

ϕ∗

(∂

∂ξ

)

|ξ=0

=(∂ϕ0

∂ξ

)

ξ=0

( ∂∂t

)

γ+(∂ϕi

∂ξ

)

ξ=0

( ∂

∂qi

)

γ

un campo vettoriale definito lungo la curva γ a valori nello spazio tangente

a Vn+1, quindi una deformazione infinitesima di γ.

2.2 Deformazioni di sezioni: fibrati verticali

Per quanto riguarda le deformazioni di una sezione γ : R −→ Vn+1 la parte

del campo vettoriale X lungo∂

∂trisulta irrilevante “deformando” la rappre-

sentazione parametrica della sezione ma non la sezione in quanto tale. Da

questa considerazione deduciamo che la generica deformazione infinitesima

di una sezione puo essere espressa localmente nella forma

X = X i(t)

(∂

∂qi

)

γ

o, equivalentemente, richiedendo che il campo X lungo γ sia soggetto al

requisito

〈X, (dt)x〉 = 0 ∀x ∈ γ.

Dunque, la deformazione di una sezione γ puo essere trattata introducendo

il fibrato verticale sulla curva.

2.2.1 Fibrato verticale su γ

Sia V (Vn+1) il fibrato verticale su Vn+1. Data una sezione γ : R −→ Vn+1

denotiamo con V (γ) la restrizione di V (Vn+1) alla curva γ, ossia il fibrato

vettoriale su R ottenuto come unione delle fibre

V (γ) :=⋃

t∈R

(V (γ)

)|t

definite nel seguente modo

(V (γ)

)|t

:=(V (Vn+1)

)|γ(t)

.

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Deformazioni 19

Questa costruzione e sintetizzata nel diagramma commutativo

V (γ) −→ V (Vn+1)

t ↓ ↓ π

Rγ−→ Vn+1

Ogni sistema di coordinate locali t, qi su Vn+1 determina un corrispondente

sistema di coordinate fibrate t, X i su V (γ) tramite la prescrizione

X i(X) =

⟨X, (dqi)π(X)

⟩∀ X ∈ V (γ)

Una generica sezione si scrive quindi localmente come

X = X i(t)

(∂

∂qi

)

γ

Per definizione, V (γ) rappresenta il fibrato dei vettori verticali lungo la

curva γ. Ogni deformazione infinitesima della sezione γ puo quindi essere

vista come una sezione X : R −→ V (γ). La jet estensione di X risulta una

sezione del fibrato degli 1-getti di V (γ), ossia

j1(X) : R −→ j1(V (γ))

t −→

(t, X i,

dX i

dt(t)

)

avendo riferito j1(V (γ)) a jet coordinate t, X,X ′.

Per comprendere il significato geometrico degli 1-getti di V (γ) e conve-

niente introdurre il fibrato verticale su j1(γ) rispetto alla fibrazione su R, allo

stesso modo in cui abbiamo introdotto il fibrato verticale su γ.

2.2.2 Fibrato verticale su j1(γ)

Indichiamo con A(j1(Vn+1)) il sottofibrato di T (j1(Vn+1)) −→ j1(Vn+1) com-

posto dai vettori X ∈ T (j1(Vn+1)) per cui < X, dt >= 0. Data la jet estensio-

ne j1(γ) di una sezione γ : R −→ Vn+1 denotiamo con A(j1(γ)) la restrizione

di A(j1(Vn+1)) alla curva j1(γ), ossia il fibrato vettoriale su R ottenuto come

unione delle fibre

A(j1(γ)

)|t

:= A(j1(Vn+1)

)|j1(γ(t))

.

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Deformazioni 20

nel seguente modo

A(j1(γ)) :=⋃

t∈R

A(j1(γ)

)|t

Questa costruzione e sintetizzata nel diagramma commutativo

A(j1(γ)) −→ A(j1(Vn+1))

t ↓ ↓ π

Rj1(γ)−→ j1(Vn+1)

Ogni sistema di jet coordinate t, qi, qi su j1(Vn+1) determina un corrisponden-

te sistema di coordinate fibrate t, X i, X i su A(j1(γ)) mediante la prescrizione

X i(X) =

⟨X, (dqi)π(X)

⟩X i(X) =

⟨X, (dqi)π(X)

Detta X : R −→ A(j1(γ)) una generica sezione, si ha pertanto la rappresen-

tazione locale

X = X i(t)

(∂

∂qi

)

j1(γ)

+ X i(t)

(∂

∂qi

)

j1(γ)

A(j1(γ)) risulta il fibrato dei vettori verticali su j1(γ) rispetto alla fibrazione

su R, per cui una deformazione della sezione j1(γ) puo essere data assegnando

una sezione di A(j1(γ)).

D’altra parte il fibrato A(j1(γ)) si identifica con j1(V (γ)) grazie all’iso-

morfismo canonicoA(j1(γ))

∼=←→ j1(V (γ))

t ←→ t

X ←→ X

X ←→ X ′

Questa identificazione permette di vedere la jet estensione j1(X) di una se-

zione X : R −→ V (γ) come una sezione j1(X) : R −→ A(j1(γ)), e quindi

permette di scriverla in coordinate come

j1(X) = X i ∂

∂qi+dX i

dt

∂qi

2.3 Sistemi vincolati: deformazioni ammissi-

bili

Consideriamo all’interno del fibrato j1(Vn+1) −→ Vn+1 il sottofibrato A for-

mato dalla totalita degli stati cinetici consentiti al sistema. La deformazione

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Deformazioni 21

infinitesima di una sezione sara detta compatibile con i vincoli o cinemati-

camente ammissibile se e solo se “porta” curve cinematicamente ammissibili

in curve cinematicamente ammissibili. Per definire le condizioni che la de-

formazione di una sezione γ deve soddisfare per rispettare queste restrizioni,

detta γ : R −→ A una generica sezione del fibrato A, introduciamo il fibrato

verticale su γ rispetto alla fibrazione su t : γ −→ A.

2.3.1 Fibrato verticale su γ

Indichiamo con A(A) il sottofibrato di T (A) −→ A composto dai vettori

X ∈ T (A) per cui < X, dt >= 0. Data una sezione γ : R −→ A denotiamo

con A(γ) la restrizione di A(A) alla curva γ, ossia il fibrato vettoriale su R

ottenuto come unione delle fibre

(A(γ)

)|t

:=(A(A)

)|γ(t)

.

nel seguente modo

A(γ) :=⋃

t∈R

(A(γ)

)|t

Questa costruzione e sintetizzata nel diagramma commutativo

A(γ) −→ A(A)

t ↓ ↓ π

Rγ−→ A

Ogni sistema di coordinate fibrate t, qi, zA su A determina un corrispondente

sistema di coordinate fibrate t, X i,ΓA su V (γ) mediante la prescrizione

X i(X) =

⟨X, (dqi)π(X)

⟩ΓA(X) =

⟨X, (dzA)π(X)

Detta X : R −→ A(γ), si ha pertanto la rappresentazione locale

X = X i(t)

(∂

∂qi

)

γ

+ ΓA(t)

(∂

∂zA

)

γ

A(γ) risulta il fibrato dei vettori verticali su γ per cui una deformazione della

sezione γ puo essere data assegnando una sezione di A(γ).

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Deformazioni 22

2.4 Equazione alle variazioni

Il push forward i∗ : T (A) −→ T (j1(Vn+1)) dell’embedding i : A −→ j1(Vn+1),

ristretto ai vettori di A(γ), risulta un’applicazione

(i∗)|A(γ) : A(γ) −→ A(j1(γ))

espressa in jet coordinate come

X i = V i

X i = V k

(∂ψi

∂qk

)+ ΓA

(∂ψi

∂zA

)

L’immagine i∗(A(γ)), ossia la totalita delle deformazioni di j1(γ) compatibili

con i vincoli cinetici, e quindi un sottofibrato affine di A(j1(γ)) descritto in

coordinate dall’equazione

X i = Xk

(∂ψi

∂qk

)+ ΓA

(∂ψi

∂zA

)

Come abbiamo visto, l’identificazione

j1(V (γ)) ∼= A(j1(γ))

permette di considerare le jet estensioni delle sezioni di V (γ) come deforma-

zioni della jet estensione j1(γ). Quindi, in questo caso, permette di vedere

se la jet estensione di una deformazione infinitesima di γ e in accordo con i

vincoli cinetici, ossia se puo essere derivata da una sezione di A(γ). Abbia-

mo quindi la possibilita di dare un criterio di ammissibilita cinematica per

le deformazioni delle sezioni γ.

Diremo che una sezione X : R −→ V (γ) e cinematicamente ammissibile

se esiste una sezione X : R −→ A(γ) per cui valga

j1(X) = i∗(X)

ovvero se la jet estensione j1(X) assume valori nel sottofibrato affine i∗(A(γ)).

In coordinate locali, una deformazione cinematicamente ammissibile sara

soggetta alla condizione

X i

(∂

∂qi

)

j1(γ)

+dX i

dt

(∂

∂qi

)

j1(γ)

= i∗

(V i

(∂

∂qi

)

γ

+ ΓA

(∂

∂zA

)

γ

)

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Deformazioni 23

matematicamente equivalente alla relazione

dX i

dt= Xk

(∂ψi

∂qk

)

γ

+ ΓA

(∂ψi

∂zA

)

γ

Quest’ultima e nota in letteratura come l’equazione alle variazioni.

Abbiamo quindi visto come lo studio delle deformazioni delle sezioni coin-

volga in forma linearizzata gli stessi tipi di ambienti geometrici che inter-

vengono nella descrizione dei moti in Meccanica . La “cinematica” del-

le deformazioni e analoga a una cinematica anolonoma basata sui fibrati

vettorialiA(γ) −→ A(j1(γ))

π ↓ ↓ π

V (γ) = V (γ)

L’equazione alle variazioni indica che, a meno dell’assegnazione dei dati

iniziali X i(t0), una deformazione infinitesima cinematicamente ammissibile

della sezione γ e univocamente determinata dalla sola conoscenza delle pro-

prie componenti ΓA. Ma le ΓA non hanno carattere invariantivo per trasfor-

mazioni di coordinate. Infatti dato un secondo sistema di coordinate t, qi, zA

con zA = zA(t, qj, zB) risulta

ΓA =< X, dzA >=∂zA

∂t< X, dt > +

∂zA

∂qj< X, dqj > +

∂zA

∂zB< X, dzB >

Essendo X la deformazione di una sezione si ha < X, dt >= 0. Quindi

ΓA = Xj ∂zA

∂qj+ ΓB ∂z

A

∂zB

Le componenti ΓA sono quindi un oggetto non tensoriale il cui utilizzo non

permetterebbe di condurre un’analisi geometrica del problema. Per far fronte

a questa difficolta, occorre assegnare una distribuzione orizzontale sulla curva

γ, che complementi il gia esistente sottospazio verticale dando luogo a una

decomposizione di A(γ) in somma diretta.

2.4.1 Distribuzioni orizzontali su A(γ)

Una distribuzione sul fibrato A e una applicazione H che a ogni punto z ∈ A

associa un sottospazio H(z) dello spazio Tz(A). Al variare di z rimane de-

finito un sottofibrato H(A) −→ A di T (A) −→ A. Tenendo presente che

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Deformazioni 24

l’annullatore delle forme di contatto[C(A)

]0e un sottofibrato di T (A) defi-

nito canonicamente, l’orizzontalita della distribuzione consiste nella richiesta

che H(A) completi[C(A)

]0all’intero fibrato T (A), ovvero che sussista la

relazione

T (A) =[C(A)

]0⊕H(A)

Il requisito di orizzontalita per il sottospazio H(z) si esprime come

π∗(H(z)) = Vx(Vn+1)

in cui π : A −→ Vn+1 e x = π(z). Tra le basi dello spazioH(A),∂1, . . . , ∂n

,

considereremo quelle il cui push-forward sia una base in V (Vn+1) derivante da

un sistema di coordinate, ovvero quelle basi per cui sia verificata la relazione

π∗(∂i) =∂

∂qi

che quindi assumono esplicitamente la forma

∂i =∂

∂qi+ hA

i (t, qk)∂

∂zA

Una distribuzione orizzontale su A(γ) e, per definizione, la restrizione a γ di

una distribuzione orizzontale su A. Sia h = H|γ : R −→ T (γ) la distribuzione

orizzontale lungo γ. In coordinate una base∂1, . . . , ∂n

di H(γ) si esprime

come

∂i =

(∂

∂qi

)

γ

+ hAi (t, qk(t))

(∂

∂zA

)

γ

Sotto il profilo euristico, le distribuzioni orizzontali lungo γ possono es-

sere interpretate come tracce lasciate sulla curva dai controlli appartenenti

alla curva stessa. Infatti, ricordando la definizione data nel capitolo prece-

dente e assegnato un controllo σ : Vn+1 −→ A appartenente a γ possiamo

considerare il push-forward σ∗(Tγ(t)(Vn+1)

)in tutti i punti γ(t). Cio genera

un sottospazio di ciascuno spazio Tγ(t)(A), che costituisce la distribuzione

orizzontale associata al controllo stesso. In coordinate, espresso il controllo

nella forma zA = zA(t, q), il push-forward σ∗(Tγ(t)(Vn+1)

)ristretto a V (γ) e

generato dai vettori

∂i =

(∂

∂qi

)

γ

+

(∂zA

∂qi

)

γ

(∂

∂zA

)

γ

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Deformazioni 25

Due diversi controlli σ1 e σ2 entrambi appartenenti a γ lasciano la medesima

traccia lungo la curva se e solo se hanno un contatto del prim’ordine, ossia

se e solo se (∂z A

1

∂qi

)

γ

=

(∂z A

2

∂qi

)

γ

dove z1(t, q) e z2(t, q) sono le funzioni che intervengono nella rappresentazio-

ne in coordinate di σ1 e σ2. Si verifica immediatamente che questa e una

relazione di equivalenza ben definita tra controlli appartenenti a una data

curva γ. σ1 e σ2 saranno detti equivalenti e la loro classe di equivalenza sara

indicata con [σ1]γ = [σ2]γ. La proiezione σ −→ [σ]γ subordinata alla scelta

di γ manda il controllo σ passante per γ nella distribuzione orizzontale [σ]γassociata a σ. Possiamo allora affermare che le distribuzioni orizzontali su

V (γ) sono le classi di equivalenza di controlli appartenenti a γ, nel senso che

l’assegnazione di un controllo appartenente a γ determina una distribuzione

orizzontale, mentre assegnare una distribuzione orizzontale lungo γ significa

dare una classe di equivalenza di controlli 1.

1Notiamo che, se consideriamo la fibrazione A −→ Vn+1, l’informazione contenuta

nella distribuzione orizzontale lungo una curva γ e equivalente a quella contenuta nella jet

estensione ristretta a γ di un controllo rappresentante la distribuzione stessa. Cio significa

che assegnare [σ]γ e equivalente a assegnare j1(σ)|γ . Infatti la jet estensione j1(σ) di un

generico controllo σ appartenente a γ e data in coordinate da

zA = zA(t, q)

uA =∂zA

∂t

vAi =

∂zA

∂qi

avendo denotato con t, qi, zA, uA, vAi le jet coordinate di j1(A) con cui indichiamo sin-

teticamente il fibrato degli 1-getti delle sezioni di A −→ Vn+1. La restrizione(

∂zA

∂qi

restituisce esattamente l’informazione contenuta nella distribuzione orizzontaleH(γ) asso-

ciata al controllo σ, mentre il termine(

∂zA

∂t

non porta alcuna informazione addizionale

rispetto a quella contenuta nei(

∂zA

∂qi

e nella curva stessa. Come ogni fibrato di 1-getti,

j1(A) e dotato di un fibrato di contatto, che indichiamo con C(j1(A)), generato dalle forme

di contatto

νA := dzA − uAdt− vAi dq

i

Il pull-back dell’applicazione j1(σ) · π : A −→ j1(A) porta il fibrato di contatto C(j1(A))

nell’immagine(j1(σ) · π

)∗(C(j1(A))) ⊂ T ∗(A). La restrizione di questo fibrato a γ e

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Deformazioni 26

Unitamente al fibrato verticale V (γ) la distribuzione orizzontale da luogo

a una decomposizione di A(γ) in somma diretta

A(γ) = H(γ)⊕ V (γ)

Localmente la decomposizione e supportata dalla base

∂i ,

∂zA

Associati a questa decomposizione si hanno i proiettori orizzontale e verticale

definiti su ogni vettore X ∈ A(γ) dalle relazioni

PH(X) =< X, ωi > ∂i e PV (X) = X− < X, ωi > ∂i

dove ωi sono le forme di contatto su A ristrette a T (γ).

Strettamente legata alla distribuzione orizzontale e la nozione di solleva-

mento orizzontale. Infatti data la distribuzione e sempre possibile definire

un’applicazione, che chiamiamo sollevamento orizzontale, da V (γ) in A(γ)

mediante la richiesta∂

∂qi−→ ∂i

dove ∂i indica gli elementi della base dello spazio orizzontale H(A).

generata dalle forme

νA :=

((j1(σ) · π

)∗(νA)

)

γ

= dzA −

(∂zA

∂t

)

γ

dt−

(∂zA

∂qi

)

γ

dqi

Per ogni γ ∈ A, A(γ) e sottospazio vettoriale di T (A). L’azione delle forme νA sui vettori

X ∈ A(γ) in coordinate risulta

⟨X, νA

⟩=

⟨X i ∂

∂qi+ ΓB ∂

∂zB, dzA − kAdt− hA

j dqj

⟩= ΓA − hA

j Xj

dove abbiamo indicato(

∂zA

∂qi

con hAi e

(∂zA

∂t

con kA per uniformita con la notazione

precedente. I vettori X che annullano le νA sono della forma

X i

(∂

∂qi+ hA

i

∂zA

)

L’azione del pull-back ristretto a γ delle forme di contatto su j1(A) permette quindi di

vedere la distribuzione orizzontale come annullatore, all’interno di A(γ), delle stesse forme

νA.

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Deformazioni 27

Abbiamo visto che ogniqualvolta si disponga di un controllo definito lun-

go la curva si dispone automaticamente di una corrispondente distribuzione

orizzontale che rappresenta il controllo al prim’ordine. Ogni controllo defi-

nisce quindi un sollevamento orizzontale. Quest’ultimo, in quanto iniettivo

determina un’isomorfismo tra il proprio dominio e il proprio codominio, ossia

tra il sottospazio verticale su γ e il sottospazio orizzontale su γ. In formule

V (γ) ∼= H(γ)

2.4.2 Trasporto parallelo in V (γ)

La capacita di sollevare i vettori verticali lungo una curva γ identifica una

nozione di trasporto parallelo per i vettori stessi. Assegnamo una sezione

X di V (γ) e indichiamo con X il sollevamento orizzontale di X. Diremo

che il campo vettoriale X e trasportato parallelamente lungo γ se sussiste

l’identificazione

j1(X) = i∗(X)

In componenti cio comporta:

dX i

dt= Xk

(∂ψi

∂qk+ hA

k

∂ψi

∂zA

)(2.1)

Possiamo costruire una banalizzazione del fibrato delle basi di V (γ) consi-

derando una generica base di Vx(γ) in un punto x ∈ γ e trasportandone gli

elementi lungo la curva γ mediante la legge di trasporto appena definita.

Detta ei una base autotrasportata, sia X un vettore su V (γ) e X iei la sua

decomposizione sulla base ei. Definiamo derivato temporale assoluto di X il

vettore che ha per componenti le derivate temporali delle componenti di X

sulla base autotrasportata, ovvero

D

DtX =

D

Dt

(X iei

)=dX i

dtei

Questa definizione si estende all’intera algebra tensoriale di V (γ) dando luogo

a una derivazione temporale assoluta sull’intera algebra tensoriale.

Per identificare i simboli di connessione associati alla derivazione temporale

assoluta, consideriamo un vettore X = Xk ∂

∂qkautotrasportato lungo γ. Per

X vale la relazione

0 =D

DtX =

dX i

dt

∂qi+X i D

Dt

(∂

∂qi

)

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Deformazioni 28

Tenendo presente la (2.1) ricaviamo

−Xk

(∂ψi

∂qk+ hA

k

∂ψi

∂zA

)∂

∂qi= Xk D

Dt

(∂

∂qk

)

ossiaD

Dt

(∂

∂qk

)= −

(∂ψi

∂qk+ hA

k

∂ψi

∂zA

)∂

∂qi

Da cio identifichiamo i simboli di connessione associati alla derivazione tem-

porale assoluta

τ ik = −

(∂ψi

∂qk+ hA

k

∂ψi

∂zA

)= −∂kψ

i

La derivata assoluta per i vettori e per le forme in base a quanto definito,

risulta

D

Dt

(X i ∂

∂qi

)=

(dX i

dt+ τ i

kXk

)∂

∂qi

D

Dt

(σiω

i

)=

(dσi

dt− τk

i σk

)ωi

Inoltre data l’identificazione V (γ) ∼= H(γ) e immediato sollevare questa deri-

vazione allo spazio orizzontale H(γ). Detto X ∈ H(γ) un vettore orizzontale

e X ∈ V (γ) il vettore che corrisponde a X nell’identificazione V (γ) ∼= H(γ)

definiamo il derivato temporale assoluto di X il vettore sollevato orizzontale

del derivato temporale assoluto di X. In coordinate abbiamo

D

Dt

(X i∂i

)=

(dX i

dt+ τ i

kXk

)∂i

Come prima, questa definizione si estende all’intera algebra tensoriale di

H(γ) dando luogo a una derivazione temporale assoluta sull’intera algebra

tensoriale.

2.4.3 Equazione alle variazioni come legge di trasporto

La nozione di trasporto parallelo dei vettori verticali lungo la curva γ get-

ta nuova luce sulla condizione di ammissibilita cinematica delle deformazioni

infinitesime della curva medesima. Infatti, assegnata una deformazione infini-

tesima di γ, mentre la nozione di ammissibilita cinematica richiede l’esistenza

di una sezione X dello spazio A(γ) per cui sussista l’equazione

j1(X) = i∗(X) ,

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Deformazioni 29

la nozione di trasporto parallelo richiede che la medesima equazione sussista

nel caso specifico in cui X sia il sollevamento orizzontale della sezione X di

V (γ). In altre parole, all’interno della totalita delle sezioni cinematicamen-

te ammissibili di V (γ), le sezioni autotrasportate formano una sottoclasse:

il generico elemento di questa sottoclasse e una sezione X il cui solleva-

mento orizzontale e la sezione X di A(γ) la cui esistenza e condizione di

ammissibilita cinematica per X.

Decomponendo la generica sezione di A(γ), data da X = X i ∂

∂qi+ΓA ∂

∂zA

mediante i proiettori orizzontale e verticale otteniamo

X = pH(X) + pV (X) =⟨X, ωi

⟩∂i + (X −

⟨X, ωi

⟩∂i)

dove

⟨X, ωi

⟩= X i e (X −

⟨X, ωi

⟩∂i) = (ΓA − hA

i Xi)

∂zA=: Y A ∂

∂zA

Avendo introdotto questa decomposizione, l’equazione alle variazioni assume

la formadX i

dt= Xj ∂jψ

i +(ΓA − hA

kXk)∂ψi

∂zA

Da questo, essendoD

Dt(X i∂i) =

(dX i

dt−Xj τ i

j

)∂i ricaviamo

D

Dt

(X i∂i

)= Y A ∂ψ

i

∂zA∂i

L’equazione alle variazioni in questa forma lega la derivata temporale assoluta

della parte orizzontale della deformazione infinitesima alla parte verticale del-

la deformazione stessa. Quest’ultima, tramite il push-forward dell’inclusione

i : A(γ) −→ A(j1(γ)) restituisce

Y A

(∂

∂zA

)i∗−→ Y A ∂ψ

i

∂zA

(∂

∂qi

)

Utilizzando la corrispondenza generata dal sollevamento verticale

Y A ∂ψi

∂zA

(∂

∂qi

)←→ Y A ∂ψ

i

∂zA

(∂

∂qi

)

per poi risollevare quest’ultimo tramite il sollevamento orizzontale otteniamo

Y A ∂ψi

∂zA∂i. Questo processo e sintetizzato tramite l’uso del pairing 〈 || 〉.

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Deformazioni 30

L’applicazione lineare χ : V (γ) −→ H(γ) data da

Y −→⟨(% · i∗)Y || ω

i⟩∂i =

⟨Y A∂ψ

k

∂zA

∂qk

∣∣∣∣

∣∣∣∣ωi

⟩∂i = Y A ∂ψ

i

∂zA∂i

restituisce un sottomodulo dello spazio orizzontale H(γ) detto il modulo dei

vettori cinematici orizzontali. E allora possibile utilizzare l’equazione alle va-

riazioni in modo costruttivo: data la parte verticale Y di una deformazione

si consideri il vettore cinematico orizzontale associato χ(Y ). Tramite que-

sto ricostruiamo la parte orizzontale della deformazione infinitesima di una

sezione in base all’equazione alle variazioni

D

DtX = χ(Y )

Assegnati i valori X i(t0) della deformazione in un punto iniziale, l’equazione

consente di determinare univocamente l’intero campo X i(t) in termini del

campo verticale Y A. Concludiamo quindi che la totalita delle deformazioni

cinematicamente ammissibili della curva γ e uno spazio vettoriale infinito

dimensionale Ψ sui reali, identificabile con la totalita dei campi vettoriali

lungo γ del tipo Y = Y A ∂

∂zA. La corrispondenza tra i campi suddetti e le

deformazioni e data da

Y −→ X = Y +X i∂i

con i coefficienti X i univocamente determinati dall’equazione alle variazioni.

La corrispondenza dipende esplicitamente dalla distribuzione orizzontale, e

quindi puo essere costruita in piu modi. Al contrario lo spazio Ψ e invariante

rispetto alla distribuzione, ossia e un oggetto geometrico ben definito. La

distribuzione risulta qui uno strumento atto essenzialmente a identificare

lo spazio Ψ, ossia a comprendere quanti gradi di liberta siano “bloccati”

dall’assegnazione dei vincoli.

2.5 Deformazioni “nulle al contorno”

Abbiamo appena visto come l’equazione alle variazioni si trasformi in una

legge di trasporto non appena si consideri il sottospazio orizzontale in A(γ).

Al fine di esplicitare il risultato del trasporto della parte orizzontale, conside-

riamo una base per il fibrato orizzontale H(γ) che sia autotrasportata, ossia

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Deformazioni 31

una n-upla di vettorie(1), . . . , e(n) |

D

Dte(i) = 0 ∀i = 1, . . . , n

e la corrispondente base duale in C(A)e(1), . . . , e(n) |

D

Dte(i) = 0 ∀i = 1, . . . , n

La relazione fra queste basi definite lungo la curva e le basi originarie ∂i e ωi

e espressa dalle relazioni

e(i) = Aki ∂k dove Ak

i :=< e(i), ωk >

e(i) = Bikω

k dove Bik :=< e(i), ∂k >

mentre dalla condizione di autotrasporto si hanno le condizioni per le matrici

A e BdAk

i

dt+ τk

r Ari = 0

dBik

dt− τ r

kBir = 0

Sulla base autotrasportata la parte orizzontale della deformazione X diviene

pH(X) = X ie(i)

La legge di trasporto della parte stessa assume quindi la forma

D

Dt

(X ie(i)

)=dX i

dte(i) = Y A∂ψ

k

∂zA∂k

ovverodX i

dt= Y A∂ψ

k

∂zA< ∂k, e

(i) >

Integrando ora tra t0 e t l’equazione alle variazioni espressa sulla base auto-

trasportata possiamo esplicitare il risultato del trasporto lungo la curva della

parte orizzontale

X i(t) = X i(t0) +

∫ t

t0

Y A∂ψk

∂zA< ∂k, e

(i) > dt

Una deformazione infinitesima si dice nulla al contorno quando X(t0) = 0 e

X(t1) = 0. Pertanto, assunto X i(t0) = 0 come dato iniziale per l’equazione

ale variazioni, la condizione X i(t1) = 0 si traduce nel requisito∫ t1

t0

Y A∂ψk

∂zA< ∂k, e

(i) > dt = 0

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Deformazioni 32

sulle funzioni Y A(t). Quest’ultimo consiste nell’annullamento di n funzio-

nali agenti sullo spazio Ψ. L’annullatore di questi n funzionali rappresenta

quindi lo spazio dei vettori verticali Y lungo γ in corrispondenza dei quali,

per effetto dell’equazione alle variazioni, ogni deformazione infinitesima nulla

all’istante iniziale si annulla automaticamente anche a quello finale. Dunque,

nella corrispondenza che porta i vettori verticali nelle deformazioni cinema-

ticamente ammissibili, l’annullatore di questi funzionali e identificato con la

totalita delle deformazioni nulle al contorno.

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Capitolo 3

Variazione prima

In questo capitolo vedremo innanzitutto che le condizioni necessarie all’esi-

stenza delle soluzioni di un problema variazionale a estremi fissi soggetto a

vincoli cinetici costituiscono un sistema di equazioni differenziali e algebriche

la cui soluzione dipende, a meno dei dati iniziali e finali, esclusivamente dalla

assegnazione dei vincoli e della Lagrangiana. A differenza del caso olonomo

in cui, assegnati posizione e velocita iniziali del sistema l’evoluzione e univo-

camente determinata, vedremo che per i sistemi soggetti a vincoli anolonomi

la determinazione delle curve estremali del funzionale d’azione non soddisfa

il principio di determinismo, ovvero non sfocia un problema di Cauchy ben

posto nello spazio degli atti di moto.

Vedremo invece che, sotto l’ipotesi di regolarita del problema variaziona-

le, ogni sistema Lagrangiano vincolato si traduce in un sistema Hamiltoniano

libero. A patto di spostare la trattazione in ambito Hamiltoniano, il proble-

ma variazionale vincolato risulta, cioe, formalmente identico a un problema

variazionale libero. La distinzione tra il caso libero e il caso vincolato, in

ambito Hamiltoniano si riduce a una differenza tra le corrispondenti Hamil-

toniane: vedremo infatti che l’Hamiltoniana associata a un problema varia-

zionale soggetto a vincoli cinetici da luogo a una trasformazione di Legendre

inversa di tipo singolare. In questo senso, la trattazione dei vincoli in ambito

Hamiltoniano e completamente surrogata dalla singolarita dell’Hamiltoniana.

Infine dimostreremo, come diretta conseguenza dei risultati ottenuti, la

validita del metodo dei moltiplicatori di Lagrange per lo studio degli estremali

dei funzionali vincolati.

33

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Variazione prima 34

3.1 Condizione di estremalita

Sia L(t, qi, zA) una lagrangiana sullo spazio A. Data una curva γ cinemati-

camente ammissibile e detto γ il suo sollevamento, consideriamo il funzionale

d’azione

I[γ] :=

γ

Ldt =

∫ t1

t0

L(t, qi(t), zA(t))dt

Vogliamo trovare condizioni necessarie affinche γ sia un estremale di tale

funzionale rispetto a deformazioni a estremi fissi, ossia una curva per il cui

sollevamento risulti[d

dξI[ϕξ(γ)]

]

ξ=0

=d

γ

L(t, q(t, ξ), z(t, ξ))dt = 0 (3.1)

per ogni deformazione cinematicamente ammissibile ϕξ nulla al contorno. Al

fine di sviluppare la richiesta di estremalita nelle ipotesi indicate, calcoliamo

[ ddξI[ϕξ(γ)]

]

ξ=0=

d

ϕξ(γ)

Ldt =

γ

X(L)dt

in cui X = X i ∂

∂qi+ Γ

∂zAindica il vettore rappresentativo del sollevamento

di una deformazione infinitesima X. La condizione (3.1) assume pertanto la

forma

0 =[ ddξI[ϕξ(γ)]

]ξ= 0

=

∫ t1

t0

[Xj( ∂L∂qj

+ ΓA( ∂L∂zA

]dt

per tutte le deformazioni infinitesime cinematicamente ammissibili, ossia

soddisfacentidX i

dt= Xj ∂ψ

i

∂qj+ ΓA ∂ψ

i

∂zA

Se utilizziamo la scrittura del vettore deformazione introdotta nel capitolo

precedente, invariante rispetto al cambio di coordinate e subordinata alla

scelta di una distribuzione orizzontale ∂j su A, omettendo d’ora in poi il

sottoindice γ, riscriviamo l’integrando come

X(L) =(pH(X) + pV (X)

)L =

(⟨X, ωi

⟩∂i + (X −

⟨X, ωi

⟩)∂i

)L

dove

⟨X, ωi

⟩= X i e (X −

⟨X, ωi

⟩∂i) = (ΓA − hA

i Xi)

∂zA=: Y A ∂

∂zA

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Variazione prima 35

Per effetto di questa decomposizione, l’integrando assume la forma

Xj ∂jL+(ΓA − hA

kXk) ∂L∂zA

La condizione di estremalita (3.1) diventa quindi

0 =

∫ t1

t0

[Xj∂jL+ Y A ∂L

∂zA

]dt

per ogni deformazione cinematicamente ammissibile. A sua volta in questo

contesto la condizione di ammissibilita della deformazione si esprime nella

formaD

Dt

(X i∂i

)= Y A ∂ψ

i

∂zA∂i

Nel caso olonomo, a questo punto avremmo a disposizione tutti gli strumenti

necessari per studiare la variazione del funzionale d’azione. In presenza di

vincoli anolonomi, essendo la deformazione infinitesima controllata dal vet-

tore Y a r componenti, piuttosto che dall’usuale X a n componenti, occorre

introdurre un ulteriore elemento che permetta di esprimere la variazione pri-

ma del funzionale d’azione in termini dei gradi di liberta “veri” presenti nella

deformazione infinitesima, ossia delle componenti Y A.

3.2 Il sistema Lagrangiano vincolato

Al fine di convertire la condizione di estremalita in un sistema di equazioni

differenziali e algebriche, le cui soluzioni siano le curve estremali del problema

variazionale, indichiamo con σ una 1-forma di contatto lungo γ soggetta alla

legge di evoluzioneDσ

Dt= (∂jL)ωj

Tale legge definisce σ solo a meno di una arbitraria 1-forma di contatto

autotrasportata lungo γ. Infatti, detta caea una generica 1-forma avente

componenti cα costanti lungo una base autotrasportata, e quindi a sua volta

autotrasportata, abbiamo

D(σ + caea)

Dt=Dσ

Dt

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Variazione prima 36

Tramite σ, il primo addendo della funzione integranda che figura nella richie-

sta di estremalita si puo riscrivere

Xk∂kL =< X, ωk > ∂kL =< X, (∂kL)ωk >=< X,Dσ

Dt>=

=d

dt< X, σ > − <

DX

Dt, σ >

Utilizzando l’equazione alle variazioni sotto forma di legge di trasporto ab-

biamo quindi

Xk∂kL =d

dt< X, σ > −Y A ∂ψ

i

∂zA< ∂i, σ >

La richiesta di estremalita assume in tal modo la forma

0 =

∫ t1

t0

[d

dt< X, σ > −Y A ∂ψ

i

∂zA< ∂i, σ > +Y A ∂L

∂zA

]dt =

=[< X, σ >

]t1t0

∫ t1

t0

[∂ψi

∂zA< ∂i, σ > −

∂L

∂zA

]Y A dt = 0

L’ipotesi che la deformazione sia “nulla al contorno” annulla il primo addendo

riducendo il requisito di estremalita di γ alla richiesta

0 =

∫ t1

t0

[∂ψi

∂zA< ∂i, σ > −

∂L

∂zA

]Y A dt (3.2)

per tutte le Y A soddisfacenti la condizione

∫ t1

t0

∂ψk

∂zA< ∂k, e

(i) > Y A dt = 0 (3.3)

Condizione necessaria e sufficiente affinche cio accada e che i coefficienti di

Y A nella (3.2) siano combinazioni lineari dei coefficienti di Y A nella (3.3),

ovvero che esistano delle costanti ca per cui risulti

∂ψi

∂zA< ∂i, σ > −

∂L

∂zA= ca

∂ψk

∂zA< ∂k, e

(a) >

ossia

< ∂i, σ − cae(a) >

∂ψi

∂zA−

∂L

∂zA= 0

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Variazione prima 37

Come gia osservato la differenza σ − cae(a) soddisfa la medesima legge di

evoluzione utilizzata nella definizione di σ. Quindi posto σ− cae(a) = pi(t)ωi

concludiamo che: ogni qualvolta γ e una curva estremale del funzionale d’a-

zione esistono1 n funzioni pi(t) definite lungo γ in modo che sia soddisfatto

il sistema di equazioni

dqi

dt= ψi(t, qi, zA)

D

Dt

(pi(t)ω

i)

=(∂iL)ωi

pi∂ψi

∂zA = ∂L∂zA

Il primo sottosistema e la condizione di ammissibilita cinematica. Il secondo

la legge di evoluzione delle funzioni pi(t) e il terzo la condizione di estremalita

per il problema variazionale vincolato. Notiamo che lungo le curve estremali

la legge di trasporto delle funzioni pi(t) non dipende dalla distribuzione oriz-

zontale scelta. Infatti, ricordando la definizione di ∂i il secondo sottosistema

divienedpi

dt−[( ∂

∂qi+ hA

i

∂zA

)ψk]pk =

( ∂

∂qi+ hA

i

∂zA

)L

Grazie al terzo sottosistema i termini dipendenti dalla scelta della distri-

buzione orizzontale (ossia quelli in cui compare hAi ) scompaiono, per cui il

sistema originario puo essere riscritto nella forma2

dqi

dt= ψi(t, qi, zA)

dpi

dt+∂ψk

∂qipk =

∂L

∂qi

pi∂ψi

∂zA = ∂L∂zA

1Un problema interessante e quello dell’unicita delle pi. In molti casi la presenza

di soluzioni non univocamente determinate e fisicamente irrilevante dal momento che

soluzioni pi diverse restituiscono al sistema lo stesso comportamento fisico: si tratta di

un problema di impostazione geometrica. Invece ci sono casi in cui la non unicita delle

pi viene a galla fisicamente: per esempio, puo accedere che, fissati due punti nello spazio

fisico - fissate cioe le condizioni iniziali e finali per le qi - se la curva estremale uscente da

questi punti non e unica, la scelta delle pi determini univocamente la scelta della curva

estremale.2Nella dimostrazione del Teorema del Massimo di Pontryagin la legge di evoluzione

delle pi(t) ha definitoriamente quest’ultima forma. Essa viene giustificata come la legge

duale di trasporto di iperpiani lungo le soluzioni.

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Variazione prima 38

noto in letteratura come il sistema lagrangiano vincolato. Interpretato alla

lettera esso e semplicemente un sistema formato da un gruppo di r equazio-

ni algebriche e due gruppi di n equazioni differenziali del prim’ordine nelle

incognite qi(t), pi(t) e zA(t), dipendente esclusivamente dai dati del proble-

ma (ossia dalla Lagrangiana L e dall’embedding i) e non dalle costruzioni

geometriche ausiliarie. Naturalmente, nei confronti dell’originario proble-

ma variazionale vincolato, le incognite rilevanti sono solamente le qi(t) e le

zA(t), mentre le pi(t) assumono un ruolo ausiliario, necessario per ricavare le

soluzioni qi(t) e zA(t). Infatti il sistema seleziona una classe di curve nello

spazio delle variabili (qi, pi, zA) che, ristrette alle sole coordinate (qi, zA), os-

sia a coordinate su A, rappresentano curve cinematicamente ammissibili che

annullano la variazione prima del funzionale di azione.

Ovviamente il sistema lagrangiano vincolato ammette soluzioni solo se il

terzo sottosistema di equazioni e risolubile rispetto alle zA, ossia se

det

[∂2L

∂zA∂zB− pi

∂2ψi

∂zA∂zB

]6= 0

In tale ipotesi il problema variazionale e detto regolare.

3.2.1 Struttura di gauge della teoria

Le funzioni pi(t) potrebbero non essere univocamente determinate del sistema

lagrangiano vincolato. Infatti, date due 1-forme di contatto pi(t)ωi e p′i(t)ω

i

soddisfacenti il sistema, la loro differenza σi(t)ωi := (pi(t)− p′i(t))ωi verifica

il sistema omogeneo

D(σiωi)

Dt= 0

σi∂ψi

∂zA = 0

Il secondo gruppo di equazioni indica che σi(t)ωi e una 1-forma di Chetaev

definita lungo la curva estremale, mentre il primo gruppo, e la condizione

di autotrasporto. La differenza tra due 1-forme di contatto che verifichino

il sistema lagrangiano vincolato e quindi una 1-forma di Chetaev autotra-

sportata. Viceversa, se esistono 1-forme di Chetaev autotrasportate lungo

una curva estremale γ le soluzioni pi(t) non sono univocamente determinate,

in quanto basta sommare a una possibile soluzione una forma di Chetaev

autotrasportate per ottenere un’altra soluzione dello stesso problema.

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Variazione prima 39

3.3 Il sistema Hamiltoniano libero

Accanto allo spazio degli atti di moto ammissibili A ⊂ j1(Vn+1) consideriamo

lo spazio delle fasi Π(Vn+1) e costruiamo il prodotto fibrato

A×Vn+1 Π(Vn+1)

L’ipotesi di regolarita del problema variazionale si esprime in questo contesto

richiedendo che la sottovarieta di A×Vn+1 Π(Vn+1)) di equazione cartesiana

pi

∂ψi

∂zA=

∂L

∂zA

sia localmente il grafico di una suriezione χ : Π(Vn+1) −→ A. Infatti, sotto

tale ipotesi, il terzo gruppo di equazioni del sistema lagrangiano vincolato

diviene

zA = zA(t, q1, . . . , qn, p1, . . . , pn) (3.4)

che e l’espressione in coordinate di χ. Cosı esplicitato, il terzo gruppo di

equazioni si fa indipendente dai primi due. A loro volta, sostituendo alle zA

le funzioni zA = zA(t, q1, . . . , qn, p1, . . . , pn), i primi due sottosistemi danno

luogo a un complesso di 2n equazioni differenziali in 2n incognite, nella forma

normale

dqi

dt= ψi(t, qi, zA(t, qj, pj))

dpi

dt=∂L

∂qi(t, qi, zA(t, qj, pj))− pk

∂ψk

∂qi(t, qi, zA(t, qj , pj))

In virtu del Teorema di Cauchy, per dar luogo a una soluzione univoca queste

2n equazioni differenziali richiedono l’assegnazione di 2n dati iniziali. Cio

indica che sotto il profilo variazionale un problema a estremi fissi, olonomo o

anolonomo che sia, e sempre ben posto, in quanto l’assegnazione degli estremi

posizionali equivale a fissare 2n condizioni. Nel caso anolonomo viene invece a

cadere la nozione di determinismo, ossia l’idea che la conoscenza di posizione

e velocita iniziali (n + r dati) sia sufficiente a determinare l’evoluzione del

sistema.

Le curve soluzioni del problema variazionale vincolato sono ora curve nello

spazio delle fasi, all’interno del quale possiamo introdurre un formalismo

prettamente Hamiltoniano definendo la funzione

H(t, q1, . . . , qn, p1, . . . , pn) = piψi(t, qi, zA(t, qi, pi))− L(t, qi, zA(t, qi, pi))

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Variazione prima 40

e osservando che questa gioca, a tutti gli effetti, un ruolo di Hamiltoniana

nel senso ordinario del termine. Valgono infatti le relazioni

∂H

∂pi

= ψi + pj

∂ψj

∂zA

∂zA

∂pi

−∂L

∂zA

∂zA

∂pi

= ψi

∂H

∂qi= pk

[∂ψk

∂qi+∂ψk

∂zA

∂zA

∂qi

]−[∂L∂qi−

∂L

∂zA

∂zA

∂i

]= −

∂L

∂qi+ pk

∂ψk

∂qi

Queste associano al sistema lagrangiano vincolato un sistema hamiltoniano

libero soggetto alle equazioni di evoluzione

dqi

dt=∂H

∂pi

(t, qj, pj)

dpi

dt= −

∂H

∂qi(t, qj, pj)

Le soluzioni del sistema lagrangiano vincolato, ossia le curve dello spazio

degli atti di moto annullanti la variazione prima sono quindi ottenibili deter-

minando le linee integrali del sistema hamiltoniano libero nello spazio delle

fasi e risalendo alle zA tramite la suriezione (3.4). L’applicazione che lega

lo spazio delle fasi a quello degli atti di moto portando le soluzioni del si-

stema hamiltoniano in quelle del sistema lagrangiano ha la natura di una

trasformazione di Legendre inversa. Infatti componendo la suriezione χ con

l’embedding i otteniamo l’applicazione

i χ : Π(Vn+1) −→ A −→ j1(Vn+1)

espressa in coordinate da

qi = ψi(t, q1, . . . , qn, zA(t, q1, . . . , qn, p1, . . . , pn)) =∂H

∂pi

Il fatto che questa applicazione sia composta tramite l’embedding i : A −→

j1(Vn+1) ne rende evidente la non surgettivita, e quindi la non invertibilita

su j1(Vn+1), ovvero la non esistenza della trasformazione di Legendre diretta.

Abbiamo cosı riformulato in termini Hamiltoniani un problema Lagran-

giano vincolato. Inoltre abbiamo ottenuto in questo ambito il “dissolvimento

dei vincoli”. Ma come si spiega il fatto che un problema Lagrangiano vinco-

lato sia equivalente a un problema Hamiltoniano libero, quando ogni sistema

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Variazione prima 41

Hamiltoniano di questo tipo e in corrispondenza biunivoca con un sistema La-

grangiano privo di vincoli? Semplicemente perche l’Hamiltoniana associata

al problema vincolato risulta singolare. Essendo

∂H

∂pr

= ψr

si ha infatti∂2H

∂pj∂pr

=∂ψr

∂zA

∂zA

∂pj

Dato che∂zA

∂pj

ha al piu rango r, le equazioni∂zA

∂pj

ξj = 0 ammettono soluzioni

non identicamente nulle. Il determinante di∂2H

∂pj∂pr

risulta quindi nullo a

riprova della singolarita di H .

3.4 Ruolo del metodo di Hamilton Jacobi nel

problema vincolato

Vediamo ora alcuni sviluppi geometrici interessanti forniti dalla teoria di Ha-

milton Jacobi. Consideriamo un’Hamiltoniana definita sull’intero spazio del-

le fasi: dalla teoria delle trasformazioni canoniche sappiamo che un’integrale

completo S(t, q, α) dell’equazione di Hamilton Jacobi

∂S

∂t+H(t, q,

∂S

∂q) = 0

fornisce, in forma implicita, l’integrale generale dell’equazione di evoluzione.

Indichiamo con σ(α) : Vn+1 −→ Π(Vn+1) la famiglia a n parametri di sezioni

descritta localmente dal sistema

pi =∂S

∂qi(t, q, α)

Vediamo innanzitutto che una sezione dello spazio delle fasi cosı definita e

sempre tangente al flusso Hamiltoniano. Infatti indicato questo con

Z =∂

∂t+∂H

∂pi

∂qi+∂H

∂qi

∂pi

consideriamo sullo spazio delle fasi la funzione

pi −∂S

∂qi(t, q, α)

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Variazione prima 42

il cui annullamento definisce le sezioni σ. Per ogni scelta dei parametri α,

deriviamo questa funzione lungo il flusso Hamiltoniano

Z

(pi −

∂S

∂qi(t, q, α)

)= −

∂H

∂qi−

∂2S

∂t∂qi−∂H

∂pk

∂2S

∂qk∂qi

Se restringiamo il risultato alla sezione corrispondente ai valori α tramite il

pullback σ∗, otteniamo l’annullamento

σ∗

(−∂H

∂qi−

∂2S

∂t∂qi−∂H

∂pk

∂2S

∂qk∂qi

)= 0

Lungo la sezione stessa pi =∂S

∂qi(t, q, α), grazie all’equazione di Hamilton

Jacobi, il termine −σ∗

(∂2S

∂t∂qi

)si riduce infatti a

σ∗

(−

∂2S

∂t∂qi

)= σ∗

(−

∂qi

[−H

(t, q,

∂S

∂qk(t, q)

)])=∂H

∂qi+∂H

∂pk

∂2S

∂qk∂qi

Resta cosı provato che ogniqualvolta una linea integrale del flusso Hamilto-

niano interseca una sezione σ, essa giace interamente su tale sezione. Inoltre,

essendo la scelta della sezione controllata da n parametri α1, . . . , αn, e sem-

pre possibile fare in modo che, fissato un punto(t0, q(t0), p(t0)

)sulla linea

integrale stessa, risulti

pi(t0) =∂S

∂qk

(t0, q(t0), α1, . . . , αn

)

Quindi ogni linea integrale del flusso Hamiltoniano appartiene sempre a

una sezione σ ottenuta a partire da un’integrale completo dell’equazione di

Hamilton Jacobi, fissando opportunamente i parametri α1, . . . , αn.

Queste sezioni dello spazio delle fasi, depositarie delle curve integrali del

flusso Hamiltoniano, si trasformano in sezioni dello spazio degli atti di mo-

to,ossia in campi di velocita su Vn+1, non appena vengano composte con la

proiezione χ. Ciascuna immagine σ = χ(σ) e definita implicitamente dal

sistema∂S

∂qi

∂ψi

∂zA=

∂L

∂zA

o anche esplicitamente, come sezione di j1(Vn+1), descritta dalla relazione

qi =∂H

∂pi

(t, q,

∂S

∂q

)

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Variazione prima 43

Nell’uno o nell’altro modo, ogni soluzione S(t, q) dell’equazione di Hamilton

Jacobi determina un campo di velocita su Vn+1 e quindi una congruenza di

curve integrali γ(t, ξ1, . . . , ξn). L’ammissibilita cinematica dei sollevamen-

ti allo spazio degli atti di moto delle curve appartenenti alla congruenza e

sinonimo della validita del primo gruppo di equazioni del sistema Hamil-

toniano libero, mentre la validita del secondo gruppo di equazioni e data

semplicemente dal calcolo

dpi

dt=

d

dt

∂S

∂qi=

∂2S

∂qi∂qkψk +

∂2S

∂qi∂t=

∂2S

∂qi∂qkψk −

∂H

dqi−∂H

∂pk

∂2S

∂qi∂qk= −

∂H

dqi

Dunque, data l’equivalenza tra il sistema Hamiltoniano libero e il sistema

Lagrangiano vincolato, le curve integrali del campo di velocita sono le curve

estremali del funzionale d’azione. Campi siffatti, ovvero campi le cui curve

integrali siano estremali del funzionale d’azione si dicono campi di Mayer.

Dato che ogni soluzione S(t, q) dell’equazione di Hamilton Jacobi individua

un campo di Mayer su Vn+1, ogni congruenza di curve estremali e fissata da-

gli n parametri α1, . . . , αn necessari per individuare la funzione S(t, q) tra le

S(t, q, α) dell’integrale completo. Detta γα(t, ξ1, . . . , ξn) la famiglia a n para-

metri di congruenze di curve estremali del funzionale d’azione, consideriamo

un punto qi(t0) di Vn+1 e nel punto fissiamo la velocita zA(t0). I parametri

fissati dalla scelta della velocita sono r. Quelli necessari alla determinazione

univoca della curva estremale passante per qi(t0) sono n, perche ogni cur-

va estremale per qi(t0) deve necessariamente appartenere alla congruenza.

Questo significa che per un punto qi(t0) di Vn+1 possono passare piu curve

estremali, ognuna appartenente a una diversa congruenza di curve, ma tutte

con la medesima velocita zA(t0).

Come gia segnalato, alla soluzione del problema viene a mancare il de-

terminismo meccanico che vuole l’unicita della soluzione una volta assegnate

la posizione e la velocita. Non per questo viene a mancare il problema di

Cauchy. Infatti, se il problema affrontato nello spazio degli atti di moto non

ha natura deterministica, lo stesso problema trasferito nello spazio delle fasi

ritrova un problema di Cauchy i cui dati iniziali sono le n informazioni qi(t0)

sulla posizione iniziale e le n informazioni sui momenti coniugati pi(t0), i qua-

li riflettono la specificazione delle coordinate del punto finale del problema

variazionale.

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Variazione prima 44

3.5 Il metodo dei moltiplicatori

Vediamo ora la validita del metodo dei moltiplicatori di Lagrange per i fun-

zionali vincolati. Per fare questo definiamo innanzitutto il concetto di equi-

valenza tra problemi variazionali, affermando che due problemi variazionali

sono equivalenti se esiste una corrispondenza che identifica biunivocamente

le curve estremali dell’uno con le curve estremali dell’altro problema.

Sia L una Lagrangiana su j1(Vn+1), ossia sulla jet estensione dello spazio

delle configurazioni Vn+1. In presenza di vincoli cinetici, ossia di una restri-

zione sugli atti di moto consentiti al sistema espressa analiticamente tramite

l’embedding

i : A −→ j1(Vn+1)

la Lagrangiana L si restringe alla sottovarieta A mediante il pull-back

L |A = i∗(L) = L (t, q1, . . . , qn, z1, . . . , zr)

Tramite L abbiamo un funzionale d’azione ben definito sulle curve cinema-

ticamente ammissibili.

Possiamo ora enunciare il seguente

Teorema 1 I seguenti funzionali danno luogo a problemi variazionali equi-

valenti

1. I[γ] :=

γ

Ldt assoggettato adqi

dt= ψi(t, qj, zA)

2. I[γ] :=

γ

[L+ pi

(dqi

dt− ψi(t, qj, zA)

)]dt

3. I ′[γ] :=

γ

[L+ λσg

σ(t, qj, qk)]dt assoggettato a

dqi

dt= ψi(t, qj, zA)

4. I[γ] :=

γ

[L+ pi

(dqi

dt− qi

)+ λσg

σ(t, qj, qk)]dt

con l’ovvio significato dei simboli.

Dimostrazione

1⇒ 4. Nel paragrafo (3.2) abbiamo visto come le curve estremali per I siano

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Variazione prima 45

le soluzioni del sistema di equazioni

dqi

dt= ψi(t, qi, zA)

dpi

dt+∂ψk

∂qipk =

∂L

∂qi

pi∂ψi

∂zA = ∂L∂zA

Utilizzando le relazioni L(t, qi, zA) = L(t, qi, ψi(t, qj, zB)) e gσ(t, qj, qk) = 0,

per derivazione rispetto alle variabili qi e le zA otteniamo le identita

∂gσ

∂qi+∂gσ

∂qk

∂ψk

∂qi= 0 (3.5)

∂gσ

∂qi

∂ψi

∂zA= 0 (3.6)

∂L

∂qi=∂L

∂qi+∂L

∂qk

∂ψk

∂qi(3.7)

∂L

∂zA=∂L

∂qi

∂ψi

∂zA(3.8)

Grazie alla relazione (3.8), l’equazione algebrica del sistema Lagrangiano

vincolato diviene (pi −

∂L

∂qi

) ∂ψi

∂zA= 0

Tenendo presente la (3.6), questa puo essere posta nella forma

pi −∂L

∂qi= λσ

∂gσ

∂qi(3.9)

Analogamente, grazie alla (3.7) l’equazione differenziale per le pi del sistema

Lagrangiano vincolato diviene

dpi

dt=∂L

∂qi+∂L

∂qk

∂ψk

∂qi−∂ψk

∂qipk

Tenendo presenti la (3.9) e la (3.5) si ottiene

∂L

∂qi−dpi

dt= λσ

∂gσ

∂qk

∂ψk

∂qi= −λσ

∂gσ

∂qi(3.10)

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Variazione prima 46

Raccogliendo i risultati concludiamo che ogni curva estremale del funzionale I

puo essere completata a una curva q = qi(t), qi = ψi(t, qi(t), zA(t)), pi = pi(t),

λσ = λσ(t) soddisfacente l’insieme di relazioni

gσ(t, qj, qk) = 0

dqi

dt= qi

∂L

∂qi−dpi

dt+ λσ

∂gσ

∂qi= 0

∂L

∂qi+ λσ

∂gσ

∂qi− pi = 0

che sono esattamente le equazioni di Eulero-Lagrange per il funzionale I.

4 ⇒ 2. Ogni curva estremale per I soddisfa gσ(t, qj, qk) = 0. Sulle curve

cinematicamente ammissibili contenute in A una volta posto in forma intrin-

seca, il funzionale I coincide con I. Quindi le curve estremali di I sono curve

estremali per I.

2 ⇒ 1. Ogni curva estremale per I soddisfadqi

dt= ψi(t, qj, zA) e sulle curve

cinematicamente ammissibili I coincide con I. Quindi, ogni curva estremale

di I e anche estremale di I.

4 ⇒ 3. Ogni curva estremale per I soddisfadqi

dt= qi e sulle curve cinemati-

camente ammissibili il funzionale I coincide con I ′. Quindi le curve estremali

di I sono curve estremali per I ′.

3 ⇒ 1. Ogni curva estremale per I ′ e per ipotesi cinematicamente ammis-

sibile e soddisfa gσ(t, qj , qk) = 0. Ristretto ad A, una volta posto in forma

intrinseca, il funzionale I ′ coincide con I. Quindi le curve estremali di I ′ sono

curve estremali per I. 2

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Capitolo 4

Variazione seconda

Lo studio in termini geometrici della variazione seconda di un funzionale sog-

getto a vincoli si basa sulla possibilita di definire, lungo la curva estremale

γ, una 1-forma in modo invariantivo rispetto al cambio di coordinate, il cui

integrale restituisca la derivata seconda del funzionale d’azione rispetto al

parametro di deformazione. In tal modo e possibile individuare condizioni

necessarie affinche la curva stessa rappresenti effettivamente un massimo (o

un minimo) del funzionale d’azione. In questo capitolo svilupperemo questo

punto di vista introducendo una Lagrangiana gauge equivalente a quella data

il cui Hessiano abbia carattere tensoriale lungo γ. L’obbiettivo sara realizzato

utilizzando tutti i gauges disponibili, quello relativo alla scelta della distribu-

zione orizzontale e il gauge di seconda specie. Vedremo che, affinche questa

Lagrangiana sia ben definita lungo la curva devono verificarsi due condizioni:

da un lato, il differenziale della funzione che controlla la trasformazione di

gauge di seconda specie non deve essere una forma di Chetaev autotraspor-

tata lungo la curva stessa, dall’altro deve verificarsi la non singolarita di un

certo tensore che vedremo in seguito. Sotto queste ipotesi, l’integrando della

variazione seconda risultera essere pilotato dalla matrice simmetrica

−∂H

∂zA∂zB

il cui carattere definito positivo assicurera alla curva estremale il carattere

di minimo del funzionale d’azione. In particolare la positivita della matrice

consente di caratterizzare le curve estremali come luoghi di massimi, rispetto

ale variabili zA per la funzione

H(t, q1, . . . , qn, p1, . . . , pn, z1, . . . , zr) = piψ

i(t, qi, zA)− L(t, qi, zA)

47

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Variazione seconda 48

nota in letteratura come l’“Hamiltoniana di Pontryagin”.

4.1 Uso della funzione principale di Hamilton

Sia γ una curva estremale del funzionale d’azione. Come abbiamo visto nel

capitolo precedente, il sollevamento di γ allo spazio delle fasi giace intera-

mente in una sezione σ di equazione pi =∂S

∂qi, mentre il sollevamento γ allo

spazio degli atti di moto giace sulla sezione σ = χ(σ) ottenuta componendo

σ con la proiezione χ : Π(Vn+1) −→ A. Sia L che S sono funzioni su A le cui

restrizioni alla sezione σ coincidono, ossia vale la relazione

L|σ = S|σ

Infatti per calcolo diretto

L|σ = σ∗(L) =∂S

∂qkψk −H

(t, q,

∂S

∂q

)=∂S

∂qkψk +

∂S

∂t= σ∗(S) = S|σ

Inoltre, lungo la sezione σ le funzioni L e S hanno le derivate identiche in

ogni direzione. Cio si puo verificare per calcolo diretto 1, oppure provando che

1La derivata lungo t risulta

(∂S

∂t

)

= σ∗

(∂

∂t

(∂S

∂qjψj +

∂S

∂t

))= σ∗

(∂2S

∂qj∂tψj +

∂S

∂qj

∂ψj

∂t+∂2S

∂t2

)=

= σ∗

(∂

∂qj

(−H

(t, q,

∂S

∂q

))ψj +

∂S

∂qj

∂ψj

∂t+∂

∂t

(−H

(t, q,

∂S

∂q

))=

= σ∗

(−∂H

∂qjψj −

∂H

∂pk

∂2S

∂qk∂qjψj +

∂S

∂qj

∂ψj

∂t−∂H

∂t−∂H

∂pk

∂2S

∂qk∂t

)=

= σ∗

(−∂H

∂qjψj −

∂H

∂pk

[∂2S

∂qk∂qjψj +

∂2S

∂qk∂t

]+∂S

∂qj

∂ψj

∂t−∂H

∂t

)=

= σ∗

(−∂H

∂qj

(ψj −

∂H

∂pj

)+∂S

∂qj

∂ψj

∂t−∂H

∂t

)= σ∗

(∂L

∂t

)=

(∂L

∂t

)

La derivata lungo le qk e

(∂S

∂qk

)

= σ∗

(∂

∂qk

(∂S

∂qjψj +

∂S

∂t

))= σ∗

(∂2S

∂qj∂qkψj +

∂S

∂qj

∂ψj

∂qk+

∂2S

∂qk∂t

)=

= σ∗

(d

dt

(∂S

∂qk

)+∂S

∂qj

∂ψj

∂qk

)= σ∗

(∂L

∂qk

)=

(∂L

∂qk

)

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Variazione seconda 49

lungo la sezione σ, i differenziali totali di L e S coincidono. Per vedere questo

consideriamo in primo luogo il pull-back dei differenziali stessi. Utilizzando

la relazione appena provata e ricordando che il pull-back commuta con il

differenziale totale abbiamo

dL|σ = σ∗(dL) = d σ∗(L) = d σ∗(S) = σ∗(dS) = dS|σ

Sempre lungo σ sono anche uguali le derivate di L e S lungo le zA

(∂L

∂zA

)

= σ∗

(∂L

∂zA

)= σ∗

(∂S

∂qi

∂ψi

∂zA

)= σ∗

(∂

∂zA

(∂S

∂qkψk +

∂S

∂t

))=

= σ∗

(∂S

∂zA

)=

(∂S

∂zA

)

Confrontando gli ultimi due risultati otteniamo l’uguaglianza lungo σ di tutte

le derivate parziali di L e S. Per calcolo diretto abbiamo infatti

dL|σ = σ∗(dL) = σ∗

(∂L

∂t

)dt+ σ∗

(∂L

∂qk

)dqk + σ∗

(∂L

∂zA

)σ∗(dzA)

dS|σ = σ∗(dS) = σ∗

(∂S

∂t

)dt+ σ∗

(∂S

∂qk

)dqk + σ∗

(∂S

∂zA

)dzA

Data l’uguaglianza delle componenti su dzA, e l’indipendenza tra le funzioni

coordinate di Vn+1, otteniamo immediatamente(∂L

∂t

)

=

(∂S

∂t

)

(∂L

∂qk

)

=

(∂S

∂qk

)

La derivata lungo le zA vale

(∂L

∂zA

)

= σ∗

(∂L

∂zA

)= σ∗

(∂S

∂qi

∂ψi

∂zA

)= σ∗

(∂

∂zA

(∂S

∂qkψk +

∂S

∂t

))=

= σ∗

(∂S

∂zA

)=

(∂S

∂zA

)

Da quanto calcolato concludiamo che il differenziale della lagrangiana, valutato lungo la

sezione σ, risulta uguale al differenziale di S, essendo

dL|σ = σ∗(dL) = σ∗

(∂L

∂t

)dt+ σ∗

(∂L

∂qk

)dqk + σ∗

(∂L

∂zA

)σ∗(dzA) =

= σ∗

(∂S

∂t

)dt+ σ∗

(∂S

∂qk

)dqk + σ∗

(∂S

∂zA

)σ∗(dzA) = σ∗(dS) = dS|σ

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Variazione seconda 50

4.2 Lagrangiana gauge equivalente

Da quanto detto nel paragrafo precedente segue elementarmente che la fun-

zione L − S definita sul j1(Vn+1), ristretta alla sezione σ, si annulla e ha

derivate nulle in ogni direzione. Detta L′ = L − S e evidente che L′ e una

lagrangiana gauge equivalente a L: infatti quando si studia un problema va-

riazionale a estremi fissi l’integrando e sempre definito a meno di una derivata

totale rispetto al tempo, ossia vale la relazione∫

γ

Ldt =

γ

L− S dt

Lo stesso argomento si puo dimostrare sostituendo L′ + S a L nel sistema

lagrangiano vincolato: in tal modo si ricava un sistema lagrangiano vincolato

per la funzione L′ che assume a tutti gli effetti ruolo di lagrangiana nelle nuo-

ve variabili (t, q, p′). Dopodiche, occorre verificare che alla nuova lagrangiana

sia associata un’hamiltoniana H ′ legata alla precedente da una trasformazio-

ne canonica fibrata, il che dimostra che le due lagrangiane determinano la

medesima dinamica in due sistemi di coordinate diversi.

Innanzitutto scriviamo il sistema sostituendo alla lagrangiana L la fun-

zione L′ + S

dqi

dt= ψi(t, qi, zA)

dpi

dt+∂ψk

∂qipk =

∂(L′ + S

)

∂qi

pi

∂ψi

∂zA=∂(L′ + S

)

∂zA

Il primo gruppo di equazioni, non coinvolgendo la lagrangiana, non subi-

sce variazioni. Per verificare che il secondo gruppo di equazioni restituisca

l’evoluzione delle pi −∂S

∂qiper la lagrangiana L′ calcoliamo:

∂L

∂qi=∂L′

∂qi+∂S

∂qi

dove

∂S

∂qi=

∂qi

(∂S

∂qkψk +

∂S

∂t

)=∂S

∂qk

∂ψk

∂qi+

∂2S

∂qi∂qkψk +

∂2S

∂qi∂t=

=d

dt

(∂S

∂qi

)+∂S

∂qk

∂ψk

∂qi

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Variazione seconda 51

Quindi, il secondo gruppo diventa

d

dt

(pi −

∂S

∂qi

)+∂ψk

∂qi

(pk −

∂S

∂qk

)=∂L′

∂qi

Utilizzando la relazione∂S

∂zA=∂S

∂qi

∂ψi

∂zA

il terzo gruppo diviene infine(pi −

∂S

∂qi

)∂ψi

∂zA=∂L′

∂zA

Detto p′i = pi −∂S

∂qi, per la lagrangiana L′ vale il sistema

dqi

dt= ψi(t, qi, zA)

dp′idt

+∂ψk

∂qip′k =

∂L′

∂qi

p′i∂ψi

∂zA=∂L′

∂zA

Costruita l’Hamiltoniana

H ′(t, q, p′) = p′iψi(t, q, z(t, q, p′))− L′(t, q, z(t, q, p′))

il sistema hamiltoniano associato e

dqi

dt=∂H ′

∂p′i(t, qj, p′j)

dp′idt

= −∂H ′

∂qi(t, qj , p′j)

legato a quello originario dalla trasformazione fibrata

t = t

qi = qi

p′i = pi −∂S

∂qi

Concludiamo cosı che le Hamiltoniane associate rispettivamente a L e L′ sono

legate l’un l’altra da una trasformazione canonica

H ′(t, q, p′) =

(pi −

∂S

∂qi

)ψi − L+

∂S

∂qkψk +

∂S

∂t= H +

∂S

∂t

Le lagrangiane considerate sono quindi dinamicamente equivalenti.

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Variazione seconda 52

4.2.1 Gauge di seconda specie

Come abbiamo gia osservato, per la lagrangiana gauge equivalente L′ = L−S

valgono le seguenti relazioni

L′|γ = dL′

|γ = 0 (4.1)

Quindi S identifica sull’intero spazio degli atti di moto una Lagrangiana

equivalente a L a meno di un’ulteriore trasformazione

S −→ S + f (4.2)

con f|γ = 0 e df|γ = 0. Tale trasformazione lascia invariate le relazioni (4.1).

Pertanto la scelta di una lagrangiana gauge equivalente che sia nulla, e il cui

differenziale sia nullo lungo una curva estremale del funzionale d’azione, ha

la possibilita di essere fatta in piu modi legati tra loro dalla trasformazione

(4.2), che assume quindi il ruolo di una trasformazione di gauge di seconda

specie. E immediato verificare che le condizioni f|γ = 0 e df|γ = 0 sono

automaticamente soddisfatte quando df|γ = 0. Tale requisito non e pero ne-

cessario al fine di garantire le condizioni suddette. A tal fine basta infatti

richiedere che la restrizione df|γ sia una 1–forma di Chetaev autotrasporta-

ta lungo γ. Per dimostrare quest’affermazione vediamo quali condizioni le

ipotesi f|γ = 0 e df|γ = 0 implicano sulle derivate parziali∂f

∂te∂f

∂qkche

compongono il differenziale df|γ. La prima f|γ = 0 da la condizione

∂f

∂t+∂f

∂qkψk = 0

Ora calcoliamo

df|γ = d

(∂f

∂t+ ψk ∂f

∂qk

)=

(∂2f

∂t2+∂ψk

∂t

∂f

∂qk+ ψk ∂2f

∂t∂qk

)dt+

+

(∂2f

∂qk∂t+∂ψj

∂qk

∂f

∂qj+ ψj ∂2f

∂qj∂qk

)dqk +

∂ψj

∂zA

∂f

∂qjdzA =

=

(d

dt

∂f

∂t+∂ψk

∂t

∂f

∂qk

)dt+

(d

dt

∂f

∂qk+∂ψj

∂qk

∂f

∂qj

)dqk +

∂ψj

∂zA

∂f

∂qjdzA

Per ipotesi quest’espressione e uguale a zero, il che implica, essendo indipen-

denti i differenziali coinvolti

d

dt

∂f

∂t+∂ψk

∂t

∂f

∂qk= 0 ,

∂ψj

∂zA

∂f

∂qj= 0 ,

d

dt

∂f

∂qk+∂ψj

∂qk

∂f

∂qj= 0

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Variazione seconda 53

La prima relazione e pleonastica in quanto conseguenza delle due rimanenti

e dalla condizione f|γ = 0. Per convincersene, basta calcolare

d

dt

∂f

∂t+∂ψk

∂t

∂f

∂qk=

d

dt

(−∂f

∂qkψk

)+∂ψk

∂t

∂f

∂qk=

= −d

dt

∂f

∂qkψk −

∂f

∂qj

∂ψj

∂qk

dqk

dt−∂f

∂qj

∂ψj

∂zA

dzA

dt−∂ψk

∂t

∂f

∂qk+∂ψk

∂t

∂f

∂qk= 0

L’ultima espressione risulta nulla una volta calcolata lungo γ, tenendo pre-

sente la validita delle relazioni

∂ψj

∂zA

∂f

∂qj= 0 ,

d

dt

∂f

∂qk+∂ψj

∂qk

∂f

∂qj= 0

Le condizioni sulle derivate parziali di f sono quindi le seguenti

∂f

∂t+∂f

∂qkψk = 0 ,

∂ψj

∂zA

∂f

∂qj= 0 ,

d

dt

∂f

∂qk+∂ψj

∂qk

∂f

∂qj= 0

La prima condizione ci assicura che il differenziale di f e uguale al pull-back

del differenziale di contatto di f , ossia che

df =∂f

∂tdt+

∂f

∂qkdqk =

∂f

∂qk(dqk − ψkdt) =

∂f

∂qkωk = π∗(dcf)

dove π indica come al solito la fibrazione A −→ Vn+1. Invece, le ultime due

condizioni sono la caratterizzazione delle 1-forme di Chetaev autotrasportate.

Quindi le condizioni f|γ = df|γ = 0 implicano che, o f e nulla lungo γ,

oppure il suo differenziale e una forma di Chetaev autotrasportata lungo γ.

Abbiamo provato cosı che tutte le funzioni il cui differenziale sia nullo lungo γ,

oppure sia una forma di Chetaev autotrasportata lungo la curva, generano

una trasformazione di gauge di seconda specie, e che in generale, soltanto

nel caso in cui esistano forme di Chetaev autotrasportate lungo la curva2,

le trasformazioni di gauge di seconda specie sono in numero maggiore delle

funzioni con il differenziale nullo: precisamente ci sono tante trasformazioni

in piu quante forme di Chetaev autotrasportate (generate come differenziale

di contatto delle trasformazioni).

2Dato che si trattano esclusivamente forme di Chetaev definite lungo la curva, ogni

forma di Chetaev e esprimibile come differenziale di contatto di una certa funzione f(t, q).

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Variazione seconda 54

4.3 Hessiano della Lagrangiana gauge equi-

valente

Riprendendo le notazioni usate per l’analisi della variazione prima, conside-

riamo ora la seconda variazione del funzionale d’azione nella sua scrittura

originaria

δ2I =

[d2

dξ2I[ϕξ(γ)

]]

ξ=0

=d2

dξ2

ϕξ(γ)

L(t, q(t, ξ), z(t, ξ))dt

in cui ϕξ indica una deformazione cinematicamente ammissibile della sezione

γ. Tenendo presenti i risultati gia ottenuti riguardo la prima variazione,

possiamo riscrivere l’espressione precedente come segue

δ2I =

(X i ∂

∂qi+ ΓA ∂

∂zA

)∫Xk ∂L

∂qk+ ΓB ∂L

∂zBdt

Ossia

δ2I =

∫X iXk ∂2L

∂qi∂qk+X i∂X

k

∂qi

∂L

∂qk+ ΓAXk ∂2L

∂zA∂qk+ ΓA ∂X

k

∂zA

∂L

∂qk+

+X i ΓB ∂2L

∂qi∂zB+X i∂Γ

B

∂qi

∂L

∂zB+ ΓA ΓB ∂2L

∂zA∂zB+ ΓA∂Γ

B

∂zA

∂L

∂zBdt

In luogo di L, consideriamo la lagrangiana gauge equivalente L′ caratterizzata

dal requisito dL|γ = 0. Essa restituisce, lungo le curve γ i cui sollevamenti al

j1(Vn+1) sono contenuti nella sezione σ determinata da S(t, q), una seconda

variazione, che indichiamo con δ2I ′, del tipo

δ2I ′ =

∫ t1

t0

(∂2L′

∂qi∂qjX iXj + 2

∂2L′

∂qi∂zAX iΓA +

∂2L′

∂zA∂zBΓAΓB

)dt

in cui sono evidentemente assenti i contributi derivanti dalle derivate prime

della lagrangiana essendo valide per L′ le relazioni

∂L′

∂qk= 0

∂L′

∂zA= 0

Possiamo quindi constatare che sulla sezione σ del j1(Vn+1) definita da S(t, q),

una volta sostituita L con L′, l’integrando del funzionale d’azione e espres-

so da una forma quadratica nell’argomento X (rappresentante di una ge-

nerica deformazione cinematicamente ammissibile) avente come matrice dei

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Variazione seconda 55

coefficienti un tensore doppio covariante, che indichiamo con δ2L′

〈 δ2L′, X ⊗ X 〉 =∂2L′

∂qi∂qjX iXj + 2

∂2L′

∂qi∂zAX iΓA +

∂2L′

∂zA∂zBΓAΓB

Ribadiamo che a differenza dell’integrando che figura nell’espressione di δ2I,

la quantita δ2L′ e un tensore ben definito lungo la sezione σ: in quanto cam-

biando coordinate sulla sezione la legge di trasformazione delle componenti

di δ2L′ non coinvolge le derivate prime, risultando quindi omogenea, come si

conviene per le quantita tensoriali. La seconda variazione calcolata in termini

di L′ differisce dalla seconda variazione in termini di L per l’espressione∫〈 δ2L′, X⊗X 〉dt = δ2I−

∫∂2S

∂qi∂qjX iXj +2

∂2S

∂qi∂zAX iΓA +

∂2S

∂zA∂zBΓAΓBdt

Questa identita puo essere riscritta come segue:∫〈 δ2L′, X ⊗ X 〉dt− δ2I = −

∫(d

dt

∂2S

∂qi∂qj+ 2

∂2S

∂qi∂qk

∂ψk

∂qj+ pk

∂2ψk

∂qi∂qj

)X iXj+

+ 2

(∂2S

∂qi∂qk

∂ψk

∂zA+ pk

∂2ψk

∂qi∂zA

)X iΓA + pk

∂2ψk

∂zA∂zBΓAΓB dt =

∫pk

(∂2ψk

∂qi∂qjX iXj +

∂2ψk

∂qi∂zAX iΓA +

∂2ψk

∂zA∂zBΓAΓB

)+d

dt

(∂2S

∂qi∂qj

)X iXj+

+ 2∂2S

∂qi∂qkX i

(Xj ∂ψ

k

∂qj+ ΓA∂ψ

k

∂zA

)dt =

∫pk

(∂2ψk

∂qi∂qjX iXj +

∂2ψk

∂qi∂zAX iΓA +

∂2ψk

∂zA∂zBΓAΓB

)+d

dt

(∂2S

∂qi∂qjX iXj

)dt

Da cui ricaviamo

〈 δ2L′, X ⊗ X 〉 =−

(∂2H

∂qi∂qjX iXj +

∂2H

∂qi∂zAX iΓA +

∂2H

∂zA∂zBΓAΓB

)+

+d

dt

(∂2S

∂qi∂qjX iXj

)

Nell’integrazione a estremi fissi, come ogni differenziale totale, il contributo

derivante dall’ultimo addendo, si annulla, e quindi, data come di consueto

una deformazione cinematicamente ammissibile nulla al contorno, vale la

relazione∫ t1

t0

〈 δ2L′, X ⊗ X 〉dt = −

∫ t1

t0

∂2H

∂qi∂qjX iXj +

∂2H

∂qi∂zAX iΓA +

∂2H

∂zA∂zBΓAΓBdt

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Variazione seconda 56

Quindi a meno di un differenziale totale l’uso di L′ al fine del calcolo della

variazione seconda risulta equivalente all’uso dell’hamiltoniana H .

4.4 Effetto sulla variazione seconda della di-

stribuzione orizzontale

L’introduzione della distribuzione orizzontale su A(γ) e degli oggetti a essa

correlati, permettono di decomporre il tensore doppio δ2L′ lungo la curva

estremale sull’opportuna base dell’algebra tensoriale indotta daωi, νA

di

A∗(γ), duale di A(γ). La decomposizione sulla base risulta

δ2L′ = Aijωi ⊗ ωj + 2BiAω

i νA +GABνA ⊗ νB

dove

GAB =∂2L′

∂zA∂zB

BiA = ∂i

∂L′

∂zA=

∂2L′

∂qi∂zA+ hB

i

∂2L′

∂zA∂zB=

∂2L′

∂qi∂zA+ hB

i GAB

Aij = ∂i

(∂jL

′)

=∂2L′

∂qi∂qj+ hA

i

∂2L′

∂qj∂zA+ hA

j

∂2L′

∂qi∂zA+ hA

i hBj GAB =

=∂2L′

∂qi∂qj+ hA

i BjA + hAj BiA − h

Ai h

Bj GAB

Inoltre questa decomposizione e soggetta alla scelta di L′ su γ: per effetto di

una trasformazione di gauge L′ −→ L′+f le componenti della decomposizione

di δ2(L′ + f

)rispetto a quelle di δ2L′ risultano

GAB = GAB

BiA = BiA +∂ψj

∂zA

(∂2f

∂qi∂qj

)

Aij = Aij +D

Dt

(∂2f

∂qi∂qj

)

doveD

Dtindica come di consueto la derivazione temporale assoluta indotta

dalla distribuzione orizzontale. Questa considerazione e valida a meno che il

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Variazione seconda 57

differenziale di f non sia una forma di Chetaev autotrasportata lungo la cur-

va. Infatti, in caso contrario non sarebbe necessariamente vero che∂f

∂qk= 0

e quindi nelle relazioni appena esposte gli oggetti

(∂2f

∂qi∂qj

)perderebbero

ogni significato geometrico. Questa condizione e comunque equivalente all’i-

potesi di non esistano di forme di Chetaev autotrasportate lungo γ e quindi

all’ipotesi di unicita delle soluzioni pi(t), come abbiamo visto nel capitolo

precedente. Pertanto per effettuare la decomposizione desiderata e necessa-

rio e sufficiente supporre l’unicita in ambito Hamiltoniano degli estremali del

problema variazionale.

4.5 L’equazione matriciale di Riccati

Dimostriamo ora che mediante la scelta opportuna della distribuzione e del

gauge di seconda specie otteniamo una variazione seconda che coinvolge nella

sua scrittura esclusivamente il termine “verticale”∫ t1

t0

〈 δ2L′, X ⊗ X 〉dt =

∫ t1

t0

∂2L′

∂zA∂zBY AY B dt

Per realizzare questo, detto Cij =∂2f

∂qi∂qj, poniamo Aij = 0 e BiA = 0

e vediamo quali condizioni queste uguaglianze realizzano sulla scelta della

distribuzione orizzontale, che compare sotto forma di hAi , e su quella del

gauge di seconda specie, che compare sotto forma di Cij. Innanzitutto la

richiesta BiA = 0 implica la relazione

0 = BiA + Cik

∂ψk

∂zA=

∂2L′

∂qi∂zA+ hB

i GAB + Cik

∂ψk

∂zA(4.3)

Inserita nella richiesta Aij = 0, questa implica le semplificazioni

0 = Aij +D

DtCij =

∂2L′

∂qi∂qj+ hA

i BjA + hAj BiA + hA

i hBj GAB+

+d

dtCij + Cjk

∂ψk

∂qi+ Cik

∂ψk

∂qj+ hA

j Cik

∂ψk

∂zA+ hA

i Cjk

∂ψk

∂zA(4.4)

Sempre dalla equazione (4.3), grazie all’ipotesi di regolarita del problema

variazionale che in questo caso si traduce nell’invertibilita della matrice GAB,

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Variazione seconda 58

abbiamo

hBi = −GAB

(∂2L′

∂qi∂zA+ Cik

∂ψk

∂zA

)

dove con GAB abbiamo indicato l’inversa di GAB. Sostituendola nella (4.4)

otteniamo

∂2L′

∂qi∂qj−GAB

(∂2L′

∂qi∂zA+ Cik

∂ψk

∂zA

)(∂2L′

∂qj∂zB+ Cjk

∂ψk

∂zB

)+

+d

dtCij + Cjk

∂ψk

∂qi+ Cik

∂ψk

∂qj= 0

Questa relazione si riscrive

d

dtCij + Cik

(∂ψk

∂qj−GAB ∂2L′

∂qj∂zB

∂ψk

∂zA

)+ Cjk

(∂ψk

∂qi−GAB ∂2L′

∂qi∂zB

∂ψk

∂zA

)+

− CjlCikGAB ∂ψ

l

∂zB

∂ψk

∂zA−GAB ∂2L′

∂qi∂zA

∂2L′

∂qj∂zB+

∂2L′

∂qi∂qj= 0

Quest’equazione ha carattere invariantivo coinvolgendo al suo interno oggetti

geometrici ben definiti: osserviamo che se definiamo una distribuzione oriz-

zontale, differente da quella fin qui utilizzata, assegnando ai coefficienti della

distribuzione i valori

hAi = −GAB ∂2L′

∂qi∂zB

e quindi definiamo

∂j =∂

∂qj−GAB ∂2L′

∂qj∂zB

∂zA

si puo rileggere la prima riga della relazione precedente come la derivazione

assoluta di Cij associata alla distribuzione orizzontale appena definita, ossia

δ

δtCij =

d

dtCij − τ

kj Cik − τ

ki Cjk

dove

τkj = −∂jψ

k = −∂ψk

∂qj+GAB ∂2L′

∂qj∂zB

∂ψk

∂zA

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Variazione seconda 59

Inoltre le quantita che figurano nella seconda riga dell’equazione, ossia

GAB ∂ψl

∂zB

∂ψk

∂zA; −GAB ∂2L′

∂qi∂zA

∂2L′

∂qj∂zB+

∂2L′

∂qi∂qj

hanno carattere tensoriale 3. Quindi detti M lk e Nij tali tensori possiamo

riscrivere l’equazione, indipendentemente dalla scelta dalle coordinate, nella

forma sinteticaδCij

δt= M lkCjlCik +Nij

Questa equazione, che ha la natura di un’equazione di Riccati, e sempre

risolubile localmente grazie al teorema di Cauchy. Per esplorare l’intervallo

di risolubilita dell’equazione di Riccati introduciamo i tensori ausiliari Eij e

Kij , definiti attraverso il sistema lineare

δKij

δt= M irErj

δEij

δt= −NirK

rj

Nell’ipotesi detKij 6= 0 dal sistema appena definito ricaviamo

δ(K−1

)ij

δt= −

(K−1

)irM rsEsq

(K−1

)qj

e quindi tenendo il secondo gruppo di equazioni del precedente sistema e

moltiplicando per Eir il gruppo di equazioni appena trovato, otteniamo un

sistema equivalente

Eir

δ(K−1

)rj

δt= −

(EK−1

)irM rs

(EK−1

)sj

δEir

δt

(K−1

)rj

= −Nij

Sommando le equazioni ottenute che formano il sistema equivalente ricaviamo

l’equazione di Riccati

δ(−EK−1

)ij

δt= M rs

(− EK−1

)ir

(− EK−1

)sj

+Nij

3E di immediata verifica, oltre la tensorialita, anche la simmetria dei due oggetti appena

definiti.

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Variazione seconda 60

In altri termini, se per il tensore Kij vale la condizione detKi

j 6= 0 il tensore

Cij = −Eir

(K−1

)rj

soddisfa l’equazione di Riccati. D’altronde, in quanto

lineare il sistema che definisce i tensori ausiliari ammette soluzioni globali,

univocamente determinate dalla scelta dei dati iniziali. In particolare, se

scegliamo la matrice Kij(t0) non singolare esiste un intervallo [t0, t1] in cui

detKij 6= 0.

4.6 Condizione di Legendre nel caso anolono-

mo: il principio del massimo

La validita dell’equazione di Riccati lungo una curva estremale del funzionale

d’azione e la condizione necessaria e sufficiente affinche la variazione seconda

si possa scrivere come

δ2I ′|γ =

∫ t1

t0

∂2L′

∂zA∂zBY AY B dt

Dalla definizione di L′ ricaviamo che, lungo la sezione σ ⊃ γ vale la seguente

relazione tra le derivate seconde di L′ e H

∂2L′

∂zA∂zB=∂2(L− S

)

∂zA∂zB=

∂2L

∂zA∂zB−∂S

∂qk

∂2ψk

∂zA∂zB= −

∂2H

∂zA∂zB

Possiamo allora riscrivere la seconda variazione come

δ2I ′|γ =

∫ t1

t0

−∂2H

∂zA∂zBY AY B dt

Se consideriamo una curva γ sulla quale l’integrale di azione sia minimo,

allora la variazione seconda deve risultare necessariamente positiva per ogni

scelta degli Y A. Risulta evidente che quando la variazione seconda e positiva,

la funzione∂2H

∂zA∂zBY AY B deve essere negativa al variare di Y A e Y B. Cio

significa che∂2H

∂zA∂zBdeve essere definita negativa per ogni coppia (Y A, Y B)

scelta, ossia che H deve avere un massimo lungo le fibre di A.

E possibile usare questa condizione come prescrizione per costruire le

traiettorie minimali del funzionale d’azione vincolato. Infatti, immaginiamo

di fissare un punto dello spazio delle fasi (t, qi, pi) e consideriamo i valori delle

coordinate zA per cui la funzione

H(t, q1, . . . , qn, p1, . . . , pn, z1, . . . , zr) = piψ

i(t, qi, zA)− L(t, qi, zA)

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Bibliografia 61

assume valore massimo. Se i valori delle r funzioni zA sono univocamente

determinati, questa costruzione determina r funzioni zA = zA(t, q, p) e quindi

sostituendo questa funzione nel sistema che definiscedqi

dtedpi

dt

dqi

dt= ψi(t, qi, zA)

D

Dt(piω

i) = ∂iLωi

otteniamo un sistema chiuso di 2n equazioni in 2n incognite le cui solu-

zioni sono esattamente le traiettorie minimali. Infatti, fissato un punto in

Π(Vn+1), la condizione per cui H deve assumere valori massimi si traduce

esplicitamente in una coppia di condizioni:

i)∂2H

∂zA∂zBY AY B < 0 ∀ (Y A, Y B)

ii)∂H

∂zA= 0 ossia pi

∂ψi

∂zA=

∂L

∂zA

in perfetto accordo con quanto visto precedentemente.

Questo modo di utilizzare il risultato ottenuto riguardo la variazione se-

conda e stato individuato in ambito controllistico da Pontryagin ed e cono-

sciuto in letteratura come Principio del Massimo. Per dimostrarlo Pontryagin

ha fatto uso di una costruzione geometrica nello spazio euclideo cosı come

gran parte dei primi approcci e dei primi risultati ottenuti nell’ambito del

calcolo variazionale tradizionale. Al di la di questo punto di vista, il risulta-

to cui siamo giunti e il corrispettivo della condizione di Legendre, necessaria

all’esistenza di minimi del problema, nel caso in cui il sistema sia soggetto a

vincoli cinetici. In altre parole, considerando che il calcolo variazionale tradi-

zionale non e altro che una specializzazione di quello anolonomo, il risultato

qui ottenuto consiste nella generalizzazione della condizione di Legendre.

Page 63: Calcolo variazionale anolonomo e teoria del controllo: un ...benvenuto/Publications/...L’analisi del calcolo variazionale anolonomo rientra, in senso lato, in quel ramodella matematicanotocome

Bibliografia

[1] E. Massa and E. Pagani, Classical Dynamics of non-holonomic systems:

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