Buongiorno_Ticino_N5

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Il nuovo mensile della Svizzera italiana è al suo quinto numero! Scopritelo!

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Cari lettori,

è arrivato febbraio, e con lui il Carnevale! In tutto il Ticino e la Mesolcina si festeggia! Anche per i meno festaioli sarà ben diffi cile non lasciarsi sedurre, almeno per una sera, dal suo spirito.

Le bombette scoppiettano, i coriandoli svolazzano, tamburi e trombe prendono la scena e fanno a gara per chi fa “püsee fracass”! È molto semplice, basta mascherarsi, scendere in strada e lasciarsi trasportare. Tra uno scherzo, un brindisi, la sonata di una guggen, e un tipico ballo carnevalesco, ci si diverte fi no a tardi.

In questa atmosfera ove “Selem in anno licet insanire“ (vedi rubrica costume&società), siamo lieti di presentarvi il quinto numero di Buongiorno Ticino. Abbiamo ritoccato alcuni aspetti della veste grafi ca, al fi ne di migliorare l’aspetto della rivista, come l’utilizzo di una copertina più rigida rispetto a prima. Nei contenuti di questo mese oltre al tema del carnevale, e a rubriche volte a soddisfare tutti i gusti, presentiamo un articolo che parla del “fenomeno bullismo”, curato dalla psicologa Tanya Lecchi. Vi ricordo che, da parte nostra, è sempre vivo l’interesse verso nuovi redattori e contenuti.

Grandi novità anche all’interno del nostro staff, il quale si potrà ora avvalere di due nuove importanti fi gure professionali. Il Copywriter e il Direttore commerciale. La prima chiamata ad interpretare, attraverso la parola scritta, le strategie, le volontà e le azioni della redazione. La seconda gestirà l’acquisizione pubblicitaria. Tutte queste scoppiettanti novità al fi ne di continuare a migliorare la rivista. La redazione di Buongiorno Ticino si lancia e si rinnova e, fi datevi se vi dico che le sorprese non fi niranno qui…

Con l’augurio di un felice mese, in cui si faccia festa con la testa, per tornare a casa in amicizia, con i mezzi pubblici, con le patenti, e senza incidenti. Ricordatevi che per tornare a casa in sicurezza esistono i mezzi pubblici, il vostro amico astemio e Nez Rouge.

Buona lettura

Emiliano Frigeri

editoriale3

REDAZIONE

EDITOREEmiliano Frigeri

DIR. COMMERCIALEPietro Pala

REDATTRICENicoletta Di Marco

COPYWRITERMichele Castiglioni

ART DIRECTORDavide Calà

FUMETTISTAJoel Pretot

SEGRETARIAPaola Ortelli

CORRETTORE BOZZEFrancesco Bortoluzzi

IN QUESTO NUMERO Alberto Scarpellini

Christian PontiCorinna Bielic

Davide MarchiniFederica Farini

Flavio CardellicchioGianni Vescovi

Jole LagoMatteo Buzzi

Nico TanziNonno Carlo

Rete3Sebastiano BrocchiSabastiano Torino

Sergio GuaitaSergio RossiTanya Lecchi

VanessaUnitas

FOTOGRAFIEJoel Pretot

Nicholas PythoudTestoni Christian

Via Maggio 366900 Lugano

Tel: +41 91 9718038Fax: +41 91 [email protected]

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CASA EDITRICE

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Dall’altro lato, gli agenti economici che beneficiano maggiormente di un’amnistia fiscale si trovano nella categoria di reddito e patrimonio elevati. Essi hanno dunque una propensione al consumo relativamente debole, vale a dire che anche i capitali emersi con una sanatoria fiscale saranno per la maggior parte risparmiati, ossia investiti sui mercati finanziari, spesso con il supporto e/o la consulenza delle banche locali, ma senza ripercussioni sostanziali nel territorio ticinese. D’altra parte, se una frazione di questi averi saranno investiti nel settore immobiliare ticinese, gli stabili residenziali e/o i terreni edificabili potrebbero diventare con facilità l’oggetto di una forte speculazione, in quanto i loro prezzi aumenterebbero in tempi brevi, a maggior ragione (e con ancora maggiore rapidità) se le banche locali concedessero un elevato volume di prestiti ipotecari a tassi di interesse moderati dalla fase congiunturale attuale.

Infine, se l’aliquota per l’imposizione dei redditi e dei patrimoni sanati dal fisco sarà assai contenuta (circa del 10% come è stato annunciato per l’amnistia fiscale ticinese), il maggior gettito fiscale ottenuto in questo modo sarà poco rilevante per ridurre il disavanzo nei conti pubblici. Se, invece, l’aliquota applicata agli averi dichiarati nel contesto di amnistia fiscale sarà pari o maggiore delle aliquote ordinarie, gli importi sanati dai contribuenti al fisco non saranno importanti, né per il settore pubblico né per l’intera economia locale.

In buona sostanza, l’amnistia fiscale nel canton Ticino rallenterà il necessario cambiamento strutturale dell’economia locale, cui la crisi finanziaria in atto ha fatto solo da detonatore, e accrescerà le disparità di trattamento fiscale tra i contribuenti onesti e i contribuenti di cui il territorio cantonale potrebbe fare a meno, in quanto il loro apporto all’economia regionale è insignificante o dannoso per un equilibrato sviluppo dell’intera collettività.

Bisogna infatti rilevare che la pressione fiscale non è né l’unica né soprattutto la principale variabile considerata dalle persone che intendono stabilirsi entro un dato territorio, o che si vogliono trattenere in esso. Nella scelta del domicilio fiscale, entrano in considerazione in effetti numerose altre variabili di riferimento per il cittadino e contribuente al fisco, come la qualità dei servizi pubblici (pensiamo ai trasporti e alle prestazioni sanitarie) e la prossimità delle principali infrastrutture di comunicazione (le autostrade e gli aeroporti internazionali, che non devono essere però troppo vicini al domicilio per non subire l’inquinamento fonico e ambientale che essi provocano, ma che non devono essere neppure troppo lontani, al fine di limitare i tempi di percorrenza, per motivi di svago o di lavoro). L’osservazione empirica ha mostrato, d’altro canto, che i territori nei quali esiste una pressione fiscale moderata – e che sono dunque considerati fiscalmente attrattivi per l’insediamento di ricchi contribuenti al fisco – sono anche caratterizzati, generalmente, da una maggiore crescita dei prezzi dei terreni e delle costruzioni (residenziali, amministrative, o commerciali), rispetto ai territori dove le aliquote di imposta sono più elevate. In soldoni dunque, nei territori dove si pagano meno imposte, l’incremento dei prezzi immobiliari sarà tale da ridurre considerevolmente il vantaggio pecuniario per l’insediamento del domicilio personale o di una qualsiasi attività economica – tranne quelle al beneficio di sussidi statali che in definitiva aggravano anziché ridurre i disavanzi pubblici.

Lo sviluppo economico e territoriale del canton Ticino non può essere fondato sugli sgravi fiscali a prescindere da una sana politica industriale, le cui condizioni-quadro vanno al di là dei pretesi vantaggi fiscali (che in realtà non sono tali, data la dinamica della concorrenza in materia fiscale sul piano nazionale e a livello internazionale). Come affermava Paul Valéry, scrittore francese vissuto nella prima metà del XX secolo, “se lo Stato è forte, ci opprime; mentre se è debole, non ci protegge”. Per il canton Ticino, come altrove, occorre trovare il giusto equilibrio, che però è mutevole sia nel tempo sia nello spazio, tra la libera iniziativa privata e le migliori condizioni-quadro fornite dal settore pubblico. Un’amnistia fiscale non sarà mai in grado di contribuire a raggiungere questo equilibrio. Essa è la manifestazione di uno Stato debole, che deve ricorrere al condono e dunque al perdono per raggranellare quei mezzi finanziari che avrebbe dovuto ricevere spontaneamente dai propri cittadini, qualora si fosse mostrato all’altezza dei compiti che la collettività gli ha attribuito democraticamente.

...la maggior parte degli averi che potrebbero emergere con la sanatoria fiscale ticinese non saranno spesi in modo produttivo nel territorio cantonale, vale a dire che non serviranno a finanziare delle spese di consumo o di investimento nell’economia “reale”.

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Nel suo tentativo di riproporre questo concetto nell’arte pittorica, Leonardo annullò la linea, intesa come confi ne statico e rigido delle forme e sviluppò la tecnica dello sfumato che incarnava proprio la rappresentazione pittorica della continuità. In altre parole lo sfumato è un espediente pittorico, da lui inventato, che consiste nel sovrapporre infi niti e leggeri strati di colore, fi no ad ottenere forme avvolte in una morbida fl uidità di pigmento e luce, dando l’impressione che esse si fondano senza sosta in un movimento che l’osservatore continua a percepire.

Nell’Ultima cena, Leonardo decise di rappresentare due momenti del racconto evangelico, condensati nella gestualità di Cristo: l’annuncio del tradimento di Giuda (la mano destra di Gesù è tesa davanti a Giuda che la osserva stupito) e l’istituzione dell’Eucaristia (la mano sinistra indica il pane e il vino). O meglio: la sorpresa degli apostoli dopo la dichiarazione di Gesù che qualcuno tra loro l’aveva tradito, e la comunione. La tradizione iconografi ca voleva che Giuda venisse rappresentato sempre in disparte rispetto agli altri apostoli: generalmente dall’altra parte del tavolo. Ma Leonardo lo nascose tra gli altri, senza sottolineare la sua persona, per giustifi care la reazione drammatica dei discepoli alle parole di Cristo.

Al centro della composizione è perciò collocata la fi gura di Cristo, che forma un triangolo: fi gura geometrica che rimanda simbolicamente alla Trinità. I discepoli sono raggruppati a tre a tre per esaltarne i gesti di sorpresa, studiati in ogni dettaglio e di cui conserviamo studi e schizzi: il movimento dei corpi doveva esaltare quello degli animi. L’onda delle gestualità si propaga dal centro verso l’esterno, come un’esplosione violenta, e poi, simulando il risucchio, ritorna indietro: parte dalla fi gura pacata di Cristo, scatenata dalle sue stravolgenti parole. Anche la luce concorre a esaltare il movimento. Leonardo ripropose la luce naturale che entra dalle fi nestre del Refettorio e ad essa aggiunse anche un’altra fonte interna, con lo scopo di rendere più intense le fi gure.

Uno spazio separa Cristo da san Giovanni. Questo è sottolineato non solo dalla struttura geometrica (un pilastro in fondo tra la fi nestra e la porta), ma anche dai colori: la posizione del manto e dell’abito suggeriscono infatti una forte relazione visiva. Inoltre sono le uniche due fi gure che, accostate, danno luogo ad un altro triangolo, costituito proprio dallo spazio vuoto tra i due. La tradizione voleva che l’apostolo fosse appoggiato al suo petto. Curiose interpretazioni sono state date a proposito della ragione che ha mosso l’artista a introdurre tale novità. Ma gli schizzi condotti dall’artista parlano chiaro, come i suoi appunti che spiegano le sue intenzioni: la fi gura di san Giovanni in tutta l’opera di Leonardo è fondamentale e racchiude in sé un ideale di bellezza e sacralità carica di signifi cato. Questo spazio permetteva inoltre all’artista di sottolineare la duplice natura di Cristo in quell’istante: umana e divina, liturgicamente ripetuta nel rituale eucaristico.

Lo spazio architettonico sembra costruito con una prospettiva geometrica perfetta, per cui il punto di fuga è collocato proprio sopra il capo di Cristo. Ma è una percezione la nostra: Leonardo costruì questa prospettiva non in base alle leggi matematiche, bensì a quelle del nostro occhio che vede quanto lo circonda in modo soggettivo. Le fi gure sono molto più grandi di quello che dovrebbero e Cristo stesso è più monumentale rispetto ai discepoli. Così anche la progressiva larghezza dei drappi disegnati sulle pareti della stanza è scorretta. Leonardo volutamente storpiava con queste irregolarità le leggi della prospettiva per rallentare la velocità delle linee di fuga e dare la massima importanza ai personaggi in primo piano. A occhio nudo non ce ne accorgiamo, ma l’artista sapientemente apportò questi cambiamenti perché ben conosceva il modo con cui l’uomo percepiva le immagini.

Nell’affresco dell’Ultima Cena, Leonardo sperimentò una tecnica nuova che gli permettesse di intervenire più volte sull’intonaco asciutto, ma si rivelò un disastro: fi n da subito risultò una cattiva soluzione. Il colore deperiva in fretta, tanto da rendere irriconoscibili i visi degli apostoli. Ancora oggi la conservazione dell’opera risulta diffi coltosa e richiede continui restauri (l’ultimo conclusosi nel 1999). Molte misure sono state adottate per evitare il sovraffollamento del Refettorio e si consiglia di prenotare in anticipo la visita.

Una passeggiata nel passato che consigliamo a tutti coloro che vogliono trascorrere diversamente un pomeriggio in compagnia dell’opera di un genio.

Informazioni:

Cenacolo VincianoPiazza S.M. delle Grazie 2 20100 Milano

Orario biglietteria:

Ma-do dalle 8.15 alle 19.00 Chiuso il lunedì e nei giorni: 1 maggio e 25 dicembre

Bartolomeo

Giacomo

Andrea

Giuda

Pietro

Giovanni

Tommaso

GESÙ

Giacomo Maggiore

Filippo

Matteo

Giuda Taddeo

Simone

Già, perché a stimolare l’attività di quest’uomo, c’era la volontà di studiare e capire la natura, intesa come processo continuo di un divenire infi nito, per penetrare nel suo segreto più intimo: il miracolo della vita.

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Piccoli marinai cresconodi Sergio Guaita

a giorni Lugano appare nella sua veste invernale, con le colline innevate e l’acqua mista a neve che inonda la città. In queste condizioni parlare di vela sembrerebbe anacronistico, sensazione subito smentita dai due

ragazzi che asseriscono di continuare ad allenarsi con la loro barca, sul lago e al mare, con qualsiasi condizione meteorologica, e si divertono anche.

Quanti anni avete e quando avete iniziato a praticare lo sport della vela?

Matteo: Ho 15 anni e ho iniziato 8 anni fa frequentando un corso estivo del CVLL. Era la prima volta che salivo su un Optimist (piccola imbarcazione a vela per bambini da 7 a 14 anni, ndr.) e mi è piaciuto subito.Seba: Ho anch’io 15 anni e, come Matteo, ho iniziato con un corso estivo.

Potete spiegare com’erano organizzati questi corsi?

M: Erano corsi settimanali, dal martedì al venerdì, che si tenevano, e si tengono tutt’ora, nei mesi di Luglio e Agosto. I bambini hanno la possibilità di frequentare uno o più corsi senza problemi. Fin dalle prime uscite mi sono appassionato e ho trovato che imparare a condurre la barca non era per niente diffi cile.S: I monitori erano alcuni dei ragazzi più grandi del CVLL. Dopo aver ricevuto le prime informazioni sulla teoria della vela e la conduzione della barca, si usciva in acqua e si cominciava a fare pratica. Io mi sono trovato subito bene e mi è piaciuto tantissimo.

E quindi cos’è successo dopo?

M: Ho deciso di continuare e mi sono iscritto alla scuola del Circolo. I corsi iniziavano nel mese di Marzo e prevedevano lezioni di teoria e uscite in acqua durante i fi ne settimana per un totale di circa 50 giornate di allenamento. Dopo il primo anno gli allenamenti sono diventati sempre più intensivi e abbiamo iniziato a partecipare a regate non solo a Lugano ma anche al mare e sui laghi italiani e della Svizzera interna. S: Anch’io ho deciso di continuare anche perché con Matteo e con gli altri bambini iscritti alla scuola mi trovavo veramente bene, si stava formando una squadra che sarebbe poi cresciuta nell’arco degli anni. Ho capito che questa sarebbe diventata la mia attività sportiva per eccellenza.

Per quanti anni avete frequentato la classe Optimist?

M: Ho continuato con l’Optimist fi no a Maggio del 2008 poi, con Seba siamo passati al 420 che è una barca molto più tecnica e richiede due membri d’equipaggio. Già dopo il primo anno il CVLL aveva deciso di avvalersi di allenatori professionisti dotati di grande esperienza e capacità didattica; questo ha sicuramente contribuito a migliorare notevolmente la nostra formazione. Nell’ultimo anno della mia attività con l’ Optimist sono riuscito ad avere degli ottimi risultati in alcune importanti regate internazionali.S: Anch’io, come Matteo, ho ottenuto diversi ottimi risultati fi no a classifi carmi terzo ai campionati svizzeri assoluti di Optimist a Lugano. Era ormai giunto il momento di passare al 420. Marco, il nostro bravissimo allenatore, ha deciso di provare a metterci in coppia, Matteo come prodiere e io come timoniere. Pur essendo leggeri, e quindi abbastanza svantaggiati con vento forte, abbiamo trovato subito un ottimo affi atamento e ci siamo resi conto di poter competere con qualsiasi equipaggio.

Parlatemi un po’ di questa barca e dei vostri ruoli

M: Il 420 è una deriva dotata di randa, fi occo e spinnaker, cioè di tutte le vele che si trovano anche sui grossi yachts. Questo permette di affi nare la tecnica di conduzione e la regolazione delle vele in funzione della forza del vento e del moto ondoso.Il mio ruolo è quello di prodiere. Oltre a dover regolare in continuazione le vele di prua (fi occo e spinnaker) devo cercare di bilanciare la forza del vento, sporgendomi al trapezio, in modo da tenere la barca piatta sull’acqua per aumentare la stabilità e la velocità. Il prodiere si occupa anche della tattica: controlla il campo di regata, segue in continuazione la posizione delle boe e degli altri equipaggi e cerca di intuire da che parte ruota il vento in modo da dare le indicazioni adeguate al timoniere e, con lui, decidere quale comportamento tenere.

Matteo Colombo e Sebastiano (Seba) Baranzini sono due giovani velisti del Circolo Velico Lago di Lugano (CVLL).L’appuntamento è fi ssato per le 16.Si presentano puntuali, grondanti d’acqua, ma si capisce subito che per loro questo è un dettaglio assolutamente insignifi cante. L’acqua e il vento fanno ormai parte del loro DNA. Sui loro giovani volti traspare una sicurezza spontanea, non affettata che, unitamente all’aria sorridente e sbarazzina, ispira subito simpatia.

DIn regata, al lasco con vento fresco

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S: Il timoniere deve concentrarsi al massimo per far correre la barca il più velocemente possibile. Si occupa contemporaneamente della randa e della distribuzione dei pesi per mantenere la barca equilibrata. Timoniere e prodiere devono agire con un’intesa perfetta e sincronizzare i movimenti senza commettere errori.

Com’è andata la vostra prima stagione agonistica in 420?

M: Come già detto, io e Seba ci siamo subito trovati bene e, grazie anche alla preparazione acquisita con l’Optimist, non abbiamo avuto difficoltà a prendere confidenza con la nuova barca. Abbiamo iniziato ad allenarci in modo intensivo partecipando anche a diverse regate sui laghi italiani e della Svizzera interna. Nell’Ottobre del 2008 abbiamo avuto la grande soddisfazione di conquistare il primo posto ai campionati svizzeri assoluti a Rapperswil.S: Nel Dicembre ‘08 ci siamo classificati 49esimi alle regate invernali di Imperia, in Aprile ‘09 28 esimi alle regate di Marsiglia. Tutti questi risultati ci hanno permesso di raggiungere la classificazione come equipaggio svizzero ai Campionati Mondiali in Brasile e a quelli Europei in Ungheria. Andare in Brasile è stata un’esperienza bellissima, e l’idea di poterci confrontare con gli equipaggi più forti del mondo ci elettrizzava, ben sapendo di non poter aspirare alle prime posizioni. In Brasile ci siamo piazzati al ventesimo posto e cioè circa a metà classifica.M: A Rio le condizioni di vento e mare erano davvero molto impegnative; soprattutto la forza del vento ci ha un po’ penalizzato a causa della nostra leggerezza. Siamo stati

comunque contentissimi del risultato ottenuto e dell’esperienza che abbiamo fatto. Anche in Ungheria non è andata male: 56 esimi su 118 partecipanti.

Progetti per il futuro?

M: Abbiamo già iniziato il programma di allenamento che prevede più di 100 uscite nell’arco dell’anno. Spero in futuro di poter sempre praticare questo sport, magari nella grande vela d’altura.S: Col nostro allenatore abbiamo già fissato il calendario delle regate a cui parteciperemo con l’obiettivo di essere sempre più competitivi. Per i prossimi 3 anni gareggeremo ancora col 420, poi non sappiamo ancora, magari qualche classe olimpica, ma è ancora troppo presto per prendere una decisione.

Un’ultima considerazione?

M: La vela è uno sport bellissimo che consiglio a tutti. Sono anche contento di vedere che tanti ragazzi frequentano il nostro Circolo e si appassionano a questo sport.S: Sono naturalmente d’accordo con Matteo. Anche se non si raggiungono le prime posizioni nelle regate, la vela offre la possibilità di praticare uno sport che non è essenzialmente “fisico” ma permette di sviluppare tante conoscenze, di vivere emozioni sempre a contatto con la natura e di conoscere tanti amici.

� Patente nautica per la navigazione d’altura � Corso per la sicurezza e sopravvivenza

in mare � Corso navigazione astronomica� Corso di radiotelefonia � Corso meteo � Crociere sociali

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Yacht Club del MareVia Foce 9, CH-6900 Lugano

tel. 091 994 60 33, fax 091 994 60 [email protected]

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1° gradino del podio Campionato svizzero assoluto 420, Lugano ottobre 2009, Seba a sinistra, Matteo a destra

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Dallo sviluppo sostenibile alla decrescita:storia e defi nizioni

La defi nizione di sostenibilità ha origine nell’ecologia ed è sostanzialmente la caratteristica di un processo, di uno stato o di un sistema che può essere mantenuto senza fi ne ad un certo livello senza grossi effetti collaterali e dannosi per lo stesso, direttamente o indirettamente. Le prime importanti rifl essioni sulla sostenibilità nella nostra società occidentale presero avvio già agli inizi degli anni settanta, grazie alla famosa pubblicazione nel 1972 presso il Club di Roma da parte di Dennis Meadow, ricercatore del prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT), del “Rapporto sui limiti dello sviluppo”. Pur non introducendo ancora il concetto di sostenibilità, ha messo in evidenza in tempi non ancora troppo sospetti i limiti sistemici della crescita nell’utilizzo delle risorse ambientali da parte dell’umanità. La pubblicazione nacque nello stesso humus scientifi co e di pensiero che contribuì a far nascere in seguito il movimento ambientalista sia a livello politico che di organizzazioni non governative. Essa presenta sostanzialmente due tesi fondamentali. Nella prima si constatava che con il tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse, i limiti dello sviluppo su questo pianeta sarebbero inevitabilmente raggiunti. Il risultato più probabile, in seguito, sarebbe stato un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale. Nella seconda tesi tramite un approccio

più ottimista e lungimirante si evidenzia il fatto che è possibile modifi care i tassi di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità ecologica ed economica, sostenibile anche nel lontano futuro. Lo stato di equilibrio globale così defi nito da Meadows dovrebbe essere progettato in modo che le necessità di ciascuna persona sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano. Una recente analisi a posteriori accompagnata dall’aggiornamento delle tesi presentate nel 1972 da parte della stessa autrice giunge alla conclusione che quanto schizzato allora è in grossa parte anche successo e una crisi del sistema è ora più che mai possibile.

Il concetto di sostenibilità è stato applicato alle società umane a partire dalla fi ne degli anni ottanta dopo la pubblicazione del Rapporto Brundtland “Our Common Future“ nel 1987, che ha riassunto i risultati del lavoro svolto dalla Commissione Mondiale sull’ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite (WECD). Questo termine indica un “equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di soddisfare le proprie”. Nel rapporto si introduce però la sostenibilità piuttosto in termini di sviluppo sostenibile. Tutti i progetti internazionali e nazionali come l’AGENDA 21 locale, proposta dopo il vertice delle Nazioni Unite a Rio sull’Ambiente nel 1992 hanno avuto come fulcro questo principio fondamentale basato sulla confl uenza di tre preoccupazioni: quella ambientale, quella economica e quella sociale. Solo una

Termini come sostenibilità o sviluppo sostenibile sono ormai giustamente sulla bocca di tutti, politici e non, a tutti i livelli istituzionali. Gli indicatori di sostenibilità parlano infatti molto chiaramente: la società occidentale attuale è molto lontana dalla sostenibilità. Dobbiamo ridurre il nostro impatto sulla natura e i nostri consumi di almeno quattro volte. Stiamo insomma vivendo ampiamente sulle spalle delle future generazioni. Al di là dei proclami e delle buone intenzioni, e vista l’enorme distanza che ci separa da questo necessario obiettivo a medio e lungo termine, viene però da chiedersi per quali ragioni di interesse collettivo vengono ancora prese decisioni politiche che non fanno altro che aggravare il nostro impatto sul pianeta, rischiando di precludere irrimediabilmente alle future generazioni il raggiungimento della sostenibilità.

Il miraggio della sostenibilitàLa Svizzera di fronte ad un diffi cilie obiettivodi Matteo Buzzi

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considerazione equa di queste tre importanti componenti può portare ad uno sviluppo sostenibile. Il termine sviluppo in questa lettura non esclude quindi a priori la crescita economica ad ogni costo, elemento cardine dell’economia di mercato attuale, basata nell’utilizzo sempre maggiore di risorse naturali a scapito della conservazione a lungo termine del Pianeta. Proprio per questo motivo il concetto di sviluppo sostenibile è stato aspramente criticato e recentemente si sono fatti avanti altri concetti di sostenibilità legati piuttosto alla decrescita. Essi teorizzano una riduzione sostanziale dell’uso di risorse naturali da parte dell’umanità, focalizzando contemporaneamente l’attenzione su altre importanti componenti della vita umana come la felicità o la qualità globale di vita. Il movimento della decrescita felice parte dal presupposto che la correlazione tra crescita economica e benessere non sia necessariamente positiva, ma che esistano situazioni frequenti in cui ad un aumento del Prodotto Interno Lordo (PIL) (crescita economica) si riscontra una diminuzione della qualità della vita e una diminuzione della qualità ambientale complessiva del Pianeta. Questo movimento come pure altri filoni simili nati parallelamente, come quello delle città di transizione, si fondano su un principio di sobrietà verso una società dai consumi sia energetici che di risorse materiali significativamente inferiore e basata maggiormente sull’autosufficienza e l’autoproduzione a livello energetico, materiale ed alimentare.

Il concetto di decrescita e di sobrietà è fondamentale nell’ottica della sostenibilità. L’analisi di alcuni importanti indicatori mostra infatti l’enorme distanza che separa la nostra società occidentale da un’ipotetica società sostenibile. Una società semplicemente più efficiente nell’utilizzo dell’energia o una semplice sostituzione delle attuali fonti energetiche fossili con fonti rinnovabili, come spesso viene erroneamente sostenuto a livello politico, è un passo fondamentale e necessario ma non sarà sufficiente per raggiungere l’obbiettivo della sostenibilità.

Gli indicatori di sostenibilità

Per poter quantificare il nostro attuale impatto sul Pianeta e per poter di conseguenza pianificare le fasi e i passi intermedi di transizione verso una società globale all’insegna della sostenibilità sono necessari degli indicatori. Generalmente si distinguono tre tipi di indicatori: quelli basati sul consumo energetico, quelli basati sulle emissioni di anidride carbonica legate all’uso dei combustibili fossili ed infine quelli globali che sintetizzano tutti gli impatti umani sotto forma di impronta ecologica della società indicata con una superficie o con il numero di pianeti necessari per soddisfare tutti i bisogni.

Il consumo energetico: la società a 2’000 Watt

Mediamente a livello globale ogni essere umano consuma per soddisfare tutti i suoi bisogni 17’500 chilowattora all’anno. Questo corrisponde in termini di consumi ad una potenza continua media di circa 2’000 Watt (ovvero 20 lampadine da 100 Watt continuamente accese). In Svizzera la potenza media di consumo di ogni abitante è però di circa 5’000-6’000 Watt. In alcuni Paesi asiatici e africani la potenza di consumo di ogni singolo abitante è di almeno 100 volte più piccola, mentre negli Stati Uniti essa è almeno il doppio più grande. Una distribuzione più equa dei consumi a livello mondiale richiederebbe quindi ai paesi industrializzati come la Svizzera almeno il minimo obiettivo dei 2’000 Watt, auspicando comunque che i paesi in via di sviluppo non incrementino massicciamente il loro consumo energetico, vanificando complessivamente gli sforzi intrapresi. La soglia più alta per un consumo energetico ancora sostenibile può quindi essere ragionevolmente fissata sul valore di 2’000 Watt. Per quanto riguarda il consumo energetico la Svizzera si trova quindi con dei valori di almeno 3 volte più grandi di questo massimo che può essere definito ancora sostenibile. 2’000 Watt sembrano a prima vista veramente pochi in confronto agli attuali valori. Va però ricordato che la Svizzera nel 1960 era già una società a 2’000 Watt.

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Potenza di consumo attuale e la società a 2’000 Watt

Fonte: Novatlantis (2005), Leichter Leben

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L’idea della società a 2’000 Watt è stata lanciata e approfondita da un programma di ricerca del Politecnico Federale di Zurigo che ne ha evidenziato la fattibilità sul medio e lungo termine se da subito, a livello di pianifi cazione e tecnologico vengono applicati severi criteri conformi a questo obiettivo fi nale. Ogni campo della nostra vita quotidiana deve dare il suo contributo verso l’obiettivo dei 2’000 Watt. Nel grafi co presentato qui a fi anco si può notare nei vari settori la grossa differenza tra la situazione attuale paragonata alla società a 2’000 Watt proposta dal politecnico di Zurigo. Anche ammettendo di essere riusciti a raggiungere una potenza di consumo di 2’000 Watt un altro fattore aggiuntivo deve essere comunque considerato: solo una minima parte di questi 2’000 Watt (non più di un quarto) dovrebbe essere ancora di origine fossile. I rimanenti 1’500 Watt devono provenire da fonti rinnovabili (sole, acqua, vento, geotermico).

Le emissioni di anidride carbonica dovute all’uso dei combustibili fossili: una tonnellata

Le emissioni di anidride carbonica dovute in particolare all’utilizzo dei combustibili fossili sono l’esempio più evidente dell’insostenibilità della nostra società. La comunità scientifi ca internazionale sembra essere concorde sul fatto che bisogna fare tutto il possibile per limitare il surriscaldamento climatico globale di origine antropica ad un massimo 2 gradi, onde evitare catastrofi che conseguenze in parte ancora imprevedibili a causa della complessità del sistema climatico. Come recentemente presentato in una pubblicazione della rivista scientifi ca Nature, una riduzione mondiale delle emissioni del 50% entro il 2050 implicherebbe ancora una probabilità di almeno il 30% di superare il livello critico dei due gradi. Per ragionevolmente ridurre questo rischio entro il 2050 le emissioni mondiali di CO2 non dovrebbero superare le 10 miliardi di tonnellate annue, ovvero una riduzione globale compresa tra il 60 e l’80%. Con una popolazione mondiale che sarà di 9.2 miliardi di persone ciò signifi cherebbe che il quantitativo massimo sostenibile annuo per persona dovrebbe essere al di sotto di una tonnellata di CO2.

14La Svizzera per quanto riguarda le emissioni clima-alteranti si trova quindi di un fattore da 6 a 18 distanze dalla sostenibilità.

Links

Il movimento della decrescita felice www.decrescitafelice.itCittà di transizione Politecnico Federale di Zurigo www.novatlantis.chEmissioni pro capite per nazione www.carbonfootprintofnations.comRete della decrescita www.decrescita.it

www.transitiontown.org

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Ma quanto emette uno svizzero medio? Il va-lore complessivo dipende in modo significa-tivo dalla considerazione o meno delle emis-sioni generate per la produzione dei beni importati. Senza considerare le importazioni di beni uno svizzero medio emette circa 5.8 tonnellate all’anno, cifra relativamente mo-desta in confronto alle 8.24 tonnellate di un cittadino medio della Comunità Europea. Il quadro appare però decisamente diverso se si considerano anche le emissioni prodotte all’estero per la produzione dei beni importa-ti ed utilizzati in Svizzera: uno svizzero emet-te complessivamente annualmente in media da 12 a 18 tonnellate di CO2, un quantitativo tra i più alti a livello internazionale. La Sviz-zera si trova infatti ben al 4° posto della clas-sifica dietro a Stati Uniti, Australia e Canada. La Svizzera per quanto riguarda le emissioni clima-alteranti si trova quindi di un fattore da 6 a 18 distante dalla sostenibilità.

L’impronta ecologica: 1.3 ettari

L’impronta ecologica è un indice statico utilizza-to per misurare la richiesta umana nei confronti della natura. Essa mette in relazione il consumo umano di risorse naturali con la capacità della Terra di rigenerarle. Il metodo dell’impronta ecologica è stato elaborato nella prima metà degli anni 90 dall’ecologo William Rees della British Columbia University e poi approfondito, applicato e largamente diffuso a livello interna-zionale da un suo allievo, Mathis Wackernagel, oggi direttore dell’Ecological Footprint Networt. A partire dal 1999 il WWF aggiorna periodica-mente il calcolo dell’impronta ecologica nel suo Living Planet Report. L’impronta ecologica della Svizzera è quasi quattro volte più grande della sua biocapacità. Essa misura attualmente 5,0 ettari globali per persona, mentre la biocapa-cità del nostro Paese ammonta solo a 1,3 ettari globali per persona. In altre parole ci vorrebbe-ro quasi 4 pianeti per garantire a lungo termi-ne il nostro stile di vita a tutta la popolazione mondiale attuale. Ne è infatti responsabile per tre quarti e supera di gran lunga tutti gli altri fattori. L’impronta energetica è anche quella che ha registrato il maggiore incremento negli ultimi decenni. Un altro elemento importante è costi-tuito dal nostro fabbisogno di terreno agricolo, foreste e superfici verdi, che rappresenta 22% dell’impronta totale.

La società sostenibile nel concreto: la transizione

Le prossime puntate di Think Natural presente-ranno per alcuni settori della nostra società al-cuni dettagli riguardo a quanto è già possibile fare ora e cosa dovremmo fare per incamminarci concretamente e sostanzialmente verso la tran-sizione alla sostenibilità.

L’impronta ecologica della Svizzera

72006 UST L’IMPRONTA ECOLOGICA DELLA SVIZZERA

SINTESI

Ettari globali pro capite

Evoluzione dell’impronta ecologica e della biocapacità S-G 2

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Impronta svizzera pro capite

Biocapacità svizzera pro capite

Fonte: Global Footprint Network © Ufficio federale di statistica (UST)

Impronta ecologica e biocapacità pro capite della Svizzera fra il 1961 e il 2002.

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Impronta svizzera Biocapacità svizzera Biocapacità (media mondiale)

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Impronta ecologica e biocapacità pro capite nel 2002 S-G 1

Deficit

Fonte: Global Footprint Network © Ufficio federale di statistica (UST)

Raffronto fra l’impronta svizzera pro capite e la biocapacità disponibile.

Composizione dell’impronta ecologica nel 2002 S-G 3

Fonte: Global Footprint Network © Ufficio federale di statistica (UST)

Superfici arabiliPascoliForestePescaSuperfici d’insediamentoEnergia fossileEnergia nucleareEnergia grigia

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Impronta svizzera pro capite

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Fonte: Global Footprint Network © Ufficio federale di statistica (UST)

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Fonte: Global Footprint Network © Ufficio federale di statistica (UST)

Raffronto fra l’impronta svizzera pro capite e la biocapacità disponibile.

Composizione dell’impronta ecologica nel 2002 S-G 3

Fonte: Global Footprint Network © Ufficio federale di statistica (UST)

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Fonte: Global Footprint Network © Ufficio federale di statistica (UST)

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Fonte: Global Footprint Network © Ufficio federale di statistica (UST)

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Fonte: Global Footprint Network © Ufficio federale di statistica (UST)

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Fonte: Global Footprint Network © Ufficio federale di statistica (UST)

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informatica & web18

Un Ticino in Informaticadi Christian Ponti

Da qualche anno, soprattutto in ambiente informatico, si sente parlare di “Ticino Valley”. È un modo un po’ scherzoso per defi nire una zona della periferia di Lugano dove sono sorte diverse aziende che si occupano di informatica. Il riferimento, naturalmente, è quello della Silicon Valley negli Stati Uniti, dove l’informatica ha conosciuto uno dei suoi momenti di maggiore sviluppo a livello mondiale.

Il Ticino è diffi cilmente paragonabile agli Stati Uniti; tuttavia queste espressioni testimoniano che molto è cambiato negli ultimi quindici anni, e che quello che a metà anni novanta era un Cantone tecnologicamente non all’avanguardia,

adesso ha saputo colmare parte della distanza che lo separava da altre regioni.

Gli anni novanta hanno partorito la più grande tecnologia di tutti i tempi, il web. Anche il nostro Cantone ne è stato attratto ma, come spesso accade, con molta diffi denza. Era una tecnologia quasi sconosciuta e di cui si faticava a percepire le potenzialità. Inoltre la sua diffusione fu fortemente limitata dal costo elevato che comportava la connessione: l’abbonamento presso un Service Provider non era a buon mercato, mentre il costo derivato dal telefono spesso non valeva i benefi ci del servizio. Nonostante le evidenti diffi coltà, questa tecnologia al servizio dell’informatica ha avuto l’effetto del classico sassolino gettato nello stagno, creando interesse negli adulti ma soprattutto tra i giovani. Gli stessi che negli ultimi anni hanno conseguito una laurea, si sono diplomati oppure hanno sviluppato autonomamente delle

conoscenze tali da permettere loro di affrontare il mondo del lavoro più serenamente. Alcuni hanno fondato nuove società, altri proseguono tutt’ora i loro studi, magari come ricercatori universitari; altri ancora propongono corsi sull’utilizzo di software libero e di sopravvivenza digitale.

La diffusione e l’utilizzo del web costituiscono un sassolino dalle dimensioni mondiali, una spinta che produce onde molto forti, ma certamente non infi nite. Occorre alimentare costantemente questa energia perché non si fermi e in Ticino diverse persone hanno capito che questo processo passa attraverso la formazione, la ricerca e l’applicazione pratica delle innovazioni che ne conseguono. È la nascita del polo tecnologico.Negli anni ‘90 non era molto semplice intraprendere una formazione informatica di tipo tecnico in Ticino. Esistevano molti corsi gestiti da società di formazione, perlopiù rivolte all’insegnamento dell’uso delle applicazioni. Alcuni corsi coprivano una panoramica più vasta, con l’aggiunta di conoscenze di base o minime sulle reti o nel campo della programmazione.

La ricerca e la formazione sono fondamentali in ambito universitario e creano un indotto

sul territorio da non sottovalutare.

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Altri si addentravano più in profondità, riuscendo a formare programmatori di un determinato linguaggio. Purtroppo, o per fortuna, l’informatica è un cappello che racchiude un elevato numero di discipline, molto spesso con delle forti interconnessioni tra loro. Non è assolutamente facile praticare a fondo una disciplina senza avere almeno delle basi nelle altre. E questa era la mancanza di quel periodo, l’assenza di una visione d’insieme nelle diverse discipline che compongono la costellazione informatica.

Nel periodo a cavallo del nuovo secolo e negli anni seguenti il panorama formativo ticinese è radicalmente cambiato. La Scuola Universitaria Professionale (SUP), con il suo Dipartimento di Tecnologie Innovative, e l’Università della Svizzera Italiana (USI), con la facoltà di informatica, hanno colmato il vuoto formativo, offrendo corsi di laurea all’avanguardia.

Il valore aggiunto dato dalle due facoltà non si limita alla formazione, ma aggiunge al carniere un altro elemento molto importante: la ricerca.

La ricerca e la formazione sono fondamentali in ambito universitario e creano un indotto sul territorio da non sottovalutare. Rappresentano il sassolino a cui si accennava in precedenza, capace di raccogliere una forza iniziale e ampliarla, distribuirla a cerchi concentrici nel territorio circostante.

Come primo effetto sul territorio si può constatare una sempre maggiore collaborazione tra le diverse realtà, come il Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS), l’Advanced Learning and Research Institute (AlaRI), l’Istituto Dalle Molle di Studi sull’Intelligenza Artificiale (IDSIA) e naturalmente le già citate USI e SUPSI. Una collaborazione che si traduce in posti di lavoro nel settore informatico, ma non solo; una collaborazione che soprattutto valorizza il territorio e le persone che lo abitano offrendo nuove conoscenze e molti stimoli per coloro che hanno un’interesse verso l’informatica e vorrebbero intraprendere una formazione. Questo discorso è valido per i licei cantonali, che possono promuovere dei corsi introduttivi o mirati, con la prospettiva che i propri studenti possano in seguito approfondirne gli argomenti e costruirsi eventualmente una vita professionale nel settore. Oppure per le aziende che possono approfittare di una consulenza di alto livello, come pure dei risultati della ricerca universitaria per ottimizzare o diversificare i loro prodotti.

La ricerca riveste un ruolo importante anche perché permette di instaurare rapporti con altre entità simili a livello nazionale e internazionale. Spesso i ricercatori collaborano a specifiche ricerche nell’ambito di una collaborazione internazionale, oppure semplicemente tessono tra loro una rete di conoscenze che permette loro di scambiarsi opinioni, nuove idee, soluzioni a problemi complessi che altrimenti necessiterebbero un’attesa maggiore.

Ricerca e formazione richiedono però una certa dose di equilibrio: è piuttosto facile cadere nella tentazione di acquisire prestigio internazionale, e di conseguenza capitali, attraverso la ricerca, a scapito della formazione. La ricerca è spesso più attrattiva, attira capitali, consente in molti casi di ingaggiare professori e ricercatori di prestigio, con il risultato di attirare altri capitali e progetti di ricerca. La formazione ha una tempistica più dilatata e meno remunerativa, almeno inizialmente. È un investimento a lungo termine, ma altrettanto importante, poiché forma delle persone che possono in futuro contribuire a diffondere la cultura informatica, creare nuove società, insegnare oppure diventare loro stessi ricercatori. Persone che potrebbero con i loro risultati aumentare il prestigio della propria università, stimolando il meccanismo a cui si accennava prima.

Ma l’elemento più importante per il territorio, l’effetto più dirompente del sassolino lanciato nello stagno è un’innalzamento generale della cultura informatica, una conoscenza maggiore delle tecnologie e di conseguenza una maggiore capacità di sopravvivenza delle persone nella giungla tecnologica attuale; anche e soprattutto per le persone che non sono interessate all’informatica per hobby o per lavoro, ma per una questione di società. Persone stimolate ad un consumo consapevole della tecnologia, magari solo per il fatto che se ne parli e se ne stimoli l’interesse. E magari persone che, incuriosite, decideranno poi di approfondire l’argomento con una formazione, lanciando loro stessi un piccolo sassolino nello stagno.

Links

Scuola Universitaria Professionale www.inf.usi.chDipartimento di Tecnologie Innovative www.dti.supsi.chCentro Svizzero di Calcolo Scientifico www.cscs.chAdvanced Learning and Research Institute www.alari.chIstituto Dalle Molle di Studi sull’I.A. www.idsia.ch

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«Professione archeologo»di Flavio Cardellicchio, con la collaborazione di Isabelle Hefti

archeologia20

he sia per terra o per mare, nel deserto o nei ghiacciai, sotto un sole cocente od una pioggia battente, toccherà poi agli archeologi ricercare attentamente tutto quello che l’uomo ha lasciato dietro di sé, ogni minima traccia

del suo passaggio e delle sue attività. Tra tecniche di scavo, metodi di analisi e diffi coltà, viaggio all’interno di un lavoro che ha scritto alcune fra le più belle pagine della storia dell’Uomo.

Fin dai tempi più remoti, l’Uomo ha fatto prova della sua intelligenza scheggiando pietre per fabbricarsi utensili che poi userà nella caccia, nella preparazione dei cibi e delle pelli. Scoprirà l’utilità del fuoco e delle grotte, abitazioni e allo stesso tempo luoghi sacri dove si cimenterà in straordinari disegni parietali. Comprenderà l’importanza dell’allevamento, dell’agricoltura e l’utilità dei metalli. Costruirà incredibili monumenti sacri, sontuosi edifi ci privati, strade e ponti, modellando squisite opere d’arte. Seppellirà i suoi morti. Nasconderà i suoi tesori. Abbandonerà città e templi. Perderà le sue imbarcazioni ed i suoi carichi durante tempeste, i suoi averi durante cataclismi naturali e guerre.

Le date importanti dell’archeologiaVI a.C. Nabonide, re di Babilonia, scopre le rovine di un antico tempioV a.C. Erodoto diventa il primo storico scrivendo delle guerre greco-persianeXV W. Camden inventaria i siti archeologici d’InghilterraXVII John Aubrey dirige gli scavi di Stonehenge,1738 Primi scavi archeologici sistematici a Pompei ed Ercolano1797 J. Frere utilizza il metodo della stratigrafi a per uno scavo1798 Napoleone diffonde il gusto per le antichità egiziane promuovendone lo studio1822 J.F. Champollion riesce a decifrare i geroglifi ci egiziani grazie alle incisioni presenti sulla «Pierre de Rosette»1830-33 Charles Lyell ed il suo lavoro «Principles of Geology» pongono le basi della geologia moderna contribu endo a stabilire lo studio della storia della terra1836 C. Thomsen suddivide in 3 età la storia dell’Uomo (Età della Pietra, Età del Bronzo, Età del Ferro)1851 D. Wilson è il primo ad utilizzare il termine «preistorico» All’università di Cambridge, Inghilterra, creazione della prima cattedra di archeologia1854 Adolphe von Lorlot, padre dell’archeologia sottomarina grazie ai suoi scavi dei siti lacustri svizzeri1856 Scoperta di resti appartenenti all’uomo di Neandertal nei pressi di Düsseldorf, in Germania1859 Darwin pubblica «Sull’origine delle specie per mezzo della selezione naturale»1870-73 Heinrich Schliemann scopre Troia1879 Ad Altamira (E) si scoprono le prime pitture rupestri1900-35 Arthur Evans scava Cnossos, sito archeologico sull’odierna isola di Creta1922 Howard Carter scopre la tomba di Toutankhamon, in Egitto1925 Raymond Dart mette alla luce i resti ossei del bambino di Taung, in Sud Africa, primo ominide conosciuto, risalenti a circa 2.5 milioni di anni fa1928 O.G.S. Crawford dimostra, grazie al suo lavoro “Wessex from the Air”, il potenziale della fotografi a aerea per l’archeologia1949 W. Libby inventa il primo sistema di datazione assoluta scoprendo le proprietà del carbone radioattivo (C14)1974 D. Johanson scopre Lucy, il primo ominide quasi completo ritrovato, risalente a più di 3mil. di anni fa1993 Grotta di Altamura, nelle Puglie, Italia: alcuni speleologi ritrovano il più vecchio scheletro umano intatto d’Europa, datato 200 000 – 400 000 anni fa1994 Scoperta della grotta Chauvet, in Francia: le sue pitture parietali sono le più antiche mai scoperte fi no ad oggi risalenti a più di 30 000 anni fa

C

Rilevamenti

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Gli attrezzi dell’archeologo: dalla cazzuola inglese alla generatrice di corrente…

Ai tempi di Schliemann, verso la metà del XIX secolo, gli archeologi e gli operai che lavoravano per uno scavo utilizzavano attrezzi non troppo diversi da quelli che gli archeologi usano oggi. Se si esclude l’uso del coltellino per mettere alla luce gli oggetti in un’epoca dove il gusto per le collezioni di antichità era alla moda, rimpiazzato dalla più efficace cazzuola, e l’impiego della sola forza fisica, oggi sostenuta da mezzi meccanici quali scavatrici e dumpers, il ventaglio degli attrezzi dell’archeologo moderno è rimasto quasi lo stesso: si va dalle classiche vanghe, picconi, palette, secchi, carriole e pennelli di ogni genere, ai quaderni per appunti, matite, colori, fogli millimetrati, calchi, doppimetri, macchine fotografiche e ombrelloni da sole. Dagli strumenti per rilevamenti altimetrici e topografici, minigrips, garze di gesso, chiodi, picchetti ed assi in legno, spray colorati e quadranti per il disegno, agli utensili da dentista, aspirapolveri, prolunghe elettriche, tende, rotoli di plastica, generatrici di corrente,…

L’archeologo alla moda è colui che si veste e si attrezza in maniera intelligente. L’utilizzo di scarpe con suola e punta rinforzata e guanti in pelle, può evitare spiacevoli sorprese, così come l’uso di un casco da cantiere ed un gilet di segnalazione quando si tratterà di sorvegliare l’apertura di uno scavo. In una giornata torrida d’estate, un cappello ed una crema solare saranno provvidenziali, così come lo saranno una flanella ed un maglione di lana, degli stivali ed un impermeabile nel caso di freddo e pioggia. Se si vuole poi essere «trendy» sul cantiere, quello che serve è una bella borsa in pelle dove custodire gelosamente i propri attrezzi, tra cui, la mitica cazzuola inglese in acciaio forgiato.

I metodi di prospezione archeologica

Oggi, per la ricerca di vestigia archeologiche, si fa ricorso a diversi metodi d’investigazione: dalle semplici, ma preziose, ricognizioni pedestri, o più comunemente chiamate «passeggiate a scopi scientifici», alle osservazioni e rilevamenti fotografici aerei, dalla toponomastica dei luoghi (studio delle origini dei nomi), all’impiego di sofisticati metodi scientifici quali, ad esempio, la prospezione geofisica di un terreno (tecnica che impiega le proprietà elettriche e magnetiche di un suolo, modificate in alcuni punti dall’eventuale presenza di costruzioni). La fotografia aerea è molto utile per l’archeologia perché permette di vedere dall’alto alcune particolarità di un terreno altrimenti impossibili da osservare da terra. Non tutti sanno che la presenza di vestigia celate sotto un campo di grano o di una prateria modifica di fatto il tasso d’umidità del suolo provocando delle anomalie nella crescita dei cereali o dell’erba. Per esempio, al di sopra delle fondamenta di un antico muro, le piante o qualsiasi altro tipo di vegetazione avranno la tendenza a crescere meno alte ed ingialliranno molto più velocemente di altre che si svilupperanno su di un suolo privo di vestigia. Si potranno così identificare dall’alto, per contrasti di colore e di vegetazione nel terreno, eventuali limiti di antiche case, santuari, strade,…

I sondaggi: finestre sulla storia

Una volta inseriti su di una mappa archeologica tutti i siti e le aree suscettibili della presenza di vestigia, si potrà procedere, se le zone sono a rischio di edificazione, a ricerche più approfondite attraverso sondaggi del sottosuolo. Un piano catastale, una carta geologica o altri documenti che offrono informazioni sul terreno e la zona da scavare, permetteranno di definire al meglio i sondaggi da realizzare. Bisogna considerare che ogni intervento nel sottosuolo è, di principio, distruttivo. È dunque per questo che si effettuano dei sondaggi mirati che offrono, per quanto possibile, delle sorte di «finestre» nel terreno molto utili alla comprensione di un sito. Dopo l’aver «aperto» il suolo tramite l’impiego di una scavatrice che realizzerà delle trincee di grandezza variabile, si potrà iniziare l’analisi stratigrafica, in altre parole, la lettura degli strati di sedimentazione di un terreno (questo metodo di analisi parte dal principio che gli strati più profondi del sottosuolo, nonché gli oggetti ritrovati al loro interno, sono i più antichi). L’archeologo, a volte con l’aiuto di un geologo, sarà in grado di comprendere la geologia della zona da investigare e di rilevare se vi siano tracce significative di un’antica occupazione umana. A dipendenza del mobilio archeologico ritrovato e della sua tipologia, egli sarà in grado di fornire un parere relativo al periodo di frequentazione del sito e la sua importanza scientifica. Questo tipo d’intervento è molto utile perché permette di pianificare i lavori di scavo di un sito a rischio ed evitare così, successivamente, problemi di scadenze, ritardi o altro. Esso deve essere realizzato il più presto possibile ed in accordo con tutti i parter coinvolti! Ricordiamo tuttavia che i sondaggi preventivi, anche se condotti in maniera metodica, possono rivelarsi, a volte, infruttuosi, in quanto la scoperta di vestigia può essere fatta in maniera casuale. Il sottosuolo riserva infatti sempre delle sorprese, anche agli sguardi più attenti degli archeologi…

E venne il giorno in cui l’uomo scoprì il fuoco, l’arte, l’agricoltura e la sua intelligenza…

Montaggio tende

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Se i sondaggi risulteranno positivi, in altre parole se verranno ritrovati elementi di significativo valore scientifico come strutture (fondamenta di antichi muri, sepolture, strade, focolari,…) e/o mobilio archeologico (ceramiche, ossa, utensili, parures, monete,…), segni di un’antica presenza umana, inizierà la vera e propria fase d’intervento archeologico: lo scavo del sito potrà quindi incominciare.

Il Team di ricerca sul campo

Uno scavo archeologico, a dipendenza della grandezza dell’area, dall’urgenza e dal budget finanziario a disposizione, potrà impiegare dalle 2-3 persone per sondaggi preventivi di piccole zone, fino a centinaia di persone per grandi scavi. La sua durata può anch’essa variare: da qualche giorno, settimane o mesi, fino a diversi anni di scavo per grandi cantieri archeologici (in Svizzera lo furono ad esempio gli scavi legati ai grandi cantieri autostradali degli anni ’70 -’80, periodo nostalgicamente oggi ricordato dagli stessi archeologi come «l’epoca d’oro dell’archeologia»).

Il team di ricerca sul campo è costituito generalmente da un capo cantiere (un archeologo o un tecnico degli scavi) che dirige e coordina i lavori, da archeologi che forniscono un appoggio scientifico e pratico allo scavo, da un topografo che aiuterà a rilevare l’esatta localizzazione delle strutture e, se necessario, ricostituirà digitalmente in 3D la geo-morfologia di un terreno, da uno o più fotografi e da numerosi «scavatori», così vengono definiti, anche troppo superficialmente, le diverse persone che contribuiscono fisicamente, e non solo, allo scavo di un sito. Notiamo che raramente integrato al team scientifico vi è la presenza di un geologo, tuttavia estremamente importante per lo studio stratigrafico di un terreno. Nel caso in cui fossero scoperte delle strutture comportanti dei resti umani e particolarmente in presenza di sepolture, si ricorrerà al parere di un antropologo, mentre se vi saranno importanti rinvenimenti di ossa d’animale potrà essere contattato un archeozoologo per un’analisi direttamente sul campo. Malgrado sia un mondo in prevalenza maschile, l’archeologia è oggi un campo lavorativo dove le donne sono ben rappresentate.

A capo di tutto questo staff di persone, vi può essere un’impresa privata d’investigazioni archeologiche che, una volta ricevuto l’incarico statale, organizzerà ed ingaggerà il team di ricerca o, direttamente, il Servizio archeologico cantonale. Spesso tali servizi, per ridurre i costi del personale e far fronte ai piccoli budget che gli vengono annualmente attribuiti dalla

Confederazione, tendono ad assumere persone non qualificate, a volte con poca esperienza nel campo, ingaggiando numerosi giovani studenti universitari nel corso delle loro vacanze estive, personale proveniente da altri settori che poco hanno a che fare con l’archeologia od attingendo da altri servizi pubblici come, ad esempio, da quello civile. È anche vero che, per grandi scavi, vi è il bisogno di molti «scavatori», ma inutile dire che più un team di scavo sarà composto da personale qualificato, diplomato e con esperienza, più il lavoro sarà condotto e svolto in modo professionale ed efficace. Del resto non è forse così che funziona anche in molti altri settori lavorativi di oggi?

Lo scavo

L’organizzazione ed i metodi adottati per uno scavo dipendono molto dal budget finanziario stanziato dalla natura del terreno dove si trova il sito archeologico e dal tempo a disposizione. Se lo scavo deve essere svolto nell’estrema urgenza, come spesso accade, ci si affiderà ai «mezzi corazzati», vale a dire, a grosse scavatrici, buldozzers e dumpers che effettueranno scavi di superficie ed evacueranno la terra nel minor tempo possibile, nonché a numerose persone che, con l’utilizzo degli attrezzi dell’archeologo, cercheranno di mettere alla luce tutte le strutture e gli oggetti possibili. A titolo di conoscenza, lo scavo del Mormont, nel canton Vaud, sito dove fu ritrovato nell’estate del 2006 forse il più importante santuario celtico risalente alla fine dell’età del Ferro (circa 100 a.C.), fu svolto in condizioni di estrema urgenza, e questo nonostante il grande valore scientifico della scoperta, una situazione che portò alla perdita considerevole di molte informazioni archeologiche (sullo scavo e sugli articoli di stampa riguardanti «il santuario degli Elvezi» si consiglia di consultare il sito web www.lacollinadeicelti.ch). Tutte le strutture ed il mobilio archeologico di significativo valore scientifico saranno oggetto di uno scavo più minuzioso e di una documentazione rigorosa grazie ai metodi tradizionali di raccolta dati sul terreno quali la fotografia, il disegno e l’analisi descrittiva. Verranno in seguito eseguiti dei rilevamenti topografici ed altimetrici per l’esatta localizzazione delle stesse e del mobilio archeologico ritrovato. Al fine di facilitare la comprensione delle strutture, verrà di regola realizzato un profilo stratigrafico, anch’esso documentato. Il mobilio più fragile (ceramiche, ossa,…) sarà, se necessario, trattato sul posto tramite gessaggio, applicazione di resine o armature al fine di preservarne l’integrità durante il trasporto ai laboratori di restauro e conservazione. All’interno di strutture specifiche (focolari, fosse,…) verranno normalmente effettuati dei prelevamenti sedimentari, preziosi per le analisi palinologiche (studio dei pollini) e sedimentologiche.

Scavi d’urgenza del Mormont

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Il post-scavo

Tutto il materiale recuperato sullo scavo sarà in seguito portato, dopo essere stato etichettato al fi ne di risalire alla sua esatta provenienza, nei relativi magazzini e laboratori nell’attesa di essere pulito, consolidato, restaurato e studiato attentamente. In generale, per la datazione di un sito archeologico, si ricorre dapprima all’analisi del mobilio archeologico ritrovato: di particolare interesse sono le monete, le fi bule (sorte di spille utilizzate come fermagli per i vestiti) e le ceramiche che permettono di datare, grazie alla loro tipologia, un sito in maniera diretta. Per la datazione, vengono inoltre prelevati dei frammenti di carbone di legno e, se conservati, di resti di legno sui cui si eseguiranno in laboratorio altre analisi, tra le quali, la datazione al Carbonio 14 (C14) e quella dendrocronologica. Il C14 è un isotopo radioattivo del carbone contenuto nella materia organica. La datazione al C14 è basata sull’analisi di questo isotopo che si disintegra per decadimento con un tempo di dimezzamento medio di 5730 anni a partire dal momento che un organismo muore. La dendrocronologia è un metodo di datazione basato sull’osservazione degli anelli di accrescimento degli alberi. Ogni albero registra infatti nel tronco la sua crescita sotto forma di anelli di spessore variabile secondo le variazioni climatiche nel corso dell’anno.

Gli archeologi ricorrono a volte alla sperimentazione archeologica, in altre parole, ricostruiscono materialmente, per quanto sia possibile, le fattispecie delle vestigia o degli oggetti

ritrovati con l’obiettivo di visualizzare praticamente come fossero le strutture e gli oggetti all’origine, avvalendosi anche delle migliori tecnologie informatiche tra cui le ricostituzioni virtuali in 3D. Per meglio comprendere alcune tecniche legate al passato, quali ad esempio, la fabbricazione di ceramiche o di oggetti in metallo, l’archeologia può basarsi anche sull’etnologia (studio dei popoli) cercando delle analogie con gli usi di alcune popolazioni facenti ancora ricorso a tecniche artigianali antiche.

La pubblicazione

Una volta elaborate tutte le informazioni archeologiche relative ad uno scavo ed emesse le varie ipotesi sull’occupazione, la frequentazione e l’abbandono del sito, seguirà una pubblicazione dei dati sotto forma scritta (libri, articoli su riviste specializzate,…), orale (convegni, conferenze stampa, interviste radiofoniche) e multimediale (documentari televisivi, DVD’s e CD’s, siti internet,…). Gli oggetti ritrovati e le loro ricostituzioni saranno oramai pronti per essere presentati al pubblico nei relativi musei. Peccato, però che oggi quello che viene esposto pubblicamente rappresenti, di regola, solo una piccolissima parte di tutto quello archiviato all’interno di molti anonimi sotterranei e magazzini. Dove vi sarà la possibilità, le vestigia ancora ben visibili e ben conservate come lo possono essere, ad esempio, un teatro, un anfi teatro, un foro romano, le fondamenta di una casa o di una antica chiesa, saranno preservate e messe in valore là dove sono state ritrovate, questo per il piacere di grandi e piccoli.

Scoperta di reperti archeologici

Scavo archeologico del Mormont, nel canton Vaud (2006)

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24Oltre la passione

Non è facile trovare un posto di lavoro come archeologo, infatti visto la particolarità del settore stesso, è raro di vedere un’offerta d’impiego in un giornale. L’archeologia è un circuito piuttosto ristretto dove, il più delle volte, è per un «sentito dire» che si trova lavoro. Si possono ad esempio consultare i vari Dipartimenti di archeologia delle diverse Università dove vengono apposte utili informazioni a riguardo, contattare direttamente i Servizi archeologici cantonali o le poche imprese private svizzere di archeologia.

Lavorare all’esterno e nell’urgenza

Essendo principalmente un lavoro all’aria aperta, l’archeologia è soggetta di conseguenza alle bizze del tempo: la pioggia, il freddo, ma anche le giornate molto calde e afose, saranno così le principali difficoltà che un archeologo, ed uno scavo, dovranno affrontare. Nei periodi di pioggia, fango ed acqua saranno gli «amici» inseparabili dell’archeologo…e dei suoi vestiti! Tuttavia, contro le intemperie, vengono istallati sul sito dei ripari di fortuna o delle tende da cantiere, quest’ultime riscaldate nei periodi freddi. Ricordiamo che, in generale, l’archeologo provvede al suo proprio riparo, a quello delle vestigia, nonché alla costruzione delle altre tende, dando prova anche della sua ingegnosità. Fisicamente, le articolazioni, nonché il dorso, sono tra i punti più sollecitati dal mestiere di archeologo. Nell’arco di una giornata, l’archeologo si ritroverà infatti spesso chinato per effettuare uno scavo manuale di una superficie o di una struttura archeologica. Del resto scavare non è, forse, uno dei ruoli principali di questo lavoro?

Un’altra difficoltà che può incontrare l’archeologo su di un cantiere di scavo è l’urgenza. Questo termine è oramai entrato nel linguaggio comune degli archeologi che praticano troppe volte il loro lavoro sotto la pressione e lo stress del tempo. Come in un gioco virtuale, gli archeologi conducono spesso una lotta contro il tempo per riuscire a salvare il maggior numero di oggetti e d’informazioni archeologiche possibili! Forse in futuro, grazie a sondaggi programmati con largo anticipo e finanziamenti più consistenti, l’archeologo ed il team di ricerca potranno eseguire con più tranquillità il loro lavoro.

Precarietà del lavoro e del salarioUno scavo archeologico, luogo di lavoro per eccellenza di un archeologo, può dipendere da molti fattori come, ad esempio, i finanziamenti, le condizioni meteorologiche e/o l’urgenza. Può dunque essere soggetto a diverse scadenze, rinvii, interruzioni o quant’altro che conducono l’archeologo ad una sorta di precarietà lavorativa costante. Per questi motivi l’archeologia si avvicina molto al lavoro su domanda (free-lance) o lavoro a tempo limitato. È difficile dire con precisione quello che guadagna oggi un archeologo che lavora in Svizzera. Diciamo che in generale un archeologo di terreno guadagna in media tra i 20 - 25 franchi lordi l’ora che, per 42,5 ore lavorative a settimana (orario estivo) corrisponde a 3400 – 4250.- franchi lordi mensili. Uno stipendio dunque ben al di sotto di molti altri settori lavorativi di oggi. Forse il motivo di un così basso salario è da ricercare proprio nella grande confusione sui titoli e ruoli da assegnare ad un archeologo al momento della sua assunzione.

Non preoccupatevi comunque troppo, perché la situazione salariale di un archeologo non è migliore neanche in altri paesi europei ed esteri. Ad esempio, nei paesi britannici, un archeologo di terreno che lavora per un’impresa privata di ricerche archeologiche arriva a guadagnare, secondo la sua formazione e la sua esperienza, non più di £ 7-12 lordi l’ora, il che equivale a circa 16-20 franchi, mentre oltre oceano, come ad esempio negli Stati Uniti, praticare questo lavoro vuol dire ricevere al massimo tra i 12-15 $ lordi l’ora. All’estero, vi sono numerosi organismi e società private d’investigazioni archeologiche che propongono la possibilità di lavorare per degli scavi, peccato che si tratti spesso di partecipazioni di volontariato o, addirittura, di «viaggi-scavo» a pagamento! Quando si dice il fascino dell’archeologia… Tutti questi «prodotti», unici per chi ama l’archeologia, lasciano comunque un gusto piuttosto amaro ai professionisti del campo.

L’archeologia fa dunque sognare, riflettere, vendere. Nascono così diverse emissioni televisive tra scienza e finzione che cavalcano quell’alone di mistero e di realtà, tra il sacro ed il profano, che solo l’archeologia riesce a diffondere. Ben vengano, purché sia chiaro, se si parla di archeologia, il confine tra verità e finzione, tra informazione scientifica e costruzione mediatica. Ma si sa, senza immaginazione è difficile anche per lo stesso archeologo poter ricostruire il passato dell’Uomo partendo solo da reperti archeologici e testi letterari antichi, anche perché non esiste nessuna macchina del tempo che possa condurre gli scienziati a confermare o no le loro tesi, tranne forse quella della nostra memoria…

Scavo d’inverno

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i punti di domanda30

Sapremmo pensare se non sapessimo parlare?di Sebastiano Brocchi

Il vocabolario del nostro pensiero

’altro giorno mi sono ritrovato a riflettere sul rapporto fra parole e pensiero. Nella fattispecie mi sono accorto che, seppure io pensi quasi sempre in italiano, in alcuni, rarissimi casi, mi capita di pensare in francese. Premetto che la mia

conoscenza della lingua di Victor Hugo non è certo eccelsa, ma il francese rimane pur sempre la lingua che conosco meglio dopo l’italiano. Ora, so bene che il “poliglottismo del pensiero” è un fenomeno naturale e per giunta molto diffuso in quelle persone che parlano più di una lingua. Se ricordo bene, non di rado al poeta Petrarca succedeva di pensare addirittura in latino!

Questo si deve al fatto che certi concetti, ci sembrano essere espressi “meglio” in una lingua piuttosto che in un’altra. Il che vale sia per singole parole, che per intere frasi. Alcuni termini, o modi di dire, trovano più “forza”, “completezza” e “ricchezza” in lingue straniere, tanto che il nostro cervello tende ad assumerli non solo per l’espressione orale ma, come si è detto, anche per il ragionare “fra sé e sé”.

Soffermandomi su questi concetti, sono sorti in me diversi dubbi sull’essenza stessa del pensiero e del linguaggio. In primis, mi sono accorto che quasi tutti i nostri pensieri sono di natura lessicale, ovvero noi pensiamo quasi sempre in una lingua. Gli unici pensieri che fanno eccezione sono i pensieri “per immagini”, che però sono spesso pensieri legati all’immaginazione appunto, alla fantasia e alla creatività di tipo artistico, e non al ragionamento. Altra eccezione può essere costituita dai pensieri “musicali”, ossia quando ci viene in mente una melodia, ma in questo caso può trattarsi o di memoria (e quindi dell’evocazione mentale di melodie già udite) o, ancora una volta, di fantasia (quando “creiamo” o meglio componiamo una melodia).

Il ragionamento, il calcolo, la riflessione, invece, come detto, è praticamente sempre legato a doppio filo al linguaggio. Fateci caso: quando pensiamo, è come se formulassimo delle frasi nel nostro cervello. Ad alcune persone capita persino di parlare fra sé e sé a bassa voce mentre riflettono. Tutto questo se volete è molto strano, perché mai dovremmo applicare un lessico e una grammatica a ciò che avviene intimamente nella nostra testa?!

Ma c’è una domanda alla quale risulta ancor più difficile rispondere: come pensavamo prima di imparare un linguaggio? Il dubbio potrebbe essere “se” pensavamo. Sembra che gli psicologi, in questo, siano abbastanza concordi: sì, da bambini pensiamo, anche prima di imparare un linguaggio. Tuttavia è difficile capire (o piuttosto ricordare) come potessero essere le nostre riflessioni “analfabete”, e questo proprio perché ora che siamo cresciuti ci è praticamente impossibile prescindere dalle lingue per formulare interiormente anche i concetti più semplici.

Ascoltate, anche ora che state leggendo, cosa avviene nella vostra mente. Vi accorgerete che dentro di voi stanno formicolando le prime opinioni su quanto avete letto. E se fate attenzione, sentirete che tali opinioni si esprimono in parole! Ed ora pensate a quando programmate la vostra giornata: è come se una “vocina” (tra virgolette poiché si tratta di una voce senza audio) dicesse: “Quando avrò finito di leggere l’articolo dovrò uscire per andare in uno o nell’altro posto, ricordarmi di prendere questo e quello, incontrare Pinco o Pallino, ecc..” Insomma, la vostra mente si comporta proprio come se dovesse parlare a qualcuno ad alta voce. Si potrebbe pensare che quando riflettiamo tra noi il nostro utilizzo del linguaggio avvenga ad un livello meno elaborato e completo di quando dobbiamo comunicare con gli altri, ma anche questo non è del tutto vero, anzi. Spesso è il contrario, nel senso che “dentro di noi” ci prepariamo tutti dei discorsi “perfetti” e poi quando ci tocca farli per davvero alla persona cui sarebbero stati destinati ci sembra di “non trovare più le parole”! Buffo, non trovate?

Alla luce di queste riflessioni, credo che il pensiero dei bambini o di chi non conosca alcuna forma di linguaggio, debba essere per forza di cose un pensiero-sentimento, e non un pensiero-raziocinio. Una fase ossia in cui il pensiero coincida con il vissuto sentimentale sia emotivo (legato al mondo esterno) che interiore. Forse è proprio con la comparsa della parola-linguaggio che al pensiero è data la possibilità di svincolarsi dalla sincerità dell’esperienza sentimentale, e quindi, ripeto e sottolineo il “forse”, ci sarebbe impossibile mentire agli altri e a noi stessi senza linguaggio. Con questo non voglio assolutamente demonizzare il linguaggio, che anzi è il requisito primario per la formazione di civiltà culturalmente organizzate; ma forse la riflessione sul pensiero “analfabeta”, coincidente con la sensazione e il sentimento, potrebbe farci guardare al linguaggio con occhi nuovi e rinnovata consapevolezza, ricercando il cuore e non soltanto (o non prioritariamente) la forma dei concetti che ci troviamo a pensare ed esprimere attraverso il linguaggio.

I punti di domanda. Riflessioni filosofiche, domande esistenziali e crescita spirituale

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costume & società31

A Carnevale ogni scherzo vale...di Nicoletta Di Marco

e sue radici sono da ricercare mol-to lontano, geografi camente e cronologicamente. Già gli egizia-ni, infatti, accompagnavano per

le vie delle città una sfi lata di buoi, che sa-rebbero poi stati sacrifi cati al dio del Nilo, cantando e ballando vestiti in maschera. I greci festeggiavano le dionisiache, mentre i romani si davano alla pazza gioia durante i baccanali, animando le vie della città con danze e cortei in maschera, accompagnati da litri di vino. I romani, credevano infatti che le divinità uscissero dal suolo durante l’inverno, quando la terra incolta riposa, e dovessero quindi essere placati ed invitati a tornare nell’aldilà e a benedire i raccolti con doni, offerte e festeggiamenti in loro onore. A Marzo si svolgevano i Saturnali, periodo di sette giorni in cui l’ordine socia-le veniva sovvertito e le gerarchie momen-taneamente eliminiate: gli schiavi diven-tavano padroni e i padroni schiavi. Un re della festa eletto dal popolo era incaricato di organizzare i giochi e gli spettacoli nelle piazze. Il detto Semel in anno licet insani-re (una volta all’anno è lecito impazzire), ben rappresenta lo spirito di quei festeg-giamenti, e perché no, anche del nostro carnevale. Durante il Medioevo, la chiesa inizialmente tollerò le feste popolari. Du-rante il Carnevale tutti si consideravano uguali, il senso di estraneità spariva e si stabilivano forme di comunicazione che abolivano ogni distanza, ma a partire dal 400, alcuni moralizzatori che ritenevano fosse una festa “troppo pagana” attacca-rono duramente questa consuetudine. Nel tardo Medioevo si diffuse il travestimento, grazie al quale era permesso lo scambio di ruoli, la beffa, anche dei potenti, i cui vizi e malcostumi venivano trasformati in maschere. Grazie agli attori della Comme-

dia dell’Arte, alcune di queste maschere presero vita, diventando tipici personaggi carnevaleschi che ben rappresentavano i vizi e le debolezze della società.

Etimologicamente, il termine Carnevale potrebbe derivare da “carrus navalis”, in riferimento ai carri a forma di nave uti-lizzati nell’antica Roma durante le pro-cessioni di purifi cazione, come anche da “carnem levare”, relativamente all’usan-za medievale di allestire ricchi banchetti nel periodo precedente alla quaresima, in cui era imposto il digiuno.

Durante i secoli, il Carnevale, ha stimola-to la nascita di celebrazioni, in cui veni-vano evidenziate le lotte fra varie parti di una stessa Città (quartieri, rioni), o fra classi sociali diverse dei cittadini.

Dell’antico spirito del carnevale è sicura-mente giunta fi no a noi l’espressione del bisogno di un temporaneo scioglimento degli obblighi sociali e delle gerarchie per

lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo ed anche alla dissolutezza.

Carnevale romano e ambrosiano

Il carnevale è una festività mobile, in quanto legata, nei paesi cattolici, alla ce-lebrazione della Pasqua. Ne esistono due “versioni”: quello romano e quello Am-brosiano, detto anche “carnevalone”. La differenza è nella durata: il primo inizia la settima domenica prima della settimana santa e fi nisce il “martedì grasso” ante-cedente al mercoledì delle Ceneri, che se-gna invece l’inizio della Quaresima. Dura quindi circa due settimane tra febbraio e marzo. Nell’arcidiocesi di Milano, secon-do la tradizione, Sant’Ambrogio, doveva ritornare in città da un pellegrinaggio a carnevale, in tempo per celebrare i primi riti della quaresima, ma ritardò ed in città si continuarono i festeggiamenti fi no al suo arrivo. Da ciò deriva che dove si segue il rito ambrosiano, cioè nell’arcidiocesi di Milano e in alcune altre vicine, i festeg-giamenti durano quattro giorni in più, fi no al sabato.

Per secoli, il Carnevale in Europa è stato una ricorrenza celebrata per dare il benvenuto al nuovo anno e salutare l’imminente arrivo della primavera. Da festa contadina animata da cortei di maschere raffi guranti fantasmi o anime dei morti che servivano a proteggere i vivi e il raccolto, si è trasformato in un evento ben più allegro e chiassoso.

Dell’antico spirito del carnevale è sicuramente giunta fi no a noi l’espressione del bisogno di un temporaneo scioglimento degli obblighi sociali e delle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo ed anche alla dissolutezza.

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Carnevale nel mondo

Tra i carnevali più famosi del mondo non si può non citare quello di Rio de Janeiro con le sue sfilate di carri e la competizioni fra le migliori scuole di samba del mondo. Un delirio di luci, musica, gente e paillettes che riempie la città per la gioia dei carioca e delle migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo. Il carnevale di Colonia è una festa dedicata e dominata dalle donne che prendono il comando della città e, mascherate, “catturano” i loro compagni e tagliano loro la cravatta. A Nizza, ogni anno oltre alle consuete sfilate dei carri, si svolge la battaglia dei fiori. Molto conosciuto è anche il carnevale di Notting Hill, che si celebra nell’omonimo quartiere di Londra, in cui è stato importato dagli immigrati caraibici, animato dai Mas (gruppi mascherati), da gruppi musicali chiamati Soul e Calipso, bande di percussionisti, gruppi di ballerini e musicisti di strada.

Nella vicina penisola fra i numerosi festeggiamenti carnevaleschi si annoverano l’esclusivo Carnevale di Venezia, con le sue maschere tradizionali, da Brighella a Colombina, e le feste nei sontuosi palazzi settecenteschi. Il Carnevale di Putignano è molto conosciuto e popolato, come anche quelli di Viareggio e Acireale.

In Svizzera, il carnevale di Basilea è un evento ad altissima partecipazione popolare, a cui prendono parte più di ventimila persone. Qui il carnevale inizia il lunedì dopo le Ceneri con il Morgestraich, cioè la marcia con le caratteristiche lanterne lungo le vie del centro storico. La festa prosegue fra musica, cortei e maschere fino al giovedì. Il Carnevale di Lucerna è invece incentrato sulla figura del Fritschi, un uomo avanti con gli anni, che insieme alla sua famiglia, gira su un carro per le vie accompagnato da un corteo, ovviamente in maschera.

In Ticino

In tutto il nostro Cantone, il carnevale è una festa molto sentita. Tra maccheronate, balli, sfilate in costume e guggen, da Biasca a Chiasso, da Tesserete a Bellinzona, nessuno disdegna di farsi trascinare dall’atmosfera gioiosa e goliardica di questa festa. Ogni carnevale ha il suo re e la sua corte ad aprire le danze in un turbinio di maschere e colori.

Curiosità

I coriandoli si chiamano così perché quelli che venivano anticamente lanciati da carri e balconi erano semi della pianta di coriandolo ricoperti di gesso.

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Programma Carnevale in Ticino 2010

02.02 - 07.02 Roveredo Carnevale Lingera02.02 - 07.02 Cugnasco-Gerra Carnevale Sciavatt e Gatt02.02 - 02.02 Massagno Carnevale Massagnese03.02 - 06.02 Arbedo Asinopoli03.02 - 07.02 Novazzano Carnevale Ul Zanzara03.02 - 06.02 Novaggio Carnevale di Novaggio04.02 - 07.02 Bironico Carnevaa di Scimas04.02 - 06.02 Cevio Re Borsoi

04.02 - 06.02 Prosito I Gosc05.02 - 06.02 Davesco-Soragno Carnevale05.02 - 06.02 Arogno Carnevale Re Becco06.02 - 07.02 Pedrinate Carnevale “Quii dala Pult”06.02 - 06.02 Solduno Carnevale Ribellonia06.02 - 07.02 Isorno Carnevale Onsernonese06.02 - 06.02 Lamone Carnevaa a Lamon07.02 - 07.02 Minusio Carnevale dei Lipa07.02 - 07.02 Vernate Carnevale Vernate07.02 - 07.02 Avegno Carnevale di Avegno07.02 - 07.02 Melano Carnevale di Re Nisciölin07.02 - 07.02 Capolago Carnevale Ul lümagari10.02 - 10.02 Caslano Carnevale di Caslano11.02 - 16.02 Bioggio Carnevaa di Sciuri11.02 - 16.02 Chiasso Nebiopoli11.02 - 16.02 Bellinzona Rabadan11.02 - 16.02 Mendrisio Il Dormiglione11.02 - 13.02 Besazio Carnevale di Besazio11.02 - 20.02 Castel S.Pietro Carnevaa di Cavri da Castell11.02 - 17.02 Riva San Vitale “ul RACULA”11.02 - 14.02 Porza Carnevale Ul Saltasciüc11.02 - 11.02 Arogno Carnevale Zanett12.02 - 16.02 Magliaso Carnevale Badola12.02 - 13.02 Locarno La Stranociada12.02 - 14.02 Molino Nuovo Carnevale di Molino Nuovo13.02 - 13.02 Sessa Carnevale Mongiavacch13.02 - 13.02 Massagno Carnevale Massagnese13.02 - 13.02 Manno Carnevale Re Tecet13.02 - 13.02 Morcote Carneva da Morcò14.02 - 16.02 Arosio Carnevale Arosio14.02 - 14.02 Pura Carnevale Berinopoli14.02 - 20.02 Someo Carnevale di Someo14.02 - 14.02 Genestrerio Carnevale Zenebritt

14.02 - 14.02 Brè sopra Lugano Cai & Baregott14.02 - 20.02 Osogna Re Bordell15.02 - 20.02 Bodio Carnevale di Bodio15.02 - 20.02 Faido Carnevaa Da Fait15.02 - 16.02 Sonvico Zocoron e Porscein16.02 - 16.02 Ponte Tresa Carnevale Tresiano16.02 - 16.02 Castelrotto Carnevale Croglio16.02 - 16.02 Ascona Carnevale di Ascona16.02 - 16.02 Salorino Carnevale Micitt16.02 - 16.02 Comano Carnevale di Comano17.02 - 20.02 Claro Carnevale di Claro17.02 - 20.02 Biasca Re Naregna18.02 - 20.02 Tesserete Carnevale Or Penagin18.02 - 20.02 Preonzo Carnevale Scrobion18.02 - 20.02 Gnosca Carnevale di Gnosca18.02 - 20.02 Ludiano Chiesciabòsc Ludiano18.02 - 21.02 Brissago Carnevale di Re Pitoc19.02 - 20.02 Cademario Carnevale di Cademario20.02 - 20.02 Ghirone Carnevale di Ghirone20.02 - 20.02 Breno Carnevale di Asen20.02 - 20.02 Ponte Capriasca Carnevaa Fiuu da Zücc21.02 - 21.02 Gordevio Carnevale Re Painach

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di Gianni Vescovi

Volvo XC60

ovente i veicoli fuoristrada o grandi monovolumi sono indicati come dei pericoli per la sicurezza in zone urbane e in particolare per i pedoni. La XC60 non fa parte di questa categoria grazie al sistema City Safety messo

a punto dalla casa svedese. In effetti questo sistema riduce al minimo i pericoli di collisione, sia con i veicoli che lo precedono (solo quando la velocità è superiore ai 30 km/orari), sia con i pedoni che, talvolta distratti o indisciplinati, attraversano davanti al veicolo. In questi casi il dispositivo, grazie ad un raggio laser, fa scattare automaticamente la frenata d’emergenza.Ovviamente non è tutto: molteplici dispositivi fanno parte della confi gurazione di serie della Volvo XC60 in tema di sicurezza. Come sempre in questi casi è impossibile elencarli tutti nello spazio che abbiamo a disposizione ma possiamo tranquillamente affermare che, in materia di sicurezza attiva e passiva, sulla Volvo XC60 siamo al massimo livello per quanto la tecnologia moderna può offrire. Vorremmo tuttavia citare il sistema di rilevamento automatico, con segnale luminoso sullo specchietto retrovisore e segnale acustico nell’abitacolo quando un veicolo sta sorpassando e si trova nell’angolo cieco dell’auto. Questo sensore si chiama BLIS blind spot. È proposto in opzione ma è un “investimento” molto gradito se dovesse capitarvi di voler sorpassare senza accorgervi che nello stesso momento siete sorpassati da un altro veicolo.

La linea e gli interni

Una linea bellissima senza troppi fronzoli, studiata nella galleria del vento e dal computer, per contribuire ancor più al risparmio di carburante. Un interno veramente confortevole spazioso e funzionale.. per il conducente una visione perfetta della strumentazione e dei comandi, compresi quelli al volante, accessibili istintivamente. Lo spazio del bagagliaio è generoso e, come sempre, aumenta considerevolmente a sedili posteriori reclinati. L’apertura e la chiusura del portellone avviene elettricamente grazie al pulsante sul telecomando quando avete le mani occupate.

Su strada

Un viaggio di più di duemila chilometri fi no nel nord della Francia e ritorno su autostrade e strade statali. Un vero piacere spostarsi per diverse ore senza avvertire un benché minimo segno di disagio. Motore brillante e silenzioso, sospensioni e freni di qualità, trazione costante sulle quattro ruote motrici, un Hill Descent Control, il sistema di controllo della velocità in discesa che, per la verità, ci è capitato una volta sola ma in quella occasione eravamo contenti di averlo. Durante il viaggio l’impianto audio Performance Sound distilla musica attraverso sei altoparlanti come in una sala da concerto.

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Alcune settimane or sono abbiamo avuto il piacere di incontrare Lotta Jakobsson, responsabile del settore sicurezza Volvo a livello mondiale. In quell’occasione la signora Jakobsson ci ha illustrato tutto quanto Volvo propone per la sicurezza dei suoi passeggeri, ma anche per gli altri utenti della strada.

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HHHHHGiudizio complessivo

Ci piace

piacere di guida su ogni percorsomassima sicurezza attiva e passivabassi consumidesign molto riuscito

Non ci piace

l’inesattezza del tachimetro(forse dovuto al tipo di gomme)

Il modello in prova

Volvo XC60Frs. 56.200.— (listino)

Con la motorizzazione diesel 2,4L si può avere un prezzo base ancora più interessante di Frs. 52’300.—Per avere il sistema di navigazione integrato bisogna sborsare Frs. 3’500.— in più. Per il dispositivo BLIS Blind Spot: Frs. 800.—Nelle versioni momentum e summum tutti gli allestimenti più importanti e soprattutto utili sono compresi.

Prezzo auto in provaFrs. 66.200.—

Nella ricorrenza del cinquantenario della prima cintura di sicurezza a tre punti la Volvo ha invitato la stampa al Club di Golf di Holtzhäusern.

Per celebrare l’anniversario, la nuova presidente di Volvo Svizzera Anouk Po-elmann era accompagnata da Lotta Ja-cobsson la direttrice del Centro sicurez-za della casa svedese.La signora Jakobsson ha sottolineato l’importanza di questo congegno messo a punto da Nils Bohlin e degli sviluppi successivi che la casa svedese ha intro-dotto sui suoi modelli negli ultimi cin-quant’anni di storia. Le statistiche di-mostrano che dal lontano 1959 più di 1’000’000 di vite sono state salvate gra-zie all’invenzione di Bohlin. Oggi, gra-zie alle cinture,una vita è salvata ogni 7 secondi. Da sempre la Volvo ha avuto la sicurez-za quale priorità. Negli anni 60 lo slogan negli annunci pubblicitari era “Volvo, l’auto per la Svizzera” un’auto sicura, solida, costruita con acciai svedesi rino-mati come i migliori sul mercato. Poi, a nostro parere, il costruttore svedese ha un po’ dormito sugli allori….Da alcuni anni tuttavia si è decisamente risveglia-to e i risultati non si sono fatti attende-re. Il risultato senz’altro più significativo

lo ha ottenuto proprio in Svizzera dove le vendite, in un momento difficile come quello che stiamo vivendo, sono in netto rialzo con un modello, la XC60 che occu-pa il 2° rango assoluto in una categoria molto affollata con 1334 vetture vendu-te nel 1° semestre del 2009.In questo periodo hanno venduto 3’763 vetture 2,8% in meno che nello stesso periodo del 2008 ma + 10,6 % del mer-cato auto totale, che ha subito una fles-sione dell’11,89%. Se le cifre di vendita sono nel nero, tutti i modelli Volvo, tranne rare eccezioni, sono nelle cifre verdi, per i valori bassi di consumo e di emissioni CO2. Il miglior esempio viene dalla V50 1,6 D DRIVE che dispone del sistema start/stop: consuma 3,9 l, con un’emissione di soli 104 gr di CO2.Con l’introduzione nel 2012 del model-lo plug-in ibrido, l’obiettivo della Volvo sarà quello di limitare le emissioni attor-no agli 80gr per poi ottenere il traguar-do di 0 gr che vorrebbero raggiungere prima del 2020.

Prestazioni

Grazie ad una motorizzazione diesel cin-que cilindri, una vera specialità Volvo, abbiamo risparmiato sul consumo. La media del test di soli 7,2 litri al 100 è da considerare molto bassa se si pensa che questo veicolo pesa oltre 1800 kg. 151 CV e 420 Nm di coppia. Velocità massima 210 km/ora (da consumare con estrema atten-zione e soltanto sui tratti autostradali in Germania laddove consentito)

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cenari mozzafi ato, realismo senza precedenti, un altro mondo costruito in ogni più piccolo dettaglio dal genio visionario di James Cameron: sono questi gli aspetti più travolgenti di Avatar, la nuova epopea fantascientifi ca che ha conquistato il pubblico mondiale. Quattro anni di lavorazione e 500 milioni

di dollari sono serviti per regalarci un viaggio fantastico nel mondo di Pandora e raccontare l’incredibile avventura dell’ex-marine Jake Sully (Sam Wortinghton), della dottoressa Grace Augustine (Sigourney Weaver), della bella Neytiri (Zoe Saldana) e del popolo Na’vi. Scene suggestive e insolite, per un fi lm di fantascienza, ci trasportano in un universo lontano, in cui Cameron dà forma e vita a un’elegia che corre saldamente sulle note della tradizione americana: la conquista del West e l’avida ricerca di oro e petrolio che hanno portato allo sterminio dei pellerossa, della loro cultura e del loro mondo. Allo stesso tempo si muove tra le pieghe della modernità, rappresentando una battaglia aerea che ricorda e denuncia ogni guerra intrapresa dagli Stati Uniti, spostando poi l’attenzione sul rapporto tra uomo e scienza e sull’incontro-scontro con il diverso, l’altro, l’alieno. Fa da sfondo a questa struttura tematica un “miyazakiano” impianto ecologista, laddove l’ottusità e la brutalità degli uomini, arroganti conquistatori, è contrapposta all’armonia con cui gli indigeni vivono in perfetta simbiosi con la natura, rispettandola e temendola. Ma l’aspetto più straordinario è la creazione ex novo di un intero ecosistema in tutte le sue sfumature e l’idea che i Na’vi siano connessi con l’ambiente, le piante e gli animali. Questo è di certo l’elemento più poetico e al tempo stesso più coinvolgente del fi lm. Tutto ciò Cameron lo racconta con un senso dello spettacolo incredibile: alti una volta e mezzo una persona, con corpi sinuosi e aggraziati a sembrare l’incrocio tra un uomo e un felino, i Na’vi vivono in un’ambientazione incantevole, lussureggiante e al tempo stesso irta di pericoli. Strabilianti sono, infatti, tutte le creature del mondo di Pandora, a cominciare dai draghi, sorta di pterodattili cavalcabili, che danno vita a sequenze di volo meravigliose, complice la suggestiva profondità di campo alla Orson Wells, garantita da un 3D senza effetti stupefacenti, ma per questo concreta e verosimile. Altrettanto incredibili sono le esplorazioni della giungla che Jake compie con il suo avatar in compagnia di Neytiri. Nulla di ciò che si vede è reale, ma al tempo stesso così vero e credibile da pensare di poterlo visitare, quasi toccare con mano. Ecco il punto di svolta cui Avatar conduce il cinema mondiale. Spingere il linguaggio cinematografi co verso una nuova frontiera, quella in cui l’innovazione tecnica è messa al servizio delle emozioni. Uno degli obiettivi primari del cinema, fi n dai tempi della sua nascita, è stato, infatti, quello di emozionare, facendo vivere allo spettatore sensazioni indimenticabili, tentando in tutti i modi di stupirlo. E la nuova frontiera raggiunta qui dalla “performance capture” (quel sistema che consente di creare personaggi digitali applicando sensori al corpo degli attori) riesce superbamente nell’intento. A questo punto, però, il

AvatarSuggestiva elegia, narrazione sofferente: capolavoro mancatorecensione di Alberto Scarpellini

L’iconografi a di Avatar

Avatar o avatara è un termine di origine indù che signifi ca letteralmente “disce-so”. Nella tradizione induista rappresenta la forma, il corpo fi sico nel quale s’incar-na la divinità quando scende dal mondo celeste a quello della materia. Ogni qual-volta si assiste al declino dell’etica e della giustizia, la divinità giunge sul pianeta per combattere e distruggere il Male. È esattamente questo che rappresenta Jake Sully, chiamato appunto “l’uomo che vie-ne dal cielo”, predestinato a riportare la pace e l’equilibrio nel sensibile e mistico mondo di Pandora. E non a caso il colo-re degli avatar, come quello dei Na’vi, è blu, lo stesso colore di Krishna, ottavo avatar di Vishnu. Corpi fi liformi e ases-suati, comunione organica fra tutti gli esseri viventi del pianeta e riti collettivi di rinascita completano il quadro di un’ico-nografi a che rimanda al culto, anch’esso orientale, della Dea Madre.

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giudizio si divide, perché, se dal punto di vista tecnico l’opera di Cameron può essere considerata un film epocale, dal punto di vista narrativo mostra il fianco ad una critica tutt’altro che velata. Il grande entusiasmo suscitato dallo stupore visivo riceve purtroppo scarso sostegno dal modo un po’ superficiale in cui vengono trattati i tanti motivi esistenziali, nonché dal modo in cui sono caratterizzati alcuni personaggi, come la dottoressa Augustine, che meriterebbero ben altri sviluppi. La regia scivola veloce insieme alla sceneggiatura sulle grandi tematiche che Cameron mette in scena attraverso una narrazione non certo originale. Non è tanto la mancanza di originalità del soggetto a lasciare perplessi, quanto la presenza di situazioni troppo scontate e di personaggi stereotipati, come il Colonnello Quaritch (Stephen Lang), troppo scontato, che parla per cliché. Ammirevole certamente il coraggio con cui Cameron porta alla luce l’allarmante problema ecologico che minaccia il nostro mondo, ma non è altrettanto meritevole il modo in cui lo mette in atto, riducendo tutto a uno scontro bellico tra uomini ottusi e brutali, dotati di armi dalla potenza di fuoco devastante, e indigeni rispettosi della vita, costretti a combattere con archi e frecce. Ciò nonostante sarebbe sbagliato affossare quello che risulta nel complesso un film riuscito, capace di emozionare e travolgere lo spettatore, in cui non mancano momenti drammatici sostenuti da una colonna sonora all’altezza, che si sposa perfettamente con le emozioni suscitate dalla visione. Cameron edifica con forza e coerenza l’immagine di un mondo in cui tutte le creature sono connesse tra di loro e collegate inscindibilmente a quell’immenso essere vivente che è il pianeta. Una rappresentazione che, al di là delle debolezze narrative, ci vuole spingere ad ammirare la natura nella sua suggestiva bellezza, a rispettarla e a desiderare la comunione con essa.

Ma l’aspetto più straordinario è la creazione ex novo di un intero ecosistema in tutte le sue sfumature e l’idea che i Na’vi siano connessi con l’ambiente, le piante e gli animali. Questo è di certo l’elemento più poetico e al tempo stesso più coinvolgente del film.

Il figlio più piccolo

Ricerca del successo a qualsiasi costo e brama di denaro costituiscono il duplice motore d’azione per il nuovo film di Pupi Avati, che, dopo quarant’anni di carriera, rende omaggio alle commedie all’italiana degli anni ‘60 e ‘70. Christian De Sica, ab-bandonati gli eccessi da vacanziero nata-lizio, indossa ora i panni di Luciano, un immobiliarista approfittatore e mascal-zone che ha una relazione con Fiamma (Laura Morante), una donna bella ma poco concreta. I due decidono di sposarsi per sancire il loro legame, formatosi dalla nascita di due figli. Ma proprio nel giorno del matrimonio, conclusa la cerimonia in maniera affrettata, Luciano decide di an-darsene, dopo essersi intestato gli appar-tamenti di famiglia della moglie, grazie al cinico Sergio (Luca Zingaretti), commer-cialista di fiducia. Passano gli anni, i due bambini diventati grandi prendono stra-de differenti: Paolo, il figlio maggiore, la-vora in un locale del centro e odia il padre che l’ha abbandonato, mentre Baldo (Ni-cola Nocella), buono e generoso, vive con la madre e con Sheyla (Sidney Rome), una musicista californiana in cerca di successo. Nel frattempo, la crisi economica dei gior-ni nostri comincia a far sentire il suo peso e Luciano, nel tentativo da un lato di sal-vare la holding messa in piedi con i soldi della moglie e dall’altro di proseguire con la bella vita, coinvolgerà l’ingenuo Baldo nelle sue meschine e ipocrite macchina-zioni. Alla fine i nodi verranno al pettine nel modo più eclatante e doloroso possi-bile. Girato tra Bologna e Roma, Il figlio più piccolo è la conclusione della trilogia sui padri che Avati ha iniziato con La cena per farli conoscere (2007), per passare poi a Il papà di Giovanna (2008), mettendo in scena tre ritratti di uomini alle prese con le proprie responsabilità. In questo personale omaggio a un cinema che non esiste più, Avati dà voce, senza trascurare le risate e la leggerezza, ai drammi del-la società contemporanea, portati sullo schermo da un Christian De Sica che, af-frontando il primo ruolo cinematografico “serio” della sua carriera, ha la possibilità di dimostrare tutta la sua bravura, uscen-do dalla campana di vetro dei cinepanet-toni a cui ci ha abituati da anni.

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Prossime uscite

Paranormal Activitydi Oren Peli (5 Febbraio)Genere: HorrorCon: Katie Featherson, Micha Sloat, Mark Fredrichs, Amber Armstrong.

Prodotto con un budget di soli 15.000 dollari, arriva sugli schermi il “nuovo” The Blair Witch Project, già divenuto caso cinematografico negli Usa, dove in meno di un mese ha incassato oltre 64 milioni di dollari. Il film ha per protagonista una giovane coppia convinta di vivere in una casa infestata da una presenza malefica. I due decidono allora di installare una telecamera per registrare ciò che accade nella loro stanza da letto mentre dormono. Circa 90 minuti di puro terrore!

Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo – Il ladro di fulminidi Chris Columbus (12 Febbraio)Genere: AvventuraCon: Rosario Dawson, Pierce Brosnan, Uma Thurman, Sean Bean, Catherine Keener.

Il regista de I Goonies e dei primi due capitoli della saga di Harry Potter torna sul grande schermo in una nuova avventura fantasy con ancora un adolescente come protagonista. Percy Jackson, studente tutt’altro che modello e accusato di aver rubato il fulmine di Zeus, vivrà una vera odissea, che lo catapulterà da un paese all’altro fino al monte Olimpo, nel tentativo di catturare il vero ladro, salvare la sua famiglia e scoprire un mistero molto più potente degli dei stessi.

Invictus di Clint Eastwood (26 Febbraio)Genere: DrammaticoCon: Morgan Freeman, Matt Damon, Tony Kgoroge, Patrick Mofokeng, Matt Stern.

Il film racconta il tentativo di Mandela (Morgan Freeman) di riunificare il paese dopo la caduta dell’apartheid, con l’aiuto della star del rugby Francois Pienaar (Matt Damon). Le ferite del popolo sudafricano e la sua divisione interna vengono sanate grazie alla vittoria della Coppa del Mondo di rugby, che ha dato tanto ai bianchi quanto ai neri per una causa comune.

Uscite del numero precedente posticipate

An Educationdi Lone Scherfigin uscita il 15 Gennaio, posticipato al 5 Febbraio

Gamerdi Mark Neveldine e Brian Taylorin uscita il 22 Gennaio, posticipato al 19 Marzo

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BT consiglia39

Come è nato questo libro?

Il libro esce in questi giorni in libreria, ma una prima edizione (non in commercio) era stata pubblicata un anno fa, per celebrare il cinquantesimo anniversario della tv svizzera. Abbiamo provato a “sintetizzare” quei 50 anni in un libro e 5 DVD, ed è stata un’impresa da mal di pancia…

Quali sono stati i passaggi più signifi cativi che hanno segnato le stagioni della nostra televisione?

Al di là della sostanziale continuità che ha contrassegnato i cinque decenni della sua storia, soprattutto nei primi tempi la TSI ha attraversato alcuni passaggi chiave che idealmente potremmo individuare come pietre miliari: l’avvio della fase sperimentale, a Zurigo il 18 giugno 1958, con i “sette pionieri” guidati da Franco Marazzi; il trasferimento in Canton Ticino, con l’apertura degli studi di Lugano Paradiso, nel maggio 1961; l’introduzione della pubblicità, nel 1965; e naturalmente l’avvento del colore, nel 1968: e cioè ben otto anni prima della RAI.

Un anticipo questo che avrà qualche conseguenza anche in Italia…

La storia è interessante, e a suo modo divertente: fi n dall’inizio la TSI era vista dal pubblico di confi ne, fra Sondrio, Milano e Novara. Con l’avvio del colore, Grundig e Philips fi utarono l’affare e misero in piedi, con rivenditori e antennisti, una rete di ripetitori tv lungo tutta la penisola. Così la TSI si ritrovò ad avere un pubblico potenziale di decine di milioni di spettatori. Per vedere la TSI a colori, in pochi anni centinaia di migliaia di italiani acquistarono un televisore tedesco o olandese. E così la RAI e il governo italiano, che avrebbero voluto scegliere il sistema francese, il SECAM, si trovarono di fronte al fatto compiuto, e dovettero adottare il sistema tedesco PAL. A Roma ci hanno messo decenni a “perdonare” la TSI…

Epoche contrassegnate anche dai personaggi televisivi divenuti popolarissimi in Ticino. Chi merita menzioni particolari?

È sempre antipatico fare graduatorie di popolarità… Di fatto, però, alcuni dei volti TSI sono (o sono stati) talmente familiari fra il pubblico italofono in Svizzera che è impossibile non menzionarli. Prima fra tutti, direi, Mascia Cantoni, che a lungo – dalla sua prima apparizione come annunciatrice, nel 1961, ai tantissimi programmi che ha condotto – è stata il volto simbolo della TSI. Basti ricordare “Un’ora per voi”, che Mascia presentava con Corrado, e che tanta importanza ha avuto per gli immigrati italiani in Svizzera negli anni ’60 e ’70. E poi lo stesso Marco Blaser, presente fi n dal 1958 e in seguito direttore della RTSI fi no alle soglie del terzo

millennio; Maristella Polli e Bigio Biaggi, espressioni signifi cative – in modi diversi – di una televisione popolare di qualità; i volti dell’informazione, dal Siro Küng del vecchio “Regionale“ a Michele Fazioli; per non parlare degli idoli dei bambini: come dimenticare Scacciapensieri, il gatto Arturo, o il cane Peo? E aggiungerei, per arrivare a oggi, il “fenomeno” Matteo Pelli, che negli ultimi dieci anni ha saputo conquistare una popolarità enorme.

Come è cambiata la nostra TV in questo mezzo secolo?

Se si dà un’occhiata ai materiali video selezionati da Marco Blaser e Claudio Lazzarino, che si trovano su internet (www.rsi.ch/50anni), è impossibile non notare i cambiamenti: al di là del passaggio dal bianco e nero a colore, è il linguaggio televisivo nel suo insieme che si è evoluto, acquistando in dinamicità, ritmo, freschezza. Ma questo riguarda la tv in generale: per quanto riguarda la televisione svizzera, credo che il cambiamento più signifi cativo sia il passaggio da una tv, quella dei “pionieri”, in cui era ancora tutto da inventare, e tutti si ingegnavano in mille mestieri, magari improvvisando, con buona volontà e voglia di sperimentare, alla televisione di oggi in cui tutto va pianifi cato e non ci si può permettere di sbagliare perché la concorrenza è sempre in agguato.

Cinquant’anni con la televisione svizzeradi Nico Tanzi

Il tempo del tuo mondo

“Il tempo del tuo mondo. Cinquant’anni con la televisione svizzera” (edizioni Sprintsuisse), è un volume illustrato che ripercorre le tappe principali della storia della tv nella Svizzera italiana grazie anche a una ricca selezione di materiali fi lmati (curati da Marco Blaser e Claudio Lazzarino), visibili online all’indirizzo www.rsi.ch/50anni. Ne parliamo con l’autore, Nico Tanzi, che si occupa di Comunicazione alla RSI.

Ti dà la possibilità di acquistare il libro a 49 CHF (più spese) Puoi ordinarlo scrivendoci una lettera, un’e-mail o ordinandolo sul nostro portale:

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Cocker Spaniel

gile e coraggioso, non esita ad avventurarsi anche nella fi tta boscaglia alla ricerca di selvaggina, tanto da farne la razza prediletta da molti amanti dell’arte venatoria, utilizzata soprattutto per la caccia a conigli,

fagiani, pernici, quaglie e allodole. Il Cocker è infatti provvisto di un olfatto eccezionale, non teme intemperie o terreni accidentati ed è anche molto a suo agio nell’acqua.

Il Cocker Spaniel inglese è un cane allegro e vigoroso, ma anche dolce e affettuoso, che si adatta molto facilmente a vivere con i membri della famiglia, con cui generalmente instaura ottimi rapporti. Esprime il suo temperamento gioioso, con il perenne movimento della coda per cui è noto.

Origini

L’origine del Cocker Spaniel è piuttosto incerta: il nome sembra rimandare alla lingua spagnola, per cui molti ne individuano le origini proprio nella Penisola Iberica. Di sicuro l’utilizzo primario di questi cani era appunto legato alla caccia. I cocker avevano il compito di indurre la selvaggina ad alzarsi in volo, per poi essere catturata più facilmente dai predatori con le reti. Ne è documentata la presenza in Gran Bretagna già fi n dal 1300. Nel 1400 i cani da cerca venivano già defi niti “spaniel” ma la razza venne uffi cialmente riconosciuta dal Kennel Club solo nel 1893.

Aspetto

Il Cocker Spaniel inglese dovrebbe essere alto tra i 38 ed i 41 cm al garrese e pesare meno di 15 kg. Soprattutto gli esemplari maschi hanno la testa relativamente grande rispetto al resto del corpo. Il naso è abbastanza largo e gli occhi, generalmente di color marrone, esprimono intelligenza e dolcezza, conferendo al viso quella tipica espressione vivace e allegra. Le lunghe orecchie con l’attacco basso, ricoperte da un manto setoso con sfumature in vari colori, sono sicuramente il segno distintivo che

Cane da caccia ma non solodi Nicoletta Di Marco

Il Cocker Spaniel è in origine un cane da caccia, classifi cato come “cane da riporto - da cerca”, inimitabile nello scovare la preda nascosta e costringerla a fuggire, ma a dispetto di queste sue doti è anche un ottimo cane da compagnia, di bell’aspetto e dal carattere gioioso.

Scheda

Nome: Cocker SpanielOrigine: Gran BretagnaTaglia: Media Altezza: Da 38 a 41 cmPeso: Da 12 a 15 kgManto: Può essere di vari coloriIndole: Ottimo fi uto e ubbidiente

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rendono immediatamente riconoscibile la razza. Gli arti sono abbastanza corti, mentre la coda è attaccata leggermente più in basso rispetto alla linea del dorso. Fortunatamente l’uso di amputare la coda di questi splendidi esemplari è sempre meno frequente.

Il manto può essere di vari colori, dal bianco al nero, dal fulvo al rosso o anche con macchie o striature di più colori.

Carattere

Il Cocker Spaniel è un cane molto socievole, di norma anche con le altre razze, che oltre ad essere un buon compagno per gli adulti si presta anche al contatto con i più piccoli. È dolce e affettuoso, ha un temperamento attivo, attento e allegro. Apprende con facilità ma un è po’ testardo. Costante e impavido, il Cocker è spigliato e sicuro nei rapporti con le persone e con gli altri cani.

Cure

Solitamente questi cani sono piuttosto resistenti, godono di buona salute e sono abbastanza longevi. Le tipiche orecchie lunghe che li caratterizzano possono però essere causa di otiti: può infatti capitare che, strisciando a terra, queste possano incorrere in microbi, da cui generano infezioni. È quindi importante controllarle spesso ed assicurarsi che il canale uditivo sia sgombro. Bisognerebbe anche far verificare periodicamente lo stato di salute del proprio cane da un veterinario, per accertarsi che non vi siano in corso patologie come la leishmania e la filaria ad esempio.

Oltre ad essere spazzolato frequentemente e liberato dal pelo morto, il vostro Cocker necessita di periodiche toelettature per “domare” il manto folto. Il pelo ha in effetti bisogno di particolari attenzioni, regolari spazzolature e qualche spuntata ai piedi e alle orecchie, soprattutto durante i mesi estivi, quando bisogna prestare molta attenzione alle zecche.

Ambiente ideale

Come abbiamo già visto, i Cocker vivono piuttosto a lungo e si adattano facilmente anche alla vita in appartamento. L’importante è che i padroni non ne trascurino mai l’innato bisogno di movimento: non dobbiamo dimenticare che sono pur sempre cani da caccia in origine. Lunghe passeggiate e corse libere in spazi aperti in cui sia possibile anche entrare in contatto con altri cani sono fondamentali per la salute e la longevità di questa razza di cani. Ne consegue, che siano sconsigliati alle famiglie molto occupate e con poco tempo libero a disposizione.

Alimentazione

Il Cocker tende ad ingrassare se non segue una dieta corretta. Fino ai 6 mesi dovrebbe mangiare tre volte al giorno, per passare a due o una dopo il primo anno di età. Cibi preparati in casa e ben equilibrati a livello calorico e nutritivo sono l’ideale, ma se proprio non è possibile cucinare ogni giorno, si può sempre ripiegare sulle crocchette (ricordiamo che è fondamentale rivolgersi a personale qualificato per avere indicazioni sulla dieta corretta da seguire per ogni caso specifico). È inoltre importante fornire al vostro Cocker delle ciotole apposite per il cibo e l’acqua, per evitare che le orecchie vi penzolino dentro sporcandosi.

Addestramento

I cuccioli di Cocker Spaniel inglese vanno educati con una certa fermezza, ma senza brutalità: questi cani sono molto intelligenti e non fanno particolare fatica ad apprendere i comandi, purché vengano impartiti con chiarezza e perseveranza.

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6 Un amico ti chiede consiglio su una questione che tu disapprovi moralmente

rivelo la mia opinionecerco di dargli un consiglio utile, indipendentemente dalla mia personale opinionecerco di vedere le cosa da un diverso punto di vista

7 Una persona continua a trattarti con poco rispetto

penso sia anche colpa mia che glielo permettoprego che si allontani da merispondo a tono, questa perso-na non è un problema per me

9 “Chiedete e vi sarà dato“...

preferisco chiedere quando so che la risposata sarà “sì”tentar non nuocema perché non mi viene mai dato nulla senza doverlo chie-dere?

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A

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4 Musica per le tue orecchie...

ho bisogno di almeno 10 minu-ti al giorno di silenzio comple-to per rigenerarmimi piace moltissimo ascoltare musicapreferisco una passeggiata tra i boschi ad ascoltare i suoni della natura

5 Un tuo collega ha fatto un errore ma te ne sei accorto soltanto tu

gliene parlo sperando che pos-sa rimediare al più prestofaccio in modo che la colpa non ricada su di mecorreggo io stesso l’errore

10 Un conoscente ti tiene al telefono un’ora intera raccontandoti fatti per cui tu provi scarso interesse

lo lasci parlare ma non l’ascolti e intanto fai altrocerchi di salutare e terminare la conversazionepensi che ti stai guadagnando il paradiso e cerchi di ascoltare attivamente

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Risposta

DomandaABC164222643246

46245624626474268426946210264

8 Una persona a te molto cara ti ferisce

chiedo spiegazioni del suo comportamentocerco di capire per quale moti-vo si è comportata cosìdico chiaramente come mi sento

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Fino a 32 punti

Non c’è dubbio che la chiacchiera ti piac-cia, a volte anche a costo di sacrificare leggermente la privacy tua e altrui. Ami intrattenere buoni rapporti con tutte le persone che ti circondano e cerchi di non far torto a nessuno, e tanto meno a te stesso; per questo motivo prima di agire rifletti a lungo e valuti attentamente tut-ti i dettagli della situazione e quali possi-bilità di riuscita ci siano. Nelle questioni personali, è importante per te conoscere l’opinione degli altri, cosa che ritieni utile anche a capire le motivazioni alla base del-le azioni altrui.L’aspetto di luce del tuo modo di comuni-care è la prudenza, ma proprio questo a volte può rischiare di farti apparire come

una sorta di abile manipolatore agli occhi degli altri.

Fino a 46 punti

La sincerità è per te un elemento prezio-so e un’ importante qualità delle persone. Purtroppo, però, sembra che non tutti la pensino come te e spesso hai a che fare con persone che sono poco chiare o poco sincere, cosa che ti rende difficile comuni-care con loro, nonostante tu cerchi sem-pre di vedere l’altra faccia della medaglia. Anche il tuo spiccato altruismo, a volte, sembra quasi che ti si ritorca contro. Solita-mente fai fatica a dichiarare apertamente la tua opinione perché pensi che sia poco importante per gli altri e per via di una certa mancanza di fiducia nelle tue possi-

bilità di avere successo.Un consiglio: osa di più!

Fino a 60 punti

Ecco quella che si dice una persona asser-tiva, che dice le cose come stanno senza troppi giri di parole. Il tuo stile comunicati-vo il più delle volte è equilibrato e schietto e si fonda su una buona chiarezza mentale riguardo a quali sono i tuoi intenti. L’indi-scutibilità dello scopo è per te anche mo-tivo di fiducia nelle possibilità di successo. Spesso dichiari apertamente ciò che pensi senza curarti delle conseguenze, che inve-ce potrebbero esserci: se corri un rischio, è quello di considerarti eccessivamente so-pra le parti e di non accorgerti del males-sere di chi ti circonda.

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Number OnePizzeria e rosticceria d’asporto a Balerna

Il numero uno del gusto!

Un pasto veloce, poco tempo a disposizione e il pensiero corre a cibi freddi e preconfezionati. Ma non deve essere necessariamente così. Ne sono convinte Rosaria, Katia e Annamaria, che da tempo ci pensavano e che hanno finalmente realizzato il proprio sogno: aprire una pizzeria e rosticceria d’asporto. La vedi da subito, la loro passione per la cucina mediterranea e per la terra d’origine, la Campania. E il piacere del contatto con il cliente, che accolgono ogni giorno con un sorriso sulle labbra. Hanno le idee in chiaro, vogliono fare la differenza, con ingredienti e prodotti sempre freschi, genuini e rigorosamente artigianali. Dall’impasto, alle farciture, ai condimenti fra cui l’originale mozzarella di bufala. È questa la ricetta esclusiva di Number One. Perché uno spuntino al volo può essere caldo, conveniente ma anche sano, e avere il sapore della tradizione. Da cuoche ma anche e soprattutto da mamme attente all’alimentazione dei propri cari, questo lo sanno bene.

Al banco di Number One il frettoloso può trovare gustose focacce lisce o farcite e tranci di pizza.

Ma per accontentare tutti i palati e tutti gli umori, vengono proposte anche gustose piadine fatte in casa e tanti panini golosi. Il cliente esigente che apprezza la vasta scelta e che ha più tempo a disposizione, potrà invece decidere fra 40 varietà di pizza. Le classiche per chi si rifugia nel calore delle abitudini. Le speciali se vuole assaporare il gusto della novità: il salame piccante con mascarpone potrebbe fare al caso suo! Le ortolane per i vegetariani, con prodotti di stagione come le cime di rapa, o con le patate arrosto. E le bianche per lasciarsi sempre sorprendere da nuovi accostamenti culinari, come il salmone con la panna o il formaggio zola con le mele. Number One è un festival di colori e fantasia. E non è solo pizza.

Su ordinazione, Number One prepara pasta fatta in casa, lasagne, cannelloni, parmigiane e molto ancora. La rosticceria sforna inoltre fragranti torte salate, crocchette di patate e mozzarella, pizzette farcite, olive ascolane, zeppole salate, patatine fritte e altre specialità appetitose. E per aperitivi, feste di compleanno e ricorrenze varie questo trio intraprendente e infaticabile, forte anche dell’esperienza e della professionalità di Rosaria e suo fratello Elia che hanno frequentato la scuola alberghiera e che si sono formati nelle strutture a 5 stelle, risponderà con un servizio di qualità a tutte le esigenze organizzative, dagli addobbi e decorazioni ad un catering a tema e curato nei minimi dettagli.

E se non è gelato al cioccolato…anche Number One è dolce e un po’ salato!

Non mancano infatti le ten-tazioni: lasciatevi conquistare da una pizza alla nutella, dalle crêpes o - su ordinazione - da altri dolci tipici quali la delizio-sa pastiera napoletana. E per la colazione del mattino, nel forno di Number One lievitano brioches e cornetti. Da Number One, la golosità di grandi e pic-coli viene stuzzicata ed appaga-ta in modo sano e naturale.

La pizzeria rosticceria d’asporto Number One si trova in Via San Gottardo a Balerna ed è aperta dal martedì al venerdì, dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 17.30 alle 20.30. Sabato, domenica e festivi dalle 17.00 alle 21.00. Per le vostre richieste telefonate allo 091 682 65 60. Parcheggi davanti al negozio.

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DifferenzeSudoku

giochi64

Scopri le otto differenze fra le due vignette

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CruciverbaOrizzontali:

1. A carnevale… ciascuno vale! 7. Ginevra in auto 9. Ci sono quelle del pensiero… 10. Curriculum Vitae 12. Rendere sicuro 14. Latitudine in breve 15. Settimanale di critica sociale 16. Nenogrammo 18. Confina con Chiasso 19. Nepal senza pari 21. Affermazione 22. L’etichetta regionale che segna i prodotti tradizionali francesi 24. Il nostro cantone 25. Ci starnazzan le oche 26. Inserito 29. Conferire un grado 30. Comune consenso dialettale ticinese!

Verticali:

1. Festa degi innamorati 2. Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive 3. Ostello irlandese 4. Nome di un giovane avvocato in una serie televisiva 5. La scrive il crititco 6. Terra argillosa 8. Protagonista dell’Eneide 11. Correzione, modifica 13. Nome d’uomo 17. Pietra di colore verde 20. Pianta conifera 23. Fantastico a L .A. 25. La respiriamo 27. Terametro 28. Gli alchimisti vi ci trasformavano il metallo

CrucipuzzleTrovate i 23 nomi di alberi, fiori e frutta che sono nascosti nel crucipuzzle. Le parole sono collocate in tutte le direzioni possibili e alcune lettere possono essere sovrapposte.

Al termine, le uniche lettere rimaste ti riveleranno i nomi di due personaggi molto importanti nella storia del Regno di Abomey.

ABETIACEROANACARDOBANANODALIAEDERAFRANGIPANEGIGLIOIRISLILLALIMEPALMA

PERAPERIPINORAMORIBESRODODENDROROVIROSESIEPESTELITASSITIMO

HashiUn fantastico rompicapo per mettere alla prova la tua logica e abilità!

Hashi e costituito da una rete di isole, ogni isola contiene un numero, tu devi capire come collegare insieme le isole con dei ponti utilizzando le seguenti regole:

[1] I ponti posso andare solo orizzontalmente e verticalmente

[2] Il numero totale dei ponti che raggiungono ogni isola deve essere uguale al numero indicato dentro l’ isola

[3] Tra due isole ci puo stare un massimo di due ponti che vanno in parallelo

[4] Nessun ponte puo intersecare un altro ponte o un isola

[5] Tutte le isole devono essere collegate insieme per formare un percorso continuo, nel rispetto però delle prime quattro regole

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sociale66

La rubrica sociale di Buongiorno Ticino, nasce dal desiderio di dare risalto alle associazioni che operano nel territorio. Se desiderate questo spazio, scriveteci!

[email protected]

UnitasAssociazione ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana

asce così nel 1946 la Unitas, che all’atto della fondazione raduna una quindicina di soci. Oggi come allora, l’associazione ha sede a Tenero nell’immobile che fu la casa del suo fondatore e presidente per oltre

cinquant’anni.

La Unitas è sezione per la Svizzera italiana della Federazione Svizzera dei ciechi e deboli di vista. Per rispondere alle esigenze di circa 550 soci ciechi e ipovedenti che risiedono nella Svizzera italiana la Unitas si avvale di una serie di servizi e strutture, in particolare:

del Servizio tifl ologico (ex Servizio sociale), che offre prestazioni individuali nei campi dell’aiuto all’autonomia nella vita quotidiana, della mobilità, della low vision, e permette di far conoscere ai suoi utenti tutte le possibilità di aiuto sul territorio e di carattere sociale;

di Casa Tarcisio a Tenero, una casa per anziani ciechi e ipovedenti con 38 posti specialmente attrezzata per questa utenza;

di Casa Sorriso a Tenero e Bedano, il centro per la consulenza sull’integrazione scolastica dei bambini e giovani ciechi e ipovedenti e per le terapie individuali dedicate a questi ragazzi;

del Servizio informatica e mezzi ausiliari, che offre consulenza e fornitura di mezzi ausiliari e informatici adeguati alla vita sociale e professionale delle persone cieche e ipovedenti;

di Casa Andreina a Lugano, un centro diurno per incontri e attività di persone cieche e ipovedenti polivalente, nel quale ha sede anche l’atelier Tantemani, che si occupa delle attività manuali;

della Biblioteca Braille e del libro parlato a Tenero, che offre prestiti di libri su supporto audio, stampati in Braille o a grandi caratteri.

A ciò si aggiungono le prestazioni individuali, gli incontri mensili regionali a Mendrisio, Lugano, Bellinzona, Tenero, Biasca e Poschiavo, le gite culturali e di svago, i soggiorni di vacanza estiva, nonché le attività sportive (sci, ciclismo in tandem, escursioni in montagna, ginnastica, nuoto) organizzate in collaborazione con il gruppo ticinese sciatori ciechi.

Per fare tutto questo la Unitas impiega circa 60 dipendenti e circa 150 volontarie e volontari, attivi come lettori, addetti ai trasporti di persone, animatori, accompagnatori e guide sportive. Essa è anche attiva nella sensibilizzazione della popolazione alle esigenze delle persone che non vedono o vedono male con pubblicazioni, progetti, momenti dedicati all’opinione pubblica, interventi nelle scuole, ecc.

La Unitas intrattiene stretti rapporti con le organizzazioni attive in Svizzera nel campo dell’handicap visivo e in Ticino essa opera in accordo con la Società Ticinese per l’assistenza dei ciechi di Lugano.

Essa informa i suoi soci delle proprie attività con metodi adeguati a persone cieche e ipovedenti; pubblica ogni due mesi una rivista sonora, L’arcobaleno, cura un sito internet sul quale si trovano molte informazioni e gestisce un sistema di informazione telefonica tramite un server vocale raggiungibile al numero 031 390 88 88 e costantemente aggiornato con informazioni interne, programmi televisivi, orari ferroviari, agenda delle manifestazioni della Svizzera italiana, fi lm in cartellone, piccoli annunci pubblicitari, ecc.

Una grande piccola realtà attiva e in costante evoluzione, per rispondere al meglio alle esigenze di chi deve convivere con la perdita parziale o totale della vista.

È a partire da Tenero, dove era cresciuto, che Tarcisio Bisi (1924-1997) inizia negli anni quaranta a cercare e a scovare le persone cieche nelle zone più discoste della Svizzera italiana allo scopo di toglierle dall’isolamento, per rinfrancare i vincoli di solidarietà, sensibilizzare la popolazione alle loro esigenze e favorirne l’integrazione nella società.

Per contattarci:

UNITASVia S. Gottardo 496598 Tenerotel. 091 735 69 00fax 091 745 48 68

Per sostenerci:

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