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si esercita prevalentemente sui canali del so- dio, del potassio o del calcio o sul blocco dei beta adrenorecettori. La classificazione più comune di Vaughan Williams è di utilità li- mitata in quanto basata sugli effetti elettrofi- siologici esercitati da un’arbitraria concen- trazione del farmaco, in genere sul tessuto cardiaco normale. In realtà, le azioni di que- sti farmaci sono piuttosto complesse e dipen- dono dal tipo di tessuto, dalle specie, dal grado di malattia acuta o cronica, dalla fre- quenza cardiaca, dal potenziale di membra- na, dalla composizione ionica dell’ambiente extracellulare, dall’età (Cap. 72) e da altri fat- tori (Tab. 30-1). Molti farmaci hanno proprie- tà comuni a diverse categorie o determinano effetti indiretti, tramite alterazioni dell’emo- dinamica, del metabolismo miocardico o del- la trasmissione neurovegetativa. Alcuni far- maci sviluppano metaboliti attivi con effetti diversi da quelli del composto d’origine. Non tutti i farmaci della stessa classe hanno azio- ni uguali (p.es., bretilio, sotalolo e amioda- rone). Mentre tutti i farmaci di classe III sono profondamente differenti, alcuni farmaci di classi diverse hanno effetti che si sovrappon- gono (p.es., farmaci di classe IA e IC). Studi in vitro su fibre sane stabiliscono spesso le proprietà dei farmaci antiaritmici più che la loro effettiva proprietà antiaritmica. Nonostante le limitazioni, la classificazio- ne di Vaughan Williams 2 è molto conosciuta ed è un utile strumento di comunicazione. Per questo è riportata in questa sede, ma il lettore deve essere consapevole che l’azione dei farmaci è molto più complessa di quanto indicato dalla classificazione. Un panorama più realistico dei farmaci antiaritmici è of- ferto dal “Sicilian gambit”. 3 Questo approc- cio mirato alla classificazione dei farmaci è un tentativo di identificare i meccanismi di una certa aritmia, di determinare il parame- tro vulnerabile dell’aritmia più spesso su- scettibile di modificazione, nonché di defi- nire il bersaglio che più probabilmente in- fluenza il parametro vulnerabile, allo scopo di scegliere il farmaco che lo modificherà. Questo concetto fornisce un supporto che guida l’utilizzo dei farmaci antiaritmici (Tab. 30-2; vedi Tab. 30-1). 4 CLASSIFICAZIONE DEI FARMACI (Tab. 30-3). Secondo la classificazione di Vaughan Williams, i farmaci di classe I bloccano prin- cipalmente il canale rapido del sodio (pos- sono anche bloccare i canali del potassio). Il trattamento dei pazienti con aritmie cardia- che ha avuto una notevole evoluzione in que- sti ultimi 40 anni. Nella metà degli anni ’60, i pazienti con bradiaritmie erano trattati con voluminosi pacemaker impiantabili dotati di una batteria di durata inferiore a 5 anni e pacing a frequenza fissa; per i pazienti con tachiaritmie esisteva un numero limitato di farmaci come unica opzione di trattamento. Alla fine degli anni ’60, la terapia chirurgica – e la prospettiva di guarigione, non solo la soppressione delle tachiaritmie – è diventata una realtà. Fu applicata per la prima volta nella sindrome di Wolff-Parkinson-White e quindi estesa ad altre forme di tachicardia sopraventricolare (TSV) e di tachicardia ven- tricolare (TV). Negli anni ’80, fu eseguita per la prima volta l’ablazione con catetere per il trattamento delle tachiaritmie (inizialmente con corrente diretta erogata da un defibrilla- tore esterno, poi con corrente a radiofre- quenza) e fu poi perfezionata nei decenni successivi. Questa forma di terapia ha larga- mente sostituito quella chirurgica e farmaco- logica nei pazienti che richiedono un tratta- mento per TSV e TV in assenza di cardiopa- tie strutturali e sono state utilizzate anche altre forme di energia. Infine, all’inizio degli anni ’80 sono stati prodotti cardiovertitori- defibrillatori impiantabili (Implantable Car- dioverter-Defibrillator, ICD), diventati la tera- pia standard per i pazienti con gravi aritmie ventricolari in presenza di una cardiopatia strutturale. Alcuni pazienti richiedono un’as- sociazione di queste forme di trattamento (terapia “ibrida”, come un ICD e antiaritmici o chirurgia e ICD). 1 La terapia farmacologica delle aritmie, un tempo l’unica alternativa, attualmente ha un ruolo di supporto nella maggior parte dei casi. Terapia farmacologica I principi di farmacocinetica clinica e farma- codinamica sono trattati nel Capitolo 5. Considerazioni generali sui farmaci antiaritmici La maggior parte dei farmaci antiaritmici di- sponibili (Tab. 30-1) può essere classificata in base al fatto che la loro azione di blocco CAPITOLO 30 Terapia delle aritmie cardiache John M. Miller • Douglas P. Zipes Terapia farmacologica, 713 Considerazioni generali sui farmaci antiaritmici, 713 Farmaci antiaritmici di classe IA, 717 Chinidina, 717 Procainamide, 721 Disopiramide, 722 Farmaci antiaritmici di classe IB, 722 Lidocaina, 722 Mexiletina, 724 Fenitoina, 724 Farmaci antiaritmici di classe IC, 725 Flecainide, 725 Propafenone, 726 Moricizina, 727 Farmaci antiaritmici di classe II, 727 Farmaci bloccanti i beta-adrenorecettori, 727 Farmaci antiaritmici di classe III, 729 Amiodarone, 729 Tosilato di bretilio, 731 Sotalolo, 732 Ibutilide, 733 Dofetilide, 733 Azimilide, 734 Farmaci antiaritmici di classe IV, 734 Calcioantagonisti: verapamil e diltiazem, 734 Altri antiaritmici, 736 Adenosina, 736 Digossina, 737 Elettroterapia delle aritmie cardiache, 737 Cardioversione elettrica diretta, 737 Dispositivi elettrici impiantabili per il trattamento delle aritmie cardiache, 740 Terapia ablativa delle aritmie cardiache, 740 Terapia chirurgica delle tachiaritmie, 754 Tachicardie sopraventricolari, 754 Tachicardia ventricolare, 754 Tecniche chirurgiche, 755 Studi elettrofisiologici, 755 Bibliografia, 756 Linee guida: Elettrocardiogramma ambulatoriale ed esami elettrofisiologici, 757 713

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si esercita prevalentemente sui canali del so-dio, del potassio o del calcio o sul blocco dei beta adrenorecettori. La classifi cazione più comune di Vaughan Williams è di utilità li-mitata in quanto basata sugli effetti elettrofi -siologici esercitati da un’arbitraria concen-trazione del farmaco, in genere sul tessuto cardiaco normale. In realtà, le azioni di que-sti farmaci sono piuttosto complesse e dipen-dono dal tipo di tessuto, dalle specie, dal grado di malattia acuta o cronica, dalla fre-quenza cardiaca, dal potenziale di membra-na, dalla composizione ionica dell’ambiente extracellulare, dall’età (Cap. 72) e da altri fat-tori (Tab. 30-1). Molti farmaci hanno proprie-tà comuni a diverse categorie o determinano effetti indiretti, tramite alterazioni dell’emo-dinamica, del metabolismo miocardico o del-la trasmissione neurovegetativa. Alcuni far-maci sviluppano metaboliti attivi con effetti diversi da quelli del composto d’origine. Non tutti i farmaci della stessa classe hanno azio-ni uguali (p.es., bretilio, sotalolo e amioda-rone). Mentre tutti i farmaci di classe III sono profondamente differenti, alcuni farmaci di classi diverse hanno effetti che si sovrappon-gono (p.es., farmaci di classe IA e IC). Studi in vitro su fi bre sane stabiliscono spesso le proprietà dei farmaci antiaritmici più che la loro effettiva proprietà antiaritmica.

Nonostante le limitazioni, la classifi cazio-ne di Vaughan Williams2 è molto conosciuta ed è un utile strumento di comunicazione. Per questo è riportata in questa sede, ma il lettore deve essere consapevole che l’azione dei farmaci è molto più complessa di quanto indicato dalla classifi cazione. Un panorama più realistico dei farmaci antiaritmici è of-ferto dal “Sicilian gambit”.3 Questo approc-cio mirato alla classifi cazione dei farmaci è un tentativo di identifi care i meccanismi di una certa aritmia, di determinare il parame-tro vulnerabile dell’aritmia più spesso su-scettibile di modifi cazione, nonché di defi -nire il bersaglio che più probabilmente in-fl uenza il parametro vulnerabile, allo scopo di scegliere il farmaco che lo modifi cherà. Questo concetto fornisce un supporto che guida l’utilizzo dei farmaci antiaritmici (Tab. 30-2; vedi Tab. 30-1).4

CLASSIFICAZIONE DEI FARMACI (Tab. 30-3). Secondo la classifi cazione di Vaughan Williams, i farmaci di classe I bloccano prin-cipalmente il canale rapido del sodio (pos-sono anche bloccare i canali del potassio).

Il trattamento dei pazienti con aritmie cardia-che ha avuto una notevole evoluzione in que-sti ultimi 40 anni. Nella metà degli anni ’60, i pazienti con bradiaritmie erano trattati con voluminosi pacemaker impiantabili dotati di una batteria di durata inferiore a 5 anni e pacing a frequenza fi ssa; per i pazienti con tachiaritmie esisteva un numero limitato di farmaci come unica opzione di trattamento. Alla fi ne degli anni ’60, la terapia chirurgica – e la prospettiva di guarigione, non solo la soppressione delle tachiaritmie – è diventata una realtà. Fu applicata per la prima volta nella sindrome di Wolff-Parkinson-White e quindi estesa ad altre forme di tachicardia sopraventricolare (TSV) e di tachicardia ven-tricolare (TV). Negli anni ’80, fu eseguita per la prima volta l’ablazione con catetere per il trattamento delle tachiaritmie (inizialmente con corrente diretta erogata da un defi brilla-tore esterno, poi con corrente a radiofre-quenza) e fu poi perfezionata nei decenni successivi. Questa forma di terapia ha larga-mente sostituito quella chirurgica e farmaco-logica nei pazienti che richiedono un tratta-mento per TSV e TV in assenza di cardiopa-tie strutturali e sono state utilizzate anche altre forme di energia. Infi ne, all’inizio degli anni ’80 sono stati prodotti cardiovertitori-defi brillatori impiantabili (Implantable Car-dioverter-Defi brillator, ICD), diventati la tera-pia standard per i pazienti con gravi aritmie ventricolari in presenza di una cardiopatia strutturale. Alcuni pazienti richiedono un’as-sociazione di queste forme di trattamento (terapia “ibrida”, come un ICD e antiaritmici o chirurgia e ICD).1 La terapia farmacologica delle aritmie, un tempo l’unica alternativa, attualmente ha un ruolo di supporto nella maggior parte dei casi.

Terapia farmacologica

I principi di farmacocinetica clinica e farma-codinamica sono trattati nel Capitolo 5.

Considerazioni generali sui farmaci antiaritmici

La maggior parte dei farmaci antiaritmici di-sponibili (Tab. 30-1) può essere classifi cata in base al fatto che la loro azione di blocco

CAPITOLO 30

Terapia delle aritmie cardiache John M. Miller • Douglas P. Zipes

Terapia farmacologica, 713Considerazioni generali sui farmaci

antiaritmici, 713

Farmaci antiaritmici di classe IA, 717Chinidina, 717Procainamide, 721Disopiramide, 722

Farmaci antiaritmici di classe IB, 722Lidocaina, 722Mexiletina, 724Fenitoina, 724

Farmaci antiaritmici di classe IC, 725Flecainide, 725Propafenone, 726Moricizina, 727

Farmaci antiaritmici di classe II, 727Farmaci bloccanti

i beta-adrenorecettori, 727

Farmaci antiaritmici di classe III, 729Amiodarone, 729Tosilato di bretilio, 731Sotalolo, 732Ibutilide, 733Dofetilide, 733Azimilide, 734

Farmaci antiaritmici di classe IV, 734Calcioantagonisti: verapamil

e diltiazem, 734

Altri antiaritmici, 736Adenosina, 736Digossina, 737

Elettroterapia delle aritmie cardiache, 737Cardioversione elettrica diretta, 737Dispositivi elettrici impiantabili

per il trattamento delle aritmie cardiache, 740

Terapia ablativa delle aritmie cardiache, 740

Terapia chirurgicadelle tachiaritmie, 754Tachicardie sopraventricolari, 754Tachicardia ventricolare, 754Tecniche chirurgiche, 755Studi elettrofi siologici, 755

Bibliografi a, 756

Linee guida: Elettrocardiogramma ambulatoriale ed esami elettrofi siologici, 757

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Capitolo 30

Sono divisi in tre sottogruppi:

Classe IA. Farmaci che riducono V·max (la velocità di innal-zamento del tratto ascendente del potenziale d’azione [fase 0]) e prolungano la durata del potenziale di azione (Cap. 77): chi-nidina, procainamide, disopiramide; le cinetiche di esordio e di scomparsa del blocco del canale del Na+ sono di rapidità intermedia (<5 sec).

Classe IB. Farmaci che non riducono V·max e che accorciano la durata del potenziale di azione: mexiletina, fenitoina e lido-caina; rapide cinetiche di esordio e di scomparsa dell’azione (<500 millisecondi).

Classe IC. Farmaci che riducono V·max, che principalmente deprimono la conduzione, e che possono prolungare in modo trascurabile la refrattarietà: fl ecainide, propafenone e morici-zina; lente cinetiche di esordio e scomparsa (10-20 sec).

Classe II. Farmaci che bloccano i recettori beta-adrenergici, quali propranololo, timololo, metoprololo e altri.

Classe III. Farmaci che bloccano soprattutto i canali del potassio (come IKr) e prolungano la ripolarizzazione. Questi comprendono sotalolo, amiodarone, e bretilio.

Classe IV. Farmaci che bloccano soprattutto il canale lento del calcio (ICa-L) e includono verapamil, diltiazem, nifedipina e altri (la felodipina blocca ICa-T).

Tabella 30–1 Azioni dei farmaci usati nel trattamento delle aritmie

Canali

Recettori

Pompe

Effetto clinico

Na* Na+,

VS

Seno Extra-Interazioni Rapida Media Lenta Ca Kr Ks a b M2 P K+-ATPasi Funzione

Frequenza cardiaco

Chinidina �A � � � — ≠ �

Procainamide �A � Ø — �

Disopiramide �A � � Ø — �

Lidocaina � — —Ø �

Mexiletina � — — �

Fenitoina � — — �

Flecainide �A � Ø — �

Propafenone �A � � Ø Ø �

Moricizina �I Ø — �

Propranololo � � Ø Ø �

Nadololo � Ø Ø �

Amiodarone � � � � � � — Ø �

Bretilio � � � — Ø �

Sotalolo � � Ø Ø �

Ibutilide � — Ø �

Dofetilide � — — �

Azimilide � � � — — �

Verapamil � � � Ø Ø �

Diltiazem � Ø Ø �

Adenosina � — Ø �

Digossina � � ≠ Ø �

Atropina � — ≠ �

Potenza relativa del blocco o effetti collaterali extracardiaci: � = bassa; � = media; � = alta; � = agonista; � = agonista-antagonista; A = Bloccante dello stato di attivazione; I = Bloccante dello stato di inattivazione; — = minimi effetti; ≠ = aumento; Ø = diminuzione; Kr = componente rapida della K+ corrente di rettifi ca ritardata; Ks = componente lenta della K+ corrente di rettifi ca ritardata; M2 = sottotipo 2 del recettore muscarinico; P = A1 recettore purinergico.

Adattato da Schwartz PJ, Zaza A: Eur Heart J 13:26, 1992. Copyright © 1992, riprodotto con l’autorizzazione di Elsevier.*Rapida, media, lenta si riferiscono alla cinetica di recupero dal blocco dei canali del sodio.

Un modello più recente suggerisce che i farmaci antiaritmici attraver-sino la membrana cellulare e interagiscano con i recettori nei canali di membrana quando questi ultimi sono in stato di riposo o di inattivazione (Tab. 30-1) e ciascuna di queste interazioni è caratterizzata da diverse costanti di velocità di associazione e dissociazione. Queste interazioni sono voltaggio e tempo dipendenti. Le transizioni tra stati di riposo, di attivazione e inattivazione sono governate dall’equazione standard di Hodgkin-Huxley. Quando il farmaco è legato (associato) a un sito del recettore o è molto vicino al canale ionico (il farmaco probabilmente non è realmente “inse-rito” nel canale), quest’ultimo non può condurre, perfi no in condizione di attivazione.

USO-DIPENDENZA. Alcuni farmaci esercitano effetti inibitori mag-giori sulla salita del potenziale d’azione per frequenze di stimolazione più rapide e dopo periodi prolungati di stimolazione, una caratteristica detta uso-dipendenza. Uso-dipendenza signifi ca che la depressione di V

·max,

è più grande dopo che il canale è stato “utilizzato” (cioè, dopo un potenziale di azione di depolarizzazione piuttosto che dopo un periodo di riposo). È possibile che questa uso-dipendenza risulti da interazioni preferenziali dei farmaci antiaritmici con il canale sia aperto sia inattivo mentre c’è una scarsa interazione con i canali a riposo della cellula non stimolata. Farmaci della classe IB hanno una rapida cinetica di esordio e di scomparsa o un blocco uso-dipendente dei canali rapidi; ovvero essi si legano e si disso-ciano rapidamente dai recettori. I farmaci di classe IC hanno una cinetica lenta e quelli di classe IA sono intermedi. Quando la diastole si allunga (fre-quenza inferiore), una maggiore quantità di recettori si libera dal farmaco che risulta così meno effi cace. Cellule con potenziali di membrana ridotti recuperano più lentamente in seguito all’azione del farmaco la loro condi-zione rispetto alle cellule con potenziali di membrana più negativi.

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715Terapia delle aritm

ie cardiache

USO-DIPENDENZA INVERSO. Alcuni farmaci hanno effetti più marcati alle basse frequenze che alle alte, una proprietà nota come uso-dipendenza inverso. Ciò è particolarmente vero per quei farmaci che prolungano la ripolarizzazione. L’intervallo QT si prolunga maggiormente alle basse piuttosto che alle alte frequenze. Questo effetto è il contrario di ciò che un farmaco antiaritmico ideale dovrebbe fare perché il prolungamento della refrattarietà deve essere aumentato alle alte frequenze in modo da interrompere o prevenire una tachicardia e deve essere minimo alle basse frequenze per evitare la comparsa di torsioni di punta.

MECCANISMI DI SOPPRESSIONE DELL’ARITMIA (Tab. 30-2). Dato che l’esaltata automaticità, l’attività triggerata o il rientro possono indurre aritmie cardiache (Capp. 27 e 32), si possono ipotizzare i meccanismi attraverso i quali i farmaci antiaritmici sopprimono le aritmie. I farmaci antiaritmici pos-sono rallentare la frequenza di scarica spontanea di un pace-maker automatico riducendo la pendenza della depolarizzazione diastolica, spostando il potenziale soglia verso lo zero o iperpo-larizzando il potenziale di membrana a riposo. I meccanismi con cui differenti farmaci sopprimono un automatismo nor-

male o anormale possono non essere uguali. In generale, tut-tavia, la maggior parte dei farmaci antiaritmici nei dosaggi terapeutici deprime la frequenza automatica innescata spon-taneamente da foci ectopici mentre infl uenza in modo trascu-rabile la frequenza di scarica del nodo del seno normale. I farmaci bloccanti i canali lenti come il verapamil, i beta-bloc-canti come il propranololo e alcuni antiaritmici come l’amio-darone deprimono anche la frequenza di scarica spontanea del nodo del seno, mentre i farmaci con azione vagolitica, quali disopiramide o chinidina, possono aumentare la frequenza sinusale. I farmaci possono anche sopprimere le postdepola-rizzazioni precoci o tardive ed eliminare le aritmie dovute a questi meccanismi.

Come ricordato in precedenzaa, il rientro dipende specifi ca-tamente dalle relazioni temporali tra refrattarietà e velocità di conduzione, dalla presenza di un blocco unidirezionale in una delle vie e da altri fattori che infl uenzano la refrattarietà e la conduzione come l’eccitabilità. Un farmaco antiaritmico può bloccare un rientro già presente o ne può prevenire l’inizio se migliora o deprime la conduzione. Ad esempio, la migliore

Tabella 30–2 Classifi cazione dell’azione dei farmaci sull’aritmia basata sulla modifi cazione dei parametri sensibili

Meccanismo Aritmia Parametro sensibile (effetto) Farmaci (effetto)

Automatismo Normale aumentato Tachicardia sinusale

inappropriata Alcune TV idiopatiche

Depolarizzazione di fase 4 (diminuzione)

Farmaci bloccanti i recettori beta-adrenergici

Farmaci bloccanti i canali del Na+

Anormale Tachicardia atriale

Ritmo idioventricolare accelerato

Massimo potenziale diastolico (iperpolarizzazione) Depolarizzazione di fase 4

(diminuzione) Depolarizzazione di fase 4

(diminuzione)

M2 agonista

Farmaci bloccanti i canali Ca2+ o Na+ M2 agonista Farmaci bloccanti i canali Ca2+ o Na+

Attività trigger EAD Torsioni di punta Durata del potenziale d’azione

(abbreviata) EAD (soppressione)

Agonisti beta-adrenergici; farmaci vagolitici (aumento frequenza)

farmaci bloccanti i canali Ca2+; Mg2+; farmaci bloccanti beta-adrenergici

DAD Aritmie indotte dalla digitale

Tachicardia del tratto di effl usso del VD

Sovraccarico di calcio (libero) DAD (soppressione) Sovraccarico di calcio (riduzione

del carico) DAD (soppressione)

Farmaci bloccanti i canali Ca2+ Farmaci bloccanti i canali Na+ Farmaci bloccanti beta-adrenergici

Farmaci bloccanti i canali Ca2+; adenosina

Rientro dipendentedal canale Na+

Lungo gap di eccitabilità

Flutter atriale tipico Tachicardia da movimento

circolare nella WPW TV sostenuta uniforme

Conduzione ed eccitabilità (depressione) Conduzione ed eccitabilità (depressione)

Conduzione ed eccitabilità (depressione)

Farmaci bloccanti i canali Na+ tipo IA, IC Farmaci bloccanti i canali Na+ tipo IA, IC

Farmaci bloccanti i canali Na+

Breve periodo di refrattarietà

Flutter atriale atipico Fibrillazione atriale Tachicardia da movimento

circolare nella WPW TV polimorfa e uniforme Rientro a livello della branca Fibrillazione ventricolare

Periodo refrattario (prolungamento) Periodo refrattario (prolungamento) Periodo refrattario (prolungamento)

Periodo refrattario (prolungamento)

Periodo refrattario (prolungamento) Periodo refrattario (prolungamento)

Farmaci bloccanti i canali del K+

Farmaci bloccanti i canali del K+ Amiodarone, sotalolo

Farmaci bloccanti i canali Na+ tipo IA

Farmaci bloccanti i canali Na+ tipo IA; bretilio

Rientro dipendentedal canale Ca2+

Tachicardia da rientro del nodo AV Tachicardia da movimento

circolare nella WPW TV sensibile al verapamil

Conduzione ed eccitabilità (depressione) Conduzione ed eccitabilità (depressione)

Conduzione ed eccitabilità (depressione)

Farmaci bloccanti i canali Ca2+ Farmaci bloccanti i canali Ca2+

Farmaci bloccanti i canali Ca2+

AV = atrioventricolare; DAD = Delayed AfterDepolarization, post-depolarizzazione ritardata; EAD = Early AfterDepolarization, post-depolarizzazione precoce; VD = ventricolo destro; WPW = Wolff-Parkinson-White.

Dati da Task Force of the Working Group on Arrhythmias of the European Society of Cardiology: The Sicilian gambit: A new approach to the classifi cation of antiarrhythmic drugs based on their actions on arrhythmogenic mechanisms. Circulation 84:1831, 1991. Copyright 1991, American Heart Association.

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Capitolo 30

Tabella 30–3 Caratteristiche elettrofi siologiche dei farmaci antiaritmici in vitro

FP NS Memb SI Sistema nervoso Anest. Farmaco APA APD dV/dt MPD ERP VC fase 4 auto Res SE SFV Contr Curr autonomo locale

Chinidina Ø ≠ Ø 0 ≠ Ø Ø 0 Ø ≠ ≠ 0 0 Antivagale; alfa Sì bloccante

Procainamide Ø ≠ Ø 0 ≠ Ø Ø 0 Ø ≠ ≠ 0 0 Lievemente antivagale Sì

Disopiramide Ø ≠ Ø 0 ≠ Ø Ø Ø 0 ≠ Ø ≠ ≠ Ø 0 Centrale: antivagale, Sì antagonista del sistema simpatico

Lidocaina 0 Ø Ø 0 Ø 0 Ø 0 Ø Ø 0 0 Ø 0 ≠ ≠ 0 0 0 Sì

Mexiletina 0 Ø 0 Ø 0 Ø Ø Ø 0 Ø ≠ ≠ Ø 0 0 Sì

Fenitoina 0 Ø Ø 0 ≠ 0 Ø 0 Ø 0 0 ≠ 0 0 0 No

Flecainide Ø 0 ≠ Ø 0 ≠ Ø Ø Ø 0 Ø Ø 0 0 Sì

Propafenone Ø 0 ≠ Ø 0 ≠ Ø Ø Ø 0 Ø ≠ ≠ Ø 0 Ø Antagonista del Sì sistema simpatico

Moricizina Ø Ø Ø 0 Ø Ø 0 0 Ø ≠ 0 0 0 No

Propranololo 0 Ø 0 Ø 0 Ø 0 Ø 0 Ø* Ø Ø Ø 0 Ø Antagonista del No sistema simpatico

Amiodarone 0 ≠ 0 Ø 0 ≠ Ø Ø Ø 0 0 ≠ 0 ≠ 0 Antagonista del Sì sistema simpatico

Bretilio 0 ≠ 0 0 ≠ 0 0 Ø* 0 Ø 0 ≠ 0 0 ≠ Ø 0 Antagonista del Sì sistema simpatico

Sotalolo 0 Ø ≠ 0 Ø 0 ≠ 0 0 Ø Ø 0 Ø 0 0 Ø 0 Ø Antagonista del No sistema simpatico

Ibutilide 0 ≠ 0 0 ≠ 0 0 Ø 0 0 0 0 0 No

Dofetilide 0 ≠ 0 0 ≠ 0 0 0 0 0 0 0 0 No

Azimilide 0 ≠ 0 0 ≠ 0 0 0 0 0 0 0 0 No

Verapamil 0 Ø 0 0 0 0 Ø* Ø 0 0 0 Ø Ø Ø ? Recettori blocco Sì alfa; rinforzo vagale

Adenosina 0 ≠ 0 Ø 0 ≠ 0 0 Ø Ø 0 0 0 0 Ø Vagomimetico No

APA = ampiezza del potenziale d’azione; APD = Action Potential Duration, durata del potenziale d’azione; dV/dt = velocità di salita del potenziale d’azione; MPD = massimo potenziale diastolico; ERP = periodo refrattario effettivo (il più lungo S1-S2 Intervallo in cui S2 non riesce a produrre una risposta); VC = velocità di conduzione; FP = Fibra di Purkinje; NS auto = automatismo del nodo del seno; Memb Res = responsività di membrana; SE = soglia di eccitabilità; SFV = soglia di fi brillazione ventricolare; Contr = Contrattilità; SI Curr = slow inward current, corrente lenta d’entrata; Anest. locale = effetto anestetico locale.

*Con attività di fondo sul sistema simpatico.

conduzione può (1) eliminare il blocco unidirezionale cosicché il rientro non può attivarsi o (2) facilitare la conduzione nel circuito di rientro in modo tale che il fronte dell’onda di rien-tro arriva troppo rapidamente, incontra fi bre ancora refrattarie e si estingue. Un farmaco che deprime la conduzione può tra-sformare il blocco unidirezionale in un blocco bidirezionale e così interrompere il rientro o prevenire la sua comparsa creando un’area di blocco completo nel circuito di rientro. Viceversa, un farmaco che rallenti la conduzione senza produrre un blocco o un allungamento della refrattarietà, può favorire il rientro in modo signifi cativo. Infi ne la maggior parte dei farmaci antiarit-mici condivide la capacità di prolungare la refrattarietà relativa al loro effetto sulla durata del potenziale d’azione (Action Potential Duration, APD), ovvero, il rapporto tra periodo refrat-tario effettivo (Effective Refractory Period, ERP) e APD supera 1,0. Se un farmaco prolunga la refrattarietà delle fi bre nel cir-cuito di rientro, la via può non riacquistare l’eccitabilità in tempo utile per essere depolarizzata dall’impulso rientrante e la propagazione cessa. I diversi tipi di rientro (Cap. 27) infl uen-zano gli effetti e l’effi cacia di un farmaco.

Quando si considerano le proprietà di un farmaco, è impor-tante defi nire la situazione o il modello, o entrambi, dal quale le conclusioni sono tratte. Gli effetti elettrofi siologici, emodi-namici, autonomici, farmacocinetici e quelli indesiderati pos-sono differire nei soggetti sani rispetto ai pazienti, nel tessuto normale rispetto a quello anormale, nel muscolo cardiaco rispetto alle fi bre specializzate di conduzione, nell’atrio rispetto al muscolo ventricolare e tra specie differenti (Tab. 30-4).

STEREOSELETTIVITÀ. Le interazioni farmacologiche con un canale, un recettore o un enzima dipendono dalla geometria tridimensionale del farmaco. Molti farmaci posseggono stereoisomeri (molecole di uguale com-posizione atomica ma differente orientamento spaziale) che infl uiscono su effetti, metabolismo, legame, clearance ed escrezione del farmaco. La maggior parte dei farmaci di questo tipo è prescritta come miscela 50:50 delle loro due forme (racemati), che può rendere il 50% del dosaggio inef-fi cace per alcuni farmaci. Tranne che per il timololo tutti i beta-bloccanti sono di fatto racemati. Il d-propranololo esercita azioni antiaritmiche non correlate al blocco del recettore beta-adrenergico, mentre il l-propranololo blocca il beta recettore. Entrambi gli enantiomeri (immagini speculari) del sotalolo bloccano il canale del potassio per prolungare l’APD e sopprimere ugualmente le aritmie, ma il d-sotalolo non blocca il beta adrenorecet-tore e da solo può essere aritmogeno. Il propafenone racemico presenta azione beta-bloccante dovuta all’enantiomero S. Altri farmaci con notevoli differenze stereoselettive comprendono la disopiramide, con una forma (S [+]) che prolunga la ripolarizzazione con effetti antiaritmici superiori a quelli della R (-), che accorcia la ripolarizzazione. Quest’ultima forma ha effetti anticolinergici minori. L’enantiomero (-) del verapamil esercita maggiori effetti inotropi e dromotropi negativi rispetto alla forma (+) e può avere un’azione antiaritmica più potente. La stereoselettività infl uisce meno sui farmaci che bloccano i canali del sodio che sul blocco dei beta adrenorecettori e i recettori del potassio e del calcio.

METABOLITI DEI FARMACI. I metaboliti dei farmaci possono aumen-tare o modifi care gli effetti del principio attivo del farmaco esercitando azioni simili, competendo con i composti d’origine o rifl ettendo la tossi-cità farmacologica. La chinidina ha almeno quattro metaboliti attivi ma nessuno con una potenza superiore a quella del composto d’origine e nessuno implicato in maniera preminente nel causare torsioni di punta. Circa il 50% della procainamide è metabolizzato a N-acetilprocainamide (NAPA). Soltanto il composto d’origine blocca i canali cardiaci del sodio e rallenta l’impulso di propagazione nel sistema di His-Purkinje. Il NAPA prolunga la ripolarizzazione ed è un farmaco antiaritmico meno effi cace

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ie cardiache ma compete con la procainamide per i siti secretori renotubulari e può aumentare l’emivita di eliminazione del principio attivo del farmaco. Il metabolita della lidocaina compete con la stessa nel blocco dei canali del sodio e contrasta parzialmente con il blocco indotto.

FARMACOGENETICA (Cap. 5). Le vie metaboliche determinate gene-ticamente spiegano molte delle differenze nella risposta dei pazienti ad alcuni farmaci. L’attività della N-acetiltransferasi epatica determinata gene-ticamente regola lo sviluppo di anticorpi antinucleo e lo sviluppo di una sindrome lupoide come risposta alla procainamide. I fenotipi acetilatori lenti sembrano più inclini a sviluppare il lupus rispetto agli acetilatori rapidi. In circa il 7% dei soggetti manca la debrisochina 4-idrossilasi. Questo enzima (chiamato P450dbl) è necessario al metabolismo della debrisochina (un farmaco antipertensivo) e del propafenone, per idrossilare molti beta-bloccanti e per biotrasformare la fl ecainide. La mancanza di questo enzima riduce il metabolismo del composto d’origine, portando a un aumento delle concentrazioni plasmatiche del principio attivo e riduzione delle concentrazioni dei metaboliti. Il propafenone è metabolizzato da questo enzima in un composto con effetti antiaritmici e beta-bloccanti legger-mente inferiori e minori effetti indesiderati sul SNC. Pertanto, i soggetti con metabolismo debole possono manifestare un rallentamento maggiore della frequenza cardiaca e neurotossicità rispetto a quelli con metabolismo più esteso. La chinidina a basso dosaggio può inibire questo enzima e quindi alterare la concentrazione dei farmaci e dei metaboliti somministrati in associazione che sono infl uenzati dell’enzima P450dbl quali il propafenone o la fl ecainide.

Conoscere la stereoselettività e la farmacogenetica può fornire mag-giori indicazioni per capire le differenze di effi cacia e tossicità dei farmaci tra i pazienti. Anche la cimetidina e la ranitidina infl uenzano il metabolismo farmacologico, probabilmente per inibizione degli enzimi di metaboliz-zazione epatica P450. Altri farmaci non cardiovascolari di uso comune alterano questa importante via metabolica. Farmaci quali rifampicina, feno-barbital e fenitoina inducono la sintesi di maggiori quantità di citocromo P450dbl, riducendo le concentrazioni dei farmaci d’origine che vengono ampiamente metabolizzati, mentre eritromicina, claritromicina, fl uoxetina e succo di pompelmo inibiscono l’attività enzimatica, determinando l’ac-cumulo del farmaco di riferimento. Si ritiene che questo effetto spieghi perché la cisapride, un farmaco usato per aumentare la motilità gastrica, possa causare in casi isolati prolungamento dell’intervallo QT e torsioni di punta. La cisapride blocca la corrente di ripolarizzazione ritardata IKr ma non prolunga signifi cativamente l’intervallo QT nella maggioranza dei pazienti, verosimilmente per l’ampio metabolismo. Nei pazienti che assu-mono un inibitore del citocromo P450 (come l’eritromicina) insieme alla cisapride, quest’ultimo farmaco può accumularsi portando a un prolun-gamento del QT e a torsioni di punta.

EFFETTI INDESIDERATI. I farmaci antiaritmici producono un gruppo di effetti indesiderati relativi alla dose eccessiva e alle concentrazioni plasmatiche, che causano sia tossicità non cardiaca (p.es., alterazioni neurologiche) che cardiaca (p.es., insuffi cienza cardiaca, certe aritmie) e un altro gruppo di effetti indesiderati non correlati alle concentrazioni plasmatiche che è stato denominato idiosincrasico. Esempi di questi ultimi sono la sindrome lupica indotta da procainamide e alcune aritmie quali le torsioni di punta indotte dalla chinidina. Quest’ultimo fenomeno può verifi carsi in soggetti con una “forma frusta” della sindrome del QT lungo (cioè, normale intervallo QT a riposo, ma intervallo marcatamente prolungato in presenza di alcuni farmaci).5 In futuro, è probabile che differenze genetiche potranno spiegare molte reazioni “idiosincrasiche”.6-11

Proaritmia. Le aritmie cardiache indotte o aggravate dai farmaci (proaritmia) sono un problema clinico importante.12 Tali eventi possono manifestarsi con un aumento della fre-quenza di un’aritmia preesistente, con la trasformazione in sostenuta di un’aritmia precedentemente non sostenuta (talora rendendola addirittura incessante) o inducendo aritmie in pazienti che non le avevano in precedenza. I meccanismi elet-trofi siologici sono probabilmente correlati al prolungamento della ripolarizzazione, allo sviluppo di una post-depolarizza-zione precoce tale da determinare torsioni di punta e ad alte-razioni nei circuiti di rientro in grado di provocare o sostenere tachiaritmie ventricolari. Eventi proaritmici possono verifi carsi nel 5-10% dei pazienti a cui vengono somministrati farmaci antiaritmici. Il rischio proaritmico aumenta nello scompenso cardiaco. Pazienti con fi brillazione atriale trattati con antiarit-mici avevano un rischio relativo di morte cardiaca di 4,7 in caso di anamnesi d’insuffi cienza cardiaca rispetto a pazienti

non trattati, che avevano un rischio relativo di morte per aritmie di 3,7. Pazienti senza storia di insuffi cienza cardiaca congesti-zia non avevano un aumento di rischio di morte cardiaca durante il trattamento antiaritmico.13 Una funzione ventricolare ridotta, un trattamento con digitale e diuretici e un intervallo QT più lungo prima del trattamento caratterizzano i pazienti che sviluppano una fi brillazione ventricolare (FV) farmaco-indotta. La maggior parte degli eventi proaritmici conosciuti compaiono di solito a distanza di alcuni giorni dall’inizio del trattamento o dalla modifi cazione del dosaggio e sono caratte-rizzati dalla comparsa di TV incessante, sindrome del QT lungo e torsione di punta. Tuttavia, nel Cardiac Arrhythmia Suppres-sion Trial (CAST),14 i ricercatori hanno riscontrato che encai-nide e fl ecainide riducevano le aritmie ventricolari spontanee, ma erano associate a una mortalità totale del 7,7% rispetto al 3% del gruppo trattato con placebo. Le morti risultavano uni-formemente distribuite lungo tutto il periodo di trattamento, portando all’importante conclusione che un altro genere di risposta proaritmica si può verifi care qualche tempo dopo l’ini-zio della terapia farmacologica. Questi effetti proaritmici tardivi possono essere correlati all’esacerbazione farmaco-indotta del ritardo di conduzione miocardica distrettuale dovuto all’ische-mia e alle concentrazioni eterogenee di farmaco che possono favorire il rientro. Anche la moricizina aumentava la mortalità, causando l’interruzione del CAST II.

Fino agli anni ’70, quando sono stati ideati trattamenti chi-rurgici distinti per la sindrome di Wolff-Parkinson-White e la TV (vedi oltre), gli antiaritmici erano l’unico trattamento per i pazienti con tachiaritmia. La disponibilità dell’ablazione transcatetere (vedi oltre) e degli ICD (Cap. 31) per trattare una grande varietà di aritmie ha relegato la terapia farmacologica in un ruolo secondario. I farmaci sono tuttora utili per preve-nire o ridurre la frequenza delle recidive in pazienti con epi-sodi relativamente rari di tachicardie benigne, in quelli che hanno avuto un successo incompleto con i metodi di ablazione transcatetere e nei pazienti con ICD che hanno frequenti epi-sodi di aritmia ventricolare che esita in shock.

Farmaci antiaritmici di classe IA

Chinidina

Chinidina e chinino sono alcaloidi isomeri isolati dalla cor-teccia di china. Sebbene la chinidina condivida gli effetti anti-malarici, antipiretici e azioni vagolitiche del chinino, quest’ul-timo non ha le signifi cative caratteristiche elettrofi siologiche e gli effetti antiaritmici della chinidina.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tab. 30-5; vedi Tabb. 30-1, 30-2 e 30-3). La chinidina ha uno scarso effetto sull’automatismo del nodo del seno normale isolato o denervato, ma sopprime l’automatismo nelle fi bre di Purkinje normali, specialmente nei pacemaker ectopici, diminuendo la pendenza della fase 4 della depolarizzazione diastolica e spostando il voltaggio di soglia verso lo zero. Nei pazienti con malattia del nodo del seno, la chinidina può deprimere l’automatismo del nodo sinusale. Essa non condiziona l’automatismo anormale nelle fi bre di Purkinje parzial-mente depolarizzate. La chinidina provoca post-depolarizzazioni precoci in preparati sperimentali e nell’uomo che possono essere responsabili di torsione di punta.15 A causa di un signifi cativo effetto anticolinergico e della stimolazione rifl essa risultante dal blocco alfa-adrenergico che provoca vasodilatazione periferica, la chinidina può aumentare la frequenza del nodo del seno e migliorare la conduzione del nodo AV. Effetti miocardici diretti possono prolungare i tempi di conduzione del nodo AV e del fascio di His-Purkinje e la refrattarietà in una via AV accessoria. La chinidina pro-lunga lievemente l’APD dei muscoli atriale e ventricolare e delle fi bre di Purkinje, mentre prolunga l’ERP senza modifi care signifi cativamente il potenziale di membrana a riposo. Il prolungamento della ripolarizzazione è più evidente alle basse frequenze cardiache (uso-dipendenza inverso) a causa del blocco di IKr. L’ampiezza del potenziale d’azione, l’entità della depolarizzazione e la V

·max di fase 0 sono ridotti, soprattutto in corso

di ischemia, ipossia e, nelle fi bre parzialmente depolarizzate, specialmente

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Capitolo 30

Tabella 30–4 Indicazioni di uso clinico per i farmaci antiaritmici*

Limiti abituali di dosaggio

Endovenoso (mg) Orale (mg)

Farmaci Carico Mantenimento Carico Mantenimento

Chinidina da 6-10 mg/kg a 0,3-0,5 mg/kg/min — 800-1000 300-600 q6hr

Procainamide da 6-13 mg/kg a 0,2-0,5 mg/kg/min 2-6 mg/min 500-1000 250-1000 q4-6hr

Disopiramide 1-2 mg/kg in 15-45 min‡ 1 mg/kg/hr 100-300 q6-8hr

Lidocaina da 1-3 mg/kg a 20-50 mg/min 1-4 mg/min N/A N/A

Mexiletina 500 mg‡ 0,5-1,0 gm/24 hr 400-600 150-300 q8-12hr

Fenitoina 100 mg q5min per £1000 mg 1000 100-400 q12-24hr

Flecainide 2 mg/kg‡ 100-200 q12hr 50-200 q12hr

Propafenone 1-2 mg/kg‡ 600-900 150-300 q8-12hr

Moricizina N/A N/A 300 100-400 q8hr

Propranololo 0,25-0,5 mg q5min a £0,20 mg/kg 10-200 q6-8hr

Amiodarone 15 mg/min per 10 min, 1 mg/min per 1 mg/min 800-1600 qd 200-600 qd 3 hr, 0,5 mg/min a seguito per 7-14 giorni

Bretilio da 5-10 mg/kg a 1-2 mg/kg/min 0,5-2 mg/min N/A 4 mg/kg/d

Sotalolo 10 mg in 1-2 min‡ 80-320 q12hr

Ibutilide 1 mg in 10 min N/A N/A N/A

Dofetilide 2-5 mg/kg in infusione‡ N/A N/A 0,125-0,5 q12hr

Azimilide N/A N/A N/A 100-200 qd

Verapamil 5-10 mg in 1-2 min 0,005 mg/kg/min 80-120 q 6-8hr

Adenosina 6-18 mg (rapidamente) N/A N/A N/A

Digossina 0,5-1,0 mg 0,125-0,25 qd 0,5-1,0 0,125-0,25 qd

N/A = non applicabile.*I risultati riportati possono variare in rapporto alla dose, allo stato della malattia, alla somministrazione per via endovenosa od orale.†Classe di gravidanza: A, studi controllati non mostrano rischi fetali; B, nessuno studio controllato, ma nessuna evidenza di rischio fetale; danno fetale improbabile;

C, non si può escludere rischio fetale; il farmaco dovrebbe essere usato soltanto se i potenziali benefi ci superano il rischio potenziale; D, rischio fetale certo;il farmaco deve essere evitato tranne che in casi potenzialmente letali o quando non esistono alternative più sicure; X, controindicato in gravidanza.

‡Uso endovenoso solo sperimentale.§Solo sperimentale.

alle frequenze elevate. Il canale veloce ha un’alta affi nità per la chinidina, determinando il blocco di una parte dei canali del sodio e del tratto ascen-dente del potenziale d’azione. Il tempo di dissociazione dei farmaci di classe IA (circa 4 secondi) è più lungo di quelli di classe IB ma più breve dei farmaci della classe IC. Per la durata del plateau del potenziale d’azione (stato inattivato) o nelle fi bre depolarizzate, la velocità di sblocco è lenta, mentre è molto più veloce nelle fi bre polarizzate. Quindi, frequenze più veloci determinano un blocco maggiore dei canali del sodio e uno sblocco minore a causa di una minore percentuale di tempo trascorso in uno stato polarizzato (uso-dipendenza). L’isoproterenolo può modulare gli effetti della chinidina sui circuiti di rientro nell’uomo. Gli effetti della chinidina sul Ia (ma non Ik) varia in relazione all’età del paziente e può spiegare la sua minore effi cacia nei bambini rispetto agli adulti.

EFFETTI EMODINAMICI. La chinidina riduce le resistenze vascolari periferiche e può indurre un’ipotensione signifi cativa a causa del suo effetto bloccante sui recettori alfa-adrenergici. La contemporanea somministrazione di vasodilatatori può aumentare gli effetti ipotensivi. In alcuni pazienti, la chinidina può aumentare la gittata cardiaca, probabilmente riducendo il postcarico e il precarico. Con la somministrazione orale di chinidina non si verifi ca alcun effetto diretto depressivo mio-cardico signifi cativo.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). Sebbene chinidina sol-fato e chinidina gluconato somministrate per via orale presen-tino gradi di disponibilità sistemica simili, la concentrazione plasmatica della chinidina è massima circa 90 minuti dopo somministrazione orale di chinidina solfato e 3-4 ore dopo

somministrazione orale di chinidina gluconato. La sommini-strazione per via intramuscolare deve essere evitata per l’in-completo assorbimento e la necrosi tissutale. La chinidina può essere somministrata per via endovenosa se infusa lentamente. Circa l’80% della chinidina plasmatica è legata alle proteine, specialmente alla alfa1-glicoproteina acida che aumenta nello scompenso cardiaco. Sia il fegato che i reni eliminano la chi-nidina e aggiustamenti del dosaggio possono essere fatti in base alla clearance della creatinina. Il metabolismo avviene ad opera del sistema del citocromo P450. Circa il 20% è escreto immodifi cato nelle urine. Poiché l’insuffi cienza cardiaca con-gestizia, l’epatopatia o l’insuffi cienza renale possono ridurre l’eliminazione della chinidina e aumentare le concentrazioni plasmatiche, il dosaggio deve essere probabilmente ridotto e il farmaco somministrato con cautela nei pazienti con queste patologie, controllando i livelli sierici di chinidina. L’emivita di eliminazione è di 5-8 ore dopo somministrazione orale. L’effetto della chinidina sulla ripolarizzazione e l’effi cacia complessiva è direttamente proporzionale alla funzione ven-tricolare sinistra; per una stessa concentrazione sierica, l’in-tervallo QT è più lungo nelle donne e con maggiori gradi di tono simpatico.16,17

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). La dose orale abituale di chinidina solfato per un adulto è da 300 a 600 mg quattro volte al giorno, il che determina un livello di stato di equilibrio entro 24 ore circa. Una dose di carico da 600 a 1000 mg determina una concentrazione effi cace più

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ie cardiache

Tempo di picco

Concentrazione effi cace

Concentrazione plasmatica sierica o plasmatica

Via principale Gravidanza (orale) (h) (mg/ml)

Emivita (h) Biodisponibilità (%)

di eliminazione classe†

1,5-3,0 3-6 5-9 60-80 Fegato C

1 4-10 3-5 70-85 Reni C

da 1 a 2 2-5 8-9 80-90 Reni C

N/A 1-5 1-2 N/A Fegato B

da 2 a 4 0,75-2 10-17 90 Fegato C

da 8 a 12 10-20 18-36 50-70 Fegato D

da 3 a 4 0,2-1,0 20 95 Fegato C

da 1 a 3 0,2-3,0 5-8 25-75 Fegato C

da 1 a 3 0,1 2 40 Fegato B

4 1-2,5 3-6 35-65 Fegato C

0,5-1,5 56 giorni 25 Reni D

da 2 a 4 0,04-0,90 8-14 20-50 Fegato C

da 2,5 a 4 2,5 12 90-100 Reni B

N/A N/A 6 Reni C

7-13 90 Reni C

200-1000 90-100 Reni —

da 1 a 2 0,10-0,15 3-8 10-35 Fegato C

N/A C

da 2 a 6 0,0008-0,002 36-48 60-80 Reni C

precoce. Dosi simili di chinidina gluconato sono sommini-strate per via intramuscolare, mentre il dosaggio endovenoso (EV) di chinidina gluconato è di circa 10 mg/kg alla velocità di circa 0,5 mg/kg/min controllando spesso i parametri pres-sori ed elettrocardiografi ci (ECG). I dosaggi orali della forma gluconato sono superiori del 30% circa rispetto a quelli della forma solfato. Si verifi cano importanti interazioni con altri farmaci.

INDICAZIONI. La chinidina è un farmaco antiaritmico ver-satile, utile nel trattare i complessi prematuri ventricolari e sopra-ventricolari e le tachiaritmie sostenute. Può prevenire le recidive spontanee di tachicardia nodale AV da rientro (TRNAV) prolungando la refrattarietà atriale e ventricolare e deprimendo la conduzione nella via retrograda veloce. Nei pazienti con sindrome di Wolff-Parkinson-White la chinidina prolunga l’ERP della via accessoria e, così facendo, può pre-venire le tachicardie reciprocanti e rallentare la risposta ven-tricolare dovuta alla conduzione attraverso la via accessoria durante il fl utter o la fi brillazione atriale. La chinidina e altri farmaci antiaritmici possono anche prevenire le recidive di tachicardia sopprimendo il “trigger” (cioè, ad esempio il com-plesso prematuro atriale [Premature Atrial Complex, PAC] o il complesso prematuro ventricolare [Premature Ventricular Complex, PVC] che provocano una tachicardia sostenuta).6

La chinidina interrompe con successo il fl utter e la fi brilla-zione atriale nel 20-60% dei pazienti, con maggiore possibilità di successo se l’aritmia è di più recente insorgenza e se gli atri non sono ingranditi. Prima di somministrare la chinidina in questi pazienti, si deve rallentare suffi cientemente la risposta ventricolare con digitale, propranololo o verapamil, poiché il rallentamento chinidina-indotto del fl utter atriale (p.es., da 300 a 230 batt/min) e il suo effetto vagolitico sulla conduzione

del nodo AV possono convertire una risposta AV 2:1 (frequenza ventricolare di 150 batt/min) a una risposta AV 1:1, con un incremento della frequenza ventricolare (a 230 batt/min).18 Se si intende utilizzare la chinidina per tentare di mantenere il ritmo sinusale dopo cardioversione elettiva dei pazienti con fi brillazione atriale, questa probabilmente deve essere sommi-nistrata 1-2 giorni prima della cardioversione programmata, poiché questo trattamento ripristina in alcuni pazienti il ritmo sinusale (rendendo così superfl uo il ricorso alla cardioversione elettrica) ed aiuta a mantenerlo quando è stato ristabilito. Inol-tre, si può osservare una tossicità precoce o un’intolleranza del paziente al farmaco ed è necessario modifi care le dosi prima di tentare la cardioversione. Tuttavia, una metanalisi di 6 studi che hanno valutato gli effetti della chinidina rispetto ai controlli nel mantenimento del ritmo sinusale in pazienti con fi brillazione atriale, ha mostrato che i pazienti trattati con chinidina conservavano il ritmo sinusale più a lungo rispetto al gruppo controllo, ma con un aumento della mortalità totale nello stesso periodo.

La chinidina ha prevenuto la morte improvvisa in alcuni pazienti rianimati dopo arresto cardiaco extraospedaliero e può essere utilizzata con altri farmaci antiaritmici per aumen-tare l’effi cacia nel sopprimere le gravi tachiaritmie ventricolari; tuttavia, la maggior parte di questi pazienti ha un ICD e il trat-tamento farmacologico è prettamente addizionale (cioè, usato per ridurre la frequenza degli episodi aritmici). È importante sottolineare che nessun dato pubblicato da studi randomizzati controllati indica un miglioramento della sopravvivenza nei pazienti trattati con chinidina dopo infarto miocardico e un arresto cardiaco si può verifi care malgrado la terapia con chi-nidina. Poiché attraversa la placenta, la chinidina si può usare nel trattamento delle aritmie fetali.

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Capitolo 30

EFFETTI INDESIDERATI. La maggior parte degli effetti indesiderati più comuni del trattamento cronico con chini-dina orale sono quelli gastrointestinali e comprendono nau-sea, vomito, diarrea, dolore addominale e anoressia. Gli effetti indesiderati gastrointestinali sono più lievi con la forma gluconato. La tossicità sul sistema nervoso centrale comprende tinnito, perdita dell’udito, disturbi visivi, con-fusione, delirio e psicosi. Cinconismo è il termine solita-mente applicato a questi effetti indesiderati. Reazioni allergiche si possono manifestare sotto forma di rash, febbre, trombocitopenia immunomediata, anemia emolitica e, rara-mente, anafi lassi. La trombocitopenia è secondaria alla pre-senza di anticorpi contro il complesso chinidina-piastrine che causano agglutinazione piastrinica e lisi. Nei pazienti in trattamento con anticoagulanti orali, la chinidina può indurre sanguinamento. Gli effetti indesiderati possono precludere la somministrazione a lungo termine di chinidina nel 30-40% dei pazienti.

La chinidina può rallentare la conduzione cardiaca, talvolta fi no al blocco, che si manifesta come prolungamento della durata del QRS o sotto forma di turbe della conduzione del nodo senoatriale (SA) o AV. La tossicità cardiaca chinidino-indotta può essere trattata con sodio lattato. La chinidina può causare sincope nello 0,5-2,0% dei pazienti, nella maggior parte dei casi come conseguenza di un episodio autolimitante di torsione di punta. Come detto precedentemente, queste pos-sono essere secondarie allo sviluppo di una post-depolarizza-zione precoce.

La chinidina prolunga l’intervallo QT nella maggior parte dei pazienti, sia che compaiano o meno aritmie ventricolari, ma un signifi cativo allungamento del QT (intervallo QT di

500-600 millisec) è spesso caratteristico dei pazienti con sin-cope da chinidina. Molti di questi pazienti assumono anche digitale o diuretici o hanno un’ipokaliemia; le donne sono più soggette degli uomini.17,18 La sincope non è correlata alla con-centrazione plasmatica di chinidina o alla durata della terapia, sebbene la maggior parte degli episodi si verifi chi entro i primi 2-4 giorni di terapia (spesso dopo conversione della fi brilla-zione atriale al ritmo sinusale) (Tab. 72-3).

La terapia della sincope da chinidina richiede l’interruzione immediata della chinidina e di altri farmaci con effetti farma-cologici simili, come la disopiramide, a causa della sensibilità crociata che esiste in alcuni pazienti. Il magnesio EV (2 gm in 1-2 minuti, seguito da un’infusione di 3-20 mg/min) è il trat-tamento farmacologico iniziale di scelta. Il pacing atriale o ventricolare può essere utilizzato per sopprimere la tachiarit-mia ventricolare e può agire sopprimendo le postdepolarizza-zioni precoci. In alcuni pazienti possono essere provati farmaci che non prolungano l’intervallo QT, quali la lidocaina o la fenitoina. Quando il pacing non è disponibile, si può sommi-nistrare con cautela l’isoproterenolo. L’aritmia termina gra-dualmente con l’eliminazione della chinidina e il ritorno del-l’intervallo QT al livello di base.

Farmaci che inducono la produzione di enzimi epatici, quali il fenobarbital o la fenitoina, possono abbreviare la durata d’azione della chinidina aumentando la velocità di elimina-zione. La chinidina può aumentare le concentrazioni plasma-tiche della fl ecainide inibendo il sistema enzimatico P450 e le concentrazioni sieriche della digossina e della digitossina diminuendo la clearance corporea totale della digitossina e la clearance, il volume di distribuzione e l’affi nità dei recettori tissutali alla digossina.

Tabella 30–5 Caratteristiche elettrofi siologiche dei farmaci antiaritmici in vivo*

Misure elettrocardiografi che Intervalli elettrofi siologici

Farmaci Ritmo sinusale PR Qrs QT JT ERP-NAV ERP-SHP ERP-A ERP-V AH HV

Chinidina 0≠ Ø 0≠ ≠ ≠ ≠ 0 ≠ ≠ ≠ ≠ 0 Ø ≠

Procainamide 0 0 ≠ ≠ ≠ ≠ 0 ≠ ≠ ≠ ≠ 0 ≠ ≠

Disopiramide 0 ≠ Ø 0 ≠ ≠ ≠ ≠ ≠ 0 ≠ ≠ ≠ Ø 0 ≠ ≠

Lidocaina 0 0 0 0 Ø Ø 0 Ø 0 ≠ 0 0 0 Ø 0 ≠

Mexiletina 0 0 0 0 Ø Ø 0 ≠ 0 ≠ 0 0 0 ≠ 0 ≠

Fenitoina 0 0 0 0 0 0 Ø Ø 0 0 0 ≠ 0

Flecainide 0 Ø ≠ ≠ 0 ≠ 0 ≠ ≠ ≠ ≠ ≠ ≠

Propafenone 0 Ø ≠ ≠ 0 ≠ 0 0 ≠ 0 ≠ 0 ≠ ≠ ≠ ≠

Moricizina 0 Ø 0 ≠ 0 ≠ 0 Ø 0 0 0 ≠ 0 ≠ ≠ ≠

Propranololo Ø 0 ≠ 0 0 Ø 0 ≠ 0 0 0 0 0

Amiodarone Ø 0 ≠ ≠ ≠ ≠ ≠ ≠ ≠ ≠ ≠ ≠

Bretilio Ø 0 ≠ 0 0 0 ≠ ≠ 0 ≠ ≠ ≠ Ø 0 ≠ 0

Sotalolo Ø 0 ≠ 0 ≠ ≠ ≠ ≠ ≠ ≠ ≠ 0

Ibutilide Ø 0 Ø 0 ≠ ≠ 0 0 ≠ ≠ 0 0

Dofetilide 0 0 0 ≠ ≠ 0 0 ≠ ≠ 0 0

Azimilide 0 0 0 ≠ ≠ 0 0 ≠ ≠ 0 0

Verapamil 0 Ø ≠ 0 0 0 ≠ 0 0 0 ≠ 0

Adenosina Ø quindi ≠ ≠ 0 0 0 ≠ 0 Ø 0 ≠ 0

Digossina Ø ≠ 0 0 Ø ≠ 0 Ø 0 ≠ 0

≠ = aumento; Ø = diminuzione; 0 = nessun cambiamento; 0 ≠ o 0 Ø = aumento o diminuzione lieve o trascurabile; A = atrio; AH = intervallo atrio-His (un indice della conduzione nel nodo atrioventricolare); NAV = nodo atrioventricolare; ERP = periodo refrattario effettivo (il più lungo S1-S2 intervallo al quale S2 non riesce a produrre una risposta); SHP = sistema di His-Purkinje; HV = intervallo His-ventricolare (un indice di conduzione His-Purkinje); V = ventricolo.

*I risultati riportati possono variare in rapporto al tipo di tessuto, alla concentrazione del farmaco e al tono autonomico.

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ie cardiache Procainamide AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5).

Gli effetti cardiaci della procainamide su automatismo, conduzione, ecci-tabilità e risposta di membrana sono simili a quelli della chinidina. La procainamide blocca soprattutto lo stato inattivato di INa. Inoltre blocca IKr e IKATP. Come la chinidina, la procainamide di solito prolunga l’ERP più di quanto prolunghi l’APD e quindi può prevenire il rientro. Rispetto alla chinidina e alla disopiramide, la procainamide esercita effetti anticoliner-gici meno rilevanti. Essa non modifi ca il normale automatismo del nodo del seno. In vitro la procainamide riduce un automatismo anormale, con minore effetto sull’attività triggerata o sull’automatismo normale aumen-tato dalle catecolamine.

Gli effetti elettrofi siologici del NAPA, il principale metabolita della pro-cainamide, differiscono da quelli del farmaco d’origine. Il NAPA (da 10 a 40 mg/l) non sopprime la velocità della fase 4 di depolarizzazione diastolica delle fi bre di Purkinje e non modifi ca il potenziale di membrana a riposo, l’ampiezza del potenziale d’azione o V

·max di fase 0 del potenziale d’azione

delle fi bre di Purkinje o del muscolo ventricolare. Tuttavia il NAPA, un bloc-cante dei canali del K+(IKr), esercita un’azione di classe III e prolunga l’APD del muscolo ventricolare e delle fi bre di Purkinje in modo dose-dipendente. Dosi tossiche determinano postdepolarizzazioni precoci, attività triggerate e tachiaritmie ventricolari, comprese le torsioni di punta. La procainamide possiede effetti elettrofi siologici superiori a quelli del NAPA.

EFFETTI EMODINAMICI. La procainamide può deprimere la contrattilità miocardica a dosaggi elevati. Non produce blocco dei recettori alfa, ma può causare vasodilatazione peri-ferica, forse attraverso effetti simpatico-antagonisti sul cervello o sul midollo spinale che possono alterare i rifl essi cardiova-scolari.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). La somministrazione orale produce un picco di concentrazione plasmatica in circa 1 ora. Circa l’80% della procainamide per via orale è biodispo-nibile, e il 20% si lega alle proteine plasmatiche. L’emivita totale di eliminazione della procainamide è 3-5 ore, con un 50-60% del farmaco eliminato dal rene e il 10-30% eliminato dal metabolismo epatico. Forme di procainamide a rilascio prolungato somministrate ogni 6 ore portano a livelli plasma-tici di equilibrio del farmaco equivalenti a quelli raggiunti con una eguale dose giornaliera totale di procainamide a rilascio veloce somministrata ogni 4 ore.

Il farmaco viene acetilato a NAPA, che viene escreto quasi esclusivamente dai reni. Quando la funzionalità renale è alte-rata e nell’insuffi cienza cardiaca, i livelli di procainamide –specialmente i livelli di NAPA – aumentano e, a causa del rischio di cardiotossicità grave, richiedono un attento monito-raggio. Il NAPA ha un’emivita di eliminazione di 7-8 ore, ma supera le 10 ore se si usano alti dosaggi di procainamide. Pic-cole quantità di NAPA sono riconvertite a procainamide mediante deacetilazione. L’età avanzata, l’insuffi cienza car-diaca congestizia e la riduzione della clearance della creatinina diminuiscono la clearance della procainamide e richiedono un dosaggio ridotto.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). La procainamide può essere somministrata per via orale, EV o intramuscolare per raggiungere le concentrazioni plasmati-che nel range di 4-10 mg/ml che determinano un effetto antiaritmico. Talvolta, sono state necessarie concentrazioni plasmatiche superiori a 10 mg/ml, ma la possibilità di com-parsa di effetti indesiderati a queste concentrazioni plasma-tiche più alte generalmente impedisce la somministrazione a lungo termine. Per somministrare la procainamide sono stati utilizzati diversi regimi EV. Si possono somministrare 25-50 mg in 1 minuto, ripetuti poi ogni 5 minuti fi nché l’aritmia non è controllata, compare ipotensione o il com-plesso QRS è prolungato di più del 50%. Si possono anche utilizzare dosi da 10-15 mg/kg a 50 mg/min. Con questo metodo, la concentrazione plasmatica cade rapidamente nei primi 15 minuti dopo la dose di carico, con effetti paralleli sulla refrattarietà e sulla conduzione. Un’infusione di pro-cainamide EV a velocità costante può essere somministrata a una dose di 2-6 mg/min. I limiti superiori della dose totale

EV sono fl essibili, compresi tra 1000 e 2000 mg, in base alla risposta del paziente.

La somministrazione orale di procainamide richiede un intervallo di 3-4 ore tra le dosi per una dose totale giornaliera di 2-6 g, con condizioni di equilibrio raggiunte in 1 giorno. Se si usa una dose di carico, deve essere il doppio di quella di mantenimento. Le somministrazioni devono essere ripetute a causa della breve emivita di eliminazione nei soggetti normali. Per le formulazioni a rilascio prolungato, le dosi sono sommi-nistrate a intervalli di 6-12 ore. Sebbene in alcuni pazienti cardiopatici possa essere osservata un’emivita più lunga, per-mettendo intervalli più lunghi tra le somministrazioni, ciò deve essere confermato per ogni singolo paziente. La procai-namide è ben assorbita per via intramuscolare, ottenendo in pratica il 100% della dose biodisponibile.

INDICAZIONI. La procainamide è utilizzata per trattare aritmie sia sopraventricolari sia ventricolari come la chinidina. Sebbene i due farmaci abbiano effetti elettrofi siologici simili, ciascun farmaco può in realtà sopprimere un’aritmia sopra-ventricolare o ventricolare che è resistente all’altro.7

La procainamide può essere utilizzata per convertire a ritmo sinusale una fi brillazione atriale di recente insorgenza. Come per la chinidina, è consigliato un trattamento precedente con digitale, propranololo o verapamil allo scopo di prevenire l’ac-celerazione della risposta ventricolare nella fi brillazione atriale dopo terapia con procainamide. Gli effetti della procainamide su conduzione e refrattarietà nell’“istmo del fl utter” della parete libera atriale destra (vedi oltre) varia secondo la dire-zione della propagazione del fronte dell’onda nell’istmo.19 La procainamide può bloccare la conduzione nella via accessoria nei pazienti con sindrome di Wolff-Parkinson-White e può essere usata in pazienti con fi brillazione atriale e rapida rispo-sta ventricolare dovuta alla conduzione nella via accessoria. Può produrre un blocco a livello dell’His-Purkinje (Fig. 29-10) e a volte viene somministrata durante studi elettrofi siologici (SEF) per “stressare” il sistema di His-Purkinje e valutare così la necessità di un pacemaker. Tuttavia, deve essere usata con cautela nei pazienti con patologia di His-Purkinje accertata (blocco di branca) per i quali non sia rapidamente disponibile un pacemaker ventricolare.

La procainamide è più effi cace della lidocaina nell’interrom-pere acutamente una TV sostenuta. Allo stesso modo, la pro-cainamide rallenta la frequenza della TV, una modifi cazione correlata all’aumento della durata del QRS.20 La risposta elet-trofi siologica alla procainamide somministrata per via endo-venosa sembra essere in grado di prevedere la risposta al far-maco somministrato per via orale. La procainamide sembra agire soprattutto sul circuito di rientro della TV rispetto alle altre aree del miocardio. La risposta antiaritmica alla procai-namide non predice la risposta al NAPA.

EFFETTI INDESIDERATI. Con la somministrazione della procainamide sono stati descritti molti effetti indesiderati non cardiaci, quali rash, mialgie, vasculiti digitali e fenomeno di Raynaud. Febbre e agranulocitosi possono essere dovute a rea-zioni da ipersensibilità e si deve effettuare la conta dei globuli bianchi con formula leucocitaria a intervalli regolari. Gli effetti gastrointestinali sono meno frequenti di quelli indotti dalla chinidina e gli effetti indesiderati sul sistema nervoso centrale sono meno frequenti che con la lidocaina (anche se può indurre vertigini, psicosi, allucinazioni e depressione). Concentrazioni tossiche possono ridurre la contrattilità cardiaca e determinare ipotensione. Diversi disturbi di conduzione o tachiaritmie ven-tricolari possono verifi carsi in modo analogo alle alterazioni indotte dalla chinidina, tra cui la sindrome del QT lungo e TV polimorfe. Anche il NAPA può indurre allungamento del QT e torsioni di punta (Tab. 72-3). In assenza di patologia sinusale, la procainamide non ha effetti negativi sul nodo del seno. Nei pazienti con disfunzione del nodo del seno, la procainamide tende a prolungare il tempo di ripristino corretto del nodo del seno e può peggiorare i sintomi nei pazienti con sindrome

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ventricolari. In questi pazienti la clearance corporea totale e il volume di distribuzione sono inferiori e la concentrazione sie-rica media è più alta rispetto ai soggetti normali. L’insuffi cienza renale allunga il tempo di eliminazione. Pertanto, nei pazienti con insuffi cienza renale, epatica o cardiaca, le dosi di carico e quelle di mantenimento vanno ridotte. I livelli ematici di picco dopo somministrazione orale sono raggiunti in 1-2 ore e la biodisponibilità supera l’80%. La frazione di disopiramide legata alle proteine sieriche è inversamente proporzionale alla concentrazione plasmatica totale del farmaco ma può essere più stabile (30-40%) in concentrazioni clinicamente rilevanti di 3 mg/ml. Si lega all’alfa1-glicoproteina acida e attraversa la placenta. All’incirca metà della dose orale si ritrova immodi-fi cata nelle urine e il 30% circa come metabolita mono-N-deal-chilato. I metaboliti esercitano un effetto minore rispetto al principio attivo del farmaco. L’eritromicina inibisce il suo metabolismo.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). Le dosi sono generalmente di 100-200 mg per via orale ogni 6 ore, con un range di 400-1200 mg/die. Un preparato a rilascio control-lato può essere somministrato alla dose di 200-300 mg ogni 12 ore. La dose EV (per ricerca) è di 1-2 mg/kg come bolo iniziale somministrato in 5-10 minuti, che può essere seguito da un’in-fusione di 1 mg/kg/ora.

INDICAZIONI. La disopiramide sembra paragonabile alla chinidina e alla procainamide nel ridurre la frequenza di PVC e nel prevenire in modo effi cace recidive di TV in pazienti selezionati. La disopiramide è stata associata ad altri farmaci quali la mexiletina per trattare i pazienti che non rispondono o rispondono soltanto in parte a un singolo farmaco.

La disopiramide aiuta a prevenire le recidive di fi brillazione atriale dopo una cardioversione effi cace con la stessa effi cacia della chinidina e può interrompere un fl utter atriale. Nel trat-tamento di pazienti con fi brillazione atriale, in particolare con fl utter atriale, deve essere controllata la frequenza ventricolare prima di somministrare disopiramide oppure la combinazione di una diminuzione della frequenza atriale con l’effetto vago-litico sul nodo AV può indurre una conduzione AV 1:1 durante il fl utter atriale. La disopiramide si è dimostrata effi cace nel prevenire gli episodi di sincope neurologicamente mediata.È stata usata in pazienti con miocardiopatia ipertrofi ca (Cap. 59).

EFFETTI INDESIDERATI. Con la somministrazione di diso-piramide si verifi cano tre categorie di effetti indesiderati. L’ef-fetto più frequente è correlato alle potenti proprietà vagolitiche del farmaco e comprende tenesmo o ritenzione urinaria, stipsi, offuscamento visivo, glaucoma ad angolo chiuso e ridotta sali-vazione. I sintomi sono meno intensi con le forme a rilascio controllato. In secondo luogo, la disopiramide può provocare tachiaritmie ventricolari comunemente associate all’allunga-mento del QT e alla torsione di punta8 (Tab. 72-3). Alcuni pazienti possono avere una “sensibilità crociata” sia alla chi-nidina sia alla disopiramide e sviluppano torsioni di punta con l’uno o l’altro farmaco. Se si verifi ca una torsione di punta farmaco-indotta, i farmaci che prolungano l’intervallo QT devono essere usati con cautela o non essere utilizzati. Infi ne, la disopiramide può ridurre la contrattilità del ventricolo nor-male, ma la depressione della funzione ventricolare è molto più pronunciata in pazienti con insuffi cienza ventricolare preesistente. Può verifi carsi uno shock cardiogeno.

Farmaci antiaritmici di classe IB

Lidocaina AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5).

La lidocaina blocca INa, soprattutto in stato aperto o anche inattivato. Ha una rapida cinetica di esordio e di scomparsa e non modifi ca il normale automatismo del nodo del seno alle dosi abituali, ma deprime altre forme

bradi-tachicardia. Il farmaco non aumenta la concentrazione plasmatica di digossina.

Artralgia, febbre, pleuropericardite, epatomegalia e pericar-dite emorragica con tamponamento sono state descritte in una sindrome simil-lupus eritematoso sistemico (LES), correlata alla somministrazione di procainamide. La sindrome compare più frequentemente e più precocemente in pazienti che sono acetilatori lenti della procainamide ed è infl uenzata da fattori genetici. L’acetilazione di un gruppo amino-aromatico della procainamide a formare NAPA sembra bloccare gli effetti che inducono il LES. Il 60-70% dei pazienti che assumono procai-namide in forma cronica sviluppa anticorpi antinucleo, con sintomi clinici nel 20-30% dei casi, ma ciò è reversibile sospen-dendo il farmaco. Quando compaiono i sintomi, i preparati cellulari dei pazienti con LES sono spesso positivi. Esami sie-rologici positivi non necessariamente comportano l’interru-zione della terapia, mentre la comparsa di sintomi o una posi-tività agli anticorpi anti-DNA è indicazione alla sospensione, a meno che non sia l’unica terapia effi cace di una aritmia potenzialmente letale (cosa molto rara). In questi pazienti, la somministrazione di corticosteroidi può eliminare i sintomi. Al contrario del LES che compare spontaneamente, in questa sindrome cervello e reni sono risparmiati e non vi è predile-zione per il sesso femminile.

Disopiramide

Negli Stati Uniti, la disopiramide è stata approvata per il trat-tamento di pazienti con aritmie ventricolari nella sua forma per via orale e non per via EV.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). Sebbene strutturalmente diversa dalla chinidina e dalla procainamide, la disopiramide produce effetti elettrofi siologici simili in vitro. Essa causa blocco uso-dipendente di INa e blocco non uso-dipendente di IKr. Come per la chinidina, basse concentrazioni del farmaco tendono a prolungare l’APD e inducono postdepolarizzazioni precoci come a concentrazioni più elevate.9 La disopiramide inibisce anche IKATP. Diminuisce la pendenza della fase 4 di depolarizzazione diastolica nelle fi bre di Purkinje, produce una riduzione frequenza-dipendente di V

·max di fase 0, prolunga l’ERP più

di quanto prolunghi l’APD e allunga il tempo di conduzione nelle fi bre di Purkinje normali e depolarizzate; non infl uisce sui potenziali d’azione calcio-dipendenti, eccetto probabilmente a concentrazioni molto alte. La disopiramide, come la procainamide, riduce le differenze nell’APD tra il tessuto normale e quello infartuato tramite il prolungamento del potenziale d’azione delle cellule normali in misura maggiore rispetto a quello delle cellule di regioni infartuate.

La disopiramide è un bloccante muscarinico e può accelerare la fre-quenza di scarica del nodo del seno e accorciare il tempo di conduzione del nodo AV e la refrattarietà quando i nodi sono rallentati da infl uenze colinergiche (vagali). La disopiramide può anche rallentare la frequenza di scarica del nodo del seno con un’azione diretta quando somministrata ad alta concentrazione e può signifi cativamente deprimere l’attività del nodo del seno in pazienti con disfunzione del nodo del seno. La disopira-mide esercita effetti anticolinergici maggiori della chinidina e non sembra infl uenzare gli adrenorecettori alfa o beta.

La disopiramide prolunga i periodi refrattari atriale e ventricolare, ma il suo effetto sulla conduzione e sulla refrattarietà del nodo AV non è signifi cativo. La disopiramide prolunga il tempo di conduzione del sistema His-Purkinje, ma raramente compare blocco infra-His; può essere sommini-strata con sicurezza in pazienti con ritardo AV di primo grado e complessi QRS stretti.

EFFETTI EMODINAMICI. La disopiramide deprime la per-formance sistolica ventricolare ed è un modesto vasodilatatore arterioso. I pazienti con una funzione ventricolare anormale tollerano molto poco gli effetti inotropi negativi della disopi-ramide. In questi pazienti, il farmaco deve essere generalmente evitato.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). La disopiramide è assor-bita all’80-90%, con un’emivita media di eliminazione di 8-9 ore in volontari sani, ma di quasi 10 ore nei pazienti con insuf-fi cienza cardiaca e anche più lunga nei pazienti con aritmie

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ie cardiache metà della dose iniziale 20-40 minuti più tardi. I pazienti trattati con un bolo iniziale seguito da un’infusione di mantenimento possono andare incontro a una transitoria concentrazione pla-smatica subterapeutica 30-120 minuti dopo l’inizio della tera-pia. Un secondo bolo di circa 0,5 mg/kg senza aumentare la velocità dell’infusione di mantenimento ristabilisce le concen-trazioni sieriche terapeutiche.9

Se compare una recidiva dell’aritmia dopo aver raggiunto uno stato di equilibrio (p.es., 6-10 ore dopo l’inizio della tera-pia), si deve somministrare un altro bolo simile e deve essere aumentata la velocità di infusione. L’incremento della sola velocità di infusione della terapia di mantenimento senza un nuovo bolo determina un aumento molto lento della concen-trazione plasmatica della lidocaina, raggiungendo un nuovo plateau in più di 6 ore (4 volte l’emivita di eliminazione), per-tanto non è consigliato. Un altro regime EV raccomandato è di 1,5 mg/kg all’inizio e 0,8 mg/kg a intervalli di 8 minuti per tre dosi. Le dosi vengono ridotte del 50% circa nei pazienti con insuffi cienza cardiaca.

Se il bolo iniziale di lidocaina risulta ineffi cace, possono essere somministrati fi no a due o più boli di 1 mg/kg a inter-valli di 5 minuti. Pazienti che necessitano di più di un bolo per ottenere un effetto terapeutico sono affetti da aritmie che rispondono soltanto a concentrazioni plasmatiche più elevate di lidocaina e può essere necessario un dosaggio di manteni-mento più alto per mantenere concentrazioni ematiche ade-guate. I pazienti che necessitano di un solo bolo iniziale di lidocaina devono avere un’infusione di mantenimento di 30 mg/kg/min, mentre quelli che richiedono 2 o 3 boli necessitano di infusioni di 40-50 mg/kg/min.

Le dosi di carico possono anche essere somministrate con un’infusione rapida e si può usare un’infusione EV a velocità costante per mantenere una concentrazione effi cace. Una velo-cità di infusione di mantenimento compresa tra 1 e 4 mg/min produce livelli plasmatici di equilibrio di 1-5 μg/ml nei pazienti con infarto miocardico non complicato, ma questa velocità deve essere ridotta nello scompenso cardiaco o nello shock a causa della concomitante riduzione del fl usso epatico. È stata anche consigliata una dose di attacco di circa 75 mg seguita da un’infusione iniziale a velocità di 5,33 mg/min che dimi-nuisce esponenzialmente a 2 mg/min con un’emivita di 25 minuti.

INDICAZIONI. La lidocaina dimostra un’effi cacia contro le aritmie ventricolari di diversa eziologia, la capacità di ottenere rapidamente delle concentrazioni plasmatiche effi caci e un indice tossico-terapeutico abbastanza ampio con una bassa incidenza di complicanze emodinamiche e di altri effetti inde-siderati. Tuttavia il suo effetto di primo passaggio epatico pre-clude l’uso per via orale ed inoltre è solitamente ineffi cace nei confronti delle aritmie sopraventricolari. Nei pazienti con la sindrome di Wolff-Parkinson-White, nei quali l’ERP della via accessoria è relativamente breve, la lidocaina generalmente non determina effetti signifi cativi e può anche accelerare la risposta ventricolare in corso di fi brillazione atriale.

La lidocaina è utilizzata principalmente nei pazienti con tachiaritmie ventricolari ricorrenti; sebbene una volta fosse di uso frequente, attualmente la profi lassi con lidocaina nei pazienti con infarto miocardico acuto non è raccomandata, in quanto la sua capacità di ridurre l’incidenza di FV nei pazienti ospedalizzati con infarto acuto del miocardio non è stata chia-ramente stabilita e può provocare effetti collaterali, nonché un possibile aumento del rischio di sviluppare asistolia. Si è dimostrata effi cace nei pazienti dopo rivascolarizzazione coro-narica e nei pazienti rianimati da FV extraospedaliera, sebbene l’amiodarone abbia mostrato tassi maggiori di sopravvivenza fi no al momento del ricovero.22

EFFETTI INDESIDERATI. La maggior parte degli effetti indesiderati più comuni indotti dalla lidocaina è costituita da manifestazioni dose-correlate della tossicità sul sistema ner-voso centrale: vertigini, parestesie, confusione, delirio, stupor,

di automatismo sia normale che anomale, così come le post-depolarizza-zione precoci e tardive nelle fi bre di Purkinje in vitro. La lidocaina ha un effetto soltanto modesto di riduzione su V

·max e non ha effetto sul poten-

ziale diastolico massimo del muscolo normale e del tessuto specializzato a concentrazioni di circa 1,5 mg/ml. Tuttavia, frequenze più veloci di sti-molazione, pH ridotto,21 aumento della concentrazione extracellulare di K+ e il potenziale di membrana ridotto – tutti cambiamenti che possono verifi carsi nell’ischemia – aumentano la capacità della lidocaina di bloc-care INa. La lidocaina riduce l’ampiezza della corrente transitoria interna responsabile di alcune forme di post-depolarizzazione. L’attività del calcio intracellulare può essere ridotta a causa del meccanismo di scambio sodio-calcio. La lidocaina può convertire aree di blocco unidirezionale in blocco bidirezionale durante l’ischemia e prevenire lo sviluppo di FV impedendo la frammentazione di ampi fronti d’onda organizzati in onde eterogenee più piccole. La lidocaina può essere aritmogena se deprime la conduzione ma non fi no al punto di creare un blocco bidirezionale, ma questo non sembra un problema clinico importante.

Tranne che in concentrazioni molto elevate, la lidocaina non ha effetto sui potenziali d’azione canali lenti-dipendenti nonostante la sua moderata azione di soppressione sulla corrente lenta interna. Infatti, la sua azione di depressione sui potenziali elettrici del miocardio ischemico conferma la tesi che questi potenziali ischemici siano risposte rapide ridotte anziché risposte lente. La lidocaina riduce signifi cativamente l’APD e l’ERP delle fi bre di Purkinje e del muscolo ventricolare a causa del blocco dei canali del sodio e alla riduzione dell’ingresso del sodio nella cellula. Possiede un modesto effetto sulle fi bre atriali e non infl uisce sulla conduzione delle vie accessorie. In alcuni preparati in vitro, la lidocaina può migliorare la conduzione iperpolarizzando tessuti depolarizzati come conseguenza di una concentrazione esterna di potassio indotta o ridotta.

In vivo, la lidocaina ha un effetto minimo sull’automatismo e sulla conduzione tranne che in circostanze particolari. Pazienti con preesistente disfunzione del nodo del seno, alterazioni di conduzione del sistema di His-Purkinje o ritmi di scappamento giunzionali o ventricolari possono sviluppare una depressione dell’automatismo o della conduzione. Parte dei suoi effetti possono essere inibiti dall’attività simpatica cardiaca.

EFFETTI EMODINAMICI. Effetti indesiderati di tipo emo-dinamico clinicamente signifi cativi sono raramente osservabili alle concentrazioni abituali del farmaco, a meno di una grave compromissione della funzione ventricolare sinistra.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). La lidocaina viene uti-lizzata esclusivamente per via parenterale poiché la sommini-strazione orale provoca un esteso metabolismo di primo passaggio epatico e livelli plasmatici bassi e imprevedibili con una produzione eccessiva di metaboliti che possono determi-nare tossicità. Il metabolismo epatico della lidocaina dipende soprattutto dal fl usso ematico epatico, cosicché la clearance di questo farmaco corrisponde (e può essere approssimata da) alle misurazioni di questo fl usso. Gravi patologie epatiche o riduzione del fl usso epatico, come nell’insuffi cienza cardiaca o nello shock, possono diminuire in modo marcato la velocità del metabolismo della lidocaina. I bloccanti beta-adrenergici possono ridurre il fl usso epatico e aumentare la concentrazione sierica di lidocaina. Infusioni prolungate possono ridurre la clearance della lidocaina. La sua emivita di eliminazione è in media di 1-2 ore nei soggetti normali, più di 4 ore nei pazienti dopo un infarto miocardico relativamente non complicato, più di 10 ore in pazienti dopo un infarto miocardico complicato da insuffi cienza cardiaca e ha tempi ancora più lunghi in pre-senza di shock cardiogeno. Il dosaggio di mantenimento deve essere ridotto di un terzo o della metà in pazienti con portata cardiaca ridotta. La lidocaina è legata alle proteine al 50-80% e si lega alla alfa1-glicoproteina acida, che può aumentare nel-l’insuffi cienza cardiaca e nell’infarto miocardico. Il modello a due compartimenti predice accuratamente le concentrazioni sieriche.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). Sebbene la lidocaina possa essere somministrata per via intramuscolare, la via EV è quella comunemente utilizzata. La lidocaina intra-muscolare è somministrata a dosi di 4-5 mg/kg (250-350 mg), che danno livelli sierici effi caci in circa 15 minuti per una durata di circa 90 minuti. Per via endovenosa, la lidocaina viene som-ministrata con un bolo iniziale di 1-2 mg/kg di peso corporeo a una velocità di 20-50 mg/min, con una seconda iniezione di

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Capitolo 30

coma e convulsioni. Talora sono stati riportati depressione del nodo sinusale e blocco del sistema di His-Purkinje. Nei pazienti con tachiaritmie atriali è stato osservato un aumento della fre-quenza ventricolare. Raramente la lidocaina può causare iper-termia maligna. Sia la lidocaina che la procainamide possono elevare la soglia di defi brillazione.

Mexiletina

La mexiletina, un anestetico locale della stessa famiglia della lidocaina con proprietà anticonvulsivanti, è usata per il tratta-mento orale di pazienti con aritmie ventricolari sintomatiche.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). La mexiletina è simile alla lidocaina in molte delle sue azioni elettrofi siologi-che. In vitro, la mexiletina accorcia l’APD e l’ERP delle fi bre di Purkinje e, in minor grado, del muscolo ventricolare. Deprime V

·max di fase 0 bloccando

INa, soprattutto alle frequenze più alte, e deprime l’automatismo delle fi bre di Purkinje ma non del normale nodo del seno. Le sue cinetiche di esordio e di scomparsa sono rapide. L’ipossia o l’ischemia ne possono aumentare gli effetti sulla V

·max.

La mexiletina può indurre grave bradicardia e tempi di recupero del nodo del seno anormali nei pazienti con malattia del nodo del seno ma non in pazienti con un nodo del seno normale. Non infl uisce sulla conduzione del nodo AV e può deprimere la conduzione del fascio di His-Purkinje, ma non notevolmente, a meno che la conduzione non sia inizialmente anormale. La mexiletina non sembra infl uenzare l’ERP del muscolo atriale e ventricolare nell’uomo. La durata dell’intervallo QT non aumenta. Per i suoi effetti frequenza-dipendente, in teoria, la mexiletina potrebbe essere utilizzata per sopprimere le extrasistoli con accoppiamento precoce piut-tosto che quelle tardive o le tachicardie più veloci.

EFFETTI EMODINAMICI. La mexiletina non esercita effetti emodinamici importanti. Essa non deprime la funzione mio-cardica quando somministrata oralmente, sebbene la sommi-nistrazione EV possa produrre ipotensione.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). È stato osservato nei volontari che la mexiletina è assorbita rapidamente e quasi completamente dopo ingestione orale, con concentrazioni di picco nel plasma ottenute in 2-4 ore. L’emivita di eliminazione nei soggetti sani è di circa 10 ore mentre nei pazienti dopo IM è di 17 ore. I livelli plasmatici terapeutici di 0,5-2 mg/ml sono mantenuti con somministrazioni orali di 200-300 mg ogni 6-8 ore. L’assorbimento con meno del 10% di effetto del primo passaggio epatico avviene nel tratto superiore del piccolo inte-stino e risulta ritardato e incompleto nei pazienti con infarto miocardico e nei pazienti trattati con analgesici, narcotici, antiacidi o farmaci atropina-simili che ritardano lo svuota-mento gastrico. La biodisponibilità dopo somministrazione orale di mexiletina è approssimativamente del 90% e circa il 70% del farmaco è legato alle proteine. Il volume apparente di distribuzione è grande e rifl ette una captazione tissutale intensa. Normalmente, la mexiletina è eliminata metabolicamente dal fegato, con meno del 10% escreto immodifi cato nelle urine. Le dosi devono essere ridotte nei pazienti con cirrosi e in quelli con insuffi cienza ventricolare sinistra. La clearance renale della mexiletina diminuisce con l’aumentare del pH urinario. I meta-boliti conosciuti non esercitano azioni elettrofi siologiche. Il metabolismo può essere accelerato dalla fenitoina, dal fenobar-bital e dalla rifampicina e depresso dalla cimetidina. Esso è inoltre infl uenzato dal genotipo per il gene CYP206.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). La dose iniziale consigliata è di 200 mg per via orale ogni 8 ore quando il controllo rapido dell’aritmia non è essenziale. Le dosi pos-sono essere aumentate oppure ridotte di 50-100 mg ogni 2-3 giorni e sono meglio tollerate quando vengono somministrate con il cibo. La dose totale giornaliera non deve superare i 1200 mg. In alcuni pazienti, può essere effi cace la somministrazione ogni 12 ore. Per un carico veloce, si suggerisce una dose di 400 mg seguita in 8 ore da una dose di 200 mg.

INDICAZIONI. La mexiletina è un farmaco antiaritmico effi cace nel trattamento di pazienti con tachiaritmie sia acute

sia croniche, ma non con TSV. Il tasso di successo varia dal 6% al 60% e può anche aumentare in alcuni pazienti se la mexiletina è associata ad altri farmaci come procainamide, beta-bloccanti, chinidina, disopiramide o amiodarone. La mag-gior parte degli studi non mostra una chiara superiorità della mexiletina sugli altri farmaci di classe I. La mexiletina potrebbe essere molto utile nei bambini con patologie cardiache conge-nite e gravi aritmie ventricolari. Nel trattamento di pazienti con intervallo QT lungo, la mexiletina può essere più sicura di farmaci come la chinidina che aumentano ulteriormente l’intervallo QT. L’esperienza limitata nel trattare sottogruppi di pazienti con sindrome del QT lungo (LQT3, che è correlata al gene SCN5A per il canale cardiaco del sodio) suggerisce un ruolo benefi co (Cap. 28). Non sembra modifi care la prognosi di pazienti con tachiaritmie ventricolari insorte dopo un infarto miocardico. Può essere associata in maniera effi cace al propa-fenone o all’amiodarone.23

EFFETTI INDESIDERATI. Il 30-40% dei pazienti deve modifi care il dosaggio o interrompere la terapia con mexiletina a causa di effetti indesiderati come tremori, disartria, vertigini, parestesia, diplopia, nistagmo, confusione mentale, ansia, nau-sea, vomito e dispepsia. Effetti indesiderati cardiovascolari sono osservati specialmente dopo somministrazione EV e includono ipotensione, bradicardia e aggravamento dell’arit-mia. Gli effetti indesiderati della mexiletina sembrano correlati alla dose e gli effetti tossici si verifi cano a concentrazioni pla-smatiche solo leggermente più elevate dei livelli terapeutici. Quindi l’uso effi cace di questo farmaco antiaritmico richiede un’attenta titolazione del dosaggio e il monitoraggio della con-centrazione plasmatica. Si deve evitare la lidocaina, o ridurre il dosaggio, nei pazienti che assumono altri farmaci lidocaina-simili come la mexiletina.

Fenitoina

La fenitoina, in origine usata per trattare disturbi convulsivi, ha tuttora un limitato valore come farmaco antiaritmico.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). La fenitoina è effi cace nell’abolire un automatismo anomalo causato da una postdepolarizzazione tardiva indotta dalla digitale nelle fi bre cardiache di Purkinje e nel sopprimere alcune aritmie digitale-indotte nell’uomo. La velocità di salita del potenziale d’azione iniziato precocemente nel periodo refrattario relativo è aumentata, come la reattività di membrana, eventual-mente riducendo la probabilità di una conduzione rallentata e di un blocco. La fenitoina ha effetti minimi sulla frequenza sinusale e sulla conduzione AV nell’uomo. Analogamente ai farmaci di classe IB, la fenitoina ha scarso effetto su V

·max nelle fi bre normalmente polarizzate a basse frequenze e i

suoi effetti sono uso-dipendenti e con rapida cinetica di esordio e arresto. Alcuni effetti antiaritmici della fenitoina possono essere neuromediati perché può modulare l’attività efferente sia simpatica sia vagale. Non ha azioni bloccanti periferiche colinergiche o beta-adrenergiche. Gli effetti emodinamici della fenitoina sono irrilevanti.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). La farmacocinetica della fenitoina è molto inferiore a quella ideale. L’assorbimento dopo somministrazione orale è incompleto e varia in base alla marca del farmaco. Il picco di concentrazione plasmatica è raggiunto dopo 8-12 ore dalla somministrazione di una dose orale. Il 90% del farmaco si lega alle proteine. La solubilità della fenitoina è limitata al pH fi siologico e la somministrazione IM è associata a dolore, necrosi muscolare, ascessi asettici e assorbimento variabile. Le concentrazioni sieriche terapeutiche della feni-toina (da 10 a 20 mg/ml) sono simili per il trattamento delle aritmie cardiache e per quello dell’epilessia. Concentrazioni inferiori possono sopprimere alcune aritmie indotte dalla digi-tale o altre aritmie quando si verifi ca una riduzione del legame con le proteine plasmatiche (come nell’uremia), poiché si libera ed è farmacologicamente attiva una frazione maggiore del farmaco.

METABOLISMO. Più del 90% di una dose somministrata viene idrossilato nel fegato in composti verosimilmente inat-

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ie cardiache e del sistema di His-Purkinje. Può arrestare il rientro atriale indotto spe-rimentalmente attraverso il blocco della via di rientro e sopprimere la tachicardia atriale (TA) mediante blocco in uscita dal focus. La fl ecainide può anche promuovere il rientro. Risulta un minimo aumento della refratta-rietà atriale o ventricolare o dell’intervallo QT. La refrattarietà anterograda e retrograda delle vie accessorie può aumentare in modo signifi cativo e con una modalità uso-dipendente. La funzione del nodo del seno rimane invariata nei soggetti normali ma è ridotta nei pazienti con disfunzioni del nodo del seno. Le soglie di stimolazione e defi brillazione sono lievemente aumentate in modo caratteristico.

EFFETTI EMODINAMICI. La fl ecainide riduce la contrat-tilità cardiaca, soprattutto nei pazienti con funzione ventrico-lare sistolica compromessa. La frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS) diminuisce dopo somministrazione orale (sin-gola dose di 200-250 mg) o EV (1 mg). La fl ecainide deve essere usata con molta cautela o non deve essere usata, nei pazienti con disfunzione sistolica ventricolare moderata o grave.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). La fl ecainide è assorbita almeno al 90%, con un picco di concentrazione plasmatica raggiunto in 3-4 ore. L’emivita di eliminazione nei pazienti con aritmie ventricolari è di 20 ore, l’85% del farmaco viene escreto nelle urine immodifi cato o sotto forma di metaboliti inattivi. Due principali metaboliti esercitano effetti minori rispetto alla componente d’origine. L’eliminazione è più lenta nei pazienti con patologia renale e insuffi cienza cardiaca e in queste condizioni le dosi devono essere ridotte. Le concentra-zioni terapeutiche nel plasma variano da 0,2 a 1,0 μg/ml. Circa il 40% del farmaco è legato alle proteine. Nella somministra-zione combinata alla fl ecainide si verifi cano incrementi nella concentrazione sierica della digossina (15-25%) e del propra-nololo (30%). Il propranololo, la chinidina e l’amiodarone possono aumentare la concentrazione sierica di fl ecainide. In alcuni pazienti possono essere necessari 5-7 giorni per rag-giungere uno stato di equilibrio.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). La dose iniziale è di 100 mg ogni 12 ore, con incrementi di 50 mg due volte al giorno, non prima di ogni 3-4 giorni, fi no al raggiun-gimento dell’effi cacia, al manifestarsi di un effetto collaterale o fi no a un massimo di 400 mg/d. Il ritmo cardiaco e la durata del QRS devono essere monitorati.

INDICAZIONI. La fl ecainide è indicata per il trattamento di tachiaritmie ventricolari potenzialmente letali, tachiaritmie sopraventricolari e fi brillazione atriale parossistica. Alcuni esperti suggeriscono di iniziare la terapia in ambiente ospeda-liero sotto monitoraggio ECG data la possibilità di eventi proa-ritmici (vedi oltre). La concentrazione sierica non deve superare 1,0 μg/ml. La fl ecainide è particolarmente effi cace nel soppri-mere quasi completamente i PVC e nelle brevi salve di TV non sostenuta, anche se l’importanza di tale risposta sulla succes-siva prognosi del paziente non è stata ancora stabilita. Come con altri farmaci antiaritmici di classe I, non vi sono dati da studi controllati che il farmaco infl uisca favorevolmente sulla sopravvivenza o la morte cardiaca improvvisa e i dati del CAST (vedi oltre) indicano un aumento della mortalità nei pazienti con malattia coronarica. La fl ecainide provoca un prolunga-mento uso-dipendente del ciclo della TV che migliora la tol-leranza emodinamica.

La fl ecainide è anche utile in una varietà di TSV quali il fl utter e la fi brillazione atriale,10 nella sindrome di Wolff-Parkinson-White e nella TA. L’isoproterenolo può invertire alcuni di questi effetti. La fl ecainide può essere più effi cace della procainamide nel trattamento acuto della fi brillazione atriale. È importante rallentare la frequenza ventricolare prima di somministrare la fl ecainide per evitare una conduzione AV 1:1. La fl ecainide è stata impiegata per trattare aritmie fetali e quelle dei bambini.25 Essa può innalzare la soglia di defi bril-lazione. La somministrazione di fl ecainide può produrre un innalzamento ST nella derivazione V1 caratteristico della sin-drome di Brugada (Cap. 32) ed è stata usata come strumento diagnostico in pazienti sospettati di avere questa malattia.

tivi; possono esservi variazioni signifi cative geneticamente determinate. L’emivita di eliminazione è di circa 24 ore e può rallentare in presenza di malattie epatiche o quando la feni-toina è somministrata in concomitanza ad altri farmaci quali fenilbutazone, warfarin, isoniazide, cloramfenicolo e fenotia-zine che competono con la fenitoina per gli enzimi epatici. Dato l’elevato numero di farmaci che possono aumentare o diminuire i livelli di fenitoina durante la terapia cronica, le concentrazioni plasmatiche di fenitoina devono essere deter-minate frequentemente quando si modifi cano gli altri farmaci. La fenitoina ha una cinetica di eliminazione concentrazione-dipendente che può causare una tossicità inaspettata, in quanto ad aumenti della dose possono far seguito variazioni sproporzionate della concentrazione plasmatica.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). Per rag-giungere rapidamente una concentrazione plasmatica terapeu-tica, devono essere somministrati 100 mg di fenitoina EV ogni 5 minuti fi no al controllo dell’aritmia, fi no a che non sia stato somministrato circa 1 g o fi no alla comparsa di effetti indesi-derati. Generalmente, una dose da 700 a 1000 mg controlla l’aritmia. Si deve utilizzare una grossa vena centrale per evitare il dolore e lo sviluppo di fl ebite prodotti dal veicolo fortemente alcalino (pH 11,0) in cui la fenitoina viene solubilizzata. Oral-mente, la fenitoina è somministrata come dose di carico di circa 1000 mg il primo giorno, 500 mg il secondo e il terzo giorno e 300-400 mg al giorno successivamente. Tutte le dosi di mantenimento possono essere somministrate una o due volte al giorno, in rapporto alla marca, a causa della lunga emivita di eliminazione.

INDICAZIONI. La fenitoina è stata utilizzata con successo per trattare le aritmie atriali e ventricolari causate da intossi-cazione digitalica, ma è molto meno effi cace nel trattare le aritmie ventricolari in pazienti con cardiopatia ischemica o con aritmie atriali non secondarie alla tossicità digitalica. Può essere utilizzata in pazienti con la sindrome del QT lungo.

EFFETTI INDESIDERATI. Le manifestazioni più comuni di tossicità della fenitoina sono effetti sul SNC con nistagmo, atassia, vertigini, stupor e coma. La progressione dei sintomi può essere correlata all’aumento della concentrazione plasma-tica del farmaco. Anche nausea, dolore epigastrico e anoressia sono effetti indesiderati abbastanza comuni della fenitoina. Una somministrazione a lungo termine può indurre iperglice-mia, ipocalcemia, eruzioni, anemia megaloblastica, ipertrofi a gengivale, iperplasia linfonodale, neuropatia periferica, pol-monite e LES farmaco-indotto. Possono verifi carsi anche mal-formazioni congenite fetali.24

Farmaci antiaritmici di classe IC

Flecainide

La fl ecainide è approvata dalla FDA per il trattamento di pazienti affetti da aritmie ventricolari potenzialmente letali, come pure per varie aritmie sopraventricolari.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). La fl ecainide determina una signifi cativa inibizione uso-dipendente del canale rapido del sodio, diminuendo V

·max con una lenta cinetica di esordio e di

scomparsa. La dissociazione del farmaco dal canale del sodio è molto lenta, con costante di tempo di 10-30 secondi (in confronto ai 4-8 secondi della chinidina e a quella inferiore a 1 secondo della lidocaina). In questo modo, un marcato effetto farmacologico può verifi carsi già a frequenze cardia-che fi siologiche. La fl ecainide abbrevia la durata del potenziale d’azione della fi bra di Purkinje ma lo prolunga a livello del muscolo ventricolare, azioni che, a seconda delle circostanze, potrebbero aumentare o ridurre l’eterogeneità elettrica e quindi indurre o sopprimere aritmie. La fl ecai-nide rallenta signifi cativamente la conduzione in tutte le fi bre cardiache e, a concentrazioni elevate, inibisce il canale lento del Ca2+. Il tempo di conduzione è prolungato a livello degli atri, dei ventricoli, del nodo AV

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Capitolo 30

EFFETTI INDESIDERATI. Quelli proaritmici sono tra gli effetti più importanti della fl ecainide. Il suo marcato rallenta-mento della conduzione ne preclude l’uso nei pazienti con blocco AV di secondo grado senza pacemaker e richiede una cauta somministrazione nei pazienti con disturbi della condu-zione intraventricolare. Nel 5-30% dei pazienti si può verifi -care un peggioramento di aritmie ventricolari preesistenti o l’insorgenza di nuove aritmie, con una maggiore percentuale nei pazienti con preesistente TV sostenuta, scompenso car-diaco o con dosaggi del farmaco più elevati. Il fallimento della risposta alla terapia sulle aritmie fl ecainide-indotte, compresa la cardioversione-defi brillazione elettrica, può determinare una mortalità fi no al 10% nei pazienti che sviluppano eventi proaritmici. Gli effetti inotropi negativi possono provocare o aggravare l’insuffi cienza cardiaca. I pazienti con disfunzione del nodo del seno possono andare incontro a blocchi sinusali e in quelli con pacemaker si può sviluppare un incremento della soglia di stimolazione. Nel CAST, i pazienti trattati con fl ecainide hanno avuto il 5,1% di mortalità o di arresto car-diaco non fatale in confronto al 2,3% nel gruppo placebo nel corso di 10 mesi.14 La mortalità è risultata più elevata in pazienti con infarto non-Q, frequenti PVC e frequenze cardia-che più elevate, sollevando l’ipotesi di un’interazione del far-maco con l’ischemia e l’instabilità elettrica. Lo sforzo può accentuare il rallentamento della conduzione intraventricolare prodotta dalla fl ecainide e, in certi casi, può scatenare una risposta proaritmica. Quindi, la prova da sforzo è stata racco-mandata come screening per eventi proaritmici. I disturbi del SNC, tra cui obnubilamento e irritabilità, sono gli effetti inde-siderati extra-cardiaci più frequenti. La sicurezza della fl ecai-nide in gravidanza non è stata accertata anche se, come in precedenza evidenziato, talvolta è impiegata anche per trattare le aritmie fetali. Essa si concentra nel latte materno con livelli 2,5-4 volte più alti che nel plasma.

Propafenone

Il propafenone è stato approvato dalla FDA per il trattamento delle tachiaritmie ventricolari potenzialmente letali.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). Il propafenone blocca la corrente rapida del sodio con una modalità sia uso-dipendente, sia a riposo, nelle fi bre di Purkinje e in grado minore nel muscolo ventricolare. Gli effetti uso-dipendenti contribuiscono alla sua capacità di interrompere la fi brillazione atriale sperimentale. La costante di dissociazione dal recettore è lenta, simile a quella della fl ecainide. Gli effetti sono maggiori nel tessuto ischemico che non in quello normale e per ridotti potenziali di membrana. Il propafenone diminuisce l’eccitabilità e sopprime l’automatismo spontaneo e l’attività triggerata. Interrompe una TV indotta, provocando un blocco di conduzione o per collisione dell’impulso con un’onda eco. Il propafenone è un debole antagonista del-l’IKr

26 e dei recettori beta-adrenergici. Malgrado la refrattarietà ventricolare aumenti, il rallentamento della conduzione rappresenta l’effetto maggiore. I metaboliti attivi del propafenone esercitano azioni importanti, riducendo V·max, l’ampiezza del potenziale d’azione e la sua durata nelle fi bre di Purkinje

nel cane. Il propafenone deprime l’automatismo del nodo del seno. Nei pazienti, gli intervalli AH, HV, PR e QRS aumentano, così come il periodo di refrattarietà degli atri, dei ventricoli, del nodo AV e delle vie accessorie. L’intervallo QT corretto aumenta soltanto in funzione dell’incremento di durata del QRS.

EFFETTI EMODINAMICI. Il propafenone e il 5-idrossipro-pafenone presentano proprietà inotrope negative ad alte con-centrazioni in vitro e a dosi elevate deprimono in vivo la funzione ventricolare sinistra. Nei pazienti con FE superiore al 40%, gli effetti inotropi negativi sono ben tollerati, ma i pazienti con preesistente disfunzione ventricolare sinistra e con insuffi cienza cardiaca congestizia possono subire un peg-gioramento sintomatico del loro stato emodinamico.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). Con più del 95% del far-maco assorbito, la concentrazione plasmatica massima del

propafenone si ottiene in 2-3 ore. La biodisponibilità sistemica è dose-dipendente e varia dal 3% al 40% a causa della varia-bilità della clearance presistemica. La biodisponibilità aumenta parallelamente alla dose e la concentrazione plasmatica, quindi, non è lineare. Un aumento di 3 volte del dosaggio (da 300 a 900 mg/die) causa un incremento di 10 volte nella con-centrazione plasmatica, probabilmente per la saturazione dei meccanismi di metabolismo epatico. Il propafenone è legato per il 97% alla alfa1-glicoproteina acida, con un’emivita di eliminazione di 5-8 ore. Gli effetti terapeutici massimi si osser-vano con concentrazioni sieriche da 0,2 a 1,5 μg/ml. La marcata variabilità della farmacocinetica e della farmacodinamica osservata tra pazienti può essere dovuta a differenze metabo-liche geneticamente determinate. Circa il 93% della popola-zione consiste in potenti metabolizzatori e ha un’emivita di eliminazione più rapida (5-6 ore), concentrazioni plasmatiche più basse dei principi attivi e più elevate dei metaboliti. I meta-bolizzatori deboli, a causa della diminuita capacità della fun-zione microsomiale del citocromo P450 del fegato, hanno un’emivita di eliminazione di 15-20 ore per il composto d’ori-gine e in pratica assente per il 5-idrossipropafenone. L’enan-tiomero (+) fornisce blocchi aspecifi ci dei recettori beta-adrenergici con il 2,5-5% della potenza del propranololo. Poiché le concentrazioni plasmatiche del propafenone possono essere più di 50 volte superiori ai livelli del propranololo, queste proprietà beta-bloccanti possono essere rilevanti. I metabolizzatori deboli hanno un effetto di blocco beta-adre-nergico maggiore rispetto ai metabolizzatori forti. Il propafe-none blocca anche il canale lento del calcio a un valore dell’1% circa rispetto al verapamil.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). La mag-gior parte dei pazienti risponde a una dose orale di 150-300 mg ogni 8 ore, non superando i 1200 mg/die. Le dosi sono simili per entrambi i fenotipi di metabolismo. La contempora-nea assunzione di alimenti, così come una disfunzione epatica, aumentano la biodisponibilità del farmaco. Non è stata dimo-strata una buona correlazione tra la concentrazione plasmatica del propafenone e la soppressione delle aritmie. Le dosi non devono essere aumentate più spesso di ogni 3-4 giorni. Il pro-pafenone aumenta le concentrazioni plasmatiche del warfarin, della digossina e del metoprololo.

INDICAZIONI. Il propafenone è indicato per il trattamento delle TSV,11 della fi brillazione atriale parossistica e delle tachiaritmie ventricolari potenzialmente letali e sopprime effi -cacemente i PVC spontanei e le TV sostenute e non sostenute. Il propafenone è stato inoltre approvato per l’uso in pazienti con TA, rientro del nodo AV, rientro AV e fl utter o fi brillazione atriali. Si è ottenuta la soppressione acuta di episodi di fi bril-lazione atriale con una dose orale di propafenone di 600 mg nel 76% dei pazienti che assumevano il farmaco (il doppio di quelli che assumevano il placebo).27 Il propafenone è stato utilizzato con effi cacia in pazienti pediatrici. Il propafenone aumenta la soglia di stimolazione, ma infl uenza solo minima-mente la soglia di defi brillazione. La frequenza sinusale sotto sforzo è ridotta. L’uso del propafenone è associato a una mag-giore mortalità nei pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco rispetto a quelli trattati con un defi brillatore impiantabile. Il sotalolo è stato più effi cace del propafenone nel trial Electrophy-siology Study Versus Electrocardiographic Monitoring (ESVEM). Il propafenone è stato impiegato effi cacemente in associazione con la mexiletina.

EFFETTI INDESIDERATI. Effetti extra-cardiaci minori si verifi cano nel 15% circa dei pazienti e i più frequenti sono vertigini, disturbi del gusto e della visione, seguiti da disturbi gastrointestinali. Dati i moderati effetti beta-bloccanti, si può verifi care un’esacerbazione della malattia polmonare con bron-cospasmo. Gli effetti indesiderati cardiovascolari si verifi cano nel 10-15% dei pazienti e comprendono alterazioni della con-duzione quali blocco AV, depressione del nodo del seno e peg-gioramento dello scompenso cardiaco. Le risposte proaritmiche,

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ie cardiache che si verifi cano più frequentemente in pazienti con storia di TV sostenuta e ridotta frazione d’eiezione, sembrano meno comuni che con la fl ecainide e si osservano nel 5% dei casi. L’applicabilità al propafenone dei dati del CAST sulla fl ecai-nide non è chiara, ma la limitazione nell’impiego del propa-fenone così come degli altri farmaci di classe IC sembra prudente, al momento, fi nché non si avranno maggiori infor-mazioni. Le sue azioni beta-bloccanti possono tuttavia renderlo diverso. La sicurezza della somministrazione del propafenone in gravidanza non è stata accertata.

MoricizinaLa moricizina è un derivato della fenotiazina indicata nel trat-tamento di pazienti con tachiaritmie ventricolari; è stato anche usato per la fi brillazione atriale.28 In passato veniva considerato come farmaco antiaritmico di classe IB poiché determina un accorciamento del potenziale d’azione della fi bra di Purkinje. Tuttavia, per l’intensità della sua azione sul canale del Na+, è più simile a un farmaco antiaritmico di classe IA, mentre le costanti di tempo per l’inizio e la scomparsa ricordano quelli della classe IC.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE. La moricizina riduce INa soprattutto nello stato di inattività, con una conseguente riduzione in V

·max di fase 0 e

ampiezza del potenziale di azione (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). Il potenziale diastolico massimo non risulta modifi cato. La moricizina blocca ICa-L e IK e prolunga i tempi di conduzione del nodo AV e del sistema di His-Purkinje e la durata del QRS. Si osserva una lieve riduzione dell’intervallo JT, mentre il QTc è prolungato del 5% a causa del prolungamento del QRS. La refrattarietà ventricolare è lievemente prolungata, senza alcun cambiamento atriale. Non vi sono alterazioni dell’automatismo del nodo del seno. La moricizina innalza minimamente la soglia di defi brillazione.

EFFETTI EMODINAMICI. La moricizina esercita minimi effetti sulla contrattilità cardiaca in pazienti con funzione ven-tricolare sinistra compromessa; talora, pazienti con signifi ca-tiva disfunzione ventricolare sinistra possono andare incontro a un peggioramento dello scompenso cardiaco.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). Dopo somministrazione orale, la moricizina subisce un signifi cativo metabolismo di primo passaggio, da cui risulta una biodisponibilità assoluta del 35-40%. I picchi di concentrazione plasmatica vengono raggiunti in 0,5-2 ore o più tardivamente se il farmaco è assunto dopo i pasti. Per il 95% si lega all’alfa1-glicoproteina acida e all’albumina. Le azioni antiaritmiche ed elettrofi siologiche non sono correlate alle concentrazioni nel plasma o a quelle dei 20 metaboliti circa del farmaco. L’emivita plasmatica è di 1,5-3,5 ore; poco più della metà del farmaco è escreto nelle feci e poco meno della metà per via urinaria.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). La dose abituale per gli adulti è 600-900 mg/die, somministrati ogni 8 ore in dosi frazionate, con incrementi di 150 mg/die a intervalli di 3 giorni. Alcuni pazienti possono essere trattati ogni 12 ore. Si deve ridurre il dosaggio nei pazienti con disfunzioni epati-che o del sistema nervoso, turbe della conduzione AV o malat-tia del nodo del seno senza pacemaker e con signifi cativa insuffi cienza cardiaca congestizia.

INDICAZIONI. La moricizina è indicata per la prevenzione di aritmie ventricolari potenzialmente letali e mostra un’effi -cacia quasi comparabile alla chinidina e alla disopiramide. La moricizina può avere effetti proaritmici; nel CAST, ha causato un aumento di mortalità rispetto al placebo nel trattamento iniziale di pazienti che avevano aritmie ventricolari sintoma-tiche o paucisintomatiche dopo IM.29 Il rischio è stato maggiore in quelli che assumevano diuretici.

EFFETTI INDESIDERATI. In genere questo farmaco è ben tollerato. Gli effetti indesiderati non cardiaci riguardano il sistema nervoso e comprendono tremori, alterazioni dell’umore, cefalea, nistagmo e vertigini. Gli effetti indesiderati gastrointe-stinali comprendono nausea, vomito e diarrea. Raramente si

può verifi care un peggioramento dell’insuffi cienza cardiaca congestizia. Effetti proaritmici sono stati riportati nel 3-15% dei pazienti, più spesso in quelli con gravi aritmie ventricolari. L’età avanzata aumenta la predisposizione agli effetti indeside-rati. La moricizina sembra relativamente sicura in gravidanza (classe B) ed è presente in piccole quantità nel latte materno.

Farmaci antiaritmici di classe II

Farmaci bloccanti i beta–adrenorecettori

Sebbene molti farmaci bloccanti i beta-adrenorecettori siano stati approvati negli Stati Uniti, l’acebutololo (PVC), l’esmololo (TSV), il metoprololo (post-IMA), l’atenololo (post-IMA), il propranololo (post-IMA, TSV, TV) e il timololo (post-infarto miocardico) sono stati approvati per il trattamento delle arit-mie o la prevenzione della morte improvvisa dopo IM.30 Si ritiene in generale che nessun farmaco beta-bloccante presenti vantaggi signifi cativi sugli altri e che, somministrati al dosag-gio opportuno, tutti possano essere effi cacemente utilizzati nel trattamento delle aritmie cardiache, dell’ipertensione e di altre patologie. Tuttavia, le differenti proprietà farmacocinetiche o farmacodinamiche che conferiscono sicurezza al farmaco, riducono gli effetti indesiderati o determinano i tempi di som-ministrazione e le interazioni con altre sostanze, infl uenzano la scelta del farmaco più opportuno. Inoltre, alcuni beta-bloc-canti come sotalolo, pindololo e carvedilolo possiedono azioni particolari.

I beta-recettori possono essere suddivisi in quelli ad azione prevalente sul cuore (beta1) e quelli che agiscono soprattutto sui vasi sanguigni e sui bronchi (beta2). A basse dosi, i beta-bloccanti selettivi possono agire sui recettori beta1 più di quanto agiscono sui recettori beta2 e sono pertanto da preferire nel trattamento di pazienti con malattie polmonari o vascolari periferiche. Per alti dosaggi, i bloccanti “beta1-selettivi” bloc-cano anche i recettori beta2. Il carvedilolo esercita anche effetti alfa bloccanti e si usa principalmente nei pazienti con insuf-fi cienza cardiaca (Cap. 23).

Alcuni beta-bloccanti presentano un’attività simpaticomi-metica intrinseca; ovvero attivano lievemente i recettori beta. Questi farmaci sono altrettanto effi caci rispetto ai beta-bloc-canti senza attività intrinseca simpaticomimetica e possono indurre un rallentamento minore della frequenza cardiaca a riposo e un prolungamento minore del tempo di conduzione del nodo AV. Sembrano produrre una depressione minore della funzione ventricolare sinistra rispetto ai beta-bloccanti senza attività intrinseca simpaticomimetica. Solo i beta-bloccanti non selettivi senza attività intrinseca simpaticomimetica si sono dimostrati utili nel ridurre la mortalità nei pazienti colpiti da infarto miocardico (Fig. 30-1).

La seguente discussione si concentra sull’uso del proprano-lolo come prototipo di farmaco antiaritmico, generalmente applicabile ad altri beta-bloccanti.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE. I beta-bloccanti esercitano un’azione elettrofi siologica attraverso un’inibizione competitiva del legame delle catecolamine con i siti dei betarecettori, effetto che è dovuto in massima parte allo stereoisomero (-)-levogiro oppure alla loro azione chinidino-simile o all’azione diretta di stabilizzazione di membrana (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). Quest’ultima è un effetto anestetico locale che deprime INa e la reattività di membrana nelle fi bre di Purkinje, insorge generalmente a concentrazioni 10 volte quelle necessarie per produrre il beta-blocco e con molta probabilità ha un effetto antiaritmico poco signifi cativo. In questo modo, gli effetti maggiori dei beta-bloccanti sono esercitati sulle cellule più attivamente stimolate dall’attività adrenergica. A concentrazioni beta-bloccanti, il propranololo rallenta l’automatismo spontaneo nel nodo del seno e nelle fi bre di Purkinje che sono stimolate dal tono adrenergico, producendo il blocco di If (Cap. 27). I beta-bloccanti bloccano anche ICa-L stimolata dai beta agonisti. In assenza di stimolazione

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Capitolo 30

adrenergica, il propranololo rallenta il normale automatismo nelle fi bre di Purkinje solo ad alte concentrazioni, probabilmente per un’azione diretta sulla membrana.

Le concentrazioni che causano un beta-blocco ma non un effetto ane-stetico locale non alterano il normale potenziale di membrana a riposo, l’ampiezza del massimo potenziale diastolico, V

·max, la ripolarizzazione o la

refrattarietà delle cellule muscolari atriali, delle fi bre di Purkinje o ventri-colari, in assenza di stimolo catecolaminico. Tuttavia, in presenza di isopro-terenolo, uno stimolatore puro dei beta-recettori, i beta-bloccanti inver-tono gli effetti di accelerazione sulla ripolarizzazione dell’isoproterenolo; in presenza di noradrenalina, il beta-blocco permette una stimolazione incontrastata del recettore alfa che prolunga l’APD nelle fi bre di Purkinje. Il propranololo (2 ¥ 10-6 M) riduce l’ampiezza delle post-depolarizzazioni tardive indotte dalla digitale e sopprime l’attività triggerata nelle fi bre di Purkinje. Il propanololo potenzia i recettori beta-adrenergici, in parte attraverso l’esternalizzazione di recettori da una piccola vescicola, verso il sarcolemma.

Sono necessarie concentrazioni superiori a 3 mg/ml per deprimere l’ampiezza del potenziale d’azione, V

·max, la reattività di membrana e la con-

duzione nelle normali fi bre atriali, ventricolari e di Purkinje senza alterare il potenziale di membrana a riposo. Questi effetti sono probabilmente secondari alla depressione di INa. Il propranololo accorcia l’APD delle fi bre di Purkinje e, in minor grado, delle fi bre muscolari atriali e ventricolari. La somministrazione a lungo termine di propranololo potrebbe allungare l’APD. Come per gli effetti della lidocaina, l’accelerazione della ripolarizza-zione delle fi bre di Purkinje è più marcata in aree del sistema di conduzione ventricolare nel quale l’APD è maggiore. Solo un beta-bloccante, il sotalolo, aumenta notevolmente il tempo di ripolarizzazione delle fi bre di Purkinje e del muscolo ventricolare. Per prevenire l’accorciamento del periodo di refrattarietà ventricolare simpatico-indotta sono richiesti dosaggi di pro-pranololo minori rispetto a quelli richiesti per prevenire l’accelerazione sinusale simpatico-indotta.

Il propranololo rallenta la frequenza di scarica del nodo del seno nel-l’uomo del 10-20%, anche se a volte ne può risultare una bradicardia grave se il cuore è particolarmente dipendente dal tono del simpatico o se è presente una disfunzione del nodo del seno. La durata dell’intervallo PR si allunga, così come il tempo di conduzione del nodo AV e il periodo refrattario sia effettivo che funzionale (se la frequenza cardiaca viene man-tenuta costante); tuttavia, la refrattarietà e la conduzione del sistema di His-Purkinje normale rimangono immodifi cate anche dopo elevati dosaggi di propranololo. Quindi, dosi terapeutiche di propranololo nell’uomo non esercitano un effetto diretto depressivo o “chinidino-simile” ma infl uen-zano l’elettrofi siologia cardiaca tramite un beta-blocco. I beta-bloccanti non infl uenzano la conduzione nel muscolo ventricolare normale, come evidenziato dall’assenza di effetti sul complesso QRS e prolungano l’inter-vallo QT non corretto in modo trascurabile.

Poiché la somministrazione di beta-bloccanti che non hanno un’azione diretta di membrana previene l’insorgenza di molte aritmie che derivano dall’attivazione del sistema nervoso autonomo, si pensa che l’azione beta-bloccante sia responsabile dei loro effetti antiaritmici. Nonostante ciò, l’eventuale importanza dell’effetto diretto di membrana di alcuni di questi farmaci non può essere scartata completamente poiché i beta-bloccanti con questa proprietà possono agire sui potenziali transmembrana delle cellule cardiache patologiche a concentrazioni molto più basse di quelle necessarie per agire direttamente sulle fi bre normali. Tuttavia, le azioni indirette sugli effetti aritmogeni dell’ischemia sono probabilmente molto più importanti. I beta-bloccanti riducono il danno miocardico durante la rianimazione cardiopolmonare sperimentale.

EFFETTI EMODINAMICI. I beta-bloccanti esercitano effetti inotropi negativi e possono precipitare o peggiorare uno scom-penso cardiaco. Tuttavia, i beta-bloccanti migliorano sicura-mente la sopravvivenza nei pazienti con insuffi cienza cardiaca (Cap. 23). A causa del blocco dei recettori beta, questi farmaci possono indurre effetti alfa-adrenergici non contrastati cau-sando vasocostrizione periferica ed, in alcuni pazienti, esacer-bare uno spasmo arterioso o un dolore da malattia vascolare periferica.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). Benché numerosi tipi di beta-bloccanti esercitino effetti farmacologici simili, la loro farmacocinetica differisce in modo sostanziale. Il propranololo è assorbito quasi al 100%, ma gli effetti di primo passaggio epatico riducono la biodisponibilità a circa il 30% e provocano una signifi cativa variabilità tra pazienti delle concentrazioni plasmatiche di una data dose. La diminuzione del fl usso epa-tico, come nei pazienti con insuffi cienza cardiaca, riduce l’estrazione epatica del propranololo; in questi pazienti, il pro-pranololo può ridurre ulteriormente la propria velocità di eli-minazione riducendo la portata cardiaca e il fl usso epatico. I beta-bloccanti eliminati per via renale tendono ad avere un’emivita maggiore e presentano una minore variabilità inter-paziente della concentrazione del farmaco rispetto a quelli metabolizzati a livello epatico.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). Il dosaggio appropriato del propranololo viene meglio determi-nato misurando le risposte fi siologiche del paziente, quali variazioni della frequenza cardiaca a riposo o la prevenzione della tachicardia indotta dall’esercizio, dato che esistono ampie differenze individuali tra le concentrazioni plasmati-che del farmaco e l’effetto fi siologico osservato. Ad esempio, il dosaggio per via endovenosa si può valutare meglio tito-lando la dose all’effetto clinico, iniziando con dosi di 0,25-0,5 mg, aumentando fi no a 1 mg, se necessario, e somministrando dosi ogni 5 minuti fi nché non si ottiene l’effetto desiderato o fi no a che non sia raggiunta una tossicità o fi no a una dose totale di 0,15-0,2 mg/kg. In alcuni casi, sono da preferirsi le azioni a rapido effetto dell’esmololo. Per via orale, il propra-nololo deve essere frazionato in quattro dosi, che di solito vanno da 40-160 mg/die a più di 1 gm/die. È disponibile una preparazione mono-somministrazione di propanololo a lunga durata d’azione, alla quale i pazienti possono essere conver-titi dopo titolazione della dose con la forma a breve durata d’azione se necessario. Generalmente, se un farmaco a dosi adeguate risulta ineffi cace, anche gli altri beta-bloccanti saranno ineffi caci.

INDICAZIONI. In genere rispondono alla terapia con beta-bloccanti le aritmie associate a tireotossicosi, feocromocitoma, anestesia con ciclopropano o alotano, le aritmie secondarie a una eccessiva stimolazione cardiaca adrenergica, come quelle scatenate da sforzo, emozioni oppure cocaina. I beta-bloccanti generalmente non convertono un fl utter o una fi brillazione atriale cronica in ritmo sinusale, ma possono farlo se l’aritmia è di recente insorgenza e in pazienti recentemente sottoposti a interventi di cardiochirurgia.31-34 La frequenza atriale durante il fl utter o la fi brillazione non si modifi ca, ma la risposta ven-tricolare diminuisce dato che il beta-blocco prolunga il tempo di conduzione del nodo AV e la refrattarietà. L’esmololo in

2,4

2,2

2,0

1,8

1,4

1,2

1,0

0,8

0,6

0,4I

IA(3693)

IB(13.808)

IC(19.532)

(53.224)

(19.532)

II III IVClasse

Ris

chio

rel

ativ

o

Sota(3121)

Amio(5864)

FIGURA 30–1 Dati metanalitici ottenuti da trial clinici randomizzati su farmaci antiaritmici nei sopravvissuti a infarto acuto del miocardio. Il rischio relativo di morte è paragonato al placebo (media e intervallo di confi denza 95%) durante la terapia con diverse classi elettrofi siologiche di preparati. Farmaci di classe I, soprattutto IC, e il sotalolo aumentano la mortalità, mentre i beta-bloccanti e l’amiodarone la riducono. I numeri sotto ogni classe di farmaco si riferiscono al numero di pazienti studiati nel trial. Amio = amiodarone; Sota = sotalolo. (Modifi cato da Teo KK, Yusuf S: In Singh BN, Dzau VJ, Vanhoutte PM, Woosley RL [eds]: Cardiovascular Pharmacology and Therapeutics. New York, Churchill Livingstone, 1994, pp 631-643; e Waldo AL, Camm AJ, deRuyter H, et al: Effect of d-sotalol on mortality in patients with left ventricular dysfunction after recent and remote myocardial infarction: The SWORD Investigators. Survival With Oral d-Sotalol. Lancet 348:7, 1996.)

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ie cardiache combinazione con la digossina è risultato utile. In assenza di insuffi cienza cardiaca, i beta-bloccanti possono essere più effi -caci della digossina nel controllo della frequenza cardiaca. Per le TSV da rientro che utilizzano il nodo AV come parte del circuito di rientro quali la TRNAV e la tachicardia orto-dromica reciprocante nella sindrome di Wolff-Parkinson-White, o nella tachicardia sinusale inappropriata, oppure nelle TA, i beta-bloccanti possono rallentare o interrompere la tachicardia e possono essere usati come profi lassi per pre-venire le recidive. L’associazione dei beta-bloccanti alla digi-tale, alla chinidina o a una varietà di altri farmaci può essere effi cace quando il beta-bloccante fallisce come farmaco sin-golo. Il metoprololo e l’esmololo possono essere utili nei pazienti con TA multifocale. Tuttavia, tali farmaci devono essere usati con cautela in questa aritmia, che si presenta nel quadro di una patologia polmonare avanzata, spesso con com-ponente broncospastica.

I beta-bloccanti possono essere effi caci nelle aritmie indotte dalla digitale, quali la TA, la tachicardia giunzionale AV non parossistica, i PVC o la TV. Se è presente un blocco AV di grado signifi cativo durante un’aritmia digitale-indotta, la lido-caina o la fenitoina sono da preferire al propranololo. I beta-bloccanti possono essere utili anche nel trattamento di aritmie ventricolari associate alla sindrome da intervallo QT lungo e con prolasso della valvola mitrale. Nei pazienti con cardiopa-tia ischemica, i beta-bloccanti di solito non prevengono gli episodi di TV ricorrente monomorfa che si verifi cano in assenza d’ischemia acuta, ma possono essere effi caci in alcuni pazienti, di solito a concentrazioni beta-bloccanti. È noto che il propranololo, il timololo e il metoprololo riducono l’inci-denza della mortalità globale e della morte cardiaca improv-visa successive a un infarto miocardico. Il meccanismo non è del tutto chiaro e può essere riferito alla riduzione dell’esten-sione del danno ischemico, a effetti autonomici, a un effetto antiaritmico diretto oppure a una combinazione di questi fat-tori. Nello studio CAST i beta-bloccanti potrebbero aver avuto effetti protettivi contro le risposte proaritmiche e possono essere più effi caci, in alcuni pazienti, della terapia farmaco-logica antiaritmica elettrofi siologicamente guidata nelle tachiaritmie ventricolari.

Il labetololo, una sostanza alfa1- e beta-bloccante, è stato usato nelle aritmie ventricolari da eclampsia. È stato dimo-strato che il carvedilolo, un altro agente alfa- e beta-bloccante, migliora la sopravvivenza nell’insuffi cienza cardiaca moderata o grave. L’esmololo, un beta-bloccante ad azione ultrarapida (emivita di eliminazione, 9 minuti), cardioselettiva, si è rive-lato utile per il controllo rapido della frequenza ventricolare in pazienti con fl utter o fi brillazione atriale.

EFFETTI INDESIDERATI. Gli effetti indesiderati cardiova-scolari dei beta-bloccanti comprendono ipotensione grave, bradicardia e insuffi cienza cardiaca congestizia. La bradicardia può essere secondaria a rallentamento del seno o blocco AV. L’improvvisa sospensione del propranololo in pazienti con angina pectoris può scatenare o peggiorare l’angina e le aritmie cardiache e causare un infarto miocardico acuto, probabil-mente per la innalzata sensibilità ai beta-agonisti determinata dal precedente blocco dei recettori beta (upregulation recetto-riale). Un aumento della sensibilità può iniziare molti giorni dopo la cessazione della terapia con beta-bloccanti e può durare per 5-6 giorni. Altri effetti indesiderati dei beta-bloc-canti includono un peggioramento dell’asma o di una bron-copneumopatia cronica ostruttiva, claudicatio intermittens, fenomeno di Raynaud, depressione mentale, aumentato rischio di ipoglicemia nei pazienti diabetici insulino-dipendenti, facile affaticabilità, sogni particolarmente vivaci o insonnia e alterazioni della funzione sessuale. Molti di questi effetti inde-siderati si osservano meno frequentemente quando si usano beta1-bloccanti selettivi, ma anche i cosiddetti beta-bloccanti cardioselettivi possono esacerbare l’asma o alterare il controllo della glicemia nei pazienti diabetici.

Farmaci antiaritmici di classe III

AmiodaroneL’amiodarone è un derivato del benzofurano approvato dalla FDA per il trattamento dei pazienti con tachiaritmie ventrico-lari potenzialmente letali qualora gli altri farmaci disponibili siano ineffi caci o non tollerati dal paziente. Il dronedarone, un derivato non iodato dell’amiodarone, è stato studiato come farmaco alternativo all’amiodarone potenzialmente meno tos-sico. Al momento attuale, non è stato approvato negli Stati Uniti.32-34

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). Quando somministrato cronicamente per via orale, l’amiodarone prolunga l’APD e la refrattarietà di tutte le fi bre cardiache senza infl uire sul potenziale di membrana a riposo. Quando vengono valutati gli effetti acuti, l’amioda-rone e il suo metabolita, desetilamiodarone, prolungano l’APD del muscolo ventricolare ma abbreviano quella delle fi bre di Purkinje. Iniettato nelle arterie del nodo del seno e del nodo AV, l’amiodarone riduce la frequenza di scarica sinusale e giunzionale e prolunga il tempo di conduzione del nodo AV. Diminuisce la pendenza della depolarizzazione diastolica del nodo del seno e deprime notevolmente la V

·max dei muscoli papillari nel porcellino

d’India in maniera dipendente dalla frequenza o dall’uso. Tale depressione di V

·max è provocata dal blocco dei canali del sodio inattivi, effetto che è

accentuato dai potenziali di membrana depolarizzati e ridotto da quelli iperpolarizzati. L’amiodarone inibisce inoltre l’automatismo indotto dalla depolarizzazione. L’amiodarone deprime la conduzione più alle alte che alle basse frequenze (uso-dipendenza), non solo deprimendo V

·max ma anche

aumentando la resistenza al fl usso delle correnti passive. Non prolunga la ripolarizzazione più alle basse che alle alte frequenze (cioè, non mostra una uso-dipendenza inversa) ma esercita effetti tempo-dipendenti sulla refrattarietà, che in parte spiegano la bassa incidenza di torsioni di punta e l’alta effi cacia.

Il desetilamiodarone ha effetti relativamente più accentuati sul tessuto a canali veloci e probabilmente contribuisce in modo rilevante all’effi ca-cia antiaritmica. Il ritardo nella produzione di adeguate concentrazioni di questo metabolita può spiegare in parte il ritardo nell’azione antiaritmica dell’amiodarone.

In vivo, l’amiodarone antagonizza in modo non competitivo i recettori alfa e beta e blocca la conversione di tiroxina (T4) in triiodotironina (T3), che rende conto di alcuni dei suoi effetti elettrofi siologici. L’amiodarone presenta un’inibizione dei canali lenti e nella terapia orale cronica rallenta la frequenza di scarica spontanea del nodo sinusale nei cani anestetizzati anche dopo un pretrattamento con propranololo e atropina. Con la som-ministrazione orale rallenta la frequenza sinusale del 20-30% e prolunga l’intervallo QT, a volte modifi cando il profi lo dell’onda T e producendo onde U.

Gli ERP di tutti i tessuti miocardici vengono prolungati. I tempi di con-duzione del sistema di His-Purkinje sono prolungati così come la durata del QRS, specialmente alle frequenze elevate. L’amiodarone somministrato per via endovenosa prolunga modestamente il periodo refrattario dei muscoli atriale e ventricolare. L’intervallo PR e il tempo di conduzione del nodo AV si prolungano. La durata del complesso QRS si prolunga a frequenze crescenti ma meno che dopo somministrazione orale. Perciò, in confronto alla somministrazione per via orale, dopo somministrazione EV si verifi ca un incremento di gran lunga minore del tempo di conduzione (eccetto che per il nodo AV), della durata della ripolarizzazione e della refrattarietà. Considerando queste azioni, è chiaro che l’amiodarone ha effetti di classe I (blocchi INa), classe II (antiadrenergici), e classe IV (blocchi ICa-L) oltre agli effetti di classe III (blocchi IK). Le azioni dell’amiodarone si avvicinano a quelle di un farmaco ideale teorico che mostri blocco dei canali del Na+ uso-dipendente con un rapido recupero diastolico dal blocco e un prolun-gamento dell’APD uso-dipendente. Esso non fa aumentare e può ridurre la dispersione QT. Le catecolamine possono invertire parzialmente alcuni effetti dell’amiodarone.

EFFETTI EMODINAMICI. L’amiodarone è un vasodilata-tore periferico e coronarico. Quando somministrato per via endovenosa (150 mg in 10 min, poi infusione di 1 mg/min) l’amiodarone diminuisce la frequenza cardiaca, le resistenze vascolari sistemiche, la forza contrattile e il rapporto dP/dt del ventricolo sinistro. Le dosi orali di amiodarone suffi cienti a controllare le aritmie cardiache non deprimono la funzione sistolica ventricolare sinistra, anche in pazienti con frazione d’eiezione ridotta, e la frazione d’eiezione e la gittata cardiaca possono aumentare debolmente. Tuttavia, a causa dei suoi

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Capitolo 30

effetti antiadrenergici e di una certa azione inotropa negativa, l’amiodarone deve essere somministrato con cautela, soprat-tutto EV, nei pazienti con compenso cardiaco labile.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). L’amiodarone viene assorbito lentamente, in modo variabile e incompletamente, con una biodisponibilità sistemica del 35-65%. Il picco della concentrazione plasmatica è raggiunto in 3-7 ore dopo una singola dose orale. Vi è un minimo effetto di primo passaggio, a indicare una piccola estrazione epatica. L’eliminazione avviene per escrezione epatica attraverso la bile con ricircolo enteroepatico. Un rilevante metabolismo epatico avviene con la produzione di desetilamiodarone che è il maggiore meta-bolita. Il rapporto di concentrazione nel plasma del compo-sto d’origine rispetto al metabolita è 3:2. Entrambi si accumulano largamente nel fegato, nel polmone, nel grasso, nella cute “blu” e in altri tessuti. Nel miocardio si trovano concentrazioni da 10 a 50 volte superiori a quelle del plasma. L’eliminazione plasmatica dell’amiodarone è scarsa e l’escre-zione renale è trascurabile. Le dosi non devono quindi essere ridotte in pazienti con disfunzione renale. L’amiodarone e il desetilamiodarone non sono dializzabili. Il volume di distri-buzione è ampio ma variabile, con una media di 60 l/kg. L’amiodarone è altamente legato alle proteine del plasma (96%), attraversa la placenta (10-50%) e viene escreto nel latte materno.

L’inizio dell’azione dopo iniezione EV si osserva general-mente entro 1-2 ore. Dopo somministrazione orale, l’inizio dell’azione può richiedere 2-3 giorni, spesso 1-3 settimane e, talora, perfi no tempi più lunghi. Un dosaggio di carico riduce questo intervallo di tempo. Le concentrazioni plasmatiche si correlano bene alle dosi orali durante il trattamento cronico, in media circa 0,5 μg/ml per ogni 100 mg/die a dosi comprese tra 100 e 600 mg/die. L’emivita di eliminazione è multifase con una iniziale riduzione del 50% della concentrazione plasma-tica in 3-10 giorni dopo la sospensione del farmaco (che rap-presenta probabilmente l’eliminazione da tessuti ben perfusi) seguita da un’emivita terminale di 26-107 giorni (media di 53 giorni), nella maggior parte dei casi in un range da 40 a 55 giorni. Raggiungere la condizione di equilibrio senza una dose di carico richiede circa 265 giorni. La variabilità interpaziente di questi parametri farmacocinetici impone uno stretto moni-toraggio del paziente. Le concentrazioni sieriche terapeutiche sono comprese tra 1 e 2,5 μg/ml. Una maggiore soppressione delle aritmie si ottiene per dosi fi no a 3,5 μg/ml, ma il rischio di effetti indesiderati aumenta.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). Uno schema ottimale di dosaggio per tutti i pazienti non è stato ancora defi nito. Un approccio raccomandato è quello di trattare con 800-1600 mg/die per 1-3 settimane, ridotti a 800 mg/die nelle successive 2-4 settimane, poi 600 mg/die per 4-8 setti-mane e infi ne dopo 2-3 mesi di trattamento, una dose di man-tenimento uguale o inferiore a 300 mg al giorno. La dose di mantenimento può essere somministrata una o due volte al giorno e deve essere regolata alla dose più bassa effi cace allo scopo di minimizzare l’insorgenza di effetti indesiderati. Bassi dosaggi come 100 mg/die possono già essere effi caci in alcuni pazienti. I regimi terapeutici debbono essere personalizzati per ogni singolo paziente e per la sua situazione clinica. L’amio-darone può essere somministrato endovena per ottenere un carico più rapido e un effetto in emergenza alle dosi iniziali di 15 mg/min per 10 minuti, seguito da 1 mg/min per 6 ore e poi 0,5 mg/min per le restanti 18 ore e nei giorni successivi, se necessario. Infusioni supplementari di 150 mg in 10 minuti possono essere usate per interrompere una TV o una FV. L’in-fusione EV può essere proseguita in modo sicuro per 2-3 set-timane. L’amiodarone EV è generalmente ben tollerato anche in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra. In pazienti con una frazione d’eiezione ridotta, l’amiodarone EV deve essere somministrato con grande cautela per la possibile ipo-tensione. Un carico orale ad alte dosi (da 800 a 2000 mg due

o tre volte al giorno per mantenere concentrazioni sieriche di 2-3 mg/ml) può sopprimere le aritmie ventricolari in 1-2 giorni.

INDICAZIONI. L’amiodarone è stato usato per trattare un’ampia varietà di tachiaritmie sopraventricolari e ventrico-lari in utero, negli adulti e nei bambini, compresi il rientro AV e del nodo AV, tachicardia giunzionale, fl utter e fi brillazione atriale, la TV e la FV associate a patologia coronarica e alla miocardiopatia ipertrofi ca. La possibilità di successo varia ampiamente a seconda della popolazione di pazienti, del tipo di aritmie, delle sottostanti patologie cardiache, della durata del follow-up, della defi nizione e determinazione di successo e di altri fattori. In generale, tuttavia, l’effi cacia dell’amioda-rone eguaglia o supera quella di tutti gli altri farmaci antiarit-mici e varia nel range del 60-80% per la maggior parte delle tachiaritmie sopraventricolari e del 40-60% per le tachiaritmie ventricolari. L’amiodarone è utile nel migliorare la sopravvi-venza nei pazienti con miocardiopatia ipertrofi ca, miocardio-patia dilatativa non ischemica,35 aritmie ventricolari asintomatiche dopo infarto miocardico e con tachiaritmie ven-tricolari dopo rianimazione per arresto cardiaco. L’amiodarone somministrato prima della chirurgia cardiaca a cielo aperto,36 così come nel postoperatorio, ha dimostrato di ridurre l’inci-denza della fi brillazione atriale postoperatoria. L’amiodarone è superiore ai farmaci antiaritmici della classe I e al sotalolo nel mantenere il ritmo sinusale in pazienti con fi brillazioni atriali ricorrenti.

I pazienti portatori di ICD ricevono minori shock elettrici quando sono trattati con amiodarone rispetto ai farmaci anti-aritmici convenzionali.37 L’amiodarone ha un modesto effetto sulla soglia di stimolazione, ma generalmente aumenta legger-mente la soglia elettrica di defi brillazione.

Numerosi studi prospettici randomizzati caso-controllo hanno dimostrato un miglioramento della sopravvivenza con l’amiodarone in confronto al placebo o al metoprololo nei pazienti colpiti da infarto del miocardio (IM). Con l’uso del-l’amiodarone è stato riscontrato un miglioramento della soprav-vivenza in pazienti rianimati dopo FV rispetto ai farmaci antia-ritmici convenzionali. Nei pazienti con insuffi cienza cardiaca congestizia, la terapia con amiodarone ha aumentato la soprav-vivenza in uno studio (in cui l’insuffi cienza cardiaca era dovuta soprattutto a miocardiopatia non ischemica), mentre in un altro non è stato osservato alcun benefi cio (soprattutto pazienti con miocardiopatia ischemica). Il trial Antiarrhythmics Versus Implantable Defi brillators (AVID) è stato realizzato per con-frontare la mortalità tra i pazienti trattati con farmaci antiarit-mici (amiodarone empirico o sotalolo sotto guida SEF o Holter) rispetto a un ICD in pazienti con FE minore di 0,40 colpiti da una TV spontanea ipotensiva o da arresto cardiaco. Questo studio è stato interrotto anticipatamente quando un’analisi in itinere ha mostrato che i pazienti trattati con ICD mostravano una migliore sopravvivenza dopo 1 anno di trattamento.38

Esistono alcune controversie sulla capacità di predire l’effi -cacia dell’amiodarone in pazienti con tachiaritmie ventricolari. La valutazione clinica, la soppressione di aritmie ventricolari spontanee come documentato dalle registrazioni ECG 24 ore e la risposta allo SEF sono servite da endpoint per giudicare la terapia. Nel paziente con storia di TV o FV sostenute e con minime aritmie ventricolari spontanee inapprezzabili interpo-ste a episodi sintomatici, uno SEF invasivo è indicato per giu-dicare l’effi cacia del trattamento. Non è stato ancora chiarito quando un tale studio debba essere effettuato dopo che la tera-pia amiodarone è stata iniziata, ma probabilmente l’intervallo deve essere di una settimana o anche più. Nel 10-20% dei pazienti in cui la tachiaritmia ventricolare clinica elettrica-mente indotta non è più inducibile in corso di terapia con amiodarone, la possibilità di recidive spontanee di aritmia in corso di terapia è bassa, probabilmente inferiore al 5-10% a 1 anno. Nei pazienti in cui le tachiaritmie ventricolari sono ancora inducibili, il tasso di ricorrenza è del 40-50% a 1 anno.

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ie cardiache La risposta emodinamica dei pazienti all’aritmia indotta può anche far prevedere come potrebbero tollerare una recidiva spontanea. L’amiodarone rallenta la frequenza della TV, ma è importante ricordare che il paziente in posizione supina nel-l’ambulatorio di elettrofi siologia può tollerare la stessa tachi-cardia meglio del paziente in posizione eretta. Una FE mag-giore di 0,4 è predittiva di una buona risposta all’amiodarone nei pazienti con TV o FV.

Date la gravità delle aritmie trattate e l’insolita farmacocine-tica della sostanza e dei suoi effetti indesiderati, la terapia con amiodarone deve essere iniziata con il paziente ospedalizzato e monitorato per almeno diversi giorni. Associando altri agenti antiaritmici con l’amiodarone si può migliorare l’effi cacia della terapia in alcuni casi.

EFFETTI INDESIDERATI. Effetti indesiderati sono riportati in circa il 75% dei pazienti trattati con amiodarone per 5 anni, ma costringono alla sospensione del farmaco solo nel 18-37% dei casi. Gli effetti indesiderati più frequenti che richiedono la sospensione del farmaco sono quelli polmonari e del tratto gastrointestinale. La maggior parte degli effetti indesiderati è reversibile con la riduzione della dose o la sospensione del trattamento. Gli effetti indesiderati sono più frequenti quando la terapia è continuata nel lungo termine ed è ad alte dosi. Tra gli effetti indesiderati non cardiaci, la tossicità polmonare è la più seria; in uno studio si è verifi cata tra 6 giorni e 60 mesi di trattamento in 33 pazienti su 573, con 3 decessi. Il meccanismo non è chiaro, ma può implicare una reazione di ipersensibilità o una diffusa fosfolipidosi o entrambe. I sintomi comuni sono dispnea, tosse non produttiva, febbre, rantoli all’esame obiet-tivo, ipossiemia, scintigrafi a al gallio positiva, ridotta capacità di diffusione ed evidenza radiografi ca di infi ltrati polmonari.39,40 L’amiodarone deve essere sospeso in presenza di questi eventi infi ammatori polmonari. Si può tentare l’uso di corticosteroidi, ma non sono stati eseguiti studi controllati che ne sostengano l’uso. Un 10% di mortalità è stato osservato in pazienti con alterazioni infi ammatorie polmonari, spesso in pazienti con compromissione polmonare misconosciuta di cui è stata con-sentita l’evoluzione progressiva. Si raccomanda l’esecuzione di radiografi e del torace e dei test di funzionalità polmonare, inclusa la capacità di diffusione del monossido di carbonio (DLCO), a intervalli di 3 mesi per il primo anno di trattamento e successivamente due volte all’anno per diversi anni. A dosi di mantenimento inferiori a 300 mg/die, la tossicità polmonare è rara. L’età avanzata, alte dosi di mantenimento e la ridotta capacità di diffusione polmonare pretrattamento rappresentano i fattori di rischio allo sviluppo di tossicità polmonare. Un DLCO immodifi cato nella terapia può essere un indicatore predittivo negativo di tossicità polmonare.

Malgrado innalzamenti asintomatici degli enzimi epatici vengano riscontrati nella maggior parte dei pazienti, il tratta-mento non deve essere sospeso a meno che i valori eccedano di due o tre volte i valori normali in un paziente con valori di funzionalità epatica lievemente alterati. La cirrosi epatica si presenta raramente, ma può essere fatale. Si possono verifi care disturbi neurologici, fotosensibilità (forse minimizzata da schermi solari), colorazione bluastra della cute, disturbi gastroenterici e ipertiroidismo41 (1-2%) o ipotiroidismo (2-4%). L’amiodarone sembra inibire la conversione periferica di T4 a T3 così che ne risultano modifi cazioni chimiche carat-terizzate da un leggero incremento del T4, del T3 inverso e dell’ormone stimolante la tiroide (Thyroid-Stimulating Hor-mone, TSH) e un leggero decremento del T3. La concentrazione del T3 inverso è stata usata come indice di effi cacia del medi-camento. In corso d’ipotiroidismo, il TSH aumenta grande-mente, mentre il T3 aumenta nel caso dell’ipertiroidismo. I test per la funzione tiroidea dovrebbero essere eseguiti all’in-circa ogni 3 mesi per il primo anno di trattamento con amio-darone e quindi una volta o due l’anno, prima se si sviluppano sintomi compatibili con disfunzione tiroidea. Microdepositi corneali si verifi cano in quasi il 100% degli adulti che assu-

mono il farmaco da più di 6 mesi. Sono state riferite reazioni oculari più gravi, come la neurite ottica o l’atrofi a con perdita della vista, o entrambe, ma sono rare e la relazione con l’amio-darone non è stata stabilita.42

Gli effetti indesiderati cardiaci comprendono brachicardie sintomatiche in circa il 2% dei casi; l’aggravamento di tachi-aritmie ventricolari (con occasionale sviluppo di torsioni di punta)40 si osserva nell’1-2%, forse in percentuale più elevata nelle donne (Tab. 72-3); e l’aggravamento dell’insuffi cienza cardiaca congestizia si verifi ca nel 2%. Forse a causa dell’in-terazione con gli anestetici, le complicanze dopo chirurgia cardiaca a cielo aperto, come disfunzione polmonare, ipoten-sione, disfunzione epatica e bassa portata cardiaca, sono state notate da alcuni ricercatori, ma non da tutti.

Come regola generale, devono essere usate le più basse dosi di mantenimento possibili tali da essere ancora effi caci per evitare effetti indesiderati importanti. Molte aritmie sopraven-tricolari possono essere adeguatamente gestite con una dose giornaliera uguale o inferiore a 200 mg, mentre le aritmie ven-tricolari generalmente richiedono dosi maggiori. Gli effetti indesiderati sono rari a dosi uguali o inferiori a 200 mg/die, ma possono comunque verifi carsi. A causa della sua potenziale tossicità in una varietà di organi, un approccio multidiscipli-nare nell’impiego dell’amiodarone è stato utilizzato da alcuni nel tentativo di prevenire effetti sfavorevoli.

Esistono importanti interazioni con altri farmaci e le dosi di warfarin, digossina e altri farmaci antiaritmici, quando som-ministrati contemporaneamente con l’amiodarone, devono essere ridotte di un terzo o della metà controllando attenta-mente il paziente. I farmaci con azioni sinergiche, quali i beta-bloccanti o i calcioantagonisti, devono essere somministrati con cautela. La sicurezza dell’amiodarone in gravidanza non è stata accertata e deve essere utilizzato nella paziente gravida solo se non esistono altre alternative.

Tosilato di bretilio

Il bretilio è un composto quaternario dell’ammonio approvato dalla FDA per l’uso parenterale solo nei pazienti con tachia-ritmie ventricolari potenzialmente letali.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). Il bretilio si concentra selettivamente nei gangli simpatici e nelle loro terminazioni nervose adrenergiche postgangliari. Dopo aver inizialmente provocato il rilascio di noradrenalina, il bretilio previene la liberazione della noradrenalina deprimendo l’eccitabilità delle terminazioni nervose simpatiche senza deprimere la conduzione pregangliare o postgangliare delle terminazioni simpatiche, alterare la conduzione attraverso i gangli simpatici, depauperare la noradrenalina dai neuroni adrenergici o dimi-nuendo la responsività dei recettori adrenergici. Induce una condizione simile a una simpaticectomia chimica. Nel corso del trattamento cronico con bretilio, la risposta beta-adrenergica alle catecolamine circolanti risulta aumentata. Il rilascio iniziale di catecolamine determina varie risposte elet-trofi siologiche transitorie, quali un incremento della frequenza di scarica del nodo del seno isolato perfuso e delle fi bre di Purkinje in vitro, spesso rendendo quiescenti fi bre dotate di automatismo spontaneo.

Inizialmente il bretilio aumenta la velocità di conduzione e l’eccitabilità e diminuisce la refrattarietà dell’atrio di coniglio e può iperpolarizzare fi bre parzialmente depolarizzate. Il pretrattamento con propranololo previene queste alterazioni precoci. L’iniziale rilascio di catecolamine può aggra-vare alcune aritmie, quali quelle indotte da eccesso di digitale o da un IM. Una sua somministrazione prolungata incrementa la durata del potenziale d’azione e la refrattarietà dei muscoli atriali e ventricolari e delle fi bre di Purkinje, probabilmente bloccando una o più correnti di ripolarizzazione del potassio. Il rapporto ERP/APD non subisce modifi cazioni, come pure la responsività di membrana e la velocità di conduzione. Il bretilio ha uno scarso effetto sulla eccitabilità diastolica. Ha un effetto trascurabile se non nullo sulla TV sostenuta ma può prevenire le recidive di FV. Non è chiaro se la condizione simil-simpaticectomia chimica determini da sola gli effetti antifi brillatori o se siano necessarie associazioni con altre azioni. La riduzione delle disparità tra l’APD e l’ERP in aree di miocardio normale o infartuato potrebbe spiegare alcuni degli effetti antifi brillatori. Il breti-lio non agisce sui rifl essi vagali e non modifi ca la risposta dei recettori colinergici cardiaci.

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larizzazione, mentre l’l isomero è responsabile in pratica di tutta l’attività beta-bloccante. Il solatolo non blocca i recettori alfa e il canale del sodio (nessun effetto di stabilizzazione di membrana) ma prolunga i tempi di ripolarizzazione atriali e ventricolari riducendo l’IKr, prolungando quindi la fase di plateau del potenziale d’azione. Il prolungamento del potenziale di azione è maggiore alle basse frequenze (uso-dipendenza inversa). Il potenziale di membrana a riposo, l’ampiezza del potenziale d’azione e la V·max non sono signifi cativamente alterati. Il sotalolo prolunga la refrattarietà

atriale e ventricolare, gli intervalli AH e QT e la durata del ciclo sinusale. Riduce il gap eccitabile nelle TV da rientro.

EMODINAMICA. Il sotalolo esercita un effetto inotropo negativo solo attraverso la sua azione beta-bloccante. Può aumentare la forza di contrazione prolungando la ripolarizza-zione, effetto che è massimo alle basse frequenze cardiache. Nei pazienti con funzione cardiaca compromessa, il sotalolo può ridurre l’indice cardiaco, aumentare la pressione di riem-pimento e precipitare lo scompenso cardiaco. Quindi, deve essere usato con prudenza in pazienti con compenso labile, ma sembra essere ben tollerato in quelli con funzione cardiaca normale.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). Il sotalolo è assorbito completamente e non viene metabolizzato ed è quindi biodi-sponibile per il 90-100%. Non si lega alle proteine plasmatiche, viene eliminato immodifi cato principalmente per via renale e ha un’emivita di eliminazione di 10-15 ore. Il picco di concen-trazione plasmatica si ha dopo 2,5-4,0 ore dopo somministra-zione orale, con una condizione di equilibrio raggiunta dopo cinque o sei dosi. La concentrazione plasmatica antiaritmica effi cace è nel range di 2,5 μg/ml. Esiste una piccola variabilità interpaziente nei livelli plasmatici. Al di là del range di dosag-gio di 160-640 mg, il sotalolo mostra una relazione diretta tra dosaggio e concentrazioni plasmatiche. Il dosaggio deve essere ridotto in pazienti con nefropatia. L’effetto beta-bloccante è a metà del massimo per una dose di 80 mg/die ed è massimo a 320 mg/die. Un effetto beta-bloccante signifi cativo si osserva a 160 mg/die.

DOSAGGIO (Tab. 30-4). La dose orale tipica è 80-160 mg ogni 12 ore, lasciando 2-3 giorni tra gli aggiustamenti dei dosaggi per ottenere condizioni di equilibrio e monitorando l’ECG per aritmie o allungamenti del QT. Dosi superiori a 320 mg/die possono essere usate se il potenziale benefi cio supera il rischio proaritmico.

INDICAZIONI. Approvato dalla FDA per il trattamento di pazienti con tachiaritmie ventricolari e fi brillazione atriale, il sotalolo è altresì utile per prevenire le recidive di una grande varietà di TSV, compresi fl utter atriale, AT, rientro del nodo AV e rientro AV. Esso rallenta anche la risposta ventricolare alle tachiaritmie atriali. Nel trattamento delle tachiaritmie ven-tricolari sembra più effi cace degli antiaritmici convenzionali e potrebbe essere paragonabile all’amiodarone. Il sotalolo si è dimostrato superiore alla lidocaina nel bloccare le TV soste-nute ed è utile in pazienti con displasia aritmogena del ven-tricolo destro. Il sotalolo può essere effi cace nei pazienti di età pediatrica. A differenza della maggior parte degli altri antia-ritmici, può ridurre la frequenza di scarica dell’ICD44 e ridurre la soglia di defi brillazione.

EFFETTI INDESIDERATI. La proaritmia è l’effetto collate-rale più serio. Nel complesso, si verifi ca un’insorgenza di nuove tachiaritmie ventricolari o l’aggravamento delle stesse in circa il 4% e questo fenomeno è dovuto a torsioni di punta nel 2,5% circa dei casi. L’incidenza della torsione di punta aumenta fi no al 4% nei pazienti con anamnesi di TV sostenuta, ed è dose-correlata, essendo stata riportata solo nell’ 1,6% per una dose di 320 mg/die ma nel 4,4% per una dose di 480 mg/die (Tab. 72-3). Questo effetto proaritmico è stato probabil-mente la causa dell’eccessiva mortalità nei pazienti trattati con d-sotalolo (l’enantiomero che non ha un effetto beta-bloccante) dopo un IMA, che è stata osservata nel trial Survival With Oral d-Sotalol (SWORD). Gli altri effetti indesiderati più comuni che si osservano con altri beta-bloccanti sono stati osservati

EFFETTI EMODINAMICI. Il bretilio non deprime la con-trattilità miocardica. Dopo un iniziale incremento della pres-sione, può indurre una signifi cativa ipotensione bloccando l’estremità efferente del rifl esso barorecettoriale. L’ipotensione si verifi ca più frequentemente quando i pazienti sono seduti o in posizione eretta, ma può verifi carsi anche nella posizione supina in pazienti gravi. Il bretilio riduce l’intensità della vaso-costrizione e della tachicardia rifl essa nella posizione eretta. L’ipotensione ortostatica può persistere per molti giorni dopo la sospensione del farmaco.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). Il bretilio è effi cace sia per via orale che parenterale, tuttavia nel tratto gastrointesti-nale viene assorbito parzialmente e in modo variabile e quindi è in pratica utile solo per via endovenosa. La biodisponibilità può essere inferiore al 50% e l’eliminazione è quasi esclusi-vamente per escrezione renale senza signifi cativo metabolismo o metaboliti attivi riconoscibili. L’emivita di eliminazione è 5-10 ore, ma con una variabilità discretamente ampia. In pazienti affetti da insuffi cienza renale i dosaggi devono essere ridotti. Nei pazienti sopravvissuti a TV o FV, il bretilio presenta un’emivita di eliminazione di 13,5 ore dopo singola sommi-nistrazione EV, simile a quella dei soggetti normali. L’elimina-zione avviene quasi totalmente per via renale. L’inizio dell’azione dopo somministrazione EV avviene entro pochi minuti, ma un completo effetto antiaritmico può non essere osservato prima di 30 minuti-2 ore.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). Il breti-lio può essere somministrato endovena in dosi di 5-10 mg/kg di peso corporeo diluito in 50-100 ml di destrosio al 5% e somministrato in 10-20 minuti o più rapidamente in caso di pericolo per la vita. La stessa dose può essere ripetuta in 1-2 ore se l’aritmia persiste. Il dosaggio giornaliero totale non deve superare i 30 mg/kg. Una dose iniziale simile, non diluita, può essere somministrata per via intramuscolare. La dose di man-tenimento EV è di 0,5-2,0 mg/min. La somministrazione per via intramuscolare deve essere evitata durante la rianimazione cardiopolmonare per arresto cardiaco e negli stati di shock data l’inaffi dabilità dell’assorbimento dovuta a una ridotta perfu-sione tissutale. In questo caso, il bretilio deve essere sommi-nistrato per via endovenosa.

INDICAZIONI. Il bretilio è utilizzato nei pazienti in terapia intensiva, con tachiaritmie ventricolari potenzialmente letali ricorrenti che non rispondono ad altri antiaritmici. Il bretilio è risultato effi cace in alcuni pazienti con tachiaritmie farmaco-resistenti e nel trattamento extraospedaliero di FV.

EFFETTI INDESIDERATI. L’ipotensione, più evidente in posizione ortostatica ma anche supina, sembra essere l’effetto collaterale più signifi cativo del bretilio e può essere prevenuta con l’impiego di farmaci triciclici come la protriptilina. Un’ipertensione transitoria, un’aumentata frequenza sinusale e un peggioramento dell’aritmia, spesso quelle dovute a intos-sicazione digitalica o a ischemia, possono far seguito alla som-ministrazione iniziale del farmaco e sembrano dovuti al rilascio iniziale di catecolamine. Il bretilio deve essere usato con cau-tela o affatto, in pazienti che abbiano una portata cardiaca relativamente fi ssa, come quelli affetti da una grave stenosi aortica. I vasodilatatori e i diuretici possono potenziare questi effetti ipotensivi. La nausea e il vomito possono verifi carsi dopo somministrazione parenterale.

Sotalolo

Il sotalolo è un bloccante beta-adrenergico non selettivo senza attività simpaticomimetica intrinseca, che prolunga la ripola-rizzazione.43 Nel 1992 è stato approvato dalla FDA per il trat-tamento di pazienti con tachiaritmie ventricolari potenzial-mente letali e nel 1998 per la fi brillazione atriale.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). Entrambi gli isomeri d e l hanno effetti simili sul prolungamento della ripo-

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ie cardiache anche con il sotalolo. Il sotalolo deve essere usato con pru-denza o non essere usato affatto in associazione con altri far-maci che prolungano l’intervallo QT. Peraltro, tali associazioni sono state usate in modo effi cace.

Ibutilide

L’ibutilide è un farmaco approvato per sbloccare episodi acuti di fl utter o fi brillazione atriale.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). Come gli altri farmaci di classe III, l’ibutilide prolunga la ripolarizzazione. Benché sia come gli altri farmaci di classe III che bloccano le correnti del potassio in uscita così come l’IKr, l’ibutilide è unico in quanto sembra attivare una corrente lenta in entrata del sodio. Somministrato endovena, l’ibutilide provoca un lieve rallentamento della frequenza sinusale e ha effetti minimi sulla conduzione AV o sulla durata del QRS, ma l’intervallo QT è caratteristicamente prolungato. L’ibutilide non ha alcun effetto signi-fi cativo sulla emodinamica.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). L’ibutilide è sommini-strato EV e ha un ampio volume di distribuzione. La clearance è prevalentemente renale, con un’emivita farmacologica in media di 6 ore (ma con notevole variabilità interpaziente). Il legame alle proteine plasmatiche è del 40% circa. Uno dei metaboliti del farmaco mostra deboli effetti di classe III.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). L’ibuti-lide è somministrato con infusione EV rapida di 1 mg in 10 minuti. Non deve essere somministrato in presenza di un inter-vallo QTc maggiore di 440 millisecondi o in concomitanza ad altri farmaci che prolungano l’intervallo QT o nel caso di ipo-potassiemia o bradicardia non corrette. Se l’aritmia persiste si può somministrare una seconda dose di 1 mg, dopo aver ter-minato la prima. I pazienti devono essere sotto monitoraggio ECG durante tutto il periodo di somministrazione e per le suc-cessive 6-8 ore, a causa del rischio di aritmie ventricolari. Fino al 60% dei pazienti con fi brillazione atriale e il 70% di quelli con fl utter atriale vengono riportati al ritmo sinusale dopo la somministrazione di 2 mg di ibutilide.45

INDICAZIONI. L’ibutilide è indicato per l’interruzione di un episodio documentato di fi brillazione o fl utter atriale. Non deve essere usato nei pazienti con frequenti, brevi parossismi di fi brillazione atriale poiché esso agisce semplicemente con-cludendo il singolo episodio ma non è utile per la prevenzione di nuovi episodi. I pazienti con una condizione emodinami-camente instabile devono essere sottoposti a cardioversione elettrica diretta. L’ibutilide è stato somministrato contempora-neamente alla cardioversione elettrica transtoracica per aumen-tare la probabilità di interruzione della fi brillazione atriale. In uno studio, tutti i 50 pazienti trattati con l’ibutilide prima di tentare la cardioversione elettrica sono tornati al ritmo sinu-sale, rispetto ai soli 34 dei 50 a cui non era stato sommini-strato.46 È da notare che tutti i 16 pazienti che non hanno risposto alla cardioversione elettrica senza ibutilide, sono stati cardiovertiti elettricamente con successo al ritmo sinusale quando è stato fatto un secondo tentativo dopo pretrattamento con ibutilide.

L’ibutilide prolunga la refrattarietà della via accessoria e può temporaneamente rallentare la frequenza ventricolare durante la fi brillazione atriale preeccitata. Il farmaco può anche far cessare episodi di TV sostenuta monomorfa.

EFFETTI INDESIDERATI. Gli effetti indesiderati più signifi cativi dell’ibutilide sono il prolungamento del QT e le torsioni di punta, che si manifestano nel 2% circa dei pazienti trattati con il farmaco. Questo avviene nelle prime 4-6 ore dopo la somministrazione, dopo di che il rischio diventa trascurabile. Pertanto, i pazienti in cui viene utiliz-zato il farmaco devono essere sottoposti a monitoraggio ECG fi no a 8 ore dopo l’assunzione. Questo può rendere proble-matico l’uso dell’ibutilide nei dipartimenti di emergenza o

in ambulatorio. La sicurezza dell’ibutilide durante la gravi-danza non è stata ben studiata. Il suo impiego deve essere ristretto a quei casi in cui non esiste un’alternativa più sicura (Tab. 72-3).

Dofetilide

La dofetilide è stata approvata dalla FDA per la conversione acuta della fi brillazione atriale in ritmo sinusale e per la pro-fi lassi cronica delle recidive di fi brillazione atriale.47

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). L’unico effetto elettrofi siologico della dofetilide sembra essere il blocco della componente rapida della corrente ritardata correttrice del potassio (IKr), importante per la ripolarizzazione (Cap. 27). Questo effetto è più spiccato negli atri rispetto ai ventricoli (30% di aumento del periodo refrattario nell’atrio contro il 20% nel ventricolo). L’effetto della dofetilide sull’IKr consiste nel prolungare la refrattarietà senza rallentare la condu-zione, cosa che si ritiene essere largamente responsabile del suo effetto antiaritmico. È anche responsabile dell’allungamento dell’intervallo QT sull’ECG, che è in media del 11%, ma può essere anche maggiore. Questo effetto sull’intervallo QT è dose-dipendente e lineare. Non si osservano altre importanti variazioni dell’ECG determinate dal farmaco. La dofeti-lide non ha signifi cativi effetti emodinamici. La dofetilide si è dimostrata più effi cace della chinidina nel convertire la fi brillazione atriale in ritmo sinusale.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). Somministrata per via orale, la dofetilide si assorbe bene, con oltre il 90% di biodi-sponibilità. Il 50-60% del farmaco è secreto immodifi cato nelle urine, con un’emivita media di eliminazione di 7-13 ore. Il resto del farmaco è sottoposto a metabolismo epatico che lo trasforma in sostanze inerti. Sono state descritte signifi cative interazioni tra farmaci nei pazienti trattati con dofetilide; cime-tidina, verapamil, chetoconazolo e trimetoprim (solo o in com-binazione con sulfametossazolo) provocano un signifi cativo aumento della concentrazione sierica della dofetilide e non dovrebbero essere usati con questo farmaco.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). La dofe-tilide è disponibile solo come preparazione orale. Il dosaggio è da 0,125 a 0,5 mg due volte al giorno e deve essere iniziato in ambiente ospedaliero con il continuo monitoraggio ECG per assicurarsi che non compaiano inopportuni prolungamenti del QT o torsioni di punta. Il farmaco deve essere prescritto da medici specialisti. La dose deve essere ridotta in presenza di alterata funzione renale o di aumento dell’intervallo QT supe-riore al 50%. Il farmaco non dovrebbe essere somministrato a pazienti con una clearance della creatinina minore di 20 ml/min o un intervallo QT corretto di base maggiore di 440 mil-lisecondi.

INDICAZIONI. La dofetilide per via endovenosa è stata impiegata in via sperimentale per l’interruzione di episodi documentati di fl utter atriale, fi brillazione o altri tipi di TSV. La dofetilide per via orale è indicata per la prevenzione di episodi di tachiaritmie sopraventricolari, soprattutto del fl utter e della fi brillazione atriale. Il ruolo della dofetilide nella tera-pia delle aritmie ventricolari è meno chiaro. È stato dimostrato che la dofetilide non modifi ca la mortalità quando sommini-strata a pazienti dopo IM.48

EFFETTI INDESIDERATI. L’effetto indesiderato più signi-fi cativo della dofetilide è il prolungamento dell’intervallo QT associato a torsione di punta, che si presenta nel 2-4% dei pazienti che assumono il farmaco. Il rischio è massimo nei pazienti con un prolungato intervallo QT di base, in quelli ipokaliemici, in quelli che assumono altre sostanze che pro-lungano la ripolarizzazione e dopo la conversione della fi bril-lazione atriale al ritmo sinusale (Tab. 72-3). Il farmaco è peraltro ben tollerato con scarsi effetti collaterali. Il suo uso in gravidanza (classe C) non è stato studiato in modo approfon-dito e deve probabilmente essere evitato in questo contesto se possibile.

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Capitolo 30

Azimilide

L’azimilide è un nuovo farmaco (non ancora approvato dalla FDA al momento della stesura del libro), utile nel trattamento del fl utter e della fi brillazione atriale.49

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). A differenza della dofetilide, che blocca la componente della corrente ritar-data correttrice del potassio, l’azimilide provoca un blocco più bilanciato di entrambe le componenti, rapida e lenta, dell’IK. Si ritiene che questo effetto sia responsabile del minor tasso di proaritmia così come di una migliore persistenza dell’effi cacia del farmaco a frequenze cardiache maggiori in confronto ai puri IKr bloccanti. L’azimilide provoca un lieve allungamento dell’intervallo QT ma nessun’altra modifi cazione signifi cativa all’ECG. A differenza della dofetilide e del sotalolo, che hanno effetti sulla refrattarietà atriale maggiori che su quella ventricolare, l’azimilide esercita un effetto simile su entrambe.50

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). Il profi lo farmacocinetico dell’azimilide è relativamente semplice e prevedibile. Può essere assunto per via orale una volta al giorno e il suo assor-bimento è pressoché completo e non infl uenzato dalla inge-stione di cibo. Sono state riportate poche interazioni farmacologiche. L’azimilide è eliminato per via renale; una parte del metabolismo avviene attraverso la trasformazione in composti inattivi. Il farmaco non mostra signifi cativi effetti emodinamici negativi.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). L’azimi-lide può essere assunto per via orale una volta al giorno a una dose di 100-200 mg. Il farmaco è ben tollerato e il dosaggio non richiede un aggiustamento in presenza di malattie renali o epatiche.

INDICAZIONI. L’azimilide EV è indicato per interrompere un episodio documentato di fi brillazione o fl utter atriale, men-tre per via orale è indicato per la prevenzione a lungo termine di queste aritmie. Sono in corso studi per la valutazione del-l’effi cacia dell’azimilide nelle aritmie ventricolari.

EFFETTI INDESIDERATI. Il farmaco viene in genere ben tollerato. Come con altri farmaci della classe III, l’effetto col-laterale più signifi cativo dell’azimilide è la torsione di punta, sebbene questa aritmia sembri essere meno frequente con que-sto rispetto agli altri farmaci di classe III (compare nell’1% circa dei pazienti che assumono il farmaco) (Tab. 72-3). Non è nota la sicurezza dell’azimilide in gravidanza; il suo uso deve probabilmente essere evitato se possibile.

Farmaci antiaritmici di classe IV

Calcioantagonisti: verapamil e diltiazem

Il verapamil, un derivato sintetico della papaverina, è il pro-totipo di una classe di farmaci che bloccano i canali lenti del calcio e che riducono l’ICa-L nel muscolo cardiaco. Il diltiazem ha azioni elettrofi siologiche simili a quelle del verapamil. La nifedipina mostra scarsi effetti elettrofi siologici nelle dosi uti-lizzate nella clinica; la felodipina blocca la corrente del calcio di tipo T (Cap. 27), e la sua applicazione clinica non è stata ancora defi nita. Nessuno di questi farmaci verrà descritto in questa sede.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). Bloccando l’ICa-L in tutte le fi bre cardiache, il verapamil riduce l’altezza del plateau del potenziale d’azione, accorcia leggermente il potenziale d’azione muscolare e prolunga lievemente il potenziale d’azione totale delle fi bre di Purkinje. Non agisce signifi cativamente sull’ampiezza del potenziale d’azione, sulla V

·max della fase 0 o sul voltaggio di membrana a

riposo nelle cellule che hanno caratteristiche di risposta rapida dovuta all’INa (muscoli atriale e ventricolare, sistema His-Purkinje). Il verapamil

sopprime le risposte lente provocate da diversi metodi sperimentali e sop-prime anche l’attività ritmica sostenuta triggerata e le post-depolarizzazioni precoci e tardive. Verapamil e diltiazem sopprimono l’attività elettrica del nodo del seno e del nodo AV normali a concentrazioni che non sopprimono i potenziali d’azione delle cellule dipendenti dai canali veloci. Il verapamil riduce la pendenza della depolarizzazione diastolica delle cellule del nodo del seno, la V

·max della fase 0, il potenziale diastolico massimo, l’ampiezza

del potenziale d’azione nelle cellule del nodo del seno e del nodo AV e prolunga il tempo di conduzione e i periodi refrattari funzionali ed effettivi del nodo AV. Gli effetti del verapamil e del diltiazem sul blocco del nodo AV diventano più evidenti ad alte frequenze di stimolazione (uso-dipendenza) e nelle fi bre depolarizzate (voltaggio-dipendenza). Il verapamil rallenta l’attivazione e ritarda il recupero dopo l’inattivazione del canale lento. La perdita del legame del farmaco dal suo recettore avviene più rapidamente nei tessuti iperpolarizzati.

Il verapamil esercita una certa azione anestetica locale perché lo ste-reoisomero destrogiro presente nella miscela racemica utilizzata in terapia determina lievi effetti di blocco sull’INa. Lo stereoisomero levogiro blocca la corrente lenta d’entrata del calcio, come di altri ioni che viaggiano attra-verso il canale lento. Il verapamil non infl uenza la captazione, il legame o lo scambio da parte dei microsomi cardiaci, né agisce sull’adenosin-trifo-sfatasi calcio-attivata. Il verapamil non blocca i beta-recettori ma sembra poter bloccare gli alfa-recettori e potenziare gli effetti vagali sul nodo AV. Il verapamil può avere inoltre delle azioni che alterano indirettamente l’elettrofi siologia cardiaca, quali la riduzione dell’adesività piastrinica o la limitazione dell’estensione dell’ischemia miocardica.

Nell’uomo, il verapamil prolunga il tempo di conduzione nel nodo AV (intervallo AH) senza infl uenzare l’onda P o la durata del QRS o l’intervallo HV e allunga i periodi refrattari funzionali anterogrado e retrogrado e gli ERP del nodo AV. La frequenza spontanea del nodo del seno può ridursi leggermente, effetto che può essere solo parzialmente invertito dall’atro-pina. Più comunemente, la frequenza del nodo del seno non subisce modi-fi cazioni signifi cative dato che il verapamil provoca una vasodilatazione periferica, un’ipotensione transitoria e una stimolazione simpatica rifl essa che modula qualsiasi effetto diretto che il verapamil esercita sul nodo del seno. Se il verapamil viene somministrato a un paziente trattato anche con un beta-bloccante, la frequenza di scarica del nodo del seno può rallentare in quanto la stimolazione del rifl esso simpatico è bloccata. Il verapamil non esercita un signifi cativo effetto diretto sulla refrattarietà atriale o ventricolare o sulle proprietà anterograde e retrograde delle vie accessorie. Tuttavia, la stimolazione del rifl esso simpatico successiva alla somministrazione di verapamil può aumentare la risposta ventricolare lungo le vie accessorie nella fi brillazione atriale in pazienti con sindrome di Wolff-Parkinson-White.

EFFETTI EMODINAMICI. Interferendo con l’accoppia-mento eccitazione-contrazione, il verapamil inibisce la con-trazione delle cellule muscolari lisce vascolari determinando una marcata dilatazione nel distretto coronarico e in altri distretti periferici. Il propranololo non blocca la vasodilata-zione indotta dal verapamil. I rifl essi simpatici possono ridurre in vivo il suo marcato effetto inotropo negativo sulle cellule cardiache muscolari isolate, ma gli effetti inibitori diretti del verapamil possono predominare quando il farmaco è sommi-nistrato ad alti dosaggi. Nei pazienti con una funzione ventri-colare sinistra ben conservata, la terapia combinata con verapamil e propranololo è ben tollerata, ma il beta-blocco può accentuare gli effetti emodinamici negativi indotti dal verapamil per via orale. I pazienti con funzione ventricolare sinistra ridotta possono non tollerare il blocco associato dei recettori beta e dei canali lenti e quindi la somministrazione combinata di verapamil e propranololo in questi pazienti deve essere istituita con cautela o addirittura evitata. Nei preparati sperimentali, il verapamil riduce la richiesta miocardica di ossigeno mentre diminuisce la resistenza vascolare coronarica e riduce l’estensione del danno ischemico. Queste modifi ca-zioni possono determinare un effetto antiaritmico. Anche il diltiazem riduce le aritmie ventricolari in corso di occlusione coronarica nel cane, verosimilmente prevenendo il sovracca-rico di calcio.

Le alterazioni acute nelle variabili emodinamiche si verifi -cano 3-5 minuti dopo il completamento dell’iniezione di vera-pamil e gli effetti principali si annullano entro 10 minuti. La resistenza sistemica e la pressione arteriosa media diminui-scono, così come il dP/dtmax ventricolare sinistro mentre la pressione telediastolica del ventricolo sinistro aumenta. La

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ie cardiache in ritmo sinusale, soprattutto se il fl utter o la fi brillazione atriale sono di recente insorgenza. Inoltre, il verapamil può prevenire la recidiva precoce della fi brillazione atriale dopo cardioversione.51 Alcuni pazienti con fl utter atriale possono sviluppare una fi brillazione atriale dopo somministrazione di verapamil. Come detto precedentemente, nei pazienti con complessi ventricolari preeccitati in corso di fi brillazione atriale associata con la sindrome di Wolff-Parkinson-White, il verapamil EV può accelerare la risposta ventricolare; quindi, la somministrazione EV in questa situazione è controindicata. Il verapamil può interrompere alcune tachicardie atriali. Anche se il verapamil può bloccare una TV fascicolare sini-stra, si può verifi care un collasso emodinamico se il verapamil EV viene somministrato in pazienti con le forme più comuni di TV, perché queste di solito compaiono nel quadro di una ridotta funzione sistolica ventricolare sinistra. Una delle regole basilari per evitare complicanze è, comunque, quella di non somministrare il verapamil EV a pazienti con tachi-cardia con QRS largo a meno che non si sia assolutamente certi della natura della tachicardia stessa e della sua risposta al verapamil.

Per via orale, il verapamil o il diltiazem possono prevenire le recidive di tachicardie da rientro del nodo AV o delle tachi-cardie reciprocanti ortodromiche AV associate alla sindrome di Wolff-Parkinson-White, così come aiutano a mantenere una risposta ventricolare ridotta durante il fl utter o la fi bril-lazione atriale in pazienti senza vie accessorie. A questo pro-posito, l’effi cacia del verapamil sembra essere esaltata se som-ministrato contemporaneamente alla chinidina e quella del diltiazem è amplifi cata se somministrato con la digossina. Generalmente il verapamil non si è dimostrato effi cace nel trattamento di pazienti con tachiaritmie ventricolari ricor-renti, benché possa sopprimere alcune forme di TV come una TV settale sinistra, come già osservato. Può essere anche utile nei due terzi circa dei pazienti con TV idiopatiche con una morfologia da blocco di branca sinistra, nei pazienti con mio-cardiopatia ipertrofi ca che sono andati incontro ad arresto cardiaco, nei pazienti con la variante di torsione di punta a corto accoppiamento, nei pazienti con displasia del ventri-colo destro e in quelli con aritmie ventricolari da spasmo coronarico. Mentre i dati derivanti dai modelli animali sug-geriscono che il verapamil può essere utile nel ridurre o pre-venire aritmie ventricolari correlate a ischemia miocardica acuta, i calcioantagonisti non si sono dimostrati in grado di ridurre la mortalità o di prevenire le morti cardiache improv-vise nei pazienti dopo IM, tranne il diltiazem nei pazienti con infarto non-Q. Il verapamil abolisce le alterazioni della cinesi parietale riscontrate nei pazienti con sindrome del QT lungo.

EFFETTI INDESIDERATI. Il verapamil deve essere utiliz-zato con cautela in pazienti con segni di insuffi cienza car-diaca evidenti o in quelli già in terapia con beta-bloccanti. Ipotensione, bradicardia, blocco AV e asistolia sono di più frequente riscontro quando il farmaco viene somministrato in pazienti che già assumevano beta-bloccanti. Il collasso emodinamico è stato descritto nei bambini, perciò il verapa-mil deve essere usato con cautela in pazienti di età inferiore a 1 anno. Il verapamil deve essere utilizzato con cautela anche nei pazienti con disfunzione del nodo del seno, per la marcata depressione della funzione del nodo del seno o la asistolia che può verifi carsi in alcuni di questi pazienti. Per contrastare alcuni degli effetti indesiderati del verapamil possono essere necessari isoproterenolo, calcio, infusione di glucagone, dopamina o atropina (che è solo parzialmente effi cace) o il pacing temporaneo. L’isoproterenolo può essere più effi cace nel trattare le bradiaritmie e il calcio può essere usato per trattare le disfunzioni emodinamiche indotte dal farmaco. La depressione del nodo AV è frequente nel sovradosaggio. Le controindicazioni all’uso del verapamil e del diltiazem inclu-dono la presenza di un’insuffi cienza cardiaca avanzata, il

frequenza cardiaca, l’indice cardiaco, il lavoro ventricolare sinistro al minuto e la pressione polmonare media non si modi-fi cano in maniera signifi cativa. In questo modo, la riduzione del postcarico indotta dal verapamil minimizza signifi cativa-mente le sue attività inotrope negative impedendo la riduzione dell’indice cardiaco. Inoltre, quando il verapamil rallenta la frequenza ventricolare in un paziente con tachicardia, il ral-lentamento cardiaco può anche migliorare l’emodinamica. Ciononostante, la somministrazione di verapamil in pazienti con insuffi cienza cardiaca marcata o in terapia con beta-bloc-canti o disopiramide deve essere intrapresa con cautela, dato che in alcuni pazienti il deterioramento emodinamico può pro-gredire.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). Dopo una singola dose orale di verapamil, si verifi ca in 30 minuti un signifi cativo prolungamento del tempo di conduzione del nodo AV che permane per 4-6 ore. Dopo iniezione EV, il ritardo di condu-zione del nodo AV avviene entro 1-2 minuti e il prolungamento dell’intervallo AH è ancora osservabile dopo 6 ore. Le concen-trazioni plasmatiche effi caci necessarie per interrompere le TSV sono nel range di 125 ng/ml dopo dosi di 0,075-0,150 mg/kg. Dopo somministrazione orale, l’assorbimento è pres-soché completo, ma una biodisponibilità globale del 20-35% suggerisce un sostanziale metabolismo di primo-passaggio epa-tico, soprattutto per l’isomero levogiro. L’emivita di elimina-zione del verapamil è di 3-7 ore e fi no al 70% del farmaco è escreto per via renale. Il norverapamil è uno dei metaboliti principali che può contribuire alle azioni elettrofi siologiche del verapamil. Il legame alle proteine sieriche è del 90% circa. Con il diltiazem, la percentuale di riduzione della frequenza cardiaca nella fi brillazione atriale è correlata alla concentra-zione plasmatica.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). Il dosag-gio EV più comunemente usato del verapamil è di 10 mg infuso in 1-2 minuti, sotto monitoraggio del ritmo cardiaco e della pressione arteriosa. Una seconda iniezione della stessa dose può essere somministrata dopo 30 minuti. L’effetto iniziale ottenuto con il primo bolo, quale il rallentamento della rispo-sta ventricolare in corso di fi brillazione atriale, può essere mantenuto con un’infusione continua del farmaco a una velo-cità di 0,005 mg/kg/min. La dose orale è 240-480 mg/die in dosi frazionate. Il diltiazem viene somministrato endovena a una dose di 0,25 mg/kg in bolo in 2 minuti, con una seconda dose somministrata in 15 minuti se necessario; poiché è gene-ralmente meglio tollerato (minore ipotensione) per la sommi-nistrazione a lungo termine, come per il controllo della frequenza ventricolare nella fi brillazione atriale, si preferisce il diltiazem al verapamil in questa situazione. Per via orale, la dose deve essere adattata al singolo paziente, in un range di 120-360 mg. Per il verapamil e per il diltiazem esistono diverse preparazioni a lunga durata.

INDICAZIONI. Dopo avere praticato alcune semplici mano-vre vagali e aver somministrato adenosina, il verapamil o il diltiazem EV è il successivo trattamento di scelta per interrom-pere un rientro sostenuto del nodo del seno, un rientro del nodo AV o una tachicardia alternante ortodromica AV associata a una via accessoria. Il verapamil è effi cace quanto l’adenosina nell’interrompere queste aritmie. Il verapamil deve essere obbligatoriamente provato prima di tentare l’interruzione mediante somministrazione di digitale, stimolazione, diretta, cardioversione elettrica o aumento improvviso della pressione arteriosa con vasocostrittori. Il verapamil e il diltiazem bloc-cano il 60-90% o più degli episodi di TSV parossistiche entro pochi minuti. Il verapamil può essere anche utilizzato in alcune TSV fetali. Anche se il verapamil EV è stato sommini-strato insieme al propranololo EV, questa combinazione deve essere usata con grande cautela.

Verapamil e diltiazem diminuiscono la risposta ventrico-lare al nodo AV durante la fi brillazione o il fl utter atriale, probabilmente convertendo un piccolo numero di tali episodi

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Capitolo 30

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). Per interrompere una tachicardia, si inietta endovena rapidamente un bolo di adenosina a dosi di 6-12 mg seguito da un lavaggio. Il dosaggio pediatrico è di 0,1-0,3 mg/kg. Quando sommini-strato in una vena centrale e in pazienti dopo trapianto car-diaco o in quelli che assumono dipiridamolo, la dose iniziale deve essere ridotta a 3 mg. Ne risulta un transitorio rallenta-mento sinusale o un blocco del nodo AV, che dura meno di 5 secondi.

INDICAZIONI. L’adenosina è divenuta il farmaco di prima scelta per bloccare acutamente una TSV come nel caso di rien-tro AV o del nodo AV. Si usa in pazienti in età pediatrica e per valutare l’effi cacia dell’ablazione di vie accessorie. L’adenosina può causare blocco AV o interrompere tachicardie atriali e il rientro del nodo del seno. Determina un blocco AV solo tem-poraneo durante un fl utter o una fi brillazione atriale ed è per-tanto utile soltanto nella loro diagnosi (non per la terapia). L’adenosina blocca un gruppo di TV, il cui mantenimento dipende dal tono adrenergico, che è più spesso localizzato nel tratto di effl usso del ventricolo destro, ma può essere riscon-trato anche in altre sedi. L’adenosina è potenzialmente meno ipotensiva del verapamil nel caso in cui la tachicardia dovesse persistere dopo l’iniezione.

Dosi basse come 2,5 mg interrompono alcune tachicardie; dosi di 12 mg o meno interrompono il 92% delle TSV, in genere entro 30 secondi. La percentuale di successi terapeutici con adenosina è simile a quella ottenuta con il verapamil. Date la sua effi cacia e la sua brevissima durata d’azione, l’adenosina deve essere preferita al verapamil nella maggior parte dei casi, soprattutto nei pazienti in precedenza trattati con beta-bloc-canti EV, in quelli con insuffi cienza cardiaca scarsamente com-pensata o con grave ipotensione e nei neonati. Il verapamil è il farmaco di prima scelta nei pazienti che assumono farmaci come la teofi llina, che interferisce con le azioni o il metaboli-smo dell’adenosina; nei pazienti con broncocostrizione; e in quelli con un accesso venoso inadeguato.

L’adenosina può essere utile per differenziare i tipi di tachicardie ad ampio QRS poiché blocca molte TSV con con-duzione aberrante o ne rivela il sottostante meccanismo atriale, mentre non blocca la conduzione attraverso una via accessoria e non interrompe la maggior parte delle TV. L’ade-nosina in rari casi interrompe alcune TV (soprattutto quelle originanti dal tratto d’effl usso del ventricolo destro) e quindi il blocco della tachicardia non è completamente diagnostico per una TSV. Questo farmaco può predisporre allo sviluppo di fi brillazione atriale e probabilmente può aumentare la risposta ventricolare in pazienti con fi brillazione atriale in presenza di vie accessorie. L’adenosina può essere anche utile nel differenziare la conduzione del nodo AV da quella di vie accessorie, durante procedure ablative per interrom-pere le vie accessorie stesse. Tuttavia, questa distinzione non è assoluta poiché l’adenosina può bloccare le vie accessorie a conduzione lenta e d’altra parte il suo uso non determina sempre un blocco nel nodo AV. L’adenosina rilasciata dal-l’organismo può essere importante nel blocco AV indotto dall’ischemia o dall’ipossia e nelle bradiaritmie postdefi bril-lazione.

EFFETTI INDESIDERATI. Effetti indesiderati transitori si verifi cano in quasi il 40% dei pazienti con TSV trattati con adenosina e i più comuni sono l’arrossamento, la dispnea e un senso di oppressione toracica. Questi sintomi sono passeggeri, di durata inferiore a 1 minuto e sono ben tollerati. I PVC, la bradicardia sinusale transitoria, l’arresto sinusale e il blocco AV sono comuni in caso di arresto improvviso di TSV. Talora si osserva una fi brillazione atriale (12% in uno studio) con la somministrazione di adenosina,52 forse a causa dell’azione del farmaco sull’accorciamento del periodo refrattario atriale. La comparsa di una fi brillazione atriale può essere rischiosa nei pazienti con sindrome di Wolff-Parkinson-White ed una con-duzione AV rapida su una via accessoria.

blocco AV di secondo o terzo grado in assenza di pacemaker, la fi brillazione atriale con conduzione anterograda lungo una via accessoria, una disfunzione sinusale signifi cativa, la mag-gior parte delle TV, lo shock cardiogeno e altri stati ipotensivi. Anche se questi farmaci andrebbero evitati in pazienti con insuffi cienza cardiaca conclamata, se questa è dovuta a una tachiaritmia sopraventricolare discussa precedentemente, il verapamil e il diltiazem possono ripristinare il ritmo sinusale e ridurre signifi cativamente la frequenza ventricolare, deter-minando quindi un miglioramento dell’emodinamica. Infi ne, è importante notare che il verapamil può ridurre l’escrezione della digossina di circa il 30%. Una epatotossicità si può osservare occasionalmente. Il verapamil attraversa la barriera placentare; il suo uso in gravidanza è stato associato a un’al-terata contrattilità uterina, a bradicardia fetale e, forse, ad anomalie fetali delle dita. Deve essere usato, pertanto, solo se non esiste una valida alternativa.

Altri antiaritmici

Adenosina

L’adenosina è un nucleoside endogeno presente in tutto l’or-ganismo; è stata approvata dalla FDA per trattare pazienti con TSV.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). L’adenosina interagisce con i recettori A1 presenti sulla superfi cie extra-cellulare delle cellule cardiache, attivando i canali del K+ (IK Ach, IK Ado) in modo simile a quello dell’acetilcolina. L’aumento della conduttanza+ K accorcia l’APD atriale, iperpolarizza il potenziale di membrana e diminuisce la contrattilità atriale. Variazioni simili avvengono nel nodo del seno e nel nodo AV. Contrariamente a questi effetti diretti mediati dalle proteine rego-latrici del guanin-nucleotide Gi e Go, l’adenosina antagonizza l’adenilato ciclasi stimolata dalle catecolamine per diminuire l’accumulo dell’adenosin monofosfato ciclico e per diminuire l’ICa-L e la corrente If del pacemaker nelle cellule del nodo del seno, insieme con una diminuzione di V

·max. Si

possono verifi care spostamenti del pacemaker all’interno del nodo del seno e un blocco in uscita. L’adenosina rallenta la frequenza sinusale nel-l’uomo, seguita da un incremento rifl esso della frequenza del seno. Nella regione N del nodo AV, la conduzione viene rallentata, insieme alla ridu-zione di ampiezza del potenziale d’azione, della sua durata e della V

·max. Ne

risulta un prolungamento transitorio dell’intervallo AH, spesso associato a un blocco del nodo AV di primo, secondo o terzo grado. Il ritardo della con-duzione del nodo AV è frequenza-dipendente. La conduzione del sistema di His-Purkinje generalmente non è infl uenzata direttamente. L’adenosina non infl uisce sulla conduzione delle normali vie accessorie. La conduzione può essere bloccata nelle vie accessorie che hanno lunghi tempi di con-duzione o proprietà di conduzione decrementale. I pazienti con trapianto di cuore presentano ipersensibilità all’adenosina. L’adenosina può mediare il fenomeno di precondizionamento ischemico.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). L’adenosina viene rimos-sa dallo spazio extracellulare per washout, per degradazione enzimatica a inosina, per fosforilazione ad adenosina mono-fosfato o per ricaptazione nelle cellule attraverso un sistema di trasporto del nucleoside. L’endotelio vascolare e le cellule del sangue contengono questi sistemi d’eliminazione, dai qua-li risulta una rapida eliminazione dell’adenosina dalla circo-lazione. L’emivita di eliminazione è di 1-6 secondi. La maggior parte degli effetti dell’adenosina sono prodotti durante il suo primo transito in circolo. Si verifi cano importanti interazioni farmacologiche: le metilxantine sono antagonisti competitivi e le concentrazioni terapeutiche di teofi llina bloccano total-mente l’effetto dell’adenosina esogena. Il dipiridamolo è un inibitore del trasporto del nucleoside e impedisce la ricapta-zione cellulare dell’adenosina, ritardando la sua eliminazione dalla circolazione o dallo spazio interstiziale e potenziandone gli effetti. Si devono usare dosi inferiori di adenosina nei pa-zienti che assumono dipiradamolo.

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737Terapia delle aritm

ie cardiache Digossina

Le azioni cardiache dei glicosidi digitalici sono conosciute da secoli. La digossina è utilizzata per il controllo delle aritmie sopraventricolari, soprattutto per il controllo della frequenza ventricolare nel corso di fi brillazione atriale. L’uso della digos-sina è diminuito a causa della disponibilità di sostanze dotate di maggiore potenza e un più ampio range tra concentrazioni terapeutiche e tossiche.

AZIONI ELETTROFISIOLOGICHE (Tabb. 30-1, 30-2, 30-3 e 30-5). La digossina agisce principalmente tramite il sistema nervoso autonomo, in particolare aumentando il tono vagale centrale e periferico. Queste azioni sono in gran misura limitate a un rallentamento della frequenza di scarica del nodo del seno, a un accorciamento della refrattarietà atriale e al prolungamento della refrattarietà del nodo AV. Gli effetti elettrofi siologici sul sistema di His-Purkinje e sul muscolo ventricolare sono minimi, tranne che a concentrazioni tossiche. In studi su cuori denervati, la digossina ha un effetto relativamente modesto sul nodo AV e determina un incremento moderato della refrattarietà atriale. La digossina ha un lieve effetto antia-drenergico a basse dosi, ma può aumentare il tono centrale simpatico ad alte concentrazioni, il che è importante nello sviluppo delle aritmie da intossicazione digitalica.

La frequenza del nodo del seno e la durata dell’onda P sono poco alte-rate nella maggior parte dei pazienti trattati con digossina. La frequenza sinusale può diminuire nei pazienti con insuffi cienza cardiaca, la cui per-formance ventricolare sinistra migliora con il farmaco; soggetti con disfun-zioni signifi cative del nodo sinusale di base possono andare incontro a un ulteriore rallentamento fi no all’arresto sinusale. Similmente, l’intervallo PR è generalmente immodifi cato, eccetto nei pazienti con sottostanti patolo-gie del nodo AV. Il QRS e l’intervallo QT rimangono invariati. Le anomalie caratteristiche del tratto ST e dell’onda T osservate nel trattamento con digossina non indicano una tossicità del farmaco.

FARMACOCINETICA (Tab. 30-4). Dopo somministrazione endovena, la digossina determina alcuni effetti elettrofi siolo-gici entro pochi minuti, con un effetto picco dopo 1,5-3 ore. Dopo somministrazione orale, l’effetto picco si verifi ca in 4-6 ore. L’entità dell’assorbimento della digossina dopo sommini-strazione orale varia secondo le diverse preparazioni del far-maco: le compresse sono assorbite al 60-75%, mentre le forme in capsule di gel sono quasi completamente assorbite. L’inge-stione di colestiramina o di antiacidi contemporaneamente alla digossina ne riduce l’assorbimento. L’emivita sierica della digossina è di 36-48 ore e il farmaco è secreto immodifi cato per via renale.

DOSI E VIE DI SOMMINISTRAZIONE (Tab. 30-4). In dosi acute di carico di 0,5-1,0 mg, la digossina può essere sommi-nistrata endovena oppure per via orale. Il dosaggio cronico giornaliero per via orale deve essere aggiustato sulla base delle indicazioni cliniche e il grado di disfunzione renale. La mag-gior parte dei pazienti richiede da 0,125 a 0,25 mg/die in dose singola; tuttavia, in alcuni pazienti in dialisi renale è suffi -ciente una quantità minima pari a 0,125 mg a giorni alterni, mentre nei pazienti giovani può essere necessaria una dose fi no a 0,5 mg/die. I livelli sierici di digossina possono essere utilizzati per controllare la compliance della terapia come pure per determinare se la tossicità digitalica è la causa di nuovi sintomi compatibili con la diagnosi. Tuttavia, il monitoraggio di routine dei livelli di digossina non è richiesto nei pazienti in cui la frequenza ventricolare è sotto controllo durante la fi brillazione atriale e che non mostrano sintomi di tossicità.

Sono state descritte numerose interazioni farmacocinetiche per la digossina, la più importante delle quali è quella con la chinidina (che aumenta le concentrazioni sieriche di digossina rimuovendo il farmaco dai siti di legame nei tessuti e riducen-done la clearance renale).

INDICAZIONI. La digossina può essere usata per via endo-venosa allo scopo di ridurre la frequenza ventricolare durante la fi brillazione e il fl utter atriale; è stata usata in passato per tentare di convertire le TSV a ritmo sinusale, ma l’inizio del-l’azione è molto più lento e il tasso di successo è inferiore

all’adenosina, al verapamil e ai beta-bloccanti; pertanto, oggi è usata raramente per questo scopo. La digossina è più comu-nemente usata per via orale, per ottenere il controllo della frequenza ventricolare nella fi brillazione atriale cronica. Quando il paziente con fi brillazione atriale è a riposo e predo-mina il tono vagale, la frequenza ventricolare può essere man-tenuta tra 60 e 100 batt/min nel 40-60% dei casi. Tuttavia, quando il paziente inizia uno sforzo, la diminuzione del tono vagale insieme all’aumento del tono adrenergico diminuiscono gli effetti benefi ci della digossina sulla conduzione del nodo AV. I pazienti possono mostrare uno spiccato aumento della frequenza ventricolare anche per lievi attività. Per queste ragioni, la digossina è raramente utilizzata come farmaco sin-golo per ottenere il controllo della frequenza ventricolare nella fi brillazione atriale cronica. Il farmaco ha una scarsa capacità di prevenire episodi di fi brillazione atriale parossistica oppure nel controllare la frequenza ventricolare durante tali episodi. Infi ne, la digossina non è più effi cace del placebo nel bloccare episodi di fi brillazione atriale acuti o di recente insorgenza.

EFFETTI INDESIDERATI. Una delle principali ragioni che hanno determinato il minor uso della digossina è il suo poten-ziale di gravi effetti indesiderati e lo stretto intervallo tra con-centrazioni terapeutiche e tossiche. La tossicità da digitale provoca una varietà di sintomi e segni, inclusi cefalea, nausea e vomito, alterata percezione dei colori, visione offuscata, malessere generalizzato. Più gravi sono le aritmie digitale-cor-relate. Queste comprendono la bradicardia dovuta a un mar-cato aumento del tono vagale (bradicardia o arresto sinusale, blocco del nodo AV) e le tachiaritmie che possono essere dovute ad attività triggerata mediata da postdepolarizzazione tardiva (tachicardia atriale, giunzionale e fascicolare o ventri-colare). Il peggioramento della funzionalità renale, l’età avan-zata, l’ipokaliemia, le malattie polmonari croniche, l’ipotiroidismo e l’amiloidosi aumentano la sensibilità del paziente alle aritmie digitale-correlate. La diagnosi può essere confermata usando i livelli plasmatici di digossina. La terapia per la maggior parte delle bradicardie consiste nella sospen-sione del farmaco; nei pazienti sintomatici può essere neces-saria l’atropina o il pacing temporaneo. La fenitoina può essere utilizzata per il controllo delle tachiaritmie atriali, mentre la lidocaina è stata impiegata con successo nel trattamento delle tachicardie infranodali. Le aritmie potenzialmente letali pos-sono essere trattate con frammenti anticorpali specifi ci anti-digossina. La cardioversione elettrica diretta deve essere eseguita solo se assolutamente necessaria nei pazienti con tos-sicità digitalica, poiché possono insorgere TV o FV potenzial-mente letali molto diffi cili da controllare.

Elettroterapia delle aritmie cardiache

Cardioversione elettrica diretta

La cardioversione elettrica presenta vantaggi evidenti, rispetto alla terapia farmacologica, nel bloccare le tachicardie. In con-dizioni ottimali di stretta osservazione e monitoraggio, una “dose” di elettricità regolata con attenzione può ripristinare il ritmo sinusale immediatamente e in sicurezza. La distinzione tra tachicardie sopraventricolari e ventricolari, fondamentale per l’adeguata gestione medica nel trattamento delle aritmie, è meno signifi cativa e si evita la perdita di tempo per titolare i farmaci con potenziali effetti indesiderati.

MECCANISMO. La cardioversione elettrica risulta essere più effi cace nell’interrompere le tachicardie da rientro, quali il fl utter e molti casi di fi brillazione atriale, il rientro del nodo AV, la tachicardia reciprocante associata alla sindrome di Wolff-Parkinson-White, la maggior parte delle forme di TV, il fl utter ventricolare e la FV. Lo shock elettrico, attraverso la depolariz-zazione di tutte le cellule eccitabili del miocardio e verosimil-

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Capitolo 30

mente prolungandone la refrattarietà, blocca i circuiti di rientro e ripristina l’omogeneità elettrica che interrompe il rientro. Il meccanismo con cui uno shock interrompe con successo una FV non è stato del tutto spiegato. Se i fattori scatenanti non sono più presenti, l’interruzione della tachicardia per il breve periodo indotto dallo shock può impedirne la ricomparsa per un lungo periodo, anche in presenza dei substrati anatomici ed elettrofi siologici richiesti per la tachicardia.

Le tachicardie dovute a disturbi della formazione dell’im-pulso (automaticità) includono le parasistolie, alcune forme di TA, le tachicardie giunzionali ectopiche (con o senza tossi-cità digitalica) il ritmo idioventricolare accelerato e rare forme di TV. Tentare di cardiovertire elettricamente queste tachicar-die non è indicato, poiché esse ricompaiono solitamente pochi secondi dopo lo shock. Non è stato ancora stabilito se la car-dioversione elettrica possa interrompere le tachicardie dovute a un esaltato automatismo o a un’attività triggerata.

TECNICA. Prima della cardioversione elettiva, deve essere eseguito un attento esame obiettivo, con la palpazione di tutti i polsi. Un ECG a 12 derivazioni è ottenuto prima e dopo la cardioversione, come pure un tracciato del ritmo durante lo shock elettrico. Il paziente, che deve essere completamente informato della procedura, deve essere a digiuno e “metaboli-camente equilibrato”; vale a dire che i gas ematici, il pH e gli elettroliti devono essere normali senza evidenza di tossicità di alcun farmaco. La sospensione della digitale diversi giorni prima della cardioversione elettiva nei pazienti senza evidenza clinica di intossicazione digitalica non è necessaria, sebbene i pazienti in cui si sospetti tossicità digitalica non debbano essere sottoposti a cardioversione fi no a quando la digitalemia non venga corretta. La somministrazione di farmaci antiarit-mici 1-2 giorni prima della cardioversione elettrica dei pazienti con fi brillazione atriale può convertire alcuni pazienti al ritmo sinusale, può aiutare a prevenire la ricorrenza di fi brillazione atriale una volta ristabilito il ritmo sinusale e valutare la tol-leranza del paziente al farmaco.

Le piastre auto-adesive nelle posizioni standard anteroapi-cale o posteroapicale mostrano impedenze transtoraciche

simili alle piastre tradizionali e sono utili nelle cardioversioni elettive o in situazioni in cui vi sia il tempo per la loro appli-cazione. Si possono usare piastre di 12-13 cm di diametro per trasmettere al cuore una corrente massima, ma i vantaggi di queste piastre rispetto a quelli di piastre di 8-9 cm di diametro non sono stati chiaramente stabiliti. Le piastre più larghe pos-sono distribuire la corrente intracardiaca in un’area più ampia e ridurre la necrosi miocardica shock-indotta.

Si utilizza uno shock elettrico sincronizzato (cioè, quello erogato durante il complesso QRS) per tutte le cardioversioni, tranne che per le tachiaritmie ventricolari molto rapide, quali il fl utter ventricolare o la FV (Fig. 30-2). Anche se di solito è minimo, il danno miocardico correlato allo shock aumenta direttamente con l’incremento dell’energia applicata e quindi si deve usare l’energia minima effi cace. Quindi, gli shock devono essere “regolati” se la situazione clinica lo permette. Tranne che nella fi brillazione atriale, gli shock nell’ambito di 25-50 joule arrestano con successo la maggior parte delle TSV e devono essere quindi provati inizialmente. Nel caso di insuc-cesso, può essere erogato un secondo shock ad energia più elevata. L’energia iniziale per interrompere la fi brillazione atriale con le macchine monofasiche più vecchie deve essere non inferiore a 100 joule, mentre con i nuovi sistemi bifasici sono effi caci anche piccole energie di 25 joule.53 L’energia ero-gata può essere aumentata in maniera graduale. Si possono utilizzare con sicurezza fi no a 360 joule. Le piastre anteropo-steriori hanno una maggiore effi cacia interponendo una massa atriale maggiore nel vettore dello shock rispetto alle placche anteroapicali. Se con una scarica di 360 joule non si riesce a convertire al ritmo sinusale, shock ripetuti della stessa energia possono essere effi caci riducendo l’impedenza della parete toracica; allo stesso modo, può essere occasionalmente utile l’inversione della polarità delle piastre. La somministrazione di ibutilide si è dimostrata utile nel facilitare la cardioversione elettrica della fi brillazione atriale al ritmo sinusale. Se tutti i tentativi con cardioversione esterna non ottengono risultati, si può adottare la defi brillazione intracardiaca. Nei pazienti con TV stabile, possono essere impiegati livelli iniziali nel range di 25-50 joule. Se la tachicardia deve essere trattata con urgenza, si può iniziare con valori di energia più elevati. Per interrom-pere una FV, sono di solito utilizzati 100-200 joule (bifasici; 200-360 joule con i sistemi monofasici), benché energie molto più basse (<50 joule) interrompano una FV se lo shock è erogato all’esordio dell’aritmia, ad esempio usando piastre adesive nel laboratorio di elettrofi siologia.

Durante la cardioversione in elezione, possono essere uti-lizzati un barbiturico a breve azione come il metoexitale, un anestetico come il propofol o un sedativo come il diazepam o il midazolam. Deve essere presente un medico esperto nella gestione delle vie aeree, bisogna ottenere una via venosa e devono essere monitorati l’ECG, la pulsossimetria e la pres-sione arteriosa. Tutto l’equipaggiamento per una rianimazione d’emergenza deve essere prontamente accessibile. Prima della cardioversione, si somministra ossigeno al 100% per 5-15 minuti mediante cannula nasale o maschera facciale, conti-nuando poi durante tutta la procedura. Nei periodi di seda-zione profonda, per evitare l’ipossia, è necessario ventilare manualmente il paziente. Un’adeguata sedazione del paziente sottoposto a cardioversione anche con criteri di urgenza è essenziale; i pazienti che, senza necessità, sono stati convertiti in stato di coscienza (per scarsa esperienza sul tipo di aritmia) hanno rifi utato ulteriori cure mediche antiaritmiche per la paura di essere di nuovo sottoposti a cardioversione senza un’appropriata sedazione.

In più del 5% dei pazienti con fi brillazione atriale, il ritmo sinusale non può essere ripristinato con defi brillazione esterna, anche se vengono intraprese tutte le misure pretrattamento, inclusi l’ibutilide e lo shock bifasico. È importante distinguere tra l’incapacità a raggiungere un ritmo sinusale, che indica l’inadeguata erogazione di energia agli atri, e l’incapacità a

10 ws

120 ws

1,5 sec

V1

I

FIGURA 30–2 In alto, Uno shock sincronizzato (notare i segni di sincro-nizzazione all’apice del complesso QRS [freccia]) in una TV è seguito da una singola risposta ventricolare ripetitiva e quindi dal normale ritmo sinusale. In basso, Uno shock sincronizzato sulla porzione terminale del complesso QRS (freccia) in un paziente con fi brillazione atriale e conduzione al ventricolo lungo una via accessoria (sindrome di Wolff-Parkinson-White) che ha determinato una fi brillazione ventricolare rapidamente interrotta da uno shock di 400 joule. La registrazione è stata persa per 1,5 secondi (freccia) a causa dello sposta-mento dalla linea base dopo lo shock. ws = watt secondi.

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ie cardiache mantenere il ritmo sinusale dopo una transitoria interruzione della fi brillazione; quest’ultima condizione (precoce reinizio della fi brillazione atriale) non risponde a shock con energie più elevate perché la fi brillazione è già stata interrotta (ma recidiva rapidamente). Il pretrattamento con farmaci antiarit-mici aiuta a mantenere il ritmo sinusale dopo shock successivi. I pazienti in cui non si riesce a interrompere la fi brillazione con uno shock esterno tendono a essere estremamente obesi o hanno una grave malattia ostruttiva polmonare. In questi casi, la cardioversione interna può essere eseguita utilizzando appo-siti cateteri muniti di grandi elettrodi multipli che ricoprono diversi centimetri della parte distale del catetere, al fi ne di distribuire l’energia dello shock. Impiegando un accesso per-cutaneo standard, questi cateteri possono essere localizzati nella porzione laterale dell’atrio destro e nel seno coronarico, per ottenere un vettore scarica che attraversi la maggior parte della massa atriale. Con tali confi gurazioni, shock interni di 2-15 joule possono interrompere la fi brillazione atriale in più del 90% dei pazienti con aritmia refrattaria allo shock per via transtoracica. È stata anche descritta una cardioversione trans-esofagea.

INDICAZIONI. Di norma, ogni aritmia che determina ipo-tensione, insuffi cienza cardiaca congestizia o angina e non risponde prontamente alla terapia medica deve essere inter-rotta con cardioversione elettrica. Frequenze ventricolari molto rapide in pazienti con fi brillazione atriale e sindrome di Wolff-Parkinson-White sono spesso trattate meglio con cardiover-sione elettrica. In quasi tutti i casi, lo stato emodinamico del paziente migliora dopo la cardioversione. Solo raramente, dopo lo shock il paziente può avere ipotensione, riduzione della portata cardiaca o insuffi cienza cardiaca congestizia. Questo problema è correlato alle complicanze della cardiover-sione, come eventi embolici, depressione miocardica secon-daria agli anestetici o allo shock stesso, ipossia, mancanza del ripristino della contrazione dell’atrio sinistro nonostante il ritorno della sistole elettrica atriale o ad aritmie postshock. La cardioversione elettrica diretta delle tachiaritmie indotte da digitale è controindicata.

I candidati idonei alla cardioversione elettrica della fi bril-lazione atriale comprendono i pazienti che (1) presentano una fi brillazione atriale sintomatica di durata inferiore a 12 mesi e possono avere signifi cativi benefi ci emodinamici con il ritorno al ritmo sinusale, (2) persistenza di fi brillazione atriale dopo che i fattori precipitanti sono stati rimossi (p.es., dopo il trat-tamento della tireotossicosi) e (3) una rapida frequenza ven-tricolare, diffi cile da controllare. Nei pazienti con indicazioni a terapia cronica con warfarin come prevenzione dell’ictus, la speranza di evitare l’anticoagulazione ripristinando il ritmo sinusale non è un motivo per tentare la cardioversione poiché restano ad alto rischio per eventi tromboembolici. Numerosi e ampi studi54 hanno dimostrato che il mantenimento del ritmo sinusale non conferisce alcun vantaggio di sopravvivenza rispetto alla strategia di trattamento con solo controllo della frequenza e anticoagulazione; quindi, non in tutti i pazienti con fi brillazione atriale di recente diagnosi è giustifi cato un tentativo di ripristino del ritmo sinusale. Il trattamento deve essere determinato individualmente.

I candidati non idonei includono i pazienti con (1) tossicità digitalica, (2) assenza di sintomi e una frequenza ventricolare ben controllata senza terapia, (3) disfunzione del nodo del seno e varie tachiaritmie sopraventricolari instabili o bradiaritmie (spesso la sindrome bradicardia-tachicardia) che alla fi ne svi-luppano e mantengono una fi brillazione atriale (che in pratica rappresenta una “cura” per la malattia del nodo del seno), (4) scarso o assente miglioramento della sintomatologia con ritmo sinusale che rapidamente si riconverte a fi brillazione atriale dopo cardioversione nonostante la terapia farmacologica, (5) un atrio sinistro dilatato e una fi brillazione atriale di lunga durata, (6) episodi sporadici di fi brillazione atriale che si con-verte spontaneamente in ritmo sinusale, (7) assenza di sistole

atriale meccanica dopo il ritorno della sistole atriale elettrica, (8) fi brillazione atriale e blocco cardiaco avanzato, (9) chirur-gia cardiaca programmata nel prossimo futuro e (10) intolle-ranza ai farmaci antiaritmici. Dopo la cardioversione, la ricom-parsa della fi brillazione atriale è più probabile in pazienti con BPCO signifi cativa, insuffi cienza cardiaca congestizia, valvu-lopatia mitralica (in particolare insuffi cienza mitralica), fi bril-lazione atriale di durata superiore a 1 anno e atrio sinistro ingrandito (>4,5 cm all’ecocardiogramma). Nei pazienti con fl utter atriale, può essere diffi cile rallentare la frequenza ven-tricolare somministrando digitale o interrompere il fl utter con un antiaritmico e la cardioversione elettrica è spesso il tratta-mento di scelta. In pazienti con altri tipi di TSV, la cardiover-sione elettrica può essere impiegata quando (1) le manovre vagali o il solo trattamento medico (p.es., adenosina EV e vera-pamil) non sono riusciti a interrompere la tachicardia e (2) il quadro clinico suggerisce che è necessario un rapido ripristino del ritmo sinusale a causa dello scompenso emodinamico o elettrofi siologico indotto dalla tachicardia. Similmente, nei pazienti con TV, le conseguenze emodinamiche ed elettrofi -siologiche dell’aritmia determinano la necessità e l’urgenza di una cardioversione elettrica diretta. La defi brillazione elettrica è il trattamento iniziale di scelta per il fl utter o la fi brillazione ventricolare. La tempestività è essenziale.

Se, dopo il primo shock, non si verifi ca il ripristino del ritmo sinusale, deve essere utilizzata una maggiore energia. Se com-pare un’aritmia transitoria dopo uno shock ineffi cace, si deve somministrare un bolo di lidocaina prima di erogare una sca-rica di energia maggiore. Se il ritmo sinusale ritorna solo tem-poraneamente ed è immediatamente sostituito dalla tachicar-dia, si può tentare di ripetere lo shock, secondo il tipo di tachia-ritmia da trattare e le sue conseguenze. La somministrazione di un antiaritmico endovena può essere utile prima di passare a una successiva cardioversione elettrica (come l’ibutilide nei casi resistenti di fi brillazione atriale). Dopo la cardioversione, il paziente deve essere monitorato, almeno fi no alla ripresa completa dello stato di coscienza e preferibilmente per alcune ore dopo, a seconda della durata di recupero dalla forma par-ticolare di sedazione o di anestesia usata. Se è stata utilizzata l’ibutilide, si deve monitorare l’ECG per almeno 8 ore per il rischio di comparsa di torsioni di punta nelle prime ore dalla somministrazione.

RISULTATI. La cardioversione ripristina il ritmo sinusale nel 70-95% dei pazienti, a seconda del tipo di tachiaritmia. Tuttavia, il ritmo sinusale è stabile dopo 12 mesi in meno di un terzo o metà dei pazienti con fi brillazione atriale cronica. Quindi, una volta ristabilito il ritmo sinusale, il problema più diffi cile è mantenerlo e non interrompere immediatamente la tachicardia. La probabilità di mantenere il ritmo sinusale si basa sul tipo di aritmia, sulla presenza di una malattia cardiaca sottostante e sulla risposta alla terapia farmacologica antiarit-mica. Le dimensioni atriali diminuiscono dopo l’interruzione della fi brillazione atriale e il ripristino del ritmo sinusale e migliorano le capacità funzionali.

COMPLICANZE. Le aritmie ventricolari indotte dalla car-dioversione elettrica sono generalmente provocate da un’ina-deguata sincronizzazione, quando lo shock è somministrato durante il tratto ST o l’onda T. Talvolta, anche uno shock pro-priamente sincronizzato può produrre una fi brillazione ven-tricolare (Fig. 30-2). Le aritmie postshock di solito sono transitorie e non richiedono una terapia. Episodi embolici sono descritti nell’1-3% dei pazienti convertiti da fi brillazione atriale a ritmo sinusale. Un’anticoagulazione preventiva (Inter-national Normalized Ratio, INR, 2,0-3,0) per almeno 3 setti-mane deve essere utilizzata nei pazienti che non hanno controindicazioni per tale terapia e che hanno avuto una fi bril-lazione atriale di durata superiore a 2-3 giorni oppure di durata indeterminata. Ciò vale soprattutto per pazienti ad alto rischio di embolia, come quelli con stenosi mitralica e fi brillazione atriale di recente insorgenza, storia di embolia recente o reci-

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Capitolo 30

divante, con protesi valvolari artifi ciali, un cuore di dimen-sioni aumentate (ipertrofi a atriale sinistra) o insuffi cienza cardiaca congestizia. (È importante notare che 3 settimane di anticoagulazione terapeutica non equivalgono a somministrare semplicemente warfarin per 3 settimane.) Si raccomanda un’anticoagulazione con warfarin per almeno 4 settimane suc-cessive, poiché il ripristino della funzione meccanica dell’atrio può avvenire in ritardo rispetto al ripristino della sistole elet-trica e si possono ancora formare trombi in atri in gran parte acinetici, sebbene elettrocardiografi camente in ritmo sinusale. Escludere la presenza di un trombo atriale sinistro mediante ecocardiografi a transesofagea, non sempre evita l’embolizza-zione dopo cardioversione della fi brillazione atriale. Trombi atriali possono essere presenti in tachiaritmie atriali diverse dalla fi brillazione, quali fl utter atriale e TA nei pazienti con malattie cardiache congenite.55 Le stesse raccomandazioni sulla anticoagulazione pre- e post-cardioversione si applicano a questi pazienti così come in quelli con fi brillazione atriale. Nonostante negli animali sia stato dimostrato che la cardiover-sione elettrica causa una lesione miocardica, gli studi compiuti nell’uomo indicano che l’innalzamento degli enzimi miocar-dici dopo la cardioversione non è frequente. Il sopraslivella-mento del segmento ST (a volte molto evidente) si può verifi care immediatamente dopo la cardioversione e può restare per 1-2 minuti, anche se gli enzimi cardiaci e la scinti-grafi a miocardica sono negativi. Un sopraslivellamento ST che duri più di 2 minuti di solito indica un danno miocardico non correlato allo shock elettrico. Dopo cardioversione di una TV, può comparire una diminuzione di K+ e Mg2+ nel siero.

La cardioversione di una TV può essere ottenuta anche con un pugno sul torace. Il suo meccanismo di interruzione è pro-babilmente correlato a un PVC indotto meccanicamente che interrompe una tachicardia ed è probabilmente correlato a una commotio cordis (Cap. 75). Il pugno toracico non può essere temporizzato molto bene e probabilmente è effi cace solo se dato durante un periodo non refrattario del ciclo cardiaco. Il pugno toracico può modifi care una TV e può probabilmente indurre un fl utter ventricolare o una FV, se questo si verifi ca nel periodo vulnerabile dell’onda T. Poiché la probabilità di convertire una TV stabile a una FV è lievemente maggiore di quella di convertire una TV al ritmo sinusale, la percussione del torace non va tentata se non è prontamente disponibile un defi brillatore.

Dispositivi elettrici impiantabili per il trattamento delle aritmie cardiache

I dispositivi impiantabili che monitorano il ritmo cardiaco e possono erogare stimoli competitivi di pacing e shock elettrici ad alta o bassa energia sono stati utilizzati effi cacemente in casi selezionati e sono discussi in dettaglio nel Capitolo 31.

Terapia ablativa delle aritmie cardiache

Lo scopo della terapia ablativa con catetere è quello di distrug-gere il tessuto miocardico erogando energia elettrica tramite elettrodi posti su di un catetere posizionato vicino a un’area dell’endocardio integralmente correlata all’insorgenza o al mantenimento di un’aritmia o a entrambi. La prima procedura di ablazione transcatetere è stata eseguita utilizzando uno shock a corrente continua, ma questa fonte di energia è stata quasi completamente soppiantata dall’energia a radiofrequenza (RF), che è erogata da un generatore esterno e distrugge il tes-suto per mezzo di una produzione controllata di calore.56 Sono state usate, ma non frequentemente, fonti di energia laser e a microonde; l’ablazione con catetere criotermico è stato appro-vato per l’uso nell’uomo.57 Una volta identifi cato il tessuto bersaglio allo SEF, la punta del catetere ablatore viene portata

a contatto con questo tessuto. Dopo aver raggiunto uno stabile posizionamento del catetere e dopo aver effettuato registra-zioni adeguate, la RF è erogata tra la punta del catetere e un elettrodo indifferente, generalmente un dispositivo tipo piastra da elettrobisturi posto sulla cute della coscia del paziente. Dato che le energie nella porzione RF dello spettro elettromagnetico sono scarsamente condotte dal tessuto cardiaco, l’energia a RF, di fatto, causa un riscaldamento resistivo delle cellule nelle strette vicinanze dell’estremità del catetere (cioè, queste cellule trasducono l’energia elettrica in energia termica). Quando la temperatura del tessuto supera i 50°C, si verifi ca un danno cellulare irreversibile con la morte del tessuto miocardico. Un fronte espansivo di calore si propaga dalla zona di riscalda-mento resistivo mentre continua l’emissione di RF, determi-nando una lesione emisferica omogenea di necrosi coagulativa per un raggio di 3-5 mm (Fig. 30-3). Il riscaldamento RF-indotto di tessuto con caratteristiche di automatismo intrinseco (fascio di His, focolai automatici di tachicardie), determina un’acce-lerazione del ritmo, mentre l’erogazione di RF durante un’arit-mia da rientro causa solitamente un rallentamento e l’interru-zione dell’aritmia stessa. Nella maggior parte dei casi, l’eroga-zione di RF è indolore, benché l’ablazione di tessuto atriale o di tessuto ventricolare destro possa risultare fastidiosa per alcuni pazienti.

ABLAZIONE CON RF CON CATETERE A PUNTA RAF-FREDDATA. Vi sono situazioni in cui il catetere può essere posizionato nella sede corretta, ma l’energia convenzionale erogata con RF è incapace di eliminare la tachicardia. In alcuni di questi casi, l’ammontare del danno (sia in profondità sia in larghezza) causata dalle RF è inadeguato. Usando RF standard, l’erogazione d’energia è di solito regolata per mantenere una temperatura prestabilita dell’estremità del catetere (tipica-mente 55°-70°C). Temperature dell’estremità maggiori di 90°C sono associate a coagulazione di elementi del sangue sull’elet-trodo, il che preclude la possibilità di erogare ulteriore energia e potrebbe anche causare un distacco del coagulo e una embo-lia. Raffreddando l’estremità del catetere, sia mediante una circolazione interna di liquido o con infusione continua di liquido attraverso la punta dell’elettrodo, è possibile prevenire un eccessivo riscaldamento della punta ed erogare una mag-giore energia, creando così lesioni di maggiori dimensioni aumentandone potenzialmente l’effi cacia. L’ablazione tramite cateteri con punta irrigata è stata usata con buon vantaggio nei casi in cui il catetere da ablazione standard (estremità di 4 mm) ha fallito, e anche come terapia primaria nel fl utter atriale e alcuni casi di TV associata a patologia cardiaca strut-

FIGURA 30–3 Lesione da radiofrequenza nel miocardio ventricolare umano (cuore espiantato al momento del trapianto). Era stata eseguita un’ap-plicazione di 30 secondi di energia nella sede indicata dalle frecce usando la punta del catetere mostrato. La lesione è di 5 mm di diametro e ha una bordo chiaro. Una depressione centrale nella lesione deriva dalla parziale essicca-zione del tessuto.

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ie cardiache

Anteriore

Posteriore

Anteriore

PosteriorePosterosettale

Seno coronarico

AnterosettaleAnterolaterale

PosterolateralePosterolaterale

Laterale Laterale

AnterolateraleHis

Nodo AV

Mediosettale Orifizio tricuspidale

Orifizio mitralico

FIGURA 30–4 Localizzazioni di vie accessorie per regione anatomica. Gli anelli valvolari tricuspidalico e mitralico sono disegnati in una proiezione ante-riore obliqua sinistra. Sono mostrate le localizzazioni del seno coronarico, del nodo AV e del fascio di His. Vie accessorie possono connettere il miocardio atriale a quello ventricolare in ognuna delle regioni mostrate. AV = atrioventri-colare.

A

B

1

3

1

3

V1

V6

Hisdist

SCdist

SCprox

Abluni

Ablbi

ADA

Tempo

AVD

200 msec

V1

V6

Hisdist

SCdist

SCprox

Ablbi

RFWatts

ADA

Tempo

AVD

500 msec

FIGURA 30–5 Sindrome di Wolff-Parkinson-White. Sono mostrate deriva-zioni di ECG di superfi cie 1, 3, V1 e V6 insieme a registrazioni intracardiache dall’atrio destro alto (ADA), dalla regione distale del fascio di His (Hisdist ), dal seno coronarico prossimale (SCprox ) e distale (SCdist ), dall’apice del ventricolo destro (AVD) e gli elettrodi unipolare (AbIuni) e bipolare (AbIbi) del catetere abla-tore. Sono anche mostrate le potenze di radiofrequenza in watt (RFWatt). A, Due battiti di pacing atriale sono condotti lungo la via accessoria (frecce blu nella registrazione da Ablbi, dalla sede della via accessoria) che provocano un’onda delta sull’elettrocardiogramma; uno stimolo atriale prematuro (centro) incontra la via accessoria in stato di refrattarietà (freccia rossa) conducendo quindi lungo il nodo AV e il fascio di His, determinando un complesso QRS stretto e dando inizio a un episodio di tachicardia AV da rientro. Dopo ogni complesso QRS stretto vi è una defl essione atriale, la cui porzione più precoce è registrata nel sito di ablazione (frecce verdi). B, L’ablazione di questa via è effettuata erogando energia a radiofrequenza (RF) dalla punta del catetere ablatore. La freccia blu indica l’inizio della erogazione di radiofrequenza; dopo due com-plessi QRS, l’onda delta viene bruscamente persa (freccia verde in derivazione 3) a causa dell’eliminazione della conduzione lungo la via accessoria. L’inver-sione dell’onda T nella derivazione 3 è dovuta alla “memoria” (Cap. 32).

turale, in cui un’ulteriore lesione su aree già danneggiate non è pericolosa e può essere necessaria per raggiungere gli effetti desiderati.58

La crioablazione con catetere causa un danno tissutale per congelamento delle strutture cellulari. Il protossido di azoto viene erogato alla punta del catetere, dove può gorgogliare, raffreddando la punta dell’elettrodo, dopo di che il gas è con-vogliato indietro alla consolle di erogazione. La temperatura della punta del catetere può essere regolata, raffreddando fi no a -70°C. Il raffreddamento a 0°C provoca una perdita funzio-nale reversibile e può essere usato come test diagnostico (cioè, interruzione di una tachicardia quando il catetere è in contatto con un gruppo di cellule critiche per la sua perpetuazione). La punta del catetere può essere raffreddata più profondamente per causare lesioni permanenti e quindi trattare l’aritmia. La crioablazione sembra causare minori danni endocardiaci e può quindi generare un minor rischio di tromboembolia successiva all’ablazione.59

ABLAZIONE CON CATETERE A RADIOFREQUENZA DI VIE ACCESSORIE

LOCALIZZAZIONE DELLE VIE ANOMALE. La sicurezza, l’effi cacia e il rapporto costo-benefi cio dell’ablazione con RF di una via accessoria AV hanno reso l’ablazione il trattamento di scelta per la maggior parte dei pazienti adulti e per molti pazienti pediatrici con tachicardie da rientro AV (TRAV) o fl utter/fi brillazione atriale associati a una risposta ventricolare rapida attraverso la via accessoria. Tuttavia, il fatto che la dimensione della lesione, se la RF è erogata in un cuore immaturo, può aumentare quando questo cresce, rende incerta la valutazione a lungo termine dell’ablazione con RF nei pazienti molto giovani. La RF ha sostituito lo shock elettrico diretto come fonte di energia di scelta.

Un SEF è eseguito preventivamente per stabilire se la via accessoria è parte del circuito della tachicardia o è capace di determinare una condu-zione AV rapida nel corso della fi brillazione atriale e al fi ne di localizzare la via accessoria (il sito ottimale per ablazione). Le vie accessorie possono essere localizzate nella parte destra o sinistra della parete libera o del setto del cuore (Fig. 30-4). Le vie accessorie settali sono ulteriormente classi-fi cate come anterosettali, mediosettali e posterosettali. Raramente le vie parahissiane possono essere distinte da quelle anterosettali. Le localizza-zioni mediosettali sono da considerare delle vere vie settali, mentre quelle defi nite anterosettali generalmente non hanno alcuna connessione con il setto ma sono situate anteriormente lungo il corpo fi broso centrale o il trigono fi broso destro, a livello della parete libera anteriore destra. Le vie classifi cate come posterosettali sono localizzate posteriormente al corpo fi broso centrale entro il cosiddetto spazio piramidale, che è delimitato dal processo posteriore-superiore del ventricolo sinistro e dal versante infero-mediale di entrambi gli atri. Le vie anterosettali si trovano nelle vicinanze del fascio di His e il potenziale d’attivazione di una via accessoria, così come il potenziale del fascio di His possono essere registrati simultaneamente attraverso un catetere posizionato nella regione del fascio di His. Le vie mediosettali sono classifi cate come mediosettali destre se un potenziale di una via accessoria è registrato attraverso un catetere situato nell’area delimitata anteriormente dalla punta dell’elettrodo del catetere del fascio di His e posteriormente dall’ostio del seno coronarico. Le vie localizzate

in una regione corrispondente, ma che possono essere ablate soltanto attraverso un approccio sinistro, sono chiamate vie mediosettali sinistre. Le vie posterosettali destre si inseriscono lungo l’anello tricuspidalico nelle immediate vicinanze dell’ostio del seno coronarico, mentre le vie posterosettali sinistre sono vicine alla parte terminale del seno coronarico e possono essere localizzate in una sede subepicardica intorno al seno

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Capitolo 30

determinato individuando la sede dell’inizio più precoce del ventri-cologramma in rapporto all’inizio dell’onda delta. Altri utili elementi sono le registrazioni unipolari non fi ltrate che registrano un’onda QS e il più breve tempo di condu-zione durante una massima pre-eccitazione. Un ampio potenziale ventricolare, sincrono con l’inizio dell’onda delta, può rappresentare un sito bersaglio nella pre-ecci-tazione sinistra, mentre si può trovare un’eccitazione ventricolare precoce in rapporto all’onda delta per la pre-eccitazione destra. L’in-serzione in sede atriale di vie mani-feste o occulte (cioè, un’onda delta rispettivamente presente o assente) può essere identifi cata localizzando il sito che mostra il più breve inter-vallo ventricolo-atriale durante con-duzione retrograda attraverso una via accessoria. Per determinare la sede ottimale, sono state inoltre utilizzate l’interruzione meccanica riproducibile della conduzione di una via accessoria durante la mani-polazione con catetere e la stimo-lazione sottosoglia. In ogni caso, si devono evitare i traumi accidentali da catetere, poiché possono “far scomparire” il reale obiettivo per periodi prolungati. L’ecocardiogra-fi a intracardiaca può essere utile, a volte, nel delineare un’anatomia atipica, guidare una puntura tran-settale per un accesso sinistro e nel determinare l’adeguatezza del contatto del catetere nella sede di ablazione.

Le vie accessorie sinistre sovente attraversano obliquamente l’anulus mitralico. Di conseguenza, il più precoce sito di attivazione atriale retrograda e quello di più precoce attivazione ventricolare antero-grada non giacciono sullo stesso piano del solco AV. L’identifi cazione del sito dell’attivazione atriale più precoce si fa generalmente in corso di una TRAV ortodromica oppure nel corso della stimolazione ven-tricolare relativamente veloce, così che la conduzione retrograda, che passa attraverso il nodo AV, non maschera la sede dell’attivazione atriale precoce.

I siti di un’ablazione effi cace devono mostrare caratteristiche fl uoroscopiche ed elettriche sta-bili. Durante il ritmo sinusale, l’at-tivazione ventricolare locale nel sito di ablazione effi cace precede l’inizio dell’onda delta dell’ECG di 10-35 millisecondi; durante la TRAV ortodromica, l’intervallo tra l’inizio dell’attivazione ventricolare in ogni derivazione e l’attivazione atriale lo-cale è di solito di 70-90 millisecondi

(Fig. 30-5). Quando sono impiegati cateteri con punte a controllo della temperatura o termistori, un rialzo stabile della temperatura della punta del catetere è un utile indicatore della stabilità e dell’adeguato contatto del catetere al tessuto.60 In queste condizioni, la temperatura supera ge-neralmente i 50°C. Gli approcci retrogrado transaortico e transettale sono stati utilizzati con uguale successo per l’ablazione di vie accessorie situate lungo l’anulus mitralico. Uno SEF di routine eseguito diverse settimane dopo la procedura non è generalmente indicato, ma va preso in conside-razione nei pazienti che presentano recidive di onde delta o sintomi di tachicardia. La crioablazione transcatetere può essere utile in pazienti con le vie accessorie settali (localizzate vicino al sistema di conduzione AV). Con questo sistema, la punta del catetere e il tessuto vicino possono es-

A

B

1

2

1

2

V1

V6

Hisdist

SCdist

ADA

Tempo

AVD

300 msec

500 msec 260 msec

AH 145 msec

HHHV

VV AAA

s s s

V1

V6

Hisdist

SCdist

s s s

ADA

Tempo

AVD

500 msec 250 msec

AH 210 msec

H H HHH

A A A A AVA V

V V V

FIGURA 30–6 Rientro nel nodo atrioventricolare (AV). A, Due complessi atriali stimolati dal seno coronarico (SC) sono seguiti da uno stimolo atriale prematuro con intervallo d’accoppiamento 260 millisecondi, determinando un intervallo AH di 145 millisecondi. B, La stessa stimolazione atriale è seguita da un extrastimolo atriale di 10 millisecondi più precoce di prima (250 millisecondi). Ne risulta un marcato aumento dell’intervallo AH fi no a 210 millisecondi, dopo il quale segue una tachicardia di rientro nel nodo AV, poiché l’extrastimolo incontra un blocco nella via “rapida” del nodo AV, conduce sulla via “lenta” e quindi torna indietro lungo la via veloce in modo ripetitivo. Le frecce rosse indicano elettrogrammi atriali coincidenti con i complessi QRS, caratteristici del più comune tipo di rientro del nodo AV. Sigle come nelle fi gure precedenti.

coronarico prossimale, in una vena cardiaca media o nel diverticolo del seno coronarico o in sede subendocardica, lungo il versante ventricolare dell’anulus mitralico. Le vie accessorie di tutte le sedi e in tutti i gruppi di età possono essere ablate con successo. Vie anomale multiple si riscon-trano nel 5% circa dei pazienti. Occasionalmente, le vie a localizzazione epicardica sono più facili da raggiungere dall’interno del seno corona-rico. Raramente, vie accessorie possono connettere un’auricola atriale con l’adiacente epicardio ventricolare, 2 cm o più dal solco AV (Cap. 32).

SITO DELL’ABLAZIONE. Il sito ottimale per l’ablazione può essere localizzato per mezzo di registrazioni dirette della via anomala (Fig. 30-5), sebbene defl essioni che mimano i potenziali delle vie accessorie possano essere registrate in altre sedi. Il sito d’inserzione ventricolare può essere

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743Terapia delle aritm

ie cardiache

1

3

AA

V

H

A

VHVH

V1

V6LC 430 msec

AH 375 msec

TSV “lenta-veloce” TSV “veloce-lenta” TSV “lenta-lenta”

HA 55 msec

LC 480 msec

AH 88 msec

HA 392 msec

LC 540 msec

AH 285 msec

HA 255 msecHisdist

Hisprox

SCprox

CSmid

ADA

Tempo

AVD300 msec

FIGURA 30–7 Tre varianti di tachicardia sopraventricolare (TSV) da rientro del nodo atrioventricolare (AV) nello stesso paziente. Registrazioni come in altre fi gure. La metà di sinistra della fi gura mostra il tipo più comune di TSV del nodo AV (via anterograda lenta, retrograda rapida); l’attivazione atriale coincide con l’at-tivazione ventricolare. Il riquadro centrale mostra un rientro del nodo AV “atipico”, con conduzione attraverso una via anterograda rapida e conduzione retrograda lungo una via lenta. Una varietà rara è mostrata nel riquadro di destra, caratterizzata da conduzione anterograda lungo una via lenta e retrograda lungo una seconda via lenta. Notare la somiglianza delle sequenze di attivazione atriale nelle ultime due (seno coronarico prima dell’atrio destro), differenti da quella di rientro del nodo AV lento-rapido (attivazione del seno coronarico e atrio destro quasi simultanea). Notare anche i differenti rapporti P-QRS, da attivazione simultanea (sinistra, breve intervallo RP) con onda P davanti a QRS (in mezzo, lungo intervallo RP) e con onda P a metà strada nel ciclo cardiaco (destra). LC = lunghezza del ciclo.

1

3

AVH

AVH

A A A A

VH VH VH VH

V1

V6

Hisdist

Hisprox

CSprox

Abl1–2

Abl3–4

RFWatts

ADA

Tempo

AVD

500 msec

FIGURA 30–8 Modifi cazione della via lenta del nodo atrioventricolare (AV) per la terapia della tachicardia sopraven-tricolare da rientro del nodo AV. Registrazioni come nelle precedenti fi gure. La registrazione del catetere ablatore (freccia in Abl1-2) mostra una defl essione frazionata tra componenti di elettrogrammi atriale e ventricolare; ciò può rappresentare la defl essione della via lenta del nodo AV (ma non la defl essione del fascio di His, che è invece registrata da un cate-tere separato distante 15 mm). Poco dopo l’inizio dell’erogazione della radiofrequenza (freccia in RFWatts), parte un ritmo giunzionale accelerato che gradualmente accelera ulteriormente. La conduzione retrograda è presente durante il ritmo giunzionale. Abl3-4 = registrazione dall’elettrodo prossimale del catetere ablatore.

sere reversibilmente raffreddati per testare un sito potenziale. Se la con-duzione attraverso una via accesso-ria non riesce mentre è conservata la normale conduzione AV, si esegue un maggior raffreddamento nel sito per completare l’ablazione. Se, inve-ce, la conduzione AV normale è dan-neggiata, permettere al catetere di riscaldarsi consente di evitare danni permanenti.

Pazienti con vie accessorie atriofascicolari presentano con-nessioni costituite da una porzione prossimale, responsabile del ritardo di conduzione e della conduzione decrementale, e un lungo segmen-to distale situato lungo la superfi cie endocardica della parete libera del ventricolo destro con proprietà elet-trofi siologiche simili a quelle della branca destra. La porzione distale della via accessoria atriofascicolare destra può inserirsi nella regione apicale della parete libera del ven-tricolo destro a stretto contatto con la parte distale della branca destra, con la quale può essere in realtà fu-sa. Le vie accessorie atriofascicolari destre possono rappresentare effet-tivamente una duplicazione del si-stema di conduzione AV e possono essere localizzate per l’ablazione tra-mite la registrazione dei potenziali della componente distale rapida di conduzione, che attraversa l’anulus tricuspidale (analogo al fascio di His) e che si estende fi no alla re-gione apicale della parete libera del ventricolo destro. I tentativi di

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Capitolo 30

ablazione devono essere fatti prossimalmente per evitare di ablare inav-vertitamente la branca destra distale, evenienza che può essere in realtà proaritmica e creare una tachicardia incessante per l’allungamento del circuito di rientro.

Indicazioni. L’ablazione delle vie accessorie è indicata in pazienti con TRAV sintomatiche resistenti ai farmaci antiarit-mici o in caso di ineffi cacia o mancata compliance del paziente alla terapia farmacologica a lungo termine. È altresì indicata nei pazienti con FA (o altre tachiaritmie atriali) e una rapida risposta ventricolare attraverso la via accessoria, quando la tachicardia è farmaco-resistente o nel caso di scarsa tolleranza o mancata compliance del paziente alla terapia farmacologica a lungo termine. Altri candidati potenziali sono i pazienti con TRAV o FA con rapida risposta ventricolare identifi cati durante uno SEF fatto per un’altra aritmia; pazienti asintomatici con pre-eccitazione ventricolare il cui stile di vita, la professione, importanti attività lavorative, l’assicurabilità, lo stato mentale o la sicurezza pubblica sono messi in pericolo da tachicardie spontanee o dalla presenza di anomalie elettrocardiografi che; pazienti con fi brillazione atriale e con risposta ventricolare controllata dalla via anomala; pazienti con anamnesi familiare di morte cardiaca improvvisa. Non tutti i pazienti con vie accessorie hanno bisogno del trattamento; tuttavia, l’ablazione mostra una percentuale talmente alta di successo e una bassa incidenza di complicanze che in molti centri i pazienti che necessitano di qualsiasi tipo di terapia sono stati reclutati per l’ablazione transcatetere.

Risultati. Dai risultati di una prima indagine condotta dalla North American Society of Pacing and Electrophysiology (NASPE),61 si è ottenuta un’ablazione effi cace delle vie acces-sorie della parete libera sinistra in 2312 su 2527 casi (91%), delle vie accessorie settali in 1115 su 1279 (87%) e delle vie accessorie della parete libera destra in 585 su 715 (82%). Com-plicanze signifi cative si sono verifi cate in 94 su 4521 pazienti (2,1%) e ci sono stati 13 decessi legati alla procedura su 4521 casi (0,2%). Un aggiornamento di questa indagine ha registrato soltanto 651 casi di ablazione di una via accessoria, nei quali l’ablazione è stata ottenuta nel 94% con un tasso di compli-canze del 2% e nessun decesso.62 In Europa, il tasso di com-plicanze è stato del 4,4%, con tre decessi su 2222 casi.49 Un ampio studio su pazienti in cui è stato utilizzato un sistema di ablazione a temperatura controllata ha presentato un analogo tasso di successo (successi totali, 398 su 465 [93%] con l’8% di recidiva).60

MODIFICAZIONI CON CATETERE A RADIOFREQUENZA DEL NODO AV PER LE TACHICARDIE DA RIENTRO NODALE. Il rientro del nodo AV è una causa comune di episodi di TSV. Nonostante le controversie ancora esistenti riguardo la natura esatta del circuito della tachicardia, molte prove indicano che sono coinvolte due vie nella regione del nodo AV, una con conduzione relativamente veloce ma con lunga refrattarietà, l’altra con refrattarietà più breve, ma conduzione più lenta.64 I PAC possono incontrare la refrattarietà nella via rapida, con-durre lungo la via lenta e rientrare nella via rapida per via retrograda, dando inizio a una TSV reciprocante nel nodo AV (Fig. 30-6). Sebbene questa sia la presentazione più comune del rientro nel nodo AV, alcuni pazienti presentano quella che sembra essere una propagazione in questo circuito nella dire-zione opposta (rapida anterograda, lenta retrograda) e altri una varietà “lenta-lenta”. Due o più di queste varianti possono coe-sistere nello stesso paziente (Fig. 30-7).

ABLAZIONE DELLA VIA RAPIDA. L’ablazione può essere eseguita per annullare la conduzione nella via rapida o in quella lenta. Nell’ablazione della via rapida, la punta dell’elettrodo è posizionata lungo l’asse nodo AV-fascio di His nella parte anterosuperiore dell’anulus tricuspidale. Il catetere viene ritirato gradualmente fi nché l’ampiezza dell’atriogramma divenga uguale o superiore a quella del ventricologramma e la registrazione del fascio hissiano sia assente o estremamente piccola (0,05 mV). Durante l’erogazione dell’energia, l’ECG è monitorato per il prolungamento del PR

e per il verifi carsi del blocco AV o per entrambi. Se durante l’erogazione di energia a RF si osserva la comparsa di un ritmo giunzionale accelerato, è necessario stimolare l’atrio a frequenze più elevate per assicurare l’inte-grità della conduzione AV. L’impulso RF iniziale è erogato a 15-20 watt per 10-15 secondi e viene poi gradualmente incrementato. Gli obiettivi sono il prolungamento del PR, l’eliminazione di una via di conduzione retrograda rapida e la mancata inducibilità di TRNAV. Una tecnica alternativa consiste nell’applicare la corrente RF nel punto di attivazione atriale retrograda più precoce durante la tachicardia. La corrente RF deve essere sospesa se l’intervallo PR si prolunga per più del 50% oppure se si verifi ca blocco AV. Allo stato attuale, l’ablazione della via rapida è realizzata solo raramente perché si associa a un prolungato intervallo PR, una più alta percentuale di recidive (10-15%) e a un rischio di blocco AV completo lievemente maggiore (2-5%) rispetto all’ablazione di una via lenta. Una rara circostanza in cui si può preferire l’ablazione della via rapida è quella di pazienti che hanno un intervallo PR fortemente prolungato a riposo e assenza di segni di conduzione anterograda di una via rapida. In questi casi, l’ablazione della via anterograda lenta può produrre un blocco AV completo, mentre l’ablazione della via rapida retrograda può eliminare la TSV senza alterare la conduzione AV.

ABLAZIONE DELLA VIA LENTA. La via lenta può essere individuata mediante mappaggio della regione posteromediale dell’anello tricuspidale vicino all’ostio del seno coronarico. Si ottengono registrazioni di elettro-grammi con un rapporto atriogramma/ventricologramma inferiore a 0,5 e con o un elettrogramma atriale frammentato o una registrazione di un possibile potenziale della via lenta;65 Quando si usa un approccio anato-mico, le sedi sono selezionate fl uoroscopicamente. Una singola applica-zione RF è suffi ciente nella maggior parte dei casi, ma in altri possono essere necessarie lesioni RF seriali, a cominciare dal sito più posteriore (vicino all’ostio del seno coronarico) e procedendo verso i siti più anteriori (più vicino al sito di registrazione del fascio di His). Un ritmo giunzionale accelerato (Fig. 30-8) si manifesta generalmente quando l’energia della RF è applicata a una sede che indurrà l’eliminazione effi cace della TSV. Le percentuali di successo con l’approccio anatomico o con mappaggio elettrografi co sono equivalenti e il più delle volte sono utilizzati entrambi, comportando tassi di successo intorno al 100%, con meno dell’1% di pos-sibilità di blocco cardiaco completo. Per la terapia della TRNAV è stata usata con risultati eccellenti la crioablazione transcatetere.66 In teoria, la possibilità di “criomappaggio” (testare potenziali siti per il blocco delle vie lente con raffreddamento moderato e reversibile) dovrebbe eliminare quasi del tutto il rischio di blocco AV con l’ablazione.

L’ablazione della via lenta provoca un incremento nella durata del ciclo di blocco AV anterogrado e dell’ERP del nodo AV senza che si verifi -chi una modifi cazione dell’intervallo AH o delle proprietà di conduzione retrograda del nodo AV. I pazienti in cui la conduzione della via lenta è completamente eliminata non presentano quasi mai recidive di TSV; circa il 40% dei pazienti può avere evidenze di una residua funzionalità della via lenta dopo l’eliminazione effi cace di una TRNAV sostenuta (in genere manifestata come doppia fi siologia del nodo AV ed eco singolo del nodo AV durante l’extrastimolazione atriale). L’obiettivo più sicuro nell’abla-zione della via lenta è l’eliminazione della TRNAV sostenuta, con o senza infusione di isoproterenolo.

Le recidive di TRNAV si verifi cano in circa il 5% dei pazienti dopo l’abla-zione della via lenta. In alcuni pazienti, la ERP della via rapida diminuisce dopo l’ablazione della via lenta, probabilmente a causa dell’interazione elettrotonica tra le due vie. Forme atipiche di rientro possono manifestarsi dopo l’ablazione, così come una denervazione parasimpatica apparente, che determina una tachicardia sinusale inappropriata.

Allo stato attuale, l’approccio della via lenta è il metodo preferito per l’ablazione della TRNAV tipica. L’ablazione della via lenta è un metodo sicuro ed effi cace anche per trattare le TRNAV atipiche. Nei pazienti con TRNAV sottoposti ad ablazione della via lenta, la presenza di ectopie giun-zionali durante l’applicazione dell’energia a RF è un indicatore sensibile ma non specifi co di ablazione effi cace, che si verifi ca nelle lesioni più lunghe nei siti bersaglio effi caci più che nei siti ineffi caci. Una conduzione ventricoloatriale è probabile durante l’ectopia giunzionale e una scarsa conduzione ventricoloatriale o un vero blocco è predittivo di un blocco AV anterogrado in pazienti sottoposti ad ablazione RF della via lenta. Il ritmo giunzionale ectopico è dovuto a riscaldamento del nodo AV e non si verifi ca con la crioablazione.

Indicazioni. L’ablazione con catetere RF per una TRNAV può essere presa in considerazione in pazienti con TRNAV sostenute recidivanti e sintomatiche, resistenti ai farmaci o in caso di intolleranza o mancata compliance del paziente a una terapia farmacologica a lungo termine. Tale procedura può essere inoltre presa in considerazione nei pazienti in cui la TRNAV sostenuta viene identifi cata durante lo SEF o durante l’ablazione transcatetere di un’altra aritmia oppure quando si rileva una doppia via accessoria fi siologica del nodo AV ed

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ie cardiache echi atriali in assenza di TRNAV durante lo SEF in pazienti clinicamente sospetti per TRNAV.

Risultati. I risultati dell’indagine del NASPE indicano che 3052 pazienti sono stati sottoposti ad ablazione della via lenta con un tasso di successo riportato del 96%, mentre 255 sono stati sottoposti ad ablazione della via rapida, che è stata effi cace in 229 pazienti (90%). Complicanze signifi cative si sono veri-fi cate nello 0,96%, ma non sono state segnalate morti indotte dal trattamento.61 In Europa, il tasso di complicanze è stato dell’8,0%, dovuto principalmente a blocco AV dopo ablazione della via rapida e non si sono verifi cati decessi su 815 casi.61 La maggior parte dei centri attualmente pratica l’ablazione della via lenta, con un tasso di successo della procedura del 98%, una frequenza di recidiva inferiore al 2% e un’incidenza di blocco cardiaco che richiede elettrostimolazione perma-nente inferiore all’1%.

TACHICARDIA GIUNZIONALE ECTOPICA. La tachicardia giunzionale ectopica è una rara forma di TSV in cui l’ECG ricorda quello della TRNAV ma se ne differenzia per il fatto che (1) il meccanismo è automatico, non di rientro, e (2) l’atrio è chiaramente non coinvolto nella tachicardia. Questo disturbo è di più comune riscontro nei soggetti giovani e sani, nelle donne più spesso che negli uomini ed è abitualmente forte-mente catecolamina-dipendente. L’ablazione transcatetere deve essere effettuata molto vicino al fascio di His e il rischio di blocco cardiaco che richiede l’impianto del pacemaker supera il 5%.67

ABLAZIONE CON CATETERE A RADIOFREQUENZA DI ARITMIE CORRELATE CON IL NODO SENOATRIALE. Il rientro nel o intorno al nodo del seno è una aritmia rara, carat-terizzata da episodi di tachicardia con un’onda P identica a quella sinusale, solitamente con un intervallo PR più lungo che nel seno (nelle tachicardie sinusali fi siologiche, l’intervallo PR rimane normale o si accorcia per effetto delle catecolamine sul nodo AV e sul nodo del seno). La RF è applicata nella regione del nodo del seno nelle sedi di attivazione precoce

1

A A A

A A A

V

H

2

3

1

2

3

A A A

(F)

A A

V V V V

H H H H

BA

V1–40 msec –70 msec

Hisdist

VPISndist

Hisprox

SCprox

SCmid

ADA

Tempo

V1

Hisdist

ADPdist

Hisprox

SCprox

SCmid

ADA

Tempo300 msec

Tachicardia atriale automatica Rientro intra-atriale

FIGURA 30–9 Tachicardie atriali. A, Tachicardia atriale automatica che nasce nella vena polmonare inferiore sinistra (VPISn). Un battito sinusale è mostrato a sinistra, seguito da un battito di fusione (F) tra il nodo del seno e l’attivazione della tachicardia. Gli ultimi tre battiti nel riquadro sono di tachicardia atriale. Il catetere ablatore è stato posto entro la VPISn ed è stato registrato un potenziale acuto (freccia) 40 millisecondi prima dell’esordio dell’onda P (linea tratteggiata). L’ablazione in questa sede ha interrotto la tachicardia. B, Tachicardia da rientro intra-atriale in un paziente che è stato sottoposto a riparazione di un difetto del setto interatriale anni prima. Il catetere ablatore è nella parte posteriore dell’atrio destro (ADP), dove si registra un segnale frammentato. Una parte di questo elettrogramma (frecce) precede l’insorgenza dell’onda P durante la tachicardia (linea tratteggiata) di 70 millisecondi. L’ablazione in questa sede ha interrotto la tachicardia. Registrazioni come nelle precedenti fi gure.

(precedente all’inizio dell’onda P) fi nché la tachicardia non si interrompe.

La tachicardia sinusale inappropriata è una sindrome carat-terizzata da alte frequenze sinusali da sforzo e a riposo. I pazienti lamentano palpitazioni durante tutto il giorno che correlano con frequenze sinusali inappropriatamente alte. Pos-sono non rispondere bene alla terapia con beta-bloccanti sia per mancanza degli effetti desiderati sia per comparsa di effetti collaterali. Quando l’area del nodo del seno deve essere ablata, essa può essere identifi cata sia anatomicamente sia con meto-dica elettrofi siologica e le lesioni di ablazione sono di solito poste tra la vena cava superiore e la cresta terminale nei siti di attivazione atriale precoce. L’isoproterenolo può essere utile nel “forzare” il sito di formazione dell’impulso alle cellule con frequenza di scarica più rapida. Bisogna fare attenzione nel-l’applicare l’energia RF prima nelle sedi più cefaliche; l’abla-zione iniziale effettuata più in là sulla cresta terminale non altera la frequenza atriale, ma può danneggiare le regioni pace-maker supplementari che possono essere necessarie se il nodo del seno viene eventualmente ablato.

Indicazioni. L’ablazione transcatetere per una tachicardia da rientro del nodo senoatriale può essere eseguita in pazienti con episodi sintomatici e ricorrenti di TSV sostenuta resistenti ai farmaci o in caso di intolleranza o mancata compliance del paziente a una terapia farmacologica a lungo termine. I pazienti con tachicardia sinusale inappropriata dovrebbero essere con-siderati per l’ablazione soltanto dopo chiaro insuccesso della terapia medica dato che i risultati dell’ablazione sono spesso non completamente soddisfacenti. Quando si esegue l’abla-zione nella regione del nodo del seno, il paziente deve essere avvertito del rischio di dover installare un pacemaker dopo l’intervento. È anche possibile un danno del nervo frenico.

Risultati. Le tachicardie da rientro del nodo del seno pos-sono essere effi cacemente ablate in più del 90% dei candidati. I risultati non sono altrettanto buoni per la tachicardia sinusale inappropriata; nonostante possa essere ottenuto un buon risul-

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Capitolo 30

tato tecnico al momento della procedura, spesso i sintomi per-sistono per la recidiva di frequenze sinusali rapide (alla frequenza preablazione o quasi) oppure per motivi non arit-mici. In alcuni pazienti sono necessarie multiple sessioni di ablazione e il 20% circa alla fi ne è sottoposto a impianto di pacemaker (tra cui non tutti hanno sollievo dalle palpitazioni malgrado una normale frequenza cardiaca).

ABLAZIONE CON CATETERE A RADIOFREQUENZA DELLA TACHICARDIA ATRIALE. Le TA sono un gruppo ete-rogeneo di disturbi le cui cause includono una scarica rapida di un focus (tachicardia focale) e il rientro. La prima può veri-fi carsi in qualsiasi soggetto, indipendentemente dalla presenza di anomalie strutturali degli atri, mentre le TA da rientro quasi sempre si verifi cano nel contesto di atri strutturalmente dan-neggiati. I sintomi variano da nessuno (nelle TA relativamente rare o lente in pazienti senza malattia cardiaca) alla sincope (TA rapida con funzione cardiaca compromessa) o allo scom-penso cardiaco (TA incessante per un periodo di settimane o mesi). Tutte le forme di TA sono trattabili con ablazione trans-catetere.

TACHICARDIA ATRIALE FOCALE. Nella TA focale (da foci automatici o triggerati o da microrientro), il mappaggio dell’attivazione è utilizzata per determinare la sede della TA registrando il più precoce inizio dell’atti-vazione locale.68 Queste tachicardie si comportano in modo capriccioso e sono in pratica non inducibili allo SEF nonostante il paziente lamenti episodi giornalieri multipli nella settimana precedente lo SEF. Il 10-15% dei

pazienti può avere focolai multipli atriali. Le sedi tendono a raggrupparsi vicino alle vene polmonari nell’atrio sinistro, in corrispondenza dell’im-bocco dell’auricola atriale o lungo la cresta terminale a destra (Fig. 30-9A; vedi Fig. 29-14). I tempi di attivazione di questi siti sono caratteristica-mente di soli 15-40 millisecondi prima dell’inizio dell’onda P all’ECG. Si deve fare attenzione a evitare un involontario danno al nervo frenico; la sua localizzazione può essere determinata stimolando a elevata corrente nel potenziale sito dell’ablazione, valutando la presenza di contrazione diaframmatica. L’ablazione non deve essere eseguita in un sito in cui si osserva questo fenomeno, se possibile.

TACHICARDIA ATRIALE DA RIENTRO. Come notato, la tachicardia atriale da rientro si riscontra più comunemente nel contesto di una car-diopatia organica, in particolare dopo una precedente chirurgia atriale. La regione a lenta conduzione è correlata tipicamente alla fi ne di una cicatrice atriotomica; questa non ha, tuttavia, una localizzazione anatomica costante ma varia da paziente a paziente in rapporto all’intervento eseguito. Quindi, sono essenziali un’attenta analisi della descrizione dell’intervento e la mappatura elettrofi siologica. Poiché il rientro si verifi ca all’interno di un circuito completo, l’attivazione può essere registrata in tutto l’intero ciclo cardiaco. La strategia d’ablazione consiste nell’identifi care le regioni con attivazione atriale mesodiastolica durante la tachicardia che possono essere dimostrate essere parte integrale della tachicardia con tecniche di stimolazione (Figg. 29-15 e 30-9B). Tali siti sono attraenti bersagli di ablazione perché questi sono composti da relativamente poche cellule (quindi silenzio elettrico all’ECG di superfi cie in diastole) e sono quindi più facilmente ablati con la classica energia RF rispetto ad altre aree. L’ablazione focale di questi siti può quindi essere eseguita, ma in molti casi la tachicar-dia può ancora essere indotta (spesso a una frequenza più bassa) oppure può recidivare dopo la procedura. Dato che queste sedi sono tipicamente localizzate in una zona relativamente ristretta tra l’estremità di una cicatrice

1

2

3

AFL AFL AFLAFL AFL AFL

AFL AFL AFL AFL AFL AFL

VHVHV1

A

Hisprox

AT12:00

AT9:00

AT5:00

SCprox

SCmid

SCdist

Tempo200 msec 200 msec

Flutter “in senso orario” Flutter “in senso antiorario”

FIGURA 30–10 A, Sono mostrate due forme di fl utter atriale nello stesso paziente. Un catetere “Halo” con 10 paia di elettrodi viene posto sul versante atriale dell’anulus tricuspidale (AT), con siti di registrazione visualizzati dall’apice dell’anulus (“12:00”) al versante inferomediale (“5:00”), come mostrato nelle proiezioni fl uoroscopiche in B. A sinistra, il fronte d’onda d’attivazione atriale procede in “senso orario” (frecce) lungo l’anulus, mentre nel riquadro di destra la direzione di propagazione è opposta.

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747Terapia delle aritm

ie cardiache caso di intolleranza o man-cata compliance del paziente a una terapia farmacologica a lungo termine.

Risultati. Le percentuali di successo dell’ablazione di TA focali sono dell’80-95% e dipendono molto dalla capa-cità di indurre l’episodio durante uno SEF; quando l’episodio può essere instau-rato con pacing, isoprotere-nolo o altri mezzi, la TA può in genere essere ablata. Le TA da rientro, sebbene indotte più facilmente durante uno SEF, sono spesso più diffi cili da eliminare completamente; i tassi iniziali di successo sono elevati (90%) ma la recidiva compare in più del 20% dei pazienti e richiede una terapia farmacologica o un’altra procedura di abla-zione. Le complicanze, pre-senti nell’1-2% dei casi, sono la lesione del nervo frenico, il tamponamento cardiaco e il blocco cardiaco (con rare TA perinodali).

ABLAZIONE CON CATE-TERE A RADIOFREQUENZA DEL FLUTTER ATRIALE. Il fl utter atriale è defi nito elet-trocardiografi camente (più classicamente, onde a dente di sega negative nelle deriva-zioni II, III e aVF a una fre-quenza di circa 300 batt/min) o elettrofi siologicamente (una TA rapida, organizzata macro-rientrante, il cui circuito è anatomicamente determi-nato). Comprendere le vie di rientro per tutte le forme di fl utter atriale è essenziale per sviluppare un metodo di ablazione. Il rientro nell’atrio destro, con l’atrio sinistro attivato passivamente, costi-tuisce il meccanismo della variante ECG classica di fl ut-ter atriale, con un’attivazione caudocraniale lungo il setto dell’atrio destro e un’attiva-zione craniocaudale della parete libera dell’atrio destro

(Fig. 30-10A). In alcuni casi, esiste una zona di conduzione lenta nella parte bassa dell’atrio destro, delimitata tipicamente dall’anello tricuspidale, dalla vena cava inferiore e dal seno coronarico. In altri casi, la velocità di conduzione è più uni-forme attraverso il grande circuito. Il posizionamento di una lesione ablativa tra due barriere anatomiche che attraversano una porzione del circuito necessaria per il mantenimento del rientro, può essere curativo. Tipicamente, questa è a cavallo dell’istmo atriale tra l’orifi zio inferiore della vena cava e l’anello della tricuspide (l’istmo cavotricuspidale), un punto relativamente stretto del circuito. Un’ablazione effi cace può essere realizzata laddove il fronte d’onda di fl utter entra in questa zona nella parte inferolaterale bassa dell’atrio destro,

o di una pregressa incisione chirurgica e un’altra barriera non conducente (come un’altra cicatrice, l’orifi zio cavale o un anello valvolare), un’altra tecnica è di creare una linea di lesioni d’ablazione dalla fi ne della cicatrice alla barriera elettrica più vicina. Il rientro può essere pertanto prevenuto. Questa tecnica è analoga a quella usata nel trattamento del fl utter atriale (vedi oltre). Poiché questi pazienti spesso hanno gravi patologie atriali con isole di tessuto cicatriziale che serve da barriera per ulteriori TA, possono rendersi necessarie tecniche specializzate di mappaggio per localizzare queste aree e connetterle preventivamente con le lesioni d’ablazione per evitare futuri episodi di TA.

Indicazioni. L’ablazione transcatetere per una TA deve essere presa in considerazione in pazienti con episodi ricor-renti e sintomatici di TA sostenuta, resistenti ai farmaci o in

1

V

S S S S

VA A VA VA

aVF

V1

AT11:00

AT8:00

AT6:00

SCdist

Tempo300 msec

Durante erogazione radiofrequenze

FIGURA 30–10, continuazione B, Ablazione dell’istmo di tessuto atriale tra l’annulus della tricuspide e la vena cava inferiore per l’eliminazione del fl utter atriale. Sono illustrate le registrazioni dal catetere multipolare posto intorno a gran parte della circonferenza dell’annulus tricuspidalico (guarda le immagini fl uoroscopiche in proiezioni obliqua anteriore sinistra). L’ablazione dell’istmo è eseguita durante stimolazione dal seno coronarico. Nei due battiti a sinistra la conduzi-one atriale procede in due direzioni intorno all’annulus tricuspidalico, come indicato dalle frecce e registrato attraverso il catetere Halo. Nei due battiti a destra l’ablazione ha interrotto la conduzione nel pavimento dell’atrio destro, eliminando una via per la propagazione dell’impulso attraverso l’annulus tricuspidalico. Il catetere Halo ora registra una conduzione che procede in un’unica direzione attraverso l’annulus. Questo riscontro dimostra blocco unidirezionale nell’istmo; il blocco nella direzione opposta può essere dimostrato stimolando da uno degli elettrodi del catetere Halo e osservando una simile assenza di conduzione istmica. (La registrazione del fascio di His nel riquadro a destra si perde a causa del movimento del catetere.)

B

Seno coronarico

Seno coronarico

Ablazione Ablazione

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Capitolo 30

StrandVP

StrandVP

Catetere permappaggiocircolare

Catetere per ablazione

VP superioresinistra

VP inferioresinistra

Lesione da RF

FIGURA 30–11 Rappresentazione dei cateteri per isolamento della vena polmonare (VP). Entrambe le VP sinistre sono illustrate con fasci di muscolo atriale che uniscono la VP all’atrio sinistro in punti defi niti. Viene mostrato un catetere circolare di mappaggio mentre è situato nell’ostio della VP inferiore sinistra e un catetere ablatore con elettrodo a punta larga adiacente agli elet-trodi del catetere circolare che registrano un potenziale di vena dal fascio muscolare vicino. Esiste una lesione da radiofrequenza (RF) (tra i due orifi zi venosi) in corrispondenza del sito di un fascio precedentemente ablato.

A

B

123

123

V1

ADLasso-1

Lasso-2

Lasso-3

Lasso-4

Lasso-5

Lasso-6

Lasso-7

Lasso-8

Lasso-9

Lasso-10SC

Tempo400 msec

*

V1

ADLasso-1

Lasso-2

Lasso-3

Lasso-4

Lasso-5

Lasso-6

Lasso-7

Lasso-8

Lasso-9

Lasso-10

SC

Tempo400 msec

FIGURA 30–12 Potenziali acuti della vena polmonare (Pulmonary Vein Potential, PVP). Derivazioni di elettrocardiogramma di superfi cie e registrazioni intracardiache da atrio destro (AD), seno coronarico (SC) e da un catetere cir-colare a 10 elettrodi (Lasso) situato nell’ostio di una vena polmonare. A, Le regi-strazioni Lasso mostrano elettrogrammi dell’atrio sinistro seguiti da potenziali acuti della vena polmonare da Lasso-4 a Lasso-10 durante un battito sinusale (la freccia indica il PVP più precoce in Lasso-8 quando il fronte d’onda entra nella vena); un asterisco segna un battito ectopico da questa vena che dà inizio a un episodio molto breve di fi brillazione atriale. B, Registrato durante l’ablazione con radiofrequenza in prossimità del sito di registrazione Lasso-8; gli stessi PVP acuti sono osservati nei primi due battiti (freccia sinistra) ma sono assenti negli ultimi due battiti (freccia destra), lasciando solo le registrazioni atriali sinistre. Questa vena è stata quindi elettricamente isolata dall’atrio sinistro.

vicino all’atrio destro inferomediale o tra le due sedi. Il sito di erogazione della RF può essere guidato anatomicamente o elet-trofi siologicamente. Meno comunemente, la direzione con cui si propaga il fronte d’onda nell’atrio destro è invertita (fl utter “in senso orario”, che procede cranialmente fi no alla parete libera dell’atrio destro e caudalmente lungo il setto, con onde di fl utter positive nelle derivazioni inferiori [vedi Fig. 30-10A]). Questa aritmia, chiamata “fl utter atriale atipico,” può essere ablata anche usando le tecniche del fl utter atriale tipico. Queste due aritmie costituiscono il fl utter “istmo cavotricu-spidale-dipendente” e sono distinte dalle altre aritmie a rapida frequenza atriale che possono avere un aspetto simile all’ECG, ma che utilizzano diversi (e spesso multipli) circuiti nelle altre parti dell’atrio destro o sinistro. L’ablazione può essere più diffi cile in questi casi, che spesso si verifi cano nel contesto di una patologia polmonare avanzata oppure di una precedente chirurgia cardiaca. Un tema comune in queste complesse arit-mie da rientro è la presenza di una zona anatomicamente deter-minata di ineccitabilità attorno alla quale può circolare un fronte di onda elettrica. In tali casi, sono necessarie specifi che tecniche di mappaggio e abilità per effettuare un’ablazione con successo.

Nei pazienti con fi brillazione atriale, un farmaco antiarit-mico può rallentare talmente la conduzione intratriale da tra-sformarla in fl utter, pertanto non si osserva più una fi brilla-zione. In alcuni di questi casi, l’ablazione del fl utter atriale, mantenendo il paziente sotto farmaci antiaritmici, previene le recidive di queste aritmie atriali.

L’obiettivo delle procedure di ablazione del fl utter atriale consisteva inizialmente nell’interruzione del fl utter con l’ero-gazione di RF seguita dalla non inducibilità dell’aritmia. Tut-tavia, utilizzando questi criteri, fi no al 30% dei pazienti pre-sentava una recidiva di fl utter per assenza di un blocco com-pleto e permanente nell’istmo cavotricuspidale. Negli ultimi anni, l’obiettivo dell’ablazione è diventato quello di determi-nare una linea di blocco bidirezionale in questa regione mediante stimolazione da opposti lati dell’istmo (Fig. 30-10B) o altre tecniche;69 utilizzando questa tecnica il tasso di recidive è sceso a meno del 5%.

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749Terapia delle aritm

ie cardiache

1

2

3

V1

AD

His

Lasso1–2

Lasso2–3

Lasso3–4

Lasso4–5

Lasso5–6

Lasso6–7

Lasso7–8

Lasso8–9

Lasso9–10

SCprox

SCdist

Tempo200 msec

FIGURA 30–13 Potenziali della vena polmonare (Pulmonary Vein Potential, PVP) frammentati di bassa ampiezza. Le registrazioni durante stimolazione del seno coronarico sono simili a quelle nella Figura 30-12. Sinistra, Registrazioni preablazione da VP; notare le registrazioni frammentate da Lasso-3 a Lasso-9 (all’interno del rettangolo); In mezzo, Registrazioni parziali attraverso l’ablazione; i PVP non sono più visibili da Lasso-5 a Lasso-9. Destra, l’ablazione continua elimina tutti i PVP (freccia). Questa vena è ora elettricamente isolata dall’atrio sinistro.

destro. La percentuale di successo raggiunge quasi il 100%, con ricorrenza della conduzione AV in meno del 5%. Un suc-cessivo miglioramento della funzione ventricolare sinistra può derivare sia dal controllo della frequenza ventricolare durante la fi brillazione atriale, sia dalla sospensione dei farmaci per il controllo della frequenza con azione inotropa negativa. Dopo l’ablazione è necessario un pacing AV o ventricolare permanente.

In alcuni casi, la giunzione AV può essere modifi cata per rallentare la frequenza ventricolare senza produrre un blocco AV completo mediante ablazione effettuata nella regione della via lenta, come descritto per le aritmie da rientro del nodo AV. Con questa tecnica i risultati iniziali sono suffi cientemente buoni, mentre i risultati a lungo termine sono meno consi-stenti.70 Alcuni pazienti presentano un graduale incremento della frequenza ventricolare quasi ai livelli preablazione, men-tre in altri può verifi carsi un tardivo blocco cardiaco completo. Ciononostante, questa procedura può essere tentata prima di produrre un blocco AV completo.

Indicazioni. L’ablazione e la modulazione della conduzione AV possono essere prese in considerazione in (1) pazienti con tachiaritmie atriali sintomatiche che presentino frequenze ven-tricolari non adeguatamente controllate, a meno che non sia possibile un’ablazione primaria della tachiaritmia atriale; (2) pazienti simili quando i farmaci non sono tollerati o il paziente non vuole assumerli, anche se la frequenza ventricolare può essere controllata; (3) pazienti con tachicardia giunzionale sin-tomatica, non parossistica, farmaco-resistente o nei quali la terapia farmacologica è non tollerata o non voluta; (4) pazienti rianimati da una morte cardiaca improvvisa correlata a fl utter o fi brillazione atriale con rapida risposta ventricolare in assenza di una via accessoria; e (5) pazienti con un pacemaker bicame-rale e tachicardia pacemaker-mediata che non può essere trat-tata effi cacemente con farmaci o riprogrammando il pacemaker. Le ultime tre condizioni sono eventi rari.

Indicazioni. I candidati all’ablazione transcatetere con RF sono i pazienti con episodi ricorrenti di fl utter atriale farmaco-resistenti, quelli intolleranti ai farmaci o che non desiderano seguire una terapia farmacologica a lungo termine.

Risultati. A prescindere dalla sede del circuito, il fl utter atriale può essere ablato con successo in più del 90% dei casi, sebbene i pazienti con fl utter complessi dell’atrio destro o sini-stro richiedano procedure più ampie e complesse. Il tasso di recidive è inferiore al 5% tranne che nei pazienti con estesa patologia dell’atrio, nei quali possono svilupparsi nel tempo nuovi circuiti, come nuove aree di ritardo di conduzione e forme di blocco. Le complicanze sono rare e comprendono blocco cardiaco involontario e paralisi del nervo frenico.

ABLAZIONE E MODIFICAZIONE DELLA CONDUZIONE AV PER IL TRATTAMENTO DELLE TACHIARITMIE ATRIALI. In alcuni pazienti con tachiaritmie atriali ed elevate frequenze ventricolari malgrado una terapia farmacologica ottimale, può essere utilizzata l’ablazione con RF per elimi-nare o modifi care la conduzione AV e controllare la frequenza ventricolare. Per ottenere l’ablazione transcatetere con RF del nodo AV, un catetere viene posizionato attraverso la valvola tricuspide in modo da registrare il potenziale hissiano più ampio insieme al segnale atriale più ampio. L’energia a RF è applicata fi nché non compare il blocco AV completo e prose-guita per ulteriori 30-60 secondi. Se la conduzione AV non si modifi ca dopo 15 secondi di ablazione con RF, il catetere è riposizionato e il tentativo si ripete. In qualche paziente, ten-tativi di ablazione con RF utilizzando questo approccio destro non riescono a determinare un blocco cardiaco. Questi pazienti possono sottoporsi a un approccio attraverso il ventricolo sini-stro, con un catetere posizionato lungo la parte posteriore del setto interventricolare subito al di sotto della valvola aortica, per registrare un ampio potenziale hissiano. L’energia è appli-cata attraverso l’elettrodo del catetere e il patch cutaneo oppure attraverso cateteri situati nel ventricolo sinistro e

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Capitolo 30

atriale. Alla prima applicazione, sono stati mappati i PAC e il sito da cui erano ori-ginati è stato ablato. Questa tecnica era limitata per il fatto che pochi pazienti hanno una adeguata frequenza di PAC o brevi salve di fi brillazione che possano servire sia come bersaglio ottimale per l’ablazione sia da utile indicatore di suc-cesso (cioè, eliminazione dei PAC). Inoltre, la sorgente del PAC o della fi brillazione era in molti casi profonda fi no a 3 cm dentro una vena polmonare e l’ablazione in questi siti può risultare in una stenosi della vena polmonare. Con l’aumentare dell’espe-rienza, è diventato chiaro che la maggior parte dei casi di FA parossistica originava all’interno delle vene polmonari; i mani-cotti muscolari si estendono dall’atrio sinistro per alcuni centimetri all’interno della vena polmonare. Quindi gli sforzi si sono spostati verso l’isolamento elettrico delle vene polmonari per impedire la dif-fusione dell’impulso dal sito d’origine al resto dell’atrio. I vantaggi di questa stra-tegia sull’ablazione focale sono che (1) vi è una maggiore probabilità di eliminare la fi brillazione perché molte vene possono essere aritmogene, (2) il paziente non deve avere PAC per eseguire l’ablazione e (3) il rischio di stenosi della vena pol-monare può essere inferiore. Sebbene fi lamenti muscolari atriali avvolgano le vene polmonari, solo in due o tre punti defi niti possono esistere reali connessioni elettriche. La strategia di isolamento della vena polmonare può essere eseguita sia con il mappaggio delle vene polmonari per localizzare e ablare i punti precisi di connessione elettrica tra vena e atrio sia con un approccio puramente anatomico. Il mappaggio utilizza sia un catetere a

elettrodo circolare (Fig. 30-11) sia un catetere multipolare a “canestro” situato dentro l’ostio della vena.72 I potenziali della vena polmonare, che potrebbero essere l’origine della fi brillazione, appaiono sia come poten-ziali acuti (Fig. 30-12) sia come segnali complessi, frammentati che seguono le registrazioni del vicino atrio sinistro (Fig. 30-13).

L’ablazione è eseguita sul versante atriale della giunzione venoatriale fi nché i potenziali della vena polmonare non sono eliminati (“blocco in entrata” dentro la vena). L’ablazione può essere eseguita durante il ritmo sinusale, il pacing atriale o anche durante la fi brillazione atriale (che spesso termina durante l’applicazione di RF).73 Alcuni sostengono l’opportunità della stimolazione dall’interno della vena per dimostrare il più rilevante “blocco in uscita” dalla vena all’atrio. Quando si usa un approccio anato-mico, si creano delle linee di ablazione continua che circondano gli orifi zi venosi. Tale metodo richiede sofi sticati strumenti di mappaggio per essere in grado di registrare i siti che sono già stati ablati e le aree che rimangono. In alcuni casi, gap lungo una linea di ablazione possono essere proaritmici, fornendo un substrato capace di sostenere un macrorientro nell’atrio sini-stro. Alcuni elettrofi siologi fanno un’ulteriore linea d’ablazione tra vena polmonare inferiore sinistra e anulus mitralico per ridurre il rischio di questa possibilità. In molti casi, viene creata anche una “lesione da fl utter” nel pavimento dell’atrio destro perché molti pazienti sottoposti a una procedura puramente atriale sinistra hanno episodi successivi di fl utter. Ciascun metodo di isolamento richiede un accesso atriale o attraverso un forame ovale pervio o mediante puntura transettale, dopo una piena anticoagulazione. Questo approccio aumenta il rischio di complicanze da sanguinamento e inoltre non previene completamente le tromboembolie correlate al trattamento. La tecnica di isolamento delle vene polmonari è stata usata principalmente nei pazienti più giovani con FA parossistica in assenza di cardiopatie organiche, sebbene l’esperienza con questa tecnica nei pazienti con FA cronica o in quelli con patologia cardiaca struttu-rale sia limitata, i risultati preliminari indicano percentuali di successo quasi equivalenti. Prima della procedura di ablazione, è utile sottoporre il paziente a uno studio non invasivo per defi nire meglio l’anatomia delle vene polmonari, come una TC ad alta risoluzione o una RM (Fig. 30-14). Questo studio aiuta l’operatore a pianifi care la tecnica in modo che una anatomia anomala non interferisca con la riuscita dell’ablazione.

Come detto in precedenza, alcuni pazienti con FA mostrano una tra-sformazione a fl utter atriale stabile quando vengono somministrati farmaci antiaritmici, in particolare farmaci che bloccano i canali del sodio. In questi pazienti, eseguire un’ablazione di un fl utter mentre il paziente continua ad assumere il farmaco può prevenire la recidiva di aritmia.74

Risultati. I risultati ottenuti da indagini statunitensi hanno indicato che la procedura si è rivelata effi cace nel produrre un blocco AV completo nel 95% di 1600 pazienti, con compli-canze signifi cative in 21 (1,3%) e due decessi legati alla pro-cedura (0,1%).61 In Europa, il tasso di complicanze è stato del 3,2%, con un solo decesso su 900 pazienti.63 Nei primi studi, fi no al 4% dei pazienti ha avuto un episodio di morte improv-visa dopo ablazione della giunzione AV nonostante un ade-guato funzionamento del pacemaker, verosimilmente per bradicardia relativa dopo lunghi periodi di elevate frequenze ventricolari.71 In uno studio, 6 pazienti su 100 sono deceduti improvvisamente quando la frequenza di stimolazione iniziale era settata su 60 batt/min, ma non c’è stata alcuna morte improvvisa su 135 quando la frequenza era regolata su 90 batt/min per 1-3 mesi dopo l’ablazione. Per questa procedura sono stati dimostrati miglioramenti degli indici di qualità di vita così come del rapporto costo-benefi cio.

ABLAZIONE CON CATETERE A RADIOFREQUENZA DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE. Negli ultimi anni, sono stati fatti notevoli passi avanti nella comprensione della fi sio-patologia della FA. L’impiego di queste informazioni si è tra-dotto direttamente in progressi terapeutici. Ad esempio, viene oggi riconosciuto che una percentuale signifi cativa di pazienti con FA parossistica in assenza di cardiopatie strutturali pre-sentano un’origine focale dell’aritmia; ovvero, scariche rapide da una sorgente focale (spesso in una vena polmonare) guidano l’atrio più rapidamente di quanto esso possa condurre unifor-memente, portando al quadro ECGgrafi co di fi brillazione atriale. In altri casi, una sorgente focale può servire come “inne-sco” che dà avvio a episodi di fi brillazione (Cap. 32). In entrambi i casi, se questo focus può essere localizzato e ablato o il suo diffondersi al resto dell’atrio eliminato, si prevengono le recidive di FA.

LOCALIZZAZIONE E ABLAZIONE DELLE SORGENTI FOCALI. Sono stati utilizzati diversi metodi per localizzare e ablare i foci di fi brillazione

Superiore sinistro

Tronco comune

Inferiore destro

Inferioresinistro

Superiore destro

Vena cava superiore

Aorta

Arteria polmonare

Vena cavainferiore

Seno coronarico

Medio destro

FIGURA 30–14 Tomografi a computerizzata ad alta risoluzione dell’atrio sinistro, visto da dietro che illustra l’anatomia delle vene polmonari (VP). Invece di due vene che entrano nell’atrio sinistro da ciascun polmone, questo paziente aveva entrambe le vene sinistre che sfociavano in un tronco comune prima di entrare nell’atrio e tre vene provenienti dal polmone destro. Queste informazioni sono state d’aiuto nel pianifi care la procedura d’isolamento delle vene polmonari.

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751Terapia delle aritm

ie cardiache

fatto che questa procedura rappresenta spesso l’ultima risorsa in pazienti con TV farmaco-resistenti, ma è correlato anche alla maggior diffi coltà del mappaggio nei ventricoli. Inoltre, l’induzione della TV deve essere idealmente riproducibile, con QRS monomorfi , prolungata ed emodinamicamente stabile, così che il paziente sia in grado di tollerare la TV per un periodo suffi cientemente lungo durante la procedura per l’ac-curato mappaggio necessario a localizzare i siti bersaglio del-l’ablazione ottimale. (Pazienti con più di una TV monomorfa, elettrocardiografi camente distinte possono essere candidati all’ablazione, perché in molti casi una comune via di rientro è condivisa da due o più morfologie di TV.) Inoltre, l’origine della TV deve essere ben circoscritta e situata sul versante endocardico (sono stati riportati rari casi di ablazione effi cace solo dal versante epicardico75). A tutt’oggi, TV molto rapide, TV polimorfe ed episodi infrequenti non sostenuti non sono di solito gestibili con questa forma di terapia (vedi oltre).

LOCALIZZAZIONE E ABLAZIONE. L’ablazione con RF di TV può essere distinta in TV idiopatiche, che si presentano in pazienti con cuore essen-zialmente normale, TV che si verifi cano in varie patologie ma in assenza di coronaropatia e TV nei pazienti affetti da coronaropatia e pregresso IM. Nel primo gruppo, le TV possono insorgere in entrambi i ventricoli. Le TV destre più comunemente originano nel tratto d’effl usso e hanno una carat-teristica morfologia a blocco di branca sinistro con asse inferiore; meno fre-

La tecnica chirurgica di Maze è stata accettata come una metodica effi cace per il defi nitivo ripristino del ritmo sinusale. Nel 1994, sono apparsi i primi resoconti sulla possi-bilità di riprodurre le linee di blocco atriale prodotte chirurgicamente, utilizzando l’ablazione transcate-tere nell’uomo. L’intento della pro-cedura è di compartimentalizzare il muscolo atriale in segmenti troppo piccoli per permettere che il fronte dell’onda di fi brillazione si propaghi e nel contempo di avere i segmenti suffi cientemente connessi per par-tecipare alla contrazione. Numerose tecniche sono state utilizzate, com-presa la creazione di lunghe lesioni lineari mediante RF, limitatamente all’atrio destro, sinistro o a entrambi. Questa metodica è stata ampia-mente sostituita dall’isolamento della vena polmonare, anche se è stata d’aiuto in alcuni pazienti che hanno avuto recidive di fi brillazioni dopo una procedura d’isolamento apparentemente effi cace. Possono essere procedure molto lunghe, che durano da 5 a 8 ore e tempi di fl uoroscopia oltre i 90 minuti non sono rari.

Indicazioni. I candidati per l’ablazione della FA foca-le hanno fi brillazioni atriali parossistiche in assenza di cardiopatie strutturali e inclu-dono quelli la cui FA è refrat-taria ai farmaci o che non vo-gliono assumerli. I pazienti in cui l’ablazione lineare della fi brillazione atriale potrebbe essere presa in considerazio-ne, sono quelli con un certo grado di cardiopatia struttura-le e fi brillazione atriale persi-stente o permanente, nei qua-li il mantenimento del ritmo sinusale è importante e in cui la FA recidiva malgrado i co-muni farmaci antiaritmici o nei quali la terapia farmacologica non è tollerata o accettata.

Risultati. Le percentuali di successo dell’ablazione nella fi brillazione atriale focale vanno dal 70 all’85%. Allo stato attuale, non sembra esistere una tecnica preferita (isolamento segmentario mapping-guidato dell’ostio della vena polmonare versus ablazione puramente anatomica). I motivi d’insuccesso dell’ablazione sono (1) incompleto isolamento di una vena arit-mogena, (2) ripristino della conduzione dopo un isolamento apparentemente effi cace e (3) sorgenti di fi brillazione diverse dalle vene polmonari. Il rischio di ictus correlato all’ablazione estensiva dell’atrio sinistro è approssimativamente pari al 2% anche con un rigoroso regime di anticoagulazione. La stenosi della vena polmonare, più probabile se l’ablazione è eseguita dentro la vena stessa piuttosto che all’ostio, può causare dispnea e ipertensione arteriosa polmonare. In alcuni casi, sono stati necessari un’angioplastica e uno stent.

Altre modalità non farmacologiche per il trattamento della fi brillazione atriale, quali il pacing preventivo, i defi brillatori atriali impiantabili o i dispositivi di controllo del ritmo atriale, sono trattati nel Capitolo 31.

ABLAZIONE CON CATETERE A RADIOFREQUENZA DELLA TV. In generale, la percentuale di successo dell’abla-zione delle TV è inferiore a quella riportata per il rientro nel nodo AV o il rientro AV. Questo minor successo è correlato al

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s ss

V1

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Abl1–2

Abl3–4

Hisprox

Hisdist

aVR

aVL

aVF

Tempo

AVD

TEVD300 msec

110 msec

300 msec

S-QRS 90 msec

Mappaggio per stimolazioneTachicardia ventricolare

FIGURA 30–15 Tachicardia ventricolare e mappaggio di stimolazione. Sono mostrate tutte le 12 derivazioni del-l’elettrocardiogramma di superfi cie insieme alle registrazioni intracardiache durante la tachicardia ventricolare (TV). La registrazione attraverso Abl1-2 mostra una piccola defl essione che si verifi ca precocemente durante la diastole elettrica (freccia) 110 millisecondi prima dell’insorgenza del QRS (linea tratteggiata). Nel riquadro di destra, la stimolazione è eseguita da questo sito. Ciò produce un complesso QRS identico alla tachicardia in ogni derivazione, con un intervallo tra lo stimolo e l’inizio del QRS simile a quello tra l’elettrogramma e l’inizio del QRS durante TV. L’ablazione in questa sede eliminava la TV in 2 secondi. TEVD = tratto di effl usso del ventricolo destro.

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Capitolo 30

FIGURA 30–16 Registrazioni di siti di ablazione effi caci e ineffi caci in un paziente con TV idiopatica a origine nella parete ventricolare inferiore destra. Nelle registrazioni dal sito dell’ablazione ineffi cace, il segnale unipolare (freccia) ha una piccola onda r, indicando che una porzione del fronte d’onda dal focus della tachicardia si avvi-cinava al sito da qualche altra punto. Nel sito effi cace, la registrazione unipolare ha una conformazione QS, che indica che tutta la depolarizzazione origina da questo punto. In ogni sito, la registrazione bipolare (Abl1-2) si verifi ca sempre 43 millisecondi prima dell’inizio del QRS (linee tratteggiate).

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V1

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Abluni

Abl1–2

ADA

AVD

Tempo300 msec

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Sito non efficace Sito efficace

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Abl1–2

RFWatts

RFTemp

AVD

TEVD

Tempo500 msec

–131 msec

RF on

FIGURA 30–17 Ablazione con radio frequenza (RF) di una tachicardia ventricolare (TV) postinfartuale. Le registrazioni sono come nelle precedenti fi gure. L’elettrogramma nella registrazione dall’ablatore (Abl1-2, freccia) precede l’inizio del QRS (linea tratteggiata) di 131 millisecondi. Qui l’ablazione (RF on) determina una lieve decelera-zione della TV prima dell’interruzione in 1,3 secondi. La temperatura monitorata dalla punta del catetere ha appena raggiunto il picco (approssimativamente 70°C) al momento dell’interruzione della TV.

quentemente, le TV originano nel tratto di affl usso o nella parete libera. L’induzione della tachicardia può essere favorito dalle catecolamine. La maggior parte delle TV ventricolari sinistre sono d’origine settale e hanno un caratteristico aspetto del QRS (blocco di branca destra, asse superiore); altre TV sono meno comuni e insorgono da altre aree del ventricolo sinistro, com-preso il tratto di effl usso, e hanno aspetto ECG e comportamento clinico simili a quelle che originano nel tratto di effl usso del ventricolo destro (Fig. 29-13). In alcuni pazienti possono essere presenti pattern anomali di innervazione simpatica. TV in cuori patologici senza coronaropatia possono essere dovute a rientro tra le branche, più tipicamente osservate in pazienti con miocardiopatie dilatative. In questi pazienti, l’ablazione della branca destra è risolutiva. TV possono presentarsi nella displasia del ventricolo destro, nella sarcoidosi, nella malattia di Chagas, nella miocardiopatia ipertrofi ca e in altre pato-logie non coronariche (Cap. 32).

Il mappaggio di attivazione e il mappaggio tramite stimolazione (pace mapping) sono effi caci in pazienti con TV idiopatiche per localizzare il sito di origine della TV. Nel mappaggio dell’attivazione, il campionamento dei tempi di insorgenza degli elettrogrammi endocardici mediante catetere di mappaggio viene confrontato con l’inizio del complesso QRS di super-fi cie. Siti che sono attivati prima che inizi il QRS di superfi cie sono vicini all’origine della TV (Fig. 30-15; vedi Fig. 29-13). Nelle forme idiopatiche di TV, l’ablazione in un sito in cui l’elettrogramma unipolare mostra un “complesso QS” può avere suc-cesso maggiore di quando si osserva un potenziale “rS” (Fig. 30-16). Il mappaggio tramite stimolazione implica una stimola-zione di vari siti ventricolari per ottenere una morfologia del QRS che riproduce il QRS della TV ventricolare, stabilendo quindi l’apparente sito di origine del-l’aritmia (Fig. 30-15). Questa tecnica ha numerose limitazioni metodologiche ma può essere utile quando la tachicardia non può essere indotta e quando un ECG a 12 derivazioni è stato ottenuto durante la TV spontanea. Potenziali presistolici di Purkinje come segnali mesodiastolici ad ampiezza molto bassa possono essere registrati durante la TV da siti in cui l’abla-zione sarà curativa, nella maggior parte dei pazienti con TV sinistre che hanno morfo-logia a blocco di branca destra/asse supe-riore. La localizzazione delle sedi ottimali per l’ablazione di TV nei pazienti affetti da coronaropatia e pregresso infarto è più diffi cile che nei pazienti con cuore strutturalmente normale a causa dell’al-terazione dell’anatomia e dell’elettrofi sio-logia. Un mappaggio di stimolazione in questi casi presenta più bassa sensibilità e specifi cità rispetto alle TV idiopatiche. Inoltre, circuiti di rientro possono talvolta essere grandi e resistenti alle lesioni rela-tivamente piccole prodotte dall’ablazione con RF sulla cicatrice endocardica.

Il rilievo di una regione protetta di atti-vazione diastolica che si dimostri essere una componente critica del circuito di rientro è auspicabile, poiché un’ablazione in questa sede ha buone probabilità di eli-minare l’aritmia (Fig. 30-17). A causa del-l’ampio danno elettrofi siologico causato dall’infarto, molte aree del ventricolo possono presentare un’attivazione dia-stolica, ma non essere rilevanti al fi ne di

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753Terapia delle aritm

ie cardiache perpetuare la TV. Questi “siti spettatori” (bystander) possono rendere il mappaggio dell’attivazione più diffi cile. Tecniche di stimolazione come il trascinamento (“entrainment”) possono essere usate come test per veri-fi care se un sito è veramente parte di un circuito oppure uno spettatore. L’entrainment consiste nella stimolazione per alcuni secondi durante la tachicardia ad una frequenza lievemente più rapida di quella della TV; dopo che la stimolazione cessa e la tachicardia originaria ricomincia, il tempo intercorso tra l’ultimo battito stimolato e il primo spontaneo è indicativo di quanto vicino sia il sito di stimolazione al circuito della TV. Durante l’entrainment, parte del ventricolo è attivato dal fronte d’onda stimolato e parte dal fronte d’onda della TV obbligato a emergere più pre-cocemente, risultando in un complesso di fusione sull’ECG di superfi cie. La stimolazione all’interno di una parte critica del circuito provoca un’esatta corrispondenza del QRS con la TV; la fusione si verifi ca soltanto all’interno del circuito ed è “nascosta” sull’ECG di superfi cie. Siti con potenziale meso-diastolico isolato a bassa ampiezza che non possono essere dissociati dalla tachicardia tramite le interferenze della stimolazione, in cui l’entrainment con fusione occulta può essere dimostrato, sono con molta probabilità siti di ablazione effi cace.

In una signifi cativa percentuale di pazienti con TV in presenza di cardio-patie strutturali, il mappaggio di attivazione e l’entrainment non possono essere eseguiti a causa della scarsa tolleranza emodinamica dell’aritmia o dell’impossibilità a indurre la tachicardia sostenuta allo SEF. Alcuni ricer-catori hanno ideato tecniche per accertare la sede di regioni miocardiche in cui l’ablazione dovrebbe diminuire o eliminare le recidive di TV. Tali metodi in genere rientrano in una categoria che può essere defi nita di mappaggio del substrato, in cui aree di basso voltaggio o quelle in cui si registrano potenziali molto tardivi durante il ritmo sinusale o in cui la stimolazione riproduce strettamente la morfologia della TV nota dell’ECG a 12 derivazioni (mappaggio di stimolazione) sono bersagli dell’ablazione senza effettuare nessun altro mappaggio durante la TV.76 L’esperienza con questi metodi è limitata, ma ha risultati assai promettenti nel ridurre il numero di recidive di TV.

Nei pazienti senza cardiopatia organica è solitamente presente un’unica TV e l’ablazione di questa TV è curativa. In quelli con estesa cardiopatia organica, specialmente quelli con un pregresso IM, sono di solito presenti multiple TV. Un’ablazione transcatetere di una singola TV in tali pazienti può essere soltanto palliativa e non elimina la necessità di una successiva terapia antiaritmica. L’origine di morfologie multiple di tachicardia non è chiara, sebbene in alcuni casi esse siano semplicemente manifestazioni differenti di un unico circuito (p.es., diverse direzioni di propagazione del fronte d’onda al ventricolo) e l’ablazione di una può prevenire la recidiva delle altre. La presenza di molteplici morfologie di TV contribuisce alle diffi coltà nel mappaggio e nell’ablazione della TV in questi pazienti, poiché le tecniche di stimolazione impiegate per convalidare le registrazioni ai potenziali siti d’ablazione determinano un cambiamento a un’altra forma di TV che non origina nella stessa regione.

Dopo l’ablazione di TV, viene effettuata una stimolazione ventricolare ripetuta per valutare l’effi cacia. In alcuni casi, si dà origine a rapide TV polimorfe o a una fi brillazione. Il signifi cato clinico di queste aritmie non è chiaro, ma qualche prova suggerisce che esse abbiano una bassa probabilità di recidive spontanee durante il follow-up.

Come precedentemente evidenziato, la maggior parte dei casi di TV polimorfa e FV di solito non è gestibile con l’ablazione a causa della insta-bilità emodinamica e delle modifi cazioni battito per battito nella sequenza di attivazione. Tuttavia, rare segnalazioni di un’ablazione riuscita di queste aritmie in pazienti con evidente inizio focale hanno dimostrato che almeno alcuni casi possono essere trattati con l’ablazione. In questi casi, ripetuti episodi di aritmia hanno costanti caratteristiche ECG del battito o dei battiti iniziali, suggerendo una sorgente costante, che può essere in uno dei ven-tricoli. L’elettrogramma nei siti di ablazione effi cace spesso ha potenziali presistolici molto acuti che ricordano i potenziali di Purkinje.77

Indicazioni. I pazienti con TV considerati per l’ablazione con RF in assenza di patologie cardiache strutturali sono quelli con TV monomorfa sintomatica, sostenuta, quando la tachi-cardia è farmaco-resistente, nel caso in cui il paziente sia intol-lerante ai farmaci oppure quando non desideri una terapia a lungo termine. I pazienti con cardiopatie strutturali candidati all’ablazione sono quelli con TV caratterizzata da rientro nelle branche e pazienti con TV monomorfa sostenuta e portatori di ICD, sottoposti a shock multipli non gestibili con una ripro-grammazione o una concomitante terapia farmacologica. Tal-volta, TV non sostenute o anche PVC gravemente sintomatici richiedono l’ablazione con RF.

Risultati. Nell’indagine statunitense del NASPE, sono stati sottoposti ad ablazione 429 pazienti, con una percentuale glo-bale di successo del 71%. In 224 pazienti con cuore struttural-mente normale, il tasso di successo è stato dell’85%. Il tasso

di successo è stato del 54% in 115 pazienti con TV dovuta a cardiopatia ischemica e 61% in 90 pazienti con miocardiopa-tia idiopatica. Ci sono stati 13 complicanze signifi cative (3,0%) e nessun decesso correlato alla procedura, fatto interessante considerando la natura della malattia.61 Il tasso di complicanze è stato del 7,5% nell’indagine europea, con un decesso su 320 pazienti.63 Casistiche più recenti suggeriscono una frequenza del 30% di “guarigione” (aritmia ventricolare di qualunque tipo non inducibile, senza recidive), mentre più del 70% dei pazienti non ha più recidive di TV dopo la procedura, nono-stante l’inducibilità di TV rapide o FV.

NUOVE TECNOLOGIE DI MAPPAGGIO E DI ABLA-ZIONE

Sistemi di mappaggio multipolari. Come detto preceden-temente, molte delle limitazioni dell’ablazione sono correlate all’inadeguatezza del mappaggio. Questi problemi compren-dono il riscontro di: isolati complessi prematuri durante lo SEF invece che l’induzione di tachicardie sostenute (nelle tachicardie idiopatiche atriali e ventricolari), episodi di TV non sostenuti, scarsa tolleranza emodinamica della TV e mul-tiple morfologie di TV. Le tecniche standard di mappaggio consistono nel campionamento sequenziale di singoli siti e sono poco adatte per queste situazioni. Sono disponibili nuovi sistemi di mappaggio che permettono il campionamento simul-taneo di molti siti e comprendonon sofi sticati algoritmi com-puterizzati per analizzare e mostrare le mappe globali. Questi sistemi di mappaggio utilizzano varie tecnologie, che vanno da elettrodi multipli situati su ciascuno dei diversi segmenti di un catetere a cestello, all’uso di campi elettrici o magnetici a bassa intensità per localizzare l’estremità del catetere nel cuore e registrare e tracciare un diagramma con i tempi d’atti-vazione su una mappa della camera esplorata, all’uso di sistemi matematici complessi per effettuare elettrocardiogrammi “vir-tuali” registrati da un elettrodo a maglia situato al centro di una camera cardiaca.78 Alcuni di questi sistemi generano mappe di attivazione di un’intera camera utilizzando solo un battito, un ovvio vantaggio nei pazienti che presentano solo complessi prematuri ventricolari, aritmie non sostenute oppure scarsa tolleranza emodinamica. Sebbene questi sistemi di map-paggio siano di grande utilità in casi selezionati, essi sono complicati e costosi.

MAPPAGGIO CON CATETERE EPICARDICO. Anche se la maggior parte delle TV può essere ablata dall’endocardio, esistono rari casi resistenti a questa terapia. In alcuni di questi casi, l’ablazione epicardica potrebbe essere effi cace.75 Molto del lavoro in questo campo è stato eseguito con successo nei pazienti con TV correlata alla malattia di Chagas, in cui la maggioranza richiede il mappaggio e l’ablazione epicardica; è meno fre-quentemente necessaria in pazienti postinfarto o con miocardiopatie e in quelli senza cardiopatia organica. La procedura per acquisire un accesso epicardico differisce lievemente da quella della pericardiocentesi. Un lungo ago da anestesia spinale viene introdotto con approccio sottoxifoideo sotto controllo fl uoroscopico. Appena si raggiunge la superfi cie del pericardio, si inietta una piccola quantità di contrasto radiografi co. Se la punta dell’ago è ancora esterna al pericardio, il contrasto rimane dove è stato iniettato. Quando si è penetrato lo spazio pericardico, il contrasto si disperde sot-tolineando il profi lo del cuore. Una guida metallica può essere introdotta attraverso l’ago e si scambia con un comune introduttore vascolare sulla guida. Lo spazio pericardico è quindi accessibile a un catetere standard di mappaggio e ablazione. Si possono quindi applicare le tecniche standard di mappaggio. Quando un sito è selezionato per la possibile ablazione, può essere necessaria una coronarografi a per evitare di erogare l’energia RF vicino a una arteria coronarica. Questo è meno importante nella TV postinfarto dato che il substrato della TV è in genere una regione di pre-gresso infarto transmurale. Questa tecnica può essere utilizzata in pazienti che sono stati sottoposti ad una precedente chirurgia cardiaca, sebbene le aderenze possano obliterare parte dello spazio pericardico.

ABLAZIONE CHIMICA. È stata utilizzata l’ablazione chimica con alcol o fenolo di un’area di miocardio coinvolta in una tachicardia per creare blocco AV nei pazienti che non rispondono all’ablazione transcatetere ed eliminare tachicardie atriali e ventricolari. Recidive di tachicardia molti giorni dopo un apparente successo dell’ablazione sono comuni. L’ecces-siva necrosi miocardica è la principale complicanza, per cui l’ablazione con alcol deve essere considerata solo quando altre procedure ablative falliscono o non possono essere praticate.

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Capitolo 30

Terapia chirurgica delle tachiaritmie Gli obiettivi di un approccio chirurgico nel trattamento di una tachicardia sono l’escissione, l’isolamento o l’interruzione del tessuto coinvolto nel determinarne l’inizio, il mantenimento o la propagazione preservando o eventualmente migliorando la funzione miocardica. Oltre a un approccio chirurgico diretto all’aritmia, approcci indiretti quali la aneurismectomia, il bypass coronarico e il trattamento di una insuffi cienza o ste-nosi valvolare possono essere utili in pazienti selezionati per migliorare l’emodinamica cardiaca e il fl usso sanguigno al mio-cardio. La simpaticectomia cardiaca modifi ca l’infl uenza adre-nergica sul cuore ed è risultata effi cace in alcuni pazienti, par-ticolarmente quelli con TV ricorrenti nella sindrome del QT lungo.

Tachicardie sopraventricolari

Esistono procedure chirurgiche per pazienti (sia adulti sia bam-bini) con tachicardie atriali, fl utter atriale, rientro del nodo AV e rientro AV (Fig. 30-18). L’ablazione con catetere a RF è tera-peutica per la stragrande maggioranza di questi pazienti e ha quindi sostituito un intervento chirurgico diretto eccetto che nei rari pazienti in cui l’ablazione con catetere a RF fallisca o che debbano sottoporsi a una chirurgia cardiovascolare in con-comitanza. In alcuni casi, un precedente tentativo di ablazione con RF complica la chirurgia occludendo i piani di tessuto normale nel solco AV del cuore oppure rendendo troppo fria-bili i tessuti. Talvolta, i pazienti con TA hanno foci multipli che richiedono l’intervento chirurgico.

La procedura Maze, sviluppata per il trattamento della fi bril-lazione atriale, elimina l’aritmia riducendo la massa di tessuto atriale in regioni troppo piccole per mantenere l’attività dei circuiti di rientro responsabili della fi brillazione atriale.79 Essa forza l’attivazione atriale a procedere lungo una via chirurgi-camente determinata, così da mantenere il ritmo sinusale con la conduzione del nodo AV. La procedura Maze permette una depolarizzazione degli atri organizzata, ripristina la funzione di contrazione atriale e così facendo riduce il rischio di trom-boembolia. Il mantenimento del ritmo sinusale per più di 3 mesi dopo la procedura si avvicina al 100%, sebbene più del 10% dei pazienti richieda un pacemaker a causa di un’incom-petenza cronotropa del nodo del seno (dovuta sia alla chirurgia

sia alla preesistente patologia atriale). L’avvento delle tecniche endoscopiche ed endovascolari minimamente invasive potrà rendere possibile in futuro eseguire l’equivalente della proce-dura Maze senza toracotomia. La procedura Maze o una sua variante è oggi di solito eseguita in concomitanza con la chi-rurgia della valvola mitrale, più che come indicazione prima-ria. In molti centri, l’ablazione intraoperatoria con RF ha sosti-tuito le incisioni chirurgiche per effettuare la procedura Maze, anche se sono state riportate signifi cative complicanze (come erosioni esofagee).80

Tachicardia ventricolare

Al contrario dei pazienti con aritmie sopraventricolari, i can-didati alla terapia chirurgica delle aritmie ventricolari spesso hanno una grave disfunzione ventricolare sinistra, che è gene-ralmente causata da una coronaropatia. La causa della cardio-patia di base infl uisce sul tipo di intervento. I candidati sono pazienti con TV farmaco-resistenti, sintomatiche, recidivanti che idealmente presentano un’anomalia segmentale della cinesi parietale (cicatrice o aneurisma) con funzione ventrico-lare sinistra residua preservata, che non hanno avuto successo da un precedente tentativo di ablazione transcatetere o che non sono candidati all’ablazione transcatetere per instabilità emodinamica durante la TV o per presenza di trombi nel ven-tricolo sinistro. Nei pazienti con miocardiopatia non ischemica sono stati ottenuti risultati più scadenti.

CARDIOPATIA ISCHEMICA. Nella quasi totalità dei pazienti che hanno TV associata a cardiopatia ischemica, l’aritmia, indi-pendentemente dalla sua confi gurazione all’ECG di superfi cie, insorge nel ventricolo sinistro o sul lato ventricolare sinistro del setto interventricolare. Il profi lo dell’ECG della TV può cam-biare da un pattern di blocco di branca destra a quello di blocco di branca sinistra senza un cambiamento nel sito di attivazione diastolica precoce, suggerendo che la posizione del circuito arit-mogeno all’interno del ventricolo sinistro rimane lo stesso, spesso vicino al setto, ma la via d’uscita varia.

Approcci chirurgici indiretti, come la simpaticectomia car-diotoracica, il bypass aortocoronarico e la resezione dell’aneu-risma o dell’IM con o senza bypass coronarico, hanno avuto successo nel 20-30% dei casi riportati. Il bypass coronarico come primo approccio terapeutico generalmente è stato effi ca-ce soltanto nei pazienti che hanno una TV durante l’ischemia

Tessutoadiposo

Tessutoadiposo

SC

AC

VA

Epicardio

Endocardio

Epicardio

Endocardio

Atrio

Ventricolo

Atrio

Ventricolo

Cryoprobe –60°C 2 minTessutoadiposo

Anulusdella

valvolamitrale

Anulusdella

valvolamitrale

SC

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CONTROLLO DISSEZIONE EPICARDICA DISSEZIONE ENDOCARDICA

FIGURA 30–18 Rappresentazione schematica dei due approcci chirurgici per l’interruzione di una via accessoria. Il riquadro a sinistra mostra il solco atrioven-tricolare sinistro con il suo contenuto vascolare, il seno coronarico (SC) e l’arteria coronaria circonfl essa (AC). Vie accessorie multiple (VA) decorrono nel tessuto adiposo. Il riquadro al centro mostra l’approccio di dissezione epicardica, mentre il destro la dissezione endocardica. Entrambi gli approcci asportano il tessuto adiposo e interrompono ogni via accessoria. (Da Zipes DP: Cardiac electrophysiology: Promises and contributions. J Am Coll Cardiol 13:1329, 1989. Reprinted by permission of the American College of Cardiology.)

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755Terapia delle aritm

ie cardiache così come nei pazienti con FV ischemia-relata, ma può talvolta essere utile nei pazienti con co-ronaropatia rianimati da morte improvvisa che hanno aritmie non inducibili allo SEF. Questi pazienti presentano di solito una chiara correlazione tra gli episodi di aritmia ventricolare e un’ische-mia severa immediatamente pre-cedente e non mostrano alcuna evidenza di infarto o evidenziano solo piccole anomalie di cinesi parietale con una funzione del ventricolo sinistro complessiva-mente conservata. Nei pazienti con TV sostenuta monomorfa op-pure solo TV polimorfa, raramen-te l’intervento di bypass corona-rico infl uenza l’aritmia, sebbene quest’ultimo possa ridurre la fre-quenza di episodi aritmici in al-cuni pazienti e prevenire nuovi eventi ischemici.

Tecniche chirurgiche

Di solito, si utilizzano due tipi di procedura chirurgica: rese-zione e ablazione (Fig. 30-19).81 Il primo approccio chirurgico diretto alla TV è stato la ventri-colotomia endocardica circolare, utilizzando una ventricolotomia transmurale per isolare le aree di fi brosi endocardica che sono state riconosciute visivamente. Attualmente questa procedura è impiegata di rado. Il razionale per la resezione subendocardica è basato su dati sperimentali e clinici che indicano che le aritmie dopo un IM insorgono soprattutto nel subendocardio, al confi ne tra il tessuto normale e quello infartuato. La resezione subendocardica implica il distacco di uno strato di endocardio di 1-3 mm di spessore, spesso vicino al margine di un aneurisma, in cui sia dimostrato con le procedure di mappaggio esserci la sede della più precoce attivazione della TV. Alcune TV possono insorgere dall’epi-cardio. Le tachicardie che insorgono in prossimità della base dei muscoli papillari sono trattate con una criosonda raffred-data a -70°C. La crioablazione può anche essere usata per iso-lare aree di ventricolo che non possono essere resecate ed è spesso combinata con la resezione. Sono state usate con buoni successi anche tecniche con laser al neodimio:ittrio-alluminio-granato, ma l’attrezzatura è costosa e di diffi cile uso.

RISULTATI. Per le tachiaritmie ventricolari, la mortalità intraoperatoria varia dal 6 al 23%, con tassi di successo defi niti come assenza di recidive di aritmie ventricolari spontanee che vanno dal 59 al 98%. In centri esperti, la mortalità intraope-ratoria può essere pari al 5% nei pazienti stabili sottoposti a procedure elettive, con una percentuale dell’85-95% di soprav-vissuti liberi da tachiaritmie ventricolari inducibili o sponta-nee. Le percentuali di recidive a lungo termine variano dal 2% al 28% e si correlano ai risultati dello studio di stimolazione elettrofi siologica postoperatoria del paziente. La sopravvi-venza operatoria è fortemente infl uenzata dal grado di disfun-zione ventricolare sinistra.

La mortalità operatoria per impianto non toracotomico di ICD è inferiore all’1%, con un tasso annuale di morte cardiaca improvvisa inferiore all’1%. Attualmente vengono eseguite

Aneurisma Aneurismectomia Resezione subendocardica

Ventriculotomia endocardica circolare

Crioablazione circolare Resezione e crioablazione focale

CircuitoTV

FIGURA 30–19 Diagramma schematico che mostra le procedure chirurgiche per il trattamento della tachicardia ventricolare (TV) postinfartuale con aneurisma del ventricolo sinistro. Un ventricolo sinistro danneggiato è presentato aperto lungo la parete laterale mostrando il setto e i muscoli papillari. Il circuito della tachicardia (superiore sinistro) effettua un percorso serpiginoso vicino al punto in cui l’aneurisma viene a contatto con miocardio normale e a volte è superfi ciale, altre volte profondo (linea verde). L’aneurismectomia semplice che lascia una porzione dell’aneurisma per la sutura spesso non comprende il circuito e così non cura l’aritmia. Con una resezione subendocardica, viene rimosso uno strato di endocardio e di tessuto sottostante, comprendendo almeno parte del circuito della tachicardia. Questa resezione ottiene l’eliminazione della tachicardia. La ventricolotomia endocardica circolare tenta di isolare elettricamente il circuito senza rimuovere tessuto, ma probabilmente in realtà funziona incidendo porzioni del circuito. La crioablazione può essere utilizzata per isolare la zona infartuata oppure in associazione con la resezione endocar-dica per isolare i tessuti danneggiati troppo profondi nella parete per essere resecati con sicurezza.

poche procedure chirurgiche curative, date la differenza nella sopravvivenza operatoria e la più breve degenza ospedaliera con l’impianto di un ICD rispetto alla chirurgia diretta della TV, e considerate le percentuali di successo dell’ablazione tran-scatetere in pazienti con ICD e frequenti episodi di TV.

Studi elettrofi siologici

STUDIO ELETTROFISIOLOGICO PREOPERATORIO. In pazienti per i quali viene programmata la terapia chirurgica diretta della TV è di solito necessario uno SEF preoperatorio. Questo studio implica l’induzione della TV e il mappaggio elettrofi siologico per localizzare l’area da resecare, come avviene con l’ablazione transcatetere. Si ottiene una risolu-zione di 4-8 cm2 di endocardio ventricolare, sebbene siano possibili localizzazioni anatomiche più accurate della punta dell’elettrodo di mappaggio nel ventricolo. Tachicardie troppo rapide, di breve durata o polimorfe non possono essere map-pate accuratamente, a meno che non venga usato più di un catetere o un catetere con elettrodi multipli. La somministra-zione di un farmaco quale la procainamide può rallentare la TV e trasformare una TV polimorfa non sostenuta in una TV sostenuta di aspetto uniforme che può essere mappata. Il map-paggio preoperatorio con catetere è controindicato nei pazienti con trombi noti del ventricolo sinistro che potrebbero essere dislocati dal catetere di mappaggio.

MAPPAGGIO VENTRICOLARE INTRAOPERATORIO. Un mappaggio elettrofi siologico si esegue anche al momento del-l’intervento chirurgico, con l’uso da parte del chirurgo di una

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Capitolo 30

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L’area della più precoce attività elettrica registrata durante la TV può non rappresentare in realtà una parte critica del circuito della tachicardia, poiché questo può essere vari cen-timetri più lontano (p.es., in una piccola area cicatriziale). L’impulso può allora essere condotto lentamente fi nché non raggiunge un tessuto normalmente eccitabile, dove esce e si diffonde rapidamente al resto dell’endocardio per generare un complesso QRS. Tuttavia, questa area di attivazione precoce è probabilmente strettamente correlata all’origine della tachicar-dia il che, sulla base delle attuali conoscenze e dei risultati chirurgici, giustifi ca l’intervento chirurgico in questa sede. Riscontrare un’area dalla quale un’“attività elettrica continua” viene registrata raramente indica che l’intero circuito è regi-strato. Tuttavia, è probabile che una parte critica del circuito della tachicardia sia vicina all’area di attività elettrica conti-nua. In alcuni pazienti, un mappaggio intramurale, utilizzando un ago-elettrodo a immersione, può risultare utile, particolar-mente se l’origine della tachicardia non è nel subendocardio. La maggior parte dei centri pratica attualmente una strategia di resezione subendocardica “sequenziale”, in cui la TV è indotta, mappata e ablata (resecata o crioablata) e una stimo-lazione viene immediatamente ripetuta. Se può ancora essere indotta una TV, allora si ripetono mappaggio e resezione fi nché non è più possibile l’induzione di una TV.

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Le linee guida per l’uso appropriato dell’elettrocardiogramma ambu-latoriale (ECG) sono state pubblicate per la prima volta da American College of Cardiology/American Heart Association (ACC/AHA) nel 19891 e aggiornate nel 1999.2 Insieme ad altre società scientifi che, l’ACC/AHA ha pubblicato una dichiarazione dei requisiti di compe-tenza clinica nell’ECG ambulatoriale nel 2001.3 Linee guida per l’ese-cuzione delle indagini di elettrofi siologia sono state pubblicate per la prima volta nel 19894 e aggiornate nel 1995.5 Una dichiarazione per la competenza clinica è stata pubblicata dalla ACC/AHA per gli studi di elettrofi siologia e l’ablazione transcatetere nel 2000.6 L’AHA e la North American Society of Pacing and Electrophysiology (NASPE) hanno realizzato alcune raccomandazioni sulle norme di sicurezza, quali le restrizioni nella guida, nei pazienti con aritmie nel 1996.7 Da allora, gli sforzi per aggiornare le linee guida si sono focalizzati sull’appro-priatezza dell’uso di pacemaker e defi brillatori impiantabili,8 rifl ettendo i rapidi progressi nelle conoscenze circa la capacità dei defi brillatori impiantabili di migliorare la sopravvivenza dei pazienti con aritmie con o senza uno SEF.9-11 Le linee guida per quest’ultimo argomento sono trattate nell’appendice al Capitolo 31.

ELETTROCARDIOGRAMMA AMBULATORIALE

L’evoluzione delle linee guida per l’uso dell’ECG ambulatoriale dal 1989 al 19992 rifl ette importanti variazioni in numerosi ambiti, quali: La comprensione dell’utilità limitata della soppressione dell’attività

ectopica ventricolare con la terapia farmacologica La validità della tecnologia digitale che facilita la trasmissione telefo-

nica dei dati elettrocardiografi ci Progressi tecnici dei registratori di eventi a lungo termine Miglioramento della qualità del segnale e della sua interpretazione Miglioramento della interpretazione computerizzata delle aritmie Capacità di monitoraggio altamente sofi sticata dei pacemaker e dei

defi brillatori impiantabili Come risultato dei progressi raggiunti in queste aree, con l’aumen-

tare delle conoscenze sulle aritmie, l’ECG ambulatoriale è attualmente considerato di incerta appropriatezza in molte situazioni per le quali prima era una strategia consolidata.

Come nelle altre linee guida dell’ACC/AHA, le indicazioni per l’uso dell’ECG ambulatoriale vengono classifi cate in quattro classi:

LINEE GUIDA Thomas H. Lee

Elettrocardiogramma ambulatoriale ed esami elettrofi siologici

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Capitolo 30Classe I: condizioni per cui esistono prove e/o accordo generale che

la procedura è utile ed effi cace.Classe II: Condizioni per le quali esistono evidenze confl ittuali e/o

divergenze di opinione sulla utilità/effi cacia di eseguire un test.Classe IIa: Evidenze/pareri sono complessivamente a favore riguardo

l’utilità/effi cacia della procedura.Classe IIb: Utilità/effi cacia non sono ben stabilite dalle evidenze/opi-

nioni.Classe III: Condizioni per le quali vi sono evidenze e/o consenso

unanime che il test non è utile/effi cace e in alcuni casi è pericoloso.

Diagnosi

Nella valutazione dei sintomi che potrebbero essere correlati alle aritmie, l’ECG ambulatoriale è chiaramente considerato utile in caso di sincope (Tab. 30L-1). In caso la registrazione ambulatoriale dell’ECG

in continuo non sia diagnostica, possono essere utili registrazioni intermittenti. L’ECG ambulatoriale è anche supportato per la valuta-zione delle palpitazioni ricorrenti, particolarmente se la frequenza di questi sintomi rende ragionevolmente possibile metterli in relazione con i tracciati ottenuti durante un monitoraggio di 24 ore. Le linee guida sottolineano che i dati sull’impiego dell’ECG ambulatoriale per la valutazione della lipotimia o delle vertigini non sono suffi cienti per descriverne l’effi cacia diagnostica in pazienti che presentano questi sintomi.

Le linee guida della ACC/AHA esplicitamente scoraggiano l’ECG ambulatoriale per i pazienti con sincope o palpitazioni se altre cause sono state identifi cate durante la valutazione clinica e per i pazienti con accidenti cerebrovascolari e nessuna altra evidenza di aritmia. Le linee guida cercano di ridurre gli ECG ambulatoriali eseguiti “per completezza” in questi casi. Scarso sostegno è fornito all’uso dell’ECG ambulatoriale nei casi in cui l’eziologia dei sintomi non è chiara ma

Tabella 30L–1 Linee guida dell’ACC/AHA per l’ECG ambulatoriale per la valutazione dei sintomi e delle aritmie

Classe IIa (buone Classe IIb (deboli Indicazione Classe I (indicato) prove di supporto) prove di supporto) Classe III (non indicato)

Valutazione dei sintomi probabilmente correlati a disturbi del ritmo

Pazienti con sincope inspiegabile, lipotimia, o vertigini episodiche la cui causa non è evidente

Pazienti con palpitazioni ricorrenti inspiegate

Pazienti con episodi di respiro corto, dolore toracico o affaticamento non altrimenti spiegati

Pazienti con eventi neurolo-gici se si sospetta fi brilla-zione atriale transitoria o fl utter atriale

Pazienti con sintomi come sincope, lipotimia, vertigini episodiche o palpitazioni nei quali è stata identifi cata una probabile causa diversa da aritmia ma in cui i sintomi persistono nono-stante il trattamentodi questa altra causa

I pazienti con sintomi come sincope, lipotimia, vertigini episodichee palpitazioni in cui sono state identifi cate altre cause dall’anamnesi e dall’esame obiettivo,o da esami di laboratorio

Pazienti con accidenti cerebrovascolari, senza altre evidenze di aritmia

Identifi cazione dell’aritmia per valutare il rischio di futuri eventi cardiaci in pazienti senza sintomi da aritmia

Pazienti post-IM con disfunzione VS (FE <40%)

Pazienti affetti da CHF Pazienti con miocardiopatia

ipertrofi ca idiopatica

Pazienti che hanno contusione miocardica sostenuta

Pazienti ipertesi con ipertrofi a VS

Pazienti post-IM con funzione normale del VS

Aritmia preoperatoria valutazione di pazienti per chirurgia non cardiaca

Pazienti con apnea durante il sonno

Pazienti con cardiopatie valvolari

Misurazione della variabilità della frequenza cardiaca per valutare il rischio di futuri eventi cardiaci in pazienti senza sintomi di aritmia

Pazienti post-IM con disfunzione VS

Pazienti affetti da CHF Pazienti con miocardiopatia

ipertrofi ca idiopatica

Pazienti post-IM con funzione normale del VS

Soggetti diabetici per valutare la neuropatia diabetica

Pazienti con disturbi del ritmo che precludono analisi HRV (cioè, fi brillazione atriale)

Valutazione della terapia antiaritmica

Per valutare la risposta al farmaco antiaritmico negli individui in cui la frequenza basale dell’aritmia è stata considerata riproducibile e abbastanza frequente per permettere l’analisi

Per evidenziare risposte proaritmiche alla terapia antiaritmica nei pazienti ad alto rischio

Per valutare il controllo della frequenza durante fi brillazione atriale

Per documentare aritmie ricorrenti o non sostenute asintomatiche in corso di terapia ambulatoriale

ACC/AHA = American College of Cardiology/American Heart Association; CHF = insuffi cienza cardiaca congestizia; HRV = Heart Rhythm Variability, variabilità di ritmo cardiaco; VS = ventricolare sinistra; IM = infarto del miocardio.

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759Terapia delle aritm

ie cardiache in cui la probabilità di evidenziare una aritmia insospettata è bassa (indicazioni della classe IIb).

Valutazione del rischio

Le linee guida dell’ACC/AHA non incoraggiano l’impiego dell’ECG ambulatoriale per l’individuazione di un’aritmia o per lo studio della variabilità del ritmo cardiaco se l’obiettivo è la valutazione del rischio di pazienti senza sintomi di aritmia, anche se essi hanno condizioni cardiovascolari come contusione miocardica, ipertrofi a ventricolare sinistra o patologia valvolare (Tab. 30L-1). L’uso di routine nei pazienti in cui l’aritmia è una comune causa di morte (disfunzione ventricolare sinistra, miocardiopatia ipertrofi ca) è stato considerato un’indicazione classe IIb. Queste raccomandazioni hanno preceduto i dati che dimo-strano l’impatto positivo dei cardiovertitori-defi brillatori impiantabili (Implantable Cardioverter-Defi brillator, ICD) nei pazienti con disfun-zione ventricolare sinistra dopo infarto acuto del miocardio anche senza sintomi di aritmia.9 Questi dati più recenti possono portare a un’espansione del ruolo dell’ECG ambulatoriale nel determinare quali di questi pazienti asintomatici necessitano maggiormente di questo costoso apparecchio.

Effi cacia della terapia antiaritmica

In mancanza di dati che dimostrano che la terapia antiaritmica orale può migliorare la sopravvivenza tramite il controllo delle aritmie ven-tricolari, l’ECG ambulatoriale è di scarso ausilio per valutare l’effi cacia del trattamento (Tab. 30L-1). I farmaci antiaritmici orali sono impor-tanti per il controllo delle aritmie sopraventricolari, ma la maggior parte dei pazienti con tale aritmia non ha episodi ogni giorno. I regi-stratori di eventi possono essere utili per documentare la relazione tra sintomi e ricorrenza dell’aritmia e l’intervallo tra gli episodi, al fi ne di guidare il trattamento.

Le linee guida dell’ACC/AHA forniscono alcuni supporti per l’uso dell’ECG ambulatoriale per il riscontro di proaritmie durante l’inizio del trattamento farmacologico, ma i pazienti ad alto rischio per tali complicanze tendono a iniziare tali farmaci da degenti.

Valutazione della funzione del pacemaker e dell’ICD

L’ECG ambulatoriale è stato considerato appropriato per la valutazione della funzionalità di pacemaker e ICD, ma il ruolo dell’ECG ambula-toriale sta decadendo grazie alla presenza di funzioni di diagnosi e monitoraggio insite nei nuovi dispositivi. L’ECG ambulatoriale può fornire utili informazioni correlando la sintomatologia con l’attività del dispositivo ed evidenziando difetti di sensing e di cattura durante un follow-up cronico (Tab. 30L-2). Tuttavia, le linee guida dell’ACC/AHA sottolineano che l’ECG ambulatoriale non deve essere usato quando i dati disponibili interrogando il dispositivo sono suffi cienti per guidare la gestione clinica.

Monitoraggio dell’ischemia miocardica

Le linee guida dell’ACC/AHA del 1999 non sostengono in maniera inequivocabile l’indicazione all’impiego routinario in clinica del moni-toraggio ECG ambulatoriale per l’ischemia miocardica (Tab. 30L-3). La sola indicazione per cui la task force giudicava che c’era una buona evidenza a sostegno era nei pazienti con sospetta angina variante. Questo approccio non era considerato un’alternativa di prima scelta al test da sforzo per i pazienti incapaci di eseguire uno sforzo.

Competenza clinica

Le dichiarazioni dell’ACC/AHA sulla competenza clinica raccoman-dano che si debbano interpretare almeno 150 elettrocardiogrammi ambulatoriali sotto supervisione per acquisire la competenza minima con questa tecnologia.3 Un minimo di 25 interpretazioni di test per anno era raccomandata per mantenere la competenza.

Tabella 30L–2 Linee guida dell’ACC/AHA per l’ECG ambulatoriale per la valutazione del pacemaker e della funzione dell’ICD

Classe Indicazione

Classe I (indicato) Valutazione dei sintomi frequenti come palpitazioni, sincope o lipotimia per testare la funzione del dispositivo al fi ne di escludere inibizione miopotenziale e tachicardia pacemaker-mediata e per contribuire alla programmazione di ulteriori funzioni come la velocità di responsività e il passaggio a modalità automatica

Valutazione di un sospetto defi cit di componente o malfunzionamento quando l’interrogazione del dispositivo non è defi nitiva per porre una diagnosi

Per valutare la risposta alla terapia farmacologica adiuvante nei pazienti che ricevono frequente terapia con ICD

Classe IIa (buone evidenze a supporto)

Classe IIb (deboli evidenze a supporto)

Valutazione della funzionalità del pacemaker nell’immediato periodo postoperatorio dopo impianto di pacemaker o di ICD come alternativa o complemento al monitoraggio telemetrico

Valutazione della frequenza di aritmie sopraventricolari in pazienti con defi brillatori impiantati

Classe III (non indicato)

Valutazione dell’ICD o del malfunzionamento del pacemaker quando l’interrogazione del dispositivo, ECG o altri dati disponibili (radiografi a del torace e così via) sono suffi cienti a stabilire una causa sottostante o la diagnosi

Follow-up di routine in pazienti asintomatici

ACC/AHA = American College of Cardiology/American Heart Association; ECG = elettrocardiogramma; ICD = Implantable Cardioverter-Defi brillator, cardiovertitore-defi brillatore impiantabile.

Tabella 30L–3 Linee guida ACC/AHA per il monitoraggio dell’ischemia

Classe Indicazione

Classe I (indicato)

Classe IIa (buone evidenze a supporto)

Pazienti con sospetta angina variabile

Classe IIb (deboli evidenze a supporto)

Valutazione dei pazienti con dolore toracico che non possono eseguire lo sforzo

Valutazione preoperatoria per chirurgia vascolare in pazienti che non possono effettuare sforzi

Pazienti con CAD nota e dolore toracico atipico

Classe III (non indicato)

Valutazione iniziale dei pazienticon dolore toracico che sonoin grado di effettuare sforzi

Screening di routine in soggetti asintomatici

ACC/AHA = American College of Cardiology/American Heart Association; CAD = Coronary Artery Disease, coronaropatia.

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Capitolo 30

Tabella 30L–4 Linee guida dell’ACC/AHA per lo studio clinico elettrofi siologico intracardiaco per la valutazionedi specifi che anomalie elettrocardiografi che

Indicazioni Classe I (opportuno) Classe II (controverso) Classe III (inopportuno)

Tachicardie a complessi larghi

Pazienti con tachicardia a QRS largo in cui la diagnosi corretta è poco chiara dopo l’analisi dei tracciati ECG disponibili e in cui conoscere la diagnosi corretta è necessario per il trattamento

Nessuna Pazienti con TV o TSV con conduzione aberrante o sindrome da preeccitazione diagnosticate con certezza in base ai criteri ECG e nei quali i dati dello SEF invasivo non infl uenzerebbero la terapia. Tuttavia, i dati ottenuti dallo SEF di base in questi pazienti potrebbero essere utili come guida per la conseguente terapia

Valutazione della fun-zione del nodo del seno

Pazienti sintomatici in cui si sospetta una disfunzione del nodo del seno alla base della sintomatologia ma in cui il nesso di causalità tra l’aritmia e i sintomi non è stato stabilito dopo un’appropriata valutazione

Pazienti con disfunzione del nodo del seno documentata nei quali la valutazione della conduzione atrioventricolare (AV) o ventrico-loatriale (VA) o la predisposizione alle aritmie può aiutare nella scelta della modalità di stimola-zione elettrica più appropriata

Pazienti con bradiaritmie sinusali documentate elettrocardiografi -camente per determinare se le anomalie sono dovute a malattia intrinseca, disfunzione del sistema nervoso autonomo o agli effetti dei farmaci in modo da facilitare la scelta terapeutica

Pazienti sintomatici con bradiarit-mie sinusali documentate per valutare l’eventuale presenza di altre aritmie alla base della sinto-matologia

Tachicardia con QRS stretti (complesso QRS <0,12 sec)

Pazienti con episodi frequenti o scarsamente tollerati di tachicardia che non risponde adeguatamente alla terapia farmacologica e nei quali le informazioni sulla sede di origine, meccanismo e proprietà elettrofi siologiche delle vie di conduzione della tachicardia sono essenziali per la scelta della terapia appropriata (farmaci, ablazione transcatetere, stimolazione elettrica o chirurgia)

Pazienti che preferiscono la terapia ablativa al trattamento farmacologico

Pazienti con frequenti episodi di tachicardia che richiedono terapia farmacologica per i quali si temono effetti proaritmici o effetti dei farmaci antiaritmici sul nodo del seno o sulla conduzione AV

Pazienti in cui la tachicardia è facilmente controllata da manovre vagali e/o che tollerano bene la terapia farmacologica e che non sono candidati a terapie alternative

Pazienti sintomatici in cui l’asso-ciazione tra sintomi e bradiarit-mia documentata è stata stabilita e la scelta terapeutica non viene infl uenzata dai risultati dello SEF

Pazienti asintomatici con bradi-aritmie sinusali o pause sinusali osservate solo durante il sonno, compresa l’apnea durante il sonno

Blocco AV acquisito Pazienti sintomatici con sospetto blocco del sistema His-Purkinje alla base della sintomatologia non ancora documentato

Pazienti con blocco AV di secondo o terzo grado trattati con pace-maker ma ancora sintomatici e nei quali si sospetta un’altra aritmia alla base della sintoma-tologia

Pazienti con blocco AV di secondo o terzo grado nei quali la conoscenza della sede del blocco o il suo meccanismo o la risposta alla terapia farmacologica o ad altri interventi temporanei può aiutare nella gestione terapeutica o a stabilire la prognosi

Pazienti con sospetta depolarizzazione giunzionale prematura occulta come causa del blocco AV di secondo o terzo grado (cioè, pseudoblocco AV)

Pazienti sintomatici nei quali i sintomi e la presenza del blocco AV sono correlati ai reperti ECG

Pazienti asintomatici con blocco AV transitorio associato a bradicardia sinusale(p.es., blocco AV di II gradotipo I notturno)

Ritardo cronico della conduzione intraventricolare

Pazienti sintomatici in cui la causa dei sintomi è sconosciuta

Pazienti asintomatici con blocco di branca nei quali si intende effettuare una terapia farmacolo-gica che potrebbe incrementare il ritardo della conduzione o pro-vocare un blocco cardiaco

Pazienti asintomatici con ritardo di conduzione intraventricolare

Pazienti sintomatici nei quali i sintomi possono essere correlati o esclusi attraverso un ECG

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761Terapia delle aritm

ie cardiache

STUDIO ELETTROFISIOLOGICO PER LA DIAGNOSI

Le linee guida dell’ACC/AHA per l’uso di procedure elettrofi siologiche intracardiache del 19894 e 19956 rifl ettono il ruolo emergente della ablazione transcatetere come strategia terapeutica ma non completa-mente la ridotta importanza dei farmaci antiaritmici e il crescente ruolo degli ICD. Nonostante ciò, la maggior parte dei temi base di queste linee guida restano tuttora validi.

Queste linee guida, che sono più vecchie della maggior parte delle linee guida dell’ACC/AHA, usano un sistema più semplice a tre cate-gorie per valutare l’appropriatezza, in cui le indicazioni di classe II non sono divise in indicazioni con più o meno sostegni.

Valutazione della funzione del nodo del seno

La valutazione clinica della disfunzione del nodo del seno è spesso diffi cile a causa della natura episodica delle anomalie sintomatiche e dell’ampia variabilità della funzione del nodo del seno tra i soggetti asintomatici. Test invasivi sulla funzione sinusale possono valutare la capacità del nodo del seno di recuperare dopo soppressione mediante overdrive e calcolare la conduzione senoatriale applicando extrasti-moli atriali o pacing atriale.

Le linee guida dell’ACC/AHA considerano lo studio elettrofi siolo-gico del nodo del seno più appropriato per pazienti con disfunzione sospetta ma non dimostrata dopo una valutazione non invasiva (Tab. 30L-4). Viceversa, le linee guida considerano tale studio inappropriato quando una bradiaritmia documentata si correla con i sintomi del paziente ed è improbabile che il trattamento sia infl uenzato da uno SEF. Gli studi sono stati considerati inappropriati anche nei pazienti asintomatici e in quelli che hanno pause sinusali solo durante il sonno. Nel caso in cui le bradiaritmie siano riconosciute come causa dei sintomi del paziente, si riteneva che i dati dello SEF avessero una appropriatezza possibile ma dubbia (classe II) nel precisare il tratta-mento di scelta.

Blocco atrioventricolare acquisito

Le linee guida dell’ACC/AHA sottolineano che lo SEF è inappropriato (classe III) se i segni ECG correlano con i sintomi e i dati dello SEF non modifi cano la terapia (p.es., documentare la conduzione del fascio di His di rado migliora il trattamento per un paziente quando altri dati clinici indicano che il posizionamento di un pacemaker permanente è giustifi cato per un blocco AV avanzato sintomatico). Allo stesso modo, lo SEF non è appropriato nei pazienti asintomatici con blocco

Tabella 30L–4 Linee guida dell’ACC/AHA per lo studio clinico elettrofi siologico intracardiaco per la valutazionedi specifi che anomalie elettrocardiografi che – continuazione

Indicazioni Classe I (opportuno) Classe II (controverso) Classe III (inopportuno)

Sindrome del QT lungo Nessuna Individuazione dell’effetto pro-aritmico di un farmaco in un paziente che ha avuto TV soste-nuta o arresto cardiaco durante la somministrazione del farmaco

Pazienti con anomalie dubbie della durata dell’intervallo QT o dell’aspetto dell’onda TU con sincope o aritmie sintomatiche, nei quali gli effetti delle cateco-lamine possono smascherare una specifi ca anomalia del QT

Pazienti con allungamento con-genito del QT clinicamente evidente, con o senza aritmie sintomatiche

Pazienti con sindrome del QT lungo acquisita con sintomistrettamente correlati a una causa o a un meccanismoidentifi cabili

Sindrome di Wolff-Parkinson-White

Pazienti valutati per l’ablazione transcatetere o chirurgica di una via accessoria

Pazienti con preeccitazione ventri-colare sopravvissuti a un arresto cardiaco o che presentano sincope inspiegabile

Pazienti sintomatici in cui la deter-minazione del meccanismo del-l’aritmia o la conoscenza delle proprietà elettrofi siologiche della via accessoria e del sistema di conduzione normale sarebbe di aiuto nel determinare la terapia appropriata

Pazienti asintomatici con storia familiare di morte cardiaca improvvisa o con preeccitazione ventricolare ma non aritmie spontanee che hanno occupa-zioni o attività ad alto rischio e in cui conoscere le proprietà elettrofi siologiche della via accessoria o della tachicardia inducibile è utile a stabilire le raccomandazioni per l’attività o la terapia futura

Pazienti con preeccitazione ven-tricolare sottoposti a intervento cardiochirurgico per altre ragioni

Pazienti asintomatici con preeccitazione ventricolare, eccetto quelli in classe II

Complessi ventricolari prematuri, coppie e TV non sostenuta

Nessuna Pazienti con altri fattori di rischio per eventi aritmici futuri, quali bassa frazione d’eiezione, ECG signal-averaged positivo e TV non sostenuta alla registrazione ECG ambulatoriale nei quali lo SEF verrà usato per un’ulteriore valutazione del rischio e per guidare la terapia nei pazienti con TV inducibile

Pazienti gravemente sintomatici con complessi prematuri ventri-colari di morfologia uniforme, coppie e TV non sostenuta che sono considerati potenziali can-didati all’ablazione transcatetere

Pazienti asintomatici o lievemente sintomatici con complessi ventricolari prematuri, coppie e TV non sostenuta senza altri fattori di rischio per un’aritmia sostenuta

ACC/AHA = American College of Cardiology/American Heart Association; ECG = elettrocardiografi a; TV = tachicardia ventricolare.

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Capitolo 30

AV di grado lieve che probabilmente non richiedono l’impianto di un pacemaker. In base a queste linee guida, lo SEF della conduzione AV deve essere eseguito in caso non sia stata dimostrata una relazione tra la sintomatologia del paziente e il blocco AV; in tali pazienti, alla base dei sintomi potrebbe esservi un’altra aritmia.

Ritardo cronico intraventricolare

Secondo le linee guida dell’ACC/AHA, il ruolo principale dello SEF nei pazienti con HV prolungato non è di predire future complicanze ma di determinare se i sintomi dell’aritmia sono dovuti a ritardi di conduzione o blocco oppure ad altre aritmie. La sola indicazione di classe I (chiaramente appropriata) per lo SEF riguarda i pazienti sin-tomatici nei quali l’eziologia dei sintomi è sconosciuta. Le linee guida specifi catamente scoraggiano questi test nei pazienti asintomatici e forniscono soltanto prove equivoche per pazienti asintomatici con blocco di branca nei quali è da considerare il trattamento con farmaci che potrebbero aumentare il ritardo di conduzione.

Tachicardie con complessi QRS stretti e larghi. Le linee guida dell’ACC/AHA defi niscono ruoli differenti per i test elettrofi siologici nei pazienti con tachicardia a complessi stretti e larghi. Nella tachicardia con complessi QRS stretti, il sito di formazione dell’impulso anomalo o il circuito di rientro possono essere spesso determinati con un ECG a 12 derivazioni. Quindi, lo SEF in questo contesto è considerato ade-guato più come guida alla gestione terapeutica che come strumento diagnostico. Le indicazioni di classe I per i test elettrofi siologici inclu-dono pazienti con tachicardia ricorrente in cui i dati provenienti dallo studio possono aiutare il medico nella scelta tra terapia farmacologica, ablazione transcatetere, stimolazione elettrica o chirurgia. Tuttavia, lo SEF non è considerato utile nei pazienti con tachicardie ben controllate da manovre vagali o da farmaci e che quindi non sono candidati a terapie non farmacologiche.

Nelle tachicardie a complessi larghi, l’identifi cazione del sito di origine è spesso impossibile con il solo tracciato ECG. Tuttavia, lo SEF consente una diagnosi accurata praticamente in tutti i pazienti. Dal momento che la conoscenza del meccanismo dell’aritmia è essenziale per la scelta della terapia ottimale, in queste linee guida lo SEF è stato

ritenuto appropriato (classe I) per la diagnosi delle tachicardie con complessi QRS larghi. Tuttavia, quando la diagnosi è chiara grazie ad altri dati ed è improbabile che lo SEF infl uenzi la terapia, le linee guida lo considerano inappropriato.

Sindrome del QT lungo. Le linee guida dell’ACC/AHA non consi-derano gli esami elettrofi siologici per nessuna indicazione per l’uso di routine in pazienti con sindrome del QT lungo. Non è chiaro se l’in-fusione di catecolamine durante lo studio possa individuare i pazienti ad alto rischio di complicanze o se lo SEF possa essere impiegato per valutare effetti proaritmici in questa popolazione.

Sindrome di Wolff-Parkinson-White. Lo SEF è utile in pazienti con questa malattia sia per la diagnosi e sia per programmare la terapia. Le linee guida dell’ACC/AHA considerano lo SEF appropriato per i pazienti candidati all’ablazione chirurgica o transcatetere, per quelli che hanno presentato arresto cardiaco o sincope inspiegabile o per quei pazienti la cui gestione potrebbe essere modifi cata dalla conoscenza delle proprietà elettrofi siologiche della via accessoria e del normale sistema di conduzione. Nei pazienti asintomatici, tutta-via, lo SEF si ritiene inappropriato eccetto che in speciali condizioni, quali pazienti con occupazioni ad alto rischio o con un’anamnesi familiare positiva per morte cardiaca improvvisa. Alcune patologie riconosciute più recentemente come la sindrome di Brugada, la tachi-cardia catecolaminergica e la miocardiopatia ventricolare destra non sono considerate.

Tachicardia ventricolare non sostenuta. Anche nei pazienti con complessi prematuri ventricolari, coppie e TV non sostenuta, l’utilità dello SEF è compromessa dalla mancanza di strategie terapeutiche che dimostrino un miglioramento della prognosi. Non vi sono indicazioni chiaramente appropriate per lo SEF in questi pazienti e le linee guida li hanno scoraggiati nei pazienti senza altri fattori di rischio per aritmie sostenute. Gli sudi pubblicati a partire da queste linee guida suggeri-scono che le eccezioni potrebbero includere i pazienti che soddisfano i criteri degli studi Multicenter Automatic Defi brillator Implantation Trial (MADIT) o Multicenter Unsustained Tachycardia Trial (MUSTT). Per pazienti che presentano criteri suggestivi per una prognosi sfavore-vole, gli studi elettrofi siologici sono ritenuti avere una appropriatezza probabile ma non provata (classe II).

Tabella 30L–5 Linee guida dell’ACC/AHA per lo studio elettrofi siologico intracardiaco per la valutazione delle sindromi cliniche

Indicazione Classe I (opportuno) Classe II (controverso) Classe III (inopportuno)

Sincope inspiegabile Pazienti con sospetta malattia cardiaca strutturale e sincopi che rimangono non spiegate dopo un’appropriata valutazione

Pazienti con sincope ricorrente inspiegabile senza cardiopatia strutturale e tilt test negativo

Pazienti con cause note di sincope nei quali il trattamento non è guidato dai risultati dello SEF

Pazienti sopravvissuti all’arresto cardiaco

Pazienti sopravvissuti a un episodio di arresto cardiaco senza evidenza di infarto miocardico acuto con onda Q

Pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco che si è verifi cato più di 48 ore dopo la fase acuta di IM in assenza di evento ischemico recidivo

Pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco causato da bradiaritmia

Pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco che si ritiene associato a un’anomalia congenita della ripolarizzazione (sindrome del QT lungo) nei quali i risultati degli esami non invasivi sono dubbi

Pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco verifi catosi durante la fase acuta (<48 ore) dell’IM

Pazienti con arresto cardiaco conseguente a cause specifi che chiaramente individuabili come ischemia reversibile, stenosi val-volare aortica grave o sindrome del QT lungo congenita o acqui-sita documentata mediante esami non invasivi

Palpitazioni inspiegabili Pazienti con palpitazioni in cui la frequenza del polso è stata documentata dal personale medico come inadeguatamente rapida e in cui le registrazioni ECG non riescono a documentare la causa delle palpitazioni

Pazienti con palpitazioni che precedono un episodio sincopale

Pazienti con palpitazioni clinica-mente signifi cative di sospetta origine cardiaca con sintomatolo-gia sporadica e pertanto di diffi -cile documentazione. Lo studio è eseguito per determinare i mec-canismi delle aritmie, indirizzare o somministrare la terapia o sta-bilire la prognosi

Pazienti con palpitazioni documentate come conseguenti a cause extracardiache (p.es., ipertiroidismo)

ACC/AHA = American College of Cardiology/American Heart Association; ECG = elettrocardiografi a; IM = infarto miocardico.

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763Terapia delle aritm

ie cardiache Tabella 30L–6 Linee guida dell’ACC/AHA per lo studio elettrofi siologico intracardiaco per l’intervento terapeutico

Indicazioni Classe I (appropriato) Classe II (controverso) Classe III (inappropriato)

Guida alla terapia farmacologica

Pazienti con TV sostenuta o arresto cardiaco, specialmente quelli con un pregresso IM

Pazienti con TRNAV, tachicardia da rientro AV che utilizza una via accessoria o fi brillazione atriale associata con una via accessoria per i quali si prevede una terapia farmacologica cronica

Pazienti con tachicardia da rientro del nodo del seno, tachicardia atriale, fi brillazione atriale o fl utter atriale senza sindrome da preeccitazione ventricolare per i quali è programmata una terapia farmacologica cronica

Pazienti con aritmie non inducibili durante uno SEF di controllo per i quali è programmata la terapia farmacologica

Pazienti con complessi prematuri atriali o ventricolari isolati

Pazienti con fi brillazione ventricolare con causa reversibile individuata chiaramente

Pazienti candidati all’impianto o portatori di dispositivi elettrici impiantabili

Pazienti con tachiaritmie, prima e durante l’impianto, e nel corso della programmazione fi nale (predimissione) di un dispositivo elettrico per confermare la capa-cità del sistema di funzionare come previsto

Pazienti con dispositivo elettrico antitachiaritmia impiantato in cui le modifi cazioni dello stato o la terapia possono aver infl uenzato la sicurezza e l’effi cacia del dispositivo stesso

Pazienti portatori di pacemaker per bradiaritmia a cui viene impiantato un cardiovertitore-defi brillatore, per testare le interazioni tra i dispositivi

Pazienti con una precedente

e documentata indicazione all’impianto di un pacemaker per testare la modalità più appropriata di stimolazione elettrica a lungo termine e la sede per migliorare la sintomatologia e l’emodinamica

Pazienti non candidati all’impianto di dispositivi elettrici

Indicazioni alla procedura di ablazione transcatetere

Pazienti con tachiaritmie atriali sintomatiche con frequenza ven-tricolare non adeguatamente con-trollata tranne nel caso in cui sia possibile un’ablazione primitiva della tachiaritmia atriale

Pazienti con tachiaritmie atriali sintomatiche, come quelli citati sopra, ma quando i farmaci non sono tollerati o il paziente non desidera assumerli anche se la frequenza ventricolare potrebbe essere controllata

Pazienti con tachicardia giunzionale non parossistica sintomatica che è farmacoresistente o nel caso il paziente sia intollerante al farmaco o non voglia assumerlo

Pazienti rianimati da morte cardiaca improvvisa causata da fl utter atriale o da fi brillazione atriale con risposta ventricolare rapida in assenza di una via accessoria

Pazienti con pacemaker bicamerale e tachicardia mediata dal pacemaker non effi cacemente trattata con terapia farmacologica o riprogrammazione del pacemaker stesso

Pazienti con tachiaritmie atriali responsive a una terapia farmacologica accettabile peril paziente

Ablazione transcatetere a radiofrequenza per TRNAV

Pazienti sintomatici con TRNAV sostenuta in caso di farmacoresistenza o se il paziente è intollerante al farmaco o non desidera una terapia farmacologica a lungo termine

Pazienti con TRNAV sostenuta individuata durante lo SEF o l’ablazione transcatetere di un’altra aritmia

Riscontro di una doppia fi siologia della via nodale e di echi atriali senza TRNAV durante lo SEF in un paziente con sospetto clinico di TRNAV

Pazienti con TRNAV responsiva alla terapia farmacologica che è ben tollerata e preferita dal paziente all’ablazione

Riscontro di una doppia fi siologia della via nodale (con o senza echi complessi) durante lo SEF in pazienti in cui non si sospetta una TRNAV in base ai dati clinici

Continua

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Capitolo 30

Tabella 30L–6 Linee guida dell’ACC/AHA per lo studio elettrofi siologico intracardiaco per l’intervento terapeutico– continuazione

Indicazione Classe I (appropriato) Classe II (dubbio) Classe III (inappropriato)

Ablazione di tachicardia atriale, fl utter e fi brillazione: sedi atrio/atriali

Pazienti con tachicardia atriale in caso di farmacoresistenza o intolleranza del paziente ai farmaci o scarsa compliance del paziente alla terapia farmacologica a lungo termine

Pazienti con fl utter atriale farmacoresistente o per intolleranza del paziente al farmaco o il paziente non vuole una terapia farmacologica a lungo termine

Flutter atriale o tachicardia atriale associata a fi brillazione atriale parossistica quando la tachicardia è farmacoresistente o il paziente è intollerante al farmaco o non vuole una terapia farmacologica a lungo termine

Pazienti con fi brillazione atriale ed evidenza di un sito (siti) d’origine localizzato quando la tachicardia è farmacoresistente o il paziente è intollerante al farmaco o non vuole una terapia farmacologica a lungo termine

Paziente con aritmia atriale che risponde a una terapia farmacologica, ben tollerata e preferita dal paziente all’ablazione

Pazienti con tachicardia atriale polimorfa

Ablazione di tachicardia atriale, fl utter e fi brillazione: vie accessorie

Paziente con tachicardia da rientro AV sintomatica quando è farmacoresistente o il paziente è intollerante al farmaco o non vuole una terapia farmacologica a lungo termine

Pazienti con fi brillazione atriale (o altre tachiaritmie atriali) e risposta ventricolare rapida attraverso la via accessoria quando la tachicardia è farmacoresistente o il paziente è intollerante al farmaco o non vuole una terapia farmacologica a lungo termine

Pazienti con tachicardia da rientro AV o fi brillazione atriale con risposta ventricolare rapida individuata durante lo SEF di un’altra aritmia

Pazienti asintomatici con preeccitazione ventricolare le cui abitudini di vita, professione, attività importanti, stato assicurativo o stato mentale o sicurezza pubblica verrebbero infl uenzati da tachiaritmie spontanee o dalla presenza di anomalie ECG

Pazienti con fi brillazione atriale e risposta ventricolare controllata attraverso la via accessoria

Pazienti con familiarità positiva per morte cardiaca improvvisa

Pazienti che hanno aritmie correlate alla via accessoria responsive a una terapia farmacologica ben tollerata e preferita dal paziente all’ablazione

Ablazione di TV Pazienti con TV sintomatica sostenuta e monomorfa quando la tachicardia è farmacoresistente o il paziente è intollerante al farmaco o non vuole una terapia farmacologica a lungo termine

Pazienti con TV da rientro di branca

Pazienti con TV sostenuta monomorfa e ICD che ricevono numerose scariche elettriche non gestibili mediante riprogrammazione del dispositivo o concomitante terapia farmacologica

TV non sostenuta sintomatica quando la tachicardia è farmacoresistente o il paziente è intollerante al farmaco o non vuole una terapia farmacologica a lungo termine

Pazienti con TV responsiva ai farmaci, all’ICD o alla terapia chirurgica e nel caso in cui il trattamento sia ben tollerato e preferito dal paziente rispetto all’ablazione

TV instabile, ad alta frequenza, multipla o polimorfa non adeguatamente localizzata attraverso le comuni tecnichedi mappaggio

TV non sostenuta asintomaticae clinicamente benigna

ACC/AHA = American College of Cardiology/American Heart Association; AV = atrioventricolare; TRNAV = tachicardia da rientro del nodo AV; ECG = elettro-cardiografi che; ICD = Implantable Cardioverter-Defi brillator, cardiovertitore-defi brillatore impiantabile; IM = infarto miocardico; SEF = studio elettrofi siologico; TV = tachicardia ventricolare.

Sincope inspiegabile

Le linee guida dell’ACC/AHA raccomandano una bassa soglia per l’impiego dello SEF nei pazienti con sincope inspiegabile se essi hanno anche una cardiopatia strutturale (Tab. 30L-5). Tuttavia, nei pazienti senza cardiopatia strutturale, l’apporto dello SEF è di scarsa utilità. Quindi, le linee guida dell’ACC/AHA raccomandano una soglia più alta per l’impiego dello SEF in tali pazienti e suggeriscono che il tilt test possa essere uno studio più utile.

Sopravvissuti all’arresto cardiaco

Le linee guida dell’ACC/AHA considerano i test elettrofi siologici appro-priati per i pazienti che sono sopravvissuti a un arresto cardiaco in condizioni diverse dalla fase precoce di un IMA (Tab. 30L-5). Sin dalla

pubblicazione di queste linee guida, il consenso all’utilità dell’ICD è divenuto più diffuso e molti di questi pazienti hanno ricevuto tale dispositivo senza test elettrofi siologici oppure sono stati sottoposti a uno SEF limitato al momento dell’impianto. Le linee guida considerano gli SEF inappropriati quando l’arresto cardiaco si verifi ca entro le prime 48 ore da un infarto miocardico o quando l’arresto cardiaco è causato da cause specifi che chiaramente defi nibili.

Palpitazioni inspiegabili

La procedura di scelta per determinare la causa delle palpitazioni è l’ECG ambulatoriale, secondo le linee guida dell’ACC/AHA. Le linee guida suggeriscono di riservare lo SEF ai pazienti con palpitazioni associate a sincope o a quelli in cui l’ECG non ha documentato la causa delle palpitazioni ma in cui è stata riscontrata dal personale

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ie cardiache sanitario una rapida frequenza del polso (Tab. 30L-5). Lo SEF è di dubbio valore nei pazienti con sintomi così sporadici da non poter essere documentati durante la registrazione dell’ECG ambulatoriale.

STUDI ELETTROFISIOLOGICI PER INTERVENTO TERAPEUTICO

La linee guida ACC/AHA del 1995 per l’appropriatezza dello SEF nel guidare la terapia farmacologica e i dispositivi elettrici impiantabili non rifl ettono completamente il declino del ruolo dei farmaci antiaritmici e l’incremento dell’uso degli ICD per il trattamento di pazienti che hanno avuto un arresto cardiaco (Tab. 30L-6). Tuttavia, le linee guida che raccomandano l’ablazione transcatetere sono ancora in gran parte valide. Le caratteristiche comuni tra le indicazioni appropriate comprendono le aritmie sopraventricolari sintomatiche, quelle non controllate dai farmaci data la limitata effi cacia, gli effetti collaterali, la scarsa tollerabilità e le aritmie che hanno causato morte cardiaca

improvvisa. L’ablazione transcatetere è anche utile in alcuni pazienti con TV, sebbene i pazienti con grave cardiopatia strutturale tendano ad avere molteplici sedi di origine dell’aritmia e siano pertanto candi-dati non ideali per questa metodica. L’ablazione è talvolta utile come aggiunta all’impianto dell’ICD per limitare gli episodi di TV che richie-dono l’intervento dell’ICD.

COMPETENZA CLINICA

Le dichiarazioni dell’ACC/AHA sulla competenza clinica del 20006 con-sigliano che un medico specializzato in elettrofi siologia esegua un minimo di 1 anno di addestramento specialistico in test elettrofi siolo-gici, durante il quale deve essere primo operatore e analizzare 100-150 studi diagnostici iniziali. Almeno 50 di questi studi devono riguardare pazienti con aritmie sopraventricolari. Poiché i dispositivi antiaritmici rappresentano la gran parte dell’attuale pratica elettrofi siologica, le linee guida suggeriscono che coloro che si addestrano devono essere

Tabella 30L–7 Linee guida dell’AHA/NASPE per una sicura ripresa delle attività (classi di restrizione)

Aritmia Privato Commerciale

Tachicardia ventricolare non sostenuta B3 se sintomi di alterazioni di coscienza con aritmia prima del trattamento

A se non alterazione di coscienza con aritmia

B6 se sintomi di alterazioni di coscienza con aritmia prima del trattamento

A se non alterazione di coscienza con aritmia

Tachicardia ventricolare sostenuta B6

B3 se TV idiopatica (coronarie normali, normale funzione ventricolare) e nessuna alterazione di coscienza

CB6 se TV idiopatica (coronarie normali,

normale funzione ventricolare) e non altera-zione della coscienza

Fibrillazione ventricolare B6 C

TSV asintomatica o lievemente sintomatica (inclusa sindrome di WPW)

A A

TSV sintomatica (evidenza di compromissione emodinamica)

B fi no a dopo l’inizio della terapia che elimina i sintomi

B fi no a dopo l’inizio della terapia che elimina i sintomi

Fibrillazione atriale trattata con ablazione transcatetere del nodo AV

B B

TSV con sintomi non controllati C C

Bradicardia senza un pacemaker – no sintomi

A A

Bradicardia senza un pacemaker – sincope e lipotimia

C C

Bradicardia con un pacemaker – non pacemaker-dipendente*

A A

Bradicardia con un pacemaker –pacemaker dipendente*

B – 1 settimana B – 4 settimane

Sincope vasovagale – lieve A B1

Sincope vasovagale – grave

Sincope vasovagale trattata B3 B6

Sincope vasovagale non trattata C C

Sincope da malattia del seno carotideo – lieve

A A

Sincope da malattia del seno carotideo – grave, trattata con controllo

B1 B1

Sincope da malattia del seno carotideo – grave, trattata con incerto controllo

B3 B6

Non trattata C C

AHA/NASPE = American Heart Association/North American Society of Pacing and Electrophysiology; AV = atrioventricolare; TSV = tachicardia sopraventricolare; WPW = sindrome di Wolff-Parkinson-White.

Classe A = nessuna restrizione; classe B = limitato per mesi (nel sottoscritto); classe C = restrizione totale.*I pazienti pacemaker-dipendenti sono defi niti come quelli che hanno perso coscienza in passato a causa di bradiaritmie. Questo gruppo include anche i pazienti

immediatamente dopo l’ablazione della giunzione AV o qualsiasi altro paziente in cui un improvviso defi cit del pacemaker potrebbe provocare un’alterazione dello stato di coscienza.

Da Epstein AE, Miles WM, Benditt DG, et al: Personal and public safety issues related to arrhythmias that may affect consciousness: Implications for regulation and physician recommendations. Circulation 94:1147, 1996.

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Capitolo 30

dere la guida, secondo la frequenza della tachicardia pre-terapia. Se i sintomi non possono essere controllati, si consiglia una restrizione piena permanente.

Nessuna restrizione è indicata per i pazienti con bradiaritmie asin-tomatiche o che hanno un pacemaker ma non sono pacemaker-dipendenti, cioè, i pazienti che in passato hanno perso conoscenza a causa della bradiaritmia. Sono anche “pacemaker-dipendenti” i pazienti immediatamente dopo l’ablazione del nodo AV o qualsiasi altro paziente in cui un improvviso defi cit del pacemaker potrebbe causare un’alterazione della coscienza. I pazienti che sono stati pace-maker-dipendenti e che hanno ricevuto un pacemaker dovrebbero essere limitati per 1-4 settimane, a seconda che siano guidatori privati o commerciali. I pazienti che hanno avuto sincope o presincope corre-late a bradiaritmie che non sono portatori di pacemaker devono avere restrizioni totali e permanenti.

Nessuna o solo modeste restrizioni sono consigliate per i pazienti con lieve sincope vasovagale o sincope del seno carotideo. Le linee guida così scritte (Tab. 30L-7) consentono al clinico un ampio margine nel determinare la durata della restrizione.

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primi operatori in almeno 25 valutazioni elettrofi siologiche di dispo-sitivi impiantabili antiaritmici. Per mantenere la competenza, è consi-gliato un minimo di 100 esami diagnostici elettrofi siologici all’anno. Le linee guida raccomandano anche che gli specialisti in elettrofi siologia abbiano almeno 30 ore di formale educazione medica continua ogni 2 anni per essere aggiornati sui cambiamenti delle conoscenze e della tecnologia.

Per i medici che eseguono l’ablazione transcatetere, il NASPE Ad Hoc Committee on Catheter Ablation raccomanda che l’addestra-mento includa almeno 30 ablazioni, di cui almeno 15 devono essere ablazioni di una via accessoria;12 l’ACC/AHA raccomanda che tali medici debbano eseguire almeno 20-50 ablazioni all’anno.

PROBLEMI DI SICUREZZA PERSONALE E PUBBLICA

L’AHA e la NASPE hanno pubblicato un documento medico-scientifi co nel 1996 sui problemi riguardanti la sicurezza personale e pubblica che insorgono nella cura dei pazienti con aritmie.7 Questa pubblica-zione riassume le linee guida di altri organismi, come la U.S. Federal Aviation Administration e i pochi dati disponibili per valutare il rischio di danno al paziente e altri connessi alle aritmie; essa ha fornito raccomandazioni sulle attività accettabili nei pazienti con aritmie che possono compromettere coscienza.

Le linee guida AHA/NASPE dividono i pazienti in tre classi. I pazienti di classe A non dovrebbero avere restrizioni. I pazienti di classe B hanno limitazioni per un tempo defi nito senza recidive arit-miche, di solito dopo un intervento terapeutico (Tab. 30L-7). Questo periodo è in genere espresso come una nota in pedice che indica il numero di mesi di restrizione (p.es., B3). I pazienti in classe C hanno una restrizione totale ad attività potenzialmente rischiose. Le restri-zioni sono state divise in due categorie: guidare per motivi personali o non commerciali e guidare o volare per motivi commerciali. Tranne in casi altrimenti specifi cati, le raccomandazioni per il volo sono le stesse dei guidatori commerciali. Le linee guida sottolineano che le raccomandazioni per la restrizione alla guida commerciale possono anche essere di rilievo per persone con altre occupazioni potenzial-mente pericolose, come operatori di attrezzature pesanti.

Le limitazioni imposte dalle linee guida variano a seconda della gravità dell’aritmia e dei sintomi di accompagnamento (Tab. 30L-7). La durata della restrizione è più breve per pazienti che non hanno avuto un peggioramento della sintomatologia con la loro aritmia, mentre aumenta per pazienti che continuano ad avere la sintomatologia e che hanno avuto fi brillazione ventricolare o TV sostenuta. I pazienti che hanno presentato una di queste aritmie dovrebbero avere una restrizione completa alla guida o al volo commerciale in accordo con queste linee guida.

Queste raccomandazioni sono per i pazienti trattati sia con farmaci antiaritmici sia con ICD. Le linee guida raccomandano di proibire la guida privata a tutti i guidatori per i primi 6 mesi dopo l’impianto dell’ICD; dopo questo periodo, si può riprendere la guida se non si è verifi cata alcuna scarica dell’ICD. Le linee guida raccomandano di proibire in permanenza la guida commerciale dopo impianto di ICD.

Una speciale menzione è stata fatta sui pazienti con sindrome del QT lungo. Quando il prolungamento del QT è acquisito e dovuto interamente o in parte a fattori reversibili come gli squilibri elettrolitici, alla maggior parte dei pazienti è permessa la guida dopo correzione di tali fattori. I pazienti che hanno una sindrome del QT lungo sinto-matica non hanno privilegi sulla guida; coloro che sono asintomatici con o senza trattamento possono riprendere a guidare dopo 6 mesi di intervallo libero da sintomi.

Per i pazienti con TSV, le linee guida non impongono limitazioni più severe per la guida commerciale rispetto a quella privata. Nessuna restrizione è indicata per i pazienti con TSV con sintomi scarsi o assenti (Tab. 30L-7). Nei pazienti che hanno avuto sintomi suggestivi di compromissione emodinamica (p.es., sincope, presincope, dolore toracico o dispnea), le linee guida consigliano restrizioni sino a dopo l’inizio della terapia che elimina i sintomi. I pazienti con TSV che sembra effi cacemente ablata possono guidare dopo la guarigione dalla procedura. I pazienti trattati con terapia farmacologica devono avere un periodo di almeno 1 mese libero da sintomi prima di ripren-

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