Cacciari, Massimo_La città_2004

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AL DI LA DEL DETTO4

Collana direttada

CARMINE Dr SANTE

Leggere e interpretare i grandi testi e temidell'umanita - soprattutto quelli ebraico-cristiani, patristici, dogmatici, agiografici,teologici, filosofici, poetici e letterari - si-gnifica scavarli come pozzi, perforarli comeroccia, per portare allo scoperto il non dettoche celano, illoro dire ancora oggi.

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LA CITTATutti i diritti sono riservati a norma delle leggi

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gpPIER GIORGIO

PAZZINISTAMPATORE EDITORE

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L'origine di questa libretto e un seminario svoltosi pres-so il Centro Sant'Apollinare di Fiesole. La registrazionedelle relazioni di Massimo Cacciari e stata trascritta esistemata, con un lungo e accurato lavoro, da ToninoNasuto, e poi ancora rivista dal responsabile del Centro;cronologicamente, infine, si consideri che nella presenteriedizione l'autore ha apportato un' ulteriore correzione altesto, integrandolo di nuovi brani che completano il sensodell' opera. Malgrado il testa conservi volutamente un cer-to stile 'parlato', si presenta non scevro di difficolta, dovu-te alla complessita del tema, che a volte sembra rasentare lacontraddizione. Si tenga percio presente quanta il relatorediceva all'inizio della sua esposizione:

"Fin dalle sue origini, la citta e 'investita' da una du-plice corrente di 'desideri': desideriamo la citta come'grembo', come 'madre', e insieme come 'macchina', come'strumento'; la vogliamo 'ethos' nel senso originario didimora e soggiorno, e insieme mezzo complesso di funzio-ni; Ie chiediamo sicurezza e 'pace' e insieme pretendiamoda essa estrema efficienza, efficacia, mobilita. La citta esottoposta a contraddittorie domande. Voler superare talecontraddittorieta e cattiva utopia. Occorre invece darleforma. La citta nella sua storia e il perenne esperimentoper dar forma alla contraddizione, al conflitto".

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POLIS E CNITAS: LA RADICE ElNICAE LA CONCEZIONE MOBILE DELLA CIlTA

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E bene cominciare da alcune precisazioni stori-co-terminologiche, perche padare in generale

di citta non ha molto senso. Non esiste la Citta, esi-stono diverse e distinte forme di vita urbana. Nona caso "citta" si dice in diversi modi. Per esempio,in latino non c'e un corrispondente del greco p6lis.La differenza tra Ie due lingue riguarda l'originedella citta ed e una differenza essenziale. Quandoun greco pada di p6lis intende indicare anzituttola sede, la dimora, il luogo in cui un determina-to genos, una determinata stirpe, una gente (gens/genos), ha la propria radice. Nella lingua greca iltermine p6lis risuona immediatamente di un'ideaforte di radicamento. La p6lis e quel luogo doveuna gente determinata, specifica per tradizioni,per costumi, ha sede, ha il proprio ethos. In grecoethos e un termine che mostra la stessa radice dellatino sedes, e non ha nessun significato semplice-mente morale, come invece il mos latino. I moreslatini sono tradizioni, costumi; l'ethos greco, benprima e ben piu originariamente di ogni costume

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e di ogni tradizione, e la sede, illuogo dove la miagente ha la sua tradizionale dimora. E la p6lis eproprio illuogo dell' ethos, illuogo che da sede aduna gente.

Questa determinatezza ontologiea e genealogicadel termine p6lis non e presente nellatino civitas.La differenza e radicale, perche nel latina civitas,se si riflette bene, si manifesta la pravenienza dellacitta dal civis. I cives formano un insieme di perso-ne che si sana raccolte per dar vita alla citta. Ben-veniste, il grande linguista indoeuropeo, ha messocia bene in evidenza ancora malta tempo fa.

Non esiste dunque madame la ville, come non esi-ste monsieur Ie capital a madame la terre. Civitas eun termine che deriva da civis, quindi in qualchemodo appare come il pradotto dei cives nel laraconvenire insieme in uno stesso luogo e darsi me-desime leggi. Invece in greco il rapporto e assolu-tamente rovesciato, perche il termine fondamen-tale e p6lis e quello derivato e polites, il cittadino.Notare la perfetta corrispondenza fra la desinenzadi polites e di civitas; ma nel secondo designa lacitta, nel primo il cittadino. I ramani vedono findall'inizio che la civitas e cia che viene pradottodal mettersi insieme di diverse persone satta me-desime leggi al di la di ogni determinatezza etni-

ca a religiosa. Questa e un tratto assolutamentecaratteristico e straordinario della Costituzioneramana rispetto a tutta la storia delle citta grecheed ellenistiche precedenti. Ed e fondamentale perintendere poi tutta la forza politica della storia ra-mana, l'accento politico, nel sensa nostra del ter-mine, che domina la storia ramana.

Nella civilta greca la citta e fondamentalmentel'unita di persone dello stesso genere, e quindi sipuo capire come p6lis, idea che rimanda a un tuttoorganico, preceda l'idea di cittadino. ARoma in-vece fin dalle origini - e questa dice 10 stesso mitofondativo ramano - la citta e il confluire insieme,il canvenire di persone diversissime per religione,per etnie, ecc., che concordano soltanto in forzadella legge. E il grande mito della Concordia ra-mana che domina Livia ed e a fondamento del-l'intera storiografia romana. Se leggiamo, infatti,il primo libro della storia di Roma Ab urbe condita,questa concezione appare chiarissima, e dopa di-ventera un tema fondamentale di tutta la politolo-gia e filosofia politica europea.

IIprimo dio a cui viene eretto un tempio aRomae il dio Asylum. Roma si fonda attraverso l'operaconcorde di persone che erano addirittura statebandite dalle lara citta, che erano dunque esuli,

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raminghi, profughi, banditi, e che confluisconoin un medesimo luogo, fondando Roma. Questoaspetto domina tutta la storia romana: l'idea dicittadinanza non ha a1cuna radice di carattere et-nico-religioso. Certo c'erano gli schiavi, ma tra iliberi si e cittadini al di la di ogni distinzione distirpe 0 di credenze. Questo e un unicum rispettoalIa storia delle citta greche ed ellenistiche primadi Roma; in seguito, attraverso l'influenza romana,questa concezione delIa cittadinanza si diffondeanche nelle altre citta e in tutto il bacino del Medi-terraneo, quando diventa "nostro". II percorso siconclude con la famosa Costituzione antoninianadi Caracalla nei primi decenni del III secolo d.C.,in cui tutti i liberi che abitano nei confini dell'im-pero diventano cives romani, siano essi africani,dell'Asia minore, spagnoli, galli, ecc., a prescinde-re completamente da ogni determinatezza etnico-religiosa.

Precedentemente all' influenza romana e al suodominio non troviamo niente di tutto questa: innessuna delle poleis greche, dove prevale inveceil pr~cipio 'appartengo a quella p6lis perche n hasede 11 mio genos'. Ovviamente, non viene esclusala p~ssibilita di stabilire foedera, patti fra Ie citta,ma ClascunadO ( 0' , f1esse CI0 e ondamentale per capire

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la storia delIa Grecia) rimane sostanzialmente a seper via del radicamento di stirpe e di genere. Laconseguenza e l'isolamento di ciascuna p6lis dal-l'altra. Ci sono IeOlimpiadi, Ie grandi feste, e peroIe citta greche rimangono isole, e solo per brevis-simi periodi possono federarsi sotto la pressionedi eventi estremi particolarmente drammatici (peresempio, all'inizio del V secolo a. C. a causa del-le guerre persiane), 0 perche una di esse assumel'egemonia seppure per poco (1'egemonia ateniesedura pochissimo, quella spartana ancora menD).Vi e quindi un'impossibilita da parte delle cittagreche di dar vita ad unita federate pili ampie,proprio perche ognuna non e una civitas, non puoassorbire e integrare in se il diverso.

Chi nella p6lis e libero ma non appartiene algenosha la condizione del meteco, di ospite, molto simi-le a quella che avevano gli ebrei e i cristiani nellecitta musulmane. A1cunistorici ritengono, infatti,che il diritto di ospitalita nelle citta musulmane,per cui esse diventano per secoli citta veramentemulticulturali e multireligiose nel bacino del Me-diterraneo, derivasse proprio dall'istituzione del-l'ospitalita presente nelle citta ellenistiche per 10straniero libero, completamente tollerato e ricono-sciuto in possesso dei propri diritti persona Ii, del-

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Ie proprie tradizioni e libero di praticare il proprioculto, ma senza I'esercizio dei diritti politici.

Ci troviamo dunque di fronte a questa grandedistinzione che ci porta a domandarci cosa inten-dere per citta: darle un valore fortemente etnicooppure intenderla nel senso di civitas? Quandopensiamo alIa democrazia ateniese, non dobbia-mo dimenticare che essa funzionava sulla base diun'idea etnica e religiosa, mentre nella prospettivaromana si tratta di un prod otto artificiale: cioe sidiventa cittadini a pieno titolo, aventi tutti i diritti,semplicemente perche si concorda di sottostare aquelle leggi e di obbedire a quel regime: concordiaha questo significato.

Naturalmente la sede Roma, l'Urbs, ha un gran-de valore simbolico; fa parte dei doveri imprescin-dibili del civis venerarla. E il centro dell'impero,dove ci sono Ie grandi istituzioni politiche (il Se-nato, la Repubblica e poi l'imperatore), ma non viabita una determinata stirpe 0 razza, che in quantotale abbia il dominio; il suo prima to non deriva inalcun modo da ragioni come quelle che facevanoritenere ad un ateniese che Atene fosse davvero ilcuore, il valore fondamentale, dell'Ellade.

Altra idea interessante, che .nasce propno in

questo contesto, e che la citta e "mobile" nella suastessa essenza. Uno degli epiteti pili significatividelIa tarda romanita e appunto quella di Romamobilis, proprio perche questa estrema dinamici-ta nel mito stesso delle origini Ie permette di im-maginarsi e costruire il proprio mito attraverso lasintesi degli elementi pili disparati. Tutto 10 sfor-zo di Virgilio, tutta l'ideologia augustea, e fonda-ta sull'idea delle origini, e Ie origini di una cittasono sempre la sua potissima pars (come e detto nelCodice di Giustiniano), la parte pili forte, percheI'origine e cia che fonda la citta. Ma Ie origini diRoma, come l'ideologia augustea Ie rappresenta,stanno appunto nella confluenza di popoli diver-si; gli stessi latini non sono i nemici che vengonoconquistati e sottomessi. La promessa di Zeus aGiunone e che i troiani saranno S1 i vincitori, mapoi verranno a loro volta assorbiti dalla lingua edal nome dei latini. E Enea che si reca presso glietruschi a pregarli per la loro alleanza: e tutta unaconfluenza di elementi diversi, di tradizioni e lin-gue diverse, ed e per l'appunto questa la civitas.Sotto una stessa idea, anzi sotto una stessa stra-tegia (pili che un'idea fondativa), perche cia chemette insieme questi cittadini COS1 diversi non e laloro originemail fine comune. La citta proiettata

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LA RADICE ETNICA E LA CONCEZIONE MOBILE DELLA CITrA

E grandiosa l'idea che cia che ci mette assieme,ci accomuna, non e nulla di originario, ma soltan-to un fine. Ed esso non e altro che la 'globalizza-zione': fare dell'orbis una urbs, affinche il cerchiomagico che nelle poleis rinserrava e imprigionavadentro i confini delIa citta coincida con il cerchiodel mondo, in tutta la sua dimensione spaziale etemporale. Questa e la grande idea romana ormaientrata nel DNA dell'Occidente, del tutto inestir-pabile, essendo appunto diventata l'idea fonda-menta Ie delIa stessa teologia politica,implicitanello spirito di missione,di evangelizzazione.

Naturalmente questa mobilita puo avere suc-cesso soltanto se associata all'idea di civitasaugescens,di citta che sempre cresce: altro terminechiave ed emblematico su cui a volte mi sono sof-fermato con gli amici romanisti, e che domina neinostri linguaggi e nel nostro patrimonio culturale.Esso e inconcepibile rispetto alIa p6lis: leggendoPlatone ed Aristotele, ci si rende conto come perloro fosse drammatico il problema di una crescitaeccessiva delIa polis; come avrebbe potuto,allora,mantenersi radicata nel suo genos? Nella Repubbli-ca e nelle Leggi di Platone, nella Politica di Aristo-tele il problema e quello di mantenere i caratterispazialmente controllabili delIa p6lis, altrimenti

nel suo futuro mette insieme i cittadini, non il pas-sato delIa gens, non il sangue. Ci si trova insiemeper perseguire un fine: percio Roma mobilis. Tuttocia e detto chiaramente nel grande poema virgi-liano.

Ma qual e il fine da raggiungere? La risposta e:imperium sine fine. Dai luoghi piu diversi, dall'Eu-ropa, dall'Africa e dalI'Asia, si converge concordiper permettere aRoma di espandere i suoi confini:che l'impero romano non abbia contini ne spazialine temporali. Impero non significa impero di po-lizia, dominio esercitato con Ie armi: in Virgilioimpero senza fine vuol dire che Roma deve dareIe leggi a tutto il mondo, a tutto l'orbe, che l'Urbsdeve diventare cia che da Ie leggi, cia che imponela concordia sotto la legge a tutto il mondo. Impli-cita in quest'idea e che cia che regge la civitas none un fondamento originario quanto un obiettivo:si sta insieme perche attraverso la concordia pro-dotta con Ie nostre leggi possiamo mirare ad ungrande fine, Roma mobilis.

Non e esattamente questo che la Chiesa imita?Essa e la grande ed eterna costruzione del dirittor~mano; percio iPadri vedevano come provviden-zlale ~oma. La struttura giuridica delIa Chiesa eessenzlalmente romana e non puo che essere tale.

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tutta la sua costruzione sarebbe crollata. Invece ilcarattere fondamentale, programmatico delIa civi-tas e quello di crescere; non c'e civitas che non siaaugescens, che non si dilati, che non de-liri (la lira eil soleo, il segno che delimitava la citta;"delira" chiesce dalla lira, chi oltrepassa i sicuri confini delIacitta). La civitas, quindi, per sua natura e augescens,non e concepibile per un romano una civitas chenon de-liri!

II criterio fondamentale del genos e ineliminabi-Ie nella formazione delIa p6lis, anche in Platone ein Aristotele. Che la p6lis sia formata da anima Iipolitici dotati di logos va da se, ma ill6gos e quel-10 greco. I greci, in tutta la loro storia, sono quasiesc1usivamente monoglotti. L'impero romano e,invece, programmaticamente bilingue (questo euntratto interessantissimo, se 10 confrontiamo con ilcarattere culturale dell'impero americano,almenonella sua leadership). In tutta la letteratura greca,dal I al VI secolo d. c., non sono citati gli autorilatini, non e citato Virgilio, ne Orazio, Ovidio, Lu-crezio: praticamente e sostanzialmente sono quasitutti ignoratio La cultura greca continuava a rite-nere che il proprio 16gos , in quanto appartenentenei suoi vari dialetti a quel genos e caratterizzantequel genos, fosse universale proprio in quanta COSl

"radicato". COSltutt'uno con la propria "sedes",col proprio ethos (nel senso detto sopra). Cioe il16gos aveva per i greci un significato anche etnico,non era affatto un semplice strumento per caleola-re e comunicare. Non avevano aleuna concezionestrumentale del linguaggio.II linguaggio era ciache Ii caratterizzava in quanto elleni nei confrontidei barbari. Non si possono scindere i due aspetti:da una parte l'ethos, dall'altra ill6gos. Uno deglielementi fondamentali dell' ethos greco e il suo lin-guaggio, che ha quelle caratteristiche di misura,articolazione, ricchezza, che e l'unico linguaggioche i greci, soprattutto nel V secolo, avvertonocome capace di parresia (il parlare franco, libero).L'unico 16gos capace di produrre dialogos, in cuil'elemento dialogico, del convincimento, delIapersuasione, e fondamentale.

Negli altri linguaggi si sentiva piuttosto il tim-bro del comando, delIa tirannide, 0 dell'informe,come nella grande terra asiatica, spazio geografi-co dell'indistinto, non organizzata per p6leis auto-nome, gelose delIa propria autonomia, dei propriculti, di cui sentivano la specificita. Certo che c'eral'Olimpo comune, ma non capiremmo nulla delIamitologia greca se non sapessimo quanto era loca-lizzata, "terri torializza ta"la sua forma (quante era-

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no Ie tombe di Erac1ein giro per la Grecia, quantequelle degli altri eroi?). Questa era la Grecia: unafamiglia fatta di distinzioni gelose, di differenze. Equesta era la sua debolezza, per cui questo mira-colo dura fino alla guerra del Peloponneso.

II nomos, la legge, che ha radice terranea (nomose il pascolo) e proprio, come hanno spiegato Sch-mitt e tanti altri, la spartizione della terra. La leggee originariamente quel processo per cui ci si divi-de la terra, il pascolo. Si articola la terra indistintae 10 si fa sulla base di un logos. E chiaro che il no-mos terraneo deve rispecchiare una giustizia pilialta: questa e il discorso dei filosofi (Erac1ito,Em-pedoc1e, e altri), che pero 10 dec1inano sempre inpolemica con la loro polis, con i loro concittadini.Essi non sanno ascoltare il Logos e percio riman-gono in-fanti.

La morte di Socrate fu il grande peccato del-Ia polis, che per difendere la propria Costituzionecondanna i1giusto. II nomos della polis, agli occhidel filosofo, di colui che dice "ascolta il logos","combina il nomos della polis a Dike celeste", eraesc1usivamente terraneo. Questo e cia che affermala filosofia fino a Platone, mentre Aristotele voltapagina, facendo una fenomenologia delle Costi-tuzioni politiche. Platone non e ascoltato, la sua

Repubblica, come suprema indicazione di cia chela polis dovrebbe essere per funzionare secondomisura e giustizia, rimane del tutto irreale rispet-to al funzionamento della polis in carne e ossa.

Inoltre il radicamento terraneo era un riferimen-to simbolico fortissimo, perche il genos e i1 logossignificavano quei miti, quelle tradizioni, queicostumi. Dov' e che i greci imparavano a leggeree scrivere se non su Gmero e su Esiodo? La testi-monianza di tutta la filosofia greca e che il rappor-to con la Dike cosmica, urania e sempre incerto eproblematico.

Sulla radice di polis se ne dicono di tutti i colo-ri. Il nostro Vico diceva che il termine era formatosulla stessa radice di polemos, la guerra; cosa cheha ripetuto Schmitt e tanti altri dopo di lui. Certola radice di polis, se e indoeuropea, indica la plura-lita e la molteplicita. Ma e del tutto incerto che siauna radice indo-europea 0 mediterranea 0 semiti-ca, mesopotamica, accadica. E noto che moltissimitermini greci, toponomastici e non, hanno radicenon indoeuropea, ma mediterranea, pelasgica, ac-cadica. E probabilmente anche questo, perche inaccadico ci sono vari nomi con questo etimo cheindicano la rocca, il castello, illuogo fortificato.

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LA CITTAEUROPEA:TRA DIMORA E SPAZIODI NEGOTIUM

La prospettiva europea si sviluppa sostanzial-mente non dalla posizione greca ma da quella

romana. Noi, infatti, pensiamo la citta come unluogo nel qua Ie persone diverse convengono nel-l'accettare e obbedire a una legge. 11diritto euro-peo si sviluppa tutto sulla base di quest'idea chederiva pari pari dal diritto romano. Non solo ildiritto europeo, anche quella grande istituzioneoccidentale che e la Chiesa, e tutta dominata daquest'idea. Sia la citta dell'uomo che la citta di Dionon sono in a1cunmodo interpretate sulla base diparametri di tipo etnico. La Chiesa, dice Agostino,nel suo pellegrinaggio accoglie in se, senza farea1cun conto delle differenze etniche, di lingua ecostume.

E tuttavia, questa posizione pone un grosso pro-blema dal punto di vista delle modalita dell'abi-tare. E come portassimo in noi la nostalgia delIapolis, delIa citta-dimora; il che entra in conflittocon la tensione verso l'universalita. Noi pensiamoche la citta per avere dimensioni umane debba in

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qualche modo ricordare la p6lis. Quanta retoricasulla p6lis, sulla politica che viene da p6lis (tutti ipolitici ripetono questo ritornello). Vogliamoritor-nare ad uno spazio ben definito, a un territorio bendelimitato che permetta scambi sociali, relazionisociali ricche e partecipate? Nella p6lis questo av-veniva sulla base di quel criterio non indifferente,che si tende a dimenticare, secondo cui a deciderenelle assemblee erano in pochi; quando erano intanti si limitavano a qualche migliaio nell' agora ascambiarsi cariche, a prendere libere decisioni in-sieme (non pili di 20 mila erano in Atene i liberiche vi abitavano). E questa l'idea di citta che vo-gliamo coltivare, 0 e la grande idea romana, gentediversa che viene da tutte Ie parti, che parla tutteIe lingue, che ha diverse religioni, un'unica leggepera, un senato, un imperatore e una missione?Quale riferimento scegliamo: l'origine 0 il fine, ilIegame di stirpe 0 la legge? Questo e il dilemma:la comunita si forma attraverso semplici patti tradiversi interessi, attraverso armistizi,tregue,compromessi precari? Questa e una prima questione daporre in discussione.

C'e una seconda tensione che caratterizza il no-stro rapporto con la citta; e questa e pili specificadella citta moderna. Quando si parla di citta, noi

appartenenti alle civilta urbane (le prime testimo-nianze archeologiche di vita urbana nell' ambientemediterraneo risalgono a 3500-4000anni a.c.; sia-mo da soli 6000 anni dunque in una civilta urba-na che ha i suoi cieli, Ie sue fioriture, Ie sue crisi)abbiamo sempre avuto un atteggiamento duplicee contraddittorio nei confronti di questa formadi vita associata: da una parte ci rivolgiamo allacitta come a un luogo nel quale ritrovarci, ricono-scerci come comunita, un luogo accogliente, un'grembo', un luogo dove sostare bene ed essere inpace, una casa (la casa come idea regolativa concui fin dalle origini ci siamo avvicinati a questarivoluzionaria forma di vita associata); dall'altra,sempre pili la consideriamo una macchina, unafunzione, uno strumento che ci permetta col mini-mo d'impedimento di fare i nostri negotia, i nostriaffari. Da un lato la citta come un luogo di otium,luogo di scambio umano, sicuramente fattivo, at-tivo, intelligente, una dimora insomma, e da unaltro illuogo dove poter sviluppare nel modo piliefficace i nee-otia.

Alla citta continuiamo cioe a chiedere due coseopposte. Ma questo e caratteristico della storiadella citta: quando essa delude troppo e diventasolo negozio, allora cominciano Ie fughe dalla cit-

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ta, CoS!ben testimoniate dalla nostra letteratura:Ie areadie, Ie nostalgie per una pili 0 meno miti-ca eta non-urbana; d' altra parte quando invece lacitta assume davvero i connotati dell' agora, delluogo d'incontro ricco simbolicamente e dal pun-to di vista comunicativo, allora immediatamenteci affrettiamo a distruggere questo tipo di luogo,perche contrasta con la funzionalita delIa cittacome mezzo, come macchina. Che cosa e avvenu-to nella storia urbanistica degli ultimi secoli? Dal,400 al '900 c'e stata la distruzione, in nome delIacitta strumento, di tutto cia che nella citta prece-dente impediva questo movimento, ostacolava Iedinamiche dei negotia. In tutte Ie citta europee, inmodo sistematico e programmatico, in manierapili 0 meno violenta, e avvenuto questo. In Ita-lia e accaduto meno che altrove, malgrado tutto;e non perche amassimo di pili il nostro passato,ma semplicemente perche abbiamo avuto uno svi-luppo ritardato, e quindi la violenza dell'impattodell'industria-mercato sulla citta antica e stato pililento rispetto ad altri paesi.

Prima di discutere di scelte urbanistiche dob-biamo percio porci la domanda: che cosa chiedia-mo alIa citta? Chiediamo di essere uno spazio nelquale ogni forma di ostacolo al movimento, alIa

mobilitazione universale, allo scambio, sia ridottoai minimi termini, 0 chiediamo ad essa di essereuno spazio in cui ci siano luoghi di comunicazio-ne, luoghi pregnanti dal punto di vista simboli-co, dove vi sia attenzione all'otium? Si chiedonopurtroppo entrambe Ie cose con la stessa identicaintensita, ma entrambe non sono proponibili in al-cun modo insieme, e quindi la nostra posizionenei confronti delIa citta appare ogni giorno di pililetteralmente schizofrenica.

Questo non vuol dire che essa sia "disperata",anzi e molto affascinante perche chissa cosa sal-tera fuori. E una contraddizione talmente acutache potrebbe essere la premessa di qualche nuovacreazione. COS!e stato anche nel dissolversi del-Ia forma urbana del mondo antico: la dissoluzio-ne radicale di quelle forme ha dato vita al nuovospazio urbano continentale europeo, attraversoistituzioni che nessuno si sarebbe mai sognato 0

inventato ( nuove idee di diritto,nuovi rapporti didominio,nuove forme di comunita,come quellamonastica, fondamentale nel promuovere nuovimodelli di sviluppo urbano).

Puo darsi che questa nostra domanda cos! "vio-lentemente" contraddittoria sia foriera di soluzio-ni creative, non in continuita con la storia che ci

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sta aIle spalle. Invito sempre gli urbanisti e gli ar-chitetti a ragionare in questi termini, non in termi-ni 0 di conservazione, tentando disperatamente diritagliare dei frammenti di agora, oppure di avalloacritico dell'universale mobilitazione: modo dipensare gli opposti come fossero due facce delIastessa medaglia, perche il futurismo e il conser-vatorismo totale si sono sempre perfettamente ac-compagnati in tutto, in urbanistica, in arte, in po-litica, dovunque. Invece e necessario partire dallacontraddittorieta di questa domanda e cercare divalorizzarla in quanta tale, facendola esplodere.E meglio fare dei progetti di architettura e di ur-banistica in cui mettere in evidenza di fronte alpubblico il carattere contraddittorio proprio delIadomanda che esso esprime, senza coprire e misti-ficare questa situazione, senza credere di superar-la con qualche fuga in avanti 0 ritornando al pas-sato di Atene. Non ci sara pili agora.

Maoggi possiamo ancora parlare di citta? For-se in Haliae ancora possibile in qualche caso,

Firenze per esempio; ma gia per Milano, Roma, Na-poli, Palermo, e difficile farlo. La metropoli tardoantica, Roma mobilis, l'Urbs che delira dal suo sol-co, ha molti caratteri in comune con quanto verraa dire. La storia europea delle citta fino all'epocabarocca mostrera una citta che,invece, in qualchemodo somiglia a quella del palazzo di Siena, de-scritto nell' affresco di Lorenzetti del Buon governo:e una citta dove l'elemento di comunione,di dia-logo e presente, al di la dell'''aura'' chiaramentemitica in cui viene espresso (anche in quella cittac'erano conflitti; la stessa vicinanza e un fattore es-senziale di inimicizia). Quella citta viene distruttadall'impeto congiunto di industria e mercato edappare cos! la metropoli, la Grofistadt, dominatadalle due 'figure' chiave, i due "corpi" che la rego-lano: l'industria e il mercato.

Come nella citta medievale la cattedrale e il pa-lazzo del governo 0 il palazzo del popolo, cos!nel-

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la citta moderna Ie presenze chiave sono i luoghidella produzione e quelli dello scambio. Tutto siarticola intorno ad essi come fattori capaci di con-ferire pregnanza simbolica all'insieme. Ma nellostesso tempo la citta si organizza e si regola intor-no a questi momenti; intorno ad essi si costitui-sce un'urbanistica, si elaborano interventi di pro-grammazione intorno a questi fattori dominantiche permettono,in quanto "valori noti", la solu-zione delIa "equazione". Si sa, infatti, che l'indu-stria ha determinate esigenze localizzative, com-porta determinate funzioni, abitative anzitutto,che vanno sistemate in un certo modo, attraversoun' edilizia di un certo tipo. E COs!10 spazio si or-ganizza intorno a questi corpi relativamente noti,rigidi, fissi. In fisica si direbbero 'carpi galileiani'di riferimento, e la metafora non e estemporanea,poiche proprio Einstein c'invita a ragionare, sullabase di una metafara riguardante la storia delIacitta, del passaggio da una relativita ristretta aduna generale:e la prima e quella in cui i corpi diriferimento permettono ancora delle metriche cheriguardano l'intero sistema.

L'evoluzione verso la metropoli e stata possibileperche il punto di partenza delIa citta europea estato non la p6lis greca ma la civitas romana. La no-

stra idea di citta e totalmente romana, e civitas mo-bilis augescens, e quanto cia sia fondamentale 10 di-mostra la storia delle trasformazioni urbane, dellerivoluzioni politiche che hanno la citta al centro, adifferenza che in altre civilta, dove la forma urbissi e modificata proprio per l'influenza,o megliol'assalto, delIa civilta occidentale. Le civilta urba-ne dell' antichita a noi note sono ricchissime, mastabili nelle loro forme: tutte dimostrano il radica-mento terraneo, sia Ie grandi citta mesopotamicheche quelIe orientali (Kyoto, Shangai, Pechino era-no megalopoli quando Londra e Parigi erano ,pergli standard attuali, poco pili chevillaggi, pero Ieloro forme sono rimaste per secoli e secoli relativa-mente stabili). Le incredibili rivoluzioni delIa for-ma urbis derivano da quest' approccio alIa citta chesi ha con I'apparire delIa civitas romana. Le formeurbane europee occidentali derivano dai caratteridelIa civitas. La citta contemporanea e la grandecitta, la metropoli (questo e infatti il tratto caratte-ristico delIa citta moderna planetaria). Ogni formaurbis tradizionale e stata dissolta. Una volta eranoassolutamente diverse Ie forme delIa citta (vede-re la divers ita di Roma, Firenze, Venezia). Ora c'eun'unica forma urbis, 0 meglio un unico processodi dissoluzione di ogni identita urbana.

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Questo processo (che, come vedremo, giunge alsuo compimento nella ciWHerritorio, la citta post-metropolitana) ha la sua origine nell'affermazionedelIa centralita del nesso tra luogo di produzionee mercato. Ogni senso delIa relazione umana si ri-duce alIa produzione-scambio-mercato. Qui ognirelazione si concentra ; allora ogni luogo delIa cit-ta e visto, progettato, riprogettato, trasformato, infunzione di queste variabili fisse, del loro Valo-reoI luoghi simbolici diventano questi soltanto,escompaiono quelli che erano i luoghi simbolicitradizionali, soffocati dall' affermazione dei luo-ghi dello scambio, espressione delIa mobilita delIacitta, del Nervenleben, delIa vita nervosa delIa citta.Le nuove costruzioni sono massicce, dominano,sono fisicamente ingombranti, grandi contenito-ri (immaginate l'architettura delle tipiche grandicitta industriali,il fascino che ovunque esercital'architettura-fabbrica), la cui essenza consistepero nell' essere mobili, nel dinamicizzare tutta lavita. Sono corpi che producono un' energia mobi-litante, scardinante, sradicante. Queste presenzedissolvono 0 mettono fra parentesi quelle simbo-liche tradizionali che, infatti, si riducono ai centrostorico. E cos1che nasce il'centro storico': mentrela citta si articola ormai in base alIa presenza do-

minante e centrale delle produttive e di scambio,la memoria diventa museD e cessa cos1di esserememoria, perche la memoria ha senso quando eimmaginativa, ricreativa, se no diventa appuntouna clinica in cui mettiamo i nostri ricordi. Abbia-mo "ospedalizzato" la nostra memoria, cos1comeIe nostre citta storiche, facendone musei.

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LA CITTA- TERRITORIO(0 LA POST-METROPOLI)

A ggi siamo in una fase successiva. Mentrenelle metropoli queste presenze ancora ar-

ticolavano 10 spazio, fondavano delle metricheben riconoscibili nella dialettica centro-periferia,erano i criteri dominanti delIa urbanistica c1assi-ca dell' '800 -'900 (Ie diverse funzioni produttive,residenziali, terziarie), oggi questa possibilita ecompletamente saltata. La citta-territorio impe-disce ogni forma di programmazione di questogenere. Si e ormai in presenza di uno spazio inde-finito, omogeneo, indifferente nei suoi luoghi, incui accadono degli eventi sulla base di logiche chenon corrispondono pili ad a1cun disegno unitariod'insieme. E questi eventi in quanto tali si modifi-cano con una rapidita incredibile: la fabbrica nonera certo la cattedrale, non aveva la stabilita deivecchi centri delIa forma urbis, ma una certa sta-bilita l'aveva. Adesso la rapidita delle trasforma-zioni impedisce che nel giro di una generazionesi conservinG memorie del passato. Cia compor-ta che ormai siamo in una situazione in cui casa

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e non-casa si connettono, dimora e non-dimorasono due facce delIa stessa medaglia.

Questo processo, pur avendo nell'Occidente ilsuo centro propulsore, raggiunge ormai tutti i con-tinenti. Nel 1950 Ie citta al mondo con pili di unmilione di abitanti erano 83, e di queste 50 eranonei paesi industrializzati. Oggi Ie citta con pili diun milione di abitanti sono 300e la gran parte e neipaesi poveri. Nel 2015 avremo 33 citta sopra i 20milioni di abitanti e 27 di queste saranno nei paesipoveri. Fatte come? Estrapolando dalla situazio-ne attuale,sarebbe anche troppo facile prevederlo:vastissime aree architettonicamente indifferenzia-te rigurgitanti di funzioni di rappresentanza,finanziarie,direzionali,con accatastate intorno aree pe-riferiche residenziali," ghettizzate" Ie une rispettoaIle altre,aree commerciali di massa," avanzi" diproduzione manifatturiera. II tutto collegato da"eventi" occasionali,al di fuori di ogni logica ur-banistica e amministrativa.Le "case" per la gran-de massa saranno quelle del mini-appartamentostandardizzato. Come recitava una pubblicita inSenegal:" comprate Ie nostre case COS1 piccole,perche ci potrete stare con moglie e figlio, e potre-te finalmente rifiutare di ospitare i parenti quandovengono dalle campagne". Queste periferie per

il ceto medio-basso-burocratico, ceto che rappre-senta una delle patologie pili inaudite dei paesisottosviluppati (in Africa Ie burocrazie pubblicheimpiegano dieci volte pili persone di quanto nonerano impiegate nel periodo coloniale), sono laconseguenza del processo di mega-urbanizzazio-ne di quelle zone, perche hanno distrutto risorsee culture locali e moltiplicato Ie rendite. Questoe il piano di questi territori: da una parte centridirezionali, rappresentativi, terziari, alIa occiden-tale; dall' altra, periferie popolari, alIa occidenta-le, con tempi di degrado di pochi anni; infine Iebidonvilles. Altro modello e l'unica citta, come inGiappone, dove lungo la costa non c'e soluzionedi continuita dal nord fino a Hiroshima. U la cittacoincide con tutto il territorio.

Non vi e alcun dubbio che il territorio doveabitiamo costituisca una sfida radicale a tutte Ieforme tradizionali delIa vita comunitaria. Lo sra-dicamento che produce e reale. Tutte Ie forme ter-ranee tendono a disciogliersi nella rete delle rela-zioni temporali (vedi pili oltre). Ma per questo enecessario che 10 spazio assuma appunto I'aspettodi una forma a priori, equivalente e omogeneo inogni suo punto, e cioe che scompaia la dimensionedelluogo, la possibilita di definire luoghi all'inter-

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no dello spazio, 0 di caratterizzare quest'ultimosecondo una gerarchia di luoghi simbolicamentesignificativi.

Ora, e possibile vivere senza luogo? E possibileabitare dove non si danno luoghi?

L'abitare non ha luogo la dove si dorme e qual-che volta si mangia, dove si guarda la televisione esi gioca col computer domestico; illuogo dell'abi-tare non e l'alloggio. Soltanto una citta puo essereabitata; ma non e possibile abitare la citta, se essanon si dispone per l'abitare, e cioe non 'dona' luo-ghi. IIluogo e dove sostiamo: e pausa - e analogoal silenzio in una partitura. Non si da musica sen-za silenzio. II territorio post-metropolitano ignorail silenzio; non ci permette di sostare, di 'racco-glierci' nell'abitare. Appunto, non conosce, nonpuo conoscere distanze. Le distanze sono il suonemico. Ogni luogo al suo interno sembra desti-nato ad accartocciarsi, a perdere di intensita fino atrasformarsi in null'altro che in un passaggio, unmomenta delIa 'mobilitazione' universale.

Sei in una citta che e casa e non e casa, in cuistai e non stai, che vivi come una contraddizione.Quali Ie conseguenze? Affrontare il problema conl'idea di restaurare luoghi, nel senso tradizionaledel termine, e un modo regressivo e reazionario.

Oppure si puo applaudire al processo in corso edire «che bello!» alIa sua dinamica, al movimen-to di dissoluzione dei luoghi prepotentementein atto. "Ormai viviamo nell'anti-spazio; i nostriinsediamenti si muovono tutti nel cyber-spazio;dobbiamo immaginare Ie nostre case come deisensori" (sono Ie parole dell'architetto americanoMitchell nel suo libro La citta dei bytes); ma questafuturismo informatico e l'altra faccia dell'atteggia-mento conservatore reazionario, che vagheggia larestaurazione dell' agora e delIa polis.

Mettere in forma siffatta contraddizione in mododa poterla vivere e comprenderla, e non soltantopatirla e subirla, e un problema. Un problema teo-rico che va affrontato. Continuando noi ad esseredei luoghi, come possiamo non volere dei luoghi?Pero, i luoghi desiderabili non possono pili esserequelli delIa polis e neanche pili quelli delIa metro-poli industriale. Devono essere luoghi nei quali icaratteri delIa mobilitazione universale possanoessere rappresentati.

Ma perche abbiamo bisogno di luoghi? Per qual-cosa che attiene alIa nostra stessa dimensione fisi-

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ca piu originaria. Intendo riferirmi alIa physis nelsenso piu proprio (fisica viene da physis, che e lanatura). E mai concepibile uno spazio-senza-luo-go se e vero, come e vero, che 'resiste' quelluogoassolutamente primo che e il nostro corpo? Comerisolvere questo luogo nel continuum temporale?o come ridurlo a funzione meramente dipendentedal suo dispiegarsi? Sesiamo luogo, come potrem-mo non ricercare luoghi? La filosofia del territoriopost-metropolitano sembra esigere la nostra me-tamorfosi in pure anime, 0 in pura dynamis, ener-gia intellettuale. E, chissa, la nostra anima e forsedavvero a-aikas, senza casa, come l'eros platonico,ma... il nostro corpo, la ragione del nostro corpo?E il noma de stesso non ha comunque a che farecon illuogo? Passa dall'uno all'altro, non si arre-sta in nessuno - ma conosce pur sempre luoghi. Eche cosa rappresentavano i suoi grandi tappeti, senon la casa, illuogo delIa sua casa, che 10 seguivadovunque e in cui essenzialmente abitava? Puoessere che si giunga ad un punto - come gia av-venuto nelle 'profezie' fantascientifiche - in cui ilnostro corpo sia trasmissibile come qualsiasi altrainformazione. Allora, forse, il problema delIa suaspecifica ragione, e dunque delluogo e dell'abi-tare, sara 'risolto'. Ma quell'uomo sara davvero

oltre-uomo in tutto e per tutto? Possiamo imma-ginarlo in 'trasmissione' perenne, 0 non dovra, inqua1che punto, in qua1che momento, 'prendereterra'? Sara perennemente insonne e peregrinan-te, come Ie anime in volo intorno al Poeta nel Pa-radiso, 0 dovra ancora sostare? E dove? In stazionidi 'ricaricamento'? In distributori di energia? 0 inluoghi, ancora? Ma quaIi luoghi? Poiche e evi-dente che quest'uomo non potra mai riconoscerecome propri i luoghi degli antichi spazi urbani eneppure quelli delle antiche metropoli.

Ecco, allora, il grande, affascinante, problemacon cui si misurano tutti coloro che, con consape-volezza critica e filosofica, affrontano la prospetti-va del territorio post-metropolitano, sotto i diversiprofili amministrativi, urbanistici, architettonici.Nessuna reazionaria nostalgia per la 'ben fonda-ta' terra dell'Urbs; nessuna nostalgica volonta direstaurare-recuperare i luoghi dell'antica citta:cio potrebbe dar luogo solo a vernacoli 'localisti-ci', ad una Heimatkunst, un'arte regionale ormaivuota, insensata. Ma, altrettanto, nessuna 'fuga alfuturo', nessuna ideologia dell"infuturarsi'! Unasimile tendenza fa dell' architettura un puro gio-co formale, Ie fa perdere ogni potenza costruttiva,ogni serieta e responsabilita. Che fare, allora?

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Nello spazio metropolitano sussisteva ancarauna precisa gerarchia tra edifici 0 'contenitari' chesvolgevano la funzione di carpi di riferimento.Sull' 'orologio' di questi corpi si scandiva la me-trica dell'insieme. L'urbanistica contemporanea sie sempre pili 0 meno mossa sull' arientamento cheessi garantivano, cercando di razionalizzare l'usodello spazio sulla laro base. Ogni corpo-edificio diriferimento e chiamato a svolgere un compito defi-nito, ha qualita e proprieta specifiche. Sotto questoprofilo 10 spazio metropolitano non differisce es-senzialmente da quello urbano - se non per il fattoche esso ne trascende tutti i vecchi confini, slan-ciandosi lunge Ie direttrici del suo movimento.

Queste sono Ie contraddizioni che obbligano adandare oltre la metropoli. Da un lato, l'essenza diquesta consiste nell'irradiarsi in uno spazio comepura forma a priori; dall'altro, questa suo irradiar-si viene costantemente contraddetto dalla 'gravi-ta' dei corpi di riferimento che la occupano.

Per essere all'altezza di questo compito urbani-stico bisogna affrontare, 0 almeno individuare, unproblema filosofico fondamentale: e possibile I'eli-minazione dello spazio fintanto che siamo corpi?

Chiediamo al mondo esterno di dissolversi invirtu ale, mentre continuiamo ad essere il luogo

del nostro corpo, qualche migliaia di miliardi dimolecole che ci compongono aventi una certa for-ma spaziale. Come possiamo far convivere illuo-go che siamo con I'eliminazione esterna di ogniluogo? Problema essenziale. Si potrebbe fare delIafantascienza intelligente alIa Philip K. Dick: unavolta che riuscissi a trasmettermi come un fax 0

come una e-mail, il problema sarebbe risolto.Sepotessimo trattare il nostro carpo come un'in-

formazione tra Ie altre, il problema sarebbe risolto,dal momenta che siamo ormai padroni delle infar-mazioni, delIa loro manipolazione e trasmissione.Ma non e quello che sta avvenendo? La scienzamedica non sta trattando il carpo come un insie-me di infarmazioni? Molti parlano di biopolitica,di una trattamento delIa vita sulla base di prospet-tive e apparati tecnico-politici. E questo, lungi dal-I'essere fantascienza, e gia realta (la fantascienzaseria ha sempre realisticamente trattato di idee-li-mite e regolative); questa prospettiva e nei fatti:tecnicamente e politicamente il nostro corpo e giatrattato come un complesso di informazioni.

Dobbiamo affrontare questa paradosso filosofi-co ed estetico. L'energia che sprigiona il territoriopost-metropolitano e essenzialmente de-territoria-lizzante, anti-spaziale. Certo e possibile affermare

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che questa processo era gia iniziato con la metro-poli moderna, ma soltanto oggi tende ad esprimer-si nella sua compiutezza. Ogni metrica spaziale eavvertita come un ostacolo da oltrepassare. L'idearegolativa e sempre pili quella di una 'angelopoli'assolutamente sradicata. Questa e anche l'idea re-golativa, 0 la filosofia di base, delle tecnologie in-formatiche; per esse, anzi, il superamento del vin-colo spaziale non rappresenta che il primo passoverso il superamento anche di quello temp orale,verso, cioe,la possibilita di una forma della comu-nicazione davvero compiutamente angelica (infat-ti, gli angeli s'intendono reciprocamente senza me-diazione alcuna, nella immediatezza del semplicepensare). Una tale forma di comunicazione rende10 spazio perfettamente indifferente e omogeneo.Esso non presenta pili alcuna 'densita' particolare,alcun 'nodo' significativo. E naturalmente l'effet-to di questa sua eliminazione consistera nella per-fetta trasparenza e affidabilita delle informazioni.Infatti, se esse non incontrano pili alcun ostacolo,se non debbono pili venire 'trasportate', non su-biranno pili fraintendimenti 0 equivoci. Il mito 0

l'ideologia della perfetta de-territorializzazione siaccompagna a quello di una forma im-mediata dicomunicazione, 0 meglio della totale eliminazione

del fra-intendersi nell'intendersi.Ma, ahime, 10 spazio si vendica di questa voglia

di ubiquita! Si vendica in due modi: anzitutto nelsenso che non cimuoviamo pili nelle citta, per pro-blemi di traffico (si, ogni giorno siamo costretti ascoprire che siamo ancora dei corpi, e cimuoviamocon mezzi che sono ancora dei corpi che non pos-sono compenetrarsi: Ie illusioni che con Ie tecnolo-gie informatiche Ie nostre esigenze di movimentofisico verrebbero ridotte si stanno sostanzialmen-te rivelando pura ideologia, perche pili eresee lavelocita d'informazione, pili aumenta, sembra, ildesiderio di movimento fisico e di ubiquita). Lospazio si vendica, allora, immobilizzandoci nellecitta. Ma si vendica anche per un altro verso: Iearchitetture che si fanno dappertutto contrastanoradicalmente quest'ansia di movimento e di "spi-ritualizzazione" risultando spesso di una grevitamonumentale unica. Si costruiscono corpi rigidissimi,ingombranti,momovalenti. L'architettura haun anelito, paradossale e patetico, per la simboli-cita dell'edificio (a Berlino e possibile vedere, al dila della qualita specifica dei singoli contenitori, iltrionfo dell' enfasi e della monumentalita, come sifosse voluta la nuova Acropoli o"imitare" il Sena-to americano). Illinguaggio architettonico, al di la

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della qualita di questa 0 quell'architetto, quandointerviene su scala urbana, 10 fa con una filosofiache contraddice totalmente questa tendenza al-l'universale mobilitazione. Semmai sono i grandimaestri del Moderno che avevano pensato degliedifici davvero trasparenti, "passaggi" .Ma ciaavviene per una ragione essenziale:l'esigenza dipresenze forti, significative e simboliche, nel ter-ritorio post-metropolitano e indice di un'esigenzapsicologica insuperabile, che tuttavia fa a pugnicon quella della ubiquita.

un 'corpo' di riferimento, 0 a pretendere di esserlo(con sempre maggiore fatica, poiche nell'indiffe-renza del territorio e ormai pressoche impossibileemergere davvero). Si moltiplica, allora, l'enfasi,la retorica del contenitore, e pili questa aumenta,pili risalta la sua poverta simbolica. La persisten-za di questi spazi chiusi, la resistenza che questi'corpi' esercitano contro il dispiegarsi della vitapost--metropolitana, e sempre pili chiaramenteintollerabile. Spazio chiuso, naturalmente, non esoltanto l'edificio definito in base a una funzio-ne, a una sola 'proprieta'; e anche, e pili ancora, ilquartiere 'residenziale' e basta; spazi chiusi sonoi parchi divertimento, dove il divertimento stessoviene 'cronicizzato', come la malattia negli ospe-dali, l'istruzione nelle scuole 0 nei campus, la cul-tura nei musei e nei teatri.

II fenomeno e particolarmente evidente nel-l'evoluzione della citta americana, ma 10 e un po'dappertutto. Di fronte all'intensificazione, forseinsostenibile, di questa vita nervosa e nell'impos-sibilita di trovare luoghi nello spazio-tempo delterritorio, chi puo vive per una parte della suagiornata in questa mobilitazione universale e poifugge in quelle che i sociologi americani chiamanoIe gated communities (comunita chiuse). Ci si chiu-

Questo problema e stato affrontato, ma Ie rispo-ste continuano ad apparire inadeguate. L'esisten-za post-metropolitana continua ad essere 'conge-lata' in spazi chiusi. Ai contenitori tradizionali sene aggiungono altri, ma con la medesima logi-ca. I contenitori si dispongono secondo ordini emotivazioni diverse rispetto a quelle che ancorapresiedevano l'organizzazione metropolitana, macontenitori rimangono. Aumenta l'occasionalita,l'apparente arbitrio della loro collocazione, ma laloro qualita e sempre quella: ognuno ha proprietarelativamente fisse, statiche. Continua ad essere

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de da qualche parte, ci si rinserra la sera, appena illivello di reddito 10 permette, in un luogo-prigio-ne.Quanto pili fisiologicamente in-secura e la vitanella citta-territorio,tanto pili si cerca il sine-curaimpossibile delIa" dimora".

In Italia siama solo agli inizi, ci sana ancora po-chi esempi di questa fenomeno, ma negli USA edilagante. I ricchi hanna abbandonato Manhattan,vanna nel paesetto del New Jersey e passano comein un fortina la serata alIa TV,e il giorno dopa sireimmettono nel traffico metropolitano: questa ela loro vita. Questa bisogno di comunita chiuseprobabilmente risponde ad un' esigenza profondadelIa nostra psiche, perche non e facile vivere nel-la mobilitazione universale, vivere in una metricasemplicemente temporale.

Ma la contraddizione e evidente: se 10 spaziochiuso dice, per un verso, bisogno di comunita,per l'altro dice bisogna di privacy: sia quanta astile dl vita sia quanta a concezione e pratica deldiritto.

Come facciamo a parlare di citta, cercando didare a questa termine una valenza comunitaria, sela citta e regolata da forme di diritto privata? Se ecosl, allora e solo un insieme di persone che intrec-ciano relazioni sulla base del reciproco interesse,

come delle aziende che si relazionano attraversoi contratti commerciali. E che la teoria del dirittopubblico si vada riducendo a forma contrattuale,e ormai processo inevitabile. Pero e un bel proble-ma, perche allora la nostra non e una p6lis a unacivitas, ma, come diceva Platone,si riduce a unasemplice sinoichia, una coabitazione. Siamo dellepersone indifferenti Ie une aIle altre, che pero coa-bitano; regoliamo i nostri rapporti sulla base deldiritto privata. Ma se e cOSInoi ci "muoviamo"in qualcosa che ci ostiniamo a chiamare citta,ma"sostiamo", abitiamo in un condominia.

Siamo a questa punta? Qualcuno dice che l'in-differenza del condominia e il minor male, percheladdove ci sana legami forti, simbolici,abbiamosempre finito col farci la guerra, mentre nel con-dominia al massimo si fanno baruffe. Nella radi-ce del condominia c'e solo la pluralita, mentre inquella delIa citta c'e probabilmente anche polemos,la guerra. Insomma, Ie guerre civili sana pili fre-quenti nelle citta che nei condomini E questa po-trebbe anche far ben sperare.

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di connessione, la mobilita, ecc.. Ma sempre piliqueste polarita possono organizzarsi ovunque.Gli eventi prodotti dalle decisioni di investimen-to produttivo, commerciale, amministrativo, ecc.,possono localizzarsi ormai senza tener conto degliassi tradizionali di espansione delIa citta. I ruolidi centro e di periferia possono scambiarsi inces-santemente; e questi scambi avvengono occasio-nalmente, 0 sulla base di logiche mercantili e spe-culative, che rifiutano ogni 'griglia' precostituitadi funzioni. II territorio continua a 'specializzar-si', ma al di fuori di ogni progetto complessivo. Edavvero la morte di tutte Ie 'codificazioni' del Mo-vimento Moderno, del suo pensare la citta comeaggregazione successiva di elementi, dalI'abita-zione alI'edificio, al polo funzionale, alIa citta in-tera come 'contenitore di contenitori'. E la mortedi ogni astratta tipologia.

Che significa questo? E necessariamente la finedi ogni 'forma' comunitaria, 0 un processo di li-berazione dai vincoli che la caratterizzavano? Euno scatenamento degli "spiriti animali" del siste-ma, oppure proprio esso fa segno ad un intellettogenerale capace di 'riprendere terreno' in formediverse dal passato, libero da ogni fisso, terraneoradicamento? In altri termini, il territorio post-

fIChe cosa abitiamo noi oggi?" si chiedono iteorici pili avveduti. Abitiamo citta? No, abitia-mo territori. Dove finisce una citta e ne cominciaun'altra? I confini sono puramente amministrati-vi e artificiali, non hanno alcun senso ne geogra-fico, ne simbolico, ne politico. Abitiamo territoriindefiniti, e Ie funzioni vi si distribuiscono alI'in-terno, al di la di ogni logica programmatoria, aldi la di ogni urbanistica; si localizzano a secon-da di interessi speculativi, di pressioni sociali, manon secondo un disegno urbanistico, che, anchenei grandi maestri delI'urbanistica, derivava pro-prio dal fatto che si poteva ragionare sulla base diquelle fondamentali funzioni. Pili che scomparse,quelle funzioni si sono diffuse e disseminate: lade-industrializzazione, la fine di quelle presenzeproduttive colloro carattere massiccio, ha prodot-to non la scomparsa delIa produzionemail fattoche essa non sia pili concentrata in alcuni spazi,essendo ovunque, essendosi disseminata. AncheIe funzioni di scambio sono dappertutto.

Certo, polarita esistono ancora in questo 'spa-zio'; esistono ancora attivita che possiamo defini-re 'centrali', e che orientano intorno a se Ie forme

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metropolitano e la negazione di ogni possibilita diluogo oppure potranno 'inventarsi' luoghi propridel tempo in cui la loro vitalita sembra essersi ne-gata?

La citta e ovunque; ergo, non vi e pili citta Nonabitiamo pili citta, ma territori (verrebbe da usareun'etimologia sbagliata! territorio da terreo, averpaura, provare terrore). La possibilita stessa di fis-sare confini alIa citta appare oggi inconcepibile, a,meglio, si e ridotta ad un affare puramente tecni-co-amministrativo. Chiamiamo citta questa' area'per ragioni assolutamente occasionali. I suoi con-fini non sana che un mero artificio. II territoriopost-metropolitano e una geografia di eventi, unamessa in pratica di connessioni, che attraversanopaesaggi ibridi. II 'limite' delIa spazio post-metro-politano non e data che dal'confine' cui e giuntala rete delle comunicazioni; man mana che la retesi dirada possiamo dire di 'uscire' dalla post-me-tropoli, ma e evidente che si tratta di un 'confi-ne' sui generis: esiste soltanto per essere superato.Esso e in perenne crisi.

In questa sensa si puo dire, can una formula pa-radossale, che viviamo in un territorio de-territoria-lizzato. Abitiamo dei territori la cui metrica non epili spaziale; non c'e pili alcuna possibilita di de-

finire, come per la metropoli antica, i percorsi didiffusione a di 'deliria' secondo assi spaziali pre-cisi (qui il centro, Ii la periferia). II madelIa d'ir-radiazione dal centro, secondo determinati assi,prevedeva che a mana a mana che si usciva dalcentro, lungo vie ben definite,quasi antichi canali,incontravi Ie funzioni residenziali, industriali, ecc.Queste logiche, tipiche della sistemazione urbanae metropolitana, sana tutte saltate. Le stesse fun-zioni si possono ritrovare dappertutto, specie se siaccentua il grande problema del riuso dei vecchispazi industriali; si possono allora trovare funzio-ni ricchissime e centraIi nell'antica periferia (vediil caso della Pirelli a Milano, dove puo sorgere ...la Scala!). Ogni metrica tradizionale e completa-mente saltata. Non c'e nessun disegno urbanisticoin base al quale si fa la Scala a Sesto San Giovanni;occasionalmente Ii si e determinato un vuoto cheandava coperto, ed e sorta I'occasione per farIo; infuturo potra essere coperto can un supermercato,can un ufficio, can una universita e COS1 via. Nonsi sa, non si puo sapere, non e predittibile cosa ac-cadra per coprire quel vuoto.

La sviluppo della citta da metropoli a territorionon e dun que programmabile: questa e il drammadi tutti gli architetti e gli urbanisti. La difficolta

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non dipende dalla loro incapacita 0 dalla volontapolitica degli amministratori, dipende dall'impos-sibilita di programmare. Anche perche travalicaogni confine amministrativo; i confini ammini-strativi sono tutti fittizi, artificiali, ma continuanoad esserci, e cia rende ancora pili impossibile unaseria programmazione perche non e in nessunmodo dato di sapere-calcolare dove,per esempio,finiscano i confini di Firenze e dove inizia Scan-dicci.

La perdita di 'valore simbolico' delIa citta cresceproporzionalmente; assistiamo, 0 ci sembra di as-sistere, a uno sviluppo senza meta, cioe, letteral-mente, insensato, ad un processo che non presentaalcuna dimensione 'organica'. E davvero la metro-poli dell'intelletto astratto, domina to soltanto dal'fine' delIa produzione e dello scambio di merci. Eassolutamente 'naturale' che il 'cervello' di un talesistema consideri ogni elemento spaziale come unostacolo, un'inutile zavorra, un residuo del pas-sato, da 'spiritualizzare', da 'volatilizzare'. Ma,nello stesso tempo, e per la medesima ragione, ciaproduce l'improgrammabilita dell'insieme. Suinessi tra Ie parti,sulla logica delle relazioni, che el'essenziale, nessuno e sovrano. Domina il giocoper definizione imprevedibile degli interessi pri-

vati. La'occupazione" del territorio non conoscepili alcun nomos (poiche nomos, legge - non di-mentichiamolo - significa all' origine suddivisione- spartizione di un territorio 0 'pascolo' [nomos]determina to).

Chi e stato a Tokyo, a San Paolo, a Shanghai sache non ha pili alcun senso parlare di citta. Sonoterritori, e noi abitiamo ormai territori la cui me-trica non pili alcun senso spaziale, ma solo sem-mai temporale. Tutti i nostri conti Ii facciamo inbase al tempo, non allo spazio; nessuno indica pilila distanza da una citta bens! il tempo che s'impie-ga a raggiungerla. Lo spazio e diventato soltantoun ostacolo. Certo esso si vendica di queste no-stre metriche temporali, perche 10 spazio possiedeun'inerzia, come sapevano sempre i filosofi:non cisi puo completamente sradicare e volare, almena,per il momenta, per coprire piccole distanze. Lavendetta dello spazio e che noi 10 sentiamo comeun impedimento, una dannazione. Pensiamo, in-fatti, alIa felicita come all'essere ubiqui. Questoe un grande problema, perche da un lato la no-stra mente ormai ragiona in termini di ubiquita, e

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quindi vive 10 spazio come una dannazione, d'al-tra parte chiediamo che la citta si organizzi perluoghi e per di pili accoglienti.

Ma come fanno dei luoghi accoglienti, simboli-camente ricchi, a non costituire degli ostacoli spa-ziali? Chiediamo di attraversare la citta in temporeale, e pera vogliamo che sia bella. Non e possi-bile costruire in un luogo il cupolone del Brunel-leschi e nello stesso tempo che esso sia attraversa-bile all'istante. Cia pua accadere solo in una cittapuramente virtuale, con un bello disincarnato,come quello che s'erano immaginati alle porte diVenezia per i giapponesi: sbarcati dall'aeroporto,invece di andare in citta, sarebbero entrati in unaspecie di sala cinematografica tridimensionale eavrebbero visto un film su Venezia.Certo una cittacome Venezia resiste alla trasformazione in puravirtualita, ma questo e un grandissimo problemaperche gia 10 sforzo nella citta moderna era quel-10 di trasformare la citta in via (alla fine dell"800la trasformazione di tutte Ie grandi citta europeeconsisteva in questo).

Oggi abbiamo necessita di trasformazioni piliancor pili radicali, perche la domanda di mobili-ta e cresciuta COS1a dismisura grazie alle nuovetecnologie da entrare in conflitto con 10 spazio,

soprattutto laddove esso e resistente oppure nontrasformato in precedenza.

Inoltre, nello spazio post-metropolitano Ie fun-zioni assumono l'aspetto di eventi, anche per latrasformazione rapidissima del territorio stesso:pili che localizzare una funzione n avviene qual-cosa, si costruisce un supermercato che e un even-to e nel giro di qualche anno al posto del super-mercato sorge dell'altro. COS1a Shanghai, COS1aTokyo, ci sono eventi pili che edifici: e uno spazioche si organizza secondo misure temporali pereventi e il territorio si presenta come una collazio-ne di eventi. E' l'ultima fase della citta moderna,nel suo evolversi metropolitano, irradiante dalsuo centro,capace di travolgere ogni antica persi-stenza.

Ma si assiste a un fenomeno che, a un certo pun-to, appare irreversibile: questa espansione si fasempre pili occasionale, sempre menD program-mata e governabile. Pili la 'rete nervosa' metropo-litana si dilata, pili divora il territorio circostan-te, pili il suo 'spirito' sembra smarrirsi; pili essadiventa 'potente', menD sembra in grado di ordi-nare-razionalizzare la vita che vi si svolge. L'in-telletto metropolitano subisce una sorta di 'crisispaziale', che e perfettamente analoga a quella

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che subisce 10 Stato Leviatano, 10 Stato modernonella sua sovranita territorialmente determinata.I poteri che determinano la crescita metropolitanafaticano sempre pili a 'territorializzarsi', a 'incar-narsi' in un ordine territoriale, a dar vita a formedi convivenza leggibili-osservabili suI territorio,spazialmente.

Sichiede agli abitanti del territorio di reagire conimmediatezza, come un "sano" sistema nervoso,al variare dello stimolo, al variare della presenzaodella forma con una velocita che non ha nessunparagone con altro momenta della nostra civiltaurbana. E tuttavia continuiamo a chiedere alla no-stra citta, di offrirci luoghi di accoglienza,"lunghedurate", come se la nostra corteccia cerebrale daun lato avesse sviluppato queste forme di mobi-lita impetuosa, violenta, ma dall' altro in qualchezona profonda del cervello continuasse ad esserciilbisogno di casa, di protezione: una dissociazioneche ormai attiene alla nostra struttura fisiologica.

Ma intanto il tempo della metropoli contrastadrammaticamente con la sua organizzazione spa-ziale, con la 'pesantezza' dei suoi edifici, con lamassa dei suoi contenitori. Le masse della metro-poli non si trasformano in energia, ma anzi l'as-sorbono, la consumano. Esattamente I'opposto di

cia che avveniva nella citta, dove esisteva corri-spondenza tra i tempi delle funzioni, dei lavori,delle relazioni, e la qualita delle architetture, dovel'architettura arricchiva, potenziava la qualita del-l'insieme. Dobbiamo ritrovare questa corrispon-denza, ma e impossibile fado riproponendo unaforma urbis tradizionale. Dobbiamo 'inventare'corrispondenze, analogie tra il territorio post-me-tropolitano, in cui viviamo, ed edifici, luoghi dovepoter abitare; dobbiamo 'inventare' edifici che sia-no luoghi, ma luoghi per la vita post-metropolita-na, luoghi che ne esprimano e riflettano il tempo,il movimento.

Viviamo ossessionati da immagini e miti di ve-locita e ubiquita, mentre gli spazi che costruiamoinsistono pervicacemente nel definire, delimitare,confinare. Abbiamo bisogno di luoghi dove abi-tare, ma questi non possono essere spazi chiusiche contraddicono il tempo del territorio in cui, cipiaccia 0 meno, viviamo. Quale intrico di difficol-ta e di problemi!

Lo spazio metropolitano era ancora, per usareuna metafora tratta dalla fisica contemporanea,

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uno spazio 'a relativita ristretta'; quello del territo-rio post-metropolitano dovra essere uno spazio a'relativita generale'. Qui non solo qualsiasi edificiodeve poter valere come corpo di riferimento, ma icorpi debbono potersi 'de-formare' 0 trasformaredurante illoro movimento. La distribuzione dellamateria in questo spazio mutera cosl costantemen-te e imprevedibilmente. Lo spazio complessivorisultera dall'interazione dei suoi diversi corpi:elastici, 'de-formabili', capaci di 'accogliersi' l'unl'altro, di penetrare gli uni negli altri, spugnosi,molluscolari. Ognuno sara polivalente non solo inquanto ingloba in se diverse funzioni, magari 'con-finandole' di nuovo al suo interno, imprigionando-Ie in se, ma in quanto intimamente in relazione conl'altro da se, in quanto capace di rifletterlo. Ogniparte, in un tale spazio, e come una monade cheaccoglie in se l'intero, che tiene in se la logica del-l'intero: una individualita universale. Non si trattaaffatto, percio, di un' operazione tutta ideologica disoppressione del confine: qualsiasi corpo presentaconfini, pena l'annullarsi. Ne si tratta di confonde-re 'anarchicamente' Ie relazioni tra i diversi tempidei diversi luoghi. Si tratta piuttosto di accordaresenza confondere, facendo vivere l'intero, la formadell'intero, nella qualita di ogni parte.

Non potremmo mai sentirci abitanti in luoghisegregati dal complesso del territorio; in luoghi'protetti' finiremmo col sentirci ancora pili alienatiche in un vagone di metropolitana. Non cerchia-mo luoghi separati, chiusi, protetti, per sentirci acasa. E neppure, appunto, potremo mai abitareun treno, un' automobile, una stazione, un aero-porto ... Potremmo forse abitare 11dove la compiu-tezza formale delluogo s'accorda all'universalitadelle informazioni che vi riceviamo, laddove l'in-dividuale stesso ci comunica l'universale. Possi-bile immaginarlo? Dobbiamo progettare i nostriedifici come insediamento nell'anti-spazio dellarete informatica, come nodi della rete, poliva-lenti, interscambiabili. Dobbiamo costruirli comesensori, quasi interfacce di computer. Pili ricca ecomplessa sara l'informazione che ne riceviamo,pili mobile nel tempo, menD 'radicata' a proprietarigide, pili problemi ci suscitera la loro presenza,pili essi risponderanno all'esigenza insopprimibi-Ie dell' abitare.

Ma l'abitare nostro, di questo tempo - del tempodel "general Intellect" e della Mobilitazione uni-versale - non e, ne mai diventera, l'utopia del to-tale sradicamento del tempo da ogni metrica spa-ziale e della disincarnazione della nostra anima.

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Queste sono cattive gnosi, figlie di un'ingenuafede 0, meglio, di una superstizione nel 'progres-so tecnologico'. Per il territorio post-metropolitanoabbiamo bisogno di quella architecturae scientia dicui gia padavano gli antichi: capacita di costruireluoghi adeguati all'uso, luoghi corrispondenti aIleesigenze e ai problemi del proprio tempo.

Allora politici e architetti dovrebbero cercare disuperare la monofunzionalita, pensare ad edificidavvero polivalenti. Esiste invece ancora l'ospe-dale, la scuola, l'universita, il museo, il teatro,gli uffici del Comune: si continua a progettare ea intervenire architettonicamente, politicamente,urbanisticamente, per separatezze, creando corpirigidi. Cia solo il fatto di dire che l'edificio dev'es-sere polifunzionale, che deve servire a pili usi,chedev'essere usato da persone e funzioni diverse(giovani, vecchi, uno che fa un mestiere, uno chene fa un altro), gia questo renderebbe quelluogopili coerente con la forma di vita attuale.

Del resto gia una volta, a Firenze 0 a Venezia,la residenza non era mai solo tale, era anche ma-gazzino, negozio, bottega. La meravigliosa poli-funzionalita del monastero era molto pili avantidelle cose che facciamo noi: era ospedale, alber-go, luogo di culto, stazione, posta, mercato, scuo-

la, universita, tutt'insieme. Noi invece, come si egia osservato, clinicizziamo tutto: la clinica per Ieopere d' arte, quella per gli studenti, l'altra per imalati, per i patiti d' opera che vanno a teatro. Tut-to e rigido in un territorio in cui non c'e pili alcunluogo. Da parte del pubblico s'avverte il bisognodi dare valenze simboliche alIa citta, allora il poli-tico-amministratore risponde con teatri, universi-ta, ospedali, ecc. E "soffrendo" il gia-costruito, lacitta esistente, che occupa spazio per Ie sue strade,i suoi parcheggi e i suoi nuovi "contenitori". Die-tro i quali non esiste pili la persona e la comunitatra persone. Al pili, esisteranno "comitati" di inte-resse, a difesa di interessi assolutamente privati.Un luogo assume valore simbolico, all'opposto,quando esiste tra Ie persone un ethos comune, senon una vera religio civilis. E' impossibile altri-menti costruire palazzi comunali, tribunali, teatri.E anche chiese. Non e insomma possibile costruiredei luoghi che abbiano valenza simbolica in unospazio post-metropolitano. Bisogna forse iniziarea progettare a bassa voce, modestamente, "in bor-ghese", rinunciare aIle grandi pretese simboliche,che minacciano ad ogni istante di cadere nel ri-dicolo. E provare a combinare pili funzioni nelcostruire edifici. Se questo dia soddisfazione alIa

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nostra esigenza di luoghi non saprei dido. So cheoggi viviamo in queste contraddizioni stridenti, inqueste dissociazioni.

LA PROSPETTIVA GNOSTICA:l' ABITARE UMANO TRA TERRA E CIELO.

B enche sembri nostra convinzione eterna nonpoter fare a menD dello spazio esterno, non e

detto che non ci si riesca. Non e questa forse l'aspi-razione fondamentale delIa nostra civiWt?Non eun caso che, per quante sottigliezze storiografichesi possano immaginare, il tono fondamentale del-Ia nostra cultura, greca, ellenistica, cristiana, e ilsospetto e il dubbio sulle "ragioni del corpo",senon illoro rifiuto.

La prospettiva gnostica di de-territorializzarei corpi e davvero l'ideologia dominante oggi nelprogetto tecnico-scientifico. II nostro destino con-siste in un radicale sradicamento da ogni condi-zione terranea. Se si riflette sulle dominanti delIacultura contemporanea, questo si nota dovunque:dal discorso appena fatto sulla citta alIa rappre-sentazione artistica astratta, allo spirituale nelI'ar-te, si manifesta 10 sradicamento dalle condizioniestetico-sensibili. Siamo circondati da ordini senzaradicamento (Ordnung senza Ortung, come direb-bero Schmitt 0 Junger). Questa prospettiva gnosti-

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ca domina ovunque. Non ha nulla a che fare canla prospettiva giudaica e giudaico-cristiana origi-nale; pero e impossibile non vedere la presenza diquesta pensiero nella sviluppo dell'Europa e delIacristianita. Infatti la filosofia e la teologia cristiananon e disgiungibile, nei suoi sviluppi, dal plato-nismo e neoplatonismo. Pur non essendo duali-stica, non c'e dubbio che la prospettiva del pla-tonismo cristiano esiga il ritorno alIa patria nonterranea. Siamo cives futuri, la vera cittadinanza enel futuro, questa e Agostino, e tutta la tradizionecristiana. La nostra radice e in alto (arbor inversa:un albero capovolto). La nostra cittadinanza, lanostra polit€ia, e nei cieli. C'e una fondamentaleriserva rispetto ad ogni radicamento terrane 0, adogni possibilita di dire 'la mia patria e qui'. Questadubbio radicale nei confronti di ogni cittadinanzaterranea e la ragione per cui i romam ritenevano'atei' gli ebrei e i cristiani, rifiutando questi di ri-conoscere il valore delle divinita pagane, inclusequelle delIa civitas nel suo carattere mobile, auge-scens. I cristiani rifiutavano di rendere il culto alIacitta, perche questa citta non e la Citta celeste.

I romam sana sempre stati tolleranti can tuttii culti, non c'e segno delIa minima persecuzionenei confronti di nessuna religione in tutta la sto-

ria romana, fuorche nei confronti dei cristiani. Evero che i romani hanna operata massacri anchenei confronti degli ebrei (ne170 e nel140 d.C); mala ragione e che questi si sana piu volte ribellati.Invece Paolo invita i cristiani a non fare la guerraall'impero, e in secoli di persecuzione non c'e unsolo "attentato" cristiano all'autorita romana. Lagrande strategia cristiana e stata di disfare l'impe-ro romano dall'interno, senza la minima opposi-zione politica, senza mai scendere suI suo terreno,come invece gli ebrei. Gli ebrei combatterono avolte l'impero in nome dell'atteso regno messia-nico di stampo nazionalista; i cristiani intesero so-stituirlo attraverso l'attesa escatologica del regnoceleste.

Giuliano l'apostata e un caso del tutto anomalo,e un vera reazionario, non e un romano, e un gre-co, e in feroce polemica contra il Senato romano,e per la polis, vede la grecita ancora come propriastirpe. Non ama Roma ma Atene, non ama la cittache cresce e si espande, e un nostalgico delle letteree delIa polis. La sua e un'utopia regressiva e non sipuo leggere come reazione romana al cristianesi-mo. Grande romano e invece Costantino che cercaappunto can il cristianesimo di alimentare la reno-vatio imperii can sede aRoma; e la cosa sembra riu-

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scirgli. Costantino spera che, diventata particolar-mente forte e potente, possa, come Iealtre religioni,costituire carburante nuovo, nuovo alimento nellagrande fucina del diritto romano.

Ma cos! non fu, perche l'universalismo cristia-no e intransigente. Cosa stupefacente anche peril patriziato romano, il cristianesimo, una voltapienamente legittimato e riconosciuto, imponeper la prima volta nell'ambito dell'impero unareligione di Stato. II concetto di religione di Sta-to e tipicamente cristiano, Roma non 10conosce,aRoma c'erano numerosi culti. Cie impedisce larealizzazione del disegno costantiniano cos! comeCostantino l'aveva auspicato.

Quando alcuni scienziati sostengono che il no-stro destino non e terraneo e che noi siamo inevi-tabilmente chiamati a colonizzare tutto l'universo,che la nostra casa non e il pianeta-terra, questo e iltimbro fondamentale di tutte Iegrandi gnosi. Eunagnosi secolarizzata, la dottrina salvifica gnosticae sostanzialmente nichilistica, cioe non e un finedeterminato, una civitas futura precisa, ma quelladelIa gnosi e proprio una nostalgia dell' andare,dello sradicarsi infinito, delIa spiritualizzazione.La Vergeistung, la trasformazione di tutti i nostrirapporti comunitari in rapporti spirituali, cioe de-

territorializzati, incorporei, e il tratto caratteristicodelIa metropoli, come insegnavano i grandi socio-logi di fine Ottocento. I nostri scambi avvengonosempre pili in una dimensione comunicativa cheevita la mediazione corporea. Lo spazio che si vavia via contraendo, "catastrofizzando"in tempo,potrebbe subire una sorta di collasso gravitazio-nale, una contrazione, uno spasmo.

Ci sono civilta in grado oggi di controbattere aquesta tendenza fondamentale? L'Islam e una re-ligione universalistica esattamente come il cristia-nesimo, il suo scopo e di realizzare il Dar-el-Islam(la terra dell' Islam) su tutto il globo. Da questopunto di vista e un concorrente, ma la concorren-za non e controtendenza. L'Islam dunque non e'l'altro'.

La distinzione secondo cui la globalizzazionenon e I'occidentalizzazione del mondo, e una del-le tesi pili discusse e discutibili, perche finora none data nessun a evidenza empiric a che la sostenga.Finora la globalizzazione e stata occidentalizza-zione. Huttington dice: se la globa1izzazione saraoccidentalizzazione, ci sara 10 scontro di civiltaperche quelli che non si riconoscono nella civil-ta occidentale si opporranno alIa globalizzazione.Egli non nega pere che la globalizzazione si sia

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finora realizzata come occidentalizzazione. Sotto-linea anzi che tutte Ie resistenze finora incontratedalla globalizzazione derivano dal fatto che essa sipresenta come occidentalizzazione. Da cia Ie rea-zioni, in particolare dell'Islam. E possibile pensareuna modernizzazione che non sia occidentalizza-zione, sapendo che ormai Occidente non ha alcunsignificato geografico, e dobbiamo intenderlo solocome dominio delIa tecnica, delIa razionalita tec-nico-scientifica totalmente anonima, impersona-Ie? Da Max Weber in poi bisogna ragionare COS1

quando si pensa all'Occidente. Questo Occidentesi va globalizzando. C'e una via al dominio delIarazionalita tecnico-scientifica che non sia occiden-tale? E possibile la scissione tra tecnico-economicoe cultura? Da un punto di vista storico e filosoficoe una sciocchezza sostenere la scissione, perchesignifica interpretare 10 sviluppo tecnico-scienti-fico-economico occidentale come qualcosa di to-talmente astratto da ogni presupposto culturale,filosofico e religioso.

Alcune correnti riformistiche presenti nell' Islamhanno disperatamente cercato di pensare una viaalIa modernizzazione non occidentale, scindendol'aspetto tecnico-economico da quello culturale(interiorizzare la tecnica, la razionalita scientifi-

ca, il meccanismo di mercato dell' occidente, con-tinuando ad essere islamici). Non ci si e riuscitinel modo pili assoluto. Questo tragico fallimentoderiva dai vizi originari delIa colonizzazione, del-l'imperialismo, 0 deriva da incapacita politica, damiopia culturale? E certo che un'interpretazionein chiave meramente tecnico-economica delIa tec-nica edell' economia e insostenibile suI piano sto-rico e filosofico, poiche sappiamo che La Tecnica ein se massimamente filosofica,e il prod otto di unavisione del mondo, di secoli di filosofia, di teolo-gia, di cultura e di civilta. Ne e prova, tra l'altro, ladiversa reazione suscitata dalla globalizzazione indifferenti contesti culturali. Sembra che nei paesiislamici, in certi paesi africani ecc., la possibilitadell'introduzione delIa razionalita tecnico-scienti-fica possa produrre infarto delle forme culturalipre-esistenti, mentre non e stato COS1 nell' Orienteasiatico e in Giappone, dove Ie culture preceden-ti sono rimaste vive in qualche modo all'internodel processo di occidentalizzazione. Le loro formedi cultura, di civilta e di religione, permettevanoquesta simbiosi. Non e detto, quindi, che la razio-nalita occidentale distrugga Ie forme culturali pre-cedenti, ma non si pua altrettanto affermare che cisia una separabilita di principio tra l'aspetto cul-

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turale e quello tecnico-economico di una civilta.Ritorna qui, nella sua figura piu drammatica, il

problema dei rapporti tra spazio e tempo. Si ponecioe la questione se sia raggiungibile un nuovoordine spaziale a partire dall'assunzione del pri-mato del tempo nelle nostre esistenze, nella nostraesperienza vissuta. Anzitutto, non possiamo dareper scontato che questo trionfo del tempo non sidispieghi fino alle estreme conseguenze. Questoesercizio mentale per cui davvero il tempo possasussumere in se l'esperienza spaziale, non e unadomanda filosoficamente vuota. Kant mantieneun difficilissimo equilibrio fra spazio e tempo,ma anche in lui finisce per essere riconosciuto ilprimato del tempo, perche Ie forme dello sche-matismo, che sono il perno delIa ragione pura edi tutta la filosofia kantiana, e che garantisconoil passaggio dalle categorie al fenomeno permet-tendo dunque la costruzione di una scienza delIanatura, sono forme del tempo; 10 schematismo av-viene nel tempo, non nella spazio. E poi il tempodomina la filosofia contemporanea: in Essere e tem-po Heidegger riconosce che l'unica via di acces-so all'essere e temporale, mentre 10 spazio nellastessa opera e considerato come prodotto, puraimmagine delIa temporalita dell'esserci, come se

mancasse qualunque topologia. Da questa puntodi vista c'e un nesso forte fra Rosenzweig, filosofoebreo, e Heidegger, come se il primo anticipasse ilsecondo sostenendo che la prepotente affermazio-ne del tempo produce tutto l'insieme delle nuove,particolari esperienze spaziali.

Questa potrebbe essere una via di ricerca, nonc'e dubbio. Perche il tempo possa aprirsi a que-ste nuove dimensioni spaziali occorre che sia untempo particolare. Non puo essere un tempo kan-tiano, forma a priori come 10 spazio, indifferenteed equivalente in tutti i suoi istanti; dev'essere iltempo liturgico, che e discontinuo, costantemente'deciso', un tempo ri-tagliato, non indifferente eomogeneo. II tempo di Kant, come 10 spazio, e unadimensione omogenea e indifferente in tutti i suoipunti, il tempo di Rosenzweig e quello liturgico,che afferma che un giorno e diverso da un altro.Se si ha un'idea di tempo di questo genere, allo-ra quel tempo si puo combinare ad uno spazio,altrimenti no. Altrimenti si riflette su quello spa-zio-tempo indifferente e vuoto in cui ogni puntoequivale all'altro ed e misurabile sulla base degliassi cartesiani. Quindi per avere un'esperienza li-turgica del tempo, e per avere un'idea di tempoche permetta la sua traduzione in spazio, occorre

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ethos ed ethnos, ebraismo. E nella polemica di Ro-senzwieg nei confronti del cristianesimo si affer-ma appunto che i cristiani hanno uno spazio litur-gico apparente, poiche per essi la civitas peregrina,pur essendo scandita, non ha radici etniche, nonha un ethos: cristiani si diventa, ebrei si nasce, diceRosenzweig a ragione.

Sequesta prospettiva per noi minaccia 1'"infarto",come possiamo rimediare? L'inserimento di un tem-po liturgico forte, certo che e una via d'uscita. Perose abbiamo in mente 10schema di Rosenzweig, ebene ricordare che quello schema si afferma comeproprio dell' ebraismo, non anche del cristianesimo.E su questa punto, e su pochi altri fondamentali,che Rosenzweig, dopo vari approcci al cristianesi-mo, se ne distacca, vedendo 1'incompatibilita fra Iedue vie. Puo allora la liturgia trattenere 1'infarto?Che il cristianesimo veda la terra come spazio dimissione, per usare un' espressione di Rosenzweig,e che quindi sia davvero nel senso della globalizza-zione, pare indubitabile. Ci sono vari modi e formedi intendere questa terra come terra di missione,ma non esiste la possibilita da parte di un cristianod'intendere la terra come ethnos. (Era questa l'eter-na polemica con 1'amicoSergio Quinzio).

-72 -

Qua1cuno si chiedera se in tutta questa pro-blematica urbanistica sia ancora presente

l'esigenza di bellezza che sembra avere da semprecaratterizzato l'idea e la pratica dell'abitare.

Rispondo che bisogna intendersi suI termine'bellezza',intorno ai suoi significati. Le bellezzesono tante, come tante sono Ie forme della citta.Oggi siamo alla ricerca di un bello che si colloca inuna dimensione puramente estetica (bello e cia chepiace, che e gradevole), ma la bellezza non ha soloquesta significato fenomenico-estetico. Nella clas-sicita non era COSl: ka16n aveva tutt'altro significatoper il greco antico. Ka16n significava 'guarda comee costruito forte', 'guarda come sta eretto', 'guardacome e ben radicato': questo esprimeva il termi-ne. Qua1cosa che e formato, articolato, costruitoin modo perfetto, e percio puo durare. E non eraun giudizio soggettivo, doveva invece emergereobiettivamente. Allora cosa vogliamo dalla nostracitta? che sia bella in questa secondo significato?Perche possa emergere un bello in questa accezio-ne, bisognerebbe che i nostri edifici esprimessero

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pienamente la nostra vita, Ie sue ragioni, altrimen-ti il bello e una cosa incatturabile e indefinibile.Nel significato c1assicodel kal6n c'erano dei metri,delle misure, dei canoni, un solido fondamentooggettivo, non una soggettiva adesione estetica.Quell' edificio rientra 0 non rientra in quel grandel6gos? Rispetta quell6gos che trascende ogni operaparticolare oppure no? Una statua, un tempio erabello se corrispondeva a quei canoni che trascen-devano la posizione estetica soggettiva.

11 c1assicoe anche varieta di forme, e puo essereconcinnitas, un canto sinfonico (cum cano: canto in-sieme). L'idea del bello come concinnitas emergenel'400-'SOO.Dobbiamo andare in quella direzio-ne. Sperimentarla di nuovo.

Lanostracitta da questopunto di vistae,invece,lapatria della varietas. Cia nei grandi trattati archi-tettonici del'SOO(e poi nella costruzione della cit-ta barocca) viene menD il canone e ogni norma eartificiale, convenzionale. Nella citta intesa cometerritorio il nostro bello e affidato alla varietas.Non possiamo assolutamente pensare di restau-rare delle misure, dei l6goi, delle relazioni, che ab-biano valore canonico. Le nostre norme, misure,metriche, non possono avere che un carattere ar-tificiale, convenzionale. E impossibile rimontarela corrente e costruire monumenti. Ma la varietaspuo essere una varietas che piace. L'Alberti stesso,nell' opera De re aedficatoria, dice: "guardate che ilc1assiconon e quello che pensano gli antiquari".

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POLIS E CIVITAS: LA RADICE ETNICA E LA CONCEZIONE

MOBILE DELLA CITTA . . . . . . . . . . . . . 7

LA ClTrA EUROPEA: TRA DIMORA E SPAZIO DI

NEGOTIUM . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

II corpo e illuogo . . . . . 37Spazi chiusi e spazi aperti. 44II territorio indefinito . . . 48Spazio e tempo . . . . . . 53Un'indicazione: la polivalenza degli edifici. 57

LA PROSPETTIVA GNOSTICA: L' ABITARE UMANa TRA

TERRA E ClEW . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 63

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22. MAURIZIO ALIOTTA - ANGELA LIA,

10Paolo scrivo a voi ragazzi.Una lettera di Saulo di Tarso (2007-2008)

23. MAClE) BIELAWSKI,

La luce divina nel cuore. 1ntroduzione alIa Filocalia (2007)24. CARMINE DI SANTE, Dio si racconta. L'amore trinitario (2008)25. SALVATORE CURRO,

Dire Dio deponendo Ie pietre. Sullinguaggio religioso (2008)26. DARIO VIVIAN, Non nominare il nome di Dio (2008)27. ARMIDO RIZZI, Giobbe. Un libro Polifonico (2008)28. ROBERTO MANCINI, Desiderare il futuro (2008)29. ANDREA GRILLO - MATTEO FERRARI,

La riforma liturgica e il Vaticano II. Quale futuro? (2009)30. ARMIDO RIZZI, Teologia del Novecento (2009)31. ANDREA GAGLIARDUCCI,

La musica dell'altro, sinfonia delle differenze (2009)32. VINCENZO ALTOMARE la parala liberatrice.

La pedagogia di Paulo Freire (2009)

1. CARMINE DI SANTE, Parola che parla (2004)2. CARMINE DI SANTE, Francesco e la musica (2004)3. ARMIOO RIZZI, Laicita. Un'idea da ripensare (2004, II ed. 2006)4. MAsSIMO CACCIARI, La cittil (2004, II ed. 2006, III ed. 2008)5. CARMINE DJ SANTE, Gesu come incontrarlo nei vangeli

(2004, II ed. 2007)6. ALBERTO GALLAS, Bonhoeffer. L'uomo, il teologo, il profeta (2005)7. CARMINE DI SANTE, Eucarestia. L'amore estremo (2005)8. CARMINE DI SANTE,

Parole di luce. Segnavia dello Spirito (2005)9. THOMAS MICHEL, Un cristiano incontra I'Islam (2005)

10. ROBERTO MANCINI, II senso del tempo e il suo mistero (2005)11. SALVATORE CURRO, Decidersi per il dono (2006)12. CARMINE DI SANTE, Coppia e gratuitil (2006)13. ARMIDO RIZZI, Cuomo di fronte alIa morte (2006)14. LUIGI ACCATTOLl- JISO FORZANI,

La compassione Buddhista, il perdono cristiano (2006)15. GIUSEPPE BARBAGLlO, Amore e violenza, il Dio Bifronte (2006)16. ANNA ROSSI-DORIA, Le donne nella modernitil (2007)17. ADRIANA CAVARERO,

II Femminile negato. La radice delIa violenza Occidentale (2007)18. FABRIZIO FABRlZI, Liberare Dio (2007)19. MARCO DAL CORSO, Per un cristianesimo altra (2007)20. LILIA SEBASTIANl,

Nella notte mi istruisci. II sogno nelle Scritture sacre (2007)21. GIANNINO PlANA, La sessualitil umana. Una proposta etica (2007)

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IMPAGINATO E STAMPAlD IN

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