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  • Riti nelle societ complesseAuthor(s): Gian Luigi BravoSource: La Ricerca Folklorica, No. 7, Cultura popolare e cultura di massa (Apr., 1983), pp. 85-95Published by: Grafo s.p.a.Stable URL: http://www.jstor.org/stable/1479721Accessed: 29/01/2010 15:02

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  • Riti nelle societd complesse

    Gian Luigi Bravo

    0. Mi propongo di dare un contributo in una direzione che ritengo fruttuosa, anche se piuttosto specifica, come quella del rito. La base empirica e fornita da numerose osserva- zioni sul terreno eseguite negli ultimi anni, soprattutto nel Nord del nostro paese. Faro ricorso a sezioni di apparati o modelli teorici diversi; ne potranno risultare talora bru- schi salti di livello, ma l'intento e appunto di cominciare a costruire ponti tra essi.

    Le Note per un dibattito con le quali Amalia Signorelli invita a discutere di cultura popolare e cultura di massa mi appaiono utili e mi trovano d'accordo su piu punti, che sono congruenti con l'impostazione qui adottata. Conven- go sull'importanza di lavorare a modelli assai piu artico- lati dei rapporti tra le culture o i sottosistemi culturali di cui sono portatori classi, gruppi e altri soggetti collettivi diversi, e di ridefinire criticamente, in base ai fattori at- tuali di differenziazione, integrazione, conflitto, questi stes- si portatoril. Cio costituisce la premessa per superare le concezioni semplificate della cultura di massa, dei suoi ca- ratteri e dei suoi effetti; per ricostruire in modo piu ade- guato la specificita a livello culturale dei rapporti di do- minio, la tipologia e caratteri dei comportamenti egemo- nici; per analizzare con sufficiente articolazione e flessibi- lita le relazioni tra le serie di soggetti collettivi e di sottosi- stemi culturali, relazioni che, pur se nel nostro paese han- no trovato un utile fondamento in formulazioni gramsciane e sono state successivamente elaborate nella ciresiana teo- ria dei dislivelli interni di cultura2, sono state talora ridot- te ad un uso schematico e rigido del binomio subalterni- ta/egemonia.

    1. Partiro dalla problematica della societa di massa come societa complessa per giungere poi a quella della cultura di massa; mi pare utile infatti lavorare ad uno schema con- cettuale che renda conto non solo dei sistemi e processi cul- turali, ma dei comportamenti sociali ai quali essi si colle- gano.

    Da questo punto di vista, una societa come quella ita- liana appare caratterizzata da un'articolazione particolar- mente intricata di culture e di sistemi di rapporti; i vistosi processi di modernizzazione, gli spostamenti della popo- lazione, le stesse ricorrenti all'uno o all'altro livel-

    lo, caratterizzano una realta che ad un tempo si trasfor- ma, si conserva e si rifunzionalizza, mentre le diverse com- binazioni di macrovariabili societarie danno luogo ad una serie di nicchie differenti in diverso rapporto tra loro.

    II modello che qui si propone per concepire questa arti- colazione e quello costruito gia da parecchi anni, e ulte- riormente elaborato, anche di recente, da L. Gallino3. La nostra societa vi appare come il prodotto della compresenza di piu formazioni economico-sociali, che corrispondono a fasi concomitanti o successive di evoluzione; la costitu- zione e il predominio di una o piu formazioni nuove non implica necessariamente, nella concezione di Gallino, e non ha in effetti implicato in Italia, la completa disgregazione o la scomparsa di quelle precedenti; cosi oggi possiamo an- cora distinguere una formazione contadina-artigianale, una capitalistica mercantile, una capitalistica concorrenziale, una capitalistica oligopolistica, ed infine una statuale.

    Questo modello consente di concettualizzare l'intrecciar- si, il competere o il convergere di strutture e processi nei diversi sistemi o sottosistemi, il distribuirsi di individui, gruppi, organizzazioni, classi, in e tra formazioni diverse: al tempo stesso il riferimento ad un'unita quale la forma- zione sociale pone le basi per ricostruire i nessi tra sistemi di rapporti e sistemi culturali.

    Oltre ad utilizzare questo contributo, svilupperemo al- cune altre considerazioni su aspetti piu generali della pro- blematica della complessita, rifacendoci alla teoria dell'au- torganizzazione dei sistemi del biofisico H. Atlan, che in- troduce il concetto di ; il rumore, cioe i disturbi aleatori, non programmati, che l'ambiente introduce nell'organizzazione del sistema, han- no in realta secondo questa concezione una funzione or- ganizzativa positiva, in quanto il sistema stesso risponda articolando, complicando e rendendo piui varie le proprie strutture e il proprio funzionamento. II processo di autor- ganizzazione del sistema andrebbe dunque visto come

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    E importante osservare come, affinche il sistema reagi- sca al disturbo autorganizzandosi senza dissolversi, e con- dizione necessaria che l'informazione circolante nelle sue vie di comunicazione, la sua rete di rapporti, abbia note- vole ridondanza; cioe che esso sia gia sufficientemente ricco di elementi e che le relazioni tra questi siano estremamen- te intricate, >5; in tal caso la distruzione di informa- zione provocata dal disturbo aleatorio in questa rete non implica la dissoluzione del sistema stesso, e puo essere crea- tivamente impiegata come base per la formazione di nuo- vi rapporti, per la produzione di complessita.

    Vediamo ora un secondo aspetto della concezione di Atlan, senza preoccuparci ora del suo grado di congruen- za o di compatibilita col primo. Riportata al problema della relazione tra sistema osservato e sistema osservatore, la complessita esprime ora il fatto >; non si tratta quindi di una complessita no- ta, che sarebbe semplicemente una complicazione ordina- ta, ne di un generico disordine, ma di un disordine che ap- pare >6.

    Appare interessante questa distinzione tra una comples- sita data, semplice differenziazione gia nota, non proble- matica, e una complessita presunta, che si puo ipotizzare funzioni come stimolo e induca una reazione di orienta- mento nel sistema osservante; ma dato il carattere che Atlan stesso assegna a questo stimolo (significa infatti ; cosi >?.

    Oltre a mettere in evidenza come gli effetti di disturbi e > possano essere creativi, produttivi di complessi- ta, e non solo distruttivi per i sistemi interessati, ci pare dunque opportuno richiamare l'attenzione sull'utilita, nel- l'esame di questi processi, di non vederne il soggetto nei soli sistemi societari complessivi o nei loro centri di gover- no, ma di ricercare comportamenti riorganizzativi nei di- versi sottosistemi, classi, gruppi e individui; con cio si con- tribuisce a render ragione della compresenza, convergen- za o conflitto di processi di accentramento e decentramen- to, di omogeneizzazione e differenziazione, di controllo e autodeterminazione, che si manifestano pur nella crescente interdipendenza planetaria11.

    Anche il modello di sistema societario di L. Gallino di cui ci avvarremo, con la sua struttura composita, riman- da non ad una scontata caduta di integrazione, ma alla mol- teplicita delle comunicazioni circolanti, quindi a quell'am- pia ridondanza che puo permettere comportamenti autor-

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    ganizzativi (e spiega tra l'altro la capacita dell'attuale so- cieta italiana non solo a superare ) su ocrisi?> ma ad- dirittura a prosperare su di esse)'2; al tempo stesso la com- plessa struttura a piu formazioni sociali si presta a essere concepita quale disturbo/stimolo per l'attivita riorganiz- zativa di una varieta di soggetti agenti, mentre ci consente di delineare anche tra i governati attori sociali differenziati e attivamente partecipanti al gioco, per i quali tali distur- bi siano appunto atti a diventare (l'impulso e le risorse in- formazionali sufficienti per procedere a nuove forme di autorganizzazione)>13 e contribuire cosi a produrre an- ch'essi complessita sociale.

    Ancora negli Usa, ma dal punto di osservazione di Ber- keley, un altro teorico dei sistemi autorganizzantisi vede addirittura come un carattere dei processi storici dell'ulti- mo quindicennio la nuova affermazione di tendenze all'au- todeterminazione e all'autorganizzazione, alla costituzio- ne di strutture aperte e libere di evolversi, ad un', cioe i soggetti collet- tivi che riesce difficile definire ricorrendo a concezioni clas- siche (o semplificate) delle strutture e conflitti di classi e ideologie, e che appaiono invece 16.

    Infatti, di contro a molte componenti di peggioramen- to della qualita della vita, a cominciare dalla pericolosita diffusa della vita quotidiana (criminalita, droga, terrori- smo), dalla persistente inflazione, dalla decadenza dei ser- vizi pubblici, non sembrano manifestarsi vere espressioni di dissenso di massa, ma piuttosto proteste sulla distribu- zione delle risorse ad opera degli attori sociali che giudi- chino la propria quota insufficiente, proteste che possono quindi essere intese come componenti o complementi di comportamenti di partecipazione.

    II fondamentale motivo del consenso va riportato pro- prio alla complessita della nostra societa ed in particolare alla sua articolazione in numerose formazioni economico- sociali; questa struttura societaria e il suo modo di gover-

    no continuano a godere di un consenso diffuso perche con- sentono alle unita individuali e familiari lo , con un ritmo di alternanza o , che varia ma che ?per molti e sicuramente quotidiano>>'7. Questo sfrutta- mento cumulativo di >8.

    L'attore capace di questa alternanza costituirebbe un , via via piu diffuso; lo defini- rebbero la scarsita di motivazioni espressive di contro al prevalere di quelle strumentali e un'attitudine al semplice calcolo di costi e benefici, a prescindere da investimenti affettivi piu profondi; ci6 gli consentirebbe percorsi agili e non ostacolati da legami tenaci dall'uno all'altro siste- ma di rapporti differenti quando non contrastanti, con l'u- nica prospettiva unitaria della massimizzazione delle pro- prie opportunita'9.

    Ma in questo modo diventano assai precarie l'identita della persona e la sua identificazione con altri; l'alternan- za dissolve via via la ?connessione tra posizione e indivi- duo, tangibile nelle formazioni sociali coerenti>>, mentre >, con la conseguenza di un', ponendo cosi le basi per una societa nella quale il confronto tra modelli tende a manifestarsi sul piano in- dividuale piuttosto che di progetto politico e quindi la > strumentale tra formazioni acquisisce raziona- lita21.

    3. I1 modello teorico che abbiamo qui sintetizzato, mentre offre una ricca articolazione concettuale, con particolare riferimento al caso italiano, stimola una varieta di rifles-

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    sioni sulle cosiddette societa e culture di massa. Vediamo ora di svilupparne alcune.

    L'effetto di non legittimazione di alcun modello di for- mazione sociale che discende dal comportamento del Po- tere puo essere distinto in due componenti. Da un lato, se accettiamo alcune ipotesi gramsciane di fondo, cio equi- vale a trattenere tutta una serie di esperienze e di attivita cognitive e organizzative dei governati in condizioni di su- balternita, quanto piu se ne afferma e legittima la fram- mentarieta e disorganicita, quindi il carattere di folclore in senso stretto22. Dall'altro pero sembra emergere la ri- nuncia ad accompagnare o sovrapporre ad esse elementi di una concezione del mondo o della societa, dominante nel senso di congruente con gli interessi e fini del Potere, che secondo le stesse ipotesi ne sarebbe il complemento, realizzando in positivo una situazione di egemonia. Avrem- mo dunque un comportamento del Potere, non ci interes- sa ora in quale misura programmato e consapevole, il cui fine e solo o prevalentemente la folclorizzazione persistente e sistematica delle esperienze e delle teorizzazioni dei su- balterni.

    La rinuncia alla proposta di un modello egemonico per puntare tutto sulla frammentazione puo essere connessa ad effettive difficolta di elaborazione concernenti sia il rap- porto del Potere con gli intellettuali, sia il verificarsi di gros- si eventi che fanno perdere di presa molti miti di progres- so e di benessere su cui si e fatto prima ampio affidamen- to, sia la complessita della societa in tutta la sua articola- zione, varieta e opacita.

    E tuttavia abbiamo osservato che proprio questa arti- colazione fornisce al tempo stesso le basi per il consenso quando la liberta di alternanza tra l'una e l'altra forma- zione consente agli individui di sfruttarne le opportunita. Cosi anche la delegittimazione di tutte da parte del Potere puo indicare non solo in negativo la difficolta a elaborare concezioni del mondo egemoniche ed a farle accettare, ma, in positivo, la capacita di proporre e diffondere valori e opinioni che presentino un certo tipo di congruenza con il comportamento di alternanza e al tempo stesso gli con- feriscano un orientamento specifico: individualismo ato- mistico, precarieta e relativa casualita dei sistemi di rap- porti sociali in cui ci si trova via via inseriti, basso tenore di investimento affettivo, atteggiamento di strumentalita, di rapina verso gli altri, la societa, la natura, il tutto come premessa e conseguenza dell'assenza di alternative di fon- do.

    Ad un livello di maggiore elaborazione concettuale tro- viamo, nelle teorizzazioni di molti intellettuali sulle > e sulla ingovernabilita, la stessa ambiguita; da un lato il riflesso della difficolta a organizzare e dirigere a livello culturale, ed a programmare e portare a termine le opera- zioni di ricerca e analisi che ne sono il fondamento; dal- I'altro, in piu casi, la presentazione ad uso delle categorie piui scolarizzate di teorie che giustificano e fondano le pii o meno reali difficolta di governo, di organizzazione della produzione, di amministrazione dei servizi ecc., e ad un tempo sanzionano in modo piu elaborato la vacuita di al-

    ternative che non siano semplici alternanze in un universo totalizzante immutato nel suo (quanto preteso?) sfacelo. Quest'attivita teorica puo acquisire pero una funzione piu generale ed organica se e vera l'ipotesi che la sistematizza- zione di settori della concezione del mondo colta in cam- po filosofico, etico, religioso, politico, costituisca una con- dizione importante per l'effettivo mantenimento della di- sorganicita e frammentarieta nelle concezioni dei gover- nati23.

    Cosi passano nuovamente contenuti in positivo. A que- sto livello pero si pongono i contatti tra la cultura ?domi- nante>, che abbiamo definito quella congruente con fini e interessi del Potere, e che abbiamo riconosciuto come quella della precarieta, della strumentalita, dell'assenza di alternativa e delle crisi, e quella del Potere stesso, in quanto presumiamo riconoscibile un minimo comun denominatore di valori e orientamenti tra le classi, gruppi, coalizioni e organizzazioni che lo costituiscono. Questi contatti pos- sono presentarsi come ampie sovrapposizioni solo in pre- senza di un piu esplicito processo egemonico, della legitti- mazione di un modello articolato di societa e di vita. Nel nostro caso e possibile che anche al livello di questi valori e orientamenti si manifesti nuovamente 1'ambiguita tra crisi strumentalizzata e crisi vissuta.

    La stessa ingovernabilita viene quindi a presentarsi co- me un concetto a pii dimensioni che puo essere riferito sia alle strutture societarie, sia alle strategie di governo e di mantenimento (o almeno di perdita non univocamente orientata) del consenso, sia infine alla stessa cultura sog- gettiva del Potere.

    L'analisi fin qui condotta non solo ci consente di con- cepire queste strategie nella prospettiva di un recupero dei disturbi mediante riorganizzazione da parte del Potere, ma anche di avanzare un'ipotesi di definizione della cultura di massa: essa e appunto la cultura proposta nell'ambito di tale recupero della

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    sposta nella pratica della delegittimazione dall'alto di tut- te queste formazioni. Di pii, si puo osservare un incorag- giamento, oltre che nei discorsi nei fatti e nelle omissioni, all'uso strumentale dell'alternanza, una complicita e un las- sismo che riconfermano sperimentalmente tale delegittima- zione mentre smentiscono ogni possibilita di alternativa ac- comunando tutti nelle colpe e negli effetti, nei danni e nei vantaggi; nell'assenza di un controllo egemonico in senso forte, anche etico, si persegue o si ottiene cosi una rando- mizzazione e frammentazione degli orientamenti e com- portamenti di dissenso e di ribellione.

    Questa situazione puo dar luogo ad un'accentuazione nei messaggi della cultura di massa nel senso di una vera e propria devianza, che porta lo strumentalismo dal dis- servizio alla concussione all'improduttivita fino al limite della guerra di tutti contro tutti; cio conduce pericolosa- mente verso la soglia piu bassa gli stati di sicurezza e di integrazione del sistema societario, e tuttavia, fino a che non provoca catastrofi in questi stati, ha al tempo stesso una funzione fondamentale di integrazione, appunto in quanto successo e conferma di quegli stessi messaggi, men- tre sembra fondare l'esigenza di un Potere in quanto ga- rante di un minimo di sicurezza.

    Ma questi comportamenti devianti non ci paiono tipi- camente autorganizzativi e innovativi. Invece appare tale l'esercizio della pendolarita in quanto risposta attiva, abi- le anche, ai problemi di sopravvivenza nella complessita e attraverso di essa, risposta mediante la quale il sistema individuale reagisce agli stimoli/disturbi provenienti da questa complessita, elaborandoli in comportamenti di mag- giore varieta e articolazione.

    Come abbiamo osservato, e probabile che tale elabora- zione implichi un momento di autorganizzazione a livello cognitivo. Piu in particolare osserveremo come la pratica dell'alternanza presupponga l'esperienza di formazioni so- ciali diverse, la riorganizzazione di una loro mappa, I'at- tuazione di comportamenti di soluzione dei problemi e di verifica empirica, infine la rimessa in gioco di programmi di azione e di valori in precedenza dati per scontati (cioe una diminuzione della loro ripetitivita, della loro sovrap- posizione, cioe di quella che abbiamo definito >).

    In secondo luogo noteremo che almeno alcuni dei com- portamenti dei pendolari hanno un effetto di produzione di complessita nell'ambiente, che cosi si trasforma con es- si. Cosi i lavoratori che hanno un secondo lavoro, o bioc- cupati, costituiscono quasi sempre esempi tipici di pendo- lari tra formazioni economico-sociali, e certamente con il loro comportamento hanno un peso notevole nel modifi- care le condizioni del sistema produttivo24. Vedremo poi se potremo individuare altre forme di riorganizzazione del sistema ambiente.

    Ritorniamo ora ad alcuni caratteri dei governati in rap- porto con l'ideologia dominante e la prassi della pendola- rita. Possiamo effettivamente ritenere che si sia verificato un riuscito sradicamento della persona da una precisa po- sizione in una sola formazione sociale, ed un relativo suc-

    cesso della cultura di massa nella delegittimazione dei va- lori di tutte in quanto tutti li mobilizza. Ma tutto cio ha anche rimescolato programmi e modelli, liberato energie, creato esigenze di orientamento e di identita - tutti leggi- bili come stimoli alla riorganizzazione. Se a questa riorga- nizzazione attribuiamo i caratteri che abbiamo appena mes- so in evidenza, se la consideriamo un processo creativo di produzione di complessita nel sistema e nell'ambiente, ci pare lecito ipotizzare che la interpretazione dominante di questo processo, la cultura di massa, riesca ad affermarsi in misura varia e solo parziale; che valga quindi la pena di ricercare interpretazioni differenti o alternative, forme non solo strumentali di pendolarita, nuovi tipi di identita. Questi potranno presentarsi in modo segmentato o preca- rio, ma anche assumere un'inedita organicita proprio le- gata ad esperienze diffuse di pendolarita.

    In questa luce puo essere ripreso il tema dell'emergenza dei cosiddetti

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    politiche piui affermate; indagare le esigenze che vi si espri- mono e gia vi si soddisfano. CiG sarebbe utile anche al fi- ne di prefigurare in quale direzione possano evolversi for- me di coscienza collettiva piu familiari e gia consolidate come oggetto d'analisi26.

    Ci interessa invece, in questa occasione, sviluppare ul- teriormente le nostre considerazioni sulla problematica del- l'alternanza di formazione sociale, facendo ricorso, su un aspetto particolare ma non secondario, all'esperienza di varie e ripetute osservazioni sul terreno di feste tradizio- nali del ciclo calendariale27.

    5. Si e notata gia da alcuni anni una revivescenza della ce- rimonialita, in particolare della festa, che talora assume le forme vere e proprie di un revival delle tradizioni, spe- cie di quelle contadine o comunque preindustriali; feste e cerimonie riacquistano diffusione e importanza o le acqui- stano ex-novo, mobilitando energie, risorse, gruppi, orga- nizzazioni. Almeno una componente di questo processo puo essere fatta rientrare nello schema di analisi qui pro- posto e contribuire a specificarlo.

    A tal fine e pero necessario proporre ora una definita ipotesi sulla funzione del rituale; la trarremo da una ela- borazione recente, nella quale essa fa parte di un insieme assai piu ampio e articolato di modelli concettuali che in- teressano anche e in notevole misura gli aspetti compara- tivi (rituale animale) e fisiologici del rito28, e la riportere- mo qui in forma sintetica.

    Considereremo dunque il comportamento rituale - nel quale evidentemente rientrano le feste e cerimonie che qui ci interessano - come una sequenza comportamentale strutturata che ha componenti di ripetitivita e di ritmicita e che tende a ripetersi con qualche tipo di regolarita; la sua funzione e di coordinare i processi affettivi, percetti- vi, motori e cognitivi (nell'uomo e alcuni animali superio- ri) nei singoli individui partecipanti e di coordinare e sin- cronizzare tra essi questi processi; ovvero di facilitare l'in- terazione ordinata tra gli individui, tra un individuo e la sua nozione di divinita e tra un individuo e se stesso nel corso del tempo. Mi pare coerente con l'impostazione de- gli autori ai quali qui mi rifaccio, e che trattano il rituale prescindendo dalle particolarita storico-religiose, estendere il concetto di divinita e parlare pii ampiamente del rap- porto dell'individuo con i suoi valori fondamentali. Si do- vra osservare a questo proposito che nel rituale umano la componente cognitiva e fondamentale e si traduce sostan- zialmente nel suo nesso strettissimo con il mito, inteso ap- punto come una rete di significati, di simboli, una matrice cognitiva fondamentale. E tuttavia questo non esaurisce il rito, che ne e una realizzazione comportamentale e ne supera l'elaborazione mentale, testuale, che da sola puo proseguire fino all'esaurimento, senza una soluzione, in una esperienza di vita complessiva ed intensa che gia lo in- staura e risolve29.

    Tentiamo una prima elaborazione di questa ipotesi in rapporto a strutture e processi della societa e cultura di massa come le abbiamo qui schematizzate. Appare ben

    spiegabile in questo contesto lo sviluppo di feste e cerimo- nie; di fronte alla crescita della complessita sociale, che ab- biamo interpretato non solo come effetto della riorganiz- zazione e complessificazione di strutture e funzioni, ma an- che, rispetto agli individui agenti, come aumento di opa- cita, di disordine, vengono a porsi sempre piu in primo pia- no i problemi di orientamento dell'individuo rispetto a se stesso, ai propri valori fondamentali e agli altri, come pu- re di coordinamento dell'azione collettiva nella precarieta e fluttuazione dei ruoli; e questo e tanto pitu vero quando egli e impegnato in un processo di riorganizzazione che ten- de a ridurre la ridondanza, cioe la sovrapposizione e ripe- titivita di modelli e valori.

    In particolare per i

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    resto abbastanza diffusi anche in altre zone, si presenta in queste vallate senza la memoria storica ne le tracce strut- turali di processi di integrazione nazionale di qualche ri- lievo; la stessa percezione della parlata come elemento for- te, relativamente consapevole, di contrapposizione etnica a piemontesi ed italiani, e fatto quanto mai recente ed e diffusa ad opera di un numero ancora relativamente limi- tato, anche se non insignificante, di intellettuali. E tutta- via in valli alpine messe a soqquadro dallo sviluppo della regione, e spesso assai scarse di tradizioni di organizzazione e mobilitazione politica come quelle cuneesi, questa iden- tita etnica del tutto nuova conosce momenti di afferma- zione, si formano gruppi, centri, si eleggono consiglieri co- munali; e si tratta in genere, conformemente alla nostra ipotesi, non di categorie conservatrici ma di giovani che riportano alla montagna, al patois, alle tradi- zioni, all'etnia , esperienze ed esigenze, miti, nati attraversando e vivendo la complessita. i significativo che, nel quadro della loro attivita e della ripresa delle tradizio- ni, assuma particolare importanza lo studio delle feste32 e cerimonie, e la loro rivitalizzazione, trasformazione, in- venzione: matrimoni, celebrazioni natalizie, dell'epifania, pellegrinaggi per la Vergine Addolorata in luglio, feste e incontri con gruppi alpini e provenzali, il tutto con l'uso di lingua , la ripresa o imitazione di musiche tra- dizionali o la proposta di nuove.

    Non analizzeremo ora i valori e gli orientamenti politici non univoci, le proposte culturali, che si esprimono e si mescolano in queste occasioni, ne le basi comuni, che for- se corrispondono ad esigenze e processi di autodetermina- zione originale, di difesa dell'ambiente e delle tradizioni come difesa della possibilita di costruire un proprio pro- getto e un proprio rapporto con il passato, la natura, gli altri. Ne infine aggiungeremo ipotesi sugli interessi in gio- co, anche in riferimento ai rapporti di classe, che certo han- no un loro, variabile peso, ma che non abbiamo ora fatto rientrare nel nostro schema. Riteniamo pero che tutta que- sta revivescenza etnica ed etno-linguistica possa essere let- ta utilmente nel quadro della complessita e dell'alternan- za di formazioni sociali, mentre certo non puo essere ri- dotta alla sola dimensione del rito.

    Ma consideriamo ora qualche cerimonia specifica, sen- za proporci invece di costruirne una tipologia in riferimento allo schema qui adottato; esamineremo piu nei particolari due casi, cercando di ricostruire le due principali funzioni messe in luce, quella di favorire la permutazione di for- mazione sociale e quella di contribuire alla costituzione di simboli e comportamenti innovativi33.

    Ci si pub chiedere perche a queste funzioni rispondano cosi spesso cerimonie di tradizione popolare, quasi sem- pre contadina, ricche di connotazione locale, etnica, co- munitaria, e perche elementi dello stesso tipo compaiano frequentemente anche nelle nuove combinazioni. Certo una risposta puo essere cercata nella storia del rapporto cit- ta/campagna nel nostro paese, con tutta la sua ambiva- lenza. Cercheremo piui avanti di dare un significato speci- fico alla funzione di questi elementi nelle feste considera-

    te; qui ci limiteremo ad osservare che essi sono oggi suffi- cientemente familiari, ed al tempo stesso lontani (per il re- lativo successo della cultura di massa), da poter essere ri- combinati piuttosto agevolmente come comportamenti e simboli di radicamento e identita, di appartenenza, di una collettivita profonda e antica di contro alla precarieta e ca- sualita delle aggregazioni legate a un pendolarismo pura- mente strumentale e alle cerimonie del costume dominante34. Le culture tradizionali offrono inoltre cicli festivi gia elaborati, talora ancora presenti alla memoria, in genere con una ricca articolazione.

    Tale e il caso di una cerimonia conservatasi senza solu- zione di continuita nella montagna torinese, la danza de- gli Spadonari a Giaglione in Val di Susa, che oggi appare inserita in diverse solennita del calendario liturgico; vedia- mola nel testo ormai unico che essa costituisce con la fe- sta patronale di S. Vincenzo, il 22 gennaio, un periodo che era con ogni probabilitY anche quello originario della dan- za. L'analisi del testo della festa, infatti, permette di di- stinguere, accanto ad una parte che rientra nella liturgia ufficiale, e che qui consta di una messa e di una processio- ne intorno alla chiesa con le reliquie del santo patrono, una serie ancora organica di elementi riconducibili ad un rito agrario di propiziazione della fertilita all'inizio dell'anno; tra questi i principali appaiono oggi: gli Spadonari, con il loro costume fiorito e multicolore, e le lunghe spade; la gestualita che si esprime nella danza; il bran, un'alta inte- laiatura lignea a forma di fuso panciuto, con l'estremita inferiore tonda sulla quale poggia un pane, e ornato di fio- ri, nastri, uva, spighe; la simbologia del grano, del vino, dei fiori, che si ritrova nei costumi, nel bran e il suo pane, in un altro pane distribuito durante la messa.35.

    In questa festa patronale la celebrazione non cristiana officiata dagli Spadonari ha spazi distinti e autonomi: un convito iniziale, un corteo con danze, una serie di danze dopo la processione e la messa, un altro corteo e un con- vito finale. Oggi i Giaglionesi, a parte i vecchi in pensio- ne, sono praticamente tutti lavoratori dipendenti occupa- ti fuori del paese, anche se gli uni e gli altri praticano an- cora forme di agricoltura e allevamento a tempo parziale. Gli Spadonari sono giovani e non sono, quindi, pitu con- tadini. Ma essi continuano a danzare, e con essi la popo- lazione partecipa ampiamente, anche attraverso le molte piccole organizzazioni locali (banda, pompieri volontari, confraternita, coro, ecc.). Naturalmente in occasione del- la festa abbiamo numerose altre tradizioni cerimoniali: banchetti, bevute in compagnia, abbigliamenti domenica- li, danze moderne, ecc. In tutto il complesso di rapporti del tempo festivo i Giaglionesi intervengono in quanto at- tori individuati per caratteristiche personali ascritte e tra- dizionali, la famiglia e sue qualita, la residenza, che e an- che proprieta e stirpe, la collocazione nei gruppi di eta e altri ruoli diffusi comunitari; la stessa distribuzione delle parti pitu importanti segue, per gli Spadonari, linee fami- liari, per altri protagonisti linee locali di famiglia, residenza e classi di eta.

    L'insieme dei comportamenti rituali rappresenta dunque

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    in modo evidente una struttura di rapporti su base conta- dina, comunitaria, familiare, tradizionale; lo spazio am- pio e autonomo lasciato alle componenti non cristiane del rito, a danze, cortei, conviti di cui sono protagonisti gli Spadonari non rimanda per6 evidentemente ad una fun- zione propiziatoria attuale. La costituzione rinnovata e ri- tuale di questo spazio puo essere considerata anch'essa co- me rifunzionalizzata oggi all'instaurazione di comporta- menti coordinati tradizionali e radicati nella comunita e nel passato contadino. Tutto questo orienta periodicamente ad una fruizione di rapporti, risorse e valori - di solida- rieta e interazione familiare e paesana - che sono della formazione contadina-artigianale, e che sono vissuti dai Giaglionesi in alternanza con quelli delle formazioni pii recenti entro le quali essi passano un'altra parte del loro tempo.

    Lo spazio autonomo degli Spadonari manifesta quindi in modo piu evidente una funzione complessiva della fe- sta patronale, proprio in quanto ne mostra e accentua i caratteri tradizionali e - secondo espressioni raccolte sul campo - >, mentre la relativa rarita di ele- menti arcaici di questo tipo contribuisce a fondare, attra- verso la sua particolarita, elementi di identita legati ai com- portamenti rituali, da mettere in gioco nei passaggi tra le formazioni.

    Valori, simboli, comportamenti tradizionali, che abbiano resistito all'impatto dell'intensificarsi di questi passaggi, della caduta dell'isolamento, possono dunque risultarne rafforzati e arricchiti di senso, fino ad essere sperimentati come alternativi o contrapposti a quelli cui ci si adegua nelle altre formazioni. Cosi a Giaglione la celebrazione di que- sta festa > puo essere in via di diventare an- che esperienza e fondazione di uno spazio di autodetermi- nazione nella scansione del tempo e delle cerimonie che la segnano; intanto, in alcuni membri della comunita, la lo- ro realizzazione pare gia assumere caratteri di scelta e ri- combinazione (come nel caso della recente ripresa del bran, che da alcuni decenni non compariva piu nel rituale).

    Se le cose stanno cosi, sia la danza, sia una serie di sim- boli della tradizione locale che abbiamo riportato ai riti agrari di inizio d'anno, subiscono un processo di reinter- pretazione innovativa; anche gli elementi cristiani ufficia- li e popolari della festa, proprio in quanto connessi alla celebrazione del patrono, ad una cerimonia di religiosita locale e contadina, e quindi senza che cio implichi una per- dita della loro valenza religiosa, si prestano a diventare se- gni dello stesso tipo.

    E tuttavia la diffusione di un atteggiamento di revival, di ricostituzione di piu integre feste e cerimonie, l'atten- zione agli elementi di tradizione pii arcaica e la loro resti- tuzione, che abbiamo rilevato manifestarsi ampiamente, ben al di la del caso citato del bran a Giaglione, inducono a pensare che proprio a questi elementi si tenda maggior- mente ad attribuire una funzione di orientamento e di sta- bilizzazione di identita, che essi sono adatti a ricevere per la forte carica locale, tradizionale, originale, accanto ad una relativa indeterminatezza di senso. In conclusione, oggi

    in molti casi saranno proprio i testi ed elementi piu arcaici che, lungi dal presentarsi come sopravvivenze, risponde- ranno ad esigenze nate nella complessita sociale e nei pas- saggi attraverso essa, e risulteranno in non pochi casi quelli ripristinati piu di recente.

    A Giaglione non e agevole ricostruire una matrice co- gnitiva del rito piu organica e articolata dei vari elementi che si e cercato di mettere in luce. Esaminiamo ora un ca- so diverso nello stesso ambito regionale: una cerimonia completamente scomparsa per alcuni anni e poi ripropo- sta da un gruppo locale. Siamo a Magliano Alfieri, nella pianura del Tanaro, tra le colline, non lontano da Alba (Cuneo), in un paese di campagna con una minoranza con- sistente di contadini e il resto operai e impiegati, princi- palmente nelle aziende dell'Albese.

    La cerimonia e la cosiddetta questua delle uova, anch'es- sa riconducibile, all'analisi demologica, ai riti di fecondi- ta d'inizio dell'anno produttivo; nelle notti della Quaresi- ma, gruppi di giovani giravano per le colline, entravano nelle aie, chiedevano uova in dono con strofe cantate, rin- graziavano cantando se le ottenevano, in caso contrario maledicevano; a volte i doni erano piu vari e abbondanti, o si era ricevuti nelle case con offerta di vino e cibi; i gio- vani dei due sessi potevano cominciare a vedersi e cono- scersi e per molte cascine isolate questa finiva per essere una scadenza piacevole e attesa.

    II gruppo che ha ripristinato la cerimonia e composto di maglianesi, quasi tutti giovani, non giovanissimi, di en- trambi i sessi; pochi i coltivatori anche se il leader e uno studente contadino; per la maggioranza si tratta di impie- gati, operai, studenti, insegnanti. La loro attivita e stata molto seria e intensa, ed e ormai nota e seguita a livello regionale: essi costituiscono un coro che ha riproposto pub- blicamente vari aspetti della tradizione, sono intervenuti con forza in difesa dell'ambiente e dei monumenti locali, collaborano all'opera di Italia Nostra, hanno creato un mu- seo e schedato vari elementi della cultura materiale, anche in rapporto col Ministero dei Beni Cultuiali, ecc. Se altri gruppi nella regione si sono impegnati in alcuni di questi tipi di lavoro, questo li riunisce in un complesso organico ed esemplare, tanto piu che esso non si costituisce nell'i- solamento o in polemica con la comunita ma nella ricerca di rapporti e di iniziative comuni (con la scuola, il parro- co, la Pro-loco ecc.); infine esso, o almeno parte dei suoi membri, non ignora le problematiche di politica locale e nazionale, ma partecipa attivamente anche attraverso un giornale locale.

    II ripristino della questua delle uova e stato scelto con- sapevolmente, gia parecchi anni fa, come momento di re- sistenza alla penetrazione dei costumi urbani e agli effetti disgreganti che erano percepiti in sede locale. La cerimo- nia, con il suo vagabondaggio periodico tra le colline, si prestava in modo particolare a riallacciare sistemi di rap- porti e di usanze tra i compaesani, e coglieva le famiglie riunite per il riposo notturno.

    La questua fu studiata e ricomposta, reimparata, in ba- se ai ricordi di almeno alcuni membri del gruppo, e inter-

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    vistando gente anziana. Come grosso elemento innovati- vo, alla cerimonia cominciarono a prender parte anche le ragazze. La cosa fini per avere successo ed essere nuova- mente attesa, mentre a Magliano e in vari altri paesi della Langa via via altri gruppi ricominciavano a praticarla, a ritrovarla come scadenza abituale nella quale si animava, di notte, la collina.

    Abbiamo dunque questuanti, dei quali solo una piccola minoranza e contadina, che portano una cerimonia comu- nitaria e contadina in cascine spesso abitate da impiegati, operai, studenti, che solo parzialmente lavorano ancora la terra insieme ad anziani pensionati e donne.

    I Maglianesi, come gia abbiamo visto a Giaglione, in- staurano con i nuclei familiari dei loro compaesani un si- stema di comportamenti rituali tradizionali; qui pero esso e ancora piui fortemente caratterizzato in senso contadi- no, sia per la mancanza di una parte religiosa ufficiale ce- lebrata dal clero, sia perche il padrone e la padrona della cascina vi intervengono in quanto produttori e proprieta- ri, che dispongono dei loro beni quanto basta per redistri- buirli attraverso la cerimonia. La spesso lunga richiesta, la famiglia che si risveglia e accende una luce esterna, poi l'uscita sull'aia, il confronto col gruppo questuante, il do- no, il ringraziamento, ci presentano una famiglia unita pro- duttiva di contro ad una temporanea associazione rituale comunitaria, anche e proprio oggi quando essa in realta non lo e piu, o meglio lo e in modo assai piu mediato e complesso.

    Daaltro lato gia la presenza delle ragazze, che e contro la tradizione, le persone dei questuanti che sono noti co- me non contadini, e talora lo mostrano nella stessa cura di ripristinare particolari tradizionali, e la precedente so- luzione di continuita nel rito, che appare percio a tutti co- me un reale ritorno o riproposta, accentuano l'attualita del- la sua funzione, la sua intenzionale reinvenzione. Anzi que- sta attualita trova base e conferma proprio nel carattere fortemente contadino del rito che a sua volta tende a sal- vaguardare.

    II canto e gli elementi simbolici materiali, in particolare le uova, anche qui non possono certo essere letti oggi co- me residui, ma come segni che servono a qualificare ulte- riormente l'universo simbolico e comportamentale del ri- to, come marcatori relativamente disponibili di collocazio- ne sociale di identita. Cio e confermato dal fatto che talo- ra si portano ormai nella questua oggetti rituali (come la capra in legno) che originariamente fanno parte dell'inven- tario di altre cerimonie.

    La nostra analisi fa dunque apparire evidente la funzio- ne, che assume la questua delle uova, di creazione di ri- dondanza, cioe di orientamento e coordinamento a com- portamenti e valori, connessi all'uso delle risorse della for- mazione sociale contadina-artigianale. Tuttavia la matri- ce cognitiva di questo gruppo di ripropositori e certamen- te piiu ampia ed articolata, e implica la ricerca di valori e forme di identita nuovi, come e testimoniato dalla loro pre- senza attiva e multiforme nella comunita, e dalla loro ade- sione ad un quadro di riferimento composito che compren-

    de almeno elementi di democrazia politica, di ecologismo, di neo-naturismo o ruralismo, di raccolta, studio, difesa e ripristino della storia, tradizioni e monumenti locali.

    E interessante chiedersi quanto questo mito innovativo trovi una specificazione e mediazione rituale nella questua; se esso venga rappresentato, sperimentato e quindi reso col- lettivo come esperienza cognitiva e affettiva propriamen- te cerimoniale; se infine nella comunicazione tra gli orga- nizzatori e il resto della comunita trovino fondamento pro- cessi autorganizzativi, produttori di nuove identita e col- lettivita. Si tratta di una questione di importanza pi/u ge- nerale, ma nel nostro caso una prima risposta implicita puo essere data dai gruppi che via via cominciano a ripercor- rere le strade notturne della questua.

    Note Su questo punto v. anche A. Signorelli, Cultura popolare e

    modernizzazione, 1 (1980), in particola- re le pp. 76-77. 2 Di tale teoria sono disponibili varie elaborazioni: dalle prime,

    come Aspetti della ricercafolklorica, (Tre riflessioni e una premessa autocritica su cul- tura e cultura popolare).

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  • Bravo

    3 Questo modello teorico & gia sviluppato ed applicato a socie- ta concrete in Personalitd ed educazione nel processo di industria- lizzazione, Torino, Tirrenia 1966, in particolare nelle sezioni 1.5 e 3.2; viene poi usato per l'analisi della realta italiana ne L'evo- luzione della struttura di classe in Italia, > XIX, 2 (Aprile-Giugno 1970), pp. 115-154; riletto nei ter- mini della teoria generale dei sistemi e reimpiegato ne La socie- td, Torino, Paravia 1980; usato infine a fondare una teoria della ingovernabilita in Italia, in un saggio su cui torneremo ampia- mente, e dal quale e tratta l'indicazione delle formazioni sociali nel nostro paese riportata di seguito (Della ingovernabilitd, in G. Statera [a cura di], Consenso e conflitto nella societd contempo- ranea, Milano, Angeli 1982, pp. 69-87); anche un'ampia analisi del doppio lavoro nel nostro paese, coordinata dallo stesso Gal- lino, & riferita allo stesso modello (cfr. L. Gallino [a cura di], Occupati e bioccupati, Bologna, It Mulino 1982, in particolare l'Introduzione dello Stesso, Doppio lavoro ed economia infor- male. Verso la futura societd premoderna, pp. 9-36). 4 H. Atlan, Entre le cristal et lafumee, Paris, Editions du Seuil 1979, pp. 48, 49, 56-7; ma quasi tutto il volume e dedicato a questa problematica. 5 Ivi, pp. 46-48. 6 Ivi, pp. 76 e 77-78. 7 Questo concetto di co-evoluzione & uno di quelli portanti in

    E. Jantsch, The Self-Organizing Universe, Oxford, Pergamon Press 1980; v. in particolare le pp. 64 sgg. 8 Come implica invece la prospettiva luhmanniana, che qui pe-

    r6 non sara discussa. Comunque e certamente vero che un siste- ma e anche un riduttore, se non di una complessita, delle infor- mazioni emesse dall'ambiente (si pensi solo alle limitazioni insi- te nella struttura e funzionamento degli organi di senso). 9 H. Atlan, op. cit., pp. 91-92. 10 C. Lasch, La cultura del narcisismo, Milano, Bompiani 1981, p. 254. 1 Cfr. V. Lanternari, Crisi e ricerca di identitd, Napoli, Liguo-

    ri 1977, pp. 13-14 e 71-72; e le Note per un dibattito, citate in apertura, di A. Signorelli. 12 Alla crisi del nostro paese & dedicato un recente volume di G.E. Rusconi, F. Ferrero e S. Scamuzzi, La societd italiana in crisi, Torino, Book Store 1978, nel quale il primo degli autori traccia anche una rassegna dell'uso del concetto (II concetto di crisi sociale epolitica, pp. 3-17; lo stesso Rusconi ritorna sul pro- blema ne II concetto di societd complessa. Una esercitazione, XXVIII, 2-3 (Giugno-Settembre 1979), pp. 261-272, dove anch'egli osserva come una societa in crisi possa in realta essere , ovvero, diremmo, di successivi recuperi autorganiz- zativi (p. 266). 13 L. Gallino, Della ingovernabilitd, cit., p. 73; qui 1'A. intro- duce appunto nella sua trattazione la problematica dell'autorganizzazione. 14 E. Jantsch, op. cit., Introduction; del resto lo stesso Lasch, del quale abbiamo citato prima le considerazioni catastrofiche, afferma nell'introduzione (p. 9) che il suo libro >; gia oggi, infatti, i suoi concittadi-

    ni sono costretti a >, quindi, piui in generale, >. Lo stesso vale per la posizione e l'interesse della famiglia, che ?sono determinati da un sistema che consente le occupazioni doppie e plurime, non dal singolo job del capofamiglia>>, p. 46. 18 L. Gallino, Della ingovernabilitd, cit. 19 Ivi, pp. 81-3. 20 Ivi, p. 84. 21 Ivi, pp. 85-6. 22 Non entreremo qui nell'ampia bibliografia gramsciana (cfr. ad esempio quella pubblicata in G. Prestipino [a cura di], Gramsci: arte efolclore, Roma, Newton Compton 1976, pp. 237-252); ci limiteremo a citare i classici passi originali nell'ultima edizione, curata da V. Gerratana: A. Gramsci, Quaderni del carcere, I-IV, Torino, Einaudi 1975, vol. III, pp. 2311-2317, e sulla frammen- tarieta della storia delle classi subalterne le pp. 2283-84 e 2287-88; su questo aspetto vedi anche il gia citato saggio di Cirese in In- tellettuali, floklore, istinto di classe, pp. 73 sgg. 23 A. Gramsci, op. cit., vol. III, p. 2312-13. 24 Cio viene fatto, tra l'altro, trasferendo tecnologie avanzate, elaborate nelle formazioni sociali piu recenti, in unita produtti- ve caratteristiche di formazioni anteriori (ad esempio dalla gran- de industria a piccole attivita in proprio); ma vi sono anche ef- fetti che esorbitano dal sistema produttivo e tendono a diffon- dere nella societa atteggiamenti e comportamenti pre-moderni (cfr. la citata introduzione di L. Gallino a Occupati e bioccupa- ti). Una recente indagine su aspetti dell'agricoltura italiana met- te in evidenza come l'attivita del part-time farming non risulti essere, almeno nella zona studiata,

  • Riti nelle societd complesse

    trodotta una diversificazione di scelte e di comportamento, in ri- sposta a stimoli provenienti da formazioni sociali piii avanzate, che produce ulteriore complessita riorganizzando anche le risor- se ambientali. 25 Pone l'accento su questo punto A. Signorelli, op. cit., p. 73; Id., Scelte senza potere, Roma, Officina 1977, pp. 98-99. 26 A scanso di equivoci, soprattutto in un tempo in cui prospe- ra il gioco alla crisi, puo non essere inutile precisare che, attri- buendo qui importanza alle esperienze e agli orientamenti elabo- rati dai nuovi soggetti, non ci si accoda implicitamente ad una delle periodiche denunce (a 15 anni da quella di ispirazione mar- cusiana) sulla caduta della coscienza di classe, imborghesimen- to, irrilevanza di interessi su base di classe; si e semplicemente deciso di concentrare 1'attenzione su altri fatti. 27 Queste osservazioni sono state condotte soprattutto, ma non soltanto, su feste del periodo invernale-primaverile in contesto rurale e su cerimonie dello stesso periodo (questue) in Piemonte; inoltre su feste patronali in altro periodo e su feste in contesto rurale campano. Un'analisi di due feste primaverili della monta- gna piemontese sta in G.L. Bravo (a cura di), Festa e lavoro nel- la montagna torinese e a Torino, Cuneo, l'Arciere, 1981. 28 E.G. D'Aquili, Ch.D. Laughlin, Jr. e J. McManus, The Spec- trum of Ritual: A Biogenetic Structural Analysis, New York, Co- lumbia University Press 1979. 29 lvi, passim e in particolare pp. 51 sgg., 156 sgg., 160. 30 Del ruolo creativo del rituale parla F. Remotti nella sua In- troduzione: Van Gennep, tra etnologia efolklore, alla traduzio-

    ne italiana di A. Van Gennep, I riti di passaggio, Torino, Borin- ghieri 1981, pp. XXVI-XXVII. 31 Pare utile citare questo esempio sul quale si dispone di nume- rose osservazioni di prima mano, consultazioni, interviste, rac- colte di pubblicazioni locali ecc. Si tratta del resto di fenomeni che non sono solo italiani; cosi in Francia, oltre agli occitani d'ol- tralpe abbiamo una rinascita etnica, celtica, in Bretagna Armo- ricana, anch'essa collegata alla ricerca, studio e reinterpretazio- ne in riferimento alle problematiche attuali delle tradizioni bret- toni e celtiche; cfr. e.g. le opere di J. Markale, L 'popee celtique en Bretagne, Paris, Payot 1971, e Merlin l'enchanteur, Paris, Retz 1981. 32 Si veda C. Andreis, Abbadie in Val Maira: festa e comunita, Cuneo, Valados Usitanos 1981, pubblicazione di una tesi di lau- rea in Sociologia Urbana e Rurale, relatore G.L. Bravo, e nume- ri vari dei periodici ?Novel temp) e