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CITTADINO GLOBALE Sono 73 i Paesi dove ha lavorato Paolo Gallo tra Citigroup, Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, Banca Mondiale e World Economic Forum PAOLO GALLO «MA UN’AZIENDA CHE CONDIVIDA I VOSTRI VALORI E PRINCIPI: SOLO COSÌ NON RISCHIERETE DI FALLIRE». A DIRLO È IL CAPO DELLE RISORSE UMANE DEL WORLD ECONOMIC FORUM, DOPO 25 ANNI IN GIRO PER IL MONDO E 9 MILA COLLOQUI. «IL SEGRETO DEL SUCCESSO? INVESTIRE SUL PROPRIO TALENTO, NON SULLA PASSIONE» DI FRANCESCO PERUGINI «U na grande banca italiana mi aveva contattato per un incarico, ma poi mi ha scartato perché non ave- vo abbastanza esperienza in Italia. E, secondo me, ha fatto bene». D’altronde, Paolo Gallo ha lasciato il nostro Paese nel 1992, fresco di laurea alla Bocconi. Dopo gli inizi in Citigroup a Milano, la banca inglese lo chiama a Londra: da lì comincia un viaggio che tocca 73 nazioni con l’International Finance Corpora- tion di Washington, la Banca europea per la ricostruzione e lo svi- luppo e la Banca Mondiale fino al World Economic Forum (Wef), dove è capo delle risorse umane da due anni e mezzo (e collabora con l’Università Bocconi e la Ashridge Business School, oltre a scri- vere per l’Harvard Business School Review e Forbes). «Si nota un filo rosso nelle mie esperienze lavorative: la mission del Wef, d’al- tronde, è “improving the state of the world”. Non avrei potuto fare altrimenti: bisogna lavorare in aziende che rispecchiano i propri va- lori», dice dal suo ufficio con vista sul lago di Ginevra. Ha scritto per Rizzoli La bussola del successo, già un best seller soprattutto su Amazon. Qual è, dunque, il segreto per essere feli- ci sul lavoro? Un rapporto lavorativo nasce come un matrimonio. Per durare, alla base di una coppia deve esserci una condivisione di visioni e obiet- tivi. Quando inizi a conoscere la persona che ami, l’obiettivo non NON CERCATE il LAVORO dei VOSTRI SOGNI DICEMBRE 2016 64 WWW.BUSINESSPEOPLE.IT Punti di vista Punti di vista.indd 64 Punti di vista.indd 64 23-11-2016 8:47:55 23-11-2016 8:47:55

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CITTADINO GLOBALESono 73 i Paesi dove ha lavorato Paolo Gallo tra Citigroup, Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, Banca Mondiale e World Economic Forum

PAOLO GALLO

«MA UN’AZIENDA CHE CONDIVIDAI VOSTRI VALORI E PRINCIPI: SOLO COSÌ NON RISCHIERETE DI FALLIRE». A DIRLO È IL CAPO DELLE RISORSE UMANE DEL WORLD ECONOMIC FORUM,DOPO 25 ANNI IN GIRO PER IL MONDO E 9 MILA COLLOQUI. «IL SEGRETO DEL SUCCESSO? INVESTIRE SUL PROPRIO TALENTO, NON SULLA PASSIONE»DI FRANCESCO PERUGINI

«Una grande banca italiana mi aveva contattato per un incarico, ma poi mi ha scartato perché non ave-vo abbastanza esperienza in Italia. E, secondo me,

ha fatto bene». D’altronde, Paolo Gallo ha lasciato il nostro Paese nel 1992, fresco di laurea alla Bocconi. Dopo gli inizi in Citigroup a Milano, la banca inglese lo chiama a Londra: da lì comincia un viaggio che tocca 73 nazioni con l’International Finance Corpora-tion di Washington, la Banca europea per la ricostruzione e lo svi-luppo e la Banca Mondiale fino al World Economic Forum (Wef), dove è capo delle risorse umane da due anni e mezzo (e collabora con l’Università Bocconi e la Ashridge Business School, oltre a scri-vere per l’Harvard Business School Review e Forbes). «Si nota un filo rosso nelle mie esperienze lavorative: la mission del Wef, d’al-tronde, è “improving the state of the world”. Non avrei potuto fare altrimenti: bisogna lavorare in aziende che rispecchiano i propri va-lori», dice dal suo ufficio con vista sul lago di Ginevra.

Ha scritto per Rizzoli La bussola del successo, già un best seller soprattutto su Amazon. Qual è, dunque, il segreto per essere feli-ci sul lavoro?Un rapporto lavorativo nasce come un matrimonio. Per durare, alla base di una coppia deve esserci una condivisione di visioni e obiet-tivi. Quando inizi a conoscere la persona che ami, l’obiettivo non

NON CERCATE il LAVOROdei VOSTRI SOGNI

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LA MATRICE DEGLI STILI DI COMPORTAMENTO

ORIENTAMENTO

INTE

LLIG

ENZA

PO

LITI

CA

Individuale/egoista Organizzativo/altruista

Sup

erf

icia

lePr

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nd

a

3FURBO-PERICOLOSO

volpipavoni

serpenti

4SAGGIO

gufielefanti

leoni

1INETTO-STOLTO

asinipappagalli

polli

2FEDELE-INGENUO

caniorsi

agnelli

quio ci si dovrebbe preoccupare di più di capire se il posto al quale si ambisce pos-sa essere adatto ai propri principi. Altri-menti si sta solo perdendo tempo. Nel suo libro ci sono anche alcuni con-sigli su come scrivere un curriculum ef-ficace o presentarsi a un colloquio di la-voro. Di questi decaloghi ne esistono in-finite versioni, ma qual è la sua rego-la aurea?A parte le ovvietà, come la correttez-za grammaticale del cv o la puntualità, consiglio sempre di essere autentici per non essere poi costretti a fingere in se-guito. Sono contro, poi, quelli che dico-no che il cv deve essere “perfetto”, pieno solo di esperienze importanti e nomi al-

Come si fa a capire se un’azienda è adatta a noi? Paolo

Gallo ne La bussola del successo (Rizzoli Etas, 294 pagine, 20 euro) propone una strategia precisa da attuare già nelle prime settimane di impiego. Innanzitutto, bisogna capire l’organizzazione e la cultura aziendale. Poi è fondamentale comprendere come costruire la fi ducia, cioè come far sì che le persone si fi dino di te e intuire su quali colleghi si può fare affi damento. Indipendentemente dal numero di lavoratori, bastano poche settimane per “annusare” i colleghi dividendoli in branchi. «Bisogna ragionare come in una matrice a due variabili: una è l’orientamento organizzativo e l’altra la comprensione dei meccanismi aziendali», racconta il capo delle risorse umane del World Economic Forum di Davos, «da qui si possono identifi care facilmente quattro profi li». Il primo sono i polli, sprovveduti ma anche un po’ sciocchi nei loro comportamenti perché egoisti. La seconda categoria sono gli ingenui che lavorano per il bene comune: «Sono dei cani, molto fedeli, ma che tendono a isolarsi come gli orsi. E diventano agnelli sacrifi cali in caso di ristrutturazione aziendale», avvisa Gallo. Tra i profi li dotati di una grossa intelligenza politica e spesso di potere, da una parte ci sono i serpenti: egoisti, con il proprio tornaconto sempre al primo posto, pericolosi e da evitare. Dall’altra parte, i saggi che però si mettono al servizio dell’organizzazione, potrebbero essere defi niti elefanti o gufi : «Sono i saggi, gli opinion leader», conclude l’autore. «Benché i tratti comportamentali cambino profondamente nelle diverse culture, ti potrai sempre fi dare di loro».

LE TRIBÙ D’IMPRESALE TRIBÙ D’IMPRESAè di sposarla, ma piuttosto cercare di ca-pire se ci sono principi e valori condivi-si per un progetto di lungo termine. Allo stesso modo in un colloquio, l’obiettivo non è ottenere un posto di lavoro, ma ca-pire se quel ruolo è allineato con il tuo progetto di vita. Il 62% delle persone si pente del posto di lavoro entro sei mesi dall’assunzione: e se sbagli scelta, è diffi-cile rimettersi subito alla ricerca di un al-tro posto. O perlomeno si viene guarda-ti con sospetto.Come i matrimoni, però, anche i rappor-ti lavorativi falliscono. Come mai? Ci sono i lavoratori che vanno alla gran-de, quelli che vivacchiano e quelli che precipitano nella delusione. Io ritengo che a determinare la disillusione di un la-voratore sia la mancata coincidenza tra i suoi valori e quelli dell’azienda. L’ho spe-rimentato anche io sulla mia pelle: andai a lavorare in un Paese del Medio Oriente dove in un cortile degli uffici c’era una ti-gre. Ogni giorno le mettevano nella gab-bia un animale per nutrirla. Me ne andai il secondo giorno, ma la colpa era stata solo mia nell’accettare quella posizione. Così spesso l’ambizione di uno stipendio, di una posizione, di uno job title fa per-dere di vista l’essenza di quello che sia-mo. Solo scegliendo una carriera in linea con le nostri motivazioni profonde riusci-remo a fare un buon lavoro e a goderci appieno successi e gratificazioni».Tornando alla metafora dei rapporti amorosi. Se prima di un matrimonio c’è un fidanzamento, dietro un’assunzione c’è un lungo processo di recruiting. Ogni divorzio lavorativo è un fallimento dei suoi colleghi?Le Hr andrebbero profondamente rivisita-te, in tutti i sensi, anche se la decisione fi-nale sulle assunzioni viene presa sempre dal management: le risorse umane sono responsabili di portare a termine un pro-cesso corretto su metodologie serie e re-gole chiare. L’impostazione classica im-pone ai candidati di mettere in mostra la migliore versione di se stessi, anche a co-sto di esagerare alcune capacità o com-petenze. Secondo me, durante un collo-

DURANTE UN COLLOQUIO L’OBIETTIVO PRINCIPALE DOVREBBE ESSERE QUELLO DI CAPIRE SE IL POSTO

A CUI SI AMBISCE È ADATTO AI PROPRI PRINCIPI

tisonanti di università o istituzioni forma-tive. Fate vedere che vi siete sporcati le mani, che avete fatto il fattorino o la baby sitter, la fatica non può mai essere un mi-nus. Sono quelle le cose che vi rendo-no differenti dagli altri e che spingeranno un responsabile Hr a prendervi in con-siderazione per quel posto, mentre ma-gari ci sarà sempre qualcuno con dei ti-toli migliori dei vostri. Non mi sono lau-reato a pieni voti, non sono il miglior di-rigente del mondo, ma ho fatto molti la-voretti prima di finire l’università, tra cui per esempio l’accompagnatore di turisti a Londra e così ho imparato l’inglese. Ho anche lavorato in 73 Paesi diversi e que-sto profilo internazionale mi ha permesso di essere assunto alla Banca Mondiale e al World Economic Forum.A proposito di capacità, come si fa a emergere in un dato posto di lavoro? Conta solo – come dicono i guru – la passione?

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I GIOVANI ITALIANI NON HANNO PIÙ LA CERTEZZA CHE I LORO SFORZI SARANNO

RIPAGATI NEL MONDO DEL LAVORO

Ho una grande passione per il tennis, ma mi riderebbero dietro anche al torneo del villaggio vacanze: ho quindi capito velo-cemente che la mia passione non corri-spondeva al talento e non sarei mai potu-to diventare un giocatore professionista. A 12 anni avevo già realizzato che non “c’era trippa per gatti”. Mia moglie inve-ce, quando emigrò dal Marocco a quat-tro anni insieme ai suoi sei fratelli, fu la prima a imparare il francese: le lingue erano il suo talento, oggi ne parla sei. Che vuol dire? Che ha compreso presto la sua strada e ci ha investito con tanta fatica. La passione è soggettiva, il talento è oggettivo: basta guardare un qualunque programma tv come X Factor: ci sono tanti che si credono bravi cantanti, ma chi sa farlo davvero lo decidono i giudici.

È il riconoscimento esterno che fa la dif-ferenza. La passione non basta, devi ca-pire se quello che ti piace è anche il tuo talento. Se così non fosse, allora biso-gna cercare altrove: tutti hanno un teso-ro nascosto dentro di loro, ne sono sicuro dopo 9 mila job interview effettuate. Ma-gari servono anni per scoprire qual è, ma poi bisogna assecondarlo. Faccio l’esem-pio di una mia conoscente: ha iniziato a fare l’artista a 65 anni dopo la pensione, ma ha sprecato le sue doti per 40 anni fa-cendo la cassiera al supermercato perché aveva paura di perdere il posto di lavoro inseguendo la sua ispirazione. E se qualcuno si scoprisse bravo in qual-cosa che proprio non gli piace? Molti talenti restano soffocati, dalla pi-grizia, dalla famiglia o da tanti altri fatto-ri. Da amante del tennis, ho pianto quan-do Flavia Pennetta ha vinto gli Us Open a 35 anni. Nel dopo gara, un giornalista le ha detto che aveva avuto un bel po’ di fortuna nel mettere a segno l’ultimo pun-to con uno stupendo lungolinea. Lei si è arrabbiata: altro che fortuna, gli ha rispo-sto che erano vent’anni che provava quel colpo in allenamento. Come capisco se un lavoro non è adatto a me? Insomma, cosa mi deve dare il co-raggio di licenziarmi?Ci sono tre fattori che determinano un rapporto felice con il proprio posto di la-voro: se ti fa crescere, se stai imparan-do ancora. Poi conta se stai contribuen-do all’obiettivo comunque: puoi anche divertirti, ma devi dare qualcosa indietro. E, terzo, il rispetto: quello che tu hai per l’organizzazione e quello che essa ha per te. Non si tratta di buona o cattiva educa-zione, ma di sentirsi valorizzati, di capire se la propria opinione conta o meno. Se mancano questi elementi, allora non vale la pena rimanere. Se ci sono, si può an-dare anche oltre i fatidici tre-cinque anni, che sono considerati convenzionalmente il momento giusto per cercare un nuovo lavoro. Di solito se si cambia dopo meno di tre anni qualcuno storce il naso, se lo si fa dopo sei anni si pensa ci sia qualco-sa che non va. Questo elemento tempo-rale ha una valenza, ma da solo non è si-gnificativo: puoi stare trent’anni in un’or-ganizzazione e occuparti di tanti incari-chi diversi pur senza cambiare azienda. Restare al proprio posto andando avan-ti col “pilota automatico”, invece, è svi-

lente e alla lunga insostenibile. Il mio li-bro, infatti, è per le persone, non mi ri-tengo adatto a dire alle corporazioni come gestire le persone, ma alla luce del-la mia esperienza posso dare dei consi-gli ai singoli. Anche i giovani italiani farebbero bene ad andarsene? Negli anni si sono presi dei “choosy”, dei “bamboccioni” ecc.Un’esperienza all’estero per me dovreb-be essere obbligatoria, perché giocare in trasferta fa bene, apre la mente, impo-ne di riflettere sulla propria visione del-le cose. Ma non è tutta colpa dei giova-ni italiani: a loro è stata tolta la fiducia più che la speranza. La fiducia che i loro sforzi verranno ripagati, la certezza che andranno avanti i migliori, la convinzio-ne che ci sarà un posto anche per loro nella società italiana. E allora magari mi trovo dei laureati che mi servono la cena a Londra e per me è avvilente.È colpa del nostro sistema scolastico? Del Jobs Act di cui si parla a ogni aggior-namento dei dati? Tra un laureato italiano e uno, per esem-pio, inglese, io scelgo sempre un italia-no. Perché ha fatto un liceo duro, un’uni-versità pesante, ha gli strumenti per fare bene. Dall’altra parte, però, mia figlia ha otto possibilità su dieci di fare da gran-de un lavoro che oggi non c’è. La scuola dovrebbe dare gli strumenti per preparar-si anche a questo futuro, e quella italiana è ingessata su vecchi schemi. Per quan-to riguarda la politica tricolore, se prima si parlava solo di Berlusconi oggi l’uni-co argomento è il referendum. È inaccet-tabile: i governanti dovrebbero ragiona-re in un quadro più ampio, di medio-lun-ga prospettiva, non cercare di gestire solo le contingenze. Il sottotitolo del suo libro è “Regole per essere vincenti restando liberi”. Che cosa è rimasto del concetto di libertà nelle organizzazioni di oggi?Si resta liberi non scendendo mai a com-promessi. Se vengo assunto in un repar-to risorse umane su segnalazione di qual-cuno, a mia volta prima o poi dovrò as-sumere un altro raccomandato. Oggi si confonde spesso il concetto di libertà con quello di anarchia, cioè l’assenza di re-gole. La libertà è, invece, la possibilità di muoversi – e lavorare – senza costrizioni e influenze. E anche questo, a suo modo, è un successo.

GUIDA PER UTENTINon un manuale per i responsabili delle risorse umane, ma una guida per i singoli lavoratori per districarsi tra colloqui e offerte di lavoro nella ricerca della strada giusta per la propria realizzazione

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