CADZINE n° 2, maggio 2016, ANNO III

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Aprile maggio 2016, numero 2, ANNO III Il magazine Il magazine open access gratuito open access gratuito di divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & design di divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & design /11 I conce di base sulla sbrogliatura di un circuito per la correa pianificazione produva e lo sviluppo in ambiente ECAD Arduino /16 La sorprendente vicenda di Robert Hooke, illustre scienziato britannico del XVII secolo, oscurato alla storia della Scienza da un rivale famoso Robert Hooke /26 Bruno Munari Si conclude la panoramica biografica su di un arsta emblemaco che ha dominato con genlezza ed ironia la scena della creavità italiana del secolo scorso

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Aprile maggio 2016, numero 2, ANNO III

Il magazine Il magazine open access gratuitoopen access gratuito di divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & design di divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & design

/11 I concetti di base sulla sbrogliatura di un circuito per la corretta pianificazione produttiva e lo sviluppo in ambiente ECAD

Arduino /16 La sorprendente vicenda di Robert Hooke, illustre scienziato britannico del XVII secolo, oscurato alla storia della Scienza da un rivale famoso

Robert Hooke /26 Bruno Munari Si conclude la panoramica biografica su di un artista emblematico che ha dominato con gentilezza ed ironia la scena della creatività italiana del secolo scorso

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Un lavoro di pura scienza “Non dobbiamo dimenticare che quando l’elemento radio venne scoperto nessu-no sapeva che si sarebbe rivelato utile negli ospedali. Era un lavoro di pura scienza. E questa è la prova che il lavoro scientifi-co non deve essere considerato dal pun-to di vista della diretta utilità dello stesso. Deve essere svolto per se stesso, per la bellezza della scienza, e poi c’è sempre la probabilità che una scoperta scientifi-ca possa diventare, come il radio, un beneficio per l’umanità.”

Marie Curie (1867 - 1934)

Premio Nobel per la chimica e la fisica

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In questo numero...In questo numero...

Caporedattore: S. Giglio Redazione: N. Amalfitano, P, Bubici, A. Buccella, N. Nullo, A. Martini, G. Rogo

Segretaria di redazione: N. Nullo Curatori editoriali: N. Amalfitano, N. Nullo

Scienziato

[scien·zià·to] sostantivo maschile Studioso o promotore di una scienza o di una sua particolare disciplina, per lo più con riferimento alla posizione di particolare preminenza o

prestigio acquisita.

rubricherubriche PAG. 07 NEWS

PAG. 09 EDITORIALE di Salvio Giglio “Da Pubblici Vizi a inaspettate Virtù?”

PAG. 11 ARDUINO, ECAD ED ELETTRONICA APPLICATA di Salvio Giglio “Impariamo a sbrogliare un circuito...”, VII PUNTATA, II PARTE

PAG. 16 BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTA-

ZIONE di Salvio Giglio “Robert Hooke: il Leonardo d’Inghilterra ancora scono-sciuto”, I PUNTATA, I PARTE

PAG. 26 DESIGNER’S STORY di Salvio Giglio “Alla ricerca delle poetiche di Munari”, II ed ULTIMA PUNTATA

PAG. 31 ELEMENTI DI PROGETTAZIONE EDILE

di Antonio Martini “Fase 2: l’atto autoriz-zativo”, II PUNTATA

PAG. 33 GEOMATICA di Salvio Giglio “Dati geografici e vita quotidiana”

PAG. 37 INGEGNERIA BIOMEDICA OPEN AC-

CESS di Francesca Albano “Simulazione computazionale del cuore...”

PAG. 43 INTERVISTA di Salvio Giglio “Simone Paganelli”

PAG. 53 MUSICA di Nicola Amalfitano “Gli Urlatori”

PAG. 57 NEW HARDWARE FOR CAD di Sal-vio Giglio “UAV contemporanei: dal fronte alle applicazioni civili”, V PUNTATA

corsi & tutorialscorsi & tutorials PAG. 65 CORSO DI ORIENTAMENTO ALLA BIM di Salvio Giglio “Le fasi della pianificazio-ne esecutiva BIM per professionisti ed imprese”, XIV PUNTATA

PAG. 70 CORSO DI BASE PER SKETCHUP di Salvio Giglio “Il menù Strumenti, il Sistema CSG & gli Strumenti solidi”, XVI PUNTATA

PAG. 74 TUTORIAL: RENDERIZZARE & POST-

PRODURRE UN MODELLO PER GOOGLE EARTH di Antonello Buccella “Inquadrature di un render in SketchUp per Google Earth e ritocchi finali in Photoshop”, II PARTE

PAG. 76 CORSO DI UMAP di Paolo Bubici “Umap come strumento di lavoro”, I PUNTATA

eventuali & varieeventuali & varie PAG. 78 UMORISMO

PAG. 79 GIOCHI

La Sbrogliatura di un circuito elettronico è oggetto della rubrica “Arduino, ECAD ed elettronica applicata”. La singolare storia di Robert Hooke è il tema della rubrica "Basi per il disegno e la progettazione". La "Designer’s Story" di questo mese completa l’analisi biografica su Bruno Munari. La rubrica "Elementi di progettazione edile", condotta da A. Martini, ha per oggetto “L’atto autorizzativo” per l’edilizia residenziale. Parte con “Dati geografici e vita quotidiana” un

ciclo di puntate dedicate alla “Geomatica”. F. Albano spiega la preziosa realizzazione di un modello computazionale del cuore umano nella rubrica “Ingegneria Biomedica Open Access”. Simone Paganelli, giovane e poliedrico architetto romano, si racconta in una piacevole chiacchierata nell’Intervista di questo mese. N. Amalfitano descrive un momento epico della recente storia della musica italiana parlandoci de “Gli Urlatori”. Si conclude la panoramica storica

sugli UAV nella rubrica “New hardware for CAD”. “Le fasi della pianificazione esecutiva BIM per professionisti ed imprese” è il tema del “Corso di orientamento alla BIM”. Nel “Corso di base per SketchUp” si parla de “Il menù Strumenti, il Sistema CSG & gli Strumenti solidi”. Chiudono questo numero la seconda parte del tutorial di A. Buccella sulla renderizzazione di un modello 3D per Google Earth e la prima puntata sul “Corso di Umap” di P. Bubici.

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Cos’è CADZINECos’è CADZINE È una rivista gratuita nata in

seno alla Community di “AutoCAD, Rhino & Sket-

chUp designer” per informare & formare disegnatori tecnici e

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PAG. 70 CORSO DI BASE PER SKETCHUP di Salvio Giglio “Il menù Strumenti, il Sistema CSG & gli Strumenti solidi”, XVI PUNTATA

PAG. 74 TUTORIAL: RENDERIZZARE & POST-

PRODURRE UN MODELLO PER GOOGLE EARTH di Antonello Buccella “Inquadrature di un render in SketchUp per Google Earth e ritocchi finali in Photoshop”, II PARTE

PAG. 76 CORSO DI UMAP di Paolo Bubici “Umap come strumento di lavoro”, I PUNTATA

eventuali & varieeventuali & varie PAG. 78 UMORISMO

PAG. 79 GIOCHI

Questo discorso si ricollega in qualche modo al pensiero di Marie Curie, di pag. 3, sulla bellezza della Scienza, cioè sulla libertà di cui dovrebbe godere qualunque ricercatore scientifico rispetto all’oggetto delle sue ricerche, che dovrebbero restare sempre e comunque dei lavori di pura scienza. Ed è stato un lavoro di pura scienza l’intera attività di Robert Hooke, che rapito da tanta bellezza, è riuscito a compiere un viaggio straordinario nella conoscenza facendolo persino approdare alla teorizzazione del corpus iuris sulla Gravitazione Universale. Hooke, con estrema modestia, lo presentò ai fellow della Royal Society come semplice ipotesi in cerca di una verifica matematica, seguendo il rigido protocollo del metodo scientifico in uso all’epoca… In cerca di questo Hooke, con uno spirito che oggi lo avrebbe reso popolare nel mondo dell’Open Source e dell’Open Project, scrisse ad Isaac Newton invitandolo a partecipare a questo lavoro e a tentare una verifica della sua teoria. Per Newton fu un vero colpo di fortuna anche perché le sue ipotesi sulla gravitazione universale, sino ad allora, si scontravano con le 3 leggi sul moto dei pianeti ricavate da Keplero, agli inizi del XVII secolo, in base alle osservazioni sul moto retrogrado di Marte di Tycho Brahe, di cui Keplero era seguace. Newton nella sua teorizzazione aveva “integrato” il pensiero di Hooke e i calcoli di Keplero, ottenendo così una formulazione verificabile che presentò alla Royal Society come totalmente sua. Ne conseguì da ciò l’accesa disputa sulla paternità della Legge di gravitazione universale tra Newton e Hooke che non si concluse neanche con la scomparsa di quest’ultimo, dal momento che Newton tenterà successivamente di “cancellare” dalla storia il suo avversario... S. G.

Se lo sgambetto te lo fa Newton…Se lo sgambetto te lo fa Newton…

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Auto senza guidatore: una realtà entro 5 anni

La favola, un filo invisibile tra culture diverse

Archmarathon Award 2016

La International Cartographic Association (ICA) è un'associazione internazionale formata da organizzazioni nazionali il cui scopo è quello di fornire un forum sulle

questioni e le nuove tecniche di cartografia e GIS. ICA è stata fondata il 9 giugno 1959, a Berna, in Svizzera. Sulla scia del lavoro di Barbara Petchenik la ICA

ha fondato un Contest biennale per cartografi in erba...

Dal 1993 la ICA organizza il Barbara Petchenik Competition, in memoria della cartografa Barbara Petchenik, ex vice presidente dell'ICA, che si è prodigata per tutta la vita nel promuovere la cartografia fra i più piccoli. Lo scopo del concorso è quello di promuovere la rappresentazione creativa del mondo stimolando la creatività grafica dei bambini. Il contest biennale è articolato in due momenti: una prima selezione avviene a livello nazionale, nei vari P a e s i m e m b r i d e l l ’ I C A ; successivamente i vincitori nazionali possono quin di c o m p e t e r e n e l l a f i n a l e internazionale, che si svolge durante le ICC, le Conferenze Cartografiche Internazionali. I lavori dei giovanissimi concorrenti vengono vagliati da una giuria internazionale il cui lavoro è coadiuvato anche da una votazione pubblica. Dei circa 300 partecipanti iniziali ne i vincitori sono solo 12 suddivisi in 4 categorie. La Galleria con tutti i meravigliosi lavori dei talentuosi vincitori è visionabile al seguente indirizzo: https://childrensmaps.library.carleton.ca/ Paolo Bubici

FCA ha siglato un’intesa con Google sulla realizzazione di un lotto di 100 veicoli a guida automatica derivati dal minivan Pacifica, cercando di anticipare la concorrenza ed acquisire competenze su questa nuova tecnologia che rivoluzionerà l’industria dell’auto.

Non si sbilancia ancora più di tanto Sergio Marchionne circa l’accordo con Google sul minivan Pacifica affermando blandamente che il progetto è ad una «prima fase della relazione, poi si vedrà». Marchionne pur ribadendo che ci sono ancora molti nodi da sciogliere e che la partnership non è esclusiva, si dice più che ottimista sul futuro delle auto senza guidatore, che potrebbero cominciare a girare su strada prima del previsto, forse già fra cinque anni. L’A.D. della FCA definisce «attiva» la partnership col colosso di Mountain View pur mantenendo ancora un certo riserbo sulla possibilità che Google possa essere quel partner per il consolidamento del gruppo da tempo cercato, affermando che «sarebbe molto naif da parte mia ritenere che sono l’unico sulla terra a parlare con Google. Se Google chiama, tu di solito rispondi». Marchionne afferma che «stiamo esplorando un settore con persone che vogliono esplorare insieme a noi e ci consentono di entrare nel loro mondo» ed aggiunge: «dobbiamo muoverci in questa transizione, e farlo camminando con chi è stato considerato a lungo un potenziale nemico del nostro business alla sua velocità, è la migliore soluzione per noi per determinare quale sarà il nostro stato futuro». La fase iniziale di questa collaborazione, spiega l’A.D., «è molto mirata per portare la sua tecnologia nel minivan». La FCA produrrà 100 esemplari della Pacifica, questo il nome della deliziosa vetturetta, che sarà «fisicamente diversa» da quella attuale. La FCA l’ha scelta perché «è la vettura che più si presta. L’architettura elettrica della Pacifica è abbastanza forte per la tecnologia di Google». A sua volta Google ha accettato perché gli consente di testare e mettere a punto la sua tecnologia su di un veicolo più grande, in cui i passeggeri possono entrare e uscire più comodamente. Staremo a vedere come si evolverà la vicenda. S.G.

Ha vinto un team del lontano oriente la prestigiosa tre giorni milanese sull’architettura; lo studio Vector Architects ha proposto un lavoro

dalle forme pulite, scevro da qualsiasi superfetazione stilistica e in simbiosi perfetta col paesaggio circostante

Quest’anno il prestigioso premio Archmarathon Award 2016, una maratona di architettura che si è tenuta a Milano dal 13 al 15 maggio negli East End Studios, è stato vinto dallo studio Vector Architects di Pechino che ha concorso con il progetto Seashore Library. Una manifestazione densa di eventi che in tre giorni ha visto sfilare 42 atelier d’architettura sotto il vigile occhio della giuria, presieduta da Luca Molinari e costituita da personaggi autorevoli del mondo dell'architettura e della critica quali Lucy Bullivant, William Menking, Wassim Naghi, Li Brian

Zhang e Elie Haddad. Sono stati premiati anche i migliori lavori di ognuna delle dieci categorie: Arts & Culture, Education Buildings, Religious Buildings, Workspaces, Hotel & Leisure, Private Housing, Mixed Tenure Housing & Buildings , Retrofitting & Refurbishment, Urban Design & Public Spaces e Transport.

Lo studio Park & Associati, fondato da Michele Rossi e Filippo Pagliani, ha ottenuto il primo posto nella categoria "Hotel & Leisure" con il progetto Princeless Milano, una struttura definito dalla giuria come «un'architettura nomade e temporanea che esplora gli spazi della città in modo nuovo», così definisce la giuria questa temporary structure per la ristorazione installata in Piazza della Scala a Milano sulla sommità di Palazzo Beltrami. S.G.

Lo ha stabilito una recente ricerca presentata dall’autorevolissima Stanford University che ha impiegato dei robot NAO per questo curioso esperimento. I ricercatori hanno dimostrarlo che noi umani siamo costruiti un po’ alla buona per quel che riguarda i gusti sessuali e che non facciamo molta differenza se il palpeggiamento di un gluteo, di una mammella e di altre zone considerate erogene siano di un altro umano o di un… robot! In effetti questa tendenza l’avremmo dovuta già constatare con il successo di vendita che hanno toccato i sexy toys e le bambole gonfiabili la cui massima espressione sono i

macabri costosissimi e realistici automi RealDoll, ma torniamo all’esperimento. Lo studio in sé è abbastanza semplice: alcuni studenti sono stati messi da soli in una stanza con un robot NAO. Sulla loro mano non dominante è stato collegato un sensore a conduttanza della pelle per misurare la loro eccitazione fisiologica. Il robot chiede alle “cavie” di essere toccato in più punti del suo “corpo” e, indovinate” la massi ma eccitazione raggiunta dalla “cavia” è ovviamente nelle zone “genitali“ del robot! A quanto pare sembra che siamo noi umani ad avere qualche serio bug nei nostri algoritmi! S.G.

Molestare un robot? È eccitante!

Vector Architects: Seashore Library, la biblioteca che guarda l’Oceano

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P er quasi un’ora mi sono scervellato a cercare l’autore di questa meravigliosa frase che

severamente sentenzia: “Ogni popolo ha il governo che si merita”. Sulla rete viene attribuita a più personaggi storici, da Aristotele a W. Churchill, e a me piace particolarmente perché da noi sembra trovare una delle sue più riuscite e fulgide esemplificazioni. Anche se in essa si parla di “governo” e la tentazione di parlare male della politica è molto forte non è proprio di quest’ultima che voglio parlare ma di una sua particolarissima specializzazione la cui crescita e sviluppo nel nostro Paese ha veramente superato negli ultimi decenni ogni più rosea aspettativa: la corruzione. Ero solo un bambino quando, con un certo tedio, ascoltavo le interminabili lamentazioni degli adulti a commento dell’ennesimo scandalo per corruzione generato da un uomo politico o dal potente di turno. Quarant’anni dopo, con lo stesso tedio, ascolto le interminabili lamentazioni degli innumerevoli talk show e para-telegiornali di taglio politico che popolano le serate televisive e radiofoniche italiane. Al pari di certe culture indigene, che per tradizione orale si tramandano la loro storia, così il popolo italiota si tramanda, sempre per tradizione orale, l’esercizio della lamentazione: il padre o la madre o, peggio ancora, entrambi i genitori si lamentano della

corruzione di politici e pubblici amministratori davanti ai loro figli in modo tale che poi un giorno anche loro faranno esattamente la stessa cosa e cioè sapranno SOLO lamentarsi. Tutto ciò mi ricorda molto il meccanismo legato al vizio del fumo. Il problema di questo stato di cose è basato sul fatto che da noi la corruzione è endemica, è un qualcosa che ci portiamo nel DNA e che coinvolge, con travolgente passionalità, tutto e tutti: dall’Onorevolissimo Ministro senza Portafogli al Primo Usciere Applicato del Sig. Sindaco di Pranzate Sopra, dall’Egregissimo Ingegnere Collaudatore Capo al III Capo Mastro Scelto del sub, sub appaltante, dall’integerrimo Luogotenente Aiutante di Brigata all’ineffabile pluridecorato Vice Comandante Generale del Corpo d’Armata, dall’onnipresente ed instancabile Bidello Scelto di II Classe al Magnifico ed Eccellentissimo Rettore dell’Università di Sparatjunapizza! In Italia la corruzione non è una questione morale ma una questione fisica! Quel piacevole brivido blu che corre lungo la schiena quando la mano amica e complice del corruttore ti passa un giornale, o una busta, bella piena zeppa di banconotoni da Cinquecento Euro! Si ho scritto proprio Cinquecento Euro: la banconota creata dalla UE appositamente per agevolare la corruzione e il malaffare nel Vecchio Continente. Fuori battuta questo annoso problema della corruzione nell’amministrazione della cosa pubblica italiana è legato alla mancanza di un reato che leda effettivamente, totalmente e permanentemente la reputazione professionale di corrotti e corruttori impedendo

loro, per sempre, l’accesso a qualsiasi futura mansione lavorativa in cui possano entrare a contatto con le casse di un qualsivoglia pubblico ufficio. Per assurdo da noi corrompere o essere corrotti fa curriculum, fa esperienza: “E’ stato corrotto? Magnifico! È proprio l’uomo che stavamo cercando!”, oppure “Scusi ma lei sa corrompere bene? Altrimenti guardi lasciamo stare! No, perché quegli appalti di cui le parlavo prima sono di vitale importanza per la nostra azienda!” Lasciatemi chiosare il tutto con una riflessione: se è vero che il Made in Italy è sempre una garanzia di qualità ed affidabilità, allora perché i nostri Atenei non varano dei bei Corsi di Laurea in Economia e Commercio ad indirizzo Truffaldino oppure dei Master in Arte della Corruzione e Falso Ideologico o, ancora, dei Dottorati di Ricerca sulla Teoria e Tecnica delle Applicazioni di Disonestà nelle PP.AA? Parafrasando il noto precetto manzoniano riusciremo a fare di Slealtà, Virtù e… qualcuno ci guadagnerebbe pure qualche altro soldo! Meditate gente, meditate!

di Salvio Gigl io

Da Pubblici Vizi a inaspettate Virtù?

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Impariamo a sbrogliare un circuito: la fase di layout

D opo aver dato una fugace occhiata ai criteri di dimensionamento delle piste di un

circuito stampato e aver definito il concetto di sbrogliatura, adesso ci occupiamo della realizzazione pratica del master definitivo del nostro PCB. A tal fine dobbiamo aver presenti due punti estremamente importanti: lo studio del layout, per la disposizione ottimale dei componenti sulla scheda, e quello inerente lo sbroglio delle piste di collegamento, cercando di definire il miglior percorso possibile e in grado di soddisfare tutti i collegamenti elettrici previsti. Per darvi forza durante questa

fase progettuale ripeterete, più e più volte, questo mantra: “Procederò con molta pazienza, per affinamenti successivi e anche se qualcosa va storto non mollerò! Sono io il più forte ed arriverò alla soluzione ottimale!”…

Il layout passo dopo passo

La sequenza operativa che vi propongo in questo paragrafo è ricavata dal flow chart normalmente impiegato nella produzione industriale i cui criteri generali possono essere però tranquillamente adottati anche per la produzione artigianale personale. Prima di passare allo sviluppo del master, dobbiamo già conoscere o quanto meno avere un’idea su: la tecnologia di montaggio

(THT o SMT) da adottare; la tipologia di montaggio (a

singola faccia, a doppia faccia, ecc.) da applicare;

la modalità di montaggio dei componenti (orizzontale o verticale) da implementare;

la scelta fra uno o più PCB e, a tal proposito, va detto che ci sono alcuni validissimi motivi (come la forma del volume disponibile, la manutenibilità, la modularità di alcuni componenti, ecc.,) che possono giustamente far propendere la progettazione verso l’adozione di una combinazione di PCB opportunamente interconnessi tra loro. Ovviamente la soluzione a singolo PCB offre numerosi vantaggi, quali la minor superficie complessiva, il risparmio di connessioni e connettori, senza contare un certo risparmio nei costi di produzione. Di contro la soluzione con due o più PCB propone la semplificazione della sbrogliatura e della fabbricazione, collaudo e

VII puntata, II parte

di Salvio Gigl io

La fase di layout è immediatamente precedente a quella di sbroglio e può essere considerata come una bozza di quello che sarà il nostro PCB finito. In questo articolo, otto passaggi per realizzare un layout efficace e ragionato

che si avvicini quanto più possibile al circuito finale. In ogni caso sappiate che vi dovete armare di molta pazienza!

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diagnostica degli errori semplificata, una manutenzione più rapida e, conseguentemente, una riduzione del tempo di fermo macchina.

le dimensioni fisiche del contenitore in cui sarà custodito;

le condizioni ambientali di esercizio in cui dovrà operare; il numero d’esemplari da produrre;

la classe dell’apparecchiatura (militare, industriale, civile, ecc.).

Stabiliti i punti di cui sopra si procede con il layout vero e proprio. In caso di circuiti non estremamente complessi si possono fare dei bozzetti preliminari su carta e poi trasporli in bella copia sul PC. In linea di principio, in questa fase si parte dal perimetro esterno della scheda (relegando componenti caldi e con tensioni pericolose lontano dalla componentistica delicata e di precisione, in prossimità di grate e/o ventole di areazione per dissipare il calore) e si procede gradualmente verso il centro della scheda, sino all’eventuale zoccolo del processore. Ecco, in estrema sintesi, una scaletta con i passaggi salienti della stesura del layout: 1. Rappresentazione del

perimetro esterno del PCB in base alle esigenze di progetto.

2. Posizionamento dei fori di fissaggio della scheda. Ricordate a tal proposito che ad ogni foro deve essere associata un’area keep-out (tenersi fuori) necessaria per evitare contatti tra la testa della vite di fissaggio e parti sotto tensione; in questa zona non è assolutamente consentito il passaggio di piste, espansioni di massa, il posizionamento di vias, componenti e aree conduttrici.

3. Determinazione del bordo della scheda. Il bordo è un’area

perimetrale in cui è ammessa la sola presenza di componenti specifici destinati al comando, alla connettività, alla regolazione, o che sono frequentemente soggetti a manutenzione. Questa fascia descrive idealmente anche il perimetro dell’area utile di lavoro (la zona destinata alla componentistica per capirci), arretrato rispetto a quello esterno di una distanza compresa tra i da 2 e 5 mm, in funzione dei sistemi di produzione e di fissaggio del PCB nel prodotto finale. Questa fascia può essere impiegata per il passaggio di eventuali piste a patto che ciò non costituisca potenziali pericoli di cortocircuito. In ogni caso è preferibile che per le piste sia rispettata sempre una distanza minima di 1,5 mm rispetto al perimetro esterno della scheda poiché, durante l’operazione di tranciatura della basetta, esse potrebbero staccarsi dal supporto isolante.

4. Suddivisione in zone funzionali. I componenti vanno disposti considerando sempre lo schema elettrico di partenza, immaginando per ciascuno di essi il collegamento più breve e ottimizzando al massimo la lunghezza delle piste. In questa fase conviene suddividere e risolvere il circuito in zone funzionali (alimentazione, segnali in ingresso, elaborazione, segnali in uscita) studiando, zona per zona, la disposizione più semplice dei componenti e, allo stesso tempo, sia in grado di evitare l’impiego di un numero eccessivo di vias e/o di piste troppo lunghe.

5. Creazione di gruppi e sottogruppi. Come accade normalmente nel CAD, nella modellazione 3D o nella grafica vettoriale, ragioneremo per

gruppi nidificati (gruppo principale composto da sottogruppi più elementari) e collocheremo questi all’interno dell’area utile di lavoro. Nella maggioranza dei casi quest’area è decisamente superiore rispetto alle reali esigenze produttive, fatto questo che può essere sfruttato nella successiva fase di sbrogliatura in cui, normalmente, i gruppi precedentemente creati sono riposizionati per ottenere una combinazione ottimale e il massimo guadagno di spazio. Nei gruppi posizioneremo i componenti in modo uniforme, orizzontalmente e verticalmente, disponendoli in base ad una griglia.

6. Scelta della griglia di riferimento. È un ausilio grafico per la progettazione consistente in una quadrettatura a passo costante, espresso in pollici, pari a:

0.100" o 100 mils = 2,54 mm; 0.050" o 50 mils = 1,27 mm; 0.025" o 25 mils = 0,635 mm.

7. Suddivisione delle tensioni. La Norma CEI 64-8 contempla tre sistemi di alimentazione principali per garantire la protezione delle persone contro i contatti diretti e indiretti. I sistemi in questione sono denominati:

a bassissima tensione di sicurezza (SELV) alimentati con tensioni non superiori a 50 V CA e 120 V CC non ondulata;

a bassissima tensione di protezione (PELV) alimentati con tensioni non superiori a 50 V CA e 120 V CC non ondulata;

a bassissima tensione funzionale (FELV).

In alcune circostanze che presentano maggiore rischio, la tensione di alimentazione deve

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Fig. 1, flow chart dei dati iniziali prima dell’elaborazione del layout

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essere ridotta a 25 V CA e 60 V CC. Le sorgenti di alimentazione saranno scelte tra le seguenti: trasformatore di sicurezza o

sorgente con grado di sicurezza equivalente;

batterie di accumulatori. In ogni caso, la zona di alimentazione primaria, ove è presente la tensione di rete e/o tensioni pericolose, deve distare sempre di uno spazio ≥ 3mm dalla zona a bassissima tensione.

8. Componenti speciali. Vi consiglio, infine, di adottare le seguenti precauzioni se nel vostro progetto sono presenti: Amplificatori operazionali, il

criterio da seguire per realizzare una configurazione tipica (somma, inversione, derivazione, integrazione,

ecc.) consiste nel creare un gruppo formato dall’integrato operazionale con intorno i componenti necessari all’esecuzione delle varie operazioni (resistenze e/o condensatori).

Condensatori di filtro, devono essere ubicati nelle immediate vicinanze del piedino di alimentazione piuttosto che a quello della massa dell’integrato di pertinenza.

Connettori, nella maggioranza dei casi vanno collocati a bordo scheda, anche se è piuttosto frequente il loro posizionamento in zone centrali del circuito.

Microcontrollori, per il loro elevato numero di connessioni si predilige il montaggio in posizione

centrale. Ricordate poi che il gruppo del clock di sistema, formato da un quarzo e due condensatori, deve essere montato il più vicino possibile ai terminali del microcontrollore.

Varistori, sono dispositivi di protezione contro le sovratensioni che vanno installati adiacentemente ai connettori perché potrebbero danneggiare seriamente il circuito.

Per questa puntata ci fermiamo qui! Sul prossimo numero vedremo gli step principali della fase di sbroglio. Continua...

Fig. 2, sequenza delle principali fasi del layout

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The truth is, the Science of Nature The truth is, the Science of Nature has been already too long made only has been already too long made only

a work of thea work of the BrainBrain and theand the FancyFancy: : It is now high time that it should It is now high time that it should

return to the plainness and soundness return to the plainness and soundness ofof ObservationsObservations onon materialmaterial andand

obviousobvious things.things. Robert Hooke Robert Hooke

MicrographiaMicrographia (1665). In(1665). In Extracts from MicrographiaExtracts from Micrographia (1906),(1906),

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R obert Hooke è uno di quei personaggi con cui la storia ha ancora un grosso debito aperto

nonostante siano passati diversi secoli dalla sua scomparsa. Non a caso ho deciso di stabilire come punto di partenza di questo nuovo ciclo di puntate proprio questo scienziato inglese entusiasta, votato totalmente allo studio e alla conoscenza, declinati in ogni loro possibile applicazione per quei tempi: dall’astronomia alla fisica, dalla chimica alla biologia, dalla geologia alla musica sacra, dall'architettura all’urbanistica, dalla meccanica alla tecnologia na va le . Hooke i nca r na perfettamente la figura di uomo rinascimentale e di umanista per la sua intelligenza e insaziabile sete di sapere. Una sete che lo ha spinto, poco più che adolescente, dall’Isola di Wight in quel di Londra: una città all’epoca pericolosa e difficile già solo per chi ci era nato, figuriamoci per un ingenuo ragazzino dalla salute precaria che arrivava da una sperduta isoletta della Manica, figlio di un curato di un minuscolo villaggio di pescatori. Contro ogni funesta previsione, la crescita culturale di Robert è

inarrestabile e finisce col renderlo un personaggio unico, un punto di riferimento per gli stessi dotti del suo tempo che per lui creano un ruolo professionale specifico in ambito accademico e che lo vogliono come pianificatore urbano dopo il Grande Incendio di Londra del 1666. A fare in modo che di Hooke la storia perdesse quasi completamente la cognizione, nonostante la quantità e la qualità di ricerche scientifiche da lui condotte per oltre quarant’anni, saranno l’invidia e il “mestiere” di c e r t i a c c a d e m i c i s u o i contemporanei e rivali. Ut tensio, sic vis! Hooke coltivava sin dall’infanzia, una grande passione per l’orologeria e la meccanica di precisione. A tal proposito è lui stesso a citare un episodio r i s a l e n t e a l p e r i o d o dell’adolescenza in cui smontò completamente un orologio in ottone per capirne il funzionamento e finì col realizzarne una replica in legno funzionante che segnava le ore con un certa precisione. Anche la stessa legge sul comportamento dei materiali elastici era nata per scopi puramente pratici sul finire del 1660, poco prima che Hooke diventasse un membro della Royal Society, ed era legata alla sua vecchia passione per

l’orologeria. Hooke stava tentando di sviluppare una molla a spirale molto sottile e di piccole dimensioni per azionare i meccanismi di un suo modello di orologio portatile. La molla, per ragioni di precisione, avrebbe dovuto rilasciare costantemente la sua “carica” elastica agli ingranaggi dell’orologio. Prima di giungere alla nota relazione con cui è espressa la sua legge, Hooke testò una gran quantità di molle e cavi in acciaio, assicelle e travetti di legno sottoponendoli a trazione con carichi man mano crescenti e avvalendosi di una bilancia per eseguire le misurazioni. Per ogni test ricavò una serie di grafici in cui era rappresentato su di un diagramma cartesiano il rapporto tra carico e deformazioni: il tracciato ottenuto, in tutti i casi, risultava essere sempre una linea retta a dimostrazione della p r o p o r z i o n a l i t à d i r e t t a sussistente tra i due termini. Quando Hooke cominciò a parlare apertamente della sua scoperta nella Royal Society, nacque un’accesa disputa con il matematico olandese sulla paternità della formulazione. L’olandese sosteneva infatti che Hooke era un millantatore dal momento che avrebbe sviluppato questa teoria poco tempo dopo il suo ingresso nella Royal Society, facendo propri i risultati delle sue ricerche. Era costume dell’epoca

I puntata - I parte

di Salvio Gigl io

Abbiamo deciso di dare un taglio storico a questo nuovo ciclo di puntate ospitato in questa rubrica. Il tentativo è quello di spiegare che dietro ai nomi e alle formulazioni teoriche, propinate sterilmente dai libri di testo, ci sono sempre e solo delle persone che con le loro vicende umane, superano per importanza ed esemplarità le stesse leggi e teoremi che li hanno resi famosi. Il primo personaggio in cerca di lettori è Robert Hooke: uno scienziato inglese del XVII secolo il cui talento e ingegno lo elevano allo stesso rango del grande Leonardo. A differenza però del genio rinascimentale italiano ad Hooke l’Inghilterra non solo non gli ha ancora riconosciuto il giusto

tributo storico ma ha anche smarrito i suoi resti mortali...

Gli autori delle grandi teorie per la Scienza & la Tecnica delle Costruzioni contemporanea

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Fig. 1, immagine estratta dal trattato di Hooke “Lectures de potentia reflitutiva or of Spring. Explaining the power of sprin-

ging bodies” del 1678. La didascalia dell’immagine è stata tradotta dal redattore

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preannunciare con anagrammi di frasi in latino scoperte ed invenzioni; non di meno fa Hooke che, nel 1675, pubblica alla fine del suo trattato Descriptions of He l ios cope s l ’a na gr a mma CEIIINOSSSTTUV relativo alla sua teoria sull’elasticità dei materiali. Nel 1678, Hooke completa e pubblica un documento dedicato alle sue osservazioni Lectures de potentia reflitutiva or of spring explaining the power of springing bodies e svela la frase misteriosa dell’anagramma. “Ut tensio, sic vis" significa: "Come la forza, così l'estensione" e spiega che: ”la forza di qualsiasi molla è proporzionale alla tensione ad essa applicata: così, se un tratto di molla sarà piegato in un solo spazio, due saranno piegati in due, tre saranno piegati in tre, e così via. Ora, siccome la teoria è molto breve, quindi il modo di provarla è molto facile.“. Ecco la relazione che fu motivo di tanto contendere: Essa, come vi dicevo prima, espr ime i l lega me di proporzionalità diretta tra la forza F e l’allungamento prodotto da essa sul materiale δ mentre la costante k rappresenta la costante elastica del materiale espresso in N/m. La legge di Hooke origina tre diversi ordini di considerazioni: 1. Un materiale solido può

resistere a una forza ad esso applicata solo cedendo ad essa: contraendosi se sottoposto a compressione o allungandosi se sottoposto trazione. In questo contesto si deve considerare come una deformazione ogni minima a l t e r a z i o n e d e l l a configurazione normale di un corpo (quella in stato di riposo) in termini sia dimensionali che di forma: è l’azione della forza agente sul corpo a

originare il cambiamento. La nuova conformazione del solido assunta sotto l'azione di forze esterne corrisponde ad una variazione delle sue forze interne che tendono a raggiungere, finché ciò è possibile, uno stato di equilibrio con esse.

2. I materiali solidi sono elastici: quando viene rimosso un carico che era stato loro applicato in precedenza, riacquistano la loro forma e dimensione originale a patto che esso non superi i limiti di elasticità. Con la rimozione progressiva del carico, Hooke osservò che anche il ritorno alle condizioni geometriche iniziali era lineare e, in base alle tolleranze adottate per le sue misurazioni, tutti gli oggetti riacquistavano la loro lunghezza originale.

3. Nei materiali o nelle strutture la deformazione è sempre proporzionale al carico a p p l i ca t o . Q u e s t ’ u l t i m a affermazione risulta sempre vera, anche quando il carico applicato al solido supera oltre il punto di non ritorno il limite di elasticità del materiale e talvolta raggiunge il valore di rottura dello stesso.

Torneremo nuovamente sulla legge di Hooke nella prossima puntata, ove analizzeremo le sue implicazioni e sviluppi in ambito progettuale. Giunti a questo punto però, mi preme di più presentarvi la storia e il talento di questo geniale scienziato. La storiografia su Hooke: un tentativo di rendergli giustizia Mentre sono in cerca di notizie storiche in rete mi amareggia molto apprendere, da un sito web interamente dedicato a Hooke (il roberthooke.org.uk), che nonostante egli sia stato uno dei più brillanti e versatili scienziati inglesi del XVII secolo, gli storici e la comunità scientifica del suo Paese non sono

ancora riusciti a diffondere e popolarizzare la sua figura e il suo enorme contributo scientifico al pari di altri personaggi suoi contemporanei. Trovo poi ancora più scandaloso e riprovevole il fatto che la sua patria abbia in tempi recenti persino smarrito i suoi resti mortali. Hooke era stato originariamente tumulato nella bella chiesa di St. Helen Bishopsgate nel 1703; nel 1992 e nel 1993 l ’organizzazione terroristica nord irlandese IRA prende di mira il monumento e piazza due devastanti ordigni nelle immediate vicinanze. I danni alla chiesa sono ingenti e i resti di Hooke, per motivi di sicurezza vengono traslati in un luogo non precisato e di cui si sono completamente poi perse le tracce... Neanche da noi in Italia saremmo riusciti a fare una cosa tanto maldestra! Fortunatamente, nonostante queste meschinità e il fatto che siano passati più di quattro secoli, è la rete a mettere spontaneamente a disposizione del pubblico del buon materiale documentale su questo straordinario personaggio storico. Cosciente dell’impossibilità di zippare Hooke in questa sede, preferisco esordire indicandovi subito un percorso storiografico a lui dedicato che, anche se tutto in inglese, sarà capace di farvelo apprezzare pienamente. Partiamo da John Aubrey , che ne traccia un ritratto molto definito, quando Hooke era ancora in vita, nel suo “Schediasmata: Brief Lives”, una raccolta manoscritta in tre volumi in folio di profili biografici depositata, nel 1693, nel Ashmolean Museum di Oxford ed ora custodita presso la Bodleian Library sempre ad Oxford. Richard Waller, ce ne parla nella sua introduzione al trattato “The Posthumous Works of Robert Hooke, (…)” stampato nel 1705. John Ward lo descrive nel periodo

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“London Burning by Day, 1666”. Da una stampa tedesca nella collezione Goss. In "The Great Fire of London” da Walter Geor-

ge Bell, 1914.

A sinistra, ritratto di John Wilkins eseguito da Mary Beale nel 1670 e custodito nella Bodleian Library di Oxford. A destra,

ritratto di Oliver Cromwell eseguito da Robert Walker nel 1649.

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in cui Hooke era docente di Geometria presso il Gresham College nel suo resoconto: “The Lives of the Professors of Gresham College, to which is prefixed the Life of the Founder, Sir Thomas Gresham” pubblicato a Londra nel 1740. Robert Gunther, storico della scienza, fu poi talmente attratto dalla vastità dell’opera di Hooke che finì col dedicargli ben cinque tomi, su quattordici, del suo lavoro enciclopedico “Early Science in Oxford” del 1920, un trattato storico sulla ricerca scientifica ad Oxford durante il Protettorato, la Restaurazione e il secolo dei Lumi. Una ricerca molto approfondita su Hooke è, infine e sicuramente, il lavoro del famoso storico inglese Allan Chapman che, nel 1996, il gli dedica un libro in cui, sin dal titolo, lo definisce "England's Leonardo(…)” cioè il Leonardo d’Inghilterra. Il lavoro di Chapman è una bell’analisi storica, molto dettagliata, della vita di Hooke e viene presentata al lettore suddivisa in tre periodi chiave: gli esordi come ricercatore scientifico universitario senza stipendio (dev’essere una consuetudine legata a questo ruolo); gli anni del successo in cui, oltre alle innumerevoli soddisfazioni raccolte in ambito accademico, lo scienziato ottiene dalle massime autorità cittadine un ruolo di vitale importanza nella pianificazione della ricostruzione di Londra, andata quasi totalmente distrutta col devastante incendio del 1666; gli anni del declino che vedono lo scienziato logorato dalla vecchiaia, dalle malattie e dall’invidia dei suoi non pochi rivali. A questi Chapman attribuisce la responsabilità di non aver fatto annoverare il nome di Hooke tra quello dei grandi scienziati britannici subito dopo la sua morte. In definitiva “England’s Leonardo” ci restituisce la figura di un uomo onestissimo,

innamorato della vita in ogni sua manifestazione, dinamico, pieno di genio e talento che la parola umanista riesce perfettamente a riassumere. I primi anni di vita E’ un’autobiografia, iniziata nel 1696 e mai completata, a fornire un punto di partenza affidabile da cui attingere notizie sui primi anni di vita di Hooke. Robert nacque nel 1635 in Inghilterra sull’Isola di Wight nel villaggio di Freshwater, ultimo di quattro figli nati dal matrimonio tra il pastore anglicano John Hooke e Cecily Gyles. Fu proprio il padre a dargli le prime basi formative, essendo anche il maestro della scuola locale, con la speranza che il figlio seguisse le sue orme in ambito religioso anche se presto si rese conto che quel ragazzo di grande intelligenza, ma dalla salute cagionevole, avrebbe fatto ben altro nella vita. Infatti, il giovane Robert aveva un grande spirito d’osservazione, era affascinato dalla meccanica e aveva gran talento per il disegno e la pittura: interessi questi che avrebbe seguito in vari modi per tutta la sua vita. Nel 1648 con la morte del padre, Robert eredita quaranta sterline, una bella cifra per l’epoca, e comincia un breve periodo di apprendistato come allievo pittore a Londra presso la bottega di Peter Lely. Poco tempo dopo, per perfezionare il suo ciclo di studi, Hooke frequenta le superiori presso la celebre Westminster School di Londra, sotto il patrocinio del reverendo anglicano Richard Busby. Gli anni della formazione del giovane Hooke si svolgono in un momento particolarmente delicato per l’Inghilterra, passato poi alla storia col nome di Rivoluzione inglese. Stiamo parlando del periodo in cui il condottiero e politico Olivier Cromwell e tutto il Parlamento inglese dichiarano decaduta la

monarchia e instaurano il Protettorato (dal 1649 al 1653), crearono il Consiglio di Stato, abolirono la Camera dei Lord e proclamarono la Repubblica Unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda (o Commonwealth). Il periodo di Oxford Nel frattempo Hooke è diventato un brillante studente al Wadham College, uno dei collegi costituenti l'Università di Oxford, e fa parte di un ristretto gruppo di ardenti filomonarchici capitanato dal pastore anglicano John Wilkins che fu scrittore, filosofo naturalista nonché fondatore dell'Invisible College e cofondatore della Royal Society. Wilkins avvertiva un senso di grande urgenza nel preservare il lavoro scientifico, dal momento che il Protettorato era percepito come una seria minaccia per l’operato di scienziati e liberi pensatori. A parte questa tumultuosa fase politica, fortunatamente di breve durata, il periodo oxfordiano di Hooke è caratterizzato dalla sua passione per la scienza e dal consolidamento di amicizie, alcune delle quali sono durate per tutta la vita come quella con Christopher Wren. In quegli anni Robert raggiunge un ottimo livello formativo anche in ambito musicale, frequentando un corso di venti lezioni per l’apprendimento dell’organo e delle basi del canto corale. Proprio grazie alle sue doti canore, nel 1653 Robert entra come corista nella Christ Church di Oxford. In quell’ambito Hooke conosce il dott. Thomas Willis di cui conosce ed ammira il lavoro di ricerca in ambito medico e ne diviene l’assistente chimico per un breve periodo. Poco tempo dopo Robert diventerà assistente, dal 1655 al ’62, del famoso fisico e filosofo naturalista irlandese Robert Boyle, per il quale costruirà dei

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A sinistra, ritratto di Robert Boyle eseguito da Johann Kerseboom nel 1689 e custodito nella Gawthorpe Hall (GB). A destra, la pompa a vuoto realizzata da Robert Hooke per gli esperimenti sulla Legge dei gas.

A sinistra, frontespizio di Micrographia del 1665. A destra il microscopio di Hooke: la luce della fiamma di una lampada a petrolio (K) viene focalizzata attraverso una sfera di vetro (G) ed una lente (I) per illuminare l’oggetto da esaminare (M) attra-verso il microscopio. Si notino i complessi cinematismi per regolare le varie parti dello strumento.

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dispositivi per il vuoto impiegati poi negli esperimenti sulla nota legge sui gas. Queste due esperienze lavorative ritarderanno il conseguimento del rango accademico di Master of Arts sino 1663. Curatore scientifico alla Royal Society Il 28 novembre 1660, in seno al Gresham College, il gruppo di intellettuali chiamato The 1660 committee of 12 annuncia la fondazione di un "Collegio per la promozione e l’insegnamento sperimentale di discipline fisico-matematiche", che si riunirà settimanalmente per discutere di scienze e presentare eventuali esperimenti eseguiti; nasceva così la Royal Society. Il 5 novembre 1661, uno dei membri fondatori, Sir Robert Moray, propone la creazione di una figura professionale specifica, quella del curatore scientifico, che sembrava essere fatta apposta per Hooke. Questo ruolo, infatti, che prevedeva espressamente la progettazione e la realizzazione dell’equipaggiamento scientifico necessario agli esperimenti condotti dalla Royal Society, fu affidato con approvazione unanime a Hooke appena una settimana dopo. A partire dal 1664, Sir John Cutler stabilisce inoltre un’ulteriore sovvenzione annuale di cinquanta sterline per la Società affinché fondi un ulteriore comitato tecnico sulla Meccanica e, considerata la grande esperienza in questo campo, Hooke riceve la nomina per questo nuovo compito il 27 giugno 1664. Nello stesso anno Hooke è nominato professore di Geometria presso il Gresham College di Londra. L’11 gennaio 1665 Hooke viene confermato curatore scientifico a vita con un cospicuo aumento di stipendio aggiuntivo di ben trenta sterline l’anno. La figura professionale di Hooke gli

permetteva ora di promuovere liberamente esperimenti scientifici propri oltre a verificare ed eseguire quelli proposti dagli altri membri della Società. Le sue innumerevoli intuizioni e le relative indagini scientifiche e realizzazioni tecniche lo hanno reso un vero pioniere scientifico. Qui di seguito, per farvi fare un’idea sul personaggio, vi cito solo alcuni dei principali filoni di ricerca da lui seguiti in quel periodo. Uso dei microscopi

nell’esplorazione scientifica. Hooke aveva competenze sulla luce e sull’ottica tali da consentirgli di apportare alcuni significativi miglioramenti al microscopio: i suoi modelli, infatti, furono equipaggiati con sistemi ottici e di illuminazione rivoluzionari per l’epoca. Dalla pratica tecnica sperimentale e dal collaudo degli strumenti scaturì poi uno studio che lo condusse ad una serie di scoperte e osservazioni sul mondo dell’infinitamente piccolo che confluirono nel suo trattato Micrographia del 1665. In questo lavoro Hooke relazionò minuziosamente le sue esperienze di laboratorio condotte principalmente su: l’anatomia di insetti e piccoli fossili, i cui esiti lo avevano poi instradato verso le basi della teoria evoluzionistica in biologia; l’analisi di tessuti vegetali, come il sughero, in cui aveva ravvisato delle cavità separate da pareti chiamate cells (cellule); sui cristalli macroscopici, attraverso cui aveva elaborato dei pionieristici modelli strutturali per dedurre la loro disposizione atomica in base alla loro forma. Furono osservazioni che risultarono poi vitali per la nascente scienza della cristallografia.

Costruzione del primo

telescopio gregoriano, realizzato nel 1673 su progetto dell’astronomo e matematico scozzese James Gregory che lo impiegò per l’osservazione delle orbite di Marte e Giove.

Studio del fenomeno della rifrazione, da cui Hooke dedusse la teoria ondulatoria della luce.

Studio sul fenomeno della dilatazione termica dei corpi solidi.

Studio sulla composizione dell’aria, in cui ipotizzò che essa fosse formata da piccole particelle separate da distanze relativamente grandi.

Studio di nuovi criteri per il rilevamento cartografico.

Studio sulla formulazione di una legge sulla forza di gravità e il moto dei pianeti, idea poi ampiamente “sviluppata” da Isaac Newton.

Hooke architetto ed urbanista Dopo il grande incendio del 1666, Hooke viene nominato Surveyor (ispettore) per la Città di Londra e assistente capo di Christopher Wren. Entrambi sono impegnati nella pianificazione della ricostruzione della capitale che con l’incendio ha perso oltre 85% del suo patrimonio storico e immobiliare. In questa fase sono tanti i lavori in cui si rintraccia la mano di Hooke a partire dal Monument to the fire (Monumento al fuoco) che, al di là della funzione commemorativa, era stato progettato con finalità astronomiche. Hooke e Wren erano entrambi appassionati astronomi e avevano pensato la colonna del monumento come supporto di un piccolo laboratorio astronomico munito di telescopio per l’osservazione dei transiti planetari e l’esecuzione di misurazioni di precisione. Purtroppo dopo il completamento del monumento gli autori stessi si resero conto dell’instabilità della

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1 e 2, Monument to the Great Fire of London visto dal piano stradale e in un dettaglio della balconata panoramica posta sulla sua sommità a 62 metri d’altezza. 3, il Royal Greenwich Observatory. 4, Teatro anatomico Cutlerian a Warwick Lane. 5, la suntuosa facciata neoclassica della Ragley Hall. 6, il Pepys Building nel Magdalene College a Cambridge, al piano terra è allo-cata la Pepys Library interamente progettata da Hooke

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colonna nelle giornate di vento e abbandonarono così definitivamente l’idea. Tra le altre opere di quel periodo tra cui figura la firma di Hooke troviamo: il Royal Greenwich Observatory (l'Osservatorio Reale di Greenwich), la Montagu House in Bloomsbury (Casa Montagu a Bloomsbury), il The Royal College of Physicians, la Ragley Hall nel Warwickshire, Ramsbury Manor nel Wiltshire, il famigerato ospedale psichiatrico Bethlem Royal Hospital, la chiesa parrocchiale di St Mary Magdalene at Willen a Milton Keynes. Hooke e Wren progettano anche la St Paul's Cathedral, in particolare la cupola fu edificata impiegando un metodo di costruzione ideato da Hooke. Hooke partecipa anche alla progettazione della Pepys Library, ove sono stati custoditi i diari manoscritti di Samuel Pepys, un drammatico resoconto testimoniale del grande incendio. Per quanto riguarda la progettazione urbanistica della nuova Londra, Hooke propose l’impiego di un impianto a griglia munito di ampi viali e arterie; modello questo che sarà successivamente utilizzato nella ristrutturazione di Parigi, Liverpool e molte città americane. Hooke sul viale del tramonto Robert Hooke non si è mai sposato se non con i suoi studi e ha trascorso gran parte della sua vita sull'isola di Wight, a Oxford e a Londra. L’ultimo tratto della sua vita è tormentato, per una parte, da problemi di salute sempre più frequenti e, dall’altra, da alcune dispute intellettuali legate alla sua enorme attività di ricerca scientifica. Un’ultima soddisfazione accademica gli viene conferita nel 1698: si tratta di un dottorato in Fisica al Gresham College. Hooke si spegne il 3 marzo 1703, all’età di 68 anni a

Londra e, nella sua stanza al Gresham College, viene rinvenuta una cassa contenente una fortuna: 8.000 sterline tra oro e denaro. Più volte Hooke aveva parlato di lasciare una generosa donazione alla Royal Society, che sicuramente a sua volta avrebbe dato il suo nome ad una biblioteca, ad alcuni laboratori e avrebbe indetto una serie di conferenze sullo scienziato scomparso… Per ironia della sorte dal momento che Hooke non aveva lasciato nessun testamento scritto, il denaro fu destinato al parente più prossimo sulla linea testamentaria: la cugina analfabeta Elizabeth Stephens. Alla figura di Hooke sono state associate tante dicerie e malignità gratuite dettate dall’invidia e dalla voglia di visibilità dei suoi rivali. Un primo colpo abbastanza forte fu la controversia con Henry Oldenburg sulla fuga di notizie circa il suo brevetto su di un congegno per l’orologeria chiamato scappamento e sviluppato in seno alla Royal Society. Di pari portata poi deve essere stata la disputa con Isaac Newton per il riconoscimento del lavoro sulla gravitazione. Anche dopo la morte di Hooke, Newton avvalendosi della sua posizione prominente di presidente della Royal Society, ha infangato la reputazione dello scienziato scomparso arrivando persino a far distruggere il suo unico ritratto. I suoi detrattori malignarono sul fatto che per le mani di Hooke, in quanto curatore di esperimenti per la Royal Society, siano passate centinaia di idee inviate alla Società da scienziati seri e inventori improvvisati; d’altro canto è altrettanto vero che Hooke era una persona super impegnata e che non aveva neanche il tempo di trasformare in brevetto le proprie idee, figuriamoci quelle degli altri.

Sembra poi esserci quasi un nesso tra Newton e il primo biografo di Hooke, Richard Waller; lo scrittore, in più occasioni, descrive Hooke come una persona sgradevole, un misantropo malinconico, diffidente e invidioso. Commenti questi che influenzeranno negativamente per oltre due secoli gli storiografi Un minimo di giustizia a questo personaggio la rende la pubblicazione de “The Diary of Robert Hooke, M.A., M.D., F.R.S., 1672–1680” ad opera di H. W. Robinson e di Adams. W. del 1935, in cui finalmente emerge un pezzo di vita quotidiana di Hooke come quando per esempio entra in contatto con noti artigiani dell’epoca (come Thomas Tompion, l'orologiaio e Christopher Cock un costruttore di strumenti) per realizzare attrezzature per i suoi esperimenti. Il diario di Hooke, inoltre, fa spesso riferimento a caffetterie e taverne in cui egli s’incontrava con Robert Boyle, Christopher Wren, John Aubrey, Harry Hunt, persone con cui ha condiviso molti interessi e con cui ha avuto una duratura amicizia. A questo punto tocca alla storiografia contemporanea fare nuove ricerche su Hooke, a partire dal luogo della sua sepoltura, e tentare di restituire quanto dovuto a questo affascinante personaggio storico. In quanto a noi ci diamo appuntamento nella seconda parte di questo articolo per approfondire la teoria sull’elasticità. Continua...

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C redo che un approccio corretto all’analisi di un personaggio tanto complesso e

multimediale deve necessariamente prescindere dalla ricerca di una poetica compositiva fondamentale, unitaria: sarebbe un errore macroscopico cercare questa portante in Munari, dal momento che la sua formatività è stata generosamente riversata in discipline molto diverse fra di loro e che il suo percorso professionale è stato costantemente condizionato dalla curiosità per tutto ciò che era innovazione tecnologica e tormentato da una sete d’arte che è finita solo con la sua

scomparsa. Sicuramente il punto di partenza di questo percorso è stato il futurismo, ma il futurismo di Munari era sentitamente e rigorosamente tale? L’adesione di Munari al Movimento Futurista non è piuttosto ludica che sentitamente ideologica! Il futurismo “munariano” infatti sembra essere più una via di mezzo tra una palestra e un laboratorio, quasi un luogo dell’anima in cui le cognizioni di disegno meccanico, apprese per lavoro, si fondono con quelle del disegno artistico e della pittura, appresi per puro diletto, e in cui giocare con geometrie, caratteri, colori alla ricerca di uno stile nuovo, unico e personale. C’è poi da chiedersi con quale Munari si stia avendo a che fare mentre si osserva la sua “Macchina Aerea”, del 1930, o le Macchine Inutili realizzate successivamente con

lo stesso sentire... Le parole sono importanti: quando un artista utilizza un aggettivo come “Inutili”, riferendolo alla parola “Macchine”, si può ancora definire “Futurista”? Sicuramente è un momento di rottura col futurismo e potrebbe apparire addirittura un gesto dadaistico (la giocosità del NULLA) se non fosse sorretto da un forte messaggio costruttivo: «Ma più che altro io penso che quello da considerare sia il passaggio di una forma, che ha delle dimensioni, attraverso una metamorfosi, come fluida, per diventare un’altra, allora non si ha più una forma definita ma un momento di passaggio da una forma ad un’altra, e questo è soltanto riconoscibile attraverso il movimento». (*)

Una dichiarazione questa che potrebbe apparire per un momento quasi come la poetica

Alla ricerca delle poetiche di Munari

II ed ultima puntata

di Salvio Gigl io

Un artista “normale” ha una sua poetica specifica, al massimo due… In Bruno Munari no! È inutile cercare in Munari un denominatore comune capace di risolvervi la vostra ricerca di storia dell’arte in dieci minuti, magari da Wikipedia! Se siete alle prese col maestro vi tocca rimboccarvi le maniche e sudare le famose 7 camicie: avrete a che fare con una galassia di materiale, perché questa è la produzione di Munari. La sua anima ha narrato in forme molto diverse fatti, materie, tempi e uomini e questo impiegando LINGUAGGI sicuramente NON

CONVENZIONALI...

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stessa di Munari, sempre a patto che egli fosse stato un artista “normale”. Tracce di questa sua visione di arte in movimento sono riscontrabili, in un modo o in un altro, nella quasi totalità della sua produzione anche se ogni suo lavoro è realmente un capitolo a sé stante. Una sicura invariante compositiva, che accomuna tutti i lavori di Munari, è l’attenta e minuziosa analisi morfologica e temporale di ciascun oggetto rappresentato: gli elementi delle sue composizioni vengono inquadrati nel momento della loro transizione, da una forma all’altra, conservando in qualche modo nel movimento la loro fisicità. Nel giovane Munari la sua ricerca artistica, anche se appena cominciata, è già pregna della modernità del suo tempo. Munari comincia a raccontare il suo tempo con ironia e leggerezza attraverso opere che si rivelano una sintesi raffinatissima di arte e conoscenza tecnologica, come l’installazione Concavo-convesso del 1947. Su questa direzione, nel 1948, fonda il Movimento Arte Concreta insieme ad altre tre anime belle di quel periodo: Gillo Dorfles, Gianni Monnet e Atanasio Soldati. Il MAC rappresenta il trionfo del concetto di multimedialità per Munari: il Movimento rispondeva alle istanze dell’astrattismo italiano proponendo nuovi strumenti di comunicazione da affiancare alla pittura tradizionale ed era in grado di dimostrare al mondo dell’arte, e a quello dell’imprenditoria, che una fusione tra arte e tecnica era realmente praticabile. Negli anni ‘50 nel nostro Paese si attua una vera, profonda, radicale rivoluzione: si trasforma l’economia, cambia la società e, di conseguenza, i comportamenti e i modelli di vita degli italiani; Milano è il lŏcus ove tutto ciò si realizza prima che altrove e,

proprio qui, Munari incarna la figura dell’Art Director, che diventa sempre di più supporto vitale per il commercio e l’industria. Sempre a Milano, nel 1950, inventa la pittura proiettata impiegando composizioni astratte custodite tra i vetrini da diapositiva mentre nel 1952 scompone la luce avvalendosi di un filtro Polaroid e realizza così la pittura polarizzata. Sempre nello stesso anno, Munari scrive il Manifesto del macchinismo, un testo pieno d’ironia in cui l’uomo si prende cura delle macchine, quasi fossero animali domestici, fino a diventarne del tutto schiavo. In questa suggestiva visione Munari vede gli artisti come i salvatori del genere umano che, dopo aver rinunziato al loro ruolo da protagonisti e abbandonati tela, colori e scalpello, cominciano a lavorare collettivamente realizzando opere d’arte attraverso progetti ben definiti, “distraendo” le macchine dal loro lavoro razionale e facendole diventare così "inutili". Da queste idee nasce un movimento artistico che trova la sua ufficializzazione in un’esposizione, tenutasi nel 1962 presso la sede Olivetti di Milano, in cui viene proposta la rassegna "Arte programmata". È proprio per quest’occasione che Bruno Munari, insieme a Giorgio Soavi, conia il termine che darà il nome al movimento. L’Arte programmata trova fondamento in quella corrente artistica nata negli anni ’20 del Novecento, chiamata Arte cinetica, che teorizzava l’introduzione di particolari di un’installazione artistica dotati di movimento o che riuscissero ad esprimerlo, pur nella loro assoluta staticità, attraverso effetti visivi e/o deformazioni plastiche. Contaminazioni di arte cinematica le troviamo anche nel Futurismo: penso inevitabilmente ad Umberto Boccioni e alla sua scultura “Forme uniche della continuità

nello spazio”, una vera icona del movimento futurista esposta al MoMA di New York. Ecco perché resto convinto che, se da un verso, Munari abbia in parte scherzosamente contestato il futurismo proprio perché era una corrente artistica troppo legata al mondo delle macchine, dall’altro abbia mutuato da esso la concezione della tecnica e del dinamismo. Il lettore non dimentichi che la propagazione di quest’ultimo concetto, celebrazione artistica inconscia del Relativismo di Einstein, si tramutò in una serie di felici realizzazioni artistiche. Condusse Munari all’Arte programmata. Favorì lo sviluppo dell’Optical Art, approfondendo l'esame dell'illusione ottica bidimensionale, con i primi esperimenti cinetici realizzati dagli artisti Richard Anuszkiewicz, Bridget Riley, Julio Le Parc e Victor Vasarely, nei cui lavori l'artificio ottico è sagacemente studiato in ogni minimo dettaglio. Guidò Jean Tinguely alle sculture cinetiche, Alexander Calder alle installazioni mobili, Gianni Colombo alle prospettive mobili Getulio Alviani alle "superfici a testura vibratile" e l’elenco potrebbe continuare. Denominatore comune di tutte queste manifestazioni artistiche è il rapporto attivo che si innesca fra spettatore e opera d’arte: essa diventa in qualche modo “viva”, cangiante, capace di modificarsi autonomamente o al variare del punto di vista di chi la osserva. Munari e la scrittura

Se la smaterializzazione dell’oggetto artistico è stato il tema dominate della produzione visuale del maestro, molto concreta invece sembra essere la sua scrittura. Nella scrittura di Munari convivono talvolta simultaneamente almeno tre anime: quella dello scrittore, quella

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dell’illustratore e quella del grafico editoriale; la coscienza derivante dalla fusione di questi distinti punti di vista suggerisce, per pratica intellettuale e professionale, la definizione stessa di libro: «è un oggetto che delimita un blocco di spazio. Per attraversare questo spazio occorre sfogliare le pagine dalla prima, che sta dietro la copertina, fino all'ultima. Ci si mette un certo tempo ed è come una passeggiata nella neve. Per entrare in questo spazio bisogna aprire la copertina, che è come una porta che permette

l'attraversamento del libro.». (*) Se il libro è un blocco di spazio significante, al contenuto significato ci pensa Munari seguendo, di volta in volta, un filone poetico specifico: quello dei libri per ragazzi, quello dei libri illeggibili, quello della saggistica artistica, quello della manualistica dedicata alla prima infanzia, quello della grafica editoriale, ecc. Munari ha scritto 130 libri: 130 piccole deliziose opere d’arte di cui ha curato dettagliatamente scrittura e contenuto visuale estendendo il concetto di multimedialità ad un

oggetto universalizzato e storicizzato qual è il libro. Più segnatamente l’idea di Munari per questo eccezionale ed insostituibile contenitore di messaggi è che esso deve poter comunicare: «per forme e colori, per sequenze, per materie (alcune pagine semitrasparenti possono dare l'idea della nebbia, oppure pagine lisce e pagine ruvide, oppure molli e rigide...). È un libro di comunicazione plurisensoriale, oltre che visiva.». (*)

1, disegno di macchina inutile, 1937 pubblicata su Arte come mestiere, Laterza. 2, disegno per macchina inutile realizzata in le-gno dipinto, 1939 pubblicato sul volume di A. Tanchis Bruno Munari, Idea Books, p.37. 3, macchina inutile 1945– 1995, particolare. 4, schema progettuale con misure della macchina inutile del 1937 pubblicato sul libro Arte come mestiere, Laterza. 5, macchina inutile, 1934 collezione Galleria d'arte moderna, Roma. 6, macchina inutile 1934 ottenuta da una zucca

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Progettare una CASA

In questa seconda fase si produce la documentazione necessaria per ottenere il rilascio dell’atto autorizzativo. Per ‘rilascio‘, si intende sia l’effettivo ottenimento di un ‘permesso‘, come il Permesso di Costruire, sia la presentazione di una denuncia/segnalazione, alle quali non segue il rilascio di alcun provvedimento. Il progetto

realizzato in questa fase è indicativo, infatti si chiama Progetto di massima.

Progetto: documentazione di base Compilazione del modello per la domanda/segnalazione dell’intervento edilizio; disegno e stampa degli elaborati grafici contenenti gli elementi previsti dal Regolamento Edilizio, e della relazione tecnico descrittiva dell’intervento. Barriere architettoniche: elaborati grafici; relazione descrittiva; dichiarazione asseverata. Impianto fognario: progetto impianto e parere dell’ufficio/ente preposto. ISTAT: compilazione del modello statistico. Rilievo fotografico. Ottenere parere igienico sanitario A.S.L. o allegare autodichiarazione. Compilazione e firma di numerose dichiarazioni di esclusione da particolari adempimenti. Sicurezza: il D.U.R.C. Presa in consegna di: Documento Unico Regolarità Contributiva (D.U.R.C.), dichiarazione dell’organico medio annuo, della visura camerale, della

dichiarazione del committente di aver verificato l’idoneità e la regolarità dell’impresa esecutrice. Questi documenti sono obbligatori anche per piccoli interventi dove non sia obbligatoria la nomina del Coordinatore per la Sicurezza, e non siano quindi obbligatori il P.S.C e la Notifica Preliminare. È quindi obbligatorio produrli anche se interviene un’unica impresa. Se mancano questi allegati, l’Amministrazione rifiuta la pratica, o ne sospende l’efficacia. Le imprese non possono essere irregolari! Sicurezza: lavori in quota La Regione Veneto, con Delibera di Giunta Regionale n. 2774 del 22 settembre 2009, ha introdotto l’obbligo delle ‘Misure preventive e protettive da predisporre negli edifici per l’accesso, il transito, e l’esecuzione dei lavori di manutenzione in quota, in condizioni di sicurezza‘. La disposizione è stata poi aggiornata con la Delibera della Giunta Regionale n. 97 del 31 gennaio 2012. È in sostanza il progetto di sistemi fissi, ai quali

gli operai si agganceranno durante le manutenzioni future. La disposizione si applica nelle nuove costruzioni, o nelle ristrutturazioni che prevedono il rifacimento completo del tetto. Pareri complementari Pratica per l’ottenimento del parere (favorevole) di uno o più Enti/Settori competenti: soprintendenza Beni Culturali e/o Ambientali; enti Parco; infrastrutture quali Ferrovie/Autostrade/Anas; zone particolari di tutela; igiene edilizia; eccetera. Ognuno di questi pareri è una pratica a se stante, con un proprio costo relativo. Tali pareri devono essere prodotti prima del rilascio del Permesso di Costruire, o allegati subito alle D.I.A.-S.C.I.A.. Raramente possono essere necessari più di uno o due di tali pareri, per lo stesso intervento edilizio; si indicano quindi frequenza e incidenza costi, riferiti mediamente a una singola pratica. Continua

II puntata

di Antonio Martin i

“Fase 2: l’atto autorizzativo”“Fase 2: l’atto autorizzativo”“Fase 2: l’atto autorizzativo”

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Dati geografici e vita quotidiana

La geomatica è una disciplina nuova risalente ai primi anni ’80 dello scorso secolo. Le sue implicazioni operative sono tantissime: dai navigatori satellitari alle stazioni STM, dalla guida dei droni alla consegna delle merci, dagli smartphone alle app per visitare un museo semplicemente passandoci accanto. Nella progettazione poi i suoi campi di applicazione permettono di valutare una serie di parametri che vanno dal soleggiamento all’impatto ambientale… Ed è solo l’inizio!

S ono passati giusto sei lustri, lo scorso 30 aprile, da quando il nostro Paese fece click e si

collegò per la prima volta a quella che poi sarebbe diventata la più importante, imponente e complessa dorsale di comunicazioni planetaria della storia: internet. All’epoca pochi immaginavano che questa novità avrebbe favorito, in un tempo brevissimo per la storia, la diffusione dell’informatica e di dispositivi digitali di varia tipologia, tra le cui specializzazioni troviamo anche l’interazione immediata col territorio attraverso l’elaborazione di

Informazioni Geografiche, o IG. Le IG sono l’insieme di dati digitali relativi ad una porzione di territorio che consentono di ottenere istantaneamente delle informazioni su di esso attraverso la rete e/o software specifici. Questa tipologia di dati si avvale del concetto di georeferenziazione, cioè l'attribuzione a un dato di un'informazione relativa alla sua dislocazione geografica; tale posizione è espressa attraverso un particolare sistema geodetico di riferimento. Un esempio di impiego di IG può essere quello classico di un nostro vecchio amico che ha cambiato casa da poco e che ci invita a pranzare da lui. Tra una parola e l’altra ci lascia il suo nuovo indirizzo, senza darci però troppi dettagli su come raggiungerlo nel nuovo quartiere in cui si è trasferito. E

che problema c’è?! Andiamo su Google, scriviamo il suo indirizzo nella casella di ricerca e, pochi secondi dopo, ecco comparire in cima alla lista della pagina dei risultati una miniatura della mappa con l’indirizzo che stavamo cercando indicato dal segnaposto rosso… Non finisce qui! Da Google Maps poi, possiamo anche ottenere informazioni estremamente dettagliate sul tragitto da fare, semplicemente indicando il punto di partenza (casa nostra) e quello di destinazione finale (casa del nostro amico): la piattaforma ci indicherà prontamente il percorso più breve da seguire sia che preferiamo spostarci a piedi, in auto o con i mezzi pubblici. A questo si aggiunga la possibilità visitare virtualmente, con delle elaborazioni fotorealistiche,

I puntata

di Salvio Gigl io

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l’intero percorso in modalità Street View, comodamente seduti dietro al nostro PC. Questo è solo un piccolo esempio di impiego di dati georeferenziati scaturiti dalla meravigliosa fusione avvenuta da qualche decennio a questa parte tra geografia ed informatica. Non parliamo poi, solo per il momento, degli sviluppi che questa fusione ha portato nel mondo della progettazione, dei trasporti, dell’analisi sociale e geopolitica: sulla rete tutto ciò è già una piacevole realtà, in termini di portali ed applicazioni, da far “girare” su qualsiasi tipo di dispositivo compatibile. Il motivo di questo successo delle IG è da rintracciare principalmente in due fattori che si accompagnano ad esse: la semplificazione decisionale

nei processi di pianificazione ed analisi legati al territorio;

il loro grande potenziale economico.

Per quest’ultimo punto potete

gettare un occhio sulla Direttiva Europea sul Riuso dell'Informazione del Settore Pubblico (PSI). Purtroppo però, a prescindere dall’innata curiosità suscitata dallo sviluppo della geografia digitale, nel Vecchio Continente questa materia non è ancora del tutto disciplinata. Cosa blocca lo sviluppo dell’IG? Sorprendentemente, nonostante siano oramai più che noti gli innumerevoli benefici derivanti dall’impiego dell’IG e il ruolo strategico assunto da essa in tantissimi ambiti professionali, Italia ed Europa non riescono ancora a superare due gravi handicap che ne rallentano la diffusione: il formato e la struttura dei dati non sono ancora del tutto standardizzati e condivisi comunitariamente; la mancanza di un’omogenea identità culturale ed istituzionale comunitaria determina, anche in questo caso, una frammentazione

nella produzione e gestione dei dati territoriali. Tutto ciò è causato, per quanto possa sembrare paradossale, dagli svariati Enti (generalmente pubblici) che amministrano i dati territoriali: sono i primi responsabili del blocco alla condivisione e all’accesso delle IG. L’utente finale si trova così innanzi ad una situazione notevolmente confusa: La creazione e distribuzione dei dati ad opera di più soggetti determinano difficoltà di condivisione, riuso ed integrazione. Formati ed applicazioni in continuo aumento. La mancanza di un accesso sistematico e indicizzato alle risorse di dati causa frequentemente doppioni che aumentano notevolmente il caos. Il modo migliore per districarsi in questo marasma generale è sicuramente quello di conseguire autonomamente delle conoscenze sulle varie modalità di

Mamma mia! A me serve solo una cartina stradale!

Che CAOS!

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acquisizione di dati geografici e scegliere il sistema che con maggiore facilità ci permetta di impiegarli per i nostri studi, il nostro lavoro o i nostri hobby! Detto questo occupiamoci adesso della disciplina che ha per argomento l’elaborazione digitale degli elementi geografici: la Geomatica. Una definizione di Geomatica E’ il geometra franco-canadese Michel Paradis ad aver coniato nel 1981 il termine scientifico geomatica, in un articolo pubblicato su The Canadian Surveyor, in cui spiega che: “alla fine del XX secolo, la necessità di ottenere informazioni geografiche raggiungerà una portata senza precedenti nella storia. Proprio per rispondere a queste esigenze, si è reso necessario integrare in una nuova disciplina sia le materie tradizionali della topografia e del territorio con nuovi strumenti e tecniche di cattura, manipolazione, stoccaggio e

diffusione dei dati geografici”. Dall’articolo di Paradis si ricava quindi che geomatica è: “l'insieme delle tecniche e degli strumenti di rilevamento ed elaborazione che permettono di trattare i dati e l'informazione di tipo geografico per via informatica.”. Nella prima parte della nostra definizione sono citate indirettamente le branche principali della geomatica: Analisi spaziale/ Spatial Analysis

Cartografia Web/ Web Mapping

Fotogrammetria/ Photogrammetry

Geodesia/ Geodesy

GIS

Sistemi globali di navigazione satellitare/ Global Navigation Satellite Systems

Telerilevamento/ Remote Sensing Topografia/Topography

Sono proprio queste, infatti, a costituire i principali strumenti per la produzione, la manipolazione e lo sfruttamento di dati geografici. Di ciascuna di esse tratteremo, più o meno diffusamente, in questa serie di articoli il cui intento è quello di presentare a voi lettori i rudimenti e le potenzialità associate a questa nuova disciplina, già strettamente relazionata con il CAD e la modellazione 3D. Attraverso una serie di tutorial vi spiegheremo anche il modo più semplice per farvi produrre velocemente mappe professionali in 2 e 3D… Quindi: stay tuned with us! Continua...

A sinistra, Michel Paradis in una foto del 1995; a destra, una copia di Geomatica, il magazine del Canadian Institute of Geo-matics

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Simulazione computazionale del cuore: un nuovo strumento per salvare vite umane

Natalia Alexandrova Trayanova, ricercatrice presso il Johns Hopkins Institute for Computational Medicine e direttrice del Dr. Trayanova’s Computational Cardiology Lab, riesce a costruire con il suo

team un modello computerizzato del cuore umano, personalizzato per ogni individuo, che i medici possono

utilizzare per studiarne le patologie e per simularne la risposta ai trattamenti terapeutici.

N egli ultimi dieci anni g l i i n g e g n e r i biomedici hanno imparato ad utilizzare

modelli numerici per realizzare “organi virtuali” sempre più sofisticati, e rapidi sviluppi in ambito di simulazione cardiaca hanno fatto del cuore virtuale, ad oggi, il modello più completo di tutti. È una replica complessa, in quanto deve simulare il funzionamento del cuore dalla scala molecolare, alla scala cellulare, fino al livello di tutto l’organo e del tessuto muscolare dove si espande e si contrae ad ogni battito cardiaco. È necessaria, inoltre, una stretta

integrazione tra tutti questi livelli per descrivere con precisione le interazioni di feedback costanti che governano le funzioni del cuore. I ricercatori del Dr. Trayanova’s Computational Cardiology Lab, alla Johns Hopkins University, fanno proprio questo: realizzano modelli per simulare il comportamento del cuore di singoli pazienti, fornendo supporto ai cardiologi nell’attuare trattamenti salva-vita. Tali modelli hanno già dimostrato il loro valore per la ricerca di base in ambito cardiologico, permettendo agli scienziati di studiare ciò che accade sia nei cuori sani che in quelli affetti da diverse patologie. I cuori virtuali sono ora pronti a rivoluzionare i trattamenti sui pazienti: grazie ad essi i cardiologi potranno migliorare

le terapie, ridurre al minimo l’invasività delle procedure diagnostiche e inaugurare un nuovo tipo di assistenza sanitaria personalizzata con costi ridotti e risultati sorprendenti. A partire da una semplice risonanza magnetica, infatti, gli specialisti in cardiologia computazionale oggi possono costruire un modello del cuore personalizzato, con cui i cardiologi possono i n t e r a g i r e , s e r v e n d o s i di stimolazioni virtuali per potern studiarne le risposte ed i relativi disturbi: un’operazione assolutamente impensabile da eseguire alla leggera su un cuore reale! Ruolo dei modelli nel supporto alle decisioni Attualmente i cardiologi stabiliscono se procedere o meno

di Francesca Albano

“Un poeta può sostene-re che il cuore di ogni essere umano sia un mistero unico: chi lavora nel nuovo campo della medicina computazio-nale, tuttavia, riesce a modellare ognuno di quei cuori unici con mirabile pre-cisione e a rivelare i loro se-greti. “ Natalia Trayanova

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Francesca Albano

Studentessa di Ingegneria Biomedica

presso il Politecnico di Torino.

Nutre una forte passione per la tecnolo-

gia, non solo in campo medico.

Notizie

sull’ autore

Due video in cui la Trayanova espone la sua visione sulle potenzialità della simulazione computazionale e sulla rappresenta-zione di funzioni e disfunzioni nel modello cardiaco. Nel dettaglio, in alto a destra, una risonanza magnetica del cuore di un paziente; in basso a sinistra un modello di tessuto cicatriziale che determina l’andamento elettrico dei segnali che transitano attraverso il cuore

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con un intervento al cuore (trapianto o impianto di p a c e m a k e r ) b a s a n d o s i sulla frazione di eiezione del paziente: se risulta inferiore al 35%, i medici consigliano al pa z ie nt e d i s o tt o por s i all’intervento. Sono molti gli interventi predisposti sulla base di questo criterio, ma già nel primo anno dopo l’intervento, il 5% dei pazienti mostra una tendenza a sviluppare aritmie ventricolari. È evidente, da un lato, che molti pazienti rischiano compl ica n ze ch ir ur gic he (infezioni, guasti dei dispositivi) i n u t i l m e n t e , p e r c h é p r o b a b i l m e n t e n o n rappresentano la soluzione ottimale per il loro cuore. I pacemaker impiantati e i relativi elettrodi che monitorano il cuore, infatti, possono presentare malfunzionamenti: si corre il rischio che si inneschino shock pericolosi, perché ricevere una scossa del genere è come ricevere calci al

petto da un cavallo, e i pazienti a volte perdono conoscenza, il che potrebbe rivelarsi mortale, ad esempio, se sono alla guida. È importante, dall’altro lato, notare che la frazione di eiezione non è in generale un buon indicatore per il rischio di aritmie: continuano a verificarsi, infatti, molti casi di pazienti che, sebbene abbiano frazioni di eiezione abbastanza elevate e non soddisfino dunque i criteri attuali per la predisposizione di un intervento, muoiono per arresto cardiaco improvviso, spesso nel pieno della loro vita. Realizzazione di un modello di cuore virtuale Per essere clinicamente utile, il modello deve rappresentare l’anatomia unica dell’individuo. Si parte perciò dalla risonanza magnetica del paziente (MRI) o dalla tomografia computerizzata (TC), da cui si ottengono immagini che rappresentano “fette” di cuore. Si usano tecniche di

elaborazione delle immagini per identificare il tessuto muscolare nelle pareti delle camere del cuore e per mappare il tessuto cicatriziale della regione di cuore danneggiata. Si prosegue utilizzando queste informazioni per costruire un modello geometrico e infine ci si serve delle immagini ottenute per stimare l’orientamento delle fibre muscolari, che determinano come i segnali elettrici si propagano attraverso il tessuto. Una volta ottenuta la struttura geometrica specifica del paziente, si sovrappone ad essa un modello computazionale di un cuore generico per identificarne il funzionamento interno. Bisogna rappresentare l’attività a livello cellulare e molecolare, in cui gli scambi ionici attraverso le membrane delle cellule cardiache innescano le contrazioni e le correnti fluiscono da cellula a cellula. Il risultato è un modello di cuore personalizzato che può essere paragonato a Google Earth:

Simulazioni di segnale elettrico che può causare un arresto cardiaco

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“Pensare ad esso come “Google Heart” ci permette di aumentare e diminuire il livello di dettaglio, così da poter esaminare gli aspetti fisiologici anche a livello di tutto l’organo”, sostiene la dottoressa Trayanova. Ulteriori applicazioni Questo modello di cuore virtuale può essere utilizzato anche per a l t r e a p p l i c a z i o n i i n ambito cardiologico. La Trayanova ed il suo team, infatti, stanno testando la prima applicazione clinica dei loro modelli in pazienti che hanno sviluppato una forma di tachicardia ventricolare che può risultare molto pericolosa. L’intenzione è quella di c o s t r u i r e u n m o d e l l o tridimensionale del cuore con il quale poter esaminare le “stranezze” strutturali e le aree specifiche di tessuto morto che causano le interferenze elettriche, ed eseguire quindi alcuni test sul modello ottenuto, per analizzare tutte le possibili aritmie che

potrebbero svilupparsi nel cuore, e per individuare così il tessuto responsabile degli impulsi elettrici difettosi. Dopodiché il medico, grazie ai risultati ottenuti dai test e dalla simulazione, sarebbe in grado di distruggere la minima quantità di tessuto necessaria per eliminare il problema. Questo metodo permetterebbe sicuramente di abbreviare in modo significativo le varie procedure che i medici devono eseguire e di ridurre e s p o n e n z i a l m e n t e l e complicanze, ottenendo così un aumento del tasso di successo in questa tipologia di interventi. Risultati dell’impiego di modelli di cuori virtuali Il primo studio retrospettivo alla Johns Hopkins è stato promettente: sono stati realizzati modelli di cuore per circa 40 pazienti che avevano subito attacchi cardiaci e che si erano sottoposti ad un intervento chirurgico per impiantare un pacemaker. Attraverso le

simulazioni dei cuori virtuali, si è previsto che, nei 5 anni successivi all’intervento, l’85% dei pazienti avrebbe sviluppato aritmie, mentre la percentuale prevista dal metodo basato sulla frazione di eiezione era pari solo al 51%: il follow-up di questo gruppo di pazienti alla fine ha dato ragione alle prime previsioni. Per convalidare definitivamente questo metodo ed ottenere il via libera per l’utilizzo in ambito clinico, il team della T r a y a n o v a s t a o r a realizzando cuori virtuali personalizzati per pazienti che hanno subito un attacco cardiaco dopo l’intervento e che presentano una frazione di eiezione maggiore del 35%, dunque non esposti a gravi rischi di aritmie secondo il metodo di previsione standard. Le raccomandazioni cliniche per questi pazienti sono davvero molto scarse, ma il team è in grado di gestire le simulazioni ed effettuare previsioni.

Tessuto cicatriziale del cuore Modello 3D raffigurante anatomia del cuore Orientamento delle fibre muscolari

Questo articolo è originariamente apparso in stampa come “Your Personal Virtual Heart” Photos: Johns Hopkins University/Heart Rhythm

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Il percorso per “diventare architetti” è un’esperienza assolutamente soggettiva: è paragonabile ad un complesso mosaico composto da centinaia e centinaia di tessere prodotte dal vissuto specifico dell’aspirante autore. Il “mestiere” d’architetto è quindi un’attività in continuo divenire che, più di altre, necessita della vita stessa dei suoi artefici dal momento che frutto della sua produzione è proprio la sedimentazione di esperienze “immediate” e “irriflesse” che riguardano la loro stessa, indistinta, corporea oggettività e tutto ciò che, di “esterno”, ruota intorno ad esse. In definitiva, proprio per questo motivo, ogni progetto finisce col rappresentare ed esprimere sempre, ed in

ogni caso, la coscienza tutta dei suoi autori, “pulita” o “sporca” che essa sia.

Simone Paganelli

I n cerca di tue info per preparare quest'intervista mi imbatto, sul tuo blog "Prima della pioggia: collezione di

opere di Simone P.", in questa tua criptica affermazione: "Sono un sopravvissuto e, come tutti i sopravvissuti, non voglio raccontare la mia storia.". Ok, sorvoliamo sulla tua storia!, ma almeno ci parli della tua passione per il disegno e la progettazione? Quando hai deciso che la matita sarebbe diventata un'ulteriore modalità con cui raccontare esperienze del vissuto quotidiano? In realtà quella è una vecchia pagina che non curo più. Mea Culpa. Prendendo in prestito la

formula di Camilleri “mi sono fatto persuaso” che in questi tempi saturi di personalismi e di dominio dell’io-io-io non sia indispensabile unirsi al coro dei presenzialisti col proprio esercizio di autopromozione. Ché spesso è un esercizio vacuo. Si è detto, ad esempio, che l’architettura di Mies Van Der Rohe “parla da sola”: è un bel concetto che si può allargare a tutte le forme d’arte. E in definitiva ho sviluppato un approccio schivo che cozza un po’ coi tempi che corrono, d’altra parte il mio cineasta preferito è Eric Rohmer, non proprio effetti speciali e supereroi. Scherzi a parte, provo a sviluppare un ragionamento. Credo che l’arte non debba palesarsi eccessivamente, bisogna lasciare lo spazio al fruitore che deve completarla. Altrimenti avremmo frainteso

molte delle conquiste intellettuali dell’ultimo secolo. Se si vuole volare ancora più in alto: è un’idea di armonia che si può far risalire alla Grecia classica e l’aveva compresa bene Lessing che nel suo Laocoonte esaltava la smorfia appena accennata dell’eroe, pur nella tragica disperazione del momento. Mi pare una metafora efficace di come l’arte debba suggerire e non rivelare. Mi piace che l’arte sia il luogo del dubbio, non della verità. Sono uscito un po’ dai confini della tua domanda, ma mi premeva affermare un principio che è anche una dichiarazione di intenti, più o meno consapevole. Per quanto riguarda la matita direi che ci ho fatto amicizia quando ero molto piccolo, per colpa di Topolino: volevo disegnare come Giorgio Cavazzano, che ovviamente è un genio di proporzioni rinascimentali nella mia mente.

di Salvio Gigl io

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Osservando i tuoi lavori si capisce che hai una particolare predilezione e un notevole talento per il disegno a mano libera… Al computer come cominci un progetto? Parti direttamente con i volumi in 3D o preferisci la progettazione classica in 2D? Sorvolo sulle lusinghe. Ho sempre prediletto il disegno a mano libera a quello tecnico. Anzi, detestavo le “squadrette” che ho dovuto rispolverare all’esame di stato. E a dire il vero anche lì ho disegnato a mano libera. Infinitamente più comodo e funzionale allo scopo (consiglio per i futuri colleghi, non perdete tempo con la precisione, la maturità del candidato salta fuori anche con uno scarabocchio!). Più in generale Il disegno a mano libera e il disegno al computer possono e devono rimanere spazi permeabili perché costituiscono una corrispondenza biunivoca che

può generare incessantemente idee. Quindi non ho una gerarchia rigida. L’esperienza dovrebbe portare poi a gestire una massa di dati che, proprio grazie alla tecnologia, è diventata negli anni sempre più imponente e ad evitare quella compartimentazione stagna che diventa una trappola all’interno di un processo creativo. In effetti credo che il buon progettista sia proprio colui che riesca ad avere visione d’insieme e capacità di sintesi. Un saggio demiurgo, si potrebbe dire. Il 2D, il 3D a mano o al computer costituiscono un flusso di lavoro elastico: un disegno può partire dall’interno verso l’esterno e viceversa, almeno nel mio approccio solito. Quando affermi che: "(...) la mia pratica è aperta alla contaminazione tra le diverse discipline: Architettura, Pittura,

Designeverything, Scrittura...", alla fine racconti una parte significativa della tua storia. Sei alla ricerca di una tua poetica che faccia da denominatore comune a tutte queste discipline o cerchi per ognuna di esse una poetica specifica che, in una visione d'insieme, racconti in qualche modo Simone P.? Mi rifaccio alla visione ottocentesca di un’arte totale ma con l'ego tragicomico e disintegrato dell'uomo del Novecento. Con tutta l’ironia del caso! Trovare le connessioni è, in astratto, un esercizio connaturato alla progettazione. E l'architettura, se si vuole affermare una definizione generale, è proprio quell'arte che può contenerle tutte. In senso letterale, per la sua natura di involucro, ma anche formalmente. Un’attitudine conservatrice non paga in questo

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campo, io credo. Ovvero, ben venga ogni genere di contaminazione: la sintesi arriverà per sottrazione, se non altro. Da quale percorso di studio sei approdato alla Facoltà d'Architettura? Sono passato per il liceo scientifico Innocenzo XII di Anzio. E, dopotutto, ho amato la scuola pubblica e la vivacità intellettuale di quei 5 anni in cui si sono alternati moltissimi professori giovani e appassionati che, nonostante le loro nomine annuali, hanno saputo regalare con generosità i loro saperi e le loro esperienze umane. Io ero un po’ quello che disegnava tutto il tempo, come Zerocalcare diciamo. Architettura poi è stata una scelta dettata dal fatto che ai miei occhi risultasse la facoltà con più armonia tra la natura scientifica e quella umanistica. Non credo affatto nella cultura della specializzazione. E in questo mi sento molto italiano. Non si devono formare tecnici ma menti complesse. In America probabilmente questa è una specie di bestemmia: loro sono figli del fordismo e della divisione del lavoro. I filosofi siamo noi. Tra i maestri dell’Architettura che hai studiato quale tra tutti ha rapito il tuo cuore e condizionato, in qualche modo, la tua progettazione? Questa è una domanda complicata. Amo il “modernismo poetico” di Alvaro Siza, è l’autore che frequento più spesso, ci torno come si fa con un caro amico. Ma tirar fuori un nome solo rasenta l’impresa: perché c’è l’essenzialismo di Chipperfield che ogni volta mi entusiasma; il brutalismo strutturale e morfologico di Rem Koolhaas; l’intransigenza poetica quasi francescana di Zumthor; la

dodecafonia del primo decostruttivismo. Poi vorrei dire che non ho mai amato l’architettura scultorea di Zaha Hadid. Ma non la conosco ancora bene e la sua prematura scomparsa mi ha colpito. Di fatto fraintendevo le sue radici, pensando più al Gabinetto del dottor Caligari che non ad un’estetica profondamente legata all’universo mediorientale. Continua a non piacermi, ma ne riconosco la ricerca geniale e coerente. A distanza di anni si possono cogliere elementi incompresi, l’architettura è un’arte piuttosto subdola perché apparentemente silenziosa. Ultimamente sono molto interessato allo studio dell’architettura collettiva sovietica in contrapposizione all’individualismo capitalista dell’architettura americana. Una specie di estetica da Guerra Fredda declinata all’arte del costruire. Penso che ci sia ancora molto da recuperare-studiare-scrivere. Mi solletica l’idea di un libro illustrato, ma un tale progetto potrebbe trasformarsi in una specie di porta dell’inferno di Rodin: un’opera infinita. Quale architetto italiano contemporaneo stimi di più? Domanda figlia della precedente e altrettanto insidiosa. Adoro le piccole firm(s), come dicono gli anglofoni, Beniamino Servino, Lapo Ruffi, Cino Zucchi, la metafisica di Monestiroli e in generale rivendico la fecondità di talenti della nostra terra. Non siamo il paese per i grandi studi di progettazione. Per ragioni anche strutturali. Ma siamo sicuramente un paese che genera talenti assoluti. E questo richiederebbe analisi politiche, economiche e più in generale culturali. Mi piace fare l’esempio del cinema: a differenza degli

americani il nostro cinema non è mai stato industria. La consideriamo un’arte in senso più stretto, o meglio non consideriamo l’industria come un luogo dove si può fare arte. Ci manca la cultura dello standard, purtroppo e per fortuna insieme. Così da noi più che altrove sono possibili picchi assoluti in entrambi i versi: l’atrocità di certe periferie contemporanee e l’opera somma, estemporanea, quasi casuale. La Laurea oggi sembra essere diventata quasi una formalità: “Basta che ti laurei, anche con un 66, va benissimo!”, sei d’accordo? Per quel che ti riguarda, quali aree didattiche del tuo C.d.L. ti hanno lasciato effettivamente qualcosa di spendibile nella professione? Non posso parlare di tutte le facoltà, ma sono fermamente convinto che per Architettura questo discorso non potrà mai essere valido. Progettare implica una maturità e una complessità culturale amplificata dalla sua natura interdisciplinare che appunto è intrinseca. Il fattore non è il tempo in assoluto ma il sapere in sé. Amici, assemblee, seminari, notti passate a disegnare, feste e amori: in base alla tua esperienza personale, cosa resta in termini umani del periodo universitario al di là degli esami? Appunto, con le tue parole definisci il concetto stesso di Universitas che è un processo di formazione completo e che non si limita al risultato. Il percorso è il vero senso, non l’arrivo. Ritengo questo concetto tutt’altro che banale e la sua comprensione è funzione della maturità stessa che si può acquisire solo con l’esperienza diretta. Penso ad esempio ai corsi telematici che sono un surrogato. Si perde il

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meglio, cioè proprio quell’universalità che è la vera essenza dell’alta formazione. Poi per carità, da noi andrebbe forse rivista la questione turbolenta delle varie occupazioni, autogestioni, gruppi pseudopoliticizzati che mi sembrano più un rito stanco e sempre più privo di significato. Ciò non toglie che l'università resti un luogo privilegiato dove una mente curiosa può trovare l'entusiasmo che cerca. Come è stato il primo impatto con la professione? Con cosa hai esordito? In Italia credo il primo impatto sia ineluttabilmente traumatico. La professione è inflazionata e troppo individualista. Ognuno è geloso del proprio sapere che è inevitabilmente limitato. C’è poca cultura della condivisione e questo si vede a vari livelli e in vari ambiti. Ho iniziato (sto iniziando) con piccole ristrutturazioni di residenze private che alterno a vari concorsi per ora prevalentemente nazionali. Vorrei costruire una squadra di gente entusiasta e volenterosa di chiacchierare di filosofia applicata all’architettura: il concorso deve avere una sua componente ludica. Per tutto il resto c’è il catasto. Gettando l’occhio ai concorsi d’architettura, nazionali e non, quale tipologia progettuale ti stuzzica di più? Ho fatto mia una frase di Bob Borson (autore di un godibilissimo e fortunato blog, lifeofanarchitect.com): “there are no small projects”. Dunque, in una visione democratica dei temi d’architettura, sono convinto che sia utile sporcarsi le mani con le più svariate tipologie. “From spoon to city”, per dirla con Rogers. In generale mi sono confrontato più con le piazze e i luoghi pubblici di aggregazione finora, ma mi sforzo

di eliminare tutti i freni inibitori e provare cose diverse. Un concorso che mi è sempre piaciuto è Europan, dedicato agli under 40. Si progetta su scale urbanistiche. Ne escono molte idee ambiziose e buffe. Lo consiglio praticamente a tutti, anzi chi volesse fare squadra si faccia avanti, penso di partecipare quest’anno (credo sia inizio 2017. C’è tempo), soprattutto per il gusto di confrontarsi e discutere all’infinito di massimi sistemi e utopie.

Milano, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e Palermo: secondo te è ancora possibile azzardare per queste città l’applicazione del concetto di total quality management su scala urbana? Ecco, non lo so. La città è un tema totale e si deve ancora capire la città contemporanea. Il concetto stesso di periferia è relativamente giovane. E per di più la città italiana è una città stratificata che si trova ad affrontare ostacoli diversi dalla città americana che è il punto di partenza di quest’approccio… da certificazione ISO. Mi perplime l’idea di ridurre la città ad un’azienda. Il pragmatismo d’altronde è proprio della cultura d’oltreoceano. La nostra è una città metafisica, la loro è una città per produrre. Questo non vuol dire che non sia possibile migliorare le nostre vetuste e gloriose città, ma attenzione ad applicare pedissequamente modelli nati in altri contesti per foraggiare un modello puramente consumistico. Vale il caso per caso di Cesare Brandi piuttosto, specie nella vecchia Europa. Il patrimonio architettonico, monumentale e paesaggistico italiano è realmente tutelato? Cosa ne pensi delle sempre più frequenti iniziative intraprese dalle amministrazioni locali di

trasformare svariati monumenti nazionali in discoteche estemporanee? Penso agli Uffizi affittati per una festa privata, al Castel Sant’Elmo di Napoli che ospita raves e nottate danzanti con musica udibile a Km di distanza… Siamo destinati a diventare la Las Vegas del vecchio continente? Qui si sconfina nello studio sociologico. Che è un parente dell’architettura in senso ampio. La museificazione del centro, l’entertainment, l’effimero. Sono parametri che si sono aggiunti arricchendo la naturale complessità dell’habitat urbano. Visto che citi Las Vegas mi permetto di suggerire il sempre stimolante libro di Robert Venturi: “Imparare da Las Vegas” scritto nei primi anni settanta e che si occupa proprio di questi mutamenti quasi antropologici con una brillantezza che è propria dell’autore. Insomma, non si può prescindere dalla comprensione profonda delle mutate condizioni dell’uomo contemporaneo. E, ripeto, il modello della città ipercapitalista non è un prodotto della nostra cultura anche se ovviamente le culture sono permeabili e si influenzano a vicenda in una sorta di bilanciamento termodinamico-sociale: magari in America è stato possibile esaltare l'effimero fino a farne il paradigma del progresso (Delirious New York di Koolhaas parla di questo) da noi il fenomeno si è mitigato per ora limitandosi ai grandi shopping mall che gravitano intorno ai centri. Ma è un fenomeno tutt'ora evidentemente in atto e serviranno prospettive storiche. Certamente quella architettonica è una delle discipline invitate al ballo. Cosa ti fa incazzare di più, architettonicamente parlando, mentre sei in giro per la tua città?

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Cerco di “emanciparmi dall’incubo delle passioni”, quindi non mi “incazzo” più di tanto. Però mi dispiace notare la mancata consapevolezza, il fatalismo di noi che la abitiamo. Intendo la città italiana in generale. Questo si ripercuote su come trattiamo i nostri beni pubblici. E per l’ennesima volta credo che questa cultura sia il frutto di una storia antica di sottomissioni varie. Come se avesse lasciato in noi cittadini degli strascichi di arrendevolezza che ci impedisce di cogliere l’unicità del nostro paesaggio. Girando per le città si può spesso percepire una desolante assenza del senso civico che, unita alla debolezza delle amministrazioni locali, costituisce un mix esplosivo in favore di un degrado diffuso. Credo siamo rimasti al nodo di D'Azeglio: non abbiamo ancora fatto gli italiani. L’unica ricetta possibile è l’istruzione. Un tuo parere sul web e i social: cosa ti piace e cosa eviti di esplorare? Sono d’accordo con Umberto Eco a proposito della natura dei social che sdoganerebbe legioni di imbecilli uniformando il pensiero di Cartesio a quello di Gino Laqualunque, per dire. Può sembrare classista, ma c’è tutta la

tragedia relativistica del nostro tempo in questa constatazione. Evito il più possibile la cronaca e il gossip. Perché al ragionamento di pancia preferisco sempre quello strutturato del cervello. Di conseguenza non impazzisco per i social che mi sembrano troppo rissosi e sono perfetti per potenziare questi istinti bassi da civiltà decadente. Una cosa che mi ha colpito particolarmente dal tuo profilo di G+ è il concetto di musica come architettura liquida… Cosa ami ascoltare quando sei al “tavolo da disegno”? In effetti è una frase che viene attribuita a Goethe. La trovo potente. Ci sono delle invarianti quando si crea qualcosa. Qualunque cosa: nella cucina, nella musica, nella scrittura, eccetera. C’è una dimensione compositiva che è propria della creazione ed è un meccanismo che riconosci appena ci metti le mani sopra. C’è un rigore, la ripetizione, il contrasto, l'associazione. Anche Bruno Munari ha provato ad estrapolare questi fattori per definire l’atto creativo. Non ascolto sempre musica. Non credo sia sempre adatta, c’è un momento del silenzio che è prezioso. Suono la chitarra magari

per una pausa alla maniera di Lisa Simpson e il suo sax. Ma in generale è un gioco divertente associare un genere musicale ad uno stile architettonico. Non è un’idea originale, ciononostante è irresistibile. Divoro tonnellate di musica ambient e neo folk di recente. Probabilmente Music for Airport di Brian Eno associato all’aeroporto di Eero Saarinen è uno spunto per un gioco infinito di associazioni. E così via. A che punto sei con il tuo stile personale? Hai raggiunto l'obiettivo o preferisci ancora la ricerca e la sperimentazione? Credo di aver capito che per natura tendo a non considerare mai qualcosa finita. Per cui la ricerca di uno stile è piuttosto un moto perpetuo. E mi sta bene così. E’ una sensazione che di nuovo ha a che fare con la creazione: non so se sia davvero possibile raggiungere una piena soddisfazione o se è piuttosto il caso di comprendere che è un punto verso cui tendere. E poi parliamoci chiaramente, se ti piace l’architettura ami sia i disegni tecnici che quelli più “artistici”. Piuttosto vale la pena di provarli tutti e padroneggiare più tecniche.

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L a musica italiana del dopoguerra è ancora caratterizzata dalle tematiche di disimpegno

tipiche delle canzoni dell’epoca fascista, tuttavia segnali di rinnovamento iniziano ad apparire man mano che l'Italia si trasforma in paese industriale. La canzone italiana dei primi anni ’50 è dominata dal genere melodico e i testi fanno uso di espressioni linguistiche ormai superate, di origine letteraria come, ad esempio, in Borgo Antico cantata da Claudio Villa. I fautori dell'innovazione musicale guardano a realtà diverse, alla vicina Francia e alle Americhe e facendo riferimento ai grandi chansonniers, al cool jazz, al rock’ n’ roll e ai ritmi latino-americani. I testi delle canzoni, abbandonata la retorica, iniziano a conformarsi ad uno stile più emozionale; anche l'abbigliamento, il modo di apparire, soprattutto quello delle

cantanti, tende ad adeguarsi all’anticonformismo espresso dalle canzoni. Un forte impulso al rinnovamento, negli anni del boom economico, viene dai cosiddetti urlatori, voci potenti che si esprimono in maniera disadorna e priva degli abbellimenti tipici del canto "melodico". L’appellativo urlatori, affibbiato dalla stampa dell'epoca con connotazioni negative, identifica un folto gruppo di giovani cantanti emergenti che si contrappongono ai principali interpreti della melodia all'italiana: tra gli altri Claudio Villa, Nilla Pizzi, Luciano Tajoli, Achille Togliani, Tonina Torrielli. Nel blu dipinto di blu, con cui nel 1958 Domenico Modugno trionfa al Festival di Sanremo, è tra le prime significative novità nel panorama della canzone italiana. L'emancipazione dalla vocalità legata alla tradizione belcantistica passa principalmente attraverso la musica riprodotta dai juke-box presenti ormai non solo nei bar ma anche in sale da gioco, sui lungomare, negli stabilimenti

balneari e in diversi locali d’aggregazione; tale strumento, inadatto alle canzoni tipiche all'italiana, complesse sia nel testo che nel fraseggio musicale, riproduce canzoni poco impegnative e di presa immediata sull'ascoltatore. Il filone degli urlatori italiani è aperto nel 1958 da Tony Dallara con il successo strepitoso di Come prima, seguito poi dagli urlatori cosiddetti “melodici", come Betty Curtis e Joe Sentieri, e da quelli più aggressivi come Little Tony, Adriano Celentano e Anna Maria Mazzini. "Come prima", è uno slow per le sale da ballo ma Tony Dallara urla a piena voce “co-o-me pri-i-ma” sull’esempio del singhiozzato “o-o-only you-u” degli americani The Platters. Nel 1959 Tony Dallara lancia Ghiaccio bollente, una canzone di forte sensualità, espressione di concetti contrapposti, che riscuote grande successo. I primi successi di Anna Maria Mazzini, prepotentemente nota come Mina, risalgono alla fine del 1958 quando incide con il suo

di Nicola A malf itano

Urlatori (dall'inglese shouter, urlatore) è il nome attribuito in senso dispregiativo dalla stampa italiana ad un gruppo di cantanti che all'epoca del boom economico hanno scosso il tradizionale clima canzonettistico

nazionale, avendo come riferimento soprattutto gli chansonniers francesi e il rock’ n’ roll americano.

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Jukebox AMI modello I 200 del 1958. Un modello identico era nello studio del Il Musichiere, la celebre trasmissione RAI della fine degli anni ’50, e da dietro di esso, durante la gara, comparivano i cantanti che poi si esibivano in diretta. Nella foto picco-la in bianco e nero, una giovanissima Mina fa capolino da dietro al jukebox nel lontano 1959

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gruppo, gli Happy Boys, una serie di canzoni famose, da lei reinterpretate con accelerazioni del ritmo e modificazioni del testo, applicando una tecnica ispirata a Louis Armstrong. In questo stesso periodo si afferma Adriano Celentano, detto il "Molleggiato" per il suo modo di esibirsi contorcendosi, con le canzoni Nata per me, Il tuo bacio è come un rock e con Ventiquattromila baci, canzone, quest'ultima, che introduce un nuovo modo di cantare l'amore: smitizzato, temporizzato, ridotto a

mera gestualità (...felici corrono le ore ...ogni secondo bacio te ...mille carezze vuole all’ora). La prima trasmissione televisiva a dare spazio agli urlatori è una puntata de "Il Musichiere" dell’aprile 1959; sulla scena è piazzato un juke-box (lo I 200 della AMI) e da dietro di esso spuntano i cantanti che vanno a esibirsi in diretta. Sulla scia dei consensi ottenuti da questa trasmissione, il regista Lucio Fulci realizza, tra il 1959 e il 1960, "I ragazzi del juke-box" e "Urlatori alla sbarra", due film del genere musicarello (*).

Il successo degli urlatori favorisce di conseguenza il mercato discografico italiano che vede abbassarsi la fascia d'età degli acquirenti, conquistati anche dal fulmineo esordio, nei primi anni '60, di giovanissimi come Gianni Morandi e Rita Pavone. È alle porte ormai la "British invasion" e gli urlatori lasciano il campo ai nuovi soggetti musicali ispirati ai rockers e ai gruppi beat d'oltremanica; tra i tanti, ricordo con piacere The Rokes, l'Equipe 84, i Camaleonti e i Dik Dik.

ApprofondimentiApprofondimenti

(*) Il musicarello è il nome dato negli ambienti romani a un sottogenere cinematografico italiano che ha due caratteristiche fondamentali: la prima, è supportare un cantante di fama e il suo nuovo album discografico; la seconda è il riferimento co-stante alla moda e alla gioventù, anche in versione vagamente polemica nei confronti dei matusa. Sono presenti quasi sem-pre la vita da spiaggia e tenere caste storie d'amore, coadiuvate dalla voglia di divertirsi e ballare senza pensieri. (Wikipedia)

Come prima: Tony Dallara https://youtu.be/ZYygygGn2R0

Nessuno: Betty Curtis, Sanremo 1959 https://www.youtube.com/watch?v=Eg4eQWV_03s

Mina - Nessuno (dal film Urlatori alla sbarra) https://youtu.be/OiKMlTN4nXM

Il tuo bacio è come un rock: Adriano Celentano https://www.youtube.com/watch?v=wMZr7cDjBRQ

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UAV contemporanei: dal fronte alle applicazioni civili

L a Guerra del Vietnam fu originata dall’insediamento di un governo autoritario f i l o - s t a t u n i t e n s e ,

istituito nel Vietnam del Sud dopo la Conferenza di Ginevra del 1954 come conseguenza alla guerra d'Indocina contro l'occupazione francese. Nel 1955 fu fondato il Fronte di Liberazione Nazionale filo-comunista avente come scopo l’istituzione di un governo simile a quello della vicina Repubblica Popolare Cinese e dell’ex URSS. Cominciò così un'attività terroristica e di guerriglia in opposizione al governo sudvietnamita filo americano. Ovviamente tutto ciò

fu avvertito come una seria minaccia dagli USA che reagirono con un’ondata di sanguinose repressioni. Com’era prevedibile l’escalation verso il conflitto fu molto rapida e così, nel giro di pochi mesi, si cominciò a combattere una guerra che durò vent’anni e che si concluse il 30 aprile 1975 con la Caduta di Saigon, il crollo del governo del Vietnam del Sud e la riunificazione politica di tutto il territorio vietnamita sotto la dirigenza comunista di Hanoi. Gli Stati Uniti avevano subito la loro prima storica sconfitta politico-militare e dovettero accettare il totale fallimento dei loro obiettivi politici e diplomatici. In questo scenario storico l'uso degli UAV fu invece un grande successo dimostrando un’elevata affidabilità attraverso un gran

numero di missioni di ricognizione e combattimento. Il Ryan AQM-34 Firebee, è stato lo UAV più usato durante questo conflitto volando in ben 3435 missioni di combattimento con un tasso di sopravvivenza del 84%. Questi UAV erano lanciati dagli Hercules C-130 USAF e venivano poi recuperati tramite paracadute. Questo modello dimostrò la sua versatilità e la sua capacità ricognitiva in svariate missioni, proibitive per un aereo tradizionale con equipaggio: ad esempio, per far uscire allo scoperto il nemico, fu fatto volare volutamente a bassa quota per suscitare la reazione della contraerea nord vietnamita e permettere così ai piloti militari americani di individuare e bombardare le batterie avversarie. In un secondo caso fu diretto su

V puntata

di Salvio Gigl io

Siamo giunti, finalmente, al termine di questa lunga prolusione storica sugli UAV. Come abbiamo avuto modo di constatare in queste puntate, purtroppo, la ricerca legata al volo unmanned è strettamente legata alle applicazioni militari: infatti, man mano che l’avionica si arricchiva di nuovi dispositivi si ottenevano droni sempre più performanti per la ricognizione e il combattimento. Un nuovo e drammatico banco di prova per questa nuova

tecnologia fu offerto sicuramente anche dal teatro bellico del Vietnam.

Un aereo di controllo drone DC-130H passa sopra il cacciatorpediniere USS Chosin (CG-65), preparandosi a lanciare i due dro-ni AQM-34 Firebee, fissati alla sommità delle sue ali, verso un obiettivo bersaglio durante un test (Foto USAF/Wikipedia)

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“Anniversario:40 anni dalla Caduta di Saigon” di Nicolò Maenza, pubblicato il 30 aprile 2015. https://youtu.be/YgC1T6BkIN4

“F-0882 Teledyne Ryan AQM-34 Firebee UAV Launch and Lockheed C-130 Hercules” di sdasmarchives, pubblicato il 5 settembre 2013. https://youtu.be/15DMaOF6K34

“Gyrodyne QH-50 DASH, 1960s” di HeloSociety, pubblicato il 4 marzo 2012. https://youtu.be/sFFjjWUVoXY

“Storia - Il Novecento - Le guerre arabo-israeliane - Repetita” di Repetita didattica, pubblicato il 13 novembre 2014. https://youtu.be/-wUUGMQPgzc

“La Guerra in Libano, 1982 - Parte 1/3” di L'IDEA DIVERSA, pubblicato il 22 giugno 2011. https://youtu.be/jdgSvy_Ut2w

“Launching The RQ-2 Pioneer Unmanned Aerial Vehicle” di AiirSource Military, pubblicato il 8 aprile 2013. https://youtu.be/tFviymOiW40

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di un sito missilistico nord vietnamita, già noto agli USA, con lo scopo di raccogliere telemetricamente i dati sui parametri elettronici dei sistemi di radio-guida e di alimentazione dei missili per ritrasmetterli al comando USA sino all’abbattimento. Furono test estremamente importanti che p e r m i s e r o d i a f f i n a r e notevolmente la tecnologia dei droni ed evitare ulteriori perdite umane. Un ulteriore aspetto legato alla

guerra del Vietnam e ai droni è stato quello di vincere il rifiuto da parte dei piloti militari dell'uso degli UAV: come accade in altri settori in cui si è insinuata l’automazione e la robotica, anche ai piloti militari non piaceva l’idea di essere sostituiti da una macchina. Per indorare la pillola ai piloti alcuni esperti dell’aviazione USA decisero di coniare un nuovo acronimo, RPV (Remotely Piloted Vehicles cioè veicoli pilotati a distanza) in luogo

di UAV, ciò avrebbe aiutato a convincere gli equipaggi che li adoperavano che erano comunque loro a pilotarli. Durante i drammatici sviluppi della guerra accadono due fatti molto importanti per la tecnologia UAV: la US Navy comincia ad impiegarli sulle proprie unità a partire dal 1969 e, nel 1972, viene realizzato un sistema per il collegamento video in tempo reale in sostituzione della vecchia fotocamera a pellicola.

I droni Ryan AQM-34 Firebee in dotazione alle principali Ar-mi della difesa statunitense

Il Ryan AQM-34 Firebee esposto al Museo Nazionale dell’a-viazione militare USA, Wright-Patterson AFB, Dayton, Ohio

Ryan AQM-34 Firebee

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“The Most Little but Feared US Aircraft: Inside MQ-1 Preda-tor Drone 'Cokpit'” di Daily Military Defense & Archive, pub-blicato il 15 agosto 2015. https://youtu.be/PFHvNKRBJxo

“Northrop Grumman RQ-4 Global Hawk the Ultimate UAV” di wcolby, pubblicato il 22 ottobre 2015. https://youtu.be/2hVI3jb2Ru0

“Boeing X-45A Unmanned Combat Air Vehicle” di AIRBOYD, pubblicato il 10 febbraio 2011. https://youtu.be/7nx0sjYunOc

“Stealth Technology” di Military Clips, pubblicato il 17 mag-gio 2015. https://youtu.be/ild1WprpIBg

“Lockheed Martin Skunk Works® - UCLASS Unmanned Com-bat Air Vehicle (UCAV)” di arronlee33, pubblicato il 8 aprile 2013. https://youtu.be/Sm1z_DkO3bQ

“Droni - Introduzione alla Fotogrammetria” di Linux Tuto-rials, pubblicato il 2 luglio 2014. https://youtu.be/1sGrHYjtoHA

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Il primo elicottero militare senza pilota è stato il QH-50 DASH ( D r o n e A n t i - S u b m a r i n e Helicopter), un velivolo pensato appositamente per decollare dal ponte di un cacciatorpediniere ed attaccare eventuali sommergibili nemici mediante il lancio di una coppia di siluri. Il suo primo volo sperimentale è del 12 Agosto 1960 mentre la distribuzione alla US Navy parte dal gennaio 1963. Il DASH è stato un velivolo unmanned molto versatile utilizzato nella sorveglianza, bombardamento, trasferimento di piccoli carichi, generazione di cortine fumogene per facilitare gli sbarchi militari e per le operazioni di salvataggio. Le capacità del DASH sono state successivamente ulteriormente potenziate con l’aggiunta di telecamere ad infrarossi, telemetri laser per il puntamento di bersagli e mirini radar in grado di seguire bersagli in movimento. Nel conflitto del Vietnam sono stati persi quasi il 50% degli 810 DASH impiegati anche se questo velivolo rappresenta una vera pietra miliare per gli UAV ad ala rotante.

Evoluzione del volo unmanned negli ultimi decenni Se dopo la Guerra del Vietnam gli USA persero interesse nella ricerca sugli UAV, Israele, invece, intuì quanto fosse preziosa questa tecnologia. Non a caso gli UAV furono impiegati, con un notevole successo, nella Guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur del 1973: l’esercito israeliano impiegò dei veicoli pilotati a distanza (RPV) muniti di riflettori radar per attirare il fuoco nemico dalle difese di terra, in combinazione con altri RPV che erano, invece, in grado di determinare la posizione della sorgente radar e distruggerla con esplosivi, senza contare l’acquisizione e l’attacco di target nemici, la ricognizione e la sorveglianza dei territori siriani e

dei siti SAM (Surface-to-Air Missile). Successivamente, nei primi anni ’80, Israele impiegò degli UAV anche nella Guerra del Libano e ciò convinse gli USA a riavviare la ricerca in questo campo. Da ciò nacque, nel 1986, lo UAV AAI RQ-2 Pioneer, prodotto in cooperazione tra aziende israeliane e statunitensi supervisionate dalla US Navy, un drone ancora in uso presso i Marines USA. Israele, grazie alla proficua collaborazione tra esercito ed industria, è diventato uno dei leader mondiali nella produzione e l'innovazione degli UAV e ha contribuito a dimostrare come l'utilizzo di sistemi unmanned rappresenti un efficace supporto tattico in combattimento. Di conflitto in conflitto, grazie anche allo sviluppo di nuove tecnologie elettroniche e alla miniaturizzazione, sono stati realizzati velivoli sempre più complessi e in grado di compiere svariate tipologie di missione. Tra i droni militari più noti troviamo: il General Atomics RQ-1 Predator, a cui sono assegnati compiti di ricognizione ed attacco; il ricognitore Northrop Grumman RQ-4 Global Hawk; il Boeing X-45 è invece un progetto sperimentale, ancora in fase di sviluppo. Molta popolarità a queste macchine l’ha portata la Cattura di Osama Bin Laden, dal momento che proprio grazie ad un drone volante a tecnologia stealth, il Lockheed Martin RQ-170 Sentinel della C.I.A, nel maggio del 2011, ha spiato per parecchi giorni il covo del famigerato capo terrorista fornendo dati preziosissimi per l’incursione dei Navy SEALs.

Non solo per scopi militari! In tempi recenti e grazie al crescente sviluppo tecnologico, fortunatamente in molti hanno capito che gli UAV potevano avere anche delle applicazioni pacifiche

in ambito civile! Così ai droni volanti sono state affidate mansioni di sorveglianza aerea in campo architettonico, urbanistico geologico ed agricolo, di rilievo del territorio con la fotogrammetria o anche in operazioni di ricerca e salvataggio. In particolare l’utilizzo dei velivoli unmanned risulta poi essere particolarmente proficuo nelle operazioni di polizia per il controllo dei traffici di sostanze stupefacenti, nella sorveglianza delle frontiere e nel traffico marittimo. Dalla prossima puntata questa rubrica riprende un taglio più tecnico occupandosi prettamente dei principi di costruzione ed equipaggiamento dei droni d e s t i n a t i a l r i l i e v o fotogrammetrico per l’architettura.

Continua….

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Le fasi della pianificazione esecutiva BIM per professionisti ed imprese

In questa puntata stabiliremo una serie di punti nodali necessari per lo svolgimento della pianificazione esecutiva BIM che, partendo dalla Mission, ci aiuteranno a potenziare le nostre risorse di “Studio tecnico” o di “Impresa” per affrontare al

meglio la progettazione strutturata. Anche quest’articolo enfatizza la necessità far maturare nei soggetti coinvolti nella pianificazione BIM, qualunque sia la loro mansione, una logica prettamente manageriale, capace di tener conto

preventivamente di tutti gli aspetti legati alla fabbricazione intelligente del manufatto architettonico.

C ome ho già detto più volte in precedenza, le pianificazioni BIM richiedono informazioni

specifiche sulle metodologie di lavoro sviluppate da ciascuna impresa. E’ necessario adesso definire come le imprese possono utilizzare la procedura di pianificazione esecutiva BIM per comunicare queste informazioni indispensabili per l'attuazione della BIM stessa. La Fig. 1 riconsidera il concetto di pianificazione BIM per mostrare come mezzi e metodi organizzativi svolgano un ruolo fondamentale nel processo attuativo. Per ottenere il massimo beneficio dalla BIM, i professionisti e le imprese impegnati nel progetto

devono essere pronti a sviluppare e condividere le loro informazioni costruttive con il team di progetto. In tal senso, le parti interessate (professionisti, imprese ed artigiani) dovrebbero già aver sviluppato degli standard interni in grado di definire le modalità organizzative con cui è impiegata la BIM. Alla luce di tutto ciò è auspicabile, quindi, l’individuazione e la codificazione di uno standard procedurale relativo alle varie fasi di lavoro del proprio processo di progettuale e/o produttivo, realizzato a monte del Piano BIM. Ciò garantisce, a ciascuno dei vari soggetti interessati, un valido punto di partenza per la pianificazione e la possibilità di modificare soltanto gli standard organizzativi esistenti piuttosto che crearne di nuovi di volta in volta; inoltre gli standard possono essere condivisi anche all'interno dello stesso gruppo allo scopo di

far comprendere e comunicare a tutti modalità e metodologie tipiche del proprio lavoro. Nei paragrafi seguenti troverete una scaletta commentata delle principali fasi necessarie alla creazione degli standard esecutivi di pianificazione BIM che, apportando minime modifiche, possono essere sperimentati in svariate tipologie di progetto.

1) Mission ed obiettivi BIM

Così come si fa per tanti siti web “seri”, ogni professionista e/o impresa partecipante ad un progetto in cui è implicata la BIM, dovrebbe stabilire proprio per essa una Mission, cioè una dichiarazione d'intenti in cui sono spiegati con estrema chiarezza i motivi per cui la BIM risulta essere importante per la propria organizzazione. Alcuni esempi di valide motivazioni potrebbero essere:

XIV puntata

di Salvio Gigl io

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Fig. 1, il ruolo fondamentale svolto, nel processo attuativo della pianificazione BIM, dai singoli apporti di Professionisti ed Imprese dei propri mezzi e metodi organizzativi SPM (Standard Method and Procedure) impiegati nella fabbricazione del manufatto edile

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l’aumento della produttività; il miglioramento della qualità

del design; il pieno soddisfacimento delle

richieste della committenza; il raggiungimento di soluzioni

che consentano di diventare più competitivi e rispondere alle molteplici domande poste dal mercato per il proprio settore di competenza;

la crescita e/o il miglioramento in termini di innovazione tecnologica.

Si deduce, quindi, che lo sviluppo della mission getta, più o meno concretamente, le basi per le future decisioni organizzative relative alla BIM. Il passaggio immediatamente successivo alla stesura della dichiarazione di intenti consiste nello sviluppo di una lista standardizzata di obiettivi progettuali, da impiegare v a n t a g g i o s a m e n t e p e r l'organizzazione di progetti specifici. Quest'elenco dovrà essere diviso preferibilmente in due categorie di obiettivi flessibili: consigliati e facoltativi. Essi dovranno essere modificabili in base alle caratteristiche specifiche di ogni progetto e di ogni team in cui saranno applicati. Una prassi ottimale consiste nella definizione di un elenco di obiettivi standard, il più completo possibile, da inserire nel proprio software BIM, ciò consentirà poi di selezionare da un pratico menù di potenziali obiettivi quelli più congrui al progetto in esecuzione, risparmiando così tempo prezioso nella estemporanea creazione di nuovi.

2) Definire e distinguere impieghi BIM costanti e variabili

Per essere subito pronti e competitivi, i professionisti e le imprese che si rapportano alla BIM dovrebbero definire a priori quelli che reputano essere i propri

impieghi BIM caratteristici, descrivendoli in termini operativi e procedurali ed in linea con gli obbiettivi BIM precedentemente stabiliti. Ne deriva che alcuni impieghi BIM diventeranno delle costanti in ogni progetto, mentre altri varieranno in base alla squadra e alle caratteristiche del progetto stesso. Per quel che riguarda gli impieghi BIM standard, essi possono essere determinati utilizzando gli strumenti per la pianificazione esecutiva come, ad esempio, il foglio di lavoro intitolato Analisi impieghi BIM. Per mezzo di questo foglio il team sarà in grado di valutare se le risorse umane operanti per lo studio e/o l’impresa hanno sufficienti competenze BIM oppure se è necessario acquisirne di nuove per coprire la gestione degli impieghi BIM richiesti dal progetto in esame. Di conseguenza, attraverso l’attuazione di molteplici processi esecutivi, si noteranno subito i risultati di coloro che riescono a gestire parallelamente, e in modo efficace, più impieghi BIM alla volta nell’ambito di un determinato progetto! Alla luce di tutto questo è necessario quindi che i team di pianificazione volino basso!.. Vale a dire che non diventino troppo ambiziosi sugli i m p i e g h i B I M t e o r i c i preselezionati, verificando prima se essi siano poi realmente eseguibili dai membri della propria squadra… Per quest’ultimo aspetto, quindi, conviene formulare preventivamente delle ipotesi, quanto più realistiche possibili, su quali impieghi BIM potranno essere richiesti nella maggioranza delle progettazioni. Ciò farà aumentare le probabilità che essi raggiungano felicemente la fase di completamento e permetteranno così all’impresa di valutare correttamente quali impieghi risultino essere poi tra

quelli più vantaggiosi per essa.

3) Mappe di processo BIM

Come specificato in una delle puntate precedenti, lo scopo della redazione delle cosiddette mappe di processo BIM è quello di spiegare graficamente, ai membri interni ed esterni di un’impresa, come avviene il processo costruttivo attraverso la pianificazione BIM. Per il team di progetto, data la sua semplicità, potrebbe apparire più vantaggiosa la creazione di una mappa di processo generica di I Livello (detta anche mappa panoramica), anche se in effetti essa può variare notevolmente da un progetto all'altro a seconda degli impieghi BIM selezionati. Ecco perché, invece, è più importante per chi si occupa professionalmente di BIM dedicare il maggior tempo possibile alla redazione di mappe di II Livello (dette anche di mappe dettagliate). I vari software BIM disponibili sul mercato riescono a soddisfare sempre di più le varie esigenze legate alla pianificazione gestionale dei progetti e per questo tra le tante funzionalità offrono la generazione di mappe di processo: Per ciascun impiego BIM

selezionato e a qualunque livello di dettaglio desiderato;

In base alla tipologia di progetto;

In base alla tipologia di contratto e al metodo di consegna.

Oltre a questo i software offrono anche la possibilità di produrre delle istruzioni e/o delle specifiche per ogni mappa di processo generata. Per motivi di praticità, sarà bene fornire ad ogni team partecipante due mappe di processo di II livello, lasciando la facoltà di per sona l izzar le in ba se alle proprie esigenze progettuali.

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4) Gli scambi di informazione BIM

Tra i tanti incarichi gravosi, il team di pianificazione deve stabilire anche gli scambi di informazioni standard per ogni impiego BIM applicato al progetto, Fig. 2; a tal proposito dovrà organizzarsi per identificare rapidamente: le informazioni fondamentali

per ciascun impiego; un responsabile della

emissione di tali informazioni; il formato preferito per lo

scambio delle informazioni. In alcuni casi, in base al livello di dettaglio ed alla complessità richieste dal progetto, la piattaforma software dovrà creare più scambi di informazioni per ogni impiego. Ecco perché risulta estremamente pratico vagliare e standardizzare una suddivisione tipologica degli elementi del modello progettuale valida per tutto lo staff. La comprensione dei requisiti di informazione necessari per ogni impiego BIM semplifica, quindi, notevolmente la pianificazione necessaria per ogni progetto: infatti, durante la realizzazione della procedura di pianificazione, se questi saranno stati correttamente codificati, bisognerà poi solo concentrarsi

sulla ricerca di incoerenze dei dati generate nell’ambito di alcune comunicazioni.

5) L’infrastruttura BIM

Quando si programmano standard organizzativi per l'esecuzione della pianificazione BIM, è fondamentale considerare tutte le risorse umane e le infrastrutture necessarie per eseguire i processi selezionati. Per ogni impiego BIM è necessario determinare alcuni parametri cruciali come: un modello per l'adattamento di

ciascun impiego BIM in base al personale impegnato, alle dimensioni, alla complessità e al livello di dettaglio del progetto;

le risorse umane che siano realmente in grado di svolgerlo (in termini di progettazione), di realizzarlo (in termini operativi) e di verificarlo (controllando la corretta applicazione di standard e metodologie costruttive, la sicurezza, la qualità, ecc.).

Ecco perché, per le varie parti interessate, è necessario definire delle procedure di collaborazione standard che includano anche le strategie di lavorazione scaturite dall’esperienza acquisita con le

diverse tipologie di progetto e le relative modalità di consegna. Ecco perché un buon team di pianificazione ha anche la funzione di determinare e favorire le suddette attività collaborative, indicendo gli incontri necessari per attuarle, stabilendone la frequenza e il numero dei partecipanti da convocare. Inoltre il team ha il compito di stabilire le procedure standard di comunicazione elettronica, Fig. 3, considerando elementi unificati specifici come: il sistema di memorizzazione

dei file; il sistema di backup; la strutturazione di file e

cartelle; le convenzioni per la

denominazione dei file; le librerie dei contenuti; le modalità di condivisione

delle informazioni sia interne che esterne.

Per ogni progetto, insieme alle procedure collaborative, risultano essere preziose anche la gestione delle informazioni di garanzia e il controllo della qualità del modello, tutti fattori che possono avere un impatto significativo sulla pianificazione stessa. A tal proposito è necessario stabilire

SERVER e PIATTAFORMA BIM

Architettura

Strutture

MEP

Modelli 3D

Op

en A

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Ap

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Fig. 2, idealizzazione dell’infrastruttura di comunicazione BIM per gli scambi d’informazione capace di coinvolgere tutti i sog-getti implicati nel processo progettuale e costruttivo anche grazie alle innumerevoli applicazioni esterne oggi disponibili

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anzitutto il processo unificato per il controllo qualità, che sia ben documentato e che consenta una sua facile implementazione per garantire il livello qualitativo richiesto qualunque sia l’impiego di modellazione. In questa direzione il team deve valutare le esigenze software e hardware richieste da ogni impiego BIM e confrontarle con quelle omologhe offerte dall’infrastruttura tecnica in uso. Nuovi acquisti ed eventuali aggiornamenti necessari devono essere prontamente effettuati per garantire che software e hardware non limitino le prestazioni della modellazione, ricordando sempre che con un'attrezzatura non sufficientemente adeguata si ottiene una minore produttività e

l’aumento del tempo e dei costi richiesti per ogni impiego BIM. Eventuali risultati particolari del progetto devono essere stabiliti sulla base delle sue diverse caratteristiche; ad esempio, la committenza deve stabilire un elenco di risultati che desidera ottenere per ciascun progetto inerente: le strutture, gli allestimenti, le f initure, l’impiantistica, la gestione energetica, ecc. Tutto ciò si ricava dall’insieme delle informazioni scaturite durante il processo di pianificazione. Sarebbe buona cosa per progettisti ed imprese creare un menù di servizi BIM e considerare come la BIM sarà inserita nei contratti principali e in quelli dei subappalti, in quanto

ciò non fa altro che aggiungere ulteriore valore al progetto complessivo. Ciò significa che tutti i requisiti BIM, compreso la pianificazione esecutiva, gli impieghi BIM e gli scambi di informazioni, devono essere riportati chiaramente nei vari capitolati di fornitura. Per ottenere questo, ogni team dovrà elaborare un linguaggio di progetto tale da permetterne l’incorporamento nei vari contratti di fornitura unitamente allo sviluppo di procedure. Ciò consentirà alle varie parti in causa di identificare quei membri dei propri team più appropriati per svolgere determinate mansioni.

Continua…

Fig. 3, vari elementi dell’infrastruttura BIM per la comunicazione elettronica come: il sistema di memorizzazione e backup dei file, la strutturazione dei file e delle cartelle, la denominazione dei file, la libreria dei contenuti, ecc.

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Il menù STRUMENTI, il sistema CSG & gli STRUMENTI SOLIDI

I l menù Strumenti è un po’ il Bignami delle toolbars di SketchUp; in esso, infatti, possiamo trovare diversi

comandi provenienti dalle principali barre degli strumenti come da quella Principale, da Modifica, da Strumenti solidi, da Costruzione nonché tre comandi estrapolati dalle barre Sezioni, Componenti dinamici (Versione PRO) e Sabbiera. Avendo già trattato ampiamente nelle precedenti puntate di questo corso i comandi delle prime due barre e negli appuntamenti di

Antonello Buccella l’utilizzo dei comandi della Sabbiera, in questa puntata voglio cogliere l’occasione per presentare alcuni concetti di base sul sistema CSG e le funzionalità della barra Strumenti solidi, la cui introduzione ufficiale nella versione free di SketchUp risale al 2013. In effetti, anche se nelle precedenti versioni di SketchUp erano presenti dei comandi per eseguire le operazioni booleane su dei solidi, l’inserimento di questa nuova toolbar ha arricchito il modellatore di nuove funzionalità che consentono di ottenere, in modo semplice ed intuitivo, oggetti molto complessi partendo dalla combinazione di solidi elementari.

Principi di geometria solida costruttiva e modellazione procedurale

La Constructive Solid Geometry, o CSG (Geometria Solida Costruttiva), meglio conosciuta in ambito matematico come Geometria Computazionale Solida Binaria, è una tecnica di modellazione procedurale, utilizzata in alcuni software CAD e di modellazione 3D capaci di generare automaticamente o semi-automaticamente la geometria voluta, e che consentono la combinazione di più oggetti per creare modelli e superfici complesse, come in Fig. 2, avvalendosi di algoritmi basati sui principi dell’Algebra di Boole. Di questa, in particolare, sono

XVI puntata

di Salvio Gigl io

Il menù STRUMENTI riporta alcuni comandi presenti sulle principali toolbars di SketchUp. Il pannello è suddiviso in otto sezioni anche se sarebbe stato più corretto ripartirlo come nell’immagine qui in basso e cioè distinguendo i comandi in base alla toolbar di provenienza. Tra essi trova posto anche il comando STRUTTURA ESTERNA appartenente alla barra STRUMENTI

SOLIDI che sarà oggetto di approfondimento in questa puntata insieme ad alcune generalizzazioni sul SISTEMA CSG

Fig. 1, i comandi del menù Strumenti accorpati in base alla toolbar d’appartenenza

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impiegati gli operatori booleani per eseguire operazioni di unione, sottrazione e intersezione tra oggetti, Fig. 3. La qualità grafica dei modelli prodotti è ovviamente subordinata alla capacità elaborativa, più o meno elevata, dell’hardware e software impiegati; alcuni programmi, particolarmente potenti, sono anche in grado di effettuare operazioni booleane su mesh poligonali sia in modalità procedurale che parametrica. Nel sistema CSG, per convenzione, sono chiamate primitive le

geometrie solide semplici come: il cilindro, i coni, il cubo, le piramidi, i prismi e la sfera. Nei software CSG based è sempre presente una libreria con un certo numero di primitive già modellate che gli utenti possono impiegare attraverso delle procedure, cioè tramite un certo numero di parametri peculiari in grado di descriverle univocamente; così, ad esempio, la modellazione di una sfera può essere effettuata indicando al programma le coordinate del suo punto centrale e il suo valore radiale.

Applicazioni di CSG

Per la sua semplicità d’impiego, l’elevata affidabilità e versatilità dimostrate nel corso degli anni la tecnologia CSG è stata incorporata in numerosi software per la grafica vettoriale, il CAD e i suoi derivati, in special modo in quelle applicazioni dedicate al settore ingegneristico/produttivo, dove la precisione matematica è di fondamentale importanza. La progettazione e modellazione di oggetti water proof (a tenuta stagna), ad esempio, avviene quasi esclusivamente con software che impiegano questo sistema; ciò è dovuto anche all’implementazione del metodo B-Rep, che permette al sistema di identificare con la massima precisione tutti gli spigoli che formano un oggetto. Il modulo B-Rep “sorveglia” il lavoro dell’utente ed interroga costantemente il programma sollecitandolo ad effettuare, su ciascuna entità disegnata, dei controlli di coerenza. Ciò serve a verificare che la descrizione proposta per uno specifico oggetto solido sia realmente valida, permettendo così al software di distinguere, con matematica certezza, le parti piene da quelle vuote. Gli applicativi che impiegano questa tecnologia, sia in modalità procedurale che in quella parametrica, offrono all'utente la possibilità di manipolare le geometrie complesse modificando la posizione delle primitive che le compongono o modificando

Fig. 2, gli oggetti CSG possono essere rappresentati con alberi binari come que-sto, dove le foglie rappresentano le primitive e i nodi rappresentano le operazio-ni. Come potete notare, i nodi sono stati etichettati impiegando la simbologia in-siemistica, indicando con l’unione, con l’intersezione e con — la sottrazione

Fig. 3, tre esempi di operazioni booleane con primitive; da sinistra: unione, sottrazione e intersezione

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Fig. 4, il già noto dialog box Toolbar da cui attivare/disattivare i moduli funzionali; a destra, in alto, la barra Strumenti solidi

l'operazione booleana utilizzata per combinarle insieme. L’industria informatica ha prodotto diverse tipologie specializzate di software procedurali distinguibili in simulatori e generatori: Simulatori fluidodinamici; Simulatori di tessuti e soft-

body; Generatori di vegetazione; Generatori tricogeni; Generatori di modelli 3D

geometrici ed organici (volti, creature, oggetti geometrici etc.);

Generatori frattali (terreni, forme astratte etc.).

Con questi programmi è possibile ottenere mesh poligonali, volumi o superfici, adoperabili poi nei comuni software di modellazione 3D per arricchire i modelli con specifici particolari aumentandone così il realismo finale.

Il comando STRUTTURA ESTERNA

La versione free di SketchUp offre anch’essa la possibilità di fare

qualche minimo esperimento di CSG anche se limitatamente al solo comando STRUTTURA ESTERNA, che troviamo nel menù STRUMENTI o sulla toolbar Strumenti solidi. Per visualizzare questa barra, ed eventualmente inglobarla in uno dei due pannelli delle toolbars, basta andare nel menù VISUALIZZA BARRE DEGLI STRUMENTI… e nel dialog box TOOLBAR che apparirà sullo schermo spuntare il check box relativo ad essa, Fig. 4. Al momento in cui appare la barra i comandi sembrano tutti abilitati, ma appena viene spostata ed agganciata ad uno dei pannelli, resta attivo solo STRUTTURA ESTERNA. Questo comando si occupa delle superfici esterne dell’oggetto finale rimuovendo da esso tutte le entità interne; per far si che il comando funzioni è necessario creare delle primitive, a patto che esse non risultino già come un’unione di due solidi: nella Fig. 5, ad esempio, le geometrie presenti nel cubo colorato di rosso e di verde lo

fanno apparire al programma come un NON SOLIDO a differenza di quello rosso. Per questo motivo, vi consiglio di effettuare eventuali campiture di colori e/o materiali dopo aver unito i vari solidi nell’oggetto desiderato! La procedura è molto semplice: con lo strumento SPOSTA si accostano nei punti desiderati le varie primitive che comporranno l’oggetto finale dopo di che si selezionano tutte e si clicca sul pulsante STRUTTURA ESTERNA. La Fig. 6 mostra alcune primitive prima della loro combinazione con STRUTTURA ESTERNA di cui vediamo il risultato nella Fig. 7. Questo comando, in definitiva, risulta essere molto prezioso in particolari circostanze, quando cioè c’è la necessità di risolvere rapidamente la rifilatura interna dei dettagli in un modello complesso.

Continua…

7373

Fig. 5, evitare eventuali suddivisioni della primitiva che possono confondere il programma

Fig. 6, alcune primitive generate per questo articolo

Fig. 7, alcuni “esperimenti” con Struttura esterna

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Inquadrature di un render in SketchUp per Google Earth e ritocchi finali in Photoshop

S cegliamo solo una delle due renderizzazioni effettuate, in questo caso la Fig. 1: il ponte romano

ricostruito ed inquadrato da un punto di vista leggermente lontano e "a pelo d'acqua". La scena elaborata presenta un taglio decisamente orizzontale, ma volendo rappresentare anche una porzione del cielo sullo sfondo, abbiamo la necessità (con un programma di fotoritocco, in questo caso Photoshop) di "riconquistare" lo spazio in alto mancante, Fig. 2. In questo stesso passaggio evidenzieremo ed annulleremo tutta la superficie del cielo elaborata da SketchUp, usando semplicemente il comando

Gomma magica. Ora, come vediamo dalla figura 2, le proporzioni sono cambiate e più equilibrate: più o meno 60% del paesaggio e 40% dello sfondo ancora da inserire. Scegliamo ora una texture del cielo a nostro piacimento, Fig. 3, ed importiamola in Photoshop. Non rimane che calibrarne le proporzioni, avendo cura di arretrare il layer “cielo" rispetto al nostro paesaggio, Fig. 4. Calibrare la porzione di cielo è molto importante...uno sfondo dinamico e variegato, darà sicuramente "forza" e suggestione alla scena creata. Posizionato lo sfondo, vedi Fig. 5, sarà ora nostra cura ricomporre la vegetazione che divide la parte inferiore dal cielo stesso. Usiamo per questo scopo lo strumento Timbro clone (nel layer paesaggio) per ridisegnare ed arricchire gli alberi in secondo

piano. La scena ora è sicuramente più completa ma può essere resa più accattivante curando ancor di più i dettagli. Proviamo ad esempio ad aumentare la profondità dello sfondo inserendo uno stormo di uccelli in volo, Fig. 6. Importiamo una textures già trasformata in PNG e come per ogni nuovo dettaglio inserito, riproporzioniamola rispetto a tutta la scena. A questo punto, la vista prospettica ha assunto sicuramente un aspetto più realistico ed attraente. Il lavoro di fotoritocco però è stato effettuato soprattutto nella parte alta, trascurando la parte in basso ed in primo piano. Proviamo adesso a rendere la scena più dinamica arricchendo proprio gli zampilli in primo piano, Fig. 7. Il risultato è stato ottenuto sempre con lo strumento Timbro clone, catturando e ridistribuendo il

II parte

di Anto ne llo B ucce lla

Il modello geolocalizzato è

scaricabile liberamente

dalla Galleria immagini

3D di SketchUp:

Link:

https://3dwarehouse.ske

tchup.com/model.html?

id=f78ffddf9a9e9f5af5fad

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Fig. 1, elaborazione prospettica della Prima Parte

Nella prima parte abbiamo visto come impostare un’inquadratura molto suggestiva della ricostruzione tridimensionale di un ponte romano realmente esistente e inserito nel suo contesto naturale. Le viste prospettiche ottenute sono soltanto un inizio, un punto di partenza...che comunque ci consentiranno di effettuare

modifiche e ritocchi calibrati, a seconda delle nostre esigenze e del nostro obiettivo.

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Fig. 3, importazione texture cielo Fig. 2, scena modificata in Photoshop e cielo di SU eliminato

Fig. 4, texture cielo arretrata e calibrata

bianco degli spruzzi d'acqua già esistenti. E' un lavoro un po’ da "pittore paesaggistico" che, con pazienza grafica, ridisegna manualmente il primissimo piano della scena virtuale. Ultimo tocco finale: qualche scintillio qua e la (senza mai esagerare) e il risultato, Fig. 8, è pronto per essere stampato! Nella terza parte proveremo a ritoccare la seconda vista prospettica elaborata, cercando di capire come possa essere migliorata soltanto con pochi e mirati "tocchi" in Photoshop. Continua...

Il modello geolocalizzato è

scaricabile liberamente

dalla Galleria immagini

3D di SketchUp:

Link:

https://3dwarehouse.ske

tchup.com/model.html?

id=f78ffddf9a9e9f5af5fad

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Fig. 7, correzione degli zampilli d'acqua in primo piano Fig. 6, uno stormo di uccelli per aumentare la profondità di campo

Fig. 5, ricomposizione della vegetazione in secondo piano

Fig. 8, Render finale

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Umap come strumento di lavoro

I n questo mio primo articolo vi descriverò Umap, un potente web GIS sviluppato da Yohan Boniface che,

grazie a Stefano Sabatini, ho scoperto in occasione del concorso fotografico Wiki Loves Monuments svoltosi a settembre 2015 ad Albisola Superiore (SV), allo scopo di realizzare la mia prima mappa on line. La particolarità di questo innovativo e semplice strumento di lavoro consiste nell’essere un progetto Open Source che si basa sulle informazioni spaziali di OpenStreetMap. Le mappe di OpenStreetMap (OSM) sono rilasciate in licenza ODbL e

quindi si possono usare liberamente per qualsiasi scopo a patto di attribuire la fonte: è il concetto fondamentale dell’Open Data. Prima di illustrare il suo funzionamento voglio descrivere le mie mappe realizzate in modo che possiate prendere spunto per i vostri lavori. Ecco una breve descrizione in dettaglio di tutte le mappe che potrete trovare on line: DOLCETTO SCHERZETTO 3

rappresenta la mappa degli eventi organizzati per H a l l o w e e n 2 0 1 5 d a i commercianti di Albisola, il paese in cui vivo. Vedi Fig.1.

L'oliveto di Nonno Carmelo, situato a Billona nel comune di Comiso (RG), è un regalo dedicato a mio suocero! Nell'ambito della mappatura di

uso del suolo degli oliveti, non essendoci ancora un tag specifico per questa tipologia, ho mappato le singole piante di ulivo su una tipologia di uso suolo agricolo con tag "frutteto".

L'oliveto di Nonno Evandro a Villalfonsina (CH), in ricordo di mio nonno, è stata realizzata mediante la sopradescritta metodologia in modo da mappare le sue cento piante di ulivo presenti in località contrada Chiusi. Vedi Fig.2.

I "nasoni" di Albisola ovvero le fontanelle pubbliche presenti nel territorio. I dati provengono dal data base di OSM attraverso una interrogazione fatta con l’applicazione overpass turbo e caricate staticamente su Umap. Nel prossimo articolo descriverò

I puntata

di Pao lo Bubici

Fig. 2 Fig. 1

Fig. 4 Fig. 3

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come eseguire una query con overpass turbo in modo da leggere i dati di OSM dinamicamente con Umap. Vedi Fig.3.

Albisola Wiki Loves Monuments 2015 sono presenti i beni fotografabili per la Wiki Loves Monuments 2015 nel comune di Albisola Superiore (SV) di cui sono stato promotore. Vedi Fig.4.

Lecce Wiki Loves Monuments 2015 sono raffigurati i beni fotografabili per la Wiki Loves Monuments 2015 presenti nel comune di Lecce. I dati soni stati reperiti direttamente del sito Open Data della città salentina. Vedi Fig.5.

Le opere d'arte presenti nel comune di Albisola Superiore (SV). I dati provengono dal data base di OSM attraverso una interrogazione fatta con l’applicazione overpass turbo e caricate in modo statico su Umap.

Il sito archeologico di Alba Docilia situato nel comune di Albisola Superiore (SV) è stato mappato in occasione della Wiki Loves Monuments 2015 grazie al supporto di Stefano Costa della Soprintendenza Archeologia della Liguria. Vedi Fig.6.

I punti trigonometrici e fiduciali del Comune di Albisola Superiore sono stati estrapolati dal sito del Collegio dei Geometri di Matera. Vedi Fig.7.

La mappa di San Giacomo di Roburent in provincia di Cuneo cerca di descrivere un piccolo ski resort da un grande cuore ricettivo.

Gli ex digital champions italiani e savonesi prendeva ispirazione da p r e c e d e n t i e l a b o r a z i o n i sviluppate congiuntamente da Francesco Piero Paolicelli e Andrea Borruso.

Buona consultazione, ricordandovi che è tutto open data scaricabile nei formati: geojson, gpx e kml. Nel prossimo numero descriverò come imparare ad utilizzare Umap partendo da zero. Continua...

Un web GIS potente, con una curva d’apprendimento notevolmente bassa che permette anche di condividere ed integrare le mappe create sul proprio sito web. Potrebbe diventare un’ottima occasione di lavoro per molti, senza contare la bella figura che potrebbe farvi fare

a scuola o sul lavoro con cartografie tematiche dettagliate e professionali...

Fig. 6

Fig. 5

Fig. 7

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Cruciverba geografico: le provincie italiane

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