C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA
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C - LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA
1 - La Rivoluzione francese
2 – L’Ottocento. Le ideologie politiche e l’affermazione dello stato liberale
1 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE
0 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE E IL RINNOVAMENTO DELLA VITA POLITICA
0.1 Il Settecento come spartiacque tra ancien régime e società contemporanea
1 - LA CRISI SOCIO-ECONOMICA E POLITICA DELLO STATO FRANCESE
1.1 La situazione economica: l’arretratezza nei confronti dell’Inghilterra
1.2 La situazione sociale: Primo, Secondo e Terzo Stato
1.2.1 Clero, nobiltà, borghesia e contadini
1.2.2 Il terzo stato
1.3 La situazione politica: la crisi finanziaria dello stato assoluto
1.3.1 I tentativi di riforma fiscale e le finanze pubbliche
1.3.2 Il dibattito sul deficit pubblico
2 - LA CONVOCAZIONE DEGLI STATI GENERALI E IL DIBATTITO POLITICO
2.1 Modalità di voto e numero di rappresentanti
2.2 Il ruolo del terzo stato
2.3 Le elezioni degli Stati generali
2.4 Gli obiettivi delle forze sociali
2.5 Le fasi della rivoluzione
3 - 1789-91: L’EGEMONIA BORGHESE E LO STATO COSTITUZIONALE
3.1 Il superamento dello stato assoluto e della società "ancien régime"
3.1.1 La trasformazione degli Stati generali in Assemblea costituente
3.1.2 La partecipazione della borghesia e delle masse popolari
3.1.3 L’abolizione del regime feudale
3.1.4 La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
3.1.5 Il trasferimento del re a Parigi
3.1.6 La requisizione dei beni ecclesiastici e gli assegnati
3.2 L'egemonia borghese: la monarchia costituzionale
3.2.1 Le tre rivoluzioni e i loro protagonisti
3.2.2 Il dibattito politico nell’Assemblea costituente
3.2.3 La costruzione della monarchia costituzionale
3.2.4 Fuga e cattura del re
A - Borghesia: dibattiti + ___________
utilizzare __________ nello scontro con il re
organizza la Guardia_______ per: 1 ___________________________
2 ___________________________
L’unico dei 3 gruppi sociali (vedi 3.2.1) ___________ ___________________________________________
B - _____________
Sommosse popolari contro _____________
Borghesi + masse popolari --> La presa della Bastiglia
C – Contadini
Sommosse causa _____________________
La rivolta nelle campagne
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4 - 1791-94: L’EGEMONIA DELLE MASSE POPOLARI E LO STATO GIACOBINO
4.1 La radicalizzazione della situazione
4.1.1 Il dibattito sulla fuga del re
4.1.2 La nuova assemblea legislativa
4.1.3 La guerra
4.1.4 La rivoluzione dei sanculotti
4.2 Il superamento della monarchia costituzionale
4.2.1 Le decisioni di politica economica
4.2.2 L’elezione della Convenzione nazionale
4.2.3 La proclamazione della repubblica e la condanna del re
4.2.4 La rivoluzione esportata
4.2.5 La guerra civile: la rivolta dei contadini
4.3 Il contrasto tra girondini e giacobini
4.3.1 Le richieste dei sanculotti
4.3.2 Il “maximun” del grano
4.3.3 Democrazia diretta e democrazia indiretta
4.3.4 La polemica tra giacobini e girondini
4.4 La dittatura giacobina
4.4.1 L’epurazione dei girondini
4.4.2 La costituzione del 1793
4.4.3 Il governo dei giacobini
4.4.4 Il terrore
4.4.5 L’eliminazione degli hèbertisti e degli indulgenti
4.4.6 Il Grande terrore e il colpo di stato del 9 Termidoro
5 - 1794-99: IL RITORNO DELL’EGEMONIA BORGHESE E LA STABILIZZAZIONE POLITICA
5.1 Lo smantellamento dello stato giacobino
5.1.1 La ricerca della stabilità politica
5.1.2 Il governo termidoriano
5.1.3 La Costituzione del 1795 e le nuove istituzioni
5.2 Il governo del Direttorio e la ricerca della stabilità politica
5.2.1 La sopravvivenza del ceto politico rivoluzionario
5.2.2 La congiura degli eguali
5.2.3 La guerra e il ruolo politico dei generali
5.2.4 Il ritorno dei monarchici e il primo colpo di stato
5.2.5 Il ritorno dei giacobini e il secondo colpo di stato
5.2.6 Il terzo colpo di stato: la presa del potere di Napoleone
Bonaparte e la nuova costituzione
6 - 1799-1813: IL REGIME NAPOLEONICO
6.1 Le basi sociali dello stato napoleonico
6.2 Lo stato napoleonico
6.3 Le guerre e l’Europa napoleonica
Organo di governo: ______________________
Leader:________________________ A - Politica economico-sociale:
1- ______________________________________
2 - ______________________________________ 3- pene per speculatori e accaparratori di grano
4 - ______________________________________
B - L’utopia sociale: a - ____________________ + lotta al lusso
limiti alla proprietà privata + ________________
società ideale = piccola ____________________ b – sostituire i vecchi _______________( vedi
nuovo ___________________)
C – Il terrore
- Obiettivi:
1 - ____________________________________________ 2 – reintrodurre libertà di culto
3 – abolire controllo prezzi 4 -_____________________________________________
- Politica antigiacobina:
abolizione provvedimenti giacobini (vedi 1,2,3) chiusura sedi ___________ + ________________ + ritorno
vita lussuosa
- La repressione delle _________: repressione con l’uso dell’ _______________ delle
manifestazione ______________________________ - Costituzione 17___: smantellamento stato ___________ e
creazione stato _________________
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1 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE
0 - La rivoluzione francese e il rinnovamento della vita politica
1 - La crisi socio-economica e politica dello stato francese
2 - La convocazione degli stati generali e il dibattito politico
3 - 1789-91: l’egemonia borghese e lo stato costituzionale
4 - 1791-94: l’egemonia delle masse popolari e lo stato giacobino
5 - 1794-99: il ritorno dell’egemonia borghese e la stabilizzazione politica
6 - 1799-1813: il regime napoleonico
0 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE E IL RINNOVAMENTO DELLA VITA
POLITICA
0.1 Il Settecento come spartiacque tra ancien régime e società contemporanea
La Rivoluzione Francese è considerata uno di quegli avvenimenti che hanno
fatto del XVIII sec. una sorta di spartiacque fra la società dell’Ancien Regime e
quella contemporanea. Il suo significato storico equivale, sul piano politico, al
significato che hanno avuto l’Illuminismo sul piano culturale e la rivoluzione
industriale sul piano economico e sociale, costituendo il momento più
caratteristico del processo di affermazione dello stato parlamentare
costituzionale nato in Inghilterra.
La Rivoluzione Francese ha profondamente modificato il modello di vita
politico caratteristico dell’Ancien Régime. Prima, la vita politica coincideva con
la vita di corte, a cui partecipava un ristretto numero di famiglie, omogeneo dal
punto di vista economico sociale perciò con obbiettivi simili, comunque volti a
difendere i propri privilegi. La vita politica era perciò caratterizzata dallo
scontro fra fazioni rivali, costituite da alleanze famigliari, per il controllo dei
posti di potere, prendendo spesso, durante il Cinquecento e il Seicento, la forma
dei complotti e degli assassini fra gruppi rivali. Tra la fine del Seicento e
l’inizio del Settecento lo scontro perse le caratteristiche dello scontro fisico
assumendo quelle delle dinamiche psico-sociali, poiché la vita politica
coincideva con la vita di corte.
Durante la rivoluzione francese si imposero o comunque apparvero alcune delle
modalità della vita politica destinate a caratterizzare l’Ottocento e il Novecento
quali: l’allargamento della partecipazione alla vita politica, rendendo parte
attiva la borghesia e le masse popolari parigine, che diventeranno i principali
soggetti della vita politica dell’800 e del ‘900; si modificò il modello della lotta
politica, che divenne uno scontro fra gruppi sociali che hanno un diverso
progetto di società, consono ai propri interessi. Il problema principale divenne
quello di conquistarsi l’appoggio dei gruppi sociali di riferimento; infine, il
luogo privilegiato della lotta politica si spostò dalla corte al parlamento e si
impose il ruolo dell’informazione nella formazione dell’opinione pubblica
borghese, destinata, insieme alla piazza, dove si manifestava invece l’opinione
popolare, a condizionare il comportamento dei politici.
La rilevanza della Rivoluzione francese è, tra il resto, motivata dal fatto che, a
differenza della rivoluzione americana, essa comportò l’effettivo abbattimento
di un regime politico-istituzionale. Inoltre, a differenza delle rivoluzioni inglesi
del Seicento, vide un livello di scontro sociale e politico effettivamente più
elevato, in quanto la società francese risultava più rigida e chiusa, nonché ebbe
LA RIVOLUZIONE FRANCESE E IL
RINNOVAMENTO DELLA VITA
POLITICA
Il Settecento come
__________________________________
___________________________________
Rivoluzione francese, rivoluzioni
_________________e_________________
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delle conseguenze molto più vaste e dirette sul resto dell’Europa, in quanto
sull’onda della rivoluzione francese in molti stati europei si registrarono
fermenti rivoluzionari.
1 - LA CRISI SOCIO-ECONOMICA E POLITICA DELLO STATO
FRANCESE
1.1 La situazione economica: l’arretratezza nei confronti dell’Inghilterra
1.2 La situazione sociale: Primo, Secondo e Terzo Stato
1.3 La situazione politica: la crisi finanziaria dello stato assoluto
1.1 La situazione economica: l’arretratezza nei confronti dell’Inghilterra
Mentre le due rivoluzioni inglesi furono determinate dal progetto della monarchia
inglese di dar vita a uno stato assoluto, la Rivoluzione francese è stata causata dal
fallimento dello stato assoluto indissolubilmente legato alla crisi della società che
esso governava, resa evidente dalle condizioni economico-sociale e dalla
situazione politica della Francia nella seconda metà del Settecento.
La caratteristica più evidente della situazione economica francese era
sicuramente costituita dalla prevalenza di una forte disomogeneità: accanto a
una Francia ricca e in rapido sviluppo esisteva una Francia arcaica e stagnante.
Il vero ritardo della Francia stava precisamente nel fatto che le forze più
dinamiche dell’economia stentavano a penetrare nelle zone geografiche ed
economiche più profondamente frenate dal peso delle tradizioni e dalla
presenza di strutture sociali che per molti aspetti potevano dirsi feudali.
Un confronto con la situazione inglese dimostra come la Francia fosse ancora
in grado di competere con lo sviluppo inglese nei tradizionali settori del
LA CRISI _________________ E
_________________ DELLO STATO
FRANCESE
FALLIMENTO _______________________+
CRISI_____________________________ =
_________________________________
LA SITUAZIONE ECONOMICA
_________________________________
Confronto con l’Inghilterra
a)_________________________________
_________________________________
LA VITA POLITICA PRIME E DOPO _________________________________________
Prima della rivoluzione
Luogo: _______________________
___________________: __________________________________________ Omogeneità _______________________________
___________________: __________________________________________
Processo di disciplinamento: da ________________________ a ______________________
Dopo la rivoluzione
_______________: allargamento della partecipazione: _______________________ + ______________________
disomogeneità _______________________________________________(ideologie politiche)
____________________:___________________________________________________________
priorità:_______________________________________________________
___ ____________: a ______________________________
b-________________________(____________)
c - ________________(______________________________)
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commercio internazionale (prodotti coloniali) e della produzione
manifatturiera (la seta esportata dalla Francia poteva competere con le
esportazioni inglesi di tessuti di lana).
Cominciavano, invece, a farsi assai più marcato il ritardo francese per quanto
riguarda l’industria cotoniera e la meccanizzazione che in Inghilterra stavano
dando l’avvio alla prima Rivoluzione industriale. Le macchine per filare erano
giunte in Francia solo pochi anni dopo la loro adozione oltre Manica, ma nel
1789 il numero dei fusi meccanici esistenti in Francia corrispondeva
solamente a un terzo di quelli inglesi e il distacco sembrava destinato ad
allargarsi.
Ricordiamo in ultimo lo sviluppo delle città: l’importanza industriale, e più
ancora commerciale e finanziaria, di Londra era incomparabilmente superiore a
quella di Parigi. La Francia, però, oltre a Lione, vantava un grande numero di
città portuali legate al commercio internazionale (soprattutto Bordeaux,
Nantes e Marsiglia), con un traffico pari o superiore a quello dei porti inglesi
di Liverpool o Bristol.
La nuova agricoltura e la politica della libertà di commercio come elementi di
sviluppo erano state teorizzate in Francia dalla fisiocrazia1 non meno di
quanto facevano nello stesso periodo in Inghilterra gli scrittori di agronomia e
di economia; ma in pratica la Francia era assai più indietro della sua diretta rivale.
La piccola conduzione familiare, con la sua scarsa produttività e la prevalenza
dell’autoconsumo sulla produzione per il mercato, era qui ancora la regola. I mag-
gesi improduttivi occupavano ancora la metà dell’arativo al sud e un terzo al nord,
dove vigeva prevalentemente il sistema dei campi aperti e dell’economia
comunitaria dei villaggi. Il tentativo di procedere alle recinzioni e di modernizzare
le forme di proprietà stava ottenendo risultati di scarso rilievo e perciò il peso
del passato era ovunque evidente: attrezzi poco efficienti, limitata diffusione delle
colture foraggiere - e quindi debole integrazione fra allevamento e cerealicoltura -,
scarsità di concimi, basso rendimento delle sementi. E ancora: i redditi dei contadini
continuavano a restare relativamente bassi e la loro partecipazione al mercato, sia
come offerta di prodotti agricoli sia come domanda di beni manifatturieri, era perciò
debole e precaria.
A ciò bisogna aggiungere l’andamento dello sviluppo demografico; esso fu più
limitato che in Inghilterra, ma soprattutto andò a gravare sulle campagne, accre-
scendone la sovrappopolazione e le tensioni sociali.
b) _________________________________
___________________________________
c) ________________________________
d) L’agricoltura
FISIOCRAZIA = _______________________
La produttività della terra come ________
__________________________________
e) ________________________________:
- +_______________________________
- _________________________________
1 La fisiocrazia costituisce la teoria economica tipica del Settecento Secondo i fisiocrati, il cui principale esponente è il
francese F. Quesnay (1694-1774), l’agricoltura rappresenta l’unica vera attività produttiva in quanto essa sola crea un
prodotto netto, mentre l’industria e il commercio si limitano a trasformare o a distribuire le merci. Di conseguenza la
ricchezza delle nazioni non dipende dal livello degli scambi e dalla quantità di moneta, come volevano i mercantilisti, quanto
invece dalla terra e dalla sua naturale fertilità. A Quesnay va il merito di aver per primo studiato i fenomeni economici a
prescindere dalle infinite operazioni individuali che li costituiscono, soffermandosi invece sui grandi scambi e sui rapporti
che si stabiliscono fra le classi sociali. Tali classi sociali sono per il Quesnay costituite dai proprietari terrieri, i lavoratori
produttivi, ovvero gli agricoltori, e i lavoratori sterili, non impegnati nell’agricoltura.
il prevalere della ________________________________ a conduzione _________________ sulla___________________________
1 ___________________________________________
2 + ________________________________________ - ________________________________
3 ___________________________________________________ (___________________________________________________)
4 bassi ____________________________________________ scarsa ____________________________________________
5) _____________________________________________________________________________________________________
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1.2 La situazione sociale: Primo, Secondo e Terzo Stato
Dell’arretratezza delle campagne francesi non furono solo responsabili il
tradizionalismo contadino e la capacità di resistenza delle strutture comunitarie di
villaggio. Come in tutti i paesi cattolici, la proprietà ecclesiastica era quella
amministrata peggio e sfruttata nelle forme più antieconomiche; il clero francese,
che contava 130.000 persone (0,5% circa della popolazione francese), possedeva il
6-10 per cento del suolo coltivabile, ma assorbiva per le sue spese improduttive
una quota del reddito nazionale assai più alta, perché accanto alle rendite tratte
dalla proprietà diretta poteva allineare le decime sottratte alla massa dei
contadini. All’interno del clero impressionante era il divario delle ricchezze tra
vescovi e clero regolare (ordini religiosi), che godevano quasi sempre di rendite
notevoli o almeno discrete, e il basso clero (parroci di campagna), la cui situazione
si avvicinava spesso, economicamente e socialmente, al popolo povero e sfruttato
delle campagne.
La proprietà della nobiltà (un totale di 3 o 400.000 individui, ovvero circa l’1,5%
della popolazione) era molto più estesa e corrispondeva al 20-25 per cento del
suolo. La differenza fra l’aristocrazia inglese e quella francese era fortissima. I1
mondo dei valori della prima si era allargato progressivamente, già alla fine del
Seicento, fino a non vedere più nessuna incompatibilità fra il senso del prestigio e
dell’onore e il mondo degli affari e del profitto. I nobili francesi erano invece ancora
del tutto chiusi alle opportunità offerte dallo sviluppo economico; spendere con
larghezza le proprie rendite era per loro un segno di distinzione di classe che non
poteva avere nessun rapporto con il lavoro produttivo e l’investimento oculato.
Mentre i nobili inglesi costruivano canali, attivavano miniere e concretizzavano la
nuova agronomia, quelli francesi continuavano a ignorare perfino la partecipazione
alle compagnie monopolistiche del grande commercio. Sulle loro terre l’affitto
capitalistico era l’eccezione, mentre la piccola conduzione, nella forma della
mezzadria e della locazione familiare, perpetuava un’agricoltura di sussistenza
debolmente legata al mercato.
Quando si valuta il peso e la ricchezza della nobiltà francese, occorre valutare
non solo la consistenza patrimoniale, ma anche i diritti feudali e signorili
(che potevano andare dalla riscossione di tasse per il passaggio di
proprietà, alienazione o eredità, dei beni terrieri all ’obbligo di servirsi
dei mulini signorili o pagare pedaggi), nonché delle pensioni e gratificazioni
di tipo diverso, particolarmente elevate, che lo stato distribuiva alla stessa nobiltà,
e, infine, il controllo (attraverso l’assunzione delle massime cariche della Chiesa)
anche di una parte delle proprietà ecclesiastiche. La nobiltà appariva quindi al
vertice di un sistema di potere complesso che investiva la Corte, lo Stato, la
stessa Chiesa, oltre che gli spazi locali, su cui esercitava direttamente il suo
controllo.
Anche la proprietà borghese, che corrispondeva a circa il 30 per cento del suolo, non
aveva assorbito a pieno le indicazioni della modernizzazione; gran parte di questa
proprietà era ancora gestita sulla scala ridotta della mezzadria e del piccolo
affitto e i diversi strati della borghesia (professionisti, uomini di legge,
funzionari pubblici, amministratori e via dicendo) si limitavano anch’essi a
trarre una rendita dal suolo, senza preoccuparsi troppo di innovazioni e investi-
menti. Esisteva certamente una minoranza consistente di proprietari terrieri
borghesi desiderosi di sperimentare tutto ciò che di nuovo veniva suggerito
dagli economisti e dagli agronomi, ma le loro iniziative dovevano vincere il diffi-
cile ostacolo delle strutture tradizionali nelle quali si allineavano, in una
tenace difesa del passato - fatta di maggesi e pascoli comuni -, tanto i villaggi
contadini che gli ordini sociali superiori del clero e della nobiltà.
I contadini formavano l’immensa maggioranza della popolazione francese, 20
milioni su 26, l’80 per cento del totale. La proprietà contadina si estendeva su
LA SITUAZIONE SOCIALE
a) _________________________________
PRIMO _______________________
lo 0,5% ________________________ che
controlla il ______ del ________________
___________________________________
speso in ________________
Diversità ___________________________
___________________________________
b) _____________________________
SECONDO ____________________
l’ ______ della ___________________ che
controlla il _____ del _________________
speso in ___________________________
La gestione _________________________
Le fonti ____________________________
1__________________________________
2__________________________________
3 _________________________________
4__________________________________
C) BORGHESIA
la gestione __________________________
__________________________________
101
una quota considerevole del suolo, il 35-40 per cento, ma era, rispetto a quelle
del clero, della nobiltà e della borghesia, fortemente parcellizzata. Il piccolo
proprietario quasi sempre era costretto a integrare i redditi che gli provenivano
dalla terra che coltivava direttamente, con i proventi del lavoro salariato o di un
contratto di mezzadria. Inoltre, anche sulla terra dei contadini liberi gravavano
i prelievi di tipo feudale, signorile ed ecclesiastico. Il complesso di questi
prelievi, che per i gruppi sociali privilegiati si trasformavano in rendite,
variava da regione a regione. È difficile valutare il valore globale medio della
rendita riscossa nei modi più diversi dai contadini. Si può attribuire un 8 per cento
del raccolto alle decime ecclesiastiche e un 20-30 per cento ai diritti signorili. Ma
dopo il decimatore e l’agente del signore passava anche il funzionario del fisco
statale; quindi il totale dei pagamenti compiuti dal contadino ammontava al 40-60
per cento. Durante gli anni di bassi prezzi agricoli ciò significò un peso schiacciante
per le classi rurali, mentre ogni volta che il raccolto era inferiore al normale la
rovina incombeva su chi doveva pagare canoni in natura e non disponeva di una
parte commerciabile sufficiente per procurarsi il denaro per le imposte.
D) _________________________________
controllano il _____ del _______________
___________________________________
molto ______________________________
il ________________________ sul lavoro
contadino
Socialmente borghesia e contadini costituivano il terzo stato, indubbiamente
l’ordine sociale più complesso ed eterogeneo, comprendendo tutti quelli che non
appartenevano alla chiesa e alla nobiltà. Vale la pena cercare di identificarne i
principali gruppi. Al vertice del terzo stato stavano i finanzieri, i banchieri, i
mercanti, i grandi proprietari terrieri. I primi erano un tipico prodotto dell’Ancien
Régime: avevano accumulato patrimoni ingenti riscuotendo le imposte per conto
del sovrano. Proprio negli ultimi decenni del ‘700 emergeva la figura del
banchiere, in grado di investire capitali per sviluppare le manifatture. Più
varia è la consistenza patrimoniale dei commercianti e dei mercanti, che
giungevano ad accumulare patrimoni consistenti. Uno spaccato tipico del
terzo stato appare a fine secolo a Lione, dove 400 maestri mercanti controllavano
circa 6000 maestri setaioli che a loro volta nelle botteghe tenevano un certo
numero di operai. Accanto alla borghesia degli affari emergeva quella delle
professioni liberali, in particolare avvocati. e medici. I primi, come vedremo,
avranno un ruolo particolarmente significativo nella Rivoluzione, costituendo gran
parte dei nuovi quadri politici. Al di sotto di questi gruppi troviamo, accanto ai
contadini gli artigiani, i lavoratori dipendenti, gli apprendisti, i disoccupati. Qual
era la consistenza dei salariati e dei lavoratori dipendenti nella società pre-
rivoluzionaria? Gli studi sono particolarmente abbondanti per quanto riguarda
Parigi, dove su una popolazione di 600.000 abitanti gli storici calcolano che circa
la metà fosse formata da famiglie di artigiani. Questo significava circa 75.000
lavoratori, in media da 15 a 16 per maestro di bottega. Enorme era la massa dei
poveri, oscillante fra un decimo e un quindicesimo della popolazione, fino a
giungere, nel periodo più cruciale della Rivoluzione, a un nono (68.981 nel
1794). Gli storici hanno calcolato che nel bilancio delle famiglie popolari il pane
rappresentava circa la metà delle spese, mentre il 16% si consumava per le
altre vivande, il 15% per i vestiti, il 6% circa per riscaldamento e
illuminazione. I salari giornalieri alla vigilia della rivoluzione variavano da
15 a 40 soldi, questi ultimi percepiti solo dagli specializzati. Dato che una
C + D = TERZO ________________
1 _________________________________
__________________________________
2 _________________________________
___________________________________
3 _________________________________
4 _________________________________
5 _________________________________
e _________________________________
6 _________________________________
IL ________________________ SUL LAVORO CONTADINO
1 decime alla _____________________________ = ____________
_________________ spese _____________
2 __________________________ alla ________________ = ____________
3 tasse allo __________________ = ____________
40-60% del _______________ +
canoni in _____________ per mezzadria / ________________________
102
libbra di pane costava 2 soldi, un salario medio permetteva di comperare poco più
di 3 chili di pane al giorno (la libbra corrisponde a 300-350 grammi).
Al di là delle stratificazioni sociali ed economiche, una buona parte dei
contadini, dei proprietari borghesi, della borghesia degli affari e degli artigiani
vedevano un’oggettiva confluenza dei propri interessi, nell’opposizione ai
privilegi e ai poteri della nobiltà e del clero. Accanto alle decime ecclesiastiche,
che oltre a colpire direttamente il coltivatore erano anche in concorrenza con
gli affitti pagati al proprietario borghese, esisteva una lunga serie di diritti
signorili gravanti in forme ed entità varie su tutti i gruppi che traevano dalle
attività produttive i loro redditi.
Lo sviluppo economico e sociale della Francia richiedeva che i contadini fossero
alleggeriti dal peso del fisco e della rendita, affinché potessero indirizzare i loro
redditi agli investimenti e agli acquisti dei prodotti dell’industria nazionale:
allo stesso tempo la nobiltà doveva essere costretta a migliorare la conduzione
delle proprie terre, abbandonando i pregiudizi di casta
1.3 La situazione politica: la crisi finanziaria dello stato assoluto
Per ciò che riguarda la struttura statale i problemi più importanti, che si erano
posti già più volte nel corso del Settecento, erano sicuramente due, strettamente
legati tra di loro, la crescita vertiginosa del debito pubblico (nel 1788 esso
costituiva il 50% del bilancio statale) e la riforma del sistema fiscale.
Tutti i tentativi di introdurre nuove imposte sul reddito da cui i membri della
nobiltà non fossero più esentati avevano avuto per tutto il Settecento scarso
successo. Ciò che si era riusciti a ottenere dalla nobiltà corrispondeva solo al 5-6
per cento delle entrate totali. Bisogna dire però che l’intera società francese era
fondata sul privilegio e che accanto alle esenzioni della nobiltà c’erano molte altre
situazioni di ineguaglianza; alcune città non pagavano la taglia e le imposte
indirette, mentre i dazi e i pedaggi interni, e soprattutto la gabella sul sale, colpiva-
no con incredibili disparità le varie regioni del paese. I privilegi della nobiltà
erano comunque quelli che urtavano di più, specialmente da quando essa aveva
cominciato a farli valere in maniera sempre più intransigente. Ormai da molti
decenni tutti i gradi più alti dell’amministrazione e del governo erano riservati ai
nobili e, dal 1781, occorreva provare i 4/4 di nobiltà per accedere ai gradi
superiori dell’esercito. Negli anni settanta e ottanta si era creata una forte
tensione fra nobiltà e borghesia, sia intellettuale sia dedita agli affari e
all’industria, e in questa crisi i due rami della nobiltà - quella più antica, “di
spada” e quella; più recente, “di toga” - avevano messo da parte le proprie
controversie per mantenere le posizioni di privilegio.
I primi segni di instabilità cominciarono a emergere là dove l’inefficienza dello
stato era con tutta evidenza maggiore, cioè nell’amministrazione delle finanze
pubbliche. L’intero settore delle imposte indirette (dazi e gabelle) era affidato in
appalto a un’istituzione chiamata Ferme générale (appalto generale), controllata
dai maggiori finanzieri non solo francesi, ma anche svizzeri. Questo sistema di
riscossione faceva disperdere nelle mani degli appaltatori gran parte delle
imposte (la corruzione regnava comunque anche negli uffici statali che
riscuotevano la taglia e le altre imposte dirette); ma lo stato non poteva fare a
meno dei fermiers, perché in mancanza di una banca pubblica era a loro che si
rivolgeva per ottenere i prestiti con cui colmare il deficit di bilancio. Le spese
statali sembravano essersi assestate nei primi anni del regno di Luigi XVI,
succeduto nel 1774 al nonno Luigi XV. Nel 1778 la Francia entrò ufficialmente in
guerra contro l’Inghilterra a fianco degli Stati Uniti e negli anni successivi le
spese statali raddoppiarono e di conseguenza crebbe il debito pubblico.
Nel 1781 Necker, un banchiere ginevrino a cui era stato affidato il più
convergenza d’interesse =
___________________________________
Linee di tendenza dello _______________
___________________________________
LA SITUAZIONE _____________________
I problemi dello _________________:
a) _____________________________
5% contributo della _________________
alle ________________________________
disparità _______________________
b) _____________________
Il sistema degli _____________________
delle ___________________
appalti e __________________________
Il _______________________ dello stato
cause del _________________________:
103
importante incarico ministeriale francese, quello di controllore generale delle
finanze, pubblicò in forma ufficiosa un bilancio statale che, omettendo le
spese straordinarie di guerra, faceva figurare un attivo di 10 milioni al posto
del reale deficit di almeno 70 milioni di lire tornesi. Si trattava di un falso, con
cui il ministro intendeva ottenere il favore dell’opinione pubblica. Il
“Rendiconto al re” mostrava il peso degli interessi e dei rimborsi del debito
pubblico, nonché delle spese per la corte e per i molti favoriti gratificati con ricche
pensioni.
Passarono altri cinque anni, che videro arrivare il debito pubblico sui 100
milioni di lire tornesi, quando il successore di Necker, Calonne, riprese il
progetto d’istituzione di un’imposta unica sulla terra senza esenzioni; allo
stesso tempo Calonne rilanciò l’abolizione dei vincoli al commercio del grano
e suggerì l’abolizione di quella pesante imposta sui poveri che era la gabella
del sale. Per aggirare la prevedibile opposizione del parlamento di Parigi Calonne
decise di discutere le sue proposte con un’assemblea di notabili nominati dal re e
scelti fra la nobiltà di spada, la nobiltà di toga e l’alta burocrazia statale. Dopo
due mesi di discussioni che non approdarono ad alcuna conclusione Calonne
venne licenziato. Si era perso ancora del tempo prezioso e il nuovo controllore
generale non poté fare altro che presentare le stesse proposte di Calonne.
Il confronto con i notabili non andò meglio al suo successore e Luigi XVI decise
questa volta di accettare lo scontro diretto con il parlamento. Esso si rifiutò di
registrare sia il decreto che istituiva la nuova imposta, dichiarandolo illegale, sia un
decreto relativo a un prestito pubblico. I parlamentari stavano passando a una
strategia più ampia, il cui obiettivo ultimo non poteva essere che un mutamento
costituzionale profondo, con la trasformazione del parlamento stesso da organo
giudiziario in organo di governo. Dopo altri sei mesi di polemiche sempre più
accese, nel maggio del 1788 il re decise di sciogliere il parlamento. Subito tutti i
parlamenti provinciali insorsero in difesa dei colleghi di Parigi. L’intero corpo
della nobiltà denunciò l’assolutismo di Luigi XVI, facendo propri in maniera
inaspettata gli argomenti contro la tirannide tipici dei filosofi illuministi e
soprattutto di Montesquieu, che era stato anch’egli un nobile togato.
Più sorprendentemente ancora nobiltà e parlamentari ottennero un vasto appoggio
popolare. Sommosse e tumulti scoppiarono un po’ ovunque nell’estate, mentre la
richiesta avanzata continuamente dagli oppositori del re diventava una parola
d’ordine universale: era arrivato il momento di convocare gli Stati generali.
Il re ancora una volta cedette e mentre iniziavano i preparativi per gli Stati
generali, fissati nella primavera del 1789, Necker venne richiamato alla carica di
controllore generale.
2 - LA CONVOCAZIONE DEGLI STATI GENERALI E IL DIBATTITO
POLITICO
2.1 Modalità di voto e numero di rappresentanti
2.2 Il ruolo del terzo stato
2.3 Le elezioni degli Stati generali
2.4 Gli obiettivi delle forze sociali
2.5 Le fasi della rivoluzione
Un problema fondamentale riguardava la convocazione degli Stati generali:
si sarebbe confermata la consuetudine, votando per ordine (nel qual caso il
Terzo stato non aveva spazi, in quanto sarebbe stato messo in minoranza) o
per testa (cioè dando un voto per ciascuno dei deputati partecipanti)? Il
Parlamento di Parigi rivelò a questo punto la sua scelta conservatrice,
1_________________________________
2 _________________________________
3 _________________________________
La discussione sui ____________________
_______________________(imposte senza
_________________________sulla terra,
abolizione______________)
la rivolta dei _______________________
la richiesta di ________________________
__________________________________
LA CONVOCAZIONE DEGLI STATI
GENERALI E IL DIBATTITO POLITICO
Oggetti del dibattito:
a) voto per __________________ o per
_________________________________
b) _________________________________
__________________________________
104
alienandosi così di colpo le simpatie del Terzo stato. Decise infatti che le
votazioni sarebbero state secondo le consuetudini, cioè per ordine, mentre
l’opinione pubblica si batteva ormai apertamente per la votazione per testa
e per un aumento della rappresentanza del Terzo stato. Necker, ancora una
volta, portò avanti una soluzione di compromesso. Accettò il
raddoppiamento della rappresentanza del Terzo stato, ma non prese
nessuna decisione per quanto riguardava il modo di votare.
La convocazione degli Stati generali fu accompagnata da un’intensa crescita
politica dell’opinione pubblica sia a Parigi, sia nelle province. Crescita
legata alla circolazione di un gran numero di opuscoli destinati a chiarire gli
obiettivi dei diversi gruppi. Particolarmente significativo fu a Parigi il testo
diffuso da Sieyès, un ex canonico, dal titolo Qu’est-ce que le trers etat? (Che
cos’è il terzo stato?) che lo stesso autore sintetizzava in questo modo:
«Il piano di questo scritto è molto semplice. Dobbiamo farci tre domande: 1. Che
cos’è il Terzo stato? Tutto; 2. Che cosa ha rappresentato finora nell’ordinamento
pubblico? Nulla; 3. Che cosa chiede? Di diventare qualcosa.».
Sieyès delineava una definizione del Terzo stato: contadini, artigiani,
mercanti, professionisti. Questi quattro gruppi, che erano in sostanza la
nazione completa, in quanto comprendevano i 19 ventesimi della società,
venivano tenuti ai margini delle funzioni pubbliche (spada, toga, chiesa e
amministrazione). L’attacco alla nobiltà era durissimo: «… occorre
dimostrare che l’ordine dei nobili non entra affatto nell’organizzazione sociale, che
può essere sì un peso per la nazione, ma che non potrebbe mai essere una parte di
essa... È impossibile trovare in ognuna delle parti elementari di una nazione, un posto
ove collocare la casta dei nobili...».
Sieyès formulava quindi tre rivendicazioni: che per il Terzo stato i
rappresentanti uscissero tutti dalle sue fila; che il numero dei suoi deputati
fosse almeno uguale a quello di entrambi gli altri ordini; che si votasse
per testa.
Le elezioni degli Stati generali si svolsero agli inizi del 1789 e videro eletti
con un suffragio praticamente universale 1.139 deputati. Vale la pena di
esaminarne più analiticamente la composizione: la deputazione del clero era
formata da 291 membri, fra cui oltre 200 curati. Era divisa in due schieramenti
di cui il più ampio ed aperto alle alleanze con il Terzo stato comprendeva gran
parte del basso clero e alcuni vescovi riformatori. I deputati della nobiltà, 270,
erano a loro volta divisi in due gruppi, quello reazionario, coordinato da
piccoli nobili di provincia e quello dei patrioti (90), guidato dal marchese de
la Fayette, che era stato un eroe della guerra americana. Nel Terzo stato (578
deputati) prevalevano gli avvocati, oltre 200, un centinaio di rappresentanti della
borghesia produttiva (mercanti, banchieri, uomini d’affari), una cinquantina di
proprietari terrieri, intellettuali e scienziati. Fra i deputati del Terzo stato
c’erano anche due transfughi da altri ordini: un marchese e il canonico Sieyès.
Un documento veramente notevole della campagna elettorale furono i
Cahiers de doléance, raccolte di critiche e di esigenze locali. Ogni assemblea
ne redigeva uno. Si tratta di una documentazione imponente, circa 60.000
testi, che esprimono con immediatezza i problemi, le inquietudini e le attese
della società nel 1789.
Comune, anche nei cahiers del Terzo stato, era la fiducia nella monarchia
riformatrice; comune, ancora, era la richiesta di una costituzione. Ma oltre
questa generica unanimità, cominciavano le profonde differenziazioni. Il
Terzo stato chiedeva uguaglianza giuridica, pari condizioni di rappresentanza
(un’unica sede e non camere separate), abolizione della venalità delle
cariche. In qualche caso emergeva la richiesta di abolire i diritti feudali.
Anche la chiesa era naturalmente posta sotto accusa, soprattutto per quanto
riguardava le immunità fiscali.
Gli obiettivi delle diverse componenti sociali alla vigilia dell’apertura degli Stati
Il dibattito pubblico
Sieyés “Che _______________________
le rivendicazioni del __________________
I _______________ degli Stati generali
1- ______________________________
a)_________________________________
b)_________________________________
2 - ________________________________
a)_________________________________
b)_________________________________
3 - Terzo stato
I _________________________________:
fiducia nella _____________ e richiesta di
_________________________________
GLI OBIETTIVI DEI
_____________________________
105
generali possono, dunque, essere così riassunti: la monarchia puntava a
riaffermare il suo potere e a creare un sistema fiscale più efficiente; l’alto clero e
la nobiltà a difendere i propri privilegi; il terzo stato, nella sua componente
dominante la borghesia, intendeva superare lo stato assoluto e il tipo di società
che lo reggeva, abolendo i diritti per nascita o acquisiti, e ottenere l’uguaglianza
giuridica per tutti e un maggior peso politico per se stessa.
3 - 1789-91: L’EGEMONIA BORGHESE E LO STATO COSTITUZIONALE
3.0 Le fasi della Rivoluzione francese
3.1 Il superamento dello stato assoluto e della società “ancien régime”
3.2 L’egemonia borghese: la monarchia costituzionale
3.0 Le fasi della Rivoluzione francese
Possiamo suddividere gli avvenimenti legati alla Rivoluzione Francese in quattro
periodi così caratterizzabili:
1789-1791: abbattimento stato assoluto e costituzione di uno stato liberale
borghese
1791-1794: dallo stato liberale borghese al governo giacobino (prima forma di
stato democratico)
1794-1799: lo smantellamento dello stato giacobino e la stabilizzazione politica
1799-1814: periodo napoleonico, l’esperienza francese viene portata in tutta
l’Europa
GLI OBIETTIVI DEI _____________________________
Re = _________________________________ +__________________________________________
____________________ = ______________________________________________________________________________
Borghesia = _______________________________________________________ attraverso:
1 -________________________________________________________________________________________________
2 -________________________________________________________________________________________________
3 -________________________________________________________________________________________________
LE FASI DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE:
1789-91: L’EGEMONIA BORGHESE E LO STATO COSTITUZIONALE
A- IL SUPERAMENTO DELLO STATO ASSOLUTO E DELLA SOCIETÀ "ANCIEN RÉGIME"
1 - _________________________________________________________________________________________________________
2 - _________________________________________________________________________________________________________
3 - _________________________________________________________________________________________________________
4 - _________________________________________________________________________________________________________
5 - _________________________________________________________________________________________________________
106
3.1 Il superamento dello stato assoluto e della società “ancien régime”
Dopo la seduta inaugurale del 5 maggio 1789, l’attività degli Stati generali rimase
subito bloccata per più di un mese dalla questione procedurale, a cui non si poteva
non attribuire un’importanza politica decisiva, relativa alle modalità di votazione. Il
Terzo stato voleva arrivare a imporre un criterio di votazione a maggioranza, fondato
sul numero dei deputati e non sull’equilibrio fra i tre ordini separati, e chiese perciò
che la verifica delle credenziali dei deputati fosse fatta in una seduta comune; per lo
più gli ecclesiastici e i nobili volevano invece che le tre assemblee cominciassero
subito e separatamente i loro lavori.
Il 17 giugno il Terzo stato, con l’appoggio di alcuni membri del basso clero, pose
fine agli indugi e compì il primo atto rivoluzionario proclamandosi assemblea
nazionale e attribuendosi un compito che andava assai al di là della semplice
votazione di un nuovo prestito, come invece il re avrebbe voluto. Il 20, i deputati,
trovata chiusa per ordine del re la loro sede, riuniti nella Sala della Pallacorda (un
locale adibito a un gioco simile al tennis), giurarono di non sciogliersi prima di
aver dato alla Francia una costituzione. A essi si aggiunse la maggioranza del clero
e, dopo qualche giorno, il re dovette cedere e ordinò alla nobiltà e alla minoranza del
clero di unirsi al Terzo stato (27 giugno). A questo, punto l’antico sistema
rappresentativo della società per ceti, gli Stati generali, cessava di esistere e di lì a
poco nasceva (9 luglio) l’Assemblea nazionale costituente.
Lo scontro con il re era solo rimandato e le forze riformatrici si prepararono
pensando soprattutto a utilizzare le tensioni crescenti del popolo di Parigi.
Ogni giorno migliaia di persone si riunivano per ascoltare oratori improvvisati
o i leader dell’opposizione antiassolutista di Versailles; gruppi borghesi
cominciavano a costituire club pubblici e a gettare le basi di una vera struttura
pronta all’azione e sicura di poter contare sull’appoggio delle masse popolari
degli artigiani e degli operai. Quali fossero le intenzioni del re lo si capì bene
quando 1’11 luglio Necker venne licenziato e si cominciarono a vedere
movimenti di truppe intorno a Versailles. Se la borghesia parigina aveva
pensato di poter spingere il popolo a una sommossa dimostrativa, non aveva
però calcolato che esso era già pronto per suo conto all’insurrezione.
Nonostante fossero iniziate le operazioni di un raccolto che si prevedeva
migliore di quello dell’anno precedente, il prezzo del pane non accennava affatto a
scendere: giugno era stato il mese delle punte più elevate e spontaneamente la notte
fra 1’11 e il 12 luglio gli operai e gli artigiani cominciarono a dare alle
fiamme i caselli dove le merci pagavano i dazi di entrata a Parigi innalzando i
loro prezzi. E ancora spontaneamente, i due giorni successivi, borghesi e
popolani si dettero convegno in più punti della città per andare a procurarsi
armi ovunque se ne trovassero. Il 13 luglio la municipalità di Parigi era in mano
ai capi della sommossa; la mattina del 14 luglio (era martedì) una folla di alcune
migliaia di persone si diresse verso la fortezza della Bastiglia. Benché in quel
momento fossero rinchiusi nella Bastiglia soltanto sette prigionieri, e non per
ragioni politiche, la vecchia mole dell’edificio aveva conservato tutta la sua
carica di simbolo dell’assolutismo; quando il comandante della guarnigione .ordinò di fare fuoco sui dimostranti (che lasciarono sul campo un centinaio di
morti), la spedizione mossasi alla ricerca di armi si trasformò di colpo in un
avvenimento storico: la Bastiglia, conquistata d’assalto, venne incendiata e
demolita. Gli insorti parigini avevano salvato i deputati di Versailles e il re fu
costretto a richiamare Necker.
Nei giorni precedenti la presa della Bastiglia venne costituita la Guardia
nazionale, una milizia armata espressione degli iscritti alle sezioni
elettorali della capitale che avevano continuato a riunirsi anche dopo avere
eletto i deputati agli Stati generali. Forza essenzialmente borghese, la
guardia nazionale doveva essere in grado di opporsi alle truppe regie e a1lo
1789-91: L’EGEMONIA BORGHESE E
LO STATO COSTITUZIONALE
A - SUPERAMENTO DELLO STATO A SSOLUTO
E DELLA SOCIETÀ “ANCIEN RÉGIME”
L’inizio dei lavori degli Stati generali: la
discussione sulle _____________________
1 – TRASFORMAZIONE STATI GENERALI IN
___________________________________
Il ____________________ della Pallacorda
La _________________ delle tre assemblee
La formazione ______________________
___________________________________
2 – __________________________ DELLA
BORGHESIA E DELLE MASSE POPOLARI
Borghesia:
- club ________________________,
- Guardia _________________________,
Masse popolari:
manifestazioni,
_________________________________
I momenti della partecipazione delle masse
popolari:
a) La ______________________________
(14 luglio_________)
La Guardia _______________________
107
steso tempo essa doveva impedire che l’elemento più plebeo e anarchico
della popolazione parigina tubasse l’ordine pubblico.
Compatibilmente con la velocità di circolazione delle notizie, i fatti di Parigi
furono conosciuti nel giro di uno o due giorni nelle maggiori città francesi: da
Bordeaux a Nancy e da Le Havre a Strasburgo le autorità comunali furono rove-
sciate da analoghe sommosse popolari e borghesi e sostituite da governi locali
rivoluzionari. Nella profonda campagna della Francia le notizie arrivavano più
in ritardo, deformate e amplificate come dicerie; è certo comunque che la grande
sommossa contadina che si verificò un po’ dovunque nel mese di luglio ebbe
scarsi rapporti con i fatti di Versailles e di Parigi. I prezzi che continuavano ad
aumentare e la corsa all’incetta del nuovo raccolto di cereali avevano fatto in-
travedere un secondo anno di carestia (e in effetti i prezzi agricoli
continuarono a salire fino al maggio del 1790). Armati degli attrezzi del loro
lavoro e della loro ira, le armi immediate di tutte le jacqueries, i contadini si
mossero ovunque all’assalto dei castelli dei signori.
L’assemblea di Versailles, appena uscita vincitrice dal conflitto con il re, dovette
subito mettere da parte i suoi propositi di riforma costituzionale e prendere
delle rapide decisioni di fronte a quell’imprevista rivolta contadina che stava
coinvolgendo centinaia di migliaia di persone.
Sospinta da questi avvenimenti, in un’atmosfera di entusiastica volontà di-
struttiva del passato l’Assemblea, nella notte del 4 agosto, decise l’abolizione del
regime feudale. Nei giorni seguenti questa decisione fu tradotta in decreti che
sopprimevano tutti i privilegi giuridici e fiscali, la venalità delle cariche e la decima
ecclesiastica. Per i diritti feudali fu stabilito che quelli gravanti sulle persone
(come le corvées) erano interamente aboliti, mentre i diritti sulle terre, considerati
una forma di proprietà, dovevano essere riscattati.
Nella realtà, tuttavia, i contadini cessarono di pagare i censi e non pagarono
neppure il riscatto, da cui furono poi liberati anche formalmente dalla
successiva radicalizzazione del processo rivoluzionarlo e, nella stragrande
maggioranza, si legarono indissolubilmente al nuovo regime. Il clero fu l’unico a
essere veramente colpito, perché le sue decime non beneficiarono di nessuna
forma di riscatto e svanirono insieme alle corvées.
Prima che la delusione dei contadini riaccendesse le tensioni nelle campagne
sarebbero passati parecchi mesi; l’assemblea aveva ripreso in mano la situazione
e poteva ormai comportarsi come un vero organismo costituente, approvando il
26 agosto una Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Molte
tradizioni politiche venivano a confluirvi e accanto alle tracce di Locke e
Montesquieu era facile trovarvi quelle di Rousseau: infatti, da una parte vi si
affermavano la separazione dei poteri, i diritti naturali dell’individuo (in particolare
la libertà personale di fronte agli arbitri della polizia, la libertà di espressione del
pensiero e delle opinioni religiose, 1a libertà di stampa, il diritto di proprietà
inviolabile e sacro), l’uguaglianza di fronte alla legge; dall’altra si enunciavano
l’idea della sovranità nazionale, che avrebbe fatto del re soltanto un funzionario
della nazione, e la definizione della legge come espressione della volontà
generale. Era l’atto di morte dello stato assoluto e dell’ancien règime.
I risultati dell’agosto 1789 non divennero subito acquisizioni definitive: il re infatti
si rifiutava di approvare i decreti. La difficoltà di trovare un compromesso con la
monarchia rimaneva così uno degli elementi principali di instabilità. A Parigi
cresceva intanto il livello della partecipazione politica, (l’assicurata libertà di
stampa aveva cominciato a far nascere giornali che tenevano surriscaldata
l’atmosfera) ma aumentava anche la tensione popolare per la scarsità dei generi
alimentari e per il timore di una reazione aristocratica.
Ancora una volta la situazione venne sbloccata dall’intervento del popolo di
Parigi. Il 5 ottobre un corteo composto prevalentemente da donne si diresse alla
volta di Versailles per reclamare pane e per riportare il re a Parigi. Lo seguì a
breve distanza la Guardia nazionale (la milizia a reclutamento borghese) al
b) la rivolta delle ____________________
c) vedi pag. successiva
3 – L’ABOLIZIONE DEL _________________
_________________
Soppressione di:
a__________________________________
b _________________________________
c ______________________
d ______________________
il riscatto di _________________________
_______________________
Contadini, clero e ____________________
4 – LA DICHIARAZIONE DEI _____________
_______________________
a__________________________________
b__________________________________
c__________________________________
d _________________________________
e__________________________________
le resistenze del re a _________________
___________________________________
108
comando di La Fayette. Nella notte il re cedette sui decreti anti-feudali e la mattina
successiva, dopo che un’invasione nel palazzo fu ostacolata dalla Guardia
nazionale, acconsentì, sotto la pressione della folla, a trasferirsi a Parigi, nella
reggia delle Tuileries. Il lungo corteo che il 6 ottobre mosse verso la capitale vide
provvisoriamente uniti in una concordia apparente tutti i protagonisti di un
dramma politico: il re e la sua famiglia, i deputati dell’Assemblea, il popolo
parigino, la Guardia nazionale. L’indebolimento della monarchia, ormai
prigioniera di Parigi, forse avrebbe potuto essere arginato se il re avesse accettato
l’obiettivo di una soluzione costituzionale all’inglese. Luigi XVI non aveva né le
capacità politiche, né la mentalità, né il temperamento per accettare il nuovo
regime e quindi venire coerentemente a patti con i suoi rappresentanti.
Nell’immediato, comunque, Assemblea costituente si trovò a dover affrontare il
grave problema finanziario che finì per diventare l’occasione per dare l’ultima
spallata alla struttura dell’ancien régime con la requisizione dei beni ecclesiastici (in
seguito, nel febbraio 1790, furono proibiti i voti monastici e aboliti gli ordini
religiosi, salvo quelli dediti all’insegnamento e all’assistenza ospedaliera).
Nell’affrontare il problema finanziario i costituenti non poterono fare nient’altro
che riconoscere l’intero debito pubblico, con tutto il peso sul bilancio che
esso comportava, volendo mantenere il consenso dei gruppi finanziari al nuovo
regime; si trovarono quindi a dover fronteggiare un bilancio ancora
fortemente deficitario.
Il nuovo sistema fiscale sarebbe stato fondato su imposte uguali per tutti,
senza privilegi di classe o provinciali; ma non si poteva sperare che le nuove
imposte dessero risultati soddisfacenti sin dalla loro prima applicazione, tanto più
che quella fondiaria presupponeva l’esistenza di un catasto, cosa di cui si
comincerà a parlare soltanto più di dieci anni dopo.
Perciò, prima ancora che la riforma fiscale venisse perfezionata, si pose la
questione di trovare un’altra fonte di entrata per lo stato; non restò altro che
nazionalizzare tutti i beni del clero, il cui valore era stimato i 3/5
dell’ammontare del debito pubblico alla fine del 1789. Il primo atto di
trasformazione di questo patrimonio terriero in beni nazionali fu compiuto il
2 novembre 1789, ma lo stato aveva bisogno subito di denaro e la vendita im-
mediata delle terre della Chiesa, oltre a essere praticamente irrealizzabile, avrebbe
avuto l’effetto negativo di deprimere eccessivamente i prezzi che si potevano
ottenere. L’assemblea decise allora l’emissione di buoni del tesoro con l’inte-
resse del 5 per cento (“assegnati”) di cui lo stato si sarebbe servito per fare i
propri pagamenti in attesa della vendita dei terreni. Non era ancora una vera e
propria cartamoneta, ma una sorta di prestito forzoso doppiamente garantito:
non solo dall’interesse, ma soprattutto dal fatto che gli assegnati sarebbero poi
serviti ad acquistare i beni nazionali, per venire infine via via distrutti.
Per togliere ogni dubbio sul fatto che gli assegnati non erano cartamoneta essi
sarebbero inoltre stati emessi solo in grossi tagli da 1000 lire tornesi. Ma già
pochi mesi dopo la decisione di una prima emissione di 400 milioni, l’interesse
fu ridotto al 3 per cento, i tagli furono in realtà anche da 200 e 300 lire e
l’assegnato ebbe corso legale, fu cioè ammesso anche nei pagamenti tra
privati oltre che in quelli fra lo stato e i privati. Nel settembre 1790
l’emissione totale salì a 1200 milioni e l’interesse fu abolito. Per trasformare
l’assegnato in cartamoneta c’era, un ultimo passo da compiere, l’emissione di
biglietti in tagli più piccoli da 5 lire, cosa che si verificò fra il maggio e il
giugno del 1791.
D’ora in poi i possessori di assegnati sarebbero divenuti strenui difensori della
rivoluzione, perché solo la vendita effettiva dei beni della Chiesa avrebbe dato un
contenuto reale a quei pezzi di carta. Nel settembre 1792, quando la situazione
politica era precipitata da un pezzo gli assegnati ammontavano ormai a 2700
milioni, le vendite dei beni nazionali già effettuate corrispondevano a circa 640
milioni. Di esse avevano beneficiato per lo più i borghesi benestanti, perché i
(c pag. precedente) La manifestazione
popolare:
il ritorno ___________________________
5 – LA REQUISIZIONE DEI _______________
___________________________________
Il problema _________________________
il riconoscimento del __________________
___________________________________
Il progetto di ________________________
La nazionalizzazione _________________
__________________________________
L’emissione degli assegnati
_________________________ garantiti da:
_________________________ +
___________________________________
da buoni del tesoro a __________________
La fedeltà alla rivoluzione dei __________
__________________________________
109
lotti messi all’incanto erano sempre di dimensioni troppo grandi per le
possibilità economiche dei contadini.
3.2 L’egemonia borghese: la monarchia costituzionale
Nei due mesi trascorsi dal 17 giugno al 26 agosto tre rivoluzioni si erano
dunque succedute e intrecciate: quella del Terzo stato, quella del popolo di
Parigi e quella delle campagne. La seconda aveva oggettivamente portato
soccorso alla prima, ma tutte e tre avevano radici proprie e finalità non
coincidenti. Solo il Terzo stato aveva un programma ben definito e
un’immagine molto chiara del tipo di società che voleva costruire, visto che alle
sue spalle c’erano decenni di dibattito culturale illuminista, liberista e
fisiocratico. La rivoluzione borghese sarebbe proseguita senza traumi laceranti
se solo fosse stato possibile tenere sotto controllo Parigi e assorbire la protesta
delle campagne.
Nei ventuno mesi che passarono tra l’ottobre del 1789 e il giugno del 1791 la
rivoluzione sembrò aver trovato un suo equilibrio, specialmente dopo che dal
maggio del 1790 i prezzi del pane si erano avviati a tornare alla normalità.
Dopo l’estate del 1789 l’assemblea costituente modernizzò profondamente
tutte le istituzioni ed elaborò una costituzione che rendeva possibile un nuovo
patto fra la monarchia e il paese.
In realtà tutte le forze presenti nell’assemblea costituente erano consapevoli che la
tregua conquistata era provvisoria e fragile. Esse non assomigliavano a veri partiti
organizzati, ma le diverse posizioni erano ben distinte e su queste si sviluppò presto una
nuova terminologia politica. Il gruppo che sedeva abitualmente alla destra della
presidenza includeva non solo gli irriducibili avversari di ogni trasformazione, ma
anche elementi più accorti nella diplomazia parlamentare che proponevano di
prendere a modello la costituzione inglese attr ibuendo al re i l potere di
nominare una seconda Camera accanto a quella eletta dal popolo, e di apporre un veto
alle leggi che non avevano ottenuto il suo gradimento. Il più folto gruppo della sinistra,
nel quale spiccavano e Mirabeau e La Fayette, riuscì per lo più a imporre la sua visione
più rigorosamente parlamentare: Luigi XVI, divenuti ora “re dei francesi” avrebbe
avuto solo un diritto di veto sospensivo, che poteva essere scavalcato da una seconda
votazione dei deputati; il parlamento sarebbe stato composto da una sola Camera elettiva
e il re non avrebbe avuto il potere di scioglierla.
Su molti altri problemi la sinistra stessa era però divisa e soprattutto sull’estensione del
suffragio. Il suffragio universale (limitato ai cittadini maschi maggiorenni) doveva
derivare logicamente dall’affermazione dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte
alla legge. Ma solo per una parte ristretta dei costituenti ciò che era giusto per i diritti
civili poteva trasferirsi nel diverso campo dei diritti politici.
La varietà e diversità delle posizioni non pregiudicò in questa fase il consenso
L’EGEMONIA BORGHESE: LA
MONARCHIA
COSTITUZIONALE
Le tre rivoluzioni: ___________________,
__________________________________,
__________________________________
IL DIBATTITO POLITICO NELL’ASSEMBLEA
COSTITUENTE:
A) IL NUOVO STATO:
destra:
1________________:_________________
2 _______________: _________________
__________________________________
3 sinistra: _________________________
_________________________________
B) IL SUFFRAGIO ____________________
prevalere del ________________________
B - LA COSTRUZIONE DELLA MONARCHIA COSTITUZIONALE
1 - _________________________________________________________________________________________________________
2 - _________________________________________________________________________________________________________
3 - _________________________________________________________________________________________________________
4 - _________________________________________________________________________________________________________
5 - ________________________________________________________________________________________________________
6 - _________________________________________________________________________________________________________
110
largamente maggioritario ai risultati del 1789. Ma la traduzione di questi risultati in
nuove strutture e istituzioni pose le premesse di divisioni profonde. Quella che
potremmo definire la rivoluzione politica del Terzo stato si veniva organizzando
come un regime politico di borghesi benestanti, di proprietari terrieri (designati in
genere con il termine notabili): e in questo senso possiamo parlare di
rivoluzione borghese.
Quando, nel dicembre 1789, si trattò di decidere i criteri in base ai quali attribuire i diri tt i
politici, i cittadini furono distinti in attivi e passivi in base al censo, (cioè al
reddito, alla ricchezza). Soltanto quanti pagassero almeno un’imposta annua pari
a tre giornate di lavoro erano considerati attivi e entravano a far parte del corpo
elettorale, che risultò composto da oltre 4 milioni di cittadini maschi di età superiore ai 25
anni. Gli appartenenti agli strati più poveri della società, circa 3 milioni, erano
considerati cittadini passivi ed erano esclusi dal diritto di voto. Ma non tutti i
cittadini attivi erano eleggibili. Condizione per essere eletti deputati era
possedere una qualsiasi proprietà fondiaria e pagare almeno un marco d’argento
(52 lire) di imposte. Questo sistema elettorale censitario riservava ai notabili la
rappresentanza della nazione, ma rischiava di non essere compatibile con la
mobilitazione di larghi strati popolari, soprattutto urbani, in parte relegati nella
categoria dei cittadini passivi, privati dei diritti politici e formalmente esclusi
anche dalla Guardia nazionale.
Nonostante la sua importanza, la questione dei diritti politici rimase sullo sfondo
anche perché le elezioni si tennero solo nell’estate del 1791.
Dopo la requisizione dei beni della Chiesa apparve inevitabile che spettasse
allo Stato il mantenimento degli ecclesiastici, equiparati ai funzionari pubblici dalla
Costituzione civile del clero, votata nel luglio 1790. La Costituzione civile
attribuiva la nomina dei vescovi e dei parroci alle assemblee locali e, come
tutti gli altri funzionari, anche gli ecclesiastici furono obbligati a giurare
fedeltà alla nazione, al re, alla costituzione. Questa profonda modifica
dell’organizzazione ecclesiastica fu, come era prevedibile, condannata da
papa Pio VI. Solo 7 vescovi su 130 prestarono il giuramento, mentre il basso
clero si divise a metà fra favorevoli (costituzionali) e contrari (refrattari) alla
Costituzione civile. Il gravissimo scisma che si venne così aprendo nella
Chiesa di Francia ebbe come conseguenza lo schierarsi di una parte
consistente e progressivamente maggioritaria del clero tra le file della
controrivoluzione.
Nello stesso arco di tempo, fra il ‘90 e il ‘91, l’Assemblea costituente proseguì
nell’opera di edificazione delle nuove strutture amministrative, giudiziarie e
finanziarie.
La venalità degli uffici veniva soppressa; l’uguaglianza di tutti i cittadini
nell’ammissione alle cariche pubbliche era affermata senza eccezione alcuna; la
Francia fu suddivisa in 83 dipartimenti, geograficamente omogenei e tali che
dalla località più distante si potesse raggiungere il capoluogo in una giornata di
cammino. Fu instaurato un compiuto decentramento che rovesciava il sistema
accentrato voluto dalla monarchia assoluta e realizzato dagli intendenti.
Inoltre la giustizia doveva essere amministrata gratuitamente e i privilegi fiscali
erano tutti aboliti.
Per quel che riguarda la politica economica venivano abolite tute le dogane interne;
la liberalizzazione del commercio e della produzione la si ottenne togliendo i
privilegi alle compagnie monopolistiche e facendo scomparire l’intero regime
corporativo; più tardi, nel giugno 1791, la legge che portò poi il nome del
deputato Le Chapelier vietò gli scioperi e le associazioni operaie. Quest’ultimo
decreto esprimeva chiaramente la volontà dei costituenti di lasciare il mercato
sovrano nella formazione dei prezzi e dei salari, rompendo risolutamente con
una tradizione secolare di vincoli e favoritismi. Lo stesso doveva dunque
accadere anche nelle pratiche agricole: per chiudere definitivamente con il
regime dell’open field, veniva concessa l’assoluta libertà di disporre della propria
La rivoluzione ______________________
B - LA COSTRUZIONE DELLA MONARCHIA
COSTITUZIONALE
1 – L’ADOZIONE DEL __________________
______________________
Cittadini _______________e _______ ___
cittadini __________________________
2 – LA COSTITUZIONE _________________
_______________________
a _________________________________
b__________________________________
c__________________________________
Clero __________________________
3 – LA POLITICA______________________
_________________________________
4 – LA POLITICA______________________
a_________________________________
b__________________________________
c__________________________________
d__________________________________
111
terra recintandola e sottraendola alle regole del villaggio che si opponevano
all’innovazione agronomica. Se a tutto questo aggiungiamo la concessione dei
diritti civili agli ebrei e ai protestanti, il divieto dei voti monastici, la
soppressione degli ordini religiosi puramente contemplativi e di tutti i titoli
nobiliari, vediamo ancora meglio profilarsi l’immagine di una società rinnovata
senza fare troppo ricorso alla violenza
Il regime politico che si veniva definendo con le norme elettorali e nella redazione
della costituzione era un regime liberale, fondato sulla separazione dei
poteri. I giudici divennero elettivi, fu previsto un Parlamento composto da una
sola camera, l’Assemblea legislativa, della durata di .2 anni. I ministri, di no-
mina regia, erano responsabili solo di fronte al sovrano e non potevano
essere membri dell’Assemblea. Il re aveva facoltà di opporre un veto sospensivo
alle leggi votate dall’Assemblea: solo dopo la conferma in due assemblee
successive tali leggi sarebbero diventate esecutive.
Il sistema previsto dalla Costituzione del 1791, approvata il 3 settembre, era
congegnato in modo da richiedere, per un suo corretto funzionamento, uno
stabile accordo tra il potere esecutivo e quello legislativo, fra sovrano e
Assemblea.
Ma l’equilibrata realizzazione, di una monarchia costituzionale, com’era nei voti
delle correnti politiche moderate, fu spazzata via dalla fuga del re da Parigi, il 20-21
giugno 1791. Il gesto del re mostrava la sua chiara adesione ai programmi degli
aristocratici emigrati e della controrivoluzione. Il disegno era quello di guidare
dall’estero una restaurazione armata della vecchia Francia. Riconosciuto e
fermato a Varennes, il re fu ricondotto a Parigi, insieme alla sua famiglia, fra due
ali di guardie nazionali e di popolo ostile e ammutolito.
4 - 1791-94: L’EGEMONIA DELLE MASSE POPOLARI E LO STATO
GIACOBINO
4.1 La radicalizzazione della situazione
4.2 Il superamento della monarchia costituzionale
4.3 Il contrasto tra girondini e giacobini
4.4 La dittatura giacobina
4.1 La radicalizzazione della situazione
Con la sua fuga il re aveva sconfessato il compromesso costituzionale dando
forza a chi lo considerava inadeguato e radicalizzato il dibattito politico: ben
presto la divaricazione fra rivoluzione liberale e rivoluzione democratica, fra
moderati e radicali sarebbe diventata insanabile. Infatti, a difesa del sistema
costituzionale che era stato creato e del re stesso, che ne rappresentava volente o
nolente il perno, intervennero sia l’assemblea costituente, che dapprima sospese
il re e in seguito ne proclamò l’innocenza accreditando la versione di un re rapito
contro la sua volontà, sia la Guardia nazionale, sparando sulla folla che
manifestava contro le decisioni dell’Assemblea costituente. A difesa delle
manifestazioni contro l’Assemblea si schierarono invece le forze più radicali: i
cordiglieri, che le avevano organizzate, e la grande maggioranza dei giacobini,
appartenente alla borghesia delle professioni liberali, che si orientò
5 – DIRITTI _________________________
- __________________________________
- __________________________________
6 – LA _____________________________
Re = _____________________________
Parlamento = _______________________
Fuga e _________________ (giugno 1791)
1791-94: L’EGEMONIA DELLE MASSE
POPOLARI E LO STATO GIACOBINO
LA RADICALIZZAZIONE DELLA SITUAZIONE
LA RIAPERTURA DEL PROCESSO
RIVOLUZIONARIO
IL DIFFERENZIARSI DELLE POSIZIONI:
_______________ (moderate) e _________
____________(____________________)
A)IL DIBATTITO____________ __________
a difesa del re = _____________________
___________+_______________________
contro il re = ________________ +______
_____________ + ____________________
112
nettamente per un’evoluzione democratica del processo rivoluzionario2. Fra i
leader dei nuovi giacobini spiccava ora l’avvocato e costituente Robespierre, a
favore dell’alleanza con il popolo di Parigi - con le sue sezioni elettorali
attorno a cui si organizzava la partecipazione dei sanculotti3 - e con i
cordiglieri, di cui facevano parte Marat e Georges Danton, altro rappresentante
della borghesia intellettuale.
La crisi politica venne per il momento evitata; la costituente terminò i lavori e il
re, reintegrato, giurò fedeltà alla costituzione. Nel mese di settembre si tennero le
elezioni per la prima assemblea legislativa e il 10 ottobre 1791 ci fu la
prima riunione dei 745 deputati. La costituente aveva deciso per la non rieleggibilità
dei propri membri e perciò i personaggi politici degli ultimi tre anni scomparvero
momentaneamente di scena. Un terzo dei deputati entrò a far parte del club moderato
dei foglianti, un quinto aderì ai giacobini, ma la grande maggioranza rimase
neutrale rispetto alle fazioni che si erano formate durante i mesi precedenti ed
erano detti costituzionali, poiché si riconoscevano nella Costituzione. Fra i
nuovi dirigenti politici del parlamento un posto di rilievo spettava a Jean-Pierre
Brissot, attorno a cui si formò un piccolo raggruppamento di deputati che si con-
quistò presto un grande prestigio per l’oratoria radicale dei suoi esponenti, eletti
nel dipartimento della Gironda in rappresentanza della borghesia mercantile di
Bordeaux; furono chiamati girondini.
Nessuno di questi gruppi era in grado di esercitare un’egemonia politica,
mentre l’atmosfera politica era surriscaldata dall’opinione diffusa di una vasta
azione controrivoluzionaria concertata, che includeva gli emigrati (la grande
nobiltà e parte della corte stessa), il clero retrattario al giuramento
costituzionale, i gruppi reazionari interni, l’ambiente di corte e ora sempre
più i sovrani della Prussia e dell’Impero asburgico che avevano diffuso un
manifesto di preoccupazione sugli eventi francesi, da cui risultava che
l’influenza degli emigrati aveva superato i confini francesi.
L’iniziativa della guerra non venne però dall’esterno, ma dalla stessa Francia.
Nel marzo 1792 Luigi XVI nominò un ministero composto quasi per intero di
amici di Brissot e il 20 aprile questo dichiarò guerra all’Austria, in aiuto della
quale scattò subito l’alleanza della Prussia.
I girondini e una parte delle forze radicali erano convinte che una vittoria
avrebbe rinsaldato la rivoluzione; Luigi XVI cercava in pratica una sconfitta
militare della Francia che si trasformasse in una sconfitta della rivoluzione.
Molti uomini politici divenuti da tempo dei moderati, come La Fayette,
potevano sperare in una breve campagna militare vista soprattutto come
operazione di politica interna, per creare le condizioni per un potere centrale
più forte che ponesse fine all’estendersi dei processi rivoluzionari.
L’esercito francese fu lanciato impreparato e demoralizzato in questa
avventura militare; la maggior parte degli ufficiali, che erano tutti aristocratici,
aveva presentato le dimissioni andando a ingrossare le fila dell’emigrazione. La
condotta della guerra dette subito l’impressione che si stesse cercando la
sconfitta. I maggiori esponenti della sinistra democratica - Robespierre
(contrario alla guerra), Marat e Danton - avevano buone ragioni per gridare al
tradimento. Di fronte al licenziamento del ministero girondino, sostituito da
moderati foglianti, i quartieri popolari di Parigi tornarono a insorgere (20
giugno); Robespierre e Brissot trovarono un’intesa sulla parola d’ordine della
patria in pericolo e le forti emozioni di un patriottismo rivoluzionario si fecero
sentire in tutte le città francesi; l’assemblea confiscò i beni degli emigrati e le
Robespierre, ______________,
___________________
Il giuramento _______________________
__________________________________
B) LA NUOVA ASSEMBLEA LEGISLATIVA
1 costituzionali:______________________
___________________________________
2 _________________________:moderati
3 girondini:_________________
4 ____________:____________
C) LA GUERRA
Le forze controrivoluzionarie:
1__________ _____________________
2________________________________
3________________________________
4________________________________
La dichiarazione _____________________
(aprile 1792)
Le motivazioni:
1 re: sconfitta militare = _______________
___________________________________
2 girondini e _________________: vittoria
militare = vittoria ____________________
3 moderati: _________________________
___________________________________
Le polemiche _______________________
__________________________________
L’alleanza __________ - ______________
2 I due nomi derivano, come quello di altri raggruppamenti politici, da quelli dei conventi nei quali avvenivano le loro
riunioni. 3 Così chiamati perchè non portavano i calzoni al ginocchio come gli aristocratici e i ricchi borghesi, ma calzoni lunghi
(abbigliamento che finì per diventare uno dei simboli del rifiuto della società aristocratica e della fede nell’egualitarismo
rivoluzionario). Le folle rivoluzionarie parigine, i sanculotti, erano costituite soprattutto da maestri artigiani, apprendisti,
salariati delle botteghe, piccoli negozianti, nonché disoccupati e poveri.
S
i
n
i
s
t
r
a
113
organizzazioni parigine dei sanculotti si prepararono a una seconda rivoluzione.
Un comitato insurrezionale si impossessò della municipalità di Parigi e il 10
agosto 1792 una folla composta di federati4, giunti da tutte le province, di
artigiani, bottegai e operai parigini, i sanculotti, invase il palazzo reale delle
Tuileries, dopo una battaglia che costò trecento morti agli insorti. Il re fu
arrestato, la vecchia guardia nazionale si dissolse, i foglianti abbandonarono la
scena politica (lo stesso La Fayette prese la via dell’emigrazione). A Parigi il
potere era in mano al consiglio della Comune rivoluzionaria, nel ricostituito
ministero girondino entrò anche Danton, ma questo organo costituzionale
contava già meno della Comune, sorta dalla rivoluzione dei sanculotti che
dava inizio alla fase democratica chiudendo l’esperienza della monarchia
costituzionale d’ispirazione liberale, voluta dalla borghesia degli affari.
e la mobilitazione popolare
La rivoluzione dei ____________________
La ____________________ rivoluzionaria
4.2 Il superamento della monarchia costituzionale
Nei trenta giorni successivi al 10 agosto l’assemblea legislativa dovette recepire
la spinta democratica che veniva dal basso. Il pagamento delle indennità per i
diritti signorili dichiarati riscattabili divenne più improbabile, perché toccava
ora agli ex signori dimostrare l’esistenza di un valido titolo di concessione della
terra; tutti gli ordini religiosi furono sciolti, i beni sequestrati degli emigrati
entrarono fra le terre nazionalizzate poste in vendita, i contadini furono au-
torizzati a spartirsi le terre dei pascoli comuni e soprattutto fu adottato il
criterio di vendere d’ora in poi i beni nazionali in piccoli lotti.
Mentre gli eserciti francesi capitolavano ormai su tutti i fronti e l’invasione
austro-prussiana dal Belgio e dalla Lorena era in pieno svolgimento, centinaia di
arresti furono compiuti a Parigi e un tribunale speciale ebbe il compito di
giudicare i traditori e i sospetti. Alla notizia che la fortezza di Verdun era
caduta, in un clima di esasperazione e paura incontrollata per cinque giorni,
dal 2 al 6 settembre, folle di sanculotti passarono da una prigione all’altra
reclamando l’esecuzione immediata di tutti i sospetti, massacrando più di mille
persone, che spesso si trovavano in carcere per reati non legati con la situazione
politica.
Poco dopo le stragi di settembre, l’assemblea legislativa che si era sciolta fu
sostituita da una nuova assemblea elettiva che prese il nome di Convenzione.
Questa volta si era ricorsi al suffragio universale, anche se in pratica i votanti
furono meno che nel 1791, con l’astensione di tutti gli avversari del potere
giacobino e girondino. Si apriva così, nel settembre 1792, una nuova fase che
sarà caratterizzata dai contrasti tra girondini e giacobini e che finirà nel
giugno 1793, quando una nuova insurrezione del popolo parigino porterà al
potere i giacobini.
Il 21 settembre i 749 membri della convenzione si riunirono per la prima volta e
IL SUPERAMENTO DELLA
MONARCHIA COSTITUZIONALE
1 LA POLITICA ___________________
a _________________________________
___________________________________
b__________________________________
c__________________________________
d__________________________________
e__________________________________
Le stragi di________________________
2 – L’ELEZIONE DELLA ________________
________ a suffragio _________________
I contrasti tra girondini e_______________
4 Federati erano detti i membri della Guardia nazionale che era diventata, insieme alle municipalità, uno dei più importanti
organismi di partecipazione e di diffusione degli ideali rivoluzionari nell’intera Francia.
IL SUPERAMENTO DELLA MONARCHIA COSTITUZIONALE
1 - _________________________________________________________________________________________________________
2 - _________________________________________________________________________________________________________
3 - _________________________________________________________________________________________________________
4 - _________________________________________________________________________________________________________
114
vennero a conoscenza della vittoria ottenuta il giorno prima dall’esercito
francese presso Valmy che fermava la temuta invasione degli eserciti stranieri.
Il 22 settembre la convenzione proclamò la repubblica: era quello l’anno primo
di una nuova era. Il 10 dicembre cominciò il processo a Luigi XVI di fronte alla
convenzione riunita come alta corte di giustizia. Accusato di avere tramato
contro la nazione, il re fu riconosciuto colpevole da una larghissima
maggioranza dei giudici (693 su un totale di 749), che avevano a disposizione
prove indiscutibili dei suoi rapporti con gli emigrati e i nemici. Quando si trattò
di arrivare alla sentenza finale l’unanimità venne meno. I girondini vedevano
nella condanna a morte una rottura troppo drastica e tentarono di rimandare a
un plebiscito quel cruento scioglimento del dramma. Il 18 gennaio 1793 si
pronunciarono per la morte 387 convenzionali tra cui i giacobini, mentre i
girondini riuscirono a ottenere una consistente minoranza (334 voti)
chiedendo la detenzione a vita. Tre giorni dopo, il 21 gennaio 1793 Luigi XVI
venne ghigliottinato.
In questi primi quattro mesi di vita della convenzione un grande mutamento
era intanto avvenuto sui fronti militari; gli incrementi di effettivi dell’esercito
francese e l’intensa propaganda rivoluzionaria, nella quale Danton ebbe una
parte di rilievo, avevano accresciuto il grado di politicizzazione dei soldati e delle
nuove leve di ufficiali che venivano a riempire i vuoti lasciati dai vecchi capi
passati al nemico. Mentre un esercito a sud invadeva la Savoia e i francesi co-
minciavano a ottenere dei successi sul Reno, si procedette all’invasione del
Belgio. Due settimane dopo la convenzione emanò un decreto con cui si
prometteva l’aiuto della Francia a tutti i popoli che volevano acquistare la
propria libertà (fine novembre 1792)
Nella primavera successiva però, con l’entrata in guerra della Gran Bretagna,
la coalizione europea ricacciava le truppe francese dal Belgio e al di là del
Reno, mentre con la rivolta dei contadini della Vandea si apriva una vera e
propria guerra civile. Infatti, i contadini continuavano a restare insoddisfatti
del modo con cui stava procedendo la vendita dei beni nazionali e i primi atti di
requisizione del grano e il blocco dei prezzi agricoli generarono una forte
ostilità contro la convenzione, specialmente nelle regioni con una cultura arcai-
ca e più impermeabili all’ideologia rivoluzionaria. Fu il caso soprattutto del
dipartimento della Vandea, a sud della Bassa Loira, che espresse la sua
estraneità culturale, ancora più che politica, alla rivoluzione facendo propria
la causa della religiosità contadina tradizionale e accogliendo in qualche
misura la propaganda controrivoluzionaria degli aristocratici. In Vandea
(come pure nei dipartimenti confinanti) soltanto una parte minima del clero
aveva prestato nel 1791 il giuramento costituzionale e la popolazione aveva
dato il suo appoggio ai preti “refrattari” che rifiutavano di essere destituiti. Ma
la vera e propria rivolta esplose all’inizio del marzo 1793, quando i
commissari della convenzione tentarono di imporre la leva militare: per molti
mesi il nome “Vandea” (che in senso lato si era esteso anche a territori al di là
del dipartimento vero e proprio) diventerà sinonimo di una lunga guerra civile
fatta di atrocità inimmaginabili, una jacquerie reazionaria e fanatica che si
scontrò senza quartiere con il fanatismo rivoluzionario, simbolo stesso
dell’impossibilità di ogni compromesso.
4.3 Il contrasto tra girondini e giacobini
A Parigi, intanto, la vita politica era caratterizzata dalla presenza sempre più
attiva delle masse popolari. I sanculotti, senza costituire una classe omogenea o
una vera organizzazione politica, potevano però convergere almeno a breve
termine su alcuni obiettivi comuni: repressione violenta degli speculatori,
3 – LA PROCLAMAZIONE DELLA
__________________
Il processo e la condanna di Luigi XV
__________________: colpevole, ma no
morte
Giacobini:_________________________
4 – LA RIVOLUZIONE ________________
L’invasione della ____________________
e del __________________
L’entrata in guerra ___________________
La ________________________________
(la Vandea)
cause economiche:
a__________________________________
b__________________________________
c__________________________________
cause______________________________
IL CONTRASTO TRA GIRONDINI E
GIACOBINI
115
controllo dei prezzi e sicurezza di un mercato di approvvigionamento non
perturbato, da un lato; democrazia diretta delle sezioni elettorali parigine, an-
che scavalcando la convenzione, dall’altro. Le loro richieste furono sostenute
soprattutto da Hébert e dai suoi seguaci, che facevano parte del club dei
cordiglieri, che con la loro leadership assicurarono al movimento dei sanculotti
una certa unità sul piano politico.
I sanculotti ottennero una prima vittoria quando i girondini furono costretti a
rinunciare al liberismo5 e la convenzione approvò un primo decreto sul
“maximum”, stabilendo i prezzi massimi consentiti per il grano. La grande
maggioranza dei convenzionali, giacobini compresi, continuò tuttavia a restare
contraria a ogni richiesta di “legge agraria”, cioè di più drastica limitazione
della proprietà privata della terra che non avrebbe fatto altro che allarmare
ulteriormente i contadini.
Un terzo aspetto dello scontro fra girondini e giacobini risultò forse ancora più
grave. Per entrambi gli schieramenti il valore della rivoluzione democratica era
fuori discussione. Ma in che modo si doveva instaurare la democrazia? In
quale contesto istituzionale la “volontà generale” poteva trovare una piena
attuazione? Fermo restando che in una nazione grande come la Francia era
indispensabile un sistema rappresentativo, come si poteva evitare che la
rappresentatività finisse per spogliare il popolo della sua sovranità? La breve
durata delle cariche, la revocabilità in ogni momento degli eletti da parte degli
elettori e il continuo controllo del popolo (dalle petizioni e proteste
all’assemblea rappresentativa alla presenza popolare alle sue riunioni) erano
5 Secondo il liberismo economico lo stato deve limitarsi a creare le condizioni perché la libera iniziativa individuale si possa
esprimere, senza intervenire a regolare in alcun modo il mercato il quale è in grado di autoregolarsi grazie alle sue leggi, tra
cui la principale è identificata nella libera concorrenza. Il liberismo, come vedremo, costituirà la teoria economica del
pensiero liberale.
IL CONTRASTO TRA GIRONDINI E GIACOBINI
A) IL PROCESSO E LA CONDANNA DI LUIGI XVI
Giacobini: __________________________________________________________
Girondini: ___________________________________________________________
B) LE RICHIESTE DEI SANCULOTTI - LA POLITICA SOCIO-ECONOMICA
il __________________ sul grano giacobini:_____________________ contrari _______________________________________________
girondini:______________________ difesa __________________________________________ liberisti
C ) LE FORME DELLA PARTECIPAZIONE
Girondini e giacobini: suffragio _______________
Giacobini: democrazia ___________________: a____________________________________________ b___________________________
c______________________________________________
_____________: democrazia_______________: a _____________________con mandato non revocabile e quindi ____________________
D – I MOTIVI POLEMICI
Giacobini: i girondini __________________________________________ Girondini: le proposte dei giacobini _______________________
E – I GRUPPI SOCIALI DI ______________________________
Girondini:______________________________________ Giacobini:______________________________________
116
considerati dagli assertori della democrazia diretta come il migliore correttivo
alle degenerazioni della rappresentatività. Pur accettando il principio della
sovranità popolare, i girondini erano sospettosi nei confronti delle procedure
della democrazia diretta che avrebbero assicurato un potere particolare al po-
polo di Parigi. Fu sulla centralità o meno di Parigi che si espresse alla fine il
conflitto fra girondini e giacobini, assumendo ben presto i toni della più
esasperata denuncia, in particolare sulla questione scottante dei rapporti da
tenere con le sezioni dei sanculotti.
I girondini accusavano i giacobini di fare demagogicamente proprie le richieste
delle fazioni più avanzate dei sanculotti (fine della libertà economica,
comunismo, “legge agraria”), benché Robespierre e i suoi seguaci fossero
tutt’altro che avversari della proprietà privata. I girondini furono a loro volta
sottoposti alle accuse più improbabili di cedimenti e patteggiamenti col
nemico. Con l’inutile tentativo di salvare la vita al re, i girondini avevano
accresciuto il sospetto di una loro scarsa risolutezza a tagliare con il passato.
Ricapitolando, pur con qualche schematismo, possiamo dire che i girondini, che
erano assai legati alla grande borghesia mercantile dei porti della Francia
atlantica, pur sostenendo l’uguaglianza politica erano assai meno propensi dei
giacobini a collegarsi alle masse popolari, di cui non condividevano le richieste
volte a regolare il mercato per favorire le classi meno abbienti (come si è visto a
proposito del maximum sul grano) e le richieste di democrazia dirette. I
giacobini, anch’essi di estrazione borghese, invece erano fautori di forme di
democrazia avanzata, e, pur senza mai compiere fino in fondo il passaggio dalla
causa della democrazia politica a quella della democrazia sociale, erano
sicuramente molto più sensibili alle richieste dei sanculotti che andavano in
questa direzione; in ogni caso Robespierre si rendeva conto che senza l’appoggio
del popolo di Parigi lo spirito di resistenza richiesto dalle necessità belliche si
sarebbe presto esaurito.
4.4 La dittatura giacobina
Ecco perché quando il popolo di Parigi insorse nuovamente (31 maggio 1793)
e assaltò il 2 giugno i locali della convenzione - ripetendo quanto accaduto il
10 agosto 1792 - l’assemblea giudicò ormai inevitabile una nuova svolta che
consegnava il potere ai giacobini. Le richieste dei sanculotti furono accolte e
trentadue girondini proscritti dall’assemblea. Se la maggior parte dì essi riuscì
a sfuggire all’arresto, gli effetti della giornata del 2 giugno risultarono comunque
molto gravi. Tutte le regioni sedi dei maggiori porti, Normandia, Bretagna,
l’ovest di Nantes e Bordeaux, Provenza e Marsiglia e infine anche Lione, dove
i girondini erano più forti insorsero contro la convenzione. La nuova guerra
civile esplosa nei dipartimenti girondini si venne così ad aggiungere a quella già
LA DITTATURA GIACOBINA
(ESTATE 1793- ESTATE 1794)
L’epurazione dei _____________________
La guerra civile: _____________________
LA DITTATURA GIACOBINA
1 - _________________________________________________________________________________________________________
2 - _________________________________________________________________________________________________________
3 - _________________________________________________________________________________________________________
4 - _________________________________________________________________________________________________________
5 - _________________________________________________________________________________________________________
117
in corso nella Vandea e alle disfatte militari sui fronti del Belgio e del Reno,
preannunciando un’estate sull’orlo del tracollo. Inoltre i disordini nelle
campagne avevano danneggiato il raccolto e l’aumento dei prezzi per la
caduta dell’assegnato sembrava inarrestabile.
La convenzione era stata inizialmente eletta anche per preparare una nuova
costituzione e il testo approvato alla fine di giugno risultò assai più democratico di
quello del 17916. Ma le condizioni dell’estate 1793 spingevano piuttosto verso
una dittatura rivoluzionaria, cosicché l’applicazione del nuovo assetto
costituzionale fu sospesa fino a tempi migliori.
Il principale strumento di questa dittatura fu il Comitato di salute pubblica,
costituito già dal mese di aprile all’interno della convenzione, e di cui aveva
fatto parte per i primi mesi anche Danton. Alla fine di luglio ne fece parte anche
Robespierre e, poiché Marat era stato assassinato tre settimane prima da una
monarchica per vendicare l’esecuzione di Luigi XVI e Danton cominciava a
prendere le distanze dalla politica della convenzione, fu Robespierre ad
assumere il ruolo di capo assoluto della rivoluzione, piegando sempre più, nei
dodici mesi seguenti, verso la dittatura personale.
Le misure prese nei mesi di luglio e agosto dal comitato di salute pubblica si
rivelarono subito decisive. I contadini furono maggiormente legati alle sorti
della rivoluzione con la completa abolizione del riscatto dei diritti feudali: i titoli
signorili, anche se esistevano, dovevano essere ormai dati alle fiamme. Nello stesso
senso agiva la vendita a piccoli lotti dei beni nazionali, divenuti più consistenti
con le confische effettuate contro le terre appartenute agli emigrati. A vantaggio
delle classi popolari urbane furono poi stabilite pene gravissime per chi speculava
sugli assegnati o per gli accaparratori di grano.
Dopo una nuova sollevazione dei sanculotti parigini fu infine emanato (11
settembre) il primo di un nuovo gruppo di decreti sul “maximum” che si
estendeva ora a tutti i beni e anche ai salari. Questi venivano maggiorati del 50
per cento rispetto al 1790, mentre l’aumento riconosciuto del prezzo del pane fu solo
del 30 per cento. In realtà il prezzo del pane era triplicato in tre anni e la vendita
del pane al mercato nero fu assai più attiva di quella del pane calmierato. Allo
stesso tempo si organizzò un esercito di massa del tutto nuovo, democratico nelle
forme e nella sostanza, capace di far fare rapida carriera ai giovani.
Probabilmente questi aspetti più “pratici” dell’attività di governo nel periodo del
comitato di salute pubblica non sarebbero risultati così efficaci se non fossero
stati accompagnati dalla prospettiva di un’utopia sociale. Utopia sociale che
prese le forme dell’egualitarismo o delle dottrine, che derivavano in parte da
Rousseau, contrarie al lusso corruttore o agli abissi fra ricchezza e povertà.
Infatti Robespierre e gli altri esponenti più radicali del comitato, Saint-Just e
Couthon, attaccarono la proprietà privata come fonte di disuguaglianza e
disgregazione sociale e posero forti limiti a essa e alla libertà del mercato; anche
se il loro ideale restò sempre quello di una società fondata sulla piccola
proprietà privata.
L’altra forma dell’utopia sociale si espresse nel tentativo di sostituire un nuovo
sistema di valori a quello del passato, soprattutto in fatto di religione. Il
nuovo calendario, che faceva decorrere l’inizio della nuova era dal 22
settembre 1792, volle sostituire il tempo rivoluzionario a quello cristiano e la
ragione alla superstizione; i suoi mesi di 30 giorni e senza domeniche, dai
nomi tratti dal succedersi delle stagioni e dei lavori agricoli, auspicavano una
nuova sacralità che partisse da una concezione laica.
Il terrore verso i nemici veri o solo sospetti della repubblica fu l’altra faccia
della guerra rivoluzionaria e dell’utopia. Migliaia furono gli arrestati a Parigi e
A – LA COSTITUZIONE DEL ____________
Diritti politici: _______________________
Diritti ___________________________:
______________________,____________
_______________, ___________________
B – LA DITTATURA ____________________
DI _____________________
il comitato di ______________________
C – LA POLITICA _____________________
1 _________________________________
___________________________________
2__________________________________
3_________________________________
4 _________________________________
D – L’UTOPIA SOCIALE
1-L’egualitarismo:
attacchi a _______________, ___________
Ideale sociale:_
____________________________
___________________________________
2 - ________________________________
E – IL TERRORE E IL GRANDE ____________
6 La nuova costituzione, oltre ad affermare il principio dell’uguaglianza politica e quindi del suffragio universale, allargava i
diritti politici fino a comprendervi il diritto all’insurrezione e proclamava importanti diritti sociali, quali il diritto alla
sussistenza, al lavoro e all’istruzione.
118
una cifra decine di volte superiore in tutta la Francia, mentre i tribunali
rivoluzionari facevano lavorare senza posa la ghigliottina. Nei quattordici mesi
seguenti alla giornata del 2 giugno accanto a esponenti di classi e ceti
controrivoluzionari caddero anche i deputati girondini a cominciare da Brissot.
Nell’intera Francia le condanne capitali furono almeno 17.000, alle quali
bisogna aggiungere gli uccisi in azioni di guerra o repressione nelle regioni
teatro di sollevamenti contro la convenzione. Il terrore nelle province ribelli
fu in effetti assai più cieco e spietato di quello esercitato a Parigi. A Nantes,
per citare un solo esempio, il commissario inviato dalla convenzione fece
annegare nella Loira tremila persone.
Nella primavera del 1794 in un moto irresistibile di autodistruzione, il terrore
venne utilizzato come strumento della lotta politica interna allo stesso Comitato di
salute pubblica. In una dura lotta intrapresa dal gruppo dirigente robespierrista (lotta
politica, ma risolta con la ghigliottina) furono dapprima arrestati, processati e giustiziati
gli hébertisti. (14 marzo). La stessa sorte toccò poco dopo (5 aprile) ai cosiddetti
indulgenti, capeggiati da Danton, da tempo favorevoli a una politica meno
intransigente all’interno e all’estero. L’eliminazione delle «fazioni» di sinistra e di
destra ridusse la base politica e popolare del consenso, ma da arma di difesa, il
terrore si era ormai trasformato in una trappola, in un meccanismo cieco che non
poteva più essere fermato e la possibilità di una terza forza fra i montagnardi7 e la
controrivoluzione si era ormai ridotta al minimo.
Quando con la spietata legge del 22 pratile (10 giugno 1794) iniziò la fase del
grande terrore, le ragioni della dittatura rivoluzionaria erano già venute meno.
Infatti, la situazione militare era migliorata sia sul fronte della guerra civile ( la
rivolta vandeana venne schiacciata nel novembre 1793 e la rivolta nelle città
girondine si esaurì nel 1794) sia su quello della guerra esterna (riconquista del
Belgio). Al contrario le continue requisizioni ai danni dei contadini e l’erosione
dell’assegnato (universalmente rifiutato nelle campagne) avevano vanificato gli
intelligenti provvedimenti dell’anno precedente e anche il “maximum” era
lontano dal soddisfare le masse urbane. I prezzi previsti dal “maximum”
ebbero poco a che fare con quelli praticati al mercato nero, mentre il governo
non era disposto a ritoccare verso l’alto i salari e neppure a tollerare il ripetersi
di “giornate” popolari quali si erano viste l’ultima volta nel settembre 1793. In
tutta la Francia cresceva per questi motivi un’opinione pubblica sempre più
sfavorevole a Robespierre. Il 27 luglio 1794 (9 termidoro) dalla convenzione e
dallo stesso comitato di salute pubblica partì un colpo di stato che condusse al-
l’arresto di Robespierre, Saint-Just, Couthon e molti altri montagnardi: essi
vennero tutti ghigliottinati, il giorno successivo, in mezzo all’indifferenza o
all’approvazione del popolo di Parigi.
1 -contro i _______________________ e
__________________________________
2 – come lotta politica interna al ________
_________________________________:
l’___________________ del ceto dirigente
rivoluzionario
a) l’eliminazione dei seguaci di _________
___________ (sinistra)
b) l’eliminazione dei seguaci di _________
________ (________________________)
c) l’eliminazione di Robespierre (vedi
sotto)
3 – Il Grande terrore: _________________
__________________________________
La rottura con _______________________
______________________
c L’eliminazione di ___________________
(luglio- termidoro – 1794)
7 Così erano chiamati i deputati giacobini e del club dei cordiglieri che sedevano in alto a sinistra nella convenzione.
IL RITORNO DELL’EGEMONIA BORGHESE E LA STABILIZZAZIONE POLITICA
1 - _________________________________________________________________________________________________________
2 - _________________________________________________________________________________________________________
119
5 - 1794-99: IL RITORNO DELL’EGEMONIA BORGHESE E LA
STABILIZZAZIONE POLITICA
5.1 Lo smantellamento dello stato giacobino
5.2 Il governo del Direttorio e la ricerca della stabilità politica
5.1 Lo smantellamento dello stato giacobino
La caduta di Robespierre non segnò la fine della rivoluzione, ma l’inizio di una nuova
fase caratterizzata, all’interno, da faticosi tentativi di stabilizzazione volti a
garantire la sopravvivenza del ceto politico rivoluzionario, all’esterno,
dall’espansione francese in Europa.
La congiura del 9 termidoro riconsegnò la maggioranza e il potere nella convenzione
a quella “pianura” che aveva dato il suo tacito assenso al terrore cercando di venirne
coinvolta il meno possibile; ma, un ruolo di primo piano nella caduta di
Robespierre fu svolto dallo stesso comitato di salute pubblica e in particolare da
Lazare Carnot, uno dei maggiori artefici delle vittorie delle armate rivoluzionarie.
Molti dei termidoriani8 erano stati comunque parte attiva nel periodo di dittatura e il
nuovo gruppo dirigente si venne subito a trovare in una situazione molto difficile:
esso doveva procedere allo smantellamento del terrore, liberando i prigionieri
politici e restituendo la libertà di culto alla Chiesa cattolica, oltre che abolendo il
controllo sui prezzi e riconducendo il mercato alla libertà e alla normalità; allo
stesso tempo, però, esso doveva fronteggiare il ritorno delle forze
controrivoluzionarie e dimostrare nei fatti di non essere affatto disposto a
rimettere in questione le conquiste essenziali degli anni precedenti, in
particolare il sequestro delle terre del clero e degli aristocratici.
A breve termine, comunque, le prime scelte andarono tutte nella direzione
antigiacobina. Si procedette alla reintegrazione dei girondini superstiti nella
convenzione, all’epurazione dei sanculotti dalle sezioni elettorali parigine e alla
chiusura di molte sedi giacobine. Le condanne a morte cominciarono a colpire i
responsabili del terrore, mentre un vero controterrore si scatenava nella capitale e
più ancora nelle altre città contro i giacobini. Finita l’epoca della virtù
repubblicana e dell’egualitarismo radicale, a Parigi tornò a comparire la vita di società
e la ricchezza non ebbe più timore o vergogna di presentarsi in pubblico,
anche se la sua origine, spesso recente, derivava dagli illeciti profitti realizzati
sulle forniture militari o sulle speculazioni legate al vettovagliamento urbano.
Contro il movimento popolare le sue organizzazioni si scatenò la jeunesse dorée
(«gioventù dorata») monarchica e alto-borghese: protetta e tollerata dai
moderati della Convenzione, fu protagonista di sanguinose caccie al giacobino
e al sanculotto.
Contro la cancellazione del maximum e la successiva nuova impennata del-
l’inflazione si mobilitarono nuovamente i sanculotti parigini ma, indeboliti dal-
l’abolizione della struttura organizzativa delle sezioni (disposta durante il Terrore) e
privi di una guida politica, furono facilmente sconfitti (aprile e maggio ‘95). La
repressione fu affidata all’esercito che, per la prima volta dall’inizio della
rivoluzione, marciò sui quartieri popolari e disarmò i sanculotti.
Compiuta l’opera di eliminazione della legislazione eccezionale dell’anno
precedente e di ritorno alla normalità nella vita religiosa e sociale, la
convenzione si trovò di fronte due problemi principali da risolvere: la fine
della guerra ancora in corso e la creazione di nuove istituzioni politiche che
1794-99: IL RITORNO DELL’EGEMONIA
BORGHESE E LA STABILIZZAZIONE POLITICA
A - LO SMANTELLAMENTO DELLO STATO
GIACOBINO
la ricerca della _____________________
per salvare _________________________
IL GOVERNO TERMIDORIANO
(L. CARNOT)
Le priorità:
a __________________________________
b__________________________________
c__________________________________
d__________________________________
1 – LA POLITICA _____________________
La riabilitazione dei _________________
La repressione dei ____________________
e __________________
La repressione delle __________________
L’intervento dell’_____________________
8 Il termine “termidoriano” indica il gruppo che prese il potere dopo l’eliminazione di Robespierre avvenuto nel mese di
luglio che il nuovo calendario repubblicano indicava come Termidoro.
120
diedero l’avvio a un regime politico apertamente antidemocratico
La costituzione montagnarda del giugno 1793 sembrò troppo democratica e,
dall’aprile 1795, la Convenzione si dedicò all’elaborazione di un nuovo testo
costituzionale che doveva conferire stabilità al nuovo assetto politico borghese della
Francia. La Costituzione dell’anno III (1795) riprese in molti punti quella del ‘91
risultando, anzi, per certi aspetti più conservatrice come rileva il carattere
maggiormente censitario del sistema elettorale. Il potere esecutivo fu affidato a un
Direttorio di 5 membri, nominato dal parlamento e che a sua volta nominava i ministri.
Anche alla Costituzione del ‘95 fu premessa una Dichiarazione dei diritti, arricchita
questa volta da un elenco di doveri, di contenuto evangelico e moraleggiante. Fra i
doveri, particolarmente significativo fu quello relativo alla giustificazione del
principio di proprietà: «È sul mantenimento della proprietà che riposano la
coltivazione delle terre, tutte le produzioni, ogni mezzo di lavoro, e tutto l’ordine
sociale» (art. 8). I membri della Convenzione affermarono nel disegno costituzionale
che la Francia doveva essere governata dai «migliori», dai «più istruiti e dai più
interessati al mantenimento delle leggi», ossia da quanti «possedevano una
proprietà». Quella del ‘95 fu dunque una costituzione consapevolmente anti-
democratica e attentissima ad evitare i rischi di una dittatura.
Negli stessi mesi si riaffacciò pericolosamente la minaccia monarchica con uno sbarco
di emigrati in Bretagna e con l’organizzazione a Parigi di un’insurrezione realista.
Nell’ottobre del 1795 truppe governative, comandate fra gli altri da Napoleone
Bonaparte, repressero a cannonate la sommossa.
5.2 Il governo del Direttorio e la ricerca della stabilità politica
A conferma del debole radicamento delle istituzioni rivoluzionarie e
repubblicane nel paese, le successive elezioni videro il successo di un gran numero
di rappresentanti moderati o nascostamente monarchici. I repubblicani
conservarono la maggioranza solo grazie all’emendamento che obbligava alla
rielezione dei 2/3 dei vecchi deputati, costituiti dunque da ex convenzionali
regicidi. Ugualmente composto di ex convenzionali regicidi risultò il primo
direttorio, che includeva fra gli altri Carnot e Barras. Il nuovo regime continuò
dunque a restare prigioniero del proprio passato rivoluzionario. Ciò voleva dire
che per quanto il sistema direttoriale si orientasse su scelte moderate, i monarchici
avrebbero sempre continuato a considerarlo un nemico con cui il compromesso
era impossibile e, poiché i termidoriani avevano abbandonato i giacobini alle
vendette della destra risorta e le forze popolari al dramma dell’inflazione e alle
manovre degli speculatori, era facile prevedere che il margine di manovra del
governo si sarebbe fatto via via più ristretto.
Nell’inverno 1795-96 il paese si trovò nel pieno del disastro economico, travolto
dall’inflazione; il commercio estero era annientato, porti e manifatture erano
inattivi; il raccolto fu peggiore dell’anno prima, l’inverno vide la comparsa di
malattie infettive.
Esistevano dunque tutte le condizioni perché il popolo di Parigi tornasse a
insorgere. Dopo il fallito colpo di stato dei monarchici il direttorio favorì la
riapertura di club popolari, per servirsene all’occorrenza come una minaccia
contro la destra. Fra gli esponenti di questo nuovo sanculottismo emerse la figura
di Babeuf. Babeuf era stato in passato vicino al gruppo di Hébert e aveva avver-
sato la dittatura di Robespierre, considerando anzi una svolta positiva la
congiura del termidoro. Venute ormai meno le ragioni di dissenso fra i superstiti
seguaci di Robespierre, Marat o Hébert, nei mesi peggiori della crisi economica si
riformò in segreto un partito giacobino. Fra il vecchio giacobinismo e il gruppo di
Babeuf c’era però una differenza sostanziale: sul tronco comune della
democrazia radicale si aggiunse l’elemento del comunismo economico, estraneo
2 – LA COSTITUZIONE DEL ________
a) sistema elettorale: __________________
_________________________________
b) Direttorio(5 membri): _______________
_________________________________
3 ____________________________
4 _____________________________
Bonaparte e ________________________
__________________________
B - IL GOVERNO DEL DIRETTORIO
E LA RICERCA DELLA STABILITÀ POLITICA
(CARNOT E BARRAS)
La sopravvivenza ____________________
___________________:
il meccanismo _______________________
LA RIPRESA DEI ______________________
La congiura ________________
(Babeuf)
Il nuovo giacobinismo:
1_______________________________ +
_______________________________
121
non solo a Robespierre ma allo stesso Hérbet. Ma più ancora che per il suo
comunismo, Babeuf fu innovatore nella pratica del vecchio giacobinismo,
sostituendo la “giornata” popolare spontanea con l’insurrezione preparata
accuratamente da un piccolo gruppo. La polizia del direttorio sventò comunque
quella che verrà poi conosciuta come “congiura degli eguali”, arrestando nel
maggio del 1796 Babeuf e i suoi compagni che verranno tutti condannati a
morte un anno dopo.
L’evento che determinò la futura evoluzione della Francia fu la decisione del
direttorio di riprendere in grande stile la guerra sin dalla primavera del 1796. La
guerra poteva far risorgere il nazionalismo repubblicano e rafforzare politica-
mente il direttorio, ma più ancora doveva condurre a delle annessioni
territoriali e a scaricare su altri popoli le difficoltà finanziarie della Francia. La
guerra finì, però, per far assumere ai generali dell’esercito un ruolo sempre più
politico.
La guerra era diretta contro l’Austria dopo che fra l’aprile e il luglio 1795 erano
stati firmati i trattati di pace con la Prussia e l’Olanda. Contrariamente ai piani
elaborati dal direttorio fu il generale Bonaparte9, a cui era stato affidato il compito
di trattenere nell’Italia padana una parte delle truppe austriache, a penetrare in
Italia e a giungere a soli 100 km da Vienna, costringendo l’imperatore austriaco ad
accettare i termini dell’armistizio.
Bonaparte aveva deciso autonomamente il contenuto dell’armistizio di aprile,
che anticipava in gran parte la successiva pace di Campoformio. Contro la
politica del direttorio aveva tolto all’Austria la Lombardia invece di insistere per
l’annessione di tutta la Renania: più tardi, in ottobre, egli scavalcò di nuovo
le istruzioni del direttorio, contrario alla cessione del Veneto.
La campagna d’Italia dimostrò dunque che l’esercito francese era diventato
una forza politica autonoma e che un generale come Bonaparte poteva ora usare
il prestigio, che gli derivava dai successi militari, per prendere decisioni sovra-
ne in fatto di diplomazia e assetto istituzionale di territori conquistati.
Bonaparte pose così la sua personale politica italiana davanti a quella renana
difesa dal direttorio.
Il partito termidoriano, d’altra parte, si trovò di nuovo a far fronte all’iniziativa
della destra monarchica. Nell’aprile 1797 si erano svolte le elezioni per il primo
rinnovo di 1/3 dei consigli. Al posto dei deputati uscenti, che secondo le
procedure previste dovevano essere metà degli ex convenzionali, il corpo
elettorale mandò in massima parte dei monarchici. I due consigli si trovarono
così ad avere quasi perduta la maggioranza repubblicana. I presidenti eletti
dalle due assemblee risultarono entrambi fautori del ritorno a una monarchia
costituzionale. Anche il direttorio vide il rinnovo di uno dei suoi membri, con
l’ingresso di un monarchico che venne ad appoggiare il sempre più marcato
spostamento a destra di Carnot, preoccupato più del neogiacobinismo che dei
realisti.
Barras e gli altri due direttori repubblicani si trovarono allora isolati di fronte
ai provvedimenti che il nuovo parlamento cominciava a prendere a favore
degli emigrati e del clero refrattario. Un colpo di stato militare risolse la crisi.
Bonaparte mandò a Parigi una parte delle sue truppe; i leader della destra
furono arrestati (ma Carnot riuscì a fuggire); nei dipartimenti che avevano
visto la vittoria di deputati controrivoluzionari le elezioni vennero annullate e
177 degli eletti di aprile furono dichiarati decaduti.
Il colpo di stato del 4 settembre 1797 (18 fruttidoro, secondo il calendario
repubblicano) rimise il potere in mano ai termidoriani di Barras, ma confermò i
militari, come Bonaparte, nel loro ruolo politico. Se il regime del direttorio
2 la sostituzione delle giornate popolari
con ____________________
La ripresa della guerra e il ruolo_________
dell’___________________
BONAPARTE E LA CAMPAGNA
_____________________
L’armistizio e il _____________________
I COLPO _________________
1797
Il ritorno dei ________________________
L’intervento _______________________
9 Napoleone Bonaparte, nato in Corsica nel 1769 - quando da poco l’isola era stata venduta alla Francia dalla repubblica di
Genova - era uno dei molti ufficiali usciti dall'esercito rivoluzionario del 1793; il comando dell'armata italiana
rappresentava una ricompensa per la parte di primo piano svolta sei mesi prima nella repressione dell'insurrezione
monarchica.
122
non fosse stato in grado di durare con le proprie forze, la dittatura dei generali
sarebbe stato il so1o modo per salvare la repubblica dal ritorno dei monarchici.
Lo sfaldamento del regime direttoriale francese condusse infatti all’impero
napoleonico.
Il secondo rinnovo parziale dei corpi legislativi (aprile 1798) registrò uno
spostamento, questa volta a sinistra, del corpo elettorale, ma il governo annullò
con un nuovo colpo di stato (11 maggio 1798) l’elezione di 101 deputati
giacobini. Le gravi sconfitte militari del 1798-99 fecero tuttavia rinascere il
giacobinismo nazionalista e rivoluzionario, allarmando sempre più il governo
direttoriale. Al momento del terzo rinnovo dei corpi legislativi (aprile 1799) il
direttorio usò tutti i suoi poteri per influenzare gli elettori, ma una buona metà dei
nuovi eletti risultarono filogiacobini. Benché fossero ancora in maggioranza termi-
doriani, i due consigli decisero questa volta di opporsi alle illegalità del
direttorio, del quale era nel frattempo entrato a far parte uno dei protagonisti del
1789 Sieyès che divenne l’uomo forte del direttorio, nonchè convinto fautore di un
colpo di stato militare che rafforzasse il potere esecutivo modificando la
costituzione. D’altra parte la borghesia francese, tornata ad essere la classe
sociale di riferimento del gruppo al potere, aveva dimostrato negli anni
precedenti di non volerne sapere né di restaurazione monarchica né di
democrazia giacobina.
Napoleone Bonaparte, tornato in Francia nell’ottobre del 1799, abbandonando
la sua armata egiziana, finì per diventare il punto di riferimento di chi voleva il
colpo di stato militare. Il 9 novembre 1799 (18 brumaio dell’anno VIII
repubblicano) il corso, nominato comandante della guarnigione militare di
Parigi, sciolse con le baionette dei suoi soldati i due consigli legislativi,
ponendo fine alla costituzione del 1795. II giorno successivo, 10 novembre, una
commissione consolare formata da Sieyès, Bonaparte e Pierre-Roger Ducos
assunse i pieni poteri e cominciò a preparare una nuova costituzione.
Cinque settimane dopo il colpo di stato era già pronta una costituzione, in
essa Sieyès profuse la sua inventiva nei più complicati congegni istituzionali
ancor più che nella sua collaborazione ai testi del 1790-91 e del 1795. Il nuovo
assetto istituzionale legittimava la dittatura militare, pur limitata dai poteri di tre
diversi consigli nei quali la presenza di notabili borghesi era assicurata con
larghezza da meccanismi di cooptazione: questi toglievano significato alla conces-
sione del suffragio universale. La vera novità fu rappresentata piuttosto dal fatto
che Napoleone Bonaparte non accettò la parte di comprimario, ma pretese per
sé un forte potere personale; il sistema dei tre consoli restò in vigore, ma egli si
assunse il titolo di primo console e venne affiancato da due figure di secondo
piano che sostituirono Sieyès e Ducos.
6 - 1799-1813: IL REGIME NAPOLEONICO
6.1 Le basi sociali dello stato napoleonico
6.2 Lo stato napoleonico
6.3 Le guerre e l’Europa napoleonica
6.1 Le basi sociali dello stato napoleonico
Il ricorso a un colpo di stato militare non deve essere interpretato come la fine
della rivoluzione o della repubblica. Il processo rivoluzionario si era già
chiuso con il governo del termidoro, ma ciò non significò la rinuncia della
II COLPO ________________
1798
Il ritorno dei ________________________
Il ritorno di _____________
III COLPO _______________
1799
La presa del _______________di
_____________________
i tre consoli
La costituzione del ___________
I Consigli dei notabili borghesi e il
_______________________________
Bonaprte _______________
1799-1813: IL REGIME NAPOLEONICO
LE BASI SOCIALI DELLO STATO NAPOLEONICO
123
borghesia all’opera di consolidamento della sua rivoluzione, che perciò
continuò, sia pure fra molte incertezze e difficoltà, anche dopo il luglio del
1794.
Il consenso della borghesia al regime napoleonico era dovuto al fatto che esso
oltre ad offrire un regime forte e stabile costituiva comunque un governo
rispettoso di alcune delle principali conquiste rivoluzionarie, quali l’uguaglianza
dei cittadini di fronte alla legge, la soppressione dei privilegi e dei vincoli feudali, la
libertà d’impresa, la laicità dello Stato, i diritti politici fondati sulla proprietà privata.
L’ideale politico cui Napoleone si ispira non era però quello democratico della re-
pubblica fondata sulla sovranità popolare, ma quello del despota illuminato che
diffida dell’iniziativa popolare e si serve dell’autorità assoluta per riformare lo
Stato.
Il successo di Napoleone Bonaparte aveva alle sue spalle, oltre all’appoggio della
borghesia, anche quello di un altro gruppo sociale: l’esercito. Dei dieci anni fra
1’89 il ‘99 sette erano stati anni di guerra. Dal momento in cui il popolo francese
si era identificato con la nazione in armi e questa identificazione era divenuta uno degli
elementi portanti della mobilitazione politica, il controllo dell’esercito e delle sue
possibilità di vittoria divenne la fonte principale del potere e la garanzia di una
stabilizzazione delle conquiste rivoluzionarie. Per questo Napoleone
rimarrà indissolubilmente legato ai successi militari e alla necessità di rinnovarli. Ma
proprio il dominio francese sull’Europa susciterà per contrasto l’emergere di forze
nazionali che decideranno il crollo dell’impero napoleonico.
Tranne un generale, tutti gli alti ufficiali dell’esercito francese restarono fedeli
alla repubblica, cui dovevano la propria carriera militare: erano consapevoli che
difficilmente avrebbero conservato il posto in caso di restaurazione della
dinastia borbonica. La vera base del potere militare - e in ultima analisi anche
politico - dei generali era, d’altra parte, non il direttorio ma l’esercito stesso; e
in esso si trasferirono le energie giacobine e nazionaliste-rivoluzionarie. Le
truppe che avevano creato intorno alla Francia la cintura delle repubbliche
satelliti non vedevano grande incompatibilità fra il saccheggio imposto agli
italiani e ai belgi e l’esportazione dello spirito della rivoluzione; esse rappre-
sentarono quindi un elemento di continuità in mezzo agli ondeggiamenti fra
destra e sinistra del direttorio.
6.2 Lo stato napoleonico
Poiché Napoleone era stato portato al potere anche dalle sconfitte militari del
direttorio, il suo primo problema fu di condurre a termine la guerra contro la
coalizione antifrancese. Favorito dall’abbandono della Russia, a causa dei
contrasti con l’Inghilterra, Napoleone sconfisse l’Austria (1800), ridando vita in
Italia alla Repubblica cisalpina includendovi il Piemonte e il Veneto; infine, nel
1802, firmò la pace anche con l’Inghilterra.
Da quest’ultima fase della guerra il potere personale di Napoleone uscì
notevolmente rafforzato e la dittatura poté ora assumere una forma più stabile.
La proposta di prolungare per dieci anni il suo titolo di primo console venne
facilmente trasformata in una nuova riforma istituzionale: Napoleone ottenne il
consolato a vita e una nuova costituzione (la quinta a partire da quella del 1791)
entrò in vigore nell’estate del 1802. I tre organi legislativi istituiti nel 1799
persero ogni apparenza di democrazia perché Napoleone nominava
personalmente i senatori; i deputati delle altre due camere del parlamento erano
eletti da un gruppo di notabili assai ristretto.
La legittimità del potere di Napoleone non dipese più da elezioni politiche, ma
dal sistema demagogico dei grandi plebisciti messi in atto già all’indomani del
18 brumaio: in questi casi il suffragio universale era la regola e l’elettorato,
A – _____________________________
B - _____________________________
Il ___________________ dell’esercito
La fedeltà al regime degli ______________
___________________________________
LO STATO NAPOLEONICO
Le vittorie contro ____________________
___________________________________
Il _________________________ a vita
La _________________________ del 1802
Elezioni a ________________________ +
___________________ diretta dei senatori
I _________________________
124
messo di fronte a una semplice scelta senza prospettive fra un sì e un no,
rinnovò più volte la sua fiducia passiva nel primo console. In una democrazia
paralizzata la forza del numero cessò di essere pericolosa e fu messa al servizio
della dittatura, anche ammesso che i risultati delle votazioni non fossero truccati. Il
plebiscito sul consolato a vita vide appena poco più di 8.000 voti contrari su un
corpo votante di tre milioni e mezzo di elettori; il peso dei voti positivi mise in ombra
il fatto che gli astenuti fossero stati più di tre milioni.
Prima ancora di ottenere l’investitura a vita Napoleone aveva cominciato a
riorganizzare e stabilizzare tutte le istituzioni francesi. L’elemento che
maggiormente colpisce in quest’opera di riforma legislativa e amministrativa è
indubbiamente la creazione di un forte apparato burocratico, conservatore nei
suoi indirizzi politici ma dotato di una grande competenza tecnica e
professionale. Se Napoleone era stato portato al potere dalle sue qualità di
generale, egli vi restò per quindici anni, scavalcando e mettendo in ombra i
congiurati del 18 brumaio come Sieyès, per le sue qualità di uomo politico, in
grado di proporre un modello di società e di stato capace di rassicurare le classi
possidenti e conservare l’essenziale della rivoluzione borghese: la grande
dislocazione della proprietà terriera avvenuta fra il 1790 e il 1795 e l’unificazione
economica e giuridica della Francia. Il governo di Napoleone mise
definitivamente fuori gioco le forze democratiche, ma non poté cancellare
l’origine rivoluzionaria del regime. La sovranità della nazione francese, af-
fermata una volta per tutte nella fase eversiva della rivoluzione, ora poteva
continuare a esistere solo passivamente, essendo stata delegata a un’autorità
centrale che sembrava incarnare e far rinascere i principi settecenteschi del
dispotismo illuminato. Da questo punto di vista si può dire che Napoleone espresse
nel modo più diretto le idee politiche del XVIII secolo: un razionalismo
riformista che badò più all’efficienza che alla partecipazione popolare; che giudicò
realisticamente più attuali le esigenze dell’ordine che le prospettive ancora
lontane della democrazia; che non vide incompatibilità assoluta fra sovranità
nazionale e paternalismo autoritario; che contrappose piuttosto nettamente l’élite
intellettuale ed economica al popolo; che supplì con la bontà razionale del go-
verno dall’alto alla ristrettezza della classe politica.
La rivoluzione ruppe con la tradizione dell’assolutismo accentratore liberando
tutte le forze delle autonomie locali e rischiò di essere travolta
dall’insurrezione dei dipartimenti filogirondini nell’estate del 1793. Lo stato
napoleonico venne fondato sull’onnipotenza del ministro degli interni, che
rispondeva esclusivamente al primo console e che agiva nei dipartimenti
attraverso il potere dei prefetti, vertici dell’amministrazione provinciale e titolari
del potere di polizia. I prefetti, creati da una legge del febbraio 1800 destinata a
sopravvivere al regime bonapartista, costituivano evidentemente una riedizione
degli intendenti dell’antico assolutismo monarchico; il loro ruolo decisivo
permette oggi di affermare che il risultato effettivo della rivoluzione consistette
nell’assicurare la continuità dell’assolutismo, divenuto ora più efficiente,
razionale e impersonale. Come lo stato di Luigi XIV, anche quello di Napoleone
eserciterà un’influenza decisiva sull’evoluzione dell’intera Europa
continentale, ponendosi come modello da imitare. Sparirono in questo sistema
ogni autorità locale e l’elettività dei sindaci, nominati direttamente dal prefetto
nei comuni più piccoli e dal console in quelli più grandi. Parigi divenne il centro
di una struttura burocratica rigida e verticista. Sparirono allo stesso modo le
elezioni popolari dei giudici, la cui nomina spettava ora al governo.
La possibilità di durare e di riprodursi della burocrazia centralizzata dipendeva
dall’efficienza di un sistema educativo che preparasse continuamente futuri
amministratori disposti a una fedeltà assoluta allo stato. Più che della scuola
popolare, perciò, lo stato napoleonico si interessò dei licei e delle università,
proponendo anche qui un sistema educativo centralizzato e uniforme, che aveva
lo scopo di legare al regime i figli delle élite intellettuali ed economiche; accanto
LA RIORGANIZZAZIONE ________________
____________________________
1- creazioni di un ___________________
_________ conservatore ma ____________
Il razionalismo ___________________:
Napoleone ________________________
A – dal decentramento all’______________
______________________
Primo _________________ Ministro
______________ ________________
Amministrazioni _____________
______________
La continuità ______________________:
prefetti = ____________________
B - la riforma _______________________
sistema _________________ centralizzato
e ________________________________
cultura classica + ____________________
_____________ + università preparare
125
ai modelli culturali neoclassici – con i loro valori di ordine, simmetria e dignità
- la scuola francese dette un largo posto alla scienza e alla tecnica, pensando alla
formazione di una futura classe dirigente di ingegneri, giuristi, amministratori. Al
termine di un’evoluzione durata parecchi secoli e ostacolata dalla venalità delle
cariche e dalla concezione ai privati delle funzioni pubbliche, condivisa sia
dalla nobiltà di spada sia da quella togata, lo stato divenne un valore oggettivo,
un fine in sé, con 1a sua efficienza e la sua razionalità.
Avendo rifiutato la matrice e il fondamento democratico-giacobino, lo stato
napoleonico non poté evitare di assumere connotazioni classiste. Prendiamo
il caso della finanza pubblica. La rivoluzione aveva abolito tutte le imposte di
consumo, che colpiscono i contribuenti senza considerazione per le loro diverse
condizioni economiche; Napoleone reintrodusse già dal 1802 le imposte sul
sale, sul tabacco e su altri generi di largo consumo. E se è vero che il catasto
fondiario assicurò una ripartizione equa delle imposte dirette, esse nel 1813
costituivano ormai meno di 1/4 del totale delle entrate. Il buon funzionamento
del sistema fiscale va poi collegato con la riuscita opera di stabilizzazione
monetaria. L’enorme massa di moneta cartacea stampata negli anni precedenti
venne via via ritirata dalla circolazione e sostituita dal franco. La stabilità
monetaria era un elemento essenziale per mantenere la fiducia dei ceti
proprietari: la Francia ebbe a partire dal 1800 la prima banca di stato della sua
storia, con il potere di emettere cartamoneta e con la funzione di liberare la
finanza pubblica dalla dipendenza verso i banchieri privati. Per le tasse - la cui
raccolta fu centralizzata e resa più efficiente - furono eliminati gli appalti con tutte
le forme di speculazione tradizionale che erano connesse a questo sistema. Era
anche un modo per indicare alla borghesia francese una direzione di investimenti
più moderna che non quella delle rendite sul debito pubblicò.
Se lo stato napoleonico era nato per assicurare l’efficienza amministrativa e la
fiducia economica, esso doveva anche procedere speditamente verso la pace
sociale, chiudendo definitivamente il capitolo del terrore; e questo aveva effettiva-
mente rischiato di riaprirsi nel 1798-99. Tutti gli ex nobili non avevano più
cittadinanza, mentre la legislazione contro i preti refrattari era tornata in vigore.
Inoltre, la repressione del brigantaggio, in Vandea e negli altri dipartimenti
dell’ovest, riassunse toni di forte crudezza nei confronti della popolazione
civile. In pochi mesi Napoleone riuscì a eliminare le bande ribelli della Vandea,
ma già a partire dal 1801 egli offrì ai controrivoluzionari la possibilità di
riappacificarsi con il nuovo regime, purché fossero disposti a giurargli fedeltà. Gli
emigrati (oltre 140.000) ripresero allora, a partire da La Fayette, a rientrare in
Francia.
Nello stesso anno fu concluso con papa Pio VII (1800-23) un concordato che pose
fine allo scisma religioso e alle persecuzioni del clero “refrattario”. Il
predecessore di Pio VII, Pio VI (1775-99), si era visto togliere nel 1797 le
province della Romagna; due anni dopo venne deportato in Francia dalle
truppe repubblicane e morì poco dopo a Valence. Il concordato del 1801 fu
quindi firmato dopo il momento drammatico che aveva visto praticamente
abolito il potere temporale della Chiesa. Tutti i vescovi, sia quelli della “Chiesa
costituzionale” sia quelli refrattari, vennero dichiarati decaduti e l’intero corpo
vescovile fu rinnovato. Abolita la costituzione civile del clero, si rafforzò il
carattere laico dello stato francese: il cattolicesimo, infatti, non divenne religione
di stato e neppure “dominante”; ma solo “religione della maggioranza dei
francesi” (l’ulteriore formula “religione de1 primo console” ebbe solo un
carattere diplomatico). Alcuni elementi del vecchio giurisdizionalismo
restarono in vigore, perché il primo console designava i vescovi, successivamente
consacrati dal papa.
Le forme assunte da questa offerta di pacificazione agli emigrati e alla Chiesa
non incontrarono nessuna opposizione nelle forze repubblicane e giacobine
ormai ridotte al silenzio. La rigida censura sulla stampa e un perfetto apparato
___________________ fedeli lo stato
come ___________________________
C – apparato poliziesco (vedi pag. 126)
2 - la politica ________________________
- la reintroduzione delle imposte ________
_______________________
- la stabilità _________________________
- La centralizzazione __________________
_________(abolizione ________________)
3 - _______________________________
La repressione ______________________
La riappacificazione con:
- __________________________________
- _________________________________
C – l’organizzazione del sistema ________
126
poliziesco erano infatti gli elementi che completarono l’apparato
amministrativo e ne costituirono parte essenziale. Il giornalismo, che aveva
continuato a svilupparsi rigogliosamente negli anni del direttorio, subì un duro
colpo: 60 dei 73 giornali esistenti a Parigi furono soppressi. Più tardi il numero si
ridusse ulteriormente a quattro, tutti rappresentanti dell’ufficialità governativa.
L’ex montagnardo e protagonista del terrore Fouché ebbe l’incarico di
riorganizzare la polizia, servendosi allo stesso modo dello spionaggio e della
provocazione. Napoleone non ebbe mai difficoltà a trarre il suo personale
amministrativo dai più diversi gruppi, si trattasse di vecchi giacobini, di
emigrati rientrati, di moderati opportunisti o perfino di funzionari
dell’amministrazione prerivoluzionaria. Il ministro degli interni Chaptal
scrisse: “Bonaparte cercava sempre di unire e amalgamare ogni cosa.
Affiancava nello stesso comitato uomini che per dieci anni si erano
reciprocamente avversati, odiati, perseguitati. Fu così che egli radunò tutti i
talenti in ogni campo e spense tutte le fazioni. La storia della rivoluzione
divenne per noi remota come quella dei greci e dei romani». Napoleone
conservò il 14 luglio come festa nazionale, sopprimendo la festa del 21
gennaio, che ricordava il giorno dell’esecuzione di Luigi XVI e ugualmente
abolì dal 1806 il calendario repubblicano.
Ma queste rappresentavano soltanto le forme della rivoluzione: la sua sostanza-
dipendeva ormai dalle cose, e in particolare dalla grande redistribuzione della
proprietà fondiaria, che più nessuno tenterà di rimettere in questione.
L’emanazione del codice civile nel marzo 1804 realizzò infine il vecchio
obiettivo della completa unificazione giuridica della Francia. Fu promulgato il 21
marzo 1804 col nome di Codice civile dei francesi che più tardi divenne Codice
napoleonico e progressivamente fu esteso a tutti i paesi annessi o controllati
dalla Francia. Il codice confermava le maggiori conquiste della Dichiarazione
dei diritti, ma circoscrivendole: la libertà individuale, l’uguaglianza giuridica,
quella religiosa, la laicità dello Stato. Fondamentale appariva il diritto di
proprietà, uno dei cardini sui cui per i legislatori era costruita la società. La
preponderanza degli articoli dedicati all’affermazione di un diritto naturale alla
proprietà, l’enfasi posta sulla rilevanza del possesso, come garanzia fondamentale
della proprietà, erano chiaramente segni di una volontà di accettare di fatto
quanto era avvenuto con la Rivoluzione, cioè una forte dislocazione di
proprietà immobiliari (dal clero e dagli emigrati ai contadini e soprattutto alla
borghesia), ma di volerlo anche fissare per sempre in un nuovo diritto,
consolidando dal punto di vista giuridico tale nuova proprietà ed escludendo per
sempre le richieste degli antichi possessori. Tale scelta doveva rassicurare quanti si
erano impadroniti dei beni nazionali.
Nella famiglia era significativamente individuato un altro cardine della società
civile. Il Codice napoleonico rifletteva anche in questo settore una concezione
borghese: infatti il matrimonio, come tutte le relazioni di diritto privato, venne
legato alla proprietà. Ponendo al centro della famiglia gli aspetti patrimoniali, si
occupava di regolamentare in modo molto complesso il diritto di successione,
che investiva direttamente la proprietà stessa. Le leggi, sulla successione,
affermando i diritti di tutti i figli ad una parte del patrimonio familiare, colpivano
i meccanismi di trasmissione patrimoniale dell’aristocrazia e individuavano
una società in cui la mobilità delle ricchezze era un dato acquisito. Era
ammesso il divorzio.
______________________
(vedi apparato burocratico)
La reintegrazione nel _________________
________________________________
La sostanza ________________________
4 il ________________________________
La realizzazione ____________________
________________________________
127
Lo Stato è il terzo cardine di questo modello di società, uno Stato che
regolamentava e garantiva tutto l’edificio costruito sulla proprietà e sulla
famiglia. Le scelte sul piano del lavoro e della sua regolamentazione erano di tipo
chiaramente liberistico: si opponevano a qualsiasi legame di servitù perpetua, ma
affidavano il salariato alle leggi del mercato non permettendogli nessuna
forma di organizzazione sindacale. Lo Stato napoleonico poteva così garantire
ai cittadini (e in particolare a quanti avevano ricchezza e proprietà) stabilità e
sicurezza.
Anche se la Francia restava sostanzialmente una repubblica, già dal plebiscito
sul consolato a vita il culto della persona di Napoleone assunse forme molto
pronunciate; la proclamazione di Napoleone a imperatore di Francia nel maggio
1804 non rappresentò quindi una vera rottura ed ebbe solo l’effetto di accrescere
il carattere pomposo, magniloquente e servile dell’arte ufficiale.
Il 2 dicembre 1804 lo stesso pontefice Pio VII venne a Parigi a incoronare
l’imperatore. Si aprì così la strada per la nascita di una nuova nobiltà imperiale
ereditaria, che somigliava però poco a quella tradizionale, estinta dieci anni
prima, essendo composta per lo più di funzionari statali, notabili dell’economia
e militari.
Fin dal periodo consolare vennero create onorificenze per militari (marescialli e
ciambellani) e benemeriti della Repubblica (Legion d’onore). Gradatamente
l’imperatore ricostituì una nuova gerarchia nobiliare, l’unica dotata di valore
legale, assorbendo in essa notabili, ricchi, funzionari, militari. Tale aristocrazia
era ereditaria, ma il titolo era trasmissibile solo a certe condizioni patrimoniali:
Dal consolato all’____________________
La rinascita della _____________________
i duchi dovevano avere un reddito di almeno 200.000 franchi l’anno, i conti di
almeno 30.000, i baroni 15.000 e i cavalieri di 3.000. Alcune funzioni davano
diritto alla nobiltà: erano fatti conti i ministri, i senatori, gli arcivescovi,
LE CONQUISTE ESSENZIALI DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE PER LA BORGHESIA CHE VENNERO CONSERVATE DAL REGIME NAPOLEONICO:
1 ___________________________________________________________________________________________________________
2 ___________________________________________________________________________________________________________
3 ___________________________________________________________________________________________________________
4 ___________________________________________________________________________________________________________
5 ___________________________________________________________________________________________________________
6 ___________________________________________________________________________________________________________
7 __________________________________________________________________________________________________________
IL CODICE NAPOLEONICO
- Riconosceva con dei limiti:__________________________, l’uguaglianza giuridica e _______________________, ______________
Cardini del sistema ___________:
1 il diritto __________________________ fondato sul ________________ (difesa _________________________________________)
2 la famiglia regolata in vista ____________________________________________________________________
Diritto di __________________: contro la trasmissione ereditaria aristocratica afferma ______________________________________
3 ______________________________________
Garante proprietà privata e leggi del _______________________________________________________
128
mentre vescovi e sindaci di grandi città diventavano baroni. Poco meno di un
quarto della nuova aristocrazia napoleonica proveniva da ex nobili, il 58%
da borghesi e il 19,5% da uomini emersi dalle classi popolari.
6.3 Le guerre e l’Europa napoleonica
Contemporanee al processo di riforme interne furono le conquiste militari:
abbandonata la politica delle “frontiere naturali” - che prevedeva di estendere il
confine francese alle Alpi e al Reno - Napoleone progettò di imporre la propria
egemonia a tutto il continente. Si trattava di fare della Francia la “Grande
nazione”, che dopo aver portato all’intera Europa i valori e le grandi riforme
della Rivoluzione, ora esercitava su di essa un chiaro dominio economico e
politico. A tal fine Napoleone guidò le proprie armate in Italia, dove nel 1805
creò il Regno d’Italia, annetteva la Liguria alla Francia, nominava il fratello
Giuseppe re di Napoli; in Germania nel 1806 istituì la Confederazione del Reno
che univa tra loro quindici Stati regionali alleati della Francia e posti sotto la
protezione di Napoleone; nello stesso anno diede vita al Regno d’Olanda, che
destinò al fratello Luigi, e conquistò il Portogallo. Nel 1808 occupava la Spagna,
offrendo la Corona al fratello Giuseppe (che lascerà Napoli al cognato Gioacchino
Murat). Per piegare la più forte e temibile rivale, l’Inghilterra, sin dal 1806
decretò il blocco continentale con cui imponeva a tutti gli Stati vassalli, alleati,
occupati e neutrali di non commerciare con l’Inghilterra, di non trattare merci
britanniche, di non accogliere nei loro porti navi battenti bandiera inglese.
A partire dal 1810 le crescenti difficoltà economiche, dovute a cattive annate
agricole e alla crisi delle manifatture tessili, ma anche i primi insanabili rovesci
militari, frutto dell’incalzare degli eserciti nemici e di temerarie imprese di
Napoleone, come la campagna di Russia (1812), nonché l’inasprimento fiscale e la
coscrizione obbligatoria, decise per far fronte alle difficoltà finanziarie e militari,
contribuirono ad alienare il consenso che Napoleone era riuscito a lungo ad
avere dai francesi.
E tuttavia a determinare la caduta di Napoleone non fu la perdita di consenso all’in-
terno del Paese, ma l’incalzare degli eserciti stranieri. Dopo la clamorosa sconfitta
di Lipsia, nella quale le forze della sesta coalizione annientarono l’armata di Francia
(19 ottobre 1813), il destino di Napoleone era segnato: nel mese di aprile del 1814
l’esercito nemico entrò a Parigi dove la popolazione rassegnata non oppose
resistenza né manifestò segni di lealtà a Napoleone. Nello stesso mese l’imperatore
abdicò senza condizioni, ritirandosi nell’isola d’Elba.
LE GUERRE E L’EUROPA NAPOLEONICA
La conquista dell’______________
i regni ____________________________
il blocco ___________________ contro
_______________________________
Il calo di _____________________ interno
La sconfitta di _____________________
il ritiro __________________________
L’Europa
napoleonica
intorno al 1812
129
Luigi XVIII, richiamato dal Senato sul trono di Francia, dichiarò di voler concedere
una nuova costituzione e sottoscrisse con le potenze nemiche un accordo che ri-
portava i domini francesi ai confini del 1792.
Di lì a qualche mese, nel marzo 1815, mentre i rappresentanti diplomatici delle prin-
cipali potenze erano riuniti a Vienna per ridefinire l’assetto geopolitico dell’Europa,
Napoleone, fuggito dall’Elba e sbarcato in Francia, fallirà il suo disperato tentativo
di riprendere il potere: le grandi potenze europee faranno quadrato contro l’esercito
da lui raccolto, sconfiggendolo a Waterloo il 18 giugno 1815 e costringendolo
all’esilio nell’isola atlantica di Sant’Elena (dove morirà nel 1821). Caduto
l’ultimo ostacolo, i congressisti di Vienna potranno portare a termine il progetto di
gettare un colpo di spugna sui danni prodotti dalla Rivoluzione e da Napoleone.
L’inserimento, diretto e indiretto, delle entità politiche italiane e tedesche
nell’Impero francese costituì la dimostrazione di una loro profonda arretratezza
politica ed economica che le lasciò del tutto impotenti di fronte al dinamismo
della Francia.
Ciò risultò tanto più vero per la Germania, la cui costituzione imperiale era solo
una sopravvivenza del Medioevo e che si trovava divisa in un centinaio di
centri di sovranità. In Italia la situazione era più differenziata, ma il crollo della
repubblica di Venezia rivelò quello che in fondo tutti sapevano, la debolezza
organica di una società irrigidita nella conservazione di un passato chiuso già da
un secolo. Di fronte alla modernità dell’amministrazione francese, del resto,
anche la Lombardia e la Toscana apparivano regioni spente e arretrate; le
riforme attuate a suo tempo dai sovrani asburgici si venivano rivelando
largamente sorpassate. Anche nelle due regioni di punta del riformismo
settecentesco fu soltanto sotto l’amministrazione napoleonica che venne
realmente compiuta la liquidazione della proprietà ecclesiastica e di quella
feudale. Gli effetti positivi del governo diretto francese nei dipartimenti creati in
Italia e sulla riva sinistra del Reno furono innegabili: l’introduzione del codice ci-
vile e l’estensione del catasto crearono le condizioni per lo sviluppo di una
proprietà fondiaria e di un sistema fiscale più razionali ed efficienti.
Il dominio napoleonico non creò forse la borghesia tedesca e italiana, ma
contribuì in maniera decisiva a farla crescere e divenire consapevole di sé. Dal
punto di vista economico, poi, i vantaggi dell’inserimento dell’Italia e della
Germania nel sistema continentale francese superarono per diversi anni gli
svantaggi. In Belgio e in Renania l’attivazione delle miniere di carbone e di ferro
ebbe un impulso fino ad allora sconosciuto; sia in Germania sia in Italia
l’abolizione delle corporazioni fu oggettivamente un elemento di progresso. Nel
regno di Napoli il dominio francese realizzò immediatamente, con la legge
dell’agosto 1806 sull’abolizione della feudalità, quella svolta radicale di fronte
alla quale i riformatori del Settecento avevano sempre esitato. Nelle regioni
italiane settentrionali il più forte legame con la Francia e con l’economia
europea rafforzò le strutture del mercato: i produttori di seta e, in minor misura,
quelli di lana ebbero molte ragioni di lamentarsi di un regime doganale che li
lasciava esposti alle esportazioni francesi e li danneggiava fortemente; ma è
improbabile che al di fuori del sistema imperiale essi sarebbero così presto
divenuti consapevoli dei vantaggi di un mercato dalla dimensione più che
regionale.
Il ritorno di ____________________ e dei
confini al ________________
Il ritorno di _______________________
la sconfitta di ____________________ e
l’esilio a ________________________
LA GERMANIA E L’________ NAPOLEONICHE
L’___________________ tedesca e italiana
il frazionamento ____________________
Regimi napoleonici e _________________
- la liquidazione _____________________
___________________________________
- modernizzazione __________________
_________________________________
- razionalizzazione ________________
- abolizione _________________________
- il rafforzamento del _________________
- la coscienza dell’___________________
______________________________
130
2 – L’OTTOCENTO. LE IDEOLOGIE POLITICHE E L’AFFERMAZIONE DELLO
STATO LIBERALE
1 – ORIGINI E CARATTERISTICHE DELLO STATO LIBERALE
1.1 Dallo stato parlamentare allo stato liberale: le rivoluzioni borghesi
1.2 Le caratteristiche dello stato borghese
1.3 I luoghi, i mezzi e le caratteristiche della vita politica nello stato liberale
2 – LA FORMAZIONE DELLE IDEOLOGIE POLITICHE: LIBERALISMO E DEMOCRAZIA
RIVOLUZIONARIA
2.1 Elaborazioni teoriche ed esperienze di riferimento
2.2 I gruppi sociali di riferimento
2.3 I principi di riferimento
2.4 Il progetto di società
2.5 Le forme di stato
2.6 I modelli di rapporto stato-società
2.7 I principi di uguaglianza
2.8 I modelli di governo
2.9 I modelli del processo di cambiamento
2.10 Le scienze economiche: Smith, Ricardo, Bentham
3 – LE MODALITÀ E L’EVOLUZIONE DELLA VITA POLITICA DELLA PRIMA METÀ
DELL’OTTOCENTO
3.1 Modalità della vita politica dopo la Rivoluzione Francese
3.1.1 Movimenti politici e clandestinità
3.1 2 Il nazionalismo nella prima metà dell’Ottocento
3.2 L’evoluzione della vita politica dal 1815 al 1848
3.2.1 I moti degli anni '20 e '30
3.2.2 La formazione delle correnti politiche in Italia
- I democratici mazziniani
Un nuovo modello di azione politico
Il carattere religioso del pensiero del Mazzini
I tentativi mazziniani degli anni Trenta e Quaranta
Carlo Pisacane
- I liberali moderati
Il neoguelfismo
I moderati laici
- I federalisti
Carlo Cattaneo
Giuseppe Ferrari
3.3 Le rivoluzioni del 1848 e le nuove modalità della vita politica nella seconda metà dell’Ottocento
3.3.1L’allargamento dell’area liberale e lo scontro liberali – democratici
3.3.2 La spaccatura tra liberali e democratici
131
- Il 1848 in Francia: la sconfitta dei socialisti e dei democratici radicali
3.3.3 I nuovi protagonisti e i nuovi luoghi della politica
4 – LE IDEOLOGIE POLITICHE NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO
4.0 L’origine delle nuove correnti politiche
4.1 La liberaldemocrazia: A. De Tocqueville
4.2 La democrazia radicale: J. Stuart Mill
4.3 Il darwinismo sociale: H. Spencer
4.4 Il socialismo
4.4.0 La storia del movimento operaio
4.4.1 L’anarchia: Bakunin
- La libertà come dimensione umana compiuta
- Le fonti dell’alienazione umana
4.4.2 La prima Internazionale
- Il sostegno alle lotte operaie
- Le spaccature ideologiche
4.5 I cattolici
5 - L'EVOLUZIONE DELLA VITA POLITICA NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO
5.5.1 Il processo di unificazione nazionale in Italia e Germania: analogie e differenze
5.5.2 L’unificazione italiana
- L’unificazione italiana
- Cavour: il progetto di modernizzazione di un liberale moderato
- La Seconda guerra d’indipendenza
- La spedizione dei Mille
5.5.3 Lo stato liberale: il modello inglese
5.5.4 Lo stato italiano nella seconda metà dell’Ottocento
6 - I RAPPORTI INTERNAZIONALI NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO
132
2 – L’OTTOCENTO. LE IDEOLOGIE POLITICHE E L’AFFERMAZIONE
DELLO STATO LIBERALE
1 – Origini e caratteristiche dello Stato liberale
2 – La formazione delle ideologie politiche: liberalismo e democrazia
rivoluzionaria
3 – Le modalità e l’evoluzione della vita politica ottocentesca
4 – Le ideologie politiche nella seconda metà dell’Ottocento
5 - L'evoluzione della vita politica nella seconda metà dell’Ottocento
6 - I rapporti internazionali nella seconda metà dell’Ottocento
1 – ORIGINI E CARATTERISTICHE DELLO STATO LIBERALE
1.1 Dallo Stato parlamentare allo Stato liberale: le rivoluzioni borghesi
1.2 Le caratteristiche dello Stato borghese
1.3 I luoghi, i mezzi e le caratteristiche della vita politica nello Stato
liberale
Tra la metà del seicento e la metà dell’Ottocento, nell’Europa occidentale e negli
Stati uniti d’America, vennero superate le forme dello Stato assoluto. Il nuovo
modello di Stato può essere definito Stato parlamentare in quanto il parlamento
tende ad assumere una funzione centrale nella vita pubblica e nel funzionamento
dello Stato.
Lo Stato parlamentare è all’origine dello Stato liberale o borghese che si affermerà
nel corso dell’Ottocento. Gli avvenimenti determinanti per la formazione dello
Stato parlamentare sono considerati, dagli storici, le due rivoluzioni inglesi del
seicento e, nel Settecento, la rivoluzione americana e quella francese. Nel secolo
successivo i moti degli anni ’20 e ‘30 e le rivoluzioni del 1848 porteranno
all’affermazione dello Stato liberale. L’insieme di tali avvenimenti viene
caratterizzato come le rivoluzioni borghesi in quanto l’imporsi dello Stato liberale
dell’Ottocento coincise con l’imporsi della borghesia come classe sociale
promotrice dello sviluppo economico, con l’industrializzazione, e di quello
culturale.
Lo Stato liberale ottocentesco è caratterizzato dall’uguaglianza dei cittadini di
fronte alla legge e dalla possibilità per una minoranza dei cittadini di partecipare,
attraverso dei rappresentanti, alla formazione delle leggi, compito principale del
parlamento.
Inoltre adotta una carta costituzionale, costituita da un documento scritto e
pubblico che regola il funzionamento e i compiti delle istituzioni statali e
stabilisce i diritti del cittadino che lo Stato riconosce. Tra questi diritti lo Stato
liberale riconosce l’uguaglianza giuridica, diritto che eliminava i privilegi della
nobiltà e del clero e i cosiddetti diritti individuali, che vengono fatti coincidere
con le libertà personali e con il diritto della proprietà privata.
Lo Stato liberale ottocentesco non riconosce invece né l’uguaglianza politica dei
cittadini, poiché riserva la possibilità di eleggere i propri rappresentanti al
parlamento a un’élite, stabilita in base al censo (suffragio ristretto), né
l’uguaglianza sociale, in quanto individua il proprio compito nel garantire le
condizioni per il libero sviluppo dell’iniziativa privata e della concorrenza e non
nell’assicurare ai cittadini i servizi sociali o pari opportunità di sviluppo.
ORIGINI E CARATTERISTICHE DELLO
STATO LIBERALE
DALLO STATO PARLAMENTARE ALLO STATO
LIBERALE: LE RIVOLUZIONI BORGHESI
____________________________(‘600)
+ _______________________________
_____________________________(‘700)
Stato __________________________
__________________________________
+ _______________________________
Stato __________________________
LE CARATTERISTICHE DELLO STATO
BORGHESE
133
All’interno dello Stato liberale i luoghi deputati alla politica erano, da un lato, il
parlamento, nella misura n cui acquisiva le funzioni legislativa e di controllo sul
governo, e i giornali come rappresentanti dell’opinione pubblica.
Secondo il liberalismo ottocentesco, l’opinione pubblica era una collettività di
individui capaci sia di acquisire e di valutare le opinioni espresse da altri, che,
non solo di farsi una propria opinione, ma anche di esprimerla. In base a
quest’immagine, il primo mezzo di comunicazione di massa, la stampa, aveva la
funzione non di guidare o manipolare l’opinione pubblica, ma di rappresentarla.
L’opinione pubblica, in quanto costituita da coloro che leggevano i giornali, era
una la minoranza istruita della popolazione, socialmente rappresentata soprattutto
dalla borghesia delle professioni, avvocati, medici, farmacisti e, più, tardi
ingegneri, geometri, o dalla borghesia possidente. I democratici, invece, il cui
gruppo sociale era costituito dalle masse popolari non istruite tendevano a vedere
nei giornali soprattutto un mezzo per educare il popolo.
All’interno dello Stato liberale si definì anche il modello di scontro politico che ha
caratterizzato le società occidentali per tutto l’Ottocento e il Novecento.
La vita politica dell’ancien régime si svolgeva a corte ed era caratterizzata dallo
scontro fra fazioni rivali rappresentanti un ristretto numero di famiglie
aristocratiche dunque, omogenee dal punto di vista economico sociale, perciò con
obbiettivi simili, comunque volti a difendere i propri privilegi.
L’allargamento della partecipazione alla vita politica modificò il modello della
lotta politica, che divenne uno scontro fra gruppi sociali che hanno un diverso
progetto di società, consono ai propri interessi. Il problema principale divenne
quello di conquistarsi l’appoggio dei gruppi sociali di riferimento facendoli
diventare soggetti attivi della vita politica.
I LUOGHI, I MEZZI E LE CARATTERISTICHE
DELLA VITA POLITICA NELLO STATO
LIBERALE
VITA POLITICA ANCIEN RÉGIME: VITA POLITICA SOCIETÀ MODERNA :
- luogo: __________________________ - luoghi: a - ________________________________________________
b - ________________________________________________
- soggetti: ___________________________________ - soggetti: ________________________________________________
con obiettivi simili (___________________________) che hanno ___________________________________( ideologie politiche)
- forme: __________________________________ - forme: __________________________________
LE CARATTERISTICHE DELLO STATO __________________
1- _________________________________________________________________________________________________________
2 - _________________________________________________________________________________________________________
3 - _________________________________________________________________________________________________________
4 - _____________________________________ che stabilisce:
a - ________________________________________________________________________________________________
b - ____________________________: uguaglianza _____________________ + _________________________________
no _________________________________________________________________
134
2 – LA FORMAZIONE DELLE IDEOLOGIE POLITICHE: LIBERALISMO E
DEMOCRAZIA RIVOLUZIONARIA
2.1 Elaborazioni teoriche ed esperienze di riferimento
2.2 I gruppi sociali di riferimento
2.3 I principi di riferimento
2.4 Il progetto di società
2.5 Le forme di Stato
2.6 I modelli di rapporto Stato-società
2.7 I principi di uguaglianza
2.8 I modelli di governo
2.9 I modelli del processo di cambiamento
2.10 Le scienze economiche: Smith, Ricardo, Bentham
Tra la Rivoluzione francese e i primi decenni dell’Ottocento vennero elaborate le
prime ideologie politiche ispirate da progetti di società e di Stato diversi e
destinate ad essere un punto di riferimento costane per la vita politica
contemporanea. Tali ideologie, che non rappresentavano ancora delle correnti, dei
movimenti politici veri propri quanto invece un orientamento ideale, una visione
del mondo, erano costitute dal liberalismo e dalla democrazia rivoluzionaria.
Esse, all’inizio dell’Ottocento, avevano alle spalle, una elaborazione teorica,
costituita, per i liberali, soprattutto dall’opera di J. Locke10 (1632-1704) e di alcuni
illuministi quali ad esempio Montesquieu (1689-1757) e, per i democratici,
dall’opera di un altro illuminista francese J.J. Rousseau11 (1712-78). Avevano,
inoltre, contribuito alla loro elaborazione anche alcune concrete esperienze
politiche costituite, a loro volta dalle fasi, moderate delle rivoluzioni inglesi e
francesi e dalla rivoluzione americana per i liberali e dalle posizioni dei livellatori
inglesi e dai giacobini francesi per i democratici.
Essi inoltre avevano gruppi sociali di riferimento che nella situazione di inizio
Ottocento erano socialmente, economicamente e culturalmente assai diversificati.
Infatti, essi erano costituiti per i liberali dalla borghesia, avviata a farsi promotrice
dello sviluppo economico con l’industrializzazione e interessata a promuovere il
passaggio dagli ordinamenti feudali a quelli richiesti dall’economia di mercato e,
comunque, in forte ascesa sociale. Per i democratici il gruppo sociale di
riferimento era costituito dalle masse popolari ancora difficilmente raggiungibili,
perché in gran parte disperse nelle campagne, poco istruite e socialmente assai
deboli. Situazione che, evidentemente, poneva maggiori difficoltà ai democratici
che ai liberali.
Il liberalismo e la democrazia identificano lo scopo dello Stato nella libertà
politica. Ma questa consonanza nasconde importanti differenze. Essi intendono
infatti la libertà politica diversamente: il liberalismo la intende come indipendenza
privata politicamente garantita, la democrazia come partecipazione collettiva al
potere politico. Per il primo siamo politicamente liberi se lo Stato ci assicura una
sfera di decisione personale sufficientemente ampia, per la seconda siamo
politicamente liberi sé abbiamo una sufficiente influenza sulle decisioni dello Stato.
Queste differenti concezioni hanno le loro radici in un differente modo di concepire i
rapporti tra individuo e comunità. Spesso coloro che optano per la visione
privatistica della libertà politica hanno una concezione individualistica o
atomistica della società. Coloro che adottano la visione partecipazionistica della
libertà politica hanno di solito una concezione organicistica della società. I primi
10 Per Locke vedi Filosofia Moderna, pag. 210 e successiva lettura n 12 11 Per Rousseau idem, pag. 212 e successiva lettura n 13
135
cioè pensano la società alla stregua di una macchina, come uno strumento
artificiale che individui autonomi si danno al fine di meglio perseguire i loro
interessi. I secondi considerano invece la società come condizione di esistenza degli
stessi individui, così come l’organismo è condizione di esistenza delle sue membra.
In altri termini, i primi vedono la società come un’entità collettiva verso la quale gli
individui hanno obblighi solo parziali e comunque strumentali; i secondi come
un’entità che socializza integralmente gli individui e impone loro degli obblighi
che hanno priorità sugli interessi personali. Ciò che accomuna al di là delle pur
diverse preferenze chi fa riferimento all’area liberale è sicuramente costituto
dall’enfasi posta sulle libertà individuali, mentre per l’area democratica è costituto
dall’enfasi posta sulla partecipazione dei cittadini.
Dal diverso modo di concepire la società e la libertà politica conseguono anche
differenti concezioni dello Stato. I liberali hanno, infatti, un atteggiamento
formalistico in quanto ciò che legittima lo Stato sono le regole (forme) di
funzionamento dello Stato. Lo Stato per essere legittimo deve essere retto dal
principio del garantismo per cui garantisce il rispetto dei diritti dei suoi membri. Da
Locke, che è considerato uno dei padri del pensiero liberale, in poi tali diritti sono
compendiati dal diritto di proprietà privata. Infatti, secondo Locke, lo Stato sorge
per rendere sicuro il diritto naturale di proprietà, la cui difesa nello Stato di natura
finisce per determinare uno Stato di guerra di tutti contro tutti.
In quanto tutore dei diritti dei suoi membri e in primo luogo del diritto di proprietà
lo Stato deve essere uno Stato minimo, ovvero restringere la sua attività alle
funzioni di protezione dalla violenza e dalla frode.
Da un punto di vista teorico la presenza di uno Stato garantista e minimo rende poco
importante il problema, invece essenziale per la prospettiva democratica, della
partecipazione politica e conseguentemente dei diritti politici.
Tali diritti erano di fatto nello Stato liberale dell’Ottocento limitati alla borghesia
benestante che costituiva anche il gruppo sociale di riferimento delle correnti
liberali. I liberali non vedevano nel suffragio ristretto una limitazione alla libertà dei
cittadini e comunque ritenevano le masse incapaci di una partecipazione
responsabile in quanto il fatto stesso di non possedere beni costituiva il segno
dell’incapacità di prendere decisioni responsabili.
L’atteggiamento formalistico dei liberali si rivela anche per quanto riguarda il
problema dell’uguaglianza dei cittadini, dal momento che essi fanno propria la sola
uguaglianza di fronte alla legge (uguaglianza giuridica), ignorando il fatto che la
legge era fatta da pochi e che di fatto la legge trattava in modo uguale soggetti che
erano diversi.
Dello Stato, invece, i democratici avevano una visione decisamente
sostanzialistica per cui ritenevano importante, non il problema delle forme di
funzionamento dello Stato, ma il problema di chi esercitava il potere e
consideravano legittimo lo Stato solo se esprime la volontà popolare. Diventava
quindi essenziale estendere il diritto di voto per ottenere il suffragio universale, e
ridurre il più possibile la mediazione rappresentativa, promuovendo forme di
democrazia diretta: essi miravano quindi a espandere la partecipazione politica.
L’atteggiamento sostanzialistico dei democratici si manifesta anche nella loro
concezione dell’uguaglianza. Infatti i democratici si fanno promotori non della
sola uguaglianza giuridica ma anche di quella politica, promuovendo il suffragio
universale e ponendo il problema della partecipazione alla vita politica. Per i
democratici rivoluzionari, che si richiamavano ai giacobini francesi, lo Stato
doveva intervenire a favore dei gruppi sociali più deboli per promuovere anche
un’effettiva uguaglianza sociale.
A tale posizione si opponevano i liberali che vedevano nell’intervento dello Stato
un’inaccettabile superamento delle sue prerogative (Stato minimo). Infatti
secondo i liberali, che si fecero promotori del liberismo economico in nome dello
Stato minimo, lo Stato doveva limitarsi a creare le condizioni perché la libera
iniziativa individuale si potesse esprimere, il libero mercato avrebbe provveduto
136
a armonizzare con “una mano invisibile” gli interessi individuali. Infatti, mentre la
richiesta del mercato di un determinato prodotto, meccanismo che, per i liberisti,
rivela l’utilità sociale del bene, incentiva la sua produzione, al contrario avviene a
un prodotto meno richiesto e quindi meno utile socialmente. Anche in questo caso
viene mantenuto, quindi, un atteggiamento formalistico
IDEOLOGIE POLITICHE
LIBERALE
DEMOCRATICA
Antecedenti
Gruppi sociali di
riferimento
Principio di
riferimento
Tipo di società
Tipo di Stato
Rapporti stato e
società
Tipo di
uguaglianza
Modello di
governo
Modello di
processo di
cambiamento
ignorando che non tutti i soggetti hanno lo stesso potere sul mercato. A questa
visione i democratici contrapponevano invece una visione per cui lo Stato deve
perseguire l’utile sociale che non coincide necessariamente con l’utile individuale,
anzi spesso è in contrasto con esso.
Anche per quel che riguarda le forme di governo vi era una profonda divergenza.
Per i liberali la miglior forma di governo era costituita da una monarchia
parlamentare e costituzionale il cui modello era costituito dalla monarchia inglese.
Per i democratici, invece, la miglior forma di governo era costituita dalla
repubblica in quanto tale ordinamento, non ammettendo poteri ereditari,
consentiva alla sovranità popolare di esprimersi più compiutamente.
L’indicazione di un diverso modello di forma di governo è da mettere in relazione
ad un’altra fondamentale divergenza tra liberali e democratici relativa al modo in
cui realizzare il nuovo modello di Stato.; infatti mentre i liberali propendevano per
le riforme i democratici per la via rivoluzionaria. Per i democratici la rivoluzione
costituiva un’occasione di mobilitazione delle masse popolari, il loro gruppo
sociale di riferimento, presentandosi inoltre come un importante momento di
educazione per il popolo. Al contrario i liberali vedevano nella rivoluzione un
pericolo perché essa comportava la mobilitazione delle masse ignoranti,
irresponsabili e dunque non degne di agire attivamente sulla scena politica.
La fondazione delle scienze economiche è contemporanea al processo di sviluppo
del sistema capitalistico. Per l’aristocrazia latifondista la produzione è solo un
mezzo per potersi dedicare alle attività ritenute superiori, adatte alla propria
LA FONDAZIONE DELLE SCIENZE
137
condizione sociale (attività militari, culturali e politiche). Per la borghesia
capitalista, invece, l’attività produttiva ed economica è al centro dei propri
interessi e considera la produzione principalmente come un mezzo per
moltiplicare il capitale. Le prime teorie economiche espresse dalla borghesia sono
sicuramente i principi del mercantilismo che, coerentemente con gli interessi
mercantili e finanziari della borghesia seicentesca, poneva al centro delle sue
analisi gli scambi economici e non tanto l’attività produttiva, facendo dipendere la
ricchezza delle nazioni dalla disponibilità di moneta e dall’andamento delle
esportazioni e delle importazioni (bilancia commerciale).
Nel Settecento, a seguito del fatto che la borghesia impegnava sempre più
massicciamente i suoi capitali direttamente nelle attività produttive, dapprima
agricole e poi industriali, quest’ultima diventa centrale per l’analisi economica.
La ricchezza delle nazioni venne quindi identificata dapprima nella terra e
nell’agricoltura (i fisiocrati) e in seguito nel lavoro. Così la riflessione teorica di
A. Smith ( 1723-90) vedeva come fattore ultimo della "ricchezza delle nazioni"
non la fertilità della terra, ma il valore creato dal lavoro applicato alla produzione
condotta in vista dello scambio. Non i proprietari terrieri, che approfittavano del
loro controllo giuridico su un bene naturalmente limitato come la terra, ma i
capitalisti impegnati nella produzione manifatturiera erano il vero motore
dello sviluppo economico. Smith vedeva nella divisione e specializzazione del
lavoro il presupposto principale dello sviluppo, con la conseguente crescita
della produttività e del volume della produzione e la parallela crescita del
mercato. Se gli uomini fossero stati messi in grado di perseguire liberamente i
propri interessi, per quanto egoistici questi potessero essere, il risultato finale
conseguito sarebbe stato un aumento del benessere universale. Fra sviluppo
dei valori sociali e individualismo economico non vi è necessariamente
incompatibilità: “Cercando per quanto può di impiegare il suo capitale a
sostegno dell'industria interna” scriveva Smith “e di indirizzare questa industria
in modo che il suo prodotto possa avere il massimo valore, ogni individuo
contribuisce necessariamente quanto può a massimizzare il reddito annuale
della società... Egli mira soltanto al proprio guadagno e in questo, come in
molti altri casi, egli è condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che
non entrava nelle sue intenzioni. Né per la società è un male che questo fine
non entrasse nelle sue intenzioni. Perseguendo il proprio interesse, egli spesso
promuove quello della società in modo più efficace di quando intende realmente
promuoverlo”.
Sull’ottimismo di Smith si costituirono le teorie economiche liberiste che
facevano del nascente capitalismo industriale la migliore società umana
possibile e del libero mercato l’unico vero regolatore della società. Per questo
lo stato doveva limitarsi a togliere tutti gli ostacoli che possono interagire con
l’iniziativa privata, tutelare la proprietà privata e lasciare che il mercato si
regolasse da solo: le regole del mercato avrebbero da sole regolato l’intero
meccanismo economico e sociale. Già nei primi decenni dell’Ottocento
l’ottimismo di Smith venne in parte rivisto da nuove analisi economiche e
nuove teorie sociali, che sono ben rappresentate da D. Ricardo (1772-1823),
nelle cui analisi l’armonia degli interessi privati e collettivi viene sostituita da
un’analisi degli interessi contrastanti delle diverse classi sociali. Le categorie
necessarie per studiare il sistema economico sono, secondo Ricardo, la rendita,
il profitto e il salario, sulla base dei quali si e definiscono tre gruppi sociali: i
proprietari terrieri, i capitalisti industriali e i lavoratori salariati. Tra di essi si
distribuisce la ricchezza globale e da ciò nasce la conflittualità economica e
sociale. Secondo Ricardo il profitto è la molla del nuovo sistema: ne deriva
quindi che una sua compressione dovuta a benefici eccessivi sul versante della
rendita fondiaria o del salario intralcerebbe lo sviluppo generale.
J. Bentham (1748-1832) fa dell’utilità il parametro fondamentale non della sola
attività del singolo, ma anche di quello delle istituzioni. Infatti, come
138
l’utilità è alla base dell’attività morale del singolo allo stesso modo alla base
dell’azione delle istituzioni vi deve essere l’utilità, la felicità del massimo numero
possibile di persone; utilità che non può essere raggiunta spontaneamente dal
mercato ma deve essere ricercata attivamente dalle istituzioni, come volevano i
democratici.
LA FONDAZIONE DELLE SCIENZE ______________________
Aristocrazia attività ____________________ mezzo per dedicarsi alle attività ___________________
___________________ interesse per le attività economiche produttive mezzo per ______________________________________
Teorie economiche:
__________________________ : (borghesia investe nel commercio) ricchezza delle nazioni dipende da:
1 – disponibilità di ________________ 2 - _________________________________________________________________
Borghesia investe in attività produttive: 1- agricoltura la ricchezza dipende dalla fertilità della terre per l’agricoltura ( _______________)
2 – industrie la ricchezza dipende _____________________
A. Smith:
- valore creato dal ___________________ ricchezza per cui motore dello sviluppo _______________ che investono nella produzione
- sviluppo dipende da ______________ e ___________________________ del lavoro maggior _____________________
- il ____________________ concilia l’interesse ___________________ e quello __________________ (liberismo – vedi ____________)
occorre che gli uomini ___________________________________________________________________________________________
D. Ricardo:
- no armonia _____________________________________________________ ma ___________________interesse diverse classi sociali
rendita ____________________________ ; __________________ capitalisti; ___________________ lavoratori
- siccome progresso dipende ______________________ occorre difenderlo da eccessivo valore di _________________e _____________
J. Bentham
- le attività devono essere valutate in base alla loro ___________________
singolo utile ____________________ istituzioni politico-sociali utilità per il massimo _____________________________
che non è perseguita _____________________ dal mercato ma _______________ attivamente dalle istituzioni (vedi _____________)
139
3 – L’EVOLUZIONE DELLA VITA POLITICA DELLA PRIMA METÀ
DELL’OTTOCENTO
3.1 Modalità della vita politica dopo la Rivoluzione Francese
3.2 L’evoluzione della vita politica dal 1815 al 1848
3.3 Le rivoluzioni del 1848 e le nuove modalità della vita politica nella
seconda metà dell’Ottocento
3.1 Modalità della vita politica dopo la Rivoluzione Francese
3.1.1 Movimenti politici e clandestinità
3.1 2 Il nazionalismo nella prima metà dell’Ottocento
All’indomani del 1815, dopo la sconfitta di Napoleone e il Congresso di
Vienna, si ristabilirono sui troni europei le vecchie case regnanti, il cui ritorno
significava non solo la restaurazione dei sovrani spodestati ma anche delle
gerarchie sociali tradizionali, degli ordinamenti prerivoluzionari, dei modi di
governare tipici dell’assolutismo.
In questa condizioni la vita politica, che nei vent’anni di guerre napoleonica
aveva acquisito le caratteristiche dello scontro pubblico, spesso anche cruento,
tornò a essere duramente repressa e fu costretta a riorganizzarsi nella
clandestinità, all’interno delle sette segrete, tra le quali, ad esempio, la
Carboneria che agiva soprattutto in Italia e Spagna.
La clandestinità a cui era costretta l’opposizione ai regimi restaurati comportò
un ulteriore restrizione della partecipazione alla vita politica, infatti la base
sociale delle sette segrete era costituita da pochissimi artigiane ed esponenti di
altri ceti popolari, qualche membro dell’aristocrazia liberale, qualche
rappresentante della borghesia del commercio e delle professioni, ma
soprattutto intellettuali, studenti e militari. Furono i militari, in particolare ufficiali
e sottufficiali formatisi nel periodo napoleonico, a fornire alle sette i nuclei più
preparati e intraprendenti; essi d’altra parte erano i soli che, disponendo di una
forza armata, fossero in grado di minacciare seriamente la stabilità di troni e
governi.
Un’altra conseguenza della clandestinità era costituita dalla mancanza di
MODALITÀ__________________________
DOPO LA RIVOLUZIONE FRANCESE
MODALITÀ DELLA __________________________________ DOPO LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Restaurazione dei regimi ____________________ attività __________________ repressione ________________________:
movimenti _____________________ clandestinità per cui:
1 – ristretta _________________________________________; 2 – mancanza __________________________________
3 – nemico __________________________; 4 - ___ + ____ prevalere ___________________________:
a - ______________________ b - __________________________
obiettivi ___________________________ c - ___________________________________________________
d - __________________________________________________
140
dibattito, non solo evidentemente pubblico, ma anche all’interno delle sette.
Questo, insieme alla presenza di un nemico comune a tutti gli orientamenti
politici costituito dagli stati restaurati, fece sì che nella pratica le divergenze tra i
diversi orientamenti si affievolissero facendo prevalere gli obiettivi comuni. La
linea divisoria fra liberali e democratici, molto netta sul piano teorico, si
faceva assai più sfumata nella pratica della lotta contro i regimi
assolutisti. La costituzione, il parlamento elettivo, la garanzia delle libertà
fondamentali erano obiettivi comuni, validi .per gli uni come per gli altri.
Questi obiettivi - che si possono genericamente definire liberali - costituirono il
programma minimo e il terreno comune di lotta per tutte le forze politiche che si
battevano contro i governi della Restaurazione.
In molti paesi europei, un ulteriore elemento di coesione fra tutti gli avversari
del vecchio ordine era dato dall'esigenza di liberazione da un dominio stra-
niero, dalla rivendicazione dell'indipendenza nazionale o dell’unità.
L'affermazione degli ideali nazionali e la stessa idea di nazione
rappresentarono, nell'Europa del primo ‘800, un’assoluta novità sul piano
politico e culturale: sino alla fine del ‘700, il concetto di nazione aveva
infatti un contenuto generico e dei confini incerti (poteva essere usato in
riferimento all'intera Europa come al Piemonte), e soprattutto non svolgeva un
ruolo centrale nella cultura politica e nel sentire comune. Il senso di
appartenenza a una nazione veniva, per importanza, dopo l’affiliazione a una
confessione religiosa e dopo l’identificazione con una comunità locale o
regionale: si era prima cristiani, poi piemontesi (o brettoni o tirolesi), e solo in
terzo luogo italiani (o francesi o tedeschi). L’idea che lo Stato dovesse
coincidere con una nazione era poi sostanzialmente estranea alla cultura
dell’antico regime (anche se Stati a base nazionale, come la Francia, la
Spagna, 1’Inghilterra, si erano costituiti già in età medioevale).
L'idea moderna di nazione nacque con Rousseau e con la sua concezione
dello Stato come espressione di un popolo, di una comunità di cittadini
capace di esprimere una volontà comune; concezione che la rivoluzione
francese avrebbe per la prima volta cercato di tradurre in realtà e che le
guerre napoleoniche avrebbero diffuso in tutta Europa. L’idea di nazione,
nata dunque all’interno dell’area democratica, era comunque condivisa
anche dalle correnti di ispirazione liberale per le quali coincideva con
quella di uno Stato costituzionale moderno, nonché con quella di un
allargamento del libero mercato, il quale, attraverso il processo di
unificazione, assumeva le dimensioni nazionali, più consone per l’avvio
dei necessari processi di ammodernamento.
Tale concetto di nazione subirà negli ultimi decenni un decisivo
cambiamento di contenuti che lo collegherà al nazionalismo,
collocandolo tra i valori ideali della destra conservatrice per gran parte
del Novecento i cui ultimi decenni hanno segnato, però, un declino sia
dell’idea di nazione sia di quella di Stato nazionale sotto la spinta, da un
lato, dell’imporsi di organismi sovranazionali (Comunità europea) e,
dall’altra, di spinte localistiche (vedi, ad esempio, il disfacimento della
Jugoslavia o dell’Urss o ancora la presenza della Lega Nord sulla scena
politica nazionale).
L’evoluzione dell’idea di ______________
A - Settecento:
- no _________________________ a una
nazione
no coincidenza _____________________
= ____________________________
B - Inizio Ottocento
Rousseau e ________________________ :
Stato = _________________ = nazione
Liberali:
nazione = _____________ costituzionale +
___________________________
C – Fine Ottocento e __________________
Nazionalismo _____________________
__________________________________
D – Fine __________________________
Fine idea di ________________________
141
3.2 L'evoluzione della vita politica dal 1815 al 1848
3.2.1 I moti degli anni venti e trenta
3.2.2 La formazione delle correnti politiche in Italia
Gli avvenimenti decisivi per l’evoluzione politica nella prima metà
dell’Ottocento sono costituiti dai moti degli anni ’20, da quelli degli
anni ’30 e dalle rivoluzioni del 1848 che costituiscono , come si è visto,
gli ultimi episodi delle cosiddette rivoluzioni borghesi.
I moti degli anni ’20 coinvolsero aree economicamente e socialmente
arretrate, quali l’Europa mediterranea e l’America del Nord, ed ebbero
un carattere prevalentemente militare in quanto furono promossi
dall’ammutinamento di reparti dell’esercito.
In Piemonte, nel regno di Napoli e in Spagna l’obiettivo principale dei
rivoltosi fu quello di imporre l’adozione di una carta costituzionale,
ispirata ad un liberalismo molto moderato, mentre in Grecia e in
America latina i moti ebbero un carattere indipendentista, volti cioè ad
ottenere l’indipendenza da i turchi, per gli uni, e dagli spagnoli e dai
portoghesi, per gli altri.
In Piemonte dopo molte esitazioni dovute soprattutto ai contrasti fra i de-
mocratici e gli elementi moderati (che avrebbero voluto agire
d'accordo col re), il moto scoppiò nel marzo del ‘ 21, quando alcuni reparti
dell'esercito si ammutinarono, inducendo il re Vittorio Emanuele I ad abdicare
in favore del fratello Carlo Felice. Dal momento che il nuovo re si trovava
lontano dal regno, la reggenza fu affidata a l nipote Carlo Alberto, che aveva
manifestato qualche simpatia per la causa liberale ed era da tempo in contatto
segreto coi ribelli. Carlo Alberto sì impegnò dapprima a concedere una
costituzione; ma poi, sconfessato e richiamato all'ordine da Carlo Fe1ice, si unì
alle truppe lealiste che, all’inizio di aprile, con l’aiuto di contingenti austriaci,
sconfissero a Novara i rivoluzionari guidati dal conte Santorre di Santarosa.
La fine prematura dell’esperienza liberale piemontese si inquadrava del resto
nella
generale sconfitta delle correnti costituzionali dovuto sia alle resistenze
interne, rappresentate dai difensori dei regimi assoluti e spesso dalla
L'EVOLUZIONE DELLA VITA POLITICA
DAL 1815 AL 1848
1 - ________________________________
chiesa e dalle masse contadine da essa influenzate, sia all’intervento
dirette di potenze straniere, l’Austria in Italia e la Francia in Spagna,
MOTI ANNI’20
Tipologia aree geografiche coinvolte:___________________________________________________________
Moti _________________________
Aree coinvolte: _____________________________________ Promotori:________________________________________________
Obiettivi: __________________________________ ________________ riferimento ideologico: ____________________________
motivi fallimento: 1 ___________________________________________________________ 2 intervento Austri e Francia
Moti indipendentisti
Aree coinvolte: _________________________________ Obiettivo raggiungimento indipendenza da ________________________
motivo successo:
______________________________________________________________________________________________
142
preoccupate di ristabilire l’ordine voluto dal Congresso di Vienna.
Ebbero successo invece i moti indipendentisti con l’ottenimento
dell’indipendenza della Grecia (1829) e degli stati del Sud America nei
primi anni ’20. decisivo fu, anche in questo caso, l’atteggiamento delle
maggiori potenze europee, interessate a indebolire l’impero turco nei
Balcani e a creare nuovi equilibri in America latina.
I moti degli anni ’30 coinvolsero sia aree marginali (Italia centrale a
Modena, Polonia) sia aree decisamente più progredite (Francia e
Belgio). Falliti ancora una volta nelle aree marginali essi ebbero
successo invece in Belgio e in Francia, dove portarono alla creazione di
regimi liberali decisamente moderati e in Belgio all’ottenimento
dell’indipendenza dal Regno dei Paesi Bassi.
Se i moti degli anni ’30 portarono ad una prima apertura dei vecchi
regime verso forme più liberali di Stato, furono le rivoluzioni del 1848 a
generalizzare il processo di affermazione dello Stato liberale.
3.2.2 La formazione delle correnti politiche in Italia
I democratici mazziniani
Un nuovo modello di azione politico
Il carattere religioso del pensiero del Mazzini
I tentativi mazziniani degli anni Trenta e Quaranta
Carlo Pisacane
I liberali moderati
Il neoguelfismo
I moderati laici
I federalisti
Carlo Cattaneo
Giuseppe Ferrari
La formazione delle differenti correnti politiche, con il conseguente
superamento delle sette segrete, avvenne in Italia nei decenni compresi tra il
1830 e la fine degli anni ’40, intrecciandosi con il problema di come
raggiungere l’unità nazionale. Infatti, già nel luglio del 1831a Marsiglia
Mazzini fondava la Giovane Italia di ispirazione democratica.
Giuseppe Mazzini (1805-72), fin da giovane si era dato all'impegno politico--
culturale, prima trasformando “L'indicatore genovese”, un semplice foglio di
avvisi economici, in un prestigioso strumento critico; poi collaborando con i più
attivi centri di elaborazione politica e culturale che andavano preparando il
moto risorgimentale (dall’”Indicatore livornese” di F.D. Guerrazzi alla
fiorentina “Antologia”), con saggi e interventi di accesa impostazione laica e
democratica.
Nel 1827 si era affiliato alla carboneria genovese, di cui era diventato maestro
nel 1829, imprimendo a quella "vendita" un attivismo particolare ed e-
stendendone l'attività anche al Piemonte e alla Lombardia sull'onda degli
entusiasmi sollevati dalla rivoluzione di luglio in Francia. Per questa ragione, in
seguito a una delazione, fu arrestato il 13 novembre 1830, rinchiuso nella
fortezza di Savona e poi costretto all'esilio a Marsiglia.
Con la riflessione sui falliti moti del 1831 e la conseguente critica all'esperienza
2 _________________________________
Aree _________________( Italia e Polonia)
________________________________
Aree sviluppate:
Francia costituzione regime __________
Belgio indipendenza dall’___________+
costituzione regime __________
143
settaria, Mazzini incominciò a sviluppare in modo più autonomo la sua stra-
tegia.
Di quel moto egli da subito aveva sottolineato gli elementi dell'entusiasmo,
della partecipazione del popolo e “dell’iniziativa dal basso”. Ma l’atteggiamento
"oligarchico" e individualistico dei rivoluzionari, attenti solo alle classi
superiori, non aveva saputo cogliere le potenzialità di questa forza, organizzarla
in un moto collettivo, estenderla e sostenerla. Alla carboneria, agli "uomini del
passato" che la dirigevano, imputava limiti ed errori insanabili: la dimensione
localistica e provinciale, incapace di immaginare un'azione nazionale, la
segretezza degli intenti e del programma, il carattere aristocratico e
razionalistico, privo di fede e che non infiammava gli animi.
Alle vecchie strutture settarie contrappose il modello organizzativo della
Giovine Italia, che trovava nelle nuove generazioni di studenti e intellettuali,
influenzate dallo spirito romantico e libere dalle ipoteche all'epoca precedente,
il proprio quadro militante; egli proclamava un programma di accesa
impostazione democratica e repubblicana.
L'idea mazziniana può essere considerata per molti versi la prima anticipazione
in Italia del moderno partito politico: era infatti dotata di un programma politico
chiaro o conosciuto pubblicamente (addirittura "propagandato"), incentrato su
tre obiettivi fondamentali: unità, indipendenza e repubblica. Inoltre, con-
trariamente alle localistiche sette carbonare, essa si proponeva di agire come
organizzazione nazionale, operante cioè su tutto il territorio della penisola, con
linee politiche e programmi d'azione unificati. Infine, per la prima volta, esso si
poneva seriamente il problema del rapporto tra teoria e prassi, tra principio
ideale e pratica necessaria alla sua realizzazione.
In questo senso va visto il principio mazziniano “Pensiero e azione” e cioè la
convinzione che un movimento politico rivoluzionario deve dimostrare una
consequenzialità tra pensiero e azione , ovvero un gruppo politico deve stabilire
dei principi e sulla loro base scegliere obiettivi e strategie per realizzarli.
All’interno di tali strategie aveva per Mazzini un ruolo essenziale quello della
conquista del consenso. Da questa impostazione derivava dunque un modello di
organizzazione che individuava nell'educazione, cioè nella diffusione dei propri
principi e, per usare un termine moderno, nella propaganda, un momento
essenziale della sua attività. E nell'insurrezione il mezzo risolutivo, lo sbocco
finale di essa.
Il pensiero di Mazzini si differenzia dalle precedenti esperienze anche e soprat-
tutto per l'accentuato carattere religioso della sua concezione `politica,
fortemente influenzata dalla cultura romantica e in aperta rottura con
l'utilitarismo illuminista e con il pragmatismo arido della nuova élite orleanista.
Nella fede egli coglieva la forza trascinante che sola può trasformare gli uomini,
far loro superare la dimensione individuale e stimolare quell’entusiasmo
collettivo (l'associazione e la solidarietà) necessario alla realizzazione della
"missione nazionale". Infatti, la politica deve puntare a realizzare non qualcosa
di utile per un gruppo sociale ma la missione, sia per gli individui sia soprattutto
per le nazioni, che deriva da un piano provvidenziale che regge la storia.
L’adesione a questa missione deve essere vissuta come una fede, una fede che si
è liberata completamente dal carattere trascendente proprio del cristianesimo e
che si presenta come forza morale, come principio etico che presiede allo
sviluppo storico. “La nazionalità è la parte che Dio ha attribuito a un popolo nel
lavoro umanitario. È la sua missione, il suo compito da svolgere in terra perché
il pensiero di Dio possa realizzarsi nel mondo: l'opera che gli dà diritto di
cittadinanza nell'umanità”: all'Italia, a Roma è affidata la missione più alta,
quella di unificare per la terza volta l'umanità (la prima era stata l’unificazione
politica della Roma dei Cesari, la seconda quella religiosa della Roma dei papi)
realizzando la democrazia in Europa, rimuovendo gli ultimi ostacoli dalla via
del progresso: il potere temporale del papa e l’impero austriaco, emblemi della
144
restaurazione.
Su queste basi il programma mazziniano rompeva frontalmente con le posizioni
dei moderati, i quali lavoravano per un lento processo guidato dalle classi
dirigenti: esso infatti affidava all'iniziativa rivoluzionaria del popolo la conqui-
sta tanto della libertà quanto dell'unità e dell'indipendenza della patria, da
realizzarsi attraverso l'associazione e nel quadro di un principio radicalmente
democratico che faceva dell'eguaglianza un valore irrinunciabile e della
repubblica la forma istituzionale più adeguata. Ciò sarebbe dovuto avvenire per
opera di un'iniziativa insurrezionale dal basso capace di coinvolgere tutto le
classi sociali secondo un criterio di priorità che anteponeva in ultima analisi la
rivoluzione politica (unità e indipendenza, repubblica) alla soluzione della
"questione sociale" (l’uguaglianza anche socio-economica).
Negli anni Trenta e Quaranta, tutti i tentativi insurrezionali promossi dalla
Giovine Italia fallirono miseramente: nel 1833 falli una sommossa nel Regno di
Sardegna e lo stesso risultato lo conseguì, nel 1834, una spedizione armata in
Savoia. Particolarmente drammatica fu la spedizione organizzata da Attilio ed
Emilio Bandiera in Calabria nel 1844. I due fratelli speravano di far insorgere i
contadini del Regno delle Due Sicilie, ma la popolazione del luogo li ignorò. Le
truppe borboniche, subito accorse, li catturarono dopo un breve scontro a fuoco.
I fratelli Bandiera e i loro compagni vennero catturati e giustiziati. Il popolo,
che nelle intenzioni di Mazzini sarebbe dovuto insorgere per sostenere il gruppo
di militanti promotore del moto, non mostrò alcun interesse nei confronti delle
idee di unità e indipendenza nazionali. Le sconfitte mazziniane spinsero allora
sia Mazzini, sia un altro leader democratico, Carlo Pisacane (1818-1857), ad un
ripensamento dell'intera strategia rivoluzionaria.
A giudizio di Carlo Pisacane, il completo disinteresse mostrato dalle masse
popolari nei confronti del programma mazziniano derivava dal fatto che esso
rinviava la soluzione di tutti i problemi sociali ad un secondo momento, cioè
dopo l'avvenuta unificazione nazionale. Pisacane, al contrario, assunse posizioni
coerentemente socialiste e si fece promotore di una rivoluzione sociale che, tra i
suoi obiettivi, metteva anche l'abolizione della proprietà privata. Tuttavia, anche
la spedizione promossa dallo stesso Pisacane nel 1857 si risolse in un totale
disastro: sbarcato a Sapri (in Campania) con circa trecento uomini, incontrò
dapprima l'ostilità popolare e poi la resistenza dell'esercito borbonico. Per
sfuggire alla cattura, Pisacane si uccise il 2 luglio 1857.
Gli anni trenta e quaranta furono caratterizzati, oltre che dai fallimenti dei
tentativi mazziniani, da un primo e lento avvio di progresso economico che
rendeva evidente per le forze borghesi, soprattutto lombarde, che lo avviarono
la necessità di un mercato nazionale, fattori che diedero forza al liberalismo
moderato, caratterizzato dal rifiuto della pratica rivoluzionaria e favorevole
invece a una pratica riformistica attuata dai principi. L’adesione di questi alla
causa nazionale italiana era considerata necessaria per una realistica soluzione
del problema dell'indipendenza italiana.
I mazziniani rivendicavano il carattere autonomo della rivoluzione italiana, a
essi i moderati contrapponevano il modello francese e puntavano sull'appoggio
della monarchia orleanista, alla romantica religione dell'umanità preferivano il
cattolicesimo ortodosso e alla repubblica la monarchia parlamentare. Anch'essi,
come Mazzini, affidavano alla nazione una missione storica, ma ne ricercavano
le radici nella tradizione, nella rivalutazione di un passato rivisitato con occhio
attento agli spunti di indipendenza e libertà. Fiorirono allora gli studi storici -
come quelli di Cesare Balbo — e si moltiplicarono le opere a fondo storico, dai
romanzi di d'Azeglio ai Promessi sposi di Manzoni. Il papato e il cattolicesimo
assursero a simbolo di unità spirituale e insieme di un'indiscussa supremazia
italiana in campo civile e morale. Questo punto di vista trovò la più compiuta
145
espressione nell'opera di Gioberti “Del primato morale e civile degli italiani”
(1843): vi si affermava che la rinascita italiana avrebbe potuto avvenire solo
sotto l'egida del papato e della Chiesa. A essi spettava, come compito di
giustizia, la funzione di assicurare l'indipendenza e la libertà alla nazione.
Veniva abbandonata l'idea, ritenuta utopistica, dell'unificazione italiana, e si
proponeva che il papa, grazie al suo indiscusso prestigio morale, promuovesse
una lega federale tra tutti gli stati e ne assumesse la presidenza. Tale proposta
voleva conciliare il rispetto del principio dinastico nelle diverse regioni con
l'aspirazione all'indipendenza nazionale.
Questa posizione, chiamata neoguelfismo per il primato assegnato al papato
nella politica italiana, sembrò vicina alla realizzazione nel 1846, quando salì al
soglio pontificio col nome di Pio IX il cardinale Giovanni Mastai Ferretti: Egli
concesse un'ampia amnistia- politica e si conquistò subito l'appellativo di "papa
liberale": un'ondata di entusiasmo nei suoi confronti in ampi strati dell'opinione
pubblica progressista lo spinse a moderate riforme — come l'istituzione di una
consulta di Stato aperta anche ai laici e la formazione di una guardia civica — e
creò un'aspettativa sproporzionata e destinata ben presto a essere delusa.
Ma il neoguelfismo non era l'unica anima del moderatismo italiano. Il punto di
vista del moderatismo italiano non cattolico era espresso dal libro di Cesare
Balbo “Delle speranze d'Italia”, pubblicato solo un anno dopo il Primato di
Gioberti, a parziale correzione e integrazione del programma in esso affermato.
Balbo più che individuare missioni ideali fondava la sua proposta su un’analisi
politico-diplomatica che individuava come nemico principale l'Austria e
indicava la monarchia sabauda, più che il papa, come possibile guida nel
cammino verso l'indipendenza. Balbo faceva leva sulle ambizioni
espansionistiche del Piemonte e sulla sua abile diplomazia (che avrebbe dovuto
approfittare degli spazi aperti dalla questione d'Oriente per contrattare con
l'Austria una sua espansione nei Balcani, che compensasse l'abbandono del
Lombardo-Veneto), e propugnava la costituzione di un regno dell'Alta Italia,
sotto la sovranità di Carlo Alberto. Questi avrebbe poi promosso una
confederazione italiana sotto l'egemonia sabauda.
In quegli stessi anni andò delineandosi una terza prospettiva che accomunava
quanti puntavano alla costruzione di un'Italia repubblicana ma organizzata su
base federale. Si trattava di una soluzione che si poneva in termini critici nei
confronti sia della proposta dei moderati sia di quella mazziniana e che, pur
riconoscendo, al pari di Mazzini, nell'intera comunità degli italiani il titolare
della sovranità nazionale, intendeva tuttavia garantire il rispetto delle diversità
locali.
La corrente federalista contrapponeva al nazionalismo acceso dei mazziniani un
razionalismo e un cosmopolitismo di respiro europeo; al cattolicesimo guelfo
una concezione rigorosamente laica, che riconosceva nel progresso l'unica legge
storica e che affermava una netta separazione tra Chiesa e Stato. Essa non
insisteva in modo particolare sull'idea di nazione, rifiutava il concetto
giobertiano di "missione italiana" e affidava il raggiungimento dell'indi-
pendenza non tanto alla costruzione dell'unità, quanto piuttosto alla formazione
di una confederazione (sul modello svizzero e statunitense), che rispettasse il
pluralismo delle differenti identità regionali. D'altra parte, avversava in sommo
grado l'autoritarismo, la soppressione delle libertà e la limitazione delle
autonomie, respingeva il principio monarchico e propugnava una forma di
Stato-amministrazione che rispondesse a criteri di utilità e di giustizia. Questi
due fondamenti della posizione radicale e federalista portavano coerentemente a
privilegiare il valore della libertà su quelli dell'unificazione e dell'indipendenza
e ad accentuare i contenuti democratici del programma politico. Infatti solo la
partecipazione popolare avrebbe potuto realizzare il principio dell'autonomia,
146
così come solo entità' amministrative limitate, come quelle regionali, avrebbero
potuto realizzare la vera democrazia. L'idea federalista entrava così in contrasto
con quanti proporranno un progetto. di unificazione incentrato sul ruolo
preponderante del Piemonte sabaudo.
A esprimere con più vigore questa posizione fu il milanese Carlo Cattaneo
(1801-1869). Ispirato dalla cultura illuminista e contrario a ogni deriva mistico-
religiosa, dalle pagine del prestigioso periodico "Il Politecnico", di cui fu diret-
tore dal 1839 al 1845, espose un progetto incentrato su un intreccio tra sviluppo
economico, pensiero scientifico e progresso della società. Un progetto, dunque,
in cui alla fede romantica nella missione della nazione si sostituiva la fede
positivista nel progresso e nell’utilità della scienza. Artefici di questo progetto
avrebbero dovuto essere i ceti borghesi, in grado di coniugare conoscenze
scientifiche e capacità economiche per il bene dell'intera comunità mediante
l'attuazione di efficaci riforme. Proprio per la centralità riservata alla borghesia
e per il suo gradualismo riformista, Cattaneo è stato talvolta assimilato ai
moderati. In realtà, sia le sue rivendicazioni a favore della libertà individuale e
la sua avversione nei riguardi di mire espansioniste dinastiche (prima tra tutte
quella dei Savoia) sia il fatto che ammettesse, all'occorrenza, soluzioni di
carattere radicale, risultano tali da marcare una sostanziale differenza tra la sua
visione delle cose e quella dei moderati.
Da grande estimatore qual era del sistema americano, Cattaneo
proponeva, come obiettivo finale del movimento indipendentista italiano,
un assetto istituzionale di carattere federale che riteneva congeniale alle
caratteristiche storico-politiche dela penisola. Inserite in un ordinamento
repubblicano, le autonomie locali avrebbero contribuito al progresso della
nazione senza arroccarsi su determinati interessi e particolarismi
municipalistici.
Forti riserve nei confronti delle ipotesi moderate e di quelle mazziniane furono
espresse anche da Giuseppe Ferrari (1811-1876), pure lui milanese. Emigrato a
Parigi dalla metà degli anni Trenta, dalle pagine della prestigiosa rivista "Revue
des deux mondes" avanzò a più riprese l'ipotesi di un moto di dimensioni
europee con l'avallo della Francia e il sostegno di "pubbliche manifestazioni"
delle popolazioni oppresse. Lo sviluppo di forme di democrazia popolare
avrebbe determinato, alla fine, la liberazione della penisola e segnato l'avvento
di una repubblica federale. Ferrari riservò particolare attenzione alla
componente sociale e popolare della nazione mutuando, in proposito, alcune
riflessioni dalle teorie del francese Proudhon. Anche per questo, per il suo
approccio culturale di matrice socialista, fu uno dei primi a porre in relazione il
problema nazionale italiano con la questione sociale.
147
3.3 LE RIVOLUZIONI DEL 1848 E LE NUOVE MODALITÀ DELLA VITA
POLITICA NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO
3.3.1 L’allargamento dell’area liberale e lo scontro liberali –
democratici
3.3.2 La spaccatura tra liberali e democratici
- Il 1848 in Francia: la sconfitta dei socialisti e dei
democratici radicali
3.3.3 I nuovi protagonisti e i nuovi luoghi della politica
Le rivoluzioni del 1848, a differenza dei moti precedenti, coinvolsero
l’intera Europa ad eccezione del paese più arretrato, la Russia zarista, e
di quello più avanzato, l’Inghilterra.
Oltre che più generali gli avvenimenti del 1848 ebbero una
partecipazione molto più vasta in quanto furono diretti oltre che da forze
liberali e borghesi, come i moti degli anni ’20 e ’30, anche da forze
democratiche che mobilitarono le masse popolari.
Le rivoluzioni divisero l’Europa in due aree, poiché mentre in Francia
l’obiettivo era costituito da un rafforzamento del regime liberale già
esistente, nel resto dell’Europa (Impero austriaco, Prussia e Italia) gli
obiettivi prevalenti delle forze rivoluzionarie erano costituiti
dall’ottenimento dell’unità nazionale e di una carta costituzionale che
desse vita a un regime liberale moderato.
Le rivoluzioni del 1848 finirono per delineare almeno quattro
caratteristiche del quadro entro cui si collocò la vita politica europea
nella seconda metà dell’Ottocento.
Infatti, in primo luogo, determinarono l’allargamento dell’area liberale,
in quanto entrarono a farne porte, seppure conservando molti aspetti
decisamente autoritari, la Prussia, l’Impero austro -ungarico, e il
Piemonte.
Per quanto riguarda il Piemonte lo Statuto albertino, concesso da Carlo
Alberto all’inizio delle agitazioni, fu mantenuto anche dopo la sconfitta
dell’esercito piemontese, affiancato da quello dei volontari, nella I
guerra d’indipendenza nazionale.
L’ importanza storica Statuto albertino risiede nel fatto che esso divenne, nel
1861, la Costituzione del Regno d'Italia, che l'avrebbe conservata fino al 1946.
Lo Statuto albertino, come la costituzione francese del 1814, era una
Costituzione concessa. Il principio della sovranità, dunque, continuava a
risiedere nel re (sovrano per diritto divino), non nel popolo; come Luigi XVIII
in Francia, anche Carlo Alberto — liberamente e per propria iniziativa —
decise di limitare il proprio potere, che aveva ricevuto per grazia di Dio.
Di conseguenza, nello Statuto albertino la separazione dei poteri era tutt'altro
che netta, ed il re controllava di fatto quasi ogni organo dello Stato. I giudici
(che esercitavano il potere giudiziario) erano istituiti dal re e i ministri (investiti
del potere esecutivo) dovevano rispondere delle loro azioni solo al sovrano. In
virtù del diritto di sanzione, inoltre, il re si era riservato una sorta di possibilità
di veto in campo legislativo, in quanto spettava a lui approvare in via definitiva
(oppure respingere) le nuove leggi votate dal Parlamento.
Come nel modello francese del 1814, anche lo Statuto prevedeva che il potere
legislativo fosse esercitato da due Camere, una delle quali (detta Senato) di
nomina regia. L'altro ramo del Parlamento — la Camera dei deputati — era
3 - LE RIVOLUZIONI DEL
_______________
Differenze con i moti del ____ e del _____
1 - ________________________________
2 - ________________________________
Borghesia _____________________ +
_______________ ________________
3 – diversità ______________________
LE NUOVE MODALITÀ DELLA VITA
POLITICA NELLA SECONDA METÀ
DELL’OTTOCENTO
1- prevalere area __________________
148
eletto dai sudditi, ma il suffragio previsto era rigidamente censitario, cioè
ristretto solo a coloro che possedevano un reddito molto elevato. Decisamente
moderato persino in un'ottica liberale, lo Statuto albertino non era dunque per
nulla democratico, nel senso che sia in linea teorica (la sovranità risiedeva nel
re) sia all'atto pratico (il suffragio era censitario) escludeva la partecipazione
del popolo dalla gestione del potere e dello Stato.
Infine, per contrasto rispetto al modello costituzionale americano, va ricordato
che lo Statuto albertino non era neppure una Costituzione rigida, in quanto
poteva essere modificata da una legge ordinaria approvata dal Parlamento:
nessuna legge, di fatto, avrebbe mai potuto essere considerata
anticostituzionale, il che esponeva i cittadini a possibili abusi di autorità da
parte delle Camere e del sovrano, che in parte — come si è visto — continuava
a controllare l'attività del potere legislativo.
Parallelamente all'avvento dei regimi costituzionali, che inizialmente coinvolse
anche gli altri stati italiani, andò rapidamente manifestandosi un generale moto
politico nei centri urbani grandi e piccoli, coinvolgendo ampi settori della
popolazione; esso si prefigurava l'obiettivo di porre fine alla dominazione
austriaca nella penisola e avviare il processo di unificazione del paese.
Obiettivo che non venne però raggiunto né dall’iniziativa del regno sabaudo
(sconfitto dall’esercito dell’impero austro-ungarico nella I guerra
d’indipendenza), né dai tentavi di rovesciare i vecchi regimi operari da liberali
e democratici a Firenze, Roma e Venezia.
Inoltre, nel corso degli avvenimenti del ’48 si manifestò, soprattutto in
Francia, quella spaccatura fra i movimenti politici che prima non era
emersa a causa della repressione e della presenza di un nemico comune e
che anche essa rimarrà come una costante della vita politica europea dei
decenni successivi.
In Francia le forze democratiche e socialiste promotrici dell’insurrezione
popolare scoppiata a Parigi sul finire del febbraio del ’48,che diede il
via agli avvenimenti rivoluzionari, ottennero un forte peso nel governo
provvisorio che, oltre ad indire l’Assemblea costituente da eleggersi a
suffragio universale, promosse una serie di misure a favore delle classi
lavoratrici fissando l’orario massimo giornaliero in 11 ore e, soprattutto,
promuovendo il diritto al lavoro, attraverso la creazione delle “officine
nazionali” che pensate come vere e proprie cooperative di produzione si
ridussero in realtà a impiegare i lavoratori in lavori di pubblica utilità.
I gravi problemi finanziari che le officine nazionali posero e la vittoria
dei moderati alle elezioni per l’assemblea nazionale finirono per
estromettere dal governo i democratici più radicali e i socialisti. La
I guerra ________________________
e rivoluzioni del _________in Italia
2 – spaccatura __________________
_____________________________
in ________________________
Le misura _________________________
_______________ del governo provvisorio:
- 11 ore ___________________________
- le _______________________________
vittorie dei ___________________ nelle
elezioni:
- estromissione dei ___________________
e dei socialisti
LO STATUTO _______________________
Concesso da ______________________ nel ________, esteso al Regno _____________ nel ______, rimasto valido fino al _________
Caratterizzato da:
1 – Concesso quindi _____________________________________________________________________________________________
2 – Prevalere del ________ sul ______________________. Il re: 1 - _______________________________________________________
2 - _______________________________________________________
Soprattutto a partire da Cavour prevalse un’interpretazione parlamentare dello Statuto
3 – Sistema parlamentare poco __________________. Senato nomina____________; Camera dei deputati suffragio ____________
4 – Non rigido: _________________________________________________________________________________________________
149
reazione popolare a seguito della chiusura delle officine popolari fu
duramente repressa dal governo con l’invio dell’esercito, segnando in
questo modo una decisiva svolta antidemocratica. Le elezioni
presidenziali, avvenute nel dicembre del ’48, vinte dal candidato delle
forze conservatrici, Luigi Napoleone Bonaparte, che un plebiscito
quattro anni dopo avrebbe eletto imperatore, chiuse definitivamente la
fase democratica.
Gli avvenimenti del 1848 portarono sulle scene della politica anche
quelli che ne saranno i nuovi protagonisti, ovvero la borghesia liberale e
le masse popolari organizzate dalle forze democratiche e, sempre più
nella seconda metà dell’Ottocento, socialiste.
Mentre lo scontro tra borghesia e masse popolari si sostituiva allo
scontro tra borghesia e aristocrazia che aveva caratterizzato il periodo
precedente e che spesso aveva assunto le forme dello scontro tra
parlamento e re, al parlamento, ora egemonizzato da forze liberali
moderate, quale unico luogo deputato alla politica, si aggiungevano le
piazze quali luoghi in cui si manifestava la partecipazione, o meglio la
richiesta di partecipazione delle masse popolari; si veniva delineando
così uno scontro parlamento-piazze che manifestava lo scontro
ideologico, tra liberali e democratici e socialisti, e quello sociale tra
borghesia e masse popolari.
Infine a caratterizzare la seconda metà dell’Ottocento intervennero
anche mutamenti ideologici che, come vedremo tra poco, porteranno
all’affermazione di due nuove correnti dall’alveo della democrazia
rivoluzionari, da un lato, la liberaldemocrazia, e dall’altro, il socialismo.
Nel periodo compreso tra il 1848 e l’ultimo decenni del secolo si
affermarono dunque in Europa dei regimi borghesi di ispirazione
liberale, in quanto la borghesia industriale e finanziaria aveva ormai
affiancato l’aristocrazia quale componente del blocco sociale al potere.
Tali regimi conservavano nell’Europa continentale, ovvero nella Francia
dell’impero di Napoleone III, nella Germania del cancelliere Bismark,
nell’impero austro-ungarico di Francesco Giuseppe o nell’Italia dei
governi della Destra e della Sinistra, caratteri ancora alquanto autoritari,
mentre l’Inghilterra della regina Vittoria continuava a rappresentare il
modello di Stato liberale.
- chiusura delle _____________________
e repressione delle manifestazione in loro
difesa
- elezione a presidente della Repubblica di
Luigi Napoleone (____________________)
3 – nuovi ______________________ e
e nuove modalità della vita politica
4 – i mutamenti __________________
Il nuovo blocco ___________________al
potere: ________________________ +
________________________________
LE NUOVE MODALITÀ DELLA VITA POLITICA NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO
1 - _____________________________________________________________________________________________________________
2 - ____________________________________________________________________________________________________________
3 - ____________________________________________________________________________________________________________
Prima Dopo
Scontro _____________: nobiltà / _________________________ ____________________ / __________________
Protagonisti: __________ / parlamento parlamento / ________________________
eletto a ______________________ guidate da:________________________
guidato da ______________________ _______________________________
150
4 – LE IDEOLOGIE POLITICHE NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO
4.0 L’origine delle nuove correnti politiche
4.1 La liberaldemocrazia: A. De Tocqueville
4.2 La democrazia radicale: J. Stuart Mill
4.3 Il darwinismo sociale: H. Spencer
4.4 Il socialismo
4.5 I cattolici
Nel corso della seconda metà dell’Ottocento si vennero delineando insieme al
nuovo quadro politico, costituito dallo Stato liberale sul modello inglese, anche
alcuni significativi mutamenti all’interno del quadro ideologico e delle correnti
politiche.
Lo sviluppo del pensiero politico è legato a un duplice processo di diversi-
ficazione, iniziato già negli anni trenta e quaranta dell’Ottocento, che
interessa da una parte la tradizione democratica e dall’altra la tradizione
liberale. Dalla originaria matrice democratica si viene differenziando, per
un verso, un filone socialista che si appropria della componente egualitaria
in essa presente e ne fa il centro di un’autonoma dottrina politica e, per
l'altro, un filone liberaldemocratico che, pur riconoscendosi in alcune
originarie richieste democratiche, come l’estensione del suffragio, la
repubblica o l'istruzione universale, rifiuta le venature organicistiche,
presenti nella democrazia rivoluzionaria, e innesta tali richieste su di una
concezione della libertà politica e dello Stato che è originariamente liberale.
Non tutta la tradizione liberale confluisce peraltro nel filone libe-
raldemocratico: alla fine del secolo, nella forma del darwinismo sociale, si
assiste alla rinascita di un liberalismo intransigente che esalta la
competizione sociale e contesta l’intervento filantropico e educativo dello
Stato. Nemmeno tutta la tradizione democratica si perse, in quanto rimase
viva una corrente di democratici radicali che spingeva per mutamenti più
rapidi e radicali di quelli voluti dai liberaldemocratici. Pur dimostrando una
maggiore attenzione al problema sociale, comunque, rispetto ai socialisti
essi tendevano a ritenere prioritaria la questione politica invece di quella
sociale.
Costretto a fare i conti con le sfide che provenivano dalle concezioni liberali,
democratiche e socialiste il cattolicesimo mantenne una netta chiusura verso la
modernità producendo, solo alla fine del secolo, significativi, per quanto
ambigui, aggiornamenti della propria concezione della società, elaborando in
particolare il corporativismo come alternativa tanto alle visioni socialiste della
vita collettiva quanto a quell’individualiste di derivazione liberale.
Difensori regimi assoluti
Locke
Rousseau
1800
-
1850
Liberali Democratici
1850
-
1900
__________________
Spencer
____________________ _____
__________________ _____
________________ ____________________
______________ __________________
151
Il maggior teorico europeo della democrazia liberale è costituito da Alexis de
Tocqueville (1805-59), il quale cerca di integrare i principi fondamentali del
liberalismo con la prospettiva di una partecipazione sempre più estesa
all'esercizio del potere. Egli pensa la libertà politica come assicurazione per mezzo
delle leggi di una sfera di indipendenza individuale; difende la separazione dei
poteri, la laicità dello Stato e il principio della tolleranza. Ma ritiene anche
che le masse possano e debbano essere coinvolte nella politica. Si pronuncia a
favore del suffragio universale. Indica negli Stati Uniti d'America il modello di
una democrazia in cui il popolo educa gradualmente se stesso a partecipare in
maniera responsabile alla vita politica, attraverso una fitta rete di autonomie locali,
gruppi civici e organizzazioni economiche e culturali. Tocqueville contrappone
al dispotismo socialista una democrazia fedele ai principi liberali; infatti non
ritiene che la partecipazione del popolo sia inevitabilmente destinata a
introdurre nella politica elementi di irrazionalità. Egli pensa invece che,
attraverso le opportune riforme in campo educativo, l'esercizio della ragione
possa progredire liberando gradualmente i cittadini dai vincoli dei pregiudizi e
dell'ignoranza.
Proprio perché propone una democrazia che è democrazia liberale, Tocqueville,
che pure esalta le potenzialità educative del sistema americano, non esita a
denunciarne anche i pericoli intrinseci. Sono i pericoli intrinseci a tutta la nuova
democrazia. Essa è esposta al rischio della “tirannide della maggioranza”:
l’opinione pubblica esercita una pressione dispotica sul singolo, tende ad
appiattire idee e costumi e a scoraggiare il libero pensiero. Precisamente in
virtù del fatto che abbatte le forme tradizionali di dispotismo, essa tende
inoltre a spoliticizzare gli individui. La scomparsa delle antiche gerarchie induce
gli individui a occuparsi dei loro affari privati e a delegare ad altri le loro funzioni
politiche. La democrazia è dunque un delicato equilibrio che non può essere
acquisito una volta per tutte e che è necessario sorvegliare permanentemente.
Anche John Stuart Mill (1806-73) denuncia la tendenza moderna a una crescente
burocratizzazione e le minacce di un dispotismo dell'opinione pubblica. Egli
insiste sugli aspetti mistificatori dell'idea della sovranità popolare e addita il
regime plebiscitario di Napoleone III come esempio di un sistema dove il
consenso di massa è manipolato e non implica una vera libertà politica .
Analogamente Mill polemizza contro il socialismo, perché intravede nei suoi ideali
egualitari il rischio di un’oppressione della società sull’individuo. La libertà
politica infatti, secondo Mill, è misurata dalla possibilità di dissenso
individuale: non solo e non tanto dalla centralità del principio di maggioranza,
quanto piuttosto dalla garanzia dei diritti delle minoranze. Il pluralismo è una
sua condizione essenziale.
Mill d’altra parte non argomenta il principio della libertà politica sulla base di
un ragionamento di tipo giusnaturalistico (in base cioè a un supposto diritto
naturale): egli ritiene che l'idea di diritti presociali inalienabili sia solo una
finzione teorica. La giustificazione di Mill è piuttosto di tipo utilitaristico. Per
Mill la libertà politica dovrebbe essere preferita perché essa è più del
dispotismo idonea a favorire il benessere generale: in primo luogo, perché
educa gli individui, sviluppa le loro capacità e li rende più forti e coraggiosi; in
secondo luogo, perché consente di sperimentare diverse possibili soluzioni per
i problemi sociali e dunque accresce la razionalità delle scelte politiche; e, in
terzo luogo, perché il sentimento di libertà, a parità di altre condizioni, rende gli
uomini più felici.
Mill si pronuncia a favore dell'istruzione universale e dell'estensione del
suffragio. Sostiene l’opportunità di mettere alla prova le ipotesi socialiste su
152
piccola scala, in forme cooperative, e di praticare politiche di redistribuzione
del reddito, al fine di diffondere in tutti gli strati della società quella possibilità
di libera espressione della personalità che la sperequazione delle ricchezze
finora ha limitato ai ceti più abbienti. E, ancora più significativamente, si batte
contro la soggezione delle donne al dominio maschile e alla famiglia patriarcale.
Mill rifiuta l’idea che tale soggezione discenda da una inferiorità naturale
della donna: essa discende invece per lui da una storia di continui soprusi, che ha
convertito la debolezza fisica in servitù e ha creato artificialmente una natura
femminile tutta finalizzata alle esigenze degli uomini.
Accanto al liberalismo democratico, nella seconda metà del secolo, si afferma
tuttavia anche un liberalismo intransigentemente antistatalista, propugnatore di
una visione competitiva della società. Sulla formazione di tale filone liberale
esercitano un influsso decisivo le idee di Darwin e soprattutto il cosiddetto
darwinismo sociale, cioè la proposta di estendere la portata delle idee darwi-
niane dal campo dei rapporti tra le specie biologiche al campo dei rapporti tra gli
individui e i gruppi umani. Così come Darwin ha mostrato che la lotta per
l'esistenza e la selezione naturale costituiscono il motore dell’evoluzione delle
specie viventi, il darwinismo sociale suggerisce l’ipotesi che il progresso della
civiltà umana sia legato alla competizione tra individuo e individuo, e tra
comunità e comunità; competizione che porta all’eliminazione delle forme
sociali meno perfette e al prevalere delle più perfette.
Herbert Spencer (1820-1903), un positivista inglese, rappresenta il maggiore
esempio di queste posizioni. Per Spencer l’evoluzione segue leggi naturali non solo
per le specie ma anche nel campo delle società umane, leggi che comportano il
passaggio ad uno Stato di maggior complessità. Così le società tendono a
passare dal tipo militare, fondato sulla cooperazione coatta, sulla soggezione
degli individui alla collettività e sul primato dei guerrieri, al tipo industriale
fondato sulla cooperazione volontaria, sulla libera concorrenza degli
individui e sul primato dei produttori. Via via che si afferma la società
industriale si affievolisce l’esigenza di un controllo politico. Lo Stato dovrebbe
intervenire il meno possibile limitandosi a garantire la leale competizione fra
individui: infatti, per Spencer, ogni intervento filantropico premia, con grave danno
del meccanismo evolutivo, gli elementi meno idonei, impedendo il prevalere dei
più adatti. Forma estrema di insensato interventismo statale è il socialismo che
rappresenta una regressione dalla società industriale alla società militare. Per Spencer, il
principio della selezione naturale vale nei rapporti tra gli individui così come nei
rapporti tra le comunità. Infatti nei loro conflitti anche le società più evolute
prevalgono inevitabilmente su quelle meno evolute. Non è un caso perciò, e ha
una precisa giustificazione nello sviluppo complessivo della civiltà, se una
società evoluta come quella inglese ha potuto creare un vasto impero coloniali
sottomettendo le società più primitive con cui è entrata in contatto.
La disuguaglianza sociale che Locke aveva giustificato con l’introduzione della
moneta diventava per i nuovi liberali di destra un fattore naturale, indipendente
dalla volontà umana. Infatti, Locke ipotizza che l’uguaglianza naturale tra gli
uomini sia stata superata nel momento in cui questi ultimi hanno accettato,
convenzionalmente, l’uso della moneta. La sua introduzione ha, infatti,
consentito di superare i limiti naturali che erano posti all’accumulazione di beni,
costituiti dal non potersi impadronire di una quantità di beni eccedenti la
capacità di usarli, in quanto sarebbero deperiti, e dal non sottrarre agli altri i beni
necessari. Agli occhi di Locke, che in questo modo sembra ignorare l’esistenza
del secondo limite che pure considera naturale, l’introduzione della moneta, che
supera il limite imposto dalla possibilità di deteriorarsi dei beni, appare
sufficiente per giustificare il superamento dell’uguaglianza naturale.
Il darwinismo sociale sembra dunque accentuare gli aspetti conservatori presenti
153
nelle teorie liberali finendo per considerare un dato naturale, e quindi in quanto
tale non da giustificare, la disuguaglianza sociale che Locke, quasi due secoli
prima, tentava invece, pur con qualche problema, di giustificare.
4.4 Il socialismo
4.4.0 La storia della protesta sociale e del movimento operaio
4.4.1
4.4.2 L’anarchia: Bakunin
- La libertà come dimensione umana compiuta
- Le fonti dell’alienazione umana
4.4.3 La prima Internazionale
- Il sostegno alle lotte operaie
- Le spaccature ideologiche
Prima di esaminare l’ultima ideologia politica ottocentesca, il socialismo,
daremo un breve sguardo alla storia del movimento operaio.
Nelle società preindustriale dell’ancien régime la protesta sociale ha come suoi
protagonisti i contadini, in quanto gruppo sociale più consistente dei non
abbienti, e si esprime in scoppi di rivolte episodiche determinate dall’improvviso
aggravarsi delle condizioni di vita, dovuto a carestie prolungate, richieste di
nuovi tributi, ecc... Essa è quindi la manifestazione spontanea del disagio sociale
caratterizzata dalla breve durata e dalla violenza. Infatti, le rivolte sociali in
genere si esaurivano nell’assalto ai simboli del potere (palazzo comunale,
palazzi dei ricchi, conventi) nel tentativo di sfogare la rabbia e di impossessarsi
dei viveri contenuti nei magazzini dei ricchi. La rivolta aveva termine sia per
l’incapacità delle masse di organizzarsi di fronte alle prime reazioni dei ceti
dominanti e dello Stato, sia perché non si ponevano il problema di mettere in
discussioni i rapporti sociali per dar vita a un nuovo modello di società, non
avendo quindi una vera e propria valenza politica. In effetti, le uniche richieste
elaborate dalle masse non andavano al di là delle motivazioni elementari dettate
dalla pura sopravvivenza (più pane) e le uniche proposte di una società diversa
LA GIUSTIFICAZIONE DELLA DISEGUAGLIANZA
LOCKE
______________________ naturale degli uomini diritto ad appropriarsi dei beni con due limiti
1 - __________________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________
2 - __________________________________________________________________________________
introduzione moneta : possibilità di _____________________________________________________________
superamento _____________________________________(Locke ignora _______________________)
DARWINISMO SOCIALE
_____________________ naturale degli uomini: evoluzione ________________________________________________
(lotta per la sopravvivenza + _____________________)
154
12 Vedi Storia XIV-XVI secoli, pag. 213-14.
elaborate, ad esempio dagli intellettuali riformisti più radicali (vedi T.
Müntzer12), non andavano al di là del richiamo alla fratellanza evangelica.
Infine, le rivolte dei ceti subalterni nelle società europee preindustriali erano
caratterizzate dal localismo delle loro manifestazioni che non riuscivano a
coordinarsi quando scoppiavano in diverse località.
La storia del movimento operaio europeo costituisce il superamento di questi
limiti delle rivolte sociali dell’ancien régime, avendo dato vita a forme
organizzative in grado di superare la protesta episodica, spontanea, violenta,
localista e priva di un vero progetto politico che era tipica delle lotte sociali
prima della rivoluzione industriale.
La prima manifestazione delle lotte sociali all’interno delle fabbriche si ebbe, in
Inghilterra sul finire del Settecento, con il Luddismo che mantenne, comunque,
tutte le caratteristiche di cui abbiamo parlato. Questo movimento prese il nome
dal leggendario tessitore Ned Ludd che nel 1779 avrebbe distrutto un telaio. I
luddisti contrastavano il diffondersi della prima meccanizzazione (come la
navetta volante) adottando come principale, anche se non unica, forma di
lotta la distruzione delle macchine, nel cui impiego veniva individuata la
causa fondamentale della disoccupazione e dei bassi salari. In questa
spontanea ed elementare protesta trovavano espressione soprattutto il
rifiuto del nuovo ordinamento della produzione e delle condizioni di vita
che a questo accompagnavano, ma anche la reazione alla politica
governativa improntata alla repressione di ogni fermento e di ogni spinta
associativa dei ceti subalterni. La durissima legislazione penale inglese, non
solo contro i distruttori di macchine ma contro qualsiasi forma di
organizzazione, di sciopero e di rivendicazioni salariali (che era stata definita
a più riprese dal 1725 in poi), venne ulteriormente inasprita nel 1812 con
l'introduzione della pena di morte contro i luddisti. Le agitazioni luddiste, che raggiunsero l'apice nel 1811-12, lasciarono il posto
alle prime forme di organizzazione come le società di mutuo soccorso che,
ricollegandosi alla tradizione delle corporazioni artigiane di origine medioevale,
si dedicavano più alla cooperazione e al mutuo soccorso fra i soci
(organizzavano spacci alimentari a basso costo, collette per membri infortunati,
malati, ecc...) che non alle lotte rivendicative. Spesso queste forme di solidarietà
erano promosse dagli stessi industriali che vedevano in esse un modo per
controllare le masse operaie, o da intellettuali democratici (ad esempio in Italia i
LE CARATTERISTICHE ______________________________________________
1- _________________________________________________________________________________________________________
2 - _________________________________________________________________________________________________________
a - _________________________________________
b - _________________________________________
3 - _________________________________________________________________________________________________________
4 - _________________________________________________________________________________________________________
a - __________________________________________________________________________________________
b - __________________________________________________________________________________________
5 - _________________________________________________________________________________________________________
155
mazziniani) che pensavano ad esse come un primo strumento per educare il
popolo.
Accanto alle società di mutuo soccorso apparvero ben presto le prime leghe di
categoria e le prime organizzazioni sindacali che fecero delle rivendicazioni
economiche, e comunque migliorative delle condizioni di lavoro e di vita degli
operai, l’aspetto prioritario della loro attività. Negli anni '20 gli operai inglesi,
guidati per lo più da leader democratico-radicali, avevano cominciato a sperimentare
forme di agitazione pacifica (manifestazioni, comizi, scioperi) in cui le
rivendicazioni economiche si mescolavano a quelle politiche; e avevano lottato per
ottenere l'abrogazione di quelle leggi che - in Gran Bretagna come in altri paesi -
dichiaravano illegali le associazioni fra i prestatori d'opera e proibivano il ricorso allo
sciopero. Da queste lotte - in parte coronate da successo grazie legge del 1824 che
legalizzava le associazioni operaie - nacquero le prime Trade Unions, nucleo
originario di un movimento sindacale destinato a grandi sviluppi.
Nei paesi dell’Europa continentale, il processo di formazione del proletariato
di fabbrica e di crescita delle organizzazioni operaie fu naturalmente molto più
lento. In Francia e in Germania, attorno alla metà del secolo, gli occupati
dell’industria erano circa un quarto della popolazione (per di più molti occupati in
attività ancora di tipo artigianale), mentre già raggiungevano il 50% in Gran
Bretagna.
Alla fine degli anni ’30 risalgono le prime rivendicazioni di tipo politico con
l’esperienza del cartismo che vide le Trade Unions e gli intellettuali democratici
radicali richiedere l’adozione del suffragio universale, visto come il mezzo più
idoneo per far valere gli interessi dei lavoratori nel parlamento e nel governo. La
sconfitta del movimento cartista convinse i leader dei sindacati inglesi ad
abbandonare il terreno delle agitazioni politiche per concentrarsi su quello delle
rivendicazioni economiche.
Nelle esperienze continentali, partite in ritardo come si è detto, ha inizio dalla fine
degli anni ’40 una nuova fase della storia del movimento operaio, che giunse a
elaborare una propria autonoma strategia politica in cui si esprimeva un progetto
di società alternativo a quello capitalistico-borghese. Gli avvenimenti del ’48
LE TAPPE DELL’EVOLUZIONE DEL ____________________________________________
1 - _____________________________________________
__________________________________________________________________________________________________
[come nell’ancien régime]
2 - ______________________________________________
___________________________________________________________________________________________________
[ viene superato ______] (in riferimento allo schema precedente)
3 - _________________________________________________ [ viene superato ________]
______________________________________________________________________________________________________
4 - _________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
5 - _________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
[ viene superato ______]
156
13Fino alla Rivoluzione russa del 1917 i termini comunismo e socialismo non saranno quasi mai contrapposti, e non
saranno impiegati per indicare posizioni politiche sostanzialmente distinte. Il termine socialismo sarà comunque il più
diffuso. In ragione di tale circostanza faremo un uso estensivo dì questo termine per designare l'intera area del nuovo
egualitarismo
furono decisivi in questo senso: avevano infatti dimostrarono come i governi
liberali si rifiutassero di affrontare la questione sociale e come i democratici, che
fino ad allora avevano guidato il movimento operaio, privilegiassero quella
politica. Ciò era stato reso evidente dal fatto che il governo rivoluzionario, sorto
anche grazie al contributo dei lavoratori parigini, represse con violenza
l’insurrezione in difesa del diritto al lavoro e delle “officine nazionali”. Si vide in
quella occasione, secondo le parole di Marx, come il proletariato rappresentasse
una forza sociale alternativa.
Dopo il ’48 a guidare il movimento operaio furono soprattutto intellettuali di
ispirazione socialista che elaborarono i modelli di società e le strategie politiche
che si contesero la guida delle organizzazioni operaie.
Il socialismo13, nelle sue molte varianti e diramazioni concettuali di cui il
marxismo e il pensiero anarchico sono la massima espressione ottocentesca, è
una derivazione radicale dell'egualitarismo presente nella tradizione della
democrazia rivoluzionaria e rappresenta il filone centrale di ciò che, a partire
dall'Ottocento, sarà chiamato sinistra politica. Quest'area del pensiero politico
ottocentesco è accomunata dall'idea che una distribuzione ineguale del potere e
della ricchezza all'interno della società sia di per sé una forma di ingiustizia e
che questa ingiustizia possa e debba-essere eliminata.
Una tale idea non è ovvia. Per secoli il pensiero conservatore ha sostenuto che le
disuguaglianze sociali sono un male inevitabile derivante dalla natura delle cose
umane, oppure un male contingente, ma da accettare con umiltà quale punizione
divina per il peccato, o, addirittura, che sono un bene, in quanto strumento
essenziale per consentire una maggiore efficienza del meccanismo sociale.
Anche il pensiero liberale ha in generale riconosciuto la legittimità delle
differenze sociali accogliendo gli argomenti della tradizione conservatrice,
oppure, con Locke, sostenendo che le differenze sociali in gran parte derivano
dal lavoro individuale e non sono perciò ingiuste. Contro questi assunti l'utopia
della società egualitaria era fiorita soprattutto nelle correnti radicali del pensiero
religioso medievale e moderno. L’egualitarismo contemporaneo nasce con
Rousseau e dalla tradizione della democrazia rivoluzionaria. Infatti, è all'interno
di questo filone che esso trova una nuova base teorica, specificatamente laica,
nell'idea del nuovo contratto sociale, creatore di una comunità sovrana,
collettivamente responsabile della distribuzione di ogni ruolo e di ogni
distinzione tra gli uomini. A chi proviene da questa matrice teorica la
disuguaglianza non apparirà più né invitabile né giustificabile sulla base delle
condizioni individuali prepolitiche.
Ci sono almeno due idee che sembrano accomunare tutto il pensiero di sinistra
ottocentesco. Tutti i più importanti pensatori egualitari ottocenteschi vedono la
battaglia contro l'ingiustizia sociale come costruzione di un nuovo modello di
società; essi condividono dunque l'idea che la società possa essere progettata e
riprogettata, e che abbia senso il concetto di un assetto sociale globalmente
Le idee comuni:
1 - ____________________________________________________________________________________________________________
2 - ____________________________________________________________________________________________________________
3 - _____________________________________________________________________________________________________________
157
14 Per Marx vedi Filosofia Contemporanea, pag. 143-76
.
Consigli di un artista ai suoi figliuoli.
Ovvero dei diritti, dei doveri e delle
convenienze sociali” scritto dal
saviglianese Pietro Casimiro Gandi e
stampato nel 1877.
Il libro contiene alcuni capitoli (“Degli
scioperi”, “Del socialismo e del
comunismo” e ”Dell’Internazionale”) in
cui il benestante saviglianese esprime i
suoi giudizi sulle nuove ideologie e sugli
strumenti di lotta del movimento operaio
i cui primi echi stavano giungendo anche
da noi.
Sotto è riportato una parte del capitolo
relativo agli scioperi
diverso dall'attuale. L'ipotesi di un socialismo che non si proponga di creare un
nuovo modello di società, bensì di migliorare la società esistente, sarà quasi solo
del Novecento. Inoltre il nuovo assetto sociale, per tutti i pensatori dell’area
socialista, si fonderà sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
Marx14 è sicuramente il teorico del movimento operaio più rappresentativo, in
quanto le sue idee sono state la base delle maggiori organizzazioni politico-
sindacali che lo stesso movimento si è dato, grazie anche all’ampiezza delle sue
analisi: Marx ha infatti elaborato sia una teoria sociale, sia una teoria economica.
Esamineremo tali teorie nel corso di filosofia pertanto ci limiteremo qui a
presentare il pensiero anarchico.
L’anarchia è stata, nella seconda metà dell’Ottocento, l’altra componente
ideologica che, con il marxismo, ha caratterizzato il movimento operaio. Il
termine nella seconda metà del secolo indicava la posizione che estende la
richiesta egualitaria fino a rifiutare ogni gerarchia sociale e politica, considera
158
legittime solo le scelte collettive che vengano concordemente accettate da tutti i membri
della comunità, e dunque condanna lo Stato e in generale qualsiasi forma di autorità.
Il russo M. A. Bakunin (1814-1876) è stato, con il francese P. J. Proudhon (1809-
1865), il maggior esponente del movimento anarchico. Bakunin fu più che un
pensatore sistematico un attivista, un divulgatore e un organizzatore; il suo pensiero è
affidato a una raccolta di saggi “Stato e anarchia” pubblicato nel 1873.
Al centro del pensiero di Bakunin vi è l’idea di libertà intesa come la prerogativa
fondamentale dell’uomo. Libertà che non viene identificata nel godimento dei diritti
formali dei liberali, né nella libertà politica dei democratici, in quanto è intesa come la
possibilità di raggiungere una dimensione umana compiuta che coincida con la piena
autonomia, la piena padronanza di sè e la capacità di organizzare il proprio destino
insieme agli altri. La libertà del singolo, infatti, deve essere intesa come assoluta e
illimitabile, tuttavia la libertà non è pensabile come condizione esclusivamente
individuale, in quanto l’individuo in quanto tale può essere libero solo quando tutti gli
individui sono liberi, dal momento che le esistenze individuali sono indissolubilmente
legate tra loro.
Per raggiungere la libertà così intesa occorre eliminare le principali fonti
dell’alienazione umana costituite in primo luogo dalla religione e dallo Stato. Dio e la
religione sono viste, sulle orme di Feuerbach, come fonti di alienazione in quanto
ammettere un creatore equivale ad ammettere una volontà a cui l’individuo deve per
forza obbedire e sottomettersi. Il primo atto di liberazione è dunque l’ateismo’ perché
“finché avremo un padrone in cielo saremo schiavi in terra”.
Lo Stato è, agli occhi di Bakunin, in ogni sua forma uno strumento di oppressione,
negazione della libertà e della responsabilità dell’individuo. Lo Stato rappresenta il
maggior ostacolo in vista del raggiungimento della felicità individuale, perché con la
forza obbliga l’individuo ad accettare le altre fonti dell’alienazione umana, le norme
sociali e le disuguaglianze, originate dalla proprietà privata dei mezzi di produzione,
utilizzando a tale scopo la religione. Lo Stato rappresenta, insieme alla religione, lo
strumento di cui si servivano le classi dominanti per mantenere la maggioranza
della popolazione in condizioni di inferiorità economica e intellettuale. Abbattuto il
potere statale, il sistema di sfruttamento economico basato sulla proprietà
privata sarebbe inevitabilmente caduto. Il comunismo si sarebbe instaurato
spontaneamente come l'ordine più consono alle esigenze naturali delle masse, senza
che allo Stato dovesse sostituirsi nessuna organizzazione di tipo centralizzato e
coercitivo. Conseguentemente Bakunin pensava che la rivoluzione delle masse
oppresse avrebbe dovuto comportare, come suo obiettivo primario, non l’abbattimento
delle attuali forme dello Stato ma all’eliminazione di qualsiasi forma di Stato.
È evidente quanto queste concezioni fossero distanti da quelle di Marx. Anche Marx
vedeva nella religione e nello Stato degli strumenti al servizio delle classi dominanti;
ma collocava l'uno e l'altra nella sfera della sovrastruttura, li considerava cioè come il
prodotto della struttura economica basata sullo sfruttamento: solo la distruzione di
quella struttura - ossia del sistema capitalistico - avrebbe reso possibile la distruzione
dello Stato borghese. Anche per Marx l'avvento del comunismo avrebbe portato con
sé l’«estinzione dello Stato»; ma questo stadio finale sarebbe stato raggiunto solo dopo
una fase transitoria, quella della «dittatura del proletariato», necessaria per
neutralizzare la reazione delle classi dominanti. Per Bakunin, uno Stato proletario
non era meno oppressivo dello Stato borghese, al servizio dei capitalisti, in quanto
si sarebbe inevitabilmente tradotto nel dispotismo di una nuova classe, la
burocrazia del partito; pertanto, il concetto marxista di dittatura del proletariato, che
Marx aveva abbozzato nel Manifesto (e che avrebbe trovato in Russia, dopo il 1917
e nella particolare versione leninista-stalinista, la sua attuazione pratica), fu oggetto di
radicale avversione da parte di Bakunin e di tutti i militanti anarchici dopo di lui.
La società sognata da Bakunin, dunque, si caratterizzava in primo luogo per
1'anarchia (= assenza di comando), cioè sarebbe dovuta essere priva di Stato. Gli
uomini, subito dopo essersi ribellati ai tiranni con un gesto di radicale rottura
159
rivoluzionaria, si sarebbero radunati in unità, in comunità di modesta entità, in
cui il potere coercitivo dell’autorità sarebbe Stato minimo, e quindi incapace di
opprimere di nuovo l’individuo.
Altre fondamentali divergenze tra Marx e Bakunin riguardano i soggetti
promotori e i tempi e le modalità del passaggio alla nuova società portatrice di
felicità a tutto il genere umano. Marx, infatti, era convinto che il ruolo principale
nel processo rivoluzionario spettasse al proletariato industriale, mentre
Bakunin riteneva che gli operai, in virtù della loro capacità organizzativa,
sarebbero riusciti con il tempo ad ottenere buoni salari e condizioni dignitose: i
lavoratori dell'industria, a quel punto, avrebbero perduto ogni volontà di riscatto
e si sarebbero adattati a convivere con il capitalismo e con il potere statale.
Quindi, per Bakunin, gli unici elementi veramente rivoluzionari erano i contadini più
miserabili (che Marx considerava ottusi, ignoranti, troppo facilmente manipolabili
dal potere), il sottoproletariato e tutti gli individui più disperati marginali, non
esclusi i delinquenti comuni. Inoltre, Marx insisteva, che la rivoluzione proletaria
avrebbe avuto possibilità di successo solo quando il capitalismo fosse giunto al
limite della propria espansione, al punto di crollare sotto il peso
insopportabile delle sue interne contraddizioni, e, pur non credendo nella
possibilità di trasformare il sistema borghese dall'interno, riteneva utile che la classe
operaia cominciasse a combattere le sue battaglie già dentro il sistema. Bakunin era
decisamente contrario a ogni prospettiva del genere: per lui l’unica forma di lotta
era, oltre alla ribellione individuale alle convenzioni sociali e alla religione, la
rivolta armata che avrebbe risvegliato la volontà delle masse di abbattere il sistema.
La convinzione che il comunismo si sarebbe spontaneamente imposto si fonda, in
Bakunin, sulla convinzione che l’uomo è naturalmente socievole e che lo Stato e
la sua inevitabile violenza non servano a tenere uniti la società ma solo ad
opprimere gli individui, a sottometterli a vantaggio di qualcuno. L’equilibrio tra
impulsi egoistici e altruistici non richiede alcuna coercizione esterna ma può
essere raggiunta attraverso la solidarietà, sentimento che spinge alla libera
coesione sociale.
Con l’abbattimento del regime oppressivo esistente, gli individui vivranno in una
dimensione comunitaria che pone come unico vincolo alla libertà individuale i
vincoli sociali di solidarietà. Ma, perché la libertà dell’individuo possa conciliarsi
con il massimo di solidarietà, occorre che ognuno possa collaborare
all’elaborazione delle leggi e alla gestione politica della comunità in modo che la
dimensione sociale costituisca una parte essenziale del suo essere uomo.
L’abbattimento dello Stato, oltre alla partecipazione diretta degli individui alla
gestione della comunità, comporta anche l’abbattimento della terza fonte di
alienazione umana: la proprietà privata che è la diretta responsabile della
disuguaglianza sociale e della miseria delle masse.
La proprietà privata dei mezzi di produzione, e quindi le attuali industrie, saranno
sostituite da associazioni spontanee di produttori in quanto il lavoro diventerà un
bisogno naturale, un modo di esprimersi dell’individualità.
Mentre la tradizione marxista propende per una gestione centralizzata
dell’economia, almeno nel periodo di transizione al comunismo maturo,
Bakunin, e con lui l’intera tradizione anarchica, propende per un’organizzazione
dal basso delle attività economiche, incentrate su piccole unità produttive che
agiscono autonomamente coinvolgendo nella produzione e nella gestione tutti i
loro membri. Secondo Bakunin tali associazioni di produttori si uniranno ad altre
associazioni, dando vita a confederazioni sempre più grandi sino ad estendersi
all’intera Europa, dapprima, e, in seguito, a tutto il mondo.
L’ultima fonte di alienazione dell’uomo è costituta dalle convenzioni sociali, in
particolare dalla morale. Esse rappresentano un impedimento alla felicità
individuale ponendo dei limiti alle possibilità dell’individuo di vivere una vita
emotiva ed affettiva piena, regolando in maniera repressiva le relazioni tra
individui. In particolare Bakunin evidenzia i limiti all’espressione degli affetti e
160
della sessualità, costretti entro il limitato e soffocante ambito della famiglia.
Il contrasto tra marxisti e anarchici esplose all’inizio degli anni settanta
all’interno dell’Associazione Internazionale operaia (detta in seguito Prima
Internazionale) fondata a Londra nel 1864, in margine alla prima esposizione
internazionale, da un gruppo di rivoluzionari e operai inglesi, francesi, tedeschi e
italiani (esponenti della democratica corrente mazziniana).
L'Associazione, almeno nei primi anni, si caratterizzò proprio per il fatto di non
essere omogenea dal punto di vista ideologico: al suo interno operavano figure
molto differenti tra loro, che partivano da presupposti filosofici molto distanti,
e trovarono solo nell'azione concreta un significativo punto d'incontro; i primi
Congressi dell'Internazionale non registrarono così clamorose fratture o scontri
frontali impossibili da ricucire. Negli anni 1867-1869, la preoccupazione
principale dell'Associazione fu quella di sostenere gli scioperi in cui, di volta
involta, gruppi di operai delle diverse nazionalità erano impegnati. Per manifestare
la solidarietà dei lavoratori di tutti i paesi, l'Associazione faceva arrivare denaro e
sussidi agli scioperanti, in modo da rendere loro possibile proseguire l'agitazione il
più a lungo possibile. Verso la fine degli anni Sessanta queste azioni di protesta
sostenute dall'Internazionale divennero le più temute sia dai singoli capitalisti sia
dallo Stato che intervenne con raddoppiato vigore: nel giugno e nell'ottobre del
1869, ad esempio, per far terminare lo sciopero dei minatori belgi e francesi, l'eser-
cito sparò sui dimostranti, provocando numerosi morti. A partire dagli anni settanta
LE FONTI DELL’ALIENAZIONE UMANA
DIFFERENZE MARX - BAKUNIN
161
Da “Consigli di un artista ai suoi figliuoli. Ovvero dei diritti, dei doveri e delle convenienze
sociali” di P. C. Gandi, parte del capitolo sull’Internazionale
a avvennero le prime spaccature ideologiche tra le diverse componenti della Prima
Internazionale. Mazzini nel 1871 pubblicò diversi articoli molto severi nei confronti di
Marx, di Bakunin e della loro Internazionale, a cui inizialmente avevano preso parte
anche dei suoi rappresentanti. Innanzitutto Mazzini respingeva nettamente l'ateismo,
poiché riteneva che l'eliminazione di Dio avrebbe comportato la soppressione di ogni
moralità e di ogni forma di convivenza umana. Inoltre, mentre difendeva
apertamente il diritto di proprietà, Mazzini accusò marxisti e anarchici di voler
frantumare con la lotta di classe la nazione, considerata d'istituzione divina. Furono
comunque i contrasti tra Marx e Bakunin a determinare la spaccatura
dell'Internazionale in due filoni, uno marxista e uno anarchico. Trasferitosi negli
Stati Uniti, il Consiglio Generale dell'Internazionale (interamente controllato dai
seguaci di Marx) decise di sciogliere l'associazione il 15 luglio 1876. Marx,
in realtà, considerava l’Internazionale uno strumento ormai inefficace e
puntava, invece, sullo sviluppo nei vari Stati di forti partiti socialisti
nazionali che fossero in grado di inquadrare la maggioranza della classe
operaia dei vari paesi.
L'Internazionale degli anarchici sopravvisse a quella marxista per un altro
anno, ma poi essa stessa si sciolse, nel settembre 1877. Dopo il fallimento
della Prima Internazionale (1864-1877), l'anarchismo non si sarebbe più ripreso;
anche quando singoli militanti anarchici, verso la fine dell'Ottocento,
riuscirono a portare a termine diversi clamorosi attentati terroristici, e al limite ad
uccidere alcuni sovrani e capi di Stato, con lo scopo di spingere le masse alla
rivolta, queste non si mossero. Di fatto, il movimento fondato da Bakunin rimase
vitale solo in Spagna e in parte in Italia: negli altri paesi, soprattutto quelli più
industrializzati, l’anarchismo scivolò lentamente verso la marginalità. La sconfitta
delle tesi anarchiche fu determinata anche dai cambiamenti avvenuti all’interno
della classe operaia. Infatti, al momento della nascita della Prima Internazionale
erano ancora prevalenti gli operai dei mestieri tradizionali (edilizia,
abbigliamento, mobili), più legati alla dimensione artigianale, in cui era
concepibile l’interesse per le cooperative di produzione, mentre a partire dagli
anni settanta affluirono nella classe operaia operai siderurgici, meccanici e
chimici, la cui mentalità non era più legata all’esperienza artigianale cooperativa.
162
Socialisti e anarchici non furono i soli a protestare contro le ingiustizie della società
borghese e a denunciare i guasti, veri o presunti, del capitalismo industriale. Infatti
anche il mondo cattolico assunse, sia pure da posizioni opposte, un atteggiamento,
forse ancora più che di critica, di netta chiusura nei confronti di una civiltà che si
basava su presupposti laici e individualistici e che tendeva a relegare la religione
nell'ambito delle superstizioni e delle credenze popolari. La Chiesa si opponeva in
questo modo al processo di secolarizzazione che tendeva a ridurre il suo ruolo
nella vita dell’individuo sottraendole una serie di funzioni, quali l’educazione o
l’assistenza che tradizionalmente essa svolgeva, per affidarle allo Stato.
Capofila di questa crociata ideologica fu Pio IX che si preoccupò soprattutto di
riaffermare la più rigida ortodossia dottrinale e di incoraggiare le tradizionali
pratiche di devozione, soprattutto quelle relative al culto mariano. Nel 1854 fu
proclamato il dogma dell'Immacolata Concezione (con cui si stabiliva che la
Vergine era stata concepita libera dal peccato originale). Dal 1858, la cittadina
francese di Lourdes, luogo di una miracolosa apparizione della Madonna, divenne
meta di ininterrotti pellegrinaggi; si incoraggiavano in questo modo nuovi culti,
destinati a affiancarsi o a sostituire, per chi aveva dovuto abbandonare le comunità
d’origine per inurbarsi, i culti mariani locali. Nel Concilio Vaticano I, conclusosi
nell'estate del 1870, Pio IX fece proclamare il dogma dell'infallibilità del papa nelle
sue pronunce ufficiali in materia di fede e di morale; una decisione che rafforzava
l'autorità del pontefice nei confronti dell'episcopato e che anche per questo non
piacque ai governi degli Stati cattolici, accentuando così l'isolamento della
Santa Sede. Quando, nel settembre 1870, le truppe italiane entreranno in
Roma, nessuno dei governi europei si muoverà per salvare i potere temporale del
papa.
Lo scontro fra la Chiesa cattolica e la cultura laica e borghese ebbe il suo culmine nel
1864 quando Pio IX emanò l'enciclica Quanta cura, nella quale accomunava in
una condanna senza appello il liberalismo, la democrazia, il socialismo e l 'intera
civiltà moderna. Per dare maggior forza alla condanna, il papa fece pubblicare,
assieme all'enciclica, una sorta di elenco - o Sillabo - degli errori del secolo: dalla
sovranità popolare alla laicità dello Stato, alla libertà di stampa e di opinione.
Mentre i vertici vaticani si impegnavano in una battaglia puramente negativa contro
la civiltà del tempo, continuavano a manifestarsi nel mondo cattolico tendenze che
cercavano di adeguare la presenza della Chiesa alle trasformazioni della società.
La condanna intransigente della civiltà borghese, se schiacciava e riduceva al
silenzio le correnti cattolico-liberali, lasciava in compenso un certo spazio ai
movimenti cristiano-sociali che si svilupparono in questo periodo in Belgio, in
Francia, in Austria e soprattutto in Germania. Qui il tradizionale appello al
senso di responsabilità delle classi più elevata si accompagnava alla richiesta
di un intervento dello Stato, sotto forma di leggi e iniziative assistenziali a
favore dei lavoratori, e auspicava lo sviluppo della cooperazione e del mutuo-
soccorso fra i lavoratori stessi. Su questa base si realizzarono, soprattutto nei
paesi dell'Europa centrale, i primi esperimenti di moderno associazionismo
cattolico, fondato sulle unioni di mestiere, sulle cooperative, sulle casse rurali e
artigiane, creando in questo modo una rete organizzativa che avrebbe, in
seguito, permesso ai movimenti cattolici di contare su una propria base
organizzata, non solo fra i ceti rurali ma anche fra i lavoratori urbani (soprattutto
artigiani), e di contendere il passo ai socialisti sul terreno degli organismi di massa.
163
5 - L'EVOLUZIONE DELLA VITA POLITICA NELLA SECONDA METÀ
DELL’OTTOCENTO
5.5.1 Il processo di unificazione nazionale in Italia e Germania: analogie
e differenze
5.5.2 L’unificazione italiana
5.5.3 Lo Stato liberale: il modello inglese
5.5.4 Lo Stato italiano nella seconda metà dell’Ottocento
5.5.1 Il processo di unificazione nazionale in Italia e Germania: analogie e
differenze
A caratterizzare il decennio compreso fra il 1861 e il 1871 vi fu il fatto
che vennero portati a termine due importanti processi di unificazione
nazionali quali quello tedesco e quello italiano.
Due nazionalità da secoli divise acquistarono per la prima volta una struttura sta-
tale unitaria, modificando profondamente la carta politica d'Europa e i rapporti
di forza fra le potenze.
I due processi in alcuni momenti si intrecciarono in quanto la terza guerra
d’indipendenza italiana, che coincise con la prima fase dell’unificazione tedesca,
vide i due stati alleati contro l’impero austriaco e la presa di Roma avvenne dopo
la sconfitta, ad opera dell’esercito tedesco, della Francia di Napoleone III che si
era sempre opposto sia per motivi di politica interna, in quanto questo gli
garantiva l’appoggio della chiesa francese molto influente soprattutto nelle
campagne, sia di prestigio internazionale.
La Francia, che era stata fin allora la maggiore potenza continentale, comunque
svolse un ruolo decisivo in entrambi i processi: come alleata nel caso italiano
(intervenne direttamente nella II guerra d’indipendenza e diede il suo consenso alla
conquista del Mezzogiorno), come avversaria in quello tedesco.
Fra le due esperienze vi sono altri punti in comune. In Italia, con lo Stato sabaudo,
come in Germania, con la Prussia, il conseguimento dell'unità fu reso possibile
dall'esistenza di uno Stato più forte degli altri economicamente e militarmente,
capace di fungere da guida e da nucleo centrale della nuova compagine statale.. Sia
in Italia sia in Germania, un potente stimolo all’unificazione politica venne dalle
esigenze di una borghesia in crescita, desiderosa di creare o di estendere quel
mercato nazionale che era considerato una premessa indispensabile allo sviluppo
economico. Inoltre nell’uno e nell'altro caso fu determinante il ruolo svolto da
uomini politici di eccezionale levatura - Bismarck in Prussia, Cavour in Piemonte -
che si trovarono a reggere il potere negli Stati leader.
Ma le analogie si fermano qui. In Italia i ceti borghesi, per quanto numericamente
deboli ed economicamente meno vitali che in Germania, furono, col sostegno di
ampi strati popolari urbani, gli indiscussi protagonisti della rivoluzione nazionale.
In Germania, la borghesia dovette subire l'iniziativa politica dei rappresentanti
dell’aristocrazia terriera e della casta militare. In Germania l’unità fu fatta
discendere dall’alto, senza alcuna concessione ai principi di sovranità popolare e
alle ideologie liberai-democratiche. In Italia lo Stato nazionale, consacrato dai
plebisciti, nacque dalla combinazione di un’iniziativa dall’alto (la politica di
Cavour e della monarchia piemontese, determinanti per la II e la III guerra
d’indipendenza) e di un’iniziativa dal basso(le insurrezioni nell'Italia centrale e la
spedizione garibaldina, determinanti per la riunificazione del Mezzogiorno ).
Nell’incontro fra la componente democratica e quella moderata e dinastica,
quest’ultima risultò comunque nettamente vincente, tant’è che alcuni storici hanno
164
visto nel Risorgimento una “rivoluzione tradita”, poiché i democratici non seppero
sfruttare la mobilitazione popolare, particolarmente evidente nel caso della spedizione
dei Mille, per imporre nuovi equilibri politici. Il Risorgimento si trasformò così in
una conquista regia con la semplice estensione delle strutture dello Stato piemontese,
ispirate a un liberalismo alquanto moderato, al nuovo territorio nazionale.
L’impossibilità per la popolazione di far sentire la propria voce all’interno delle
strutture statali si espresse allora in una rivolta, il cosiddetto brigantaggio, che se non
arrivò ad avere contenuti politici impedì per alcuni anni al nuovo Stato di esercitare
un effettivo controllo su buona parte del Sud.
5.5.2 L’unificazione italiana
Cavour: il progetto di modernizzazione di un liberale moderato
La Seconda guerra d’indipendenza
La spedizione dei Mille
Nel corso degli anni cinquanta il Regno di Sardegna riuscì ad affrontare alcuni
importanti problemi.
Innanzitutto il re, Vittorio Emanuele II, si rassegnò a scegliere come,
Presidente del Consiglio l'esponente più prestigioso della maggioranza
parlamentare uscita dalle elezioni, accettando quindi un’interpretazione
parlamentare dello Statuto albertino.
Questo consentì a Camillo Benso, conte di Cavour (1810 - 1861), di rivestire
l’incarico di Primo ministro dal 1852 sino alla sua morte.
Cavour può essere definito un liberale moderato; il suo modello politico di
riferimento fu, sempre, la monarchia costituzionale inglese, che garantiva i
diritti dei cittadini, ma anche l'ordine sociale. Egli, pertanto, non solo fu
sempre decisamente ostile nei confronti dei repubblicani, ma si oppose anche
con determinazione all'allargamento del suffragio, che a suo giudizio doveva
restare censitario. Il suo ideale politico, insomma, era una specie di giusto
mezzo fra l'immobilismo dei conservatori e la rivoluzione dei democratici,
nella convinzione che proprio le riforme, graduali ma incisive, fossero in grado
di evitare le crisi e, quindi, i tumulti insurrezionali.
Nella sua azione di presidente del Consiglio Cavour procedette all'attuazione
del suo progetto modernizzatore. Innanzi tutto ricordiamo che Cavour, nel
L’UNIFICAZIONE ITALIANA
CAVOUR: IL PROGETTO DI MODERNIZZAZIONE
DI UN LIBERALE MODERATO
L’interpretazione ___________________
dello Statuto albertino
Cavour un ________________________
il modello _________________________
riforme __________________ necessarie
per evitare _______________________
Processo di unificazione in Germania e in Italia
Analogie:
1- ruolo della Francia:_________________________________________________________________
2- presenza di uno Stato _______________________________________________________________
3- esigenza della borghesia di ___________________________________________________________
4- presenza di leader politici forti: ________________________________________________________
Differenze:
1- ceti borghesi: _______________________________________________________________________
2- tipo di iniziativa:_____________________________________________________________________
165
15 Nel 1830, dopo una lotta durata otto anni, la Grecia riuscì a rendersi indipendente dal dominio turco; era il primo segnale
della grave crisi che avrebbe caratterizzato per tutto l'Ottocento, fino alla prima guerra mondiale, l'Impero ottomano, ormai
incapace di competere, sul piano tecnologico e militare, con le grandi potenze europee.
La Russia, che voleva aprire gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli al libero passaggio della propria flotta da guerra, fu il
primo Stato deciso ad approfittare de debolezza turca. Nel 1853 lo zar aprì le ostilità, Francia e Inghilterra intervennero a
fianco dell'Impero ottomano e inviarono un esercito a sostegno del sultano; la guerra si svolse, negli anni 1853-1856, nella
penisola della Crimea, all'estremità meridionale della Russia. Sul piano militare gli alleati anglo-francesi riuscirono a
sconfiggere i russi in campo aperto, obbligandoli a rinchiudersi nella piazzaforte di Sebastopoli.
L'assedio della fortezza durò fino al settembre 1855, e la sua evacuazione pose poi fine al conflitto. Le perdite, complessiva-
mente, toccarono la quota di 250 000 morti. Numerosi soldati, tuttavia, non morirono in battaglia, ma per colpa del colera,
una nuovi malattia di origine asiatica che si era manifestata per la prima volta a Calcutta, in India, nel 1817, e aveva rag-
giunto l'Impero turco nel 1828-29.
campo del commercio con l'estero, adottò una linea liberista; in pratica, egli si
propose di sviluppare la produzione dei prodotti agricoli piemontesi, destinati
all'esportazione in Inghilterra, in cambio di manufatti industriali britannici. Nel
frattempo, Cavour si preoccupò di potenziare le linee del telegrafo e,
soprattutto, di migliorare le comunicazioni. Negli anni Cinquanta, in Piemonte
furono costruiti 400 chilometri di strade e centinaia di chilometri di strade
ferrate: nel 1859, il Regno di Sardegna, da solo, possedeva una rete ferroviaria
di 914 chilometri, mentre tutti gli altri stati italiani, nel loro complesso, ne
avevano 986.
La costruzione di questa vasta e moderna rete ferroviaria fu quasi interamente a
carico dello Stato. L'adozione del libero scambio, dunque, secondo Cavour
poteva essere compatibile con una forte presenza dello Stato nella vita
economica, almeno in quei settori (come la costruzione delle ferrovie) che
necessitavano di ingenti investimenti di capitali, non disponibili da parte dei
privati cittadini. Una simile strategia, per altro, comportò un aumento della
tassazione e la rinuncia alla parità del bilancio, ovvero un pesante
indebitamento dello Stato, che non riusciva, con le sole imposte, a coprire le
enormi spese richieste dalla modernizzazione del paese. In effetti, il reddito
dello Stato aumentò da 91 a 164 milioni di lire fra il 1850 e il 1859, ma il
debito pubblico, da 120 milioni di lire nel 1847, toccò la quota di 725 milioni
nel medesimo 1859.
In linea con il suo progetto politico moderato, anche per quel che riguarda il
problema dell’unificazione nazionale l’azione di Cavour era volta ad evitare un
coinvolgimento diretto delle masse, preferendo ai moti e alle rivoluzioni
l’iniziativa dall’alto (dello stesso Stato piemontese) e gli accordi internazionali.
Nel 1854, il Regno di Sardegna decise di intervenire, nella guerra di Crimea a
fianco degli inglesi e dei francesi, che nell'assedio di Sebastopoli stavano
affrontando una prova militare durissima15. La partecipazione al conflitto
permise a Cavour di essere presente al Congresso di Parigi che, nel 1856,
definì i termini del trattato di pace con la Russia.
Nelle intenzioni del primo ministro piemontese, dunque, il conflitto doveva
essere, per il Regno di Sardegna, l'occasione per entrare in contatto con le
grandi potenze europee. La guerra del 1848-1849, in effetti, aveva mostrato
che, da solo, il Piemonte non era in grado di sconfiggere l'esercito austriaco,
ma che era necessario il sostegno di qualche altra potenza europea, interessata
a modificare l'assetto politico italiano. Cavour identificò tale forza nella
Francia di Napoleone III, che aspirava a far entrare l'Italia nella propria orbita.
L'imperatore e il primo ministro piemontese, il 21 luglio 1858, si incontrarono
a Plombières e concordarono che, in caso di aggressione austriaca al Regno di
Sardegna, la Francia sarebbe intervenuta in sua difesa. Dopo la vittoria, il
Piemonte avrebbe ottenuto l'annessione del Lombardo-Veneto, ma in cambio
avrebbe ceduto alla Francia la città di Nizza e la regione della Savoia. Gli stati
dell'Italia centrale sarebbero stati accorpati e assegnati ad un principe francese,
mentre il Regno delle Due Sicilie sarebbe rimasto sotto i Borboni. Il papa
avrebbe perso parte dello Stato della Chiesa, ma sarebbe diventato il presidente
Le iniziative di Cavour
1 - la politica economica: ______________
il miglioramento delle ________________:
telegrafo, ________________ e ferrovie
Libero scambio + intervento ___________
aumento _____________________
no ________________________________
2 - L’unificazione ___________________
No ____________________________
Si iniziativa _____________________
La guerra di ________________________
per ottenere _______________________
----------------------------
gli accordi di _____________________
166
di una Confederazione composta dai regni dell'Alta Italia, dell'Italia Centrale e
dell'Italia meridionale.
Dal momento in cui ebbe la certezza dell'appoggio francese, Cavour intraprese
i preparativi della guerra contro l'Austria. In effetti, secondo lo statista
piemontese, dopo i moti del 1848-1849 la situazione italiana esigeva una rapida
e radicale trasformazione, pena l'esplosione di nuovi disordini di matrice
democratica e repubblicana.
Secondo Cavour, insomma, i tempi per l'espulsione dell'Austria dall'Italia
erano senza dubbio maturi: ogni iniziativa, tuttavia, secondo lui doveva essere
condotta senza insurrezioni e senza mobilitazione popolare, sotto la guida della
monarchia
sabauda e all'insegna dell'ordine, non del caos rivoluzionario. Cavour inoltre, a
differenza di Mazzini, non riteneva possibile il raggiungimento dell'unità
nazionale in tempi brevi. Nelle sue intenzioni, tutto doveva svolgersi in modo
graduale e, soprattutto, con il consenso delle grandi potenze.
Nel 1859, Cavour si sentì pronto per sfidare l'Austria e incaricò Giuseppe
Garibaldi (un comandante militare di idee democratiche, che già si era distinto
nella difesa della Repubblica romana, nel 1849) di organizzare un corpo di
volontari. Si trattava, chiaramente, di una provocazione nei confronti
dell'Austria, che, in effetti, il 29 aprile del 1859, dichiarò guerra al Regno di
Sardegna. Mantenendo fede agli accordi di Plombières, Napoleone III
intervenne in Italia, e gli eserciti franco-piemontese e austriaco si scontrarono
in alcune violente e sanguinose battaglie (Palestro, Magenta, Solferino e San
Martino).
Nei mesi di aprile-maggio 1859, mentre l'esercito austriaco era costretto ad
abbandonare la Lombardia, in Emilia-Romagna e in Toscana si verificarono
delle insurrezioni popolari, che rovesciarono le autorità tradizionali e
instaurarono dei governi provvisori, che scelsero immediatamente di
sottomettersi all'autorità di Vittorio Emanuele II.
Napoleone III si rese conto che ogni speranza di sostituire la Francia all'Au-
stria, per il controllo di un'Italia debole e frammentata, stava svanendo.
Pertanto, senza consultare Cavour, si affrettò a stipulare con l'Austria
l'armistizio di Villafranca (11luglio 1859), che prevedeva il passaggio della
Lombardia al Regno di Sardegna, ma lasciava il Veneto sotto dominazione
austriaca. Il 1° aprile 1860, il Piemonte e la Francia trovarono un accordo: in
cambio di Nizza e della Savoia, Napoleone III acconsentì al fatto che il Regno
di Sardegna annettesse la Toscana, l'Emilia e la Romagna.
A quel punto, la situazione italiana sembrava bloccata, nel senso che, per via
diplomatica o militare, non pareva possibile modificare ulteriormente l'assetto
della penisola in direzione dell'unità
Malgrado ciò, la situazione subì in tempi brevi una rapida accelerazione: il 4
aprile 1860, infatti, esplose un'insurrezione popolare a Palermo. Deciso a
sfruttare l'occasione, Garibaldi incominciò allora ad organizzare una spedizione
militare, finalizzata a portare la rivoluzione nel Regno delle Due Sicilie.
Ufficialmente, il governo del Regno di Sardegna non era coinvolto nell'impresa
eppure, Garibaldi poté apertamente radunare uomini e mezzi a Genova, senza
incontrare alcun ostacolo da parte delle autorità piemontese.
La spedizione di Garibaldi era molto diversa da tutte quelle che, negli anni
precedenti, erano state organizzate da Mazzini e da altri democratici.
Soprattutto, era diversa l'entità delle forze coinvolte: mentre i tentativi
mazziniani erano stati condotti da gruppi ristretti di militanti, Garibaldi poté
raccogliere circa 1100 volontari, cioè organizzare un vero piccolo esercito.
Infine, va poi segnalato un altro fondamentale elemento di diversità: i
mazziniani degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta avevano tentato di
suscitare l'insurrezione del popolo, ma poi avevano finito con il trovarsi isolati,
in quanto il popolo stesso non reagiva ai loro appelli rivoluzionari Garibaldi,
Differenze tra Cavour (liberale moderato)
e ________________ (democratico):
1 – mobilitazione popolare (___________)
iniziativa _____________ Cavour)
2 – in tempi ______________ (Mazzini)
__________________________________
LA II GUERRA DI ______________________
I preparativi _________________________
L’intervento di _____________________
Le insurrezioni popolari in _____________
_______________________________
L’armistizio di ______________________
tra _______________________________
l’accordo tra Piemonte e Francia: ________
_____________ in cambio dell’annessione
di ________________________________
LA SPEDIZIONE _____________________
l’insurrezione popolare di ______________
(4 aprile ________)
____________________ prepara la
___________________________
Diversità spedizione di _____________
e azioni mazziniane:
1 – tolleranza ________________________
2 – entità dei partecipanti
167
invece, andava a sostenere e rafforzare una rivolta già esplosa, cioè era sicuro
del sostegno popolare. I Mille di Garibaldi partirono da Quarto (vicino a
Genova) la notte del 5 maggio1860; approdati in Sicilia, riuscirono a
sconfiggere l'esercito borbonico a Calatafimi il 16 maggio e ad entrare a
Palermo il 27 del medesimo mese. Durante l'estate, Garibaldi si trovò a
fronteggiare un problema imprevisto: i contadini della cittadina di Bronte, nella
Sicilia orientale, uccisero alcuni proprietari terrieri e procedettero alla
spartizione delle terre.
Garibaldi, consapevole del fatto che solo l'appoggio della borghesia siciliana
(e, più in generale, meridionale) poteva garantire successo alla sua impresa di
unire il Sud Italia al regno di Vittorio Emanuele II (comprendente ormai tutta
l'Italia settentrionale, ad eccezione del Veneto), ordinò l'immediata repressione
3 – insurrezione popolare già ___________
La partenza da ________________
(5 maggio 1860)
La vittoria di _______________________
e l’entrata a ______________________
(27 _____________)
.
del moto contadino di Bronte. La città venne riportata all'ordine in modo
spietato dal suo luogotenente, Nino Bixio.
Pacificata la Sicilia, Garibaldi sbarcò sul continente e, senza difficoltà, il 7
settembre entrò a Napoli; la prossima meta, nelle intenzioni del generale,
sarebbe dovuta essere Roma, a costo di scatenare la dura reazione della Fran-
cia, che difendeva il papa dal 1849.
Da parte sua, di fronte a quanto stava accadendo nelle regioni meridionali
Cavour modificò la sua strategia politica: nel timore di vedersi scavalcato
dall'iniziativa dei democratici e ormai convinto dell'irreversibilità del processo
unitario, decise di estendere la presenza piemontese anche nel Meridione,
procedendo all'invasione dello Stato della Chiesa dopo aver avuto il nulla osta
da Napoleone III. Le truppe piemontesi occuparono le Marche e l'Umbria e, il
18 settembre 1860, dopo aver sconfitto a Castelfidardo le forze papaline,
giunsero al confine con il regno delle Due Sicilie, evitando però di passare per
il Lazio, che Napoleone III aveva chiesto di lasciare al pontefice. Cavour
ordinò di marciare verso Napoli, pronto addirittura a uno scontro con i
democratici e con lo stesso Garibaldi che sembra avesse intenzione di
La repressione della ________________
di Bronte e _______________________
___________________________________
L’entrata a ______________________
(___________________________)
L’iniziativa di ______________________
l’occupazione delle __________________
e _____________________________
la vittoria di Castelfidardo sul ___________
la vittoria del ______________________
168
procedere fino a Roma. Ma questi, dopo aver definitivamente sconfitto i
borbonici nella battaglia del Volturno (2 ottobre), decise di lasciare la scena:
non si ebbe perciò alcun confronto militare, ma anzi un accordo per il
passaggio delle operazioni nelle mani del governo piemontese. Ciò venne
sancito il 26 ottobre nell'incontro passato alla storia come "incontro di Teano",
nei pressi di Caserta. Garibaldi cedette il controllo sulle terre conquistate a
Vittorio Emanuele II, che riconobbe come re d'Italia.
Nel frattempo si erano già svolti nuovi plebisciti per l'annessione del regno
delle Due Sicilie (21 ottobre 1860), sancita quasi all'unanimità dei votanti.
Dopo che altre consultazioni avevano avuto luogo per Marche e Umbria (4
novembre), il 7 novembre 1860 il sovrano piemontese fece il suo ingresso a
Napoli come re del nuovo Stato unitario.
Nel gennaio-febbraio 1861 si tennero le prime elezioni politiche dell'Italia uni-
ta; la legge elettorale piemontese a suffragio ristretto fu estesa a tutti i territori
annessi. Potevano votare i cittadini maschi che avessero almeno 25 anni di età,
sapessero leggere e scrivere e pagassero almeno 40 lire di tasse annue. Lo
sbarramento censitario non riguardava alcune categorie di cittadini qualora
avessero capacità sufficienti a esercitare consapevolmente il diritto di voto,
indipendentemente dal livello di reddito (per esempio i laureati). Ma si trattava
di percentuali minime e nel complesso l'elettorato non superava l'1,9% della
popolazione.
Il 17 marzo 1861 si inaugurò il primo Parlamento nazionale. In questa circo-
stanza fu approvata la legge che proclamava Vittorio Emanuele II re d'Italia
«per grazia di Dio e per volontà della Nazione»; si trattava, in effetti, di una
strana formula, in quanto mescolava la tradizionale concezione discendente del
potere con la moderna idea della sovranità popolare. Torino fu la prima
capitale del nuovo regno che comprendeva l'intera Penisola, ad eccezione del
Veneto e del Lazio, rispettivamente sotto dominio dell'Austria e del papa.
Il processo di unificazione nazionale dell'Italia fu senza dubbio un importante
evento politico, accompagnato — nelle classi colte — da un serrato dibattito
ideale e politico. Il contributo popolare, in varie circostanze, fu indiscutibile e
determinante, al punto che si può senza dubbio parlare (per gli anni 1848-1861)
di sinergia tra iniziativa rivoluzionaria e attività diplomatica e militare del
Regno di Sardegna. Ciò nonostante, per i ceti più umili (e, soprattutto, per i
contadini, specialmente nel Meridione) il Risorgimento (cioè quell'insieme di
avvenimenti politici e militari che condussero l'Italia alla conquista
dell'indipendenza e alla sua unificazione) non significò praticamente nulla, cioè
non cambiò in nessuna maniera le loro dure condizioni di vita e di lavoro.
Soprattutto, poi, restò completamente immutata la ripartizione complessiva
della ricchezza, dal momento che il potere era tenuto saldamente da individui
preoccupati di difendere a qualunque costo l'ordine sociale e convinti che ogni
rivendicazione proveniente dai ceti subalterni fosse un attentato al diritto di
proprietà.
Inoltre, il nuovo Stato unitario, per quanto fosse retto da una monarchia
costituzionale, non era assolutamente democratico, in quanto lo Statuto
albertino prevedeva che l'elezione della Camera avvenisse a suffragio cen-
sitario.
Garibaldi contro _____________________
(2 ottobre ______)
L’incontro di _________________
(26 ottobre _______)
I plebisciti per _______________________
Vittorio Emanuele II a _______________
(7 _______________________)
L’estensione della legge elettorale del
Piemonte a ________________________
e le prime _______________
il 17 marzo 1861: la proclamazione del
__________________________________
Il compimento del processo di unificazione
nazionale frutto dell’_________________
del regno di _________________ e _____
___________________________
ma
il nuovo Stato rimase rigidamente _______
e poco __________________________
169
16 Il sistema elettorale rappresenta uno degli aspetti qualificanti di un sistema politico in quanto dà la misura della
partecipazione politica dei cittadini.
Un qualsiasi sistema elettorale è giudicabile in base a parametri quali: la percentuale di aventi diritto al voto, il rapporto eletti
- popolazione, ovvero il numero di cittadini rappresentati da un eletto, il tipo si sistema elettorale, proporzionale o
maggioritario. Nel sistema proporzionale ciascun gruppo politico ha un numero di rappresentanti in base alla percentuale di
voti, mentre nel sistema maggioritario chi ottiene la maggioranza di voti viene premiato con un numero maggiore di seggi.
Con il sistema proporzionale si assiste in genere al proliferare dei partiti, ottenendo un parlamento rappresentativo dei
molteplici interessi e punti di vista presenti nel paese, ma anche un governo che si deve reggere su un difficile accordo tra
molti partiti, finendo per enfatizzare il peso dei partiti minori sul cui appoggio diventa indispensabile. Con il sistema
maggioritario si ottiene, invece, un governo più stabile ma un parlamento meno rappresentativo e in generale minori garanzie
per le minoranze. Inoltre un sistema elettorale può essere uninominale o a liste. Un sistema uninominale (il più tipico
nell’Ottocento) prevede la scelta tra persone diverse, mentre in un sistema a liste la scelta è prevalentemente tra movimenti
politici diversi. Inoltre nel sistema a liste l’elettore può o non può avere la possibilità di esprimere delle preferenze. Nel caso
di un sistema elettorale a liste i partiti tendono a svolgere un ruolo maggiore, rafforzato nel caso in cui l’elettore non possa
esprimere una preferenza tra coloro che sono in lista.
5.5.3 Lo Stato liberale: il modello inglese
Come più volte accennato l’Inghilterra ha rappresentato, per tutto
l’Ottocento, il modello di Stato liberale fungendo da riferimento per
l’evoluzione politica del continente.
Oltre che dal punto di vista politico la Gran Bretagna rappresentava il più
progredito dei paesi europei anche dal punto di vista economico, in quanto era
il più industrializzato, Londra era la capitale commerciale e finanziaria del
mondo e, inoltre, gli inglesi possedevano l’impero coloniale più vasto.
La qualità media della vita era più alta rispetto agli altri paesi: gli abitanti
avevano più risorse alimentari a disposizione e il livello di analfabetismo era
più basso.
A caratterizzare l’evoluzione politica inglese fu innanzitutto un rafforzamento
del regime liberali che si realizzò in primo luogo attraverso una serie di riforme
del sistema elettorale16.
In effetti il nodo principale da sciogliere era quello dell’allargamento del
diritto di voto, allora limitato a una ristretta minoranza della popolazione
(poco più del 3%). Un problema a sé era poi costituito dalle circoscrizioni
elettorali disegnate secondo i criteri di un secolo prima, quando il paese
non era stato ancora investito dalla rivoluzione industriale e dai conseguenti
fenomeni di urbanizzazione. Accadeva così che le circoscrizioni urbane
(contee) fossero gravemente sacrificate nella distribuzione dei seggi a
vantaggio di quelle rurali, mentre vi erano collegi rurali ormai abbandonati in
cui bastavano poche decine di elettori per mandare in Parlamento un
deputato: con evidente vantaggio per l'aristocrazia terriera, visto che l'eletto
era quasi sempre il signore del luogo. La legge, approvata dal Parlamento nel
1832, allargava il corpo elettorale di o1tre i1 50% e, cosa ancora più importante
ridisegnava le circoscrizioni, aumentando il numero di quelle urbane a scapito
di quelle rurali. Il sistema restava censitario, ma era pur sempre il più avanzato
dell’Europa di allora.
L’allargamento del suffragio politico non valse, però, a far tacere la protesta
dell'opposizione democratica, che faceva capo agli intellettuali radicali e agli
operai organizzati nelle Trade Unions (il sindacato inglese). Dalle Trade
Unions partì l'iniziativa di una grande agitazione popolare per imporre alla
classe dirigente l'adozione del suffragio universale, visto come il mezzo più
LO STATO LIBERALE: IL MODELLO
INGLESE
170
17 Per valutare il ruolo del parlamento occorre far riferimento a criteri quali la rappresentatività (che dipende dal sistema
elettorale) e le funzioni che esso esercita. Funzione che è innanzitutto quella legislativo, la quale può essere esercitato in
modo più o meno esteso a seconda delle modalità di funzionamento del parlamento stesso. Di particolare importanza è il
problema dell’iniziativa legislativa (di chi è il compito di presentare le leggi da discutere) che può essere del parlamento
stesso o di altre istituzioni, quali il re o il governo. Un altro potere che può essere esercitato dal parlamento è il controllo
degli altri poteri, quali il potere esecutivo (governo) o giudiziario.
idoneo per far valere gli interessi dei lavoratori nella Camera e nel governo.
Nel 1838 fu elaborato un documento in sei punti, la Carta del popolo, che
chiedeva, fra l'altro, il suffragio universale maschile, la garanzia della
segretezza del voto e una nuova riforma dei collegi elettorali. Il movimento
cartista , così chiamato appunto dalla Carta del popolo del '38, rimase attivo
anche negli anni successivi, dando vita a una lunga serie di manifestazioni,
comizi e scioperi. Ma non riuscì a ottenere nessuno dei suoi obiettivi, dopo un
decennio di lotte, finì con l'esaurirsi, anche perché i leader delle Trade Unions
abbandonarono progressivamente il terreno delle agitazioni politiche per
concentrarsi su quello delle rivendicazioni economiche.
L’allargamento della base elettorale proseguì con due nuove riforme (anni ’60
e ’80), fino ad ammettere al voto i lavoratori urbani a reddito più elevato,
ovvero gli operai qualificati, e la piccola borghesia.
A rafforzare il regime liberale concorse anche l’azione di consolidamento del
sistema parlamentare17 che nella situazione inglese aveva almeno due limiti:
non controllava il governo che era subordinato più alla fiducia del re che a
quella del parlamento. Inoltre a limitare i poteri del parlamento elettivo
concorreva anche la presenza della Camera dei Lord, a cui si accedeva per
nomina regia o per diritto di nascita. Tra questi poteri vi era quello di
respingere i bilanci, controllando in questo modo l’azione del governo.
Mentre quest’ultimo limite non venne superato, in quanto i privilegi della
Camera dei Lord vennero intaccati solo all’inizio del ‘900, già nel corso
dell’Ottocento il parlamento assunse sempre di più le funzioni di controllo sul
governo tendendo a lasciare al re un ruolo puramente simbolico.
A caratterizzare l’evoluzione dello Stato inglese, insieme al rafforzamento del
regime liberale, vi fu l’adozione delle prime forme di politica sociale. Già nella
prima metà dell’Ottocento lo Stato liberale inglese si fece promotore di una
politica di riforme sociali volta ad allentare la tensione derivata dalle
condizioni di estremo disagio delle classi più povere. Una politica che era tesa
a rafforzare il sistema, evitando i motivi più evidenti di contrasto sociale.
Tra le riforme più significative vi furono, negli anni ’20 il riconoscimento del
diritto dei lavoratori di associarsi in sindacati, negli anni ’30 l’imposizione
delle 10 ore lavorative massime per i giovani sotto 18 anni, e di 8 per i ragazzi
sotto i 12, nel 1875 venne riconosciuto e legalizzato lo sciopero, e nel 1880
resa obbligatoria l’istruzione elementare.
Anche per ciò che riguarda la politica economica le linee seguite dallo Stato
inglese vennero riprese dagli altri stati europei, almeno sino agli anni ottanta
Tale politica economica era per l’Inghilterra ispirata ai principi del liberismo
che sostenevano la limitazione dell’attività statale all’eliminazione di ciò che
poteva costituire un impedimento per l’iniziativa privata, nella convinzione che
le leggi del mercato avrebbero provveduto da sole a far coincidere l’interesse
privato con l’utile sociale.
Questa politica del “laissez faire” si espresse nell’ambito doganale in una
posizione antiprotezionista che sosteneva la necessità diminuire, o meglio
abolire i dazi, al fine di favorire la circolazione delle merci, presupposto
indispensabile per un’economia di mercato.
171
In Inghilterra negli anni quaranta venne perciò abolito il dazio sul grano in
entrata, riforma significativa in quanto adottata dopo un duro scontro con
l’aristocrazia terriera, che temeva un crollo del prezzo del grano. Tale
provvedimento, da un lato, chiamava in causa i bisogni delle classi popolari,
poiché il dazio protettivo manteneva elevato il prezzo dei cereali a esclusivo
vantaggio dei produttori e a scapito dei consumatori; dall'altro esprimeva gli
interessi della borghesia industriale, desiderosa di veder rimossi tutti gli
ostacoli che impedivano l’affermazione dei suoi prodotti sui mercati
stranieri. Il dazio sul grano in entrata era uno di questi ostacoli, in quanto
provocava per ritorsione l'imposizione da parte dei paesi esportatori di cereali
di analoghe tariffe sui prodotti industriali inglesi. Inoltre una diminuzione del
prezzo del pane consentiva una diminuzione dei salari, o almeno un
impedimento alla loro crescita, dal momento che i salari tendevano a
coincidere con il minimo indispensabile per la sopravvivenza fisica dei
lavoratori e dei loro figli.
5.5.4 Lo Stato italiano nella seconda metà dell’Ottocento
Anche in Italia sotto i governi della Destra storica (1861-1876) e della Sinistra
storica (1876-1887) venne costituendosi, dopo il raggiungimento dell’unità,
uno Stato di stampo liberale.
Il nuovo Stato, nato con la proclamazione del Regno d’Italia avvenuta il 17
marzo 1861, fece sue le istituzioni dello Stato piemontese, ispirate sin dagli
anni cinquanta, per opera di Cavour, ad un liberalismo moderato. Si trattava di
uno Stato costituzionale che riservava ampi poteri, soprattutto attraverso il
controllo del governo, al re. Nella pratica, però, come era già avvenuto con
l’avvento al potere di Cavour, morto all’indomani della proclamazione del
Regno d’Italia, si affermò un’interpretazione parlamentare dello Statuto
albertino che, andando oltre la lettera del testo costituzionale, faceva dipendere
la vita del governo non solo dalla fiducia del sovrano, ma anche e soprattutto
dal sostegno di una maggioranza parlamentare.
Per quanto riguarda il sistema elettorale esso era fortemente censitario, in
quanto la legge elettorale piemontese, estesa a tutto il regno, concedeva il
diritto di voto solo a quei cittadini maschi che avessero compiuti i venticinque
anni, sapessero leggere e scrivere e pagassero almeno 40 lire di tasse, ovvero
meno del 2% della popolazione totale e del 7% dei maschi adulti. Grazie
all’esiguo numero di votanti e al vigente sistema del collegio uninominale (il
LO STATO ITALIANO NELLA
SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO
Linee di tendenza sviluppo stato inglese:
1- Rafforzamento dello stato liberale
a - _____________________________ allargamento base elettorale
b – consolidamento sistema parlamentare___________________________________________________
2 - _____________________________________
anni ’20:_________________________________ anni ’30:_________________________________
anni ’70:_________________________________ anni ’80:__________________________________
3 - Adozione di una politica economica _________
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sistema in cui le circoscrizioni elettorali sono di piccole dimensioni e designano
ciascuna un solo deputato), bastavano poche centinaia o addirittura poche
decine di voti per mandare un uomo in Parlamento. Risultava così esasperato il
carattere oligarchico e personalistico della vita politica. Nell'assenza di partiti or-
ganizzati nel senso moderno del termine, la lotta politica si imperniava su singole
personalità più che su programmi definiti; era dominata da pochi notabili in
grado di sfruttare la propria influenza e le proprie relazioni per ottenere i
suffragi necessari all'elezione; ed era pesantemente condizionata dalle ingerenze
del potere esecutivo, cui non era difficile favorire la riuscita dei candidati
«governativi».
Una nuova legge elettorale venne introdotta solo nel 1882, sotto il governo
delle sinistre. Essa introduceva come requisito fondamentale l'istruzione,
concedendo il diritto di voto a tutti i cittadini che avessero compiuto il
ventunesimo anno d'età e avessero superato l'esame finale del corso elementare
obbligatorio, o dimostrassero comunque di saper leggere e scrivere. A causa
dell'alto tasso di analfabetismo, la consistenza numerica dell'elettorato restava
sempre piuttosto esigua: il 7% della popolazione, circa un quarto dei
maschi maggiorenni. Il corpo elettore risultava tuttavia più che triplicato
rispetto alle ultime consultazioni e, quel che più conta, profondamente
modificato nella composizione. Grazie alla nuova legge accedeva alle urne
anche una frangia non trascurabile di artigiani e operai del Nord. Le
premo elezioni a suffragio allargato (ottobre 1882) videro infatti l'ingresso
alla Camera del primo deputato socialista, il romagnolo Andrea Costa.
La riforma elettorale dell'82 segnò il coronamento, ma anche il punto
terminale, della breve stagione di riforme inaugurata con l'avvento della
Sinistra. Furono proprio le preoccupazioni suscitate dall'allargamento del
suffragio e dal conseguente prevedibile rafforzamento dell'estrema sinistra a
favorire quel processo di convergenza fra le forze moderate di entrambi
gli schieramenti che nacque da un accordo elettorale fra Depretis e il
leader della Destra Minghetti e che prese il nome di trasformismo. La
sostanza del trasformiamo non stava - come sosteneva Depretis nella
«trasformazione» dei moderati in progressisti, ma piuttosto nel venir meno
delle tradizionali distinzioni ideologiche fra Destra e Sinistra e nella
rinuncia da parte di quest’ultima a una precisa caratterizzazione
programmatica. Si compiva cosa un mutamento irreversibile nella fisionomia
della Camera e nei caratteri stessi della lotta politica. A un modello
«bipartitico» di stampo inglese (destra contro sinistra, maggioranza contro
opposizione, conservatori contro progressisti) se ne sostituiva un altro
basato su un grande centro che tendeva a inglobare le opposizioni moderate
e a emarginare le ali estreme (i conservatori più intransigenti da un lato,
l'estrema sinistra dall'altro). La maggioranza non era più definita sulla
base di precise discriminanti programmatiche, ma veniva «costruita»
giorno per giorno a forza di compromessi e patteggiamenti: il che
provocava un sostanziale immobilismi nel1’azione di governo, oltre che
un netto scadimento nel tono della vita politica.
Il nuovo Stato inoltre era fortemente accentrato, in quanto prevalsero le
esigenze pratiche immediate, le quali spingevano i governanti a stabilire un
controllo il più possibile stretto e capillare su tutto i1 paese, basato su
ordinamenti uniformi per tutto il Regno e su una rigida gerarchia di
funzionari dipendenti dal centro.
Del resto, le premesse dell'accentramento statale erano implicite nel modo stesso
in cui si era giunti all'unificazione del paese, mediante successive annessioni
al Regno di Sardegna, le cui leggi divennero anche le leggi del nuovo Stato
unitario . Decisive a questo proposito erano state alcune leggi varate fra il
giugno '59 e il gennaio '60 e riguardanti i settori-chiave della vita del
paese: in particolare la legge Casati, che stabiliva il principio dell'istruzione
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elementare obbligatoria (demandandone però l'attuazione ai comuni) e la
legge Rattazzi che poneva i comuni e le province sotto il controllo
rispettivamente dei sindaci, di nomina regia, e dei prefetti rap-
presentanti del potere esecutivo.
Fra i motivi che spinsero la classe dirigente ad accantonare ogni progetto
di decentramento amministrativo, il principale fu costituito certamente dalla
situazione che si era venuta a creare nel Mezzogiorno. Ne l l e p rovince
meridionali liberate dal regime borbonico, il malessere antico delle masse
contadine si sommò a una diffusa ostilità verso il nuovo ordine, che non
aveva portato nessun mutamento radicale nella sfera dei rapporti sociali, anzi
aveva visto la borghesia rurale fare rapidamente causa comune con i
«conquistatori». Man mano che la realtà del nuovo Stato si venne
manifestando con i suoi tratti più spiacevoli agli occhi delle popolazioni
meridionali (la pesante fiscalità, il servizio di leva obbligatorio), i disordini
si fecero più estesi e più frequenti, fino a trasformarsi in un generale moto
di rivolta, incoraggiato da una parte del clero e sovvenzionato dalla corte
borbonica in esilio a Roma.
La risposta dello Stato al disagio sociale fu una spietata repressione
militare che si concretizzò nell’invio di dell’esercito, la fucilazione di
5000 briganti e l’incarcerazione di altrettanti. Se il brigantaggio venne
sconfitto non venne invece affrontato il problema della secolare
aspirazione dei contadini alla proprietà della terra. La divisione delle
terre demaniali non fu portata avanti e la vendita delle terre requisite
agli enti ecclesiastici si risolse, grazie alle vendite all’asta di grandi
lotti, nel rafforzamento della grande proprietà.
Anche il problema del completamento dell’unità venne affrontato
esclusivamente per via militare per evitare il coinvolgimento delle masse
popolari cosa che avrebbe potuto comportare una messa in discussione dei
rapporti sociali.
Fu così che l’annessione del Veneto avvenne grazie all’alleanza con la Prussia
di Bismark e una guerra con l’Austria, mentre la presa di Roma venne
compiuta all’indomani della sconfitta, sempre per opera di Bismark, della
Francia che si era opposta, per ragioni di politica interna.
Il nuovo Stato era il frutto di un blocco dominante che era l’espressione,
durante i governi della Destra, soprattutto degli interessi dei grandi proprietari
terrieri e, sotto i governi della Sinistra, di un alleanza tra questi e la nascente
borghesia industriale e finanziaria; blocco dominante che rimarrà, pur mutando
gli equilibri interni, costante fino alla seconda guerra mondiale.
In effetti sia gli ingenti costi sia della costruzione del nuovo Stato unitario, sia
quelli della costruzione del mercato nazionale finirono per gravare soprattutto
sulle classi popolari. La costruzione del nuovo Stato aveva infatti comportato
spese ingentissime, sia nel campo delle comunicazioni sia in quelli
dell'amministrazione pubblica, dell'istruzione e dell'esercito, così come le
infrastrutture (strade e ferrovie) richieste dal creazione del mercato
nazionale. Per far fronte a queste spese, i governi della Destra dovettero
ricorrere a una serie di inasprimenti fiscali, che colpivano soprattutto i consumi
(tasse sui sali e i tabacchi, dazi locali sui generi alimentari). La situazione si
aggravò dopo il '66, in conseguenza di una crisi internazionale e delle spese
sostenute per la guerra contro l'Austria. Per rinsanguare le casse dello Stato, i
governi succedutisi fra il '66 e il '69 furono costretti ad appesantire le imposte
già esistenti e, nell'estate del 1868 a vararne una nuova: quella sulla
macinazione dei cereali, meglio nota come tassa sul macinato. Si trattava in
pratica di una tassa sul pane, cioè sul consumo popolare per eccellenza, che
colpiva duramente le classi più povere. Inoltre, dovendo essere pagata ai
mugnai all'atto del ritiro della farina, non risparmiava nemmeno quei
lavoratori agricoli che producevano da soli i cereali o li ricevevano come parte
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del salario. L'introduzione di questa tassa accrebbe l'impopolarità della
classe dirigente e provocò, all'inizio del 1869, le prime agitazioni sociali su
scala nazionale della storia dell'Italia unita La repressione fu anche in
questo caso durissima.
Là politica di duro fiscalismo e di inflessibile rigore finanziario ottenne alla
fine gli effetti sperati. Le condizioni del bilancio statale migliorarono rapida-
mente fino a raggiungere, nel 1875, l’obiettivo del pareggio. Ma intanto il fronte
degli scontenti si allargava. Alla protesta dei ceti popolari, al cronico mal-
contento del Mezzogiorno, si aggiunsero le pressioni degli industriali e dei
gruppi bancari e speculativi in favore di una politica economica meno rigida e
restrittiva, che lasciasse più ampi margini alla formazione della ricchezza
privata. I1 peso di questi interessi finì per essere decisivo nel provocare la
caduta della Destra (1876), ma non chiaramente nell’abolizione della
tassa sul macinato, che in effetti colpiva le classi popolari, che avvenne
solo nel 1884.
LA POLITICA DELLO STATO UNITARIO ITALIANO:
1 –Rafforzamento stato liberale
a - interpretazione ________________ dello Statuto albertino
Trasformismo: dal modello ________________ al grande __________ mancanza distinzioni ideologiche e
_________________ ________________ azione governo
b – riforma ____________________________
c - ______________________
estensione delle leggi _____________ al nuovo stato
2 – _________________________: a -________________ b – presa di Roma
3 - ___________________________________
Le tasse gravavano soprattutto ____________________ colpendo ________________ (tassa sul macinato)
Base sociale dei governi unitari:
Destra storica : _________________________________________
Sinistra ___________: _____________________________________ + borghesia industriale e_______________
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18 Una politica doganale protezionistica consiste nell’innalzamento delle tariffe doganali come misura di
protezione dei prodotti nazionali dalla concorrenza di prodotti stranieri che risultano gravati dalle ta riffe
doganali
6 - I RAPPORTI INTERNAZIONALI NELLA SECONDA METÀ
DELL’OTTOCENTO
Per quanto riguarda i rapporti internazionali questi rimasero per
l’Europa continentale nel quadro tracciato dal Congresso di Vienna
sostanzialmente fino agli anni ’60, quando ebbe inizio il processo di
unificazione tedesca. All’interno di tale quadro l’Austria, la Francia e la
Russia svolgevano un ruolo egemone e infatti nei moti degli anni ’20 e
’30 furono loro a riportare l’ordine nelle rispettive zone di influenza.
Nel 1870 portando a compimento il proprio processo di unificazione
sconfiggendo la Francia, che nei decenni intorno alla metà del secolo
aveva raggiunto una posizione di egemonia, la Germania ruppe
definitivamente questo quadro dando inizio a quella “politica di
potenza” che, fondata sullo sviluppo degli eserciti permanente e sulla
corsa agli armamenti, sfocerà nella prima guerra mondiale.
Nel periodo che va dal 1870 alla prima guerra mondiale non vi furono
comunque mai scontri diretti tra le grandi potenze europee.
Lo scontro assunse così forme indirette come l’ingerenza in zone
marginali dell’Europa, dove la debolezza dell’impero turco consentiva
alle potenze europee di intervenire sostenendo una delle diverse parti in
conflitto.
Anche la politica coloniale divenne un’altra forma di conflitto indiretto
che portò l’Inghilterra, la Francia e, in misura minore, il Belgio e
soprattutto la Germania a dividersi l’Africa e l’Asia in zone di rispettivo
controllo. Lo scontento della Germana, arrivata ultima nella gara
coloniale, costituirà uno dei motivi di attrito tra le grandi potenze.
Un’ultima forma di scontro indiretto fu rappresentato dalle cosiddette
guerre doganali scatenate dall’abbandono del libero scambio a favore di
politiche doganali protezionistiche18 che comportò tutta una serie di
ritorsioni nei confronti dei propri concorrenti commerciali. L’abbandono
del libero scambio fu una delle prime conseguenze della grave crisi
economica che il sistema industriale europeo attraversò a partire dagli
anni ’80.
I RAPPORTI _________________ NELLA
SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO
A – 1815 - __________
L’egemonia di __________________
_________________________
1870: sconfitta della _____________
ad opera della ____________________
B – Dopo 1870
Inizia la _________________________
Scontro assume forme indirette:
1 - ________________________________
________________________ (vedi ______
____________________________)
2 - ______________________________
3 – politiche doganali _________________
___________________________________