C u l t u ra - dallombra.it · Doponulla Çstato comeprima. Hocambiato ilmio mododi dipingere.Il...

1
. 17 Cultura GdP + INSERTO DEL GIORNALEdel POPOLO ANNO XIV - NR. 4 WWW.GDP.CH SABATO 27 GENNAIO 2018 Music anche a Trieste GIORNATA DELLA MEMORIA/1 Al “Deposito” della Fondazione Matasci per l’arte Quello spicchio di cielo tra libertà e bellezza I 24 disegni inediti che Zoran Music realizzò nel 1945, mentre era imprigionato a Dachau, fanno parte della mostra “Zoran Music. Occhi vetrificati” e sono visibili da oggi, sabato 27, fino al 2 aprile al Civico Mu- seo “Revoltella” di Trieste. L’esposizione è promossa dal Comune di Trieste-Assessorato alla Cultura e cu- rata da Laura Carlini Fanfogna. Comprese in un corpus di pezzi più ampio poi andato disperso, con la fortuna- ta eccezione del nucleo in mostra al “Revoltella”, le opere sono urli silenziosi che cercano di dare forma, e in qualche modo esorcizzare, l’incubo che segnò Mu- sic per sempre. Nei suoi disegni tornano le immagini dei cadaveri, un tempo suoi compagni, ammucchiati nel lager di Dachau. La mostra è anche un’occasione per documentare la realtà di quello e altri campi di sterminio, tramite una selezione di istantanee che l’a- mericana USIS vi realizzò all’arrivo delle truppe allea- te. Info e prenotazioni: museorivoltella.it. Con i disegni da Dachau di DAVIDE DALL’OMBRA «Ma cosa credete, che non veda il filo spinato, non veda i forni cre- matori, non veda il dominio della morte? Sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo, e in questo spic- chio di cielo che ho nel cuore io vedo libertà e bellezza. Non ci cre- dete? Invece è così!». Un grido, quello della Hillesum, che è più un compagno di viaggio che un monito, da tenere in con- troluce, quadro dopo quadro, in questo nuovo allestimento tema- tico, che presenta alcune delle ol- tre mille opere conservate dalla Fondazione. Disporle a parete ha voluto dire, semplicemente, far e- mergere una vena ben presente nella raccolta, un’anima connatu- rata alla collezione stessa, che ha sempre prestato grande attenzio- ne al tema della sofferenza e della guerra in particolare, affiancando e intrecciando la matrice del na- turalismo informale, che accomu- na altrettanti capolavori a disposi- zione. Un filo spinato Sono linee collezionistiche che hanno un nome e un cognome. La naturalezza, placida ma tenace come le pietre che si lasciano con- sumare dalla corrosione del fiume resistendogli, è la nota costante che emerge ogni volta che ci si rapporta con Mario Matasci, deus ex machina della Fondazione, vo- luta per dare un futuro alla sua creatura e all’accolita dei suoi “fi- gli”. Ben più vicino ai novanta che agli ottanta, Matasci ci accompa- gna in questo nuovo viaggio figu- rativo, invitandoci a riflettere at- traverso l’opera di artisti spesso obnubilati dal tempo, talvolta ab- bandonati o sfiorati dal mercato e dal collezionismo museale, ma presentati da opere che si difen- dono da sé e che non han timore di aspettare la giustizia del tempo. La scintilla scocca in mostra gra- zie a una foto di un autore ancora ignoto, che coglie il valore emble- matico e totemico, proprio perché storico, del filo spinato. Un segno primario e immediato di coerci- zione e sofferenza che ritorna in diverse opere presenti, da Guido Gonzato, autore amato da Giu- seppe Ungaretti, a Edmondo Do- brzanski, e che accomuna le guer- re e le rivolte che si stanno scalan- do da oltre un secolo. Lungo la storia Perché Matasci non si limita al- la Seconda Guerra mondiale, ma coglie la profondità di un tema che attraversa il suo Novecento, affiancando, in una via Crucis sconcertante, le sofferenze sop- portate da un’Europa ferita non solo dalle due Guerre. Dalle coercizioni sfociate nella prote- sta antibolscevica di Kronstadt (1921), ritratta da un immenso Franco Francese, si passa alla ri- volta d’Ungheria (1956), al cen- tro di un rarissimo documento a olio di Gianfranco Ferroni, arri- vando alla Primavera di Praga (1969), protagonista della tela di Dobrzanski. Proseguendo, si affacciano al proscenio le bellissime incisioni di Käthe Kollwitz, una delle più importanti artiste riscoperte dal- l’occhio di Matasci – non a caso recentemente celebrata dal Kup- ferstich-Kabinett di Dresda con una bellissima mostra – capace di porre al centro il dramma delle madri, cui il conflitto strappa i figli per il fronte della Grande guerra. Madri che ritroviamo in- tente a cercare i corpi dei figli e dei mariti, come recita il titolo di una delle scarnificanti chine di Johannes Robert Schürch, altro grande merito conoscitivo di Ma- tasci. E sono solo alcuni dei nomi, temi e storie che s’intrecciano in mostra, fornendo profondi e di- versificati livelli di lettura. Ci si avvicina così ai nostri giorni, al tema più che mai attuale delle migrazioni, grazie alle vibranti sculture e ai dipinti dell’iracheno Selim Abdullah, opere che friggo- no di dolore, scosse da un fremito di sconcerto, capaci di traguarda- re l’occhio attraverso lo sfocato miraggio dell’aridità e il caotico affastellamento dell’a c cu mu l o contemporaneo. Oltre la retorica Di oggi, di una sofferenza che va ben oltre la pur diffusa ed esem- plare drammaticità della guerra e dello sterminio dei campi di con- centramento in particolare, parla un’opera che non a caso si pone a naturale conclusione della mo- stra. Ciò che spacca la retorica della memoria è, infatti, l’attualità del dolore in quanto tale, non solo delle sofferenze subite dai popoli. Un dipinto come quello riprodot- to qui al centro è il manifesto di un grido eterno, ancestrale e innato nel genere umano. La Donna che piange sulla strada (1959) di Fran- co Francese è un quadro che po- trebbe stare, senza alcun com- plesso d’inferiorità, al MoMa di New York come alla Tate Modern di Londra, bello come un De Koo- ning chiamato a fare i conti con il ritorno all’ordine dell’espressio- nismo astratto. Questa donna non compie un gesto inconsulto e non racconta i dettagli del suo dolore, ma compie un atto eroico, portan- do fuori dal suo appartamento le lacrime che, quasi per definizio- ne, si versano tra le pareti dome- stiche. È un esporre ed esporsi che assurgono la quotidianità a liri- smo, in un procedere lancinante che anticipa la resurrezione dei corpi, dove Medea e la casalinga di Razzino hanno lo stesso diritto e dignità di laio. Il vero tra libertà e bellezza Ma, anche di fronte al capolavo- ro, la frase della Hillesum con cui abbiamo aperto noi e la mostra, non ci dà pace. Saremo in grado di far nostra – anche grazie al conforto armato dell’arte – la nota vincente della libertà e della bellezza? Mata- sci, forse com’è giusto che sia, cer- tamente in piena coerenza con il suo temperamento e modus ope- randi di una vita, nel portolano che ci ha accompagnato in mostra, sembra fare un passo indietro: «La verità del male. Alla fine di questa esposizione non si può certo essere sereni, ma si ha la sensazione di aver condiviso qualcosa di vero». Il vero. Appar chiaro che “il vero” cui si appoggia questa frase non potrà essere solo la conoscenza dell’ac- caduto e la sua raffigurazione. Non ci basterà neanche la verità storica, cui sembra alludere la citazione de La verità del male, il celebre libro con cui Bettina Stangneth rivide la figura del nazista Adolf Eichmann, in antitesi con un altro caposaldo del tentativo di comprensione del- l’atrocità dei campi di concentra- mento: la Banalità del male di Han- nah Arendt. Il vero è una parola che condensa, senza dilapidare il patri- monio di coscienza e conoscenza personali, tutta la necessità di bel- lezza e libertà che l’uomo non potrà mai sopprimere in sé e negli altri. Del resto, cosa avrà spinto la donna che emerge nel quadro di Francese a esporsi sulla strada, ad allungare quel piede nel turbinio del vivere, a partecipare di un movimento che le scorre davanti se non la ricerca di quello “spicchio di cielo”? Siamo con lei. Oltre le lacrime, tra i capelli, attraverso le mani di quel volto che avanza nella vita. “Mai più”, mostra al “Deposito” della Fondazione Matasci per l’Ar- te, via Riazzino 3, Cugnasco-Ger- ra, aperta la domenica dalle 14 alle 17 e su prenotazione. “Anton Zoran Music. Melanconia e serenità”, mostra alla Matasci Ar- te, via Verbano 6, Tenero, fino al 24 marzo, lu-ve dalle 8-12 e 13.30-18.30, sabato 8-17. Info: 078/601.60.24 - arte@ma- tasci-vini.ch. Tre opere della Fondazione Matasci per l’arte in mostra. Sopra: Franco Francese, “Donna che piange sulla strada”, 1959; a sinistra: Käte Kollwitz, “Helft Russland” (Aiutate la Russia), 1921; nel box: Anton Zoran Music, “Non siamo gli ultimi”, 1971. Sono esposte un centinaio di opere di artisti che hanno illustrato le tragiche conseguenze della guerra da Kollwitz a Zoran Music. Zoran Music, il pittore scampato a Dachau Dopo nulla è stato come prima. Ho cambiato il mio modo di dipingere. Il mondo ha perso i suoi colori. Sono cadute le mie certezze. Dachau mi ha insegnato a non avere paura, a saper essere solo anche in mezzo a mille persone, a fuggire tutto ciò che è superficiale, futile, a guardare all’essenziale. Ho imparato allora che il silenzio è la ricchezza più grande che si possa desiderare”. Music (1909-2005), oltre a essere uno degli artisti inseriti nella mostra al “Deposito”, è il protagonista di una bellissima antologica alla Matasci Arte di Tenero.

Transcript of C u l t u ra - dallombra.it · Doponulla Çstato comeprima. Hocambiato ilmio mododi dipingere.Il...

.17

C u l t u raGdP +

INSERTO DEL GIORNALEdelPOPOLOANNO XIV - NR. 4W W W. G D P. C HSABATO 27 GENNAIO 2018

Music anche a Trieste

GIORNATA DELLA MEMORIA/1 Al “D e p os i t o ” della Fondazione Matasci per l’arte

Quello spicchio di cielotra libertà e bellezza

I 24 disegni inediti che Zoran Music realizzò nel1945, mentre era imprigionato a Dachau, fanno partedella mostra “Zoran Music. Occhi vetrificati” e sonovisibili da oggi, sabato 27, fino al 2 aprile al Civico Mu-seo “Re voltella” di Trieste. L’esposizione è promossadal Comune di Trieste-Assessorato alla Cultura e cu-rata da Laura Carlini Fanfogna. Comprese in un c orp usdi pezzi più ampio poi andato disperso, con la fortuna-ta eccezione del nucleo in mostra al “Re voltella”, leopere sono urli silenziosi che cercano di dare forma, ein qualche modo esorcizzare, l’incubo che segnò Mu-sic per sempre. Nei suoi disegni tornano le immaginidei cadaveri, un tempo suoi compagni, ammucchiatinel lager di Dachau. La mostra è anche un’o ccasioneper documentare la realtà di quello e altri campi disterminio, tramite una selezione di istantanee che l’a-mericana USIS vi realizzò all’arrivo delle truppe allea-te. Info e prenotazioni: mus eorivoltella.it.

Con i disegni da Dachau

di DAVIDE DALL’OMBRA

«Ma cosa credete, che non vedail filo spinato, non veda i forni cre-matori, non veda il dominio dellamorte? Sì, ma vedo anche unospicchio di cielo, e in questo spic-chio di cielo che ho nel cuore iovedo libertà e bellezza. Non ci cre-dete? Invece è così!».

Un grido, quello della Hillesum,che è più un compagno di viaggioche un monito, da tenere in con-troluce, quadro dopo quadro, inquesto nuovo allestimento tema-tico, che presenta alcune delle ol-tre mille opere conservate dallaFondazione. Disporle a parete havoluto dire, semplicemente, far e-mergere una vena ben presentenella raccolta, un’anima connatu-rata alla collezione stessa, che hasempre prestato grande attenzio-ne al tema della sofferenza e dellaguerra in particolare, affiancandoe intrecciando la matrice del na-turalismo informale, che accomu-na altrettanti capolavori a disposi-z i o n e.

Un filo spinatoSono linee collezionistiche che

hanno un nome e un cognome. Lanaturalezza, placida ma tenacecome le pietre che si lasciano con-sumare dalla corrosione del fiumeresistendogli, è la nota costanteche emerge ogni volta che ci sirapporta con Mario Matasci, d e usex machina della Fondazione, vo-luta per dare un futuro alla suacreatura e all’accolita dei suoi “f i-g l i”. Ben più vicino ai novanta cheagli ottanta, Matasci ci accompa-gna in questo nuovo viaggio figu-rativo, invitandoci a riflettere at-traverso l’opera di artisti spessoobnubilati dal tempo, talvolta ab-bandonati o sfiorati dal mercato edal collezionismo museale, mapresentati da opere che si difen-dono da sé e che non han timoredi aspettare la giustizia del tempo.La scintilla scocca in mostra gra-zie a una foto di un autore ancoraignoto, che coglie il valore emble-matico e totemico, proprio perchéstorico, del filo spinato. Un segnoprimario e immediato di coerci-zione e sofferenza che ritorna indiverse opere presenti, da GuidoGonzato, autore amato da Giu-seppe Ungaretti, a Edmondo Do-brzanski, e che accomuna le guer-re e le rivolte che si stanno scalan-do da oltre un secolo.

Lungo la storiaPerché Matasci non si limita al-

la Seconda Guerra mondiale, macoglie la profondità di un temache attraversa il suo Novecento,affiancando, in una via Crucissconcertante, le sofferenze sop-portate da un’Europa ferita nonsolo dalle due Guerre. Dalle

coercizioni sfociate nella prote-sta antibolscevica di Kronstadt(1921), ritratta da un immensoFranco Francese, si passa alla ri-volta d’Ungheria (1956), al cen-tro di un rarissimo documento aolio di Gianfranco Ferroni, arri-vando alla Primavera di Praga(1969), protagonista della tela diDobr zanski.

Proseguendo, si affacciano alproscenio le bellissime incisionidi Käthe Kollwitz, una delle piùimportanti artiste riscoperte dal-l’occhio di Matasci – non a casorecentemente celebrata dal Kup-ferstich-Kabinett di Dresda conuna bellissima mostra – capace diporre al centro il dramma dellemadri, cui il conflitto strappa ifigli per il fronte della Grandeguerra. Madri che ritroviamo in-tente a cercare i corpi dei figli edei mariti, come recita il titolo diuna delle scarnificanti chine diJohannes Robert Schürch, altrogrande merito conoscitivo di Ma-tasci. E sono solo alcuni dei nomi,temi e storie che s’intrecciano inmostra, fornendo profondi e di-versificati livelli di lettura. Ci si

avvicina così ai nostri giorni, altema più che mai attuale dellemigrazioni, grazie alle vibrantisculture e ai dipinti dell’i ra ch e n oSelim Abdullah, opere che friggo-no di dolore, scosse da un fremitodi sconcerto, capaci di traguarda-re l’occhio attraverso lo sfocatomiraggio dell’aridità e il caoticoaffastellamento dell’a c cu mu l ocontemporane o.

Oltre la retoricaDi oggi, di una sofferenza che va

ben oltre la pur diffusa ed esem-plare drammaticità della guerra edello sterminio dei campi di con-centramento in particolare, parlaun’opera che non a caso si pone anaturale conclusione della mo-stra. Ciò che spacca la retoricadella memoria è, infatti, l’attu a l i t àdel dolore in quanto tale, non solodelle sofferenze subite dai popoli.Un dipinto come quello riprodot-to qui al centro è il manifesto di ungrido eterno, ancestrale e innatonel genere umano. La Donna chepiange sulla strada (1959) di Fran-co Francese è un quadro che po-trebbe stare, senza alcun com-

plesso d’inferiorità, al MoMa diNew York come alla Tate Moderndi Londra, bello come un De Koo-ning chiamato a fare i conti con ilritorno all’ordine dell’e sp re ssi o-nismo astratto. Questa donna noncompie un gesto inconsulto e nonracconta i dettagli del suo dolore,ma compie un atto eroico, portan-do fuori dal suo appartamento lelacrime che, quasi per definizio-ne, si versano tra le pareti dome-stiche. È un esporre ed esporsi cheassurgono la quotidianità a liri-smo, in un procedere lancinanteche anticipa la resurrezione deicorpi, dove Medea e la casalingadi Razzino hanno lo stesso dirittoe dignità di laio.

Il vero tra libertà e bellezzaMa, anche di fronte al capolavo-

ro, la frase della Hillesum con cuiabbiamo aperto noi e la mostra,

non ci dà pace. Saremo in grado difar nostra – anche grazie al confortoarmato dell’arte – la nota vincentedella libertà e della bellezza? Mata-sci, forse com’è giusto che sia, cer-tamente in piena coerenza con ilsuo temperamento e modus ope-randi di una vita, nel portolano checi ha accompagnato in mostra,sembra fare un passo indietro: «Laverità del male. Alla fine di questaesposizione non si può certo esseresereni, ma si ha la sensazione diaver condiviso qualcosa di vero». Ilvero. Appar chiaro che “il vero” cu isi appoggia questa frase non potràessere solo la conoscenza dell’ac -caduto e la sua raffigurazione. Nonci basterà neanche la verità storica,cui sembra alludere la citazione deLa verità del male, il celebre librocon cui Bettina Stangneth rivide lafigura del nazista Adolf Eichmann,in antitesi con un altro caposaldodel tentativo di comprensione del-l’atrocità dei campi di concentra-mento: la Banalità del male di Han-nah Arendt. Il vero è una parola checondensa, senza dilapidare il patri-monio di coscienza e conoscenzapersonali, tutta la necessità di bel-lezza e libertà che l’uomo non potràmai sopprimere in sé e negli altri.Del resto, cosa avrà spinto la donnache emerge nel quadro di Francesea esporsi sulla strada, ad allungarequel piede nel turbinio del vivere, apartecipare di un movimento che lescorre davanti se non la ricerca diquello “spicchio di cielo”? Siamocon lei. Oltre le lacrime, tra i capelli,attraverso le mani di quel volto cheavanza nella vita.

“Mai più”, mostra al “Deposito”della Fondazione Matasci per l’A r-te, via Riazzino 3, Cugnasco-Ger-ra, aperta la domenica dalle 14alle 17 e su prenotazione.“Anton Zoran Music. Melanconia es e re n i t à ”, mostra alla Matasci Ar-te, via Verbano 6, Tenero, fino al24 marzo, lu-ve dalle 8-12 e13.30-18.30, sabato 8-17.Info: 078/601.60.24 - [email protected].

Tre operedella FondazioneMatasci per l’artein mostra. Sopra:Franco Francese,“Donnache piangesulla strada”,1959;a sinistra: KäteKollwitz, “HelftRussland”(Aiutatela Russia), 1921;nel box: AntonZoran Music,“Non siamogli ultimi”,1971.

Sono esposteun centinaio di operedi artisti che hannoillustrato le tragichecons eguenzedella guerrada Kollwitz a Zoran Music.

Zoran Music, il pittore scampato a Dachau

Dopo nulla è stato come prima. Ho cambiato il mio modo di dipingere. Il mondo ha perso isuoi colori. Sono cadute le mie certezze. Dachau mi ha insegnato a non avere paura, a saperessere solo anche in mezzo a mille persone, a fuggire tutto ciò che è superficiale, futile, aguardare all’essenziale. Ho imparato allora che il silenzio è la ricchezza più grande che sipossa desiderare”. Music (1909-2005), oltre a essere uno degli artisti inseriti nella mostraal “D e p o s i to ”, è il protagonista di una bellissima antologica alla Matasci Arte di Tenero.